Corriere Ortofrutticolo 9-10-2019

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MENSILE DI

ECONOMIA

E AT T U A L I T À

DI

SETTORE

corriereortofrutticolo THE FIRST ITALIAN MONTHLY ON FRUIT AND VEGETABLE MARKET | ANNO XXXIII Nuova serie Settembre/ottobre 2019 Euro 6,00

daily news: www.corriereortofrutticolo.it

PROTAGONISTI/1 LAURO GUIDI Il leader di Agribologna lancia l’allarme produzione PAG.25 EXPORT IN CRISI • PAG. 17 MENTRE LA SPAGNA VOLA Italia importatore netto di ortofrutta: non era mai successo

PROTAGONISTI/2 ATTILIO PAGNI ABC, storico grossista di Roma alla sfida del futuro PAG.29

IL PRODOTTO • PAG. 33 UVA DA TAVOLA I prezzi non tengono, l’estero pure: è una faticaccia questo 2019

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Estate nera, crisi di sistema L’Europa s’è desta. Per l’emergenza cimice asiatica la Commissione UE apre uno spiraglio. L’Italia preme per “misure straordinarie” a fronte di un danno da 500 milioni di euro al settore frutticolo, una entità tale che non può essere affrontata con sole risorse nazionali. L’Italia ha chiesto di valutare con urgenza ogni possibile soluzione, in particolare nell’ambito del regolamento dell’OCM per garantire alle OP la necessaria flessibilità per aiutare i produttori ad attenuare le perdite. Anche l’Italia si è mossa. Nell’ambito della manovra 2020 la ministra Bellanova ha annunciato (nel corso di un incontro a Ferrara) lo stanziamento di 80 milioni di euro in tre anni. Sono meglio di niente, ma non bastano. Neppure 30 milioni all’anno a fronte di un danno che Cso Italy ha quantificato in 365 milioni di euro su pere, pesche e nettarine nel Nord Italia, dalla produzione fino a tutta la fase di post raccolta, sono davvero pochi anche solo per fronteggiare l’emergenza. Senza contare che sappiamo come finiscono queste cose in Italia: magari i primi 30 milioni li vedi, poi gli altri finiscono dispersi o stornati nelle manovre successive. E senza contare che a fronte degli 80 milioni per la cimice stanno i 300 milioni per la xylella. Ne è consapevole anche la ministra Bellanova che non a caso proprio a Ferrara ha annunciato un pacchetto di misure da mettere a punto con le forze politiche, le Regioni , ABI, Asnacodi, ISMEA per reperire altri fondi, sospendere i mutui bancari, individuare nuovi strumenti per la gestione dei rischi in agricoltura. E poi bisogna batter cassa a Bruxelles dove l’attivismo di Areflh (e della sua presidente Simona Caselli) ha aperto la strada verso “misure straordinarie”, su cui c’e’ l’impegno del commissario Hogan. L’emergenza cimice si intreccia con l’altra, quella dei dazi annunciati da Trump sull’agroalimentare europeo (ci sono i nostri agrumi sotto tiro). La vicenda dazi è sotto i riflettori della pubblica opinione tutti i giorni, l’emergenza cimice tende a finire in ombra, per la minore visibilità del settore frutta. E’ importante tenere alta la guardia perché i danni da dazi sono importanti ma futuribili, mentre quelli da cimice ci sono già e gravano sui bilanci delle imprese. Tra una emergenza e l’altra si è comunque notato il cambio di passo del nostro ministero agricolo, dove l’accoppiata tutta pugliese Teresa Bellanova- Giuseppe l’Abbate (sottosegretario 5Stelle) ha acceso speranze in un sistema ortofrutta umiliato e offeso da recenti esperienze ministeriali. La nuova ministra e’ davvero scatenata e pare che il suo attivismo abbia dato la sveglia a mezzo ministero che usciva sonno-

✍ Lorenzo Frassoldati

Settembre-ottobre 2019

lento dalla gestione agri-turistica dell’ex Centinaio, sorridente, simpatico ma evanescente. Se poi si considera che la Bellanova non è solo il ministro dell’Agricoltura ma la capo-delegazione di Italia Viva di Renzi al governo (e come tale interviene anche sugli argomenti di valenza nazionale) possiamo concludere che almeno adesso c’è vita al ministero di via XX settembre, poi chi vivrà vedrà, aspettiamo i risultati. L’ex ministro Maurizio Martina – che nessuno rimpiange - una volta disse che i ministri non devono fare annunci ma far parlare i fatti. Impegno poi puntualmente disatteso. Tutti i politici fanno annunci, è nella loro natura. Il problema è quando non arrivano mai i fatti che capisci chi bleffa e chi no. Quanto accaduto questa estate col ministero che manco rispondeva agli appelli del mondo produttivo per la crisi della frutta estiva, poi dei trattamenti post-raccolta delle patate salvo poi convocare in extremis un tavolo per l’emergenza cimice quando la situazione era diventata insostenibile, non si deve più ripetere: come ho scritto più volte, di un ministero così non sappiamo che farcene, è solo un peso (e un costo per il contribuente). Nelle linee programmatiche presentate dalla ministra Bellanova alle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato finalmente si parla di competitività delle imprese, di rilancio dell’export, di made in Italy da promouovere concretamente sui nuovi mercati anche “con piattaforme logistico distributive all'estero”, di sviluppo del Sud , di tutela delle Indicazioni geografiche sui mercati extra-Ue, di innovazione, di biologico, di lotta agli sprechi, di difesa del suolo agricolo, di direttiva sulle pratiche sleali da approvare al più presto, di un piano di interventi per le infrastrutture logistiche in particolare al Sud, “una sfida non più rinviabile. Senza logistica non possiamo pensare di competere”. In queste linee programmatiche ovviamente c’è tutto e il contrario di tutto. Ma si coglie una sincera voglia di fare che valuteremo in relazione alle prime scadenze, tra cui anche la convocazione del Tavolo nazionale ortofrutta. L’ortofrutta è un comparto exportoriented che sta soffrendo una crisi di competitività sui mercati esteri, con consumi interni calanti, con

EDITORIALE

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

segue a pag. 5

PUNTASPILLI

MINISTRI IN VIAGGIO “Andrò con il ministro Di Maio all’estero - ha detto il neoministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli in visita in Valpolicella - per supportare le imprese del vino nel business”. Ottima idea. Chissà se vale anche per l’ortofrutta? *

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Cresce al sole e all’aria pura. Verdura dell’Alto Adige/Südtirol.

La verdura dell’Alto Adige cresce in montagna, al sole e all’aria pura. Si raccoglie da giugno a ottobre e arriva fresca al punto vendita. Per questo è molto amata e richiesta dai consumatori. www.verduraaltoadige.com


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9/10 GEMMA EDITCO SRL - VIA FIORDILIGI, 6 - 37125 VERONA - I - TEL. 0458352317 /e-mail:redazione@corriereortofrutticolo.it / Poste Italiane Spa Sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/04 n.46) Art. 1, comma 1, DCB VR

Direttore responsabile: Lorenzo Frassoldati Redazione: Emanuele Zanini Hanno collaborato: Chiara Brandi e Mariangela Latella Sede operativa via Fiordiligi, 6 37135 Verona Tel. 045.8352317-Fax 045.8307646 e-mail: redazione@corriereortofrutticolo.it Editore Gemma Editco Srl Coordinatore editoriale Antonio Felice Comitato di indirizzo Duccio Caccioni, Antonio Felice, Lorenzo Frassoldati, Corrado Giacomini, Claudio Scalise (coordinatore) Sede legale e amministrativa: via Fiordiligi, 6 37135 Verona E-mail: redazione@corriereortofrutticolo.it P.IVA 01963490238 Fotocomposizione e stampa: Eurostampa Srl - via Einstein, 9/C 37100 Verona Autorizzazione Tribunale di Verona n. 176 del 12-1-1965 Spedizione in abb. postale comma 26, art. 2, legge 549/95 La rivista viene distribuita in abbonamento postale c/c n. 11905379 Abbonamento annuo: 70 euro per due anni: 100 euro abbonamenti@corriereortofrutticolo.it Chiusura in redazione il 24.10.2019

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Poca Italia nel container. Siamo importatori netti

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La denuncia di Colelli: in Italia la ricerca ha il freno a mano tirato 49

RUBRICHE EDITORIALE Estate nera, crisi di sistema

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NOTIZIARIO

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ATTUALITÀ Poca Italia nei container

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L’Italia del kiwi cambia colore: il verde a -10%, il giallo a +16%

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Copertina - Protagonisti/1 LAURO GUIDI “Salviamo la produzione”

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Blitz di Carrefour: 546 nuovi negozi 45

Copertina - Protagonisti/2 ATTILIO PAGNI Le sfide del grossista

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FRESH CUT NEWS I nuovi orizzonti della IV Gamma nel nostro convegno di Parma 49

PRIMO PIANO - UVA DA TAVOLA I prezzi non tengono, l’estero pure. Che faticaccia questo 2019 33

segue editoriale

della nuova maggioranza giallorossa. A occhio e croce non sposta molto, a parte il disinnesco dell’aumento dell’IVA, che era il vero incubo. Di interventi veri per la crescita manco l’ombra. L’agricoltura esce a somma zero. La Bellanova, a nome dei renziani, si è battuta per non aumentare le tasse agli agricoltori. Quindi niente aumenti del gasolio agricolo e confermato l’azzeramento dell’Irpef per chi vive di agricoltura (che vale 200 milioni di euro). Tutto qui, ma poteva andar peggio. l.frassoldati@alice.it

DISTRIBUZIONE&MERCATI LIDL. Non solo la Nazionale 37 L’arrembaggio di Aldi, oltre gli obiettivi in soli 18 mesi

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dossier fitosanitari che si dovrebbero chiudere e invece restano aperti , di controlli più stringenti alle frontiere sull’import sempre invocati ma mai attuati, di reciprocità negli scambi commerciali, di concorrenza in dumping proveniente dagli stessi partner europei. Bisogna non solo convocare velocemente il Tavolo ma farlo funzionare, dare continuità. Il Tavolo faticosamente convocato prima da Martina e poi da Centinaio era solo ‘ammuina’. Intanto abbiamo la manovra finanziaria per il 2020 , primo test

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BOTTA &

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

Corrado Giacomini*

Il direttore del Corriere Ortofrutticolo Lorenzo Frassoldati nel dare il benvenuto (si fa per dire) al nuovo Governo nel suo commento del 12 settembre e presentando le sfide che dovrà affrontare, risolve il problema del caporalato chiedendo di trovare una linea che non sia vessatoria per le imprese, che snellisca e agevoli il reclutamento della manodopera, che riduca gli oneri burocratici, che chiami in causa le politiche di certe catene della GDO, sempre le maggiori responsabili del fenomeno. Insomma dice Lorenzo: “Bisogna uscire dal moralismo e dalle buone intenzioni per entrare sul terreno delle best practices” (cosa vuol dire e come?). E’ una posizione di buon senso, che si trova nelle dichiarazioni di molti rappresentanti del mondo agricolo e in articoli di altri giornali di settore. Non c’è da meravigliarsi, perché nemmeno le grandi organizzazioni professionali dell’agricoltura si sono rivolte ai propri associati per stigmatizzare con forza la gravità di questa pratica e se lo hanno fatto, è solo perché pubblicamente non potevano non farlo, mentre sono pronte a difendere i propri associati “costretti” a ricorrervi. Prima di tutto, sotto la pratica del caporalato c’è di tutto: c’è lo sfruttamento da parte dei caporali che procurano e trasportano i lavoratori sui campi e poi c’è la grande piaga del lavoro nero e sottopagato (anche 1,5 euro all’oSettembre-ottobre 2019

ra come in un recente caso) da parte di aziende agricole che sfruttano, anche senza i caporali, il lavoro di disgraziati privi di ogni tutela oppure di aziende che cercano di contenere i costi per poter sopravvivere in un mercato che non riconosce le loro fatiche. Quanti sono quelli che sfruttano e quanti quelli che ricorrono a questa pratica perché costretti? Non importa, perché è sempre una colpa grave sul piano morale e legale sia in un caso che nell’altro. Non posso non riconoscere la grave situazione di molti agricoltori che solo sfruttando la manodopera possono sopravvivere sul mercato, ma credo che nessuno possa accettare che questo giustifichi la pratica del caporalato e lo sfruttamento della manodopera. Certamente lo Stato e le stesse amministrazioni locali hanno la responsabilità di permettere la formazione di vere e proprie favelas, qualche volta peggio di quelle che vediamo nei film, dove le condizioni di vita sono tali che non possono non portare ad accettare qualsiasi tipo di lavoro e di sfruttamento. Tutto questo rientra nella grande e vera questione dell’emigrazione. Un’emigrazione che pare inarrestabile e lo è, mentre i Paesi sviluppati cercano di fermarla alzando barriere, che come tutte le barriere sono destinate prima o poi a cadere. Soltanto cercando di rallentare i flussi con interventi nei Paesi di partenza; di regolare la distribuzione degli arrivi con accordi con i Paesi di destinazione, qui una grande responsabilità ce l’ha la Comunità Europea; di aprire canali ufficiali di emigrazione e di attivare politiche di integrazione che cerchino di assorbire i tanti clandestini che girano per le nostre strade, sarà possibile affrontare alla radice il fenomeno. E’ un programma troppo vasto e con troppe variabili per poter essere realizzato con successo tutto e subito come vorremmo. E’ anche vero, che la politica delle ruspe non risolve nulla, come hanno dimostrato i po-

chi casi nei quali è stata attuata, perché i disgraziati sloggiati dalle loro baracche ne fanno altre più in la, perché anche lo sfruttamento permette loro di sopravvivere in mancanza di altre alternative. Anche le vittime, come capita spesso, possono essere complici dei delitti. I dati del “Quarto Rapporto Agromafie e Caporalato” dell’Osservatorio Placido Rizzotto di FLAI CGIL, non smentiti, sono impressionanti. Il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura è stimato pari a 4,8 miliardi di Euro, a cui si aggiungono 1,8 Miliardi di evasione contributiva. I lavoratori agricoli esposti al rischio di ingaggio irregolare e sotto caporale sono stimati 400.000/430.000 e di questi più di 132.000 sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Mi domando con quale coraggio un Paese come il nostro possa sollevarsi contro le importazioni di prodotti agricoli dai Paesi sottosviluppati accusandoli di concorrenza sleale perché sfruttano, tra l’altro, la manodopera quando il lavoro irregolare in Italia incide fino al 15,5% sul valore aggiunto del settore agricolo. Un po’ tanto per un Paese che si ritiene moderno e sviluppato, dove la concorrenza sleale di coloro che sfruttano la manodopera viene esercitata anche a danno delle imprese oneste, sempre socie delle stesse organizzazioni professionali che non si sollevano contro i disonesti. Ha ragione Lorenzo, il problema del caporalato bisogna affrontarlo con misure che incidano sulla struttura del mercato del lavoro in agricoltura. La sola repressione con la Legge n. 199/2016 non basta, non ha avuto successo nemmeno la Rete del lavoro agricolo di qualità che non va oltre un numero risibile di aziende (3.619 al 20 marzo 2019), anche il decreto annuale sui flussi migratori, fermo nel 2019 a 18.000 lavoratori stagionali nei settori agricolo www.corriereortofrutticolo.it

RISPOSTA

NIENTE ALIBI. IL CAPORALATO RESTA UNA COLPA GRAVE

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BOTTA&RISPOSTA

e turistico-alberghiero, è del tutto insufficiente rispetto ai numeri sopra riportati. Non si può transigere però sul fatto che lo sfruttamento del lavoro in agricoltura è una pratica riprovevole sul piano morale e legale, né ci si può lavare la coscienza chiamando in causa l’inefficienza dello Stato e la “cattiva” GDO. *economista agrario

UN PAESE CIVILE NON LO AMMETTE MA SERVE CONCRETEZZA Lorenzo Frassoldati All'amico e illustre economista Corrado Giacomini voglio assicu

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rare che non sono meno indignato di lui davanti a questo fenomeno che sta emergendo in tutta la sua drammatica realtà, in particolare al Sud ma non solo. E sono assolutamente con lui quando denuncia l'ipocrisia di chi condanna le importazioni dai Paesi terzi dove si sfrutta la manodopera sottopagata quando nel nostro Paese il lavoro irregolare 'pesa' così tanto sul valore di certe produzioni orticole e agrumarie. Oltrettutto abbiamo una ministra che della lotta al cosiddetto caporalato ha fatto una sua crociata personale. Non intendo creare alibi per nes-

suno davanti ad una pratica disonorevole per un Paese evoluto, e che oltretutto danneggia le imprese oneste e che rispettano regole e leggi. Però, come scrivevo, "la lotta al caporalato deve uscire dal limbo del moralismo e delle buone intenzioni per entrare sul terreno delle best practices, delle azioni concrete da concordare con le imprese". Cioè bisogna lavorare con le imprese per arginare ed eradicare il fenomeno, non contro di loro, senza vessarle o caricarle di nuovi fardelli burocratici o instaurando un clima di terrore. Ci accorgiamo che quasi sempre il lavoro irregolare si svolgeva alla luce del sole, che le baraccopoli di disperati erano note a tutti. Come è potuto accadere? Ci sono tanti che non hanno voluto vedere, sentire, controllare. Perché?

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N NOTIZIARIO

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L’agricoltura dell’Unione nelle mani di un polacco Il polacco Janusz Wojciechowski (nella foto), 64 anni, conservatore, membro del partito nazionalista Diritto e Giustizia, ha ottenuto a inizio settembre la delega all’Agricoltura della Commissione europea. Wojciechowski è stato membro del Parlamento europeo dal 2004 al 2016, prima di accettare un incarico come revisore alla Corte dei Conti europea. In seguito alla nomina, il ministro italiano Teresa Bellanova ha fatto gli auguri di buon lavoro al neo commissario, salutando con favore le parole di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE, sull’importanza di affrontare e investire ulteriori energie per sostenere le attività agricole in ambito europeo. “Abbiamo tutti dinnanzi una sfida importante, per cambiare l’Europa e avvicinarla a cittadini, agricoltori, imprese - ha scritto nel suo messaggio Teresa Bellanova -. In Europa dobbiamo difendere l’agricoltura mediterranea, sostenere l’eccellenza del nostro Made in Italy, scrivere regole che diano futuro al lavoro di migliaia di giovani donne e uomini che stanno investendo la loro vita nelle nostre campagne. Più investimenti nella sostenibilità e nell’economia circolare, più imprese di qualità. L’agricoltura deve essere uno sbocco attrattivo per le nuove generazioni. E mi auguro

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che nella nuova PAC, che dovremo scrivere tutti insieme e che dovrà mantenere adeguati finanziamenti, questa sfida abbia la rilevanza che merita”.

Shopping di Agrintesa: fa sua La Primavera e controlla Brio Agrintesa diventa ancora più grande. La cooperativa faentina (leader a livello europeo nei settori ortofrutticolo e vitivinicolo, aderente a Confcooperative e ad Apo Conerpo) ha perfezionato un nuovo percorso di espansione avviato in un’ottica di consolida-

mento delle strutture aziendali. Ed è così che la principale novità del bilancio 2018-19 licenziato a metà ottobre è rappresentata dalle due importanti acquisizioni messe a segno tra Veneto e Romagna: quella della cooperativa La Primavera di Zevio (Verona), storica realtà specializzata da oltre 30 anni nella produzione di frutta e verdura biologica, e quella del ramo vitivinicolo della CAB di Ravenna. “Queste acquisizioni confermano la strategia di crescita della nostra cooperativa in due asset fondamentali – commenta il presidente di Agrintesa, Raffaele Drei (nella foto) -. Per il biologico riteniamo serva maggiore determinazione per dare risposte alle crescenti richieste del mercato, motivo per cui stiamo accompagnando i nostri soci in un percorso di riconversione delle coltivazioni ove ne esistano le condizioni e la convinzione del produttore. Dopo anni di collaborazione, i consigli di amministrazione delle cooperative La Primavera e Agrintesa hanno deciso di razionalizzare le attività giungendo a una fusione

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per incorporazione, consentendo così ad Agrintesa di controllare la maggioranza assoluta della società commerciale Brio”. Una strategia analoga è stata portata avanti in ambito vitivinicolo, dove Agrintesa ha concluso un’ulteriore fusione per incorporazione con il neonato ramo dedicato a questo comparto della Cooperativa Agricola Brisighellese. Le due acquisizioni arrivano in un momento delicato per l’agricoltura italiana, soprattutto in riferimento ai cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo i cicli produttivi. “Nonostante questo – precisa il presidente Drei – abbiamo attraversato l’ultimo anno mostrando una crescente solidità e mettendo in campo scelte coraggiose. Non abbiamo mai atteso passivamente lo sviluppo degli eventi: consci del nostro ruolo e della responsabilità verso i produttori e il mercato, intendiamo continuare a investire per essere motore di innovazione, ricerca e qualità”. Osservando i dati di bilancio, l’esercizio 2018-19 si chiude confermando la solidità aziendale anche all’interno di un difficile contesto produttivo e commerciale. “Dopo la precedente annata, che era stata chiusa in maniera positiva commenta il direttore generale di Agrintesa, Cristian Moretti - abbiamo affrontato l’esercizio 201819 con forte attenzione verso i nostri soci, adoperandoci per sostenere il più possibile la redditività

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delle loro aziende. In questo quadro, abbiamo gestito 270 mila tonnellate di ortofrutta, di cui 22 mila di prodotto biologico, e ben 193 mila tonnellate di uva, un record produttivo per Agrintesa che ci colloca fra i leader nazionali del settore. Il patrimonio netto è in crescita e ha raggiunto quota 114 milioni 641 mila euro, anche grazie all’utile di gestione pari a 897 mila euro. Il valore alla produzione si è attestato su 286 milioni di euro, grazie al lavoro effettuato dalle nostre società commerciali (Alegra, Brio, Opera e Valfrutta Fresco) e al conferimento di materie prime ai nostri Consorzi di riferimento: Caviro per la produzione vitivinicola e Conserve Italia per la trasformazione della frutta”.

Mammuccini: Al bio servono trasparenza e informazione Un significativo intervento di Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, ha aperto il convegno “Conoscere il Biologico – Storie di successo del bio italiano” organizzato da GreenPlanet in collaborazione con Fondazione FICO lunedì 14 ottobre. Al convegno sono state presentate quattro testimonianze aziendali, quelle di Probios SpA (biscotti e molti altri trasformati), Brio (ortofrutta fresca e trasformata), Co-

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napi (miele, composte) e Granarolo (latte bio). Per Probios è intervenuta Rossella Bartolozzi, manager e co-titolare dell’azienda toscana, per Brio Andrea Bertoldi, direttore generale della SpA, per Conapi-Mielizia Nicoletta Maffini, responsabile marketing, e per Granarolo Giovanni Giambi, titolare e direttore generale di Agrisfera (primo produttore italiano di latte bio), ottimamente presentati da Duccio Caccioni, coordinatore scientifico di Fondazione FICO. I lavori sono stati seguiti da un pubblico selezionato e attento, fatto di addetti ai lavori e stampa specializzata. “Siamo entrati in una fase strategica – ha sottolineato la presidente di FederBio – nella quale il biologico è chiamato a diventare uno degli elementi cardine dell’agricoltura del futuro. Oggi tutto quello che abbiamo di fronte sugli effetti dell’agricoltura industriale figlia dello sviluppo tecnologico del dopoguerra ci dice che dobbiamo pensare per il futuro all’agro-ecologia e dunque al biologico. I dati sono emblematici e

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drammatici. A fine luglio è uscito un report del CREA sullo stato del suolo italiano che certifica che siamo a un livello medio di sostanza organica dell’1%. I ricercatori hanno lanciato un grido d’allarme perché sotto il 3% c’è il rischio della desertificazione e il rischio è tanto più alto nelle zone che sono state così a lungo le più fertili del suolo italiano a partire dalla Pianura Padana”. “C’è bisogno quindi – ha affermato ancora Maria Grazia Mammuccini – di un altro riferimento. Il biologico e il biodinamico portano a un recupero della fertilità dei terreni e in generale ad una ripresa della biodiversitàsuperando l’uso della chimica di sintesi il cui impatto sull’ambiente non è più sopportabile. Da parte nostra tuttavia dobbiamo impegnarci ad alzare ulteriormente l’asticella della qualità e della sicurezza del biologico italiano. Ma nello stesso

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tempo dobbiamo far capire molto chiaramente che se cadiamo anche nel biologico nella rincorsa al prezzo più basso distruggiamo quella che è davvero un’opportunità strategica per il futuro dell’agricoltura e di tutti noi”. Mammuccini, dato il contesto di questo convegno organizzato dal nuovo GreenPlanet (parte del nostro gruppo editoriale), ha voluto anche sottolineare il ruolo dell’informazione di settore. “GreenPanet – ha detto – è una testata storica che è nata insieme al biologico e che oggi si rilancia in una situazione in cui non c’è meno necessità di allora di informazione, anzi. Nella fase che stiamo attraversando, di importanza strategica non solo per noi ma per tutta l’agricoltura, di informazione c’è infatti assolutamente bisogno perché conoscenza e trasparenza sono fondamentali nei rapporti di filiera e nel rapporto con il consu-

matore, conoscenza e trasparenza sulle aziende e sui prodotti, che è proprio la funzione che GreenPlanet intende svolgere”.

N NOTIZIARIO

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Finanziato il piano di sviluppo del Mercato di Milano L’assemblea di SOGEMI, tenutasi il 4 ottobre, ha deliberato di procedere all’aumento di capitale di 273 milioni di euro di cui 49 milioni di euro per cassa e 224 milioni di euro in natura attraverso il conferimento da parte dell’azionista Comune di Milano della proprietà fondiaria e immobiliare del comprensorio agroalimentare. Entra dunque nella sua fase attuativa il progetto di sviluppo del Mercato e di realizzazione del nuovo padiglione ortofrutta. Nei

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prossimi anni l’attuale infrastruttura del 1965 sarà sostituita da due nuovi padiglioni destinati alla commercializzazione di prodotti ortofrutticoli e da una piattaforma logistica dedicata. Sono inoltre previste opere di riqualificazione del comprensorio affinché il mercato di Milano diventi un polo per aziende e professionisti italiani e internazionali che operano nella filiera agroalimentare, offrendo spazi e servizi competitivi e di eccellenza. “Il Mercato Agroalimentare di Milano, tra i più importanti mercati all’ingrosso d’ Europa, con i suoi 700 mila metri quadri di spazio, quattro mercati - ortofrutta, ittico, fiori e carni - oltre 1 miliardo di euro annuo di giro d’affari, rappresenta un’infrastruttura importantissima per la città di Milano e per tutto il mondo agroalimentare lombardo”, afferma Cesare Ferrero, presidente di SOGEMI. “Purtroppo negli ultimi 20 anni – precisa Ferrero – abbiamo assistito ad una progressiva perdita del nostro posizionamento competitivo a causa dell’assenza di un piano di sviluppo e di inadeguati investimenti in una infrastruttura costruita nel 1965 e ormai ineffi-

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ciente. I mercati di Madrid, Parigi, Barcellona, con volumi di transazioni superiori a due miliardi di euro ci dimostrano il potenziale di queste infrastrutture strategiche per il commercio, l’approvvigionamento e la distribuzione alimentare delle grandi città. Abbiamo molto tempo perso da recuperare, ma il nostro potenziale di crescita può ancora esprimersi appieno”. “Milano, città tesa ai modelli delle grandi capitali europee, ha bisogno – aggiunge Ferrero – di un luogo nevralgico e di riferimento per la filiera agroalimentare e una fonte di approvvigionamento moderna per i milanesi, al passo coi tempi e concepito secondo gli principi di innovazione, sostenibilità e qualità. Foody, il nuovo Mercato, sarà all’altezza degli standard e delle necessità del capitale lombardo e dell’evoluzione richiesta dalle nuove tecnologie; un punto di raccordo delle merci di tutta Italia con i mercati internazionali, dove è garantita la sicurezza dei prodotti alimentari venduti lungo tutta la filiera e dove viene valorizzata la produzione locale”.

Aperture a Rungis e al Mercabarna: diplomazia europea del CAR Continua l’arrembaggio internazionale del CAR di Roma, attestatosi negli ultimi anni come primo Mercato italiano. La sera di ve-

nerdì 20 settembre si è celebrato nella capitale il gemellaggio tra il CAR e Parigi-Rungis, primo Mercato all’ingrosso francese ed europeo, in una splendida serata alla Casa del Cinema di Villa Borghese intitolata “Notte del cinema e della gastronomia italo francese”, presenti centinaia di persone, oltre all’ambasciatore di Francia in Italia Christian Masset, il direttore generale di Parigi-Rungis, Stéphane Layani, al padrone di casa Fabio Massimo Pallottini, dg del Centro Agro-alimentare di Roma. Layani a Roma ha detto al microfono, rivolto a Pallottini e agli altri dirigenti romani, a partire dal presidente del CdA di CAR Valter Gianmaria: “Questo è l’inizio, faremo grandi cose insieme perché ci lega una visione comune, che possiamo portare avanti insieme nella valorizzazione delle nostre strutture e in generale del ruolo dei Mercati in Europa”. Pochi giorni dopo, il 30 settembre, troviamo in missione a Barcellona, al Mercabarca (nella foto), il presidente Valter Giammaria e il direttore generale Fabio Massimo Pallottini alla guida di otto aziende grossiste del Mercato di Roma, della principale azienda di logistica interna al Mercato e dei terminalisti belgi della CFFT operanti a Civitavecchia. Una trasferta utile, che ha consentito agli operatori di consolidare i forti legami commerciali che già esistono tra i due Mercati e per il management di CAR è stato possibile approfondire diversi aspetti tra cui il tema delle buone pratiche.

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LA CRISI DELL’EXPORT. Italia importatore netto di ortofrutta

Poca Italia nel container Nuvoloni neri sull’export. L’interscambio commerciale con l’estero dell’ortofrutta italiana è decisamente peggiorato e sembra posizionarsi su un piano inclinato difficile da raddrizzare. La politica, con le sue assenze, pesa su questa situazione persino imbarazzante ben più del sistema delle imprese e delle loro rappresentanze. Dall’elaborazione di Fruitimprese su dati Istat relativi ai primi sette mesi dell’anno (luglio 2018-luglio 2019), a fronte di un aumento dei volumi esportati (4,8%) vi è stato un calo del 3,3% del loro valore. Crescono invece le importazioni, sia in volume (2,3%) ma soprattutto in valore (12%). L’Italia si sta lentamente avviandosi a diventare un Paese importatore netto di ortofrutta. Importiamo più prodotti sia in quantità (2,2 milioni di tonnellate contro 2 milioni di export) che in valore: l’import (2.458.823 milioni di euro) supera, anche se di poco l’export (2.446.738 milioni di euro). Settembre-ottobre 2019

Per la prima volta nella storia del commercio italiano di settore le esportazioni a fine luglio sono risultate inferiori in valore alle importazioni. Per la Spagna il saldo è ampiamente positivo Il saldo della bilancia commerciale è dunque negativo per 12 milioni di euro. Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, analizza così la situazione: “Dopo tanti segnali di peggioramento, abbiamo toccato un altro record negativo. Per la prima volta il saldo della bilancia commerciale dell’ortofrutta italiana va in negativo per 12 milioni, non era mai successo. L’anno scorso c’era stato il sorpasso dell’import come quantità, adesso anche a valore. Da un anno all’altro abbiamo perso quasi 400 milioni di euro. La situazione è davvero preoccupante, perché si aggiunge alle altre emergenze del settore dopo quella dei danni da cimice asiatica e delle altre problematiche fitosanitarie che stan-

no colpendo le nostre produzioni più tipiche. E’ necessario affrontare immediatamente e con risolutezza la questione annosa dell’apertura dei nuovi mercati per il nostro export. Confidiamo nel ministro Bellanova che ha posto il tema dell’internazionalizzazione ai primi posti del suo programma, perché il nostro Governo affianchi gli sforzi delle imprese nell’azione politico-diplomatica per aprire alle nostre produzioni di qualità come mele, pere, kiwi, uva da tavola, agrumi i mercati lontani (Cina, Asia, Sudafrica, Messico) dove i nostri prodotti sono richiesti e apprezzati ma mancano i protocolli fitosanitari e gli accordi bilaterali. Se non si invertirà la rotta, la conseguenza sarà una drastica riduzione delle www.corriereortofrutticolo.it

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Marco Salvi, presidente Fruitimprese, Gennario Velardo, presidente Italia Ortofrutta, e Paolo Bruni presidente CSO Italy

superfici produttive con un impatto negativo sui bilanci delle imprese, sul sistema ortofrutta Italia e soprattutto sui livelli occupazionali in particolare al Sud, dove è prevalente la componente femminile della manodopera”. Da Madrid, in piena Fruit Attraction, è arrivato un appello da parte del presidente di CSO Italy Paolo Bruni: “Qui non c’è solo la voglia di esserci ma vediamo anche la volontà delle nostre imprese di continuare ad affacciarsi sulla ribalta internazionale con la ferma determinazione non solo di confermare la loro presenza ma anche di intrecciare nuove relazioni, di cogliere nuove opportunità e di crescere. Spiace, alla luce di questo, che a livello di sistema i conti non tornino, che, come purtroppo è noto da qualche giorno, l’interscambio commerciale con l’estero della nostra ortofrutta registri per la prima volta un saldo negativo per 12 milioni di euro. Un grande Paese ortofrutticolo come l’Italia non può diventare un importatore netto. Siamo su un piano inclinato, non sarà facile, ma dobbiamo raddrizzarlo”. “Siamo qui in questa fiera che cresce di anno in anno - ha affermato ancora Bruni - e attorno a questo nostro stand vediamo aziende spagnole, quindi di un Paese che ha sviluppato relazioni internazionali di primo piano e che, per fare due esempi, può esportare in Cina pesche, nettarine e uva da tavola e in Vietnam

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uva da tavola, mercati preclusi ai nostri esportatori. Vediamo stand di Olanda e Belgio che possono esportare in Cina le pere, di cui siamo i primi produttori europei, ma in Cina non ci possiamo andare. Il settore lo sa. Questi handicap devono essere superati se non vogliamo che le aziende chiudano. Gli accordi internazionali, i famosi dossier, vanno avanti se la nostra classe politica, se il nostro governo, se il nuovo ministro si impegnano in prima persona supportando con un’azione politica decisa il lavoro degli esperti. Riconosciamo alla ministra Bellanova di aver colto il problema quando ha dichiarato che occorre investire maggiormente nell’internazionalizzazione. Questa è la strada giusta che dobbiamo percorrere”. ll direttore di CSO Italy Elisa Macchi, presente alla collettiva “Italy. The Beauty of Quality” organizzata da CSO alla Fruit Attraction di Madrid, ha messo l’accento sui problemi non secondari accusati dalla produzione negli ultimi anni: “ll calo delle superfi-

Marco Salvi: “Situazione davvero preoccupante. Da un anno all’altro abbiamo perso 400 milioni di euro. È urgente che il governo affianchi gli sforzi delle imprese per aprire ai nostri prodotti nuovi mercati”

ci per alcune colture e i problemi produttivi derivanti anche dal cambiamento climatico di questo ultimo periodo ci hanno messo molto in difficoltà. Prendiamo il kiwi, abbiamo il problema della moria nel Veneto, in Piemonte e nel Lazio. Per le pere il problema della cimice e della maculatura bruna ha provocato perdite per circa il 60% della produzione nella campagna 2019. Vorrei sottolineare che, insieme ad azioni su altri piani, è importante intervenire velocemente per risolvere i problemi della produzione per dare rilancio alla nostra ortofrutta”. Il confronto con la Spagna, secondo dati elaborati da CSO Italy, è comunque impietoso. A conclusione dei 12 mesi del 2018 la Spagna registrava un export per oltre 15 miliardi di euro e un import pari a meno di 4 miliardi e mezzo quindi con una bilancia commerciale attiva per oltre 10 miliardi e mezzo di euro. Se si passa ad analizzare l’interscambio del commercio ortofrutticolo tra Spagna e Italia, utilizzando i dati elaborati da CSO Italy per l’ultimo triennio, nel 2016 abbiamo importato dalla Spagna ortofrutta per 636 milioni e ne abbiamo esportata in Spagna per 192, nel 2017 abbiamo importato dalla Spagna ortofrutta per 751 milioni e ne abbiamo esportata in Spagna per 216, nel 2018 abbiamo importato dalla Spagna ortofrutta per 737 milioni e ne abbiamo esportata in Spagna per 157, il dato più negatiSettembre-ottobre 2019


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vo del triennio. Esportiamo principalmente kiwi, mele e uva da tavola con dati modesti per altri prodotti. Importiamo invece peperoni, fragole, limoni, clementine e altri otto prodotti in quantità molto significative. A Madrid la situazione del settore è stata analizzata anche dal presidente di Italia Ortofrutta Unione Nazionale Gennaro Velardo: “In questi anni abbiamo tutelato e promosso gli interessi delle imprese che rappresentiamo e i risultati si sono visti: siamo il primo Paese europeo per quanto riguarda i fondi dell’OCM. Battiamo la Spagna che pure ci supera nella produzione e nell’esportazione. Dunque partiamo con l’handicap ma arriviamo primi grazie al collante che rappresentiamo per il mondo delle OP e grazie alle competenze specifiche che abbiamo maturato negli anni e che mettiamo a disposizione de-

La mancanza di accordi bilaterali con la Cina e altri Paesi asiatici impedisce agli esportatori italiani di cavalcare le nuove opportunità della logistica internazionale

gli associati. Abbiamo un’identità figlia di una legge dello Stato e abbiamo dato risultati che non possono essere disconosciuti”. “C’è bisogno di ritornare al Tavolo nazionale - sostiene Velardo ognuno portando le sue specificità e competenze. Abbiamo volu-

to quel Tavolo. C’è bisogno di sindacati che svolgano la loro funzione, facciano il loro lavoro e ci aiutino a portare avanti e risolvere le criticità dei settori evitando incomprensioni che in questo momento sarebbero improduttive”.

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Fruit Attraction più grande di anno in anno Cresce l’attenzione per esotico, berries e bio Ha chiuso i battenti il 24 ottobre a Madrid l’undicesima edizione di Fruit Attraction. Soddisfatte le oltre 100 aziende espositrici italiane e i numerosi visitatori professionali giunti dal nostro Paese soprattutto per aggiornarsi sulle novità del mercato spagnolo e incontrare fornitori e clienti internazionali. Abbiamo monitorato le dieci aziende partecipanti alla collettiva del CSO Italy: Gruppo Alegra, Almaverde Bio, Apofruit, Jingold, Mazzoni, Naturitalia, Vivo, Granfrutta Zani e Vignali. Un giudizio positivo confermato da Bianca Bonifacio, responsabile fiere per il Centro Servizi ferrarese: “Anche per questa edizione la manifestazione si è dimostrata in grado di compiere un vero salto di qualità; è incredibile come anno dopo anno l’organizzazione riesca ad alzare l’asticella in maniera tanto sensibile e con una professionalità tale da coinvolgere tutti gli operatori del settore. Noi come CSO Italy siamo stati interessati da tale crescita in maniera tangibile, basti pensare che in 5 anni la superficie espositiva della nostra collettiva è quadruplicata, fino ad arrivare a 256 metri quadrati”. Ma ecco i pareri delle aziende. “Madrid, ormai, alla pari di Berlino, rappresenta per noi una buona opportunità di incontro con i nostri clienti. Tuttavia, ciò che mi ha stupita è il numero di nuovi contatti ottenuti in questi giorni”, dichiara Rita Biserni, responsabile marketing internazionale del Gruppo Alegra. Parere condiviso da Gloria Rimondi, responsabile commerciale di Mazzoni Group, che sottolinea come tutte e tre le giornate siano state molto frequentate, rendendo la kermesse “un’ottima occasione di incontro e programmazione”.

Settembre-ottobre 2019

Nella sua analisi finale sugli aspetti chiave della manifestazione Ilenio Bastoni, direttore generale di Apofruit, dichiara: “Facendo un giro tra gli stand emergono chiari tre elementi: l’attenzione della Spagna verso l’esotico, i piccoli frutti e il biologico“. “Da segnalare – aggiunge Bastoni – il crescente interesse delle aziende verso soluzioni per il packaging più sostenibili con materiali compostabili”. Una domanda di bio e sostenibilità condivisa anche da Paolo Pari, direttore di Almaverde Bio: “L’offerta di prodotto bio è trasversale in tutti gli stand, c’è tanto bio in evidenza, cosa peraltro prevedibile visto che la Spagna è ormai diventata il primo produttore europeo. Tale interesse unito alla posizione dello stand e all’organizzazione della Fiera ci portano a poter fare un bilancio finale più che positivo”. “La Spagna rappresenta per noi un mercato importante per tutte le nostre varietà di kiwi; prendere parte a questa fiera significa per Jingold completare una strategia commerciale che ci ha visti partecipare nelle scorse settimane anche ad Asia Fruit Logistica di Hong Kong e al PMA di Anaheim a Los Angeles. Per chi

si occupa di kiwi come noi questo periodo è ottimale perchè perfetto per programmare la campagna nei dettagli insieme ai nostri clienti”, spiega Patrizio Neri, presidente del Consorzio di Cesena. Positivo anche il feedback di Augusto Renella, responsabile marketing di Naturitalia: “Prendiamo parte a Fruit Attraction ormai da anni e sicuramente ripeteremo l’esperienza, perché si tratta di una manifestazione in linea con le nostre esigenze, dove il prodotto è sempre al centro e le opportunità commerciali sono tante”. “La fiera è davvero bella. Si tratta di una manifestazione in continua crescita che ha molto da insegnare a noi italiani. Per anni la Spagna ha guardato l’Italia ortofrutticola e preso esempio da noi, ora, con un po’ di umiltà, dovremmo essere noi a importare il loro modello”, afferma Alessandro Zani, direttore generale di Granfrutta Zani. La partecipazione a Fruit Attraction è solo l’ultima tappa della incalzante attività di internazionalizzazione di CSO Italy dopo la positiva presenza a PMA, solo pochi giorni fa, il 18 e 19 ottobre scorsi.

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VA ALORRE NEL PDV FEDELTÀ PROMOZIONI


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L’Italia del kiwi cambia colore: il verde a -10%, il giallo a +16% L’IKO Conference, quest'anno alla 38esima edizione, è stata organizzata dall’8 al 10 settembre da CSO Italy a Torino. Hanno partecipato all'incontro dell’International Kiwifruit Organization delegazioni da Francia, Nuova Zelanda, Cile, Spagna, Portogallo, Stati Uniti e Grecia. Per l'Italia, insieme a CSO Italy, hanno partecipato all’incontro esponenti di alcune delle maggiori aziende che operano nella produzione e nella commercializzazione del kiwi, quali Agrintesa, Apo Conerpo, Consorzio Jingold, Naturitalia, Alegra, Spreafico, Frutta C2 ed anche imprese piemontesi quali Lagnasco, Gullino, Joinfruit e Ortofruit Italia. L'Italia, dopo l'offerta 2017 limitata dal gelo, aveva segnato un incremento nel 2018 e quest'anno ritorna a scendere. Con circa 371 mila tonnellate di kiwi si prevede un calo del 6% sul 2018, pari al 20% rispetto alla media 2014-17. Il prodotto a polpa verde, con circa 301.500 tonnellate, è quello che determina il calo, con un'offerta in calo del 10% sul già basso quantitativo raccolto la passata stagione. Il kiwi a polpa gialla, al contrario, continua a salire anche quest'anno avvicinandosi alle 70.000 tonnellate (+16% sul 2018), grazie all'entrata degli impianti giovani pur con rese unitarie inferiori allo scorso anno. Ancora in crescita le superfici di kiwi in Grecia, ad oggi stimate pari a circa 10 mila ettari totali di cui in produzione circa 9.200/9.300 ettari. Le previsioni per la stagione in corso riportano un'offerta di 220 mila tonnellate, dunque analoga al risultato produttivo della stagione precedente. La produttività 2019 degli impianti non risulta ottimale, presentando rese sotto la media come negli ultimi due anni. Durante l'ultima commerSettembre-ottobre 2019

A Torino l’edizione numero 38 della Conferenza dell’Organizzazione internazionale di prodotto, l’IKO, organizzata da CSO Italy. In tutto l’Emisfero Nord produzione contenuta

cializzazione sono scese leggermente le esportazioni di kiwi greco dopo il record del 2017/18. Il volume esportato è stato vicino alle 136 mila tonnellate (-9% sul 2017/18) ma largamente sopra le stagioni precedenti. La Grecia si conferma dunque molto presente nei Paesi dell’UE a 28, in particolare in Spagna e Germania, e tende a salire nel Nord America. Anche l'offerta francese dovrebbe risultare molto simile a quella della scorsa annata, con circa 55 mila tonnellate, nonostante il forte caldo che ha caratterizzato l'ultima estate. Il volume di kiwi francese esportato all'estero continua a diminuire e le vendite appaiono maggiormente rivolte a soddisfare le richiesta del mercato interno. L'Italia si continua a incrementare le movimentazioni dirette in questa destinazione. Atteso un calo della produzione di kiwi in Portogallo, con un'offerta di circa 27 mila tonnellate, pari a circa il -20% sul 2018, diminuzione dovuta alla scarsa impollinazione e alla mancanza delle giuste ore di freddo in inverno. Superfici in espansione sia nel nord che al centro del Paese. In Spagna le stime 2019 indicano, al contrario, una produzione di

circa 18.200 tonnellate, +8% rispetto allo scorso anno. L'aumento della produzione in Spagna è dovuto principalmente ai nuovi investimenti che entrano in produzione. In lieve espansione anche l'offerta della California, +3% rispetto all'anno precedente, con maggiore produzione sia di kiwi verde che di kiwi giallo. La crescita è favorita da maggiori rese unitarie e dai recenti impianti. Il kiwi californiano viene collocato prevalentemente sul mercato USA, mentre piccole quote sono vendute in Messico, Canada e Taiwan. Per la stagione commerciale 2019/20 nell'Emisfero Nord è attesa dunque una produzione tutto sommato contenuta, circa 776 mila tonnellate, il 3% in meno rispetto allo scorso anno, tra quelle più basse degli anni recenti. Dall'Emisfero Sud giungono notizie positive in vista dell'inizio della commercializzazione del kiwi europeo. In Nuova Zelanda la produzione 2019 è scesa a circa 510 mila tonnellate, -8% rispetto al record del 2018 e la fine della commercializzazione del prodotto, prevista entro novembre, dovrebbe comportare uno "scambio equilibrato" con l'uscita dell'Emisfero Sud e l'entrata della commercializzazione dell'Emisfero Nord. In Cile il kiwi continua a flettere in termini di superfici e le stime dell'export 2019 appaiono particolarmente contenute, con circa 160 mila tonnellate complessive, di cui la quota preponderante appare già collocata. www.corriereortofrutticolo.it

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VALORI DA CONDIVIDERE PRODUZIONE SOSTENIBILE

UN MEDIA PLAN DI GRANDE EFFETTO TV: 30 MILIONI DI CONTATTI STAMPA: 30 MILIONI DI CONTATTI

PROGRAMMA DI FIDELIZZAZIONE DEI CONSUMATORI

PRODUZIONE ITALIANA

ESSERE LA MARCA PREFERITA DAI CONSUMATORI È BEN MERITATO. Attraverso il programma consumer Pink My Life e alle azioni di comunicazione a punto vendita “Bee Pink”, “Adotta un albero”e “Seeds of Love” che Pink Lady® ha pensato per la sua insegna, i nostri impegni per la sostenibilità ambientale si uniscono ai vostri. In un epoca in cui i consumatori danno un’importanza sempre maggiore ai temi ambientali, insieme possiamo essere in grado di soddisfare le loro esigenze e di contribuire ad un consumo sostenibile.

Pink Lady®, molto più di una mela. pinkladyeurope.com


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LAURO GUIDI. L’appello del presidente di Agribologna

“Salviamo la produzione” Chiara Brandi Con un fatturato di circa 230 milioni di euro, Agribologna è una cooperativa di produttori specializzati in ortofrutta fresca che associa oltre 140 produttori. Superare la soglia dei 200 milioni significa essere tra i big assoluti del settore a livello nazionale. Le performance aziendali di Agribologna hanno registrato un miglioramento del 16% nel corso dell'ultimo triennio, percentuale che si avvicina al 50% se si considerano gli ultimi dieci anni. “In virtù del network creato e dei servizi implementati, Agribologna può vantare una situazione tale da riuscire a crescere costantemente. Sebbene tale valore venga in parte trasferito ai soci conferitori, la situazione in campagna è tuttavia ben diversa”. Lo afferma Lauro Guidi, presidente Settembre-ottobre 2019

In cima ad un gruppo da 230 milioni di euro di fatturato, il leader di Agribologna guarda in basso e analizza la difficile situazione nelle campagne: “È necessario ragionare in un modo nuovo”

In alto, Lauro Guidi, 66 anni, presidente di Agribologna. Qui sopra lavorazione di ananas per la IV Gamma di frutta in una unità produttiva del gruppo

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CHI è CONSORZIO AGRIBOLOGNA SCA

Nata nel 1998 come Consorzio di secondo grado, Agribologna è l’organizzazione di produttori che rappresenta l’evoluzione delle cooperative cresciute all’interno del Mercato Ortofrutticolo di Bologna dal 1973 al 1986 sul modello precedentemente adottato dalla Cooperativa Agricola Conor a favore del commercio associato di ortofrutta. Divenuta nel 2006 Consorzio di primo grado, Agribologna è ad oggi una realtà di primo piano in Italia con un valore della produzione 2018 da bilancio consolidato di circa 225 milioni di euro (in crescita nel 2019); otto sedi operative dirette (quattro in Emilia-Romagna e quattro fuori Regione), circa 240 dipendenti diretti (oltre ai lavoratori esterni dei servizi terziarizzati quali le attività di facchinaggio e di trasporto) e 140 imprese socie tra Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Lazio, Sicilia e Calabria. Peculiarità unica dell’azienda bolognese è riconducibile alla forma di conferimento dei prodotti ortofrutticoli alla cooperativa, che arrivano già confezionati e pronti per essere immessi sul canale di vendita. Il Gruppo Agribologna controlla al 91% la società Conor, primo operatore italiano nei servizi alla ristorazione, che a sua volta controlla con capitale di maggioranza altre altre 3 società operanti nello stesso settore: Conor Veneto, Conor Toscana e Conor Milano. Altra nota caratterizzante della cooperativa è rappresentata dall’attività di Centro Servizi svolta per tutte le società controllate con funzioni di amministrazione, finanza, controllo di gestione, tesoreria e assistenza tecnica; un servizio che permet-

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te di generare maggior efficienza, risparmiando risorse nella gestione da poter reinvestire nell’acquisto di hardware e software, strumenti alla base del valore aggiunto aziendale. La cooperativa infine è completamente integrata a monte e a valle: da una parte i soci produttori e dall’altra le società commerciali con un controllo completo dell’intera filiera. “Si tratta di un aspetto fondamentale per chi deve soddisfare tutte le esigenze richieste dagli operatori della ristorazione, che esigono una serie molto ampia e specifica di prodotti/servizi, che non potrebbero mai essere garantiti in maniera efficiente da una singola cooperativa senza venire a meno all’obbligo, impostole dalla sua stessa natura giuridica, di maggior ricavo da attività a mutualità prevalente”, precisa il presidente Lauro Guidi.

LAURO GUIDI

Sessantaseienne, originario dell’alta provincia bolognese, Lauro Guidi ha iniziato a lavorare fin dall’età di 14 anni come agricoltore nell’azienda agricola di famiglia ad Altedo. Nel 1996, a 43 anni, spinto da un ambizioso desiderio di mettersi in gioco, ha intrapreso la carriera in Cooperativa affrontando un lungo percorso di formazione e crescita con grande umiltà e passione. In pensione dal 2015 è rimasto al servizio dell’azienda con l’incarico di presidente della capogruppo oltre che con deleghe in società controllate. Fedele al suo carattere pragmatico e in coerenza con i valori etici e morali che lo hanno sempre accompagnato, Guidi ha già annunciato di voler lasciare la presidenza a fine mandato, il secondo, in scadenza nel giugno 2021.

della cooperativa bolognese, precisando: “Sono molteplici le minacce che mettono a rischio il comparto agricolo e in particolare la produzione ortofrutticola. Tra le principali la bassissima marginalità netta del settore, la competizione sui mercati esteri e domestico, il cambiamento climatico e tutte le conseguenze ad esso associate”. Viene dalla campagna Guidi. Non gli interessa tanto illustrare i successi raggiunti, preferisce approfondire le condizioni della produzione, che lo preoccupano e hanno maturato in lui un’analisi attenta. Sulla questione della redditività dei produttori spiega: “Posto che i beni alimentari sono anticiclici, dunque vissuti come un bene rifugio nei periodi di difficoltà economica, non bisogna dimenticare che la redditività finale è imparagonabile rispetto a quella di altri comparti, con rapporti fino a uno a dieci rispetto alle imprese del manifatturiero. Tutto ciò ha non pochi effetti negativi: dall’abbandono delle produzioni ortofrutticole a favore dei seminativi da parte degli imprenditori agricoli alla scarsa disponibilità della manodopera, maggiormente attratta da alternative più remunerative, fino all’incapacità economica aziendale di far fronte a investimenti strategici per il futuro delle imprese. La mancanza di competitività che ne consegue porta ad un’ulteriore contrazione dei rendimenti”. “Le nostre aziende - sottolinea il presidente di Agribologna - hanno una media fondiaria di circa 20 ettari; pur essendo un’estensione abbastanza elevata rispetto alle dimensioni nazionali, talvolta non è sufficiente per poter impiegare risorse in attività e strumenti volti all’abbattimento dei costi, al miglioramento della qualità finale e alla maggior attrattività sui mercati internazionali. La maglia poderale frammentata, ereditata dai piani agrari degli anni ‘60, è uno svantaggio pesante che AgriSettembre-ottobre 2019


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Chiediamo: quali strategie si possono mettere in atto per cercare di superare una congiuntura così critica? “Innanzitutto credo sia necessario investire in tecnologie, siano esse macchine per l’automazione o sistemi di protezione per la difesa degli impianti, a favore di una maggiore tutela delle aziende agricole nei confronti delle minacce di cui si diceva poc’anzi e per invertire un circolo vizioso pericoloso per l’intero sistema. Inoltre, ad oggi non è più possibile ragionare a livello territoriale ma bisogna pensare in termini di bacini transnazionali. Se parliamo di ortofrutta non si può ignorare che l’Italia è al centro dell’area Mediterranea, una delle zone di produzione più grandi del mondo, dove a fronte di una resa ortofrutticola elevatissima non vi è una domanda al consumo equivalente. La soluzione dunque è l’export? Sulla carta sì, ma non sempre è possibile. In questo senso sarebbe urgente un serio impegno da parte della politica per sbloccare nuovi accordi bilaterali. Ma forse non sarebbe comunque sufficiente. Il nostro Paese è a tre giorni-merce dal Marocco, a quattro dall’Egitto e così via; una distanza piccolissima ma con differenze di costi di produzione abissali. Per riuscire a competere in questo scenario dovremmo avere una struttura commerciale molto forte. A tutto ciò va infine Settembre-ottobre 2019

Confezioni di IV Gamma di frutta in cui il gruppo Agribologna è leader

sommata l’incapacità del settore di trasferire al consumatore in modo efficace un messaggio di valorizzazione dell’italianità del prodotto che, in quanto tale, deve essere pagato al giusto prezzo. Se infatti si vuole mangiare un prodotto buono, tracciato e italiano non si può pensare di spendere poco. Purtroppo però la polarizzazione dei consumi conferma che tale comunicazione non è arrivata”. Agribologna, da parte sua, come affronta questa situazione? “Stiamo lavorando per allargare la nostra base sociale coinvolgendo territori dove finora non siamo ancora presenti. L’idea è crescere al Centro Sud per completare il nostro paniere garantendo un’offerta completa e continuativa, un servizio fondamentale per il canale Horeca. Stiamo inoltre facendo una serie di investimenti infrastrutturali in capo a Conor per la realizzazione di piattaforme di 2/3mila metri quadrati in aree strategiche per la ristorazione. A breve sarà inaugurato il nuovo stabilimento all’interno del CAR di Roma e lo stesso discorso, anche se con diverse tempistiche, lo si sta valutando su Milano. Ulteriori sforzi saranno rivolti all’acquisizione di nuovi mercati e nuovi spazi commerciali per crescere e stabilizzare le nostre attività nel tempo. Infine continueremo a incentivare investimenti da parte dei soci in tec-

nologie e macchinari agevolando loro l’utilizzo di strumenti per l’accesso al credito”.

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bologna da sola non può risolvere nonostante tutti gli sforzi”. A questa preoccupazione si aggiungono le conseguenze del cambiamento climatico con fenomeni meteorologici estremi e l’invasione di insetti patogeni alieni: “L’utilizzo di sistemi produttivi innovativi e attrezzature idonee sottolinea - è indispensabile a questo proposito, ma sebbene si sia assicurati, non si può pensare di poter restare sul mercato registrando annate con produzione azzerata a causa di avvenimenti catastrofici”.

Quando parla di acquisizione di nuovi mercati a che cosa pensa? “Ad oggi siamo ancora poco presenti oltre confine, con un volume commercializzato pari al 4% del totale, per la maggior parte generato in Europa dell’Est, Francia e Germania. Finora l’attività estera è stata gestita da Conor ma stiamo studiando un piano più strutturato, che potrebbe essere già implementato dalla metà del prossimo anno, quando potremo mettere a sistema una serie di informazioni al momento riservate. Viceversa, rispetto all’attività di importazione, Conor ha attivato da tempo un’unità di business per l’acquisto diretto dall’Emisfero Sud (ananas, banane, arance e altri prodotti in controstagione), così da garantire una completa tracciabilità dell’ortofrutta e una maggior qualità della materia prima”. Un altro modo attraverso il quale Agribologna genera valore è la produzione di IV Gamma, in particolare di frutta. “Nel 2009 è stato aperto lo stabilimento di San Pietro in Casale dedicato alla produzione di frutta di IV Gamma a marchio Fresco Senso. Nel tempo siamo diventati i primi operatori in Italia del segmento. La produzione è gestita dalla cooperativa mentre a livello www.corriereortofrutticolo.it

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Agribologna si è preoccupata di trasferire valore ai soci conferitori, ciò però non basta a risolvere i problemi dei produttori

commerciale le funzioni sono ripartite tra Conor e Agribologna. In questi 10 anni l’impianto è stato ampliato due volte e a marzo 2018 ha raggiunto il massimo della sua potenzialità: una struttura di 4mila metri quadrati completamente attrezzata con macchinari all’avanguardia per il taglio, la lavorazione e il confezionamento della frutta e con una capacità produttiva compresa tra le 3.000 e le 4.000 tonnellate annue di prodotto finito. Per ora non abbiamo in mente ulteriori ampliamenti, né degli spazi né della linea di prodotti; siamo concentrati nell’esprimere al meglio la produttività in termini di automatizzazione delle fasi e di efficienza del processo produttivo per raggiungere rese sempre più

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elevate, miglioramenti qualitativi e nuove linee di prodotti (per questo motivo è in fase di sperimentazione un nuovo prototipo per il confezionamento). La stagione estiva è andata molto bene e per fine 2019 è prevista una produzione totale intorno alle 2.400 tonnellate. Nonostante un mese di maggio meno performante rispetto alla media degli ultimi 5 anni, gli altri mesi hanno

“Se il consumatore vuole mangiare un prodotto buono, tracciato e italiano, non può pensare di spendere poco. Purtroppo questo messaggio non è pervenuto”

permesso un totale recupero. Le vendite di frutta di IV Gamma sono purtroppo ancora molto legate al clima e dunque hanno un andamento marcatamente stagionale: il rapporto di produzione, che rispecchia quello di vendita, tra il mese più basso e quello di picco è in rapporto 1 a 3. Inoltre le logiche che sottendono l’acquisto di frutta fresh-cut, scelta prevalentemente per la sua qualità organolettica, sono completamente diverse da quelle relative all’acquisto dell’insalata in busta. Il contenuto di servizio percepito in quest’ultima proposta è maggiore in quanto viene premiata la praticità d’utilizzo di un prodotto che in ogni caso non è consumato tal quale ma perlopiù abbinato ad altri ingredienti e condito”.

Settembre-ottobre 2019


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ATTILIO PAGNI. Il giovane manager della ABC guarda al futuro

Le sfide del grossista Mariangela Latella Pronto al via il piano di espansione di Alimentari Ortofrutticoli ABC SpA, storico importatore di frutta esotica e in contro-stagione, uno tra gli operatori di spicco della commercializzazione ortofrutticola nazionale nonché azienda leader tra i grossisti del CAR di Roma. La strategia di espansione, che porta la firma di Attilio Pagni, responsabile commerciale del Gruppo, punta a raddoppiare il trend di crescita del fatturato che quest’anno chiuderà con un +10% superando la soglia dei 50 milioni di euro e arrivare quindi, in due anni, al +20% annuo attraverso l’apertura di nuovi posteggi nei principali Mercati italiani e di un nuovo magazzino nel Nord Italia per la maturazione delle banane, lo stoccaggio e il confezioSettembre-ottobre 2019

Articolato piano di sviluppo della storica ditta di importazione di frutta esotica e in controstagione con posteggio al CAR di Roma, gestita dalla quarta generazione della famiglia Pagni

Sopra Atttilio Pagni. Qui, Cherubino Pagni, il bisnonno fondatore della ABC

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COPERTINA

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CHI è ABC

È l’acronimo di Azienda Banane Coloniali. L'azienda infatti è nata nel 1925 come società di importazione e maturazione di banane. Si è sviluppata durante il boom economico degli anni ‘60 e ’70 con la creazione di uno stabilimento, allora considerato futuristico, di circa 10mila metri quadrati all’interno del GRA nel quartiere della Magliana non lontano dai vecchi Mercati Generali di Roma. La famiglia Pagni è all’origine di questa azienda e la continua a gestire. I Pagni sono originari di Altopascio, un paese dell’alta Toscana, nel secolo scorso terra di importatori e di maturatori di banane. Dalla gestione lungimirante del fondatore Cherubino Pagni ad oggi molte cose sono cambiate ma la famiglia è sempre rimasta legata ad un approccio del mercato che guarda in avanti. La gestione commerciale oggi è portata avanti sotto la guida dei cugini Attilio e Cherubino Francesco Pagni. ABC SpA oggi è sicuramente un’azienda leader tra gli importatori di ortofrutta in Italia e anche uno dei maggiori operatori grossisti del CAR di Roma grazie ai suoi 4 posteggi. Commercializza banane e frutta eso-

namento dell’ortofrutta, che si aggiungerà a quello storico di Roma. Il piano di espansione prevede anche la diversificazione dell’attività con un approccio inedito al mondo produttivo, tramite la partecipazione ad un progetto di vertical farming, e una strategia per il mondo digitale. Ce ne parla lo stesso Attilio Pagni in una intervista esclusiva per il Corriere Ortofrutticolo. Quali obiettivi stanno alla base del piano di espansione di ABC?

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tica in Italia sia attraverso il canale tradizionale che attraverso la GDO che oggi ha conquistato il 50% del suo fatturato di oltre 50 milioni di euro. Con il responsabile commerciale Attilio Pagni, l'azienda sta passandoda una gestione famigliare a una manageriale. L'azienda, dopo essersi affermata come uno dei principali distributori ortofrutticoli del Centro Italia, arrivando a movimentare circa 1,5 milioni di cartoni di banane e altre varietà di frutta esotica oltre ad agrumi, pere e meloni d’Oltremare, con una forte presenza anche nel Sud, oggi punta a rafforzare il business nel Nord della Penisola e, in prospettiva, nell’Europa Centro-Settentrionale.

ATTILIO PAGNI

Attilio Pagni, quarta generazione di importatori ortofrutticoli, si definisce "un ragazzo di 37 anni, ambizioso ma anche umile, alla continua ricerca di migliorare se stesso e l’azienda grazie alla passione che ogni giorno mette in ciò che fa". Gestisce l’azienda di famiglia da dodici anni, da quando, appena laureato in economia aziendale e dopo un periodo di gavetta, è subentrato alla gestione del padre facendo-

“Le aziende nel nostro settore per competere sul mercato e non correre rischi devono strutturarsi in una certa maniera e crescere in fatturato, senza però perdere quei valori per noi fondamentali che sono il rispetto e la massima attenzione nei confronti dei fornitori, dei clienti e dei dipendenti. La nostra è sempre stata un’azienda a conduzione famigliare ma già da qualche anno abbiamo iniziato a riorganizzarla in un modo più manageriale, come il mercato richiede. Intorno a questo abbiamo cucito un piano di

si carico, nonostante la giovane età, di un gruppo commerciale che oggi è in una logica di grande crescita. Primo di tre fratelli e, al momento, unico tra loro ad occuparsi dell’azienda di famiglia, segue le orme dei suoi predecessori con certosina dedizione anche se non disdegna di cercare nuovi orizzonti. Due anni fa si è iscritto ad un master executive MBA della Bocconi proprio con l’obiettivo di allargare la propria visione. Seguendo i consigli del nonno e del padre, suoi maestri di vita e di lavoro, ha sviluppato il canale distributivo della GDO che oggi rappresenta il 50% del fatturato aziendale, senza però tralasciare la clientela del mercato tradizionale. Alla fine degli anni Novanta erano arrivate ad essere sette (Roma, Fondi, Rimini, Bologna, Verona, Cagliari, Milano) le basi operative nei più importanti Mercati d’Italia, negli anni successivi queste sono state ridotte alle due attuali (Roma e Fondi). Con il piano industriale di cui si scrive in queste pagine, Attilio Pagni è impegnato in prima persona a porre le basi per l’apertura di nuovi posteggi e di un secondo stabilimento. (m.l.) sviluppo che prevede l’incremento della distribuzione verso il Nord della penisola e il consolidamento della posizione nel Centro e nel Sud d’Italia che sono storicamente i nostri territori di riferimento”. Come pensate di raggiungere questi obiettivi? “Per prima cosa abbiamo rafforzato il team dedicato alle vendite, agli acquisti e alla logistica. Difatti entro la fine dell’anno in corso saranno sei i nuovi inserimenti, con un giusto mix tra giovani inSettembre-ottobre 2019


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Dove lo costruirete? “Non posso entrare nei dettagli perché le operazioni non sono ancora concluse. Guardiamo ad alcune aree del Nord, per colmare un gap logistico che dobbiamo superare per poter implementare il dialogo con la GDO del territorio”. Dunque come state procedendo? “Stiamo lavorando per strutturare una rete logistica che si articolerà, in una prima fase, nell’apertura di due posteggi di vendita all'ingrosso, che entro l’anno si aggiungeranno ai tre di Roma, anzi quattro perché ci hanno appena assegnato il bando per un quarto posteggio. Poi arriverà anche il nuovo stabilimento. Pensiamo a una struttura di almeno 4 mila mq con possibilità di essere ampliata, deve essere una struttura utile per servire i nostri clienti dei Mercati e della GDO”. ABC è un operatore grossista di primo piano in Italia e sta diversificando in modo interessante. Ma in generale, come ritiene stia evolvendo il dialogo tra grossisti ed enti gestori dei Centri agroalimentari anche in relazione all’ampliamento dei servizi da parte di questi ultimi? “I Mercati all’ingrosso stanno facendo operazioni importanti. Il CAR di Roma, ad esempio, con il direttore generale Pallottini si è mosso molto bene in questo senso, creando una struttura di riferimento per gli operatori del mercato tradizionale ma capace anSettembre-ottobre 2019

che di attrarre l’attenzione della GDO, di grandi operatori dell'import, di operatori del settore biologico e anche di altri settori del food fresco. Molte cose però potrebbero ancora essere migliorate. Il passaggio ad un orario diurno 52 settimane l’anno seppur con qualche perplessità iniziale da parte di qualche operatore, ha contribuito a rendere il nostro settore più attrattivo per i giovani e a ridare agli operatori uno stile di vita più naturale. Il caso positivo del CAR di Roma dovrebbe essere un esempio da imitare anche in altre città, in altri Mercati.” Ha parlato di bio, un settore che si sviluppa anche dentro il CAR. Avete qualche progetto in questa direzione? “Siamo un’azienda certificata bio e maturiamo e distribuiamo alcune referenze bio, ma la nostra attenzione in questa fase è anche rivolta ad un altro orizzonte del mondo produttivo”. Quale? “Stiamo valutando se entrare in una start-up innovativa, che dopo un lungo periodo di test in laboratorio, sta costruendo alle porte di Milano una struttura di vertical farming in idroponico di circa 2.000 metri quadrati. Si tratta di un progetto di fornitura a km zero di baby leaf, germogli vari e erbe aromatiche che dovrebbe riguardare più città italiane. Se le risposte corrisponderanno alle aspettative, si potrebbero costruire altre strutture simili in altre località, tanti piccoli punti produttivi attaccati ai centri urbani. C’è molta attenzione al vertical farming e, anche se in Italia è ancora poco diffuso, so che funzionerà. Intendiamo essere tra i precursori di questo tipo di agricoltura alternativa e altamente sostenibile”. Ci sta dicendo che sta entrando anche nel settore della IV Gamma? “Non esattamente. La nostra pas-

sione è l’ortofrutta ma e non abbiamo competenze specifiche per entrare direttamente nella produzione. Potremmo però entrare in questo nuovo business con il nostro know-how, che è quello della commercializzazione”. Lei ritiene che le serre verticali possano essere adiacenti ai Mercati all’ingrosso? “Non a Milano ma non è escluso che possa succedere negli eventuali sviluppi”. Che tempi si prevedono per la partenza operativa di questo progetto? “La start-up sta già costruendo l’impianto di Milano che entrerà in produzione entro la prima metà del 2020. Stiamo valutando se entrare in questo gruppo di amici imprenditori. Lo decideremo a breve. Vediamo bene questo filone di attività nella nostra strategia di espansione”.

PROTAGONISTI - OTTOBRE

traprendenti con tanta voglia di imparare un lavoro difficile ma al contempo affascinante come il nostro, e degli executive con più anni di esperienza alle loro spalle. Ci stiamo dedicando al miglioramento dei servizi in chiave logistico-distributiva e abbiamo in progetto l’apertura di posteggi nei principali Mercati all’ingrosso oltre che un secondo stabilimento di maturazione banane, stoccaggio e lavorazione di frutta”.

Vede la possibilità che questo tipo di attività si sviluppi anche nel Sud Italia? “In generale non si può escludere ma da parte nostra, qualora decidessimo di far parte di questo bel progetto, credo sia opportuno prima valutare il test di Milano. Intanto dobbiamo essere sempre più concentrati sul nostro core business. La nostra azienda è storicamente focalizzata su prodotti di importazione esotici e sulle campagne d’Oltremare di agrumi, pere e meloni. La nostra idea, pensando al Sud, è di iniziare a guardare di più anche alle produzioni nostrane, specie quelle di nicchia”. In questo scenario di progetti, trova una sua collocazione l’ecommerce? “È difficile e oneroso farlo nel nostro settore. Realtà importanti stanno investendo tanto e con successo. Il settore mi affascina ma preferisco farlo fare a chi ha le competenze. Però sulle piattaforme digitali possiamo riflettere”. www.corriereortofrutticolo.it

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I prezzi non tengono, l’estero pure Che faticaccia questo 2019 Emanuele Zanini L'uva da tavola soffre: i consumi non decollano, ristagnano all'interno di un mercato pigro, nonostante la qualità del prodotto risulti più che buona, in certi casi ottima. A pagarne le conseguenze sono come sempre i prezzi, bassi, definiti da alcuni operatori “vergognosi”. Il favoloso 2017 sembra lontano anni luce, mentre lo scorso anno è stato da dimenticare a causa soprattutto dei frequenti fenomeni di cracking che hanno compromesso buona parte del raccolto. In questa annata non si sono registrati particolari problemi, ma alla resa dei conti il settore sembra arrancare. Giacomo Suglia, vice presidente di Fruitimprese e presidente di APEO, l'associazione che raggruppa gli esportatori ortofrutticoli pugliesi, è sconsolato: “Si prospetta un calo produttivo significativo che potrebbe toccare Settembre-ottobre 2019

Gli specialisti dell’uva da tavola faticano a coprire i costi. Il mercato interno perde circa il 20% dei consumi e se non si trovano nuovi mercati saranno dolori

Nicola Giuliano: “Sulla seedless i concorrenti straneri ci mettono in difficoltà”

il 30 per cento. Una percentuale che si rispecchia ahimè nei consumi. Un vero motivo non c'è. La qualità è ottima: il grado brix me-

dio è elevato, affiancato da un equilibrio tra acidità e zuccheri. Ma la merce non si vende bene”. Nicola Giuliano, titolare della www.corriereortofrutticolo.it

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UVA DA TAVOLA

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Suglia: “Questa politica ci umilia e ci offende” Si sente umiliato e offeso dal trattamento che subisce l'ortofrutta italiana e nello specifico l'uva da tavola nazionale. Barriere fitosanitarie ancora invalicabili, accordi bilaterali con Paesi strategici ancora assenti o in estremo ritardo, con conseguenti occasioni perse in aree fondamentali e ormai imprescindibili per l'export ortofrutticolo italiano come l’Asia. E l’amarezza cresce. Giacomo Suglia (nella foto), imprenditore pugliese, presidente di APEO e vice presidente nazionale di Fruitimprese, affonda il dito nella piaga: “È assurdo che un Paese come il nostro, in prima linea nel rispetto dei disciplinari, di regolamenti e certificazioni, non abbia ancora la possibilità di esportare la propria merce in nazioni chiave come la Cina. Nello stesso tempo è mortificante vedere altri Paesi che invece inviano i loro prodotti nel Paese asiatico mentre noi siamo fermi al palo". E puntualizza: “Vediamo se questo governo ha la volontà concreta di sbloccare la situazione. Serve mettere attorno ad un tavolo le associazioni di categoria, a partire da Fruitimprese, e gli operatori che da tempo chiedono alla politica di agire per aprire nuovi mercati”. Il presidente di APEO insiste: “Andare avanti con un dossier alla volta è una follia. Così non andiamo da nessuna parte. Serve aprire le porte a tutta l'ortofrutta italiana. Serve insomma un grande accordo per l'ortofrutta”. Il settore sta pagando lo scotto di

essersi visto sorpassare da Paesi competitor nella corsa alla Cina e ad altri mercati extra UE. Suglia precisa: “Siamo il terzo Paese al mondo per produzione di uva da tavola e nell’ingresso nel mercato cinese veniamo scavalcati perfino dal Portogallo, che su questo prodotto di certo non può essere paragonato alle nostre produzioni. Una situazione assurda. Gli operatori italiani sono presenti in massa alle fiere di settore, sono dotati di uno spiccato spirito imprenditoriale ma il tutto non viene nemmeno compreso dalla politica. Ci sentiamo offesi. I ministeri, dall’Agricoltura allo Sviluppo Economico, devono fare la loro parte e intervenire con forza. Subito”. Per l’uva tavola nazionale la chiusura del mercato russo è ancora una ferita aperta. E questa è la conclusione del presidente di APEO: "Il mercato europeo non basta, così come il Medio Oriente. Dobbiamo spingerci più in là: Cina in primis, ma anche Giappone, Vietnam, Thailandia. Finora è stato fatto troppo poco. Bisogna creare alleanze e accordi bilaterali in fretta, altrimenti, per noi, per l’uva da tavola italiana, per l’intero settore rischia di essere troppo tardi”. (em.zan.)

Giuliano Puglia Fruit di Turi (Bari), traccia un quadro della stagione premettendo che l'annata è partita con una quindicina di giorni di ritardo a causa di una

primavera piuttosto fresca con temperature sotto la media. Il clima più rigido del solito ha influenzato la fertilità delle piante e il conseguente mancato pieno svi-

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luppo degli acini sui grappoli e scarsità di volumi per ettaro. Un fenomeno che si è accentuato sulle uve con seme, dove il calo anche per Giuliano è stimabile intorno al 30%: “La produzione, comunque, dall’inizio della campagna è di ottima qualità organolettica grazie al bel tempo che alla fine ha scongiurato problemi di muffe o cracking favorendo invece un elevato grado brix”. I programmi prevedono di arrivare con le vendite fino alla fine delle feste natalizie. Secondo le indicazioni dell'imprenditore barese l'uva con seme ha dunque subìto maggiormente le conseguenze delle basse temperature primaverili producendo chicchi con calibri inferiori alla media: “Con le seedless, invece, il livello qualitativo è buono come negli ultimi anni ed è addirittura ottimo per quanto riguarda le nuove varietà come Pristine, Autumn Crisp, Sweet Celebration, Allison e Scarlotta”. Giuliano conferma: “L’andamento commerciale per le uve

con seme è abbastanza pesante. l calo dei consumi è intorno al 20%. In taluni casi i prezzi non coprono i costi di produzione. In particolare sta soffrendo molto Settembre-ottobre 2019


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Esportazioni fondamentali: oltre il 50% La produzione italiana di uva da tavola si concentra in due grandi poli di produzione, Puglia e Sicilia, che rappresentano più del 90% della superficie agricola dedicata a questa coltura e che insieme consolidano poco meno di un milione di tonnellate (600 mila la prima, circa 370 mila la seconda). Lo sforzo in atto dell’intera filiera italiana per un continuo miglioramento qualitativo è necessario anche per la consistente quota di export (oltre il 50%) che questo comparto esprime e che va assolutamente strutturata ed implementata con l’apertura di nuovi mercati. Lo sottolinea Ortofrutta Italia che in settembre ha lanciato una campagna di comunicazione e promozione a favore dei consumi interni coinvolgendo alcune migliaia di punti vendita a livello nazionale. Ma, come sottolineano i due imprenditori di riferimento che abbiamo intervistato, i consumi interni, nonostante questo, languono e l’export - così importante per questo prodotto - è in difficoltà.

Le temperature sotto la media della scorsa primavera hanno influito negativamente sullo sviluppo degli acini e la resa per ettaro. La qualità intrinseca non basta a convincere il consumatore re cargo per l’ortofrutta fresca. Spediamo già Oltremare, come ad esempio in Canada o Stati Uniti. Ma per farlo dobbiamo ca-

ricare i nostri containers a circa 500 chilometri di distanza, trasportando la merce su mezzi che a loro volta fanno diversi scali e che per raggiungere la destinazione mettono molto a rischio la qualità del prodotto e la certezza dei giorni di viaggio”. “Stiamo facendo molta pressione - sottolinea ancora Giuliano - per sottoscrivere protocolli di intesa per poter spedire in mercati virtuosi, come la tanto chiacchierata Cina, ma in realtà quando avremo il protocollo probabilmente non sapremo come fare a far arrivare a destinazione la nostra uva in tempi compatibili con i giusti standard qualitativi. Stiamo mettendo il carro davanti ai buoi”. Nonostante i problemi, il Gruppo dell’imprenditore pugliese porta avanti progetti importanti: “Di recente abbiamo sottoscritto accordi con tutti i migliori ricercatori e breaders del mondo per poter coltivare le migliori varietà nelle nostre aziende e poterle far coltivare ai produttori della OP. Quest'inverno impianteremo nuove varietà, che sembrano molto interessanti, selezionate dai nostri due gruppi di ricerca e dal consorzio Novaut che ha cofinanziato la ricerca pubblica del CREA di Turi, i cui frutti importanti cominceremo a raccogliere nel 2021”. Nel frattempo l'azienda si sta dedicando ad uve dai sapori e dal gusto che Giuliano definisce ’speciali’. L'obiettivo è creare segmenti premium all’interno dei supermercati con uve con caratteristiche eccellenti che all’estero possano spuntare prezzi compatibili con i costi di produzione italiani. “Abbiamo bisogno - conclude Nicola Giuliano - anche di comunicare al meglio ai consumatori il cambiamento che sta avvenendo in una regione tradizionalista come la Puglia e preavvisarli che i prossimi anni avremo la possibilità di avere a disposizione delle varietà che sicuramente influenzeranno il consumo della frutta in generale”. www.corriereortofrutticolo.it

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l’uva Italia e pensiamo che questo sia dovuto alla mancata presenza di un calibro sostenuto, aspettativa che è venuta meno da parte dei clienti e consumatori abituati a pezzature importanti. Anche nella varietà Pizzutella, che non ha subìto danni estetici e che si presenta quest’anno con standard qualitativi in linea con quelli degli ultimi anni, si nota una piccola flessione negativa dei consumi intorno al 5%”. Secondo Giuliano il consumo delle uve senza semi mostra comunque un trend sempre in crescita, soprattutto per le varietà di alta gamma: in Italia con una crescita intorno al 10%, mentre all’estero, che già consuma nella maggior parte solo uva senza semi, si registrano incrementi intorno al 15%. “Sul mercato estero, però, è molto pesante la pressione dei prezzi dovuta chiaramente ai Paesi produttori esteri che possono offrire la stessa uva a prezzi più competitivi. In generale il consumo dell’uva senza semi sta crescendo parecchio, particolarmente nei mercati del Centro-Nord Europa, ma questo sta andando quasi esclusivamente a vantaggio dei nostri Paesi concorrenti e poco della produzione italiana”, osserva con una certa amarezza Giuliano che entra così ad analizzare le esportazioni italiane nel comparto uva. Sull'export pesa molto la sempre più agguerrita concorrenza di Paesi come Turchia, Grecia e Spagna, che stanno scalando il Belpaese come punto di riferimento nell'approvvigionamento del prodotto da parte degli importatori. La possibilità di aprire nuovi mercati, fuori dall'Europa, spesso oberata dall'offerta, appare anche a Giuliano una strada imprescindibile. Tuttavia sottolinea: “Per noi pugliesi bisognerebbe prima pensare alle infrastrutture adatte ad accogliere ortofrutta deperibile. Abbiamo molti porti, ma nessuno sul quale si possa caricare il nostro prodotto. E i nostri aeroporti non sono in grado di ospita-

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L’AVANZATA DEI TEDESCHI. Punti vendita Lidl: +30% in cinque anni

Non solo la Nazionale Tiene bassi i prezzi ma vola alto. E cresce, cresce, con attenzione alla sostenibilità ambientale che oggi è un fattore di sviluppo. Chi? Lidl. Un fenomeno nel mondo ma anche in Italia, dove è presente da 27 anni e va decisamente controcorrente: l’Italia va indietro, Lidl Italia va avanti. Lo dicono i fornitori: "Grazie a Lidl il made in Italy agro-alimentare fa il giro del mondo. Lidl ci ha fatto crescere all’estero. Dobbiamo dire grazie a Lidl”. E non è più un caso, a questo punto, che una catena di origine tedesca arrivi a essere, tra l’altro, fornitore ufficiale di ortofrutta della Nazionale di calcio, facendone un appropriato fattore di comunicazione e di immagine. Di Lidl si è parlato il 3 ottobre a Milano, al Palazzo dei Giureconsulti, al convegno dal titolo: “Il contributo di Lidl alla creazione di valore e allo sviluppo sostenibile in Italia”. Partiamo dai dati. Lidl Italia nel Settembre-ottobre 2019

La sponsorizzazione degli Azzurri ha portato nuova immagine al discount tedesco che nel 2018 ha fatturato in Italia 4,7 miliardi di euro diventando la quinta azienda italiana per tasso di crescita

Massimiliano Silvestri, presidente di Lidl Italia. Sopra, il main sponsor della Nazionale di calcio si presenta al nuovo allenatore Roberto Mancini

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de in Italia. “Questi risultati testimoniano l’impegno e la visione di Lidl che da oltre 25 anni è non solo un importante motore di crescita economica per il nostro Paese, ma anche un’azienda da sempre attenta a valorizzare il territorio, promuovendo innovazione e progresso lungo tutta la filiera distributiva e creando nuovi posti di lavoro”, ha dichiarato da parte sua Massimiliano Silvestri, presidente di Lidl Italia. “Abbiamo superato la quota di 16 mila collaboratori e la nostra politica di assunzioni prevede in media l’inserimento di oltre 2.000 persone ogni anno, con un impatto molto significativo per l’occupazione italiana: ogni posto di lavoro creato da Lidl, ne attiva altri 4 nell’intera economia, per un totale di 82 mila generati negli ultimi 5 anni con effetto diretto, indiretto ed indotto. Il percorso intrapreso sino ad oggi non lo consideriamo un traguardo, bensì un primo passo verso nuove sfide e nuovi obiettivi”. E veniamo alla sostenibilità. Le fonti rinnovabili sono il 100% dell’approvvigionamento di energia elettrica di Lidl, che negli ultimi 6 anni ha evitato 620 mila tonnellate di emissioni. “Nel corso degli ultimi cinque anni, abbiamo investito 1,6 miliardi di euro sul territorio italiano e, considerato il piano da oltre 350 milioni previsto per questo esercizio, il volume complessivo salirà a circa 2 miliardi di euro”, ha dichiarato Luca Boselli, amministratore delegato Finanza di Lidl Italia. “Grazie a

questo programma di sviluppo, Lidl Italia è riuscita a perseguire una crescita economica virtuosa, offrendo un contributo concreto ad un’economia sensibile alla tutela del capitale ambientale. Lo sviluppo sostenibile è un valore non solo da enunciare ma da perseguire con fatti concreti, costanza e determinazione”. Significativo è anche il contributo alla circolarità: le attività immobiliari di Lidl sono orientate ai target di zero consumo netto di suolo previsti per il 2050 dalla Commissione Europea (le nuove strutture sono costruite sfruttando meno dell’80% del potenziale volume edificabile). Ha moderato l’incontro Jole Saggese, caporedattore di Class CNBC e hanno partecipato Massimiliano Silvestri, presidente Lidl Italia e Luca Boselli, ad Finanza Lidl Italia, Roberta Cocco, assessore alla Trasformazione Digitale e Servizi Civici del Comune di Milano, Ferruccio de Bortoli, editorialista del Corriere della Sera, Giuliana Malaguti, responsabile Comunicazione Banco Alimentare, Vittore Beretta, presidente del Salumificio Fratelli Beretta e Stefano Martini, head of Circular Economy Lab di Intesa Sanpaolo Innovation Center. A Lidl gli italiani riempiono il carrello, verissimo, ma c’è anche l’impegno di Lidl oltre il carrello, contro lo spreco. E anche questo ha il suo valore nell’economia che oggi è premiante, l’economia circolare. (a.f.)

DISTRIBUZIONE

2018 ha realizzato 4,7 miliardi di euro di ricavi (+8,8% di crescita media annua negli ultimi 5 anni), posizionandosi come quinta azienda in Italia per tasso di crescita e 33.ma nel Paese per dimensione. Nel settore della GD, Lidl è al primo posto per tasso di crescita negli ultimi 5 anni e nona per dimensione. Altri dati: i punti vendita nel nostro Paese sono 650 presenti in 19 regioni con 10 piattaforme di distribuzione e sede centrale ad Arcole in provincia di Verona. Gli occupati sono 16 mila. Negli ultimi 5 anni i punti vendita sono aumentati del 30%. Nel solo 2018 gli investimenti nel nostro Paese sono stati di 425 milioni di euro. “Con l’80% dei prodotti in assortimento italiani, Lidl attiva un’estesa filiera di piccole e medie imprese, con un effetto indiretto e indotto rilevante nel nostro Paese”, ha dichiarato Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House - Ambrosetti, che ha organizzato il convegno. “Gli acquisti realizzati da Lidl hanno un effetto moltiplicatore del valore aggiunto pari a 3,4, con un contributo totale al PIL nazionale che cresce a 2,9 miliardi di euro: per ogni euro di valore aggiunto generato direttamente da Lidl se ne attivano 2,4 aggiuntivi nell’intera economia”, ha poi precisato De Molli. In un contesto di investimenti nazionali decrescenti sia pubblici sia privati, Lidl ha investito oltre 400 milioni di euro nel 2018, posizionandosi nella top-25 delle azien-

Il principale segreto della crescita di Lidl è il grande spazio dato ai fornitori locali I segnali di crescita di Lidl sono forti non solo in Italia ma a livello internazionale grazie anche alla politica di valorizzare i prodotti dei singoli Paesi e quindi le aziende di quei Paesi. Succede in Italia ma succede anche in Polonia, dove sugli scaffali il 70 per cento dei prodotti deriva da fornitori polacchi. Anche in Polonia come in Italia Lidl fa da traino all’ex-

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port di prodotti freschi trasferendo prodotti di un mercato su altri mercati dove è presente con i suoi punti vendita. Il Gruppo sta diventando un tramite notevole anche per lo sviluppo delle produzioni biologiche. Con una quota delle vendite globali bio del 16,5% Lidl è diventato il primo distributore di alimenti biologici in Spagna.

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Da un anno e mezzo in Italia, Aldi ha superato gli obiettivi che si era posta a marzo 2018 e ha raggiunto nel nostro Paese i 70 (dato aggiornato al 31 ottobre) punti vendita (concentrati in sei regioni del Nord) e i 1.600 dipendenti (con 10 mila ore di formazione di Aldi Accademia nel 2019). Tutto lascia presagire che la crescita continuerà, con una coerenza e perseguendo linee direttrici tipiche di questo soft-discount che riesce a proporre qualità e sicurezza alimentare prima ancora di prezzi abbordabili. Se ne è parlato a Milano, all’incontro dell'8 ottobre riservato alla stampa specializzata. Il coordinatore per l’Italia del settore acquisti, l’italo-svizzero Carlo Fallico, ha spiegato l’approccio di Aldi al mercato italiano, tutto teso a valorizzare i fornitori nazionali e il meglio dei loro prodotti, ma anche la chiara visione di Aldi nei confronti del consumatore italiano attraverso “una selezione virtuosa dell’assortimento unita ad affidabilità, semplicità e responsabilità” e linee esclusive tese a “offrire qualità eccellente al miglior prezzo”. Premessa. Il gruppo Aldi Sud conta più di 6.200 punti vendita in 11 Paesi e 4 continenti con circa 148.900 collaboratori in tutto il mondo. In Italia sono circa 1.900 i prodotti in assortimento. Il 75% dei prodotti alimentari nasce dalla collaborazione con fornitori italiani selezionati. Circa 120 sono le referenze di ortofrutta (con consegne giornaliere 7 giorni su 7) tra cui 15 biologiche. Aldi - ha sottolineato a Milano Carlo Fallico - porta in Italia una nuova esperienza di spesa, con un percorso che parte da un’attenta pre-selezione dei prodotti, fatta di essenzialità e responsabilità: “L’elemento distintivo del nostro forSettembre-ottobre 2019

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L’arrembaggio di Aldi, oltre gli obiettivi in soli 18 mesi Al 31 ottobre sono già 70 i punti vendita italiani del soft discount tedesco che con uno stile e una organizzazione tutti suoi incalza Lidl puntando sul rapporto ottimale qualità-prezzo

Aldi ha concentrato la sua espansione su sei regioni del Centro-Nord

Espansione non solo in Italia Crescita dalla Svizzera alla Cina L’espansione internazionale di Aldi va di pari passo con quella italiana ed in alcuni Paesi è anche più accelerata. In Svizzera, dove è presente dal 2015, Aldi ha pianificato di raggiungere i 300 negozi in dieci anni, come ha scritto in un recente articolo il “Corriere del Ticino”. In Cina Aldi è presente solo dal 2017, punta molto sull’area metropolitana di Shanghai dove è per ora presente con 5 negozi ma in pochi

anni aprirà anche in altre metropoli cinesi avendo progettato di arrivare in breve ad almeno 50 negozi. La formula del soft-discount non è quindi vincente solo in un’Europa dalla crescita economica al rallentatore ma anche in altri scenari dove l’economia cresce ben più in fretta, come in Oriente, nuovo perno dell’economia mondiale, e come nella piccola Svizzera che è uno dei Paesi più ricchi del mondo.

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mat è la capacità di concentrarsi sull’essenziale per poter proporre una gamma selezionata di prodotti con attenzione qualità, convenienza e freschezza. Ciò è possibile grazie ai valori chiave su cui Aldi poggia con coerenza il proprio operato: affidabilità, semplicità e responsabilità”. Il rapporto con i fornitori italiani, che sono per l’azienda i veri “custodi del gusto” e del cibo made in Italy, è “la chiave per garantire qualità e affidabilità ed è basato

Carlo Fallico, coordinatore Aldi per gli acquisti in Italia

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Presentate a Milano, in un incontro riservato alla stampa specializzata, le principali linee di prodotto che caratterizzano la presenza di Aldi in Italia valorizzando alimenti e specialità nazionali

su principi solidi e responsabili, e su relazioni di lungo termine”. L’incontro di Milano è servito a presentare alcuni fornitori italiani di Aldi raggruppati nelle 5 linee più rappresentative delle 30 linee esclusive a marchio proprio. Si tratta di Regione che Vai, con 78 referenze di cui 10 di ortofrutta, in particolare prodotti IGP e DOP; I Colori del Sapore, con 127 referenze 100% italiane di cui 70 di ortofrutta; Enjoy Free con alimenti senza glutine e senza lattosio; Natura Felice, con prodotti esclusivamente biologici; infine la linea Gourmet, con specialità dall’Italia e dal mondo. Non sono mancati gli assaggi dei diversi prodotti in questo incontro piacevole e concreto da cui si è ricavata la netta impressione di quanto sia forte e determinato l’impegno di Aldi nel nostro Paese. (a.f.)

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Carrefour Italia continua l’implementazione del Piano di trasformazione Carrefour 2022 annunciato a inizio 2018, firmando due accordi con Apulia Distribuzione e Etruria Retail, che permetteranno il consolidamento della propria rete ad insegna Carrefour Market e Carrefour Express in Calabria, Basilicata e Puglia, rafforzandone la presenza nelle regioni Toscana e Umbria. I nuovi 546 punti vendita, dal primo gennaio 2020 si andranno ad aggiungere ai 1.085 che costituiscono l’attuale rete di vendita di Carrefour Italia, confermando ulteriormente l’importanza di una presenza capillare su tutto il territorio italiano. Della rete franchi-

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sing di Etruria Retail, alcuni punti vendita manterranno l’insegna La Bottega. “L’annuncio rappresenta un momento fondamentale per il rafforzamento di Carrefour Italia sul territorio italiano, in cui crediamo fortemente” ha commentato il 3 settembre Gérard Lavinay, presidente di Carrefour Italia. “Ad un anno e mezzo dalla presentazione del progetto globale di Transizione Alimentare del nuovo piano strategico annunciato dal Gruppo, confermiamo quindi la profonda fiducia riposta in questo mercato e l’impegno verso i nostri clienti in Italia. Le attività verso un’alimentazione sostenibile sono in pieno sviluppo e, con quanto annuncia-

to, riusciremo a coinvolgere ulteriormente il Centro e il Sud Italia in questo processo di cambiamento epocale. Per continuare a implementare il Piano di Trasformazione presentato a inizio 2018 dal Gruppo, e consolidare ulteriormente la nostra presenza in Italia, è importante poter contare su partner di valore quali Apulia Distribuzione e Etruria Retail.” Il cambio insegna coinvolgerà i singoli imprenditori sul territorio in un importante piano di comunicazione verso le comunità locali di riferimento. I due separati accordi prevedono importanti sinergie a livello di acquisti, consentendo ad Apulia Distribuzione e ad Etruria Retail di accedere alle condizioni di acquisto di Carrefour Italia, e di distribuire prodotti a marchio Carrefour e prodotti della linea top di gamma “Terre d’Italia” che vive di un forte impulso di export.

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Blitz di Carrefour: 546 nuovi negozi

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Gli investimenti di Carrefour nel Sud: una grande sorpresa di Claudio Scalise* Settembre 2019. Mentre è iniziato il piano di assorbimento dei punti vendita Auchan in Conad, si registrano le prime conseguenze in termini di riposizionamento degli altri retailer sul mercato italiano. Con grande sorpresa ho letto dell’accordo tra Carrefour ed alcune reti di master franchising degli ex Simply Auchan: Apulia Distribuzione ed Etruria Retail. Sorpresa per due motivi: primo perché Carrefour torna ad investire in Italia ed in particolare nel sud che aveva abbandonato cedendo i propri Ipermercati alcuni anni fa. Secondo perché lo fa in un momento di bilanci difficilie durante un profondo piano di ristrutturazione dei propri punti vendita a livello europeo. L’operazione è rilevante perché si tratta di un numero di punti vendita particolarmente numeroso: 640 supermercati che entreranno nella famiglia Carrefour. Una rete presente nel sud: Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise (Apulia) e nel centro Italia: Toscana, Umbria ed alto Lazio (Etruria). Si tratta di un pacchetto con vendite complessive di oltre 1,1 miliardi di euro, che valgono circa il 20% del totale fatturato Carrefour precedente all’accordo. Un fatto di grande importanza, che va a compensare l’uscita di Auchan dal nostro Paese. Carrefour diviene l’unica catena straniera, che rimarrà sul merca-

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to italiano (esclusi i discount). Con questa mossa lancia un messaggio importante per cui l’Italia, viene considerata un mercato appetibile, in cui pur con nuove modalità, si può operare in modo fruttuoso. Una sfida di grande rilievo per il futuro. In un certo senso, la presenza di un retailer, di primo livello mondiale come Carrefour, credo vada visto come una opportunità anche per gli altri retailer della GDO e della Do italiani: contribuirà a stimolare la competizione e a mantenere una visione internazionale, in una logica competitiva legata non solo alla leva del prezzo. Non dimentichiamo che altrimenti gli unici competitor stranieri rimasti, sarebbero stati i discounter tedeschi. Dunque le prime conseguenze dell’affare Conad-Auchan, si cominciano a palesare, credo che però non finirà qui. Le difficoltà di bilancio degli ultimi anni, la crisi di alcuni format di vendita, la competizione dei discount sempre più agguerriti, i nuovi stili di consumo costringono a rivedere le strategie di diversi operatori. Questa situazione provocherà ulteriori scossoni nel panorama distributivo nel prossimo futuro. Auguriamoci che l’attenzione verso la qualità e l’innovazione dei prodotti freschi che sempre più diventano strategici per i bilanci dei supermercati si traducano in nuove opportunità per la nostra frutticoltura. *SGMarketing

Il volantino cartaceo perde quote Il volantino promozionale, sia esso cartaceo o digitale, si conferma una delle forme predilette nella comunicazione della GDO e infatti raggiunge l’80% delle famiglie italiane. Tuttavia sembra non fermarsi la crisi che ha colpito il volantino cartaceo negli ultimi anni e il trend è confermato dalla ricerca realizzata in collaborazione con Nielsen da ShopFully, la Drive-to-Store company leader in Italia e attiva anche con il brand DoveConviene, che rivela che solo il 17,6% dei volantini stampati viene letto dai consumatori, in calo rispetto all’ultimo dato disponibile del 2013 che citava un 25%. Tra i diversi touchpoint a disposizione dei retailer e apprezzati dal consumatore, infatti, il volantino rimane lo strumento principale per comunicare le promozioni: il cambiamento risiede nelle modalità di fruizione, che vede la carta cedere il passo alla consultazione digitale, specialmente tramite siti e APP. Dalla ricerca, presentata il 17 ottobre durante l’appuntamento con l’Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, emerge infatti che, rispetto al 2014, la penetrazione del volantino (sia cartaceo che digitale) sulla popolazione è aumentata soprattutto grazie al contributo dato dalla fruizione in digitale, che ad oggi risulta utilizzata dal 38% dei consumatori. Anche fra gli over 65, che sono la fascia d’età più legata all’utilizzo del volantino cartaceo, quest’ultimo subisce una contrazione di utilizzo dell'8%, rispetto al 2014. “La ricerca conferma come il mobile sia chiave per portare consumatori in negozio. I consumatori si sono spostati sul volantino online, commenta Marco Durante, Country Manager Italia di ShopFully. Settembre-ottobre 2019


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di Ottavio Guala* Lo stato di salute dei Centri Agroalimentari e dei Mercati all’Ingrosso non è certamente dei migliori: queste realtà, da sempre componente indispensabile del tessuto economico e sociale, stanno perdendo competitività e operatori. Per uscire da questa situazione è necessario intervenire in modo sostanziale sul sistema nel suo complesso, facendo scelte coraggiose, a partire dallo spostamento degli orari di apertura e dalla revisione del modello organizzativo. Oggi lavorare di notte non ha più le motivazioni presenti nel secolo scorso, mentre aprire i mercati di giorno innescherebbe un circolo virtuoso in grado di invertire il trend negativo. Un Mercato che lavora di giorno è una struttura in grado di attrarre operatori commerciali diversi diventando così un Centro Agroalimentare multimerceologia, quale avevamo disegnato già nel Piano Mercati del 1986. Quel Piano, una grande iniziativa, ha portato alla costruzione dei nuovi Centri Agroalimentari, ma le vicende politico-giudiziarie dei primi anni ’90 hanno ostacolato la realizzazione compiuta della visione strategica originaria, avendo fatto saltare l’intero sistema di raccordo istituzionale e politico-sindacale. I Centri Agroalimentari sono stati tenuti in piedi dalla sola ortofrutta, la quale però oggi non basta più. E non si può pensare di attirare nuovi attori continuando con questo tipo di organizzazione e di orari. La parabola del Piano Mercati si è conclusa nel 2010, ed ora è urgente rilanciare una fase nuova, di fatto portando a compimento l’idea originaria, cioè quella di trasformare i Mercati ortofrutticoli in qualcosa di più ampio e articolato. Gli stessi operatori ortofrutticoli ormai stanno stretti dentro l’attuale modello organizzativo: sono obbligati a cercare all’esterno quell’agibilità operativa e quei servizi che ormai sono indispensabili per il buon funzionamento di un’impresa, ma che nelle nostre strutture non trovano cittadinanza. Un operatore deve poter trovare tutti i servizi dentro il Centro Agroalimentare: a partire dalla logistica, che nell’era digitale è diventata qualcosa di molto articolato e sofisticato ed è più che mai vitale; ma anche magazzino, refrigerazione, controlli qualità… E questo non soltanto per l’ortofrutta, ma per tutte le merceologie. L’altro passaggio necessario, infatti, consiste appunto nell’allargamento della gamma merceologica all’intero comparto agroalimentare: soggetti diversi che operano in autonomia ma dentro un sistema ar-

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ticolato, fatto di pluralità di servizi e di pluralità di offerta. Non soltanto frutta e verdura, ma anche pesce, carne, pasta,insomma tutto ciò che finisce sulla tavola delle famiglie. Con l’avvertenza che ogni prodotto deve essere caratterizzato da una qualità eccellente garantita da operatori altamente professionalizzati. Il futuro sta in Centri Agroalimentari integrati, che lavorano di giorno e garantiscono una fornitura integrata di tutto l’alimentare, con la merce consegnata a domicilio anche – e soprattutto – dentro i centri cittadini con veicoli ecologici. Con le nuove tecnologie, agendo in collaborazione tra gli operatori delle diverse merceologie, sotto la regia di un coordinamento attento, si possono gestire ordini, pagamenti e consegne anche di piccolissime quantità di molte referenze. Centri Agroalimentari così organizzati sarebbero in grado di servire i clienti tradizionali come i dettaglianti ma anche clienti finora poco intercettati come ad esempio l’horeca. Sarebbero flessibili e vivaci, pronti ad assecondare i continui, rapidi cambiamenti della società. Viviamo in una società che sta riscoprendo gusti e sensibilità che negli ultimi decenni si erano smarrite. Vedo a Torino che rifioriscono i negozi al dettaglio. Il consumatore sta tornando a volere la qualità e la salubrità degli alimenti. Le nuove generazioni, i Millennials e più ancora i giovanissimi hanno sviluppato una sensibilità ecologica e salutista che solo 20 anni fa non c’era. Non è una mia illusione: tutti gli studi sociologici e di marketing evidenziano che i 30-35enni e ancor di più i ventenni – cioè i clienti di domani – sono disposti a spendere denaro in più in cambio di sostenibilità ambientale e anche etica. Non c’è più la fedeltà alla marca, c’è la fedeltà ai valori etici ed ecologici. Il sentire dei consumatori sta cambiando in modo importante, le esperienze di acquisto altrettanto, la tecnologia ha aperto possibilità impensabili fino a poco tempo fa. E’ tempo che anche gli operatori dei Mercati e gli enti gestori colgano questi segnali e si organizzino di conseguenza. Il recupero di un dettaglio di qualità può essere la strada anche per riconvertire quei numerosi Mercati all’ingrosso che ormai languono senza prospettive. In Spagna ci sono 20 mercati all’ingrosso, in Germania 15, in Italia siamo nell’ordine delle centinaia. E’ necessaria una razionalizzazione anche in questo senso a livello nazionale, trasformando le strutture più piccole in piccoli centri agroalimentari al dettaglio attenti più alla qualità che al prezzo. In tal modo si garantirebbe pure l’utilizzo di strutture che sono nate per una destinazione molto specifica

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Serve una visione nuova per i Mercati di domani Ampliamento di gamma e servizi, apertura diurna

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e sono quasi impossibili da riconvertire ad altri usi. In generale gli immobili ospitanti l’attuale modello di Mercato, realtà chiusa in se stessa e che si sta avvitando in una crisi più o meno prossima, non hanno un valore riconosciuto. Rivitalizzare i Centri come appena proposto significherebbe anche valorizzare gli immobili dal punto di vista patrimoniale. E questo sarebbe nell’interesse di tutti quanti: dagli enti pubblici e dalle società proprietarie agli enti gestori, agli stessi operatori grossisti. E’ una visione che per essere attuata ha bisogno che tutto il sistema si muova compatto, per prendere un’iniziativa concertata ma anche per costruire quelle alleanze politico-sindacali che sono indispensabili a tutti i livelli, fino a quello governativo. Bisogna che enti gestori e operatori tornino a muoversi all’unisono, perché quando lo fanno hanno la possibilità e la capacità di realizzare cose importanti, come la storia degli ultimi 30 anni insegna, nel bene e nel male. Oggi i due interpreti di riferimento del mondo dei

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Mercati sono la rete Italmercati e Fedagromercati. Hanno avviato una collaborazione. Essa dovrebbe essere portata avanti con grande decisione nel segno di una visione comune pur nel rispetto di ruoli e competenze di ognuno. Non solo una visione ma anche un’azione concertata, per esempio in occasione di incontri negli ambiti istituzionali e delle organizzazioni del commercio, in occasione di fiere ed eventi nazionali ed internazionali, nell’ambito della comunicazione troppo spesso sottovalutata, nell’ambito degli studi e delle analisi di settore. Una visione e un’azione comuni alimentate da solide basi e che abbia un suo perno, un suo riferimento, una sua ’stanza operativa’. Il mondo dei Mercati solo trovando una seria unità di intenti può essere più forte. Per nostra fortuna, le condizioni per lavorare bene e con efficacia insieme ci sono ancora. Ma non è un tempo senza fine. * già presidente FedagroMercati

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Mariangela Latella Nuovi strumenti ottici per raccontare la storia di un prodotto di IV Gamma o anche per avvicinare i consumatori al settore del freshcut di frutta, in particolare quella esotica; sequenziamento genomico per aprire spazi, oggi impensati, a specie di frutta (come pesche, mango o kiwi) che poco si prestano alla trasformazione di IV Gamma; realtà aumentata per controllare la crescita delle piante in vertical farming e nuovi orizzonti dell’industria per il canale Horeca. Sono alcuni dei punti affrontati durante il convegno ‘Sicurezza alimentare nella IV gamma. Il contributo delle tecnologie’ organizzato da Fresh Cut News e Omnibus Comunicazione in collaborazione con Cibus Tec e Fiere di Parma, che si è tenuto il 25 ottobre, giornata conclusiva della fiera. “Uno spaccato apparentemente futuristico sulla sicurezza alimentare in IV Gamma e non solo - ha commentato Duccio Caccioni, coordinatore di Fresh Cut News nonché moderatore della mattinata di lavori e principale artefice

Da sinistra in alto: Nicola Longhin (Gruppo Turatti), Giancarlo Colelli (Università di Foggia), Duccio Caccioni (FreshCutNews), Nicola Masia (Mondini SpA), Michael Bianco (Aerofarms), Montserat Coronel (Sweetgreen) e Carlos H. Crisosto (Università California Davis)

dell’evento - che i big statunitensi e italiani della ricerca e dell’industria, hanno prospettato come prossimo orizzonte del settore”. L’apertura dei lavori è stata affidata a Giancarlo Colelli, esperto di IV Gamma e docente ordinario di Scienze e Tecnologie dell’alimentazione all’Università di Foggia che ha presentato l’inedito progetto di ricerca Sus&Law, lanciato ad Asia Fruit Logistica. “Il progetto è partito tre settimane fa – ha affer-

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I nuovi orizzonti della IV Gamma nel nostro convegno di Parma

mato Colelli – e ci porterà a definire un algoritmo per la creazione di uno strumento ottico in grado di risalire alla storia del prodotto attraverso l’analisi della sua immagine iperspettrale. Racconterà anche con quali metodi di coltivazione e quali specifiche proprietà nutrizionali ha ogni singola confezione”. Dall’UC Davis California, grazie all’intervento del professor Carlos Crisosto, direttore, fra l’altro, del

Ecco le insalate preferite dagli italiani In occasione del World Food Day 2019 celebratosi mercoledì 16 ottobre Bonduelle ha deciso di ribadire l’importanza del consumo delle verdure quotidianamente e lo ha fatto a modo suo, ovvero stilando una curiosa classifica delle verdure preferite dagli italiani negli ultimi 12 mesi. Secondo i dati Nielsen l’insalata di IV Gamma più amata degli italiani è l’Iceberg, che vede un consumo annuale di quasi 12 mila tonnellate. A seguire troviamo il lattughino verde con circa 9 mila tonnellate e a breve distanza la rucola, con quasi 8 mila tonnellate. Passando all’analisi città per città emerge che sono i milanesi a consumare più insalata in busta. In particolare, a Milano si va pazzi per il lattughino verde con un consumo annuale di 1.000

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tonnellate, cifra molto più alta rispetto a quella della Capitale: a Roma si consumano “solo” 260 tonnellate di lattughino. Focalizzadosi poi alla Capitale si scopre che i romani amano l’Iceberg: Roma batte Milano con 732 tonnellate consumate rispetto alle 654 della città meneghina. Seconda in classifica per i romani si trova invece la rucola con 345 tonnellate. A Torino spetta il terzo gradino del podio virtuale del consumo di insalate in busta. Nella città sabauda l’insalata preferita è il songino, con un consumo di 263 tonnellate. I veri amanti dell’Iceberg, appunto l'insalata più consumata in Italia, sono i napoletani che, con 419 tonnellate, lo preferiscono a tutte le altre insalate: rucola (139) e lattughino (72).

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Fruit&Nut Center, arriva uno studio che analizza i motivi della più lenta penetrazione di mercato della frutta, in particolare quella esotica, nel settore della IV Gamma. “Negli Stati Uniti – ha detto Crisosto – le insalate in busta detengono il 58,2% del mercato del fresh cut, gli ortaggi il 32,8% mentre la frutta non arriva neanche al 10%. Abbiamo promosso una ricerca per capire quali sono i motivi alla base di questo gap. Il risultato riguarda il grado di maturazione prodotto”. La frutta, infatti, spesso viene confezionata con un grado di maturazione basso proprio per permetterle di resistere più efficacemente alle operazioni di trasformazione e durare di più sugli scaffali. Per contro il consumatore ha mostrato di apprezzare (arrivando ad un grado di accettazione della frutta fresh cut che sfiora il 90%) un prodotto tagliato e in ottimo stato purché abbia un grado di maturazione pronto per il consumo e non quello del tempo di una raccolta anticipata. “Abbiamo attivato un gruppo di ricerca internazionale – ha spiegato Crisosto – che in Italia coinvolge tra l’altro Centri di ricerca a Palermo e Milano, che sta lavorando sul sequenziamento genomico per ottenere un miglioramento varietale

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ai fini dell’uso in IV Gamma di frutta che oggi poco si presta a questo settore come, ad esempio, mango, pesche e fichi. Ognuno di questi prodotti ha criticità diverse che vanno esaminate singolarmente”. In particolare sul mango, Crisosto ha annunciato una recente joint venture con Turatti che con la sua macchina Malver Peeler and Cutter, ha permesso di ottenere un taglio integro ed una shelf-life standard per il frutto maturo e pronto per il consumo. Un impianto futuristico è stato presentato dall’azienda statunitense Aerofarms di Newark specializzata in vertical farming in aeroponica. “Si tratta di un settore in forte crescita – ha spiegato Michael Bianco, manager dell’azienda – perché permette di realizzare grandi volumi in poco spazio ed è ideale per produzioni a km 0 a ridosso dei grandi centri urbani. Nel nostro impianto di 250 mq, produciamo un milione di chili l’anno di verdure a foglia con raccolte ogni due settimane. Una quantità 300 volte superiore alle coltivazioni standard. Usiamo solo il 5% dell’acqua normalmente utilizzata, abbattiamo gli scarti e non usiamo pesticidi. Abbiamo inoltre un sistema di monitoraggio costante della crescita delle

colture attraverso le immagini virtuali”. Una case history inedita sul fronte della distribuzione, è arrivata invece dall’azienda Sweetgreen di Culver City in California, una catena di ristoranti che direttamente vendono e producono insalate fresh cut, che ogni anno, solo a di New York producono qualcosa come 4 milioni di insalate. “Siamo molto interessati all’aspetto della sicurezza alimentare – ha affermato Montserrat Coronel, rappresentante dell’azienda al convegno – perché, come si può immaginare, una contaminazione con i numeri che facciamo, potrebbe avere riflessi catastrofici. Siamo venuti a Cibustec perché cerchiamo un partner per fare della ricerca applicata al fine di introdurre nei nostri ristoranti delle macchine sanificatrici di piccole dimensioni che possano essere facilmente utilizzabili dai nostri addetti che sono per lo più giovani al primo impiego. Quelle attualmente presenti sul mercato sono tutte di grosse dimensioni perché rivolte alla grande industria. Abbiamo aperto un dialogo anche con Turatti”. Tra le case history, quella del Gruppo Mondini che sta lavorando su impianti di confezionamento di ultima generazione.

COF spinge sulla V Gamma nel Sud e a Malta COF SpA entra nella V Gamma, in particolare con una gamma di zuppe pronte, con l’obiettivo di rispondere alla nuova domanda di ready-to-eat nel Sud Italia e a Malta. Ce lo rivela Francesco Barbieri (nella foto), presidente di COF SpA, azienda produttrice di IV Gamma con quartier generale a Vibo Valentia e con poli produttivi sparsi tra Calabria, Sicilia (nella zona di Catania e Ragusa, grazie all’adesione all’OP Rossa di Sicilia), Piana del Sele e Avezzano in provincia dell’Aquila per complessivi 500 ettari su scala nazio-

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nale di ortaggi per la IV Gamma. “Con questa iniziativa, resa possibile da una partnership recentemente siglata – afferma Francesco Barbieri – completiamo la nostra offerta. Il nostro impegno è quello di commercializzare la V

Gamma nella cosiddetta Area 4 Nielsen ossia Sud Italia e isole, e poi lavoriamo anche su Malta, puntando a diventare il primo operatore per le zuppe pronte”. Lo scorso maggio COF ha inaugurato l’impianto di lavorazione a Catania, uno dei pilastri del piano quinquennale di rilancio della società calabrese. “Con lo stabilimento di Catania – precisa Barbieri – adesso abbiamo cinque linee di lavorazione. Due in Sicilia per servire l’isola e Malta, e tre a Vibo che stiamo per ammodernare”. (m.l.)

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Mariangela Latella Differenziazione dell’offerta con prodotti sempre nuovi, strategie per la sostenibilità e una migliore comunicazione con il consumatore. Sono le tre sfide chiave che per Giancarlo Colelli, esperto di fama mondiale di IV Gamma e ordinario di Scienze e tecnologie agrarie all’Università di Foggia, il settore della IV Gamma deve affrontare per sostenere lo sviluppo, ma la ricerca rallenta il passo. “Il mondo della ricerca – ci spiega Colelli – è un fattore discriminante per lo sviluppo del settore ready-to-eat ma, per lo meno in Italia, è legato a dinamiche che fanno fatica ad allinearsi al dinamismo del mercato”. In che senso? “I tempi dei finanziamenti pubblici dei bandi di ricerca sono biblici e può succedere che passino anche tre anni dalla redazione del progetto all’assegnazione dei fondi. In tali casi, e non sono rari, ci si trova a dover lavorare su progetti che sono ormai superati per il mercato perché magari la ricerca applicata è già andata avanti. E il bello è che i ricercatori sono costretti a lavorarci lo stesso, perché altrimenti non rispetterebbero gli obiettivi del progetto finanziato”. Uno spreco di risorse? “Non sempre. Per evitarlo accade che i ricercatori portino avanti la ricerca in ogni caso, magari con il sostegno delle aziende che cofinanziano il progetto e in attesa della definizione delle graduatorie dei bandi pubblici. Bisogna snellire queste procedure anche perché il mercato richiede delle risposte veloci sia in termini di nuovi prodotti, che di crescente sostenibilità dei processi che, soSettembre-ottobre 2019

Giancarlo Colelli, ordinario di Scienze e Tecnologie agrarie, Università di Foggia

prattutto, di informazione al consumatore”. In che modo possono intervenire gli attori del settore IV gamma, nel colmare questo gap, e quindi produttori, trasformatori e Gdo. Cioè, come procede, per contro l’investimento privato in ricerca? “Ognuno deve fare il suo mestiere. Difficilmente le aziende agricole hanno una struttura finanziaria tale da potersi permettere investimenti in ricerca e sviluppo. Come pure il mondo della grande distribuzione, che si occupa di vendita e distribuzione, se pianifica investimenti in ricerca e sviluppo, lo fa per il proprio core business. Noi di solito lavoriamo con le aziende più strutturate e, in ogni caso, per non gravare troppo sul loro budget, tendiamo a chiudere contratti chiedendo solo la copertura delle spese vive come i materiali, ad esempio”. Il 25 ottobre a Parma, è stato tra i due principali relatori del convegno di Fresh Cut News, ‘Sicurezza alimentare nella IV Gamma. Il contributo delle tecnologie’. Qual è il messaggio che ha lanciato nell'occasione?

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La denuncia di Colelli: in Italia la ricerca ha il freno a mano tirato

“Parto dal dato di fatto che la IV Gamma è un prodotto che funziona e che volenti o nolenti sempre più persone acquistano ortofrutta ad alto contenuto di servizio perché è comoda da consumare e soprattutto perché è buona e sana. Però penso che questo tipo di prodotti debbano essere raccontati in maniera diversa da come si fa adesso puntando principalmente l’attenzione sull’aspetto convenience”. Può essere più preciso? “Bisognerebbe fare leva su alcuni aspetti fondamentali alla luce delle innovazioni tecnologiche che possono supportare il suo valore aggiunto in termini di salubrità e valori nutrizionali. Insomma si deve comunicare con la massima trasparenza possibile che la IV Gamma oltre che comoda è anche fresca, buona da mangiare e con elevati valori nutrizionali”. In che modo? “Ad esempio dando degli strumenti, anche semplici, di verifica dei claim dei prodotti”. Sta lavorando a qualcosa di spewww.corriereortofrutticolo.it

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cifico? “A un progetto, lanciato poche settimane fa in Cina al IV International Conference on FreshCut Produce, che si chiama ‘Sus&Low’ che significa Sustaining low impact practices in Horticulture throuh non-destructive approach to provide more information on fresh produce history&quality”.

La coltura idroponica cresce cercando indirizzi nuovi La crescita del consumo di insalate e frutta esotica è il principale driver che guida lo sviluppo del mercato della coltura idroponica in tutto il mondo. Oltre a questo anche il fatto che garantisce tempi di sviluppo delle piante due volte più veloci rispetto alle colture tradizionali, a fronte di un minor consumo di suolo e di input (primo fra tutti quello idrico). Risponde, inoltre, al fabbisogno crescente sicurezza di alimentare, permette di controllare il rischio climatico e beneficia dell’effetto booming del vertical farming con cui può ben viaggiare in doppietta. Secondo le previsioni del Global Hydroponics Market Industry Analysis and Forecast (20182026) pubblicato da Maximize Market Research, questo settore ha raggiunto un giro d’affari nel 2017 di 22,6 miliardi di dollari ma si prevede che da qui al 2026 possa raggiungere i quasi 40 miliardi con un tasso di crescita annuo composto del 6,61%. Il segmento dei sistemi idroponici aggregati (cosiddetta cultura agroponica che impiega dei mezzi solidi e inerti per fornire supporto alle piante come ad esempio il cocco, la perlite, la torba, la lana di roccia, la sabbia o la segatura), sarà quello che conquisterà una maggiore quota del mercato globale delle colture idroponiche anche perché impiega tecniche

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più comunemente usate come il riciclo dell’acqua o il recupero delle soluzioni nutritive utilizzate Ma con lo svilupparsi del settore, si prevede un forte incremento del segmento dei sistemi cosiddetti idroponici liquidi che si basano su un maggiore controllo dell’acqua, dei nutrienti disponibili e dell’ossigeno. Fra i fattori che rallentano la crescita di questo mercato, per contro, c’è innanzitutto il vero e proprio cambio di marcia sulle tecniche colturali ma anche i grandi investimenti in ricerca e sviluppo; gli alti costi di installazione e, non da ultimo, una mancanza di conoscenza del settore. Il Global Hydroponics Market Industry Analysis and Forecast (2018-2026) individua l’Europa come l’area di mercato che arriverà a detenere la maggiore quota di mercato di questo settore nel periodo preso in esame anche per il crescente progresso tecnologico nell’Unione. Per contro, il Nord America è quello che registra un tasso di crescita maggiore per via della maggiore diffusione di queste tecniche colturali. Le potenzialità espresse dal continente asiatico invece, sono legate soprattutto all’aumento del reddito procapite ed al progressivo aggiornamento del settore primario verso cui sono orientati tutti i principali Paesi produttori, come l’India e la Cina. (m.l.)

In pratica? “È un progetto finanziato per 600 mila euro dal bando Prin del Miur, ossia relativo ai Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, insieme al Cnr. Puntiamo ad arrivare ad una sorta di lettore ottico che sappia leggere ed interpretare la storia del prodotto, la foglia di lattuga ad esempio, o la frutta taglata, semplicemente guardandola”. In che modo? “Stiamo lavorando con tecniche sofisticate di tipo multivariato per il trattamento delle immagini iperspettrali di prodotti ottenuti con diversi disciplinari di produzione al fine di mettere a punto algoritmi di discriminazione affidabili; da tale risultato potrebbe scaturirne una semplice tecnologia ottica che sappia distinguere il prodotto in base alle modalità con cui è stato coltivato e dirci se è sostenibile, ad esempio, oppure no. O ancora quali sono i suoi valori nutrizionali e tante altre informazioni che ora non si vedono ad occhio nudo. Vogliamo renderle visibili e a disposizione del consumatore grazie ad un lettore ottico che operi con una tecnologia non invasiva per il prodotto e che riesca a leggere anche attraverso il medium del film di imballaggio”. Difficile immaginare che questa idea possa piacere a tutti. “Certo ma in questo modo il consumatore avrebbe la certezza matematica della sostenibilità e della bontà del prodotto per le quali è disposto a pagare di più”. Settembre-ottobre 2019


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