Corriere della piana 41

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solo € 1,5 0

Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro - Nuova serie, n° 41, Anno 2016 - “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Aut: ATSUD/CZ/518 val. dal 13/10/15”

In regalo SPORT MAGAZINE (24 pagine)

Il sangue di Gheddafi

Calabria: Ripresa lontana

Giornate FAI Il Museo Metauros

Palmi: Repaci il debito di una Città

S. Giorgio M.: Il sentiero del Brigante

Reggio Calabria MCL - SIAS Benvenuto Presidente!


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Corriere della Piana del 23 Aprile 2016

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cittadini di Taurianova, quelli che - si spera - credono fortemente nella necessità di collaborare con l'Amministrazione per costruire una città più bella, vivibile e solidale potranno, in attuazione di un concetto concreto di cittadinanza attiva, contribuire attraverso la cessione volontaria del 5 x 1000 in favore del Comune di Taurianova nel momento in cui presenteranno la dichiarazione dei redditi 2015.

Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Garreffa, Pippo Callipo, Aurora Placanica, Rosa Saccà, Gen. Angiolo Pellegrini, Domenico De Angelis, Lucia Treccasi, Marinella Gioffrè, Graziano Aloi, Natale Pace, Domenico Caruso, Mimma Giovinazzo, Francesca Agostino, Gianluca Iovine, Diego Demaio. Foto: Paolo Latorre, Salvatore Gagliostro, Franco Di Masi, Simone Pizzi, Marcello Mencarini Archives, Gianluca Iovine, Free's Tanaka Press, Diego Demaio. Grafica e impaginazione:

Copertina: Concept by Free's Tanaka Press Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Sede redazione: Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999 La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 23-04-2016 Visit us on

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sommario

Costruiamo un mondo solidale

Dona il 5 x 1000 alla tua Citta’ Questo è lo slogan con il quale il Sindaco Fabio Scionti, la Giunta e la maggioranza di Taurianova, inviteranno, tramite i media, la stampa e i social, i contribuenti alla donazione in favore dell’Ente. Gli introiti - per obbligo di legge - dovranno essere impegnati per la realizzazione di scopi di solidarietà sociale, nel caso specifico un “Parco giochi inclusivo” le cui finalità sociali saranno a breve illustrate nel corso di una conferenza stampa. Per effettuare la donazione sarà sufficiente indicare nell’apposito spazio del modello per la dichiarazione dei redditi: “Comune di Taurianova”.

Editoriale: Il sangue di Gheddafi Da Giovanni Gentile alla "Buona Scuola" Calabria, ripresa lontana Reggio Calabria: Arriva il Patronato Sias

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Salvatore Riina a "Porta a Porta" Scomoda presenza Resistenza e 'ndrangheta

Lezione di legalità con la Guardia di Finanza

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L'omicidio Terranova - Mancuso

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Delianuova: Diritti umani - le vite violate delle Donne

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Oppido M. ridà il benvenuto alla sua Patrona e al nuovo Parroco

Varapodio: Triplice Solennità nel giorno della Divina Misericordia

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Rispetto reciproco e parità dei diritti

Gioia Tauro: Giornate FAI e Museo Metauros

24 Palmi e Repaci il debito di una Città 28

Per onorare Repaci Adottiamo Villa Pietrosa

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I sette vizi Capitali: L'avarizia

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Cittanova: Paola Raso, nel segno del rinnovamento

Parte il primo tour ufficiale di Chiara e Martina

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Concetto di famiglia e case residenziali in Africa

San Giorgio Morgeto: Il Sentiero del Brigante

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Io Francesco di Paola

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Alfa 2000, vettura senza tempo Il Sentiero del Brigante Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana

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Editoriale

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di Luigi Mamone

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Il sangue di Gheddafi

e ultime immani carneficine provocate dai kamikaze dell’ISIS in Belgio e, poco dopo, in Estremo Oriente, hanno fatto gridare per lo sdegno - vera vox populi - il mondo intero. Umili e potenti si sono ritrovati accomunati nella condanna e - riteniamo - ahinoi, dalla paura che il mordi e fuggi dei terroristi islamici, miri a diffondersi nel mondo occidentale, fino a creare una vera psicosi. Ma richiamando ai lettori più attenti la nostra inchiesta - nella quale lo scorso anno - riproponemmo un nostro articolo: “La Guerra di Bush”, scritto all’epoca dell’avanzata di terra delle truppe Yankee in Afganisthan poco tempo dopo la distruzione delle Twin Towers da parte di Al Qaeda, e quanto altro scrivemmo dopo l’omicidio a sangue freddo di Muhammar El Gheddafi, dobbiamo giungere a conclusioni amare: quelle che hanno imposto il titolo di questo editoriale. Si. Perché il sangue che è stato versato a Bruxelles e in ogni altro luogo della terra prima e dopo la strage di Charlie Hebdo non è sangue francese, belga, tedesco, irakeno, italiano o di qualunque altra sia la nazione delle vittime. E’ il sangue di Gheddafi, ucciso a sangue freddo e senza alcuna vera ragione che giustificasse l’esecuzione e - prima ancora - l’intervento armato multinazionale al quale incoerentemente, rispetto alle attestazioni distensive, alle prove di dialogo e alle apparenti prove d’amicizia di poche settimane prima, anche l’Italia partecipò. La decisione unilaterale di Sarkosy, di inviare truppe francesi a far la guerra al colonnello berbero divenuto buon interlocutore e partner commerciale degli europei e in particolare degli italiani, ha contribuito solo a destabilizzare lo scenario nordafricano e medio orientale che già dopo l’uccisione di Saddam Hussein aveva perduto quell’elemento capace di tenere unita e pacificata la terra degli Assiri e dei Babilonesi. Che i metodi usati da entrambi potessero essere in qualche frangente non condivisibili o addirittura esecrabili non giustificava comunque quello che, americani prima e francesi poi, hanno provocato dopo le loro invasioni: la destabilizzazione, la frammentazione, la cre-

scita esponenziale di focolai di guerra (e nessuno dice da dove arrivino le armi e gli esplosivi). Pacemakers o warmakers? (a beneficio dei nostri lettori non di madre lingua sassone traduciamo: costruttori di pace o guerrafondai?) A distanza di ormai tre lustri di emergenza planetaria non vi sono più dubbi: Warmakers. Gli americani, e con loro inglesi e francesi, stanno praticando una strategia spietata di diffusione di focolai di guerra e di tensione globale. A conferma di ciò basti evidenziare le incertezze e la strana sottovalutazione del pericolo ISIS. La Repubblica Islamica o il califfato sono stati inizialmente sottovalutati, quasi al punto da farli apparire iniziative estemporanee e quasi folkloristihe. Peccato che in breve fra boia occidentali che sgozzavano ostaggi e foreign fighters che da ogni angolo del mondo - antitesi storica dei crociati di 9 secoli fa - andavano in Siria a far la guerra non più per conquistare Gerusalemme o difendere il Santo Sepolcro, ma per distruggere - in nome di un Allah divenuto Dio sanguinario e assassino - la civiltà occidentale che - paradossalmente - in alcune sue frange ciniche e affariste mercanteggia e rifornisce di armi e viveri il califfato in cambio di petrolio. Appare inverosimile - quasi choccante - la nonchalance con la quale, soprattutto gli americani, ancor oggi sottovalutano il pericolo ISIS e la disincantata politica che consente ancor oggi ad Assad di restare al comando di una Siria dove ormai morti e profughi si contano in milioni. All’epoca della guerra in Afganisthan, l’impegno militare americano sembrava la personificazione della nemesi. Furia vendicatrice dopo la distruzione delle torri gemelle e dell’immane carneficina che provocò - più di ogni altra cosa - reazioni contro l’umiliazione che Bin Laden inferse toccando e ferendo chi - almeno in casa propria - si sentiva intoccabile e invulnerabile. Aver - dopo l’Afganistan talebano e fortemente complice di Al Qaeda - voluto destabilizzare l’IRAK senza ottenere alcun concreto risultato ed evitando a stento - almeno fino ad oggi - il ripetersi di un nuovo “Apocalipse now” come all’epoca del Vietnam - avrebbe dovuto imporre a chi pretende di essere il gendarme del Mondo, maggiore intelligenza soprattutto per evitare che il fronte integralista dilagasse in Nordafrica e soprattutto in quella Libia nostra dirimpettaia oltre la linea dell’orizzonte delle estreme propaggini sicule del ragusano: Noto, Donnalucata e dintorni, Cassibile compreso. Invece - sorprendentemente - al posto degli americani arrivarono gli “enfants de la patrille” transalpina improvvisamente animati da spirito di belligeranza contro qualcuno che invece doveva essere protetto, perché rappresentava l’ultimo baluardo di una politica nordafricana post colonialista non compatibile con l’integralismo di matrice islamica. Aperta la porta alla destabilizzazione e alla guerra civile in Libia inizia la tragedia senza fine dei migranti in barca e - oggi - storia recente e cronaca quotidiana - a conferma dell’errore prospettico colossale che anima americani e soci, scopriamo una MittleEuropa divenuta crogiuolo multietnico e polveriera dell’Occidente, costretta a prendere atto della propria vulnerabilità, degli errori di americani e francesi e del sangue che sempre più copioso i terroristi hanno versato, prima in Francia e oggi in Belgio. Un sangue che grida - come quello di Gheddafi - ucciso a sangue freddo dopo essersi arreso - giustizia e non solo vendetta.


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Giovanni Gentile Ministro della Pubblica Istruzione

Il Ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini

Da Giovanni Gentile alla “Buona Scuola”

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uando non si è capaci di costruire contenuti validi da offrire alla considerazione degli altri, per eventualmente intavolare un confronto dialettico, si ricorre a qualche slogan, peraltro anche abusato; si tratta di un vezzo particolarmente diffuso in politica, laddove si è perfino riusciti a scoprire una società “incivile”, logicamente contrapposta ad una società civile, non avendo potuto mai trascinare (...e meno male!) nella comparazione, per verità soltanto vacuamente retorica, una ipotetica società militare, come risaputo alquanto aliena da simili tentativi. E’ di moda, da qualche tempo, infatti, esattamente in coincidenza col fallimento della partecipazione democratica, dire che si ricorre alla individuazione di candidature estratte dalla “società civile”, pensando, tra l’altro, di proclamare chissà quale novità; il che porta alla naturale conclusione di identificare come “incivile” proprio la politica ed alla pari, quindi, i partiti, dal cui perimetro nella nostra era repubblicana normalmente venivano ricavate le scelte da offrire al popolo, ai fini di una propria valutazione e dunque, in fondo, di una selezione elettorale. Come era facile prevedere, però, l’infezione del citato vezzo si è diffusa a macchia d’olio anche nei palazzi del potere, al punto da contagiare perfino la scuola; sicchè, da qualche anno circa, si parla, in merito non mi pronuncio nè a favore nè a sfavore, di “buona scuola”. Personalmente sono convinto che si è trattato solamente di stabilizzare (ed era veramente l’ora...meglio tardi che mai!) qualche centinaio di migliaia di unità del nutrito

stuolo di personale precario, ragguardevole riserva di voti da non trascurare, che urgeva alle porte da alcuni decenni, per la quale operazione la copertura finanziaria era sotto gli occhi di tutti, ma la cui concreta attivazione preoccupava, comunque, il governo, per timore che una tale iniziativa potesse stimolare altre fasce di precariato del pubblico impiego, pronte a rivendicare analoghe pretese; dunque, l’espediente più opportuno era quello di far finta di porre in essere una riforma. D’altra parte, non per niente siamo nel paese del gattopardo! “Buona scuola”, allora, contrapposta così, sembrerebbe logico dedurre, ad una scuola che buona non era! Veramente, per oltre sessanta anni, si è parlato, nella quasi totalità dei casi in senso dispregiativo, di scuola gentiliana, da cui sono state formate tante generazioni, che non mi pare proprio che abbiano rappresentato il fallimento del nostro paese; eppure, a dir poco, abbiamo imparato a parlare e a scrivere in lingua italiana, senza arrecare oltraggio alla grammatica ed alla sintassi, cosa non più comune neppure per i vertici del potere attuale, che non di rado fanno arrossire gli attenti telespettatori. Non vorrei essere confuso per un nostalgico, ma neppure per uno smemorato; e, proprio per questo, mi permetto di invitare ad una più scrupolosa attenzione prima di usare lo slogan di turno, perchè, nel caso della scuola, l’impianto gentiliano ha retto per oltre ottanta anni, mentre gli innumerevoli tentativi di riforma di circa un quarto di secolo, che puntualmente portano il colore della maggioranza governativa del momento, a tutt’oggi non sono riusciti ad approdare ad alcunchè di veramente nuovo e concretamente al passo con i tempi.

di Giovanni Garreffa

Ne rende eloquente testimonianza la ricca collezione di maglie nere che ci vengono abbondantemente elargite in ogni occasione. Sia tollerato un modestissimo suggerimento, timidamente indirizzato anche a qualche alta carica dello stato, da parte di un semplice cittadino che, tuttavia, sui problemi della scuola almeno qualche informazione ce l’ha, se si vuole alquanto approssimativa rispetto ai soloni del momento, che, pur appartenenti alle eccelse sfere della struttura piramidale preposta al governo delle istituzioni educative e formative della Nazione, sovente non sono esenti dalle medesime pecche linguistiche poc’anzi addebitate agli eminenti vertici della pubblica amministrazione e non solo: prima di enunciare frasi fatte, spesso prive di alcun significato sostanziale, relativamente al mondo dell’istruzione in Italia, abbiate la saggezza e l’umiltà di salire al Colle, ove, per fortuna, in atto trovasi, come inquilino, un ex Ministro della Minerva, autore della Conferenza Nazionale sulla scuola degli anni ‘90, già docente universitario ed illuminato giurista di tutto rispetto, che, certamente, ne sa di più rispetto a banditori di turno che, invece di approfondire i problemi, sembrano impegnati a smerciare fatue loquacità, molto spesso strumentalmente in lingua straniera appunto per non essere capiti, ad un popolo non sempre attento alla delicatezza delle più impellenti problematiche della comunità, che, poi, finisce, purtroppo usualmente, per dare il proprio voto a chi, con studiata audacia, dimostra di saper parlare meglio, a prescindere dalla effettiva concretezza di quel che sciorina, egregiamente presentato, con edulcorato mendacio, dall’altisonante vaniloquio a effetto.


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di Pippo Callipo

Calabria, ripresa lontana

Tunnel senza fine fra lunghe attese e speranze vane L'imprenditore calabrese Pippo Callipo

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l Segretario Provinciale della UIL, Roberto Castagna, rappresenta, nella sua denuncia pubblica del 16 Marzo scorso, in modo molto chiaro e crudo alcuni aspetti della drammatica situazione calabrese. Se è vero che nel resto della Nazione ci sono dei timidi segnali di ripresa, in Calabria dobbiamo ancora uscire

Il Segretario Provinciale della UIL, Roberto Castagna

da una crisi - che non è solo quella che ha interessato l’Italia negli ultimi anni - ma è una crisi strutturale, quasi congenita, dalla quale decenni di mala politica non ci hanno tirato fuori. Se in altre Regioni hanno avuto amministratori in grado di indirizzare un sia pur minimo sviluppo, qui nulla è cambiato. Anzi è sotto gli occhi di tutti che siamo ritornati indietro di qualche decennio con alcune differenze sostanziali che, pur non volendo fare un’analisi sociologica, attengono soprattutto agli atteggiamenti delle persone e al loro modo di fare. Fino a qualche decennio fa era viva e cresceva la speranza di vedere la Calabria svilupparsi e mettersi al pari con il resto d’Italia, oggi la società civile è pervasa da un senso di rassegnazione e amarezza che nulla di buono fa presagire. Fino a qualche decennio fa i figli di questa terra immaginavano e programmavano il loro futuro nel Nord-Italia adesso lo programmano e lo immaginano all’estero. Fino a qualche decennio fa c’era fiducia nelle istituzioni oggi, la spregiudicatezza e l’assenza di valo-

ri con cui viene gestita la cosa pubblica, ce l’ha fatta perdere. Ho sempre creduto nelle potenzialità di questa regione e l’ho ampiamento dimostrato scegliendo di continuare ad investire in nuove attività, (dando lavoro a più di 300 persone) proprio in momenti in cui altri preferivano delocalizzare. Ho pensato e sperato che le mie denunce pubbliche potevano in qualche modo scuotere le coscienze dei nostri amministratori politici e istituzionali, in realtà l’unico effetto sortito è stata l’inimicizia di molti potenti che più di una volta si sono sentiti attaccati. Vorrei, come in altre occasioni essere propositivo ed ottimista, ma oggi, purtroppo, anche il mio spirito è fiaccato dalla consapevolezza che, se non ci sarà un intervento divino, la nostra regione è destinata, come forse anche l’Italia, ad un declino sempre più prossimo, la cui responsabilità ricade in misura maggiore su una classe politica-dirigenziale, accomunata, nell’alternanza alla guida di questa regione, dall’incapacità di programmare con serietà e lungimiranza.

MCL, Carlo Costalli a Reggio Calabria

Benvenuto Presidente ! di Luigi O. Cordova

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Per l’apertura della nuova sede provinciale MCL SIAS

l 13 Maggio 2016, con l’inaugurazione della sede provinciale del Patronato Sias si rafforza la presenza del Movimento Cristiano Lavoratori di Reggio Calabria. Un risultato che premia tutti i collaboratori che, a Reggio Calabria e Provincia, si sono dedicati al servizio di assistenza per tutti i cittadini che attraverso il Sias hanno voluto affrontare e risolvere i problemi previdenziali, assistenziali, infortunistici, medico-legale e altri. Negli uffici della nuova sede provinciale ci si potrà

recare per ricevere tutte le consulenze, informazioni, i suggerimenti ed i consigli per ogni tipo di pratica. Per l’apertura di questa nuova sede è stato fondamentale l’apporto del Movimento Cristiano Lavoratori e del Suo Presidente Nazionale, Carlo Costalli, del Presidente Regionale MCL Vincenzo Massara e della Presidenza MCL tutta, nonché del Presidente del Patronato Guglielmo Borri e del Direttore Generale del Patronato Alfonso Luzzi, i quali hanno sempre sostenuto l’Unione Provinciale del Movimento Cristiano

Il Presidente Nazionale MCL Carlo Costalli

Lavoratori di Reggio Calabria in ogni suo passo, soprattutto quelli di crescita. All’inaugurazione di Venerdì 13 maggio interverranno Carlo Costalli (Presidente Nazionale Movimento Cristiano Lavoratori), Guglielmo Borri (Presidente Nazionale Patronato Sias), Alfonso Luzzi (Direttore Generale Patronato Sias), Vincenzo Massara (Presidente Regionale Movimento Cristiano Lavoratori), ed Emanuele Di Matteo (Presidente Unione Provinciale di Reggio Calabria del Movimento Cristiano Lavoratori)


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Salvatore Riina a “Porta a Porta”

Scomoda presenza Ma tacere a chi giova?

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olto clamore ha suscitato, l’altra sera, sollevando un vespaio di giudizi negativi, la molto nota e quotata trasmissione televisiva condotta da Bruno Vespa “Porta a Porta”, per la presenza di Salvatore Riina in versione di scrittore, invitato a presentare il suo libro, scritto come lui stesso dichiara “per difendere la dignità della sua famiglia”. La RAI, come servizio pubblico, pagato dai cittadini, dovrebbe essere più attenta e più oculata nella scelta dei palinsesti per non urtare contro la suscettibilità della gente onesta e perbene. Dello stesso tono è la nota, anche se si vuol far passare questo tipo di programma come “diritto di cronaca”. Il disagio lo possiamo evincere da un post su Facebook di Salvatore Borsellino in cui dice: “Avrei preferito non dovere scrivere queste righe, avrei preferito non essere costretto ad essere assalito dal senso di nausea che ho provato nel momento in cui ho dovuto leggere che il figlio di un criminale, criminale a sua volta, comparirà questa sera nel corso di una trasmissione della RAI, un servizio pubblico, per presentare il suo libro, scritto, come dichiarerà lui,”per difendere la dignità della sua famiglia”. Di quale dignità si tratti ce lo spiegherà raccontandoci come, insieme a suo padre, seduto in poltrona davanti alla televisione, abbia assistito il 23 Maggio e il 19 Luglio del ‘92 allo spettacolo dei risultati degli attentati ordinati da suo padre per eliminare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non ci racconterà forse le esclamazioni di gioia di quello stesso padre che descriverà, come da copione, come un padre affettuoso, ma quelle possiamo immaginarle dalle espressioni usate da quello stesso padre quando, nelle intercettazioni nel carcere di Opera, progettava di far fare la “fine del tonno, del primo tonno” anche al magistrato Nino Di Matteo. Non ha voluto rispondere, Salvo Riina, alle domande su Giovanni Fal-

cone e Paolo Borsellino. Non me ne rammarico, quei nomi si sarebbero sporcati soltanto ad essere pronunciati da una bocca come la sua. In quanto al conduttore Bruno Vespa avrà il merito di fare diventare un best-seller il libro che qualcuno ha scritto per il figlio di questo criminale e che alimenterà la curiosità morbosa di tante menti sprovvedute. Si sarà così guadagnato le somme spropositate che gli vengono passate per gestire un servizio pubblico di servile ossequio ai potenti, di qualsiasi colore essi siano. Qualcuno ha chiamato la trasmissione “Porta a Porta”, la terza Camera, dopo la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, questo significa infangare le istituzioni, infangare la nostra Costituzione, sport che sembra ormai molto praticato nel nostro paese. In quanto a noi familiari delle vittime di mafia eventi di questo tipo significano ancora una volta una riapertura delle nostre ferite, ove mai queste si fossero chiuse, ma ormai purtroppo questo, dopo 24 anni un cui non c’è stata ancora ne Verità ne Giustizia, è una cosa a cui ci siamo abituati, ma mai rassegnati. La nostra RESISTENZA continuerà fino all’ultimo giorno della nostra vita”. Dello stesso tono è la nota di Don Luigi Ciotti che ribadisce: “ Libera è da sempre accanto ai famigliari delle vittime delle mafie. Con loro è impegnata in tanti progetti. Con loro, e per loro, organizza il 21 Marzo, la “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”. Ne ha conosciuto il dolore, la forza, la dignità, la tenacia nel richiedere verità e giustizia - assenti nel 70% dei casi - l’impegno nelle associazioni, nelle carceri minorili, nelle scuole per contrastare le radici della mentalità mafiosa. Meglio di altri comprende allora il loro sdegno e la loro incredulità di fronte alla scelta di una nota trasmissione di dare spazio questa sera al figlio di Totò Riina.C’è chi parla di diritto di cronaca. Ma il libro scrit-

di Francesco Di Masi

to da Giuseppe Salvatore Riina - a quanto si evince da un’intervista oggi pubblicata - non aiuta a dissipare le ombre che ancora avvolgono le stragi di mafia e la rete di complicità, omissioni e silenzi che le ha favorite. È un racconto di vita famigliare, a tratti idilliaca, dove la figura del padre, descritta in termini affettuosi quali Giuseppe Salvatore Riina ha tutto il diritto di usare, oscura quella del boss che ha mandato a morte tante persone e distrutto altrettante famiglie. Cosa c'entri questo col diritto d’informazione non è dato di capire. E se si può comprendere che un editore, allo scopo di profitto, non si faccia scrupoli a pubblicare testi di questo genere, altro conto è quello di uno spazio come quello televisivo - a maggior ragione se alimentato in quanto pubblico da un canone - che dovrebbe fornire un’informazione che aiuti la crescita culturale del paese, che non offenda la sensibilità degli italiani onesti e soprattutto la dignità e il dolore delle famiglie di persone che per il bene comune hanno sacrificato la vita». A tutto questo, si aggiunge, il silenzio delle alte istituzioni dello Stato nelle persone del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Presidente del Senato Pietro Grasso. Considerando la citata notizia dell’intervista a Riina Jr. a “Porta a Porta”, il silenzio scelto per ragioni di oppurtunità politica, assume un contorno e un significato di “sgomento e di dispiacere” per il Presidente della Repubblica, che con tono perentorio e senza polemizzare fa rispondere alle fonti a lui vicine che: “il Quirinale non si occupa di palinsesti televisivi”. Non dissimili dal Presidente Mattarella, sono state le reazioni emotive del Presidente del Senato Pietro Grasso che in quest’occasione, per l’alto livello di fastidio provato per la trasmissione di Bruno Vespa, con piglio molto fermo esprime parole precise e nette, questa trasmissione: “non la guarderò”.


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Don Pino Demasi

di Aurora Placanica

La Resistenza è davvero finita?” A partire dallo studio della Resistenza storica e del percorso di conquiste civili che hanno portato al suffragio universale, i ragazzi della scuola Secondaria di I grado Istituto Comprensivo “Monteleone-Pascoli” di Taurianova hanno attivato un percorso di ricerca sulla conquista della libertà nelle nostre terre. Ne è emersa una riflessione caustica e provocatoria sul senso odierno di liberazione dopo la morte di circa 210.149 partigiani, di cui 36.381 donne durante la lotta di liberazione. Il 25 Aprile commemoriamo la conquista della “Libertà”. Ma la Calabria è stata davvero liberata? E il voto è davvero libero? E’ così che i ragazzi hanno deciso di aderire al Bando di Concorso del MIUR” “Dalla Resistenza alla Cittadinanza Attiva - La Resistenza ha vinto: si vota!” affrontando il tema della nuova Resistenza oggi: la resistenza alle mafie, che stiamo ancora combattendo e che necessita di nuovi partigiani. Ed è così che gli allievi sono andati alla ricerca dei “nuovi partigiani”, quelli che non imbracano armi e fucili ma gridano senza terrore nomi e cognomi di criminali, invitando a scuola e intervistando per un documentario protagonisti indefessi della lotta alla ‘ndrangheta: Don Pino de Masi e Adriana Musella. Si sono così tenuti due incontri per la realizzazione del progetto-documentario. “La lotta contro le mafie deve chiamarci tutti in causa,

L’I.C. Monteleone - Pascoli incontra Don Pino Demasi e Adriana Musella per parlare di

Resistenza e ‘ndrangheta Quando la scuola diventa teatro di riflessione tra passato e presente così come si sentì chiamata in causa la parte sana del Paese nella lotta contro le dittature, anch’esse ladre di libertà. E per questo la liberazione della libertà è un percorso corale, una costruzione che ha tanti volti, tante passioni, tante competenze, in un impegno che richiede costanza e affiatamento”. Parole di Don Pino Demasi, Vicario generale della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi e responsabile regionale di Libera. “La lotta alle mafie non è una questione delegata agli «eroi», ma è una questione che riguarda tutti i cittadini, le persone comuni, gli uomini e le donne che vivono nei territori, i giovani che vanno a scuola e quelli che lavorano o sono in cerca di un’occupazione. Insieme si combatte la paura”. Anche Adriana Musella, Presidente di “Riferimenti, Coordinamento Nazionale Antimafia” ha sottolineato ai ragazzi la difficoltà della lotta in questa nuova “resistenza” perché il nemico da combattere non si vede e per questo bisogna conoscerlo

bene. Non trucida solo con le armi ma si serve del silenzio, dell’indifferenza, dell’incultura. E anche della delegittimazione. “Perché se non si riesce a tappare la bocca a chi grida giustizia, legalità e libertà si prova a isolare quella persona delegittimandola e infangandola per annullare e far dimenticare la sua battaglia. Allo stesso modo dimentichiamo le vittime innocenti della ‘ndrangheta che vanno onorate come partigiani per la liberazione della nostra terra, alla stregua degli eroi della libertà nella resistenza. Chi uccide la memoria commette due volte un delitto. Solo insieme si può vincere”. Ed è su questa dimensione del NOI, contro l’usurpazione e la paura che i ragazzi vogliono lanciare il loro messaggio di impegno civile per una cittadinanza attiva e responsabile a partire dalla scelta libera e consapevole al momento del voto. Noi sosteniamo gli eroi della nuova resistenza. E tu? Questo il loro slogan nel progetto-documentario.


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Gli studenti della “Monteleone - Pascoli” a

Lezione di Legalità con la Guardia di Finanza

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biettivo centrato Sabato 2 Aprile all’Istituto Comprensivo Monteleone - Pascoli con l’incontro di informazione - formazione tra gli alunni delle classi quinte e i rappresentanti delle Fiamme Gialle. Significato di legalità economica, importanza e finalità delle tasse, contrasto all’evasione fiscale ed allo spreco di denaro pubblico e poi ancora contraffazione dei marchi, diffusione e consumo di sostanze stupefacenti: questi i delicati temi affrontati. L’incontro, oltre alle azzeccate modalità con cui è stato messo a punto, rappresenta un ulteriore step nel percorso di “Educazione alla legalità”, finalizzato a portare i ragazzi a riflettere su cosa significhi in concreto vivere nella legalità. Scelta ambiziosa e difficile quella di affrontare argomenti complessi, ma la tenacia e l’ innovazione della Preside Prof. Maria Aurora Placanica e dell’insegnante, curatrice del progetto, Saccà Rosa assegnano proprio per questo, una marcia in più all’Istituto. Relatore dell’incontro è stato il Cap. Pancrazio Buzzo, comandante la Compagnia della Guardia di Finanza di Palmi il quale ha illustrato, tramite l’utilizzo di slide e con l’ausilio di video, il ruolo delle Fiamme Gialle e gli strumenti utilizzati per contrastare certi reati. Il progetto in questione è un’iniziativa che trae origine da un Protocollo d’Intesa tra il Comando Generale della Guardia di Finanza ed il MIUR, per promuovere, nell’ambito dell’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione”, un programma di attività a favore degli studenti. Il progetto è volto alla prevenzione dell’evasione fiscale e dello sperpero delle risorse pubbliche, delle falsificazioni, della contraffazione, dell’uso e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Il capitano Buzzo introduce l’argomento, riba-

dendo quanto sia importante per uno Stato, che deve garantire i servizi a tutti i cittadini, ricevere le risorse, ovvero le “Tasse” dagli stessi, e continua dicendo - “nell’articolo n. 53 della nostra Costituzione, infatti è scritto che… tutti i cittadini devono contribuire alle spese dello Stato secondo le loro possibilità economiche”. “Se qualcuno “dimentica” di farvi lo scontrino fiscale, ricordateglielo”. Come a dire: anche i nostri comportamenti quotidiani contribuiscono, o meno alla legalità. “I comportamenti illegali danneggiano l’ economia generale, la vita di tutti, e alimentano la criminalità organizzata - ha detto - si pensi agli evasori, ai falsi invalidi, all’abusivismo commerciale e alla pirateria informatica, al traffico di droga. Alcuni sono pericolosi per la salute come la contraffazione di alimenti, cosmetici, farmaci con materiali tossici, per non parlare dello spaccio e dell’uso della droga. Sta anche a noi stroncare certi mercati. Comprare i prodotti contraffatti arricchisce i criminali, favorisce il lavoro minorile, crea danni alle aziende oneste”. “Si dice che siamo un paese di grandi evasori; ma ci sono tanti imprenditori e cittadini onesti - ha proseguito -. Il nostro compito è tutelarli, colpendo chi sottrae risorse da utilizzare per ospedali, scuole, strade”. Anche perché, ha messo in guardia, fare i furbi non conviene, è solo una questione di tempo, la verità viene sempre fuori. Ha incoraggiato i ragazzi: “Siate, con piccoli gesti, portatori di legalità”. Piacevole il filmato di chiusura, dove il mattatore Fiorello raccontava la sua infanzia da figlio di un “appuntato della Guardia di Finanza” e, nonostante la mancanza di vantaggi che ciò gli procurasse, ha sottolineato con forza il valore indiscusso, tramandato dall’esempio paterno, di vivere

di Rosa Saccà

nella legalità. L’incontro, che è stato molto partecipato e seguito con entusiasmo dai giovani studenti, si è concluso con la simulazione di un ritrovamento di sostanze stupefacenti poste all’interno di una valigia da parte di un cane antidroga delle Unità Cinofile in forza al Gruppo di Gioia Tauro. A conclusione dell’incontro, la Preside Placanica, ha ringraziato gli esponenti della Guardia di Finanza per la disponibilità e la professionalità dimostrate. L’incontro ha un grande valore formativo - ha sottolineato la Preside - sia per la conoscenza che la Guardia di Finanza ha del territorio, sia sotto il profilo educativo. Il suo ruolo non è riconducibile solo al mero controllo fiscale, ma è indispensabile a tutela della legalità e soprattutto dei valori fondanti del nostro Stato. Inoltre, la lezione rientrava in un percorso più ampio intrapreso dalla scuola: “L’ educazione alla legalità e alla cittadinanza è una competenza trasversale importante - ha ricordato la Preside - un modo per far sì che gli alunni quando escono da scuola possano restituire quello che imparano in aula “.


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PER NON DIMENTICARE di Gen. Angiolo Pellegrini

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lle ore 8,40 del 25 Settembre 1979, all’angolo tra le vie Rutelli e De Amicis di Palermo, il giudice Cesare Terranova e il maresciallo della P.d.S. Lenin Mancuso, venivano proditoriamente uccisi in un agguato eseguito da due uomini a volto scoperto. I killers avevano sorpreso le vittime non appena salite sull’autovettura Fiat 131 targata PA-518330 di proprietà del magistrato, esplodendo contro di loro vari colpi di pistola automatica cal. 9. Subito dopo i due sconosciuti si erano allontanati a bordo di una Peugeot. Dalla ricostruzione dell’agguato mafioso era stato accertato che, quella mattina, il maresciallo Mancuso, come di consueto, era solito fare nelle giornate nelle quali il magistrato era di udienza, si era portato sotto casa del Terranova, (ubicata in via

L'Omicidio del Giudice Cesare Terranova e dell’autista Lenin Mancuso Rutelli n. 38), alle ore 8.15 e, dopo aver parcheggiato l’autovettura e citofonato al Giudice per avvisarlo del suo arrivo, l’aveva atteso presso il vicino bar “Adria” corrente nella stessa via. Una volta giunto il dottor Terranova presso la soglia del pubblico esercizio, i due si erano avviati verso l’autovettura dove, al posto di guida si posizionava lo stesso magistrato mentre il maresciallo Mancuso prendeva posto al suo fianco. Fatti, però, pochi metri in retromarcia per uscire dalla zona di parcheggio, si erano improvvisamente avvicinati due individui che avevano diretto contro i due il fuoco delle loro armi. Il magistrato rimaneva immediatamente ucciso mentre il maresciallo decedeva lungo il tragitto in ospedale. In data 3 Ottobre successivo, la Squadra Mobile di Palermo, con suo rapporto giudiziario, riferiva alla Procura

della Repubblica di quella città che verso le ore 9,15, della stessa mattinata del fatto delittuoso, il centralinista del quotidiano romano “Il Messaggero” aveva ricevuto una telefonata del seguente tenore: “Ordine Nuovo - A Palermo abbiamo giustiziato il boia Cesare Terranova”. L’interlocutore, che aveva voce maschile, aveva parlato con marcato accento dialettale siciliano. Il mandante del delitto veniva subito individuato dagli inquirenti in Leggio Luciano, nato a Corleone il 6 Gennaio 1925, segnalato anche dagli stessi congiunti delle vittime come ispiratore del duplice assassinio, a causa dell’odio che nutriva nei confronti del magistrato, colpevole, a suo dire, di averlo perseguitato inquisendolo più volte. Tale tesi accusatoria formulata dal P.M., veniva condivisa dal G.I. che, a conclusione della formale istruzione, di-


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sponeva il rinvio a giudizio di Leggio Luciano dinanzi alla locale Corte d’Assise di Reggio Calabria. Il relativo procedimento penale si concludeva, però, con sentenza di assoluzione per insufficienza di prove emessa il 2 Febbraio 1983, confermata in Corte d’Assise d’Appello con sentenza del 21.7.1986, divenuta successivamente definitiva, a seguito della decisione della Corte i Cassazione che rigettò i ricorsi delle parti. L’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, in data 2.11.1984, trasmetteva al G.I. del Tribunale di Reggio Calabria, in relazione al procedimento per l’omicidio del dott. Cesare Terranova, copia degli interrogatori resi da Buscetta Tommaso ed un estratto delle dichiarazioni rese dall’imputato Contorno Salvatore. Si avviava, così, un procedimento penale “bis” a carico dei presunti responsabili del duplice omicidio, individuati nei componenti la c.d. “Commissione” o “Cupola” di quell’organismo direttivo esistente ai vertici dell’organizzazione criminale “Cosa Nostra” operante a Palermo e in tutta la Sicilia, organismo che avrebbe deliberato il proprio assenso all’omicidio di Terranova, su richiesta dello stesso Liggio, senza il quale quell’omicidio, alla pari degli altri omicidi compiuti in danno di esponenti politici e istituzionali, non sarebbe potuto avvenire...”. Nel corso dell’istruttoria il G.I., in data 16.4.1985, emetteva mandato di cattura (nr. 13/85) a carico delle seguenti 13 persone, componenti la “commissione” di Cosa Nostra, ed in particolare: Greco Michele, Riina Salvatore, Provenzano Bernardo, Salomone Antonino, Brusca Bernardo, Scaglione Salvatore, Calo’ Giuseppe, Riccobono Rosario, Madonia Francesco, Geraci Antonino, Scaduto Giovanni, Gre-

co Giuseppe Giovanni, Greco Leonardo, Di Carlo Andrea, Motisi Ignazio e Greco Salvatore. A conclusione della formale istruzione, il predetto Giudice istruttore, il 23.10.1989, su difforme parere del P.M., proscioglieva tutti gli imputati del delitto per insufficienza di prove. L’indagine ha ricevuto, successivamente, un nuovo e determinante impulso investigativo con la collaborazione di Di Carlo Francesco da Altofonte. Il Di Carlo, invero, ha messo immediatamente a disposizione della A.G. le sue conoscenze su quegli anni così rilevanti anche per la storia mafiosa, consentendo non solo di riscontrare alcune dichiarazioni rese da collaboranti “storici”, quali Calderone Antonino, ma anche di svelare i retroscena di alcuni gravi delitti di mafia, in parte ancora impuniti Tra i più gravi delitti a conoscenza del collaboratore rientrava, appunto, l’omicidio del giudice Cesare Terranova e del maresciallo di P.d.S. Leninni Mancuso. Successivamente, anche Mutolo Gaspare, altro collaboratore di giustizia, nell’interrogatorio del 16.7.1992 reso al P.M. della D.D.A. di Palermo, ha, sempre con riferimento al duplice omicidio Terranova - Mancuso, riferito “... In quel periodo, fui nuovamente arrestato e mi fu trovato addosso un appunto con un numero che io asserii essere quello di una donna con la quale avevo relazione e che, sulla base di queste mie indicazioni, corrispondeva ad un’utenza abruzzese di un colonnello o di un capitano dei CC. In realtà, quel numero era quello corrispondente alla targa dell’autovettura di Terranova Cesare, che Riina Toto’ mi aveva incaricato di sorvegliare per spiarne i movimenti ed accertare i percorsi e le modalità di protezione. Verso costui Leggio Luciano covava un

vecchio rancore, poiché se ne sentiva perseguitato e l’accusava di avere costruito processualmente un’associazione per delinquere, indicandolo come componente di essa assieme addirittura a delle donne, che erano poi in effetti le donne che gli fornivano assistenza. Probabilmente, se Cesare Terranova fosse rimasto a Roma dopo la sua esperienza politica nulla gli sarebbe successo. Ma il suo volere rientrare a Palermo, dichiarando espressamente che voleva assumere la carica di Consigliere Istruttore per combattere la mafia, determinò la decisione di Luciano Leggio di farlo eliminare…” Solamente il 15 Maggio del 2000 Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Francesco Madonia, Pippo Calò, Nenè Geraci, Michele Greco (tutti i membri della Commissione mafiosa al momento del delitto) sono stati condannati all’ergastolo come mandanti dell’omicidio Di Terranova (Liggio era morto). Leoluca Bagarella, Vincenzo Puccio, Pippo Gambino, Ciccio Madonia, quali esecutori materiali. Dopo 25 anni, nel mese di Ottobre 2004, la Corte di Cassazione ha confermato gli ergastoli per Totò Riina, Michele Greco, Nenè Geraci e Francesco Madonia. Secondo investigatori e giudici, quello di Terranova fu anche un “omicidio preventivo”. Fu ucciso per stroncare la sua carriera e impedirgli di divenire Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo: Ufficio dal quale avrebbe “perseguito con forza la strategia di recidere le trame tra mafia e politica, obiettivo che contraddistinse sempre il suo operato, sia da magistrato che da politico”. Il collegamento fra la sua attività giudiziaria ed il tentativo di portare in Parlamento le sue idee sulla mafia indussero al suo omicidio e a quello della sua guardia del corpo.


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La sala convegni del Polo Solidale per la Legalità

La Presidentessa Paola Raso

Cittanova:

Paola Raso, nel segno del rinnovamento

di Domenico De Angelis

La giovanissima psicologa cittanovese alla guida dell’ACIPAC

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CIPAC. Non è semplicemente un acronimo. È una benemerita realtà che tutti dovrebbero conoscere. Perché? Di cosa si tratta? Le iniziali denotano: Associazione Commercianti, Imprenditori, Professionisti e Artigiani di Cittanova. Ecco quanto dovrebbe diventare sempre più familiare. È anche questo lo scopo del presente articolo. È l’Associazione antiracket per antonomasia, che ha fatto da apripista all’allontanamento della prepotenza mafiosa da Cittanova (RC). Procediamo con ordine. La rivoluzionaria realtà cittanovese è nata ufficialmente (costituzione notarile) il 7 Gennaio 1993. L’appuntamento dal Notaio è stato l’atto conclusivo di un processo sconvolgente già cominciato qualche anno prima, in risposta ad una pesante richiesta estorsiva avvenuta nella cittadina. Per respingere l’arroganza di stampo mafioso, dodici imprenditori cittanovesi hanno trovato la forza ed il coraggio di

denunciare in modo intelligentemente unito “lo strozzinaggio”. Si sa: “l’unione fa la forza”. Loro hanno incarnato questo celebre motto e da allora niente più è stato come prima. A dire del primo Presidente, Rocco Raso, il processo contro i sopraffattori ha avuto una risonanza mediatica impressionante. I riflettori si sono accesi a Cittanova evidenziando la straordinarietà dell’evento. Si, evento! Questo è stato. Una data da scrivere a caratteri cubitali. Il 1990, il primo processo, che ha preceduto la costituzione ufficiale dell’Associazione, come già scritto. Attualmente, ad essa sono associati circa 70 soci, tra imprenditori, commercianti e liberi professionisti. Dopo Capo d’Orlando (ME) ecco Cittanova (RC). Anche se il caso siciliano presenta una diversa configurazione, difatti gli isolani hanno prima costituito l’Associazione e successivamente denunciato i fatti, mentre a Cittanova, la denuncia collettiva ha preceduto la costituzione dell’Associazione. Successivamente alla

stessa, nessuno è stato più isolato. Infatti si è passati, in questo caso, da fenomeni isolati all’isolamento del fenomeno. Uniti, insieme, in modo solidale. Valori, questi ultimi, che fungono da presupposto ad un’azione di riscatto e risveglio che tanti additano come esempio nazionale da seguire. È un atto d’intelligenza. Ed i frutti si vedono tutt’oggi a Cittanova. La città è oggi il punto di riferimento, il centro gravitazionale di una rivoluzione, la dimostrazione che il lavoro in sinergia con le Istituzioni paga e dà buoni frutti. Evidenza tangibile che è possibile affrancarsi da una mentalità mafiosa, causa di un sottosviluppo che si presenta come permanente nella nostra terra. Da qualche tempo l’ACIPAC ha trovato nuova linfa. Un cambio generazionale, si potrebbe dire, capace di incentivare e spingere con maggiore energia una proposta finora di successo. Da qualche mese, infatti, a indossare l’abito presidenziale è la giovanissima psicologa cittanovese, Paola Raso. La libera professionista

AICol

ENTel

ALS

FEDER.Agri

CAA

Federazione Pensionati M.C.L.

CAF

PATRONATO SIAS

CEFA Ong

SNAP

Centro Europeo di Formazione Agraria

Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati

EFAL

Gioia Tauro Via Monacelli, 8 Taurianova Via Benedetto Croce, 2

Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori

Associazione Lavoratori Stranieri

Centro Assistenza Agricola

Centro Assistenza Fiscale

Ente Formazione Addestramento Lavoratori

Ente Nazionale Tempo Libero

Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura

Servizio Italiano Assistenza Sociale


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Uno spazio esterno del Polo Solidale per la Legalità

ha voluto accettare l’incarico conferitogli dal Direttivo, dopo essere stata rassicurata ed incoraggiata da tutti, in particolare dal Presidente uscente, Gino Molina (attualmente Vice-Presidente), e dallo “storico” Presidente dell’Associazione, Rocco Raso. Da loro ha imparato tanto in questi anni. «La loro esperienza - dichiara la Raso - è fondamentale per il cammino intrapreso». La determinazione della prima Presidentessa è percepibile e la volontà di trasmettere il forte messaggio ereditato è evidente. «Mai omertà! Mai sottomissione! “Avere la schiena dritta” ed “il coraggio degli onesti” sono insegnamenti ormai radicati». La Raso incarna nella sua persona il ringiovanimento e le speranze future dell’Associazione. Si è già attivata per migliorare la comunicazione della realtà cittanovese e per ravvivare il Polo Solidale per la Legalità. Frutto quest’ultimo di un’intuizione della dott.ssa Maria Grazia Nicolò (allora Commissario Prefettizio a Cittanova), che essendo a conoscenza di un bando per il recupero di strutture dismesse, ha informato l’Associazione dell’enorme occasione. L’ormai ex “Macello”, riconvertito a Polo Solidale per la Legalità, è stato inaugurato il 21 Marzo 2012 (in seguito ad una procedura di assegnazione con bando, l'ACIPAC costituitasi ATS con un'altra Associazione cittadina "il Faro", ha ottenuto l'assegnazione nell'Ottobre dello stesso anno). Come i predecessori, la Presidentessa ha l’intenzione di continuare a rendere collettiva la gestione dell’Associazione, in quanto - sostiene - «è necessario coinvolgere tutti e renderli partecipi delle varie attività. Bisogna indicare i fondatori dell’Associazione, come esempi trainanti per i giovani. La feconda seminagione di sani valori da essi operata, ha dato i frutti che oggi sono presupposti per il rilancio di una battaglia che si gioca maggiormente sul piano preventivo». La creatività tutta femminile della Presidentessa, condita dall’indispensabile siner-

gia con gli altri associati, ha già permesso la programmazione dei prossimi obiettivi. «Il primo - prosegue la Presidentessa - è coinvolgere maggiormente i giovani, in modo tale che la comprimaria funzione dell’Associazione, quella preventiva, possa interessare sempre più, fasce d’età diversificate. Bisogna strutturare un percorso formativo che dia solidi fondamenti per il cammino intrapreso. Creare rete con le altre Associazioni del settore è fondamentale. È necessario continuare a denunciare ogni segno di degrado civile agli organi competenti (celebre, a tal proposito, il corteo “Via Lucis” organizzato a Cittanova). Non solo. L’attività di prevenzione insiste sulla conoscenza e formazione nelle scuole (principalmente nelle scuole medie secondarie), in cui i ragazzi entrano in contatto con la realtà tramite la testimonianza diretta di chi ha vissuto in prima persona l’esperienza di riscatto. Le scuole - dichiara - sono il nostro primo interesse, per la formazione e l’informazione. I prossimi passi saranno il rinnovamento del sito internet, per poter permettere idealmente l’accesso all’interno dell’Associazione a quanti vogliono interessarsi ad essa. Il mondo virtuale è uno strumento da usare assolutamente. Il cartaceo (che rimarrà sempre) deve essere anche trasferito on-line affinché sia usufruibile da chi non è a Cittanova. Oggi gli articoli più importanti sono esposti, in appositi pannelli, nel corridoio che introduce alla sala conferenze della struttura di riferimento, il Polo Solidale per la Legalità. Affinché, nei vari incontri, tutti possano toccare con mano la storia fin qui “scritta”. Siamo consapevoli - continua la Raso - d’essere punto di riferimento. È un onere ed un onore. Ma ancora tanto c’è da scrivere e non solo a Cittanova. Per questo l’Associazione è aperta a tutti, anche a non cittanovesi, a tal proposito l'articolo 3 dello statuto recita: Possono far parte dell'Associazione, in via principale, le ditte individuali, le società, anche a mezzo di loro rappresentanti delegati, che esercitano un'attività commerciale, artigianale, di interesse turistico o imprenditoriale, i professionisti e chiunque eserciti un'attività ausiliaria del commercio e dei servizi nel territorio della Piana di Gioia Tauro. Possono, altresì, essere soci dell'Associazione anche privati cittadini, associazioni e persone a vario titolo impegnate nel campo della lotta alle illegalità e per la rinascita civile, morale e culturale nel territorio di riferimento.» La solidarietà dimostrata dal caso Cittanova è esempio illuminante e via da seguire. Additare la realtà cittanovese come punto di riferimento non basta, seguirne l’esempio, invece, potrebbe essere proficuo. È auspicabile che la rivoluzione culturale coraggiosamente iniziata, possa estendersi a tutto il nostro territorio, lungamente martoriato dalla “piovra”. Anche perché, l’ultima parola spetta sempre al bene, non dimentichiamolo.


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Dopo la revoca del divieto di Processione di Lucia Treccasi

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Oppido Mamertina ridà il benvenuto alla sua Patrona e al nuovo parroco

ono trascorsi 642 giorni dal “presunto” inchino della Madonna delle Grazie e dal conseguente divieto delle processioni disposto dal Vescovo di Oppido Mamertina, Monsignor Francesco Milito, nell’intera Diocesi di Oppido MamertinaPalmi. Il 4 Aprile 2016 la processione di Maria SS. Annunziata, Patrona di Oppido Mamertina e dell’intera diocesi, ha inaugurato il ripristino delle processioni. Una ripresa resa possibile grazie all’emendamento del documento “Dalla Liberazione alla Comunione. Principi e norme su feste e processioni nella Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi”, stipulato da S.E. Mons. Francesco Milito e da un’apposita Commissione di studio. Il testo normativo verrà presentato il 15 Aprile alle ore 20.00 presso l’Auditorium Istituto Tecnico “Severi” di Gioia Tauro. La Festa di Maria SS. Annunziata, celebrata normalmente il 25 Marzo, giorno dell’Annunciazione del Signore, è stata spostata in occasione della Settimana Santa di Pasqua al 4 Aprile 2016. La solenne concelebrazione eucaristica è stata presieduta da S. E. Mons. Francesco Milito, Vescovo della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, alla presenza di tutto il clero, i sacerdoti, i diaconi e delle Autorità Civili e Militari. Il Sindaco di Varapodio, Orlando Fazzolari, in rappresentanza della sua città ha donato l’olio della lampada votiva che arderà nel corso del 2016 nella Cappella dedicata alla Vergine Annunziata. Durante la funzione, tre giova-

ni seminaristi, Giuseppe Mangano, Cosimo Nicolaci e Giuseppe Sgambetterra sono stati ammessi tra i candidati all’Ordine Sacro. Dopo 1 anno, 9 mesi e 2 giorni, alle 12.00 in punto, come da tradizione, la Beata Vergine Annunziata è stata portata in processione tra migliaia di devoti fedeli, riprendendo il suo consueto cammino per le vie oppidesi. Il digiuno delle processioni non ha intaccato la religiosità dei fedeli, anzi ha rafforzato la fede nella loro Patrona che da secoli li guida e li protegge. Hanno accolto la sacra effigie con viva emozione, raccolti nella preghiera e nella devozione. La processione non ha effettuato nessuna sosta e nessun inchino, nemmeno per benedire gli ammalati o le persone inferme che non potevano recarsi alla processione. Anzi le tante telecamere presenti, che hanno ripreso la celebrazione e il percorso di Maria SS. Annunziata, hanno potuto constatare la composta e profonda religiosità degli oppidesi. Sabato 9 Aprile, durante la messa vespertina, don Letterio Festa è stato nominato nuovo parroco della Parrocchia “San Nicola” di Oppido Mamertina. con decreto vescovile del 4 Aprile 2016. La comunità oppidese ha ricevuto l’annuncio dal Vicario foraneo della Vicaria di Oppido Mamertina-Taurianova, Sac. Domenico Caruso. L’incarico è stato deciso da S. E. Mons. Francesco Milito. La nomina avrà la durata di 9 anni. Don Letterio Festa ha prestato il giuramento di fedeltà e fatto la professione di fede davanti al cancelliere vescovile, Sac. Demetrio Calabrò, e ai testimoni, accoglien-

do la nomina con la promessa di adempiere diligentemente ai doveri di parroco. Una nomina benedetta anche dalla Beata Vergine Annunziata che, alla fine della celebrazione, è stata riposta nella teca della sua Cappella. Il tradizionale canto “Bonasira”, intonato da Salvatore Rugolo insieme ai fedeli, ha accompagnato il sacro rito della riposizione della statua tra la commozione generale.

Oppido Mamertina 9 - Aprile - 2016 : A conclusione dei festeggiamenti mariani in onore di Maria SS. Annunziata, Patrona di Oppido e della Diocesi, è stato dato l'annuncio dell' insediamento di Don Letterio Festa quale nuovo Parroco della Cattedrale intitolata a San Nicola. A lui esprimiamo i nostri più fervidi auguri di un proficuo lavoro di evangelizzazione e a nome di tutta la Redazione del Corriere della Piana, formuliamo preghiere e voti augurali per il cammino pastorale del nostro amico e collaboratore. Ad majora Don Letterio.


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A Varapodio Triplice Solennità nel giorno della Divina Misericordia di Filomena Scarpati

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pesso capita di non comprendere l’importanza di postare una statua in qualsiasi sito del paese, ma fra qualche secolo i ricercatori attraverso quelle statue, rileveranno il vissuto della nostra civiltà e a dire il vero la Chiesa, lascerà alla storia un importante patrimonio. Oltre alle statue agli ingressi del paese, sul sagrato di Santo Stefano a Varapodio, troviamo due Papi Santi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, tutto ad opera dell’ Arciprete Domenico Caruso, Parroco di Varapodio, che da circa un decennio non si preoccupa solamente di collocare statue, ma soprattutto di sviluppare nei credenti un maggiore attaccamento alla fede, attraverso una serie di eventi religiosi che creano comunione e profonda spiritualità, condizioni in cui si è svolta la solennità della Domenica in Albis, dedicata alla Divina Misericordia, con il conferimento del Ministero dell’ Accolitato, in vista dell’Ordine del Presbiterato al seminarista Domenico Lando e la collocazione della Statua di Gesù Misericordioso all’ingresso di Varapodio, lato Oppido Mamertina. Alla concelebrazione Eucaristica tenutasi nella chiesa di San Nicola, presieduta da Mons. Francesco Milito Vescovo della Diocesi di Oppido - Palmi, hanno partecipato oltre al Parroco, Don Domenico Caruso, Don Letterio Festa, Rettore della Cattedrale di Oppido M., Don Francesco Carlino, Parroco a Roccella Ionica, P. Davis, dei Cappuccini di Taurianova e altri sacerdoti della Diocesi. Dopo il saluto di accoglienza di Don Caruso, il Vescovo ha tenuto l’omelia soffermandosi sulla solennità dell’ottava di Pasqua, spiegandone l’importanza per la liturgia. «La Domenica

in Albis fu denominata da Papa Giovanni Paolo II nel 2000 “della Divina Misericordia”, titolazione legata alla Santa mistica polacca Faustina Kowalska. Tra le espressioni riportate da Suor Faustina nel suo diario durante le apparizioni di Gesù, ricordiamo: “In quel giorno sono aperte le viscere della Mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione ed alla Santa Comunione, riceve il perdono totale delle colpe e delle pene”». Il Vescovo ha così sottolineato come l’importanza dell’essere in grazia e comunione con Dio comporti per l’uomo la tranquillità e miri ad evitare conflittualità, soprattutto nelle comunità dove i presbiteri per primi sono chiamati a dare l’esempio per essere credibili. Successivamente si è tenuto il rito di conferimento del ministero dell’accolitato al seminarista Domenico Lando. «Il commovente e coraggioso “Eccomi” di Domenico - ha spiegato il Vescovo - indica la totale risposta di servizio alla chiamata del Signore. Tale ministero spinge a farsi strumento dell’amore di Cristo e della Chiesa, da manifestare in modo particolare con i deboli e gli infermi». Nella Lettera Apostolica “Ministeria quaedam” del 1972, Paolo VI chiarisce come il ministero dell’ Accolito si concretizzi nell’aiutare il sacerdote e il diacono all’ Altare, preparando i vasi sacri e distribuendo la Comunione ai fedeli ove fosse necessario. La celebrazione si è tenuta in un clima di profonda comunione e spiritualità, dalle parole del Vescovo all’ invito del Parroco, ai canti del coro diocesano che hanno intensificato la preghiera. Un vero clima di

festa, che ha assunto una triplice solennità come ha commentato Don Caruso durante il suo discorso. Dopo la celebrazione, è stato raggiunto in processione il luogo della collocazione della statua di Gesù della Divina Misericordia, posta su un’elegante colonna di cemento armato e scoperta alla presenza di numerosi fedeli che hanno accolto la nuova effigie con un caloroso applauso. La colonna è stata edificata da Vincenzo Polifroni con le maestranze di Rosario Calipari e Rocco Raco, mentre la progettazione è stata curata dall’Arch. Francesco Fedele. La statua è stata donata da Pietro Conte, in memoria dei propri genitori. Nell’ iscrizione apposta sulla colonna si legge: “Questa immagine di Gesù eretta a protezione della città e per la gloria di Dio dal popolo di Varapodio, è stata solennemente benedetta da S.E. Mons. Milito Vescovo di Oppido M. - Palmi, auspice l’Arciprete Sac. Domenico Caruso - 3 Aprile 2016, Domenica in Albis della Divina Misericordia”. Sulla colonna si legge poi questa preghiera fatta porre dal Vescovo a perenne ricordo: “La tua Divina Misericordia, o Signore, a Varapodio città Mariana, alimenti la fede, sostenga la speranza, ispiri la carità, affinché fiorisca in eterna primavera la civiltà dell’amore dono e consegna ai risorti in te”. Ha concluso la manifestazione il saluto del Sindaco, Dott. Orlando Fazzolari, e Don Domenico Caruso che curò a suo tempo il divenire di Varapodio città Mariana, dopo l’incoronazione della Madonna del Carmelo, della Madonna di Fatima dell’Edicola di Via Rimembranze e la collocazione della Madonna dell’ Accoglienza all’ingresso opposto del paese.


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di Lucia Treccasi Daniela De Blasio, Consigliera Provinciale di Parità

Pari opportunità uomo donna

Il rispetto reciproco può garantire la parità dei diritti Le donne devono faticare molto più degli uomini per vedere riconosciuta la loro professionalità

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l 10 Marzo 1946 le donne italiane hanno votato per la prima volta. Sono trascorsi 70 anni da quella data e ancora le donne non hanno conquistato il diritto al rispetto. Anzi, la strada si presenta tutta in salita senza un impegno reale delle istituzioni. Daniela De Blasio, Consigliera Provinciale di Parità, si impegna quotidianamente affinché vengono garantite le pari opportunità sia agli uomini che alle donne. “Il Corriere della Piana” l’ha intervistata in merito al ruolo delle donne nel mondo del lavoro e al riconoscimento delle loro capacità professionali. La meritocrazia è uno degli elementi fondamentali per raggiungere la parità tra uomo e donna, come afferma la dottoressa De Blasio: «Le donne devono faticare molto più degli uomini per vedere riconosciuta la loro professionalità. Dove ci sono delle sane competizioni le donne riescono a raggiungere sia numericamen-

te che qualitativamente delle posizioni apicali». Il lungo curriculum della dottoressa De Blasio e i diversi incarichi istituzionali che ricopre testimoniano quanto la dedizione e l’impegno siano le qualità necessarie affinché i talenti vengano riconosciuti. Le gratificazioni professionali sono ottimi incentivi, anche se spesso non vengono avvalorate economicamente perché le donne, in quanto madri e mogli, devono occuparsi della famiglia e della casa e non hanno il tempo materiale per dedicarsi allo straordinario e alla formazione professionale. La Consigliera Provinciale di Parità propone la condivisione della responsabilità fra coniugi, in modo da poter conciliare la vita lavorativa e familiare ed evitare il differenziale salariale tra uomo e donna. Le donne hanno dovuto lottare anche per conquistare un ruolo all’interno delle istituzioni politiche. Infatti, la legge Delrio del 2014 stabilisce

che «nelle giunte e nei Comuni con popolazione superiore ai 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%». Un provvedimento che Daniela De Blasio considera funzionale per il cambiamento, ma asserisce che: «La rappresentanza di genere è rispettata, ma è triste che ci sia voluta una legge per far sì che ci fossero delle donne in giunta. Le donne avrebbero dovuto e potuto prendere il loro posto con le loro capacità senza bisogno dell’aiuto delle quote». Daniela De Blasio sottolinea che: «La parità dei diritti significa avere le stesse opportunità, partire dalla stessa linea e le istituzioni devono dare questa possibilità». Un traguardo che può essere raggiunto educando le nuove generazioni al rispetto dell’altro sesso, in modo che non ci siano più discriminazioni e preferenze poiché non esiste la superiorità di un essere umano sull’altro.


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Delianuova:

Diritti umani - Le vite violate delle DONNE

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l CIF Provinciale di Reggio Calabria e la locale sezione, presenziata dall’Avv. Antonella Puntillo, con patrocinio e collaborazione del Comune, amministrazione provinciale e consiglio dell’ordine degli avvocati di Palmi, ha organizzato il convegno “Diritti umani: le vite violate delle donne” che si è svolto nel Teatro “G.Vocisano”. Hanno aperto i lavori Antonella Puntillo, moderatrice, e il presidente provinciale Cif di Reggio, Angela Laganà. L’Assessore alla cultura Teresa Carbone, ha portato i saluti del sindaco e dell’amministrazione ed ha affermato che “iniziative come queste sono importanti per informare le persone su questa tematica. L’augurio è Ache sempre più donne vittime di abusi, trovino il coraggio di denunciare, ritrovando la propria dignità”. L’Avvocato Rosalba Sciarrone Milicia, del foro di Palmi, ha relazionato sul tema “la tutela della vittima nel processo penale, prospettive e riforme”, parlando delle modifiche introdotte dal decreto legge del 2013, che segna un passo avanti in merito alla donne che subiscono violenza. “Tuttavia - ha affermato - c’è ancora tanto da fare. Lo stato dovrebbe impiegare risorse, al fine di organizzare il cosiddetto terzo settore, educando alla prevenzione”. La psicologa Maria Scordo ha relazionato sull’aspetto psicologico del caso. “Bisogna chiederci - ha affermato - dinanzi ad episodi

di violenza, annunciati da campanelli di allarme, con quale tipologia di modello culturale abbiamo a che fare. Prevenzione, protezione, punizione, sono i punti chiave della Convenzione di Istanbul, allargata ad altri Paesi, compreso l’Italia. E’ necessario un cambiamento di programma a scuola per sensibilizzare sull’ argomento”. In Italia ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna perché la considera di sua proprietà e non concepisce che appartenga a se stessa. Il diario del melograno, progetto a cura del Cif Regione Calabria, sul quale annotare episodi quotidiani, stati d’animo e maltrattamenti, è un promemoria per raccontare la propria storia alle autorità competenti, nel momento in cui si decida di farle intervenire, con la consapevolezza che testimoniare significa risolvere una parte del problema. Sul diario sono riportati numeri utili da contattare, qua-

di Marinella Gioffrè

li quello della polizia di stato e la rete nazionale antiviolenza. Ha concluso il Magistrato del Tribunale per i minorenni di Reggio, Sebastiano Finocchiaro, che ha parlato delle forme di violenza, con particolare riguardo alle vittime minorenni. “Viviamo in un territorio segnato da fenomeni di criminalità organizzata, con reiterazioni a modelli culturali, mentalità arcaiche del possesso che vanno combattute, oltre alla manipolazione dei mass-media: atteggiamenti che vanno eliminati attraverso una rivoluzione culturale che parta dalla scuola. Siamo individui senza spessore culturale, oggetto di messaggi che ci qualificano come meri consumatori del sentimento, poiché spesso non riceviamo modelli culturali tali da modificare il nostro comportamento”. Presente all’incontro anche il Maresciallo Perrone, della locale stazione CC.


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di Graziano Aloi

Parte il primo tour ufficiale di Chiara e Martina

Le gemelle Scarpari debuttano il 25 Aprile a Corigliano con il tour “Una Storia Importante”

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artirà da Corigliano Calabro in provincia di Cosenza, il primo tour ufficiale delle gemelle Chiara e Martina Scarpari che, dopo il successo televisivo in Italia, le partecipazioni all'estero e il debutto discografico con l’album “Una Storia Importante” (edito dalla Zelda Music del M° Vince Tempera), si preparano a calcare le piazze e i teatri di tutta Italia. Con una nuova band e una scaletta ricca di grandi cover e brani inediti, Chiara e Martina sono pronte a conquistare il pubblico cosentino con la loro sprizzante combinazione di talento ed energia. Ad accompagnarle, sul palco, la showgirl Erica Cunsolo presenterà lo spettacolo che sarà intervallato dagli sketch del cabarettista Paolo Martino. Martina e Chiara canteranno per oltre due ore i brani che hanno accompagnato la loro giovane carriera, seguendo una travolgente scaletta ideate nei minimi particolari dal M° Christian Cosentino, inseparabile vocal coach di Chiara e Martina e poliedrico Direttore Artistico del promozionale tour “Una Storia Importante”. Lo spettacolo di Corigliano vedrà anche l’esordio ufficiale della "Chiara&Martina’s band", una formazione di giovani musicisti selezionati tra i più affermati della Piana e tra i più talentuosi della Regione, che vede Rocco Cannizzaro alle tastiere da Palmi, Pierluigi Carbone alla batteria da Oppido Mamertina, Carmelo Morabito alla chitarra da Varapodio, Salvatore Bovalina al basso da Molochio, il tutto contornato da due belle ragazze ai cori, Gessyca Grande da Cicala in provincia di Catanzaro e Noemi Rugolino da Villa San Giuseppe in provincia di Reggio Calabria. Le gemelle Chiara e Martina Scarpari, entusiaste per questa nuova avventura che le attende, mature per il percorso fin qui

conquistato e accompagnate dall'amore che il pubblico calabrese le ha tributato, così, all'unisono si sono espresse: «Siamo elettrizzate per questo debutto - abbiamo affrontato tanti palchi impegnativi ma questa è la prima volta che ci cimentiamo in uno spettacolo interamente nostro, è veramente emozionante. Daremo sicuramente il massimo per cominciare alla grande questa nuova avventura. Siamo molto contente dell’ intesa che si sta instaurando con i ragazzi della band, stiamo lavorando tanto insieme per trovare l’alchimia giusta. È una band di grandi professionisti nonostante siano anche loro molto giovani, siamo certe che arriveremo tutti pronti per la prima di Corigliano». L'appuntamento sarà dunque a Corigliano Calabro, Lunedì 25 Aprile, alle ore 21,00, per scrivere un nuovo capitolo di una storia - che adesso comincia a diventare davvero - "importante".


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Presentazione FAI - Foto Simone Pizzi, Stretto Web

di Luigi O. Cordova

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Il Museo Metauros di Gioia Tauro protagonista delle Giornate di Primavera del FAI

er una volta tanto Gioia Tauro diventa protagonista di un grande evento culturale nazionale, grazie al suo inserimento tra le 900 città italiane meta delle Giornate di Primavera organizzate dal FAI in occasione della XXIV edizione, che, negli anni scorsi, ha fatto conoscere a più di otto milioni di visitatori beni culturali di varie specie per lo più poco conosciuti, ma di certo opere o reperti di grande prestigio. Il FAI mette al primo posto della sua attività proprio questa attenzione verso l’immenso patrimonio artistico - paesaggistico di cui gode il nostro paese, ma ancora poco conosciuto dai grandi flussi turistici di amanti dell’arte e dell’ambiente. Grazie ad una felice scelta operata dalla delegazione FAI della città di Reggio Calabria, più di mille persone nelle giornate del 18/19 Marzo, in coincidenza con la Festa delle Palme, hanno potuto visitare il Museo Metauros di Gioia Tauro e

riscontrare così, di fatto quanto asserito dal capo delegazione del FAI reggino, Rocco Gangemi, in occasione della conferenza stampa svoltasi al Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, il 14 Marzo, alla quale hanno partecipato l’Assessore provinciale alla Cultura e legalità Edoardo Lamberti Castronovo, il Sindaco del Comune di Gioia Tauro Giuseppe Pedà ed il già Archeologo Direttore della Soprintendenza Archeologica della Calabria Claudio Sabbione, cioè il ruolo centrale che ha avuto, per parecchi secoli, il porto di Metauros (oggi Gioia Tauro), antica colonia di Zancle (oggi Messina) nata nella fase di espansione colonica della città dello stretto per meglio gestire il commercio marittimo con le città e le

province greche. Del resto, visitando questo novello Museo Metauros, si arriva ad evincere che la tripartizione e i reperti in esposizione nel Museo ci fanno notare tre epoche diverse di riferimento “Greca, Romana, Medioevale” e quindi da queste tre sezioni museali si possano verificare con i propri occhi i reperti con le proprie caratteristiche temporali, d’uso e di provenienza, ed accer-

Largo affaccio con l'antica Chiesa di Sant'Antonio

Particolare della torre del tratto sud-occidentale della cortina, detta "Torre Don Giacomo" (foto M. Marino)


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Ubicazione Torre Palazzo Baldari

scelto dalla delegazione di Reggio Calabria per mettere in evidenza il ruolo strategico nel commercio marittimo svolto per secoli dal porto della cittadina, colonia di Zancle.

Area grecanica. In fondo anfore della necropoli, in primo piano vasi per il trasporto di derrate alimentari e di vino

Contenitori per profumi e vasellame

Reperti dell'area medievale Contenitori ceramici dei corredi funerari per unguenti e profumi

Dalla necropoli di età romana Brocchette lucerne e fische vitree

Brocchette per uso giornaliero e lucerne

tare così che parecchi di essi sono arrivati dai maggiori centri della Grecia, come Corinto, Atene, le isole del Mare Egeo e della costa dell’Anatolia, la regione di Sparta, come pure dalle città Fenici e Cartaginesi ed anche dall’Etruria. Vi troviamo così vasi preziosi in vetro soffiato, contenitori di unguenti e di profumi o le rare produzioni provenienti da aree tra Fenicia, Siria e Cipro. Altra caratteristica importante di questo museo è la possibilità di vedere al suo interno parte delle mura di cinta del XIII secolo, la cosìddetta “Terra Murata” a controllo della “Piana delle Saline”. L’evento - patrocinato dalla Regione Calabria e dal Comune di Gioia Tauro - è stato creato e organizzato con un lavoro di partenariato tra la Provincia di Reggio Calabria e lo stesso Comune di Gioia Tauro con in testa il Sindaco Giuseppe Pedà e l’Assessore alla Cultura Francesco Toscano, la Sovrintendenza Archeologica Calabria, con a capo il Direttore Archeologo Fabrizio Sudano, l’Istituto scolastico “F.Severi - M.

segni e presenza di vita di gente indigena in questi reperti della necropoli

Statuette - brocche, coppette e vasi per unguento calcidiesi

Brocche in ceramica


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Il museo Pelmar allestito dal maestro vetraio Sante Pellicanò

Il collezionista Leone Alagna tra i suoi cimeli

Opere di Paolo Mazzaferro

Opere di Angelo Grillo

Opere di Pepè Carbone

Opere di Domenico Demana

Guerrisi di Gioia Tauro e il Liceo Artistico di Palmi con i propri docenti e il Dirigente Scolastico Giuseppe Gelardi e tutto il personale del Museo Metauros. Una parte importante, ed attiva, infine, hanno avuto 65 studenti delle scuole prima citate, quali “Apprendisti Ciceroni”, che, dopo essere stati ben istruiti dai propri docenti e dagli esperti della Sovrintendenza archeologica della Calabria, hanno fatto da guida ai visitatori, illustrando la storia dei reperti e la disposizione in tre aree dello stesso Museo ed inoltre hanno fatto anche da accompagnatori per visitare i 2 piccoli Musei privati “Collezione Alagna e Pelmar” (aperti al pubblico per l’evento); la mostra di artigianato locale presso la sala Fallara, dove hanno esposto le loro opere i seguenti artisti Domenico DEMANA, Pepè CARBONE, G. Antonio MACRI’, Pasquale CARBONE, Angelo GRILLO, Leo SERGI, Paolo MAZZAFERRO, Domenico ESPOSITO, Michele BALESTRIERI, Paolo LATORRE, Rocco TRIPODI, Antonio STIVALA, artigiani della pietra verde, di sculture in legno, di oggetti preziosi di bigiotteria, di modellismo, di questo ultimo gruppo, formato da un manipolo di appassionati, allocati in un angolo della sala, grande attenzione hanno avuto da parte del pubblico i modelli di velieri, in particolare la riproduzione della nave scuola Amerigo Vespucci, oltre ad una bellissima serie di modelli di aerei esposti

Opere di Paolo Mazzaferro

Opere di Pasquale Carbone

Opere di Domenico Esposito


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dalle Associazioni di aeromodellismo Sud Calabria e Fata Morgana; la Chiesa di Santo Agostino, prospiciente il Museo, nonché nel giro del vecchio centro storico Pian delle Fosse, borgo antico della Città con le sue Torre Murarie. Infine i visitatori ed i cittadini gioiesi hanno potuto godere dell’esposizione delle opere d’arte del maestro Cosimo Allera, molto bella l’imponente scultura del San Michele, di 2 spettacoli musicali offerti dal Comune di Gioia Tauro con l’esibizione dei gruppi “CELESTE DUO MELODY” e “SOUND 45” nella serata del Sabato, “MERCEDES BAND” per l’altra serata di Domenica e di uno stand enogastronomico della “Struncatura”, prodotto tipico della cucina gioiese, curato dall’Associazione Gioia Sì, dove i buongustai hanno potuto assaggiare abbondanti e gustosi piatti della famosa pietanza. Infine bisogna ricordare la brillante presentazione del Libro “CORNUTISSIMA SEMMAI”, Controcanto della Sicilia buttanissima, con la partecipazione dell’autore Valerio MUSUMECI, avvenuta la sera di Sabato 18 presso la sala di Palazzo Baldari, che è riuscita ad avere una ricca partecipazione di pubblico. Tutte le manifestazioni collaterali alla visita al Museo sono state programmate e curate dal Consigliere comunale delegato al Turismo Totò Parrello.


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di Natale Pace

Palmi e Repaci

Il debito di una Città

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l mio rapporto con Repaci non ha tempo. Lui ormai è morto da tanto, io prima o poi. Posso ben affermare che buona parte della mia esistenza, buona parte del mio essere quel che sono, come sono, molte delle infinite, indescrivibili emozioni che mi suscita ancora leggere una poesia o guardare un quadro (ritornano a me ormai spente tantissime eco di tempi arabi, scorribande di truppe saracene, appena se volgo lo sguardo a una distesa d’ulivi alti come palazzi a dominare la terra o all’onda che frange schiumosa, violacea, contro lo Scoglio degli Uccelli), ogni più remota parte di me è segnata dall’essere io stato, per un certo tratto della mia strada, amico di Leonida e Albertina. Io sono materia impastata dalle mani dell’ultimo dei Rupe, ma lui, probabilmente, nemmeno questo sa, come non saprà mai lo spirito che mi spinge a scrivere quanto sto scrivendo di lui, per lui, nella speranza di saldare una parte, la mia parte di debito che Palmi e i palmesi hanno nei suoi confronti. La materia con la quale siamo stati modellati, Leonida ed io, é sempre la stessa: terra cretosa che scortica le mani dei contadini, “maddu” che non assorbe l’acqua durante le piogge d’inverno e diventa duro d’estate, come il cemento, per mancanza d’acqua. La mia stessa famiglia, la sua storia, se decidessi un giorno di scriverla, comincerebbe con la

stessa via crucis dei Rupe. Per caso, o per arcano disegno che non capisco (ma che mi esalta) è, in piccolo, una copia della “jenìa” dei Rupe. Incontrai Leonida Repaci per la prima volta a Villa Pietrosa. Avevo giusto venti anni nel 1968, diplomato da un anno, già sperimentata con insuccesso pieno l’emigrazione a Torino in cerca di lavoro, mi guardavo in giro, verificando l’assoluta non corrispondenza tra quello che immagini (o ti fanno immaginare) sui banchi di scuola e la realtà dura e intransigente che ti attende fuori. I giovani della mia età, i sessantottisti, progettavano di spaccare il mondo, cominciando a spaccare teste di poliziotti e vetrine, io cercavo disperatamente un lavoro. Eravamo quattro o cinque amici, non ricordo bene, tutti palmesi, e volevamo fondare un Circolo culturale. Grandi idee per la testa, un giornale, premi letterari, biblioteche, cenacoli letterari: pochissimi soldi. Pensammo di ricorrere al vecchio, grande scrittore fondatore del Premio Viareggio, a Palmi in quei giorni per i festeggiamenti al suo 70° compleanno. Forse allettandolo con l’idea di intitolare il nascente Circolo al suo Mariano, gli avremmo sciolto il cuore e aperto il portafogli. Ci ricevette, visitammo la villa, la stupenda Guardiola; sedemmo all’ombra dei pini fiorentini, voluti all’epoca da Albertina, forse, per respirare un poco di aria toscana. Non scucì una lira, ma ci regalò un bel poco di libri per la biblioteca: a me “Il Pazzo del Casamento” con dedica autografa che ancora conservo. Era come un bambino Repaci. Sicuramente aveva compreso (noi capimmo che aveva capito) lo stratagemma dell’inte-


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Foto Marcello Mencarini Archives

stazione del circolo a Mariano per impietosirlo, ma si emozionò lo stesso a parlarne. Solo parecchio tempo dopo capii quanto grande fosse stata la nostra cattiveria, quel giorno, (ma i giovani sanno essere così cattivi senza volerlo!), quando la lettura dei Rupe mi diede pieno il senso dell’amore, del rispetto, dell’idolatria quasi di Leonida per il suo Mariano: un dio vero per lui e per tutti i Rupe. Leonida non ci fece pesare più di tanto la cosa. Restammo con lui tutto il pomeriggio. Quattro ragazzi e un grande vecchio-bambino. Ci parlò del suo socialismo, quello del cuore e del mondo così capitalista, così poco solidale; parlò bene dei ragazzi e della loro protesta, delle manifestazioni che un po’ in tutta Italia turbavano gli adulti e i telegiornali.

“Vorrei la mia tomba qui alla Pietrosa, in un anfratto tra gli ulivi. “Là Repaci da vivo si è già scelto la tomba cui un gigantesco ulivo offrirà la sua ombra non morto ma dormiente in roccia di granito rupe dentro la rupe vedrà passare i secoli senza farsi svegliare1”

le mi spinse a non nominarlo più nei miei libri. Il mio primo romanzo, L’ultimo Cireneo, nella derivazione fisica ideologica e sociale dei protagonisti, e nella parte finale, era ambientato a Palmi (Palma). Nel mio secondo romanzo, La Carne inquieta, Palmi diventò Gràlimi (lacrime). Nel mio terzo romanzo I Fratelli Rupe, Palmi diventò Sarmura, che significa acqua salata, dal latino sal e mùria, e questo nome mi augurerei che restasse”.2 Sempre su I Fratelli Rupe Repaci definisce Palmi: presepe buono, pastori malvagi. Testimoni del nostro incontro, due enormi statue di bronzo che oggi adornano il giardino alla Casa della Cultura di Palmi. Un debito, un altro, che Palmi non ha pagato a Repaci. Leonida e Albertina riposano, ospiti di una cappella gentilizia nel cimitero di Palmi, lontani dai profumi della Pietrosa, non sentono i passeri sui pini toscani, né il rumorio delle onde tra gli anfratti di roccia della Costa Viola, né annusano odori di finocchio selvatico e origano. Io al cimitero non ci vado quasi mai. L’ultima volta un garofano rosso l’ho scagliato attraverso l’inferriata del cancello ed è caduto accanto al suo nome. Rividi Repaci molti anni dopo: quasi dodici. Quella volta scese a Palmi, dalla sua casa di Roma, con Albertina sempre a fianco, come una dea vestale accanto al suo fuoco, per definire la cessione di tutti i suoi beni alla Città. Palmi lo ringraziava con due rendite vitalizie che consentissero agli anziani coniugi una serena vecchiaia, almeno per i problemi finanziari. Seguii la faccenda da impiegato comunale, ma più per personale curiosità e rispetto verso il grande Vecchio e Albertina, che per aver ricevuto vero e proprio incarico dall’assessore, che pure mi aveva chiesto di dare una mano.

Lo scrittore, famoso e riverito, ma già vecchio di ottant’anni vissuti alla maniera dei Rupe, logorato da mille battaglie, bianco i capelli, lisci e di luna come quelli di un bimbo, che ti viene voglia di tenerezza e di passarci dentro una mano per carezzarli. Il suo viso scarno e tirato parlava senza parole, raccontando benissimo la sofferenza di quella separazione da Villa Pietrosa, dai libri, dai quadri: mai, mai dimenticherò, per quanta vita mi rimanga, il dolcissimo viso atterrito dalla spoliazione che gli operai del Comune, seguiti attentamente, stavano metodicamente eseguendo. Albertina era la sua ombra, pronta a sorreggere le forti emozioni di quel petto che batteva all’impazzata. Perché entrambi sapevano, solo essi sapevano, nessuno più di loro poteva, che significati e valori assumeva Villa Pietrosa, quanta vita e sogni, disfatte e vittorie. Ho intuito in quei momenti seguendo i gesti, le azioni di Albertina, in lei, la terribile forza del carattere di Leonida. Lei incuteva rispetto e dedizione solo a guardarla. Io ero (oddio, lo sono ancora!) innamorato pazzo di quella minuscola vecchia dall’aspetto fiero e altezzoso; la piccola donna versigliese che era stata capace di legare a se’ Leto Rupe.

2 Leonida Repaci - Ritratti su misura Venezia 1960

Quando verrete a visitarmi, dopo, vi prego portatemi solo un garofano rosso!” Quattro ragazzi e un grande uomo. Da quel primo incontro, capii che Leonida, ancora, aveva il cuore combattuto tra il vecchio rancore per i palmesi, i terrazzani, come spregiativamente li nomina nelle sue opere e lo sconfinato amore per Palmi. “Il mio risentimento contro il paese nata1 Leonida Repaci - La parola attiva Mondatori ed. 1975

Foto Marcello Mencarini Archives


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Tenne testa in quei giorni ad ogni difficoltà, ogni problema trovava in lei soluzione decisa con piglio e autorità. Difficilmente dicevi la tua, quando Albertina diceva la sua. Ma in presenza di Leonida, al suo cospetto, diventava un piccolo essere pronto alla obbedienza, senza per questo smarrire anche solo un cenno di dignità. Gli si rivolgeva sempre un poco con la dolcezza del suo lunghissimo amore, un poco con il riguardo di chi teme reazioni e sfuriate ben conosciute negli anni. Scrivo queste cose, avendo sul tavolo una vecchia foto di quei giorni. Ci sono io, novelli baffi e accanto a me c’è Sergio Marafioti, anche lui in forza al Comune, nipote della stupenda Maria Marafioti Carbone, vedova del primo sindaco di Palmi nel dopo guerra e responsabile, all’epoca, della biblioteca comunale. Repaci la cita in “Storia dei Rupe - Sotto la Dittatura” quando descrive il carattere dell’allora fidanzato Francesco Carbone, con lui nella camerata n.5 del carcere di Palmi, anch’egli accusato come Leonida e gli altri 29 per i fatti del 30 Agosto 1925. “Uno di quelli che più si è affezionato a Albertina, perché essa gli ricorda la sua Maria, é Ciccio Carbone, uno dei ragazzi più buoni che Leto abbia incontrato sul suo cammino. Di tutto il camerone è quello che meno protesta, minaccia, maledice.”3 Ancora la foto: c’è in un angolo, tagliata verticalmente in due dal fotografo, Albertina, testa alta a guardare avanti a se’ un punto impreciso. Ma siamo tutti in secondo piano, dominati da lui, Leonida che vince il primo piano con il suo altero aspetto: riempie la foto. 3 L. Repaci - Storia dei Rupe - Sotto la Dittatura - A. Mondadori Ed.

Stavamo seguendo il trasferimento dei quadri e delle suppellettili di Villa Pietrosa che gli operai comunali consumavano con religiosa attenzione: “Per evitare che diventino preda di ladruncoli visto che adesso Villa Pietrosa sarà poco frequentata. In attesa di restaurarla e farla rivivere.” Era stata la pietosa bugia del Sindaco. In quelle tristi giornate fui il loro segretario e autista. Sentivo il grande dolore dei due anziani amici e cercavo di evitar loro qualsiasi altro problema. Sergio ed io condividemmo quel giorno la tristezza di un doloroso distacco e Repaci e Albertina ce ne furono grati. Capirono questa condivisione e da quella volta mi onorarono di una straordinaria amicizia che rimane una delle più grandi certezze della mia vita, un appiglio cui ancorarmi. Quando le difficoltà delle giornate difficili mi hanno fatto sentire un piccolo uomo, il ricordo delle parole di Albertina e Leonida sempre mi hanno aiutato ad alzare la testa con orgoglio perché “Niente e nessuno ti può sconfiggere, se tu non vuoi!” . Poi, nei giorni che seguirono Albertina volle leggere il mio primo libricino di poesie e se ne complimentò tanto: “Ti raccomando, mandami il prossimo che lo facciamo entrare nella rosa dei cinque finalisti per l’opera prima al Viareggio”. Vollero, costringendosi Lui ad un’eccezione alla regola, venire alla inaugurazione della mia prima (e unica) personale di pittura e di quella occasione conservo una serie bellissima di foto. Erano stati loro a pretendere la mia presenza e quella di Sergio al trasferimento dei quadri. Alle pareti delle stanze, vicino ai chiodi che

reggevano ogni quadro, c’è ancora appuntato a mano, con la nostra calligrafia, il titolo e l’autore di ogni opera: “Mi hanno promesso” bofonchiava Repaci “che Villa Pietrosa diventerà un importante Centro Studi. La stradina sarà allargata e cementata e si farà l’illuminazione per tutto il tratto. Le scolaresche visiteranno la nostra casa e si racconterà ai ragazzi di noi, di quel che abbiamo fatto per Palmi e delle nostre opere. Quindi voglio (diceva “voglio” con piglio che non ammetteva replica) che ogni cosa ritorni al suo posto come oggi.” Voleva convincere me e Sergio, ma la sua voce stanca e strascicata, oppure la tradizionale sfiducia nei confronti dei palmesi... si capiva lontano un miglio che neanche lui ci credeva. E noi: “Certo, avvocato! I quadri saranno presto riportati alla Pietrosa, riattaccati ognuno al proprio chiodo, anche perché lontani da qui perdono valore.” Inconsapevoli bugiardi, ma almeno gli avevamo strappato un debole sorriso. Solo Albertina, pochi metri più in là, senza farsi vedere da Lui, tentennava il capo come per dire: “State freschi!”. Nella foto, tutti guardiamo verso il fotografo, Albertina forse oltre il fotografo, verso chissà quale pensiero, Repaci scruta alla sua destra probabilmente l’andirivieni degli operai con i quadri e le sue altre cose. La foto riporta un volto bellissimo e tirato; rughe muscolose, piene di vigore e rabbia ed emozione. La sua mascella era una pietra di frantoio, avrebbe frantumato il mondo. Quel giorno sul suo viso lessi una sconfinata commozione, da quel giorno, svuotata Villa Pietrosa, Leonida e Albertina cominciarono


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Foto Marcello Mencarini Archives

a morire e cominciò anche il declino della Pietrosa dei Rupe. Per capire, occorre capire prima cosa è stata Villa Pietrosa. Bisogna avere bene in mente la voglia di riscatto dei Rupe, la totale dedizione di Albertina, diventata palmese per amore. Leonida, legato da un singolare e strano rapporto di odio-amore per Palmi-Palma-Sarmura-Gralimi e per i suoi abitanti terrazzani, aveva voluto, e Albertina ne era stata più di ogni altro l’artefice, quella stupenda isola di verde, di ulivi, le armacie che crescevano di dieci metri oggi e domani crollavano per le improvvise piogge con grande disperazione di Albertina, tolda di nave aperta sul mare viola con la Guardiola da cui lui, l’ardito sfidasse il mondo. Era stato l’ultimo regalo di Donna Maria del Patire, prima di morire. Essa, la Pietrosa, aveva ricambiato Leonida con i suoi arcani silenzi, disturbati solo dal canto agostano delle cicale, dalla risacca sulla scogliera, dall’abbaiar dei gabbiani. Tutta Pietrosa sapeva gli orari in cui l’Avvocato aveva bisogno di silenzio. “Mi è bastato dare un’occhiata all’uliveto e alla vigna arrampicati sulle rupi per difendere contro la rabbia del maestrale e l’usura del salino il loro diritto al frutto, per riprendere la fede in me stesso. La vita poteva essere nuda come quelle rocce rimaste sospese su l’abisso a indicare estrema perplessità della terra sospinta da una grandio-

sa catastrofe a sprofondare nel mare. Nuda, ma la vegetazione aveva vinto. La pietra era stata aggredita da un furioso germogliare di oleastri, di fichi d’india, di agavi, di mirti, di margherite, di mentastri, che aveva trasformato le coste in un verde broccato..4 I quadri di Repaci non sono più tornati a Villa Pietrosa. Ancora un debito, un altro, di Palmi e dei palmesi verso Leonida. Non ci sarà mai abbastanza amore e riconoscenza che possano lontanamente saldare il conto con lui e Albertina. Questo è stato l’ultimo debito non pagato. Villa Pietrosa è un rudere. Villa Pietrosa non è più tolda di nave, ma relitto affondato. Distrutti i mobili, usati forse per il caminetto, non vi è traccia ormai dei libri e dei giornali lasciati sugli scaffali in giro per casa. Non è stata realizzata l’illuminazione per la nuova strada e neanche la nuova strada. I ragazzi delle scuole non li portano a visitare la dimora di Leonida e nessuno gli racconta del vecchio scrittore di Palmi che fece tremare il mondo e non conoscono le tante belle cose che scrisse. Gli studiosi studiano in altri e più moderni Centri Studi e sicuramente non studiano l’opera di Repaci. Personaggio scomodo in vita, “ingombrante” come lo ha affettuosamente definito, Armando Veneto. Anche i tanti crediti che vanta ancora da morto nei confronti di Palmi, dei palmesi, e della Cultura italiana, lo rendono ingom4 Da Leonida Repaci - Taccuino Segreto - 1940

brante, pesano come macigni sulla coscienza d’ogni palmese che abbia coscienza. Due cose ancora sono rimaste di quando c’erano loro. Una: l’aria di Pietrosa è sempre quella. Dolce e tersa in ogni stagione, temprata dagli ulivi secolari, alti come palazzi, anche dai pini toscani di Albertina, che ancora dominano il dominio dei Rupe. Due: c’è ancora un abbaiar di cani, come allora. Ma non sono i cani di Leonida e, se mi avvicino, non più sento la sua voce imperiosa richiamarli e quelli pronti da lupi a diventare agnelli al suo cospetto, godendo la carezza della mano padrona. “E state buoni, è un amico!”

NOTA A MARGINE: Dopo l’avvento dell’Amministrazione Comunale Barone, nella quale per tre anni ho svolto il ruolo di assessore, vi è stato un netto rilancio di Repaci e della Pietrosa. Prima dell’avvento di Barone, attingendo ad un finanziamento regionale, la Villa era stata ricostruita, purtroppo senza rispettare i dettami urbanistici e storici della vecchia Casa e stravolgendone gli interni e gli esterni. Siamo ancora però lontani dall’aver saldato il Debito con Leonida e tanto dev’essere fatto, a partire dal Mausoleo sulla Grotta che Lui ha scelto e la traslazione delle salme.


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Palmi: Liceo Linguistico e delle Scienze umane “Corrado Alvaro” Progetto 2015/2016 di alternanza Scuola-Lavoro

di Rocco Militano

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Per onorare Rèpaci Adottiamo Villa Pietrosa

l Club per l'UNESCO di Palmi a nome del suo Presidente Rocco Militano, con soddisfazione, vuole condividere, insieme ai Soci, al Presidente e ai Consiglieri della FICLU (Fed. Naz. Club Italiani per L'UNESCO), all'Associazione Amici Casa della Cultura L. Rèpaci, al Sindaco di Palmi, ai Dirigenti del Liceo C. Alvaro e dell'Istituto Comprensivo Zagari-Milone, un importante risultato raggiunto da un gruppo di studenti del Liceo Linguistico e delle Scienze umane “Corrado Alvaro” di Palmi. A conclusione di un loro progetto 2015/ 2016 di alternanza scuola - lavoro, inserito come significativo elemento divulgativo - formativo - culturale nel più grande progetto “Adottiamo Villa Pietrosa di Leonida Répaci”. Questo progetto già in essere da tre anni, con il patrocinio della CNIU e della FICLU, è stato portato avanti assieme all’Ass. Amici Casa Cultura L. Répaci, all’Ass. Amici di Ermelinda Oliva ed al Comitato di quartiere Torre Stazione. Corredato e arricchito da una brochure che si pre-

senta come un libretto di accompagnamento ad una recita che si intreccia con una caccia al tesoro che si è svolta nel complesso della Villa Pietrosa, e che per ora è stata destinata solo agli alunni della media Zagari. Gli studenti del III° anno di Liceo dell’Alvaro, a conclusione di uno studio sui valori storici e culturali racchiusi nella Villa Pietrosa donata dallo scrittore Leonida Répaci al Comune di Palmi, hanno impersonato nella recita le figure di Antonino Répaci, padre di Leonida, summastro costruttore della Villa; di donna Letizia Antonielli, madre di Albertina che curò l’impianto dei 700 ulivelli fatti arrivare da Pistoia; della stessa Albertina ; di Leonida; della pittrice giapponese Miyaco Sakamoto che ha dipinto ad acquarelli l’ultimo ritratto di Leonida durante il Premio Viareggio del 29 Giugno 1985, e dell’attuale Sindaco di Palmi Giovanni Barone. Tutti questi personaggi, interpretati nel loro rapporto intimo con La Pietrosa, devono scoprire durante la caccia, i luoghi simbolo della Villa come: l’originale cancello d’ingresso nel giardino ed il piano terra della casa, l’orto sotto i cin-

que cipressi, il parco olivetato, la guardiola ed il sentiero di salita verso la grotta mausoleo. La brochure, a fini turistiti tradotta nel retro, in inglese, spagnolo e francese, mette in evidenza in prima pagina il messaggio culturale di Répaci i loghi del progetto UNESCO 2013 che sono posti sotto la foto del loro gruppo e della targa sul portone di Villa Pietrosa. Gli studenti, orgogliosi dell’impegno assunto e sostenuti da diversi docenti, vogliono proseguire il progetto con altre iniziative e rappresentazioni più complesse ancora per i due anni di corso, mentre gli alunni della Zagari, già entusiasmati e preparati dai loro docenti, chiedono ulteriormente di essere più impegnati a partecipare come protagonisti. Tutto questo, si aggiunge ai quattro Concerti presentati al tramonto nei periodi estivi, ed alle altre manifestazioni di studio ed approfondimento realizzate in questi anni, oltre che dal Liceo Alvaro, anche dal Liceo Pizi e dall’Istituto Einaudi, che porta a far pensare che stia proprio diventando un libro la Pietrosa che i giovani dovranno leggere dalla prima all’ultima pagina per capire come e perché....!


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III PARTE

I sette vizi Capitali

”L'avarizia”

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l termine avarizia o avidità, derivante dalla stessa radice latina avère, sta ad indicare un eccessivo desiderio di beni e di denaro. In ogni tempo vi è stata una ricca fioritura letteraria riguardante l’avarizia. Fedro, nelle sue Favole, riporta l’episodio del cane che - durante l’attraversamento di un fiume - abbandona il pezzo di carne che tiene in bocca per arraffare quello del compagno riflesso nell’acqua: “Amittit merito proprium qui alienum adpetit”. (Ottiene quel che merita, chi perde il proprio per desiderare quello dell’altro). Dello stesso avviso erano i nostri avi: Cu’ troppu voli tuttu perdi. (Chi troppo vuole tutto perde). Cu’ voli ‘u màngia cu’ ddu’ ganghi s’affuca. (Si soffoca chi vuole mangiare con due ganasce). Cu’ ddu’ lepri voli mu ‘cchjàppa, una ‘nci fuji e ll’atra ‘nci scappa. (Chi due lepri vuole afferrare, la prima gli fugge e l’altra gli scappa). Cu’ troppu a tira ‘a stocca! (Chi troppo la tira, la rompe). Arpagone, il noto protagonista de L’Avare di Molière, può considerarsi la quintessenza della cupidigia. Il suo nome è passato ad indicare una persona avida che resiste alle privazioni per accumulare ricchezze e nega a se stesso i più elementari piaceri considerandoli superflui. L’avaru no’ mangia pe’ nommu caca. (Il pitocco non mangia per non defecare). ‘U suraru caca siccu. (Le feci del tirchio sono secche). L’avaru ‘rrusti l’ovu a’ lumera. (L’avaro arrostisce l’uovo alla lucerna). La fine dell’avaro, pertanto, è miserevole: ‘U suraru mori chjnu ‘i pidocchj. (Il tirato muore pidocchioso). La maledetta avidità dell’oro, la virgiliana “auri sacra fames” condannata dai moralisti, veniva esaltata dagli antichi filosofi dediti alla ricerca della “pietra filosofale”. Per il politico e filosofo romano Cicerone: “Nulla più denota piccolezza e bassezza d’animo che l’amare le ricchezze”. Dante, all’origine dello sfacelo morale di Firenze e dei Comuni italiani, oltre all’invidia e alla superbia pone l’avarizia. Il Poeta accusa di avidità re, ecclesiastici e borghesi. Nel IV Cerchio dell’Inferno, avari e prodighi

di Domenico Caruso

nella letteratura e nel folklore - divisi in due schiere opposte - rotolano col petto dei macigni: Come fa l’onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa, così convien che qui la gente riddi. (Inf. VII, 22-24) Per quei dannati, che in vita hanno pensato soltanto ad accumulare denaro, la giusta punizione è la fatica. Quando si avvicinano, essi si rinfacciano le colpe: Percoteansi incontro; e poscia pur li si rivolgea ciascun, voltando a retro, gridando: - Perchè tieni? - e - Perchè burli? - (Inf. VII, 28-30) In un proverbio del nostro paese, S. Martino (R.C.), si afferma: “A rrobba d’avaru s’a màngia ‘u sciampagnùni”. (I beni dell’avaro se li gode lo scialacquato). Si dice ancora: “A rrobba du suraru finisci e’ mani du spragaru”. (La roba del taccagno finisce nelle mani dello sprecone). L’avaru p’o pocu perdi l’assai. (Lo spilorcio per il poco perde il molto). ‘U suvèrchju rruppi ‘u cupèrchju. (Il soverchio rompe il coperchio). ‘U cchjù jè comu ‘u nenti. (Il più è come il niente). Per l’ingordo gli estremi si toccano: Avaru d’’a cinnari e spragaru d’’a farina. (Avaro della cenere e prodigo della farina). L’avaru cu’ spragaru tri ppicciuli ‘i spezi si passaru. (Come c’insegna anche Dante, fra avari e prodighi passa la differenza di appena tre grani di pepe nero). Nelle sue Prediche, Sant’Ambrogio riferisce l’esclamazione di un ingordo ogni volta che consuma un uovo: “Ahimè, un altro pollo in meno!” Si racconta di un confessore, chiamato al capezzale di un vecchio avaro per dare l’estrema unzione. Non appena l’infermo ha scorto l’ampolla dell’olio santo, preoccupato di dover spendere qualcosa, ha chiesto: “Reverendu, quantu si paga?” Il sacerdote, levando ogni dubbio, ha assicurato: “L’olio santo, figliolo, non costa nulla”. “Quand’è pe’ nnenti”, ha sospirato allora il moribondo, “ungitimi tuttu!” In un altro aneddoto, avaro e superbo si dimostra Patri Biasi (Padre Biagio). Un giorno il monaco, passando per un viottolo di cam-

pagna, si è imbattuto in un povero pastorello che lo supplicava: “Patri, dàtimi ccarchi granu, ca perdia ‘a mègghju pecura e stasira ‘u patruni se non ci ‘a pagu mi vastunia!” Padre, fatemi la carità di qualche grano (moneta borbonica), avendo perduto la migliore pecora, perchè questa sera se non gliela pago il padrone mi picchierà! Il frate con arroganza ha risposto: “Va’ a mostrare il culo al popolo: io non chiedo niente a nessuno!”. (Secondo un’antica legge, il fallito - per non essere molestato dai creditori - doveva posare col sedere nudo sul pis vituperii, un sasso, ’a cciappa, esposto sulla pubblica piazza). Trascorso del tempo, il monaco è stato chiamato dal superiore in un paese vicino, sulla montagna. Sorpreso dalla tormenta, si è - quindi - rifugiato tutto il giorno in una casupola di frasche. Giunta la sera, si è presentato là minaccioso un pastore: era il giovane della pecorella smarrita. Nel frattempo sono pervenuti altri villani e la moglie del pastore stesso. Quest’ultimo ha intimato al monaco di uscire dalla sua capanna, oppure: “Se voi pemmu resti ‘nd’hai mu mmostri ‘u culo!” Il frate ha tentato di opporsi, ma alla vista di un nodoso bastone ha dovuto sollevare la tonaca e il culo mostrare. (Adatt. dalla rivista “La Calabria” del 1895). Per l’avarizia non c’è rimedio! Questo vizio capitale non diminuisce neppure con l’abitudine e con l’avanzare dell’età si tramuta in ossessione. Proprio come sosteneva Dante: E ha natura si malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo ‘l pasto ha più fame che pria. (Inf. I, 97-99) Purtroppo, oggi assistiamo anche alla sfrenata ingordigia nella società, a cominciare dai politici. Ad essi non bastavano i privilegi di ogni genere; proprio chi avrebbe dovuto rappresentarci continua a dare il cattivo esempio con tangenti, finanziamenti illeciti e favoritismi personali che impediscono il progresso democratico. Ma, forse, non è colpa loro! I latini, infatti, sostenevano: “Senatores boni viri: senatus autem mala bestia”.


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II PARTE di Mimma Giovinazzo

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uando si parla di orfanotrofi si pensa agli istituti che fino al 2006 vigevano regolarmente in Italia. Ma in Tanzania, non sono proprio così. Ho lavorato per un anno nell’orfanotrofio Tumaini part ecipando al Servizio Civile all’Estero con il CESC PROJECT di Roma e, a Tumaini l’orfanotrofio non è composto da inquietanti camerate come avveniva nelle vecchie istituzioni ma è costituito da singole casette che accolgono un massimo di 10 bambini per ognuna di esse. In ogni alloggio è presente una “mama” nonché un'operatrice del centro che si occupa della gestione della casa e della cura dei piccoli. Il centro ospita circa settanta minori dagli 0 ai 14 anni, essi sono bambini orfani, di strada, abusati o internati per inadeguatezze dei genitori naturali. L’istituto dispone di alcuni servizi: è attrezzato con un piccolo

Concetto di Famiglia e case residenziali in Africa dispensario medico, un asilo frequentato anche dai bambini del villaggio limitrofo, una fattoria e un vasto terreno coltivato a mais per il sostentamento economico del centro; inoltre, ai bambini malati di HIV viene garantita assistenza medica e medicinali specifici. Le casette non hanno i comfort che abbiamo noi; per esempio: un piccolo buco sotto terra è un bagno a tutti gli effetti se pur privo di scarico e altri sanitari, la televisione è un lusso, il divano è da ricchi e il gas in cucina è praticamente inesistente. A quanto detto verrebbe spontaneo esclamare “poveracci!”. Invece no, ho visto come vivono i bambini nei villaggi limitrofi e “poveracci” sono loro. I bambini di Tumaini sono i più favoriti dalla sorte. Non sono spupazzati di coccole, ahimè, ma frequentano la scuola; hanno dei vestiti; hanno un letto e un tetto che non è di paglia; del cibo e sono sottoposti ai vaccini; gli viene impartita un’ educa-

zione e una formazione. Sono quasi i bambini dell’élite; si sentono come quelli che vincono una borsa di studio all’università di Oxford! Come infatti loro sono quelli che almeno una volta nella vita hanno avuto l’occasione di fare un giro in macchina, mangiare caramelle e guardare un film! sembra assurdo ma la realtà laggiù si ribalta, nel senso che , gli istituzionalizzati sembrano i più felici. “Qui parla l’assistente sociale che è in me”: i bambini del centro residenziale Tumaini sono i più avvantaggiati, al contrario invece di quello che accade nelle strutture per minori in Occidente dove essi sono i meno fortunati, qui da noi i bambini sembrano dei pacchi, vengono sballottati da un istituto ad un altro e/o da una famiglia all’altra aspettato che abbia riscontro l’interminabile burocrazia delle adozioni. Ho avuto modo di visitare le strutture residenziali in Italia dove accolgono minori orfa-


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ni, abbandonati o allontanati dai genitori. Negli occhi di questi bambini c’è sempre una velatura di tristezza. Un’angosciante malinconia e rabbia. Parlano della loro situazione famigliare come se fossero loro i colpevoli o quasi come se fosse una grande vergogna non avere un genitore. Invece in Tanzania questo non accade. Anche il bambino più solo sembra vivere in un’eterna felicità. Vivere in Africa mi ha fatto tastare come tutto dipende dalla cultura. Ad esempio, se in Occidente la mancanza di un genitore diviene un trauma permanente, in Africa no. Laggiù sono tutti felici e contenti seppur scalzi, soli e sporchi di terra. Ebbene la risposta sta sempre in quella semplice parola: La Cultura! Il modo di vivere la famiglia, le relazioni intime, il vicinato … anche i modi di pensare e di educare influenzano persino l’emotività delle persone. Se in Occidente si prova compassione per un piccino che all’età di 10 anni cucina per se e per gli altri, in Africa è atteggiamento comune e abituale. Un bambino non appena impara a camminare, cammina e non viene tirato su dalla mamma per-

ché stanco, e le sue gambette non sono sostituite da un passeggino. Un bambino non appena sviluppa la cognizione gli viene insegnato per esempio come fare il bucato e le sue manine non sono mai abbastanza piccole per poter sfregare i

bambino diventa il fratellino più piccolo; un fratellino da prendersene cura. Proprio in questo modo sopprimono la mancanza di una sorella o di un fratello biologico, e allo stesso modo avviene per un genitore. Il genitore è chi si prende cura del piccolo

panni. Ma ritornando alla concezione di vivere i rapporti famigliari, in Tanzania il concetto di famiglia e di fratellanza è molto più allargato. I primi tempi che ho vissuto nel centro Tumaini vedevo solo circa 70 bambini, ognuno a sé, ma con il passare del tempo mi hanno insegnato che quei 70 bambini erano tutti fratelli. Come infatti non appena arriva un nuovo

e se sono stati abbandonati, se non hanno genitori, se sono proprio soli al mondo, dicono con tanta spontaneità e tranquillità “Dio ci proteggerà, adesso ho una nuova mamma” anche se essa è solo l’operatrice del centro. Questo è il dono più grande che mi ha insegnato L’Africa: concepire l’altro come un mio fratello.


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Da San Giorgio Morgeto la proposta di un "itinerario culturale europeo" per il Consiglio d'Europa di Francesca Agostino

Il Sentiero del Brigante Fra suggestioni, miti e leggende

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arte da San Giorgio Morgeto la proposta di una filiera intercomunale per la promozione a livello internazionale dell'itinerario aspromontano noto come "Percorso del Brigante". Ma che cos'è un itinerario culturale europeo e a cosa serve? E' il 1987 quando il Consiglio d'Europa, con sede a Strasburgo, attiva il programma di promozione degli "itinerari culturali europei", con l'intento di dimostrare che il patrimonio paesaggistico e naturalistico dei paesi europei costituisce di fatto un patrimonio comune, veicolando la divulgazione dei valori fondamentali dell'organizzazione internazionale istituita dal Trattato di Londra nel 1949: diritti dell'uomo, democrazia culturale, tutela e promozione della diversità ed identità culturale europea: il complesso valoriale poi è confluito nello stesso motto dell'Unione Europea: "Uniti nella diversità", oggi più che mai significativo e denso di contenuto, alla luce delle sempre crescenti difficoltà connesse a quello che potrebbe essere definito un "multiculturalismo esasperato", effetto delle dinamiche incontrollate dei flussi migratori e della

"stabile instabilità" politica in medio oriente. L'itinerario culturale europeo è lo strumento attraverso il quale, nella consapevolezza della diversità culturale e della difficoltà di conciliare e "tenere insieme" l'indole di popoli e territori "geneticamente" diversi, per cultura e tradizione, il Consiglio d'Europa mira a rinsaldare i sentimenti di solidarietà e le forme di dialogo ed interscambio tra culture e religioni, ed a tutelare e valorizzare il patrimonio culturale e naturale, considerato volano per uno sviluppo sociale e sociale e per favorire l'emersione del turismo culturale, in un'ottica di sviluppo sostenibile e crescita economica ed occupazionale.mappa Attualmente gli itinerari culturali europei riconosciuti in Europa sono 12. Tra questi, il celebre Cammino di Santiago de Compostela; ma l'elenco potrebbe essere soggetto ad aggiornamenti. Dall'Italia è infatti in fase di avanzamento la procedura diretta al riconoscimento del "Percorso del Brigante", antico itinerario calabro-aspromontano, altamente significativo sul piano storico, radizionale e spirituale/religioso. Pochi giorni fa il Comune di San Giorgio Morgeto, piccolo borgo italico

in provincia di Reggio Calabria, il cui territorio è attraversato dall'itinerario aspromontano, ha istituito ufficialmente a tal fine, la Filiera intercomunale per la promozione del percorso quale Itinerario culturale Europeo. Ben 18 comuni calabresi, attraversati dal percorso, invitati a "fare rete" per sostenere la candidatura del Sentiero per il prestigioso riconoscimento internazionale, con la consapevolezza di tutte le possibili ricadute positive sul territorio in termini di impatto positivo dell'immagine della vasta area regionale sia a livello nazionale che europeo/internazionale. Il Sentiero del Brigante è veramente un itinerario suggestivo ed emozionante; l'idea della sua valorizzazione nasce dal volume del giovane escursionista Nicola Casile, autore del volume "Diario di un trekking sul sentiero del Brigante" edito da Kaleidon Editrice. Dal racconto della bellezza e suggestività del ter-


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antico itinerario viario e mercantile, oggi opportunità di promozione turistica ritorio, dagli scenari mozzafiato e dalle escursioni sensazionali, nasce quasi istantaneamente dal Comune di San Giorgio Morgeto l'idea di una promozione adeguata, mediante gli strumenti della cooperazione inter-istituzionale, tra enti territoriali ed organizzazioni internazionali, per l'avvio di un progetto comune di valorizzazione delle risorse endogene in un'ottica di crescita culturale ed anche turistica.

Il riconoscimento da parte di Strasburgo, ove ottenuto, consentirà all’intera filiera intercomunale di dare all’itinerario evidenziato (e dunque ad una vasta area territoriale della regione), una grandissima visibilità sia a livello nazionale che internazionale, costituendo un polo d’interesse turistico e meta di destinazione per turisti e viaggiatori che potranno al contempo venire a conoscenza non solo dell’itinerario

in sé, ma anche delle tradizioni, della storia e dei siti di interesse turistico dei vari borghi e paesini situati lungo la filiera. Il tutto nel convincimento sempre più diffuso e marcato, che il turismo rappresenti per l'Europa la risorsa di punta per favorire una rigenerazione culturale diretta ad implementare le opportunità di crescita civile e sociale e, di conseguenza, economica ed occupazionale.


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Io Francesco di Paola

Monologo teatrale sulla vita del Santo patrono della Calabria

Intervista all’attore calabrese Walter Cordopatri

di Domenico De Angelis

S. Francesco da Paola - Disegno del M° Carmelo Raco

D

a ragazzo di paese ad attore professionista… Un percorso non previsto. O forse no… un giorno, a scuola, avendo l’interrogazione di storia, a cui non ero assolutamente preparato, mi inventai la morte di una mia zia, riuscendo addirittura ad improvvisare le lacrime (ride) e riuscì così ad evitare l’interrogazione… successe però che quel pomeriggio il mio professore chiamò a casa per fare le condoglianze ed allora successe l’indicibile. Il giorno dopo il professore mi dichiarò che c’era cascato appieno alla favola raccontata il giorno precedente e mi consigliò di intraprendere la carriera d’attore. Come è nata l’idea di portare Francesco da Paola in teatro? Volevo concentrarmi su una delle figure calabresi che giganteggiano nella storia del Mondo. Chiamai il regista, Salvatore

Romano, e lui scrisse con entusiasmo un monologo. Da allora mi sono innamorato di questa figura e del suo messaggio. Cosa ti aspettavi prima di intraprendere questa tua personale “missione” e cosa hai trovato lungo il cammino? Considero la mia una missione molto particolare, che si concretizza, attraverso il monologo “Io Francesco di Paola”, lo spettatore rivive la vita del Santo soffermandosi sulla sua umanità. Nonostante ci siano seicento anni di distanza il suo messaggio è ancora molto attuale e le sue denunce ancora attuali. Francesco è stato proclamato da San Giovanni XXIII, patrono della Calabria, definendolo nell’occasione come “Luce della Calabria”. Cosa c’è a tuo avviso da riscoprire nella sua vita e spiritualità? L’austerità della sua vita colorata di santità. Il suo contatto con la natura. Il rispetto

verso il creato. Abbinare una personalità fortissima ad una dolcezza straordinaria è la cosa che mi ha sorpreso approfondendo la vita di San Francesco. Francesco condivide il nome col Santo d’Assisi (patrono d’Italia) e con l’attuale Pontefice… che ha scelto come nome Francesco. Cosa lo accomuna a Francesco di Paola e a Francesco d’Assisi? Si assomigliano per la semplicità, l’umiltà e la serenità. Una serenità molto particolare in quanto i tre mantengono una umanità che si mostra al di là della veste che indossano. San Francesco si scagliava contro la corruzione ed il malcostume, è un messaggio ancora attuale…? È attualissimo secondo me. Mi ha molto affascinato e stimolato questa sua battaglia contro i potenti e i “governatori” dell’epoca. Seicento anni fa, come oggi, troviamo i potenti avanzare la stessa pretesa: servirsi


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L'attore Walter Cordopatri durante una scena

degli altri e non servirli. Il Santo non usava mezzi termini. In una celebre lettera egli si scagliò contro i potenti invitandoli a non fare solo i propri interessi ma di essere a servizio del popolo. Era voce del popolo e si faceva carico delle loro esigenze. Continuerai a portare nei teatri italiani il Santo di Paola o è già in progetto la realizzazione di un nuovo “lavoro” su altre figure di santità calabresi? Dopo due anni di studio e di rappresentazione di questo meraviglioso Santo, la mia intenzione è portarlo avanti più a lungo possibile durante l’arco dell’anno, in onore dei suoi seicento anni dalla nascita. A tal proposito ti darò uno scoop: finalmente il lavoro “Io Francesco di Paola” è stato inserito all’interno del programma festivo dalla Consulta Ufficiale per i Festeggiamenti del VI centenario dalla nascita di S. Francesco da Paola. Quindi con mia grande gioia (posso dire che questo è il coronamento di un sogno) sarò anche a Paola. Interpretazione ed immedesimazione… sono termini simili non uguali. In cosa ti senti naturalmente vicino a San Francesco e cosa invece ti riesce più difficoltoso? Con la premessa che quello dell’attore è un vero lavoro che necessita di studio e preparazione, io prima di cimentarmi nel personaggio ho dovuto veramente calarmi nella personalità del Santo paolano. Solo vivendola in prima persona puoi comprenderla appieno. Non è facile! Una semplicità incarnata che oggi non è immediato capire. La categoria di semplicità di oggi sarebbe stata considerata dal Santo un lusso.

Oggi parliamo di semplicità da una posizione totalmente differente. Seicento anni fa era diverso. E la sua semplicità era quella dell’epoca, non la nostra. Detto questo la cosa più difficile è stato immedesimarmi proprio in questo e far passare questo tipo di messaggio… E’ cambiato qualcosa nella tua vita? La tua spiritualità ti ha aiutato nel lavoro d’interpretazione o è stato quest’ultimo ad aiutarti nella tua vita spirituale? Io sono un credente. Prima di essere proclamati e riconosciuti santi sono persone in cerca di Dio. La cosa che più mi affascina è proprio l’umanità di Francesco e come affrontava le varie problematiche a tutti i livelli. Dopo aver interpretato un Santo con le caratteristiche di Francesco la mia spiritualità si è arricchita tantissimo quindi… Si! sono stato arricchito dopo aver interpretato il Santo. Progetti futuri e prospettive? Quello di riuscire a collaborare nel riscatto della mia terra. Mi piacerebbe sempre accostarmi a tutti i sognatori come me. È da due anni che lavoro ad un mio piccolo grande sogno che si concretizza nel poter strutturare un “progetto formativo” in Calabria, incentrato su interpretazione e recitazione. Su tale progetto lavorerò duro e con la testardaggine e la tenacia che essa richiede. Affinché si possano trovare anche da noi le possibilità che io ho trovato solo a Roma. Perché o per chi sei tornato in Calabria? Sono tornato… (riflette) per me! In Italia non c’è poi tutto questo spazio per i giovani come me. A Roma mi sentivo a volte soffocato. Ero uno fra milioni, una piccola formica che non riusciva ad esprimersi. È difficile farsi notare. La mia terra invece è sorprendentemente vergine da questo punto di vista. Allora ho pensato… perché non provare a farmi notare proprio qui, nella mia terra?


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di Gianluca Iovine

ALFA 2000, vettura senza tempo

UNA STORIA DA CINEMA

A

ccade quasi per caso. Ammesso che il caso esista. Nella salita di Via Palmiro Togliatti a Polistena, in una Domenica di sole, splendono le lamiere indaco di un’Alfa Romeo 2000 Berlina. Il colore sembra troppo moderno, ma invece no, è originale, proprio come la targa: RC, con le sei cifre bianche su fondo nero. Si vede subito che è un’auto diversa da tante altre, e non perché siano passati quarant’anni e oltre dal suo tempo in strada. La 2000 colpisce subito per quella linea precorritrice, il copriruota stilizzatissimo, la linea raccolta e potente. Sono passati tanti anni, e c’è da girarci intorno a lungo, prima di stabilire se sia più bella la calandra a fari tondi, tutta cromature, con al centro il grande scudo del Biscione di Arese, o le luci posteriori, così magnificamente rétro, simili a finestre rosso e arancio. Destinata a raccogliere il testimone della Giulia,

Alcuni Cavalieri dell'Ordine con P. Rocco Spagnolo

ormai in piena maturità, e concepita per aprire al nuovo concetto dell’Alfetta, questa berlina filante era nata come Alfa 1750 sul finire degli anni Sessanta. Già appena fuori dalla fabbrica prometteva di inseguire il futuro. Spiazza vederla ferma, elegante, pensosa, al ricordo di tanti inseguimenti che il cinema ha voluto interpretasse, come auto dei buoni, ma più spesso dei cattivi. E già, quella sua indole da bella infedele non poteva non colpire al cuore il cinema italiano di genere di fine Novecento. Non solo. Nei titoli italiani di quegli anni l’insicurezza di una società veniva raccontata in una sfida di attraversamenti fisici che avvicinava i centri storici alla grande questione irrisolta delle periferie. E per dare il senso della velocità, l’unica era proprio montare la macchina da presa per vedere i luoghi dall’interno, o riprenderne dall’esterno, in campo lungo, il passaggio. È il caso di “Un uomo, una città”, del 1974, e di “Il giustiziere sfida

la città”, del 1975, dove la città da semplice sfondo d’azione si trasforma addirittura in antagonista. L’anno successivo il racconto urbano guadagna addirittura lo spazio principale, secondo una moda che all’epoca unisce affresco di malavita e vedutismo da viaggiatori romantici, come in “Napoli violenta” del 1976 e “Napoli spara” del 1977 e come sarebbe poi accaduto molte altre volte in seguito, fino a costituire una linea narrativa parallela, in serie tv come “Gomorra” o ancor più in “Romanzo Criminale”. Sulle strade e davanti alla macchina da presa, l’Alfa Romeo 2000 fece innamorare proprio tutti, negli anni Settanta. E forse proprio grazie agli spari e alle sgommate di agenti e rapinatori da film, avrebbe conquistato un posto da protagonista nel garage dell’immaginario collettivo. Sempre pronta a fermare con uno sportello un fuggiasco, o all’opposto aiutare banditi in fuga tra i vicoli e il lungomare di Napoli, la berlina graffiava l’asfalto


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la berlina graffiava l’asfalto tinta di bianco sporco o indaco, grigio cemento o argento

tinta di bianco sporco o indaco, grigio cemento o argento. Fa una dolce malinconia vederla a portata di sguardo, se ancora la si ricorda in sosta ad aspettare un rapinatore con il volto di Sal Borgese o affidare il volante alle mani nervose e sicure dell’unico vero commissario del cinema poliziottesco, l’attore Maurizio Merli, scomparso ancora giovane, per una stupida partita a tennis. Il suono del motore, anche dopo un mese di fermo, è all’altezza delle aspettative, e lo sguardo può indugiare su tachimetro contagiri e contachilometri, così moderni per l’epoca, mentre tra le modanature in legno, una piccola serie di luci di segnalazione spezza la routine dell’abitacolo. Al centro del volante, il marchio Alfa Romeo, e più a destra, il cambio in pelle nera, leggermente più alto del normale, indizio di una guida votata all’emozione. Sempre lei, l’Alfa 2000, visse il cambio epocale di prospettiva, che prese a narrare i banditi come an-

tieroi, in una pellicola come “La banda del gobbo”, del 1978, crepuscolare anche se meno disperata e grafica di “Cani rabbiosi” di Lucio Fulci. Il cinema di inseguimento, tutto sangue e piombo, sopraffazione e contrattacco, stava per trasformarsi definitivamente in una commedia d’azione tutta intrattenimento, laddove la violenza veniva battuta dall’insulto dialettale e dalla carica umana di un commissario ex malavitoso di borgata inventato dallo sceneggiatore Dardano Sacchetti: Nico Giraldi, che al volto sfrontato di Tomas Milian legava la voce di Ferruccio Amendola. Acquisito il nuove codice sorgente del protagonista, guascone e volgare, battutacce e inseguimenti divengono insieme la cifra del nuovo poliziottesco, dove le ultime comparsate dell’Alfa 2000, e delle varie GT Junior e Giulia stavano per avvicendarsi con le corse di una nuova e più potente regina della strada: quell’Alfetta che a due o quattro fari,

rubata chissà dove, sarebbe fuggita via, in molti altri film inseguita dalle pantere verdi e poi azzurre della Polizia, o dalle gazzelle nere dei Carabinieri. E ormai, anche quegli inseguimenti serrati che frugavano le viscere delle città mordendo l’asfalto sono oggi materia di studio, per chi voglia indagare l’ultimo cinema poliziesco francese, e le stelle scure di Jean Gabin e Alain Delon. L’Alfa 2000 indaco resta ferma, ma ha dentro troppe storie per poterla tenere parcheggiata contro il suo destino. Magari da un momento all’altro una parolaccia di Nico Giraldi detto "Er Monnezza", mezzo commissario, mezzo delinquente, potrebbe scuotere la tranquilla domenica di questa strada secondaria di Polistena: entrando veloce in macchina, saprebbe lui come farle riprendere la corsa quasi il tempo non fosse mai passato, e scomparire in una nuvola di polvere e imprecazioni da trivio. In fondo, la Domenica serve a sognare.


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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana La Madonna di Gesù in Taurianova a cura di Diego Demaio

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ella navata sinistra della chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo in Jatrinoli (Taurianova) è opportunamente collocata, dallo scorso novembre e dopo oltre mezzo secolo di dannosa esposizione nella nicchia della facciata (si pensi ai cocenti raggi solari), la bella scultura della Madonna di Gesù. La statua, in marmo di Carrara ed alta cm 153, è attribuita ad un ignoto seguace del maestro toscano Giovambattista Mazzolo che l’avrebbe scolpita nel secondo quarto del XVI secolo. L’interessante opera, piuttosto elevata sul moderno basamento, rappresenta Maria, tanto soave nella divina maternità, che si appresta ad allattare lo sgambettante e sorridente Bambino Gesù, teneramente trattenuto anche dal piedino. Tale significativa iconografia veniva ben descritta ed interpretata da Francesco Maria De Luca (colto Arciprete di Jatrinoli dal 1894 al 1932) che, nel suo pregevole libro “Monografia di Jatrinoli e Memorie antiche e recenti Calabresi”, così scriveva : «Il bambinello, di forme, non belle, mentre scopre, con riguardo, a metà, il petto della madre con la manina sinistra, afferra con la destra la mammella e rivolto al popolo, par che voglia dire così: Venite, è qui la fonte inesausta d’ogni bene, dissetatevi. L’espressione quindi del bambino è bellissima». La scultura, proveniente dalla chiesa dedicata a Santa Maria de Jesu dell’antico e distrutto casale di Bracadi, presenta evidenti rifacimenti che riguardano in particolare l’avambraccio destro della Madonna e la gamba sinistra del Figliuolo, purtroppo rimodellati in maniera approssimativa. La Madonna di Gesù (Foto Dr. Diego Demaio - Riproduzione vietata)



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