“Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza” - 0,42 E
Copia omaggio / anno XIV n.1 / gennaio 2013
Intervista Alberto Tomba
Sposi
Speciale
Gli ultimi malgari La grande nevicata dell’85
I vicentini
e la montagna
Villa Rosa
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editoriale di Stefano Cotrozzi
sommario
Il tesoro nascosto Mensile d’informazione Registrazione del Tribunale di Vicenza n° 965 del 12-01-2000 - Editrice Millennium s.r.l. 40.000 copie certificate Direttore Responsabile Stefano Cotrozzi. Caporedattore Nicoletta Mai. Caporedattore sportivo Stefano Canola. Caporedattore economia Elisabetta Badiello. Redazione: Alberto Faedo, Francesco Meneghini, Giuseppe Signorin, Ilaria Boscardin, Silvia Maculan. Editorialisti Lino Zonin, Alberto Fabris, Elisabetta Badiello, Gianfranco Sinico, Luisa Nicoli. Art director Alessandra Peretti. Grafico Amos Montagna. Stampa: Centro Stampa Editoriale Grisignano di Zocco (VI) In copertina foto di Beppe Lobba Redazione e Sede legale Piazza Campo Marzio, 12 - 36071 Arzignano (VI) tel. 0444 450693 fax 0444 478247 e-mail: info@corrierevicentino.it Per la pubblicità: Alberto Faccin 335 5319350 Alex Bertacche 349 5183614 Aristide Crema 320 0522400 Federico Hanard 335 5293582 Monica Dall’Omo 340 6717242 © 2013 Le immagini ed i testi sono di proprietà riservata della rivista. Ne è vietata a tutti la riproduzione totale o parziale e l’uso pubblicitario in altra sede. L’editore è a disposizione dei proprietari dei diritti su eventuali immagini riprodotte, nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere debita autorizzazione. Questo giornale è stampato su carta certificata FSC. Il marchio FSC identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
La Giazza è nata ufficialmente il 10 agosto del 1911, nel giorno di San Lorenzo. Già, anche una foresta può nascere. L’uomo non combina solo disastri, ogni tanto qualcosa di buono gli riesce. A inaugurarla, solennemente, si presentò l’allora Ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Nitti con un corteo di autorità a dorso di cavalli, muli e asini. L’ampiezza dell’area interessata – 1900 ettari circa di bosco – era davvero impressionante.
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Non conta l’altezza
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Non conta l’età
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Attenti a quei due
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La Giazza si sviluppa dagli 800 ai 2200 metri su rocce calcaree, con ambienti che vanno dal bosco termofilo col carpino alla faggeta montana, al bosco misto con abeti bianchi e rossi, fino alle praterie e mughete di altitudine. Si possono trovare camosci e caprioli, qualche cervo, oltre a svariate specie di uccelli, stanziali e migratori.
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La foresta di Giazza è un tesoro, il cui valore aggiunto è dato da un accordo tra Italiani e Austriaci. Già, perché il confine passava proprio di lì. Più di un secolo fa i due Stati si misero attorno a un tavolo e non erano certo tempi facili. Ragionarono su cosa fosse meglio fare per evitare altre catastrofi e si “inventarono” una foresta. Due popoli e due idiomi diversi, su un confine in cui pochi anni dopo si sarebbe scatenata una guerra, ma che parlavano una sola lingua: quella della montagna e dell’intelligenza. Da lì è nato un tesoro che oggi tutti ci possiamo godere.
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Speciale Sposi
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IMPRESE IN VETTA L’attimo perfetto
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La Giazza è il frutto di un grande intervento di rimboschimento e di sistemazione idraulica, iniziato in seguito a un’alluvione particolarmente pesante, avvenuta nel 1882, e a frequenti episodi di dissesto ed esondazioni. Una dozzina di anni dopo l’alluvione, ci fu il primo acquisto di terreni da privati e si diede avvio ai lavori veri e propri: stabilizzazione dei versanti, sistemazione dei corsi d’acqua, costruzione di briglie, messa a dimora di piante forestali.
L’INTERVISTA Alberto Tomba
Al di là della vetta Nata a 5000 metri Senza limiti
Soccorso ALPINO Professione T.E. sPORT E ASSOCIAZIONI Gruppi da record
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LAVORARE IN MONTAGNA Una vita da malgari
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SOCIALE Montagnaterapia
storia 42 Gli sfollati del 1916 ricordi 44 La grande nevicata CULTURA 46 Tzimbar folk!
Made in vicenza
vipera con garbo
Giustino Mezzalira*
Elisabetta Badiello
Montagna non è solo turismo
Cime sì, ma dalla laguna
*Direttore della Sezione Ricerca di Veneto Agricoltura.
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Cima Carega con gli sci d’alpinismo, le piccole e grandi gioie della vita con l’ottimismo!
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La realizzazione personale, sia a livello lavorativo che nella mia vita.
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La serenità, dove ogni giorno è un giorno felice e privo di preoccupazioni.
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Qual è la vetta che vorresti raggiungere?
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ata a Valdagno, la montagna ha segnato la mia infanzia in modo indelebile. Non sono diventata una “montanara doc”, malgrado l’imprinting dei primi anni, ma la sazietà da sovraesposizione mi ha definitivamente allontanata dalla montagna. Per contrappasso mi sento più un soggetto da laguna, un soggetto che le montagne le apprezza dal mare. Come gran parte dei miei concittadini ho imparato a sciare a Recoaro Mille. Già al tempo delle elementari, nei pomeriggi d’inverno, raggiungevo Pizzegoro con la corriera messa a disposizione dalla scuola. Il mezzo si inerpicava lungo una strada ripida e sempre ghiacciata. “Tiravamo” le tavole di legno con la sciolina che bisognava scaldare e adattare al tipo di neve e poi giù per Seneble, Tunche e Monte Falcone. Fino ad arrivare in quella conca dove il sole spariva alle due del pomeriggio. Dovevamo darci dentro per non finire assiderati, così poco protetti da attrezzature e abbigliamento che di tecnico avevano quasi nulla. Anni di freddo intenso, geloni ed estremità intorpidite. Ero felice quando all’imbrunire riguadagnavo la corriera per tornare a casa! In famiglia il menu offriva montagna anche d’estate. E se d’inverno la dieta era neve e sci, con la bella stagione l’opzione variava in “pedule ai piedi”. Quindi via verso Gabiola, Gazza, Campogrosso e Sisilla. Ore di marcia con lo zaino in spalla, anelando un panino all’ombra dello spuntone roccioso. Oggi guardo le cime dalla laguna. Sono affascinanti, maestose. Ma preferisco godermi il panorama dal “livello del mare”.
e montagne del Vicentino sono montagne civili. Sono figlie della natura, certo, ma portano anche i segni della mano dell’uomo che le ha cesellate in ogni metro quadrato. Generazione dopo generazione, l’uomo ne ha modificato la morfologia regimentando i corsi d’acqua, costruendo terrazzamenti, incidendo sugli elementi naturali per poterle abitare. Fino all’ultimo dopoguerra, infatti, la nostra montagna era coltivata quanto la pianura. Poi l’abbiamo lasciata andare ed è cambiato il paradigma: da luogo di lavoro è diventata luogo di svago oppure, e questa è storia recente, luogo della biodiversità e della conservazione del patrimonio naturale. Oggi però diventa interessante chiedersi se, oltre all’aspetto turistico, la montagna possa dare ancora altro a livello economico. In particolare, l’agricoltura montana e la selvicoltura hanno ancora qualcosa da dire? La risposta, secondo noi, è sì. E molto. Per quanto riguarda l’agricoltura, la montagna non deve scimmiottare la pianura e i suoi modelli economici. La sua vocazione sono le eccellenze: la produzione di carne con disciplinari di tipo biologico o la riscoperta delle antiche varietà di frutta, ad esempio, il tutto in un ciclo di filiere locali in cui il rapporto tra l’acquirente e il produttore è diretto e la montagna diventa brand e garanzia della qualità del prodotto. Anche la selvicoltura, un tempo cenerentola legata all’ambito domestico, oggi presenta grandi potenzialità. Stiamo assistendo a una riscoperta del legno sia come combustibile, grazie a una tecnologia avanzata per la quale le industrie vicentine sono leader in Europa, sia come materiale da costruzione. Diversi progetti raccontano questa rimessa in moto dell’economia forestale: l’Associazione Forestale Vicentina, ad esempio, riunisce una cinquantina di proprietari che forniscono cippato ai comuni per il riscaldamento di edifici pubblici e la stessa Associazione, assieme al Consorzio per la promozione del legno veneto, sta promuovendo il rilancio del castagno (cantile) della val Leogra. Se c’è economia la montagna vive, e se è viva è anche sicura.
Creazzo Un trekking sull’Himalaya con mia figlia!
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sport e dintorni
L’educazione del Barba Caneva
Sport e buon senso
Gianfranco Sinico
Stefano Canola
Pugnello
Non ci sono vette che non posso raggiungere
Una famiglia felice in una grande casa, tipo “La casa nella prateria”
Comporre e cantare la mia musica
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Continuano i pesanti effetti della sentenza che tanto ha fatto sorridere Donna Veronica. I titolari del Milan tireranno le strisce del campo con la carriolina del gesso, durante il riscaldamento pre-partita al Meazza, mentre le riserve, subito dopo il novantesimo, imbracceranno zappe e rastrelli per sistemare le zolle.
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Qual è la vetta che vorresti raggiungere?
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ontagna, vicentini e sport sono tre insiemi che s’intersecano bene, a partire dalle eccellenze. Dal ghiaccio di Asiago sono arrivate molte soddisfazioni, gli scudetti dell’hockey e le medaglie di Enrico Fabris. Dalle piste innevate non altrettanto, ma qualche apparizione nel circo bianco gli atleti berici l’hanno messa a referto. I provetti scalatori non mancano, come Mario Vielmo che conta i suoi Ottomila su due mani. Qualche altro scalatore s’è fatto notare sui pedali, anche in tempi più recenti di quelli mitici di Giovanni Battaglin. E tutti gli altri, i cosiddetti dilettanti, quelli che amano le lunghe camminate a difficoltà quasi zero o le ferrate mozzafiato, le discese fantozziane o gli slalom competitivi. Infine gli incoscienti, che scambiano il Costo per un circuito da cronoscalata o, peggio, da cronodiscesa. O che si buttano fuoripista con gli sci per far qualcosa da raccontare il giorno dopo, al bar, finendo però protagonisti qualche pagina dopo lo sport, nelle necrologie. Nelle loro mani, la montagna è un’arma pericolosa.
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a recente dipartita di Lino Savegnago, il mio maestro delle elementari, mi ha fatto ricordare nei commenti con alcuni coetanei i giorni di scuola di oltre cinquant’anni fa, quando il “Barba Caneva” (il suo soprannome) metteva in riga un branco variegato, una trentina di maschietti dalle molteplici inclinazioni. Geografia, storia, dettato, lettura, ma anche tabelline, calligrafia e ortografia, grammatica, brani a memoria (Pianto Antico di Carducci, il manzoniano Addio monti…), aritmetica (il 7 nel 9 mi sta una volta, scrivo 1 e riporto), educazione civica… Il Barba Caneva era stato ufficiale degli Alpini, per cui il branco, con le buone e con qualche bacchettata, diventava un affabile gregge. Il Maestro non disdegnava al termine delle lezioni impartire qualche nozione di “addestramento formale” (Classe at-tenti! Classe avanti, march! Passo!) o intonare nostri cavalli di battaglia come l’inno nazionale o il Piave mormorava. Al suono della campanella, il gregge, rigorosamente al passo, pena una sferzata di commiato con la canevera d’ordinanza, infilava l’uscita in fila per due e si incamminava verso un nuovo giorno, combinando sette per otto con Valentino vestito di nuovo e la bandiera dai tre colori. È vero: è cambiato tutto in mezzo secolo. È cambiata la famiglia, è cambiata la scuola, è cambiata la vita… ma mi deprimono le facce assopite di certi giovani che non conoscono l’incarico svolto da Napolitano o che ignorano la ricorrenza del 2 giugno o che si accanisono nel vessare un debole fino al suicidio. Recentemente ho dovuto pagare un ticket all’ospedale: per darmi il resto di una banconota, la cassiera è ricorsa ad un conto con la calcolatrice. Eccesso di zelo o mancanza di fiducia nella propria preparazione? Il Barba Caneva, sicuramente con il contributo di famiglia e società, aveva sfornato ragazzi che avrebbero poi continuato gli studi, ma anche dinamici garzoni di casolini che non avevano dubbi sul resto per un etto di conserva. Ci stiamo un po’ tutti arrovellando su come lasciare un pianeta migliore ai nostri figli, senza accorgerci che dovremmo ormai imparare a lasciare ragazzi migliori per il nostro pianeta. È triste pensare che la terra possa essere in balia di un esercito di analfabeti, analfabeti di cultura e di etica, di presuntuosi individualisti, privi di qualsiasi nozione di comunità e di regole di convivenza.
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Benvenuto 2013 Mi posiziono su una sedia della cucina, niente comodità: il momento esige disciplina, rigore, stoica sopportazione, dunque niente poltrone o letto, niente relax, niente abbandono al pisolare pallido e assorto di fronte al programmatraghetto verso il sonno dei giusti. Ho messo il cellulare in modalità Non Disturbare, chiuso Facebook, silenziato Twitter, eseguito alcuni movimenti di stretching e recitato alcuni mantra millenari per creare buoni auspici. Perché? direte voi, ma come perché, perché questa sera da Santoro c’è nientemeno che Silvio! Nella tana del lupo ed eccolo: Santoro allude, sottintende, finge innocenza e ingenuità, provoca, stuzzica, con spietata e comunistissima perfidia. Travaglio fa Travaglio uguale a Travaglio, il pubblico fa il tifo, Silvio si difende, attacca fa il simpatico, lo statista, nega spiega legge litiga mette in scena gag, Santoro perde le staffe. Insomma, esattamente tutto come previsto, esattamente come se fosse il 1994 o il 2000 o il 2009. Sento salire lo sconforto dalla pianta dei piedi piano piano fino al petto, poi decido: infuso al finocchio Pompadour, riaccendo il cellulare, riapro Facebook twitto pigramente, benvenuto 2013.
Snow and the chic Vinicio Trend Immaginate una statua. Di ghiaccio. Effimera ma allo stesso tempo sostanziosa. Trasparente e luccicante. Queste meraviglie a zero gradi sono uno dei trend più sofisticati e meravigliosi dell’inverno. Vere e proprie opere d’arte, che presuppongono uno studio sul materiale tanto quanto altri più pregiati come il tradizionale legno, mescolano fascino e riverbero dei colori con eleganza e minimalismo. Immaginate la magia del pattinaggio artistico: volteggi e ruote dove la lama affilata dei pattini si incontra, anche qui, con il
ghiaccio. Immaginate ora un esercito trasparente di statue di ghiaccio, collocate al centro di un evento, che fungono da presenza discreta ma divertente: ecco, vi vedo già stupiti al solo vederle. Ma il vostro stupore aumenterà quando scoprirete che potrete brindare con un cocktail servito direttamente… dalle statue di ghiaccio! Uno spettacolo nello spettacolo…ghiacciato e chic!
Piccolo skerno Lino Zonin
Il re è nudo
“Monti non fa filtro a centrocampo e segna troppo poco. Pato potrebbe aiutare il ministro della Sanità con una delega all’ortopedia. Casini e Fini fanno schifo come centrali di difesa: in parrocchia a Bologna li ricordano ancora come il “duo sciagura” per tutti i gol che prendevano. Balotelli andrebbe bene alle pari opportunità, assieme a Boateng”. Tornato prepotentemente in tv dopo un anno intero di silenzio, Berlusconi confonde i vari livelli dei suoi innumerevoli interessi e crea una nuova televisione del dolore e dell’assurdo. Una volta si paracadutava semel in anno da Vespa a pontificare su tutto quello di eroico e indimenticabile che aveva compiuto. Adesso va dappertutto. L’ho visto a Telelombardia rispondere, incazzato come una iena, a tre giornalisti mai sentiti nominare ai quali non pareva vero di poter strapazzare in quel modo un ex potente, fragorosamente decaduto e in complicatissima fase di rinascita. Lui è ancora convinto di essere il più forte e di aver conservato quell’aura speciale che tanti anni di potere gli avevano cucito addosso. Tutti gli altri, quelli che hanno atteso inutilmente per anni di poterlo avere come ospite alle loro trasmissioni, hanno capito che il re è nudo e godono a maltrattarlo, a sogghignare quando parla delle feste eleganti di Arcore, delle centinaia di leggi con le quali ha portato ricchezza e benessere a questo nostro sfigatissimo Paese. Lui sotto sotto lo ha capito e lancia sguardi feroci carichi d’odio. “Se le cose vado come dico io – sembra dire – poi facciamo i conti”. La politica in tv dal 2000 in poi
Otto e mezzo (La7) 2001 - Gruber Ballarò (Rai3) 2002 - Floris L’infedele (La7) 2002 - Lerner In 1/2 h (Rai3) 2005 - Annuzziata Anno Zero (Rai2) 2006-2011 Santoro Corriere Vicentino |
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sex in vicenza info@corrierevicentino.it Cari Elena e Paolo, sono un 50enne sposato con due figlie. Lavoro tanto, forse troppo, quindi ho poco tempo da dedicare alla famiglia. Non che non ci tenga, anzi! Credo profondamente nella famiglia e se lavoro tanto è anche per permettere loro una vita più agiata. Eppure quando sto con mia moglie non faccio altro che litigare. È normale? A volte penso che sia perché non siamo più abituati a divertirci assieme, a chiacchierare, a discutere. Insomma, siamo sposati da 20 anni ma ci conosciamo meno di 20 anni fa. Cosa mi consigliate di fare? Armando di Montecchio Maggiore Elen
Feisbuc girl Nome Veronica Cenghialta Età 19 Vive a Brendola Lavoro Studentessa universitaria Hobby Fare shopping e sfilare
L’ Oroscopo
Film preferito Pretty Woman Cibo preferito Gnocchi Sport praticato Pallavolo Persona a cui ti ispiri Bianca Balti e i miei genitori Non posso fare a meno di... La mia famiglia, i miei amici e il mio fidanzato
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Caro Armando, la tua lettera è piena di segnali positivi: innanzitutto ti poni il problema (che è già un primo passo verso la soluzione!), non c’è nessuna guerra dei Roses in corso (quindi il servizio di porcellana è salvo!) e non pensi lontanamente a separarti dalla tua famiglia. Questo significa che la situazione è assolutamente normale. Vivete le incomprensioni di tutte le coppie assorbite dal lavoro e dai figli, non più abituate a stare assieme esclusivamente come coppia. Solo un consiglio: sii paziente. Visto che hai deciso di tenertela, riscopri in lei quello che ti ha fatto innamorare e vedrai che vivrete un secondo fidanzamento!
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o P ao l Caro Armando, francamente è difficile darti consigli su argomenti del genere. Sono rapporti personali che possono avere migliaia di sfumature e solamente i protagonisti li conoscono. Di sicuro la mancanza di un minimo di complicità, passione e comunicazione riducono all’osso le possibilità di sopravvivenza di un rapporto. Cerca di spendere più tempo con lei e di fare assieme cose che finora non avete fatto. Cerca di sparigliare le carte e vedi se qualcosa cambia. Non sarà facile, ma non provarci è la cosa più sbagliata e potrebbe rimanerti come un grande rimpianto. In bocca al lupo.
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Le foto della Morellato
V i c e n za
Si è risolta in corte d’appello a Bre scia la vicenda iniziata nel 2005 in seguito a un servizio delle Iene, che vedeva coinvolti il giornalista spor tivo Amedeo Goria e la giovane vi centina Michela Morellato. È stato stabilito che le foto finite su Novel la 2000 non costituiscono una viola zione della privacy, perché all’epo ca la Morellato, essendosi esibita in locali, era già un personaggio pub blico. Per quel che riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa, invece, è stata ritirata la querela. 18 mila euro di risarcimento sganciati da Novella 2000 e pace fatta.
Amori in fumo Se la fidanzata ti tradisce e ti pian ta, il desiderio di bruciare le lettere d’amore che ti ha scritto quando sembrava innamorata persa è as solutamente comprensibile. Meno comprensibile se vai a farlo accanto a un capanno di legno in montagna. È quello che è successo a Paolo Lo vato, un ventitreenne di Vicenza che nel maggio del 2010 ha pensato bene di compiere il suo gesto scon siderato durante una passeggiata nei dintorni di Campogrosso. Ha visto il capanno, si è seduto su una panchina lì di fianco e ha bruciato il pacco di lettere della sua ex, andan dosene senza accorgersi del disastro che avrebbe combinato, mandando a fuoco la struttura in legno. Dopo una ricostruzione degna del miglior Sherlock Holmes, la forestale è risa lita finalmente al responsabile.
La prima del 2013
r e c or d
Alianti a 6000 metri I piloti Francesco Ziche e Lucio Bor din, a bordo di due diversi alianti, hanno raggiunto l’incredibile quo ta di 6000 metri grazie a una corren te dinamica ascensionale, fenome no che capita una volta ogni due o tre anni. L’impresa, visibile anche su Youtube, ha avuto luogo sabato 5 gennaio nei cieli vicentini, sulla rotta degli aerei.
Si chiama Sabrina, è venuta alla luce 37 minuti dopo la mezza notte. 3 chili e 70 grammi, occhi e capelli scuri, bellissimi, come la pelle, la prima vicentina del 2013 è nata al San Bortolo da due ben galesi di 24 anni, età sempre più rara per chi decide di diventare genitore. Secondo classificato Ni cholas, un angioletto dagli occhi azzurri nato alle 3 e 2 minuti da un’erborista italiana di Costabis sara, dopo un travaglio di 24 ore.
f lo p
Serebro KO
Grande attesa per la prima delle tre serate vicentine delle Serebro, trio di cantanti russe diventate famose grazie al video “Mama lover”. Ad attendere le star della dance c’erano però appena un centinaio di spetta tori, al Palalido di Valdagno. I val dagnesi non amano i grandi eventi o hanno qualche probelma a orga nizzarli? Questo è il problema.
un mese di notizie in Breve
a cura di Giuseppe Signorin
or g ia n o
INCIDENTE MORTALE AD ORGIANO Sabato 5 gennaio, poco prima delle 19, lungo la strada che collega Sossano ad Orgiano, già teatro di gravi incidenti, ha perso la vita Federica Toniolo, ventenne pallavolista pado vana. Federica stava raggiun gendo la palestra delle scuole medie di Orgiano, dove la sua squadra, il Laserjet, militante in serie C, avrebbe dovuto af frontare il Le Ali Padova. Ma Federica, a bordo di una Peugeot 206, ha perso improvvisamente il controllo ed è andata a sbattere sul muro in pietra di un’abita
Corriere Vicentino |
14 | Notizie in breve
zione. Lo schianto la terale le è stato fatale: l’apertura dell’airbag frontale si è rivelata inutile.
mondo
Miss Culpo
Antonio Pietro Culpo era partito da Selva di Trissino nei primi anni del Novecento, destinazione Ellis Island, New York, ma non poteva lontana mente immaginare che più di un se colo dopo una sua bisnipote, Olivia, sarebbe diventata Miss Universo. Un passato da “cicciottella” e un presente da vincitrice del più importante e fa moso concorso di bellezza del mondo. Questa la favola della Culpo, figlia di due musicisti professionisti, che ama autodefinirsi una “violoncellista nerd”.
ov e s t vi c e n t i n o
Donne e motori
L’8 novembre del 2009 l’imprenditore veronese Nicola Salvagno ha prestato la sua Ferrari F430 all’amica e balle rina di lap dance Nicoleta Craeleva, rumena, che doveva andare a Bologna a trovare il fratello. Erano a Monte bello. Da quel momento in poi non ha saputo più niente, né della presun ta amica né della Ferrari. Le indagini sono tuttora in corso: per fine anno è fissato davanti al tribunale di Vicenza il processo alla Craeleva, che è stata ci tata a giudizio dal pubblico ministero Dal Martello nei mesi scorsi.
Rimessa la testa all’Arcangelo Michele Era crollata dalla cima dell’Incompiu ta a causa del sisma lo scorso maggio, ed è stata rimessa al suo posto grazie all’intervento dell’Amministrazione Comunale di Brendola. La testa, ritro vata sulla rampa realizzata per i lavori di messa in sicurezza della struttura, sorprendentemente non aveva subito danni. Era stata rimossa con l’aiuto di un cittadino che aveva reso disponi bile il suo furgone, di modo che non potesse essere rubata o rovinata. Ora è di nuovo al suo posto.
I soliti vandali
Capodanno fantasma
Che Gesù bambino li perdoni, per ché noi facciamo fatica. Per la terza volta, nel corso delle ultime quattro edizioni, il presepe vivente di San Bortolo è stato danneggiato da un gruppetto di vandali. Le casette in legno della Natività, costruite con cura e fatica dai volontari, sono sta te divelte e imbrattate con lo spray. La mamma dei vandali è sempre incinta, ma anche quella dei volon tari, che non si fermeranno certo di fronte a queste provocazioni.
Tutto pronto per un mega party nella tenuta “Il Pereo”, sui colli di San Bortolo. Centinaia di persone in coda per il Capodanno, quando il custode è stato costretto a cacciarle a causa dell’intervento della Guardia di Finanza. Motivo: mancanza di un permesso di agibilità della struttu ra. Tantissime erano state le adesio ni: 150 per la cena e 350 per il dopo cena. I biglietti sono stati in parte rimborsati, ma i più sono tornati a casa infuriati e a bocca asciutta.
Alberto Tomba Oggi si occupa di promozione di eventi sportivi. È testimonial dei prossimi mondiali di sci nordico in Val di Fiemme dal 20 febbraio. Membro fondatore della Laureus Acadamy & Sport For Good Foundation dal 1999, sostiene diverse realtà anche in Italia,dalla ricerca pediatrica alla costruzione di strutture di aiuto.Ma per tutti è ancora “Tomba la Bomba”.
di luisa nicoli
C
inque medaglie olimpiche, doppietta d’oro a Calgary 1988, oro e argento ad Albertville 1992 e argento a Lillehammer 1994. Quattro medaglie ai mondiali, oro in gigante e speciale in Sierra Nevada 1996 e bronzi in gigante a Crans Montana 1987 e al Sestriere dieci anni dopo. Una coppa del mondo assoluta nel 1995, quattro di slalom speciale e quattro di gigante, 88 podi. E si potrebbe continuare. Pensare che Alberto Tomba nasce il 19 dicembre del 1966 a Castel de’ Britti, in provincia di Bologna, lontano quindi dalle montagne. “Quando si è piccoli è importante che i genitori ti avvicinino allo sport – racconta - papà amava lo sci e così, insieme a mio fratello Marco, mi portava in montagna. E noi ci divertivamo come matti, in mezzo alla natura, con tutta quella neve. Sono stati gli addetti ai lavori poi ad accorgersi di me, a 14 anni: da lì le prime garette importanti e via via l’entrata in squadra C, poi B e finalmente l’esplosione dopo la vittoria sulla Montagnetta di San Siro a Milano nel 1984”. Che ricordo ha del debutto in Coppa del Mondo? E del pri mo podio nel 1986? Quello è stato un periodo esaltante. Ero finalmente arrivato in squadra A. Ero emozionato e felicissimo, perché avrei esordito sulle nevi italiane di Madonna di Campiglio. Il primo podio arrivò l’anno dopo, sempre in Italia, con il secondo posto nel gigante dell’Alta Badia. Sestriere 1987 arriva la prima vittoria. Me la sentivo proprio. E quando è arrivata mi sono buttato in mezzo ai fans nel parterre. Scattando foto, firmando autografi e poi via tutti a festeggiare. Come si dice, la prima volta non si scorda mai. Olimpiadi di Calgary 1988: la Rai interrompe il Festival di Sanremo per la seconda manche dello slalom speciale. Fortuna che io non ne sapevo niente. Te lo immagini che pressione avrei sentito al cancelletto di partenza? Oltre al resto del mondo, più di 20 milioni di italiani hanno seguito la mia seconda manche. È stata l’unica volta nella storia del Festival che è stato interrotto, e per far spazio ad un evento sportivo! Ci sono anche le delusioni: mondiali di Vail 1989. Erano una buona occasione per riconfermarmi. Ma in quella stagione proprio non ero in forma. La più grande delusione però fu vedere come chi mi aveva celebrato l’anno precedente era pronto ad attaccarmi con le più svariate motivazioni. Per
Corriere Vicentino |
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me fu molto più difficile mettere da parte quelle critiche gratuite che la sconfitta perché nello sci sapevo che prima o poi mi sarei rifatto. I successi continuano ad Al bertville 1992 in Francia. E poi a Lillehammer 1994: ancora un ar gento in rimonta. Il mio motto è “il difficile non è vincere, ma rivincere”. Si trattava di un’ulteriore prova, ancora rincorrevo la Coppa del Mondo, i Mondiali non mi avevano portato fortuna dopo il bronzo del 1987. Ma a Lillehammer ero di nuovo alle Olimpiadi e ce la misi tutta proprio nell’ultima gara, lo slalom. Dopo una prima manche non bellissima, raccolsi tutte le mie forze ed affrontai la seconda senza paura. Conquistai l’argento e fui portato in trionfo come se avessi vinto. Ritiro dopo le Olimpiadi di Nagano: avrebbe voluto chiudere in maniera diversa o continuare? Il Giappone non mi ha mai portato fortuna e non sono mai riuscito a vincere niente nel Paese del Sol Levante. Peccato. Avrei voluto regalare una vittoria al popolo giapponese che ancora oggi mi segue con affetto ed ammirazione. Mi sono rifatto con l’ultima gara a Crans Montana, una vittoria emozionantissima. Nella mia mente avevo già meditato il ritiro. Ero stanco dei viaggi, dei sacrifici e anche della pressione dei media. E poi ero demotivato, dopo 12 anni di vittorie. Solo oggi a volte mi viene un po’ di nostalgia, ma senza rimpianti. Qual è stato l’avversario più ostico? E l’amico? Ce li ho avuto tutti contro. Ero l’uomo da battere. Non solo quelli più conosciuti, come Zurbriggen o Girardelli, ma ogni anno ne saltava fuori uno nuovo, Aamodt, Kijus, Accola e tanti altri. Ma erano avversari solo sulla pista, fuori erano quasi tutti amici. In particolare sono rimasto in contatto con Jure Kosir, con il mio mito Ingemar Stenmark e anche con Gustavo Thoeni. Cosa ci vuole per diventare un campione? Bisogna essere pronti a sacrifici, allenamenti, fatica. E non sempre lo si diventa. Ma lo sport è anche divertimento, salute, amicizia. Lo si deve sempre vedere sotto questo aspetto, e se ci saranno i presupposti, allora si potrà tentare la ‘scalata al podio’. Pensa che le prime gare da piccolo arrivavo lontanissimo dal podio, ma mi piaceva, la gara, l’atmosfera, l’ambiente. Tomba per tutti è quello che scherzava e sorrideva sem pre: è davvero così? Mi piace sdrammatizzare. Mi è servito tanto durante la mia carriera e mi serve ancora nella vita. Tutti abbiamo momenti bui, l’importante è cercare di affrontare tutto con serenità e con un po’ di ironia. Corriere Vicentino |
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L’interpretazione di un sogno Riuscire a tradurre i desideri degli sposi con professionalità, precisione e creatività. Una continua formazione, l’attenzione per ogni dettaglio e la capacità di cogliere le novità sono i tratti riconoscibili de Il Veliero. Sotto la regia di Genny Bozzolo – organizzatrice di eventi e titolare dell’agenzia – il matrimonio diventa una vera e propria opera d’arte dove sapori, colori, profumi, allestimenti e scenografie contribuiscono a creare la perfetta armonia. Dalla prima consulenza gratuita al risultato finale, gli sposi sono seguiti passo dopo passo per realizzare con stile il loro sogno più grande.
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Nella scelta del bouquet lo sposo deve partecipare attivamente, guidato dai gusti della promessa sposa e da eventuali indicazioni sul vestito che sceglierà.
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Trovare sempre un elemento caratterizzante che può essere un colore, un fiore, un elemento decorativo dove puntare l’attenzione.
Per decorare il buffet scegliere sempre una scenografia a tema. Nel caso di atmosfere country, perfette anche le piante aromatiche.
Lo studio delle luci nei ricevimenti serali è fondamentale. Mixare la luce calda delle candele con illuminazioni tecniche, anche colorate, da adattare al luogo.
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Un abito anni 20, con del pizzo, corto ma soprattutto con le tasche. È questa la novità vista sulle passerelle moda sposa. Ma l’abito va sempre scelto con attenzione: quello giusto può aiutare a nascondere difetti fisici e insicurezze personali.
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Creare qualche piccolo dettaglio in grado di far sorridere gli ospiti, farli sentire accolti e coccolati. Il successo di una festa di nozze si legge sul volto degli invitati al momento dei saluti.
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Le tendenze 2013 Le tendenze del 2013 non lasciano adito al dubbio, il ricevimento più “in” è elegante ma allo stesso tempo informale, semplice ma ricercato e, soprattutto, coinvolgente. Il pranzo è servito Nella scelta del cibo è fondamentale puntare su ingredienti di qualità, optando per fornitori e produttori locali. Un’alternativa sempre più di moda al classico banchetto placè è il “finger food buffet”, ovvero l’allestimento di una serie di isole nelle quali vengono serviti stuzzichini e pietanze a tema, lasciando gli ospiti liberi di muoversi e di socializzare. Un’ottima idea questa per risparmiare facendo comunque un figurone. Riguardo agli allestimenti le alternative di tendenza sono due, da una parte la scelta di colori vivacissimi e allegri, dall’altra quella di soluzioni monocromatiche che prediligono tonalità neutre come l’avorio, i colori pastello e, soprattutto, il verde.
Country chic Lo stile rustico nel matrimonio ormai fa davvero tendenza: dopo Ginevra di Montezemolo e Margherita Missoni sono molte le spose vip country. In modo trendy e originale, per il suo evento Margherita ha infatti saputo sapientemente organizzare delle particolarissime nozze sull’erba, all’insegna di fiori multicolore, spighe di grano - simbolo di giugno, mese del matrimonio - e margherite.
Torta nuziale È il fulcro della festa, la più immortalata nelle foto ricordo. Quando era lei l’unica protagonista del ricevimento non comparivano altri dolci nel menù. Oggi la novità sono le isole di degustazione a tema: i gelati, i dolci al cucchiaio, alla frutta, le praline… Il tutto accompagnato da allestimenti scenografici.
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Questione di dettagli La data? Fissata. La location? Incantevole. Il menù? Deciso. Ma non è finita qui... Ecco qualche consiglio per arrivare al sì senza stress. Bomboniere Utili e insolite. Al posto dell’oggettino, le proposte diventano tante, per tutti i gusti e soprattutto insolite e personalizzate. A tal punto che sarà anche l’anno del fai da te e del fatto a mano in generale. Le bomboniere più di moda saranno quelle mangerecce con confezioni ed etichette personalizzate; candele di ogni forma, vere e proprie sculture, cd (attenti ai diritti SIAE!) e libri on demand; o le opere di artigiani locali. Infine, i pensieri-natura: piantine, semini e così via. Il tutto confezionato con molta attenzione: scatole colorate con monogrammi, nastri di satin in tono, etichette. La confezione in questo caso conta.
Il significato dei confetti Il sapore agrodolce rappresenta la vita. Lo zucchero è la speranza di una vita più dolce che amara. Le cinque mandorle significano: salute, ricchezza, felicità, fertilità e longevità.
Frasi e auguri Il biglietto d’auguri è importante tanto quanto il regalo che accompagna. Però c’è sempre l’imbarazzo del “foglio bianco”. Come fare? Pensate al concetto chiave da trasmettere e arricchitelo scrivendo in modo semplice e chiaro. E senza dimenticare di esprimere le vostre felicitazioni. Nel caso in cui gli sposi si distinguano per il loro spiccato senso dell’umorismo, il messaggio può essere scanzonato, divertente ma mai volgare. Se si usa internet, a disposizione ci sono le e-cards, personalizzabili con il vantaggio di essere di immediata ricezione e super economiche... sono però un’alternativa last-minute al telegramma. Ultima cosa: al ricevimento potreste trovare il guestbook, o originali contenitori porta bigliettini, dove lasciare una frase. Preparatevi un messaggio!
Cosa fare per i bambini I piccoli difficilmente vivono il pranzo o la cena di matrimonio come un momento in cui restare tranquilli e seduti a tavola. Occorre dunque trovare occasioni per intrattenerli, per non annoiarli e di conseguenza non tormentare gli altri invitati, genitori e non. Una delle soluzioni, se la location e il budget lo permettono, potrebbe essere quella di affittare per mezza giornata un paio di giochi gonfiabili, che permetteranno ai bambini di correre, arrampicarsi, scivolare e cadere senza riportare ferite o traumi. Se invece meteo e budget non lo permettono, si può pensare a creare una piccola zona “cinema” con un tappeto, qualche cuscino, un televisore con lettore DVD e... via ai cartoni animati. Altra idea intramontabile: un bel tavolo con colori, fogli di carta e un po’ di cibo da stuzzicare riuscirà a distrarre i piccoli per un po’. E se sono ragazzini? PlayStation o Wii saranno una bella sorpresa. Infine, potreste pensare all’angolo merenda con vasi in vetro riempiti di marshmallow, lecca lecca e caramelle.
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Il viaggio di nozze su misura per voi Il video, la musica e la novità Nei video niente forzature ed effetti sfumati ma un tocco in più al classico reportage, uno stile che faccia ricordare più le emozioni della giornata nel complesso che i singoli momenti. Ad esempio, in stile Super 8 con l’effetto sgranato e aumentando la velocità per far rivedere lo svolgimento della giornata. Oppure, magari soltanto per lo spazio di una canzone, i cosiddetti video matrimoniali da un minuto. Dall’America arriva l’idea dei video save the date: video memo simili alle partecipazioni ma più informali, per avvisare gli invitati della data del matrimonio. Attuali anche i brevi video-racconti sugli sposi durante il ricevimento. Niente effetto melassa, però, ma molto humor. Per la musica al ricevimento, gruppi musicali, soprattutto jazz, o la scelta del Dj, meno impegnativo di una band, anche economicamente, e più flessibile. La novità è il photo booth, un trend che sta diventando sempre più presente nei matrimoni statunitensi. Si tratta di uno spazio con un semplice sfondo davanti al quale gli ospiti possano farsi ritrarre con un augurio per gli sposi. Nei matrimoni più informali e rilassati, si lasciano agli invitati possibili travestimenti, come occhiali, baffi finti, cappelli, e così via, o cornici con le sagome in perfetto stile primordi della fotografia.
Il VIAGGIO DI NOZZE è un momento importante, sul quale si proiettano sogni e speranze e chi lo vive intensamente ne concretizza le emozioni che diventano poi ricordi indelebili. Mi occupo di organizzare viaggi da oltre un decennio, la mia professionalità è supportata dalla personale esperienza e da importanti contatti che mi permettono di creare e consigliare il viaggio più adatto alle richieste dei clienti. Un viaggio attento nella selezione di ciascun aspetto, dall’hotel, al pacchetto del tour operator alla complessità di itinerari particolari. Operando fuori dallo schema tradizionale dell’agenzia, seguo personalmente il cliente, nel rispetto del suo tempo, delle sue esigenze e della sua disponibilità economica, assicurando efficienza e riservatezza nel colloquio. Per questo la consulenza è su appuntamento, senza impegno, nel mio ufficio, a casa o nel luogo più conveniente per il cliente. Solo capacità tecnica, sensibilità e professionalità portano a trovare la soluzione giusta dove ogni dettaglio risponde alle aspettative di chi viaggia.
Luna di miele Romantica o avventurosa, glamour o defilata, la luna di miele è un evento magico per i neosposi. L’85% delle coppie non intende rinunciarvi e predilige le destinazioni a lungo raggio. Mare, acque cristalline e sabbia candida, ma non solo. Sono molto richiesti anche i viaggi di nozze culturali o ecosostenibili. L’80% delle coppie si affida a un’agenzia e si sta affermando anche la figura del consulente di viaggio, ideale per organizzare itinerari innovativi e pacchetti su misura.
Arianna Carradore
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Cose da fare e da evitare Come non commettere gaffe seguendo le regole del bon ton. Anche se siamo nell’era di internet gli inviti non si spediscono via web.
Le invitate non possono indossare qualsiasi cosa.
Vero:
Tra le regole imprescindibili, c’è sicuramente quella legata al rituale della stesura e consegna delle partecipazioni. Devono essere cartacee, recapitate via posta uno o due mesi prima del sì e con il nome dell’invitato scritto rigorosamente a mano. Se siete particolarmente amanti del web, sbizzarritevi con un blog in cui terrete tutti aggiornati sull’organizzazione dell’evento.
Vero: Il bon ton parla chiaro. Total
È obbligatorio rispondere all’invito solo se si decide di partecipare alle nozze
Non siete tenuti ad invitare chi vi ha invitato al suo matrimonio.
Falso: Quando ricevete un invito, a maggior ragione
Falso: Secondo il bon ton non dovreste
se si tratta di un matrimonio, dovete sempre dare una risposta, nel minor tempo possibile.
white e in total black sono out. Il primo perché è riservato esclusivamente alla sposa, il secondo perché inadatto ad una festa di nozze. È ammesso però il bianco mixato al nero e tutti i toni pastello. Sono sconsigliati anche i modelli eccessivamente scollati e le mise troppo seducenti. Tenete presente che la sposa è la vera protagonista!
dimenticare chi vi ha invitato alle sue nozze. È questione di educazione e cortesia.
Se la cerimonia si celebra d’estate, sposa e invitate possono evitare di indossare le calze.
Non invitare gli ex alle proprie nozze
Falso: Sposa e invitate devono indossare sempre un
niente ex tra gli invitati. Questo per non creare inutili gelosie o fraintendimenti. Il matrimonio di William & Kate ci ha mostrato però che alcune regole stanno cambiando!
paio di collant, magari velatissime e in color naturale. Sono simbolo di eleganza e sinonimo di stile.
Le fedi devono essere acquistate dallo sposo e date in consegna al testimone o ad una persona fidatissima.
Vero: Fedi e bouquet sono di competenza del
futuro marito, che le acquista e le lascia in custodia al testimone (nel caso delle fedi) o direttamente alla sposa (per quanto riguarda il bouquet). In entrambi i casi, però, l’acquisto avviene di comune accordo.
L’assegnazione dei tavoli: siete in panne? Cominciate dai parenti più stretti.
Vero: Se avete paura di commettere degli errori, tenete come punto di riferimento i parenti prossimi. A loro saranno assegnati i posti più vicini al tavolo degli sposi. Per il resto, mixate con cura!
Vero: Per il bon ton non ci sono grossi fraintendimenti:
Le vere fedi sono quelle in oro giallo e sono esclusivamente coordinate.
Falso: Oro giallo, oro bianco, oro rosa, platino o titanio,
le leghe sono molte e non c’è che l’imbarazzo della scelta. La joiellerie moderna non disdegna l’idea di proporre modelli differenti per lui e per lei, e le tendenze lo confermano. Di base la fede è identica, ma differisce nei dettagli.
Come accessori, la sposa dovrebbe indossare solo un paio di orecchini e una collana. Via, quindi, anello di fidanzamento, bracciali e orologio.
Vero: L’immagine della sposa deve essere pulita e senza eccessi. Basteranno un piccolo filo di perle e dei semplici punti luce a renderla radiosa. Dopo la cerimonia, invece, può indossare l’anello di fidanzamento.
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i m p r e s e i n v e t ta
Gente di montagna Vicenza è una terra di scalatori. Gente che conduce una vita normalissima ma quando può raggiunge vette per altri inaccessibili. C’è chi è famoso e chi meno. C’è chi ha scalato fino a 75 anni e chi scala nonostante sia ipovedente. C’è anche chi si è rifugiata qua dal Tibet, ma non resiste al richiamo delle altezze in cui è nata. di Giuseppe Signorin, Ilaria Boscardin, Alberto Faedo e Giovanni Salviati
Mario Vielmo non ha bisogno di presentazioni. Basta dire che per otto volte è andato sopra quota 8000, Everest e K2 inclusi. Ha un negozio nel centro di Lonigo, ma è soprattutto una guida alpina che appena può si dirige verso altre altitudini. Non ama scendere in dettagli tecnici, la sua passione riguarda sfere più intime, spirituali. Preferisce che si racconti di quando nel 2006 ha portato la fiaccola olimpica dal Dalai Lama, fiaccola che poi è stata messa all’asta e il ricavato ha contribuito ad aprire una scuola nel Dharamsala. L’ultima salita che l’ha visto coinvolto, l’estate
L’attimo perfetto
Corriere Vicentino |
scorsa, è stata al G1, 8068 m. “A 120 metri dalla vetta una bufera ci ha costretti a tornare indietro – ci racconta. Ogni spedizione ha il suo insegnamento, che abbia successo o meno. Si tratta sempre di un’avventura irripetibile. La meta non è raggiungere la meta a tutti i costi. La meta è imparare qualcosa, per esempio a rinunciare e tornare a casa sani e salvi”. Sicuramente tanta saggezza è dovuta al fatto che nel corso della sua carriera ha perso diversi compagni di viaggio, fra cui Stefano Zavka, mentre stava scendendo dal K2 (evento ripreso nel documentario trasmesso da Raidue nel 2007, “K2: il sogno, l’incubo”, di Marco Mazzocchi). E questo è senz’altro il punto dolente. Ma uno scalatore conosce bene i rischi cui va incontro. “La natura va amata, ma non bisogna sfidarla. Quando parto per una spedizione è come se mi prendessi una pausa dal mondo ordinario, uno spazio tutto mio, dove trovo me stesso. Raggiungere una vetta costituisce per me un attimo perfetto, un attimo in cui non penso: contemplo. Il desiderio di scalare viene dall’intensità di quegli attimi”.
31 | Imprese in vetta
“Mi piacciono le montagne a punta, come quelle che disegnano i bambini – ci confida Tarcisio Bellò, esperto alpinista di Quinto Vicentino. “Ho fatto tanti lavori e mi sono licenziato varie volte per poter fare alpinismo… Grazie a Dio, appena ho iniziato, a 28 anni, ho fatto un errore e sono caduto… Grazie a Dio perché ho capito subito che dovevo essere prudente… Dopo l’incidente sognavo ogni notte di precipitare. Una mattina mi sono svegliato ed ero giù dal letto. Lì mi si è accesa la lampadina”. E deve aver fatto anche parecchia luce, quella lampadina, perché da quel momento Bellò ha iniziato a salire sempre più in alto, fino all’Everest, e per ben due volte: la prima, nel 2003, arrivando a 50 m dalla cima; la seconda l’anno successivo, quando l’ha raggiunta. Ma l’apice della sua carriera è stato il Karka, nel 2007. “Pur non essendo un 8000 lo considero la mia massima espressione alpinistica: 1200 m di parete su ghiaccio con passaggi verticali a strapiombo. Non sempre conta l’altezza, possono esserci sfide più entusiasmanti in monti minori”. Tarcisio ci parla anche di preparazione. “Bisogna studiare molto: fisiologia, nutrizione, tutto ciò che riguarda la montagna. A certi livelli non si può trascurare una virgola. Quando si è su, non ci si può fermare come in una maratona: poi bisogna scendere”. Bellò è anche scrittore e promotore di operazioni umanitarie, fra cui un acquedotto e un centro alpinistico in onore di Cristina Castagna nel villaggio di Gothulti, nel nord del Pakistan. A dargli la forza, la sua grande fede. “Ho lasciato un Cristo in ceramica sull’antecima cinese dell’Everest, nel 2003. L’anno dopo, all’alba, prima di raggiungere la vetta, ho visto una luce evidenziare i contorni della terra. Mi sono reso conto solo in quel momento di quello che ci ha dato Dio”.
Non conta
l’altezza
Corriere Vicentino |
Una passione a tutto tondo quella di Giacomo Albiero, l’arrabbiato della montagna, arrivato ormai alla veneranda età di 88 anni, dopo una vita dedicata alle scalate e non solo. Un amore per le alte vette che comprende anche i fossili e lo sci di fondo, che lo ha visto protagonista di ben 36 edizioni su 39 della Marcialonga. Quando ha iniziato con le prime scalate? Fin da piccolo andavo ai castelli di Montecchio, chiedendomi cosa ci fosse al di là dei monti. Poi, dopo la guerra, ho ricominciato ad andare sulle Piccole Dolomiti: ai tempi l’autobus costava due lire, un vero investimento per me! Finché nel 1947 ho partecipato al primo campeggio del Cai montecchiano a Misurina, dove sono iniziate le scalate vere sulle Tre Cime di Lavaredo. Dopo le prime esperienze, ho iniziato ad affrontare le cime più impervie come il Civetta, le Pale di San Martino, la Marmolada, il Pasubio, il Monte Bianco, le cime del Sud America, dell’Himalaya e tante altre. Come mai la chiamano l’arrabbiato della montagna? Sono sempre stato uno spericolato: le prime scalate le ho fatte senza corde e ho sempre avuto una sorta di fame per le vette, volevo farne sempre di più e più difficili. Durante le scalate ho sempre cercato delle varianti ai percorsi segnati dalle guide, scovando nuove vie più complicate e appaganti. Lei ha scalato fino all’età di 75 anni. Ricordo che una delle mie ultime scalate è stata al Carlesso sulle Piccole Dolomiti e in due raggiungevamo ben 150 anni. Comunque in questo sport ciò che conta è la tranquillità più che la forza fisica. Ha più importanza il fattore psicologico, soprattutto nelle solitarie. Dopo tante imprese, non le mancano le scalate? Nel 2000 purtroppo mi sono tagliato i tendini di un polso e da allora non ho più potuto arrampicare, ma sono contento di poterlo raccontare dopo la guerra e tutte queste avventure. Certo, un po’ di nostalgia c’è e allora mi abbandono ai molti ricordi delle montagne e dei tanti amici che ho conosciuto e anche perso, ma sono comunque felice e mi reputo una persona davvero fortunata.
Non conta l’età
32 | Imprese in vetta
Quando si dice tale padre, tale figlio. Renzo Brunello, figlio del grande scalatore montecchiano Franco Brunello, oltre al cognome ha ereditato dal padre la grande passione per le scalate. È grazie a lui, infatti, che fin da piccolo ha iniziato a frequentare le montagne e a dedicarsi a questa attività. Com’è nata la sua passione? Ovviamente mio padre ci ha messo lo zampino, e poi mia madre è trentina per cui entrambi hanno trasmesso questa passione a me e alle mie sorelle. Poi ho iniziato a seguire i primi corsi, per me molto impegnativi perché tra i miei amici ero l’unico a frequentarli, per cui mentre io al sabato sera andavo a letto presto perché alla domenica mattina avevo la scalata, loro andavano in discoteca e tornavano tardi... ma la passione era grande! Qual è stata la sua prima importante scalata? A 18 anni ho fatto la mia prima uscita extraeuropea in Pakistan. È stato bellissimo perché ho avuto la possibilità di vedere paesaggi fantastici e mi ha permesso di avere un contatto con la gente del posto, persone che non hanno mai visto un turista nella loro vita. E poi? A quali vette si è dedicato? Poi ho scalato il Kilimangiaro in Africa, l’Aconcagua in Sud America, le montagne della Namibia, del Nepal, del Pakistan… E quale tra queste le è rimasta maggiormente impressa? Sicuramente l’Aconcagua. È la montagna più alta della Cordigliera delle Ande, di tutto il continente americano e di tutto l’emisfero meridionale. Inoltre, particolare non da poco, l’ho scalata assieme a mio padre che mi ha raggiunto in Sud America apposta per l’impresa. Ha una scalata nel cassetto?
Attenti a quei due
Gli 8000 m sono il sogno di ogni alpinista, anche se questo non significa che i 6000 m siano meno belli, anzi, però il chiodo fisso resta sempre. Come si prepara per una scalata? Solitamente, una volta arrivati al campo base, si rimane due giorni a riposare. Poi si porta il materiale al primo campo e si torna giù a riposare e così via fino alla vetta: un continuo su e giù che permette di allenarsi sul posto. Solo così si evita di soffrire per la quota. Ovvio poi che fondamentale resta il meteo, la preparazione e il gruppo: la cordata ti lega a un’altra persona e devi essere sicuro che di quella persona potrai fidarti ciecamente. E come convive con la paura? Sono dell’idea che sia tutto relativo: chi non ha una preparazione minima è normale che abbia paura, come a me farebbe paura il mare, ad esempio. L’importante è essere preparato, conoscere i rischi e sapere come affrontare un problema in caso di difficoltà.
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Per Simone Salvagnin, ventottenne di Schio, la montagna è una fonte di energia e un ambiente che gli permette di vivere in piena simbiosi con la natura. Quando arriva in cima non può godersi il panorama come gli altri, in quanto ipovedente, ma prende coscienza delle sensazioni del viaggio a modo suo e anno dopo anno si propone sfide sempre più importanti e appaganti. Com’è nata la sua passione? Ho iniziato da piccolissimo, nel Pasubio. Vengo da una famiglia di alpinisti per cui diciamo che ce l’avevo nel sangue. Poi a 10 anni ho scoperto di essere affetto da retinite pigmentosa, una malattia degenerativa della retina che mi sta portando alla quasi totale cecità. Sul momento avevo smesso con le scalate, perché avevano un impatto a livello psicologico molto forte. Poi, trainato da alcuni amici, nel 2007 ho ripreso.
Al di là della vetta
Lei è anche un campione di arrampicata sportiva. Sì, ho ottenuto due terzi posti in due campionati mondiali e nel 2011 sono diventato campione italiano di arrampicata sportiva. Presto diventerà anche una disciplina olimpica e paralimpica, dovremmo esserci già nelle olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016. Ma per me è molto più importante l’alpinismo e le sensazioni che ti regala. Qual è la sua ultima impresa? Nel 2012 ho partecipato a una spedizione ad alta quota di tre mesi il cui obiettivo era l’Ojos del Salado in Sud America, il vulcano attivo più alto del mondo. Ora mi sto preparando per un progetto della durata di due anni che mi porterà tra i 4000 delle nostre Alpi, nell’est Europa, in Africa e sull’Himalaya. Come vive la montagna? In cima alla montagna non posso godermi il panorama, ma in compenso sono totalmente appagato da quello che ho fatto con le mie poche risorse. Durante una scalata la concentrazione per me è maggiore rispetto a un vedente e questo mi permette di non pensare alla mia condizione e di svuotare la mente, una sorta di meditazione attiva che mi dà la forza necessaria per non farmi schiacciare dalle difficoltà della vita.
Corriere Vicentino |
Montagna significa altezza e se pensi a qualcosa di alto pensi al tetto del mondo, il Tibet. Un luogo del pianeta distante in tutti i sensi, sia per l’altitudine (in media superiore ai 4900 metri), sia perché pochi conoscono il dramma che il popolo tibetato sta vivendo. Distante fino a un certo punto, però: può capitare infatti di trovare sulle nostre montagne una tibetana doc, come Sonam Yongshar, nata nel versante Nepalese del monte Everest, proprio mentre i suoi genitori stavano scappando dall’amato Tibet a causa del regime cinese. Sonam è cresciuta prima in un collegio in India, poi in un collegio internazionale in Svizzera, e una volta maggiorenne si è trasferita in Italia. Attualmente vive a Lonigo. “Amo la montagna, in qualsiasi stagione e con qualsiasi tempo atmosferico - ci racconta. Appena posso, prendo l’auto e mi sposto sulle Piccole Dolomiti. Durante le stagioni più calde pratico l’arrampicata su parete rocciosa, poi, quando fa più freddo, arrampico sulle cascate ghiacciate, con ramponi e piccozze… Come vive la montagna? Dipende dal momento: se ho bisogno di liberare la mente, vado da sola. Cammino, ascolto i rumori, ascolto i miei passi sui sassi, ascolto il vento, le foglie… il silenzio. Se invece sono alla ricerca di compagnia e divertimento, vado con altre persone che condividono la mia stessa passione. Alcune delle sue imprese sportive ad altezze importanti? Sono stata in Messico sul Pico de Orizaba (5700 metri), in Guatemala sul vulcano Tajumulco (4200 metri) e in Italia sull’Adamello (3500 metri). Nessuna sfida sulle sue montagne d’origine? Magari! Non posso tornare nel mio paese. La mia famiglia ed io non possiamo mettere piede in suolo tibetano. Siamo nella lista nera. La situazione è davvero critica. Nel 2012 quasi 80 giovani tibetani si sono autoimmolati. Un gesto estremo, per far parlare del Tibet. Con l’associazione VeneTibet stiamo cercando di aiutare concretamente i tibetani e i profughi rifugiati in Nepal e in India.
Nata a 5000 m
34 | Imprese in vetta
La montagna come ricerca della propria umanità. E la fatica e la tecnica come misura della grandezza del proprio desiderio. È stata questa la vita di Renato Casarotto, forse il più grande alpinista vicentino. La sua è stata una storia di continua crescita, senza voler apparire con mete e record spettacolari. Così è stata anche la sua fine, nel 1986, dentro un crepaccio sul K2, a pochi passi dal ritorno al campo base, dov’era caduto per un ponte di neve ceduto. Con il ghiacciaio che ne ha restituito il corpo a valle solo 17 anni dopo, nel 2003. Classe 1948, la sua storia umile comincia a Vicenza, quartiere Ferrovieri, dove viveva con la moglie Goretta e dove lavorava come infermiere nelle Ferrovie dello Stato. Le sue prime imprese sono nate in questo contesto. Leggendarie ma non vistose, fatte
Senza limiti
soprattutto di eccezionali ascensioni invernali solitarie sulle Alpi, dalle Dolomiti al Monte Bianco. È diventato un professionista dell’alpinismo verso la metà degli anni 70 e solo allora ha potuto progettare conquiste più ambiziose. Oggi, un altro alpinista vicentino e suo omonimo (ma non parente), Giampaolo Casarotto, ci racconta il suo rapporto con
Renato: “Quello che ti colpiva di lui era la determinazione. Quando aveva in mente un obiettivo niente lo fermava. Ricordo una sua nuova via sulla cima Busasca del Civetta, più di mille metri di parete. Prima di riuscire a completarla, l’ha provata tre volte. Io l’ho aiutato portando per un tratto del materiale. Nel K2 è stato lo stesso. Prima di cadere ha provato la vetta per un itinerario nuovo, lungo lo sperone sud-sud-est, da solo. Impresa inimmaginabile, per quei tempi. Solo anni dopo una spedizione è riuscita a conquistare il K2 da quella parte. Straordinarie anche le imprese sul Mc Kinley e sul Monte Bianco. Riusciva a stare in quota 15 giorni in autosufficienza, sapendo aspettare il momento propizio. Una settimana da solo nelle intemperie stroncherebbe chiunque. Lui invece trovava la forza per durare. Sull’Himalaya ha iniziato una collaborazione con Reinhold Messner, che poi ha abbandonato perché allora era impegnato nella corsa ai 14 ottomila, e non gli interessava ricercare vie nuove più difficili, come interessava a Renato. Era sempre determinato nei suoi obiettivi”. Com’era nei rapporti? “Una persona semplice, non un grande comunicatore, e questo gli ha reso più difficile trovare sponsor. Ma non portare la prima donna italiana, sua moglie Goretta Traverso, in vetta a un ottomila, il Gasherbrum II, come viaggio per i dieci anni di matrimonio”. È stato il più grande alpinista vi centino? “Sì, perché era il più completo. Altri magari lo superano, ma solo in alcuni ambiti. Era un solitario anche perché non riusciva a trovare compagni alla sua altezza”. La sua continua crescita lo ha portato infine a riconoscere Dio sulle vette, come diceva agli amici, ma anche ai giornalisti che gli chiedevano delle sue ultime imprese. “È la montagna stessa – ancora Giampaolo Casarotto – che ti porta a vedere qualcosa al di là, per l’estremo fascino dell’ambiente. Soprattutto quando vai ai limiti, come lui, ti accorgi di una forza, una bellezza sovrumana in cui sei immerso”.
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soccorso alpino
Professione T.E. Non amano essere presi per degli eroi. Ma è quello che sono. Rischiare la propria vita scendendo da un elicottero attaccati a un cavo per salvare persone in situazioni di difficoltà estrema non è cosa da tutti. È cosa da tecnici di elisoccorso (T.E.), come Marco Bussarello e Paolo Dani. di Giuseppe Signorin
C’
C’è chi nel tempo libero monta mobili Ikea e chi salva vite. Marco Bussarello e Paolo Dani salvano vite. Sono due tecnici di elisoccorso. Due T.E. Il che significa che se succede un incidente in un luogo difficilmente raggiungibile e qualcuno chiama il 118, immediatamente vengono avvertiti loro. “Dopo tre minuti dalla chiamata dobbiamo essere in volo – ci spiega Bussarello, nato ad Arzignano e T.E. da quasi un anno. Il nostro compito è di garantire la sicurezza del medico e dell’infermiere addetti alle operazioni più delicate. Ognuno di noi dà la disponibilità due, tre volte al mese. Durante i giorni di servizio restiamo nella nostra base, a Verona, pronti a muoverci in caso di chiamata”. Non è da tutti, fare il T.E. Servono esperienza e predisposizioni naturali fuori dalla norma, e bisogna passare delle selezioni molto dure. “Visto che ho la possibilità e le capacità, perché non metterle a disposizione degli altri? Mi sembra giusto, potrebbe capitare anche a me di avere bisogno di soccorso. E poi salvare una vita umana è una soddisfazione impagabile, la più grande che si possa provare in questo mondo” – ancora Bussarello. Sia lui che Dani sono estremamente riservati, non fanno questo genere di servizio per mettersi in mostra o sentirsi dei supereroi. Dani, nato a Valdagno, è un T.E. di esperienza decennale, oltre a essere un istruttore regionale di guida alpina. Ci dice che bisogna rimuovere in fretta quello che si vede, in certi casi, se si vuole dormire la notte. “Qualche volta capitano però anche cose divertenti. Col senno di poi, ovviamente... C’è stato un tedesco che era caduto dalla mountain bike in un sentiero di montagna. Con l’elicottero non riuscivamo a trovarlo, siamo dovuti atterrare in fondo valle, aspettando notizie dalla centrale operativa. Avevamo pochissimo carburante. Nel frattempo sono arrivati due ragazzi in sella a due moto da trial, dicendoci che sapevano dov’era il ferito. Uno dei due mi ha lasciato la sua moto, mentre l’altro mi ha guidato nella direzione giusta. A un certo punto, però, ho perso il controllo, ho rischiato grosso... Grazie a Dio non mi sono fatto niente e alla fine siamo riusciti a recuperare il tedesco. Fra un po’ dovevano venire a recuperare me invece di lui...”
Corriere Vicentino |
36 | Soccorso Alpino
IL C.N.S.A.S. Il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico è la struttura operativa del Club Alpino Italiano. È una libera associazione di volontariato apartitica, apolitica e senza fini di lucro ispirata ai principi di solidarietà e fiducia reciproca tra i soci. Ha il compito di provvedere alla vigilanza e alla prevenzione degli infortuni nelle attività alpinistiche, escursionistiche e speleologiche, al soccorso degli infortunati e dei pericolanti e al recupero dei caduti. È una struttura nazionale operativa del Servizio nazionale di protezione civile. Il C.N.S.A.S. si articola sul territorio attraverso 21 Servizi costituiti ognuno per ogni regione o provincia autonoma dello Stato italiano. Ad essi convergono 31 Delegazioni alpine e 16 Delegazioni speleologiche che a loro volta racchiudono i Nuclei operativi, chiamati Stazioni, cui spetta il compito di portare soccorso. Le Stazioni alpine sono 242, mentre quelle speleologiche sono 27. L’ammissione al C.N.S.A.S. è possibile per tutti i soci del Club Alpino Italiano di età compresa tra i 18 e i 45 anni, dopo il superamento delle prove di ammissione, necessarie per la verifica dei requisiti richiesti. La domanda va presentata al responsabile della Stazione C.N.S.A.S. competente per territorio, corredata del curriculum dell’attività alpinistica o speleologica degli ultimi due anni e di un certificato medico.
s p o rt e a s s o c i a z i o n i
Gruppi da record
L
di Giuseppe Signorin e Francesco Meneghini
L’idea è nata una mattina di novembre, nell’ormai lontano 1977. Francesco Zecchin, l’attuale presidente, non ha fatto che seguire quell’idea e portarla ad alcuni amici appassionati, come lui, di sci. All’epoca le attrezzature erano rudimentali – sci di legno fatti in casa e pseudo piste da battere e risalire a piedi. Il lavoro era tutto in salita, insomma, ma da quel momento in poi lo Sci Club Chiampo non ha fatto che crescere, fino a diventare la terza associazione sciistica italiana per numero di abbonati, quasi 600. A ottobre 2012 ha spento 35 candeline, con una festa e una rappresentazione fotografica arricchita dalla presenza di Pino Dellasega, pioniere del Nordic Walking in Italia. E il Nordic Walking, in particolare con il Trekking del Cristo pensante, che coniuga l’attività fisica con la riflessione interiore e la dimensione della fede, è solo una delle tante novità che lo sci club sforna ogni anno. Continuano invece le gare sociali, inaugurate già alla fine della prima stagione di attività per premiare i soci con una domenica speciale sulla neve. Sempre nel corso della prima stagione, grazie a un’intuizione di Daniele Boschetti, sono stati trovati lo stemma del gruppo, il mitico Orso Yoghi, che ancora resiste, e la prima divisa ufficiale, che altro non era se non un maglione di lana. Ma lo Sci Club Chiampo non ha nulla di nostalgico. L’attenzione è tutta rivolta verso il futuro. “Stiamo puntando tantissimo sulle iniziative per i bambini e i ragazzi. Non perché escano necessariamente dei campioni, non è questo che ci interessa, ma per infondere la passione dello sci e portarla alle nuove generazioni”, ci dice Luca Zecchin, segretario dello Sci Club e figlio di Francesco. “E adesso avanti per altri 35 anni!”.
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V
Vivere tutto l’anno ai piedi delle Alpi e riuscire a scorgerne, durante le giornate più limpide, le cime maestose, ha fatto e fa nascere tutt’ora l’amore per la montagna nel cuore di molti abitanti della pianura vicentina. La sezione del C.A.I. di Ar zignano ne è la dimostrazione lampante: con oltre 700 iscritti, ha segnato il record di nuovi soci tra i club del Triveneto, con attenzione particolare ai giovani e giovanissimi. Abbiamo intervistato Celeste Groppo, presidente di sezione arrivato al quarto anno di incarico. Come si spiega questo grande successo di iscrizioni? Evidentemente la nostra è una sezione che lavora bene, offrendo una grande varietà di attività, per appassionati di tutti i livelli, sia d’estate che in inverno. Dai corsi di sci alpinismo e arrampicata per gli esperti fino alle prime nozioni di escursionismo per chi vuole avvicinarsi alla montagna in sicurezza. Quanto è importante la preparazione prima di affrontare un’attività in montagna? Noi riteniamo che sia fondamentale, per questo puntiamo molto sulle attività dedicate ai giovani, in modo che possano iniziare a prepararsi da subito. Molte volte le disavventure in montagna sono dovute a inesperienza e scarsa preparazione. Una delle tre settimane bianche organizzate dalla sezione è dedicata proprio ai ragazzi dagli 8 ai 13 anni. E per quanto riguarda i più esperti? Ovviamente esistono corsi ed attività dedicati anche a loro. Ogni anno vengono organizzate una o più uscite per trekking ad alta quota. L’anno scorso per esempio abbiamo fatto un’escursione attorno all’Annapurna, nella catena dell’Himalaya. Poi uno dei nostri soci, proprio lo scorso dicembre, ha raggiunto la vetta dell’Aconcagua, a quasi 7.000 metri: una gran bella soddisfazione.
38 | Sport e Associazioni
LA PRUDENZA NON È MAI TROPPA
llo sull’Adame i Arzignano d I A C ci so Alcuni o miti di Sest e sulle Dolo
La montagna, con la gamma di attività che offre agli appassionati di ogni età, resta una delle mete più apprezzate. A volte però l’inesperienza o la semplice sfortuna possono trasformare una bella giornata in disavventura. “Il mix imprudenza – scarsa preparazione è la causa principale di incidenti in montagna ” spiega il dottor Miraldo Colombini, primario di ortopedia all’Ospedale di Valdagno Che precauzioni sono più efficaci per evitare incidenti in montagna? È bene affrontare ogni attività con un minimo di preparazione fisica, che torna utile per uscire al meglio dalle situazioni di difficoltà, e ovviamente con prudenza. Per le attività sciistiche è fondamentale proteggersi, soprattutto con il casco, e in generale rispettare le norme imposte sulle piste. Quali sono gli infortuni più frequenti? Per quanto riguarda la stagione invernale, fino a qualche tempo fa i traumi più diffusi erano legati alla pratica dello sci, quindi soprattutto traumi alle gambe. Con l’avvento dello snowboard però c’è stato un incremento delle lesioni agli arti superiori, spesso spalle e polsi. Per quanto riguarda l’attività estiva invece? Oltre alle comuni distorsioni che ci si può procurare camminando su sentieri impegnativi, stanno aumentando gli incidenti causati da distacchi di rocce. In ogni caso non bisogna aver paura: con un po’ di sana prudenza e le adeguate precauzioni si può godere dell’esperienza in montagna senza problemi e con serenità.
l av o r a r e i n m o n tag n a
Una vita da malgari
U
di Silvia Maculan
Una vita semplice tra la natura e gli animali, “lassù sulle montagne, tra boschi e valli d’or”, un misto di romanticismo ma anche durissimo lavoro: così papà Giuseppe e mamma Annamaria hanno cresciuto i loro figli Massimo e Antonio. Durante l’anno la famiglia gestisce un allevameno di bovini da latte e un’attività agrituristica tra le nostre campagne, mentre in estate si trasferiscono da più di trent’anni in una malga in montagna, dove portano avanti il lavoro. Un mestiere antichissimo quello che si esercita sull’alpeggio, che abbiamo voluto far rivivere in modo autentico attraverso un’intervista alla famiglia Bertollo, proveniente dalle campagne vicentine. Chi si occupa della gestione della malga? Ci risponde il papà, Giuseppe: “Ho ereditato la passione da mio padre e dopo il matrimonio ho fatto questa scelta di vita con l’aiuto di mia moglie. Abbiamo cresciuto così i nostri figli, ai quali abbiamo trasmesso l’amore per l’alpeggio e ora lavorano con noi”. Dove si trova esatta mente? Fino all’estate 2012 a Tonezza del Cimone, località Fiorentini. Quest’anno, però, purtroppo è scaduto il contratto ma stiamo vagliando altre località: di sicuro non smetteremo! In che mesi vi spostate? Dai primi di giugno a fine settembre. Portiamo tutti gli animali presenti nella nostra azienda: bovini, cavalli, galline. Una moderna Arca di Noè! Quali sono le maggiori attività in malga? Ogni mattina produciamo formaggio fresco e stagionato, burro e ricotte. Visto che tutti gli animali sono lasciati al pascolo libero, andiamo tutti i giorni a controllarli e a conteggiarli. Come viene scandita la vostra giornata tipica? Sveglia alle 6, mungitura fino alle 7.30. Alle 8 si comincia la lavorazione del latte per la produzione del formaggio, fino alle 11.30. Pranziamo e dalle 14 alle 16 controlliamo e contiamo il bestiame. Infine mungitura serale, fino alle 18, dove Corriere Vicentino |
crolliamo. Ma quando i vostri figli erano ragazzini, come si trovavano a fare questo tipo di vita? Risponde uno dei diretti interessati, Massimo, il figlio maggiore: “Abbiamo ricordi molto spensierati, corse tra i prati, giochi, gite a cavallo, una vacanza lunga qualche mese”. Aiutavate mamma e papà? Per quanto possibile sì: a 9 anni ho imparato a mungere le mucche e la sveglia suonava anche per noi all’alba! Se certe mattine non riuscivamo a svegliarci i nostri genitori partivano comunque con l’auto verso il luogo della mungitura e noi dovevamo percorrere il chilometro che ci separava a piedi! La soddisfazione e il ricordo più bello? Di nuovo il papà, Giuseppe: “Risale al periodo trascorso a Trento, Monte Bondone, dal 1994 al 2004. Abbiamo preso in gestione una malga con annesso agriturismo in condizioni precarie e siamo riusciti a trasformarla in un punto di ritrovo per gli abitanti del posto e tappa fissa per i numerosi turisti”. Il futuro delle malghe? Purtroppo la mancanza di aiuti e agevolazioni porterà l’attività a disuso. Mi auguro di no, ma sarebbe una grossa perdita, anche per il nostro patrimonio culturale e tradizionale.
40 | Lavorare in montagna
sociale
Montagnaterapia
A
di Francesco Gualtieri
Andare in montagna non significa soltanto raggiungere una vetta dopo un lungo sforzo fisico. Andare in montagna significa anche riscoprire se stessi, avere fiducia nell’altro, sperimentare il rischio in un ambiente sicuro e protetto. Sono i concetti che stanno alla base della montagnaterapia, un progetto educativo e riabilitativo che fa della montagna lo scenario principale di ogni sua azione. Ecco come il sito www.sopraimille.it, portale della terapia della montagna in psichiatria, definisce la montagnaterapia, vocabolo introdotto per la prima volta in un articolo di Famiglia Cristiana a commento del convegno nazionale “Montagna e solidarietà: esperienze a confronto”, svoltosi nel settembre 1999 a Pinzolo: “Con il termine montagnaterapia si intende definire un originale approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, patologie o disabilità; esso é progettato per svolgersi, attraverso il lavoro sulle dinamiche di gruppo, nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della montagna”. Nel Vicentino non mancano realtà che seguono questo approccio. È il caso della cooperativa Samarcanda di Schio che, grazie ai contributi della Regione Veneto e della Fondazione Cariverona, da 4 anni gestisce progetti che hanno coinvolto circa 130 persone tra gli ospiti psichiatrici della cooperativa Mano Amica di Schio, i bambini e i ragazzi provenienti da
realtà familiari di disagio accolti dal Villaggio SOS di Vicenza e i senzatetto ospiti di Casa Bakhita di Schio. E il progetto potrebbe presto allargarsi fino ad Arzignano, perchè sono partiti i contatti con la Casa Dalli Cani, allo scopo di far vivere anche ai suoi ospiti le esperienze della montagnaterapia. Arrampicata per i più giovani del Villaggio Sos ed escursioni per gli adulti psichiatrici e senzatetto: questi i due principali filoni di attività proposti dalla cooperativa Samarcanda. “Attraverso le escursioni gli psichiatrici, gli alcolisti e i tossicodipendenti vengono accompagnati verso la riscoperta del sé, aiutandoli a spostare l’attenzione dai problemi personali alla realtà e all’ambiente che li circonda”, spiega Giovanni Gasparin, responsabile del progetto assieme a Michele Pozzan. “Ai bambini e agli adolescenti del Villaggio SOS, che provengono da difficili esperienze familiari, viene invece proposta l’arrampicata, perché aiuta a sviluppare la fiducia nell’altro, a scoprire il rischio e ad affrontarlo, ma sempre in un ambiente sicuro e protetto”. Scenario delle attività sono i siti di interesse comunitario della montagna vicentina, ma anche le palestre di roccia di Arco, in provincia di Trento. È allo studio un progetto per organizzare campi estivi aperti agli ospiti di tutti i Villaggi SOS d’Italia, mentre, grazie al rapporto di collaborazione con la Casa Dalli Cani di Arzignano, anche le montagne dell’Ovest Vicentino potrebbero diventare presto il suggestivo teatro di escursioni ed esperienze all’insegna della montagnaterapia.
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storia
Gli sfollati del 1916
L
di Luca Trissino
La prima guerra mondiale, e in particolare la Strafexpedition, cambiò di molto la geografia politica e sociale del vicentino. Nel maggio 1916 interi comuni dell’Altopiano si trasferirono nell’Area Berica e si attuò una vera e propria condivisione della vita quotidiana, della casa, dei viveri, della piazza, della chiesa. La tragedia di chi saliva le montagne per combattere al fronte si univa alle lunghe file di profughi costrette a scendere, dal versante opposto, e a rifugiarsi in paesi sconosciuti, in preda al dolore e all’ignoto. Così, gli abitanti di Asiago si rifugiarono a Noventa, quelli di Tresche Conca a Nanto, quelli di Arsiero a Lonigo, quelli di Gallio ad Albettone, quelli di Roana a Pojana, quelli di Cesuna a Campiglia, quelli di Rotzo a Barbarano e Villaga, quelli di Laghi a Montegalda, quelli di Velo d’Astico a Castegnero, quelli di Posina a Longare, quelli di Forni a Montegaldella. Attraverso gli eventi bellici l’Altopiano divenne uno scheletro di caduti e della sua gente, obbligata a fuggire nel sud della provincia e ad abbandonare le proprie piccole patrie. L’obbligo di lasciare alle spalle lo scenario di vita quotidiana giunse improvvisamente, aumentando il senso di abbandono degli sfollati. C’era poco tempo per riflettere sul proprio
futuro, sulle cose da portare con sé e su quelle, preziose, da nascondere, sperando di poter tornare presto a riprenderle. I profughi caricarono sulle proprie spalle miseri fagotti, contenenti soltanto qualche abito e qualche coperta, e slegarono dalla mangiatoia qualche vacca o mulo, pregiati strumenti di sopravvivenza. Erano tutti convinti di rimpatriare dopo poco tempo: la partenza era vissuta come un’imposizione esterna, fulminea, tragica, che andava risolta a breve. Qualche ufficiale e qualche prefetto li avevano rassicurati con questa speranza. Fortunatamente, dopo sistemazioni provvisorie manchevoli anche dei beni necessari, i profughi vennero accolti nelle case del basso vicentino. Ma l’integrazione non sempre fu facile e veloce, poiché gli sfollati vennero considerati degli “austriacanti”, delle vere e proprie spie austriache organizzate. Al tempo era perfino diffuso come ammonimento ai bambini: “Se fai il cattivo, ti faccio mangiare dai profughi!”. Il dramma dei profughi, però, si risolse in poco tempo, grazie alla condivisione di funzioni religiose, dei banchi di scuola, dei momenti di lavoro e di svago, della laboriosità e della generosità quotidiana, dettate dal condividere la casa e il cibo. Le comu-
Corriere Vicentino |
42 | Storia
nità si avvicinarono e molte famiglie decisero di stabilirsi nei paesi prima imposti loro dalla guerra. Un esempio di questa scelta è la famiglia Marini, originaria di Gallio e ora residente ad Albettone. Giovanni Marini, classe 1928, è il primo della famiglia ad essere nato ad Albettone, erede dei profughi di guerra. Come siete stati accolti ad Albettone? Eravamo bollati come “spioni”, come alleati austriaci. In realtà nella stagione estiva del 1913 avevamo preso in affitto una casa ad Albettone, per necessità legate al pascolo e al lavoro agricolo. Molte altre famiglie di Gallio, soprattutto pastori, in estate scendevano ad Albettone. I miei nonni e i miei genitori sono stati obbligati a scendere nel maggio del 1916, e tra l’altro la nostra casa era tra le più vicine al confine austriaco, poiché situata nell’area logistica, che comprendeva la mulattiera di collegamento e il deposito delle granate. Per scendere più in fretta ci avevano assegnato un mulo militare. Avete mai fatto ritorno a Gallio? In tempo di guerra sono morti mio zio e i miei nonni e poco dopo la mia nascita anche mio padre. Non era più possibile vivere qui in pianura e così siamo tornati a Gallio. Avevo solo un paio d’anni. Una volta tornati in montagna cercammo tutti gli arnesi per fare il formaggio che i miei nonni avevano seppellito vicino a casa. Questi rappresentavano il nostro unico mezzo di sostentamento, ma non li ritrovammo. Con il tempo abbiamo ricostruito la casa, vicino a quella distrutta. Io ho vissuto lì con la mia famiglia fino a quando, negli anni 50, ho scelto di tornare ad Albettone, nel paese dove ero nato.
Giovanni Marini con la moglie e i figli a Gallio, poco prima di tornare ad Albettone.
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ricordi
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La grande nevicata
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La “dama bianca” fece la sua comparsa il pomeriggio di domenica 12 gennaio. Tre giorni di neve ininterrotta con una temperatura che oscillava dai - 4 ai -1 °C nell’ ultimo giorno di nevicata. In provincia il manto nevoso raggiunse uno spessore di oltre 60 centimetri. I nostri paesi, le nostre città si erano trasformati in località di montagna. Per le strade la gente si spostava con gli sci, andava a fare la spesa trainando la slitta. I bambini creavano giganteschi pupazzi in pieno centro cittadino, arricchendo non poco il già poetico paesaggio e godendosi la settimana di vacanze per la chiusura delle scuole. Gli sci club, intanto, “inventavano” gare di sci tra le “visele”. Ci fu anche un lato negativo fatto di tetti sfondati dal peso della neve, di automobili ammaccate nei fossi e di una produzione industriale in forte crescita che si fermò per la prima volta. Ma di quella nevicata rimane soprattutto il ricordo di una grande avventura collettiva.
Arzignano piazza Marconi foto Luisa Ferin Facci
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Alte Ceccato, piazza San Paolo - Foto Mosè
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Corriere Vicentino |
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Tzimbar folk!
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di Francesco Meneghini
La loro musica richiama atmosfere di tempi lontani, di danze popolari e battiti di mani. La loro lingua, anche se alle nostre orecchie può sembrare strana, ha risuonato per secoli tra le nostre valli e montagne, retaggio di popoli germanici stabilitisi in alcune zone dell’arco montano che va dalla Lessinia all’Altopiano dei Sette Comuni. Loro sono gli Sbartze Khatzen, “I Gatti Neri”, probabilmente l’unico gruppo di musica cimbra in circolazione, arrivato ormai al decimo anno di attività. Abbiamo incontrato Andrea Urbani, per gli amici “il Cimbro”, uno dei cinque membri di questa esplosiva band. La domanda è d’obbligo: siete veramente cimbri? Abbiamo quasi tutti comprovate origini cimbre, e proveniamo da zone tipicamente cimbre: Recoaro, Roana, Asiago. Quello che ci interessa però non è l’origine, ma la cultura. Da che fonti attingete per comporre i vostri pezzi? I testi sono scritti dal nostro cantante, che ha anche frequentato corsi specifici per perfezionare l’uso della lingua, che purtroppo va scomparendo in molti luoghi. Le nostre canzoni parlano di storia e leggende legate alla tradizione cim-
bra, ma anche di temi contemporanei come la guerra e la società. Per la musica invece ci ispiriamo alla tradizione folk, dalla Scozia alla Scandinavia. Come reagisce il pubblico quando vi sente cantare in cim bro? In genere il pubblico è molto curioso, per questo cerchiamo di essere spontanei e di coinvolgere le persone anche fuori dal palco. I nostri testi sono molto poetici e serve tempo per spiegarli e capirli. Dov’è più facile vedere una vostra esibizione? Spesso facciamo concerti nelle zone montane, principalmente tra Recoaro e Asiago, ma suoniamo un po’ ovunque nel Nord Italia: feste private, sagre, piazze, manifestazioni culturali. Nel 2006 abbiamo portato la nostra musica e la cultura cimbra a Monaco, un’esperienza bellissima.
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