Corriere della piana - n.37

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Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro - Nuova serie, n° 37, Anno 2015 - “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Aut: ATSUD/CZ/518 val. dal 13/10/15”

In regalo SPORT MAGAZINE (24 pagine)

Calabria alluvioni . . . Quale futuro?

Taurianova Fabio Scionti Sindaco

Terrorismo Allarme mondiale

Mauricio Macrì Un calabrese alla Casa Rosada

Soriano Calabro Il presepe monumentale


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Piazza Italia, 15 89029 Taurianova (RC) tel. e fax 0966 643663


Corriere della Piana del 19 Dicembre 2015

sommario

Buon Lavoro Direttore !

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e elezioni comunali di Taurianova hanno decretato l'elezione anche del Nostro Direttore Responsabile, Luigi Mamone che è stato subito dopo nominato assessore. Un incarico indubbiamente impegnativo

che, premia l'impegno civile e politico che in oltre trent'anni di attività giornalistica - e ancor prima - ha sempre visto il Direttore impegnato a battersi per la crescita civile e culturale della nostra terra. I suoi editoriali sul Corriere della Piana e i suoi reportages televisivi rappresentano la continuità di un impegno che adesso con un diverso ruolo - istituzionale - continuerà a svolgere. Auguri, Direttore. Il Corriere della Piana

Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro

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Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi Hanno collaborato a questo numero: Filomena Scarpati, Don Memè Ascone, Maria Stella Giovinazzo, Vincenzo Lentini, Teta Cosentino, Gen. Angiolo Pellegrini, Giovanni Garreffa, Michelangelo Di Stefano, Francesco Di Masi, Aurora Placanica, Monica Minì, Vincenzo Vaticano, Anna Rotundo, Filippo Marino, Domenico De Angelis, Deborah Serratore, Caterina Sorbara, Marisa Militano, Gianluca Iovine, Francesco Pasquale Cordopatri, Antonio Roselli, Tonino Violi, Clemente Corvo, Diego Demaio. Foto: Deborah Serratore, Gianluca Iovine. Free's Tanaka Press, Diego Demaio. Grafica e impaginazione:

Copertina: Concept by Free's Tanaka Press Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Sede redazione: Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999 La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 18-12-2015 Visit us on

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Commento enciclica Laudato Si'

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Parigi sotto attacco

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Editoriale: Un mese intenso

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Mauricio Macrì: Hombre muy valente

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Il PSR Calabria 2014/2020

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La rivincita di "De Santis"

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Per non dimenticare: L'agguato al Giudice Scopelliti

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Italiani, gente singolare

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Avere o essere: J’ai… ou Je suis Eccellenze di Calabria: Carmelo Caratozzolo e La Torta Mamertina Il Lions Club Tauriano va Vallis Salinarum e la Fondazione Betti premiano le eccellenze

Un Natale così

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Il fascino del Presepe Mercatini di Natale: Storie belle da raccontare

24 Cercando Dio 25 Melito Porto Salvo: Alla Fidapa

si discute di omeopatia

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Donne vittime di violenza strisciante Palmi: Il soroptimist club in prima linea contro la violenza sulle donne L'ebraismo tra cultura e identità

Cittanova: Un tesoro di inestimabile valore

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Palmi: Libriamoci

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Domenico Mazzullo. Ritrattistica dal Novecento

"Un poster per la Pace" dei Lions International

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"Aspromonte... a colori!"

Chiara e Martina Scarpari allo Junior Eurovision Song Contest 2015 di Sofia

Soriano Calabro: Il Presepe Monumentale del Convento Domenicano

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L'Artista Pasquale Carbone Moira, Signora del circo, ci ha lasciati Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana

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Editoriale

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di Filomena Scarpati

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Un mese intenso

Scritto nei libri di storia con il sangue delle vittime di Parigi

embrerebbe scritto con il sangue delle vittime di Parigi "Un mese intenso". Di quelli destinati a passare dalle pagine della cronaca a quelle della storia. Un mese che questo suo imprimatur nella storia, l’ha scritto - purtroppo con il sangue di centinaia di inermi cittadini francesi ghermiti dalla barbarie omicida dei fanatici religiosi integralisti di un Islam, che non è più la religione pacifica e raffinata, almeno con riferimento a questi assassini, che vide in nome di Allah crescere e prosperare forme di civiltà dalle quali anche gli occidentali attinsero a piene mani. L’Islam delle mille e una notte, dei magici racconti intrisi del fascino misterioso di un mondo lontano e affabulante, comunque colto, ci mostra la cruda realtà di un mondo di miseria e di abbrutimento che ha fatto emergere assassini pronti a uccidere in nome di un Dio sanguinario che non può essere il pacifico Allah e che non trova nel Corano alcun riferimento che giustifichi siffatte forme di intolleranza. Quello che accade - come propongo più avanti nella mia inchiesta - è figlio di aberrazioni e di errori, anche da parte degli occidentali. Ricorderete gli articoli del Direttore Luigi Mamone, pubblicati nel corso di questi 36 mesi di vita - che dimostravano - già negli anni lontani in cui

furono scritti (La guerra di BUSH anno 1998 NdA) che gli americani stessero facendo in Iraq un colossale errore che il mondo avrebbe pagato a caro prezzo. Gli errori degli americani e poi quelli dei francesi che vollero defenestrare Gheddafi hanno minato un equilibrio del mondo già di per se fragile. Ma di mondo e di equilibri fragili se ne è parlato - cone rifeirmento all’ambiente - fra i grandi della terra. Viviamo in un pianeta malato e morente ma che ancora può essere salvato. Un ambiente che, venendo alla nostra amata Piana del Tauro, presenta monumenti millenari di bellezza incommensurabile. Gli alberi millenari sono, infatti, il pezzo che fa riferimento ad un importante convegno al quale ha partecipato il nostro Francesco Cordopatri, che ogni giorno in più con il suo lavoro scientifico e giornalistico, legato ai temi della natura e dell’agricoltura, cresce nella considerazione degli ambienti scientifici e accademici, italiani e non. Altra parte importante del giornale, è data dall’analisi delle elezioni taurianovesi. Considerazioni politiche che dimostrano come i social comincino ad essere anche strumento di campagna elettorale e di proposta politica con commenti salaci e fotomontaggi ironici e caustici che mostrano in tanti “forattini da te”, uno spirito umoristico e un sarcasmo che meriterebbero maggior attenzione e considerazione da parte degli organi di stampa e televisivi: sintesi caustiche e talvoltà lapidarie, per esprimere consensi e dissensi. Infine, ultimo ma non per importanza l’Anno Santo. Anche in Calabria, numerose basiliche hanno una loro porta Santa aperta. L’iniziativa e lo spirito sono in linea con l’enciclica Laudato Sii di Papa Francesco che, recentemente ha detto una cosa importantissima, rivolta a chi forse pensava che la Chiesa di Cristo pensi solo al cielo e all’aldila: "Siate i custodi della terra". Messaggio di spessore non misurabile e di portata universale. Essere custodi della terra, signigfica essere custodi della vita, della natura, dell’atmosfera, del mare, dell’acqua del fuoco e di tutte le altre meraviglie che San Francesco enumerava nel suo Cantico. Difendere la terra per difendere la vita e per costruire un giorno il mondo dei giusti: in questo mondo e o in quello che troveremo oltre il ponte dell’Arcobaleno. Infine, è doveroso porgere gli auguri di tutto lo staff al nostro direttore responsabile divenuto assessore al Comune di Taurianova. Ancora auguri, nella speranza che non ci trascuri, considerato il suo notevole impegno, per l'ottenimento di un giornale apprezzatissimo nel territorio calabrese ed oltre.


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Commento alla lettera enciclica di Papa Francesco LAUDATO SI’ sulla cura della casa comune Papa Francesco non finisce mai di stupirci. Anzi, il Padre celeste non finisce di stupirci mai, mettendo sulla sede Apostolica l’argentino Bergoglio. Egli ancora una volta indica nuove vie di evangelizzazione sempre nello spirito di semplicità, di povertà, di umiltà del poverello di Assisi e alza la voce per salvare la vita sulla terra.

Saremo capaci di distruggere la vita sulla terra? di Don Memè Ascone

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uesto il grande grido di allarme che Papa Francesco rivolge a tutti gli abitanti della terra: piccoli e grandi. L’uomo ci sta provando e continuando su questa china, purtroppo ci riesce. Il Papa ancora ammonisce, senza mezzi termini: “Il nostro è un comportamento suicida”. Con questo Suo grido mi sembra di vedere in Lui il Pontefice che si pone davanti ad Attila e lo ferma vietandogli di distruggere Roma. Oggi i piccoli Attila siamo moltissimi. Riuscirà, ancora, il nostro umile Francesco a impedire la distruzione della vita sulla terra? Ancora, per meglio chiarire lo storico gesto di Papa Francesco, mi pare di cogliere in questa lettera quello che successe al poverello d’Assisi quando il Crocifisso di San Damiano disse: “va e ricostruisci la mia chiesa”. Oggi nel nome di Dio il Papa dice a noi cattolici e a tutti gli abitanti della terra: “Va e sollecita la salvezza della nostra casa comune”. Papa Francesco non solo ha preso il nome del frate ma con questa lettera, partendo dalle laudi a frate sole e a tutte le creature, ci invita a poter continuare a lodare Dio anche oggi sapendo ammirare le meravigliose opere di Dio Creatore dopo averle fatte ritornare alla loro originaria bellezza. Un compito arduo, ma possibile anzi necessario. Papa Francesco lo potremmo definire il primo pontefice “verde” anche perché, oltre ad invitarci ad una “ecologia integrale”, il suo pontificato si dipinge di verde, il colore della speranza. Il suo è un invito ad ogni uomo e ad ogni cristiano “umili creature e potenti della terra a una riflessione gioiosa e drammatica” per poter credere in un cambiamento

rivoluzionario e in una nuova umanità e in una nuova chiesa, degni e desiderosi di abitare in una nuova terra bella e incontaminata come Dio ce l’ha donata. Perciò Papa Francesco senza mezzi termini parla di “grandi tragedie umane e ambientali e vuole scuotere la generale indifferenza”. Cambiare l’uomo invitandolo a nuovi stili di vita per poter cambiare e salvare la terra. Ancora afferma Papa Francesco “sono questioni che provocano inquietudini che non possiamo nascondere sotto il tappeto”, e indica le strade da seguire se vogliamo iniziare questo cammino di necessario cambiamento. I nostri atteggiamenti non possono continuare ad essere quelli del dominatore, dello sfruttatore e del consumatore, ma ricopriamo la bellezza, lo stupore e la meraviglia attraverso la contemplazione delle creature. Già ancor prima un grande regista cinematografico Ermanno Olmi ebbe a dire: “Questo nostro mondo va male, perché non abbiamo preparato le nostre anime a entrare nel nostro corpo”. Infatti il nostro mondo è privo di anima. Il Papa ci invita ad una ecologia integrale: “Cioè se vuoi salvare la terra salva prima l’uomo”. Infatti è l’uomo, ogni uomo e tutti gli uomini insieme, che devono cambiare mentalità radicalmente. Soltanto un uomo con una nuova mentalità, cultura e religione può salvare la vita sulla terra. L’uomo vecchio è l’attuale predatore e sfruttatore che nel proprio interesse continua ad avvelenare e distruggere la terra. L’uomo nuovo, invece, deve essere custode, protettore e amministratore della terra, non assoluto padrone, per ritornare ad ammirare con stupore la sua originaria bellezza così come il creatore ce l’ha consegnata.

Il Papa tocca il cuore del problema e offre spunti di riflessione e di lavoro per le comunità, per i singoli e per i governanti, condanna gli interessi economici multinazionali, multimilionari, l’idolatria del denaro, la fame irrazionale di risorse che sta distruggendo la Terra. Auspica invece un radicale cambiamento di stile di vita partendo dalle piccole cose di ogni giorno e chiama a una solidarietà universale per porre un argine al deterioramento globale dell’ambiente. Ma chiama soprattutto i cristiani, parlando il linguaggio della fraternità universale a farsi carico della natura e dei fratelli abbandonati per vincere la “Cultura dello scarto”, che porta sempre più la nostra terra la “nostra casa comune a diventare un immenso immondezzaio”. Infatti il Papa parla di una nuova spiritualità cristiana che chiede anche una diversa destinazione dei beni, una politica che si pone al servizio dell’uomo e che si apra al dialogo con l’economia, la scienza e la religione. Questa lettera Enciclica è una traduzione moderna del comandamento dell’amore: ama tutte le creature e salva la terra se dici di amare Dio. Alla luce di questo grido di allarme di Papa Francesco dovremmo aggiungere qualche lezione ai nostri incontri di catechesi e qualche pagina ai nostri libri di morale. L’allarme per il cambiamento climatico e l’inquinamento continuo della terra hanno spinto il Papa a richiamare l’attenzione di tutti per salvare la vita degli uomini e del creato. Solo così si ritorna a esclamare con Francesco D’Assisi e Francesco di Roma Laudato Sì, Mio Signore.


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Il terrorismo islamico colpisce ancora il mondo occidentale Le nazioni rispondono all'offensiva di Filomena Scarpati

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e le Nazioni su cui i terroristi hanno sferrato l'offensiva saranno in grado di mantenere l'unità, sicuramente i tempi di risoluzione di una guerra globale che investe l'intero pianeta, saranno brevi. Dopo la strage di Parigi del 13 Novembre scorso, che ha causato centotrenta morti e oltre trecento feriti, colpendo la città in sei diversi punti più affollati, tra cui il palazzo congressi Bataclan, dove era in corso un concerto e lo stadio, dove si stava giocando una partita tra Francia e Germania, Francois Hollande si è trasformato in presidente marziale. Davanti al Parlamento francese riunito a Versail-

les, ha chiesto la mobilitazione dei suoi connazionali e l'aiuto ai partner europei e internazionali per far fronte alle azioni terroristiche del nemico. Il minuto di silenzio in tutta la Francia è stato osservato dal Presidente francese alla Sorbona, essendoci tra i morti causati dai terroristi, docenti e studenti, tra cui una giovane italiana, Valeria Solesin che studiava proprio in quell'ateneo. Dopo l'accaduto, oltre ai bliz in Francia, è stato passato al setaccio anche il Belgio, in Italia e Spagna i sistemi di sicurezza sono stati rafforzati, essendo nazioni confinanti. Sui sette terroristi che si pensa abbiano agito, due fratelli, di cui uno kamikaze, Brahim Abdeslam, che si è

fatto esplodere, il secondo fratello Salah Abdeslam, è riuscito a dileguarsi dopo essere stato fermato dalla polizia a Cambrai che lo ha lasciato ripartire, assieme a Attou e Amri, gli amici che lo stavano riportando in Belgio, dove, poi, sono stati arrestati per complicità in attentati terroristici. Abaaoud, ritenuto una delle menti delle stragi di Parigi è stato ucciso, invece, dalla polizia nel bliz di Saint-Denis, dove un altro kamikaze si è fatto scoppiare per non essere catturato, provocando nello scoppio anche la morte della cugina di Abaaoud, ragazza di ventisei anni. Il terzo kamikaze che ha avuto paura di farsi scoppiare è in fuga, ricercato sia dalla polizia che dall'Isis.


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Nessuna spiegazione razionale a tanta barbarie Hollande durante il discorso in Parlamento ha evidenziato persino la necessità di apportare modifiche alla Costituzione, in particolare agli articoli sui poteri speciali in caso di minaccia alla Nazione e invio di militari all'estero. Essendo lo Stato Islamico, nemico dell'Europa e non solo, ha ritenuto che gli stati membri dell'UE e dell'ONU devono dare solidarietà alla Nazione aggredita, come difatti si è discusso al G20, che ha messo al bando il terrorismo islamico, considerandolo un affronto contro l'umanità. Quello che sembrava un avvicinamento tra Obama e Putin al G20, derivante dal fatto che entrambi vedono nell'Isis un unico nemico da combattere, così come la decisione di ritirare le forze di terra degli Stati Uniti in Siria, ritenuta una rassicurazione nei confronti di Mosca, si è trasformato in disapprovazione da parte di Obama, dopo le manifestazioni di impazienza del Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, per lo sconfinamento degli aerei russi negli spazi turchi, che non avrebbero rispettato i trattati internazionali, riportando la morte di un pilota per l'abbattimento di un caccia russo da parte dei turchi. Non si è fatta attendere al riguardo, la condanna di Putin alla Turchia, ritenuta responsabile dell'accaduto. Torniamo ad Hollande che è il Presidente della Nazione con più morti causati dal terrorismo, il quale, oltre a voler incontrare Obama e Putin per appellarsi ai vincoli di solidarietà prevista tra partner nel trattato UE, si è detto di-

sponibile a triplicare i raid, espressione che non è piaciuta a Matteo Renzi che è invece disponibile a soluzioni diplomatiche, soprattutto dopo i risultati in Libia che hanno dato maggiore input all'intensificarsi delle strategie terroristiche. D'altra parte i numerosi raid guidati dalla coalizione Usa, dopo che l'Isis ha rivendicato le stragi di Parigi, non hanno creato grosse difficoltà allo Stato del Califfato, come giungono voci da Raqqa controllata dal 2013 proprio dall'Isis. Ciò che preoccupa è anche l'atteggiamento di Erdogan che non assume posizioni chiare. La spinosa questione è ancora tutta da accertare. Intanto Putin minaccia la risoluzione di tutti i progetti commerciali con la Turchia, che sappiamo benissimo dipendere per la maggior parte degli approvvigionamenti, da Russia e Siria nella parte controllata dal governo russo. Ma se si riflette sulla scintilla che ha scatenato questo putiferio nella serata di Venerdì 13 Novembre causando tante vittime tra cui due italiani, oltre alla studentessa della Sorbona che è morta subito, un ferito italiano si è aggiunto successivamente agli altri morti, continuiamo a non trovare una motivazione plausibile. Due Kamikaze tra gli attentatori si sono fatti scoppiare, del terzo è stata ritrovata la sua auto e la cintura che avrebbe dovuto azionare per raggiungere Allah. Sarà stata sicuramente la paura a bloccare il kamikaze, che è diventato il ricercato numero uno dei terroristi islami-

ci e della polizia, mentre su altri terroristi implicati, si stanno conducendo indagini. In Belgio, intanto, lo stato di allarme ha scongiurato altri attacchi terroristici. Non viviamo tempi felici e bisogna evitare polemiche sterili, persino parole profonde e toccanti, in una situazione d'emergenza che trovano poco spazio. Lasciamo però che Papa Francesco e la Chiesa, pur non potendo esercitare poteri legislativi e decisionali sullo stato attuale, continuino l'azione evangelizzatrice e moderatrice senza ostacoli. Ciò che viene spontaneo pensare è che senza l'attecchimento del cattolicesimo e del cristianesimo in genere, l'odio si sarebbe sostituito all'amore di Dio e gli uomini si sarebbero annientati tra loro. Si correva sicuramente il rischio di assistere ad una carneficina dopo l'altra, fino alla distruzione completa della specie umana. In un periodo delicato come l'attuale, bisogna rispondere alle offensive con mezzi opportuni, senza pensare che si facciano danni con l'arricchimento dei trafficanti d'armi..... si arricchiscano pure, l'essenziale è vincere la nostra battaglia contro il terrorismo!!! Il ricorso delle Nazioni democratiche agli armamenti è sempre servito a mantenere la pace, concetti sottili e non facilmente comprensibili, ai quali lo Stato del Califfato fa ricorso, invece, per seminare odio e terrore. Oltre all'Isis quelli di cui fare attenzione, sono gli uomini di mente bassa che ci circondano e i loro sostenitori!


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La famiglia Macrì

di Maria Stella Giovinazzo

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e cifre di quello che è stato un esodo impetuoso o meglio ancora scardinante come lo definì lo scrittore Carlo Levi, sono significative: in un secolo di partenze i calabresi rappresentarono ufficialmente il 15 % sul totale dell’emigrazione italiana in Argentina. Nell’immaginario di tantissimi calabresi costretti a fuggire da un’ostile realtà sociale ed economica, l’Argentina, chissà per quale impulso emotivo, nell’Ottocento ha rappresentato la vera «Merica», la meta preferita. Nel periodo della grande emigrazione, compreso tra il 1876 e lo scoppio della Grande Guerra, ben 879.031 persone lasciarono la Calabria, che si colloca statisticamente al settimo posto nella classifica dell’esodo rispetto alle altre regioni italiane. Migliaia di calabresi ripresero a varcare l’oceano al termine dell’immane secondo conflitto mondiale, stemperando così le tensioni sociali che, per l’esubero di manodopera e la fame, avevano portato al grande movimento di occupazione delle terre. La Cala-

Felicitazioni a Mauricio Macri, nuovo Presidente della Repubblica Argentina

Hombre muy valente bria era uscita dalla guerra ancora più povera e depressa e l’Argentina rimase uno degli approdi privilegiati. È documentato che l’esodo migratorio calabrese in Argentina si è caratterizzato principalmente come emigrazione proletaria, di gente che aspirava ad andare in un paradiso che sapeva tanto di miraggio; ma è parimenti innegabile che ci siano stati calabresi che si sono affermati in ogni campo, pur essendo partiti in terza classe senza arte né parte, avendo come unico capitale le proprie braccia e la propria forza di volontà. Sui fattori effettivi che hanno spinto tanti calabresi ad abbandonare la propria terra natia per andare all’estero, attratti dalle notizie di salari ben più consistenti di quelli strappati in Calabria, non ci soffermeremo non essendo questa la sede adatta. Molto è stato scritto. Certo è che la questione può fo-

calizzarsi su moventi sociali ed economici che hanno segnato negativamente la regione per tutto il secolo emigratorio e anche oltre; il resto lo fece la propaganda degli intercettatori stipendiati del governo argentino, che lasciavano intravedere spiragli di luce celati dietro facili ed illusorie fortune. L’intensa catena dei richiami, non sempre per esclusivo ricongiungimento familiare ma più spesso produttiva, stimolò le partenze con un potente effetto moltiplicatore, trasformando la Calabria in una regione per decenni in movimento. Il comune denominatore di molti racconti riguardanti tutto il ciclo emigratorio è quello dell’impatto drammatico con la realtà argentina, il risveglio brusco da un sogno che si riteneva a portata di mano, la paura del domani in una terra ignota che non aveva le armonie della vecchia casa. In molti invertirono la


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Di origini calabresi, l’ex sindaco di Buenos Aires ha conquistato Casa Rosada con oltre il 53,8 % contro il 46,1% del favorito kirchnerista Daniele Scioli. Mauricio Macri è diventato oggi emblema vincente di una Calabria migrante, attraverso un secolo di partenze verso altri mondi e nuovi destini.

rotta appena si presentò loro un’opportunità, altri invece rimasero, affrontando sacrifici e lavorando come proletari dipendenti, per assicurarsi un’esistenza più o meno dignitosa. Ci fu anche chi, da piccolo imprenditore, ebbe un ingresso alla pari nella società argentina; è così che, attraverso una lunga epopea genealogica, arriviamo al nostro Mauricio Macri, figlio dell’imprenditore Franco e nipote del latifondista Giorgio, calabresi emigrati in America dopo il secondo conflitto mondiale. Giorgio Macrì, erede di una famiglia di latifondisti originari di San Giorgio Morgeto, fondò un’impresa edilizia che raggiunse posizioni eloquenti con contratti stipulati in Italia e in Africa; a seguito delle incombenti ristrettezze economiche sopraggiunte nell’immediato secondo dopoguerra, nel 1947 lasciò l’Italia per raggiungere l’Argentina, dove si trasferì a breve anche il figlio Franco. Grazie ai contatti del padre, Franco fu assegnato all’amministrazione di un’officina isolata dell’impresa edilizia italiana Sadop; dando immediata prova di scaltrezza e capacità gestionale, da impiegato divenne prima imprenditore poi direttore del gruppo Socma (Sociedad Macri), che all’inizio del 1970 si legò al gruppo Fiat in Argentina. Rampollo di un vasto impero imprenditoriale, Mauricio Macri si è laureato in Ingegneria alla Università Cattolica Argentina, ha occupato posti dirigenziali

nel gruppo di famiglia fino ad assumere la carica di presidente della Sevel, fabbrica di automobili legata alla Fiat. Contrariamente ai progetti iniziali del padre, Mauricio ha scelto di dedicarsi alla politica. È stato presidente della squadra di calcio del Boca Juniors dal 1995 al 2007, nel 2003 ha fondato il partito di destra «Compromesso per il Cambiamento» che dal 2005 fa parte della coalizione Proposta Repubblicana (PRO) da lui guidata. Eletto capo del governo della città di Buenos Aires il 24 Giugno del 2007 e riconfermato nel 2011, il 22 Novembre 2015 vince alle elezioni presidenziali, diventando il 57º Presidente dell'Argentina. “Signor Presidente, con profonda gioia ed entusiasmo, la Comunità di San Giorgio Morgeto ha appreso della Sua magnifica elezione alla massima carica di Presidente della Repubblica Argentina. La Sua elezione rappresenta motivo di grande orgoglio per questo paese, dal quale traggono origine i Suoi antenati”, con tali parole il Sindaco di San Giorgio Morgeto Carlo Cleri si congratula con il neopresidente augurando il conseguimento di ulteriori successi e confidando in un ritorno nei luoghi di origine. Ricostruendo l’albero genealogico della famiglia Macrì, è ufficialmente certificato nei registri anagrafici che a San Giorgio Morgeto siano nati il trisavolo di Mauricio, Vincenzo Macrì (1835), il bisnonno Francesco Macrì (1863) ed il nonno Giorgio Maria Vittorio Macrì (1898), che il 30.10.1928 ha contratto matrimonio con Garbini Lea Lidia nel Comune di Roma. Si conclude con una vittoria la parabola ascendente della famiglia Macrì, una tra le tante emigrate in Argentina, una galleria di personaggi che, partiti dal nulla scalarono parecchi gradini sociali. Medici, industriali, giornalisti, scultori, musicisti, letterati, docenti universitari, artigiani che, come migliaia e migliaia di braccianti e operai, misero profonde radici in Argentina, lavorando sempre per smentire un pregiudizio che, diffuso nei confronti di tutti gli emigrati italiani, finiva per diventare devastante. Tutti, in ogni caso, mantennero sempre un forte legame affettivo con la terra d’origine tanto da condizionare la narrativa dei calabro-discendenti, spesso finalizzata a ricostruire il passato familiare. “Cantu la mia canzune calabrise / pecchì de chilla terra mia adorata nu jurnu me partivi,/ e a sta Argentina sbarcai, truvandu gente fortunata. *** Emigratu io sugnu, e nu me scuardu do u paìse, / vallune e d’a montagna de chilla forte e lirica Calabria / chì le déttaru u nume e Grecia Magna”. Da: L’emigratu calabrese Parole di Fernando Gualtieri San Giorgio Morgeto.


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di Vincenzo Lentini Pres. Provinciale COPAGRI

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Commissione Europea: Il PSR Calabria 2014/2020

stato approvato ufficialmente il Programma di Sviluppo Rurale della Calabria 2014-2020 dalla Commissione Europea. Con l’approvazione del PSR, tutti gli strumenti dei fondi comunitari sono pronti per l’operatività, con una dotazione finanziaria di oltre un Miliardo e 103 Milioni di Euro. Competitività delle aziende agricole, nuova occupazione più qualificata, ricambio generazionale in agricoltura e nelle attività ad essa collegate, prodotti e servizi innovativi, qualità e promozione delle produzioni agroalimentari e zootecniche, aggregazione tra produttori, potenziamento e valorizzazione delle filiere, e anche tutela dell’ambiente, sviluppo territoriale equilibrato e sostegno alle aree interne e svantaggiate, inclusione sociale. Le risorse che si hanno a disposizione devono essere utilizzate per la crescita del nostro territorio, per produrre ricchezza

e occupazione. Per far questo bisogna innanzitutto riflettere su cosa non ha funzionato nelle precedenti programmazioni e promuovere una reale politica di semplificazione e sburocratizzazione. Occorre avere la massima accessibilità alle informazioni per l’utilizzo delle risorse comunitarie, risorse che non dovranno più essere disperse, ma concentrate ed integrate tra i diversi fondi, per un utilizzo più efficace ed efficiente e per il raggiungimento dei nostri obiettivi di sviluppo. La Regione Calabria, in linea con la strategia europea e nazionale, ha promosso in via preliminare, una manifestazione di interesse che ha come scopo di valorizzare, accrescere la competitività delle aziende calabresi e potenziare le produzioni certificate DOP, IGP e biologiche attraverso il sostegno ai PIF (progetti integrati di filiera). Questa manifestazione d’interesse dei PIF riguarda:

• La valorizzazione delle clementine di Calabria; • La valorizzazione delle produzioni biologiche; • La valorizzazione del comparto olivicolo; • La valorizzazione dei prodotti zootecnici-apistici; • La valorizzazione della cipolla rossa di Tropea Calabria IGP; • La valorizzazione dei Prodotti locali di elevata qualità (Prodotti tipici a marchio riconosciuto DOP/IGP, Paniere di prodotti locali); • La valorizzazione della filiera BoscoLegno. Il Presidente Provinciale della COPAGRI, ponendosi alcune riflessioni nel mondo agricolo, mette a disposizione i giusti servizi di informazione presso le sedi CAA, per calibrare le giuste scelte in base agli obiettivi che le diverse aziende ed i giovani vorranno attivare.


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Il turno di ballottaggio decreta l’affermazione della Coalizione “Taurianova Cambia”

di Teta Cosentino

La rivincita di “De Santis”

Scionti s’impone su Biasi e passa all’attuazione dei programmi di rinascita e pacificazione di una città martire

S

e il paragone può valere, e nei limiti in cui possa valere senza voler essere irriguardosi verso alcuno, crediamo che la vicenda elettorale taurianovese, a voler parafrasare e prendere spunto dal celeberrimo film ”Qualunquemente”, possa essere sintetizzata come la “La rivincita di De Santis”. Come ricorderanno i lettori, De Santis fu il candidato, povero di risorse economiche e di sponsor personali, garbato, pudìco e forte solo della propria onestà che gareggiava contro il vulcanico “Cetto La Qualunque” che dal podio si rendeva protagonista di comizi focosi e coloriti, capaci di infiammare le folle al punto da consentirgli di trionfare nelle amministrative di un non ben precisato comune della Calabria che, pirandellianamente, potrebbe essere ogni comune - della Calabria e del mondo - dove alla progettualità politica e alla forza delle idee venga fatta prevalere l’ostentazione dell’apparire e la logica della denigrazione. Strategia e logica, questa, collegata e sottintesa a quella dell’affermazione di un istinto di comando dirigistico: quella che nel corso dei secoli fu la logica del capo branco, e poi del capo villaggio, del capo tribù, del satrapo, del tiranno, del “rex” del periodo arcaico, fino alle truci e truculente forme di dispotismo medievale e a quelle - ancor più truci e violente - delle dittature dello scorso secolo: quale che fosse la loro matrice politica. Nell’ultimo scorcio del XX secolo, a seguito di riforme dettate da logiche ancor oggi meritevoli di più approfondite analisi - un parlamento scosso da scandali e arresti - si aggrappò allo spirito referendario di tal Mario Segni, detto Mariotto, e con una demenziale riforma, avversata in quel tempo solo da Fausto Bertinotti e dal suo partito della Rifondazione Comunista, venne introdotto il

sistema maggioritario il cui effetto fu queldi consentire un Golpe indolore a seguito del quale - senza arresti, purghe, violenze fisiche e sopraffazioni - si operò un processo dirigistico plutocratico e discriminatorio della possibilità di partecipazione attiva alla vita politica per i meno abbienti, i cui effetti pesano ancor oggi sugli italiani e sulla coscienza di molti di coloro che intravidero nel cummenda milanese, patron dell’emittenza privata, il salvatore della Patria, trasformandolo, di fatto, in un nuovo dittatore. La logica tutta berlusconiana dell’appariscenza e del potere da esteriorizzare - così come in quegli anni in un noto spot televisivo Milano era la “ Milano da Bere”, condussero, con imponenti campagne elettorali nelle quali veniva sventolato sempre e comunque lo spauracchio dei comunisti, ad un ventennio nel quale larghe fasce di italiani sull’onda di un nazionalismo popolar mediatico persero il senso e la dimensione della quotidianità e della realtà, perdendosi in un immaginario e immaginifico mondo virtuale loro somministrato a dosi massicce dai media di regime, fino a impedire loro di discernere i beni e le esigenze primarie da quelle voluttuarie. L’idiosincrasia di Berlusconi era solo verso i comunisti nostrani, sia chiaro, con quelli “veri” ad iniziare dall’ “amico” Putin , Berlusconi faceva insieme le vacanze e gli affari. Dopo quasi un ventennio lo step successivo - targato Renzi - se da un lato non fa stare tranquilli sulla fine delle tendenze egemoniche del potente di turno, capo di partito e capo di governo allo stesso tempo - ha messo fine ad una serie di potentati targati F.I. Uno di questi fu la Regione Calabria anzitempo travolta dalle vicende giudiziarie dell’ex Governatore Scopelliti e ora - con tutte le debite proporzioni e cautele - l’armata cammellata di

un centro destra - vero, presunto o presupposto - che ha conteso al nuovo Sindaco di Taurianova, Fabio Scionti, la vittoria al ballottaggio per la poltrona di Sindaco. La città alla fine è apparsa tagliata a metà: un 51% prossimo al 52% per Scionti e un 48% e rotti per Biasi. I quindici giorni fra il primo turno del 14 Novembre e il ballottaggio del 29 successivo, hanno rappresentato la linea scriminante per l’elettorato libero di Taurianova: in parte assolutamente libero da condizionamenti e appartenenze di schieramento e in parte reduce dalla non positiva performance della coalizione di Cettina Nicolosi. Sono stati i giorni cruciali che hanno scritto una pagina nuova nella storia di una città che ha deciso di lasciarsi definitivamente alle spalle - votando Scionti - il pericolo di nuovi commissariamenti. Un elettorato moderato che ha apprezzato il tono garbato e mai offensivo, denigratorio o ingiurioso del leader di Taurianova Cambia con il suo ripetere e proporre sempre la volontà di operare sui programmi e per il raggiungimento di obiettivi di comune benessere e di crescita per la città. Mai repliche alle stoccate che pur non sono mancate, pervicacemente ribadendo la necessità di rispetto reciproco fra gli antagonisti. Il garbo e la caparbietà programmatica di Scionti e la forza dirompente di un silenzio autoimpostosi da parte di tutti i leader delle formazioni della coalizione hanno fatto il resto. Ora che la battaglia è finita è tempo di pacificazione e di rinascita. C’è il tempo delle contese e quello del confronto. C’è il tempo della semina e quello del raccolto. Ora per Taurianova è iniziato il tempo della semina, tutti insieme. Poi, i protagonisti della new wave politica cittadina dovranno lavorare per assicurare alla città e ai suoi abitanti un raccolto copioso.


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di Gen. Angiolo Pellegrini

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lle ore 17:30 circa del 9 Agosto 1991, una pattuglia della Polstrada, allertata dalla centrale operativa della Questura di Reggio Calabria rinveniva, sulla provinciale che da Villa San Giovanni porta a Campo Calabro, l’autovettura BMV 318i che, dopo essere uscita di strada, era precipitata in un vigneto sottostante, capovolgendosi. A bordo il giudice Antonino Scopelliti che presentava ferite da colpi di fucile, esplosi da breve distanza. Dai primi accertamenti, il delitto apparve subito caratterizzato da estrema professionalità, non vennero infatti rinvenuti né l’arma, né i bossoli, né il mezzo utilizzato. Il giudice Scopelliti, che era rientrato a Campo Calabro da Roma il 25 Agosto e giornalmente percorreva la strada in cui era avvenuto il delitto, aveva intrapreso in giovanissima età la carriera di magistrato, iniziando come Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Roma e, successivamente, presso la Procura della Repubblica di Milano. Procuratore generale presso la Corte d’appello, quindi Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione. Una eccezionale carriera, che lo aveva portato ad essere il numero uno dei sostituti procuratori generali presso la Corte di Cassazione. Si era occupato di vari processi, di mafia e di terrorismo, rappresentando la pubblica accusa nel caso Moro, durante il primo processo per il sequestro dell’Achille Lauro, nella Strage di Piazza Fontana e del rapido 908. Per quest’ultimo processo, in particolare, che si concluse in Cassazione nel Marzo del 1991, il procuratore Scopelliti aveva chiesto la conferma degli ergastoli inferti al boss della mafia Pippo Calò e a Guido Cercola, nonché l’annullamento delle assoluzioni di secondo grado per altri mafiosi. Il collegio giudicante della Prima sezione penale della Cassazione, presieduto da Corrado Carnevale, aveva rigettato la richiesta della pubblica accusa, assolvendo Calò e rinviando tutto a nuovo giudizio. Le prime indagini seguirono tre principali percorsi investigativi: la c.d. pista locale (riferibile ad eventuali pressioni esercitate dalla ‘ndrangheta sul Dr. Scopelliti), la c.d.

PER NON DIMENTICARE Quel giorno d’Agosto del 1991

L’agguato al Giudice Antonino Scopelliti pista privata (afferente a vicende di natura strettamente personale) e la c.d. pista palermitana (connessa alla designazione del giudice Scopelliti quale P.G. nel maxi processo contro “Cosa Nostra” pendente all’epoca in Cassazione. Nel 1992 la D.I.A., in ossequio alla normativa che le conferiva il compito di assicurare lo svolgimento in forma coordinata delle attività di investigazione attinenti ai delitti di associazione di tipo mafioso o, comunque, ricollegabili all’associazione stessa, riprendeva gli accertamenti esperiti sino ad allora sul gravissimo delitto, acquisendo importanti risultanze che consentivano di sviluppare, principalmente, la pista “palermitana” attraverso un duplice percorso investigativo: accertamenti presso la Corte di Cassazione, per verificare le modalità relative alla designazione del giudice Scopelliti quale P.M. dl maxi processo; collegamenti tra esponenti della mafia palermitana e personaggi della ‘ndrangheta. In particolare veniva monitorato l’iter processuale del maxi-processo Abate+ 386, già contrassegnato da gravissimi episodi criminosi realizzati contro magistrati che avrebbero dovuto avere un ruolo in quella vicenda (per tutti l’omicidio del giudice Saetta) e il cui giudizio di legittimità si sarebbe dovuto svolgere a ridosso della scadenza dei termini di carcerazione preventiva rendendo ovviamente utile - nell’ottica mafiosa - l’assunzione di tutte le iniziative che implicassero ritardi, al fine della decorrenza dei termini. Ulteriore acquisizione investigativa fu che proprio il

giudice Scopelliti, coraggiosamente, si era proposto per la designazione quale sostituto d’udienza, richiesta prontamente avallata, nella convinzione che “egli avrebbe avrebbe rappresentato nel modo più degno l’ufficio”. La contestuale notizia che a presiedere il collegio giudicante non sarebbe stato il Dr. Carnevale, magistrato garantista, faceva lievitare il ruolo di un prestigioso P.M. quale era proprio il Dr. Scopelliti, le cui referenze non erano certo tranquillizzanti per gli interessi che i mafiosi avevano nel processo. L’impalcatura dell’accusa - il patto scellerato tra Cosa Nostra e la ’ndrangheta per “aggiustare” il maxi-processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - basata sulla ricostruzione meticolosa fatta dalla D.I.A. e sulle rivelazioni di vari pentiti che completarono uno scenario già anticipato dai collaboratori di giustizia siciliani, non ha retto. La conseguenza è stata che, nel 2001, la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha mandato assolti Bernardo Provenzano, Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè e Benedetto Santapaola. Infine, nel 2004, la Cassazione ha emesso il suggello definitivo sul processo, confermando la sentenza di secondo grado, scagionando così tutti i boss ritenuti mandanti del delitto. Dopo anni di stasi giudiziaria, l’11 Luglio 2012 nel corso di un’udienza del processo “Meta” contro la ‘ndrangheta a Reggio Calabria, un pentito ha dichiarato che ad uccidere il giudice sarebbero stati proprio due reggini su richiesta di Cosa Nostra.


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Noi italiani siamo veramente singolari ! ! !

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i dicono che non abbiamo una nostra identità e ci offendiamo, ci dicono che siamo campanilisti e ci offendiamo, ci dicono che addirittura siamo inaffidabili e logicamente ci offendiamo; ad offendersi si fa presto e non costa niente, a ragionare, in effetti, si impiega qualche tempo in più. Proviamo, invece, ad essere poco più critici e cerchiamo di riflettere sulle tre cornici appena enunciate, costruite, così pare, a misura. Sulla nostra identità prima e sull'appartenenza poi, da Bolzano a Trapani fino a Nuoro, c'è da riflettere parecchio e a pensare criticamente su come le comunità così diverse, insistenti su una lingua di terra tanto lunga, al centro del Mediterraneo, sono venute a fare unità, su come, in fondo, si è realizzato il nostro Risorgimento. Storicamente è inconfutabile che non v'è stata una lotta unitaria, una sorta di movimento di massa dalle Alpi alla Sicilia, insomma, un plebiscito per mettersi a stare insieme e per considerarci tutti una cosa sola, un Popolo cioè. In fondo, si è trattato di una serie di annessioni, tra l'altro non viste sempre bene, perfino da uomini della statura di Cavour, il quale malvolentieri è stato costretto dagli eventi a subire un impegno di Casa Savoia oltre il Granducato di Toscana e poi, nientemeno, dopo Teano, fino a Trapani. L'unico moto corale, supportato dall'ardente desiderio di ricongiungere a noi le terre irridenti, è espresso dalla grande guerra del 1915/18, del cui inizio durante il corrente anno stiamo celebrando il centenario; proprio per questo il Trentino-Alto Adige ha sempre rappresentato per tutti gli Italiani un simbolo. E' ovvio che le diversità spesso trovano difficoltà ad integrarsi, ma, integrandosi, non v'è dubbio che crescono insieme e si moltiplicano qualitativamente, lievitando in cultura, conseguendo il risul-

tato di un valore aggiunto. Non so se tale processo, di per se lento, ancora lungo il nostro Stivale si sia compiuto; francamente, ho qualche perplessità, specialmente se penso a certe spinte secessionistiche che da alcuni decenni si vanno sviluppando in determinate aree della penisola. E' logico che il campanilismo affiorante ad ogni piè

sospinto è figlio legittimo di quanto detto prima; è scontato che ognuno di noi si porta, sin dalla nascita, nel proprio cromosoma un corredo genetico che si esprime in una sorta di determinismo geografico singolare, per cui tende naturalmente a difendere a spada tratta le proprie radici, il proprio "loco natio", esasperando, molto spesso, le situazioni fino all'assurdo. Un esempio emblematico, ma non certo unico, a noi molto vicino, si trova nelle vicende politiche che stanno portando all'abolizione delle province, provvedimento ancora in itinere, con un percorso a dir poco tortuoso. Durante il Governo presieduto da Mario Monti, sembravano essere destinate a scomparire soltanto 34/36 province, se non ricordo male; ebbene, si è scatenata una autentica rivoluzione senza quartiere, con sfilate, con sedute di consigli provinciali e comunali aperti (si usa da qualche tempo!), blocco di vie di comunicazione,

di Giovanni Garreffa

manifestazioni di piazza fino a Roma davanti alle sedi parlamentari, coinvolgendo perfino la Corte Costituzionale. Non se ne fece niente fino all'attuale Governo, capeggiato da Matteo Renzi, il quale, tranquillamente con la buona pace di tutti, sia pure tra le difficoltà di un iter appena accennate, sta procedendo alacremente all'abolizione di tutte le provincie, senza che alcuno abbia osato alzare la voce in senso contrario; in fondo, a prescindere da una valutazione della questione nel merito, per questo curioso popolo italiano la soppressione parziale ha scatenato il putiferio, quella totale, invece, stranamente ha riportato la pace. Per quanto riguarda la terza medaglia, per verità la più abominevole, cioè quella relativa alla inaffidabilità, certamente si tratta di un giudizio molto pesante, però, a ben pensare, è storia che grava su di noi il fatto che non abbiamo mai concluso una guerra con lo stesso alleato con cui eravamo messi insieme dall'inizio. Non per mero spirito di appartenenza, ma per puro convincimento critico e razionale, sono convinto che sulle circostanze, che chiaramente sono inconfutabili, abbiano influito situazioni che di volta in volta hanno determinato condizioni di instabilità a livello di assetti politici del tempo e quindi di conseguenziali cambi di rotta in corsa, naturali in alcuni casi, come è stato per noi alla caduta del fascismo e successivamente fino agli epigoni della Resistenza. Ciò dico perchè è pure la storia dei tempi passati, di quelli recenti della nostra quotidianità a testimoniare, senza alcun tentennamento, che, ovunque si siano trovati e si trovano, gli italiani abbiano dato e continuano a dare eccellente prova di sé, in tutti i contesti sociali ed in tutti i settori operativi dove le alterne vicende della vita li hanno trascinati, per le più varie circostanze, ad esprimere se stessi. Contraddizioni di un popolo!


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AVERE O ESSERE: J’ai… ou Je suis

di Michelangelo Di Stefano

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ltra distinta formula di giuramento è osservata dal potere giudiziario - seppur erroneamente espunta dalla norma qualche anno addietro - ove un legislatore attento aveva inserito l’accezione, non di poco conto, “coscienza”. Così recita la formula prevista per i magistrati: “Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana e al suo Capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere con coscienza i doveri inerenti al mio ufficio”. Un distinguo cromatico dove, avrebbe suggerito Piero Calamandrei, la poesia è forse in grado, finanche, di battere il diritto, ciò in quanto “anche se il giudice potesse riuscire a dimenticarsi, mentre giudica, delle sue opinioni e della sua condizione personale, egli avrebbe sempre il dovere, per applicare fedelmente la legge, di interpretarla; ma interpretarla vuol dire risalire alla ratio da cui è nata, cioè in sostanza alla ispi-

Adempiere con coscienza i doveri razione politica che circola in essa e la rende socialmente attuale. Il che porta a ritenere che in ogni interpretazione giuridica vi sia un certo margine di scelta politica”. Da qui l’ultima formula di giuramento non compendiata nella nostra Carta, questa volta del potere legislativo, che avrebbe trovato ostacoli interpretativi già ai tempi in cui la seconda sottocommissione per la Costituzione stava ultimando i lavori sull’organizzazione costituzionale dello Stato. Il 19 Settembre del 1946, il presidente Terracini aveva reso noto il contenuto della proposta dell’onorevole Mortati, rivolta ad inserire nella nuova carta statutaria un articolo così concepito: “Al momento di assumere l’esercizio delle loro funzioni i deputati presteranno giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana e di coscienzioso adempimento dei propri doveri”. Dopo un iniziale sbandamento degli onorevoli Conti e Fabbri, Giovanni Leone avrebbe esternato

il proprio dissenso alla proposta, “perché vincolerebbe la libertà dei deputati. Il giuramento di osservare la Costituzione potrebbe essere in aperto contrasto con il mandato di coloro che fossero eletti deputati per chiedere appunto la modifica della Costituzione stessa, il che non potrebbe essere impedito. Si può obiettare che la nuova Costituzione stabilirà la procedura speciale per la sua modifica; ma è da osservare che l’espressione: «giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana» potrebbe essere interpretato nel senso che, finché non fosse approvata una nuova Costituzione, non si potrebbe far valere, attraverso il mandato parlamentare, l’intenzione di modificare quella in vigore”. La querelle di quella convulsa seduta, caratterizzata anche dalla proposta di Umberto Nobile di approvare una formula ove sarebbe stato introdotto il concetto di “onore” senza alcuna riserva mentale (“I deputati giurano fedeltà alla Repubblica


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Nel tricolore italiano sono racchiusi i valori della fedeltà alla Repubblica

italiana e ogni riserva mentale viene considerata disonorevole”), avrebbe trovato, infine, un accomodamento con le proposte degli onorevoli Grieco e Tosato, approvando la seguente formula: “I deputati giurano fedeltà alla Repubblica democratica e alle sue leggi”. Probabilmente - tornando adesso ai nostri “soldati” - quanti non hanno voluto, potuto o semplicemente non hanno avuto il privilegio di servire la Nazione da “militare” delle Forze Armate, potrebbero trovare difficoltà nel comprendere il significato profondo del concetto di “Tricolore”; così come, forse, potrebbero non comprendere appieno la cerimonia austera, quanto mistica, di ogni “Alza Bandiera” dentro una caserma o tra le concertine e i sacchi di sabbia di un avamposto di guerra, o interpretare l’ossequio prestato da ogni cittadino che ha indossato “le stellette” al passaggio del picchetto incaricato alla custodia del nostro Vessillo all’atto dell’ammaino, fino alla delicata posa all’interno di quella teca “sacra” che dovrà custodirlo.

Eppure, accanto alla “Bandiera”, ogni cittadino italiano si ritrova ogni giorno di fronte a quell’emblema disegnato da Paolo Paschetto, che l’Assemblea Costituente scelse per descrivere l’architettura della nostra Casa, e palesato da tre semplici simboli che racchiudono l’essenza di quel concetto ed, in primis, l’iconografia di quella “stella” tanto cara ai nostri “soldati”: “ […] L’emblema della Repubblica Italiana è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia. Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale. Il ramo di quercia che chiude a destra l’emblema, incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo. La ruota dentata d’acciaio, simbolo dell’attività lavorativa, traduce il primo articolo della Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconografico ed è sempre stata associata alla personificazione dell’Italia, sul cui capo splende raggiante. Così fu rappresentata nell’iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); la stella caratterizzò, poi, la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione, la Stella della Solidarietà Italiana e ancora oggi indica l’appartenenza alle Forze Armate del nostro Paese”.


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Carmelo Caratozzolo insieme ai colleghi dell'Associazione

di Francesco Di Masi

Eccellenze di Calabria: Carmelo Caratozzolo

e la Torta Mamertina

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opo le varie kermesse di partecipazioni e presentazioni ad eventi organizzati da associazioni specializzate nel settore come la CONPAIT, l'APAR e la valutazione di chef di fama internazionale, la Torta Mamertina ideata e creata dal giovane valente pasticciere di Oppido Mamertina, fiore all'occhiello della Calabria, Carmelo Caratozzolo, umile e instancabile lavoratore dell'entroterra reggino, sbarca prepotentemente e con grande successo diventa protagonista alla più importante esposizione internazionale a tema alimentare di tutto il pianeta, cioè l'Expo di Milano 2015. La “Mamertina”, presentata all'interno dell'evento, “Cluster del

Cioccolato”, ha riscosso notevoli apprezzamenti da parte degli esperti del settore, ma anche di tantissime persone presenti che hanno assistito in diretta a tutte le fasi di preparazione e creazione. Accompagnato dal suo collega dell'APAR, Associazione Pasticcieri Artigiani Reggini, Angelo Musolino, che tante volte ha tenuto dei cooking show a Milano in occasione dell'Expo, l'ideatore della torta mamertina (Carmelo Caratozzolo), grazie alla sua professionalità, ha stupito tutti i convenuti alla dimostrazione e alla creazione, deliziando i palati più esigenti con la degustazione di questo particolare dolce. Per l'occasione il folto pubblico presente ha avuto l'onore di interagire con il maestro pasticciere oppidese, durante tutta la fase di preparazione e apprendere il processo creativo necessario per la realizzazione del prelibato dolce già inserito nel “Menù reggino anno 2015”. Lo stesso Caratozzolo, insieme al Vice Presidente dell'Associazione APAR Angelo Musolino, al termine della degustazione da parte dell'entusiasto pubblico convenuto, hanno voluto ulteriormente spiegare dal vivo il processo creativo che ha portato all'ideazione della “Torta Mamertina”, frutto dell'unione di prodotti consuetudinari della tradizionale pasticceria italiana con i prodotti tipici del luogo di cui è ricca ed eccellentemente fertile Oppido Mamertina, ossia, l'olio d'oliva e gli agrumi. Mai si sarebbero aspettati che dalle mani saccenti del suo ideatore, potesse nascere un

connubio di vari ingredienti, “atipici” per certi aspetti ma adatti se mescolati insieme, a creare un inaspettato dolce dal gusto e dalle qualità delicate, tanto da deliziare i palati più esigenti. E' proprio l'olio d'oliva a rendere unico e particolare per gusto e per leggerezza, questo dolce denominato “Torta Mamertina”, entrato ormai a fare parte dell'elite culinaria della provincia di Reggio Calabria e perchè no d'Italia e del mondo, visto il largo consenso di pubblico e di critica. Fiero di questi cittadini Domenico Giannetta, Sindaco di Oppido Mamertina, unitamente a tutta l'amministrazione comunale, elogia l'operosità, il lavoro onesto e la costanza nel raggiungimento del successo agognato che porta il buon nome della città a calcare, attraverso l'Expo meneghina, palcoscenici internazionali di grande prestigio.


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Momento della premiazione

Tavolo Presidenza e ragazzi premiati

TAURIANOVA: BORSE DI STUDIO A OTTO STUDENTI MERITEVOLI

Il Lions Club Taurianova Vallis Salinarum e la Fondazione Betti premiano le eccellenze

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iunge quest’anno alla settima edizione la riuscitissima cerimonia di consegna delle “Borse di Studio Igino Betti” patrocinata dal Lions Club Taurianova Vallis Salinarum. L’evento, tenutosi sabato 5 Dicembre nell’Auditorium Macrì-Terranova dell’Istituto Gemelli Careri di Taurianova, gremito per l’occasione di studenti e professori, si è svolto in un clima gioioso di festa in cui non sono mancati coinvolgenti momenti carichi di emozione. La lodevole iniziativa, istituita dalla Fondazione Igino Betti, si avvale di fondi derivati dagli affitti di immobili già in possesso della famiglia Betti, donati alla Fondazione a scopo umanitario. La Fondazione che ha sede a Roma, opera come Istituto di Previdenza e Assistenza, collaborando con l’Unicef e con tutte le Associazioni di volontariato e beneficenza secondo il principio che “chi ha la fortuna di avere, deve avere l’orgoglio di aiutare gli altri a migliorarsi per migliorare la società” . Gli otto ragazzi premiati sono stati selezionati secondo il regolamento che vuole al primo posto, tra i meritevoli, gli studenti che eccellono nonostante una condizione economica disagiata che spesso non consente loro di proseguire gli studi universitari. Quest’anno l’ambito premio è toccato a Carmela Infantino, Teresa Pellegrino, Francesco Sorrenti, Vincenzo Cannizzaro, Marco Furfaro, Francesca Ceratti, Cristina Garreffa e Nicola Donato che hanno frequentato l’ultimo anno di Scuola Superiore in cinque Istituti della Piana: Ist. Gemelli Careri di Taurianova, Ist. Comprensivo Oppido Mamertina, Liceo Scientifico Guerrisi Cittanova, Liceo Classico Gerace Cittanova, Liceo Classico S. Paolo Oppido Mamertina. I ragazzi, felici

ed emozionati di ricevere l’ambito premio, hanno ringraziato la Fondazione per l’importante opportunità offerta loro. La cerimonia si è aperta con i saluti del D.S. Giuseppe Loprete, presente in qualità di padrone di casa e del Presidente del Lions Club Taurianova Vallis Salinarum Dr. Domenico Randazzo. E’ proseguita poi con l’intervento del Lion Dott. Pasquale Iozzo, Presidente di zona, che ha posto all’attenzione dei presenti la testimonianza di Vanessa Aloi, studentessa premiata nel corso dell’edizione 2012, che, nella lettera inviata oggi al Club Lions, rinnova la gratitudine alla Fondazione Betti per il sostegno ricevuto, senza il quale, sarebbe stato veramente difficile per la sua famiglia avviarla agli studi universitari che sta portando avanti con successo. Altra testimonianza di gratitudine è quella ricevuta per telefono da Angela Fava, premiata anche lei nel 2012. Angela nello scorso mese di Settembre ha conseguito brillantemente la laurea triennale e già nel mese di Novembre è stata assunta da un Istituto di credito. Ha preso quindi la parola la signora Sandra Betti, Presidente della Fondazione, che con la sua presenza quest’anno ha dato maggiore risonanza all’evento. La signora Sandra ha voluto porgere un affettuoso augurio agli studenti presenti ed esprimere la sua felicità nel poter dare un contributo significativo alla loro formazione culturale e professionale. Al tavolo di presidenza, come ogni anno, anche l’Avv. Francesco Zerbi, socio onorario Lions, Consigliere di Amministrazione della Fondazione, che ha rivolto ai ragazzi un sereno messaggio di fiducia: “….voi siete il futuro” ha detto, “i vostri obiettivi sono i nostri obiettivi….” Ha ribadito l’attenzione

di Aurora Placanica

costante e il sostegno della Fondazione ai ragazzi che eccellono negli studi e che devono poter continuare a studiare. I lavori sono stati coordinati egregiamente, con la consueta perizia dal Dr. Armando Alessi socio Lions del Club Taurianova Valli Salinarum. La festosa cerimonia si è arricchita anche della presenza del nuovo Sindaco di Taurianova Ing. Fabio Scionti alla sua prima uscita ufficiale. A lui vanno gli auguri e il sostegno del Club Lions per l’impegnativo compito di guida della città che si accinge a svolgere. Soddisfatto per la brillante riuscita della prestigiosa manifestazione il Comitato organizzatore composto dai soci Lions di Taurianova Avv. Antonino Guerrisi, Dr. Domenico Randazzo, Dr. Filippo Zerbi, Dr. Armando Alessi, Dott. Giuseppe Meduri, Avv. Concetta Polifrone, Dott. Francesco Romeo. Grande soddisfazione anche per tutti i soci Lions di Taurianova, convinti che promuovere la cultura tra i giovani della nostra società, distratta e spesso attratta da falsi valori, significa promuovere la formazione di menti libere e creative, capaci di superare pregiudizi e stereotipi per la costruzione di un mondo migliore e più giusto.

Dr. Armando Alessi, Signora Sandra Betti Presidente della Fondazione, Avv.Francesco Zerbi


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Il vincitore del Concorso Emanuele Nasso, insieme alla dirigente della Scuola Media G. Salvemini di Polistena dott.ssa Mirella Manco ed all'Avv. Monica Minì, responsabile del concorso un "Poster per la Pace", all'interno del Club Lions Polistena Brutium".

Lions Club “Polistena Brutium” sponsorizza due studenti che avanzano nella selezione per il Concorso di Monica Minì

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“Un poster per la pace” dei Lions International

manuele Nasso della classe IIa D della Scuola Media “Gaetano Salvemini” di Polistena, dirigente Dott.ssa Mirella Manco, ed Elena Chiappalone della classe IIa C della Scuola Media di Cittanova “Luigi Chitti”, dirigente Dott. Antonio Sorace, hanno mosso i primi passi per diventare artisti riconosciuti al livello internazionale, qualificandosi come vincitori locali, nell’ambito del concorso sponsorizzato dal Lions club “Polistena Brutium”. I poster di Emanuele ed Elena sono due delle oltre 400.000 opere, provenienti da tutto il mondo, nell’ambito della ventottesima edizione del concorso annuale “Un Poster per la Pace” organizzato dai Lions Clubs International per sensibilizzare i giovani di tutto il mondo sull’importanza della pace. “Ho scelto di rappresentare le bandiere dei continenti e i bambini intorno al mondo perché la pace deve essere condivisa in tutte le nazioni ; le colombe con il ramoscello d’ulivo perché sono il tipico simbolo della pace; Papa Francesco perché oggi giorno è lui che condivide i messaggi di pace; sono dodici le persone perché il 12 è il numero dell’armonia e lo sfondo d’oro perché rappresenta uno spazio infinito e qualcosa di prezioso”, ha detto il polistenese Emanuele Nasso di 12 anni. Elena Chiappalone, cittanovese della stessa età ha invece descritto il suo lavoro dicendo: “Dal fondo nero emerge una mano,

la mia mano, che diventa una colomba che tiene tra le dita-becco, una penna-ramoscello d’ulivo. Il colore bianco dà speranza di pace da condividere con il mondo”. I poster di Emanuele Nasso ed Elena Chiappalone sono stati scelti, in data 10 Novembre 2015 dalla responsabile del concorso per il Lions Club Polistena Brutium Avv. Monica Minì coadiuvata dai soci Avv. Rosalba Sciarrone e Dott. Aldo Randazzo. La selezione presso la Scuola Media Salvemini di Polistena è stata effettuata anche con l’ausilio delle Prof.sse M. Teresa Fossari e Gisella Nasso, responsabili del concorso all’interno della scuola e della stessa dirigente Dott.ssa Manco, sempre disponibile. Nella Scuola Media di Cittanova, “Luigi Chitti”, la commissione Lions, è stata affiancata dalla Prof.ssa Carolina De Paolo Lombardi e la selezione si è svolta anche alla presenza di molti genitori. Ovviamente il tutto è sempre stato super visionato dal Presidente del Lions Club Polistena Brutium, Dott. Domenico Mobrici, il quale ha dichiarato di essere rimasto particolarmente colpito dalla creatività e dalla capacità espressiva dei due studenti: “E’ evidente come questi giovani custodiscano dentro di sé grandi idee su quello che la pace rappresenta per loro. Sono lieto di aver offerto lai due giovani l’opportunità di condividere questa visione di pace con gli altri.” I poster di Emanuele Nasso ed Elena

Il poster di Elena Chiappalone vincitrice per il Lions Club Polistena Brutium nell'ambito del concorso svoltosi presso la scuola media di Cittanova L. Chitti

Chiappalone proseguiranno nella selezione a livello distrettuale e multidistrettuale per accedere, eventualmente, alla selezione finale, durante la quale si sceglierà il primo classificato a livello internazionale. Saranno nominati un Vincitore Primo Classificato e 23 Vincitori di premi di Merito. Il primo premio include una somma di USD 5.000 (o dell’equivalente in diversa valuta) e un viaggio per il vincitore e due familiari ad una cerimonia di premiazione. I 23 vincitori dei Premi di Merito riceveranno un attestato di partecipazione e un premio in denaro del valore di USD 500 (o dell’equivalente in diversa valuta).“Il nostro Club, farà il tifo per Emanuele ed Elena nella speranza che uno dei loro poster acceda ai diversi livelli della selezione ” ha dichiarato il Dott. Mobrici, Presidente del Lions Club “Polistena Brutium”. A livello locale, Emanuele Nasso ed Elena Chiappalone riceveranno il dovuto riconoscimento alla loro partecipazione al concorso sponsorizzato dal Lions Club Polistena Brutium. Si potrà prendere visione del poster primo classificato e dei vincitori dei premi di merito sul sito www. lionsclub.org. Il Lions Club International è l’organizzazione di Club di assistenza più grande al mondo con 1,36 milioni di soci in oltre 46.000 club servizi di assistenza alle comunità e ad aiutare i giovani di tutto il mondo.

Il poster di Rocco Rugolo, studente della Scuola Media Salvemini, anche se non vincitore è particolarmente originale e ben realizzato e rappresenta il premio nobel per la pace Malala Yousafzai.


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Chiara e Martina con il loro maestro Christian Cosentino

Chiara e Martina Scarpari

portacolori italiane allo Junior Eurovision Song Contest 2015 di Sofia

«

Siamo orgogliose di aver rappresentato la nostra nazione. Vogliamo dire grazie a tutti quelli che hanno creduto in noi e ci hanno sostenuto anche in questa avventura. Vi vogliamo bene». Nonostante la comprensibile delusione dovuta al primo mezzo passo falso del loro percorso artistico costellato, finora, da una serie di successi ottenuti in campo nazionale ed internazionale, Chiara e Martina Scarpari portacolori italiane allo Junior Eurovision Song Contest 2015 di Sofia - hanno dimostrano - con questa dichiarazione, di aver subito somatizzato un evento per loro poco brillante, per usare un eufemismo. A parte il risultato, tuttavia, le quindicenni gemelle

calabresi di Varapodio hanno dato ancora una volta, in modo indiscusso, un significativo saggio delle loro eccellenti qualità canore interpretando, con la loro consueta bravura, il brano “Viva” composto, per la occasione, dal cantautore Gigi D’Alessio e Adriano Pennino. Un esperienza indescrivibile che Chiara e Martina custodiranno gelosamente per sempre nei loro cuori unitamente al loro maestro Christian Cosentino il quale, al pari delle gemelle, ha voluto descrivere l’importante evento «Un grande momento professionale ed umano, condiviso con professionisti del settore, grandi maestranze, giovani artisti, capi delegazione, musicisti, direttori di scena, operatori, emozioni e sensazioni - ha ag-

di Vincenzo Vaticano

giunto - che non si possono descrivere se non si provano. Un mondo distante “anni luce” dalle nostre realtà quotidiane e locali, eventi e situazioni che mai si potranno realizzare nei nostri “piccoli” posti»... Ad aggiudicarsi questa tredicesima edizione dello Junior Eurofestival (la più importante competizione canora internazionale dedicata ai ragazzi dai 10 ai 16 anni, amanti della musica provenienti da ben 17 paesi diversi ) è stata la concorrente di Malta Destiny Chukunyere, con il brano Not my soul (185 punti), dopo un testa a testa con Milka, rappresentante dell’Armenia (176 punti). Niente da fare, quindi, per Chiara e Martina che. evidentemente, non sono riuscite a fare breccia sulla vasta platea di telespettatori europei. Un grande abbraccio alle piccole artiste Chiara e Martina, che hanno rappresentato degnamente l’Italia, con una performance impeccabile che non potevano non dedicare al loro maestro e mentore Christian Cosentino che ha tenuto a dire: «Avere l’incombenza e l’onore di rappresentare, a soli 15 anni il proprio paese, vivere il tutto senza pressioni e con grande serenità è segno di grande maturità e responsabilità. In due anni Chiara e Martina hanno scalato “vette” importanti e portato a casa successi che alla loro età tutti vorrebbero provare. Per loro le sorprese e le soddisfazioni non finiscono qui. In cantiere c’è infatti un progetto discografico in dirittura d’arrivo con firme importanti».


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Il Presepe Monumentale di Anna Rotundo

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del Convento Domenicano di Soriano Calabro (VV)

gni anno, nel periodo natalizio, il Presepe Monumentale del Convento Domenicano di Soriano Calabro, progettato e realizzato da Padre Giordano Procopio O.P., richiama fedeli e visitatori da ogni parte della Calabria. La suggestione di questa stupenda opera rapisce per il modo in cui il visitatore si ritrova immerso in un ambiente meraviglioso, che ripercorre le principali tappe bibliche della storia della salvezza, fino all’Incarnazione. Nello scenario presepiale tutto è concentrato attorno alla venuta del Verbo, a cui si arriva, però, solo attraverso una fedele ricostruzione del percorso storico-biblico, intento a celebrare solennemente la magnifica «Notte Santa» di Betlemme. Davanti all’ingresso dell’artistico presepe, infatti, troneggia un angelo che reca la scritta: «Annuntio vobis gaudium magnum» a testimonianza del solenne annuncio relativo alla nascita del Redentore. Rapisce il visitatore la modalità in cui ci si ritrova immersi in uno spazio incontaminato, in un cui domina incontrastata l’armonia della natura, con la sua semplicità e la sua quiete, dove il silenzio viene interrotto di tanto in tanto dal cinguettio degli uccelli, o dai belati degli armenti ai pascoli, quasi a riecheggiare i miti di un mondo arcaico forse ormai perduto. Gli squarci catturano gli sguardi per la profondità quasi inverosimile dei paesaggi che all’orizzonte toccano il cielo, arrecando alla contemplazione una bellezza più profonda e il concetto del mondo fisico come veicolo di una monumentale bellezza spirituale. Una bellezza che cerca anche l’uomo di oggi, uomo sempre alla ricerca di senso, sebbene assordato dal fragore delle macchine e insidiato dalle trappole del consumismo. Nel presepe del santuario domenicano di Soriano è ben vi-

sibile l’estetica del grande teologo domenicano Tommaso d’Aquino, il quale ritiene bello ciò che si contempla con interesse, che soddisfa e dà godimento quietando in noi il desiderio. Padre Giordano ricalca con la sua opera le orme del percorso biblico presente nelle opere di un altro grande artista domenicano, il Beato Angelico, il segreto della cui arte è insito in questo equilibrio tra passato e presente. La “vis spiritualis” intrinseca alla volontà d’arte dell’Angelico è tale da non rendergli necessario l’abbandono del passato, perché egli è in grado di assumerlo e riportarlo in modo ancillare al proprio intento di pittore-frate-predicatore. Non a caso, la saldatura tra i nuovi principi rinascimentali-umanistici e i valori medioevali è presente nella scena della Natività custodita nel convento del Museo Nazionale di San Marco di Firenze: il Signore è nudo nella sua umanità così come lo sarà sotto la croce e, anche lì, sotto lo sguardo della Madonna, in una posizione adagiata nel luogo della nascita, così come lo sarà nella deposizione nel sepolcro per la rinascita della risurrezione. Già nell’immaginario collettivo medioevale emerge la necessità di ricreare quei luoghi che la memoria aveva costruito e contribuito a presentare come i veri luoghi della vita di Cristo, identità di un mondo cristiano che si contrappone al mondo pagano. E così, nel Presepe di Soriano, le scene allestite sapientemente da Padre Giordano Procopio rievocano storie e reminiscenze di una regione come la Calabria, fortemente legata al mondo della tradizione bucolica e agropastorale dei tempi antichi: arti e mestieri che nei secoli hanno caratterizzato il tema e il mistero della Natività. Eccezionale è anche il susseguirsi delle atmosfere che delineano in maniera quasi naturale, grazie ad abili giochi di luce ben congegnati, le varie fasi del giorno: in particolare il crepuscolo, quando gli sfondi sono animati da colori dai toni fantastici - azzurro e violetto di cobalto, e poi ancora giallo, arancio e rosso - al punto da assumere tratti iperreali. Magica è la notte dai toni bluastri col cielo stellato, la luna e la cometa che splende sulla grotta, mentre la neve fiocca sui monti e sullo sfondo dei paesaggi. La casa, la bottega, la capanna, lo stazzo, il sentiero e il ruscello caratterizzano la splendida scenografia realizzata dal frate domenicano: la casa in muratura sgretolata,

illuminata fiocamente all’interno, la capanna dei pastori, un monolocale costruito con canne, paglia e argilla, ricovero per i contadini e deposito per i vari attrezzi. A ciò si aggiunge il fatto che i pastori a grandezza d’uomo e i vari utensili ricercati con cura, rendono più verosimili le scene che, tra l’altro, rappresentano idealmente quello che possiamo considerare un minimuseo dell’arte contadina del comprensorio. La Grotta della Natività al centro, luogo tipico di ricovero di animali con la mangiatoia, ambiente freddo, umido e aperto da più parti, è illuminata dalla presenza divina del Bambino Gesù. Così, il pellegrino che si aggira per il convento di Soriano vede rappresentata, nel presepe allestito dai frati domenicani, la storia della salvezza, mettendosi a confronto con essa e in essa specchiandosi. Ogni visitatore, non si troverà, quindi, dinanzi ad una comune immagine, bensì sarà presente allo svolgimento dell’evento, guarderà l’accadimento della salvezza come se avvenisse sotto ai suoi occhi. Ciò è possibile, in quanto, il tempo, nella rappresentazione scenica del presepe domenicano, è contemporaneamente istantaneo ed eterno riguardo alla rivelazione della verità: tempo apocalittico, senza evoluzione e senza Storia, che permette il manifestarsi sincronico di tutte le vicende; tempo immemore, né lineare né circolare, trasversale e immoto. E la bellissima Madonna nella grotta riesce a comunicare la sua stessa sorpresa, davanti dall’Amore di Dio fatto carne. Ella Lo vede germogliare tra le mani e la festa e la gioia sono intorno a Lei, come una quieta inondazione felice, silenziosa e solenne. E tutto è così bello, così grande e meraviglioso, che nel giorno di Natale si arrestano i conflitti delle persone e delle famiglie e si fermano le guerre più orribili, e prevale, per


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un momento magico e di sapore divino, il clima del beato e divino mistero, sciogliendo anche solo per un po’ anche i cuori più vecchi e più duri. Ecco allora la teologia mariana e femminile del Natale del Signore: il ventre di una donna è diventato la grotta del Natale di Dio e non c'è Dio incarnato senza la donna: “nato da donna”! Il Concilio di Efeso (431) ne ebbe tanta consapevolezza che i 200 padri presenti proclamarono all'unanimità Maria, la donna, Theotòkos/ Madre di Dio. Diversi sono stati gli angoli del convento domenicano (persino l’interno delle “Magnifiche Rovine”, i cosiddetti “Scuri”) che hanno ospitato nel corso degli anni questa meravigliosa opera d’arte, sulla

scia di quei valori e di quei sentimenti che hanno caratterizzato l’episodio di Greccio e che sono stati trasmessi a tutto il mondo da San Francesco d’Assisi. Negli anni, il presepe del santuario di San Domenico è divenuto un’attrazione particolare e un punto di richiamo di livello regionale e interregionale, essendo ormai una tappa obbligata dell’itinerario turistico delle Serre Vibonesi. Moltissimi sono i visitatori nel periodo natalizio, a cominciare dalle scolaresche che prima delle vacanze assaporano in anticipo il clima della festa curiosando sui segreti della scenografia. Le visite continuano anche durante tutto l’anno e in estate, quando giungono su questo lembo di Calabria turi-

Un Natale così

P

roprio così… Veni Natali - si diceva un tempo - non haiu dinari ! E la filastrocca anziché ripetersi di casa in casa, di locanda in locanda si rinchiudeva, astrusa e anomala, nell’anormalità calabrese, tutta calabrese: si dovevano mangiare per una buona vigilia … tredici frutti, di rigore anche se all’interno o no di tredici vivande tutto all’onor di Santa Madre Chiesa che nel suo grembo Veridico tutti accoglieva, lo sciancato come il peccatore, u’ santammenni come il giovin signore, il monsignore tutto d’un

pezzo, come l’affiliato alle cosche, il gelataio come u 'llampatu d’a stiddha… A mezzanotte, poi, tutti in chiesa per la funzione e quando calava a’ grolia un tacito desiderio di bene s’inoltrava al Nato Bambino suggellando con amici e parenti la partita a briscola o a tre sette che in casa era il viatico di sì … “santi” pensieri - s’intende con le virgolette senza le virgolette… E i bambini che facevano? Poiché la festa era essenzialmente la loro …giocavano con le nocciole “a munseddhu” abituando la non celata destrezza al senso dell’utile che utilitarismo non è, con buona pace del dr. Bentham, il quale a tutto poteva pensare che a non riaprire qualche “utilitaristica” casa chiusa col lucchetto della yale. Ma il Natale d’una volta non finisce qui. Erano di prammatica le crespelle soprattutto il 23, ossia l’antivigilia della Festa, che si potevano ripetere, pecunia permittente, una o più volte in classiche mangiate o in singole cucine tutto l’arco della Festa. Le crespelle, o crespelle, erano rigorosamente di due specie: zippuli e viddhiruni. Le prime, suppongo, sapete che cosa sono e ne conoscete forse la varietà; le seconde - sono obbligato a dirvelo! - sono come le prime ma col buco,

sti da tutta Italia e dall’estero sull’esempio dei viaggi del “Gran Tour”, per scoprire le delizie nascoste nell’entroterra vibonese. L’opera ha certamente il fine, pedagogico, di ricordare a tutti che il Natale è la festa della fratellanza e non dell’abbondanza, dell’apertura verso i fratelli indigenti che a causa di tante ingiustizie vedono misconosciuti i loro diritti da quanti non hanno ancora capito il messaggio del Natale. E nel Presepe c’è un bellissimo esempio di società multietnica che annovera insieme diverse culture sparse sulla terra sotto un unico cielo: uomini e donne uniti nella fede nell’unico Dio, da tutti riconosciuto come Padre materno che amorevolmente veglia sull’intero universo.

di Filippo Marino

analogamente alle ciambelle. Nelle famiglie più ricche o nobili c’era la sorpresa d’u capuni, che molti preferivano regalare quale omaggio dovuto agli amici di famiglia che avevano fatto qualche favore o si erano distinti onorevolmente in qualche forma d’aiuto. Senza tema di smentita qualcuno onorava il Natale sparando i bumbetti i Pirricuni… chi era costui? Era il fuochista più accreditato a Palmi, colui che a gran richiesta sparava prevedibilmente i fuochi d’artificio, capita lucis, in Piazza I Maggio a Palmi qualche volta rompendo qualche vetro del palazzo circonvicino, ma pur sempre tenendo in mano surriscaldandole i colpi della batteria per evitare così che facessero cilecca allo scoppio. Ora i bumbetti i Pirricuni erano di due qualità: a miccina e a muro. Io preferivo le prime perche’ … più pericolose. Non tocco Cicerone perché evito di entrare rebus datis nel seminato. Orbene, mentre tutti costoro si trastullavano in questo Natale c’era chi, per l’ennesima volta, si scervellava a conteggiare la prima neve quand’era caduta nella città del Manfroci pronosticando la quale non avrebbe certamente indovinato la data dell’inizio dell’era quaternaria. Fortunatamente per Lui Natale era un’altra cosa!


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di Domenico De Angelis

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l tempo di Avvento è un periodo ricco di aspettativa e di attesa. È tempo forte per lo spirito. Ci si prepara per il Natale. È l’evento che pone al centro l’umanità del Signore. Il mistero dell’Incarnazione. Il luccichio delle classiche luminarie, le vetrine addobbate a festa sono i contorni laici per richiamare qualcosa che va oltre. Ogni colore, segnale o simbolo, richiama l’Evento che sta per compiersi. Tra i simboli più belli e ricchi di significato c’è il presepe. Lo stesso, introdotto da S. Francesco d’Assisi, è stato, da allora, il simbolo, per antonomasia, del periodo natalizio. Simbolo cristiano di bontà, amore, fratellanza, tenerezza, pace e familiare unità. Non è stato risparmiato dalla secolarizzazione, imperante in Europa, e non solo. Infatti, tale periodo, è caratterizzato dall’ormai annosa polemica della classica rappresentazione della Natività nei luoghi pubblici. Mostrando, con estrema evidenza, la volontà, ormai non più nascosta, ma palese, di relegare la fede nel privato. Da tollerare, a limite, nelle mura di casa o nelle chiese. Quasi che la piccola capanna incastonata nei cuori di tutti, fosse una minaccia per la convivenza civile. Invece è un luogo unico che riesce ad incantare ed intenerire anche i più lontani o scettici. Un miracolo che si rinnova ogni anno e che prepara le persone ad un profondo significato. La preparazione - quella del presepe - unisce molti, e rimanda all’attesa speranzosa di un’ultima figura che andrà a completare la rappresentazione. Il Bambino, nella sua culla di fieno, irradia una tenera luce. È Via, Verità e Vita. Il suo nome è Gesù, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. L’annuncio dell’Incarnazione non può essere taciuto. Il presepe a questo serve: ad annunciare simbolicamente l’Evento. Ecco perché da noi, il presepe è caratteristico. L’Italia - e con essa tutto l’Occidente - non sarebbero se stessi sen-

Presepe (particolare) "in attesa del Bambino" - Chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta e S. Elia in Terranova S.M.

Il fascino del Presepe A Terranova S.M. una pregevole rappresentazione

za le proprie radici cristiane, ben visibili ovunque. È legittimo e doveroso far valere questo argomento storico e di identità contro quanti sostengono che, invece, per convivere con gli altri, ci si dovrebbe spogliare delle proprie tradizioni e di quanto esse ancora oggi significano. Il presepe, come ogni altra manifestazione pubblica della fede cristiana, ha diritto di cittadinanza e non va assolutamente cancellato in nome della fantomatica multiculturalità. Ha quindi diritto ad una presenza nella pubblica piazza. Ed anche perché la nostra religione, più di ogni altra, contribuisce al bene comune (che il potere pubblico dovrebbe esso stesso difendere). Ecco perché ci si prepara e lo si prepara (il presepe) nel migliore dei modi, con passione, studio, fantasia, ricostruzione storica e simbolica. Ogni pastorello, pietra, fiume, lago, montagna, collina, muschio, sabbia, stella, cielo sono il richiamo di un luogo unico: una strada che conduce alla Via, alla Verità, alla Vita. Cristo non è una tradizione. La Chiesa ha una tradizione, non Cristo. Una tradizione viva che si fonda sulla reale presenza di Cristo nel-

la storia. Proprio questo il presepe vuole rappresentare. Ecco perché difendere, diffondere ed incoraggiare la creazione dei presepi è dovere di tutti. Di tutto questo si è convinti a Terranova Sappo Minulio. Infatti, a Terranova si trova una delle rappresentazioni più belle della nostra Piana. L’eccellente presepe che si trova presso la chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta e S. Elia è stato ideato da Anna Longo in collaborazione con Giovanni Mazzacuva, Vincenzo De Angelis, Teresa Larosa, Maria e Rocco Cartellà. Il risultato è incantevole e meritevole di una visita. Da menzionare anche altre due rappresentazioni, sempre a Terranova. Il presepe realizzato da Bruno Mastroieni, Fortunato Ricevuto e Rocco Chizzoniti, presso il Santuario del SS. Crocifisso, e la rappresentazione all’interno del Municipio, realizzata da Marzia Matalone, Barbara e Francesco Artieri. Quest’ultimo ha un significato aggiuntivo, in quanto posizionato nel palazzo Comunale, a testimoniare l’attaccamento della Città intera ai valori cristiani. Quei valori che sono le radici dell’Europa, patrimonio di tutti noi.


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Mercatini di Natale storie belle da raccontare

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ietro ogni bancarella di un qualsiasi mercato può nascondersi una bella storia da raccontare. E di storie, nella tre giorni (dal 6 all’8 Dicembre) di mercatini natalizi - giunti alla terza edizione - in Piazza Amendola a Palmi ce n’erano moltissime: è un mondo di arte istintiva quella dei “presepari” autodidatti provenienti da tutta la Piana che hanno messo in mostra le loro opere; tra i tanti, l’artista materico palmese Michele Guerrisi, le polistenesi Caterina Bruni, realizzatrice di originali presepi in cartapesta all’interno di anfore, conchiglie damigiane e caratteristici “braceri” e

l’hobbista Luisiana D’Angeli, le cui fate in resina e porcellanato hanno incantato i più piccoli. Artisti da scoprire che creano opere con qualsiasi cosa: pure i ragazzi degli istituti secondari di primo grado “Zagari-Milone” e la “Tito Minniti” di Palmi, ci hanno provato: le loro piccole opere sono state molto apprezzate. Queste attività mettono in evidenza la vivacità culturale di una scuola: “Da sempre il nostro plesso scolastico è una fucina di attività, tra cui quelle teatrali. La recita natalizia sarà incentrata sul tristemente attuale tema dell’integrazione”, sostiene la prof.ssa Zaccaro, insegnante di lettere della Minniti. Presenti anche le associa-

di Deborah Serratore

zioni umanitarie, come Maria Anedda per la sua Onlus di pazienti oncologiche “La Danza della Vita”, come la Charitas “Madre Teresa di Calcutta” della Parrocchia Maria Ss.ma del Soccorso ed il gruppo scout A.G.E.S.C.I. Palmi 1: per quest’ultimo i fondi sono serviti ad autofinanziare l’acquisto di materiale e le innumerevoli attività. Dietro le quinte dello stand scout, anche la giovane jamboreeista e novizia Martina Galletta, reduce da un’esperienza in un campo Rom a Reggio Calabria: “abbiamo dato loro amore e loro ce lo hanno restituito cento volte di più”. Storie di inventiva, umanità e tolleranza, tutte disponibili a portata di bancarella.


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di Caterina Sorbara

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ell’ambito degli eventi, preparati per il 65° anniversario dell’ordinazione presbiterale di Don Francesco Laruffa, si è tenuto il 17 Novembre a Gioia Tauro, nell’antica Sala Fallara, un convegno avente come tema: ”Cercando Dio”. Ha presentato e moderato l’ evento la prof.ssa Maria Teresa Bagalà che ha sottolineato l’attaccamento della città a questo grande sacerdote, celebrando le sue grandi doti umane e culturali. Subito dopo, Don Antonio Scordo ha ribadito che Don Laruffa ha sempre cercato oltre al Vangelo, anche la Cultura. E’ stato il primo parroco a mettere in atto la Riforma Liturgica. A seguire l’Assessore Daniele Cutrì, nel porgere i saluti dell’Amministrazione Comunale, ha sottolineato il suo attaccamento al sacerdote, modello di saggezza e punto di riferimento per la città. Sublime l’intervento di don Laruffa, una vera e propria lezione di vita. “Cercare Dio è godere della sua presenza, Dio ci ascolta sempre e risponde in silenzio con il suo Amore. Dio è il più

Cercando Dio

Riflessioni nel 65 dell'Ordinazione presbiteriale di Don Laruffa

grande degli esseri invisibili. Dobbiamo mettere tutta la nostra vita sotto l’amore di Dio”. Citando Papa Francesco, ha detto che non dobbiamo escludere nessuno,in particolare i poveri e i bisognosi. E poi ancora:”Il credente cammina nella notte come un pellegrino che cerca la luce. La fede è il fondamento della speranza, se appoggiamo tutto su Dio non abbiamo nulla da temere”. Sulla chiesa ha detto:”La chiesa è come la luna non brilla di luce propria ma riflette la luce di Cristo. E’ fatta per amare e adorare Dio. La Liturgia è l’atto nel quale crediamo che Dio è con noi, viene da noi, per noi. Essa trae la sua vita da Dio, non è teatro”. Sullo Spirito Santo , ha sottolineato che Dante Alighieri, lo chiamava “il primo amore”. Senza Dio l’uomo non sa dove andare. Don Francesco, infine,

si è soffermato sull’importanza della figura della Madonna e poi di Gesù. La Madonna è modello dell’amore materno ed ha un posto storico e spirituale assegnatole da Dio accanto a Gesù. Essa è la donna della fede ed è sempre accanto a noi. Gesù è il Vangelo eterno, è importante leggere i Vangeli per conoscerlo. Mons. Francesco Milito, vescovo della Diocesi Oppido-Palmi, nel suo intervento, ha puntualizzato che don Laruffa è un grande maestro di fede che, ha aiutato la sua comunità a crescere, dedicando la sua vita a Dio e alla Chiesa. Infine, Mons. Milito ha detto: “Grazie di cuore Don Laruffa, stasera abbiamo scoperto che quando si cerca Dio e si trova, non si abbandona più”. Molti gli attestati di stima da parte del pubblico. Un conviviale rinfresco ha concluso l’emozionante serata.


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Alla Fidapa di Melito di Porto Salvo si discute di omeopatia

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a cultura e la conoscenza dei settori più disparati, oggi si divulga in Calabria tramite l’associazionismo, oltre alle ordinarie agenzie culturali istituzionali che hanno l’obbligo di istruire e formare, come scuole e atenei, senza tralasciare i mass media che attraverso l’informazione e approfondimenti vari, svolgono un’importante azione socio-culturale e di sensibilizzazione verso ogni forma di problematica che si pone quotidianamente all’attenzione del pubblico. Dall’associazionismo emerge quel tipo di cultura derivante dal tessuto sociale delle varie realtà dislocate nel territorio reggino e calabrese; un tipo di cultura, può essere definito, che risponde e soddisfa le esigenze e i bisogni del sapere delle varie entità geografiche del territorio circostante. Sabato 10 Ottobre presso la sede della Fidapa del Comune di Melito di Porto Salvo, si è tenuto un importante convegno dal titolo “L’omeo-

patia come strumento di diagnosi e cura”. Francesco Laganà, medico esperto del settore, ha relazionato sull’argomento per circa due ore, toccando ogni aspetto di una branca scientifica di cui si ha poca conoscenza. Inventore dell’omeopatia è stato Samuel Hahnemann, medico tedesco, che nel 1806 ha pubblicato il suo primo lavoro in conseguenza di numerose ricerche, il quale, dopo aver constatato che una dose minima di chinino provocò in lui una febbre malarica, a dosi ponderali riuscì a curarla. Il principio su cui si basa l’omeopatia discende dal fatto che ogni sostanza del mondo vegetale, animale o minerale con potere medicinale, provoca nell’uomo sano quei sintomi che può curare. Tale sostanza viene pertanto definita dal greco omoios che significa simile e pathos che significa malattia. Quindi sono definite omeopatiche e impiegate in questo settore, le sostanze sulle quali la ricerca ha sperimentato che sono in grado di provo-

di Filomena Scarpati

care sintomi uguali o simili alle malattie in grado di curare. Il principio in effetti non è differente da quello su cui si basa il sistema delle vaccinazioni, costituite da agenti patogeni attenuati in grado di scatenare le difese immunitarie nell’organismo umano, evitando che quelle determinate malattie si sviluppino. Francesco Laganà, luminare del settore nel nostro territorio, ha spiegato che l’omeopatia dà maggiori risultati nella fase della prevenzione e come coadiuvante. La relazione dello specialista è stata intervallata da diversi interventi della Presidente della Fidapa Giulia Carerj di origini pianigiane, medico di professione, capaci di creare una discussione organica, più complessa, toccando aspetti sociali di rilevante importanza come la teoria del genere, il femminicidio su cui si sta legiferando e la disgregazione della famiglia da cui dipende la maggior parte dei problemi che attanagliano il nostro secolo. Al termine, il numeroso pubblico presente in sala ha partecipato attivamente alla discussione che ha seguito la relazione di Laganà con diverse domande a cui l’esperto ha risposto in modo esaustivo. La serata è stata chiusa dai saluti della Presidente che ha anticipato due ulteriori appuntamenti di rilevante importanza, come “Insieme per l’allattamento” per la protezione del bambino e il sostegno dell’allattamento materno al seno, manifestazione promossa dall’Unicef con la collaborazione della Fidapa e del Comune di Melito di Porto Salvo e la presentazione del romanzo storico di Santo Gioffrè edito da Rubbettino, dal titolo “Il Gran Capitan e il mistero della Madonna nera” ambientato tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500.


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Una riflessione sulla condizione femminile

di Caterina Sorbara

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Donne vittime Violenza strisciante

a violenza sulle donne rappresenta la violazione dei diritti umani più diffusa al mondo, un fenomeno trasversale che colpisce indistintamente ogni angolo del pianeta, indipendentemente dal livello di istruzione e di ceto sociale. Dati alla mano, oltre 6 milioni di donne nella loro vita hanno subito violenze fisiche e psicologiche. Molti casi di violenza si sono consumati anche davanti ai figli. Donne ricoperte di insulti, botte e terribili minacce. Donne uccise, umiliate e dimenticate. Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la città di Taurianova ha

organizzato una manifestazione toccante e coinvolgente. Una manifestazione organizzata dall’Auser Madre Teresa di Calcutta in sinergia con la locale Consulta, tenutasi nel Palazzo dell’ex Municipio della città. Ad aprire l’evento la Presidente dell’Auser dott. ssa Rosa Romeo, che ha iniziato il suo discorso, partendo dalla storia di Santa Caterina d’Alessandria (celebrata il 25 Novembre) per poi proseguire col discorso relativo al significato della ricorrenza, che vuole appunto dedicare una giornata a tutte le donne vittime di violenza, in particolare a Valeria Solesin e a Lea Garofalo. “Oggi anche il tempo sta piangendo per le donne vittime della violenza”. Subito dopo Filippo Andreacchio, Presidente della Consulta, ha sottolineato che ogni anno la Consulta celebra il 25 Novembre e quest’anno “siamo orgogliosi di celebrarlo insieme all’Auser”. Continuando, Andreacchio ha specificato che anche se con queste manifestazioni il problema della violenza sulle donne non si risolve, è comunque di primaria importanza ricordarlo con esse. La Consulta ha in programma tante attività che apporteranno ricchezza culturale alla città. Infine Andreacchio ha ringraziato l’Associazione Culturale Parallelo 38, e la Presidente Emanuela D’Eugenio; l’Associazione Culturale Nuova Aracne e la Presidente Prof.ssa Lucia Ferrara; la Chiesa Madre e la Parrocchia di San Giuseppe per la collaborazione, prestata all’evento. A seguire Caterina Rigoli, Presidente dell’Azione Cattolica Parrocchia San Giuseppe, insieme a Petronilla Macrì, Azione Cattolica Pier Giorgio Frassati, hanno tratteggiato il profilo della Beata Antonia Mesina che morì per difendere la sua purezza. L’on. Angela Napoli, Presidente di Risveglio Ideale, dopo aver sottolineato l’importanza dell’evento, si è soffermata sulla storia di Fabiana Luzzi, uccisa dal suo ex fidanzato che non accettava la fine della loro storia. Concludendo il suo discorso la Napoli ha detto: “Nel ricordo della giovane Fabiana, di Valeria, di Lea e di tutte le donne vittime di violenza, rivendichiamo tutti in questa giornata il diritto alla giustizia, alla legalità, all’amore”. Infine la Dott.ssa Rosa Romeo ha letto un “Inno alla donna”, un dialogo tra un angelo e Dio, dove vengono messe in evidenza i pregi della donna. “La donna ha un solo difetto: dimentica quanto vale”. Hanno fatto da cornice le scarpette rosse e le candele per ricordare le donne vittime della violenza: Lea, Emanuela, Antonia, Valeria, Silvana, Gaia, Rita, Maria Concetta Cacciola, e tante altre. Presenti all’evento anche i ragazzi dell’Associazione “Siamo chi siamo” di Cittanova che hanno contribuito con dei significativi cartelloni.


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Il soroptimist club di Palmi in prima linea contro la violenza sulle donne Ancora una donna vittima di violenza familiare. Ancora un altro posto rimasto vuoto.

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l Soroptimist International Club di Palmi ha colto l'occasione, nel giorno dedicato dall’UNESCO alla eliminazione della violenza contro le donne, per ricordare e far riflettere su una piaga che, invece di diminuire, aumenta in frequenza, quantità e ferocia. E l'ha voluto fare parlando con gli studenti, quegli adolescenti delle scuole superiori - Liceo linguistico e delle Scienze umane "Alvaro" ed Istituto onnicomprensivo "Einaudi" - i quali, apprezzando l’iniziativa, hanno voluto sottolineare, in modo simbolico, la incolmabilità del posto lasciato vuoto da una donna violentata e uccisa. Essi hanno affollato la sala consiliare del Comune di Palmi dove il sindaco, Dott. Giovanni Barone, a nome della Città, ha detto un forte NO alla violenza, ancora una volta dimostrando profonda sensibilità sociale verso le tematiche di grande sofferenza dei più deboli. I lavori del seminario, coordinati dalla Past President del Soroptimist di Reggio Calabria, Dott.ssa Giovanna Campolo, neuropsichiatra infantile, sono stati aperti dal saluto della nuova Presidente del club di Palmi, Dott.ssa Antonella Orlando, e sono continuati con gli interventi dell'Avv. Concetta Grillo, criminologa, giudice onorario presso la sezione penale del Tribunale di Palmi, della Dott.ssa Maria Grazia Muri, assistente sociale, consigliere dell’Ordine regionale degli Assistenti Sociali, e dell'Avv. Giovanna Cusumano, già Consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le Pari Opportunità. Dalle relazioni, interessanti, oltremodo approfondite ma comunque espresse in un linguaggio semplice e diretto, mirato ai giovani, sono emersi alcuni punti nodali che maggiormente hanno colpito gli studenti ed i tanti cittadini presenti, primo fra tutti la constatazione che ogni violenza fisica è sempre preceduta da violenza psicologica e, perciò, è a questa che bisogna prestare attenzione, in quanto più subdola, capace anche di portare la donna a pensare di essere ella la vera colpevole. Spessissimo poi, la violenza familiare, forse per provocare più crudeli effetti , è realizzata di fronte ai figli, anche minori, i quali restano fortemente traumatizzati. È anche molto frequente il caso di violenza causata da motivi esterni, per esempio, la perdita del lavoro o altre difficoltà oggettive che creano squilibrio psicologico. Accade anche però, al contrario, che sia lo squilibrio psicologico la causa che provoca interpretazioni patologiche di situazioni, invece, del tutto normali quali, per esempio, la volontà espressa dalla donna di realizzarsi nel mondo del lavoro. E non è neppure da escludere che la violenza sia esercitata dalle donne sugli uomini. Non è

di Marisa Militano

frequente, ma accade. Per questo bisogna con attenzione considerare la reale parte debole del rapporto e oggettivamente valutare chi usa violenza e su chi. Ultimo punto emerso con particolare evidenza è stata la necessità di intervenire con celerità rispetto ad una richiesta di aiuto non appena questa si appalesa. La percentuale delle denunce riguardante la violenza familiare è ancora bassissima soprattutto nel nostro sud e ciò perché le donne tentano di giustificare, di coprire, per inconscio senso di partecipazione alla colpevolezza, e perché ritengono di non avere la forza di camminare da sole. Ecco che un intervento immediato, seguito da assistenza professionale e competente, può essere fondamentale nel limitare i danni e prevenire gli atti estremi di cui è, purtroppo, continuamente piena la cronaca. Ed allora l’unico modo per prevenire la violenza, è solo la capacità lucida di riconoscere e prendere atto dei sintomi partendo dal mutamento di atteggiamento del partner, senza sottovalutare, senza trovare giustificazioni inesistenti o addirittura colpevolizzandosi o illudendosi che gli episodi non si ripeteranno. Bisogna chiedere aiuto in tempo - è stato detto - anche alle tante associazioni di sostegno qualificate, come la “SOS Astarte Donna”, di cui ha parlato la Dott.ssa Muri, per trovare la convinzione ed il coraggio di denunciare i fatti nella loro interezza alle autorità competenti ed alle forze dell’ordine, che sono ormai organizzate con professionalità specializzate, interamente capaci di assistere e proteggere le donne ed i cittadini.


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Emmanuele Saccà, Roque Pugliese, Dova Cahan, il Prof Amato, il Sindaco Cosentino

di Gianluca Iovine

U

n libro letto in presenza della sua autrice diviene lo spunto per riaffermare un fortissimo senso di appartenenza. Accade a Cittanova per iniziativa dell’associazione Ars Musica, e ne deriva una giornata di riscoperta dell’ebraismo, dove la memoria buia della Shoah e delle diaspore, si alterna alle epoche più prospere del popolo semita. I più tragici snodi della Storia si fanno testimonianza, mentre i secoli si dissolvono in frammenti colorati e vorticanti. Speranza e persecuzione, fame e festa, pianto e danza, canti e balli yiddish si ritrovano in metafora nella focaccia dolce divisa con gli ospiti: un giro di pasta fillo, frutta secca e canditi, che con diverse consistenze crea la giusta distanza tra dolce e amaro, forza e resa. Ci si augura pace salutandosi con shalom! e mangiando lo shabbat, pane di poco sale e molte regole impastato al venerdì per essere mangiato il giorno dopo. Identità e fretta di vivere, nell’ansia che tutto finisca e la fuga debba riprendere. Emmanuele Saccà introduce il convegno, ricordando con orgoglio che Ars Musica oggi ospita per gli esami preaccademici i futuri studenti del Conservatorio di Vibo Valentia, oltre a seguire una biblioteca itinerante che sottrae libri destinati al macero per farne piccoli gioielli da donare. Quest’oggi è però il giorno di Dova Cahan e del suo “Un askenazita tra Romania ed Eritrea”, libro che fonde emozioni primarie e credo politico, narrando la storia di Herşcu Şaim Caha, suo padre. Al tradizionale saluto, il sindaco Francesco Cosentino aggiunge un auspicio di pace fra i popoli e il ricordo personale degli anni di Asmara dove visse suo nonno, dirigente alle Poste, proprio lì dove vissero Dova Cahan e la sua famiglia. Un silenzio commosso segue la lettura di “Mamma Esther”, primo brano letto da Emanuela

La scrittrice Dova Cahan, autrice del libro presentato

L’ebraismo tra cultura e identità Foresta, racconto dignitoso e cupo di una tipica yiddish Mum, abisso silenzioso di amore e sacrificio nell’apparente semplicità di un dialetto a metà tra tedesco ed ebraico. Lo storico Pasquale Amato intreccia storie familiari e Storia del Novecento, lì dove fuga dal nazismo e vertigine antica delle diaspore, parvero assecondare un destino eterno per il popolo di Israele. Il romanzo di una vita che come un rovo inestricabile avvolge Grande Guerra, persecuzioni naziste e dell’Est Europa, fino ai conflitti mediorientali. Il Secolo Breve, per il professor Amato “tecnologico e tragico”, reca un evento mai verificatosi prima: la “perdita della tranquillità familiare”, difesa per generazioni. Si sofferma sulla matrice storica del Sionismo, che già nell’Ottocento teorizzava una Patria rivendicando i territori persi nelle diaspore di ogni epoca. Lo storico torna poi agli eventi che impedirono al padre di Dova Cahan di vedere in vita i frutti del suo impegno politico, quando, respinto dagli inglesi, non poté raggiungere il suolo di Israele. Fu invece Asmara ad accoglierlo, e lì, con la sua famiglia, si unì alla folta comunità ebraica d’Etiopia, nell’impero di Hailè Selassiè, che a molti esuli ebrei permise l’accesso alle diverse culture presenti, compresa quella italiana, anche se pur sempre nel filtro della comunità ebraica. Fu questo a impostare vita e modo di fare impresa di Herşcu Şaim Caha, figura importante per la comprensione del Novecento, nel rifrangersi dell’odio sugli individui, in una vertigine di sopraffazione, che, spezzando ogni appartenenza, dissolse intere comunità. Caha non vide realizzato il suo sogno. Ai funerali del 1974 la comunità di Asmara partecipò compatta, e ai più parve la scomparsa di un modello d’azienda simile a quello di Adriano Olivetti, capace di far sedere allo stesso tavolo dirigenti e operai. Amato torna

poi a raccontare la connessione tra epoche di prosperità e tolleranza, osservata in Italia Meridionale fino alla repressione dell’Inquisizione spagnola. Quell’abbandono significò il crollo di un sistema culturale ed economico, con effetti di degrado e sottosviluppo ancora oggi visibili, smarrendo il senso del reciproco riconoscimento. Eppure resta memoria del mercato della Giudecca a Reggio Calabria che da via Aschenez conduceva all’antica Porta verso il mare, così come la copia di un importante documento prova la diffusione in Calabria della stampa a caratteri mobili già venticinque anni dopo la sua invenzione. La seconda lettura, è “Una storia di amore e tenebre”, di Amos Oz, e rivela la vita dei fuggitivi ebrei in un tracciato denso di odori cattivi, sapori stantii, privazioni, dove è proprio la carne in scatola prodotta dal padre di Dova Cahan, a rappresentare un segno di identità e unità, negli anni difficili seguiti alla Shoah. Roque Pugliese, delegato per la Calabria della Sinagoga di Napoli reca i saluti del Rabbino e loda Dova Cahan come autentica Figlia d’Israele, perché figlia di un Cohen, un sacerdote, e di una Levi, discendente dei levìti che aiutavano i sacerdoti nei loro uffici. Una vera summa dell’Ebraismo, arricchita dall’italianità dell’aver vissuto nell’odierna Eritrea, ex colonia africana. Queste storie, dice Pugliese, si intrecciano alla Calabria ebraica, al rispetto di un’identità garantita dai Romani e tradita dall’Inquisizione Spagnola, che distrusse ciò che le antiche Iudeche già nell’anno Mille rappresentavano, e alle prime tipografie europee, sorte proprio a Cosenza. Bisogna dunque “Onorare Dova, e con lei gli Ebrei scacciati, anche in Calabria, e quelli rimasti, trattati come marrani, e quanti finalmente di ritorno in Spagna e Portogallo.” Emmanuele Saccà cita una somiglianza: a Oppido madre si dice “Imà”, ed è


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I gemelli De Stefano eseguono Smetana

l’eco di una lingua persa, e di una sinagoga già attiva nel 1300. La volonta di riscoprire, tramandando questo passato capace di consegnare leggi e usanze prima ancora dei romani. Per Saccà un “Mondo che si è provato a cancellare e che porteremo sempre nel nostro DNA”. La terza lettura scelta è “Il Pioniere”, colui che, allontanandosi dalle certezze e dal focolare del Ghetto intraprende una strada rivoluzionaria, dove lingua, città, cultura della terra concorrono a un’espansione, nella rilettura romantica della riconquista della propria terra, che Dova Cahan ricorda bene in suo padre, estensore del sogno sionista: “Il pioniere scrive la pagina più eroica del Rinascimento ebraico”. L’autrice, laureata in Inglese e Francese all’Università di Tel Aviv, si dice emozionata e parte dal legame personale con Asmara, ringraziando presenti e correlatori. Ricorda il documentario girato per la Ferrara Film Commission e il canto, come membro della Commissione sulla Shoah, per ricordare la sorella di sua madre, uccisa ad Auschwitz; del libro racconta: “È un libro che riflette le vite degli altri, la società tra due guerre e insieme la maturazione di un giovane uomo orfano di padre, che studiava, lavorava e lottava per il Sionismo. Si lottava per vedere nei giovani la realizzazione dello Stato d’Israele”. Il Tema del Pioniere, le è molto caro, e lo lega alle idee di Theodor Hert, e alla soluzione di riportare gli Ebrei nella terra dei Padri. Dova Cahan cita il film “Exodus”: suo padre aveva vissuto quei momenti difficili, quando con le barche si aiutavano gli Ebrei a migrare. L’uomo provò l’onta dell’espulsione da parte inglese, nel 1948, riuscendo a ripiegare ad Asmara solo grazie a un parente arruolato nella polizia britannica. La scrittrice poco ricorda della Romania e molto invece di Asmara, tra le più belle città all’epoca, forgiata dai migliori architetti e ingegneri del passato regime italiano. Ricorda con rabbia la rivoluzione comunista del’74 in Etiopia, che nazionalizzò case e fabbriche, causando separazione e guerra tra Etiopia e Eritrea, e il conseguente abbandono di Ebrei e Greci. Suo padre concluse lì la sua vita, solo le sue spoglie videro Israele. Dova Cahan ha un forte punto di vista, che rilegge la Storia: “Abbiamo capito durante la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, che dovevamo vivere in Israele, credere nel culto di nostra ma-

Itinerari per il turismo ebraico in Calabria

dre. Quella era la nostra casa, il focolare nostro e del Popolo Ebraico, una nazione che esiste e deve esistere”. Gli Ebrei di Calabria erano per lo più sefarditi, ma erano gli askenaziti a praticare il dialetto yiddish. Asmara era sefardita, con esuli provenienti da Aden e dallo Yemen, e dunque di base arabofona, ma si era poi amalgamata a italiani, greci, armeni. La Cahan ricorda il ritrovamento, a diversi anni dalla morte del padre, degli articoli scritti per “I Giovani Sionisti” e per il “Bollettino della Camera di Commercio” di Asmara, raccolti nelle pagine de “Il Pioniere” e “Per un Sionismo integrale”. Rivive col pensiero i diciotto anni di apolidia, e la cittadinanza etiope concessa da Selassiè alla sua famiglia, prima tra quelle europee. ”Sono israeliana, ma solo recentemente ho riacquistato la cittadinanza romena; sono stata invitata in Romania, i miei libri sono tradotti in romeno”. Felicissima di scoprire la Calabria, la scrittrice aggiunge che di solito sono Sicilia e Puglia i percorsi prescelti dagli ebrei per rintracciare i propri cari smarriti. Dova Cahan ringrazia commossa prima di mettersi in ascolto dei gemelli De Stefano pronti a suonare “La Moldava”. Saccà spiega che lo stesso Inno Nazionale Ebraico, che deve molto ai primi versi al seicentesco “Ballo di Mantova” di Giovambattista Ferrini, si lega anche alla composizione del boemo anima in musica del futuro Stato d’Israele. I concertisti introducono la figura del compositore ceko Smetana, capace di raccontare la Boemia nel tema della Moldava, mito di una ragazza tradita che decide di vendicarsi di ogni uomo. Nel suo percorso il grande fiume, dalla sorgente alla foce, passa dal vigore degli inizi ai toni segreti della notte, mentre, in un crescendo di rapide, irrompe a Praga. E realmente la musica cammina, travolge, incede, lungo i tre tempi della Moldava. Acqua e note scorrono fino a rarefarsi, per poi riprendere, inciampare, saltare e nuovamente scorrere, fino al trionfo. Nel convegno trova spazio lo sguardo del viaggio, e le importanti ricadute economiche nella regione fin dall’antichità identificata in Aschenez, padre degli odierni reggini. Angela Reitano, in collaborazione con una società di turismo israeliana, sottolinea il ritardo rispetto alle decisioni della vicine Puglia e Sicilia, che hanno stretto accordi con una compagnia polacca

per nuovi voli verso Bari e Catania. Mancano in Calabria risposte istituzionali. Per raggiungere la Terra dell’antica amicizia, delle privazioni condivise, della cacciata semita, che coincise con la decadenza economica dell’intera regione. “Un nuovo ponte economico darebbe vantaggio a entrambi i popoli”, afferma la Reitano, ricordando come i più antichi resti della storia ebraica siano in Calabria, terra tradizionalmente tollerante verso le altre culture. Di qui l’itinerario di viaggio studiato per raccontare la Calabria agli Ebrei di ritorno, affinché possano ritrovare le proprie radici: “Calabria Judaica, il sapore della Storia e del rito”. Chiude Domenica Sorrenti, che citando un volume di Felice Delfino, suggerisce a quanti vogliano visitare Israele, di conoscere meglio se stessi, visitando il Giardino dei Giusti di Cittanova, ispirato a quello di Gerusalemme, che accoglie 24.000 giusti, di cui 525 italiani. “Se tornano gli Ebrei a visitare la Calabria, e lavoreremo tutti in questo senso, ci arricchiremo tutti, ma solo se ognuno di noi dimostrerà di saper accogliere, di fare da ponte, portando in sé un pezzo di pace.” Il viaggio in Terrasanta organizzato da Monsieur Voyage e Cavini Tours, tra il 20 e il 27 aprile 2016 è anticipato da immagini che alternano fede, storia e natura tra inni cantati sul Mar di Galilea, alla ricerca delle radici comuni nelle acque del Giordano. Essere pellegrini salutandosi con shalom! darà pace ai viaggiatori e aggiungerà pace a Gerusalemme, si augura la Sorrenti. E del resto come non farsi prendere dalle suggestioni di Qumra, l’antica città dei Rotoli del Mar Morto, o dai luoghi senza tempo dell’Armageddon…? E come non commuoversi al Museo dell’Olocausto di fronte al monumento che ricorda il milione e mezzo di bambini uccisi…? “Queste e altre cose restano dentro, e cambiano per sempre”, dice Domenica mentre sfilano le fotografie del Mar Morto, e dell’antica fortezza di Marrada, i cui abitanti preferirono darsi la morte, piuttosto che cadere in mano ai Romani. L’opera dell’artista Cesare Berlingieri, che opera tra Cittanova e Taurianova, è una gemma poco conosciuta: “Un volo di pace” che è spinta verso l’accettazione dell’altro. “Lavoriamo per un mondo migliore e costruiamo un mondo di pace”, è l’auspicio finale della Sorrenti, che chiude l’intera giornata di studi.


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Cittanova, 21 Novembre

L’Associazione Sykea anima il dibattito sugli Alberi Monumentali

Un tesoro di inestimabile valore di Francesco Pasquale Cordopatri

S

i è svolto Sabato 21 Novembre, presso i locali del Polo Solidale della Legalità di Cittanova, il convegno dal titolo “Alberi monumentali: censimento e prospettive”. L’evento è stato organizzato dall’Associazione Turistica Culturale Sykea, già attiva nella promozione del nostro Territorio e del suo immenso Patrimonio artistico/rurale. Nel corso della giornata è stata trattata in maniera trasversale l’importantissima problematica della tutela degli Alberi con le caratteristiche della “monumentalità”. Tale attributo - come è emerso sin dalle prime battute del convegno - è il prodotto di una serie di fattori la cui analisi è riconducibile ad una molteplicità di discipline. Infatti, un Albero Monumentale è generalmente un Albero plurisecolare, notevole sotto il profilo della forma e delle dimensioni ed il cui valore può essere legato all’Ecologia, alla Botanica, alla Storia, all’Antropologia o alla sua adiacenza ad un sito di interesse storico/architettonico.

Il convegno, moderato da Filippo Teramo, è stato aperto dai saluti del Presidente dell’Associazione Sykea, Maria Valarioti. Dopo aver introdotto la tematica del convegno, la Dottoressa Valarioti ha illustrato gli eventi culturali portati avanti dalla sua Associazione nell’ambito di “Calabria in Pillole”, collana di incontri tematici che giunge quest’anno alla terza edizione. Ai saluti della Dottoressa Valarioti sono seguiti quelli del padrone di casa, il Sindaco di Cittanova Francesco Cosentino. Egli ha sottolineato la sensibilità delle Istituzioni a questa tematica e, con particolare riferimento all’Ulivo, ha raccontato il legame ancestrale che esiste tra questi antichi Alberi ed il Paese di Cittanova. Sono seguiti gli interventi di Francesca Giuffrè, neo-eletta Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Reggio Calabria. La Dottoressa Giuffrè, alla quale vanno gli auguri da parte di tutta la nostra Comunità per il prestigioso incarico ricoperto, ha sintetizzato il fondamentale contributo dei dottori

Agronomi e Forestali per la tutela dei “Patriarchi Vegetali”. Tiziana Cosentino, Vicepresidente della BCC di Cittanova, già sponsor di molteplici iniziative in favore dell’Ambiente, ha concluso la carrellata di saluti. Il Commissario Rocco Pelle, del Corpo Forestale dello Stato, a seguire, ha illustrato la Normativa in materia di salvaguardia e tutela degli Alberi Monumentali. Nel dettaglio, ha descritto il funzionamento e l’importanza del censimento della suddetta tipologia di Alberi, contemplato e regolato dalla Legge 14 Gennaio 2013, N°10. Il Prof. Giovanni Spampinato, Docente del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, ha illustrato un pregevole esempio di database geo-referenziato di Alberi Monumentali, ricco di accurate descrizioni, illustrazioni ed informazioni relative a percorsi ed itinerari. Questo progetto, portato avanti dal suo Team già diversi anni addietro, è culminato con la pubblicazione del volume “I Grandi Alberi del Parco Nazionale d’Aspromonte”. Infi-


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La selva degli ulivi della Piana del Tauro, un tesoro da difendere ne il Prof. Rocco Mafrica ed il Dott. Francesco Pasquale Cordopatri - del medesimo Dipartimento di Agraria - hanno analizzato le peculiarità degli Ulivi Monumentali della Piana del Tauro, sottolineando come questi “silenziosi Patriarchi Vegetali”, presenti in buon numero, abbiano caratteristiche uniche sotto il profilo estetico, storico, botanico, ecologico e spirituale, conformemente alla definizione di “monumentalità “. Inoltre, nel corso di questo intervento, non sono stati trascurati alcuni aspetti salienti della nostra Olivicoltura storica ed attuale, tra cui la presenza di moltissimi Ulivi di grandi dimensioni ma privi di fatto delle caratteristiche eccezionali della “monumentalità”. Questi Ulivi si diranno semplicemente ”secolari” o “vetusti”

ed il loro destino seguirà le vie tracciate dall’ammodernamento dell’agricoltura. Infine, nel corso di questa relazione, sono stati ipotizzati alcuni scenari per quanto concerne la valorizzazione degli Ulivi Monumentali, tra cui l’inclusione degli stessi in percorsi tematici, in mappe interattive ed in altre iniziative di sensibilizzazione. Tutto questo naturalmente nell’ottica di una valorizzazione a 360 gradi del Territorio del quale questi Alberi sono un tassello fondamentale. I lavori sono proseguiti con il suggestivo intervento del Prof. Giuseppe Bombino - Presidente dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte - che ha estrinsecato l’importanza scientifica e spirituale degli Alberi Monumentali come “memoria vivente” del passato. A Giorgio Maria

Borrelli, Comandante Regionale del Corpo Forestale dello Stato, è spettato il compito di tirare le somme delle tesi sostenute. Si è ribadito dunque che non mancano né gli strumenti né le buone prospettive per quanto concerne la tutela e valorizzazione dei nostri “Patriarchi verdi”. E’ stato sottolineato inoltre che è necessario dar vita ad ulteriori azioni in difesa di questi Alberi, proprio in virtù della loro ancestrale valenza di tesoro storico, scientifico e spirituale che travalica di gran lunga i secoli e le generazioni. L’atto finale dell’evento Sykea è consistito in una visita guidata presso l’Azienda Guerrisi. Tale Azienda ha infatti il privilegio di ospitare e curare mirabilmente alcuni tra gli esemplari di Ulivo più antichi e suggestivi della nostra Piana.


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“…in volto sì fedele e sì perfetto”

di Antonio Roselli

S

Domenico Mazzullo. Ritrattistica dal Novecento

ebbene intercalata in una sfera di localismo, la lezione pittorica di Domenico Mazzullo (Oppido Mamertina, 1897-1981), ha descritto prodigiosamente la natura di un secolo. Il Novecento artistico italiano è un momento storico attraversato da esperienze pittoriche eterogenee e composite che tendono a riformare la pressoché “immutata” produzione di genere. E Domenico Mazzullo, che mise a frutto i rudimenti della tecnica pittorica nella scuola neoclassica dei fratelli Jerace, seppe oltrepassare il linguaggio di genere proponendo una ritrattistica che pervade l’intimità psicologica dei soggetti ritratti, che indaga l’emotività e i temperamenti di chi posa, che rompe con il dettame di “verosimiglianza”. Davanti al ritratto di don Carmine Ragno del 1948 - ad esempio - riusciamo a figurarci il giovane previtocciolo che, seduto sul greto di una fiumana “aspra e alluvionale” e avvolto nella nera veste talare, contempla nelle correnti una penosa solitudine. Il primo dato storico che delinea il percorso di Mazzullo ritrattista è paradossalmente quello letterario. Pochi sanno che Domenico Mazzullo fu un ragguardevole poeta! Sembra proprio di vederlo: il pittore e scultore che per un istante ignora i pennelli e gli scalpelli, prende la penna per ripulire lo sguardo e temprare la mente e si contempla, come in uno specchio, nel ritratto del suo maestro Vincenzo Jerace. E scrive : “… Ed allievo devoto gli fui io\ che ho voluto improntare in questa tela\ la cara imago del maestro mio. \ La quale ci perpetua e rivela\ la sua psiche e somatico aspetto

\ che del tempo d’amor sprona la vela”. Sono versi tratti dal colossale poema “Trilucerna della Muse”. La parola poetica, quasi epigrammatica, entra perfettamente nello “intarsio” della pennellata pittorica. Siamo all’indomani dalla morte del grande maestro Vincenzo Jerace (1947); l’attività artistica di Mazzullo gode già di chiara fama per le molteplici opere destinate ad ambienti pubblici, privati ed ecclesiali. Tra i ritratti più complessi di quegli anni, figura proprio quello eseguito in memoria del suo precettore polistenese. E’ una delle opere più macchinose per esecuzione, per grande formato e soprattutto per le proposte esigenti avanzate da Pia Jerace, figlia dello scultore. Il maestro Jerace viene illustrato in un ritratto di forte carica simbolica: l’austera figura si staglia in un crepuscolo prossimo alla fine, l’occhio rivolto ad estreme aspi-

razioni e gli allori alle spalle che toccano un’architettura di nuvole. Come si può ben ipotizzare, l’opera richiedeva un particolare lavoro preliminare e molti studi: pare che esistano quattro versioni differenti dello stesso ritratto. In una lettera del 18 Marzo del 1949, Pia Jerace, commenta così la tela del Mazzullo: “Ho mostrato a Luigino e Luisetta la fotografia da lei inviatami del ritratto fatto al povero Professore e tutti e due sono d’accordo e io con loro che mentre è somigliante nei lineamenti, lei ha dato però al povero Professore un’espressione che non è assolutamente la sua. Il Professore aveva un’espressione dolce, serena, calma sempre anche quando lavorava aveva lo specchio della sua anima inalterabilmente sereno anche nelle peggiori congiunture sostenuto com’era dalla Fede tenace in Dio e nella sua Provvidenza”. Nonostante le parole della Jerace, il rigore formale che percorre tutta la ritrattistica di Mazzullo è squisitamente collegato all’istantanea fotografica. Le numerose raffigurazioni dei personaggi di primo piano (Francesco Sofia Alessio; Lyda Borelli, attrice del cinema muto; Vincenzo Macedonio), come i ritratti degli oppidesi, testimoniano il procedimento adottato dall’autore: accanto al lavoro con il modello in posa, Mazzullo, si serviva delle fotografie da lui stesso scattate per carpire la similarità, la mimica e rievocare le qualità umane e morali dei soggetti ritratti. Tant’è vero che Vincenzo Macedonio, primo Presidente onorario della Corte di Cassazione , dopo aver ricevuto il proprio ritratto, ringraziava Mazzullo con una breve composizione


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poetica inviata da Fiuggi il 7 Agosto 1933: “Ora che il buon Mazzullo m’ha ritratto/in volto sì fedele e sì perfetto/anche se muoio non sarà gran fatto/eternato nel quadro è già il mio aspetto/non piangete perciò se parto presto/perché partendo insieme a voi qui resto/Dal grande artista nomato Mazzullo/quando muoio dal tutto non mi annullo/anzi nel mio sembiante resto intatto/perciò miei cari non tenete lutto/perché morendo non muoio del tutto”. All’anno 1931 risale il ritratto di Giovambattista Peruzzo (vescovo di Oppido Mamertina dal 1928 al 1932) raffigurato in una posa frontale, seduto su una sedia camerale contro un tendaggio verde ed una parete oliva. Lo sguardo del presule è rivolto allo spettatore in un’espressione mansueta e benevola e la prossimità fisica del Peruzzo, che sembra essere seduto, percettivamente, di fronte all’astante, si traduce in confidenzialità psicologica, in amorevole colloquio. La vitalità della composizione pittorica e la risonanza degli accordi cromatici , insieme con il taglio approssimato e inconsueto della figura, rappresentata fino alle ginocchia, attribuiscono singolare istantaneità all’immagine (come avviene per l’ effigie di mons. Antonio Galati del 1924, ritratto in una posa di tre quarti e poi per i vescovi: Nicola Colangelo del 1936; Nicola Canino del 1951; Maurizio Raspini del 1957 e Santo Bergamo del 1980). In un prezioso elzeviro a firma di Geppo Tedeschi, apparso su “Il Messaggero” del 25 agosto 1949, il grande poeta futurista riassume, in una “polisensibile” prosa poetica, un incontro serale presso l’officina pittorica di Domenico Mazzullo: “C’erano lembi, non visti, di Calabria che vogavano, come paranze verso i dolenti mari dei ricordi. M’indicò un’altra opera, dal titolo affettuoso “Mia mamma al focolare”di un verismo impressionante. Se avessi fatto attenzione avrei potuto forse udire il crepitio dei tizzi e il battito del cuore della vecchia agghiacciante”. In “Mia madre al focolare”, Mazzullo, al-

lestisce un’esecuzione gustosamente realistica, prossima alle istanze del Verismo pittorico che dalla fine dell’ottocento era in voga in tutta Italia. L’attimo rievocato, che nel suo valore assoluto è commovente ed avvincente, è presentato in tutto il suo fascino, soprattutto per la scelta della penombra che avvolge l’ambiente: l’oscurità, ferita dalla radiazione artificiale del focolare, fascia la minuta figura della vecchina raggomitolata nei suoi poveri abiti , rimarcando il clima desolante e drammatico al tempo stesso. Mazzullo, come fece Segantini nell’opera “Le due madri”, disloca il tema della maternità in una situazione umile e miserissima, impiantando una distribuzione di elementi di ispirazione globale che suscitano allo spettatore delle meditazioni sullo stato sociale delle anziane raccoglitrici di ulive, schiacciate e sgualcite dal peso della fatica e del tempo. Nell’ininterrotta ricerca di nuove suggestioni, Mazzullo, interpreta i fermenti emancipatori del Novecento, avviando, accanto al tipo di ritratto rivolto alla borghesia dominante locale (si ricordano le raffigurazioni di don Marcello Grillo e del dottor Giuseppe Joculano), un’estensione del genere destinato al popolino del proletariato. A partire dalla prima metà del Novecento questo genere si diffonde con valore corale. Si consolidano valori progressisti, le committenze aumentano, si sviluppa il

lungo filone che privilegia i ritratti celebrativi eseguiti come arte cimiteriale. Si ricorda, infatti, che in occasione della commemorazione dei defunti, era consuetudine per gli oppidesi esporre, per i visitatori del camposanto, i quadri che ritraevano i propri cari estinti. La serie di ritratti degli oppidesi, realizzati con forte intuito psicologico e competente carattere plastico, aderiscono a quel campo del Verismo detto “Verismo sociale”, una forma pittorica diretta alla documentazione del mondo popolare, che rivela l’ individualità e il costume dei soggetti ritratti, piuttosto che alla celebrazione dei grandi personaggi. Un esempio concreto è il ritratto (gessetto su cartoncino) della fornaia Concetta Polistena, suocera del Mazzullo. Un doveroso cenno merita, infine, la sezione di bozzetti post- mortem che ricalcano la tradizione dell’ arte funebre in periodo neoclassico. Sedici carboncini su carta, conservati presso l’Archivio Storico “Domenico Mazzullo”, sono dedicati al ritratto dal vero di soggetti defunti. Le immagini, istantanee e conformi al reale, si riferiscono ad un periodo compreso tra il 1922 e il 1924, tempo in cui ad Oppido Mamertina imperversò una mortifera epidemia di polmonite e morbillo. Il ritratto della signora Maria Cristina Foti e quello del marito Domenico Antonio Musicò sono testimonianza tangibile della dilagante furia morbifera. La ritrattistica di Domenico Mazzullo rappresenta un raduno di vita e di ombre, di luce e di sonno. E’ una catapulta che ci trasferisce col senso e col significato in un secolo inquieto, nella tormentata macchina d’arte del grande maestro, in un’area geografica colma di un’energia artistica naufragata ed incredibile. E la lampada ad olio delle stelle che cadono dai cieli di Oppido ravviveranno il sonno del grande maestro. Quelle stelle che - come disse Geppo Tedeschi - destavano “tremori di vagante oro sui capelli di un argento fanciullo”. Erano i capelli di Domenico Mazzullo.


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Momenti del vernissage

di Tonino Violi

A S. Cristina d’Aspromonte la 1a Edizione della Biennale Nazionale di Pittura:

“Aspromonte… a colori!”

È

nato da un’idea di Maria Colella, Presidente della sez. di Gioia Tauro del Centro d’Arte e Cultura “Bruzio”, il concorso “Biennale Nazionale in Collettiva di Pittura”. L’ideatrice, insieme al Comune di S. Cristina d’Aspromonte, a Mimmo Migliorese, Rocco Polistena e col patrocinio dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte nonchè con la collaborazione dell’Ass. Culturale Roubiklon di Lubrichi, hanno indetto il concorso “per

valorizzare, promuovere e dare visibilità agli artisti emergenti e non nell’Arte pittorica contemporanea”. Bandito il 15 Giungo 2015 attraverso i mass-media, internet e tra le prestigiose Accademie di Belle Arti, è stata data la possibilità a tanti giovani artisti di esprimersi attraverso il proprio pennello. Libertà nella scelta della tematica, dello stile, dei colori e del supporto, con misura massima di 100 cm per lato. Libero accesso ad un massimo di tre opere, vecchie o nuove, purché non abbiano vinto già altri

premi. L’iniziativa non poteva che avere successo, vista l’ottima organizzazione e la qualità degli artisti partecipanti con opere di buon livello tecnico. I 30 artisti, con un numero di 40 opere complessive in concorso, hanno potuto ammirare le loro opere, ben disposte in mostra, presso i locali del Palazzo Comunale di S. Cristina d’Aspromonte. Le regioni rappresentate dagli artisti sono state, oltre alla Calabria con la stragrande maggioranza della provincia di Reggio, anche rappresentanti laziali,


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Il Sindaco Carmela Modafferi, al centro tra i relatori

campani, pugliesi, siciliani, ecc.. Giorno 5 Novembre u.s., con una cerimonia ufficiale svoltasi nella Sala Consiliare del Comune, è avvenuta l’inaugurazione della mostra alla presenza del Sindaco Carmela Madaffari e di tutto il Consiglio Comunale, di molti artisti e di un pubblico numeroso. Il Sindaco ha confermato di essere “orgogliosa di poter ospitare una Biennale così prestigiosa e - rivolgendosi ai tanti ospiti che sembravano spaesati qui in montagna, dopo il rinvio dell’inaugurazione a causa del cattivo tempo di quei giorni - il paese è sempre ospitale nei confronti di tutti e di ogni forma di cultura”. La collettiva di pittura è stata disposta nelle sale A - B - C, più il corridoio; mentre, la sala extra ha ospitato 8 artisti fuori concorso, nonchè opere di collezioni private. Tra questi si annoverano “prestigiosi pennelli” come Mimmo Morogallo (fondatore del Centro d’Arte e Cultura Bruzio), che ha esposto anche al Louvre Museum di Parigi; Xante

Battaglia, docente presso l’Accademia di Brera (MI), il catanzarese Stefano Visani, ecc.. Tra le collezioni private si segnalano Rodolfo Zito e Cialì. Senza dubbio hanno abbellito le sale di esposizione i quattro ospiti di Delianuova, con pregevoli sculture in pietra verde e in legno: Pepè Carbone, Pasquale Carbone, Mimmo Demana e Giuseppe Antonio Macrì. Il 7 Dicembre alle ore 17.30 presso le sale espositive, c'è stato uno spettacolo di “Pittura e Versi” (ut pictura poesis - Orazio), per esaltare ancora una volta l’arte attraverso la poesia. La mostra rimarrà aperta fino al 13 di Dicembre alle ore 20.00, giorno in cui si porrà fine al voto online (indirizzo: http:// aspromonteacolori.jimdo.com) della giuria popolare, la quale, potrà esprimere il consenso ad una sola opera, che vincerà il secondo premio di 1.000,00 (mille) euro. Per la cronaca si rendono noti alcuni dati statistici, per dire che la galleria online ha avuto, fino al 27 Novembre, quasi 18.000

visualizzazioni e ben 6.189 hanno votato la loro opera preferita. Il primo premio ammontante a 2.000,00 (duemila) euro, sarà vinto dall’opera prima classificata secondo il giudizio della giuria tecnica, formata da tecnici ed esperti del mondo dell’arte e della cultura, di cui ancora non sono stati resi noti i nomi. Gli organizzatori, orgogliosi del successo di pubblico ottenuto, hanno voluto affidare alle classi di scolari che hanno fatto visita alla mostra, un tema dal titolo: I ragazzi incontrano l’arte - Visita alla Biennale “Aspromonte a colori”, che dovrà essere consegnato entro il 13 di Dicembre, col galà di premiazione del miglior tema il 3 Gennaio 2016 presso Villa Rossi. Nella stessa occasione sarà distribuito un catalogo appositamente stampato dove verrà raccontata questa Prima edizione della Biennale, compresa la presentazione degli artisti, ai quali sarà fatto omaggio e altre copie saranno messe in vendita. Nel 2017 la 2° Edizione.

AICol

ENTel

ALS

FEDER.Agri

CAA

Federazione Pensionati M.C.L.

CAF

PATRONATO SIAS

CEFA Ong

SNAP

Centro Europeo di Formazione Agraria

Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati

EFAL

Gioia Tauro Via Monacelli, 8 Taurianova Via Benedetto Croce, 2

Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori

Associazione Lavoratori Stranieri

Centro Assistenza Agricola

Centro Assistenza Fiscale

Ente Formazione Addestramento Lavoratori

Ente Nazionale Tempo Libero

Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura

Servizio Italiano Assistenza Sociale


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DELIANUOVA:

di Giovanni Garreffa

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L’Artista Pasquale Carbone

ra le iniziative ai visitatori è stata proposta nel nostro paese un’esposizione di manufatti artigianali di Pasquale Carbone che, con le sue opere, ha arricchito il già vasto settore dei creatori deliesi. Partendo dal legno, elemento naturale da sempre presente nella vita dell’uomo e nella tradizione degli artigiani della zona, Carbone ha riproposto in chiave moderna e creativa, oggettistica in legno per ravvivare ed abbellire tutti gli ambienti della casa. Nello specifico crea opere di pregevole fattura con destrezza e semplicità, quali telefoni, soprammobili, appendiabiti, portagioie, lampade, portafoto, salottini con botti di vino, all’interno delle quali realizza anche l’evento religioso per eccellenza, ossia il presepe. “Ho iniziato a concretizzare questa passione, con la creazione di un laboratorio ad acta, da quando giunto alla maturazione pensionistica, ho inteso occupare il mio tempo libero”. E’ così che ha affermato Carbone, durante l’inaugurazione della personale, in Via Roma, ancora aperta ai visitatori. Il nostro, è alla ricerca di materiale di risulta, residuale, quale pezzi di radici, rami, cortecce di albero, ma anche radica, castagno, “poiché - ha continuato - molti di questi elementi già di per sé sono disegnati dalla natura. Io non faccio altro che plasmare le forme e le figure con l’utilizzo dello scalpellino e della verniciatura. Lavorare il legno la ritengo una attività appagante, poichè oltre alla normale soddisfazione che si ha dopo essere riusciti a costruire qualcosa con le proprie mani, si ha anche il piacere di sentire il suo profumo naturale, nonchè di tirar fuori, da un materiale irregolare e freddo, forme e figure concrete, vibranti nella loro essenza”. La povertà dei materiali impiegati da Carbone ha arricchito la creatività dell’artista, suscitando nel visitatore incuriosito l’emozione che può scaturire dalla semplicità e nel contempo dalla precisione degli elementi. Carbone “raccatta” tutto ciò che per l’uomo moderno risulta inutilizzabile, vecchio, desueto e lo ricostruisce con destrezza ed inventiva. Carbone è riuscito a suscitare stupore e positività nei numerosi visitatori della

sua personale, con le sue invenzioni, per la ricercatezza e la perfezione del risultato. Un plauso è da rivolgere ai numerosi artisti ed artigiani locali, che attraverso la passione verso le forme dell’arte e la bellezza, fanno rivivere gli antichi mestieri, riportando ai giorni nostri i lavori autoctoni, quali quelli della pietra verde, del legno, della scultura, della pittura, del cucito, della calzoleria, senza dimenticare i molteplici prodotti dell’arte culinaria. Tutto ciò rappresenta una continuità ed uno stimolo importante per il sapere nel tempo nelle generazioni a venire.


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Moira, signora del circo ci ha lasciati di Clemente Corvo

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occa anche alle icone dello spettacolo spegnere per sempre l’interruttore, quello che per anni ha tenuto acceso le luci della ribalta. Moira Orfei se n’è andata nel sonno: le paillettes e i marcatissimi trucchi che hanno da sempre fatto parte dell’alone scenico che la accompagnava, saranno per sempre un indelebile ricordo da abbinare alla sua originale personalità. Donna di spettacolo a tutto tondo: del Circo sicuramente, ma non ha disdegnato neanche il cinema, né la TV quando sono state richieste sue apparizioni. Il mio ricordo, visto che ho avuto il piacere di conoscerla, unitamente ai componenti di tutti la famiglia: Walter Nones il marito, Stefano e Lara, i figli, è quello di una donna determinata, che ha saputo tenere la scena come indiscussa soubrette, ma che al tempo stesso ha curato col cuore gli affetti della famiglia, convinta che quella (la famiglia) era da tenere strettamente nel recondito delle cose belle: le paillettes per la scena, il genuino per la famiglia. Mi auguro che, passato lo scotto che la perdita di una persona cara determina, il nome di Orfei, quello vero, continui a giganteggiare nel mondo con la qualità di spettacoli che poche altre strutture

Moira Orfei

circensi si possono permettere. L’invito è chiaramente rivolto a Walter, Stefano e Lara, affinché sappiano tenere alto il nome che la grande Moira ha saputo tanto bene rappresentare. Voglio ricordare le date del tour in Calabria: 2006 - Gioia Tauro 15-19 Giugno, ospiti del signor Teodoro Mazzaferro e dell’indimenticabile Ciccio Mazzaferro; Catanzaro Lido 22 Giugno-3 Luglio; Zumpano 5-9 Luglio; Paola 12-16 Luglio; Scaleo 18-23 Luglio; Marina di Gioiosa Jonica 26 Luglio6 Agosto; Marina di Schiavonea 23-28 Agosto. Le date del 2008 - Reggio Calabria 6-15 Giugno; Gioia Tauro 19-23 Giugno, ospiti del signor Alfonso Annunziata; Corigliano Calabro 26-30 Giugno. Il 2012 - Reggio Calabria 19 Aprile - 6 maggio; Lamezia Terme 9-12 Maggio; Zumpano 17-21 Maggio; Castrovillari 24-27 Maggio. Anche a Gioia Tauro, ricordo la grande passione, l'entusiasmo e la soddisfazione della famiglia Orfei nell'accettare il mio invito ad esibirsi nella mia città nel 2006, in concomitanza con il campionato Mondiale di calcio. Si presagiva che, il caldo e l’interesse per i Mondiali, avrebbero tenuto lontano la gente dal tendone del circo, che in quell’occasione si era attrezzato con dei superlativi apparecchi volti al condizionamento dei locali di spettacolo, visto il caldo torrido. È stato un successo così eclatante che Moira non se lo aspettava; al punto che ebbe a dire con sincerità al numerosissimo pubblico presente agli spettacoli, che a dispetto del suo scetticismo e delle sue riserve circa la presenza della struttura circense nella nostra terra, mai aveva ricevuto calorosi apprezzamenti professionali e veritiera partecipazione di pubblico come in quell’occasione, il grido di viva Gioia Tauro e viva i Gioiesi, i circa 1500 spettatori presenti anche all’ultimo spettacolo, balzarono in piedi gridando “Moira-Moira-Moira”, attribuendo alla regina del circo applausi per circa 10 minuti. Ella si riprometteva di tornare, cosa che si è avverata nell’anno 2008. Le amministrazioni comunali di Gioia Tauro hanno attribuito in entrambe le circostanze riconoscimenti con simboliche targhe nel ringraziare la famiglia Orfei, per aver inserito nel loro tour la città di Gioia Tauro che era da oltre 30 anni che aspettava l’evento. La stessa città avendo appreso la scomparsa della loro amata e stimata Moira, in gran numero si è rivolta a me per estendere la loro vicinanza alla famiglia Orfei. L’albo dei ricordi, come si suole fare con i mortali meno famosi, voglio si fermi qui anche per Moira, grande persona. Nel momento del congedo, desidero a lei dire Grazie per quanto ci ha regalato ed augurarle una magnifica Vita Eterna. Ciao Moira!


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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana La Madonna col Bambino in Galatro a cura di Diego Demaio

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ella nicchia centrale del trittico marmoreo, comprendente anche le statue di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista, del policromo e monumentale altare maggiore (alto metri 7,20) della Chiesa di San Nicola in Galatro è collocata la raffinata scultura della Madonna col Bambino, detta pure Madonna della Valle. La pregevole opera in marmo di Carrara (alta cm 170 con incluso lo scannello di cm 25) è attribuita, ormai quasi unanimemente, al grande artista carrarese Giovambattista Mazzolo che l’ha scolpita tra il 1517 ed il 1523. L’attuale collocazione del magnifico trittico nella parrocchia di San Nicola risale al 1791 dopo che l’antica Chiesa di Santa Maria della Valle, dal nome del patrizio romano mons. Andrea Della Valle (fu vescovo di Mileto dal 1508 al 1523 e poi cardinale), era stata distrutta dal catastrofico terremoto del 1783. La bella scultura raffigura la Madonna, profondamente assorta nella divina riflessione, mentre regge sul braccio sinistro il Bambino benedicente. La significativa iconografia dell’opera è rappresentata dalla mela (a perenne ricordo del peccato orginale) nella destra della Vergine e da una purtroppo acefala colombina (simbolo di purezza e di pace) nella mano sinistra di Gesù. Sulle tre facce anteriori dello scannello esagonale sono inoltre mirabilmente rappresentati l’Arcangelo Gabriele, la Natività e l’Annunciata. In riferimento alle altrettanto pregevoli sculture laterali (alte 160 cm) del trittico, ovvero ai due San Giovanni, si suppone che entrambe siano riconducibili alla bottega napoletana di Giandomenico Monterosso e che risalgano al terzoquarto decennio del ‘600. Nella stessa Chiesa Matrice, accostata alla parete destra della navata, si potrà infine ammirare l’interessante statua marmorea (alta 193 cm incluso l’artistico scannello) di San Nicola, Patrono di Galatro, databile al secondo-terzo decennio del ‘500 ed attribuita alla bottega del maestro Giovambattista Mazzolo. Per alcuni studiosi la scultura è invece ritenuta di scuola toscana del XV secolo. La Madonna col Bambino

(Foto Dr. Diego Demaio - Riproduzione vietata)



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