Papa Francesco Fraternità essenziale Speciale L'Omelia del Vescovo per la Pasqua "La città degli ulivi"
una rete per la difesa delle autonomie
Cattolici italiani uniti per recuperare un ruolo in politica
Crisi agrumicola
La Calabria annaspa
La scomparsa di Antonio Manganelli
Riproduzione de “La Domenica del Corriere” del 15 Agosto 1954 (Archivio Dott. Diego Demaio)
Periodico d’informazione della Piana del Tauro, nuova serie, n° 8, Marzo 2013 - Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999
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Corriere della Piana del 30 Marzo 2013
sommario
Riceviamo e pubblichiamo Dopo le minacce al presidente Raffa
Un Consiglio Provinciale straordinario su proposta di Pierpaolo Zavettieri Gentile Direttore, Avendo registrato la piena condivisione e la disponibilità del Presidente del Consiglio Provinciale, Antonio Eroi, ed in qualità di consigliere provinciale componente dell’Ufficio di Presidenza, capogruppo dei “Socialisti Uniti – N.Psi” per i “Riformisti Italiani”, ho presentato al protocollo dell’Ente, in data odierna, la richiesta per la convocazione di un Consiglio Provinciale, straordinario ed urgente, con all’ordine del giorno “discussione e determinazioni sul grave atto intimidatorio perpetrato ai danni del Presidente della Provincia”. Solo per una questione di tempistica, trattandosi di una convocazione straordinaria e d’urgenza, non ho condiviso con gli altri colleghi consiglieri provinciali la richiesta di convocazione pur certo, tuttavia, che durante l’assise, gli stessi, coglieranno l’occasione per offrire spunti di riflessioni su un dibattito non più derogabile e solidarietà al Presidente dell’Ente, Giuseppe Raffa che, è stato oggetto di un vile atto intimidatorio. Come tutti sanno, infatti, nei giorni scorsi, è pervenuta negli uffici dell'ente, a Palazzo Foti, una busta, affrancata ma priva di annullo postale, contenente un foglio con il seguente messaggio: “Ammazzeremo voi e la vostra famiglia se a Gioia Tauro costruiranno il rigassificatore noi non lo vogliamo”, firmato da “Movimento Calabria Libera”. Lo scorso 23 marzo, in occasione della riunione del comitato portuale a Gioia Tauro, è stata deliberata a maggioranza, col voto favorevole anche del presidente Giuseppe Raffa, la concessione dell'area sulla richiesta di concessione demaniale avanzata dalla società "Lng Medgas Terminal" per la realizzazione del rigassificatore. A prescindere da qualunque posizione politica, ed alla luce di una situazione sempre più incandescente con intimidazioni ai danni degli amministratori ormai all’ordine del giorno ed a livelli non più accettabili, è necessaria una presa di posizione chiara, ferma e netta da parte delle istituzioni che si devono schierare, inequivocabilmente, dalla parte della democrazia e della legalità. Reggio Calabria lì 28.03.2013 Cons. Prov.le Pierpaolo Zavettieri “Socialisti Uniti – N. Psi” per i “Riformisti Italiani”
Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Correzioni testi: Francesco Di Masi
Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Nucera, Carmen Ieracitano, Angiolo Pellegrini, Antonio Violi, Luigi Maggiore Florio, Ivan Pugliese, Rocco Carpentieri, Mara Cannatà, Caterina Sorbara, Salvatore Greco, Veronica Iannello, Diego Demaio, Gianluca Sapio Foto: Diego Demaio, Free's Tanaka Press Salvatore Greco, Gianluca Sapio Grafica e impaginazione:
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Mariachiara Monea cell. 392 1128287 sickie@alice.it Copertina: Riproduzione de “Domenica del Corriere” del 15 agosto 1954 Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 cordovaluigi@alice.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) e-mail: corrieredellapiana@libero.it La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 29-03-2013 Visit us on
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Editoriale
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Cattolici uniti per recuperare un ruolo in politica
Annuncio vicari episcopali e delegati vescovili
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Esultanti nella fede cantiamo
La statua di S. Martino
Il dopo elezioni Prepariamoci al peggio!
Acqua: un bene da difendere Una risorsa da garantire
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Scomparso prematuramente il capo della polizia Antonio Manganelli Il caso è chiuso Adieu per sempre, Fabrizio!
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"La città degli ulivi"
"La coppa vitrea" così è stata intitolata la Pro-Loco di Varapodio
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Crisi agrumicola: la Calabria annaspa Presentato a Cittanova "Fimmine ribelle" Convegno sul terremoto a Oppido "Il grande flagello"
L'elzeviro
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Un convegno del Soroptimist UNICUSANO, una Università di eccellenza regionale Il significato salvifico della Pasqua Omelia del Vescovo
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Il valore delle donne Teledipendenza "Le bagnarote di Gioja"
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La Via Crucis dell'azione Cattolica
Prima edizione del concorso letterario Elogio alla modernità Cosimo Allera Natalina Fucile Artista calabrese Musica ed emozioni della Piana La decorata cornice della Piana Gli antichi ruderi di borrello Motociclismo: Inizio positivo per cross ed enduro
Errata Corrige Per un involontario refuso nella rubrica la Decorata cornice della Piana dello scorso numero, il Monte "Cucudo" è stato indicato come "Cucùdo" Ci scusiamo con l'autore e i lettori per l'involontario disguido.
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Editoriale
di Luigi Mamone
stanno inseguendo veloci rafforzano questa convinzione. Bando all’austero distacco e alle misure di protezione, Papa Francesco come il primo Giovanni Paolo II, quello che ancora non aveva subito le ferite delle pistolettate di Alì Agcà, gira fra la folla, saluta i fedeli, bacia i bambini e, se potesse, resterebbe in mezzo alla gente. Il vescovo di Roma e il Pontefice della Chiesa di Pietro è sceso in Papa Francesco e Papa Benedetto XVI mezzo ad una umanità che dimostra ogni giorno di più di aver un grande bisogno di sentirsi guidata da un Pastore buono. Un padre che sappia capire, amare, guidare e reggere con mano ferma e forte il timone di una nave che i marosi della moderna società vorrebbero mandare alla deriva facendola naufragare contro scogli sommersi di materialismo, globalizzazione, liberismo becero e perversione. Ecco perchè il conclave ha veramente operato una scelta forte, volta al cambiamento e in controtendenza con i postulati sui quali negli ultimi anni, i poteri forti dei curiali avevano irrigidito il rapporto fra il popolo e le gerarchie. Papa Francesco, è un uomo ancora tutto da scoprire. Ha mille volti e in essi si configura l’immagine di Cristo. In momenti diversi e in diverse posture ha evocato il ricordo di Pio XII, Giovanni XXIII e soprattutto di Giovanni Paolo II. La Chiesa – grazie a questa scelta – sta ritornando ad essere faro e punto di riferimento per chi ha nel cuore la luce della speranza. Con Papa Francesco si spera che una nuova stagione di fervore religioso, semplice ed austero, senza fronzoli e senza orpelli, sbocci e diventi momento di identificazione collettiva contro il predomino angosciante della tecnologia e contro le logiche di un mondo senza Dio. Papa Francesco dovrà dimostrare come si possa tornare, tutti insieme, ad essere Chiesa. Chiesa pellegrina e Chiesa militante insieme. Per difendere l’uomo, l’umanità tutta che in questi ultimi anni, stavano svilendosi nella necrosi del non amore; nell’agonia della quotidianità più stantia, nel tarlo dell’indifferenza, nella prigione della virtualità che lungi dall’essere libertà è solo una prigione senza pareti per uomini senza speranza. Papa Francesco la speranza la portava nelle favelas e la preghiera nei lunghi giorni della “Dittatura Argentina”. I modi di Papa Francesco e la sua essenzialità contribuiranno a scuotere il torpore di parroci stanchi e di fedeli smarriti. La Chiesa respira a pieni polmoni un’aria nuova, di “Speranza” e di Resurrezione. Buona Pasqua!
La speranza nell’essenzialità Papa Francesco: l’uomo del rinnovamento
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na speranza nuova pare essersi accesa sul mondo. E non solo per i cristiani. L’umanità tutta confida in modo assolutamente entusiastico verso un cambiamento e una rinascita della Chiesa di Roma, grazie all’elezione al soglio pontificio del Cardinale Jorge Mario Bergoglio: Papa Francesco. Sono bastati pochi momenti per creare un feeling che ha fatto andare indietro nel tempo con la memoria noi cinquantenni orfani di Karol Wojtila, a quel lontano pomeriggio del 1978. L’impressione è stata molto simile: appena pronunciato l’Habemus Papam, il primo impatto di Bergoglio ha ricordato molto nella spontaneità Giovanni Paolo II. E i giorni che si
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n un momento così difficile per l'Italia, il telefilm che ha ripercorso la conquista del K2 quasi 60 anni fa, ha ridato a tutti noi un pizzico di speranza e di italico orgoglio. Anche per questo, allora, attingendo all'emeroteca del Dott. Diego Demaio proponiamo sul frontespizio la copertina dell'epoca della Domenica del Corriere: un disegno affascinante nel quale sulla vetta di un sogno sventola ancora la bandiera italiana.
ue atteggiamenti hanno colpito alla sua prima apparizione: il silenzio immobile e stupito dinnanzi alla folla oceanica che gremiva Piazza San Pietro fino a via della Conciliazione e il chiedere al popolo di Roma – Chiesa, che con perfetto richiamo teologico, ha sottolineato essere il Vescovo – di pregare per lui: che bello e inedito quel suo inchinarsi in silenzio orante! È evidente che la sua esperienza in
America Latina lo rende un Papa vicino e in mezzo al popolo nella semplicità e nella essenzialità dei rapporti. Sarà un Pastore particolarmente attento alle esigenze della base con la dolcezza della Madre e la fortezza del Padre. Il duplice riferimento alla Madonna esprime la fiducia filiale verso la Madre della Chiesa, mentre il primo pensiero al predecessore emerito, Benedetto XVI, indica l’affetto e la stima verso chi lo ha preceduto in un tipo di Magistero e di vita utile alla Chiesa quanto quello che egli impartirà in modo diverso ma egualmente efficace. La scelta del nome di Francesco sembra richiamare a se stesso il compito di riparare la Chiesa, di spingerla sulla via della bontà e della povertà per assimilarla a Cristo sine glossa sulla più pura linea del Vangelo.
Il pensiero del Vescovo sull’elezione di Papa Francesco dello scorso 13 Marzo
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on era difficile prevedere che il responso elettorale di fine febbraio avrebbe complicato e non chiarito il quadro politico nazionale, alla luce della grave crisi economica e non solo che la stessa Italia e l’Europa stanno vivendo. I sentimenti di confusione e sconforto che in questi giorni aleggiano nel cuore degli uomini di buona volontà, consapevoli della posta in gioco che il risultato elettorale ha messo in campo, non solo non soddisfano le aspettative, ma rischiano di fare smarrire i migliori propositi. Lo sconforto è un sentimento umano, che in certe situazioni è comprensibile, ma che deve essere sconfitto dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Sentimenti molto cari ai cattolici tanto che non mancano le iniziative per avviare opere di chiarimento e di riorganizzazione del suo associazionismo per offrire una via di riferimento nell’ormai compromesso sistema politico bipolare, sempre più in crisi, anzi annullato dal voto di questi giorni. In questa direzione mi piace cogliere due dinamiche di ampia portata. La prima, il tentativo che una parte del mondo cattolico ha cercato di porre in essere attraverso l’esperienza del Governo Monti, per tamponare la grave crisi economica e finanziaria del Paese. La seconda, l’aver sempre più, attraverso i pronunciamenti del Magistero, evidenziato prima del voto la crisi antropologica che viviamo e che quindi in campagna elettorale richiedevano di insistere sulla centralità dei principi “non negoziabili”, fondamento della dignità umana e pilastri della dottrina sociale della Chiesa. Principi non negoziabili che hanno il compito di “illuminare” gli aspetti di politica economica e sociale necessari per affrontare la grave emergenza della recessione e della disoccupazione. Né il Governo Monti, né i tanti rivoli cui ancora ostina a disperdersi la cultura sociale cattolica, hanno saputo cogliere la grande opportunità elettorale creando, di conseguenza, disorientamento e delusione tra i cattolici. Un’altra occasione sprecata, forse per insipienza, per mancanza di volontà o per tattiche logiche da cui la cultura cattolica dovrebbe stare lontana. Eppure le opportunità non sono mancate. Dopo “Todi 1” e “Todi 2”, ci si aspettava un’assunzione di grande responsabilità per esaltare, soprattutto, il valore dei “principi” non negoziabili. Non come una classifica precettiva o prescrittiva, ma come elementi fondamentali che devono accompagnare la crescita dell’uomo. E quando “i principi” perdono la loro essenza intrinseca e si trasformano in “normali valori” allora si affievoliscono le identità e si mescolano le sensibilità culturali in un insieme indistinto dove tutto è possibile e dove ogni azione troverà sempre libertà di arbitrio e di determinazione in un relativismo che il più delle volte, diviene l’antitesi del rispetto della dottrina
senso della paternità e della maternità ed il valore del concetto di “famiglia”. E mentre questa valanga impetuosa si abbatte sulla natura umana, i cattolici si dividono sempre di più su tematiche di piccolo cabotaggio smarrendo il significato della “giusta via”. La già ridotta pattuglia dei cattolici “ispirati”, presente nella scorsa legislatura, si è, dopo il voto di questi giorni, almeno a prima vista, ulteriormente assottigliata, facendo venire meno una credibile difesa di principi e valori connessi alla natura umana. C’è la reale possibilità che anche in Italia, in questa legislatura, diventino leggi concrete le norme sulle convivenze omosessuali, già approvate in Inghilterra, in Francia, in Spagna, ed in altri Paesi; che venga sfondato il limite dei tre embrioni, previsto dalla Legge 40, e che la pillola abortiva RSU486 sia in dotazione alle ragazzine come una normale pastiglia per il mal di gola. Ma anche che si possa avere
Dopo il voto
cattolici uniti per recuperare un RUOLO IN POLITICA biscono, giorno dopo giorno, sempre una maggiore e più insistente aggressione. Ciò avviene in Europa, dove il “riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale” un fatto dirompente che apre la possibilità della filiazione, non solo tramite adozione, ma anche tramite inseminazione. Non è plausibile sostenere che trattasi di minoranze, poiché non sul numero dei riconoscimenti si fonda la “contrapposizione”, ma sul cambiamento di cultura che si afferma una deriva travolgente e nichilista. Si va incontro al rischio di perdere il
coppie divorziate con una e-mail o che un bambino possa avere sei genitori. Oggi che l’esito elettorale ha mandato in soffitta il bipolarismo necessario che l’associazionismo cattolico, in tutte le sue componenti, partendo dalle città piccole e grandi, dalle parrocchie e senza pregiudizi ideologici, ritrovi la serenità del dialogo che concretamente si ponga come baluardo al relativismo dominante della nostra società. Ma più che mai opportuno è che si recuperi l’identità e la dignità dell’essere laicicattolici per riavviare una stagione nuova per la politica italiana ed europea. No ad una rivoluzione “grillina” ma ad una vera e salutare battaglia sulla ricerca della verità storica ed antropologica. Verità che parte dalla riscoperta di un nuovo umanesimo che riporti la persona ed i suoi bisogni al centro del dibattito politico. Per fare questo, diventa più che mai indispensabile riunire le forze cattoliche, così come avvenne all’inizio del secolo scorso, in un’unica grande aggregazione con la quale ripartire, non solo per salvare il significato sempre eterno del popolarismo e della solidarietà, ma anche la socialità di una economia che avendo messo cinicamente da parte “l’uomo”, incombe sulla società come una scheggia impazzita che colpisce la comunità rendendola sempre più insicura e minacciata nella sua esistenza. On. Giovanni Nucera Segretario Questore del Consiglio regionale della Calabria
di Giovanni Nucera
sociale e della fede cattolica. La delusione che oggi si registra, ancora una volta, frutto degli atteggiamenti incoerenti che molti uomini, impegnati in politica, e che si richiamano al magistero della Chiesa, continuano ad assumere: alcuni candidandosi in partiti che contengono nel loro programma punti indubbiamente lesivi della legge morale naturale e della stessa salvaguardia dell’identità della persona; altri, inserendosi nelle liste di cultura liberista e laicista, dimenticandosi della loro formazione e della loro provenienza; altri ancora, hanno utilizzato l’appartenenza a movimenti ecclesiali per lanciarsi in politica dentro raggruppamenti che portano avanti istanze contrarie alle ispirazioni del movimento ecclesiale originario. E mentre il mondo cattolico continua a dividersi sulla interpretazione dell’impegno dei suoi uomini nel rispetto della laicità della politica, i principi cosiddetti “non negoziabili” su-
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Il dopo elezioni non offre spiragli di luce
PREPARIAMOCI AL PEGGIO! di Luigi Mamone
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entre ci accingiamo ad andare in stampa l’incertezza regna sovrana sullo scenario della politica italiana. Il dopo elezioni sta diventando una farsa. Da un lato Grillo e il suo variegato manipolo di parlamentari low cost, arrogante, sprezzante, irriverente, come un buon comico sa essere ma come non dovrebbe essere un buon politico. Diceva Lenin che l’acredine e la violenza si addicono agli attivisti del partito. I leader devono cercare la mediazione e il dialogo. La visione tutta sua di questo novello Pietro d’Amiens della politica italiana appare
Bersani non riesce ad essere propositivo e crescono le quotazioni di Renzi. Grillo con il suo ostracismo perde credito e Berlusconi attende
nebulosa, monta la tigre della protesta ma non vuole proporre nulla pur non avendo i numeri. Lui e il suo movimento accerchiano e al contempo sono stretti a tenaglia da PD e PDL. Bersani non ha capito che il vento non è favorevole a lui e al suo modo stantio di far politica, ancorato e senza forse, placcato a vista dai gerarchi del partito democratico mentre da dietro l’angolo Matteo Renzi, senza muovere un dito, novello Cincinnato, sta assumendo una dimensione di salvatore della patria democratica e forse di pontiere capace di unire il mondo PD a quello PDL, nel tentativo estremo di salvare la nazione da un tracollo che sarebbe molto più grave di quanto si possa immaginare. Infatti, i partner europei non fanno sconti a nessuno e meno che mai tollereranno a lungo che l’Italia possa restare ancora in un clima di incertezza, tale da non consentire una reale programmazione delle azioni necessarie per difendere i settori trainanti dell’economia, dalle sempre ricorrenti spinte speculative della finanza. Berlusconi e suoi gerarchetti, hanno assunto ormai tutti, una dimensione più modesta. La loro statura si va progressivamente allineando a quella fisica del capogruppo Brunetta. Offrono disponibilità e sbandierano ramoscelli d’ulivo (sarà per la Pasqua?), ma intanto pensano alle nuove elezioni con un Berlusconi ironico e cabarettistico, quanto l’odiato Grillo. Nel suo comizio Romano, 100.000 presenti circa, una donna in prima fila sviene. Berlusconi chiama i soccorsi e subito dopo che i soccorritori hanno rianimato la donna parte con la battuta: “Ecco cosa succede a parlare o a stare troppo con i comunisti!”. I 100.000 applaudono e ridono. Ma la musica cambia in nulla. Manca il programma, manca la consapevole accondiscendenza a sacrificarsi per la patria. La realtà è para hobbesiana. Un tutti contro, un tutti che lasciano poco spazio all’ottimismo. Peccato che questa ciurma piratesca se si tornerà a votare, sarà ancora pronta a gettarsi all’arrembaggio di Montecitorio e di Palazzo Madama. Questa legislatura durerà pochissimo. Peccato solo per Laura Boldrini e Piero Grasso: due personalità sulle quali nessuno ha nulla da rimproverare. Prepariamoci al peggio.
Acqua:
di Carmen Ieracitano
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un bene da difendere una risorsa da garantire
n bene primario e comunitario in quanto indispensabile alla vita stessa, un diritto inappellabile di tutti. Senza acqua non c’è vita e la vita non può diventare un business in mano a privati, alla stregua di un qualsiasi bene di consumo. Questo il concetto alla base dell’iniziativa pubblica tenutasi domenica 17 marzo presso la biblioteca comunale di San Giorgio Morgeto, a cura del Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica “Bruno Arcuri” che, tramite gli interventi di Michele Monteleone, Peppe Marra e Michele Conia, ha illustrato la situazione veramente drammatica che, soprattutto in Calabria, rischia di affossare il risultato del referendum che, due anni fa, sancì la volontà di 27 milioni di cittadini a favore di una gestione pubblica del servizio idrico. A San Giorgio Morgeto poi, l’allarme del Coordinamento nasce dalla proposta, presentata durante una seduta del Consiglio Comunale, di un progetto che prevede la sostituzione dei vecchi contatori domestici, nonché il monitoraggio della rete idrica, con la rilevazione delle perdite e degli allacci abusivi. Nulla da obiettare all’iniziativa in sé forse, se questa fosse utile ad arginare gli sprechi e migliorare la gestione del servizio, già duramente provata in tutta la regione dal fallimento di Sorical e dalla situazione emergenziale in cui versa il principale serbatoio regionale, l’invaso dell’Alaco, e soprattutto se non fosse un’opera in mano a ditte private quali la Compunet srl e la Holley intl., rappresentando per tanto, a detta
di Conia “Un pericolo per l’acqua pubblica e per i cittadini di San Giorgio Morgeto: difatti è un progetto realizzato da un privato che poi trarrà i suoi profitti dalla gestione dell’opera stessa. Si tratta, quindi, di una vera e propria privatizzazione.” Una proposta, questa, del tutto inaccettabile per il Coordinamento che rilancia con una propria proposta di legge regionale di iniziativa popolare con la quale vuole intraprendere nuove modalità di gestione pubblica e partecipata dell’acqua. “L’obiettivo – dice Monteleone – è quello di chiudere con le gestioni privatistiche e puntare alla gestione del servizio idrico integrato volto al proseguimento degli interessi collettivi, cercando di ottimizzare le risorse finanziarie disponibile. Il Coordinamento cittadino, quindi, aderirà alla proposta di legge con propri banchetti”. E aggiunge Marra “Crediamo che un’amministrazione comunale come quella di San Giorgio Morgeto, che a settembre dello scorso anno aderiva all’unanimità alla nostra campagna contro le tariffe Sorical, debba prestare la stessa attenzione e dimostrare la stessa sensibilità nei confronti di questa nostra preoccupazione.”
«Serve una legge
regionale per stabilire le modalità gestionali delle risorse idriche»
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Una unione per fare rete, difendere le autonomie e promuovere la legalità
“La Città degli Ulivi” di Carmen Ieracitano
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rentatrè paesi della Piana di Gioia Tauro, tramite i relativi sindaci, uniti per fronteggiare le emergenze, creare sviluppo, fare lotta all’illegalità. Questa è l’Associazione Città degli Ulivi. Le parole chiave sono ricorrenti, ormai il tormentone che non stanca né scade di questo territorio. Siamo sempre in emergenza, bisognosi di sviluppo e l’illegalità ha fatto di questa terra il proprio quartier generale, per poi “investire” ovunque, al Nord, in Europa, nel mondo, sia chiaro (e ormai lo è). Cosa significhi poi, in dettaglio e in pratica, trasformare in fatti queste parole tanto presenti nella vita dei pianigiani lo abbiamo chiesto ad Emanuele Oliveri, neo eletto Presidente dell’Associazione Città degli Ulivi e sindaco di Melicuccà, mille anime all’incirca comprese le comunità immigrate, piccolo, quindi, ma grazioso centro dell’interno in cui il connubio tra ascendenze bizantine e maestoso panorama aspromontano, rende un insospettabile valore turistico. Perché proprio lei alla Presidenza e non il sindaco di un paese di maggiore visibilità nella Piana? Forse perché Città degli Ulivi nasce proprio per dare visibilità soprattutto ai piccoli comuni, il suo è un potere rappresentativo di supporto a quello politico che ha alla base la cooperazione e i comuni che vi hanno aderito, con delibera di consiglio comunale, sottoscrivendo lo statuto hanno sancito l’esistenza di un comitato direttivo, all’interno dell’assemblea formato da cinque membri. Oltre a me, oggi ne fanno parte il sindaco Madafferi di San Ferdinando, quello di Rizziconi Di Giorgio, Alvaro di Giffone, e Vinci di Serrata. Bene. Chiarito come nasce Città degli Ulivi e quali sono i suoi organi funzionali, passiamo ad esaminare quali sono attualmente le sue priorità. Per noi è prioritario il confronto con le varie associazioni che operano sul territorio, per poter stilare un piano di sviluppo che sia condiviso ed entro aprile avvieremo i contatti con la Regione per la programmazione dei Fondi Europei. Abbiamo tre PISL (Piani integrati di Sviluppo Locale) per i quali abbiamo individuato tre aree su Cosoleto, Galatro e Varapodio ma, sia chiaro, parliamo di sviluppo a vocazione territoriale poiché crediamo fermamente che le scelte vadano condivise sul territorio e non imposte dall’alto, come ad esempio quella sul Rigassificatore, che noi
contestiamo da due punti di vista: quello del metodo, che non ha previsto, come avrebbe dovuto, l’uso di strumenti di consultazione popolare quali il referendum, ma ha interpellato, tramite un governo commissariato, ricordiamolo, solo le tre amministrazioni direttamente coinvolte, Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando, ed a loro volta commissariate, pertanto tutti organi non rappresentativi in alcun modo della volontà popolare; e quello del merito, perché la costruzione di una tale opera non è accettabile finchè non saranno per certo superate le problematiche relative alla sicurezza e sarà fatta chiarezza sulla reale ricaduta del territorio. Mai e poi mai bisogna accettare di svendere la pelle di tutti i cittadini per pochi posti di lavoro, è un ricatto bello e buono basato sulla necessità di sviluppo, inaccettabile. Il nostro non è un territorio a vocazione industriale, lo dimostrano le cattedrali nel deserto del centro siderurgico e altre realtà simili, e non entriamo in merito al porto. Lo sviluppo da noi si fa rispettando la vocazione naturale del territorio: il turismo, l’agricoltura, l’incremento della piccola e media impresa. E le emergenze? Cosa, ad oggi, è da definire “emergenza” nella Piana e come la si affronta? Abbiamo una situazione paradossale per quanto riguarda i rifiuti. Molti comuni ne sono sommersi nonostante il termovalorizzatore di Gioia Tauro che dovrebbe funzionare a pieno ritmo, ma di fatto non può. Perché? Perché il problema è a monte, nella differenziazione dei rifiuti e nella gestione di essi. Purtroppo, anche se si fa la differenziata, se mancano le discariche e le strutture di recupero, se poi non esiste una piattaforma pubblica per lo smaltimento, è tutto inutile. E’ questo anche
il motivo del fallimento di Pianambiente. Al momento siamo costretti a fronteggiare l’emergenza mandando i rifiuti in altre regioni, ma dobbiamo anche pensare a come uscire dall’emergenza. Per questo noi abbiamo già chiesto il cambiamento del sistema di raccolta e l’apertura di due cosiddetti “poli verdi”, a Bovalino e Oppido, poiché crediamo che le Province debbano essere autonome dal punto di vista dello smaltimento. Occorrerà poi un forte investimento negli incentivi alla differenziata. Altra emergenza è quella sanitaria. Il Piano Sanitario Aziendale, che presenta molte carenze, è stato approvato senza il parere della Conferenza dei Sindaci ASP, che è obbligatorio, anche se non vincolante. Il nuovo ospedale di Palmi, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe essere terminato per il 2017, ma fino ad allora? E’assolutamente necessario il potenziamento dei posti letto nelle strutture già esistenti, ed inoltre abbiamo presentato degli emendamenti per il miglioramento della distribuzione e gestione dei reparti. Quali saranno per i piccoli centri della Piana le conseguenze di non avere più una rappresentanza parlamentare e della eventuale soppressione degli Enti Provinciali? Il problema a monte è sempre quello del sistema elettorale vigente che permette che vengano scelti personaggi calati dall’alto che poco hanno a che vedere con la nostra realtà. Per ciò che concerne le Province sono fortemente preoccupato rispetto alla poca chiarezza su come verranno poi gestiti i rapporti interlocutori con le realtà territoriali. Il rischio è un allontanamento sempre maggiore dall’autorità centrale governativa. Questi sono semplicemente tagli alle spese ma non effettuati in funzione di miglioramenti funzionali.
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Crisi Agrumicola, la Calabria annaspa
I produttori pagano il prezzo degli errori dei politici e della mancata programmazione di Carmen Ieracitano
Il mercato cerca prodotti competitivi, perfettamente curati dal punto di vista delle qualità organolettiche. La maggior parte degli appezzamenti di “biondo” che si possono vedere nella piana sono vecchi, risalgono addirittura agli anni ’60 e non sono mai stati convertiti perché i piccoli produttori, si tratta infatti per la maggior parte di piccoli appezzamenti frammentati, non ritengono necessario farlo finché la pianta produce frutti. Abbiamo così a disposizione varietà vecchie, o anche nuove in alcune casi, ma sempre trattate con mezzi arcaici. Non esiste per esempio un piano della concimazione. Si fa come ha fatto il vicino. La totale mancanza di una pianificazione, di piani programmatici per la complessa gestione climatica hanno reso la nostra un’agrumicoltura assolutamente inadatta al mercato moderno, copiosa sì nella quantità ma adatta nella qualità a soddisfare più che altro le esigenze familiari, così come è ancora a un livello contadino la cura che si fa. Chiaro così, che si è costretti a svendere il rimanente, un prodotto ad alto grado di deperibilità che va smaltito al più presto possibile. E’ il caso questo delle arance da trasformazione industriale, quello del succo d’arancia, di cui nei prodotti industriali è già presente una percentuale minima, che viene ulteriormente tagliata con il succo delle arance brasiliane, di per sé troppo dolce, in virtù di una standardizzazione del gusto a cui l’industria ci ha ormai abituati e quello del semilavorato per canditi da pasticceria. Il 90% di quelli presenti nei prodotti dolciari industriali viene dalle nostre arance, ma è svenduto alle industrie a un prezzo irrisorio perché noi abbiamo strutture sufficienti ad effettuare solo la prima parte della lavorazione e non la trasformazione completa nel prodotto finito. Se così fosse la differenza, in termini di introito, sarebbe nettissima. Il caso del clementino da tavola è invece diverso, ed ha a che fare con il clima. Ci ritroviamo a dicembre con un mercato totalmente intasato dal prodotto nel quale è molto difficile farsi strada, poi le gelate di gennaio infieriscono sulla produzione che fino a febbraio potrebbe vendersi molto più facilmente. In queste condizioni anche le esperienze cooperative si sono rivelate fallimentari. A ciò va aggiunto un piano nazionale che non ci viene per niente incontro, fatto di una burocrazia anch’essa arcaica e di troppi obblighi amministrativi. In Italia per esempio, al contrario di quanto è avvenuto in medicina, per la fitofarmacia è impossibile acquistare un principio attivo, bisogna accontentarsi del prodotto finito dalla grande industria, ad un costo considerevole. Anche la difficoltà a trovare manodopera locale che costringe a rivolgersi prevalentemente a quella d’importazione porta ad una strada irta di cavilli burocratici per la regolarizzazione dei lavoratori e l’adeguamento delle strutture in cui abiteranno.” Un quadro che non poteva essere più completo e più complesso, è quindi quello che grava sulle nostre produzioni agrumicole. Soluzioni possibili? “ Il problema a monte è quello di una globalizzazione errata che ha delegato ad una parte del mondo, il cosiddetto terzo mondo, la produzione di materie prime, privilegiando la produzione di servizi, riguardo all’Europa e al mondo occidentale in genere. È un discorso troppo ampio, basti dire che non possiamo produrre tutti esclusivamente servizi e occorre dare slancio alla produzione di materie prime locali che pure esistono. Occorre quindi che chi ha le competenze, il Ministero quindi, pianifichi in maniera seria e ponderata e fornisca i necessari strumenti di supporto a produttori e commercianti.” La giovane imprenditrice Caterina Patrizia Morano
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empi duri in tutti i settori dell’economia, la parola “crisi”, tormentone già dallo scorso anno, pare destinata ad accompagnarci inesorabilmente anche in questo 2013. Puntando un’immaginaria lente di ingrandimento sulla cartina di un’Italia che da questo punto di vista è tutta un dolore e facendola scendere sul nostro profondo sud a vocazione prettamente agricola il dolore assume le sembianze di una piaga che devasta la stessa superficie del territorio. Che rimane dei rigogliosi aranceti tra Rosarno e Gioia Tauro, un tempo fiorenti e curati dall’attività di numerose paia di braccia, che ora appaiono così, abbandonati a se stessi dall’incuria di uomini che credono non ne valga più la pena? E perché, se è vero, non ne vale più la pena? Per trovare risposta a queste domande mi sono rivolta a Caterina Patrizia Morano, giovane imprenditrice del settore, una donna proiettata nel futuro, anche ingegnere informatico, ma senza nessuna intenzione di abbandonare la tradizionale attività di famiglia, anzi con la ferma intenzione di rivitalizzarla e farne un modello d’avanguardia per il futuro. E’ questa tenacia probabilmente, oltre all’esperienza maturata sul campo nonostante la giovane età, che ha portato Patrizia, come è chiamata familiarmente, a divenire presidente di ANGA e rappresentante della federazione del prodotto agrumicolo e quindi membro del Consiglio Nazionale dei Giovani di Confagricoltura. “ Sì, è vero – esordisce – l’intera regione è dedita alla produzione agrumicola e nella piana di Gioia Tauro si concentra quella di arance per la trasformazione industriale e quella del clementino da tavola. Le problematiche che investono i due settori, che analizzeremo in seguito, sono differenti, ma accomunate innanzitutto da un unico fattore che sta alla base del declino generale che investe il settore, che è la mancanza di una mentalità imprenditoriale.
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Scomparso prematuramente
il capo della Polizia Antonio Manganelli
H
o appreso dal telegiornale della morte del Capo della Polizia Dr. Antonio Manganelli. Ne sono rimasto colpito, anche se ero a conoscenza da tempo dei suoi problemi di salute. Con Manganelli, De Gennaro, Cassarà, Montana, Zucchetto, con i miei colleghi di Palermo, di cui ritengo di porre in evidenza Barillari, Da Leo e Ievolella, sotto la direzione di Chinnici, Falcone e Borsellino, abbiamo vissuto il periodo da una parte più entusiasmante e d’altra parte estremamente tragico degli anni 80 nel Capoluogo siciliano. Quello che andrà sempre evidenziato e che dovrà essere di esempio alle attuali generazioni, sta nel fatto che allora riuscimmo a creare una sinergia, basata sul rispetto per le capacità di ognuno e sulla fiducia reciproca che ci permise, al di là di leggi e regolamenti che fissavano e continuano a fissare generiche norme di comportamento, di pervenire a quei risultati, scaturiti da tanti sacrifici, da tanto impegno e riservato lavoro, fuori da occhi indiscreti, nell’assoluta riservatezza di tutti gli appartenenti alle Forze di Polizia e dei Magistrati, che
Un funzionario, un poliziotto e un uomo pronto ad assumersi anche la responsabilità di colpe non sue. Angiolo Pellegrini ricorda la figura di Manganelli recentemente scomparso
Il Dott. Antonio Manganelli
di Angiolo Pellegrini Gen. Arma dei Carabinieri
furono possibili solo dando vita ad una collaborazione tanto proficua quanto inedita tra i migliori investigatori e l’Autorità Giudiziaria. Quel lavoro assunse una valenza rivoluzionaria e segnò una svolta perché costituì il primo serio tentativo di costruire una mappa aggiornata dell’organigramma degli aggregati mafiosi e dei nuovi equilibri che andavano maturando dopo l’inizio dell' ultima guerra di mafia; i delitti venivano visti e letti in un quadro globale e non frazionato e ricondotti al sodalizio mafioso analizzato come struttura collettiva verticistica. Divenne il “grande contenitore” che pose solide fondamenta al futuro maxi processo. A tali risultati contribuì anche il Dott. Manganelli.
Con il ritrovamento del cadavere e la costituzione di Napoli di Luigi Mamone
il caso è chiuso
Adieu per sempre, Fabrizio
È
finita, poco meno di un anno dopo la sua scomparsa e pochi giorni dopo l’imponente marcia svoltasi a Gioia Tauro, la lunga attesa sulla sorte di Fabrizio Pioli. Il suo assassino, il padre della donna con la quale Pioli aveva iniziato una relazione, ha posto fine alla sua latitanza e subito dopo le viscere della terra hanno restituito il corpo di Fabrizio. La Barbarie si è così mostrata con tutta la sua tragica immagine di un corpo devastato ferito, oltraggiato e gettato nella terra a definitiva perdizione della sua essenza umana. Non è un occultamento di cadavere, è l’oltraggio al corpo di un uomo il cui unico peccato
Nessuno muore fin che il suo ricordo vivrà
fu di amare. Il caso Pioli, per le cronache è chiuso. Resteranno ore le eco del processo che è già iniziato e che vede i migliori penalisti calabresi nel collegio difensivo dell’omicida reo confesso. Quali le colpe? Quali le condanne? La vita passa nell’ebbrezza della gioventù che si spegne nell’ultimo rantolo di un corpo massacrato. Il dolore resta, e forse pure – si spera – il rimorso per colui o coloro che in nome di un sentimento di onore o di onorabilità hanno posto in essere un delitto che non aveva senso. Si può comandare al cuore? Il sentimento di Fabrizio era ricambiato dalla sua amante che – pare – ancor-
«cuiUnunico uomo il peccato fu di amare»
ché sposata – fosse separata. “Al cuor non si comanda”. Perché allora uccidere? Qualche giorno fa i funerali. Riposa in pace, Fabrizio! Nessuno muore finché il suo ricordo vivrà!
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“LA COPPA VITREA”
Così è stata intitolata la Pro-Loco di Varapodio di Filomena Scarpati
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n fermo riferimento che possa migliorare le condizioni socio – economiche nel nostro territorio e portare all’evoluzione tanto anelata e mai raggiunta è la “cultura”, che nasce dal sapere legato ad ogni tempo. Se poi sia un giovanissimo ad assumere decisioni che vadano verso questa direzione, coinvolgendo l’intero Consiglio direttivo di un organismo che sul territorio si occupa di promozione, si comincia ad intravedere la retta via e dei risultati a consuntivo che non potevano deludere l’aspettativa di una conferma di chi ha saputo dare una svolta di dignità alla Pro Loco di Varapodio. Stiamo parlando dell’architetto Francesco Fedele che è stato confermato alla Presidenza dopo i primi quattro anni che hanno rivoluzionato il modo d’intendere la promozione del territorio e del fare turismo. Il tutto si concentra sulla qualità assoluta di un agire che restituisce la speranza pur partendo da un piccolo territorio come Varapodio. Quando volontà e capacità si uniscono, si va verso livelli elevati. Segni sostanziali provengono dalle attività svolte nei pregressi quattro anni, basti pensare alla “Fera da Pittara”,
iniziata timidamente, è divenuta una delle più grosse fiere della Piana, dove la riscoperta delle tradizioni si unisce all’inserimento dei prodotti locali nel mondo del commercio. Piazza San Nicola unitamente alle vie principali del paese risultano in quell’occasione, che si ripete annualmente nel mese di Agosto, gremite di gente che accorrono da tutti i paesi della Piana di Gioia Tauro. “La Cruna”, possiamo ancora ricordare, che nel giro di due anni ha dato un taglio di eleganza a sfilate sartoriali di artigiani locali di Varapodio e non, che si sono alternati con i loro modelli sulla grande scala della Chiesa di Santo Stefano Protomartire provocando “un’atmosfera” simile a quella di Piazza di Spagna. Manifestazione che ha visto impegnate delle bellissime ragazze del paese, improvvisate modelle per una serata. Anche quelle occasioni registrarono il pieno, come conseguenza di un lavoro ben organizzato. Il risultato positivo sta nel fatto che l’Assemblea Straordinaria dei Soci della Pro Loco ha approvato la modifica dello Statuto Sociale, necessaria per il suo adeguamento alla legge della Regione Calabria n. 8/2008 e successive modifiche ed integrazioni. La modifica sostanziale, con la novità rispetto ai 4 anni precedenti, è che l’associazione è stata denominata “La Coppa Vitrea”, in riferimento al prezioso reperto esposto presso il museo della Magna Grecia di Reggio Calabria e ritrovato in agro Varapodio all’inizio del secolo scorso. Nella stessa assemblea è stato riconfermato, all’unanimità dei soci presenti, alla carica di Presidente dell’associazione, ancora una volta, l’arch. Francesco Fedele, mentre gli altri eletti nel Consiglio direttivo sono risultati: Antonia Trimboli nella carica di Vice Presidente; Antonio Siclari, Segretario; Rocco Longo,Tesoriere; Serafino Ferraro, Carmelo Rizzo, Maria Scarpari, membri del
Consiglio Direttivo. Al Collegio dei Revisori sono invece andati Agostino Carrozza nella carica di Presidente, Rocco Scarpari e Giuseppina Corso, come membri effettivi; Rocco Pardo e Michele Muratore come membri supplenti. Nel Collegio dei Probiviri sono invece andati Annunziato Barca nella carica di Presidente e membri effettivi Carmelo Donato, Antonio Miliado; come membri supplenti sono entrati Salvatore Corso e Michelangelo Silipigni. Il Presidente, durante le elezioni avvenute a breve, lusingato da quanto espresso dall’assemblea, augurandosi di rifare quanto di buono è stato fatto in questi anni, ha illustrato quelle che potrebbero essere le problematiche inerenti al futuro della stessa associazione. Come auspicio, inoltre, ha pronosticato l’impegno fattivo dei soci nelle iniziative che saranno organizzate. “Armati” soprattutto di entusiasmo e pieni di energie da spendere per una giusta causa, il servizio alla comunità sarà proficuo – ha commentato Fedele. Valorizzare il nostro paese, la nostra storia e riscoprire le nostre radici, puntando maggiormente sulla cultura, è lo scopo della nostra associazione. Un primo passo in tale direzione è stato fatto denominando la Pro Loco “La coppa Vitrea”, come ricordo dei numerosi studi condotti da Don Antonino Di Masi, ex Parroco della Chiesa Santo Stefano Protomartire del luogo che riuscì a riappropriarsi dell’identità della coppa vitrea ritrovata in un fondo del Comune di Varapodio, erroneamente attribuita a Tresilico.
Siti
Partners
Circolo “Don Pietro Franco”
Centro servizi E.N.Te.L
Ente Nazionale Tempo Libero
Ufficio Zonale Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) info: 347.6954218
Canale Digitale 636
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Presentato a Cittanova
di Carmen Ieracitano
Fimmine Ribelli
Lirio Abbate spiega come le donne salveranno il paese dalla 'ndrangheta
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resentato venerdì 15 marzo presso il Polo Solidale per la Legalità di Cittanova, con la collaborazione dell’Acipac e della fondazione Trame3Festival dei libri sulle mafie, il libro-inchiesta “Fimmine Ribelli” di Lirio Abbate, con la presenza dello stesso autore e della giornalista Francesca Chirico di Stop ‘Ndrangheta che ha condotto l’iniziativa sotto forma di intervista nei confronti di Abbate e di Maria Teresa Morano, giovane imprenditrice cittanovese di quell’Acipac che fu la prima associazione “anti-pizzo” in Calabria, e nel 1991 aprì la pista alla ribellione e alla denuncia. E’ infatti questo il fulcro del libro, dal sottotitolo di “come le donne salveranno il paese della ‘ndrangheta”: ribellione e denuncia, perpetrata proprio ad opera di donne che non ce la fanno più a vivere nell’ombra e nella paura, spesso trattate soltanto alla stregua di “oggetti” nella compravendita di alleanze familiari tra i clan, fin da giovanissime destinate a una vita di silenzio, soprusi, paura. E questo libro racconta il superamento della paura, la ribellione al sopruso, la rottura del muro del silenzio, sotto la spinta del desiderio di riprendersi una vita normale per sé, un futuro diverso per quei figli che hanno avuto spesso quand’erano ancora inconsapevoli ragazzine in balia del “sistema mafioso”. Un sistema che, grazie anche all’apertura alla possibilità di un mondo differente che oggi è offerta a tutti da internet, queste donne stanno scardinando dalle fondamenta, pur pagando sulla propria pelle. Le storie di Maria Concetta Cacciola, di Tita Buccafusco, di Giusy Pesce, che cominciano a credere in un altro ideale, quello della giustizia e della pace, e si ribellano, tradiscono, varcano la porta dei commissariati di polizia e dicono tutto quello che sanno. E quel che costa loro questo gesto, dai “suicidi sospetti” ai certificati di incapacità di intendere e volere redatti per loro da medici compiacenti alla famiglia. E poi, l’altro volto delle “Fimmine Ribelli”, quello delle donne che da sempre appartengono a famiglie perbene di lavoratori che hanno costruito con onesto impegno e sacrificio tutto quel che hanno per poi vederselo divorare dall’estorsione o dall’usura alla quale hanno magari ceduto in un momento di estremo bisogno. Donne che non ci stanno più e denunciano, che vogliono tornare a lavorare serenamente per sé, per la propria famiglia, per la propria crescita personale e quella sociale delle cittadine calabresi in cui vivono. Ed è qui che entra in gioco Maria Teresa Morano, che racconta la propria esperienza e prima ancora, quella di Maria Concetta Chiaro, tra i fondatori dell’Acipac, e quella di Francesca Miscimarra, imprenditrice
Nella foto: Maria Teresa Morano, Lirio Abbate e Francesca Chirico.
lametina vittima di usura, che avrebbe dovuto ma non ha potuto per un contrattempo essere presente. Su una parete della sala campeggia uno striscione degli studenti del liceo artistico di Cittanova. Dice: “La mafia uccide, il silenzio pure” e sullo sfondo un volto di donna dallo sguardo deciso e dalla bocca aperta, nell’atto di parlare, di dichiarare veementemente il proprio dissenso. Agli studenti, largamente presenti in sala, è data poi la facoltà di intervenire con domande e considerazioni personali, come già hanno fatto il vice sindaco Domenico Bovalino e il presidente dell’Acipac Gino Molina, si apre il dibattito che porta in luce come la mafia abbia, secondo Francesca Chirico, “molto ben organizzato il suo immaginario, cosa che purtroppo l’antimafia non è ancora riuscita a fare benissimo, purtroppo. Ed è proprio su questo che c’è di più da lavorare. Spesso il loro vantaggio, oggi come oggi, in questi territori, è quello di porsi come unica possibilità di lavoro e sviluppo. Oggi, chi ha il lavoro ha il potere.”
«fimmine Lʼaltro volto delle ribelli, donne che non ci stanno più e denunciano mafiosi, usurai e estorsori»
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Convegno a Oppido sul terremoto del 1783 di Antonio Violi
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“Il grande flagello”
n data 2 marzo 2013, si è tenuto a Oppido Mamertina un interessante convegno incentrato sul terremoto del 5 febbraio 1783 che, appunto, fu definito “Grande Flagello”. Tale definizione deriva dalle caratteristiche di quella crisi sismica che distrusse quasi tutti i paesi e le città della Calabria centromeridionale, sconvolse la fisionomia del territorio e provocò circa cinquantamila morti, compresi quelli conseguenti alle epidemie. Il convegno, intitolato 1783–2013: 230° anniversario del Grande Flagello, è stato organizzato dall’Associazione Culturale MESOGAIA che opera nel territorio di cinque comuni: Oppido Mamertina, S. Cristina d’Aspromonte, Scido, Delianuova e Cosoleto, che hanno patrocinato insieme alla Deputazione di Storia Patria, all’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte, al Polo Regionale della Lettura per la Calabria, alla Sovrintendenza ai Beni Archeologici della Calabria e all’Università della Calabria. Ha iniziato i lavori la presidente dell’Associazione dott.ssa Antonietta Bonarrigo con i saluti e la presentazione dell’Associazione, sono seguiti i saluti del sindaco di casa dott. Bruno Barillaro, dell’assessore alle Attività Produttive della provincia dott. Domenico Giannetta; assenti a causa delle intemperie l’assessore provinciale alla Cultura dott. Lamberti Castronuovo e il direttore dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte dott. Tommaso Tedesco; è intervenuto anche S. E. Mons. Francesco Milito. Ha moderato il prof. Giuseppe Caridi (docente di Storia Moderna presso l’Università di Messina e Presidente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria). Le tematiche dei relatori sono state alquanto varie ed interessanti: il dott. Antonio Violi (studioso e socio della Deputazione di Storia Patria) con “Il Grande Flagello a Mesogaia nella cronaca
del tempo”; il prof. Rocco Liberti (storico e socio della Deputazione di Storia Patria) con “Viaggiatori in Calabria sul finire del secolo XVIII al richiamo del Grande Flagello”; il prof. Francesco Cuteri (archeologo e Direttore del Museo Territoriale della Ceramica di Soriano Calabro) con “Le città morte della Calabria tra ricerca archeologica e valorizzazione”; il prof. Giuseppe Roma (docente e Direttore Dipartimento Archeologia e Storia delle Arti – UNICAL) con “Le indagini archeologiche nella ex Cattedrale di Oppido”; il prof. Vito Teti (docente e Direttore Dipartimento di Filologia – UNICAL) con “Rovine e luoghi abbandonati dopo il sisma del 1783”; l’arch. Paolo Martino (Incaricato regionale ai Beni Culturali Ecclesiastici della Calabria) con “Le chiese: ricostruzione di un’identità”; la dott.ssa Emanuela Guidoboni (sismologa storica Presidente del Centro Euro-Mediterraneo di Documentazione Eventi Estremi e Disastri) con “Perché ricordare la crisi sismica del 1783”. La dott.ssa Simonetta Bonomi (Sovrintendente ai Beni Culturali della Calabria), ha tratto le “Conclusioni”. Non sono mancate le riflessioni e gli spunti per ulteriori incontri al cospetto di un pubblico molto interessato. Per l’occasione sono stati messi in mostra 28 stampe originali dello Schiantarelli raffiguranti i disastri di quel terremoto e altre pubblicazioni attinenti. Le stampe sono rimaste esposte per alcuni giorni ancora a favore di appassionati e di tutti gli studenti liceali di Oppido venuti a visitarli, i quali sono stati edotti dallo scrivente e dalla dott. Bonarrigo della grave crisi sismica del 1783 e delle sue conseguenze negative sulla popolazione interessata. Lo scopo è quello di sensibilizzare i giovani a capire il terremoto ed a prevenirlo. Quel disastro non bisogna dimenticarlo e nemmeno credere che sia solo una cosa di altri tempi, in quanto le generazioni che ci distaccano da quella sfortunata gente, malgrado il tempo passato, sono veramente poche. Spetta a noi capire ogni aspetto della catastrofe e rendere questo straordinario evento più “famigliare” in quanto fa parte della nostra natura ed anche del nostro futuro.
L’Elzeviro
di Luigi Maggiore Florio
Il merlo nel nido sul nespolo Il merlo nel nido sul nespolo ...ed io che l’aspettavo sull’arancio, costruivi invero il nido sul nespolo, facendomi sorpresa alquanto gradita, ed oggi vedendolo tra i rami, preso di commozione l’ammirai, se ne stava all’erta e sull’attenti, proteggendo il nido suo con orgoglioso canto; nel nido mio non voglio intrusi, è mio! e di questo me ne vanto. Ho intrecciato paglia e pur rametti per fare un angolino tra le fronde, e tu pensasti male se alludevi, che a Roma sarei rimasto solo a pregare. Io amo
il tuo caffè ed anche il resto, che tu hai imparato a custodire, come il mio sbatter d’ali, che a volte ti distoglie dal tuo dare. Buon giorno, d’eolo vestito a festa, come refolo d’amor sparato a vista, tu sei il pensier mio di notte fonda, e luce di risveglio quand’alba appare, sei idea come marea che cresce, quando la luna le sue fasi mostra. Sei vita elisir et altro ancora sei volto sorridente e sornione, quando abbracciato alla mia ala sogni, e io di te sognando,volo ancora.
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La scienza dell'alimentazione Convegno del Soroptimist International Riuscita iniziativa del Club di Palmi
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abato 2 marzo presso il Grand Hotel “Stella Maris” si è tenuto un convegno del “Soroptimist International d’Italia” club di Palmi dal titolo “Scienza dell’Alimentazione - Water and Food”. I lavori sono stati aperti dalla Presidente Luisa Agresta Calabrò della sezione di Palmi, che ha salutato oltre alle socie del club, i presenti in sala e i relatori partecipanti. Dopo aver parlato sommariamente delle problematiche di cui le Soroptimist si sono occupate negli anni precedenti, ha ceduto la parola al Sindaco della città di Palmi Giovanni Barone che, oltre a sottolineare l’importanza della presenza del club sul territorio, ha evidenziato i danni che provoca la televisione nell’educazione alimentare dei bambini attraverso un tipo di pubblicità negativa fatta da bevande gasate e fritti vari che agiscono negativamente sulla salute sia dei piccoli che dei grandi. “Anche dal punto di vista igienico la televisione propina modelli errati che devono essere recuperati con un opportuno controllo – ha detto Barone. Dopo il Sindaco è intervenuta la Presidente delle “Soroptimist Club” di Reggio Calabria Giovanna Campolo che ha voluto rivolgere la sua particolare attenzione ai diritti delle donne e dei bambini a cui ha consigliato di osservare sempre le regole di una sana alimentazione per il benessere fisico. Al tavolo dei lavori ha moderato Pasquale Veneziano, Presidente dell’Ordine dei Medici di Reggio Calabria che nel suo discorso intro-
duttivo ha posto alla base di tutto una buona comunicazione, intervenendo su bambini e ragazzi attraverso progetti di educazione alimentare nelle scuole. Relatore della serata è stato Gaudenzio Stagno, diabetologo e internista dell’ASP 5 di Reggio Calabria che ha trattato dell’errata alimentazione che porta al diabete, mentre il cardiologo Mammola ha proiettato e commentato immagini tratte dal libro di Eugenio Del Toma dell’Università di Torvergata di Roma e di Pisa, dal titolo “Alimentazione”. Dell’Università Cattolica “Sacro Cuore “ di Roma è intervenuta, invece, la biologa nutrizionista Anna Maria Tropeano che ha parlato dei rischi relativi a stili di vita errati e dei danni dell’uso del troppo sale in cucina. Altre importanti argomentazioni sono state sostenute da Cettina Repaci Lupini, docente, consultore nazionale dell’Accademia Italiana della Cucina e delegato Provinciale che ha trattato la gastronomia evoluzionista e l’antropologia alimentare, mentre Enza Versace Luppino, insegnante presso il Liceo Linguistico di Palmi, ha parlato di cibi spazzatura e cosa va evitato. Gli interventi sono stati conclusi dalla Presidente Luisa Agresta Calabrò che oltre a trattare come argomento, gli alimenti come farmaci, ha voluto precisare che il “Soroptimist International d’Italia, oltre ad essere un’associazione di donne professioniste e imprenditrici, opera sul territorio per migliorare la qualità della vita e sensibilizzare per la prevenzione dei tumori al seno, ai polmoni e di tante altre patologie. La serata è terminata con la consegna di targhe ricordo ai tre medici Pasquale Veneziano, Gaudenzio Stagno e Michele Mammola che hanno preso parte al convegno. Dott. Luisa Agresta Calabrò (Free's Tanaka Press)
di Filomena Scarpati
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Dott. Vincenzo Carbone - Direttore Polo Didattico UNICUSANO di Palmi
La nuova frontiera accademica: di Ivan Pugliese
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’ una realtà in continua crescita quella del Polo didattico remoto di Palmi della Unicusano (Università Telematica “Niccolò Cusano” di Roma). A testimoniarlo i numeri che raccontano dei circa 750 gli studenti che mensilmente si recano nella cittadina tirrenica per svolgere gli esami presso la sede ubicata in via Antonio Altomonte 32. Studenti provenienti da 30 province sparse su tutto il territorio nazionale sono oltre 10 le Regioni da Nord a Sud che di mese in mese, di sessione in sessione, vedono giungere a Palmi centinaia di studenti. Numeri che dimostrano sempre più l’importanza conquistata negli anni dal Polo diretto dal dott. Vincenzo Carbone. Un risultato alquanto prestigioso che posiziona la cittadina tirrenica al centro di un vero e proprio polo culturale universitario. Ma la realtà universitaria presente a Palmi è tanto altro ancora: gli altri dati del Polo universitario dell’Unicusano, infatti, evidenziano
UNICUSANO,
una Università telematica di eccellenza regionale numeri di tutto rispetto. Tra i recenti, spicca il raggiungimento, due mesi fa, del traguardo del duecentesimo laureato che ha discusso la tesi, come da tradizione, presso la sede centrale di Roma. Al contempo si attestano a circa il 90% gli studenti che concludono il proprio percorso di studi in corso. Sempre in continua evoluzione e adatta alle più varie esigenze di studio degli iscritti per favorire la conciliazione con lavoro ed altri impegni, è l’offerta formativa dell’università con conta 4 facoltà attivate: Giurisprudenza, Economia, Scienze della formazione e Scienze politiche. I Titoli accademici rilasciati dall’Unicusano sono riconosciuti ed equipollenti a quelli delle università pubbliche. L’Unicusano è stata infatti riconosciuta con D.M. 10/05/06 (G.U. n° 140 – suppl. ord. n° 151 del 19/06/06). Lo studente può tranquillamente seguire le lezioni e scaricare il materiale didattico in qualsiasi momento. Le iscrizioni sono aperte tutto l’anno e a disposizione degli studenti ci sono ben 9 appelli con date prefissate con largo anticipo ed esami scritti in loco. Per venire incontro ad eventuali difficoltà sono a disposizione anche dei Tutor personalizzati. L’importo della retta è contenuto e le stesse sono detraibili dalle tasse. Infine, l’Università al momento dell’iscrizione riconosce i crediti per attività lavorativa e/o per
esami sostenuti in altri atenei anche se si tratta di studenti decaduti o rinunciatari. Anche le Istituzioni locali si sono accorte di questa importante realtà che inserisce Palmi in un panorama di conoscenza nazionale, ed hanno deciso di venire incontro alle sempre crescenti esigenze del Polo di Palmi, dettate dal numero in aumento degli iscritti e alla crescente offerta formativa, rendendo disponibile nelle giornate in cui si svolgono gli esami, un parcheggio adiacente la sede universitaria che conta circa 200 posti auto. Accanto alla sede di Palmi operano oramai da tempo anche i Poli remoti didattici di Reggio Calabria ubicato in Via Rausei 120 (di fronte Ospedali Riuniti) e di Messina in Via Garibaldi 85 (angolo Via I Settembre). L’Unicusano nazionale la scorsa estate ha inaugurato la nuova sede di Roma in Via Don Carlo Gnocchi. La realtà è in continua espansione ed oggi vanta circa 15.000 iscritti divenendo così la prima università telematica in Italia. Il personale docente, altamente qualificato, proviene dalle università pubbliche. L’Unicusano nasce pensando principalmente a chi è chiamato a conciliare lo studio e, quindi, la propria aspirazione a conseguire un titolo accademico con altre attività nell’arco della giornata. Tale offerta didattica è apprezzata anche da giovani in età universitaria (20/25 anni).
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Il significato salvifico della Pasqua nel dono salvifico del Vangelo
L'omelia del Vescovo nella Messa Crismale del giovedì Santo
Il Vescovo di Oppido 1
. Questa Santa Messa del Crisma che, convenuti da tutte le comunità di fede dell’intera Diocesi, ci trova oggi, qui raccolti in Cattedrale, madre delle altre chiese, e uniti intorno al Vescovo e al suo Presbiterio, in composta e raccolta attenzione, mi rimanda con la memoria esattamente a un anno fa. Convocato il giorno prima dal Nunzio Apostolico in Italia per il pomeriggio del 28, a quest’ora ero in viaggio verso Roma con l’animo in attesa per l’improvvisa convocazione. Nell’incontro cordiale e sereno, il Rappresentante Pontificio mi comunicò la volontà del Santo Padre della nomina a Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi con la richiesta dell’accettazione che mi trovò consenziente. Erano da poco trascorse le 4, come l’ora ricordata nel Vangelo di Giovanni (1,39) e, benché per il Segreto Pontificio, sulla notizia ero stato vincolato al silenzio di una settimana, da quel momento la mia vita era legata alla Vostra, e le nostre vite si profilavano unite da un misterioso disegno divino, nel quale molti – come da confidenze avute – hanno visto un dono dell’Annunziata che ha ascoltato le preghiere dell’attesa. Nelle ore e nei giorni successivi tanti i pensieri e i sentimenti, confluiti, poi, nel primo Messaggio di saluto distribuito il 5 aprile in occasione della Messa del Crisma: lo confermo per intero a sigillo come primo patto con Voi. Tale speciale coincidenza di date racchiude, come in un cerchio di grazia – per me, per voi – un anno particolarissimo, segnato quotidianamente da udienze private, incontri personali o a gruppetti o comunitari, di folte assemblee in celebrazioni liturgiche per occasioni varie – feste patronali o di primo contatto, eventi particolari, quasi tutte intorno all’altare, alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia. Ciò ha favorito l’avvio di una mutua progressiva conoscenza nel dichiarato o sottinteso desiderio di crescere insieme come Chiesa. Ne sono grato ai parroci, con i quali abbiamo sempre concordato date e motivi e, con confratelli che hanno fatto loro corona nella preghiera e, poi, nella compagnia distensiva di agapi fraterne, all’insegna della gioia comune e dello scambio di idee sulla vita delle nostre Comunità.Se, infatti, nell’anonimato tutti eravate nella mia preghiera già dagli anni della preparazione al sacerdo-
zio, oggi lo siete in un abbraccio di amore grande con volti e storie precisi. Un amore che va crescendo ogni giorno creando in me un attaccamento, frutto della scoperta e constatazione di quali ricchezze e potenzialità, di quanta formazione e competenze, di quanta generosità e carità, di quale fiducia e adesione verso il Vescovo ed i presbiteri, è dotata la Diocesi di Oppido MamertinaPalmi che, sento di poter dire essere tra le più interessanti in terra di Calabria. È evidente come tutto sia frutto di cammini lunghi, pazienti, ma efficaci nel tempo per cui grande si eleva la riconoscenza al Signore per le opere da lui compiute e per quanti ne sono stati strumento efficace. Certo, questa visione, che nella fede contempla le meraviglie, non ignora, non nasconde, né tace incorrispondenze e infedeltà, come contrasto di ombre con le luci. Ma proprio questa sintesi tra ottimismo e realismo offre la spinta per attingere dal Signore motivi di conforto e di fiducia.
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. L’oracolo di Isaia (Prima lettura) nella solenne concisa chiarezza è il manifesto veterotestamentario della Teologia del Sacerdozio comune. Un rapporto diretto e personale fonte presente e futuro sull’eletto invaso dallo Spirito del Signore Dio mediante la consacrazione con l’unzione. C’è un possesso originario che è frutto solo di predilezione, e ciò sta a base di tutto. L’unzione consacrante è per la missione evangelizzante le categorie più emarginate dell’umanità sofferente: i miseri di ogni condizione, i cuori – cioè le vite – spezzate sotto il peso di tanti dolori, gli schiavi di sempre, non più oggetto di arbitrio dei padroni di turno, gli afflitti, sotto il peso delle soglie esterne della sopportabilità della vita, la morte con il suo lutto, la tristezza interiore, preludio alla depressione. Una nota unisce queste categorie: lo stato di poveri che fa dell’aiuto concreto la mano tesa per sollevarsi e uscirne e del Vangelo il primo dono da offrire. In questo cammino di liberazione l’«anno di grazia del Signore», il Giubileo biblico arride come il tempo della gioia per Sion, coronata come sposa, con lo Spirito. L’unzione diretta e personale, tuttavia, non è esclusiva: data a tutti i membri del popolo di Dio, fa di loro un popolo di consacrati come «Sacerdoti del Signore e ministri di Dio». Allora ognuno
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OMELIA Messa Crismale Giovedì Santo, 28 marzo 2013 Oppido Mamertina – Cattedrale
o Mamertina -Palmi con tutti si è vocati del Signore e, perciò, sua «stirpe eletta» per la quale l’alleanza eterna è posta come fedeltà indefettibile e prova di elezione di Lui. Tutti consacrati, dunque, tutti unti per essere tutti mandati. La Nuova Evangelizzazione, orizzonte scelto dalla Chiesa, parte per noi oggi da qui, come sviluppo maturo di quell’unzione ricevuta nel giorno del Battesimo e riconfermata nel giorno della Cresima, come ci è stato ricordato nella monizione introduttiva a questa celebrazione e come abbiamo pregato nell’Orazione Colletta.
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. Nel Vangelo c’è un passaggio fondamentale, anzi radicale, di senso, che l’esegeta per eccellenza delle Sacre Scritture, Gesù, presenta. A Nazareth, dove come ogni pio laico ebreo si reca nella sinagoga per la Liturgia della Parola in giorno di sabato, Egli fa da lettore, ma soprattutto da Maestro nello scegliere la pericope che l’interessa. Alla precisa compostezza con cui trova il passo di Isaia – che abbiamo prima commentato – corrisponde la sovrana autorevolezza dell’affermazione solenne, compimento di una profezia chiara e definitiva: il compimento in lui della Scrittura ascoltata. Così, la prima volta che Egli prende la parola tra i suoi è per confermare la parità delle origini e dell’appartenenza, ma anche l’unicità, come «unto», consacrato per la santificazione e la missione. Come allora nella Sinagoga, anche, oggi, noi uditori della Parola, puntiamo fissi gli occhi su di lui, ben sapendolo sommo ed eterno Sacerdote della Nuova Alleanza, che ha voluto associare a sé la stirpe eletta degli apostoli, del Collegio dei Dodici, scelti con precisa volontà (cfr. Mc 3,13).
crificio eucaristico e nella quotidiana Adorazione silenziosa, nella frequenza al Sacramento della riconciliazione, nella Direzione Spirituale, nella familiarità con i pii esercizi – il Santo Rosario, la Via Crucis, la devozione ai Santi più cari – e nello studio delle discipline teologiche e pastorali le sorgenti che l’alimentano, non si da fedeltà ai compiti. Ci potranno essere attivismo, iniziative forse originali, esteriorità festaiole, ma non apostolato in quota e che incida nel profondo. Quando dovessimo scoprire infedeltà da noi stessi o esserne ripresi da altri, non indugiamo su diagnosi peregrine e di comodo: andiamo diritti a verificare lo stato ed il tenore della nostra vita interiore. Tutto apparirà chiaro circa le cause profonde e reali, e ciò è premessa per un ritorno alla normalità. L’autore della Lettera agli Ebrei, nelle ultime settimane e anche nell’odierno Ufficio delle letture ci ha ricordato lo stato nativo di fragilità ma anche l’intervento a nostro favore di Cristo sommo ed eterno Sacerdote, come pure Giovanni nell’Apocalisse assicura (Seconda lettura).
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. Per l’impresa formidabile che rappresenta la vita dei presbiteri si spiega perché il Vescovo, dopo la richiesta della Rinnovazione delle promesse sacerdotali, rivolgendosi all’Assemblea la invita a pregare per i sacerdoti e il Diacono per il Vescovo: è ancora la fedeltà e la conformità a Cristo Sommo Sacerdote che si chiede, come Lui Sommo Sacerdote ministri autentici, immagine viva di Lui «buon pastore, sacerdote e servo di tutti».
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. Questa visibile unità introduce l’eloquente Liturgia della benedizione degli Oli, l’unica in tutto l’Anno Liturgico,
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. In questo giorno – l’ascolteremo tra poco – in cui «la Santa Chiesa celebra la memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore comunicò agli Apostoli e a noi il suo Sacerdozio» – si coglie bene il senso della «Rinnovazione delle promesse sacerdotali». L’invito, come di consueto è al plurale collettivo: «volete?»; la risposta al singolare personale: «si, lo voglio». Riguarda direttamente ogni sacerdote ma impegnato per gli altri, il proprio Vescovo, il popolo Santo di Dio, la Chiesa, i fratelli; si ricordano i motivi della conferma dei «sacri impegni» – l’unione intima al Signore Gesù, «modello del nostro sacerdozio» e l’amore per lui – la fedeltà per le funzioni, chiamati a svolgere – l’essere «dispensatori di misteri per mezzo della Santa Eucaristia e delle altre azioni liturgiche», l’adempimento del ministero della Parola di salvezza sull’esempio di Cristo capo e pastore –, la retta intenzione, senza umani interessi, guidata solo dall’amore per i fratelli.
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. Unione intima con il Signore, fedeltà ai compiti: qui il binomio sicuro di una vita presbiterale esemplare e al sicuro da ogni insidia, interna ed esterna, sempre in agguato per indebolire la bellezza del primo sì aurorale dell’Ordinazione e corrompere la fatica e il peso dei giorni e degli anni di un servizio che pone sfide talora sconcertanti, lì dove si opera. Se viene meno l’unione intima con il Signore, che ha nella lectio divina della Liturgia delle Ore, nella celebrazione devota e compartecipe del Sa-
riservata solo al Vescovo nella Chiesa Cattedrale. Essa diventa fonte dell’invisibile permanente unità di Dio tra il vescovo, primo ministro dei Sacramenti, e tutti i fedeli che in stato di infermità, di catecumenato, di candidati al Battesimo, alla Cresima, all’Ordine Sacro, e i luoghi e le cose che fino alla prossima Pasqua saranno segnati rispettivamente dai Santi Oli. Il profumo del Crisma – re degli Oli – dovrebbe diffondersi e contagiare come fragranza di Santità il mondo, diventare il vestito di chi ne è unto. Si compren-
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de, allora, come l’agire cristiano in ogni comunità della Chiesa locale deve riflettere la perfetta sintonia di intenti e di azione con il Vescovo. Lo esprime l’affidamento degli Oli che egli farà ai Sacerdoti e ai Diaconi, la raccomandazione di venerarli e conservarli con una cura particolare. Tramite essi misticamente si rinnoveranno gli eventi della storia della salvezza: mirabile scambio che fa degli elementi della natura della madre terra mezzi per la sopranatura e della terra, nuova dimora dell’eternità. . All’Ora di grazia di questa Messa del Crisma, all’inizio della Quaresima abbiamo legato due prospettive: la costituzione di un fondo di solidarietà con l’offerta, frutto della pratica del digiuno e l’impegno, perché l’integrazione sia il nome nuovo della convivenza pratica che rimpiazzi l’emergenza immigrati divenuta sistema. Il Signore benedica e ricompensi ampiamente la vostra generosità espressa nel gesto della colletta. Se non è stato difficile, forse, far diventare tesoretto per gli altri le piccole rinunzie dell’ascesi penitenziale, non è, invece, affatto scontato che tale passaggio possa evolversi nella realtà, in tempi brevi quali sono i prossimi mesi, di stacco e precedenti le nuove ondate di lavori stagionali. Se la nostra Chiesa è stata esemplare nell’accogliere il Messaggio dell’Avvento di fraternità, molto di più ora le viene chiesto di interessarsi su una scia non completamente nuova, perché già sperimentata in alcuni luoghi, ma di certo più esigente per i gesti operativi e concreti che richiede e, soprattutto, per la pazienza dell’accompagnamento insita nel processo di integrazione. È una sfida che vogliamo affrontare per la necessità e l’urgenza di smettere, o almeno di ridimensionare, pronti interventi e pronti soccorsi dell’assistenza (che, comunque, si ripresenteranno!) verso situazioni di chiara ingiustizia e di precariato lavorativo su cui le varie competenze del settore amministrativo sono chiamati in via ordinaria a fare la propria parte. La Chiesa non ha né il compito, né il dovere di sostituirsi alle responsabilità altrui, ma come madre e maestra dei popoli, che vivono là dove essa è presente, avverte il dovere di lanciare pressanti gli appelli in favore di chi non sa farsi ascoltare. E perché ciò non resti un proclama o un grido sommesso nel deserto della disattenzione, prova anche a porre gesti concreti, positivi, propositivi, li sostiene e li segue per come può con la speranza di convincere con il linguaggio delle opere chi si mostra scettico e indolente a quello dei principi. I poveri “nuovi”, quali si configurano presso di noi anche gli immigrati, e i “nostri” poveri, più vicini perché stabilmente residenti nella Piana, restano presenti nelle attenzioni delle ultime giornate terrene di Gesù e consegnati al futuro della Chiesa. I poveri del mondo, tutti – quindi anche i nostri – si profilano ora come i privilegiati speciali delle attenzioni di Papa Francesco. È per noi pace e conferma sapere di avere intrapresa una strada sulla quale il suo magistero pastorale e di vita offrirà sostegno e forza a proseguire nonostante tutto. La Pasqua può farci sognare quest’anno una vita nuova: chiediamola anche come conversione alle pratiche che l’integrazione comporta. Non è distrazione dal seppellire in noi l’uomo vecchio del peccato, quanto piuttosto un modo come contribuire a dare sepolture a storture dell’uomo in sé, cioè alla difesa del rispetto che merita come persona al pari di ogni suo simile, redento da Cristo che, restituisce la dignità di fratello e figlio del Padre. Neanche è posizionare o voler considerare la Chiesa come un grande Patronato che tratta pratiche per assistenze varie o come l’istituzione più alta da tirare in ballo per ben più complicate finalità di parte che non la interessano, né le competono. La secolarità degli affari contingenti, se aiuti e sostegni intende ricevere, ha da tener presente un principio base: al cristiano è fatto dovere prendersi cura del creato in tutte le sue implicanze alla luce del disegno creatore di Dio. La politica, l’ambiente, il lavoro, insomma la vita, egli la vede e la coltiva nella luce della rivelazione biblica. La “politica del Padre nostro” è radicalmente diversa dalla “politica dei padri e dei figli nostri”, schierati spesso in modo non disinteressato perché di parte, sospinta dai venti soffianti da tutti i punti cardinali per polemiche di paese. Il cristiano ama l’uomo e si batte con e per lui avendo a modello il Divin Samaritano. Per questo non guarda al colore della pelle e delle appartenenze religiose: non ha colori la pelle di Dio. L’unico “incarnato” è quello del Figlio, fratello universale, appunto, perché incarnato. Così vivendo svolge al massimo la funzione di sacerdote, re e profeta per la quale è stato unto con il Sacro Crisma dal giorno del Battesimo, segno della vita nuova in Cristo, confermato con la Cresima dell’età più adulta e consapevole del-
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la fede, rafforzato nel Sacramento dell’Ordine, come dedizione completa alla causa del Regno se a ciò eletto dal Signore.
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. Come all’Epifania, dopo la lettura del Vangelo si dà l’Annunzio del giorno di Pasqua, così nell’epifania di questa celebrazione, snodo per il Triduo pasquale, desidero rimarcare alcune date che si richiamano a questo giorno. Anzitutto il conferimento del diaconato a Giuseppe Papalia, il 7 aprile, domenica in albis a Lubrichi; il presbiterato a lui, a don Domenico Loiacono e a don Antonio Nicolaci, il 30 giugno, qui in Cattedrale. Il Crisma oggi benedetto, è il Crisma della loro unzione sacerdotale: da allora entreranno a far parte, con fresche energie fisiche e spirituali, nel nostro presbiterio. Incastonati come perline in questa corona sacramentale di grazia altri appuntamenti che desidero vivessimo con particolare trasporto: il 13 maggio, primo anniversario della mia ordinazione episcopale, ritrovandoci sul sagrato antistante per una veglia di ringraziamento alla Madonna e l’incontro, se possibile con tutti i nati, i battezzati, le Prime Comunioni, i cresimati, gli sposati il 28 marzo, il 4 aprile, il 13 maggio e il 30 giugno, tappe progressive del mio ingresso nell’episcopato; il 19 maggio, Solennità di Pentecoste, scelta come Giornata pro Seminario e di preghiera con i familiari dei sacerdoti e dei seminaristi; il 1° maggio per la Giornata dei Ministranti. Seminario e vocazioni al presbiterato vanno ricentrati come primari all’interno della pastorale ordinaria, se vogliamo ottenere dal Signore numerosi e santi operai per la sua messe nella nostra Diocesi: osservando con attenzione il presente e il futuro ne abbiamo veramente bisogno; il 21 aprile la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni nel 50° anniversario di istituzione alla luce del messaggio di Benedetto XVI: «Le Vocazioni: segno della Speranza fondata sulla Fede». Quasi in dirittura di arrivo sulla conclusione dell’Anno della fede, il Pellegrinaggio dal 4 all’11 di novembre nella Terra Santa di Gesù ci vedrà presenti sui luoghi di partenza del nostro credere, che vogliamo confermato anche con la visita al Santuario del Divino Amore, a Roma e la partecipazione alla Udienza con Papa Francesco, in relazione al suo calendario. Il Monumento a Cristo Re di Misericordia sui tornanti di Piminoro e il panorama di tutta la Diocesi dalla Chiesetta di Sant’Elia in Palmi vorrebbero restare a ricordo di tutto ciò.
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. Su queste proiezioni, in chiusura e per esigenza di fraternità, un cordiale affettuoso riconoscente saluto va a S. E. Mons. Luciano Bux, Vescovo emerito che ho sentito telefonicamente lunedì 25 per gli auguri dell’anniversario della sua Ordinazione episcopale e per la Santa Pasqua: ci porta nel cuore e continua a pregare per noi; e sullo stesso piano ai confratelli assenti per motivi di salute don Andrea Dipino, don Giuseppe Fedele, don Luigi Occhiuto, don Giovanni Pellizzeri, don Antonio Siciliano, don Michele Vomera. Un pio ricordo per don Vincenzino Tripodi, che nella patria dei giusti, vive ormai la Pasqua eterna. Un benvenuto tra noi ai Sacerdoti invitati dai Parroci in aiuto per le festività pasquali. Un abbraccio forte esclusivo per ciascuno di voi, carissimi presbiteri, con le vostre comunità qui rappresentate, ai diaconi, ai seminaristi e a tutti i ministri istituiti. Vi siete accorti, spero, del bene grande che vi porto, avendo a cuore l’aiutarvi a star bene con se stessi con il Signore, con il popolo santo di Dio, nel presente e per l’eternità. Come segno, vogliate gradire il libro degli Esercizi Spirituali predicati dal card. Gianfranco Ravasi a Benedetto XVI nel febbraio scorso (17-24). Anche alle religiose e ai membri degli Istituti di Vita Consacrata un particolare ringraziamento per la capillare preziosa presenza nella nostra Chiesa. Così, amandoci nella verità della Carità e nell’Unità del corpo mistico del Signore, continuiamo a lavorare senza risparmiarci in quest’Anno Cantiere per la Nuova Evangelizzazione orizzonte permanente per la nostra pastorale che richiederà di essere attenti per la Piana al Piano che il Signore ci chiede di interpretare e di assecondare. A lui «il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra … Alfa e Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente», il nostro «si, Amen!» (Seconda lettura).
Francesco MILITO Vescovo
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Annuncio nuovi vicari episcopali e nuovi delegati vescovili
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o iniziato l’Omelia ricordando, esattamente un anno fa, il mio viaggio verso Roma con i motivi per la partenza. C’è una tappa intermedia che ha predisposto il mio futuro ad una pace più profonda. Giunto nella Città Eterna, proprio a quest’ora, mi sono diretto verso la Basilica di San Pietro. Avvertivo la necessità di affidarmi subito e di trarre esempio da coloro che erano stati i Papi della mia vita e che lì, nel cuore della cristianità, riposano e continuano ad insegnare con l’esito del loro tenore di vita di riconosciuta alta esemplarità: il Beato Giovanni XXIII, papa dei primi anni di Seminario; il Servo di Dio, Paolo VI, Papa di tutto il cammino verso il Presbiterato e del primo sessennio del ministero, guida con l’eredità di papa Roncalli negli anni rivolti al Concilio Ecumenico Vaticano II; il Servo di Dio Giovanni Paolo I, meteora di un sorriso buono ma non ingenuo; il Beato Giovanni Paolo II, per il rapporto più speciale nei dieci anni del mio legame più stretto con la Sede Apostolica a Catanzaro e a Roma. Sono partito dalla Tomba del Principe degli Apostoli e ho terminato davanti all’altare del “mio” grande amato San Pio X. Di tutti riflettevo sulla verità che un “magno” predecessore loro, Gregorio, 15 secoli prima aveva indicato sul ruolo e la natura del Vescovo di Roma: Servus servorum Dei, Servo dei Servi del Signore, applicabile a chi partecipa al governo della Chiesa. Questa prassi continuiamo a vivere oggi per la nostra Diocesi. Iniziando il servizio episcopale, era giusto e necessario che potessi fare affidamento sui collaboratori più stretti del venerato predecessore, S. E. Mons. Bux. Per questo ho riconfermato ad nutum i Vicari e i Delegati vescovili, cioè finché non si fosse provveduto diversamente. Nel corso di un anno ha avuto modo di sperimentare l’aiuto efficace avuto nell’esaminare e provvedere alle insorgenti necessità della vita diocesana e li ringrazio vivamente. In modo particolare mi rivolgo a Mons. don Pino Demasi per la disponibilità pronta e permanente dal primo contatto in qualità di Delegato ad omnia, e poi come Vicario Generale con fedeltà, discrezione, intelligenza, apertura di cuore. Per la profonda conoscenza che ha di uomini e cose e per fitta rete di rapporti dentro e fuori Diocesi la nuova nomina è a Direttore dell’Osservatorio Pastorale “Segni dei tempi”. Negli stessi mesi è venuto sempre più chiarendosi l’impulso da vivere insieme per e nella nostra Chiesa e da ciò, principalmente, è maturata l’opportunità di un avvicendamento nei principali ruoli di collaboratori più diretti con il Vescovo. Chi lascia non viene scaricato : occorre essere loro grati per il peso portato, al di là di ogni immancabile limite; chi inizia viene caricato di un peso, tutto ancora da portare. Per gli uni e per gli altri – per tutti, nella Chiesa – resta ammonitore il gesto di Gesù che questa sera rivivremo nella Messa in Coena Domini, il Signore e il Maestro (nessuno di noi è l’uno e l’altro come Gesù!) si fa schiavo degli Apostoli. A conferma-ricordo in questi ultimi mesi l’alta lezione delle dimissioni di Benedetto XVI, che continuiamo a portare nella preghiera, le parole di Papa Francesco ai Cardinali: il potere nella Chiesa è servizio, sempre e solo servizio. È alla luce di tali coordinate che ho la gioia di annunziarvi la nomina dei nuovi Vicari e Delegati Vescovili, la cui presenza
si dividerà tra Oppido Mamertina, negli Uffici Diocesani ubicati nei locali a Piano Terra della Sede dell’Istituto Diocesano Sostentamento Clero – e colgo ora l’occasione per esprimere vivo il mio apprezzamento per la cordiale unanimità con cui, duce il carissimo Presidente don Pasquale Galatà, il Consiglio d’Amministrazione con autentico spirito di comunione ecclesiale, ha concesso l’uso di locali di pertinenza dell’Istituto – e gli altri Uffici di Palmi, secondo programmi ed orari che saranno resi noti in aprile, all’atto dell’inaugurazione dei nuovi locali con apposita cerimonia. Il nuovo team – per usare un termine moderno – è allora così costituito: VICARIO GENERALE: Sac. Giuseppe ACQUARO VICARIO EPISCOPALE PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE: Sac. Paolo MARTINO VICARIO EPISCOPALE PER LA CULTURA: Sac. Alfonso FRANCO VICARIO EPISCOPALE PER LA VITA CONSACRATA: P. Carmelo SILVAGGIO O. Carm. VICARIO EPISCOPALE PER L’ECONOMIA: Sac. Giuseppe – detto “Nuccio” – BORELLI DELEGATO VESCOVILE PER IL DIACONATO PERMANENTE E I MINISTERI ISTITUITI: Sac. Giovanni Battista TILLIECI DELEGATO VESCOVILE PER LE AGGREGAZIONI LAICALI: Sac. Antonio SCORDO Come potrà notarsi – ma solo per riferirci ad alcune note e ai santi di cui portano il nome – c'é tra loro chi fa parte del “vino vecchio”, perciò buono, e tre “Giuseppe”, il custode della Chiesa; un dottore sommo di dottrina – sant’Alfonso Maria de’ Liguori; l’apostolo della missio ad gentes, Paolo; la famiglia religiosa, che negli ultimi secoli ha dato i più grandi Maestri della vita spirituale, l’Ordine Carmelitano; san Giovanni Battista, il precursore della diaconia per Cristo; sant’Antonio, il “Vescovo” di Francesco di Assisi, e così ritorniamo ai temi cari a papa Francesco. A tutti Voi, carissimi miei nuovi collaboratori, il “grazie” per l’esempio offertomi al momento del discernimento e dell’accettazione della proposta. Al la Santa Chiesa di Dio, che è in Oppido Mamertina-Palmi, l’augurio che, da questo particolarissimo giorno, in cui più nitido rifulge il suo mistero di servizio nella storia, continui e cresca la sua bella testimonianza di presenza di Dio nelle case degli uomini. Buona, Santa, Gioiosa Pasqua a tutti e a ciascuno. Cattedrale di Oppido Mamertina, 28 Marzo 2013 Messa del Crisma.
Francesco MILITO Vescovo
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Uniti nella fede
di Filomena Scarpati
esultanti cantiamo!
N
ella serata di lunedì 25 Marzo, in occasione dell’anno della fede, nella Chiesa di Santa Marina Vergine di Polistena si è tenuto il concerto spirituale per il tempo di Quaresima dal titolo “Sulle ali della misericordia”, diretto dal Maestro Seminarista Domenico Lando, una giovane vocazione appartenente alle comunità parrocchiali di Varapodio, che svolge già da qualche anno i suoi studi teologici, presso il Seminario dei Gesuiti, nella splendida collinetta di Posillipo, nella città di Napoli. La manifestazione fa parte del progetto “Uniti nella fede esultanti cantiamo!” presentato dallo stesso Maestro a Sua Eccellenza Mons. Francesco Milito, Vescovo della Diocesi Oppido – Palmi in occasione dell’anno della fede. Progetto che mira a coinvolgere tutti i cori appartenenti alle parrocchie delle quattro Vicarie Curiali. Il titolo inneggiante la misericordia, ha lo scopo di evidenziare la necessità di aprirsi al prossimo donando il proprio amore che solleva il misero dal patimento, il povero dal pesante fardello e
di Rocco Carpentieri
L
trasforma la morte in vita eterna. Eternità infinita che colmi gli abissi degli oceani dell’amore del Dio vivente. Amore che unisce gli uomini in un abbraccio dolce e soave che solleva dal pesante carico della croce portata quotidianamente dall’intera umanità. “Preghiera che si eleva al Signore attraverso il canto e la musica, ha commentato il Vescovo Mons. Milito nel suo intervento di ringraziamento ai cori parrocchiali “Maria SS. del Rosario” di Polistena e Laudamus di S. Pietro di Caridà che sono stati parte attiva della serata. Un momento di gioia che arriva a Dio come lode dalle sue creature, ha continuato Sua Eccellenza”. I canti eseguiti accompagnati all’organo da Giovanni Sicari sono stati: “Mi leverò” di Alberto Gallo; “Miserere mei Deus”, “Attende Domine”, “Fiamma viva d’amore”, “Ave verum”, “Dalle sue piaghe”, “La vera gioia” di Marco Frisina; “De profundis” di Giuseppe Liberto; “Perdona Signore” e “Tu ami tutte le tue creature” di Gianmartino M. Durighello; “Ego dilecto meo” di Giuseppe Liberto; “Ubi Caritas” di Maurice Duruflè. Oltre ai componenti dei due cori protagonisti, le altre voci sono state di alcune catechiste della Parrocchia di Santa Marina Vergine di Polistena, le voci recitanti di Stellario Belnava e Stefania Reitano, i commenti sono stati invece curati dal Seminarista Massimiliano D. Piciocchi, mentre la parte artistica è stata diretta dallo stesso Maestro Lando. Alla manifestazione che è terminata con un applauso scrosciante e la consegna di un mazzo di fiori ai protagonisti principali della serata, hanno preso parte Mons. Giuseppe Demasi, Parroco della Chiesa matrice e don Mimmo Caruso Parroco di Varapodio, oltre ad un folto pubblico proveniente da diversi paesi della Piana di Gioia Tauro. Un momento si può definire, di animata condivisione musicale e corale che è riuscito ad elevare l’anima a Dio.
La Statua di San Martino
a ricostruzione storica sull’origine della statua di San Martino a cavallo che si venera nella chiesa dell'omonimo paese, richiede una riflessione particolare data la scarsità di documenti che ne attestano con certezza la sua origine e la sua fattura. Infatti relativamente a tale problematica delle origini nulla di scritto è stato rinvenuto nell’archivio storico della Diocesi di Mileto, pertanto è necessario fare alcune importanti considerazioni legate principalmente alla tradizione orale di fedeli e cittadini mediante la quale è possibile elaborare qualche ipotesi per risalire alla data probabile di quando fu scolpita e sul suo autore. Sappiamo con certezza che la statua fu commissionata dai fedeli di San Martino verso la metà del XIX secolo ad uno scultore del legno con bottega nella vicina Varapodio di nome: Francesco De Lorenzo. Dai documenti in nostro possesso sappiamo che questo scultore nacque a Varapodio il 15 gennaio 1807 da Domenico e Nicolina Morabito e il 24 settembre del 1831, all’età di 24 anni, fu ordinato sacerdote. Dal 1850 al 1854 fu parroco della chiesa di San Nicola suo paese natale. Gli impegni che derivavano dalla sua attività di sacerdote non gli impedirono di dedicarsi alla lavorazione artistica del legno, infatti nelle adiacenze della chiesa di San Nicola aveva allestito una bottega per scolpire le sue statue utilizzando il legno di ulivo facilmente reperibile essendo
venerata nella Parrocchia Maria Santissima della Colomba dell’omonimo paese
una risorsa inesauribile del territorio locale, con la caratteristica principale che il legno di ulivo è uno dei più duri e compatti che si conosca.1 La statua del San Martino fu ordinata presumibilmente allo scultore Varapodiese intorno al 1862 ed in quel periodo la Parrocchia era guidata dal sacerdote taurianovese don Antonio Drago. Si presume che l’anno di commissione sia il 1862, dal momento che, come riporta uno studio di Domenico Caruso si ha per memoria storica che il De Lorenzo impiegò circa tre anni per scolpirla nel duro legno di olivo e poi dipingerla2. Racconti popolari tramandati per via orale, riferiscono che gli abitanti di San Martino andarono a ritirare la statua con un carro trainato da due pariglia di buoi in occasione della festa del patrono del 1865 e quando si presentarono alla bottega del De Lorenzo, l’artista Varapodiese, si era talmente affezionato alla sua opera che quasi rifiutava l’idea di consegnarla al punto che non si voleva staccare da quella statua così bella, tanto che s’ammalò e morì3. Ancora oggi si raccontano due aneddoti rimasti vivi e famosi nella memoria storica della nostra cittadina. Si racconta per primo, che il De Lorenzo passasse ore ed ore a contemplare la meravigliosa statua lignea tanto da chiedere alla statua: «Martino perché non parli?». Il secondo aneddoto racconta che lo scultore si affacciò alla porta della sua bottega e mentre la statua di San Martino lasciava Varapodio, il De Lorenzo esclamò: «Martino, tu vai via ed io muoio». Presso l’archivio del Comune di Varapodio è stato rintracciato l’atto di morte del De Lorenzo datato 13 febbraio 1866 dal quale si evince che morì a Varapodio la sera del 12 febbraio del 1866 all’età di 59 anni. Vista la data di morte, possiamo affermare con certezza che iniziò a scolpire la statua nel 1862-63, quindi tre anni prima della sua scomparsa e che molto probabilmente terminò i lavori di rifinitura tra la fine del 1865 e l’inizio 1866 anno in cui morì. È da mettere in evidenza che la statua è rimasta danneggiata da un incendio la notte del 25 dicembre 1976 e fu restaurata nel 1977. I colori pastello originali della statua furono modificati totalmente, come pure si presume sia stato sostituito il povero rappresentato ai piedi del santo. 1. Antonino De Masi “Varapodio Ieri e Oggi”, anno 1990, pag. 443. 2. Domenico Caruso “Storia e Folklore Calabrese”, anno 1988 pag. 97. 3. Idem op. cit. “Storia e Folklore Calabrese”
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Mons. Francesco Milito si rivolge ai giovani
Via Crucis con i ragazzi ACR della Diocesi
Iniziativa dell'Azione Cattolica a Varapodio
di Filomena Scarpati
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Nella foto: Il Vesco Milito durante la celebrazione.
na manifestazione dal profondo significato biblico si è tenuta a Varapodio lo scorso sabato pomeriggio, alla presenza di Mons. Francesco Milito Vescovo della diocesi Oppido Palmi, di Don Mimmo Caruso Vicario foraneo della vicaria Oppido-Taurianova e Parroco del luogo, di Stefania Sorace Presidente dell’Azione Cattolica diocesana e di un folto pubblico, soprattutto di ragazzi provenienti da tutte le parrocchie della diocesi, per trasmettere attraverso la Via Crucis dell’A C Ragazzi quel messaggio messianico che si condensa nella Croce, emblema di sofferenza e Resurrezione per l’umanità. Le quattordici stazioni simboleggiate da cartelloni realizzati dagli stessi ragazzi, anno segnato nelle strade principali di Varapodio i luoghi in cui sostare per rievocare i momenti cruciali della sofferenza di Cristo, percorse in corteo capeggiato dal Vescovo Mons. Milito e da espo-
nenti del clero. La partenza è avvenuta da Piazza Santo Stefano e la preghiera ad ogni stazione è stata declamata dai ragazzi delle ACR delle varie parrocchie che hanno accompagnato il prelato in processione, mentre la Croce è stata portata per Sua volontà, con cambio ad ogni stazione da un educatore di AC delle associazioni presenti. Si è notata la presenza dell’intera AC di Varapodio di cui è Presidente Vilma Rizzo, attiva nell’organizzare assieme al Parroco Don Caruso l’ospitalità all’intera diocesi. Non è mancata la presenza del Comandante della locale stazione dei Carabinieri, Maresciallo Raffaello Ballante e il Comandante della Polizia municipale Domenico Papalia. La Via Crucis si è conclusa in piazza San Nicola prima dell’ingresso nell’omonima chiesa, dove Mons. Milito ha comunicato ai ragazzi e ai fedeli partecipanti, l’essenzialità del messaggio cristiano concentrato tutto sulla Croce simboleggiante il percorso di ogni individuo che impronta la propria vita sulla volontà di Dio che volendosi fare carne per abitare tra gli uomini ha subito ogni tipo di angheria, arrivando poi alla Resurrezione e vita eterna. “Chi Abbraccia la propria Croce seguendo gli insegnamenti
di Cristo, merita la Parusia e non solo. Un raggio di luce nelle tenebre e il sostegno alla vita di chiunque si trovi in difficoltà non verrà mai meno” – sono state le parole del prelato durante il momento d’incontro nella Chiesa di San Nicola. “Un raggio di sole – ha continuato Mons. Milito che ha squarciato il cielo e le nubi illuminandoci, mentre si pregava l’undicesima stazione, che fa riferimento a due malfattori ladroni, sembra non essere capitato per caso, potrebbe infatti indurci a riflettere sul particolare momento che stiamo vivendo. Quanti ladroni hanno introdotto le mani nelle tasche delle famiglie italiane, prelevando l’indispensabile per la sopravvivenza della prole, per pagare stipendi d’oro e missioni ad una classe politica corrotta che ha cercato solo l’arricchimento personale a discapito del bene comune che non rientra nei suoi obiettivi. L’attività frenetica di Mons. Milito nel nostro territorio, sembra farci capire che la preghiera da sola non basti, ad essa bisogna associare un’azione sana, proficua, efficace, come forma di risanamento del nostro martoriato territorio. E chi mai potrebbe dire che questa volta lo sviluppo non parta proprio dalla Piana di Gioia Tauro. Non dimenticando che siamo nel cuore del Mediterraneo, in possesso di un’infinità di risorse naturali, uniche a fare oggi economia, con una classe politica da rinnovare, dove non lo sia, affiancata da una Chiesa attenta e attiva, non legata a schemi tradizionalistici che a poco servono in una situazione del “tutto in crisi”, salveremmo non solo la Piana, ma tutta l’Europa Occidentale. Quindi, niente piangersi addosso, ma solo azione sana, moralità alta e volontà di cambiare rotta. Ancora si può! I pregiudizi che da sempre hanno precluso le opportunità al nostro territorio, continueranno a soggioDon Caruso, Parroco ospitante, all'organo. garci se non saremo capaci di aprire gli occhi e guardare avanti, fuori dalla schiavitù di chi si professa di fede cattolica ma che in realtà è tutt’altro; bisogna oggi guardare solo alle testimonianze. Nulla sarà costruito senza di esse! Si parte proprio dai ragazzi per arrivare ad una società rinnovata basata su valori, veri, perché custodi della purezza dello Spirito Santo; ragazzi che non hanno tradito le aspettative del vescovo Mons. Milito e neanche di don Caruso, Parroco e Vicario foraneo ospitante, non mancando all’appuntamento, in oltre quattrocento accompagnati da educatori e genitori, colmando la Chiesa e il paese dell’innocenza che proviene dai loro volti illuminati da quello Spirito di Dio, unica vera forma di ricchezza umana. La manifestazione è terminata nel tardo pomeriggio con un rinfresco tenutosi all’oratorio Don Bosco.
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di Filomena Scarpati
L
e precarie condizioni per il pesante carico di lavoro e la necessità del miglioramento delle condizioni di vita, indussero le operaie di una fabbrica, la “Cotton” di New York, a lottare per la diminuzione dell’orario di lavoro e per un salario adeguato che facesse uscire quei lavoratori, per la maggior parte donne, da condizioni di sfruttamento. Fu proprio durante lo sciopero dell’8 marzo del 1908 organizzato dalle donne di quella fabbrica tessile sita in Washington Square, che i guardiani per evitare il dilagarsi della protesta sul territorio, chiusero le operaie di all’interno dell’edificio. Improvvisamente scoppiò un incendio di grosse dimensioni che distrusse la fabbrica e uccise 129 operaie quasi tutte giovanissime, solo alcune riuscirono a salvarsi fuggendo e superando gli sbarramenti. Due anni dopo nella conferenza internazionale socialista tenutasi a Copenaghen, si decise di fissare all’8 marzo di ogni anno, la giornata internazionale mondiale per l’emancipazione della donna. In Italia la prima grande conquista è datata 2 Giugno 1946 con il voto alle donne durante l’elezione dell’Assemblea Costituente, fino ad arrivare ai nostri giorni che la svolta può dirsi quasi definitiva, passando da uno stato di schia-
Il
valore
vitù e di soggezione della donna nei confronti del sesso maschile, fino alla conquista della parità di diritti e dignità in un sistema democratico che non genera più differenze di questo genere. Un pensiero va invece alle donne del mondo musulmano, dove ancora oggi, sono valvole di scarico della virilità e supremazia maschile che genera una forte sofferenza dell’identità femminile. Ancora in quel mondo si verificano violazioni di diritti e violenze ai danni di donne che si ribellano al vivere in ristrettezze mentali, assurde per l’evoluzione dei tempi. Devono anche farci riflettere gli stupri, le mortalità per violenze sessuali, la sindrome del branco ed episodi come quello di Sarah Scazzi, che ci lascia senza parole. Volendo invece parlare di talenti e astri che brillano di luce propria nel territorio della Piana, potremmo quasi meravigliarci per gli esempi positivi che si pongono alla nostra attenzione. L’intento del “Corriere della Piana” è partire dalla considerazione che tra le nostre ricchezze, va annoverata l’operosità femminile che si presta ad essere osservata per quella semplicità che molte ancora riescono a conservare. Se volessimo parlare della più grande donna della storia, non potremmo che fare il nome di Maria, scelta da Dio per quelle virtù divenute oggi fuori dal comune: umiltà e bontà d’animo. Dopo venti secoli non pare essere cambiata l’ottica dell’Altissimo che continua a preferire nelle donne le stesse virtù di allora, scegliendo di accompagnare i loro passi beneficandole quando intraprendono la retta via. È in questo contesto che si inserisce la figura di Tina Rechichi, Presidente del Consiglio Comunale di Varapodio dalle ultime amministrative del Maggio 2012.
Tina Rechichi, Presidente del Consiglio Comunale di Varapodio.
delle
donne
Eletta Consigliere, è andata poi a ricoprire una carica del tutto onorevole, la prima nella storia di Varapodio, dopo le necessarie modifiche allo statuto comunale. La “donna” più giovane che nel territorio della Piana ricopre una carica Istituzionale di tale importanza, divenendo l’orgoglio dei genitori e dell’intero paese, anche per l’umiltà con cui si pone nei confronti di tutti. Ottimo, da subito, anche il rapporto intrapreso con gli esponenti della minoranza in seno al Consiglio Comunale, fino al punto da meritare l’unanimità durante la delibera a suo favore. Alle sollecitazioni del nostro giornale ha risposto partendo dalla sua infanzia raccontandoci quando aiutava i genitori nel panificio per come poteva data, la tenera età. “Terminati gli studi all’Industriale di Palmi – ha detto la Presidente – mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Motorie di Catanzaro, che a tutt’oggi frequento per gli studi universitari; ho preso lezioni di danza fino a 18 anni per la quale nutro assieme alla musica grande passione”. E’ nota, infatti, la sua presenza nel coro “Santa Cecilia” delle comunità parrocchiali di Varapodio, condotte dal Parroco Don Caruso, in qualità di soprano. Tra le sue passioni emerge maggiormente, nonostante i suoi impegni, quella per la Chiesa e la sua preoccupazione è l’essere vicino a Dio, così come la sua mamma le ha insegnato. Pare che tenga a parlare più delle altre inclinazioni che della sua importante carica data la giovane età, appena 25 anni al momento dell’elezione e non per mancanza d’impegno o bravura, ma solo per modestia. Sono infatti gli altri che la vogliono e l’acclamano, non è certo lei che si impone. Nel suo curriculum, non manca il servizio prestato in diverse palestre della Piana come istruttrice, anche di nuoto, presso la piscina Colosseum di Oppido Mamertina ai tempi della gestione attiva. “Sono figlia di due artigiani – commenta Tina Rechichi – che hanno sempre dato la vita per il lavoro e per aiutarli assieme al mio fidanzato, Salvatore Corso, mi occupo anche di una pizzeria a Varapodio, in loro gestione. Ciò in cui si ravvisa un’intensa maturità già alla sua età, è la volontà ferma di rimanere al suo paese perché lo “ama” e dice di dispiacersi per gli altri giovani costretti ad abbandonarlo, per studio o lavoro. Grazie ai miei genitori – continua – sono una donna di sani principi, amo la mia famiglia e spero che un giorno me ne faccia una anch’ io per portare avanti tutti i valori che mi sono stati trasmessi dai miei genitori”. E come se non bastasse, “dulcis in fundo”, ricorda anche la sua attività di psicomotricista presso la Scuola dell’Infanzia “Santa Rita” di Varapodio.
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Teledipendenza di Mara Cannatà
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el grande gruppo di dipendenze troviamo anche quella televisiva. Come ogni strumento di comunicazione, anche la televisione può essere utilizzata bene o male e può diventare oggetto da cui dipendere quando si ricercano in essa soddisfazioni ai propri bisogni o quando si delegano a questo mezzo compiti e funzioni sociali che non dovrebbe svolgere (educare i bambini, proporre modelli comportamentali per gli adulti, ecc.), divenendo uno “strumento umanizzato”, al punto da rappresentare una vera e propria compagnia virtuale, talvolta preferita in parte o in tutto a quella reale. Si parla di teledipendenza intesa sia come consumo eccessivo di televisione e sia come fissazione anomala nei suoi confronti. Si usa distinguere dunque due forme di teledipendenza: il teleabuso (contemplazione regolare di una quantità eccessiva di televisione) e la telefissazione (contemplazione della televisione in condizioni del tutto sconsigliabili, per esempio in un atteggiamento silenzioso ed immobile, da soli o ignorando la compagnia delle persone presenti). Il teleabuso provoca una specie di intossicazione cronica che trasforma gradualmente la mentalità del telespettatore che diventa passivo (con perdita di iniziativa, impulso e senso critico) ed apatico (con indifferenza e mancanza di motivazione), come se si trovasse in uno stato di inerzia dal quale esce ogni tanto con un’ondata di impulsività spesso interpretata come comportamento violento improvviso. La caratteristica principale della telefissazione, invece, è l’assoluta immersione della mente del telespettatore nello schermo, in modo ripetuto o prolungato. Il suo effetto è un'intossicazione televisiva acuta che si riflette in uno stato mentale che oscilla tra l’ebbrezza, o la trance estatica,
di Caterina Sorbara
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omenica 10 marzo alle ore 16,00, è stato presentato all’Auditorium della Scuola Elementare “Stella Maris” Marina di Gioia Tauro, il volume” Le Bagnarote di Gioja”.Una storia al femminile del territorio gioiese, Fondazione Editrice Sperimentale Reggina. Scritto da Franca Balsamo De Luca e Carmelina Giacobbe. I lavori sono stati moderati dal dott. Vincenzo Vitale, Presidente Fondazione Mediterranea. Dopo il saluto del Dirigente Scolastico prof. Luciano Ardissone, che ha ricordato come un tempo a Gioia Tauro l’economia fosse fiorente, fino al punto di trattenere chiunque arrivasse,come nel dopoguerra, periodo in cui persino una donna, Giovannina Ardissone, era stata eletta in seno al consiglio comunale. Ha poi parlato il primo relatore, il prof. Tonino
ed il vuoto tipico di una semiparalisi mentale. Nel caso dei bambini la telefissazione può provocare stati di trance semiipnotica. L’immagine televisiva si sdoppia e divora la mente infantile, se durante questo processo non intervengono i commenti di un adulto presente. Quasi lo stesso accade negli adulti dotati di scarsa energia psichica, ipersensibili, ultraricettivi o molto suggestionabili. Esistono teleabusi a tutte le età, da quando si nasce fino a quando si muore. I capricci fatti dai bambini per vedere la TV cominciano già all’età di 3 anni. Ma la passione eccessiva per la televisione coinvolge anche gli adolescenti e gli adulti, creando non pochi disagi. Il quadro complessivo della teledipendenza si sviluppa progressivamente andando a scapito del rendimento scolastico o dell’efficienza sul posto di lavoro, di attività di svago alternative, della comunicazione socio-familiare e perfino del livello intellettuale ed affettivo del soggetto, sempre più caratterizzato dall’apatia, da un atteggiamento passivo e dalla mancanza di senso critico. Il teledipendente arriva ad avere crisi di astinenza con nervosismo, irritabilità e agitazione ansiosa, nel momento in cui non ha a disposizione una televisione o tenta di resistere all’impulso di accenderla. Queste persone non riconoscono il proprio comportamento come problematico, né si rendono conto delle conseguenze negative che esso produce. I danni più frequenti provocati da tale tipo di dipendenza sono: l’obesità, legata non solo al poco movimento, ma anche all’abitudine di “spiluccare” snack e merendine davanti al televisore; oppure la perdita di appetito, legata all’estraniazione dal mondo reale; dolori articolari; danni alla vista; vertigini e senso di nausea; alienazione; difficoltà relative alla sfera familiare, lavorativa e affettiva.
“Le bagnarote di Gioja” Un lavoro di equipe di Franca Balsamo e Carmelina Giacobbe
Perna, Docente di Sociologia Economica Università di Messina. Il prof. Perna ha ringraziato le due autrici lodandone il lavoro e sottolineando il valore del libro che attraverso la figura di “Donna Nina”, offre uno spaccato di vita importante del territorio gioiese. Nel libro troviamo la storia, un pezzo del folklore locale, poesie, ricette e tanto altro. Il secondo relatore il dott. Edoardo Macino, Direttore Sanitario Centro Diagnostico Gamma-Gioia Tauro, ha parlato della storia della Marina di Gioia Tauro. L’importanza della figura della “bagnarota”, donna forte, pilastro della comunità, della famiglia, operosa, energica, importante. Ha parlato della figura di “Donna Nina” che emerge nel libro e di tutti gli altri personaggi non meno importanti come per esempio la: “'Za Sara”. Le “bagnarote” di Gioia erano famose anche perchè sapevano togliere il malocchio. Due gli interventi programmati. La prof.ssa Graziella Giunta ha lodato il lavoro delle autrici e si è soffermata sull’importanza storica della figura della “bagnarota”. Esplicitando come nel 1937 “Donna Nina” era una figura all’avanguardia. È stata lei a creare il commercio del pesce sotto sale. La dott.ssa Giovanna Lo Bianco, nipote di “Donna Nina”, ha ricordato la sua infanzia e ha ringraziato le autrici per il loro lavoro. Alla fine il dott. Ribuffo ha letto due poesie di Carmelina Giacobbe. Un evento, questo, molto utile per ricordare un passato ricco di storia, tradizioni e umanità.
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Prima Edizione del Concorso Letterario
per le Scuole “Shoah e Foibe: due Tragedie, una Memoria” L’Associazione Culturale “Parallelo 38” premia gli alunni della classe 5^B della Scuola Elementare “Monteleone-Pascoli”, per il percorso svolto riguardo il tema assegnato, con la seguente motivazione.
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’elaborato presentato dagli alunni della classe 5^B della Scuola Elementare “Monteleone-Pascoli”, risulta un testo profondo per contenuto ed originalità, corretto nella forma e lineare nell’esposizione. Sul piano narrativo aiuta il lettore a calarsi nel protagonista del sogno e a farsi esso stesso compagno del bambino ebreo. Il messaggio arriva in modo immediato, corredato da una riflessione immanente al testo e che non lo trascende. Lodevole, quindi, l’intuizione di rievocare un “sogno storico” in cui i protagonisti sono due bambini divenuti amici: quello del nostro tempo che vive l’ovattata realtà odierna e quello di allora che ha vissuto la durezza della persecuzione nazista. Il tema incarna appieno il
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a vita è un dono da preservare e difendere. Shoah! Ormai è da più di un mese che a scuola sentiamo continuamente questa parola. Abbiamo visto così tanti films, fatte tante ricerche, dibattiti e conversazioni che ormai questo periodo storico non ha più segreti per me. Una notte mi è successo un fatto strano: mi sono trovato in… un campo di concentramento. Sarà stato il troppo studio o il film che avevo visto la sera prima a provocare quell’incubo ma è stato così spaventoso e reale che sento ancora l’orrore addosso. Era notte fonda, quando un rumore sordo mi ha fatto svegliare, ho guardato la parete vicina al mio letto e stupito mi sono accorto che era grigia e umida, ho abbassato gli occhi e il letto non era il mio! Accanto a me c’era un bambino strano: indossava un pigiama a righe, aveva i capelli rasati e sul braccio aveva inciso un numero. Il bimbo ad un tratto mi rivolse la parola e mi chiese da quale mondo venissi, se ero un sogno o un essere reale, risposi di non saperlo neanche io. Da quel momento diventai la sua ombra e vissi tutte le sue emozioni come se fossero le mie. Solitudine e tristezza erano le sensazioni più forti che avvertivo in quelle baracche gelide piene di persone dai volti sconosciuti che compivano gli stessi gesti camminan-
valore della memoria e trasmette la speranza di un lieto fine, pensato possibile anche in quelle tragedie storiche che hanno oscurato il nostro tempo. È quasi surreale, infatti, credere al cambiamento compassionevole del soldato tedesco che consente la fuga dei piccoli prigionieri dal campo di concentramento verso la libertà, verso la vita. L’autore è riuscito a trasmettere, oltre alle notizie storiche riguardanti la Shoah, la concretezza dell’orribile tragedia vissuta velata dall’aura di un sogno con la semplicità e la spontaneità proprie dei bambini.
Ass. Culturale Parallelo 38 La Presidente e il Direttivo
do a testa bassa. Sui volti dei bambini non c’era né allegria né sorrisi, il loro sguardo era spento. Ero molto spaventato e dai miei occhi scendevano calde lacrime. Mi feci forza e cercai di incoraggiare il mio amico dicendogli che tutto questo male presto sarebbe finito, intanto dovevamo cercare di sopravvivere sperando nel futuro. Ogni tanto, durante la giornata, riuscivamo a giocare un pochino dietro il capanno degli attrezzi. Pezzetti di legno, ruote vecchie, stracci venivano trasformati dalla nostra fantasia in giocattoli, per breve tempo vivevamo la vita di bambini, ma spesso il latrato di un cane ci faceva ripiombare di nuovo nell’orrore. Capii che dovevamo trovare una via d’uscita, ma come? Dietro il capanno c’era una recinzione con del filo spinato, dovevamo scavare sotto e scappare. Il giorno dopo cominciammo a scavare, cercando di fare in fretta. Il mio amico riuscì a passare dall’altra parte ma ecco arrivare un soldato con un fucile che punta addosso a noi, poi ci guarda e… ci aiuta a fuggire, non siamo riusciti a dire nulla lo abbiamo solo guardato esprimendo con gli occhi tutta la gratitudine del nostro cuore. Ci siamo messi a correre nella foresta, nella nostra mente il pensiero che non tutti i tedeschi erano cattivi! Correvamo, correvamo senza fiato quando… mi sono svegliato nel mio letto. Era stato solo un sogno e io non saprò mai che fine ha fatto quel bambino: se è triste o felice se nei suoi occhi si legge ancora la paura oppure la gioia, se ha riacquistato la libertà. Siamo bambini, ma io so che la vita è un dono che Dio ci ha dato e ogni vita merita rispetto. L’egoismo degli uomini non deve calpestare la dignità umana.
Gli alunni della classe VB dell’Istituto Comprensivo Monteleone-Pascoli
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er prima cosa una fiaba, come principio. Viveva un tempo un fabbro, molto abile nel suo lavoro. La sua maestria era nota a tutti, nella sua arte nessuno poteva competere con lui. Fra le sue mani il ferro pareva animarsi e, molle come cera si lasciava modellare in curve e ghirigori. Arabeschi e figure egli ricamava con la dura materia e animali veri o d’invenzione; nessun modello né disegno era vietato alla sua perizia. Teneva egli a bottega due garzoni, ragazzi svegli, volenterosi di apprendere l’arte e a fare il fabbro, niente affatto geloso, volentieri mostrava ai due giovani segreti e sottigliezze. Era felice di insegnare, così, quando non avrebbe avuto la forza di colpire il maglio pesante, altri avrebbero seguitato al suo posto e qualcosa di se stesso sarebbe rimasta nel tempo. Quando la grancassa degli anni, dapprima lieve come brezza e percettibile a stento, fece udire al fabbro l’incipit dell’ineludibile frastuono, comprese che il momento del suo riposo era giunto. Prima di spegnere il fuoco della fucina per l’ultima volta, volle preparare i doni per i suoi aiutanti, divenuti ormai uomini. A lungo pensò cosa regalare. Fu incerto se scegliere, considerati i caratteri dissimili, doni differenti, ma temette che la diversificazione fosse interpretata come diversità di affetto. Per non dare adito ad invidie, decise di regalare a entrambi il medesimo dono. Forgiò allora due coppie di alari, identiche, esemplari di fattura perfetta, l’estrema testimonianza della sua perizia. Al momento del commiato ne donò una ciascuno ai due aiutanti. Trattennero la commozione, i tre uomini brindarono agli anni trascorsi e infine si separarono. Il vecchio sprangò la porta della sua officina, ma il suo cuore non fu eccessivamente triste; sapeva che la sua arte avrebbe seguitato attraverso i suoi allievi che, ciascuno per proprio conto, aprirono bottega. Il primo, fiero del dono ricevuto dal vecchio, pose gli alari in bella mostra nella sua officina. A chi entrava mostrava il piccolo capolavoro, raccontando della prodigiosa perizia del maestro, e sempre, in ogni suo lavoro, provava a imitare la grazia e l’eleganza che il vecchio maestro aveva saputo infondere nelle sue creazioni. Il secondo allievo, invece, fuse gli alari avuti in dono e, con il ferro ricavato, forgiò una nuova creazione che mise in mostra. A coloro che entravano nella sua officina, indicava L’ombra della sera: 2006, mt. 15, ferro Cosimo Allera con Nik Spatari.
L’urlo del guerriero: 2005, mt. 2.20, ferro.
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Elogio alla
modernità
Cosimo Allera “Un talento di ferro”
di Salvatore Greco l’oggetto da lui creato come «dono» del maestro, ne mai provò a imitare lo stile, che pure reputava splendido, ma sempre s’impegnò a improntare gli oggetti che forgiava con la perizia della sua arte, figlia di quella del maestro. Così, ciascuno a suo modo, i due allievi onorarono gli insegnamenti da lui ricevuti. Incontro Cosimo Allera “un talento di ferro” nella sua scatola di cemento, all’interno della zona industriale del porto di Gioia Tauro, sua città natale. Carattere calabrese, intelligenza lucida, fabbro, imprenditore responsabile della sorte dei suoi dipendenti, artista... Non sono solo, mi accompagna un collega, con lui mi confronto lungamente dopo il colloquio sulle relazioni estetiche dell’arte, utili con il mondo culturale, sociale e perchè no, economico. Con quieta modestia e con un pizzico di distacco Allera mi racconta di mostre, performances, installazioni, vernissagges, e d’incontri importanti, come quello per esempio con Nik Spatari, che in qualche modo hanno segnato la sua carriera artistica. Guardando all’arte contemporanea, ma forse all’arte più in generale, sento una sua certa indifferenza, come se fosse divenuta ormai una sorta di rito ecclesiastico obsoleto che si celebra solo in alcuni luoghi deputati. Musei, istituzioni, Ministeri della Cultura sono solo posti di potere e non coinvolgono minimamente la “provincia”, la società. Alle inaugurazioni c’è sempre tanto pubblico, i giorni seguenti il deserto, l’arte contemporanea sembra essere diventata solo una questione tra tecnici specializzati, ricca di concetti incomprensibili e convenienti che generano continuamente nuove tendenze, povere di “idee” e di “oggetti”, in ritardo con il mondo reale. Allera “scolpisce” per un’esigenza vitale, oltre la soglia dell’arte, per liberare la sua anima, lontano da correnti, “ismi”, da posticce forzature culturali e da cervellotiche babeli tra figurativi e astratti. Un sentimento deciso ma anarchico, inteso non come caos ma come naturale e spontaneo, fortemente individuale protetto da un velo di malinconia, lo guida nella manipolazione della materia, i suoi profili anatomici, le sue sezioni verticali, i suoi landmark, esprimono una sintesi di misteriosa arcaicità, cercando implicazioni estetiche e sociali con un paesaggio collettivo. I filiformi primati di Giacometti, di Ceroli, o di tutte le invenzioni del “secolo breve” non sembrano creare sudditanza alla sua personale ricerca plastica. L’arte non nasce dal nulla... è solo manipolando la materia a disposizione, contaminando e fondendo i linguaggi conosciuti, smontando le forme note per riassembrarle liberamente in contesti mutati e con intenti diversi, che si spiega la modernità, le fatiche di Eutanasia: 2007, mt. 6.50, ferro. Cosimo Allera. La fiaba insegna, il secondo allievo è moderno!! Il giocattolo infantile a cui Cosimo è più affezionato, è in bella vista nel suo ufficio e lo sfoggia fiero, manco a dirlo è di ferro, creato da lui stesso nella vecchia bottega dell’amato fabbro, suo padre. A questo punto ci sarebbe materiale per un’altra fiaba, ma si è fatto tardi e noi ci siamo capiti, i dipendenti vanno via, Cosimo muta, l’allievo moderno, non vede l’ora di accendere il fuoco della sua intima fucina.
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Natalina Fucile Artista calabrese di Veronica Iannello
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"SPERA L’AMANTE" – 1° posto concorso di poesia pittura settembre 2012 La concrezione pittorica, rimanda alla illusione, con un messaggio denso di suggestive, avvitanti fascinazioni. Il tratto tortile, sinuoso, non crea spareggio. L’opera è di notevole impatto fruitivo. Presidente commissione Dott. Luigi Crescibene.
"OLTRE" – Critico d’arte Giovanni Cardone: Guardate quest’opera dell’artista Natalina Fucile mi lascia attonito e meravigliato per l’acutezza tecnica e cromatica, ma nel contempo per la sua espressione unica.
"LA DANZA DELLA VITA" – 2012.
La sua espressione, coincide con quella dei più grandi Maestri della metà del ‘900, arricchito da quel senso cromatico allegorico che lei felicemente sa’ esprimere nei soggetti che con grande capacità, sa’ magistralmente tradurre in colore”: attenta e precisa la critica di Pasquale Solano, critico d’arte, sull’estro da autodidatta di Natalina Fucile. Autrice taurianovese, che ha costruito da se' il suo particolare stile. L’artista è balzata singolarmente all’attenzione di Esperti d’arte che le han dato grande valore e, successivamente, ha vinto svariate competizioni artistiche. Sembra quasi che nelle sue opere vivano i pensieri, pensieri profondi e meditati di una donna del nostro tempo. L’espressione delle figure da lei dipinte, sembrano osservare l’interlocutore, quasi a parlarne al cuore. I colori, forti, decisi e dai potenti effetti luminosi, investono lo sguardo di chi osserva. I temi trattati sono personali, ma rispondono a idee condivise dal pensiero comune. A volte ritraggono scene fantastiche, altre realistiche, passionali e di fede. La Natura è meravigliosamente personificata in immagini pungenti, che con grande talento, l’artista riesce a fondere tra di loro, spesso in vortici di colore e fantasia. L’originalità è la base dell’arte di Natalina Fucile: tale originalità evidenzia, nelle opere, una particolare propensione alla Libertà. Questo ideale si esprime nelle figure, che mostrano evidente la passione per la musica e la danza. Con sublime eleganza, Natalina Fucile, esprime ciò che il suo cuore detta, non con parole, ma con la pittura, con cui sa magistralmente interpretare l’intensità dei suoi pensieri.
"ILLUSIONE" – acrilico – 1° posto concorso online aprile 2012.
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di Veronica Iannello
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i è aperta con due importantissimi eventi l’attività di “Helldorado Live”, associazione che nasce dalla collaborazione di tre giovani della Piana di Gioia Tauro: Dario Romeo, Raffaele Loprete e Domenico Barreca. 17 marzo 2013: Ron (Rosalino Cellamare), uno dei più grandi cantautori italiani, in concerto nello storico locale calabrese “Antica Traccia” di Taurianova. In una suggestiva cornice di luci si è svolta la serata di musica e poesia,
Mario Venuti in un momento del concerto. “Belle le mie canzoni nude, orgogliose della loro natura,come una donna nell’intimità. Nell’esuberanza delle armonie, nei sospiri più intimi dell’anima, nella purezza della parola, nella vita che sta nella voce. L’ultimo romantico è solo, ma la sua non è solitudine, ovvero l’orgoglio di chi non teme di guardarsi dentro, stare con se, ascoltarsi.” (Mario Venuti)
Musica ed emozioni della Piana
in cui Ron, protagonista eccellente, ha raccontato al pubblico presente, la nascita del suo nuovo disco “Way Out”. L’album raccoglie brani di cantautori stranieri, più o meno noti in Italia, da Damien Rice a Michael Kiwanuka, Jamie Cullum, ricostruiti e riadattati alla lingua italiana. Ron era accompagnato sul palco da violoncello (Giovanna Famulari) e piano(Fabio Coppini). L’evento, organizzato da “Helldorado Live”, “Antica Traccia” e “Andrea Cogliandro Eventi”, ha trasmesso nell’animo dei partecipanti,una sensazione di forte fascino, il fascino della vera musica, quella musica che solo un vero cantautore con parole e note rende essenza del tempo, passato e presente…una musica che, come dice Ron, è speranza in un periodo, come quello che stiamo vivendo, di crisi non solo economica… Riecheggia nelle sue parole il ricordo di amici e colleghi, come Lucio Dalla, il senso importante che lui da’ ai Valori, nel rispetto lodevole del Lavoro,il suo di artista e quello di tutti…qualsiasi esso sia: insomma, un uomo d’altri tempi, che vive nel presente con gli insegnamenti del passato, con la forza dell’esperienza, della propria vita vissuta pienamente, attimo per attimo, con dentro se’ il potere positivo della Musica. I ragazzi di “Helldorado Live” che hanno voluto fortemente la sua presenza qui sul territorio della Piana, promuovono, in Calabria, attività culturali, legate a musica, teatro e performance. Il loro scopo è garantire al pubblico di godere di spettacoli rigorosamente dal vivo,
per intrattenersi piacevolmente e passare momenti carichi di emozioni. 23 marzo 2013: Mario Venuti, live, con “L’Ultimo Romantico Solo” tour, presentato in chiave acustica (voce, chitarra e pianoforte) nella sala dell’Antica Traccia (Taurianova). L’evento musicale ha chiuso il programma di PRIMAVERA PARALLELA, manifestazione nata per accogliere l’arrivo della primavera,ma con l’intento di affrontare un tema di natura sociale, quale quello dell’Emergenza Carceri, discusso nel Convegno tenutosi lo stesso 23 marzo nell’Aula Consiliare di Taurianova. La manifestazione organizzata in collaborazione con Amnesty International, sezione di Palmi, rientra negli scopi stessi dell’Associazione “Parallelo 38”, quali l’interesse e la promozione della cultura,della legalità, dei valori sociali, valorizzazione e tutela del territorio, promozione del dialogo interpersonale ed interculturale… insomma un’associazione che nasce dalle passioni comuni a tutti i giovani del nostro tempo. Ed è a queste passioni che risponde “Helldorado Live” con i suoi eventi in musica. Come diceva Platone: “La musica è una legge morale, essa da’ un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose. Essa è l’essenza dell’ordine ed eleva ciò che è buono, di cui essa è la forma invisibile, ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna”.
Ruderi del Monastero di Soreto (VV) foto archivio Dott. Diego Demaio
La decorata cornice 6 di Diego Demaio
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n attesa delle belle giornate che, in questo inverno eccezionalmente piovoso, tardano ad arrivare si indugerà ulteriormente prima di salire sulle alte montagne, ancora innevate, del nostro territorio. Per tal motivo, grazie alla statale 18, si lascerà la Piana puntando verso Nord ed entrando nella provincia di Vibo Valentia per raggiungere la vicina Mileto, conosciuta come “la Capitale Normanna”. E proprio per approfondire la nobilissima storia della gloriosa Contea, una volta dentro la moderna cittadina si lascerà la nazionale, curvando a destra all’altezza della Cattedrale, per scendere verso la frazione di San Giovanni. Percorsi
Parco archeologico di Mileto e l'antico Monastero a Soreto di Dinami all’incirca 2 chilometri si incontrerà, sulla destra dell’asfalto, uno slargo con un grande cancello verde ed una chiesetta, dedicata alla Madonna Regina della Guardia, dove si parcheggerà la macchina. All’interno del grazioso tempietto, sull’altare, è raffigurato un vecchio pecoraio nell’ adorazione di Maria col Bambino, apparsagli mentre falciava. La vicina edicola, dall’identica tematica, testimonia la tradizionale vocazione agropastorale dell’esteso comprensorio. Aggirato facilmente l’artistico cancello metallico (purtroppo quasi sempre chiuso), si entrerà nel Parco Archeologico Medievale di Mileto Antica per salire agevolmente sulla collina di Monteverde, dominata dall’enorme muro comunemente conosciuto come “Scarpa della Badia”. Intorno al rudere si trovano numerosi resti, anche di colonne classiche, che rivelano la grandiosa architettura dell’Abbazia benedettina della SS. Trinità (secolo XI) voluta dal Gran Conte Ruggero il Normanno che, da residente a Mileto sino alla morte avvenuta nel 1101, stabiliva nella stessa Contea la Capitale del suo regno. L’importante città, nella quale sostarono pure il Re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone ed i Papi Urbano II, Pasquale II e Callisto II, purtroppo decadeva nei secoli successivi anche a causa dei forti terremoti che spesso la devastavano. Particolarmente catastrofico fu quello del 1783, deArchivio Dott. Diego Demaio
finito come “il Grande Flagello”, che la radeva al suolo definitivamente, costringendo i superstiti a ricostruirla sul vasto pianoro distante pochissimi chilometri ad Ovest. Usciti dall’Area Archeologica, intitolata a Mons. Antonio Maria De Lorenzo vescovo di Mileto dal 1889 al 1898, si risalirà in auto per giungere a San Giovanni e da qui, girando a destra, scendere sino all’autostrada. Superata l’A3 si scollinerà ancora, tra ameni e bucolici paesaggi, per declinare sul quadrivio della frazione Soreto di Dinami. Incrociando la strada parallela al corso d’acqua, si andrà dritto per attraversare il ponte sul torrente Marepotamo e svoltare subito dopo a sinistra, lasciando così la provinciale che conduce a Dinami. Tale digressione consentirà di visitare i monumentali ruderi dell’antico Convento costruito, tra il 1490 ed il 1505, dal Beato frate agostiniano Francesco Marino da Zumpano. Il grande monastero, quasi a lavori ultimati, veniva però affidato, dal Conte di Arena Gianfrancesco Conclubeth, ai Minimi di San Francesco di Paola che lo intitolavano al loro Santo. Lasciata la notevole Area Conventuale si salirà brevemente, tra rigogliosi alberi di mimose, sul panoramico poggio dove si eleva la bianca chiesa, ricca di artistici mosaici, edificata nel 1984 dal pio dinamese Francesco Tonzo, dedicata ovviamente a San Francesco di Paola. Adiacente alla moderna costruzione è collocata una pregevole ed antica scultura litica del Santo Patrono della Calabria. Ritornati infine sulla strada provinciale si andrà subito a destra, ripassando dal ponte sul Marepotamo, per curvare immediatamente a sinistra e proseguire sempre dritto nella valle in direzione di Rosarno (si trascurerà la diramazione purtroppo interrotta per Serrata che sfiora gli interessanti resti dell’antica Borrello) rientrando quindi nella Piana.
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di Gianluca Sapio
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I luoghi hanno una loro posizione geografica, spaziale, ma sono sempre, ovunque una costruzione antropologica. Hanno sempre una loro storia anche quando non facilmente decifrabile; sono il risultato dei rapporti tra le persone. Hanno una loro vita: nascono, vengono fondati, si modificano, mutano, possono morire, vengono abbandonati, possono rinascere. Poche terre come la Calabria, attraversata fin da epoche preistoriche dai popoli più diversi, segnata dal succedersi di civiltà, da abbandoni e da ricostruzioni, possono raccontare la mobilità e la storicità dei luoghi”. Con queste parole Vito Teti, docente di Etnologia presso l’Università di Cosenza, definisce i luoghi ed in particolare, il loro significato in Calabria. Il borgo abbandonato di Borrello è certamente uno degli esempi più suggestivi di “luogo” in Calabria. Aggirarsi tra le vestigia del vecchio maniero, sulla sommità della collina immersa in uno splendido paesaggio rurale, vuol dire calarsi a pieno nella realtà calabrese, attraverso la sua storia, le sue leggende, le sue tradizioni. La fondazione del piccolo borgo, posto proprio sopra la confluenza dei fiumi Mesima e Marepotamo, è ammantata di mistero, tanto che, già le fonti post medievali e moderne scrivono “…de fundatione Burrelli silent scriptores…” (Tommaso Aceto), ed ancora di Borrello “…poco i nostri cronisti trattano…” (Domenico Martire). Alcuni sporadici ritrovamenti ceramici di superficie, per altro mai resi noti ufficialmente, indicano certamente un insediamento sulla collina di Borrello per lo meno a partire dall’età greca, cioè quando questo settore di agro si trovava sotto le dipendenze e l’influenza politico-territoriale della vicina polis di Medma (l’attuale Rosarno, Rc). D’altronde, la posizione immediatamente sopra la confluenza di due importanti corsi d’acqua e delle relative vallate, costituì sempre, un notevole motivo di attrazione per l’insediamento umano sulla collina di Borrello. In base agli studi di G. Givigliano, docente di Topografia antica all’Università di Cosenza, proprio le vallate del Mesima e del Marepotamo costituivano importantissime vie di comunicazione a partire dall’età pre-greca, rispettivamente verso N e verso E, dove conducevano ai passi di valico montani. Nell’alto medioevo ed in particolare in età bizantina dovette esserci sulla collina di Borrello un abitato rurale o un piccolo “kastron” fortificato dove gli abitanti potevano vivere lontano dalle aree malariche della piana di Rosarno ed in un luogo naturalmente difeso e ricco d’acqua.
I suggestivi ruderi del borgo di Borrello Una serie di documenti relativi all’età medievale parlano anche di alcuni cenobi basiliani, attivi nella zona di Borrello probabilmente a partire dall’alto medioevo. Mancando comunque specifiche campagne di scavi archeologici, i primi dati certi e ben documentabili sul borgo di Borrello risalgono all’età normanna, ovvero all’XI sec.. In questa fase, il borgo fortificato ed il castello di Borrello, rientrarono nel sistema fortificato interno previsto per la difesa del centro importante di Mileto, che al tempo, era la dimora di Ruggero detto il Normanno, ovvero il “Gran Conte” della famiglia Altavilla che governava su tutto il meridione d’Italia. Dal castello di Borrello è possibile avere un collegamento visivo sulla costa con i castelli di S. Angelo, Sorianello, Arena, Vibo e Nicotera, questo costituiva un vero e proprio punto di forza per il sistema fortificato di questa parte della Calabria.Con i Normanni, a Borrello, venne certamente edificato un “dongione” (palazzo) di tre piani sul quale si apriva un’ampia corte (piazza d’armi) sulla quale si affacciavano gli edifici della guardia. Il piccolo borgo venne certamente dotato di cinta muraria. Il toponimo Borrello deriva forse dal latino “burrus” o “burrella” (burrone) ed era riferito alla profonda gola posta immediatamente a N del borgo; è probabile che il nome venne coniato proprio in questa fase, ossia quando, con l’avvento dei Normanni, la tradizione “latina” si impone a quella “greca” anche in queste contrade.Si ha notizia che intorno al 1230 il Conte Normanno, Gualtiero Appardo, attribuì come figura araldica alla città di Borrello il simbolo dell’elefante, che ancora oggi campeggia come stemma sul gonfalone del moderno comune di Laureana di Borrello (Rc). Questo animale, nell’araldica normanna, era simbolo di forza, ma allo stesso tempo, di quieta grandezza. Nel XIV secolo nella collina adiacente a quella del borgo si impiantò una ricca comunità di francescani che fondò un convento, i cui resti sono oggi visiResti del Castello di Borrello
L'interno del Castello di Borrello
bili all’interno di una proprietà privata.La decadenza del borgo di Borrello comincia in età moderna, per le diverse distruzioni dovute ai principali terremoti succedutisi in Calabria. Nel 1638 il castello, ormai rimasto quasi isolato per l’abbandono del borgo, viene fortemente danneggiato dal terremoto; è invece totalmente distrutto ed abbandonato in seguito al sisma del febbraio del 1783 (Il grande flagello). Alcune tradizioni, arricchiscono la storia del castello di Borrello e lo rendono un luogo come scritto da Teti, testimone di vita vissuta. Tra le altre cose, si evidenzia, la presenza di una stanza per le torture posta immediatamente sotto l’ingresso della corte del castello, in essa i condannati erano legati alle pareti, ed in base alla pena da scontare, l’ambiente veniva ricoperto di fango a diversi livelli. Un’altra tradizione parla di una stanza del “tesoro”, posta immediatamente dietro al grande camino del salone principale; si tratta in realtà di un ambiente, forse adibito a prigione, che presenta ancora oggi, malta sulle pareti ed un soffitto ad incannicciato. I resti del castello di Borrello oggi fanno ancora intuire la forma ed il pregio dei paramenti murari del “dongione” (palazzo) normanno, una torre rettangolare sporge verso il borgo a S, due grandi ambienti rivestiti in malta idraulica (forse cisterne) si trovano ai lati del primo piano (unico ancora parzialmente conservato). Al centro, subito oltre l’ingresso principale, si apre un grande salone con parte della volta ancora conservata. Per il resto del vecchio borgo si conservano solo pochi suggestivi ruderi.
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Resti del Castello di Borrello
Motociclismo:
Inizio positivo per cross ed enduro di Luigi Mamone
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e stagioni 2013 del motocross calabrese che, per quanto riguarda la sabbia, parla anche italiano, con il trofeo Beach Cross Mediterranèe nonché il regionale Enduro, sono sotto i migliori auspici. L’esordio sul duro è avvenuto il 3 Marzo sul crossodromo di Melìa a monte di Scilla in territorio del comune di San Roberto. Il 17 era poi la volta dell’overture della sabbia con una bella prova organizzativa del Mc Roggiano Gravina coadiuvato in loco da Francesco Lanzillotta. Il 25 poi era la volta dell’esordio dell’Enduro con una magnifica gara organizzata dal Mc Vibo Valentia a Pizzoni, nel cuore delle Serre e contemporaneamente a Rogliano, sulla Pista Jassa di Belsito si è disputata la seconda prova del regionale. La media dei piloti è stata in ogni manifestazione di circa 60 riders, ottimo numero, attesa la crisi economica. I valori in campo che vengono espressi nelle varie classi sono interessanti. Fra i piloti in licenza Nazionale, brillano Stelle di Troppe, Carbone, Campisi, Varà e Milizia sul duro e insieme a loro, sulla sabbia F316 del cross italiano, in odore di ritorno nel giro del Mondiale, il siciliano Giovannino Bertuccelli e con lui Marafioti che peraltro abbiamo ritrovato
vincitore della classe E 2 nella prova di Enduro, disciplina nella quale ha deciso di cimentarsi in questa sua più matura fase di carriera, mettendo a frutto le doti velocistiche e la capacità di saltare che, come per Botturi e Belometti, hanno fatto la differenza nell’enduro six days maglia azzurra degli ultimi anni. I referenti dei settori sono tutti protesi al lavoro: Vittorio Cordì nel cross, Roberto Romiti nell’enduro e Roberto Riente nel trial. Il mondo motociclistico calabrese è tornato in campo con la tensione giusta per fare una grande stagione. Il campionato su sabbia, nel mese di Aprile, proseguirà con due tappe fuori regione: Policoro e Scicli. Mentre sul duro andrà prima a Rocca di Neto e poi a San Giovanni in fiore. Ritmi incalzanti, quindi, ma sostenibili. Nell’attesa che con al primavera inizino i motoraduni per far si che con i profumi della nuova stagione e i primi calori meridionali la voglia di moto esploda con tutta la sua incontenibile gioia.
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C.so Umberto, 22 - Laureana di Borrello (RC) - Tel. 0966.900253