Corriere Vicentino Agosto 2013

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“Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza� - 0,42 E

Copia omaggio / anno XIV / agosto 2013

Le nostre Vacanze


editoriale di Alberto Fabris

Sabbia bollente Mensile d’informazione Registrazione del Tribunale di Vicenza n° 965 del 12-01-2000 - Editrice Millennium s.r.l. 40.000 copie certificate Direttore Responsabile Stefano Cotrozzi. Caporedattore Nicoletta Mai. Caporedattore sportivo Stefano Canola. Caporedattore economia Elisabetta Badiello. Redazione: Giuseppe Signorin, Francesco Meneghini, Lisa Masiero, Alberto Faedo, Silvia Maculan. Editorialisti Lino Zonin, Alberto Fabris, Elisabetta Badiello, Gianfranco Sinico, Luisa Nicoli. Art director Alessandra Peretti. Grafico Amos Montagna. Stampa: Centro Stampa Editoriale Grisignano di Zocco (VI) Redazione e Sede legale Piazza Campo Marzio, 12 - 36071 Arzignano (VI) tel. 0444 450693 fax 0444 478247 e-mail: info@corrierevicentino.it Per la pubblicità: Alberto Faccin 335 5319350 Alex Bertacche 349 5183614 Aristide Crema 320 0522400 Federico Hanard 335 5293582 Monica Dall’Omo 340 6717242 © 2013 Le immagini ed i testi sono di proprietà riservata della rivista. Ne è vietata a tutti la riproduzione totale o parziale e l’uso pubblicitario in altra sede. L’editore è a disposizione dei proprietari dei diritti su eventuali immagini riprodotte, nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere debita autorizzazione. Questo giornale è stampato su carta certificata FSC. Il marchio FSC identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.

C

aronte aleggia fermo e maligno sulla spiaggia, io cammino a passettini veloci sottolineati da una serie di “hai hai hai hai”: raggiungo il mio ombrellone scusandomi a destra e a sinistra con la folla di occupanti. Appoggio una mano all’asta dell’ombrellone e l’altra su di un fianco, ansimo ferocemente e sento il sudore che cola dalla fronte sugli occhi provocandomi un insopportabile bruciore. Resisto stoicamente fino alla stabilizzazione del battito cardiaco e al dissolversi del bruciore oculare, il mio sdraio mi chiama e mi invita a sedermi, lo faccio cadendo pesantemente e scivolando troppo in basso, come un insetto impazzito risalgo di schiena fino ad una postura consona e che non evidenzi eccessivamente l’estesa protuberanza detta volgarmente pancia. Mi guardo attorno muovendo soltanto gli occhi: corpi bruciati stazionano inerti su coloratissimi asciugamani, gruppi di ragazzine passeggiano come in un sogno sulla battigia; sembrano sospese nell’atmosfera rovente, ridono e si tengono per mano, sono di una bellezza sinistra che mi inquieta. Due ragazzini obesi, ancora impegnati nel masticare l’ultimo brandello di panino, si fiondano con sprezzo del pericolo attraverso la folla verso l’acqua immobile e calda che segna l’orizzonte. Afferro senza guardare la Gazzetta dello Sport, mi accorgo con raccapriccio che i bordi del giornale sono bruciacchiati per un principio di autocombustione, l’acqua della bottiglia appena acquistata a caro prezzo inizia a bollire fino a fuoriuscire rapidamente e versarsi sulla mia copia del Corriere Vicentino. Impreco e gesticolo come un ossesso, prendo a calci la sabbia rovente ustionandomi i piedi, vedo correre verso di me alcuni uomini in camice bianco che brandiscono una lettiga. Improvvisamente mi sveglio, ansimo e sudo ma sento il gradevole soffio del mio climatizzatore ristabilire rapidamente un senso di benessere e di pace, sono nell’interno 8, sono a casa, è stato solo un brutto sogno...

Sommario 9

Fischia il vento nell’estate del 1946

12

Agli albori delle vacanze

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I pionieri del turismo in Alta valle

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Il fascino del Lido

20

La mia estate in Romagna

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Butta in aria le mani!

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Estate 1977

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In ritiro con il Milan di Giorgio Biasiolo

28

Arrivi e partenze dal casello


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feisbuc girl ò tr e R Chi sono, cosa sognano e le loro vacanze da bambine

FABIANA BARRA Ho 16 anni e vivo a Cornedo Vicentino. Sogno di fare la showgirl televisiva. Da bambina passavo tutta l’estate a Grosseto dai nonni: stavamo tutto il giorno al mare. E il giorno di Ferragosto era tradizione svegliarsi con dei mega gavettoni pieni di acqua gelida! Quest’estate andrò via per un weekend a Jesolo con le amiche, poi al mare con la mia famiglia.

Giada Brazzale Ho 21 anni e abito a Marano Vicentino. Come tutte le ragazze sogno di avere una famiglia e di realizzarmi nella vita in generale. Le mie estati da bambina le trascorrevo a Caorle con mamma, papà e nonni. La sera si andava in paese, dove saltavo sul trenino e mi facevo anche dieci giri di fila… guai a chi osava rubarmi il posto davanti! Quest’anno andrò a Marsa Alam con il mio ragazzo.

Sofia Martini Ho 18 anni e sono di Creazzo. Da grande vorrei fare la psicologa penitenziaria. Da piccola stavo un mese in Puglia con i miei nonni, mentre con i miei genitori andavo in Trentino. Mi divertivo ad organizzare mini musical con un’amica: cantavamo e ballavamo invitando i nostri amici a fare da spettatori. Quest’anno andrò a Jesolo prima con il mio fidanzato, poi con un’amica e infine andrò a Roma con la mia famiglia.

Veronica Cenghialta Ho 19 anni e vivo a Brendola. Studio lingue e commercio internazionale all’Università di Verona e spero di poter lavorare all’estero in futuro. Da piccola andavo ogni anno a Bibione, a casa dei nonni. Quest’anno andrò spesso nell’appartamento che ho ad Eraclea con i miei genitori e gli amici, mentre l’anno prossimo spero di riuscire ad andare in Russia, visto che sto studiando anche il russo!

Corriere Vicentino |

5 | Feisbuc girl


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...solo

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I.P.

Dieci anni tra goliardia e solidarietà La storia ha inizio nel 2003, lungo il passaggio che porta agli spogliatoi dove dirigenti e simpatizzanti del San Vitale Calcio, finita la stagione agonistica, si fermavano a cenare dopo essersi dedicati alla manutenzione delle strutture. L’allegra compagnia partecipa l’anno seguente alla Faida e per l’occasione, complice la passione per la birra, veste i panni dei frati dato che l’arte di quest’antica bevanda era nel medioevo affidata ai monaci. Da allora tutti li conoscono come “I frati de La tana del lup…polo”. Il 22 giugno il gruppo ha festeggiato i primi dieci anni, due lustri trascorsi tra goliardia e tanta solidarietà. Così il divertimento, finalizzato ad aiutare gli altri, è stato il filo conduttore anche di questo importante compleanno. Discorso di rito, performance dei frati con una lezione nientemeno che sulla creazione e una cena luculliana: paella che sarebbe bastata per un esercito, vino e birra a volontà e naturalmente i dolci! E c’è stato lo spazio anche per uno scherzo del quale, per una volta, i frati non erano gli artefici ma le vittime…

C

Il fornitore ufficiale di birra, Boldo, ha inviato un pacco pesantissimo facendo credere che contenesse una bottiglia di vino da 25 litri. Il pacco, in realtà, era stato appesantito con dei blocchi di cemento e conteneva solo delle piccole scatolette. Una volta aperte, però, la bella sorpresa: un portachiavi per tutti i partecipanti con la scritta “La tana del lup… polo 2003-2013, 10 anni tra goliardia & solidarietà”. In questi anni il club è riuscito a devolvere in beneficenza una cifra consistente raccolta grazie alle sue performance e l’impegno continua con sempre maggior entusiasmo. “Quanto è stato fatto – tengono a sottolineare - è stato possibile grazie a tutti quelli che si adoperano perché il gruppo funzioni, a chi con la sua presenza fa sì che le manifestazioni riescano sempre bene, a chi mette a disposizione strutture, mezzi e tempo, e anche a chi, sapendo che facciamo beneficienza, vuole contribuire chiedendo di restare anonimo. A tutte queste persone va il nostro grazie di cuore!”.

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in colonia

FISCHIA IL VENTO nell’estate del 1946 “La guerra era finita da un anno. A Campanella di Altissimo ci avevano portato con un camion. Cantate, avevano detto le Signorine sedute sulle panche vicino alla sponda.” di Bepi De Marzi Ce piango il mattino, ce piango la cela, mi mandano a letto anche cencia tandela. Devi parlare invissià, Beppino, in italiano, ma invissià. La voce della signorina Moretto aveva il timbro autoritario. Ma c’erano altre due Signorine e una Signora, a tenderci. La signora si chiamava Nina de Zana Erminelli. Era dolce e buona. I tedeschi le avevano ucciso il marito ai Castelli di Montecchio: era uno dei Quattro Martiri della Pellizzari. La Recita era prevista nel Giardino della Villa davanti a tutta la Famiglia. Ci sarà anche El Paronsin Anto-

nio, aveva assicurato don Lino Gennaro che era amico di Chichi Milani, il custode con la casetta di fianco al cancello. La casetta era gialla. La Villa era grandissima tra le ortensie e i perari. Si camminava sul giarin che scricchiolava con rumore di cartavelina. La guerra era finita da un anno. A Campanella di Altissimo ci avevano portato con un camion. Cantate, avevano detto le Signorine sedute sulle panche vicino alla sponda. Qualcuno partì con Fischia il sasso, ma una si alzò a dire Siete matti? Allora la signora Erminelli, che aveva una Corriere Vicentino |

9 | In colonia

bellissima voce, attaccò Noi vogliam Dio Vergin Maria. Si attraversava Arzignano con il camion scoperto della Pellizzari. Eravamo partiti dalla Corte dell’Officina. La gente si fermava a salutare. Andavamo in Colonia per un mese a Campanella, sulle montagne che nessuno aveva mai visto, dove nessuno di noi era mai stato. Il Paronsin Antonio aveva convinto suo papà a trasformare in Colonia le costruzioni agricole della Villa. Due lunghe camerate con le brande, una grande sala per mangiare e un portico per giocare e fare le lezioni


delle vacanze. C’era anche il campo da calcio con un pallone vero. A messa si andava a Campanella dove c’era un prete vecchio e allegro. La comunione sapeva di tabacco da naso. Don Lino Gennaro diceva la messa sotto il portico in Colonia, ma la mattina presto e per conto suo. Le passeggiate erano quattro. Verso Santa Caterina; verso i S-ciopetieri; in giù verso Altissimo; al Monte Postale, da dove si vedeva Chiampo e qualcuno diceva, anche Arzignano. Ma non era vero. Mia mamma venne a trovarmi con il camion dei genitori una domenica pomeriggio. Era prossima ad avere mio fratello Antonio che poi è nato in ottobre. Arrivò pallida e sfinita. Mi hanno fatto male le curve, disse quasi piangendo. Ti abbiamo iscritto alla Scuola di Avviamento. Imparerai un mestiere, ma devi andare avanti anche con il pianoforte. Guarda quanto sei dimagrito. Mangi abbastanza? Mi ha detto Nina de Zana che stai sempre da solo, che ti ha visto anche piangere. Però ti hanno scelto per recitare nella Villa. Mi

fai sentire cosa dirai? Ce piango il mattino, ce piango la cela, mi mandano a letto anche cencia tandela. Ma devi proprio parlare come un bambino piccolo? Mi ha detto la signorina Moretto che devo parlare invissià. Lei dice Orsù sacripante, è nota stona sul vostro bel labbro parola sì dura. Cosa vuol dire, mamma, sacripante? Per la Recita mi hanno vestito da bambino-pìculo di scola-l’asilo. Balota, che era biondo, era vestito da bambina e si invergognava. Sulla terrazza della Villa c’era tutta la Famiglia Pellizzari. Le sorelle del Paronsin avevano le unghie rosse che mi piacevano tanto. Alla fine il Paron mi ha detto Ma è vero che sei fiolo di Nini De Marzi? E come sta tuo papà? Quando vai a casa digli che vengo a trovarlo. Lo so che state in Crosara. Il fratello della signorina Moretto era stato ucciso dai tedeschi in ritirata sulla collina di San Pietro, dalle parti del Costo, ma proprio l’ultimo giorno di guerra. Insieme al Paronsin Antonio ci insegnò a cantare Corriere Vicentino |

10 | In colonia

Fischia il vento, che era il canto dei partigiani. Ci raccontò dei rastrellamenti, dei paesi bruciati, dei morti portati via con i carri da fieno e qualcuno di noi nella notte non riusciva più a dormire. Finiva la Colonia e in agosto dovevano arrivare le bambine. Andando per l’ultima passeggiata ai S-ciopettieri, che poi la strada arrivava anche in Alvese, ci mostrò dove avevano ucciso Petronio Veronese nel Rastrellamento di settembre nel 1944. Era biondo, molto bello e coraggioso. Il suo nome di battaglia era Giorgio. In camion, passando per Arzignano verso la Corte dell’Officina, dove ci aspettavano i genitori, nessuno riuscì a cantare Fischia il vento. La signora Erminelli, che restava su per il secondo turno, aveva pianto salutandoci. Il Paron Giacomo arrivò in Crosara alla fine dell’estate con l’autista Verlato e portò a mio papà la Streptomicina fatta arrivare apposta per lui dall’America. E mio papà cominciò a stare meglio.


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c ’ e r a u n a vo lta

Agli albori delle vacanze Le vacanze estive: da passatempo d’élite a fenomeno di massa. Ripercorriamo le tappe delle prime esperienze vacanziere, dai “solari” alle avventure in montagna. di Francesco Meneghini

Membri del gruppo CAI di Arzignano durante una gita ai piedi della Scaggina. Primi anni 60.

Che sia mare o che sia montagna, è ormai un’abitudine radicata, e quando capita di dover passare il periodo estivo a casa, senza “cambiare aria” almeno per un po’, si ha la decisa sensazione che qualcosa non vada. Ma non è sempre stato così: basta andare indietro di appena un’ottantina d’anni per trovare i primi timidi tentativi di ricerca del relax duran-

te l’estate. Ne abbiamo parlato con Antonio Lora, storico arzignanese, ripercorrendo gli albori della “vacanza estiva” nel nostro territorio. Il fenomeno popolare della vacanza trova le sue radici nel periodo fascista, con la nascita nel 1927 delle ferie retribuite, ma soprattutto con la concezione della vacanza al mare Corriere Vicentino |

12 | C’era una volta

come terapia salutare per la mente e il corpo: “Durante il fascismo, oltre alle prime colonie estive, furono allestiti i primi ‘solari’, spazi dove i bambini provenienti da famiglie meno agiate potevano trascorrere un periodo di attività fisica e ludica, alimentazione corretta e sole. Il ‘solario’ di Arzignano si trovava nella piazza del Mattarello, dove veniva


Genitori in visita ad un campo scout sul Pian delle Fugasse, organizzato da don Battista Guerra. Primi anni 50.

portata addirittura della sabbia, per la cosiddetta ‘elioterapia’, alla quale partecipavano centinaia di bambini ogni anno”. Vista però la posizione geografica, ai piedi dei monti, la vera passione degli abitanti dell’Ovest Vicentino è sempre stata la montagna: “Vero iniziatore del ritiro in montagna è stato il celebre Monsignor Rizzetto, parroco di Arzignano, che già a metà degli anni Venti fondò una casa di vacanza a Ceredo, per poi crearne una a Durlo, gestita assieme alle suore Orsoline”. Da quel momento iniziarono a moltiplicarsi i campeggi estivi legati alla parrocchia e ai gruppi scout locali, “ricordo ancora

gli accampamenti scout sul Pian delle Fugasse, negli anni 50, accompagnati da don Battista Guerra”. È con il boom degli anni 60 che si creeranno le condizioni economiche per permettere a tutti di andare in vacanza. Le mete di montagna preferite? Ovviamente l’Altopiano, Gallio, Roana, Mezzaselva e Lavarone. Le attività principali erano le escursioni: “Si camminava molto, alla ricerca di funghi o di residuati della guerra”. Attività che oggi noi definiremmo particolarmente rilassanti ma che, con le attrezzature disponibili all’epoca, potevano risultare piuttosto avventurose: “A 16 anni, con mio fratello Silvano e un amico,

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iniziammo a fare dei veri e propri trekking nella zona del Carega. Dormivamo su giacigli di paglia e la tenda era composta semplicemente da un telo, tanto che un giorno, al ritorno da un’escursione, una mucca se l’era praticamente mangiata”. Non esisteva neppure l’abbigliamento tecnico e in caso di maltempo erano dolori. “Durante un’escursione si mise a piovere e ci trovammo completamente inzuppati e dispersi nella nebbia. I montanari che ci trovarono dovettero darci alcuni loro vestiti asciutti, che ci stavano larghissimi, per scendere a valle. Fu anche la prima volta che, per rifocillarci, assaggiammo la grappa…”.

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I pionieri del turismo in Alta valle Della prima locanda dell’Alta valle del Chiampo rimane solo un’insegna su una parete gialla. Dal 2002 i villeggianti non salgono più quassù a godersi l’aria fresca durante l’estate. Tutto iniziò nel 1957 quando Rita Pasquale con il marito Battista Consolaro aprì la locanda “Ca’ del Vento” a Durlo. di Enrico Corato

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Rita, classe 1930 e una determinazione invidiabile, ci racconta con emozione l’esperienza di una vita. “Già prima che arrivassimo noi qui c’era un’osteria e trattoria, ma chi la gestiva non aveva il tocco per questo mestiere. Mio marito invece di passione ne aveva da vendere, amava stare tra la gente e così decidemmo di comprare. Ci siamo sposati nel dicembre del 1956 e il 1 maggio 1957 abbiamo aperto”. Come avete iniziato? Siamo partiti con l’osteria, una piccola cucina e tre camere da letto. All’epoca i villeggianti si accontentavano di poco, dormivano in quattro o cinque per stanza e avevano il bagno in comune. Se serviva davamo loro anche la nostra stanza, e noi andavamo a dormire in soffitta. Un po’ alla volta abbiamo allargato le strutture, creato nuovi ambienti e nuove camere. Siamo stati i primi ad avere le camere con bagno privato. Chi erano i vostri ospiti? I nostri primi clienti erano i veri appassionati della montagna, che ave-

vano bisogno di un punto di appoggio per mangiare e passare la notte. La strada che oggi collega a Crespadoro ancora non c’era, era solo una mulattiera: quelli del CAI arrivavano col pullman fino a Ferrazza, poi salivano a piedi con uno zaino sulle spalle. In seguito, grazie al nuovo benessere nel fondovalle arrivavano le famiglie più facoltose di Arzignano e i figli degli imprenditori, accom-

pagnati dalle baby sitter e dai nonni. Poi la clientela si è allargata a famiglie facoltose di Vicenza, Padova, Milano, Varese, Reggio Emilia, Venezia, Trento, Marghera, Torino. Negli anni Ottanta siamo arrivati a ospitare fino a 120 persone. Pare gnanca vero, tanto sono cambiate le cose… Il vostro segreto? Tanta passione, un sorriso, una parola amica per tutti e un’accoglienza

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In apertura: cartolina con la vecchia locanda com’era in origine. Da sinistra: Rita e il marito Battista nella loro cucina con uno dei nipotini; la facciata della locanda oggi; la signora Rita ci accoglie nella sua casa.

famigliare. E la buona cucina, quella genuina di una volta. Coltivavamo le verdure nell’orto e tenevamo polli, anatre e tacchini. La gente ci dava tanta soddisfazione, erano tutte brave persone: addirittura certe volte mi davano una mano a tagliare le verdure e a stirare! I villeggianti facevano gruppo tra loro, la sera giocavano a carte e a morra, cantavano e andavano a camminare insieme e si viveva come

una grande famiglia. Mamma mia!” (sospira, ndr). Il vostro locale era un centro di ritrovo per il paese… Era un punto di aggregazione, per scambiare opinioni e combinare qualche affare, e ogni tanto dopo un bicchiere di troppo scappava qualche baruffa, ma era normale. Mio marito è stato per anni consigliere comunale e si è dato molto da fare per la comunità, lo conoscevano tut-

ti. L’acquedotto, la strada provinciale… andava a Roma a chiedere i contributi, aveva in mente solo Durlo! E ora della locanda rimane solo l’insegna. Da quando è mancato mio marito sono cambiate tante cose, e il turismo non è più quello di una volta. Abbiamo aspettato un po’, non abbiamo voluto affittare e così abbiamo chiuso. Per l’Alta valle è finita un’epoca…


retrò

di Elisabetta Badiello immagini Collezione Luca Perale Venezia? Non solo città museo, spettacolare isola in mezzo alla laguna, ma anche litorale sabbioso per vacanze fatte di bagni che vede nel Lido il suo sbocco balneare. Una striscia di sabbia tra laguna e alto Adriatico la cui memoria si confonde con quella della dominante Venezia. Un’appendice sottile di undici chilometri che, dopo un passato militare, ha cominciato ad aprire i primi stabilimenti balneari nella seconda metà dell’Ottocento. Nell’epoca del “Grand Tour”, antesignano del viaggio turistico come oggi lo intendiamo, gli aristocratici anglosassoni arrivavano in Italia alla riscoperta della classicità e non mancavano di visitare Venezia per il suo patrimonio artistico e il Lido alla ricerca di pace e poesia. A distanza di più di un secolo molte cose sono cambiate ma lo spirito raffinato dell’isola resta intatto, soltanto in parte velato da un’affascinante decadenza. Agli inizi del ‘900 il Lido era una spiaggia internazionale con grandi alberghi di lusso. Nasceva la CIGA (Compagnia Italiana Grandi Alberghi) con l’Excelsior e il Des Bains. C’erano il Grand Hotel Lido, l’Hotel Hungaria, le ville Liberty, la Mostra del Cinema, il Casinò, il Luna Park,

il tennis e il golf e tante altre attività sportive. Malgrado il turismo sia cambiato, divenuto un fenomeno di massa, e abbandonati i fasti del passato, il Lido ha però conservato il fascino del secolo scorso. Alcuni alberghi hanno chiuso e le feste dell’Excelsior, dove si ricreavano atmosfere fiabesche, ricostruendo ambienti

esotici con palme, elefanti e tende berbere, non ci sono più. In quegli anni c’era tutta la nobiltà europea, e non solo a darsi appuntamento in questa spiaggia. Il Lido continua a essere il mio rifugio, per i bagni di sole e di mare, le camminate in pineta, lo sport ma soprattutto il relax. Nelle giornate Corriere Vicentino |

18 | Retrò

nitide, guardando verso nord, godo il panorama della laguna attorniata dalle montagne. Lo specchio d’acqua riflette la luce in bagliori accecanti. Il Lido non è solo vita di spiaggia ma nella parte estrema dell’isola, agli Alberoni, c’è un campo da golf. Diciotto buche costruite alla fine degli anni 30, uno dei migliori dieci campi d’Italia. Quando ancora adesso attraverso l’arco d’ingresso mi sembra di rivivere il passato perché l’atmosfera è rimasta uguale. Inseguendo l’ombra dei grandi alberi e respirando l’aria salmastra che arriva dal mare, lo sguardo corre dal vecchio forte alla Club House attorniata di rampicanti. La sera poi, un concerto al Teatro Verde sull’Isola di San Giorgio oppure alla Fenice, o ancora una rappresentazione al Malibran. O magari un dopo cena a godere la brezza delle rive e il sole che sparisce all’orizzonte. Una concessione alla pigrizia e al dolce far niente. Ma il Lido, nella memoria di molti, ha lasciato impressioni assai diverse. Era un altro. Di fianco al lusso e ai fasti di una vacanza cinque stelle c’erano decine di colonie marine,


oggi abbandonate, dove fin dagli anni Cinquanta erano soprattutto le suore ad accogliere i bambini per il periodo estivo. Sono queste strutture, con la loro tipica architettura, a parlare ancora oggi di quegli anni. Mi addentro furtiva con il cane, a scattare qualche foto e a curiosare tra quello che rimane dei fabbricati. Abito vicino alla Colonia di Padova dove nel cortile c’è lo spazio che serviva per l’appello e l’alzabandiera. Ai piani ampie camerate si susseguono l’una all’altra aprendosi su un lungo corridoio. Socchiudo gli occhi e si sentono ancora le voci urlanti dei bambini!

In stretta convivenza con il turismo d’elite e delle colonie, in passato c’erano famiglie che affittavano una stanza nelle case, villeggianti che alloggiavano in abitazioni private con l’uso di bagno e cucina. Il proprietario del negozio alimentare degli Alberoni (ce n’è uno solo) ha vissuto quegli anni e mi racconta che si portavano l’ombrellone

da casa per piantarlo nella fascia di spiaggia libera, quella che appartiene a tutti e a nessuno. Che non viene pulita ma dove si ammassano alghe e conchiglie, pezzi di legno e boe lasciate a riva dalle maree. Vacanzieri alla ricerca di un posto al sole e una duna d’intimità. Oggi sopravvive un turismo pendolare, quello dei veneziani che con la barca raggiungono le spiagge del Lido per trascorrere la giornata in capanno, dove mangiare, dormire e chiacchierare all’ombra del tendalino.

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ricordi

di Gianfranco Sinico Quando trova il tempo per un caffè, viene a farmi visita il mio vecchio amico Elio Melini, approdato nel vicentino dalla natia Ravenna per rincorrere Mara, con la quale da qualche decennio divide i suoi giorni a Sovizzo, nel mio paese. Così, fra una chiacchiera e l’altra, vengo a sapere che Elio ha acquistato un piccolo appartamento dalle sue parti, in quel di Punta Marina… Punta Marina! Come ho sentito il nome, subito nella mia mente si sono affacciati ricordi che si perdevano da tempo nei cassetti della memoria. Eh, sì! Sono trascorsi ormai… più di cinquant’anni da quando mio padre ed io trascorremmo una settimana di vacanza per l’appunto sul litorale ravennate di Punta Marina, che allora era proprio quella che si dice una spiaggia solitaria, o quasi. Eravamo nel 1962, io avevo poco più di undici anni e le spiagge dell’Adriatico non avevano ancora le dimensioni e l’organizzazione di oggi. A Punta Marina non c’erano alberghi. Qualche famiglia aveva delle camere per i primi villeggianti. In spiaggia nessuna attrezzatura. Dal bagnasciuga in su erbe selvatiche, pini marittimi e ostacoli anticarro in cemento armato, freschi ricordi della guerra: era trascorsa una quindicina d’anni da quando era sceso il sipario sul

secondo conflitto mondiale in Italia. La chiesa, di recente costruzione, si affacciava sulla piazza sguarnita, posizionata all’incrocio fra due strade, con in bella vista una fontanella sul lato nord.

L’alloggio Mi sono sempre chiesto come mai mio padre avesse puntato la sua Topolino C verso quel luogo desolato: probabilmente c’era passato durante la guerra (mi aveva spesso parlato del non lontano Porto Garibaldi). Forse era in cerca di qualcosa, o di qualcuno. O forse cercava quel ragazzo che era stato lui vent’anni prima. La sua tenuta di quei giorni consisteva in un paio di braghe color kaki con risvolto al ginocchio (mi pare che fossero un ricordo di naia), la camicia a maniche corte sbottonata ed annodata in vita, sigarette nel taschino, zoccoli ai piedi, occhiali da sole, cappellino a tese spioventi.

Corriere Vicentino |

20 | Ricordi

Era una tarda mattinata di inizio agosto quando arrivammo in piazza a Punta Marina. Seguii mio padre dentro l’unico bar in vista, dopo che ebbe dato un’occhiata indagatrice qua e là. Il barista ed un paio di avventori furono investiti della nostra ricerca di alloggio, anche per pochi giorni. Era evidente che in zona non erano preparati ad accogliere frotte di turisti che in quegli anni avevano cominciato ad affacciarsi sulla spiaggia assolata e brada di Punta Marina. Non so se per un innato senso degli affari o per la proverbiale ospitalità dei romagnoli, uno dei clienti del bar, pungolato anche dai suoi compagni di bitter, ci invitò a seguirlo. “Se vi adattate…”. Poco distante, il nostro aveva un


piccolo magazzino di mobili, disposti in ordine nello spazio alquanto angusto: un tavolo con la credenza e le sedie, mobili di cucina allineati alle pareti, cassapanche, armadi, poltrone e divani. Davanti all’unica vetrina che dava sulla strada era sistemata una camera da letto matrimoniale, completa di cuscini, materassi, comodini, armadio e lampadario: sarebbe stato il nostro alloggio. Il compenso pattuito, che non ricordo, fu certamente esiguo avendo visibilmente soddisfatto mio padre. L’unica condizione era che la sera non potevamo entrare prima delle otto, ora in cui il mobiliere abbassava la serranda, e al mattino dovevamo sloggiare prima delle otto, quando veniva aperta la saracinesca della vetrina. Era contento anche il mobiliere: saremmo stati una sorta di antifurto. Per le elementari esigenze igieniche facevamo riferimento al bar, dove peraltro avevamo concordato il pranzo e la cena. Gli appuntamenti a tavola erano gestiti in particolari

turni perché la capienza era scarsa e la richiesta, come detto, aveva cominciato a crescere imprevista. Lo stesso barista si ingegnava come poteva, non disponendo di una cucina attrezzata. Una intraprendente vicina provvedeva a cuocere un paio di chili di spaghetti, che poi venivano recapitati al bar: un giorno al pomodoro, un altro alla bolognese, un altro ancora alle sardine, insieme ad un quartino di albana e mezzo litro di acqua minerale. Era per me la prima volta che affrontavo l’acqua con le bollicine, decisamente ristoratrice dope le mattinate ed i pomeriggi assetati nella calura della spiaggia. Era la Cerelia: indimenticabile, come fosse Champagne. Mio padre avrebbe fatto volentieri un sonnellino pomeridiano, ma la serranda del mobilificio era alzata anche durante la pausa di mezzogiorno. Così approfittava della pace nell’ora della siesta per farsi la barba nel bagno del bar, mentre in giro non c’era anima viva, se non qualche temerario che si avventurava in Corriere Vicentino |

21 | Ricordi

spiaggia con il sole a picco. Trovò anche l’occasione di farsi un paio di docce dalla signora che procurava la pastasciutta, con la quale passò al confidenziale “tu” prima del nostro ritorno a casa: “Ciao, Giovanni!”.

Il nono comandamento La spiaggia adiacente alla battigia era spesso ricoperta di rimasugli che la mareggiata notturna portava a riva. Non mancavano innumerevoli conchiglie, di ogni tipo e foggia. Io le raccoglievo al mattino presto, appena uscito dalla camera in vetrina, godendomi la brezza in riva al mare dove arrivavo in solitudine, in canottiera, pantaloncini e zoccoli. Tuttora conservo una scatola di quei gusci, cimelio di quella vacanza: pezzi rari in quanto non ne ho più visto in giro per le spiagge. Più su, verso la pineta che ci stava alle spalle, nel pomeriggio la sabbia era veramente rovente: vi si posizionava, insieme ad un’altra pattuglia di adulti, mio padre che si faceva una “sabbiatura”. Diceva


che era una pratica molto salutare. Io preferivo stazionare un po’ sulla via di mezzo ed avevo individuato un paio di postazioni ideali per poter gustare alcuni scorci femminili in passeggiata che, a parte qualche sbirciata su riviste proibite, vedevo per la prima volta dal vivo. Effettivamente, ripensandoci ora, in quello scampolo d’estate fu per me la prima volta di tante cose. In quella settimana raramente ho visto il mare piatto. Mi affascinavano i cavalloni che si susseguivano per conquistare la riva, dove si abbattevano con cadenzato fragore. Mi piaceva stare a pelo d’acqua per farmi aggredire da quelle onde che sembravano vive, ma mi piaceva anche stare solo a guardarle, assorbirne la regolarità, vederle curvarsi nella schiuma biancastra. Lontano stavano nuvole candide come non ne ho poi mai viste. Ma forse è la lontananza nel tempo che fa certi effetti nella memoria. Prima di pranzo era abituale una mezz’oretta di bagno in mare, quasi a prepararsi per andare con appetito a tavola. Nel pomeriggio, invece, dopo le rituali tre ore dal pranzo, trascorrevo un bel po’ di tempo in acqua a misurarmi con le onde, là dove ancora si toccava a malapena. Mi seguiva poi papà, a ristorarsi doverosamente dopo la salutare sabbiatura. Anche se qualche leggera esigenza fisiologica veniva assolta in mare, la maggior parte dei bagnanti, pur non numerosissimi come al giorno d’oggi, trovava riparo da sguardi indiscreti nella pineta, dove le tracce di sconosciuti evacuatori portavano ogni giorno più lontano. In quei giorni non ho mai incontrato coetanei: in riva al mare vagavano famiglie con bambini piccoli, maturi signori, giovani coppie e adolescenti esuberanti

che, benché avessero solo una manciata d’anni più di me, sembravano di un’altra inavvicinabile generazione. C’erano pochissimi ombrelloni, che i frequentatori si portavano appresso insieme a qualche seggiola di stoffa. I più si sdraiavano su degli asciugamani stese sulla sabbia: i primi bikini garantivano un gradevolissimo colpo d’occhio, illuminante per un chierichetto fresco di pensione come me, finalmente alle prese con il nono comandamento, fino ad allora alquanto fumoso.

La morte di Marilyn Monroe La sera, essendo accampati per cena nel corridoio dove stava il televisore, ovviamente in bianco e nero, avevamo il privilegio di poter guardare il telegiornale: per me una novità. Mio padre, proveniente dalla provincia “sacrestia d’Italia”, tentava timidamente di fronteggiare qualche commento troppo colorito degli avventori, ma con scarsi risultati perché, come mi informava sottovoce, “…qui sono tutti comunisti!”. Fu durante una di quelle cene che dallo schermo apprendemmo della morte di Marilyn Monroe, in America: uno dei sogni proibiti di ragazzini e adulti che svaniva tragicamente. Pensai ai miei amici rimasti a casa, senza televisione, ai quali avrei avuto il compito di recare la triste notizia al mio ritorno. Sul far della sera, in piazza spuntavano un telo bianco ed una cinquantina di sedie: sullo schermo, appena buio, scorrevano vecchi film che richiamavano qualche decina di spettatori ed alcuni milioni di ingorde zanzare. Ogni spettacolo era buono per due sere consecutive. L’acqua della fontanella, dove avrei voluto dissetarmi, aveva un sapore impossibile: mio padre diceva che probabilmente arrivava direttamente dal mare. Così, durante il film mi sorbivo una gazzosa a piccoli sorsetti, cercando di farmela bastare, anche se si intiepidiva, Corriere Vicentino |

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fino all’ora del sonno, combattendo la tentazione di tracannarmela tutta d’un fiato. Le notti nel negozio di mobili erano all’insegna della quiete. Dopo una partita a ramino sul lettone con mio padre, si spegneva la lampada a stelo e, rassegnati al caldo e alle zanzare, ci si affidava al sonno ristoratore.

La partita di pallone Il ricordo più vivo che ho di quella vacanza riguarda però una partita di calcio, con il pallone di plastica, giocata in spiaggia da alcuni coetanei di mio padre (due erano di Valdagno): italiani contro tedeschi. Sette per parte. A me avevano chiesto di stare in porta (cioè fra due mucchietti di canottiere), ma declinai con una certa angoscia l’invito. Anche se le facce di quei biondi quarantenni erano allegre, non riuscivo a togliermi dalla testa i racconti ancor vivi sulle loro gesta negli ultimi giorni di guerra. Magari era stato qualcuno di quelli lì a saccheggiare la casa dei nonni… E poi, se perdevano, magari tiravano fuori i mitra: sicuramente avrebbero cominciato dal portiere! Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, per cui mi limitai a fare il raccattapalle. Non mi sovviene il risultato, ma, essendo poi andati tutti insieme a bere pacificamente da un fiasco di vino bianco, senza spargimenti di sangue, suppongo che abbia vinto la Germania. Forse, se ci fossi stato io in porta… Oltre alla scatola di conchiglie, di quella fugace vacanza mi è rimasto un sogno ricorrente, che una notte ogni tanto mi si presenta. Mi trovo in una stanza buia con un’unica finestra da cui entra un fascio di luce. Mi affaccio e vedo giù un ragazzino accovacciato in spiaggia, da solo, a rastrellare conchiglie. Si gira piano verso di me. Io lo guardo mentre sorride e lo riconosco: sono io, a undici anni. E quella è la spiaggia deserta di Punta Marina. Non credo che, dopo cinquant’anni, anche laggiù sia rimasto qualcosa di quei giorni. Forse là in piazza, la fontanella? Devo andare a farci un giro.


h i t pa r a d e

Butta in aria le mani! Estate 1968. Una canzone impazzava in spiaggia e nei juke box, veniva sparata dagli altoparlanti dei luna park, risuonava nelle balere delle località di mare. di Guido Gasparin

Era “Il ballo di Simone”, versione italiana del successo planetario “Simon says” degli americani “1910 Fruitgum Company”. A cantare quella canzone e a cantarla tuttora nei concerti e in trasmissioni televisive era ed è Giuliano Cederle, di Montebello Vicentino, che a vent’anni la incise con la band vicentina “I Notturni” per la “RIFI Records”, la stessa casa discografica di gente del calibro di Mina, Iva Zanicchi o I Giganti. Abbiamo incontrato Giuliano, ex bancario in pensione, nella sua casa di Montebello, per farci raccontare come nacque quel grande successo. “Arrivavamo da un importante concorso a Milano e la nostra casa discografica cercava un gruppo che cantasse in italiano quel brano che a inizio anno aveva scalato le classifiche di tutto il mondo. Io scrissi un testo semplice e spensierato e da lì a poco ‘Il ballo di Simone’ sarebbe diventato il ballo simbolo di tutti gli anni Sessanta e il primo esempio di ballo di gruppo”. E come non credergli? Chi non conosce i versi “Butta in aria le mani e poi falle vibrar” e i gesti che li accompagna? “Partimmo subito per la tournée estiva in giro per le piazze e le località di mare di tutta Italia. Ci è capitato anche di suonare in tre locali in una sola serata. Viaggiavamo in furgone, noi sei più un ragazzo che

montava e smontava gli strumenti. Un viaggio lungo e faticoso, ma abbiamo vissuto esperienze indimenticabili grazie ad un successo che per noi era inaspettato. Probabilmente in quel periodo la gente aveva più voglia di divertirsi, perché si stava facendo strada il benessere economico. Oggi la situazione è completamente diversa e c’è poca voglia di fare festa”. In autunno, quando esplodevano le vendite dei dischi più apprezzati dagli appassionati durante le vacanze estive, “Il ballo di Simone” resistette al primo posto in classifica per otto settimane (fu scalzato da “Azzurro” di Celentano), rimase nella hit parade per altri otto mesi e risultò il quarto disco più venduto dell’anno. “Oggi viene ancora cantata dai Corriere Vicentino |

23 | Hit parade

bambini negli asili, dalle orchestre durante le sagre e feste di paese, nei villaggi turistici e quando mi invitano in trasmissioni televisive, come ‘I migliori anni’ di Carlo Conti, scatena sempre l’entusiasmo. Mi dicono che in un villaggio turistico di Miami la cantavano in italiano e in effetti la nostra versione in diversi paesi è più famosa dell’originale americano. Edoardo Vianello l’ha inserita in un suo recente disco e io la porto in giro per l’Italia, cercando sempre di creare nuovi arrangiamenti”. Giuliano ricorda pure un simpatico aneddoto: “All’inizio della tournée la casa discografica, che era alla ricerca di un corrispettivo maschile di Rita Pavone, volle che mi colorassi i capelli di rosso e al Festival dei Complessi di Rieti un uomo dal pubblico mi gridò: ‘a ossigenato…!’. Dato che al ritorno sarei dovuto rientrare a scuola all’istituto per geometri sono subito tornato al mio colore naturale, ma i riflessi rossi sono durati a lungo…”.


Estate 1977

Peace &love

Erano gli anni in cui TUTTO doveva essere alternativo e, dunque, anche la mia estate sarebbe stata alternativa. Che fare allora? di Gino Tarperi Viaggio in India? No: quello più avanti. Comune agricola Peace & Love? No, già fatto... E se organizzassimo un concerto? In fondo siamo nei favolosi anni 70, sex&drugs&rock’n’roll, giusto? Niente di più semplice, una Woodstock nella valle del Chiampo, che ci vuole? basta contattare il mio amico Claudio Rocchi! Pronto Claudio? Sono Gino, senti vorremmo organizzare una Woodstock dei poveri al mio paesello, mi daresti una mano? E così ecco il numero di telefono della ventitreenne Gianna Nannini, che, incredibilmente accetta. Ringalluzziti dal successo della caccia all’arti-

sta alternativo, tentiamo il colpaccio: l’indirizzo è noto: via Paolo Fabbri 43, Bologna. Sfrecciamo lungo la via Emilia sulla mia R4 targata Vi 154463, suoniamo il campanello e Guccini apre e ci guarda. Male. Rimaniamo sull’uscio stringendo tra le mani due bottiglie di Durello, e cerchiamo di spiegare al celeberrimo menestrello chi siamo e che cosa ci facciamo sulla porta di casa sua. Impietosito dalle nostre suppliche e ingolosito dalle bottiglie, ci fa entrare e tra una chiacchiera e l’altra gli proponiamo di partecipare alla nostra Festa del Sole. Subito ci areniamo sulla spiaggia del cachet. Guccini costa mostruosamente tanto ma, democraticamente, il buon Francesco decide di partecipare alla festa, e Corriere Vicentino |

24 | Peace&Love

soprattutto alle abbondanti bevute, senza esibirsi. In compenso ci presenta un gruppo che sarebbe diventato un habituè delle nostre zone, l’Assemblea Musicale Teatrale. Parte la macchina frenetica dell’organizzazione: palco, luci, allacciamenti, ristoro con cibi e bevande macro bio eco compatibili, tutto grazie alla partecipazione entusiasta, quanto dilettantesca, di una banda di elementi “già noti alle forze dell’ordine”, perdigiorno, fuggiaschi, renitenti alla leva e soggetti borderline. La location è quanto di più classico: una spianata al di là del fiume, senza precisi confini riconoscibili e adattissima ad ospitare un numero anche cospicuo di giovani. Arriva il giorno dell’evento, è un sabato,


piccole comitive di inquietanti capelloni e indiani metropolitani, all’epoca piuttosto in voga, cominciano ad affluire in città. Gianna Nannini arriva nel primo pomeriggio, con la sua tastiera e, all’epoca, nessun musicista al seguito, da cantautrice dura e pura. È amore a prima vista, e per far colpo su di lei decidiamo di portarla alla pasticceria Campari, reputandola all’altezza della rampolla della dinastia dei pasticceri Nannini da Siena: è un successo e Gianna mi regala un braccialetto in segno di amicizia e gratitudine. Arriva le sera del concerto e, prima sorpresa: c’è un bel po’ di gente e l’obiettivo di pagare le spese e gli artisti sarà centrato a colpi di trecento lire a biglietto e damigiane svuotate. La pioggia del pomeriggio crea comunque qualche problema all’organizzazione logistica e, soprattutto, impantana una jeep dei Carabinieri che svolgeva azione di controllo; la situazione viene risolta brillantemente allorché i componenti del gruppo noti come Erba & Salute, pur avendo appena terminato di onorare il loro nome, si mettono d’impegno per trarre d’impaccio le

forze dell’ordine con alcune vigorose spinte all’automezzo. Ormai è sera e, tra le proteste del vicinato per l’eccessivo volume e le reprimende delle forze dell’ordine per lo sforamento degli orari previsti, la Woodstock dei poveri si rivela un successo. Guccini si aggira tra gli stand eno gastronomici come uno spettatore qualsiasi, Claudio Rocchi sfoggia le perle del

suo repertorio, Gianna Nannini e L’Assemblea Musicale Teatrale trasformano la notte d’estate in un happening gioiosamente tardo hippy. La mia estate non finisce lì, m’imbarco in un avventuroso giro d’Italia al seguito di Claudio Rocchi e Gianna Nannini con l’improbabile ruolo di tecnico delle luci, decisamente un’estate alternativa, Peace&Love!


Calcio Amarcord

In ritiro con il Milan di Giorgio Biasiolo Il mondo del calcio è completamente cambiato rispetto a qualche decina di anni fa. Anche i ritiri non sono più gli stessi. Ci siamo fatti raccontare com’erano da Giorgio Biasiolo, dal 1970 al 1977 nel centrocampo del Milan accanto a Gianni Rivera. di Giuseppe Signorin

El paròn

El paròn La prima immagine che emerge dai ricordi di Giorgio Biasiolo è quella di Nereo Rocco, “el paròn”. Ogni mattina si presentava al campo verso le 9 con la sua inconfondibile sagoma e sotto braccio una bottiglia di acqua minerale che teneva probabilmente per bellezza, perché per bere non la usava mai. Per bere usava il suo amato Barbera. Ad allenare il Milan ci pensava il vice, Marino Bergamasco. El paròn stava lì ad osservare e a scherzare con i giocatori.

Li teneva su di morale. Era più psicologo che tecnico. Prima di pranzo, mentre Biasiolo e compagni erano sotto la doccia, Rocco si dedicava al rito dell’aperitivo. Durante e dopo il pranzo, invece, approfondiva il suo rapporto con il Barbera, che riprendeva durante e dopo cena. Eppure non sembrava mai ubriaco, magari qualche volta un tantino su di giri…

Ritiri tipo

Ritiri tipo I ritiri iniziavano ad agosto, non a luglio, come oggi. Negli anni 70 il

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26 | Calcio amarcord

calcio aveva una dimensione più umana: meno partite, meno soldi, meno ossessioni. Ma non meno lavoro. I campioni stavano via una ventina di giorni senza tornare a casa; magari qualche moglie o fidanzata la domenica andava a trovarli. Poco altro. Almeno di quello che si può raccontare… Le mete più ambite per il Milan di quegli anni erano i dintorni di Bolzano e Verbania. Per un paio di stagioni si sono allenati anche ad Asiago. La prima settimana si svolgeva rigorosamente senza


pallone, solo atletica. Le amichevoli iniziavano dopo 15 giorni. Le mattine erano dedicate al rafforzamento fisico, i pomeriggi alla tecnica e alla tattica. Poi c’erano gli esercizi di precisione: si delimitava un angolo di porta con un paletto di legno e si doveva centrarlo con il pallone. Chi prima ci riusciva, prima andava sotto la doccia; gli ultimi due invece pagavano l’anguria.

Gianni Rivera

Gianni Rivera Gianni Rivera non pagava mai l’anguria… Non solo perché era il più preciso; aveva anche il terribile vizietto di chi è sempre un po’ restio a pagare, diciamo così… Anche quando si faceva la conta per chi doveva offrire il caffè… Però per Biasiolo non ci sono dubbi: era lui il più forte giocatore italiano, più di Mazzola, più di Corso e degli altri. Il “Golden Boy”, come lo chiamavano, era un vero fenomeno con il pallone fra i piedi. E poi non è vero che non correva: non aveva il fisico di Benetti, ma correva anche lui. Se non si ammazzava di fatica era perché doveva rimanere lucido, visto che doveva inventare il gioco.

Tempo libero

Tempo libero Spesso i calciatori erano così stanchi che la sera andavano a dormire, soprattutto i primi giorni di ritiro. Oppure giocavano a carte o a boccette. O guardavano la tv. Ma qualche

“fuga” capitava anche allora, magari per andare in trattoria ad arrotondare la cena e bere qualcosina di nascosto… Se c’era mezza giornata libera, poi, el paròn Rocco portava tutta la squadra al cinema. Altrimenti ci pensava Giuseppe Sabadini, difensore e chitarrista. Il clou del repertorio era “Speedy Gonzales”, di Peppino di Capri. Immaginatevi il terzino tedesco Karl-Heinz Schnellinger (quello di Italia vs Germania 4-3, per intenderci) che canta “Speedy Gonzales” assieme a Rivera e Biasiolo, e magari anche al Trap…

Nestor Combin

Nestor Combin Ma il tizio più curioso, dopo el paròn Rocco, era sicuramente l’attaccante argentino naturalizzato francese Nestor Combin. Un funambolo col pallone e non solo col pallone. Uno che non stava tranquillo né in ritiro né durante l’anno: ogni domenica, dopo la partita, prendeva di nascosto l’aereo e andava a trovare la sua ragazza colombiana, per poi tornare appena in tempo per l’allenamento del martedì pomeriggio. Biasiolo custodiva il segreto e aveva il compito di fargli da palo dicendo al mister che l’aveva visto per strada, nel caso (e succedeva spesso) tardasse ad arrivare… È stato compagno di squadra di Biasiolo solo il primo anno, poi è andato a giocare in Francia, dove forse i voli costavano meno…

I portieri

Una partita a boccette con Massimo Ranieri

Corriere Vicentino |

La stampa

La stampa Meno asfissiante di adesso, ma anche all’epoca la stampa stava alle calcagna. I giornalisti parlavano poco coi giocatori, stavano soprattutto con i dirigenti e con Rocco. Oltre alla stampa, c’erano puntualmente 1000 o 2000 persone ad assistere agli allenamenti e alle partitelle. C’era pure qualche tifoso che partiva da Milano la mattina e poi tornava a casa la sera, solo per vedere i campioni allenarsi. C’erano anche allora le voci di calciomercato, ma le regole erano diverse: decideva tutto la società. Se la società voleva, un giocatore doveva fare le valigie e andare altrove. I portieri Per concludere i portieri, che a dispetto del ruolo (stanno quasi sempre fermi…) erano quelli che si facevano maggiormente il mazzo… Oltre alla normale preparazione, infatti, dovevano prolungare gli allenamenti per parare e fare degli esercizi specifici, massacranti. Stando ai ricordi di Biasiolo, se c’era un ruolo che non invidiava, soprattutto in ritiro, era proprio quello del portiere. E sì che lui di chilometri a centrocampo doveva macinarne parecchi…

27 | Calcio amarcord


S ULLA S TRADA

Arrivi e partenze dal casello Per moltissimi italiani, le ferie cominciano simbolicamente al casello autostradale, quando si alza la sbarra e inizia la lunga e diritta strada verso una spiaggia assolata o una fresca località montana. Allo stesso modo, al ritorno, il casello di arrivo segna la mesta fine della vacanza e l’imminente ritorno alla routine. di Francesco Meneghini

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Chi meglio di Gianfranco Munaretto, 25 anni passati lavorando su quasi tutti i caselli della Brescia – Padova, può parlarci della figura del vacanziero nostrano, che nella calura estiva si mette in macchina per raggiungere la meta del divertimento o del riposo? Il casellante è poi molto spesso la prima figura con cui si viene a contatto al termine della propria vacanza e che spesso non si lascia sfuggire l’opportunità di scambiare qualche parola con i viaggiatori, per raccogliere opinioni e impressioni “a caldo”, cogliendo al volo tensione e stanchezza o soddisfazione e relax delle ferie appena trascorse: “I più nervosi sembrano essere i cosiddetti vacanzieri ‘mordi e fuggi’, in aumento negli ultimi anni, che scelgono di fare soggiorni

lampo in località vicine. Spesso partono la mattina presto, verso le 6, e la sera sono già di rientro. Generalmente rientrano stressati e alla domanda ‘com’è andata?’ si lamentano del caldo, del traffico, della ressa e con il pensiero incombente del ritorno al lavoro”. Più classica invece la famigliola che decide di trascorrere una o due settimane al mare: “Di solito partono con le auto stracolme di bagagli, che al ritorno puntualmente sono in disordine e cacciati in auto alla bell’e meglio. Di solito mi raccontano di vacanze piene di attività, divertimenti e nuove amicizie, anche se spesso il capofamiglia mi ricorda la nota dolente di tutti i soldi spesi per le ferie. Emblematico il caso di una famiglia

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che, durante gli ultimi momenti del soggiorno, a ‘fondo vacanze’ ormai esaurito, giocando un ‘gratta e vinci’ riuscì casualmente a vincere la somma esatta per ripagarsi tutt le spese. Ricordo poi con piacere l’episodio di una famiglia, marito, moglie e figlia, partiti in tre e tornati in quattro: all’andata avevano trovato in una piazzola un bellissimo cane husky abbandonato, che è così entrato a far parte della famglia, quando si dice fare nuove amicizie!”.

sono quelli che ritornano più rilassati, soddisfatti e pronti a riprendere il lavoro. Pare che fare molte passeg-

Categoria a sé stante sembrano essere i vacanzieri appassionati di montagna: “Nella maggior parte dei casi

giate e andare a funghi sia un vero toccasana per l’umore”. Una testimonianza questa tanto più preziosa in quanto il lavoro dell’esattore autostradale va pian piano scomparendo: “Presto il nostro lavoro sarà soltanto un ricordo, perché verremo sostituiti da automatismi tra telepass, card e casse automatiche. Di questo alcuni viaggiatori si stanno già lamentando, ma sarà solo questione di abitudine prima che anche loro si dimentichino del ruolo del casellante. Ma che ci volete fare, è la tecnologia…”

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