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LAVORO
Appalti, quando si verifica l’interposizione illecita di manodopera
Perchè il contratto sia genuino la società appaltatrice deve avere autonomia operativa e organizzativa e assumersi il rischio economico di impresa. Il commento a una recente ordinanza della Corte di Cassazione Lavoro
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Paolo Ambron avvocato giuslavorista
info@studiolegaleambron.it
L’ordinanza della Corte di Cassazione Lavoro del 22 gennaio 2021 n. 1403 affronta il tema dell’interposizione illecita di manodopera nell’ambito degli appalti, sancendo il principio in base al quale «qualora venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di propria genuina organizzazione di impresa, il giudice di merito deve accertare se la società appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo e di controllo sulle persone dipendenti dall’appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a configurare la intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto…». Il contenzioso è sorto con la richiesta di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, con committente una rinomata azienda di trasporto ferroviario passeggeri, avanzata da alcuni dipendenti della società appaltatrice che reclamavano l’illeceità del contratto di appalto di manodopera sottoscritto tra committente e appaltatrice. I lavoratori sostenevano che il controllo della corretta esecuzione delle loro mansioni era affidato alla committente, nella persona del capo treno, che di fatto pertanto assumeva il ruolo di superiore gerarchico, eseguendo inoltre solo compiti espressamente e dettagliatamente stabiliti nel capitolato tecnico operativo, parte integrante del contratto di appalto, con esclusione quindi di alcuna autonomia operativa e organizzativa. Da ultimo, secondo la ricostruzione dei lavoratori, il datore di lavoro non assumeva alcun rischio di impresa, perché i compensi pattuiti contrattualmente con la committente erano fissi per carrozza. In definitiva, secondo la suddetta tesi, non ricorrevano i due requisiti tipici di un appalto genuino, vale a dire l’esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’appaltatore e l’assunzione del rischio di impresa. La Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento confermando quanto statuito dalla Corte di appello, che aveva respinto la domanda dei lavoratori, ha ricordato che sia l’art. 29 del d.lgs. 276/2003 sia l’art. 1655 c.c. definiscono il contratto di appalto genuino, caratterizzato dalla «permanenza in capo all’appaltatore dell’esercizio del potere direttivo ed organizzativo nei confronti dei dipendenti utilizzati nell’appalto e l’assunzione del rischio di impresa». Infatti, nel caso di specie, è stato dimostrato che la società appaltatrice esercitava nei confronti dei propri dipendenti, addetti alla commessa, potere disciplinare, autorizzazione alle ferie, turnazioni e la gestione del rapporto di lavoro; mentre alla committente era affidato solo il mero coordinamento indispensabile alla corretta esecuzione delle attività di servizio notturno all’interno delle carrozze letto dei treni. Anche la esistenza di un capitolato tecnico operativo, che di fatto obbligava i lavoratori ricorrenti ad una esecuzione di lavoro conforme allo schema in esso indicato, non pregiudicava la genuinità del contratto di appalto, in quanto le modalità operative in essi riportate erano «funzionali alla corretta esecuzione del servizio oggetto del contratto, a fronte della mancata impartizione da parte della società appaltante di direttive sullo svolgimento del servizio se non nei limiti dell’indicazione dei nominativi dei viaggiatori e di altri dati tecnici».