Periodico d’informazione della Piana del Tauro, nuova serie, n° 4, Novembre 2012 - Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999
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I giovani: quale futuro?
Tanta paura dietro la maschera
Mai dire Lazio
Storie di sperperi e dintorni
Il Piano delle Fosse
agli albori della storia di Gioia
Taurianova: Giudice di Pace, Querelle infinita
Codice Rosso Sanità ai raggi x nel libro di Badolati e Sabato
Beach Cross: Il Campione del mondo Cairoli entusiasma a Soverato
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Corriere della Piana del 16 Novembre 2012
sommario
Riceviamo e pubblichiamo
“querelerò chi mi ha diffamato”
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o dovuto scoprire, con disappunto e rabbia, poche righe pesanti come macigni, con le quali i redattori dell’informativa che ha portato allo scioglimento del Consiglio Comunale di Reggio Calabria, mi hanno attribuito frequentazioni di malavitosi, in linea con quel concetto di contiguità con le ‘ndrine richiamate dal Ministro Cancellieri, dopo la decisione di sciogliere il consiglio comunale. Da persona che crede nei valori della giustizia e della legalità, mi chiedo come i redattori abbiano potuto esprimersi nei termini usati. In sintesi: il sottoscritto sarebbe stato controllato (quando e da chi?) in un aeroporto insieme a un imprenditore oggi ritenuto mafioso o colluso con la Mafia, ma che in quell’epoca ERA IN POSSESSO DI CERTIFICATO ANTIMAFIA!!! Il soggetto in questione, Matteo Alampi, aggiudicatario di un appalto, mi aveva conferito – con altri tecnici – un incarico professionale (implicito e superfluo dire che per partecipare alla gara aveva dovuto produrre il proprio certificato antimafia) Da ciò la necessità di incontrare a Padova il Prof. Raffello Cossu, capo e coordinatore di un impianto per il trattamento dei rifiuti in provincia di Messina. Certificato antimafia alla mano Alampi non era considerabile colluso con la Mafia. Bisogna ora dubitare del valore del certificato Antimafia come documento degno di pubblica fede? Nel secondo episodio, i redattori segnalano il sottoscritto a Ricadi (VV) in compagnia del “pregiudicato” Avv. Giuseppe Luppino. Il professionista gioiese, che sta dimostrando, attraverso l’esibizione dei certificati del casellario, di non essere pregiudicato e di non aver carichi pendenti, in quell’epoca, rivestiva cariche pubbliche conferitegli dal potere politico. Orbene, ancora una volta, che avrei dovuto fare? Indagare, criticare e sindacare l’operato del potere politico in relazione alla nomina dell’oggi ritenuto colluso, ma all’epoca dell’incontro, referente istituzionale dello Stato, manager nominato dal potere politico e sulla cui nomina nessun altro potere, investigativo o magistratuale, nulla aveva obiettato? Il sottoscritto era con una persona che aveva una veste ufficiale. Ciò avrebbe dovuto imporre ai redattori dell’informativa altro tatto e maggior rispetto per la dignità delle persone, da essi, ingiustamente, inserita in un quadro di collateralità con quell’habitat mafioso reggino, che dall’analisi dello scritto, doveva, invece, essere da tempo ben noto a coloro che hanno argomentato sulla situazione reggina. Per la mia integrità, ho diretto l’ufficio tecnico comunale a Gioia Tauro (dal 1998 al 2000), chiamato da Aldo Alessio, un Sindaco mai considerato mafioso, e poi (fra il 2001 e il 2002) a Rizziconi, chiamato da UNA COMMISSIONE PREFETTIZIA ANTIMAFIA!!! Detto questo, anticipo che sporgerò querela contro i redattori della relazione per aver leso la mia immagine e la mia onorabilità. Ing. Lauro Mamone
Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro Direttore Responsabile: Luigi Mamone
Redazione Hanno collaborato a questo numero: Filippo Speranza, Giuseppe Longo, Maria Cannatà, Carmen Ieracitano, Domenico Zito, Michele Ferraro, Rocco Militano, Giovanni Rigoli, Rosamaria Irsuto, Gianluca Sapio, Caterina Sorbara, Antonino Martino, Mara Cannatà, Diego Demaio, Veronica Iannello, Salvatore Greco, Corrado Mileto, Gaetano Mamone, Raffaella Morano, Luigi Cordova Foto: Diego De Maio, Free's Tanaka Press Salvatore Greco, Gianluca Sapio Domenico Lucà Foto di copertina: Free's Tanaka Press Grafica e impaginazione: Mariachiara Monea Stampa litotipografia: Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 cordovaluigi@alice.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) e-mail: corrieredellapiana@libero.it La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 10-11-2012
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Editoriale Mai dire Lazio La Piana in ginocchio e la mafia... Differenziata Chiuso il "Luigi Daga" Giudice di Pace Querelle infinita
Don Enzo Condello: Testimone ed educatore
Codice Rosso Sanità tra sperperi, politici e 'ndrangheta
Don Lillo Altomonte “Profeta degli ultimi, Padre dei poveri”
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La vita come vocazione Giovani d'oggi, quale futuro? "Piano delle Fosse"
La donazione degli organi può salvare tante vite
Una borsa piena di solitudine Lo shopping compulsivo
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La decorata cornice della Piana Il Monte Limina
Itinerari rivolti all'anima "AUREA"
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Tutto è paesaggio Scenari da difendere e salvare "E Martino tornò a casa" Ricordare Domenico Taverna Domenico Taverna "Onda d'urto" Beach Cross
Con riferimento all’articolo pubblicato nel n.3 del corriere della Piana, intitolato: “Le Mein kampf di Molinaro” si precisa che la scelta dei titoli non è stata effettuata dall’articolista e che, senza assolutamente aver inteso parallelismi in chiave nazional socialista, si è utilizzata la terminologia tedesca al solo fine di stimolare, come ogni titolista ben sa, la curiosità dei lettori. Il direttore responsabile
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Editoriale
L’ultimo treno per Danzica “Grillo sbanca in Sicilia alla vigilia di una stagione di contrasti sociali violentissimi che scandiranno la fine del “secondo ventennio” italiano”
di Luigi Mamone
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l risult a t o elettorale siciliano, con il Movimento 5 Stelle di Grillo in testa alla classifica delle liste più votate, in una tornata elettorale dominata dall’astensionismo e dal crollo, più o meno accentuato, dei consensi verso le altre sigle (sì, sigle, per decenza non possiamo chiamarli partiti), con la “cacciata” da Palazzo delle Aquile” delle sigle riconducibili a Fini, Di Pietro e Vendola, danno la misura di quanto le vicende che hanno portato al Governo Monti e poi la governance di questo leader non eletto e non amato, palese difensore del commonwellstate bancario, hanno fatto il resto, scavando un solco incolmabile tra la politica del “secondo ventennio” e il resto del paese. E ora è tardi per correre ai ripari. Tutta una genia di soggetti che, indegnamente, siedono in Parlamento e al Senato, stanno per giungere al capolinea, ma forse fanno finta di non capire che il tempo massimo è scaduto per il modo nepotistico, apparentemente manageriale e quasi “bocconiano”, ma di fatto soltanto ipocrita,capace di fare una politica sterile, incentrata sull’appariscenza e sull’ostentazione. Una politica, in realtà – sia sul versante della maggioranza che su quello delle opposizioni – che ha avuto come unico, comune e condiviso obiettivo, quello di cristallizzare posizioni di potere e di egemonismo, non disgiunte dall’interesse personalistico di molti che – alla fine – come le cronache hanno evidenziato, si sono trovati al centro di scandali economici, fatti di corruttela e speculazione, di maneggioni e faccendieri, di portaborse ed entrenaueses. Questo scialo di triti fatti, purtroppo, è andato avanti per anni, diretto da una oscura regia, che ha guidato il paese fino a farlo finire nel nodo scorsoio del potere bancario e internazionale. Appare ancora oggi incomprensibile, quasi da feulleiton, che la fine della prima Repubblica sia stata innescata dalla furia moralizzatrice che portò un oscuro PM della Procura di Milano, Antonio Di Pietro, a ricevere le confidenze accusatorie dell’amante del faccendiere Mario Chiesa, e che, dalle corruttele legate alla gestione del “Pio Albergo Trivulzio”, si innescasse una spirale che alla fine travolse partiti come la Dc, il PSI e il PCI, consentendo, come secondo step, all’oscuro regista della tragedia italiana, un golpe assolutamente indolore, una sorta di eutanasia della democrazia, stravolta dal maggioritario e, quindi, donata al berlusconismo. E da qui, come passo necessitato – terzo step della soppressione
della democrazia in Italia – al Porcellum, figlio di una tentazione egemonizzante e di un perverso disegno dittatoriale, nel quale gli eletti sono in realtà dei nominati e le nomine rispecchiano crudeli strategie di nepotismo finalizzato al mantenimento del potere, affidato a colletti bianchi, parvenu – bande di eleganti ladroni e di rozzi malavitosi tiratisi a lucido. Cerchi magici e dintorni. Dal Parlamento dei nominati, parvenu e arricchiti, sono derivate solo riforme demenziali, progetti di legge destinati ad intaccare i pilastri dello Stato, quali la scuola e il diritto allo studio o il diritto alla giustizia, mentre, sul piano finanziario, i nominati non erano in condizione di capire la necessità di creare condizioni di crescita economica atte a garantire la difesa dei principi costituzionalmente fondanti, quali il diritto al lavoro e l’incentivazione in ogni forma del risparmio. Da “Spendete, italiani, chè più spendete e più l’economica cammina!” del primo Berlusconi, alla mancata difesa del potere d’acquisto della vecchia lira dopo l’ingresso dell’Euro, fino alla recente IMU, si è sprofondati sempre più nelle sabbie mobili della strategia bancaria dell’indebitamento di massa. Microcredito, globalizzazione e dintorni shakerati in un gioco al massacro, nel quale hanno guazzato stampa di potere e televisione di regime, demonizzando a clichet il personaggio da distruggere in ossequio ai diktat dei padroni dell’editoria. L’Italia è così scivolata nel baratro in maniera indolore, senza apparentemente accorgersene, tutti presi da vicende di nessun pregio: overdose di Grande Fratello e reality, Maria de Filippi e Bruno Vespa, partite di calcio e gran premi di F1, buoni solo a soporizzare le coscienze. Ora il risveglio è atroce. L’Italia è alla fame e dalle urne siciliane non emerge il voto di protesta, ma lo spettro di una rivoluzione. Il “Movimento”, come Grillo chiama la sua formazione, sgomenta e fa paura, non perché siano anticonformisti e avulsi dalle regole canoniche dell’amministrazione e del governo, ma perché sono degli integralisti. “El movimiento” era il gruppo d’azione politica che portò Fidel Castro al potere prima e alla Dittatura fino ad oggi. I toni e i concetti di Grillo paiono essere, essi pure, intrisi di un embrione dittatoriale che deve preoccupare, anche perché Grillo come politico, nasce non da una sentita passione per il bene comune ma, piuttosto, da un sentimento di vendetta contro quei potenti della seconda Repubblica che lo avevano ridotto al silenzio, imponendo alla RAI, e non solo, di fare terra bruciata intorno a lui, così come avevano fatto con Enzo Biagi e con Santoro. Da lì la risposta veemente e imprevedibile di un uomo esacerbato, che mostra intatto, ancora oggi, il livore contro quella discriminazione, mentre si prepara a relegare, in un angolo remoto della storia politica italiana, il Berlusconismo e il perbenismo bersaniano: leader, gerarchi e parvenu che, a suon di risultati, come quello Siciliano, verranno fatti salire a furor di popolo su una tradotta, con un biglietto di sola andata: l’ultimo treno per Danzica. E sullo sfondo, nubi di tempesta e di rinnovati contrasti sociali che, prima o poi, sfoceranno in rivolta di popolo. Di questo – e non delle accuse mossegli nei tanti processi subiti e in celebrazione – crediamo, Silvio Berlusconi e la sua intelligencjia, ma anche Napolitano e Monti, dovranno rispondere verso gli italiani e verso la storia.
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Mai dire Lazio Indennità, royalties e sprechi di Filippo Speranza
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ono ormai di domino pubblico, i fatti del Consigliere Regionale Fiorito, detto “Batman”, e gli scandali di questo tipo che sono scoppiati (vedi On. Lusi ex-Margherita e famiglia Bossi con gli amici della Lega Nord) e che con ogni probabilità stanno per scoppiare o arriveranno a breve. La Regione Lazio, sul fronte delle spese per il funzionamento del Consiglio regionale e di quelle per il finanziamento dei gruppi politici, ha sicuramente ottima compagnia. Dai rendiconti 2011 dei Consigli regionali, si vede che le indennità (stipendi dei consiglieri, inclusi rimborsi spese, i costi per le assicurazioni e altri benefit) nel Lazio pesano per 24 milioni di euro, ma Sicilia e Sardegna nel 2011, sostanzialmente, sono su questi traguardi osceni: infatti, hanno speso poco meno, rispettivamente, 22,3 milioni e di 20,3 milioni. La situazione è peggio di quello che sembra: “la non omogeneità dei bilanci regionali non consente una facile interpretazione delle spese in oggetto”e lo dicono i tecnici del Sole 24 ore. La cura dimagrante imposta dalla Polverini (subito dopo lo scandalo Batman- Fiorito) alle Commissioni speciali del Consiglio Regionale, con la proposta di legge approvata e il taglio annunciato alle Commissioni ordinarie, mira a ridurre le spese per gli incarichi dei consiglieri, anche se la spesa tornerà semplicemente ai livelli del 2009, cioè agli sperperi normali e non straordinari. Tra le Regioni più virtuose, invece, figura l’Emilia Romagna, in cui la spesa per le indennità dei 50 consiglieri incide per 162 euro per ogni 100 abitanti, e, comunque, non è poco. Per farsi un’idea
più chiara, di seguito, si elencano le spese per ogni 100 abitanti. Per le indennità la Regione più costosa è la Valle d’Aosta, con una spesa totale di 5.354.822 euro, spesa per ogni 100 abitanti euro 4.176; a seguire Molise, con spesa per ogni 100 abitanti per 1.689 euro e Basilicata con 1.248 euro. Per i vitalizi agli ex consiglieri, la Sicilia spende 21 milioni all’anno, la Sardegna e il Lazio oltre 16 milioni, la Campania oltre 14 milioni. Se si valuta l’incidenza degli abitanti, balzano ancora in testa Molise e Valle D’Aosta, rispettivamente 1.506,00 euro e 1.161,00 euro ogni 100 abitanti. Per gli esborsi ai gruppi consiliari, che sono al centro dello scandalo laziale, per il denaro dirottato al finanziamento di spese private, addirittura appare poco chiaro nel Lazio già l’importo della somma stanziata per i gruppi. Nel rendiconto 2011, infatti, il denaro consegnato alle compagini presenti in consiglio è stato accorpato in una sola posta di bilancio che vale 52,2 milioni, insieme con spese di rappresentanza del Presidente del Consiglio, le spese postali, per i telefonini, la cancelleria e la formazione; quando si dice trasparenza di bilancio!!! Dopo il Lazio, ovviamente, tiene il primato di questa vergogna, la Sicilia, che è la più generosa
con i gruppi, che impegna per il 2011 euro 13,7 milioni di euro, a seguire la Lombardia con 12,3 milioni. La degenerazione lega molto bene Nord e Sud. Nelle spese per il personale del Consiglio rientrano gli stipendi dei dipendenti e dei dirigenti o quelli dei giornalisti dell’ufficio stampa, ma anche le divise e i buoni pasto. A spendere di più nel 2011 sono, ed era noto, la Sicilia, con (e qui ci vorrebbe un applauso di sdegno) ben 44,2 milioni, la Campania 31 milioni, e, con sorpresa, il Veneto leghista, 30 milioni. Tutto ciò elaborazione del Gruppo Sole 24 ore sui Rendiconti dei Consigli regionali relativi al 2011 e 2010 solo per Campania Friuli Venezia Giulia e Veneto. E la nostra Calabria, come si colloca nelle classifiche della vergogna? Abbastanza bene! Bene per modo di dire. Per le indennità si spende 7.026.198 euro, per i vitalizi 6.291.678 euro (nono posto tra i più costosi), per i gruppi consiliari 4.609.046 euro (ottavo posto tra i più costosi), per il personale 11.480.608. Come diceva una pubblicità televisiva di qualche anno fa: “meditate gente, meditate!” Se la stessa volontà fosse stata impiegata per redigere progetti per rispettare le scadenze comunitarie, e non perdere i contributi UE (Unione Europea), la cosa non sarebbe dispiaciuta affatto.
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La Piana di Gioia Tauro è in ginocchio e la 'ndrangheta ringrazia
di Giuseppe Longo
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a Piana di Gioia Tauro vive oramai la crisi economica e sociale più grave dell’ultimo decennio a causa dell’attuazione di politiche slegate a quelle che sono le reali esigenze del nostro territorio e della sempre maggiore capacità di infiltrazione del malaffare, sia nelle istituzioni pubbliche, che nella gestione del sistema rifiuti e del Porto di Gioia Tauro. Di fronte al dramma che vivono quotidianamente le famiglie pianigiane sempre più vicine alla soglia della povertà e, pertanto, più facilmente arruolabili dalla criminalità organizzata, assistiamo da parte del Governo regionale e nazionale a continui tagli in tutti i settori nevralgici della vita politica. La chiusura di ospedali, scuole e tribunali in nome di una illogica razionalizzazione della spesa a scapito di giovani, lavoratori e pensionati, costituisce un chiaro e pericoloso indebolimento del tessuto civile e democratico del territorio. Un Governo ed un Parlamento che usano le forbici senza attivare il cervello sono da mandare a casa al più presto. Emblematica, ad esempio, la decisione di chiudere indistintamente tutte le sezioni staccate di tribunale, comprese quelle che nel corso degli anni si sono distinte per efficienza e produttività (vedi ad esempio la sede di Cinquefrondi). Il Tribunale di Cinquefrondi, infatti, serve ben 22 Comuni (da Candidoni ad Oppido Mamertina), con un bacino di abitanti di gran lunga superiore a quello del Tribunale di Palmi e con un carico di lavoro nettamente superiore alla sede centrale di Palmi. La decisione di chiudere dal prossimo Settembre anche la sezione staccata di Cinquefrondi non ha certamente privilegiato l’efficienza ed è da ritenere assurda, anche in tema di risparmi, in quanto i locali sono di proprietà del Ministero di Grazia e Giustizia ed i costi di gestione annui sono per circa 80 mila euro a carico del Ministero e per circa 30 mila euro a carico del Comune. Costi irrisori che non possono assolutamente giustificare la chiusura di un presidio di legalità importante, con annesse ricadute negative, anche in termi-
Avv. Giuseppe Longo Consigliere provinciale PRC
ni economici, per il territorio. Da circa un mese è stato addirittura chiuso il carcere a custodia attenuata di Laureana di Borrello, modello di rieducazione e reinserimento sociale del detenuto, che ospitava giovani tra i 18 ed i 40 anni, colpevoli di reati comuni e che al loro ingresso dovevano rinnegare la ndrangheta. Nello specifico, quello di Laureana rappresenta un modello positivo da esportare in tutta Italia, in un panorama in cui la situazione drammatica delle carceri non trova rimedio nella legislatura, il Daga è l'unico istituto in cui alle persone che vi arrivano viene offerta una vera possibilità di riscatto. Un modo concreto per ridare alla società un uomo migliore. La sua chiusura, a fronte di una ridicola quanto illogica motivazione, è di una gravità inaudita, in quanto lo Stato è riuscito a fare ciò che la criminalità organizzata per anni si è augurata avvenisse, in quanto i casi di recidiva riguardanti i soggetti che hanno espiato la pena al Daga sono inferiori al 10%. Il caso Piana Ambiente si rivela purtroppo ogni giorno di più come un fallimento sistemico, che trascina con sé diritti dei lavoratori e dei cittadini, aspettative di collaborazione fra enti pubblici per il bene comune, tutela ambientale, preso atto del notevole aumento di casi di tumore e sclerosi nella Piana. Il fallimento di una società che vanta 5 milioni di crediti è al tempo stesso diventato il simbolo di un Sud inceppato nel suo avanzamento sociale, civico e culturale. Il fatto stesso che molti Comuni diano poco credito a un soggetto consortile che prenda il testimone di Piana Ambiente e che stiamo subendo un raddoppio di inceneritore senza conoscerne il reale impatto ambientale, conferma quanto il nostro territorio sia impantanato in una battaglia di particolarismi, visioni dal respiro cortissimo. Eppure, è il lavoro di squadra, la messa in
rete delle soggettività deputate alla cura del territorio, che consente sviluppo e trasparenza e frena lo sperpero di risorse pubbliche.Il porto di Gioia Tauro sembra non avere futuro ed essere menzionato solo per sequestri di carichi di cocaina. Da diversi mesi si susseguono solo proclami e passerelle intorno allo scalo gioiese, senza mai alcun concreto risultato che ne rilanci la credibilità sul piano internazionale, come se si fosse rassegnati ad avere un porto che sulla carta è il primo del mediterraneo ma nei fatti destinato a morire e con esso le residue speranze dei lavoratori che sono in cassa integrazione. Non si capisce perché non siano stati sbloccati i fondi dell’Accordo di Programma Quadro su Gioia Tauro, così come ciò che riguarda l’abbattimento dei costi del lavoro e le agevolazioni fiscali tipo area franca, o la posizione di Rete Ferroviaria Italiana sul gateway e al collegamento ferroviario. La dignità e i sacrifici dei lavoratori del porto non devono essere sacrificati, perché bisogna pretendere che MCT dia a Gioia Tauro la stessa attenzione e lo stesso rispetto che sta concedendo ai porti del nord Italia, perché la c.d. ristrutturazione aziendale non si attua applicando una flessibilità esasperata senza alcuna garanzia per i lavoratori che rischiano di essere inseriti in una strada senza ritorno. In questo scenario di povertà generale in cui urge uno scatto di orgoglio e dignità da parti di tutti, ritengo che i parlamentari calabresi stiano per concludere una legislatura per loro politicamente fallimentare, perché la nostra regione, soprattutto in questi due ultimi anni, ha subito le peggiori angherie senza che nessuno abbia mai posto un problema serio di fiducia al partito di appartenenza e di conseguenza ad un Governo che ha dimostrato di essere debole con i forti e forte con i deboli.
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Raccolta differenziata
dal pattume nuove risorse Cittanova avanguardia di senso civico
di Carmen Ieracitano
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ittanova detentrice di un record positivo nella Piana di Gioia Tauro: quello sulla raccolta differenziata, che il nuovo sistema in uso di raccolta porta a porta, con la totale eliminazione dei cassonetti pubblici, ha reso obbligatoria per tutti i cittadini, facendo balzare le percentuali dal 21% ad una media del 70%, con punte, nei mesi estivi di Luglio e Agosto, dell’81%. Più del doppio del 40% minimo previsto dall’Arpacal per usufruire degli incentivi di smaltimento. Il successo ottenuto dal progetto, che è stato possibile attuare tramite i fondi POR 2007/2013, e denominato “Differenziamoci! La raccolta intelligente”, segna senz’altro un punto d’onore per l’Amministrazione del Sindaco Alessandro Cannatà. In vigore dal mese di Aprile, il metodo prevede due passaggi settimanali (tre durante i mesi estivi) di raccolta dell’umido, uno per il multi materiale ed uno per il secco non riciclabile (indifferenziata), con un passaggio supplementare ad esclusivo benificio di cittadini con esigenze particolari (pannolini e pannoloni), tenuti a farne specifica richiesta. Carta e vetro vengono raccolti periodicamente con frequenza rispettivamente quindicinale e mensile. Tutte le scadenze sono raccolte in un calendario dato in dotazione ad ogni cittadino, assieme a tutto il kit necessario per la raccolta: i cassonetti in plastica da posizionare all’esterno dell’abitazione esclusivamente nel giorno di raccolta, marrone per l’umido, grigio per il secco non riciclabile, blu per il multi materiale, bianco per carta e cartone, verde per il vetro, più una praticissima guida al corretto posizionamento all’interno di essi di ogni materiale di rifiuto. Per facilitare il lavoro degli addetti la cittadina, tramite una planimetria, è stata suddivisa in zone contraddistinte da un colore diverso. Le utenze particolari, come bar o locali con un grande utilizzo di vetro per esempio, hanno diritto a cassonetti di maggiore dimensione, al permesso di lasciarli all’esterno del locale e al passaggio quotidiano degli addetti alla raccolta. Per tutti un codice a barre di identificazione. Per le vie cittadine sono attualmente presenti solo i cassonetti
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La raccolta intelligente punto di forza dell'amministrazione
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specifici per la raccolta degli indumenti usati e, presso alcuni esercizi commerciali, come per esempio le farmacie, quelli per la raccolta dei medicinali scaduti e delle pile. E’ inoltre attiva, e ottimamente gestita, la discarica presso la quale ogni cittadino può recarsi gratuitamente a depositare i rifiuti di grosse dimensioni come mobili, elettrodomestici e affini (i cosiddetti RAEE). Chi non ha la possibilità di farlo personalmente può, tramite la richiesta specifica all’Ufficio Ambiente presso il Comando Municipale dei Vigili Urbani, lasciarli comodamente davanti a casa e attendere il ritiro da parte degli addetti. Il sistema è anche stato illustrato ai cittadini, prima di entrare in vigore, con alcuni incontri informativi tenutisi, tra Marzo e Aprile, presso la Biblioteca Comunale. Nonostante alcune perplessità iniziali, dovute soprattutto allo spazio casalingo in cui collocare i cassonetti, i cittadini si sono ben presto abituati al nuovo sistema finendo per trovarlo anche molto più comodo del precedente. “I dati riscontrati nell’ultima stagione ci rendono orgogliosi e portano a Cittanova la palma della virtuosa, tra le cittadine della Piana, nel campo della sostenibilità ambientale. A livello pratico, passando per le vie del paese, chiunque può notare la differenza, in quanto a ordine e pulizia. Sappiamo che i cittadini sono contenti di questo, e anche consapevoli del fatto che la riduzione dei costi di smaltimento porterà beneficio anche ai singoli, con conseguente riduzione della tassa sui rifiuti. Non possiamo che essere soddisfatti dei risultati raggiunti”- è il commento del sindaco Alessandro Cannatà.
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Ulteriore miserrima azione del Governo Monti
Chiuso il “Luigi Daga”, detenuti alla perdizione
Era un esempio europeo di efficienza nel recupero dei condannati
di Luigi Mamone
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a chiusura, improvvisa, dello stabilimento penitenziario Luigi Daga, a Laureana di Borrello, rappresenta la conferma della voragine nella quale l’ottusità dei tecnici che ci governano e quella dell’intelligencjia dei burocrati di uno stato apparato sempre più distante dalla realtà, stanno facendo sprofondare l’Italia. Nei giorni in cui i TG di tutte le reti nazionali levavano alti lai contro il sovraffollamento delle carceri, la promiscuità, l’invivibilità e l’assoluta inidoneità della carcerazione ai fini dell’emenda e della rieducazione, atteso che l’espiazione accomuna giovani detenuti e galeotti di ogni età in un girone infernale, rappresentato dal mondo parallelo della cattività carceraria, sapere che in Calabria, una piccola struttura stesse raccogliendo attestazioni di benemerenza per i percorsi educativi e di recupero alla socialità, che realmente consentivano agli utenti di tornare alla vita libera con prospettive nuove e con un reale percorso di crescita personale e culturale, era gran cosa. Sapere che all’improvviso questa struttura, il Luigi Daga, venisse soppresso perché i burocrati lo avevano considerato un ramo di spesa da tagliare addolora. E’ un tassello di una conquista di civiltà che viene meno. Fa rabbia e fa specie sapere che, dati contabili alla mano, il Daga non producesse spese insostenibili e che la stessa Amministrazione di Laureana supportasse una presenza importante per l’immagine e per l’economia del paese. Tralasciando questo aspetto, interessa in questa sede evidenziare il dato sociologico della presenza del Daga. La detenzione vista e vissuta come emenda e come recupero. Anziché sopprimere una struttura modello, esempio europeo di validità gestionale, il Daga andava incentivato. Numerosi giovani detenuti destinati alla perdizione in altri stabilimenti sovraffollati, dove spesso saranno iniziati alle costumanze malavitose, avrebbero potuto essere salvati a Laureana e in altri istituti come quello di Laureana. Purtroppo, e l’attuale classe dei politici italiani nello loro totalità ha questa colpa, il Governo Monti sta uccidendo qualsiasi speranza di un futuro migliore. E la soppressione del Daga ne è la conferma. Come pure il silenzio di questa genia di parlamentari, che non rappresentano altro che se
stessi e la loro bolsa alterigia, incapaci come sono di prendere una posizione unitaria – se si vuole trasversale –, ma che abbia come unico obbiettivo la difesa della Calabria. Non sono mancate le riunioni, i sit in, le proteste. Tanto clamore che – gattopardianamente – alla fine non cambierà lo stato delle cose. Peccato. Peccato; perché chi ha sbagliato ha diritto a una seconda chance. A Laureana questo era possibile. Fino a ieri. Grazie Mario Monti. Anche di questo darai conto alla storia e, forse, un giorno anche alla tua coscienza. Non si vive solo di equilibri bancari e di ossequiosa accondiscendenza alle teoria di economia domestica trasposte in finanza (l’antitesi dello stato sociale) di cui Frau Merkel è assertrice.
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Struttura penitenziaria d'eccellenza per il recupero dei deviati che non andava chiusa»
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La soppressione dell'Ufficio del Giudice di Pace di Domenico Zito
Querelle infinita
fra parlamentari che nicchiano e amministratori immobili
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AURIANOVA – “Salvare l’Ufficio del Giudice di Pace di Taurianova”: è questo l’accorato appello che l’On. Angela Napoli, parlamentare taurianovese, e l’Avv. Giuseppe Sorace, difensore civico emerito, hanno rivolto al Sindaco ed alla sua amministrazione. Romeo ha risposto che la situazione economica dell’ente è disastrosa, chiedendo l’intercessione della stessa Napoli presso alcuni ministri. Sorace ha rilevato per prima cosa che “Nel momento in cui il Giudice di Pace ritrova nuova centralità e maggiore importanza per la bocciatura della mediazione obbligatoria da parte della Consulta, Taurianova sembra perdere ogni speranza di mantenerne la sede per la mancata attivazione delle procedure da parte dell’amministrazione comunale”. Lo stesso legale ha di seguito aggiunto che “altre amministrazioni comunali stanno esperendo i dovuti passaggi per evitare la soppressione dei relativi uffici del giudice di pace, mentre a Taurianova sembra prevalere la rassegnazione e nulla di concreto è stato sin qui praticato”. Sulla medesima lunghezza d’onda si è sintonizzata pure la componente della Commissione antimafia, che ha evidenziato come “Oggi, nel mentre registro iniziative assunte da altri comuni calabresi per mantenere l’ufficio del Giudice di pace, sono costretta a constatare la più assoluta indifferenza mantenuta dal Sindaco del Comune di Taurianova relativamente al problema in oggetto”. La stessa Napoli ha poi, più in dettaglio, spiegato i termini della vicenda: “In forza della legge 14 Settembre 2011, n. 148, recante delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, il Consiglio dei Ministri, ha deliberato la nuova distribuzione sul territorio degli uffici del Giudice di pace, allocando gli stessi nelle sedi del distretto giudiziario”. La deputata ha quindi fatto presente di aver già “segnalato al Sindaco del Comune di Taurianova, attraverso una lettera aperta, la possibilità (in base all’articolo 3 della stessa legge delega) di richiedere, entro sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto, il mantenimento degli uffici del Giudice di pace, di cui è stata deliberata la soppressione, da parte degli enti locali anche consorziati tra di loro”, precisando che “Naturalmente i comuni dovrebbero farsi carico, integralmente, delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi”. Per tali motivi, l’ex difensore civico va predicando
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Centro servizi E.N.Te.L
Ente nazionale tempo libero
Ufficio Zonale Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) info: 347.6954218
da tempo che “è importante avviare uno studio per capire quali effettivamente siano questi importi necessari per la gestione diretta dell’Ufficio e, contestualmente, un serio confronto con gli altri comuni interessati che ricadono sotto la giurisdizione della sede giudiziaria taurianovese, vale a dire Cittanova, Rizziconi, Terranova Sappo Minulio e Molochio”. “Arrendersi senza combattere – ha infine ammonito Sorace, dall’alto della sua cinquantennale esperienza nel pianeta giustizia – potrebbe rivelarsi un errore strategico enorme, di portata incalcolabile, che priverà la città di un’istituzione fondamentale”. Angela Napoli, in conclusione, in riferimento all’atteggiamento dell’amministrazione comunale, si è detta dell’opinione che si tratti di una “indifferenza del Sindaco che non può essere giustificata dall’alibi della spesa eccessiva visto e considerato che la città di Taurianova è proprietaria della struttura che, a tutt’oggi, ospita la sede del Giudice di pace e che, pertanto, la cospicua voce di spesa relativa all’affitto verrebbe eliminata. Le altre spese potrebbero essere contemplate in un accordo di programma con altri comuni consorziati e, di conseguenza, suddivise tra gli stessi”. C’è, infine, da rilevare come l’ufficio locale sia tra i più produttivi, importanti ed efficienti, grazie anche all’encomiabile lavoro del personale addetto, guidato dal cancelliere, Dott. Antonino Martino, e dei due giudici in servizio, i Dottori Divina Alfano e Antonio Delfino. Senza contare poi che Taurianova è di gran lunga il comune più grande del comprensorio tra quelli interessati. Il Sindaco ha risposto alla Napoli confermando che “questa amministrazione continua ad avere la reale e concreta volontà di mantenere in vita, in questa città, l'ufficio del Giudice di pace”, ma aggiungendo che “Al riguardo devo rappresentarle, però, che le condizioni finanziarie del Comune continuano a rimanere disastrose ed il futuro non si presenta affatto roseo, tenuto conto dell'ulteriore taglio dei trasferimenti statali a seguito della recente normativa sui tagli effettuati dal Governo”. Detto ciò, Romeo ha chiesto alla parlamentare di “farsi promotrice per ottenere un incontro con il Ministro di Grazia e Giustizia e con il Ministro dell'Interno, al fine di esporre, unitamente a questo Sindaco, la necessità, nell'interesse della comunità di Taurianova e di quella dei paese vicini, del mantenimento dell'ufficio del Giudice di pace, attraverso la concessione di un apposito e specifico finanziamento”.
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di Michele Ferraro
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Don Enzo Condello: testimone ed educatore
i è svolta il 19 e 20 Ottobre u.s., una due giorni organizzata dall’Azione Cattolica della diocesi di Oppido M. – Palmi, per ricordare la figura di un giovane sacerdote, Don Enzo Condello, a quindici anni dalla sua morte, avvenuta all'età di 44 anni, a causa di un male incurabile. Don Enzo Condello, originario di Cittanova, è stato per tanti anni assistente spirituale del settore dei ragazzi dell'Azione Cattolica diocesana e vice parroco a Taurianova, presso la parrocchia "Maria SS. delle Grazie", all'epoca retta dal compianto arciprete mons. Francesco Muscari. Di Don Enzo Condello rimane vivo il ricordo di un sacerdote in mezzo ai “suoi” ragazzi ed ai “suoi” giovani, vigile sulla loro vita e disponibile a condividere le loro gioie ed a sostenerli nelle loro difficoltà, personali e familiari. Sempre pronto a “sporcarsi le mani”, per primo, in qualsiasi iniziativa ed attività, in modo da essere da esempio a chi lo doveva seguire. Uomo pratico ma, nello stesso tempo, sacerdote di una profonda spiritualità. Indimenticabili le sue “lectio divine” ed i suoi molteplici interventi nelle riunioni di formazione dell’Azione Cattolica e nei campiscuola. L’AC diocesana, l’ha voluto ricordare con una celebrazione eucaristica, la sera del 19 Ottobre, presieduta dal Vescovo della diocesi, Mons. Francesco Milito, presso la Chiesa parrocchiale di “Maria SS. delle Grazie” in Taurianova, retta dal parroco Don Antonio Spizzica, ed alla presenza di molti sacerdoti della diocesi. Il presule, durante l’omelia, nel fare memoria della figura di questo giovane sacerdote, ha evidenziato soprattutto il suo più grande insegnamento: aver formato ragazzi e giovani che, nonostante la sua
prematura dipartita, hanno continuato il loro cammino alla sequela di Cristo e del Vangelo, divenendo adulti nelle fede a servizio del popolo di Dio. Toccante è stato anche il saluto che il Vescovo, alla fine della messa, ha rivolto alla mamma di Don Enzo, presente con gli altri familiari, offrendole ad esempio Maria, la madre di Gesù, anch’Ella sofferente sotto la croce, ma prima testimone di Cristo ed evangelizzatrice in mezzo agli Apostoli. Il giorno seguente, a Cittanova, presso l'Auditorium della Banca di Credito Cooperativo si è svolto, invece, un convegno pubblico sull’importanza dell’educazione dei bambini. Prendendo spunto dal metodo esperienziale di Don Enzo, che educava i ragazzi nella fede e nella vita, facendosi prossimo e compagno di viaggio di ogni ragazzo, si sono succeduti a parlare, in un mix di ricordi e spunti formativi: la Presidente Diocesana dell’Azione Cattolica, Prof.ssa Stefania Sorace; l’Assistente unitario dell’Azione Cattolica diocesana, Don Mino Ciano; il Direttore del Consultorio Familiare Diocesano, Prof. Franco Greco; il Presidente dell'Osservatorio nazionale sui Diritti dei Minori, Dott. Antonio Marziale. Persone che, oltre ad avere acquisito competenze specifiche, riconosciute anche a livello nazionale, nel campo educativo dei ragazzi, hanno ricevuto la Grazia di crescere spiritualmente e civilmente sotto la guida attenta ed amorevole di Don Enzo Condello. L’evento, per il taglio celebrativo e formativo che ha avuto e per la grande partecipazione di pubblico, soprattutto soci dell’AC, ma anche tantissimi insegnanti, catechisti ed educatori, rimane, senz’altro, una delle pagine più belle di storia associativa dell’Azione Cattolica della diocesi di Oppido M. - Palmi.
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A Varapodio presentazione del libro dell’on. Giovanni Nucera
Don Lillo Altomonte
“Profeta degli ultimi, Padre dei poveri” di Luigi Cordova
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n invito a leggere il libro su Don Lillo Altomonte, “perché arricchisce ed accresce le nostre qualità umane, morali e spirituali, nonché culturali”. Si è espressa così la giornalista Filomena Scarpati, nel corso dell’incontro a Varapodio, nella Chiesa parrocchiale di Santo Stefano Protomartire, per la presentazione del libro dell’On. Giovanni Nucera, “Don Lillo Altomonte – Profeta degli ultimi Padre dei poveri”, edito da Laruffa. “La formazione è uno dei punti basilari del Vescovo della Diocesi di Oppido-Palmi Mons. Francesco Milito – ha ancora detto la Scarpati, nella sua qualità di responsabile dell’Ufficio Stampa e comunicazione delle comunità parrocchiali di Varapodio – ed aiuta a creare quel raccordo tra la Chiesa ed il mondo della cultura, che sta alla base dell’evoluzione sociale”. “Le notizie – ha proseguito – danno la conoscenza e l’elaborazione di esse fa la cultura”. Soffermandosi sul lavoro dell’On. Giovanni Nucera, la Scarpati ha esaltato il valore del libro, nel quale, “trattando come argomento principale la vita del Parroco Don Lillo Altomonte nei tempi della sua giovinezza, riporta buona parte del carisma sacerdotale e ci aiuta a comprendere quanto i sacerdoti debbano essere capiti ed apprezzati. Persone che rinunciano alla vita privata per dedicarsi alla gente delle loro comunità, immedesimandosi nelle problematiche e nella sofferenza che il prossimo si trova ad affrontare”. All’incontro, moderato dal direttore responsabile del mensile “La Piana” Damiano Tripodi, sono intervenuti, oltre alla Scarpati, il Parroco Don Mimmo Caruso ed il Sindaco di Varapodio Orlando Fazzolari. Sul libro di Nucera ha rela-
A sinistra: Don Mimmo Caruso, Parroco di Varapodio A destra: la giornalista Filomena Scarpati
zionato magistralmente il Dirigente scolastico Filippo Foti, che ha poi lasciato le conclusioni all’autore. Gli interventi sono stati arricchiti dagli intermezzi musicali del maestro seminarista Domenico Lando. L’On. Nucera ha definito il suo lavoro “un atto d’amore nei confronti di Don Lillo e verso i tanti sacerdoti conosciuti e stimati per la loro umanità, umiltà e servizio silenzioso e quotidiano della Chiesa, che restando fedeli alla loro vocazione, affrontano fatiche, privazioni e sofferenze”. “Fu, quella del “parroco dei poveri” – ha ancora detto Nucera – una storia di carità e di amore vissuta dentro la dura realtà di un quartiere popolare della città di Reggio Calabria, con decine di famiglie povere, cui si aggiunse nel tempo anche un cospicuo insediamento di zingari. Un contesto difficile nel quale Don Lillo Altomonte riuscì a far germogliare i semi della carità, della solidarietà e della tolleranza”. “Del grande messaggio di Don Lillo Altomonte – ha concluso l’On. Nucera davanti ad una folta platea di partecipanti – dobbiamo averne memoria soprattutto oggi, in un periodo di grandi difficoltà per il paese e per la diffusa povertà che sta interessando sempre più larghe fasce di popolazione”. La manifestazione si è svolta ai piedi della Vergine del Carmelo, in un clima di profonda spiritualità, la cui discesa in mezzo al popolo, su una lunga scala di legno elettrificata, l’ha fermamente voluta Don Caruso Parroco di Varapodio in occasione dell’anno della fede a Maria, nella sedicina della commemorazione del miracolo avvenuto nel lontano 1894, quando i varapodiesi furono salvati da un terribile terremoto che seminò ovunque nella Piana morte e distruzione. Lo stesso miracolo durante il terremoto di quell’anno avvenne a Taurianova, dove si festeggia la Madonna della Montagna, e a Palmi gemellata con Varapodio per la devozione al Carmelo.
Il Tavolo dei relatori: Damiano Tripodi, Orlando Fazzolari, Giovanni Nucera, Filippo Foti
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“Sanità tra sperperi, politica e 'ndrangheta” Presentato a Palmi il volume di Arcangelo Badolati e Attilio Sabato sulla controversa realtà della sanità calabrese nella quale speranza e disservizi si inseguono con il placet dei politici
di Giovanni Rigoli
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l 13 Ottobre 2012, presso la Casa della Cultura “Leonida Repaci” di Palmi (RC), su iniziativa dell’Associazione Culturale “Indipendente a Sud”, è stato presentato il libro “Codice rosso: sanità tra sperperi, politica e ndrangheta”, di Attilio Sabato ed Arcangelo Badolati. Oltre agli autori, erano presenti come relatori: il sociologo (e docente Unical) Prof Ercole Giap Parini, il criminologo Prof Francesco Bruno, il Dott. Nicola Gratteri (Procuratore aggiunto presso la DDA di Reggio Calabria) ed è intervenuto anche il sindaco di Palmi, Dott. Giovanni Barone. La cronistoria del convegno-presentazione è iniziata con la lettura dell’articolo 32 della Costituzione Italiana (tutela della salute) e il dibattito è stato aperto dall’intervento del Dott. Barone, secondo il quale dobbiamo chiederci il perché dell’ingente emigrazione sanitaria da parte dei calabresi ,che rappresenta anche la spesa maggiore per la nostra sanità regionale, e, soprattutto, che il paziente deve essere l’obiettivo primario, mentre oggi sembra quasi un numero. Successivamente sono intervenuti gli autori del libro. Per Badolati, la sanità in Calabria è stata sfruttata per il fabbisogno elettorale: dove c’era un
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E poi quegli ospedali vengono chiusi o ridimensionati. Ed è per questo che in Calabria si muore di "sanità". Spesso. Troppo spesso.»
bacino elettorale importante nasceva un ospedale e si favoriva la politica clientelare e vi sono state tante vittime innocenti, causate dal mancato funzionamento di attrezzature, da sovradosaggio, da sale operatorie non a norma. Ha definito il libro come “atto di coraggio, amore e rabbia”. Attilio Sabato ha posto l’accento sul problema degli sprechi sanitari dovuti ad una non corretta politica gestionale ,cattiva gestione dei fondi e delle strutture immobiliari. Il sociologo Ercole Giap Parini ha individuato nei gruppi di potere i beneficiari di ciò che comporta la cattiva gestione sanitaria: consenso, potere, soldi. La sanità è, per lui, la cartina tornasole di quello che siamo: se la sanità è malasanità, siamo cattivi cittadini, che accettano la subalternità. Il libro è, per il sociologo, un utile strumento per meglio comprendere morti inspiegabili, dovute alla malasanità, e la dissennatezza in cui ospedali non producono salute e molti decessi sono causati dall’imperizia. Per il criminologo Bruno, la malasanità calabrese è causata dalla subalternità cui faceva riferimento il Prof Parini e dal potere di corruzione della ‘ndrangheta’. Il Dott Gratteri ha sottolineato il mutamento della politica clientelare e della strategia mafiosa: oggi è la politica a cercare il boss per avere i voti e i mafiosi, negli anni ’70, hanno fatto studiare i figli nelle migliori università, facendoli diventare i dirigenti di oggi che gestiscono la cosa pubblica come propria e personale. Il moderatore è stato Eugenio Crea. All’associazione “Indipendente a Sud”, va il plauso di aver organizzato la presentazione di un libro d’inchiesta ed approfondimento e di aver invitato come relatori l’eccellenza della legalità accademica, giornalistica e giudiziaria.
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Una iniziativa dell’Associazione
Amici della Casa della Cultura “Leonida Repaci”
Omaggio a Parpagliolo
Insigne giurista palmese, primo difensore della natura
di Rocco Militano
Sopra: l'attrice Annalisa Insardà, che ha dato voce ai brani di Parpagliolo A sinistra: una delle opere dell'autore palmese
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i è svolta nei giorni scorsi a Palmi, su iniziativa dell’Associazione Amici della Casa della Cultura “Leonida Repaci”, in collaborazione con il club UNESCO e l’Associazione Amici della Musica, di fronte ad un vasto ed attento pubblico, un evento dal sapore culturale spettacolare per ricordare, in occasione dei 150 anni dalla nascita, Luigi Parpagliolo, intellettuale palmese dalle molteplici capacità espressive: giornalista, romanziere, saggista. Soprattutto, però, Parpagliolo fu impegnato vice direttore generale delle Belle Arti, presso il Ministero della Pubblica Istruzione, e giurista romantico – come lo ha definito Pasquino Crupi – perché sempre predominante in lui fu l’amore per i beni artistici e la natura. Lo accompagnò, infatti, per tutta la vita il senso del dovere della difesa dell’ambiente nel suo aspetto più significativo, individuato nel paesaggio; in quel suo paesaggio durante il periodo giovanile tanto contemplato dal belvedere del Sant’Elia o dalla Villa comunale. “Il vero vanto di Palmi è il suo magnifico panorama – scriveva in Palmi città panoramica – In che consiste? In un immenso anfiteatro di mare, di monti, di isole, di vulcani, immerso in un oceano di luce sfolgorante, che fa emergere e profilarsi, nel cielo limpidissimo, le forme fuse in una armoniosa unità. Come descrivere un così mirabile insieme? Mai, come in questo caso, può dirsi che il grande paesaggio non si descrive ma si sente”. Dalla figura di quest’uomo colto, straordinario osservatore e precursore dei tempi, le considerazioni convergenti emerse dal dibattito fra Saverio Putortì, Direttore Generale della Regione Calabria – Dipartimento Urbanistica –, Francesco Bevilacqua, storico pioniere del WWF, e Franco Rossi, docente dell’UniCal, sul valore di patrimonio identitario per le comunità locali, che la Regione vuole tutelare in attuazione della Carta europea del Paesaggio, e la necessaria ricerca dell’equilibrio tra natura e cultura che, oggi, il dominio della logica di mercato non rispetta più come quando si costruì, come diceva Parpagliolo, “la Bella Italia”. D’accordo anche il Sindaco di Palmi Gianni Barone ed il Presidente dell’Associazione Amicicasarepaci, Antonio Minasi, sui danni al paesaggio che ci colpiscono tutti, come individui e come collettività: per questo bisogna riprendere ad indignarsi con forza recuperando memoria storica della tradizione italiana nel nome di Parpagliolo, ricordato anche, con emozione, nella riservatezza della sua vita
privata, dalla nipote Giovanna Marini, notissima musicista e cantante, e dalle letture dell’attrice Annalisa Insardà. E sono proprio questi indirizzi di promozione culturale quelli assegnati all’Osservatorio regionale del Paesaggio, che l’Assessorato all’Urbanistica ed al Territorio della Regione Calabria ha ubicato presso la Villa Pietrosa di Leonida Repaci – individuata come luogo simbolo di cultura e di calabresità – per la sua Guardiola costruita di pietre tra le rocce e protesa verso l’orizzonte lontano, oltre le isole ed i vulcani. Un complesso di elevato valore ambientale, donato dallo scrittore al Comune di Palmi, con un parco di cinque ettari di ulivi attorno, destinato a luogo di cultura e suo mausoleo, che l’Assessore regionale Aiello si dichiara disponibile a ristrutturare per attivare le funzioni dell’Osservatorio, ma anche per riportarlo agli antichi splendori di quando Leonida Repaci, festeggiato per i suoi 70 anni da gran parte della cultura italiana presente in quel “paradiso dove il mal perde il fil della lama”, e dove i giovani devono poter sentire il paesaggio, assieme alle note che lì Cilea compose perché ispirato; quelle stesse note che, a conclusione dell’evento, Gabriella Corsaro, giovane ed affermata soprano, direttrice del coro giovanile dello stabile di Parma, legatissima alla Calabria ed alla natìa Oppido Mamertina, con tanta bravura ha interpretato, accompagnata al pianoforte dal maestro Andrea Calabrese, colmando di forte emozione il pubblico presente. “L’articolo Parpagliolo”, antica citazione popolare palmese, significativa di obbligatorio rispetto della natura, ha avuto così, grazie agli organizzatori dell’evento, degna rivalutazione anche nel richiamo del decreto del ministro Fedele che, proprio a difesa del paesaggio che si gode dalla Villa Comunale di Palmi, Luigi Parpagliolo, in virtù della legge n.778 da lui elaborata, nel 1927 ottenne, per vincolarne l’integrità in dono ai posteri.
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Comunione e liberazione inizia l'anno associativo
La vita come vocazione di Raffaella Morano
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on una giornata di lavori al Mediolanum Forum di Assago (Mi) è iniziato il nuovo anno associativo di Comunione e Liberazione (movimento denominato anche “Fraternità di Comunione e Liberazione”, riconosciuto dal Pontificio Consiglio per i Laici in data 11 Febbraio 1982 ed oggi presente in 80 Paesi del mondo), alla presenza di Don Julián Carrón, teologo, linguista e guida del movimento, dopo la scomparsa del fondatore Don Luigi Giussani, e con la partecipazione del responsabile di Comunione e Liberazione per la Lombardia, Davide Prosperi. É stato possibile seguire l’evento, in videoconferenza, in diverse città d’Italia, per la Calabria a Falerna. «La vita come vocazione» è stato il tema della giornata, che è stata un momento di ripresa, di presentazione e di annuncio di quello che sarà il nuovo cammino di educazione alla Fede. E proprio alla Fede, Sua Santità Benedetto XVI dedicherà un anno, dall’11 Ottobre 2012 al 24 Novembre 2013. Perché il titolo «La vita come vocazione»? Solitamente, se pensiamo alla vocazione, ci viene in mente la scelta che una persona può fare della vita consacrata o del matrimonio, ma, dalla meditazione che ha condotto Don J. Carrón è emerso, ed è stato certamente un disvelamento significativo per noi tutti, come la vita stessa, semplicemente le circostanze di ogni giorno siano parte essenziale della vocazione, perché esse introducono una lotta: «Allora è la lotta che ci tiene svegli» afferma Don L. Giussani, (Certi di alcune grandi cose, BUR, Milano, 1979-1981, pag. 389) «e questa lotta - continua il sacerdote - è la trama normale della vita: ci tiene svegli, cioè ci matura la consapevolezza di ciò che è la nostra consistenza o la nostra dignità, che è un Altro». Carrón ci ha fatto notare come, se non fossimo nel buio più buio, se non avessimo davanti le sfide, potremmo vivere senza accorgerci del Mistero. Il percorso che ci è stato indicato dal presidente del gruppo ha come scopo la rinascita, ma, per realizzarsi, essa deve esser preceduta dall’au-
Il Beato Giovanni Paola II insieme a Don Giussani in una foto d'archivio
tocoscienza, che è «capacità di riflettere su di sé fino in fondo, in modo talmente cosciente da incontrare un Altro, cioè da accorgerci che noi non ci facciamo da noi» (Raduno di sacerdoti, 9-16 Settembre 1967, La Verna (Ar), Archivio CL). Le sfide, che sono costanti, pongono davanti ad una scelta: rimanere nel lamento o considerarle come lo strumento attraverso cui il Mistero ci chiama a guardare dentro noi stessi e a scoprire il nostro legame con Dio. Se riusciamo in questa scoperta, se maturiamo, la questione non sarà più che ci tolgano il buio o che ci risparmino dagli attacchi, ma l’essere coscienti di quello che siamo. Perciò, Don Carrón ha sottolineato che è tempo della persona e che è conveniente, seppur misterioso, che il Signore ci faccia camminare in circostanze avverse, altrimenti ci perderemmo nella banalità delle distrazioni più superficiali. Ogni esperienza, invece, serve a risvegliare il nostro soggetto umano, in modo da avere il vigore che gli consenta di vivere in qualsiasi contingenza. Tutto quello che ci viene dato è per conoscere di più Gesù perché portando sempre e dovunque nel nostro corpo la Sua morte, anche la Sua vita possa manifestarsi dentro di noi. Per me, che ho partecipato per la prima volta ad un incontro di questo gruppo, la giornata è stata un’occasione per notare piacevolmente la cordialità presente tra gli associati e la loro apertura nei confronti di chi si appresta a intraprendere questo nuovo cammino.
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Giovani d'oggi: quale Tanta paura dietro la maschera
di Giovanni Rigoli
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n tempo ad emigrare era il padre di famiglia che per mantenere la prole andava a lavorare all’estero con una valigia di cartone malandata piena di speranze e fede, arrivando in terra straniera, senza neanche conoscerne la lingua, e facendo sacrifici immani per mandare i figli a scuola e garantire loro un futuro migliore. Già il futuro…! Quel Futuro che i giovani di tutto il mondo, negli anni che vanno dal 68 al 70 hanno rivendicato, chiesto, ipotizzato nei concerti, nei cortei, nelle piazze, nelle scuole, nelle università, nelle rivoluzioni basate su ideali di un universo infra trentenne. Oggi, sono i giovani a dover emigrare, per cercar fortuna. Decenni fa si parlava di emigrazione per cercar fortuna, oggi si parla di “fuga di cervelli”. Ma, chi sono questi ragazzi, protagonisti (?) del “futuro”? I giovani, definiti dal defunto Ministro Padua Schioppa “bamboccioni”, da altri “choosy” (schizzinosi). Sono i figli della crisi, della globalizzazione, della sfiducia nel futuro. I giovani delle ultime generazioni appaiono effettivamente scoraggiati. Il futuro sembra una chimera, una utopia: studiare costa tempo e denaro e dopo aver concluso gli studi, non si è certi di veder realizzate le proprie aspettative; lavorare in proprio o imparare un mestiere è ormai rara possibilità di pochi eletti; le istituzioni non sempre dimostrano di riuscire a risolvere i problemi. Il giovane d’oggi cerca lavoro ma non lo trova, studia per aspirare a posizioni di vertice,
fut
La vita sembra « un teatro ed il futuro
assume la forma di una maschera» ma queste sono inaccessibili per una classe dirigente attaccata alla poltrona, prova a mettersi in gioco candidandosi in politica per cambiare le cose, ma con l’attuale legge elettorale sono i partiti a stilare una gerarchia degli eleggibili, con l’elettore che si ritrova a votare un simbolo senza la possibilità di preferenza del candidato. Tutte le strade portano a Roma dice un vecchio adagio, tutte le strade sono chiuse, sbarrate, inaccessibili sembra essere l’adagio contemporaneo. Ed ecco che si emigra, o per lavoro o per studio ci si confronta con nuove e differenti culture, ci si sente cittadini del mondo, si acquisiscono competenze linguistiche, relazionali, conoscitive non acquisibili mettendo le radici solo in un posto. La scelta più gettonata dai giovani è quella dei nostri avi: emigrare Magari non con la valigia di cartone, ma con il computer portatile e tanta voglia di emergere. E chi resta? Chi resta, tranne poche eccellenze o pochi eletti, si ritrova a sbarcare il lunario, spesso laureato anche con il massimo dei voti, ad essere sfruttato nei callcenter o nelle università, nei centri commerciali, nel mondo del precariato, con contratti a tempo determinato. Se il lavoro nobilita l’uomo, il precariato (sottopagato e con orari ai limiti dello stakanovismo) lo mortifica, mutandolo da “diritto atto ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (ex art 36 Costituzione) ad un calvario denigrante, ma inevitabile per “avere da mangiare”. Alternativa? Il guadagno facile. Ed ecco che purtroppo molti giovani diventano vittime della criminalità o dipendenti dal gioco. Quindi quali prospettive per il futuro? La vita sembra un teatro ed il futuro sembra assumere la forma di una maschera veneziana, con la quale in passato si celava la propria identità. Il futuro oggi sembra celare la propria identità nonostante i giovani cerchino di essere attori protagonisti del palcoscenico della vita.
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turo? I
l nostro futuro non è stato mai così incerto come oggi. La crisi economica incalza con il nostro disorientamento e le nostre delusioni ed investe anche il campo della morale, della politica, divenendo, quindi, una crisi sociale e culturale, che rende fragile il nostro domani, alla stregua delle nostre attese. Non ci è permesso ormai di pensarlo il domani; è già troppo difficile programmare il presente. In atto, questa è la situazione dei giovani e anche dei meno giovani. In epoche precedenti, l’istruzione elitaria imponeva ai più una scelta unidirezionale, il lavoro; i mestieri svolti, anche i più umili, assicuravano il sostentamento. In seguito, le istituzioni arcaiche sono state oggetto di una analisi critica serrata e, nonostante enormi resistenze, hanno dovuto cedere il passo ad un graduale mutamento del gioco delle parti. Si è così giunti a destare la coscienza popolare dal torpore e dall’acquiescenza al potere tradizionale, promuovendo in questo sforzo, prioritariamente, l’affrancamento del giovane attraverso il prosieguo degli studi, inteso, alla fine, un vero “investimento” per superare il deficit materiale e culturale dell’ambiente di provenienza. Purtroppo, oggi la prospettiva di un futuro ordine sociale rassicurante per noi giovani è fortemente compromessa dallo stesso sistema industriale a tecnologia avanzata, il cui fine è ottenere il massimo profitto e il potere che ne consegue, mentre l’individuo è sottoposto al gioco del mercato, ad una autorità che gli è estranea – nella fattispecie, l’alto dirigente commerciale o industriale –, al ricatto della precarietà. I giovani, seppur con laurea e dottorato, oggi, infatti, sono i più precari. Fra essi dominano incertezze e paure: “ già
Il mondo dei giovani Tra incertezze e aspettative
di Rosamaria Irsuto prima, in prossimità del diploma, la scelta su quale corso universitario intraprendere è molto combattuta, quando non si decide di interrompere gli studi perché, tanto, alla fine, il rischio è quello di allungare la lista dei disoccupati” dicono in molti. E altri: “non c'è più il “Nord” pronto ad accoglierci”. Qualcuno ci spera ancora e parte alla ricerca di un posto e di una possibilità di crescita e di miglioramento della propria vita, ma molti dicono “Siamo stati costretti a ritornare a casa, perché troppo spesso il salario per i giovani, non stabilizzati, non risulta congruo rispetto al costo della vita. Ma, ciononostante, sono in molti a dire che “si è disposti a fare tutto, anche ad improvvisare un mestiere che non coincide in nulla con gli studi sostenuti pur di riuscire a lavorare” Checchè ne dica il ministro Fornero. Le regioni del Sud sono sempre state, comunque, luoghi da cui partire in cerca di maggiori certezze e la storia ci indica le cause che ne hanno determinato i flussi migratori nei secoli: il ritardo dell’attuazione della riforma agraria, nonché “l'approssimazione” con cui è stata effettuata, la polarizzazione dei complessi industriali slegata dalla vocazione produttiva del territorio e dai reali bisogni delle popolazioni meridionali. I giovani hanno le idee chiare su questo ed evidenziano che l’affermazione sempre più incisiva del sistema mafioso che ha trovato accoglienza persino nelle organizzazioni politiche è conseguente a scelte di potere più che alla volontà di risolvere davvero i problemi della società” e “ha portato al perdurare di un’“anarchia” economica in Europa e nel resto del Mondo. Oggi, in particolare, i giovani dicono di assistere “ad una continua erosione del tessuto sociale e guardano con apprensione e perplessità ai provvedimenti varati dall’attuale governo tecnico, anche perché, in fondo, è condiviso il senso di inadeguatezza “con questo tipo di governo dei ricchi ci sentiamo un pò impreparati a diventarne parte attiva”. Un pensiero, comunque, alla fine emerge ed assurge a linea guida: rispetto a tutti i sistemi di governo precedentemente sperimentati, quello democratico è il più rappresentativo di ogni cittadino, a condizione che ognuno, e particolarmente i giovani, non si limitino ad essere spettatori, ma, con la determinazione nel cuore, mobilitino tutte le proprie energie per un’autentica assunzione di responsabilità personale, sociale, e, quindi, politica.
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Un luogo custode e testimone di un passato millenario
“Piano delle Fosse”
Nel centro di Gioia Tauro le vestigia di una
civiltà legata al mare
di Gianluca Sapio Sopra: particolare del tessuto architettonico del "Piano delle Fosse" Sotto: antico arco murario con cancello
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u certamente dal mare che risaltò meglio alla vista dei primi coloni greci la felice posizione del “Piano delle Fosse”; un terrazzo naturalmente difeso, posto tra le foci del fiume Petrace e del torrente Budello. Le stradine di quello che è oggi il centro storico di Gioia Tauro (Rc), raccontano una storia millenaria profondamente legata al mare. Non a caso furono per primi i greci euboici, provenienti dai più importanti porti della Grecia arcaica (Calcide ed Eretria sull’isola di Eubea), a stanziare un insediamento probabilmente proprio sul Piano della Fosse. I reperti oggi esposti nel bel museo di “Palazzo Baldari”, provengono da una necropoli alto arcaica (VII sec. a.C.), individuata in località Pietra, presso l’attuale marina di Gioia Tauro. Questa necropoli doveva servire probabilmente proprio un nucleo abitato posto sul Piano delle Fosse. Appare difficile allo stato attuale delle ricerche affermare con certezza se sul piccolo pianoro vi fosse un centro indigeno precedente all’arrivo dei greci, anche se la cosa, pur in mancanza di dati archeologici certi, appare molto probabile. Il sito primitivo di “Metauros” aveva, infatti, una notevole importanza per i traffici commerciali lungo la costa tirrenica e con le vicine isole Eolie e per le vie di attraversamento interne alla regione, tra cui certamente la vallata del fiume Petrace con i suoi affluenti costituiva l’asse principale. La lunga continuità d’uso del Piano non ha favorito la conservazione dei resti e di testimonianze materiali antiche. A partire dal VI sec. a.C., il piccolo centro di “Metauros”, dovette entrare sotto il controllo politico locrese; una serie di reperti (frammenti fittili e decorazioni acroteriali) testimonia la vicinanza artistica a questo ambito e permette di ipotizzare un ampliamento della città antica ben oltre il primitivo nucleo di “Paino delle Fosse”, fino almeno alla località di “terre della Chiesa” verso sud. In età ellenistico romana e tardo antica, il centro di riferimento della zona divenne Taureana, posta a sud della sponda meridionale della foce del Petrace. Il sito di “Piano delle Fosse” ebbe pertanto probabilmente un ruolo secondario per il controllo del territorio e delle rotte commerciali marittime. A partire dal XIII sec., in età angioina, si ritrovano nuovamente sul piano testimonianze di un centro abitato, che venne ben presto dotato di una robusta cinta muraria munita di torri poste a distanze regolari. Nel settore centrale del pianoro venne eretta la chiesa principale ed il centro dovette essere dotato anche di un fortilizio. Le opere militari furono poi riprese dal vicerè Pietro da Toledo. I diversi terremoti danneggiarono grave-
mente il primitivo nucleo medievale che, comunque oggi, grazie anche a preziose attività di recupero, mantiene in parte il suo aspetto originario con due vie principali longitudinali rispetto al pianoro, alcuni vicoli di servizio ed almeno quattro torri del circuito medievale, assieme ad alcune aperture e postierle ancora visibili. Tra gli abitanti del posto resta ancora viva la testimonianza orale, ma spesso anche materiale, di cisterne, palmenti e piccoli ambienti ipogei scolpiti nel tempo sul banco granitico ed arenario del sito, così che resta ancora viva l’immagine di “Piano delle Fosse”, un nome ed un luogo testimoni di un passato millenario.
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Il "Piano delle Fosse" in una foto d'epoca di Domenico Lucà
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Nell’antico borgo del
ntiche e nobili sono le origini della città di Gioia Tauro , che derivano dall’antica Metauria, fondata dai greci Calcidesi nel VI secolo a.C. In seguito, fu colonia Greco-locrese. Distrutta durante la seconda guerra Punica, risorse come Villa romana. Rinata come Zoa, sotto il dominio Bizantino, subì le incursioni saracene nel X e XI secolo. Nel 1500 il governo spagnolo fortificò il Borgo di Gioja, su tre lati con Bastioni e mura di cinta e ad est con un ponte levatoio. Il Borgo, divenuto cittadella fortificata, fu dotato di ben quattro torri di avvistamento. Ma le incursioni barbaresche continuarono con scadenza biennale ed in coincidenza con la produzione olearia, anch’essa biennale. Per questo e anche per la produzione agricola furono create una serie di gallerie e cunicoli che si intersecano e si incrociano mettendo in comunicazione spazi, detti “stanze”, utilizzati, appunto, come cisterne e granai e anche come rifugio, durante le incursioni. Da qui la denominazione del Borgo “chianu d’i fossi”(Piano delle fosse). Nel XVII secolo, il Borgo stava definitivamente scomparendo a causa delle continue invasioni turchesche, dei terremoti, che impoverirono il territorio, e non ultima, la malaria. Si riprese grazie all’operosità degli abitanti, in particolare alla fine del 1700, quando furono costruiti magazzini di olio fuori le mura, lungo le tre strade di accesso più antiche, l’attuale via Roma, che rappresentò il prolungamento della prima via Commercio del Borgo, la via De Rosa, diretta verso il fiume Budello, la via Tripodi, che sboccava verso il mare. Nel1861, dopo l’unità d’Italia, a Gioja, fu aggiunto Tauro, richiamando l’antica denominazione, ed il 22 Ottobre del 1963 fu concesso a Gioia Tauro, con Decreto del Presidente della Repubblica Antonio Segni, di fregiarsi del titolo di “città”. Oggi dell’antico borgo sono visibili, in piccola parte, solo le mura. Lungo la cinta sono rimasti in piedi i resti delle torri di avvistamento, quella di Don Giacomo è la più integra. Passeggiare all’interno del Borgo vuol dire calarsi in un’atmosfera da sogno fatta di principi e principesse, di fate e di elfi, di poeti e narratori. Sembra di sentire il poeta Emilio Argiroffi recitare la sua opera:
“Piano delle Fosse” La storia millenaria di Gioia
di Caterina Sorbara
“Le pescatrici del Piano delle fosse” in onore delle donne del Borgo durante le incursioni. All’interno del Borgo possiamo ammirare Palazzo Baldari, che risale al 1700. Realizzato con pietre a vista, è formato da due livelli. Fu utilizzato come gendarmeria dai Borboni e forse ospitò anche Giuseppe Garibaldi. Dal terrazzo del palazzo, lo sguardo si perde nell’infinito mare, il panorama che si gode da lassù è alquanto suggestivo, in particolare al tramonto. Oggi Palazzo Baldari ospita la Biblioteca comunale e grazie all’Amministrazione guidata dall’Avv. Renato Bellofiore, ospita anche il museo Metauros ricco di reperti che provengono da una necropoli alto arcaica (VII a. C) individuata in località Pietra, presso l’attuale marina di Gioia Tauro. Da visitare anche la chiesetta di Sant’Antonio. Oggi grazie all’Associazione Culturale centro storico Piano delle Fosse (fondata nel 1999), rinata nel mese di Febbraio 2012, grazie al Presidente Alfonso Italiano, coadiuvato da un valido direttivo, con lo scopo di valorizzare la storia, la cultura, le antiche tradizioni e, non ultimo l’aspetto estetico, il Borgo sta tornando a vivere. Il Presidente Alfonso Italiano ha dichiarato che di concerto con l’amministrazione comunale lavoreranno per riscoprire i cunicoli sotterranei, dove si è sicuri che ci sia in una delle “stanze” una statua intatta della Madonna. Si vuole, inoltre, riportare al vecchio splendore tutte le stradelle, si vuole valorizzare il centro storico sotto tutti gli aspetti. L’amministrazione comunale, affinché l’associazione abbia una sede, di recente le ha concesso un locale. Per quanto riguarda gli eventi culturali già nel mese di Aprile c’è stato un concerto dei Mattanza. Nel mese di Agosto, sempre con il patrocinio dell’amministrazione comunale, ci sono state delle serate di teatro con la compagnia gioiese “Giangurgolo”, cabaret e un mercatino artigianale. A Natale si cercherà di abbellirlo con degli addobbi natalizi. Il Sindaco di Gioia Tauro, Renato Bellofiore, puntualizza che solo la rinascita culturale può essere un volano per la città, può essere un punto di partenza per un futuro migliore. Va da se che la sua amministrazione si è impegnata e continuerà a farlo di concerto con l’associazione affinché il Piano delle Fosse rinasca a nuova vita, portando linfa nuova a tutta la città.
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La donazione degli organi può salvare tante vite Con un atto d’amore regala la vita
di Antonino Martino
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ono trascorsi ormai molti anni e non sono più molti quelli che conservano memoria di un fatto di cronaca che all’epoca suscitò molto interesse e scosse gli animi delle persone più sensibili. Silvana e Nino vivevano insieme gli anni più belli ed importanti della loro vita, amandosi intensamente e condividendo le gioie e le difficoltà della vita quotidiana. Ma un triste giorno, Nino prese il suo motorino, come tutti i giorni, per andare a lavorare; disgraziatamente, una buca della strada lo fece stramazzare per terra e battere violentemente il capo sull’asfalto. Poiché all’epoca nessuno portava il casco, il poveretto finì in una corsia d’ospedale, in sala rianimazione. Quando fu dichiarato in stato di morte cerebrale (traduco: quando il suo cervello fu completamente distrutto fino all’ultima cellula), i medici chiamarono Silvana, che intanto aveva trascorso giorni indicibili accanto al proprio compagno. “Gentile signora,” le dissero, “Nino è morto ma il suo cuore non ha ancora cessato di battere (in parole più povere: “Nino è ridotto allo stato di cadavere a cuore battente”). “Noi lo stiamo trattenendo artificialmente in vita perché ancora il suo destino non è segnato: Nino può ancora aiutare altre persone a vivere, se lei acconsente al prelievo di alcuni suoi organi che potranno essere donati a scopo di trapianto. Non abbia paura di fare del bene al prossimo e non si lasci ingannare dalle apparenze: anche se il suo cuore non ha cessato di battere, Nino è morto e non ha nessuna possibilità di tornare in vita; oramai, ci rimane pochissimo tempo per decidere. Ci pensi bene.” In quell’attimo, Silvana vide il mondo crollarle addosso, ma nel contempo vide anche una luce che le dava conforto e speranza: la consapevolezza che la vita non finisce con la morte fisica e la possibilità di dare un senso al destino del proprio compagno. Fu così che, in un attimo, decise di donare gli organi di Nino; con questo gesto disinteressato, volontario
e del tutto gratuito, Silvana salvò la vita di altri esseri umani, sofferenti nel corpo e nello spirito, che ebbero la possibilità di tornare a vivere una vita normale. Dopo alcuni anni, precisamente nel duemila, a Taurianova, è stato fondato il primo gruppo dell’AIDO (Associazione per donazione di organi, tessuti e cellule), che si propone di promuovere la donazione degli organi dopo la morte, oltre alla cultura della solidarietà, in tutte le sue manifestazioni. Dopo il primo congresso, il gruppo è stato intitolato a Nino Perri, e Silvana è sempre stata tra i soci più attivi; con le sue toccanti testimonianze, ha contribuito a creare una cultura della solidarietà ed una sensibilità verso la problematica della donazione degli organi, che nella nostra città era prima sconosciuta. Molte sono state le attività svolte dal gruppo di Taurianova; alcune di queste, come quella di dichiarare il Consiglio comunale socio onorario AIDO ed altri concorsi, che hanno coinvolto soprattutto le scuole di ogni ordine e grado, sono stati presi a modello e copiati a livello nazionale. A questo punto, il gruppo ha bisogno di nuove adesioni, che diano impulso vitale e nuovi stimoli, soprattutto da parte dei giovani, i quali non possono rimanere spettatori di un fenomeno che li riguarda sempre più da vicino. Rimandiamo ad altra data e ad altre persone le spiegazioni scientifiche del fenomeno. Ci basti riflettere sul fatto che non sempre chi muore può donare i propri organi e che la Chiesa cattolica ha sempre guardato con favore alla donazione come ad un atto di carità disinteressata, in linea con l’amore di Cristo. Mi è caro concludere questo mio ricordo con il testo di uno degli slogan che nell’anno 2003 vinse il concorso “Uno slogan per la vita”, che coinvolse fruttuosamente tutti gli studenti delle scuole medie superiori taurianovesi: “La vita ci è stata regalata da un atto d’amore: con un atto d’amore regala la vita” di Pietro Nania, alunno della III B della Scuola media “Pascoli”.
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Una borsa piena di
solitudine Lo shopping compulsivo di Mara Cannatà
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a dipendenza dagli acquisti, definita anche shopping compulsivo, è un disturbo psicologico e comportamentale caratterizzato dalla tendenza a manifestare continui ed improvvisi bisogni irrefrenabili di acquisto e connotato da peculiari caratteristiche che lo distinguono dalla “normale” mania di comprare, tipica anche del diffuso atteggiamento consumistico proprio della nostra società moderna. Siamo infatti in presenza di un disturbo mentale di dipendenza da shopping quando vengono soddisfatte tutte queste condizioni: gli acquisti si ripetono più volte in una settimana; il denaro investito per lo shopping è eccessivo rispetto alle proprie possibilità economiche; gli acquisti perdono la loro ragione d’essere: non importa che cosa si compri, se vestiti, libri, profumi, oggetti per la casa o alimenti, ciò che conta è comprare, soddisfare un bisogno irrefrenabile che spinge a entrare in un negozio e uscirne carichi di pacchi; quando il bisogno di fare shopping non può essere soddisfatto, il mancato acquisto crea profonde crisi di ansia e frustrazione; la dedizione agli acquisti compare come qualcosa di nuovo rispetto alle abitudini precedenti. Da recenti sondaggi, il 90% dei soggetti è rappresentato da donne che appartengono a una fascia sociale media, con un’età media di 40 anni. Ma già dall’adolescenza si possono individuare le prime avvisaglie e sintomi della dipendenza da shopping, una dipendenza che, va sottolineato, viene incoraggiata dai mass media giorno dopo giorno, con continue campagne pubblicitarie su ogni genere di prodotto e alimentata da ingenti investimenti e con tecniche psicologiche di persuasione all’acquisto sempre più raffinate, da parte delle grandi aziende produttrici. Cosmetici, capi d’abbigliamento, scarpe e gioielli sono tra gli oggetti preferiti dalle donne; gli uomini, invece, prediligono telefonini, computer e altri accessori tecnologici. Quattro sono gli elementi chiave per una lettura psicologica dello shopping compulsivo. Innanzitutto la compulsività degli acquisti: la compulsione è un comportamento ripetitivo (ad es. lavarsi continuamente le mani) o un atto mentale (ad es. ripetere continuamente delle parole o delle combinazioni di numeri), che il soggetto non può fare a meno di compiere ed il cui obiettivo è il contenimento dell’ansia. Chi è affetto da dipendenza da shopping afferma di sentirsi assalito dal bisogno urgente di comprare, come in preda a un’ossessione che lo costringe a mettere in atto il comportamento, quasi costretto da un impulso irrefrenabile e intrusivo. Bisogna poi considerare lo shopping compulsivo come un tentativo messo in atto per alleviare uno stato depressivo sottostante di cui il soggetto non sempre è consapevole. La felicità, il senso di potere e di sollievo che lo shopper sente dopo gli acquisti, va a colmare un vuoto di relazioni, sentimenti e autostima che il soggetto sta vivendo in
quel particolare periodo della propria vita o che soffre da anni. Un terso elemento importante è la somiglianza per molti versi tra la dipendenza da shopping e la dipendenza da sostanze: in entrambe le patologie assistiamo a fenomeni di craving (incapacità di controllare l’impulso a mettere in atto il comportamento dannoso), di tolleranza (che porta i soggetti al bisogno di aumentare progressivamente le dosi, quindi la quantità di oggetti da comprare, il denaro speso e il tempo da dedicare agli acquisti), e di astinenza (le crisi a cui va incontro lo shopper compulsivo quando per qualsiasi motivo si trova impossibilitato all’acquisto). C’è infine la presenza di un deficit nel controllare i propri impulsi all’acquisto, dove l’impulso a comprare viene vissuto in modo irresistibile. Questa spinta incontrollabile all’acquisto, tipica dei compratori compulsivi, è stata definita “buying impulse”: viene descritta come una pervasiva tendenza distruttiva, creata da un bisogno urgente che preme per essere soddisfatto. Ma l’aspetto più preoccupante sono le gravi ripercussioni sulla vita sociale, lavorativa, familiare e coniugale che la dipendenza da shopping compulsivo causa, oltre alle inevitabili perdite finanziarie e all’importante portata di stress psicologico, di ansia, di depressione e di perdita di ogni controllo sulla propria volontà. Liberarsi dalla dipendenza da shopping si può, come da ogni altra forma di dipendenza, con una psicoterapia che tenga sotto controllo i comportamenti problematici e li riduca nel tempo fino a farli scomparire, attraverso la comprensione dei significati soggettivi e molteplici del sintomo, tentativo disadattivo di dar voce a un profondo malessere.
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Grotta di S. Nicodemo sulla Limina
di Diego Demaio
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La decorata cornice 2 della Piana Il Monte Limina col Monastero di San Nicodemo e il Santuario di San Bartolomeo
n questo secondo itinerario della rubrica, che stavolta si articolerà sulla vicina Limina, verranno coniugate notevoli bellezze paesaggistiche ad antica religiosità calabra. Una volta raggiunti gli 820 m. dell’omonimo largo quadrivio, grazie alla comodissima S.G.C. Jonio-Tirreno ed alla sua relativa bretella, da imboccare prima della lunga galleria di valico (ma sarebbe più classico per noi pianigiani salire dalla vecchia statale 281 che a Perciana, o Petricciana, sfiora la chiesetta della Madonna della Montagna e la quasi dirimpettaia Torre Alba), si svolterà subito a destra verso Cinquefrondi. Dopo qualche chilometro si arriverà al segnalato trivio, contraddistinto da un’edicola muraria attigua al ristorante “Passo del Mercante”, per svoltare a sinistra sulla stradina asfaltata che, in breve, prima sale e poi scende al Santuario di San Nicodemo (sec. X), già ben visibile dagli ultimi tornanti. Giunti al Monastero fondato dal Santo, che è il Patrono di Mammola, non sarà improbabile incontrare, nella sua bianca veste, l’accogliente Don Ernesto Monteleone, “moderno asceta” originario di Antonimina, che vive nella mistica solitudine (nonostante le recenti costruzioni nella zona), perpetuando nel tempo l’eremitaggio del grande Santo medioevale. San Nicodemo di Cellerana, o Kellerana, così si chiamava anticamente la località del monte Limina, nacque (secondo l’autorevole studioso Nicola Ferrante) a Sicrò nella “Vallis Salinarum”, l’odierna Piana di Gioia Tauro, nel 920 e morì, nel suo Monastero, il 12 marzo del 1010, dopo aver vissuto una lunga vita virtuosa e ricca di miracoli. La stessa antica struttura dal 1960 è quasi coperta da una chiesa in cemento (che ha oculatamente preservato i sottostanti ruderi), dentro la quale si possono ammirare gli affreschi dell’artista Nik Spatari. Subito dopo avere intrapreso la via del ritorno, sarà doveroso parcheggiare l’auto alle prime curve della salita per procedere a piedi sul breve ed evidente camminamento sulla destra che conduce, tra la lecceta, alla suggestiva Grotta, dove San Nicodemo si rifugiava per le preghiere e le solitarie meditazioni. Usciti dalla minuscola spelonca scavata nella roccia e saliti sull’attiguo e panoramicissimo cocuzzolo delle Tre Croci, si riprenderà la macchina per ritornare, svoltando a destra, sulla SS 281 e ripassare,
curvando a sinistra, agli 820 m. del grande quadrivio del visibile Villaggio Limina, tralasciato in precedenza. Questo ameno agglomerato, ricadente nel territorio di Mammola e costruito per alloggiare gli alluvionati del 1951, che comprende pure la chiesetta della Madonna dell’Assunta festeggiata ogni ferragosto, è nato col nome di Villaggio U.N.R.R.A. (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), ovvero “Amministrazione delle Nazioni Unite per l’Assistenza e la Ricostruzione”. Dopo l’eventuale sosta, si proseguirà sull’aprico falsopiano in direzione di Giffone per incontrare, dopo qualche chilometro, il bivio per la diga sul Metramo. Da qui si andrà a sinistra arrivando, poco dopo, alla rinomata fonte di San Bartolomeo, sottostante l’omonima chiesa che già si intravede dalla strada. Infatti, dopo poche centinaia di metri, proprio alla fine della salita, si lascerà la strada provinciale per immettersi a destra in una stradina a cemento che in breve porta al Santuario dell’Apostolo, Patrono di Giffone, che si staglia bellissimo tra il bosco lussureggiante. Il bianco tempio, a pianta ottagonale, si trova ai 950 m. della località Contura di Monte Locardi. All’interno della chiesa, consacrata ed inaugurata dal vescovo Benigno Papa, il 15 Agosto 1985, si apprezzerà l’interessante mosaico, di scuola romana, raffigurante il martirio per scorticamento di San Bartolomeo. Usciti dal sacro luogo non si potrà non passeggiare a piacimento lungo l’agevole ed antico sentiero immerso nella magnifica e rigogliosa faggeta (tra le più belle delle nostre montagne), per godere di quella divina policromia che nessun pittore saprebbe mai dipingere. Desiderandolo, i più allenati, proseguendo dritto, potranno,infine, raggiungere il torrente Eia, che poi a valle lambirà Maropati, oppure, percorrendo le digressioni verso destra, potranno arrivare al verde rifugio Agromolio, edificato quasi a fianco di una vicinissima ed ormai rara carbonaia, realizzata a lato della strada asfaltata che porta alla diga sul Metramo. Ritornati al Santuario, dopo la tonificante passeggiata, si risalirà in auto per fare ritorno nella Piana, col consiglio di scendere da Giffone, poco distante, e così ammirare la monumentale Fontana ottocentesca dei Sette Canali col pregevole Orologio a corda.
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Foto panoramica del Santuario di S Francesco di Paola
di Veronica Iannello
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luoghi di San Francesco da Paola scelti per ospitare la settima edizione di “AUREA - Borsa del Turismo Religioso e delle Aree Protette”: si è svolto il 25 Ottobre, il Convegno inaugurale dell’evento realizzato con la collaborazione della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e dell’ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo). Con il via dalla suggestiva cornice del Santuario del Patrono della Calabria, la tre giorni di promozione è stata fortemente voluta dalla Regione Calabria, impegnata nell’attuazione di una politica di sviluppo strategico dell’intero comparto turistico. Nella giornata di apertura di AUREA si sono svolti incontri tra oltre 50 buyer internazionali e gli operatori turistici calabresi. Tali incontri si sono dimostrati interessanti ed utili per la realizzazione di significative sinergie, che tendono a crescere quali occasioni per dare impulso al turismo in generale ed a quello religioso in particolare. Al Convegno hanno partecipato personalità politiche e religiose: il Presidente Scopelliti, Governatore della Regione Calabria, ha ribadito, nel suo saluto di apertura del dibattito, che la credibilità e l’elevata qualità dell’offerta turistica calabrese, hanno contribuito alla realizzazione in Calabria di tale importante iniziativa. Ha poi sottolineato l’utilità dell’evento per dare impulso al settore turistico calabrese ed a quello turistico-religioso in particolare, in una prospettiva di destagionalizzazione delle proposte degli operatori del settore e di aumento potenziale dei flussi di visitatori nella nostra regione. Di particolare interesse, durante il congresso ospitato nella nuova aula liturgica della Basilica del Santuario di san Francesco da Paola, gli interventi dei relatori, affidati ad illustri studiosi e specialisti del settore, che hanno esposto ai
Itinerari rivolti all'anima: “AUREA” La Calabria, il turismo religioso e le aree protette
partecipanti le strategie dinamiche del comparto e le importanti opportunità offerte dal turismo religioso. S.E. Monsignor Staglianò, Vescovo di Noto e Membro della Commissione Episcopale “Cultura e Comunicazioni sociali”, ha sottolineato l’importanza di creare “ITINERARI EDUCATIVI DELLO SGUARDO DI FRONTE ALL’OPERA D’ARTE”: la Calabria gode di un immenso patrimonio storico, artistico e paesaggistico; il suo territorio, dai mille contrasti e dal fascino unico, parla al visitatore che lo osserva quasi a toccarne l’anima. “AUREA” si pone come un’offerta turistica responsabile e consapevole, ma anche come un momento di marketing, in cui gli operatori professionali hanno presentato, ai buyer specializzati, provenienti da Paesi Europei ed Extraeuropei, percorsi già ben programmati con itinerari che si muovono tra fede, natura e cultura. La manifestazione itinerante ha raggiunto i luoghi della mistica di Paravati, Natuzza Evolo, e nel reggino di Fratel Cosimo. Insomma, una Calabria tutta da scoprire, non solo con l’occhio del viaggiatore, ma soprattutto con lo sguardo dell’anima.
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Tutto è paesaggio La calabria è un multicolore insieme di scenari da difendere e salvare di Salvatore Greco
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….si stende dalla marina fin dentro l’Aspromonte, è uno dei più incantevoli paesi d’Italia: una immensa foresta di ulivi colossali, cresciuti in lunghe file,che stendono sopra la terra le loro braccia nere in atto di infinita mestizia,e rammentano il paese ove sbarcò Ulisse e trasse vita la prima religione italica. E verso Oppido, e oltre a Sinopoli, giù fino a Bagnara, ove tocca il giardino perenne degli agrumeti, l’ulivo pare turbato da fosca visione: intreccia i suoi rami, contorti con violenza, in sviluppo stranissimo e passionato, come partecipasse al dolore del suo popolo; e segue tutte le ondulazioni dell’altipiano, le pareti scoscese del monte,le vallate, dando al paesaggio un carattere di solenne e quasi sacra bellezza… Lungo la costa gli agrumeti formano una vegetazione senza fine, a piante di mediocre altezza, ben curate e concimate; invece sull’ Altipiano le coltivazioni avvengono lungo i torrenti, spesso tutto attorno ai centri abitati, consociati ai legumi, nei caratteristici giardini.] Umberto Zanotti Bianco …un discorso che interessa molti campi del pensiero contemporaneo, per questo lontano da una definizione scientificamente esatta. Superata ormai la vecchia nozione di paesaggio pittorico, come quadro estetico del mondo, oggi, certi di aver compreso la lezione affannosamente, divoriamo, ostentiamo, aduliamo, conserviamo e svendiamo il nostro paesaggio, barricati tra sterili e prolisse retoriche disciplinari. Ma forse è gia stato detto e noi siamo rimasti indietro, cosa abbiamo perso? Trascuriamo di orientare tutti i nostri apprendimenti in un’unica rotta conoscitiva, che è quella, in definitiva, di interpretare il nostro segno nel mondo. Per comprendere il senso semiologico del paesaggio, è ovviamente necessario avvalersi di una serie di codici interpretativi di lettura. Molto sinteticamente, significa distinguere scopi funzionali e fini comunicativi. Meglio ancora differenziare i processi operativi dai risultati estetici con i relativi conferimenti di senso, anche se, alla fine, gli uni si compenetrano naturalmente negli altri. Uno dei primi compiti pare, dunque, quello di riconoscere, gerarchizzare, o come sancisce la stessa Convenzione Europea del Paesaggio, caratterizzare, identificare e valutare quel “groviglio intricatissimo” di segni, come amava
definire Italo Calvino il nostro mondo, ma che più semplicemente non è nient’altro che il modo di manifestarsi d’ogni società nel paesaggio. Cittadino della Piana degli Ulivi, alla ricerca di segni visibili e tracce immateriali, ho percorso centinaia di chilometri all’interno di questa scena, scattato migliaia di foto in questo maestoso anfiteatro naturale. Mio compagno di viaggio l’ulivo, archetipo vegetale, testimone e custode millenario di cultura mediterranea. In fretta sono passati dieci anni, immagini incorniciate dal finestrino di un treno, dal parabrezza o dallo specchietto di un’auto, davanti ad un televisore, mentre scorrevano vecchie immagini registrate, senza dimenticare le interminabili passeggiate per sentieri polverosi con i piedi sprofondati nel terreno appena lavorato. Cittadino della Piana degli Ulivi, attore e spettatore, ho scoperto nell’immagine la prima espressione del mio pensiero e quindi l’ho adottata come strumento critico di indagine. La fotografia chiaramente non è paesaggio, come la mappa non è territorio, dicotomie naturali, tra paesaggio vissuto e rappresentato; tuttavia, questo mezzo meccanico ed istantaneo, freddo e apparentemente necrotico, ci aiuta nelle prime operazioni di lettura e documentazione. Portare a casa e riflettere. Una lettura nella lettura, una doppia esposizione all’interno della stessa inquadratura, che diventa, anzi è, sempre e soprattutto un’operazione culturale, un’immagine mentale più da abitare che da visitare fugacemente. Le drupe sui rami dell’ulivo, nonostante abbiano naturalmente un breve periodo di vita, producono ciclicamente ricchezza. Le immagini allo stesso modo invecchiano, passano, ci certificano quello che è stato, ma ciò non esclude che ci danno l’opportunità di costruire una memoria, che, se privata di quella non indispensabile nostalgia del ricordo, ci può far vivere continuamente nuove esperienze di paesaggio, all’interno di un generale e fisiologico processo di trasformazioni, senza l’assil-
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Particolare dell'area archeologica di Oppido antica. Foto di Salvatore Greco
lante timore di pensare che tutto quello che non è stato fotografato possa andare perduto. Dall’alto una corona di centri abitati affiora, isole in un mare di tiepido argento, le fiumare scendono rumorose a valle evidenziando profonde ferite, tutto appare più piccolo, racchiuso e conosciuto nella sua omogenea tegumentazione, ma è illusione, perché questa, seppur sia una felice percezione, contiene solo alcune delle oscure fatiche dell’uomo nel paesaggio dell’ulivo. L’interesse della gente avvolto da timore, vedendomi arrivare con la macchina fotografica, il loro stupore per l’interesse a questa campagna, cordialità e mi invitano a riscaldarmi intorno ad un fumoso braciere, storie e saperi tramandati, fantasie, riti, credenze popolari, proverbi, annate piene, annate vuote. Sto ad ascoltare ammirato ed è inutile tentare di fermarli. Un ascolto che andando avanti è divenuto sempre più vitale per la comprensione dei luoghi e storie e volti, amplificando immagini di paesaggio, sottraendoli all’oblio. Vecchi saggi con il corpo segnato come i tronchi dei loro ulivi, conoscono la terra da vicino, nelle rughe dei volti, nelle loro mani tremolanti c’è paesaggio, non hanno dimenticato: sono loro oggi che garantiscono continuità. Personaggi sorprendenti dilagano saggezza al minimo stimolo, tremano le gambe, solo a sentirmi ingenuamente parlare di “Parco degli ulivi”. Loro vorrebbero sentir parlare per prima cosa di un “giardino produttivo” cooperato da una moderna “fabbrica d’olio”, piuttosto che dello storico bosco d’ulivi. Il parco “paesaggio di carta”, è per loro come un posto recintato pieno di divieti e obblighi, dove nei giorni di festa si paga il biglietto per entrare. Fare paesaggio senza prodotto, senza reddito, sarebbe come dire fare conservazione senza progetto. Un impianto olivicolo unico, centri
storici, paesaggi naturali, siti archeologici, luoghi rurali storici e complessi architettonici costituiscono la dimensione dell’antichissimo palinsesto della Piana, sicuramente punti di forza all’interno di logiche della competizione globale. Su tutto questo vario e vasto patrimonio, in parte male utilizzato, giacciono studi e ricerche interessanti, i progetti sono lì ad aspettare, bisognerebbe semplicemente emulare modelli che in altri contesti sono stati fondamentali indicatori di successo per la valorizzazione delle risorse. Prestando però attenzione a non cadere nella seducente prospettiva d’ingenue politiche di tutela, che troppo spesso hanno portato solamente a banalizzare e semplificare il significato più profondo di paesaggio, creando alla fine solamente sfondi per un fenomeno turistico di moda, che non ha saputo dialogare per niente con il territorio circostante, anzi lo ha allontanato dalla sua vera identità, e i cui risultati pratici risentono sempre più spesso di un televisivo effetto Mulino Bianco. Facendo un primo e veloce bilancio sono sempre più convinto che qui non servono più, né schemi progettuali astratti, né grandi piani, per i quali è difficile prevedere tempi ed esiti delle trasformazioni, né tanto meno opere di cosmesi. Il problema concreto è interpretare paesaggi che coesistono caoticamente. Allora bisogna sperimentare, liberarsi da riduttivi ambiti disciplinari, riappropriarsi del confine fra cielo e terra, quello esiste da sempre e come il paesaggio non ha prospetti, piante, margini, o tanto meno sagome nette, questi risultano flessibili, rimodellabili, incerti al tempo, gracili e alla frammentazione. Il compito è riportare la gente, ormai troppo “urbanizzata”, in campagna, non come antidoto alla città, ma nemmeno per la gita fuori porta del fine settimana nell’agriturismo di turno: semplicemente per riadattarci tutti alla natura, rinaturalizzarci fisiologicamente.
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“E Martino tornò a casa grazie all'associazione culturale “Il Castello”
I resti del caduto « traslati dal sacrario
di Maria Aureliano
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l 27 Ottobre scorso, dopo ben 70 anni, la comunità di San Martino ha potuto finalmente accogliere e tributare i dovuti onori a Martino Frazzica, figlio di questa terra, che il II° conflitto mondiale aveva tolto all’amore dei suoi cari a soli 24 anni. Figlio di Bruno e Antonina Raso, era nato a San Martino il 17 novembre 1918. Come tanti figli di questa amata terra, era partito per servire la Patria ed era stato assegnato alla 21^ Sezione di Sanità del Regio Esercito Italiano. Il 2 Dicembre 1940, fu trasferito a Tobruk, in Libia, in zona d’operazioni belliche. Gli orrori della guerra si ripetevano davanti ai suoi occhi, ma nonostante ciò egli continuava ad assolvere con dignità e onore il compito di portaferiti, servendo ed alleviando le sofferenze dei suoi commilitoni, per quanto a lui possibile, senza mai tirarsi indietro, anche a discapito della propria vita. Proprio mentre prestava questo servizio ai suoi compagni d’armi, la mattina del 1° Giugno 1942, un bombardamento centrò l’ambulanza militare su cui si trovava e Martino fu colpito alla testa da una scheggia di granata. Il Caporale Martino Frazzica perse così la vita nell’espletamento di quello che era il suo dovere di esimio militare. Per tale motivo, con Decreto 01 ottobre 1951, il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, ha concesso a Martino Frazzica la medaglia di bronzo alla memoria con la seguente motivazione: “Caporale di sanità, essendo la sua sezione fatta segno a tiro di artiglieria, incurante del pericolo, continuava calmo e sereno il suo lavoro di assistenza ai feriti, finché, colpito a morte, spirava senza un lamento, dando luminoso esempio di alto spirito militare”. Giunse così a termine la breve ma intensa esistenza terrena del caporale Martino Frazzica, che lasciò nella disperazione i suoi genitori e le sue care sorelle Girolama ed Orsola. Fino al giorno della morte, la mamma Antonina pianse l’amato figlio esclusivamente davanti alle fotografie che lo immortalavano, senza mai avere la possibilità di poter deporre un cero o un fiore sulla lapide del suo ragazzo, perché non si sapeva dove giacessero le sue spoglie mortali. Solo grazie ad una certosina ricerca di Rocco Carpentieri e Francesco Forestieri, componenti dell’Associazione “Il Castello”, presieduta da Anna Maria Fazzari, dopo più di un anno e mezzo di impegno profuso alacremente e senza sosta, spulciando tra innumerevoli nomi di caduti in guerra, all’attenzione dei due studiosi si profilò il nome di Martino Frazzica. Fu così comunicato alla famiglia quanto scoper-
d'Oltremare»
to. Per anni la salma del Caporale Martino Frazzica è rimasta tumulata nel cimitero militare di Tripoli fino a quando, nel 1970, i resti sono stati esumati e trasferiti nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari. Oggi, dopo 70 lunghi anni, il caporale Martino Frazzica è finalmente tornato a San Martino, sua amata terra natia. Un giorno da ricordare per tutti, in primis per le amate sorelle, che hanno assistito commosse alla Messa in suffragio del fratello officiata da Don Marino Scali, alla quale hanno partecipato anche molte autorità civili e militari, nonché una folla di compaesani accorsi per l’occasione a tributare i dovuti onori al caporale Frazzica. Hanno assistito alla celebrazione ,con compostezza e molta commozione, anche altre persone di questa piccola cittadina che ancora piangono parenti, figli, fratelli, cugini, zii che partendo ,tra il 1915 e il 1940 per la I° e la II° guerra mondiale, non vi hanno mai fatto ritorno (ricordiamo che sono circa 40 i figli di San Martino ancora dispersi in guerra). Al termine della celebrazione, la sorella Girolama ha voluto ringraziare tutti per questa memorabile giornata ,ricordando la sofferenza della sua povera madre che, oggi, grazie all’impegno di persone così attente alla storia del nostro paese, potrà riposare in pace accanto al suo figliolo. I resti mortali del Caporale Martino Frazzica riposeranno definitivamente presso il Cimitero comunale di “Jatrinoli - San Martino”. Grande soddisfazione è stata espressa anche dal sindaco di Taurianova, Domenico Romeo, che ha definito la manifestazione di grande spessore, cogliendo nel contempo l’occasione per ringraziare l’Esercito Italiano ed, in particolare, il capitano Polifrone per l’organizzazione, attenta e precisa, del ritorno a casa del caporale Frazzica. Chi ha partecipato alla commemorazione in onore del caporale Martino Frazzica, si è reso conto che oggi, nella piccola frazione taurianovese, è stata scritta una bellissima pagina di storia.
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ato a San Martino il 17 novembre del 1918 da Bruno e da Antonina Raso, il Caporale Martino Frazzica durante il secondo conflitto mondiale fu chiamato alle armi ed assegnato alla 21^ Sezione di Sanità del Regio Esercito Italiano. Il 2 dicembre 1940 fu trasferito a Tobruk, in Libia, in zona d’operazioni belliche dove assolveva il compito di portaferiti. Il 01 giugno 1942, il Caporale Martino Frazzica veniva mortalmente ferito durante un bombardamento nemico. Con Decreto 01 ottobre 1951 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi ha concesso a Martino Frazzica la medaglia di bronzo alla memoria con la seguente motivazione: “Caporale di sanità, essendo la sua sezione fatta segno a tiro di artiglieria, incurante del pericolo, continuava calmo e sereno il suo lavoro di assistenza ai feriti, finché, colpito a morte, spirava senza un lamento, dando luminoso esempio di alto spirito militare”. Rotonda Mteifel (A.S.). La salma del Caporale Martino Frazzica è stata tumulata nel cimitero militare di Tripoli fino al 1970, quando i resti sono stati esumati e trasferiti a Bari presso il Sacrario Militare d’Oltremare. Il 27 ottobre 2012, a settant’anni dalla morte, i resti mortali del Caporale Martino Frazzica, figlio di questa terra, potranno riposare definitivamente presso il Cimitero comunale di “Jatrinoli - San Martino”.
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Ricordare Domenico Taverna
Proposte per onorare la memoria del taurianovese ucciso negli “anni di piombo”
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uesta è la breve storia di Domenico Taverna, servitore della Patria e vittima del suo dovere, completamente dimenticato dalla sua terra nativa. Nato a Taurianova, allora Radicena, in data 26 Marzo 1921 e deceduto in Roma il 27 Novembre 1979, Domenico Taverna combatté, durante la seconda guerra mondiale, col grado di sottufficiale del Regio Esercito e fu ferito alla testa, nel corso di una battaglia sul fronte russo. Nel 1948, dopo essere rientrato in Patria, si arruolò nella Polizia con il grado di Maresciallo. Assegnato al Raggruppamento Guardie di P.S. in Roma, svolse la sua attività con impegno e dedizione. Sposato e padre di una figlia gravemente ammalata di diabete, quando ormai era prossimo alla pensione e ricopriva l’incarico di comandante della Squadra di Polizia Giudiziaria del Commissariato Appio Nuovo, il mattino del 27 Novembre 1979, mentre si stava recando a ritirare la propria automobile in un’autorimessa in via Cherso nr. 32 in Roma, due uomini della colonna brigatista 28 Marzo, armati di pistola, giunsero alle sue spalle ed aprirono il fuoco, attingendolo con otto pallottole che lo colpirono alla schiena, alle gambe ed al torace. I terroristi, compiuto l’infame gesto, fuggirono per unirsi ad altri complici celati a loro copertura. L’attentato venne poi rivendicato dalle Brigate Rosse con una telefonata ad un quotidiano romano e con un volantino fatto rinvenire in un cestino di rifiuti. Le indagini della Polizia consentirono di individuare e catturare tutti i componenti del commando, che vennero poi condannati con sentenza passata in giudicato. Il 29 Settembre 2004, dopo ben 25 anni dalla In basso: l'Avv. Piero De Pasquale, il Sindaco Giuseppe Zampogna, il segretario della Giovane Italia locale Domenico Sollazzo e il Presidente provinciale Luigi Amato
Nella giornata di Sabato 20 Ottobre, la Giovane Italia del circolo “TAURIANOVA-SAN MARTINO-AMATO”, presso la sala consiliare del Comune di Taurianova, ha promosso una raccolta firme per l’intitolazione della sala consiliare o di un edificio importante di codesto comune, al Maresciallo Domenico Taverna, ucciso il 27 Novembre del 1979 dalle Brigate Rosse. Alla conferenza hanno partecipato Luigi Amato, Pres. Prov. della Giovane Italia RC, il Sindaco del Comune di Scido, Dott. Giuseppe Zampogna, e il Consigliere di minoranza del Comune di Polistena Piero De Pasquale. All’interno della conferenza si è discusso della storia e della figura di “uomo di stato” di Domenico Taverna, compito che ha assolto fino all’estremo sacrificio. La Giovane Italia del circolo di Taurianova, vuole dare lustro a questo grande servitore della Patria e vittima del dovere, completamente dimenticato dalla sua terra nativa. La Giovane Italia di Taurianova partirà con la raccolta firme, chiedendo proprio al primo cittadino di Taurianova, Domenico Romeo, di apporre la prima firma. IL PRESIDENTE DEL CIRCOLO DOMENICO SOLLAZZO morte di Domenico Taverna, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, consegnava ai familiari della vittima del terrorismo la medaglia d’oro al valore civile, con la seguente motivazione: “Componente della squadra di polizia giudiziaria, veniva barbaramente trucidato nei pressi della propria abitazione in un vile e proditorio attentato, rivendicato poi da un gruppo terroristico. Mirabile esempio di elette virtù civiche ed alto senso del dovere”. Il 28 Novembre 2011, il Questore Francesco Tagliente, in occasione del 32° anniversario della scomparsa del Maresciallo di Pubblica Sicurezza Domenico Taverna, deponeva una corona di alloro sulla lapide in sua memoria eretta presso il commissariato “Appio Nuovo”. Anche se tardivamente, il riconoscimento della Patria al suo martire è stato tributato, ma a Taurianova Domenico Taverna è morto due volte: quando i terroristi falciarono con violenza la sua esistenza e quando la sua vita è stata coperta dall’oblio che caratterizza la nostra cittadina, dove nessuno sembra avere interesse a coltivare il ricordo dei suoi concittadini che si sono distinti per coraggio e per onore. Salvatore d'Agostino
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Ciclisti alla scoperta dei sentieri dell'Aspromonte. Foto di Corrado Mileto.
Grande partecipazione alla 9° tappa di “Onda d'urto” Canolo Nuova 11 Novembre 2012
di Corrado Mileto
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’ la nebbia ad accogliere da tutta la Calabria e da altre regioni, i 201, tra ciclo-turisti e ciclo-amatori, della 9^ tappa di Onda D’urto, movimento escursionistico in mountain bike, nato e cresciuto in Calabria, arrivato alla sua 4^ edizione. Luogo di ritrovo il ristorante “Cosimo” a Canolo, nuova provincia di Reggio Calabria l’11 Novembre scorso. “Storia, natura e tradizioni” sono le parole chiavi scelte dai quattro team che hanno organizzato l’evento: Taurianova Bikers, Bicittanova Club, Rabike’s di San Giorgio Morgeto e Polistena Bike Team. L’escursione cicloturistica prevedeva un percorso di 35 km con un livello di difficoltà medio/basso; i bikers hanno attraversato tutto l’altipiano Aspromontano, passando per i Comuni di Canolo Nuova, Antonimina, San Giorgio Morgeto e Cittanova, visitando reperti storici di epoca romana (sito denominato Marco Aurelio), e percorso le bellezze naturalistiche tra faggi lussureggianti, vecchie torbiere, sorgive di acque oligominerali, il laghetto Varca e quello dell’acqua Bianca, tra resti archeologici che un tempo hanno reso importante questo territorio. L’organizzazione ha anche predisposto un depliant consegnato ai bikers con
la descrizione dell’itinerario suggerito dalla guida Giuseppe D’Amico di Gente d’Aspromonte, esperto ed appassionato di montagna e di mountain bike, che ha voluto valorizzare molto i siti visitati nell’ itinerario, sottolineando che sono luoghi raggiungibili tutto l’anno. Infine, rientrati nel luogo del raduno presso il ristorante da Cosimo, durante il pranzo, i bikers hanno potuto degustare i piatti tradizionali della cucina Aspromontana; sono stati poi consegnati due premi, uno al gruppo proveniente da più lontano, “MTB Gran Bosco D’Italia” di San Giovanni in Fiore, che insieme a “Asd Girifalco” e “Asd Tiriolo” sono stati sempre presenti nella maggior parte dei raduni, ed un altro al gruppo partecipante più numeroso, ”Polistena Bike Team” con 34 bikers presenti. Alla fine della giornata i partecipanti hanno fatto rientro presso i luoghi di appartenenza, soddisfatti della bellissima giornata trascorsa in mezzo alla natura ed anche per aver gustato le prelibatezze della cucina tipica locale. Anche gli organizzatori sono rimasti soddisfatti della massiccia presenza dei partecipanti che. Anche se per una giornata, hanno dato un contributo turistico-sportivo e socioeconomico per la piccola cittadina.
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Beach Cross: Cairoli e Zerbi guest stars a Soverato
Festa grande con il cross su sabbia Fra i calabresi entusiasmano Scuteri, Tropepe e Carbone
di Gaetano Mamone
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rande motocross lo scorso 28 Ottobre sulla spiaggia di Soverato, trasformata, per il decimo anno, in una pista di Motocross con un paddock degno del campionato del Mondo. La gara del circuito Beach Cross era valida quest’anno anche per gli Internazionali d’Italia. Supermarecross: trofeo, questo, intitolato a Gaetano Di Stefano, che ne fu l’inventore 32 anni or sono. Soverato, con la sua cornice internazionale, è però un fatto a sè: la sua dimensione internazionale è dovuta alla sagacia del promoter Rinaldo Tirotta, Presidente del Moto club Stilaro Racing, che ha individuato in Soverato la location giusta e da allora – anche con l’appoggio degli amministratori succedutisi alla guida del comune catanzarese – ha fatto crescere la manifestazione che, di per sé, ha beneficiato da sempre del valore aggiunto rappresentato da Antonio Cairoli, oggi per ben sei volte campione del Mondo Motocross, pronto ad entrare nella leggenda del più forte pilota di ogni tempo appena avrà raggiunto il record fino ad ora detenuto dall’americano Everts. Il pilota siciliano, agli albori della gara ancora era un ragazzo talentuoso che sognava il Mondiale. Ma da allora ad oggi non ha mai voluto mancare all’appuntamento con il pubblico di Soverato. In gara o talvolta dal Box a causa di infortuni pregressi, è stato sempre presente catalizzando l’attenzione e l’entusiasmo di migliaia di fan e degli organi di stampa (esclusa dal novero la RAI Calabrese, anche quest’anno inspiegabilmente assente). Oltre a Cairoli e agli altri piloti europei che con lui corrono a Soverato (quest’anno al suo esordio l’irlandese Irwin è stato uno dei mattatori), nel paddock per tutta la mattinata è stato presente anche il Presidente onorario della FIM, la Federazione Internazionale, l’Avv. Francesco Zerbi, che ha avuto parole di grande elogio ed entusiastici apprezzamenti per la manifestazione, intrattenendosi con i piloti e soprattutto con i due giovanissimi campioni calabresi, Emilio Scuteri e Giuseppe Tropepe, per i quali si preannuncia un futuro da piloti professionisti e, a breve, il loro passaggio nella ristretta cerchia dei piloti del campionato del Mondo. La gara ha visto duelli mozzafiato nelle classi MX2 e Mx1 con, in grande evidenza, insieme a Cairoli e Irwin, i siciliani Antonio Mancuso e Giovanni Bertuccelli e il gioiese Lello Carbone, quinto assoluto e primo alle spalle dei piloti del giro del Mondiale; nella 125 e nella 85 Tropepe e Scuteri, hanno entrambi impressionato per classe, grinta e cuore. Un grande spettacolo, una grande giornata di sport e, alla fine, Cairoli è stato incoronato Re del Mare, dopo la prepotente vittoria nella Manche Superchamp, un indescrivibile bagno di folla e il saluto alla stagione 2012 con l’appuntamento alle gare 2013 che – nonostante la crisi – si spera possano raccogliere ai cancelletti ancora tanti piloti. In basso: il 6 volte campione del Mondo motocross, Antonio Cairoli sulla sua KTM n°222 (Free's Tanaka press) A sinistra: Il Presidente onorario della FIM Francesco Zerbi con il giovane campione vibonese Emilio Scuteri (Free's Tanaka press)
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Ero il tuo adorato bambino, ma adesso sono un uomo ed è tempo di andare per me” recita il ritornello di “Beloved Child”, il singolo che ha portato gli Other Voices alla conoscenza del pubblico di tutto il Regno Unito tramite la trasmissione in BBC. Una frase semplice che ogni figlio potrebbe dire alla madre a un certo punto della vita, ma che può assumere un diverso significato premonitore nel destino di questi cinque giovani figli della nostra terra, nati e cresciuti tra Anoia, Polistena, Cinquefrondi. E’ proprio da qui che partono Enzo Amato (voce), Giuseppe Tigani (chitarra e tastiere), Domenico Cirillo (basso), Giuseppe Piccolo (chitarra) e Francesco Misiti (batteria). Gli Other Voices, appunto. Che non spuntano dal nulla per conquistare il mondo, ma hanno alle spalle quattordici anni di duro e mirato lavoro, sostenuto dalla sconfinata passione per la musica e dalla determinazione a fare qualcosa di diverso dalle molte altre band in circolazione, credendo in se stessi e osando non soffermarsi alla routine del distinguere il lavoro dall’hobby. Nel lontano 1998, la prima formazione della band prende vita in un bugigattolo relegato nel paesino di Anoia, provincia di Reggio Calabria, tremila anime sì e no. Tra i fondatori storici c’è anche Giuseppe Dromì, che accompagnerà la band fino a “Beloved Child” e la lascerà poi per motivi personali, sostituito da Piccolo. Sono giovanissimi, innamorati delle sonorità della dark-wave inglese dei Cure, Joy Division, Bauhaus, un genere difficile per il quale nei dintorni non c’è gran seguito. Incuranti di questo e puntando fin dall’inizio a un pubblico differente e più ampi spazi, cominciano a proporre le cover nei locali di zona, ritagliandosi la loro fetta di pubblico. Intorno al 2002 la necessità di raccontarsi e di creare li spinge a produrre brani propri e cominciare a proporli in giro. Nel 2005, l’etichetta romana, In The Nightime, li scopre e pubblica il primo cd “Anathomy of a Pain”,che ottiene grossi consensi dalla stampa e dal web magazine. “Ritual Magazine”, pubblicazione cult del settore, in uno speciale dossier Italia, li inserisce tra le band più interessanti del 2006. Comincia l’avventura seria. Chiamati a supporter nel live di El Guapo, gruppo avant rock
Other Voices di Carmen Ieracitano americano, poi degli storici Buzzcocks e, sempre nel 2006, l’esibizione al “Blüthenrausch Summer Fest" di Berlino. Nel 2010, arriva la partecipazione allo show nientemeno che di Wayne Hussey dei Mission. L’olimpo del rock sembra quanto mai vicino. Fondamentale è l’incontro con Francesco Mellina, il geniale manager che negli anni ’80 scoprì e lanciò i Dead or Alive. Con Mellina gli Other Voices volano a Liverpool ad incidere l’EP “Beloved Child”, per la My Passion Records, da cui il singolo entrato nella BBC. E, fra non molto, ci torneranno per incidere il disco, “Let me Try”. In questo lasso di tempo il Corriere della Piana ha pensato bene di non lasciarsi sfuggire l’occasione di incontrarli. Rispetto ad altre realtà musicali italiane, quale credete che sia stato l’elemento in voi che ha fatto la differenza fino a portarvi alla BBC e agli Highfield Studios di Liverpool? Amato: Innanzitutto ringraziamo il Corriere della Piana per lo spazio concessoci. Ci siamo sempre ispirati alla new wave inglese, con l’intenzione, fin dall’inizio, di fare musica per quel mercato. La passione con cui lo abbiamo sempre fatto e la scelta, ovvia, della lingua, sono stati elementi fondamentali. Poi la duttilità, la disponibilità a sperimentarsi e a non rimanere chiusi negli stereotipi. E’ un mondo in cui bisogna sapersi adattare a molte variabili. Comunque è sempre stato il nostro sogno, un sogno da perseguire con determinazione e, naturalmente, a tappe. E’ così che siamo giunti fin lì. “Let me try”. Cosa c’è in questo disco e cosa vi aspettate, o vi augurate, da esso? Tigani: Nel disco ci sono due anni di duro lavoro e nessun limite posto alla creatività. E’ un’esperienza che va affrontata con la mente aperta a tutto, riteniamo che sia un buon proseguimento del lavoro fatto con l’EP, che ci ha già dato un ottimo impulso. Cosa ci auguriamo? Di arrivare all’ascolto del maggior numero possibile di persone, ovviamente. I fan storici dei tempi di “Anathomy of a pain” hanno criticato l’evoluzione di stile del gruppo, giudicandola un cambiamento brusco di rotta. Cosa rispondete in proposito? Cirillo: La musica che facciamo è nostra e questo dovrebbe dire già tutto. Se noi ci sentiamo pronti al cambiamento è normale che cambi anche la nostra musica. A parte ciò, saper aprire tante porte è fondamentale, l’ambiente discografico è così, richiede una certa versatilità e noi crediamo che l’arte stessa sia prima di tutto versatilità. Quali sono dunque i progetti futuri della band, immediatamente dopo l’uscita del disco? Ci sarà un tour promozionale? Piccolo: Sicuramente ci sarà qualche data a Liverpool e un giro a proporsi con diverse etichette discografiche. Ma è la promozione del live che rimane comunque il punto fondamentale sul quale impostare il nostro futuro, suonare dal vivo più assiduamente. Un progetto di questa importanza influenzerà sicuramente tutte le vostre vite e ciò che avete già costruito, sia professionalmente che in privato. E’ una prospettiva che più vi esalta o più vi intimorisce? Misiti: Indubbiamente è una prospettiva che ci esalta. Quattordici anni di lavoro come il nostro, di impegno, sacrifici, rinunce, affrontati sempre con passione e senza mai alcun rammarico, meritano di essere posti davanti a tutto e di ricevere la giusta ricompensa. Io, per esempio, ho una moglie e un figlio ed è anche per loro che intendo puntare tutto nel tentativo di costruire un futuro migliore.
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