Costozero n.2/2017 - Pronti a partire

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2 APRILE/MAGGIO 2017

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editoriale

L’industria prima di tutto, in Italia e in Europa Bisogna capire che la sfida non è al proprio interno ma tra l’Unione tutta e il mondo esterno. La crescita va considerata non come fine, ma come precondizione per ridurre ed eliminare diseguaglianze e povertà di Vincenzo Boccia Presidente Confindustria

È

passato quasi un anno dalla mia elezione e ci avviamo all’assemblea di maggio, tempo di bilanci e riflessioni. Nella nostra relazione dello scorso anno avevamo segnalato che la crescita era la grande sfida del Paese, lo abbiamo fatto anche partendo delle potenzialità del sistema industriale italiano e indicando che piccolo è una condizione da superare. Abbiamo indicato la nostra idea di politica economica e chiarito che non chiediamo alcun scambio alla politica ma un Paese competitivo che non individui i settori del futuro ma i fattori su cui intervenire. In tale direzione si sono mosse alcune scelte del Governo a partire dalla legge di bilancio 2016 che ha previsto super ammortamenti e iper ammortamenti, potenziato il fondo di garanzia, confermato la Sabatini e introdotto i digital hub elevando la soglia di tassazione più favorevole per i premi ai dipendenti relativi ai contratti di secondo livello aziendale fino ad arrivare alla maggiore intensità al credito di imposta per chi investe nelle regioni come la Campania dove le piccole imprese riescono a ottenere fino al 40 e le medie fino al 30 per cento di beneficio fiscale. Anche questo è un fattore premiante per chi investe, in linea con la nostra idea che al Paese serva un’unica Politica economica che preveda strumenti di maggiore intensità al Sud tanto per citare alcuni aspetti della Questione Italiana la cui inversione di tendenza è chiara anche se per tornare ai livelli di prima il 2008 dovremo fare ancora molta strada. Abbiamo ben chiaro come dovrà essere l’industria italiana e occidentale del futuro: ad alto valore aggiunto, alta intensità di investimenti e alta intensità di produttività. E aver elevato il tetto della maggiore detassazione per i premi aziendali indirizza le relazioni industriali verso lo scambio tra salari e produttività. A livello sindacale abbiamo sottoscritto un accordo che consente anche

alle piccole imprese di usufruire di una misura così importante. A partire da ottobre 2016 a Bolzano e poi a Berlino ci siamo confrontati con la Bdi, la Confindustria tedesca, con cui abbiamo sottoscritto due documenti: il primo sulla centralità della questione industriale in Europa dove occorre capire che la sfida non è al proprio interno ma tra l’Unione tutta e il mondo esterno (ed è significativo che ciò sia avvenuto prima della vittoria di Trump in Usa); il secondo sulla questione bancaria cominciando dalla garanzia dei depositi.Fino ad arrivare, qualche settimana fa, all’incontro a Roma di Business Europe - la federazione delle Confindustrie Europee presieduta da Emma Marcegaglia - da cui è emerso un documento sottoscritto da tutti i colleghi in linea con gli auspici e le indicazioni di Confindustria e BDI. Come si comprende è stato un lavoro bilaterale e multilaterale giunto a una ottima sintesi di pensiero comune. A fine marzo, inoltre, abbiamo ospitato da noi in Confindustria il B7 che riunisce le organizzazioni industriali dei Paesi del G7 ed è utile segnalare due risultati particolarmente interessanti: il primo è che il presidente dell’Associazione americana ha firmato con tutti noi un appello contro il protezionismo; il secondo è la condivisione di un’idea di Industria 4.0 per una Società 4.0. Significa, in sostanza, l’accettazione di quello che in Italia stiamo dicendo da tempo e cioè di considerare la crescita non come fine ma come precondizione per ridurre ed eliminare diseguaglianze e povertà. Nasce così la proposta per l’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro attraverso la decontribuzione nei primi anni di assunzione. Tutto ciò in un’Italia, il nostro Paese, in cui solo il 30 per cento della popolazione sa che in Europa siamo secondi per forza manifatturiera solo alla Germania. Un motivo in più per continuare a lavorare sodo nei prossimi anni dentro e fuori le nostre Fabbriche.


sommario

EDITORIALE 1

L’industria prima di tutto, in Italia e in Europa di V. Boccia

Ospitalità 4.0, come promettere e mantenere 24 buone performance nel turismo di R. Venerando NEW ENTRIES

PRIMO PIANO 4

Prete: «Fare impresa, un mestiere difficile ma carico di vita» Intervista ad A. Prete

28 Concilia Lex, non solo mediazione a cura della Redazione

SPECIALE TRASPORTI IN CAMPANIA

Pauciulo Strategie, al servizio dell’economia 29 del territorio a cura della Redazione

6

Cascone: «Presto un piano regionale della logistica» Intervista a L. Cascone

30

8

Spirito: «La competizione è fuori dei confini, verso il Mediterraneo» Intervista a P. Spirito

31

Brunini, Gesac: «Lavoriamo perchè l’intero 10 territorio campano tiri» Intervista ad A. Brunini Ferraro: «Prima di tutto l’affidamento della 12 gestione totale dell’Aeroporto di SalernoPontecagnano» Intervista ad A. Ferraro Gallozzi: «La Zes funziona solo se accelera gli 14 investimenti legati al manifatturiero» Intervista a A. Gallozzi FOCUS Israele: il settore portuale e le potenzialità 16 logistiche di A. Panaro L’OPINIONE 18

Asi, si torna a pianificare lo sviluppo industriale Intervista ad A. Visconti

GI Confindustria Campania, Palumbo si impegna: 20 «Alzeremo la voce» Intervista a F. Palumbo CONFINDUSTRIA SALERNO 21

YFD al Fuori Salone, un successo annunciato di M. Pallotta

Startup Weekend Sa: l’evento per fare impresa 23 insieme ai Giovani Imprenditori a cura della Redazione

Picone Pneumatici, per una clientela con una marcia in più a cura della Redazione Wade World Network Italia, il partner di fiducia nell’export selling a cura della Redazione STRATEGIE DI IMPRESA

Caffè Trucillo, troppo buono per essere 33 solo un pretesto di R. Venerando Sulla Cooper Standard sventola la bandiera 35 Diamond Plant di R. Venerando EDILIZIA INDUSTRIALE ATI, da fabbrica di tabacco ad archeologia 36 industriale di M. Rosaria Di Filippo NORME E SOCIETÀ 38 La giuridicizzazione del vivere civile di M. Marinaro Accordo di ristrutturazione del debito 40 con transazione fiscale di M. Galardo FISCO Legge di Bilancio, 42 spinta su produttività e crescita Intervista a F. Mariotti 43

Perplessità sulla notifica via Pec di M. Villani e I. Pansardi

Bonus Sud, il Fisco fa chiarezza 45 di A. Sacrestano


47

Costo Ammortizzato: un tema ostico di M. Fiorentino LAVORO

Obbligo di fedeltà, la Suprema Corte conferma 49 un orientamento consolidato di M. Ambron PRIVACY 50 25 maggio 2018: arriva il Data Protection Officer di P. Di Stefano 52 Il valore doganale delle merci di F. Ceriello RICERCA Trasformazione Digitale, il ruolo della tecnologia 53 negli affari di L. Mari 54 La poliedricità del Centro NanoMates di M. Sarno SICUREZZA 56 Applicazione degli RFId nel settore sanitario di G. Luca Amicucci SALUTE 58 Duroni: cause, prevenzioni e rimedi di A. Di Pietro 59

Telemedicina e medicina narrativa nel diabete/1 di G. Fatati BON TON

60 Dulcis in fundo, come chiudere una cena in bontà di N. Santini ARTE 61 L’arte allo stato atmosferico di A. Tolve FINISTERRE Una storia del cinema underground 63 di A. Amendola LIBRI/CINEMA 64 Tre piani a cura di R. Venerando 64 La battaglia di Hacksaw Ridge a cura di V. Salerno

NUMERO 2 / APRILE MAGGIO 2017 Bimestrale di Economia, Finanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg. Trib. di Salerno N. 67 7 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Andrea Prete Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management Vito Salerno Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Salerno Ser vice Srl Via Madonna Di Fatima, 194 84129 Salerno Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 039711 70653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Salerno Foto Archivio Costozero Vito Salerno Massimo Pica/Ag. Fotografica Studio Fotografico Cerzosimo Immagine in coper tina Diritto d’autore: Ginasanders / 123RF Archivio Fotografico Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it L e op inioni esp resse neg l i a r tic ol i a p p a r teng ono a i sing ol i a u tori dei q u a l i si intende risp etta re l a p iena l ib er tà di g iu diz io

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primo piano

Prete: «Fare impresa, un mestiere difficile ma carico di vita» Per il presidente di Confindustria Salerno essere imprenditori vuol dire soprattutto avere il privilegio di mettersi in discussione ogni giorno, mossi da uno stimolo continuo all’innovazione e al cambiamento, ma anche avere una buona dose di pazienza nel tollerare un Paese che spesso non è alleato di chi produce ricchezza di Raffaella Venerando

L

ei ha cominciato la sua storia imprenditoriale nel ‘79, ma fino a qualche anno fa riteneva ancora che la società civile fosse diffidente nei confronti degli imprenditori. Oggi la percezione è cambiata? Purtroppo non del tutto. Spesso, ancora oggi, si guarda all’imprenditore con circospezione. Esiste e resiste una sorta di preconcetto “cattivista” su chi crea ricchezza. Bisogna riconoscere che, sotto l’ampia voce imprenditori, sono accomunati tanti diversi soggetti, alcuni - fortunatamente pochi - non propriamente rispondenti a profili al di sopra di ogni sospetto. Non tutti quelli che si definiscono imprenditori sono connotati, infatti, da un’autentica passione per il fare, dall’attenzione per il territorio in cui operano, cui sono fortemente legati, da una spinta illuminata che impone di prestare cura anche agli aspetti culturali del produrre.Di fatto, però, la ricchezza nel

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nostro Paese è prodotta prioritariamente dagli imprenditori sani, da quanti investono un capitale, mettendolo a rischio, per trarne un profitto che sarà ridistribuito attraverso la creazione di posti di lavoro, il consumo e l’imposizione fiscale, anche ad altri soggetti.Secondo le ultime stime di Unioncamere, le aziende in Italia sono 6 milioni e 50.000, vale a dire un’impresa ogni 10 abitanti. Come non si può dare giusta attenzione a questo mondo? A ogni nuova finanziaria, la politica si scatena in una lotta durissima per limare ai margini i capitoli di spesa, senza mai gettare lo sguardo sulla altra parte della gestione economica di un Paese, sul “cosa e come fare” per creare le condizioni giuste perché aumentino le entrate, indispensabili per avere, tutti, servizi pubblici migliori. Ed è per questo che, come singoli e come sistema delle imprese, dobbiamo impegnarci perché alle aziende vada riconosciuto un ruolo sociale innegabile, perché è soprattutto grazie al loro potenziale che si crea occupazione e si costruisce il futuro economico del Paese.Andrebbe ricordato, e colgo l’occasione per farlo, che la battaglia da sostenere - come diceva Olof Palme «non è contro la ricchezza, ma contro la povertà». Fin dai suoi primi passi in azienda ha scelto anche di impegnarsi nella rappresentanza. Che cos’è l’associazionismo per Andrea Prete, un valore, uno stile o parte oramai del suo lavoro? Dopo 31 anni dediti all’associazionismo, il mio impegno potrebbe sembrare in effetti quasi un lavoro, seppur


non retribuito. Ho avuto l’onore di ricoprire tutte le cariche associative più importanti a livello provinciale, bissando anche qualche esperienza (Prete è per la seconda volta presidente di Confindustria Salerno, la prima nel 2003, ndr) perché credo nei valori propri dell’associazionismo e della rappresentanza. Mi sono avvicinato nel 1986 a Confindustria per avere l’opportunità di confrontarmi con persone che avessero problemi analoghi ai miei, indipendentemente dal settore merceologico in cui operavano, con imprenditori che quotidianamente affrontavano questioni, talvolta complesse, legate alla conduzione di un’azienda. Tanti, nel tempo, sono diventati amici e non solo colleghi con cui ho fatto un pezzo di strada, condividendo ansie, certo, ma anche visioni e prospettive. E Confindustria Salerno com’è oggi? Qual è il suo ruolo? Nonostante la crisi dei corpi intermedi, sono convinto che Confindustria Salerno conservi ancora intatto il suo valore di primo interlocutore del sistema produttivo ed economico locale, capace di sostenere servizi e progetti che ne favoriscano la crescita e promuovendone le istanze, in modo forte, presso chi governa i territori e nel confronto con il mondo sindacale, riuscendo spesso a incidere nelle scelte decisive. Al contrario, proviamo a immaginare cosa accadrebbe se non ci fosse Confindustria: senza un riferimento certo, le imprese sarebbero alla mercé di consulenti e di interlocutori guidati da opposti interessi. Una babele, insomma. Vero è che anche il mestiere dell’imprenditore si è decisamente complicato negli ultimi anni. Quali sono le urgenze delle imprese dal suo osservatorio? Per semplicità, proviamo a dividere le nostre imprese in tre grandi filoni: quelle che esportano, quelle che lavorano nel mercato dome-

stico e quelle che hanno il pubblico come cliente finale. Tre macro gruppi diversi con altrettanto diverse esigenze. Chi esporta sa che lo fa secondo regole diverse dai propri concorrenti, regole che spesso lo mettono in svantaggio. Come ovviare? Non sono i dazi di certo la contromisura giusta, ma chi è al governo deve impegnarsi al massimo per rendere la vita delle imprese più facile, lavorando alla sburocratizzazione e a livelli di tassazione maggiormente equilibrati, che diano spazio alla crescita. Stesso dicasi per chi opera solo in Italia. Anche per queste imprese sarebbe di vitale importanza consolidare la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro. Chi opera con il pubblico, poi, paga anche l’immobilismo che ingessa il proprio Paese. A queste imprese vengono richieste puntualità e precisione per ogni adempimento, senza ricevere in cambio la stessa celerità nelle procedure, nei pagamenti. I tempi dell’impresa non sono opinabili come quelli del pubblico e le inadempienze normative hanno un costo preciso che ricade a carico della collettività intera. Aspettare i tempi della pubblica amministrazione equivale a ritardare investimenti, rinviare la crescita, differire l’occupazione. Stare fermi al palo costa posti di lavoro. Sulle relazioni industriali cosa è necessario fare? Davanti ad un mercato del lavoro vorticosamente mutato, tutti, nessuno escluso, devono adeguarsi rivedendo comportamenti e posizioni. Una certa condotta rituale, ripetitiva e standardizzata non è più possibile. La direzione di marcia è quella di costruire relazioni industriali fondate sullo scambio tra salario e produttività. Più si cresce, più si guadagna. Da imprenditore è mai stato tentato dalla sirena di mantenere in

Italia le strutture indispensabili per spostare il resto della produzione verso Paesi low cost? Mai. Chi è andato via, spesso è anche tornato e non solo per la garanzia di offrire al mercato un prodotto di elevata qualità, made in e nel rispetto di una produzione sostenibile. Esiste, come dicevo, una dimensione civile nella scelta di vita e di lavoro di un imprenditore che lo lega al territorio in cui opera. È qui che vuole fare bene, non dove forse gli converrebbe di più. Vizi e virtù della nostra industria. Fare industria significa avere il privilegio di mettersi in discussione ogni giorno, mossi da uno stimolo continuo all’innovazione e al cambiamento, ma anche avere una buona dose di pazienza nel tollerare un Paese che spesso non è alleato dell’impresa. Quanto ai vizi, nel nostro mondo, oltre a qualcuno che tifa per la concorrenza sleale, c’è chi per esempio non ha capito che la successione aziendale può essere problematica e va gestita in tempo utile. Continuità di impresa significa questo, non solo passare il testimone ai propri eredi. E poi, in molti sono ancora quelli che preferiscono perdere da soli piuttosto che vincere insieme. Come vede di qui a dieci anni la sua città? E il Paese? Mi preoccupa lo smarrimento di certi valori. Sicuramente la crisi e il peggioramento delle condizioni di vita in generale hanno influito su questo processo involutivo di chiusura mentale. Si respira troppa pigrizia, diffidenza, intolleranza. Certi valori che anni di pace avevano reso sacri, oggi vacillano. È un pericolo culturale da non sottovalutare. Non possiamo lasciare campo all’aggressività, agli estremismi e ai richiami alla violenza ma ricostruire, tutti, un sentire comune più accorto e attento alla vita delle persone.


speciale trasporti in campania

Cascone: «Presto un piano regionale della logistica» Per il Presidente della Commissione Trasporti della Regione Campania la direttrice da seguire è quella dell’integrazione efficace di Raffaella Venerando

Luca Cascone

P

residente, il settore dei trasporti in Campania è una componente importante del sistema economico regionale non solo in termini assoluti, ma anche relativamente allo sviluppo degli altri settori industriali. Quali gli interventi considerati strategici per le annualità prossime? Nei prossimi dodici mesi la Regione Campania dovrà mettere in campo un piano regionale della logistica per avere una fotografia certa delle piattaforme disponibili e della loro eventuale possibile integrazione a supporto del tessuto imprenditoriale regionale. È una priorità sia tecnica, sia politica, perchè alcune scelte vanno fatte ormai senza più alcun rinvio. Pensiamo a un piano che integri in modo efficace ed efficiente porti, aeroporti, ferrovie e interporti, in cui chiara sarà la visione strategica della Regione e altrettanto nette saranno le scelte che riguarderanno quelle realtà che vanno necessariamente valorizzate per agevolare la movimentazione

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delle merci nel nostro territorio. La Regione ha, infatti, già deciso di investire in maniera preponderante sulla viabilità, l’infrastruttura più arretrata per sviluppo e manutenzione, ma anche quella che più incide nella movimentazione su gomma. Entriamo nel dettaglio, settore per settore: nel trasporto su gomma il presidente De Luca rimarca che, quella in atto, «è una svolta radicale nel Tpl campano», a partire dal rinnovo del parco macchine con alle porte nuove gare europee per l’acquisto di altri autobus. Eppure, specie nel napoletano, gli scioperi sono all’ordine del giorno…Quale è l’attuale stato dell’arte a livello regionale? Cominciamo con il differenziare il servizio dalle aziende. Sono due aspetti distinti che, purtroppo spesso, vengono erroneamente sovrapposti. La Regione Campania è responsabile del solo servizio, non della condotta delle aziende. Fatta questa debita premessa, vorrei sottolineare l’importante impegno di risorse

della Regione nello svecchiare il parco rotabile. Oltre 300 autobus saranno infatti presto disponibili. Inoltre, come previsto dall’Unione europea, la Regione metterà in gara i servizi per i cinque bacini alla ricerca dell’operatore che garantirà maggiori efficienze, chilometri aggiuntivi e investimenti sul servizio. Nel trasporto su ferro, invece, c’è la buona notizia del nuovo contratto con Trenitalia. Quali gli obiettivi e i vantaggi? Aver definito un contratto prima inesistente con Trenitalia ci pone di fronte a un impegno reciproco. Abbiamo infatti degli oneri cui tenere fede ma anche la possibilità, oggi, di avanzare richieste un tempo inammissibili e inevadibili. Attualmente sono dodici i treni nuovi già disponibili e altrettanti quelli in arrivo. Anche con l’EAV di qui a breve stipuleremo un nuovo contratto di servizio e programmeremo nuovi investimenti sul materiale rotabile. Proprio in merito all’EAV, saldato il debito pregresso l’Ente


potrà tornare a programmare. Quali investimenti sono ritenuti prioritari dalla Regione? Ci sarà un incremento e un miglioramento del servizio sia su gomma che su ferro? Tre sono i segmenti di interesse lungo i quali si svilupperanno le azioni della Regione: il piano di risanamento tuttora in corso, che ci auguriamo possa risolversi in tempi brevi; gli investimenti nelle infrastrutture per completare la rete su ferro, ultimando finalmente i tanti cantieri bloccati da anni e gli investimenti in azienda, vale a dire ancora risanamento, nuovi treni e riorganizzazione del personale e sistemazione delle stazioni. Puntiamo a un equilibrio che sia fatto di efficienza, efficacia ma anche elevato impatto estetico. Sul fronte porti e aeroporti quale l’idea di futuro della Regione? La direttrice è quella dell’in-

tegrazione. Le parti coinvolte dovranno dialogare fra loro e, insieme, mettere in campo azioni di marketing comune per gestire al meglio il traffico di persone e merci ma anche per aumentare l’attrattività complessiva del territorio. In questa ampia strategia di marketing territoriale anche la Regione deve fare la sua parte, no? Non c’è dubbio. Il settore del turismo è ritenuto dalla Regione strategico. La proposta da elaborare deve essere articolata e integrata per offrire una destinazione Campania che tenga conto della miriade composita dei nostri punti di forza. Come procedono i lavori nel cantiere di Porta Ovest di Salerno? Per Porta Ovest sono ripresi i lavori di scavo lato monte Cernicchiara. Ora dobbiamo recuperare il tempo perduto.

Aver definito un contratto prima inesistente con Trenitalia ci pone di fronte a un impegno reciproco. Abbiamo infatti degli oneri cui tenere fede ma anche la possibilità, oggi, di avanzare richieste un tempo inammissibili e inevadibili


speciale trasporti in campania

Spirito, Adsp Mar Tirreno Centrale:«La competizione è fuori dei confini, verso il Mediterraneo» Salerno deve assumere una dimensione che vada oltre il suo perimetro e Napoli acquisire piena consapevolezza della sua già grande dimensione. Cresceranno entrambi gli scali. Questo è il nuovo equilibrio Pietro Spirito

P

residente, partiamo dai suoi compiti: nella legge Madia (124/2015) sulla Pubblica Amministrazione si legge che «l’Autorità di sistema del Mar Tirreno Centrale deve indirizzare, programmare e coordinare il sistema di porti della propria area di riferimento. Tra le sue funzioni, anche quella di attrarre investimenti su diversi scali e di fare da punto di raccordo con le amministrazioni pubbliche». Considerate le differenze tra Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia, i suoi saranno tre percorsi diversi per una strategia integrata? Rispetto al precedente percorso istituzionale, l’Autorità di Sistema ha il preciso compito di governare una piattaforma integrata di porti, valorizzando da un lato le identità specifiche e determinando dall’altro una sinergia in positivo. Per procedere in questa direzione vanno innanzitutto sanate le anomalie del passato, che avevano determinato impropri fenomeni di anomala concorrenza tra porti limitrofi, spostando i traffici da una parte all’altra. Oggi non deve essere più così. La competizione è innanzitutto

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di Raffaella Venerando

fuori dai nostri confini, nell’intero bacino del Mediterraneo. La sfida è dunque accrescere i flussi di traffici commerciali, sia di Salerno sia di Napoli. L’obiettivo della Autorità è di lavorare in sinergia con gli operatori per evitare cannibalismi reciproci, puntando piuttosto a costruire opportunità di crescita per tutti. Non consentirò mai che un operatore sposti un traffico da una parte all’altra della mia circoscrizione, per fattori connessi ad anomali elementi presenti nelle strutture degli atti concessori. Tale eredità del passato va gradualmente rimossa. Discorso a parte merita il porto di Castellammare di Stabia. Considerata la posizione geografica strategica, con lo scalo incastonato tra i due golfi, lavoreremo perché si valorizzi l’attracco per i giga e mega-yacht. Inoltre, fondamentale sarà, assieme alla Fincantieri, indirizzare le nostre azioni perché si rilanci dell’industria cantieristica. La sua impostazione è quella giusta: il porto come fabbrica. Gli stabilimenti che producono di più saranno quindi premiati? Nessun favoritismo. Verranno premiate le pratiche migliori, non solo i numeri. I porti della Campania

devono dare tutti livelli di performance e produttività elevati. Insieme, non un contro l’altro. Mi sembra scontato: se ho due braccia, perché dovrei amputarmene uno? Il quadro è ormai definito, e la cornice anche normativa entro cui muoversi, e operare, è mutata. Il decreto Gentiloni ha sancito un termine per l’autonomia gestionale e finanziaria del porto di Salerno al 31 dicembre di quest’anno. Basta con “l’en attendant Godot”. Il nostro territorio, lo ripeto, è il Mediterraneo. E da questa nuova prospettiva ne possiamo guadagnare tutti. Bisogna guardare innanzitutto a ciò che chiede il mercato. Salerno, nel segmento del traffico Ro-Ro, ha una posizione di leadership e può crescere ancora. Quest’anno l’incremento nei primi mesi già è stato del 40%. Ci sono poi i traffici di merci alla rinfusa, le materie prime, i prodotti finiti della Fiat. Per il traffico da crociera, invece, bisogna adeguare i fondali e l’imboccatura. Diversamente le navi non arriveranno mai al nuovo terminal della Stazione Marittima. Salerno deve assumere una dimensione che vada oltre il suo perimetro, e Napoli acquisire piena consapevolezza del suo peri-


metro già grande. La possibilità di integrazione è di per sé perfetta. Un esempio su tutti: i container. Nel mondo ci sono tre grandi raggruppamenti: The Alliance, Ocean Alliance e 2 M. Il mercato - non l’Autorità - ha deciso che a Napoli arriva 2 M e a Salerno gli altri due grandi raggruppamenti. Cresceranno entrambi gli scali così. L’equilibrio è questo. Lo potrà modificare solo il mercato. Gli operatori hanno scelto, e non resta che adeguarsi. Chi prova ad alterare questo bilanciamento mi avrà come nemico. Esiste, poi, una parte di industria retrostante che ha un suo baricentro, in taluni casi più spostato verso Napoli, in altri maggiormente orientato su Salerno. A ciascuno il suo. Le industrie scelgono in funzione della distanza più conveniente. L’Autorità esprime un no deciso, pertanto, a operazioni di cattura. Le energie devono tutte rivolgersi al bacino più ampio del Mediterraneo di più lunga percorrenza.Il tema fondamentale resta quello delle infrastrutture di Napoli e di Salerno. La priorità sono i dragaggi e a Salerno anche l’imboccatura. L’ordine del giorno è questo? Si tratta di lavori programmati che vanno accelerati. Inutile inventarsi dell’altro, consapevoli che, in alcuni casi, il da farsi è più complicato. Napoli è un porto SIN (sito di interesse nazionale, ndr) per l’inquinamento, Salerno no, e quindi si procederà per questo scalo più rapidamente nella fase di realizzazione dei lavori. Dobbiamo bruciare le tappe per restituire agli operatori porti competitivi. Bruciare le tappe…ovvero che tempi sono previsti? Nel caso di Salerno, il Ministero dell’Ambiente deve chiudere la procedura di VIA (valutazione di impatto ambientale) per il dragaggio, auspicabilmente nei

prossimi due mesi. Dopodiché si farà la gara. Va rispettato il timing complesso delle procedure ma, dalla gara in poi, possiamo e dobbiamo accelerare i tempi. La sburocratizzazione delle autorizzazioni tanto richiesta dagli operatori si avrà con la nuova organizzazione complessiva? Bisogna realizzare il SUA, lo sportello unico amministrativo, come previsto dalla riforma di luglio 2016. Anche a questo stiamo già lavorando, avendo completato - per primi in Italia come Autorità di Sistema - la definizione della governance e avendo presentato il Piano Operativo Triennale 2017-2019, il primo documento di programmazione ad ottenere il via libera dall’organo del nuovo ente. Il SUA sarà un’unica piattaforma per tutti gli adempimenti portuali. Con il Ministero delle Infrastrutture abbiamo costituito un tavolo di lavoro per capire come realizzarlo al meglio, abolendo adempimenti superflui e accelerando i tempi amministrativi. Lo sportello unico dovrà avere tutta una serie di interfacce con enti della Pubblica Amministrazione territoriali. Va costruita ex novo una cultura di integrazione. Non sarà facile, ma bisogna farlo. Pietra dopo pietra, edificheremo il ponte che renderà la vita degli operatori più semplice. La zona economica speciale tra i porti di Napoli e Salerno si farà? Con quali ricadute? La giunta regionale della Campania ha approvato, nel dicembre scorso, la proposta di istituire zone economiche speciali (ZES), che coinvolgono i territori dei porti di Napoli, Salerno e Castellammare. La palla sta al governo. Ora stiamo insistendo con azioni di moral suasion proprio sul governo perché colga quanto da noi in Campania indicato il più rapida-

mente possibile. Se realizzata, la ZES può divenire uno strumento di politica industriale significativo, capace di aumentare l’attrattività dei nostri scali. Quali opportunità legate al cluster marittimo campano intravede? Il cluster marittimo campano, nei fatti, non esiste ancora, perché tra i porti non c’è stata positiva integrazione. Salerno e Napoli devono capire che è nel loro interesse integrarsi, specie tenuto conto di quanto si sta già verificando nel Mediterraneo.La creazione di porti hub, lontani dalle destinazioni finali, si sta rivelando una scelta strategica errata. Nella riorganizzazione finale delle rotte, le compagnie marittime hanno interesse ad avvicinarsi alla destinazione finale della merce, senza rimbalzi e senza costi aggiuntivi. Il trend del 2016 lo ha evidenziato: crescerà il traffico container diretto di collegamento nei porti regionali. Cresceranno allora sia Salerno, sia Napoli. Essere hub non basta più. E sui progetti retroportuali a Salerno come si esprime? A Salerno ad ora si è proceduto ad una autorganizzazione, ma anche rispetto a questa dimensione sarà opportuno seguire una strada unica e integrata, scegliendo una soluzione di sistema. Serve quindi una sola area retroportuale che serva tutto il porto di Salerno. Su questo punto, va costruito un dialogo con gli imprenditori e con le istituzioni. Per chiudere, ce la faranno gli attori in gioco ad uscire dal proprio porticello? Se non lo faremo, tutti, avremo perso. Nel senso che quella è la sfida che ci attende. Dobbiamo uscire fuori dei confini ed entrare dentro i nostri territori. Non ci sono altre vie se non quella di diventare, davvero e presto, un’Autorità di sistema.


speciale trasporti in campania

Brunini, Gesac: «Lavoriamo perché l’intero territorio campano tiri» Per l’amministratore delegato della società di gestione dello scalo aeroportuale di Capodichino comincia a emergere una consapevolezza più profonda di quanto sia premiante il fare insieme piuttosto che da soli: «Per migliori risultati e per crescere tutti, meglio sposare la cultura dell’integrazione» di Raffaella Venerando

Armando Brunini

D

opo Roma e Bologna, da quattro anni lei dirige lo scalo aeroportuale di Napoli. Com’è Capodichino oggi dopo la cura Brunini? L’aeroporto godeva di buona salute già prima che io arrivassi. Tra il 2010 e il 2012, infatti, erano stati completati i lavori di riqualificazione e ampliamento della struttura. A me è spettato quindi proseguire l’opera. Ho trovato un bel contenitore da riempire di contenuti, puntando sullo sviluppo del traffico e delle attività commerciali. Come misurato dalle performance, il gradimento per Capodochino - monitorato con protocolli internazionali - oggi è ottimo grazie a un proficuo ed efficace lavoro di staffetta. Lei ha capito prima di altri, specie di alcune compagnie aeree, che la domanda interna avrebbe perso terreno a causa dell’Alta Velocità che ha spostato i traffici dai cieli al treno e, in qualche modo, ha virato… In realtà l’analisi è stata facile. Il calo del traffico domestico era evidente proprio per il trasferimento modale dall’aereo al

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ferro. Altrettanto chiaro era poi il grande potenziale di crescita che lo scalo napoletano aveva rispetto all’incoming internazionale. È bastato fare due conti e lavorare su questo aspetto. Abbiamo spinto molto sul marketing verso le compagine aeree, valorizzando il patrimonio turistico e insistendo sugli accordi commerciali. Prima del mio arrivo, Capodichino aveva 50 rotte; attualmente ne ha più di 90 e quasi tutte sono internazionali. L’accelerazione indubbia ci consente oggi di crescere molto più della media degli altri aeroporti italiani. Ha funzionato la sua strategia non attendista… Sì, il marketing - come dicevo - è stato attivo, con il plus di avere un buon prodotto da vendere. Se è vero infatti che gli aeroporti sono importanti per il territorio, lo è altrettanto il contrario. In ragione di questo, da qualche anno siamo sempre più impegnati a stimolare anche gli altri attori della filiera turistica a fare bene, ciascuno per la propria parte, così da creare una maggiore attrattività dei territorio nel suo complesso. È un processo lungo e faticoso, ma cominciano a intra-

vedersi i primi buoni risultati. La nostra principale attività è senz’altro quella di dialogare con le compagnie aeree ma, collateralmente, facciamo la nostra parte all’interno della più ampia filiera di trasporti e turismo perché l’intero territorio deve “tirare” se vogliamo che i voli siano riempiti. E la risposta è di segno positivo? Ci è voluto del tempo per migliorare le sensibilità, ma oggi è un’onda che sta montando. Per la prima volta nella sua storia, ad esempio, il Comune di Napoli si è dotato di un piano strategico del turismo. La nostra è una sorta di azione di moral suasion sulle altre istituzioni e, finalmente, comincia ad emerge una consapevolezza più profonda di quanto sia premiante il fare insieme piuttosto che da soli. I segnali sono chiari: per migliori risultati e per crescere tutti, meglio sposare la cultura dell’integrazione. Ha già puntato tanto sui servizi commerciali dentro l’aeroporto. Prima di altri pensa anche di pianificare, o lo ha già fatto, investimenti in servizi mobile per i passeggeri


e in processi self-service? Quello dell’innovazione è un percorso molto ben avviato a Capodichino. Già un paio di anni fa abbiamo previsto una figura professionale dedicata, che indirizzi l’innovazione in modo trasversale. I processi di self service riguardo alle operazioni di check-in sono già ampiamente rodati. Al momento, però, stiamo sperimentando il servizio di self bag drop per la consegna automatica del bagaglio da stiva. In questo modo, anche i viaggiatori che devono imbarcare il bagaglio possono effettuare il check-in “digitale” e poi depositare le valigie in pochi secondi, in autonomia e senza dover attendere che si liberi un banco accettazione. Se il test di utilizzo e gradimento sarà positivo, senz’altro amplieremo il servizio. Un’altra grande innovazione in elaborazione - forse entro quest’anno ci sarà una prima verifica - è la single registration, ovvero il passeggero, nel suo primo momento di contatto in aeroporto,associa la sua carta di imbarco ad alcuni suoi tratti somatici. Da allora in poi, ogni volta che si presenterà l’esigenza di mostrare la carta di imbarco per controlli, il riconoscimento sarà automatico. La nostra relazione con il passeggero deve diventare sempre più efficiente e digitale. La rotta da seguire è questa. Chi è il passeggero che sceglie Napoli per i propri spostamenti aerei? Sempre più un passeggero internazionale. Dieci anni fa, come detto, il nostro era un traffico per lo più domestico, con flussi nord/sud dettati da ragioni lavorative o familiari. Oggi, invece, la maggioranza dei flussi è internazionale. È il segmento che cresce di più, tra il 15 e il 20% in aumento ogni anno. Per quanto

attiene, invece, al bacino di utenza la città capoluogo è in testa, ma molti passeggeri provengono anche dalle altre aeree regionali e da territori limitrofi. Dopo Ryanair sono previste nuove rotte? Easyjet è il nostro principale vettore low cost, con una gestione in crescita - di quasi un terzo del mercato. Da marzo 2017 anche Ryanair è operativa nel nostro aeroporto. È come se avessimo messo al nostro scalo un motore biturbo che, ragionevolmente, ci farà crescere ancora di più. E la Emirates a Napoli? Trattative in vista? Al momento è opportuno restare con i piedi per terra. Ad oggi, l’unico nostro volo intercontinentale è quello estivo per New York. In compenso siamo consapevoli di essere molto ben collegati con l’Europa, nei suoi punti primari e secondari. Il nostro ruolo primario è questo. Ciò non toglie che avere un collegamento con il Golfo, sia per i traffici commerciali, sia per una più facile comunicazione con tutto l’est del mondo, è una sfida che siamo pronti a cogliere e per cui ci stiamo impegnando. L’obiettivo è di avere almeno un vettore del Golfo a Napoli entro i prossimi tre anni. Un’operazione non semplicissima perché il traffico con questi Paesi non è liberalizzato, ma si realizza tramite accordi complicati con i Paesi stessi. Qual è la sua vision sul sistema aeroportuale campano? Oggi che i volumi sono sufficienti e il trend turistico in crescita, credo ci siano le condizioni per parlare di sistema aeroportuale campano. Ovviamente tali volumi non solo devono ancor più essere incrementati nel tempo, ma distribuiti su due scali con un posizionamento complementare, senza sovrappo-

sizioni. La gestione dovrà essere accorta, integrata e intelligente. Del resto è questa l’indicazione del governo. Insieme per essere più forti - e non più deboli nei confronti delle compagnie aeree. Tutti e due gli scali hanno potenzialità e possibilità di crescita, contribuendo entrambi a incrementare il traffico nella nostra regione. Da parte nostra c’è la massima apertura e collaborazione, purché ci si muova con logiche industriali sostenibili che valorizzino il nostro immenso potenziale, spesso penalizzato dalla frammentazione e dalla voglia di giocare da soli di alcuni attori della filiera. Per metterlo su - il sistema aeroportuale campano - bisogna uscire dall’isolamento. Tutti.

Easyjet è il nostro principale vettore low cost, con una gestione - in crescita - di quasi un terzo del mercato. Da marzo 2017 anche Ryanair è operativa nel nostro aeroporto. È come se avessimo messo al nostro scalo un motore biturbo che, ragionevolmente, ci farà crescere ancora di più


speciale trasporti in campania

Ferraro: «Prima di tutto l’affidamento della gestione totale dell’Aeroporto di Salerno-Pontecagnano» Per il presidente del CdA della “Aeroporto di Salerno-Costa d’Amalfi SpA” il rilascio di questo titolo è indispensabile per consentire la cantierizzazione delle opere di potenziamento infrastrutturale dello scalo Antonio Ferraro

P

residente, quella dell’Aeroporto Salerno-Pontecagnano è una storia di lunghi sospesi. Partiamo dagli ultimi in ordine di tempo: è divenuto effettivo l’affidamento in concessione della gestione totale dell’aeroporto alla Società Aeroporto di Salerno-Costa d’Amalfi S.p.a? Perché è così importante che avvenga? L’affidamento della concessione di gestione totale non si è ancora perfezionato, nonostante la società ne abbia fatto richiesta fin dal 17 febbraio 2000 e abbia sottoscritto la relativa convenzione nel 22 febbraio 2013. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno più volte espresso il proprio parere favorevole alla sottoscrizione del decreto interministeriale di gestione totale che conclude il procedimento. La pratica, però, è stata più volte oggetto di inesatte e incomprensibili censure del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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di Raffaella Venerando

Per questo la società ha diffidato il predetto dicastero ad esprimere il proprio parere in data 5 febbraio 2015 e 3 agosto 2016. Non ricevendo alcun riscontro, ci siamo risolti a richiedere al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti la nomina di un commissario ad acta. Visto il perdurante silenzio, in data 9 gennaio 2017 abbiamo notificato al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti il ricorso presentato presso il TAR Campania Sezione di Salerno avverso il silenzio inadempimento nella nomina del Commissario ad acta per l’affidamento della gestione totale ventennale dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano. L’udienza è prevista per il prossimo 10 maggio. Il rilascio di questo titolo è indispensabile per consentire la cantierizzazione delle opere di potenziamento infrastrutturale dello scalo, risolvendo alla radice le condizioni che determinano le attuali perdite economiche. Nonostante gli oggettivi limiti infrastrutturali ancora da supe-

rare, i dati di traffico dello scalo relativi al 2016 disegnano una curva che comincia a salire. Quali i numeri e le ragioni dell’incremento? Nel 2016 sono cresciuti del 10% i movimenti aerei, che sono passati dai 2.419 del 2015 ai 2.660, e, soprattutto, del 325% i passeggeri che sono passati dai 2.371 del 2015 a 7.729. La società è riuscita a invertire il trend precedente grazie allo sviluppo di traffico charter e di aviazione generale, gli unici due segmenti sviluppabili, unitamente a quello merci, nelle attuali condizioni infrastrutturali. Prima dei voli, però, occorrono appunto i necessari adeguamenti: pista, portanza, radioassistenza al volo. Qual è l’agenda e quali i tempi di cantierizzazione di questi interventi? Solo il potenziamento della portanza della pista e il suo allungamento potranno consentire un significativo sviluppo del traffico che stimiamo, a regime, in circa 1.600.000 passeggeri.


Per questo la società ha da tempo attivato le procedure tecniche necessarie a conseguire le autorizzazioni necessarie alla realizzazione dei lavori. In particolare, è in fase molto avanzata la procedura di valutazione di impatto ambientale; è stata conclusa la progettazione definitiva di fase 1 per l’allungamento della pista a 2.000 m; è in fase di aggiudicazione l’espletamento delle attività di verifica della progettazione definitiva ed esecutiva di fase 1. Nei prossimi giorni, grazie a un finanziamento specifico concesso dalla Regione Campania, partiranno le gare pubbliche per l’assegnazione degli studi aeronautici, del progetto esecutivo di fase 1, del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo dei fase 2 finalizzati all’ulteriore allungamento della pista a 2.200 m. Tali attività tecniche, oltre a numerose altre ad esse correlate, testimoniano un enorme lavoro in corso che ci porterà, auspica-

bilmente, ad aprire il cantiere nel settembre 2018, anno di disponibilità dei 40 milioni di euro previsti dalla cosiddetta Legge Sblocca Italia. Superati gli oggettivi impedimenti, qual è il destino del “suo” aeroporto? Quello di diventare la più importante infrastruttura a servizio dello sviluppo turistico e agricolo, e non solo, della provincia di Salerno, della Basilicata e dell’alta Calabria. L’Aeroporto genererà centinaia di posti di lavoro diretti e indiretti, determinando, con ogni certezza, una profonda riqualificazione urbana di tutta la fascia costiera. Non da ultimo, l’Aeroporto costituirà un fattore di crescita culturale per tanti giovani che potranno più facilmente entrare in contatto con il mondo. E la sua vision sul sistema aeroportuale campano? Quella di un sistema integrato che completa le caratteristiche degli aeroporti di Napoli Capodi-

chino e di Salerno-Pontecagnano, superando le criticità esistenti e sfruttando, ottimizzandole, le opportunità derivanti dalla tipologia di specializzazione, dalla localizzazione geografica, dalla facilità di accesso dei bacini di utenza e dalla possibilità di garantire servizi di eccellenza ai viaggiatori e, alle merci per raggiungere le destinazioni nel rispetto del time to market.

Enorme lavoro in corso che ci porterà, auspicabilmente, ad aprire il cantiere nel settembre 2018, anno di disponibilità dei 40 milioni di euro previsti dalla cosiddetta Legge Sblocca Italia


speciale trasporti in campania

Gallozzi: «La Zes funziona solo se accelera gli investimenti legati al manifatturiero» Per il presidente di Assotutela «se crescono i volumi di produzione aumenteranno anche gli indicatori di traffico delle merci in uscita dal porto di Salerno» di Raffaella Venerando

Agostino Gallozzi

C

omune di Salerno, Assotutela e organizzazioni sindacali hanno voluto e condiviso un documento di programma: quali i punti salienti sottoposti al vaglio dell’Autorità di sistema? Abbiamo ritenuto di sottoporre all’Adsp la nostra idea di piattaforma programmatica che è stata pienamente recepita in sede di Programma Operativo Triennale dal presidente Spirito con il quale si è subito stabilito un rapporto molto positivo, di grande stima e collaborazione operativa. Abbiamo individuato alcuni priorità indifferibili incentrate sull’accelerazione del completamento degli interventi di potenziamento infrastrutturale del porto di Salerno con particolare riferimento alle procedure, già in essere, relative al dragaggio dei fondali, all’ampliamento dell’imboccatura e alla ultimazione delle gallerie di collegamento con gli svincoli autostradali. É importante che sia stato colto il ruolo dello scalo Salernitano, quale grande regional port multifunzionale a servizio competitivo delle

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economie delle aziende del nostro territorio. Criticità strutturali a parte, le premesse per migliori performance per lo scalo salernitano ci sono. Ne sono testimonianza i recenti accordi commerciali tra Salerno Container Terminal e “Ocean Alliance” e “The Alliance”. Altri numeri positivi in vista? Devo dire che stiamo raccogliendo i frutti del grande lavoro svolto in giro per il mondo. Nei giorni scorsi ci sono state le prime partenze dal porto di Salerno (Terminal Sct) per New York e gli Stati Uniti, in seguito agli accordi firmati dal Gruppo Gallozzi con “Ocean Alliance” e “The Alliance”, i due maggiori raggruppamenti a livello mondiale nell’ambito dei trasporti marittimi internazionali. Subito a seguire abbiamo avuto il primo approdo del colosso cinese COSCO. Di fatto il nostro porto diventa lo scalo di riferimento nel Sud Italia delle connessioni marittime, import ed export, con tutti i mercati del mondo, ad Est, Ovest, Nord e Sud. E proprio in considerazione del

consistente incremento dei traffici Sct ha già provveduto ad inserire 21 giovani salernitani nella propria pianta organica. Queste nuove assunzioni rappresentano una grande soddisfazione soprattutto in un momento nel quale il problema della disoccupazione dei nostri ragazzi è diventato una vera e propria emergenza sociale. Ormai il Terminal Sct lavora mediamente 20 navi full container alla settimana, pari a 1.000 partenze full container all’anno per i mercati internazionali, a conferma di un 2017 che già prospetta un incremento consistente della movimentazione nello scalo di Salerno. I livelli di reputazione e di capacità operativa del nostro scalo e del nostro Gruppo hanno consentito di attrarre un numero crescente di collegamenti marittimi con un effetto moltiplicatore delle opportunità competitive sui mercati internazionali per le tante attività produttive radicate nella provincia di Salerno e in Campania, ma anche in altre aree meridionali. Siamo in un momento di grande dinamismo del nostro Gruppo e proseguiamo convinti


sulla strada della continua ricerca di ulteriori e qualificati servizi per le imprese export oriented. Il porto di Salerno è ormai da tempo un fondamentale gate effettivamente funzionale alle aziende che guardano ai mercati internazionali come sbocco prioritario delle produzioni Made in Italy. É in questa direzione che continueremo a lavorare, convinti che la logica di sistema introdotta dalla riforma delle Autorità Portuali esalti ancora di più la capacità di crescita delle imprese operanti nella filiera dei traffici internazionali in una logica di libero mercato. Qual è il suo giudizio sulla possibilità di realizzare una zona economica speciale tra i porti di Napoli e Salerno? La Zes è un’opportunità per attivare nuovi investimenti, ma non è un percorso semplice da compiere, particolarmente perché sarà necessario individuare meccanismi che evitino una scorretta concorrenza tra chi è dentro e chi è fuori dalla Zes. A mio giudizio, occorre

partire dalla rivalorizzazione del concetto di insostituibilità dell’industria manifatturiera. Perché - è bene ricordarlo - quello di Salerno è un porto prevalentemente export oriented e, quindi, ha bisogno di avere alle spalle non un tessuto economico e produttivo terziarizzato, ma un sistema di sviluppo locale strettamente connesso con l’industria vera e propria, naturalmente propensa - in tempi di difficoltà della domanda interna - a sfruttare le opportunità sui mercati esteri. Rafforzando, in ogni caso, i già consolidati trend positivi, per esempio, dell’agro-alimentare nelle regioni dell’Inghilterra, del Nord Europa, degli Stati Uniti. É in questo ambito di riferimento che si dovrebbe puntare per indicare le aree retro-portuali da inserire nella Zona Economica Speciale. La Zes, quindi, non è da intendersi come un’area a vantaggio fiscale minimale, ma - dove funziona, come in Polonia o in altre parti d’Europa - un vero e proprio attrattore e acceleratore di investimenti

che andrebbero legati al manifatturiero (ecco che ritorna l’industria in senso stretto). Se crescono i volumi di produzione del manifatturiero, aumenteranno anche gli indicatori di traffico delle merci in uscita dal porto di Salerno. Se, invece, si punta ad inserire nella Zes attività di intermediazione commerciale, saremo di fronte ad un tentativo di piccolo cabotaggio e non ad un disegno di politica industriale di ampia portata chiaramente incentrato sull’asse industria/logistica/rete dei porti/ mercati internazionali. I livelli di reputazione e di capacità operativa del nostro scalo e del nostro Gruppo hanno consentito di attrarre un numero crescente di collegamenti marittimi con un effetto moltiplicatore delle opportunità competitive sui mercati internazionali per le tante attività produttive radicate nella provincia di Salerno e in Campania, ma anche in altre aree meridionali


focus

Israele: il settore portuale e le potenzialità logistiche Nel 2005 il Paese ha avviato un programma di riforma portuale con l’obiettivo di incoraggiare il libero mercato, favorire la partecipazione di capitali privati e migliorare la competitività a livello globale

Fonte: SRM su Israel Ministry of Finance e IPC, 2017

di Alessandro Panaro Responsabile Area di Ricerca Maritime&Med Economy SRM

S

RM sta conducendo una ricerca, che sarà presentata a breve, rivolta a illustrare il profilo dell’economia di Israele e le sue grandi potenzialità in termini marittimi e logistici, oltre che tecnologici. Il trasporto marittimo per l’economia locale rappresenta un settore di grande rilevanza considerato che il 99% in volume e l’80% in valore dell’import–export del Paese passa attraverso i suoi porti. Il commercio per Israele è importante perché il Paese ha l’esigenza di esportare la sua particolare produzione ad alto contenuto tecnologico e innovativo e di importare fonti energetiche dato che, sotto questo punto di vista, non è autosufficiente: questa rilevanza si traduce nel dato secondo cui il 63% del Pil dipende dal commercio. Israele inoltre ha un vantaggioso posizionamento geografico sul Mediterraneo che gli offre le potenzialità per essere un gateway tra oriente e occidente. Questo spiega perché la crescita economica sia legata strettamente ad un sistema portuale moderno e competitivo e perché dunque la strategia e la politica di sviluppo di questo settore rientrino nelle priorità del governo. Israeliana è inoltre un’azienda protagonista dello shipping mondiale, la ZIM, che opera nel business del trasporto dei container. L’economia e il commercio internazionale del Paese hanno conosciuto una crescita importante negli ultimi due decenni

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e anche i porti hanno registrato performance significative avvantaggiandosi dei considerevoli miglioramenti infrastrutturali. Il trasporto via mare in Israele è amministrato dal Ministero dei Trasporti che è responsabile anche della policy. Nel 2005 il Paese ha avviato un programma di riforma portuale con l’obiettivo di incoraggiare il libero mercato, favorire la partecipazione di capitali privati, sostenere la competizione per migliorare la competitività a livello globale. La riforma ha introdotto una nuova struttura organizzativa che ha portato alla sostituzione della Israel Port Authority (che ha operato dal 1961 al 2005) con 5 nuove società governative. Il governo ha scelto di adeguare il sistema portuale del Paese al landlord model, in base al quale le entità pubbliche possiedono e si occupano delle infrastrutture e del loro sviluppo, mentre le aziende private sono responsabili dei servizi di trasporto attraverso le loro sovrastrutture e attrezzature. Governance dei porti israeliani L’Administration of Shipping and Ports (ASP) è un organismo ministeriale che regola il traffico marittimo, le infrastrutture e gli operatori. È stato poi introdotto l’IPC - Israel Ports Development & Assets Company Ltd., l’organismo governativo proprietario dell’infrastruttura e responsabile per lo sviluppo dei 3 porti commerciali: Haifa, Ashdod e Eilat e per garantire l’efficienza e la competitività degli scali nella gestione del commercio marittimo israeliano. Parallelamente


Automated facilities

Bulk

General freight

Containers

60 50 Mln tonnes

alla gestione e allo sviluppo delle infrastrutture fisiche e tecnologiche del porto, l’IPC è attiva nella promozione di altre soluzioni in grado di migliorare la competitività commerciale della nazione, soprattutto per quanto riguarda la catena logistica e di approvvigionamento. Infine le 3 società che, sotto il mandato dell’IPC, gestiscono i porti commerciali e sono responsabili della loro operatività: Haifa Port Company, Ashdod Port Company, Eilat Port Company. In relazione alla spinta a favorire la partecipazione di capitali privati nel settore portuale introdotta dalla riforma, Israel Shipyards, un’azienda che da 50 anni si occupava di costruzione, di riparazione e di riqualificazione delle navi militari e civili, ha fondato nel 2008 il primo porto privato in Israele, l’Israel Shipyards Port, a sud di Haifa. Come premesso, il governo pone molta attenzione allo sviluppo dei suoi porti, che ha formalizzato nel Master Plan Strategico al 2055 approvato nel 2007 in cui sono esplicitati 2 principali obiettivi: lo sviluppo degli investimenti privati e il miglioramento della competitività. Esso è stato elaborato da IPC e contiene un programma di sviluppo ambizioso che intende migliorare la posizione competitiva dei porti di Israele nel contesto del Mediterraneo. Negli ultimi 25 anni il traffico merci negli scali israeliani è aumentato in media del 4% all’anno e nel 2016 esso ha raggiunto 57 milioni di tonnellate (+6%). L’attività dei porti commerciali è suddivisa in 3 principali settori: 1. il settore dei container che garantisce circa il 67% delle entrate

40 30 20 10 -

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2016

Fonte: SRM su Israeli CBS, 2017

dei due principali scali; 2. general cargo, inclusi i veicoli; 3. le rinfuse. Riguardo alle caratteristiche dei principali porti israeliani, di seguito se ne danno alcune indicazioni: Ashdod: gestito dalla Ashdod Port Company, si affaccia sul Mediterraneo, a sud di Tel Aviv. Movimenta circa 24 milioni di tonnellate di cargo (il 42% del totale Israele), tra cui rinfuse solide, veicoli, prodotti in metallo e legno, grano, zolfo, general cargo, container; in questo segmento è diventato il principale scalo della nazione quando nel 2014 ha superato Haifa. Ashdod è anche un porto passeggeri e crocieristi. Dispone di banchine per una lunghezza complessiva di 5 Km con fondali fino a 15,5 metri. Eilat: localizzato sul Mar Rosso rappresenta il gateway d’Israele con il Far East ed è completamente privatizzato dal 2012. La Eilat port Company gestisce circa 2,1 milioni di tonnellate sui suoi 530 m di banchine (circa il 3% del totale del Paese), in particolare minerali e veicoli. Haifa: gestito dalla Haifa Port Company, si affaccia sul Mediterraneo, a nord di Tel Aviv ed

è il principale porto del Paese. Movimenta circa 28 milioni di tonnellate di cargo (51% del totale), principalmente container, grano, prodotti chimici; come Ashdod ha anche un terminal crociere. Dispone di banchine lunghe complessivamente 6,7 Km e fondali fino a 15,5 m. Israeli Shipyards: è stato il primo porto privato del paese, fondato e gestito dalla Israeli Shipyards Co. ed è situato sul Mediterraneo a sud di Haifa. Movimenta circa 2,8 milioni di tonnellate (il 5% del totale) su una superficie di 330 mila m2 e banchine lunghe 1 km. In sintesi, Eilat e Israeli Shipyards sono privati, mentre Ashdod e Haifa sono gestiti da società ancora a controllo pubblico. Oltre ai 4 porti commerciali, in Israele sono presenti altri 2 scali energetici ad Hadera e Ashkelon. Il sistema portuale è dunque un asset strategico per il Governo che sta potenziando i suoi terminal anche con il supporto di forti investimenti provenienti dalla Cina. Altri dati molto interessanti saranno presentati quando la ricerca sarà ultimata in un apposito seminario organizzato da SRM www.srm-maritimeconomy.com.


l’opinione

Asi, si torna a pianificare lo sviluppo industriale Il nuovo presidente del Consorzio salernitano, Antonio Visconti, promette un cambio di passo: «Non saremo più un’agenzia immobiliare finalizzata all’assegnazione dei lotti. Programmeremo e attueremo la crescita del territorio» di Raffaella Venerando

Antonio Visconti

A

ntonio Visconti alla guida dell’Asi da qualche mese prende le mosse dalla ridefinizione dell’assetto consortile all’interno di una logica di riprogrammazione dei piani territoriali di sviluppo industriale. Quale vision di sviluppo ha quindi in mente? Come è noto, negli ultimi tempi una serie di soggetti erano usciti dall’Asi di Salerno, sia per motivi economici - è il caso ad esempio della locale Camera di Commercio - sia per ragioni inerenti al governo del territorio, si pensi ad esempio ai Comuni di Battipaglia e Mercato San Severino. Oggi, però, anche alla luce delle mutate condizioni economiche, l’Asi ha necessità di evolversi da mero strumento di lottizzazione del territorio a ente che, in ottemperanza ai suoi compiti istituzionali, cura e presiede allo sviluppo dei sistemi industriali. La logica della pianificazione territoriale comunale è ormai superata a vantaggio di una prospettiva di area vasta che assecondi in parte le nuove

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richieste che provengono dal territorio, seguendo un sentiero che individui prima di tutto le preesistenze, favorendole in una logica di distretti industriali e contemplando le principali direttrici logistiche infrastrutturali per offrire ricadute positive non a un comune piuttosto che a un altro, ma a tutto il territorio interessato. L’esigenza di ragionare in termini di area più vasta è necessaria, urgente e indispensabile. Per questo abbiamo scelto di ridefinire l’assetto del consorzio, in cui una componente preponderante sarà svolta dai comuni del cratere, finora esclusi per motivi politici. Avremo un consiglio generale per lo sviluppo e la pianificazione industriale composto da alcuni soci, titolari di aree industriali su cui l’Asi ha potestà regolamentare come Salerno, Cava, Fisciano e i comuni del cratere, e altri senza aree, come la Provincia, la Camera di Commercio e altri - cui è richiesto un ruolo proattivo perchè sono a tutti gli effetti già protagonisti del mondo industriale. L’epoca

dell’Asi che ha funzionato da agenzia immobiliare finalizzata all’assegnazione dei lotti ha segnato il passo. Abbiamo già revocato il provvedimento di espansione proporzionale delle quote ai soci attuali; successivamente l’ente procederà alla redistribuzione delle stesse e del contributo consortile. Per noi il consiglio, più che un altro centro di potere, è e sarà un luogo di proposizione di idee e confronto. In passato spesso non erano chiare quali fossero le competenze ripartite tra l’ASI e il Comune di Salerno, tanto da utilizzare questa mancanza di chiarezza come alibi del degrado nelle zone industriali. Succederà anche con la sua presidenza? A dire il vero, in passato la pianificazione della gestione delle aree era vincolata agli insediamenti industriali perché l’Asi aveva la giurisdizione di un territorio sul quale era posto un vincolo, per cui i Comuni non potevano fare molto senza il preventivo assenso dell’ente. Allo stato, però, questo passaggio epocale dal-


la dimensione solida a liquida del sistema industriale sta portando l’ente a un cambio reale di pelle, trasformandolo in attore dello sviluppo impegnato a rendere le aree industriali ecosostenibili ed efficienti, senza per questo confliggere con la mission di altre realtà che pure alla crescita produttiva del territorio sono interessate. Mentre altri enti, infatti, hanno un ruolo propositivo, l’Asi è un organo attuativo dello Stato che può e deve rendere operativo lo sviluppo. Non solo programmazione, ma attuazione della crescita. Ed è quello che faremo. Poniamo un esempio: se oggi l’imprenditore dispone di un’area, quanto tempo occorre per l’istruttoria della pratica, l’esame e il rilascio del nulla osta? Le istruttorie hanno tempi molto rapidi. Presentata la richiesta di parere, l’ente rilascia il nulla osta all’insediamento per cui è necessario,

però, anche il permesso del Comune interessato. In linea di massima ci occorrono tre giorni per evadere una pratica. Le lentezze finora registrate non erano dovute a un cattivo funzionamento della macchina organizzativa, quanto piuttosto a un regolamento urbanistico che poneva molti paletti e restrizioni. Stiamo già lavorando, tuttavia, a un aggiornamento dei piani regolatori perché siano maggiormente in linea con le esigenze dei territori. L’ingegnere Prete le ha mai parlato della sua idea di condominio industriale? Una delle modifiche del regolamento urbanistico dell’Asi riguarda proprio il pluri-insediamento con possibilità di distribuire gli spazi sia in verticale, sia in orizzontale. Nei fatti, quindi, attueremo una dimensione micro dell’idea originale del condominio industriale, con più servizi accentrati, utili specie per le aree più piccole.

Per noi il consiglio generale, più che un altro centro di potere, è e sarà un luogo di proposizione di idee e confronto


l’opinione

GI Confindustria Campania, Palumbo si impegna: «Alzeremo la voce» Operatività, elevata attenzione e proposte concrete alle istituzioni saranno i valori guida del nuovo presidente di Raffaella Venerando

L

a sua avventura di imprenditore parte dal metalmeccanico (produzione di banda stagnata, ndr) per approdare al mondo ampio della sicurezza sul lavoro e a al franchising nella ristorazione. La sua è stata un’evoluzione necessaria, dovuta al cambiamento dei tempi, o una scelta di attitudine personale? Piuttosto che proseguire nel settore in cui operava l’azienda di famiglia, ho deciso di cambiare strada, assecondando la voglia di dare vita a un progetto tutto mio. Ho seguito il mio intuito, con coraggio imprudente. A conti fatti, il tempo e il mercato mi hanno dato ragione. Oggi l’azienda creata da mio padre, infatti, ha alienato la produzione di contenitori metallici lasciando in piedi solo la commercializzazione. Ho “sentito” che cambiare fosse necessario e, per fortuna, l’ho fatto nel momento giusto. Che tipo di imprenditore è Francesco Palumbo? Uno che non smette mai di farsi domande, che ha voglia di provarsi in progetti diversi,

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aperto al nuovo, che si tratti di un metodo, una tendenza appena accennata o un prodotto. Non è detto, ad esempio, che fra qualche anno io non cambi ancora settore in cui investire. Il suo obiettivo più grande e quello più prossimo? Innanzitutto crescere, incrementando servizi e prodotti per ambedue le aziende che rappresento. Presto, però, voglio ritagliarmi anche più tempo per la famiglia. Lo devo ai miei cari e a me. Le parole d’ordine del suo mandato in Confindustria Salerno sono state sviluppo ed entusiasmo. Quelle del nuovo corso quali saranno? Sicuramente “alzeremo la voce”. Il nostro dovrà essere un atteggiamento non solo di denuncia, ma di proposta. Dobbiamo tornare a essere più concreti, conservando però l’entusiasmo di sempre. Non c’è approccio più scalabile e contagioso a mio avviso. Qual è la sua idea regionale di Gruppo Giovani Imprenditori? Saremo operativi fin da subito. Vogliamo incontrare per prime le istituzioni regionali che pre-

siedono alle attività produttive, al lavoro, all’innovazione e alle politiche giovanili per capire insieme quali potrebbero essere le scelte più congrue agli interessi delle imprese. Lo faremo insieme a tutte le forze giovani che vorranno partecipare, indipendentemente dall’età anagrafica. Occorre l’audacia per andare avanti, ma anche poter contare sull’esperienza dei senior aiuta. Francesco Giuseppe Palumbo è stato eletto presidente dei GI Campani il 23 marzo scorso per il triennio 2017-2020. 37 anni, laureato in Economia Aziendale presso l’Università di Salerno, specializzato in amministrazione e management aziendale e in marketing e direzione commerciale, è presidente del CdA della Medis srl, medicina e sicurezza sui luoghi di lavoro. È operativo anche nel settore del franchising della ristorazione con il brand “I Paccheri Italian Pasta and Mozzarella Restaurant” e nello shop food di prodotti artigianali Made in Italy, di prevalenza campana


confindustria salerno

YFD al Fuori Salone, un successo annunciato All’Area 35 Art Gallery in zona Tortona a Milano la prima esposizione dei prodotti di design vincitori del contest organizzato dal Gruppo Design, Tessile, Sistema Casa di Confindustria Salerno ha fatto registrare più di 1000 presenze

di Massimiliano Pallotta Segreteria Gruppo Design, Tessile, Sistema Casa di Confindustria Salerno

U

na scommessa azzardata ma vincente, la prima esposizione del Gruppo Design, Tessile, Sistema Casa di Confindustria Salerno al Fuorisalone di Milano. Oltre 1000 presenze in 5 giorni hanno testimoniato come la determinazione e il lavoro ben fatto, alla fine, vengano sempre riconosciuti e premiati. Le 9 aziende salernitane in collettiva, infatti, sulla scia del brillante esito del contest Young Factory Design, hanno deciso di realizzare i prodotti dei designer offrendo loro come prima vetrina proprio l’eccezionale manifestazione milanese. I progetti presentati al contest 2016 e realizzati sono stati 6: Kubbik dei designer Tommaso Auletta e Giuseppe Capasso, realizzato da Manifatture Tessile Prete srl e Tekla srl, Clunk di Giuseppe Miele realizzato da Tekla srl, Costellazioni di Antonietta Memoli, Paolo Casaburi e Maria Luna Nobile realizzato da Lamberti Decor, Ricordi del Sud di Libero Rutilio e Ekaterina Shchetina realizzato da Fornace De Martino, Meandro di Jessica

G. Di Mare e Tommaso Cossu realizzato da Cianciullo Marmi e, infine, Ribbon di Area 22 realizzato da Opus mosaici. Oltre alla sezione dedicata al Contest YFD al Fuorisalone sono stati esposti: Curvy di Daniele Iannicelli e realizzato da Formaperta, Gallery di Rita Mazzeo e realizzato da Hebanon, Be_relax di Alessandra Pedone e realizzato da Valflex e A4 Design, Sweden di Roberto Cappelli e realizzato da Hebanon, Vasi d’autore di Ernesto Tatafiore realizzati da D’Amico, set di piatti in marmo progettati da Diego Granese e realizzati da Cianciullo Marmi, espositore progettato da Francesco Giannattasio e realizzato da Tekla, pelli di Marine Leather. Insieme ai prodotti di design delle aziende campane del Gruppo Design Tessile Sistema Casa di Confindustria Salerno, hanno partecipato e dato lustro nella sezione Campania Food & Design 3 aziende che si sono contraddistinte per la forte e inusitata sensibilità di unire cibo e design. «Young Factory Design ha voluto esplorare anche il mondo del food - ha dichiarato Valeria Prete, presidente del Gruppo Design, Tessile, Sistema Casa di Confindustria Salerno - cogliendo la fusione possibile tra tradizione, amore per il territorio e innovazione con

tre prodotti di food design: Vasi d’Autore, Babà e Chips e Italianavera». La seconda collezione di Vasi d’Autore di D’Amico è firmata dall’artista Ernesto Tatafiore. Si compone di 4 vasi di design in edizione limitata, che si trasformano in eleganti contenitori da riutilizzare in maniera creativa per arredare la casa con stile e originalità. Il Maestro Tatafiore ha raccontato attraverso le 4 capsule il viaggio di Ulisse. Perché il viaggio? L’artista ha immaginato, in chiave metaforica, il viaggio di Ulisse come il viaggio dei sapori dei prodotti D’Amico, in una vera e propria esperienza di gusto. La nota pasticceria di Pompei, De Vivo, con i suoi Babà e Chips dal packaging ricercato ha incantato ed estasiato tutti. Il Babà nella versione “Limoncello di Sorrento IGP” o in “Liquore Rhum Jamaica” e le “chips”, da sgranocchiare da sole o accompagnata da salse agrodolci, miele, marmellate e formaggi. Altre due raffinate ghiottonerie della Pasticceria reduce dal podio per il concorso Colomba Creativa alla Mole di Primavera a Torino, che da anni che lavora con passione seguendo le regole della tradizione e volgendo lo sguardo all’innovazione. Italianavera, con le sue


fantasie da mangiare, anche a Milano ha raccontato una storia che narra un territorio e i suoi prodotti perché essere italiani è una cultura, uno stile di vita, è voglia di raccontare la semplicità di una quotidianità fatta di cose buone. «Nel nostro spazio non avevamo mai ospitato una formula - ha affermato il proprietario della galleria Giacomo Marco Valerio - così innovativa di evento tra design food e tradizioni. Grazie a queste energie diverse e positive abbiamo registrato il 60% in più di partecipazione da quando è attiva Area Gallery, siamo molto soddisfatti!». «A dicembre durante la premiazione della prima edizione YFD avevo promesso ai giovani designer che i loro prodotti sarebbero stati esposti al Fuorisalone di Milano», ha concluso Valeria Prete. «Non sapevo come ma sapevo che volevo realizzare il loro sogno! La probabilità di insuccesso era la stessa di successo così come spesso succede nelle nostre aziende e le decisioni sono spinte da cuore e concretezza, i tempi erano ristretti e gli altri impegni aziendali e associativi numerosi, ma la visione della realizzazione di quel sogno era più forte, e oggi è realtà, una realtà di successo!». «L’esperienza di questo Fuorisalone è stata entusiasmante, frutto di una macchina organizzativa che ha funzionato a tutto tondo nel mettere in comunicazione designers e aziende e nel concretizzare il lavoro svolto», ha dichiarato Antonietta Elena Memoli, designer di Costellazioni uno dei progetti vincitori del Contest YFD.

22 | aprile/maggio 2017

Alcuni momenti dell’evento del 7 aprile 2017 al Fuorisalone

La delegazione di aziende e concorrenti al primo contest YFD durante il Fuorisalone


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Startup Weekend Sa: l’evento per fare impresa insieme ai Giovani Imprenditori Buona la prima edizione dell’evento che ha visto studenti, neolaureati, startupper, sviluppatori web e digital, divisi in 14 team, hanno lavorato fianco a fianco per sviluppare le proprie idee imprenditoriali, supportati da mentor, coach e professionisti del settore a cura della Redazione

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l 24-26 marzo scorso, a Palazzo Fruscione a Salerno, più di 100 aspiranti startupper hanno trascorso un fine settimana entusiasmante, che ha catalizzato la voglia di fare e di mettersi in gioco. Studenti, neolaureati, startupper, sviluppatori web e digital, divisi in 14 team, hanno lavorato fianco a fianco per sviluppare le proprie idee imprenditoriali, supportati da mentor, coach e professionisti del settore. L’obiettivo? Effettuare una prima “validazione dell’idea”, apprendere nuove competenze e confrontarsi per capire i trend del mercato. «Un’iniziativa importantissima, fondamentale per il tessuto cittadino salernitano, dal quale nasceranno i futuri imprenditori», ha dichiarato Francesco Palumbo alla sua prima uscita come presidente dei Giovani Imprenditori della Campania. «Un risultato eccezionale in termini di partecipazione considerato che, dati alla mano, abbiamo raggiunto, gli stessi numeri di Startup Weekend organizzati in grandi citta italiane come Roma o Milano. Ma il vero risultato è stato creare una prima community a testimonianza che “mischiando” le diverse esperienze e competenze si possono generare cambiamenti di grande valore. Un grazie a quanti si sono impegnati

in prima persona nel progetto», ha commentato Francesco Serravalle, tra gli ideatore e attuatori dell’iniziativa.I Giovani Imprenditori sono stati parte attiva nel favorire la cultura di impresa! Durante un talk serale il neo presidente Pasquale Sessa si è confrontato con gli startupper facendo leva sul valore della “partecipazione” come elemento distintivo per la crescita di una qualsiasi idea, community o territorio.Di seguito i commenti a caldo degli altri GI che hanno partecipato.Giusy e Fabrizio Citro - Industria Grafica FG: «Da anni siamo attivi nel promuovere iniziative che portino allo sviluppo del nostro territorio. Crediamo nella forza intrinseca di ogni idea e nel necessario appoggio alle giovani menti».Rossella Montuori - Sip&T presente in Giuria: «L’evento Startup Weekend ha chiarito ogni dubbio. Il nostro territorio è pronto a produrre idee innovative e, soprattutto, a mettersi in gioco per renderle concrete. Il successo di questa due giorni ne è la prova». Valeria Prete - Tekla srl - presente in Giuria: «Caparbietà, orientamento all’obiettivo, saper trarre dai “no” opportunità per i “si”, essere flessibili e dinamici, questi i consigli dati ai giovani startupper durante il week end e punti fondamentali per costruire sogni e ottenere risultati». Marco Gambardella - Bioplast - presente in Giuria: «Vedere giovanissimi, tra

cui ragazzi di 13 anni affacciarsi con entusiasmo al mondo dell’impresa è un messaggio da divulgare e supportare sempre di più». Il weekend è stato solo l’inizio di un progetto più ampio infatti: «È già attivo un canale di contatto diretto, dedicato alla commnuity per continuare a lavorare insieme sullo sviluppo delle idee di startup», confermano Stefano Esposito e Gianmarco Covone membri del team organizzativo. Il sabato e la domenica mattina sono stati dedicati alla definizione della strategia e allo sviluppo concreto della presentazione del progetto con il supporto di mentor e coach. Sono state ore intense di confronto, ricerche di mercato, creazione e modifica del modello di business per valutare le reali possibilità di successo della propria idea. La domenica sera i progetti sono stati presentati e giudicati da esperti imprenditori e investitori che hanno votato i 4 team vincitori.


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Ospitalità 4.0, come promettere e mantenere buone performance nel turismo Il settore alberghiero della provincia di Salerno, le Istituzioni e TripAdvisor si sono confrontati per capire come gestire la comunicazione digitale al meglio per incrementare il business dell’accoglienza

di Raffaella Venerando

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li operatori turistici, oggi, devono andare oltre. Oltre i luoghi fisici del loro business, le attrattive del territorio in cui operano, i servizi standard e l’accoglienza tradizionale. Non è più possibile non tenere conto, infatti, di quanto anche l’ospitalità debba essere 4.0, di quanto il web con commenti, recensioni, opinioni condivise e siti tematici, condizioni in modo sostanziale i turisti nella scelta di una destinazione. A questo ampio aspetto della ricettività turistica moderna è stato dedicato l’incontro, organizzato dal Gruppo Turismo di Confindustria Salerno insieme con TripAdvisor, tenutosi presso l’Hotel La Bussola di Amalfi il 6 aprile scorso. Un’occasione operativa per confrontarsi con il sito di viaggio che è indiscutibilmente la più grande community di viaggiatori del mondo e imparare a gestire al meglio gli strumenti commerciali e di marketing disponibili per aumentare le opportunità e la concorrenzialità. A inaugurare la sessione tecnica con gli esperti di TripAdvisor, il presidente del Gruppo Turismo 24 | aprile/maggio 2017

di Confindustria Salerno Gino Schiavo che così ha commentato questa partnership tra addetti ai lavori qualche tempo fa impensabile: «Il business turistico ha subito una autentica rivoluzione negli ultimi anni, con i consumatori divenuti anche produttori di informazioni, di contenuti di viaggio. Da qui deriva, pertanto, la necessità, per gli operatori del settore, di imparare a governare la comunicazione per capire come fare meglio, come posizionarsi e distinguersi dalla concorrenza. È chiaro a tutti che il futuro delle destinazioni passa per la realizzazione di strategie sinergiche fondate sulla comunicazione e la web reputation. Bisogna attrezzarsi di rimando». I funzionari di TripAdvisor hanno risposto a molte criticità sollevate dagli operatori turistici in sala e approfondito diversi aspetti tecnici: dalla gestione del profilo utente /pagina della struttura ricettiva iscritta, a come riconoscere, denunciare e proteggersi dalle recensioni fraudolente e dai contenuti sospetti. Obiettivo utile per tutti: imparare a presentarsi al meglio e interagire in modo efficace, con il sito e gli utenti che lo animano, per veder crescere le prenotazioni.

Dopo la densa sessione pratica, la giornata è proseguita con i rappresentanti del mondo pubblico: Giorgio Palmucci, presidente di Confindustria Alberghi; Francesco Tapinassi, Dirigente del MiBACT - Direzione generale turismo e Corrado Matera, assessore al Turismo Regione Campania. «Abbiamo individuato - ha dichiarato Palmucci - una formula che agevola il confronto tra imprese, enti pubblici, istituzioni locali e TripAdvisor anche con l’intento di fornire agli operatori alcuni strumenti utili alla gestione della reputazione online. La Costiera Amalfitana e, in generale l’offerta del territorio salernitano, rappresentano un fiore all’occhiello nel panorama complessivo del Belpaese». Come è cambiato il percorso decisionale del cliente tra promesse e recensioni è stato invece il tema focale del brioso intervento di Tapinassi: «Nel turismo oggi il metodo è il messaggio. L’operatore deve “prendersi cura” della sua struttura, dei suoi clienti, del territorio. Il delicato equilibrio tra ciò che le strutture promettono e come vengono percepite è sempre più determinante per il successo di una destinazione».


Dopo l’intervento illustrativo di Andrea Ferraioli, presidente Associazione Distretto Turistico Costa d’Amalfi, sul sentiment che abbraccia la Divina Costiera (dai dati dell’ultimo monitoraggio il sentimento positivo per strutture, food e attrazioni è pari all’88,7%) ha chiuso i lavori Corrado Matera: «La nuova legge regionale sul turismo, cui stiamo lavorando, sarà un piano condiviso anche con altri assessori - trasporti e agricoltura in testa - per elaborare una proposta turistica articolata e integrata che renda la Campania una destinazione appetibile e richiesta 365 giorni l’anno»

TripAdvisor e la potenza delle recensioni Helena Egan (nella foto), Global Director Industry Relations di Tripadvisor, precisa la portata del fenomeno: il 96% dei viaggiatori a livello mondiale ritiene importante leggerle per pianificare il proprio soggiorno in hotel. Da quale esigenza e prospettiva nasce la collaborazione con Confindustria Alberghi? La collaborazione, in essere da più di 5 anni, nasce con un duplice obiettivo: da un lato formare una persona interna all’associazione che sia il primo punto di contatto per i soci che hanno bisogno di supporto e, dall’altro, comunicare con gli albergatori, formarli e supportarli nell’uso della piattaforma e degli strumenti a loro disposizione per promuoversi in tutto il mondo. In questi anni abbiamo finalizzato diverse attività insieme e siamo entusiasti di proseguire questa preziosa collaborazione. Quali i vantaggi dell’interazione tra utenti, sito e operatori turistici? Oggi TripAdvisor con oltre 390 milioni di visitatori unici al mese rappresenta uno strumento di marketing gratuito incredibile per numerose strutture, soprattutto per quelle di piccole dimensioni e quelle indipendenti che dispongono di un budget di marketing limitato o nullo. Le recensioni sono diventate uno strumento potente, infatti il 96% dei viaggiatori di TripAdvisor a livello mondiale ritiene importante leggere le recensioni per pianificare e prenotare il proprio soggiorno in hotel. E i business dell’ospitalità sono in ascolto: il 70% di loro ha adottato misure per migliorare la qualità del servizio offerto grazie alle recensioni scritte dai viaggiatori. E il 75% dei business italiani con-

corda sul fatto che i siti di recensioni online come TripAdvisor abbiano un impatto positivo sull’industria dell’ospitalità e sugli standard di servizio. Diamo a ogni struttura, non importa quanto grande o piccola sia, l’opportunità di promuoversi gratuitamente in tutto il mondo. Oltre alle recensioni su TripAdvisor si possono anche comparare i prezzi delle strutture e prenotarle con ottime offerte direttamente sul sito; infatti permettiamo alle persone non solo di organizzare il viaggio ma anche di prenotare l’hotel perfetto a un ottimo prezzo. E il tutto in un unico luogo. E non ci limitiamo agli hotel: le persone possono prenotare un ristorante quando si trovano all’estero o nella loro città attraverso TheFork, la nostra piattaforma per la prenotazione dei ristoranti, e possono anche cercare e prenotare tour guidati e attività divertenti da fare in vacanza. Come una struttura ricettiva può migliorare il suo rendimento su TripAdvisor? In generale, la prima buona pratica è utilizzare le recensioni e i consigli in modo costruttivo per migliorare la propria struttura e aumentare la soddisfazione dei clienti. È importante registrarsi al sito come proprietari/gestori e poter così gestire la propria presenza su TripAdvisor avvalendosi di vari strumenti gratuiti come per esempio: la risposta della direzione che permette di commentare una recensione ringraziando un utente per il suo contributo o spiegandogli il motivo per cui qualcosa non è andato per il verso giusto; lo strumento Recensioni Rapide che permette ai proprietari/gestori di inviare email personalizzate ai pro-


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Destinazione

Punteggio medio Attrazioni

Amalfi Tramonti Positano Maiori Scala COSTIERA AMALFITANA Ravello Atrani Furore Praiano Vietri sul Mare Minori

4,73 4,63 4,61 4,59 4,59 4,57 4,55 4,55 4,52 4,49 4,44 4,29

Destinazione

Punteggio medio Alloggi

Atrani Furore Conca dei Marini Praiano Cetara Scala Positano Ravello COSTIERA AMALFITANA Amalfi Tramonti Maiori

4,72 4,65 4,63 4,62 4,59 4,59 4,58 4,54 4,43 4,37 4,35 4,33

Destinazione

Punteggio medio Ristoranti

Furore Conca dei Marini Scala Atrani Praiano Tramonti Positano Amalfi Maiori Ravello Minori COSTIERA AMALFITANA

4,53 4,51 4,50 4,48 4,36 4,27 4,27 4,21 4,43 4,15 4,15 4,13

pri clienti incoraggiandoli a scrivere una recensione su TripAdvisor circa la loro esperienza;la sottoscrizione agli alert di notifica che invia una email al proprietario/gestore ogni volta che viene postata una recensione; la possibilità di caricare le foto della struttura, di aggiornarle periodicamente e di monitorarne il rendimento. Recenti studi hanno indicato che le strutture che interagiscono con TripAdvisor registrano performance migliori nelle loro metriche di business, tra cui una maggiore soddisfazione dei clienti e una maggiore crescita dei ricavi. Ciascuno di questi effetti può essere attribuito agli Effetti di Rete, che si verificano quando un prodotto o un servizio diventa più vantaggioso per i propri utenti dal momento in cui sempre più persone lo utilizzano. È un circolo virtuoso di crescita in cui più e migliori recensioni portano ad avere più clienti i quali lasceranno poi più recensioni. In quest’ottica sono stati progettati due servizi in abbonamento, Business Advantage per gli hotel e TripAdvisor Premium per i Ristoranti, per aiutare le strutture ad attrarre, coinvolgere e influenzare i loro clienti. Qual è la web reputation della Costa d’Amalfi? La Costiera Amalfitana è molto apprezzata dai viaggiatori di TripAdvisor che hanno attribuito a quest’area un punteggio delle recensioni superiore alla media nazionale sia per gli alloggi (4.43 su 5 rispetto ai 4.23 della media nazionale), sia per le attrazioni (4.57 su 5 rispetto ai 4.43 della media nazionale), sia per gli esercizi ristorativi (4.13 su 5 rispetto ai 4.06 della media italiana).

Fonte: dati TripAdvisor relativi al 2016


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Concilia Lex, non solo mediazione La società nata nel 2011 è dotata di certificazione di qualità per la gestione e l’organizzazione dei servizi offerti e può sempre garantire alla clientela cortesia, competenza e attenzione del personale dipendente

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ultura della mediazione, formazione professionale attenta e qualificata, servizi efficienti. Sono gli obiettivi che da sempre persegue la Concilia Lex S.p.A., nata nel 2011 ad opera di professionisti seri e affidabili che condividono in pieno le finalità e gli obiettivi dell’azienda. Iscritta al Registro degli organismi di conciliazione (n. 143) presso il Ministero della Giustizia, la società è impegnata in particolare nel settore della mediazione civile e commerciale, nell’ambito della formazione professionale (anche attraverso l’organizzazione di eventi specifici mirati) e nella gestione del credito per le imprese. Diversi sono i punti di forza della società. Innanzitutto l’autonomia e l’indipendenza delle sedi operative (attualmente 43, ma in continua espansione), sparse su tutto il territorio nazionale. Sedi gestite in linea e coerenza con la mission aziendale, ma sempre facenti parte di un unico grande network. Altro fiore all’occhiello dell’azienda è la sua piattaforma informatica altamente avanzata, che consente il servizio di mediazione telematica grazie a software integrati, studiati per l’accesso online relativo a diverse aree di attività. Un sito web ricchissimo di informazioni, servizi interattivi e documenti scaricabili per gli utenti (basti pensare alla sezione Giurisprudenza, che mette a disposizione tutte le

28 | aprile/maggio 2017

ultime sentenze più interessanti sulla mediazione) va a completare l’offerta. Concilia Lex S.p.A. è inoltre dotata di certificazione di qualità per la gestione e l’organizzazione dei servizi offerti e può sempre garantire alla clientela cortesia, competenza e attenzione del personale dipendente e della sua segreteria. Un capitolo a parte riveste poi la formazione professionale, in cui Concilia Lex crede fermamente e che considera come punto saldo per una costante evoluzione dei mediatori professionisti e degli avvocati mediatori. Il metodo formativo Concilia Lex si distingue dagli altri perché è di tipo esperienziale: coniuga cioè nozioni teoriche ad applicazioni pratiche, anche all’interno di eventi e convegni appositamente dedicati. Proprio agli eventi è dedicata, infine, un’intera area dell’attività Concilia Lex (consultabile anche sul sito), basata su incontri con personalità del diritto, convegni e conferenze per diffondere la cultura della mediazione.

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Pauciulo Strategie, al servizio dell’economia del territorio Ampio il ventaglio di servizi offerto dalla società che ha mostrato di saper andare oltre le competenze e le capacità ereditate dal passato, integrando il vecchio con il nuovo

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er passare da uno studio professionale “one-man-band”, a una società di consulenza aziendale a tutto tondo, non è bastato solo il tempo. Indispensabili sono stati gli aggiornamenti, la conoscenza via via sempre più ampia e approfondita, l’organizzazione, gli occhi vigili sul mondo che cambia e le relazioni con e sul territorio. Oggi la Pauciulo Strategie, società di consulenza aziendale, nata il 31 ottobre 2014, è all’interno del tessuto imprenditoriale dell’agro nocerino-sarnese un punto di riferimento per le aziende che cercano un supporto nella definizione delle strategie, attraverso una solida assistenza contabile, fiscale, finanziaria e societaria. Fin dagli inizi, i principali clienti sono state le aziende afferenti all’intera filiera agroalimentare, dalle imprese produttrici di macchine industriali alle aziende di trasporto e logistica. Oggi i key client operano nel settore conserviero e del packaging industriale, ma la società di servizi investe molto anche nella consulenza alle aziende espressione della creatività e del valore socio-culturale del territorio, che operano nel settore turistico, culturale, sportivo, della moda, dell’entertainment, commerciale e artigianale. La società inoltre offre un supporto specialistico alle aziende operanti nel settore sanitario e delle startup. Per quest’ultimo segmento di mercato, il compito fondamentale è quello di trasformare

le idee imprenditoriali in business, aiutando i giovani startupper nella pianificazione degli investimenti e nel business plan. Il portafoglio clienti comprende, inoltre, un selezionato gruppo di professionisti in diversi settori e aziende operanti nel campo dell’energie rinnovabili e del digitale. Le best practices sono il frutto del lavoro di team multidisciplinari e di quattro generazioni a confronto. Oggi il management team è composto da cinque professionisti, ognuno con la propria area di competenza e con specifica esperienza nelle diverse discipline aziendali e societarie. Tra i servizi offerti rientrano: marketing e brand management; contabilità generale e direzionale; organizzazione aziendale e controllo di gestione; analisi finanziaria e pianificazione degli investimenti; passaggio generazionale; operazioni straordinarie e pianificazione fiscale; predisposizione di piani per processi di internazionalizzazione; affiancamento per finanziamenti e contributi; redazione di Business Plan; reti di impresa; consulenza legale, societaria, tributaria e del lavoro; organizzazione di eventi, workshop e seminari.

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Picone Pneumatici, per una clientela con una marcia in più Quasi 100 anni di esperienza per l’azienda che ha sede a Prignano Cilento e che, anche on line, garantisce spedizioni rapide entro le 24 ore, offrendo un servizio accurato post-vendita con officine di riparazione convenzionate su tutto il territorio nazionale

Vincenza Del Verme, Responsabile Marketing

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resente nel settore della rivendita di pneumatici multimarca per automobili e moto fin dal 1920, la “Picone Pneumatici” con sede nel Salernitano a Prignano Cilento, è un’azienda solida con una forte attenzione per i clienti e per l’ambiente, grazie a un accurato servizio di assistenza pre e post vendita e al sodalizio con Ecopneus, per lo smaltimento di pneumatici usati. Tutto ciò l’ha contraddistinta sul mercato, anche europeo, permettendo all’attuale CEO, Sebastiano Picone, di sperimentare nuovi modelli di business garantendo una presenza concreta sia con un corner a Milano, sia sul web, con un e-shop integrato sul sito aziendale, e di sostenere perfino Medici senza frontiere. Nel 2016, l’azienda ha aperto un e-Store su Ebay, che conta quasi 2000 prodotti in vendita e vanta il 100% di feedback positivi sugli acquisti. In futuro, conta di estendersi anche su altri noti marketplace. Il successo degli acquisti on-line è dato dalla garanzia di spedizioni rapide entro le 24 ore dall’evasione dell’ordine e soprattutto coadiuvato dalla presenza di officine di riparazione convenzionate su tutto il territorio nazionale. Infatti, il cliente dopo aver ricevuto il prodotto, può rivolgersi a quella più vicina per richiederne il montaggio a condizioni privilegiate.

30 | aprile/maggio 2017

Quasi 100 anni di esperienza fanno di questa azienda un punto di riferimento nazionale per altre attività, grazie anche alle partnership con grandi marchi automobilistici, tra i quali: Michelin, GoodYear e Pirelli. CONTATTI C.da Puglisi Prignano Cilento (Sa) Numero verde 800983802 T. 0974270120 www.piconepneumatici.com


Wade World Network Italia, il partner di fiducia nell’export selling La titolare, Sara Martucciello, ha deciso di mettere la sua esperienza professionale di avvocato al servizio delle aziende in modo innovativo: «Accompagniamo i clienti, lavorando al loro fianco, in un percorso di commercializzazione all’estero senza spreco di tempo e denaro»

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na delle competenze in grado oggi di marcare la differenza nel complesso settore delle professioni è la capacità di saper leggere in modo corretto dati e scenari, sviluppando al contempo l’abilità di cambiare e adattarsi. È stata proprio questa la dote che ha portato Sara Martucciello, avvocato esperto in diritto societario e contratti di impresa, a fare il grande salto trasformando se stessa in Global Sales Activator e mettendo in piedi Wade World Network Italia Srls, una società che offre servizi di alta professionalità per l’internazionalizzazione, strutturata come un network per guidare le PMI e le startup innovative ad espandersi. «La spinta che ha dato vita alla mia idea - afferma l’avvocato Martucciello - è stata la voglia di contribuire allo sviluppo economico del mio territorio mettendo insieme idee, progetti, persone, creando relazioni e condivisioni e attuando un percorso strutturato di accesso concreto ai mercati esteri». L’internazionalizzazione, ormai è noto, richiede un processo di adattamento dell’impresa, del marchio o del prodotto pensato e progettato per un mercato o un ambiente definito, processo che va opportunamente pianificato, tenendo conto della specificità del business dell’impresa, nonché dalle caratteristiche del segmento di mercato nel quale si ambisce ad entrare. Punto però fondamentale, per arrivare concretamente all’obiettivo, è affidarsi a

chi è esperto nel settore, a chi è capace di garantire professionalità, eticità ed elevata qualità dei servizi offerti. Caratteristiche che rientrano nelle promesse offerte da Wade World Network Italia Srls, società strutturata per creare un percorso di export per generare un business di alto livello, che offra alle piccole e medie imprese quei servizi un tempo appannaggio solo delle grandi multinazionali. «Noi - prosegue Sara - accompagniamo l’azienda lungo tutto il percorso di export, lavorando al suo fianco attraverso una metodologia di export selling denominata MNE, “Multinational Enterprise” attraverso la quale le piccole imprese, che diventeranno delle multinazionali tascabili, verranno guidate attraverso dei precisi step in un percorso di commercializzazione all’estero senza spreco di tempo, di denaro e con assenza di movimento». Questo sarà possibile grazie all’uomo di “fiducia”, un’unica interfaccia che farà tutto il percorso al posto dell’azienda, contrattando e negoziando in sua vece. «Ci assumiamo la responsabilità in prima persona - conclude la titolare di WW Network Italia agendo per conto dell’impresa. Per questo motivo abbiamo scelto, per consolidare l’intesa commerciale tra l’impresa italiana e quella estera, la forma contrattuale della joint venture». www.saramartucciello.com


strategie di impresa

Caffè Trucillo, troppo buono per essere solo un pretesto di Raffaella Venerando

Che sia bevuto di buon mattino o gustato a fine pasto, il caffè nella sua bontà semplice - è un piccolo piacere universale. La bevanda più amata degli italiani, terza tra le materie prime più commercializzate del mondo, è da sempre, infatti, sublimazione della pausa, sigillo di incontri e rito antico che affonda le sue radici nella rossa terra africana. Del suo valore di apostrofo rosa tra le parole “giorno” e “convivialità”, ne ha fatto un impegno appassionato la Cesare Trucillo spa, torrefazione salernitana che viene da lontano, oggi molto nota in Italia e all’estero. Negli anni Cinquanta Cesare, coadiuvato dai fratelli Umberto, Matteo e Vittorio, è stato il primo della famiglia a lasciarsi sedurre dal vino d’Arabia, tanto da farlo diventare il centro di un progetto

32 | aprile/maggio 2017

di vita e di lavoro: la Caffè Moka Salerno. L’azienda, già allora, non tarda a imporsi sul mercato, grazie alla qualità del prodotto e alla rete commerciale ben organizzata. È agli inizi degli anni Novanta, però, che la torrefazione acquista solidità e maggiore credito, quando Matteo - figlio di Cesare - poco più che ventenne decide non solo di cambiare insegna, ma stile. Convince tutti che sia giunto ormai il tempo di abbandonare le modalità distributive che facevano perno sulla leva finanziaria (ancora oggi molto in voga nel settore) per virare verso una filosofia d’azienda ialina, irreprensibile, in cui gli scambi con i propri clienti finali - principalmente bar - sono diretti ed etici. Mai più incentivi allettanti per la supply chain, mai più circoli viziosi con cui legare a sé la clientela. Matteo sa che il suo è un ottimo caffè e che ancora migliori possono essere i servizi professionali da offrire ed è su quelli, solo su quelli, che decide di puntare.Determinato, appassionato e mai sazio di conoscere di più il suo prodotto, Matteo da allora pone osservazioni sul come essere imprenditori del caffè senza seguire strade note, seppur apparentemente più semplici, ma aprendone di nuove.

Sulle prime gli pesa sulle spalle la responsabilità del rischio di smarrire la rotta dell’azienda, ma non accorcia il passo. Insiste. Il tempo gli dà ragione e il pericolo viene scongiurato dall’intelligenza con cui il giovane Trucillo si rivela capace di annodare le ipotesi innovative proposte alla sua squadra a numerosi appigli diventati ancora sicure. Sicuro, in primo luogo, ieri come oggi Matteo lo è del suo caffè. Chicchi di primissima scelta provenienti da tre continenti - Centro e Sud America, Africa e Asia - che gli esperti del Laboratorio Controllo Qualità interni all’azienda, dopo scrupolose analisi qualitative e organolettiche, rendono sapienti miscele (ben 14). Antonia Trucillo


In azienda l’attenzione è alta anche nel momento della tostatura, cruciale perché il chicco acquisti la giusta consistenza e quel sapore ricco e fragrante. Ma l’esito finale, quello in tazza, non dipende solo dalle abilità alchemiche dei Trucillo. Quello che esce dalla nuova sede - uno splendido spazio bianco in via Cappello Vecchio a Salerno - è solo un semilavorato che va, quindi, completato con la sapienza di chi lo preparerà al bar. Ed è per questo che Matteo insiste fin dagli inizi con la formazione della rete commerciale, ancora di più con quella dei baristi, offrendo loro tutta la competenza aziendale in servizi di assistenza e marketing perché siano all’altezza di un caffè capace di mettere d’accordo, di piacere davvero. Dal prodotto alla tazza c’è la trasformazione che Matteo, con enfasi e brevità, definisce «tutto». Per dirla alla De Crescenzo, «il caffè da dentro alla caffettiera lo sente se c’è simpatia tra chi lo sta facendo e chi se lo deve bere». Guai a dimenticarlo. Per la famiglia Trucillo, il processo poi sarà realmente virtuoso solo quando anche il cliente, esigente e informato, chiederà il meglio perché il caffè è una scienza, Da sinistra: Fausta, Cesare e Andrea Trucillo

simbolo di quel made in Italy che tanto affascina. Nella gestione della Trucillo, c’è un’altra metà di cielo a garantire che quel bianco di cui l’azienda è vestita sia la somma di tutti i colori. È Fausta, moglie di Matteo e mamma di Antonia - da due anni in azienda, sarà lei a interessarsi dell’area formazione - di Andrea, prossimo ingresso, e di Cesare, ancora tra i banchi. Dopo un lungo e diversificato percorso di studi sui libri e sul campo, Fausta ha creato e avviato l’Accademia nel 1998, per poi occuparsi negli ultimi dieci anni di costruire l’immagine e la notorietà del brand Trucillo all’estero, portando a casa risultati non comuni e pari alla metà dell’attuale fatturato aziendale. Oggi è Antonia a curare l’Accademia, fiore all’occhiello del brand, in cui vengono organizzate lezioni, con coach di primo livello, che spaziano dalla formazione teorica a quella pratica. Qui i Trucillo insegnano come preparare l’espresso perfetto, come diventare esperti di latte art, come migliorarsi costantemente nella realizzazione della bevanda caffè. Alla Cesare Trucillo Spa sanno bene pure che il gusto è giudicato più intenso se il caffè lo

si beve in una tazza bianca, tanto da farne una serie personalizzata che, di anno in anno, cambia soggetto grazie dell’estro ideativo di Matteo. In 25 ml di espresso al bar, se è Trucillo, c’è tutto questo. La narrazione di una storia, non solo un pretesto. Matteo Trucillo


strategie di impresa

Sulla Cooper Standard sventola la bandiera Diamond Plant Dai rischi di chiusura al riconoscimento di eccellenza da parte di Fiat. Una storia di impegno, quella dello stabilimento di Battipaglia diretto da Pietro Mancuso di Raffaella Venerando

Aprile 2015, Battipaglia. Il futuro dello stabilimento della Cooper Standard Automotive Italy spa, guidato da Pietro Mancuso, era appeso a un filo: se non fossero entrate nuove commesse dalla Fiat, avrebbe chiuso i battenti. La produzione era in calo, ma il direttore non ci sta a gettare la spugna e azzarda di poter, con i suoi uomini, raddoppiare i volumi e ripartire. La Cooper era ed è una società che opera nel settore automobilistico, specializzata nella realizzazione di articoli in gomma destinati all’assem-

34 | aprile/maggio 2017

blaggio e alla produzione di vetture negli stabilimenti Fiat. Ed è proprio la casa torinese che Mancuso - numeri alla mano - deve convincere. «Il settore era entrato in crisi - ricorda oggi Pietro, tra l’altro anche presidente del Gruppo Chimica Gomma Plastica di Confindustria Salerno - ma nessuno di noi aveva voglia e tempo per piangersi addosso. Abbiamo scelto di utilizzare le agevolazioni governative per fare formazione, per crescere in competenze e mostrare a Torino che eravamo pronti per nuove commesse». Quella che Mancuso definisce «una autentica palingenesi gestionale» dura circa un anno. In questo lasso di tempo, la Cooper adotta le tecniche kaizen, proprie del lean manifacturing, per ottimizzare i processi produttivi in tutti i rami di azienda, dalla finanza alle operations. Non solo.“Impara” il WCM, il linguaggio gestionale comune che unisce tutte le fabbriche Fiat Chrysler Automobiles in tutto il mondo e che punta alla qualità totale. «Siamo partiti dal basso - prosegue il direttore di Battipaglia - con una formazione estesa in aula e on the job a tutti gli operatori. L’impegno è stato premiato con la commessa del progetto Stelvio. Ci è stato assegnato in esclusiva, infatti, il sistema di tenuta di questo SUV prodotto a Cassino ma con un mercato internazionale. La fornitura prevede 7 milioni di investimenti nel plant, più di 80 nuove attrezzature

e 110 nuovi dipendenti». Nuove macchine, persone, nuova metodologia di approccio. Uno tsunami positivo che non travolge lo stabilimento, ma lo ricostruisce dall’interno. «Quando ti trovi a gestire un processo del tutto nuovo, con nuove attrezzature e uomini, o trovi la chiave per farlo in velocità e sicurezza, o perdi. Noi abbiamo scelto di implementare nel plant un ulteriore strumento, il BTO, un tool per gestire i punti focali e accelerare la capacità di produrre. E Fiat ci ha riconosciuto anche questo obiettivo». La Cooper Standard di Battipaglia garantisce 250 vetture al giorno, con tre differenti versioni di prodotto, grazie a un team competente e motivato in cui il leader è uno «di loro».La gestione eccellente della crisi e la capacità di tenere allineati lungo tutto il 2016 i fattori chiavi operazionali attraverso cui Fiat monitora gli stabilimenti, sono valsi al sito di Battipaglia la bandiera Diamond Plant, a riprova della manifesta e oggi certificata superiorità nel settore. «Non potevamo aspettare - commenta Pietro Mancuso - la fine della crisi del comparto. Il nuovo equilibrio era tracciato e noi ci siamo adoperati per raggiungerlo prima e superarlo poi». Una lezione, quella della Cooper di Battipaglia, esemplare. La storia di un gruppo che sa osare e, per questo, progredisce.



edilizia industriale

ATI, da fabbrica di tabacco ad archeologia industriale Un articolato progetto di recupero, basato su un finanziamento collettivo di privati e aziende, riconverte i sei essiccatoi esistenti realizzando, su circa 15.000,00 mq complessivi, spazi di co-working destinati ad attività artigianali, studi professionali e startup, un grande market di prodotti tipici e a Km zero e un polo fieristico

Maria Rosaria Di FIlippo Architetto mariarosaria.difilippo@yahoo.it

L’

ex tabacchificio A.T.I., già Farina, fu uno dei più grandi stabilimenti del complesso aziendale della Società Agricola Industriale Meridionale (S.A.I.M.). Ricostruito nelle forme attuali, dopo la distruzione bellica del 1943, sostanzialmente era costituito da grandi capannoni che liofilizzavano e custodivano le foglie di tabacco, coltivate nei campi della Piana del Sele. Oggi è in condizione di ultra decennale abbandono, ma è di fondamentale importanza per il nuovo assetto urbanistico dell’area, interessata da un generale programma di riorganizzazione urbanistica attuato attraverso la realizzazione del progetto Più Europa, che prevede la realizzazione a breve distanza dalla struttura di un centro modale d’interscambio. Collocato a ridosso del centro urbano e a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria, 36 | aprile/maggio 2017

risulta servito dalle maggiori infrastrutture provinciali, se si considera che dista soli 2 km dall’uscita dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e 7 dall’aeroporto di Salerno Pontecagnano. Ogni essiccatoio ha una superficie di 1.400 mq e un’altezza di 12 m. Nei tabacchifici della Piana del Sele, erano impiegati molti lavoratori stagionali, soprattutto donne, che migliorarono le loro condizioni di vita e di lavoro, trovando nelle fabbriche di tabacco, il mezzo per raggiungere l’emancipazione femminile e lo sviluppo economico delle proprie famiglie. L’uso pubblico cui si vogliono destinare, nel progetto, i sei essiccatoi esistenti, costituisce il sigillo della continuità della sua funzione nella comunità. Il progetto Il progetto proposto è innovativo soprattutto perchè basato su un finanziamento collettivo di

privati e aziende che investono nel recupero della struttura, allo scopo di riservarsi uno spazio all’interno dell’ex tabacchificio recuperato, a un prezzo low cost che varia da un minimo di 35,00 euro a un massimo di 62,50 euro mensili. Di sostegno al bando, sarà realizzata anche una campagna di crowdfunding, dedicata a chi investe nel progetto un budget minimo, finalizzato a sostenere il progetto o anche per simpatia alla proposta progettuale. Con questa forma di finanziamento, si darebbe vita a una collaborazione tra pubblico e privato, la prima di questo tipo in città, finalizzata al recupero di un bene dalle importanti valenze storico-architettoniche e identitarie, che rappresenterebbe un nuovo modello di gestione comune di spazi recuperati, quale esempio concreto di best practice applicata a beni architettonici. Il progetto di


rendering di Massimo Sabato

riconversione del Tabacchificio Farina prevede di realizzare, su circa 15.000,00 mq complessivi, spazi comuni e di co-working, destinati ad attività artigianali, studi professionali e startup, un grande market di prodotti tipici e a Km 0 e un polo fieristico. In un essiccatoio è prevista la cessione a condizioni agevolate, a quanti ne faranno richiesta, di un spazio da dedicare alla propria attività di artigiano o di professionista. Il progetto è, infatti, anche un’occasione concreta di inserimento lavorativo di giovani e meno giovani del territorio. A disposizione dei coworker, ci saranno non solo laboratori e uffici singoli, ma open space attrezzati con cura e attenzione, con piante e librerie, utilizzate per suddividere gli ambienti di lavoro e mantenere la privacy di ogni singolo spazio. È previsto l’allestimento di un

co–baby, di un bar e di una cucina, aree verdi e di relax che fungono da fulcro di discussione, condivisione di idee, collaborazione, configurandosi quale vero e proprio “incubatore di idee” con un pacchetto, per così dire all inclusive e low cost. In un altro essiccatoio, il progetto prevede la creazione di un’area market di prodotti tipici e a km0, che riportano sull’etichetta l’indicazione del produttore, in quanto obiettivo fondamentale è quello di dare visibilità e riconoscibilità alle aziende che aderiranno al progetto. Per questo saranno sistemati nello spazio market, totem informativi e display con video illustrativi delle aziende partecipanti, per le quali la struttura si configurerebbe come un punto vendita dove pubblicizzare l’azienda. Gli ultimi quattro essiccatoi sono destinati a spazio espositivo, per l’organizzazione per ogni singola azienda di una Fiera all’anno per sei anni, con l’obiettivo di rilanciare e permettere l’incontro tra domanda e offerta di beni e servizi, quindi tra imprese e operatori del settore, clienti e giornalisti. Inoltre la sinergia della struttura con l’aeroporto di Salerno offrirà una evidente possibilità di ampliare da una parte il bacino di utenza dell’aeroporto e, dall’altro, di radicarlo con maggiore forza sul territorio attraverso funzioni più spiccatamente business. Sarà infatti di servizio al quartiere fieristico, che usufruirà dei collegamenti di volo nazionali e internazionali in partenza e in arrivo nell’aeroporto. Il Nuovo

Polo Fieristico si collocherebbe strategicamente lungo l’asse del sistema delle autostrade che da Salerno, importante stazione dell’alta velocità, porta all’aeroporto e alla Piana del Sele. Il polo fieristico potrebbe essere collegato con l’aeroporto di Salerno anche ferroviariamente, attraverso la realizzazione di una nuova stazione della metropolitana leggera fino a Battipaglia, la cui ferrovia dista poche centinaia di metri dall’ex tabacchificio e dal costruendo centro modale d’interscambio, che dovrebbe servire l’utenza di tutta l’area provinciale a sud e sud-est di Salerno. L’intero progetto di riconversione dell’ex tabacchificio Farina potrebbe rappresentare, quindi, un’occasione di sviluppo infrastrutturale del territorio, motivando interventi finora auspicati, ma di fatto rimandati o accantonati.


norme e società

La giuridicizzazione del vivere civile La società cambia, i corpi intermedi latitano e la giustizia è chiamata, specie negli ultimi decenni, a un ruolo di mediazione sociale e interindividuale che non le è proprio. Vanno rafforzati, pertanto, i sistemi di ADR in una prospettiva non più meramente deflattiva del «contenzioso in esubero»

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Bologna Giudice ausiliario della Corte di Appello di Napoli www.studiolegalemarinaro.it

«I

l Paese dove tutto finisce in tribunale» è il titolo di un recente articolo apparso sul Corriere della Sera, a firma di Pierluigi Battista, dal quale traspare nitida la fotografia di un’Italia in cui, a fronte di un sistema di giustizia inefficiente, la litigiosità diffusa sfocia quasi ineluttabilmente nella richiesta dell’intervento del giudice su tutto. La «giuridicizzazione» del vivere civile, nello scenario impietosamente delineato nell’articolo di Battista, viene tratteggiata quale effetto di questa contraddittoria situazione e ne diviene poi causa, in un circuito chiuso, nel quale la realtà è destinata a ripetersi in maniera sempre uguale per una palese incapacità di modificarne le dinamiche sociali quasi fossero le uniche possibili. «Cani che abbaiano, panni stesi, merende, bocciature scolastiche». Inezie, ma non solo. Un quadro, quello disegnato nell’articolo, nel quale si evidenzia l’assenza dei corpi intermedi e infatti - come scrive 38 | aprile/maggio 2017

Battista - sono scomparsi gli organi della «mediazione», lasciando il singolo «con l’unica «mediazione» oggi chiamata a decidere: la giustizia». In sintesi, la giustizia è stata chiamata soprattutto negli ultimi decenni a un ruolo di mediazione sociale e interindividuale che non le è proprio. La giustizia - intesa quale giurisdizione dello Stato - ha dovuto svolgere un ruolo di supplenza a causa delle profonde e rapide trasformazioni sociali tentando di creare quel tessuto necessario alla pacifica convivenza civile. Ma l’attività giurisdizionale, cioè quella attraverso la quale si decide imponendo alle parti una soluzione eteronoma in base alla legge, è destinata a recidere i rapporti e non certo a creare quel cemento sociale necessario alla migliore convivenza dei cittadini. Soluzione necessaria, indispensabile, ma alla quale occorrerebbe ricorrere soltanto quale extrema ratio in quanto, anche solo il ricorso alla sede giudiziaria, denota l’incapacità dei consociati

di trovare percorsi compositivi utili alla soluzione del conflitto. E denota altresì la difficoltà di un Paese nel rendere disponibili e facilmente accessibili strumenti e itinerari che meglio possano rispondere alle esigenze sociali aiutando i consociati a ricercare soluzioni in grado di creare coesione e non divisione. La decisione del giudice, infatti, anche quando è resa tempestivamente, pone fine alla controversia ma certifica la permanenza di un conflitto latente che si perpetua per generazioni e che troverà presto o tardi nuove occasioni per riemergere ed esplodere in forme ancora più virulente. Appare quindi indispensabile che la riforma della giustizia non si ponga quale unico obiettivo il miglioramento del processo e dell’organizzazione dell’apparato giudiziario. L’efficienza e la qualità del processo appaiono, infatti, quali condizioni imprescindibili per assicurare la tutela dei diritti. Ma la tutela dei diritti deve costituire l’argine sociale della convivenza


civile e occorre perciò apprestare tutti questi meccanismi intermedi nei quali i conflitti tra i consociati possano trovare percorsi più o meno strutturati utili a ricucire e non a recidere il tessuto sociale. Così anche l’introduzione di nuovi sistemi di risoluzione stragiudiziale delle liti civili e commerciali, per lo più inizialmente intesi quali procedimenti di mera deflazione, acquistano una nuova prospettiva che non può essere così relegata ad esigenze meramente emergenziali e contingenti. In questo contesto, le proposte per la riforma organica dei sistemi di ADR (alternative dispute resolution) - definiti anche «strumenti di degiurisdizionalizzazione» - sono sul tavolo del ministro Orlando che, di recente, nel presentare i dati della giustizia civile a un convegno milanese, ha dichiarato che la migliorata efficienza del sistema e la riduzione del carico dei tribunali sono dovute ad una serie di fattori, primo tra tutti l’utilizzo dei procedimenti di ADR. La Commissione istituita nel marzo 2016 e presieduta dal professor Guido Alpa ha completato i suoi lavori redigendo un ampio e articolato progetto che contiene anche la puntuale proposta legislativa che focalizza la sua attenzione sull’arbitrato e sulla mediazione, senza tralasciare la negoziazione assistita, con attenzione anche alla volontaria giurisdizione. Dalla lettura della relazione illustrativa, che precede l’articolato normativo, emerge con chiarezza come un «particolare rilievo» sia stato riservato alla disciplina in materia di mediazione delle liti civili e commerciali. Numerosi sono stati i materiali raccolti e ampia è stata la consultazione tanto che alla Commissione «si è aperto un mondo di

esperienze» che va ben oltre i meri dati statistici, un mondo che «fino ad oggi non era stato percepito in tutta la sua estensione e complessità». In sintesi questa raccolta di informazioni e di esperienze ha indotto i commissari «a rivedere la convinzione che la mentalità diffusa di privati, professionisti e imprese, non sia sensibile, non abbia sviluppato una empatia, per la mediazione». Come anche che si sia registrata da parte delle categorie professionali interessate, «una notevole apertura non solo alla mediazione volontaria, ma anche alla mediazione obbligatoria», con specifico riferimento poi agli esiti del Congresso nazionale forense di Rimini ove gli ADR sono stati considerati «veri e propri complementi alla giustizia ordinaria». Un passaggio fondamentale, tuttora in atto e quindi non pienamente compiuto, ma sicuramente in fase avanzata e non reversibile. Una svolta normativa e culturale della quale la Commissione ha dovuto prendere atto formulando proposte in grado di rafforzare la mediazione in una prospettiva non più meramente deflattiva del «contenzioso in esubero» e ancillare al processo giurisdizionale. E la riforma proposta in materia di mediazione - che opportunamente introduce in maniera esplicita l’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede e con spirito di cooperazione - è incardinata sull’estensione della obbligatorietà fondata su diverse basi culturali. Porre la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale solo apparentemente infatti confligge con l’autonomia che connota il percorso negoziale e che costituisce atto di autonomia

e, quindi, di libertà delle parti. Infatti, come si legge nella relazione, l’obbligatorietà ha consentito di diffondere la «cultura della conciliazione», rilevando che «prima non vi era, effettiva libertà perché il cittadino era di fatto costretto ad adire il giudice rispetto alla via mediativa».Una obbligatorietà, quindi, «in chiave promozionale» per un metodo di risoluzione delle controversie che mira non solo e non tanto a incrementare il suo utilizzo, in quanto ha di mira l’interesse generale. La prospettiva dunque si capovolge e la proposta di allargamento delle materie e di estensione temporale appaiano consequenziali sia pure per taluni profili inappaganti. Traspare con evidenza come la spinta culturale propulsiva trovi tuttora taluni dubbi e resistenze, ma d’altro canto emerge forte l’esigenza di un consolidamento dell’obbligo utile - se non necessario - a stabilizzare il sistema. Stabilizzazione che costituisce una pre-condizione per il definitivo salto di qualità degli organismi e per la professionalizzazione dei mediatori da tutti sempre auspicato. È il momento della riflessione politica in un contesto storico nel quale, tra spinte europee e trasformazioni culturali, l’alternativa è gestire la continua emergenza o essere visionari, immaginando e ponendo le basi per il futuro che si intende costruire. Ed è proprio alla politica, e non ai tecnici, che viene chiesto di disegnare i contorni di un sistema della giustizia civile quale emerge dalla relazione della Commissione Alpa, ma senza i prevedibili tentativi di condizionamento determinati dai timori di accelerazioni o di resistenze marginali ad una necessaria trasformazione già in atto.


norme e società

Accordo di ristrutturazione del debito con transazione fiscale Decurtato il debito erariale e dilatato il pagamento in tredici anni senza garanzie, la società operante nel settore dell’IT, protagonista del caso di specie, va verso il riequilibrio finanziario

Maurizio Galardo Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca in Diritto Commerciale Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it

I

l Tribunale di Velletri ha omologato con decreto del 16/03/2017 un accordo di ristrutturazione del debito con transazione fiscale (artt. 182 bis e 182 ter l. fall.) proposto da una società operante nel settore dell’Information Tecnology. Nel caso di specie, il debito erariale complessivo ammontava a euro 11.905.187,00 e rappresentava l’88,22% dell’indebitamento complessivo della società. Attraverso l’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale proposto all’Agenzia delle Entrate e all’Equitalia Servizi di Riscossione S.p.a., il debito erariale è stato ridotto a euro 7.458.214,99 e rateizzato in tredici anni, senza garanzie. Più precisamente, l’accordo prevedeva il pagamento integrale della sorta capitale relativa all’IVA e alle ritenute Irpef non versate; il pagamento del 50% delle imposte IRES e IRAP; il pagamento nella misura del 5% degli interessi già maturati; la falcidia integrale delle sanzioni. In relazione ai creditori 40 | aprile/maggio 2017

estranei all’accordo, i cui crediti ammontavano complessivamente ad euro 1.591.325,00 il pagamento è previsto per legge entro 120 giorni dall’omologazione per i crediti scaduti ed entro 120 giorni dalla rispettive scadenze se non ancora scaduti alla data dell’omologa. Il Tribunale ha omologato l’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale, ritenendo ragionevole attendersi, anche sulla base delle conclusioni del professionista attestatore ex art. 67 comma 3 lett. d) l. fall., il ripristino dell’equilibrio finanziario della società ricorrente, in conseguenza della ristrutturazione del debito erariale, nonché attraverso la continuazione dell’attività d’impresa, la produzione di un fatturato sufficiente al pagamento dei debiti in virtù dei flussi di cassa concretamente prevedibili sulla base del piano industriale elaborato.Nel caso di specie nessuna opposizione all’omologazione dell’accordo è stata proposta. Sotto tale profilo, la valutazione del tribunale, circa la

fattibilità degli accordi di ristrutturazione, presenta una diversa intensità a seconda che vi siano o meno opposizioni dei creditori non aderenti; pertanto in mancanza di opposizioni, il tribunale deve limitarsi a verificare che la domanda sia stata proposta da un imprenditore commerciale rientrante nei limiti dimensionali che ne comporterebbero l’assoggettamento al fallimento; che l’imprenditore si trovi in stato di crisi; che l’accordo sia stato stipulato con creditori che raggiungono almeno il sessanta per cento dell’indebitamento complessivo; che al ricorso sia stata allegata la documentazione prevista dall’art. 161 l.fall; che il ricorso sia stato corredato dalla relazione redatta da un professionista munito dei requisiti previsti dall’art. 67 comma 3 lett. d) l. fall., sull’attuabilità dell’accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. In mancanza di opposizioni, pertanto, il tribunale deve limitarsi alla


disamina della chiarezza espositiva e della completezza della relazione del professionista e alla verifica che le analisi e le valutazioni svolte siano accurate, logiche, coerenti ed esaustive, restando quindi su un piano astratto che tiene esclusivamente conto della razionalità argomentativa della relazione stessa. Per tale ragione, la valutazione della veridicità dei dati aziendali costituisce un presupposto logico indefettibile della relazione redatta dal professionista, il quale la svolge con sua piena assunzione di responsabilità, sia verso l’imprenditore, sia verso la generalità dei creditori. Laddove, invece, siano state radicate opposizioni, il controllo del tribunale assume un’estensione e una concretezza maggiori, direttamente correlate alle doglianze svolte dai creditori opponenti, le quali andrebbero esaminate nel merito, al fine di verificare la concreta attuabilità dell’accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pieno soddisfacimento dei creditori estranei. Nel caso di specie, inoltre, il ricorso per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale (artt. 182 bis e 182 ter l.fall.) era stato preceduto dal deposito del ricorso per ottenere la so-

spensione delle azioni esecutive e cautelari e il divieto di acquisizione di titoli di prelazione non concordati (art. 182 bis comma 6 c.p.c.). Il Tribunale aveva accolto anche tale istanza, sulla scorta di due elementi principali: a) la verifica della sussistenza dei presupposti per pervenire ad un accordo di ristrutturazione del debito con le maggioranze di cui al primo comma dell’art. 182 bis, attestata in particolare dal parere favorevole alla transazione fiscale, rilasciato dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate che rappresentava il principale creditore della società proponente in quanto titolare di un credito superiore al 60% dell’indebitamento della stessa; b) dalla sussistenza delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali erano in corso trattative, attestata in particolare dalla relazione del professionista attestatore di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) l. fall., con relativa dichiarazione circa l’idoneità della proposta ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei. La suddetta dichiarazione dev’essere, come evidenziato dal Tribunale, argomentata sulla base di dati contabili concreti e di ragionevoli flussi di cassa.

La valutazione della veridicità dei dati aziendali costituisce un presupposto logico indefettibile della relazione redatta dal professionista, il quale la svolge con sua piena assunzione di responsabilità, sia verso l’imprenditore, sia verso la generalità dei creditori


fisco

Legge di Bilancio, spinta su produttività e crescita Il direttore delle politiche fiscali di Confindustria, Francesca Mariotti, sulle misure previste: «Abbiamo chiesto al governo di continuare a costruire un ambiente favorevole con strumenti che, lavorando in modo sinergico tra loro, fossero in grado di moltiplicare i loro specifici effetti positivi» di Raffaella Venerando

Francesca Mariotti

D

irettore Mariotti, nella Legge di Bilancio 2017 sono contemplate diverse misure fiscali per rilanciare gli investimenti, specie quelli privati, drammaticamente calati negli ultimi anni. Quale è stato il ruolo di Confindustria nella definizione di tale politica? Siamo partiti da una constatazione di base: gli investimenti privati sono strategici per la crescita, sia come parte della domanda aggregata, sia come rafforzamento della capacità produttiva. Solo attraverso gli investimenti si crea occupazione e si introduce il progresso tecnologico nei beni e nei processi produttivi. Abbiamo quindi chiesto al governo di 42 | aprile/maggio 2017

continuare a costruire un ambiente favorevole agli investimenti con misure che, lavorando in modo sinergico tra loro, fossero in grado di moltiplicare i loro specifici effetti positivi. Da qui la proroga del superammortamento, il potenziamento del credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo, il rifinanziamento della nuova Sabatini, l’Iper-ammortamento e, da ultimo, il potenziamento del credito di imposta per gli investimenti al Sud, solo per citare le misure più importanti. È stato riconfermato infatti per il 2017 il superammortamento per i beni strumentali acquistati dalle imprese. Come funzionerà? La misura mantiene le stesse caratteristiche di quella introdotta lo scorso anno, con due eccezioni. La prima, attiene ai veicoli agevolabili: quest’anno saranno agevolati solo gli acquisti dei veicoli utilizzati esclusivamente nell’attività di impresa; pertanto, ad esempio, gli acquisti, effettuati nel 2017, di veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti non saranno agevolati. L’altra grande novità riguarda l’ambito temporale, poiché, nel tentativo di prorogare il più possibile la misura è stato previsto che saranno agevolati anche gli acquisti di beni consegnati entro il 30 giugno 2018, a condizione che entro il 31 dicembre 2017 sia stato

effettuato il pagamento di un acconto del 20% del costo di acquisto e risulti un ordine accettato dal fornitore. Tra le misure previste per favorire l’aumento delle produttività delle imprese, l’Iper-ammortamento assume particolare rilievo se considerato alla luce di Industria 4.0. Un’occasione per gli imprenditori da non lasciarsi sfuggire… Certamente. Si tratta di una agevolazione fiscale che ambisce a sostenere e ad accompagnare le imprese nel passaggio da modelli produttivi tradizionali a modelli in chiave digitale.Ritengo sia una evoluzione ineludibile e, pertanto, meglio sfruttare a pieno questo momento e questa agevolazione fiscale. Incentivi cumulabili e automatici: questa volta le imprese possono dirsi soddisfatte o si poteva ancora fare di più? Non vi è dubbio che siamo di fronte a un panorama inedito di misure agevolative che, come dicevo, lavorano sinergicamente tra loro. Sarebbe un peccato non ottenere il massimo da queste opportunità. C’è sempre spazio per rafforzare e potenziare una misura agevolativa, come abbiamo richiesto e ottenuto con il credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo o il credito di imposta per gli interventi al Sud.


Perplessità sulla notifica via Pec A decorrere dal 1° luglio 2017, anche gli uffici dell’Agenzia delle Entrate potranno notificare gli avvisi di accertamento e gli altri atti impositivi direttamente all’indirizzo di Pec dei contribuenti, ma senza le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale di Maurizio Villani e Iolanda Pansardi Studio Tributario Villani

I

l decreto fiscale D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, n. 225 ha aggiunto all’art. 60, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 il nuovo comma 7 il quale prevede che, in deroga all’art. 149-bis del Codice di procedura civile, la notifica degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, potrà essere effettuata direttamente dal competente ufficio a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), con le modalità previste dal regolamento di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68. Ciò significa, che a decorrere dal 1° luglio 2017, anche gli uffici dell’Agenzia delle Entrate potranno notificare gli avvisi

di accertamento e gli altri atti impositivi direttamente all’indirizzo di Pec dei contribuenti, laddove la notifica si intenderà perfezionata: 1. per l’Ufficio-mittente, nel momento in cui il gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette automaticamente la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio; 2. per il destinatario, alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di pec del destinatario trasmette all’ufficio o, nel caso di casella di posta elettronica satura o di indirizzo di posta elettronica del destinatario non valido o attivo, nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet di InfoCamere così come già accade per le cartelle esattoriali. Ebbene, tale modalità che rappresenta una facoltà e non un obbligo, non è certamente una novità per il processo tributario, giacchè è già in uso da parte di Equitalia per le notifiche delle cartelle esattoriali e di altri atti di riscossione. Ed è proprio a questo proposito che non si può fare a meno di evidenziare che le recenti decisioni delle

commissioni tributarie di merito muovono nella direzione di una invalidità della notifica delle cartelle esattoriali per una serie di motivi di cui di qui a breve. La nullità della cartella di pagamento notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto di Equitalia, ma solo una copia priva di attestazione di conformità. Ciò significa, che la posta elettronica certificata non offre le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, in quanto non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità. Detta copia, quindi, non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani di Equitalia. Invece, con la notifica a mezzo di raccomandata a.r., l’originale finisce sempre nelle mani del contribuente. (Ctp Latina n. 992/01/16). Ecco che, le ricevute di «accettazione» e di «avvenuta consegna» sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. E infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegitti-


fisco

mità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute di «accettazione» e di «avvenuta consegna» del messaggio contenente l’atto notificando, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente. (Ctp Roma n. 1715 del 26 gennaio 2017). Secondo l’art. 26, co. 2, D.P.R. 602/1973, come modificato dall’art. 14, D.Lgs. 25.9.2015, n. 159, dall’ 1.6.2016, in virtù di quanto previsto originariamente dall’art. 38, co. 4, lett. b), D.L. 31.5.2010, n. 78, la notifica degli atti di riscossione destinati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi ed elenchi, deve avvenire esclusivamente via Pec. Nonostante la previsione di legge, non è affatto pacifica la possibilità di notificare la cartella di pagamento tramite Pec, in quanto vi sono delle questioni di legittimità costituzionale emerse da diverse pronunce dalla combinata lettura degli artt. 20, co. 1 e 2 e 53, co. 2, D.Lgs. 546/1992, come pure dalla circ. 12.5.2016, n. 2/D (Ctr Lombardia (Milano), sent. 1711/34/2016, Ctr Lazio (Roma), sent. 54/10/2010, Ctr Emilia Romagna (Bologna), sent. 2065/1/2015 e Ctr Campania (Benevento, sent. 395/1/13). Altresì, la notifica tramite Pec non consente al destinatario di scegliere modalità, tempi e dinamica di ricezione - vista la scomparsa dell’irreperibilità relativa e assoluta - né di opporre un legittimo rifiuto. Si pensi al caso della mancata possibilità di visione della email a causa dello

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smarrimento della password di accesso all’account di Pec, o al caso di degenza ospedaliera del destinatario. Importanti sentenze (Corte Cost., sent. 14.1.2010, n. 3; Corte Cost., 26.11.2002, n. 477; Cass., SS.UU., ord. 21.10.2004, n. 458) sono state poste a sostegno di una eccezione della illegittimità in sede giudiziale della operatività della notifica via Pec. Oltretutto va detto che, dirigenti, funzionari e dipendenti di Equitalia non sono pubblici ufficiali e, pertanto, non spetterebbe ad essi apporre l’autentica sulle copie delle cartelle di Equitalia. Ciò significa che una semplice copia non può mai assumere un valore giuridico, poiché abbisogna dell’attestazione di un pubblico ufficiale autorizzato per essere ritenuti conformi all’originale, potere che non spetta ai funzionari di Equitalia (Cass. 27.4.2015, n. 8446; contra Ctr Calabria (Catanzaro), sent. 1674/2014) come pure non spetta ai postini (Cass. 6395/2014; Cass. 8333/2015; Ctr Lazio (Roma) sent. 3711/2014). Il sistema Pec non può garantire infatti che il documento allegato sia effettivamente l’originale. Non solo, è nulla la cartella notificata via Pec con l’allegato in estensione «.pdf» e non «.p7m» che rappresenta l’equivalente del primo ma firmato digitalmente (Ctp Milano sentenza 1023/1/17 del 3 febbraio 2017) giacchè ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26 Dpr 602/73, articoli 20 e 71 Dlgs 82/05, Dpcm 22 febbraio 2013, il «.pdf» non soddisfa da solo i requisiti di integrità

dell’allegato. E ancora, è nulla la cartella di pagamento via Pec, in quanto il documento allegato in «.pdf» non può essere considerato un valido documento informatico, bensì una semplice copia informatica e come tale priva di qualsivoglia valore probatorio. (Ctp Savona sentenze n. 100/2017 e n. 101/201 del 10 febbraio 2017).

Nonostante la previsione di legge, non è affatto pacifica la possibilità di notificare la cartella di pagamento tramite Pec, in quanto vi sono delle questioni di legittimità costituzionale emerse da diverse pronunce dalla combinata lettura degli artt. 20, co. 1 e 2 e 53, co. 2, D.Lgs. 546/1992, come pure dalla circ. 12.5.2016, n. 2/D (Ctr Lombardia (Milano), sent. 1711/34/2016, Ctr Lazio (Roma), sent. 54/10/2010, Ctr Emilia Romagna (Bologna), sent. 2065/1/2015 e Ctr Campania (Benevento, sent. 395/1/13)


Bonus Sud, il Fisco fa chiarezza L’ Agenzia delle Entrate ha fornito nuove indicazioni su fruibilità e applicabilità della misura a favore delle imprese che effettuano l’acquisizione di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo

Alessandro Sacrestano Management Consultant Sagit&Associati srl asacrestano@studiosagit.it

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rendono piede le nuove modifiche operative al credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali al Sud, fortemente richieste e ottenute da parte di Confindustria. La nuova versione dell’incentivo ha un appeal accresciuto e strettamente funzionale alle esigenze espresse dal mondo imprenditoriale. Il passaggio, comunque, fra nuova e vecchia disciplina ha comportato non pochi dubbi applicativi. Così, il Fisco ha ritenuto opportuno pubblicare un intervento di prassi sull’argomento, in modo da focalizzare le rinnovate caratteristiche del bonus investimenti di cui all’articolo 1, commi 98-108, della l.n. 208/2015. Il focus delle Entrate, in particolare, si sofferma proprio sulle modifiche introdotte dall’articolo 7-quater del DL n. 243/2016, cui si devono le principali differenze nelle modalità di computo del credito d’imposta, tanto che l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto necessario, con la circolare

n. 12/E/17, soffermarsi sui diversi aspetti che regolano il ponte fra le due discipline. Prima di tutto, il documento di prassi ribadisce la data spartiacque fra i due regimi, individuata dallo stesso Legislatore nel 1 marzo 2017. Sotto il profilo dell’estensione geografica della norma di agevolazione, il Fisco ha brevemente ribadito che, per effetto delle intervenute modifiche, ora il bonus è fruibile su tutto il territorio della Sardegna. Attenzione però, perché rispetto alla data del primo marzo, che separa i due differenti regimi, la circolare ha spiegato che, considerato che gli effetti della modifica della Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020 decorrono dal 1 gennaio, l’estensione dell’agevolazione all’intero territorio della Sardegna ha efficacia a partire da tale data. Tuttavia, per gli investimenti intercorrenti fra il 1 gennaio e il 28 febbraio, il credito d’imposta è riconosciuto nei limiti previsti dalla disciplina originaria.

É, però, sul fronte della misura del credito d’imposta che la circolare desta più attenzione. L’intervento dell’amministrazione finanziaria, invero, serve a chiarire che il bonus spetta nella misura del 25 per cento per le grandi imprese situate in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna e del 10 per cento per le grandi imprese situate in determinati comuni delle regioni Abruzzo e Molise (aree ex articolo 107, paragrafo 3, lett. c), del TFUE). La misura dell’aiuto, di contro, sale al 45% per le piccole imprese e al 35% per le imprese di medie dimensioni. Inoltre, la base di calcolo per stabilire l’agevolazione spettante è data ora dall’intero investimento complessivo agevolabile. Scompare, quindi, il riferimento alla “nettizzazione” dell’investimento, attraverso lo scomputo degli ammortamenti fiscalmente dedotti nell’esercizio e relativi alle medesime categorie dei beni d’investimento della stessa


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struttura produttiva. Nessun dubbio, invece, sui nuovi massimali di investimento, fissati a 3 milioni di euro per le piccole imprese, a 10 milioni di euro per le medie imprese e 15 milioni di euro per le grandi imprese. Qualora l’investimento abbia avuto inizio precedentemente all’entrata in vigore delle modifiche del regime d’aiuto e si concluda successivamente al 28 febbraio 2017, trova applicazione il limite più elevato per l’intero progetto d’investimento. Sul punto ritorna il tema della data spartiacque fra i due regimi, ante e post modifica. La circolare, sulla fattispecie, ha chiaramente indicato che la nuova disciplina non ha efficacia retroattiva, applicandosi alle sole acquisizioni di beni strumentali effettuate a partire dalla data della sua entrata in vigore (1 marzo) e fino al 31 dicembre 2019, secondo le regole generali del TUIR. Ovviamente, e la precisazione non è di poco conto, il Fisco ribadisce che, nel caso in cui un’impresa abbia già inviato la comunicazione per la fruizione del credito d’imposta, secondo le misure originariamente previste, può liberamente presentare all’Agenzia delle Entrate una nuova comunicazione rettificativa di quella precedentemente trasmessa, utilizzando il nuovo modello che rispecchia le modifiche normative apportate. Il tutto, chiaramente, nell’ipotesi che, prima del 1 marzo non siano stati fatti investimenti, atteso che questi, invece, sarebbero attratti sempre nella disciplina previgente. Pertanto, se sono stati realizzati investimenti in parte con la previgente disciplina e in parte con la nuova, bisognerà computare il bonus spettante in modo differenziato.

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Salerno, GI: è Pasquale Sessa il nuovo presidente L’11 aprile scorso l’’Assemblea degli iscritti al Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno ha eletto il nuovo leader e i componenti del Consiglio Direttivo che lo affiancherà nel corso del mandato per i prossimi tre anni

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ambio dei vertici nel segno della continuità: alla presidenza dei GI di Confindustria Salerno, lo scorso 11 aprile, è stato eletto Paquale Sessa (Cicalese Impianti S.R.L), già vice presidente del Gruppo. Il nuovo Consiglio Direttivo risulta così composto: Gabriella Caputo (O.M.P.M. Officina Meridionale Di Precisione Meccanica Srl); Giusy Citro (Industria Grafica Fg S.R.L.); Serena De Luca (Karma s.r.l.); Angelo Desimone (Residence Degli Oleandri s.r.l.); Vincenzo Iennaco (Iennaco & C. srl); Dino Mercurio (Grafiche Mercurio s.p.a.); Maria Prete (I.M.C. Ind.Mer. Cond.s.r.l.); Marco Rinaldi (Riba Sud S.R.L.); Gerardo Salzano (Pomilia Spa); Nicola

Savino (Seen Solution S.R.L.). Ai lavori dell’Assemblea sono intervenuti il presidente uscente Francesco Giuseppe Palumbo e il presidente senior di Confindustria Salerno, Andrea Prete. «Proseguirò il lavoro svolto dal mio predecessore Francesco Giuseppe Palumbo e, insieme al Consiglio Direttivo- ha dichiarato a margine dell’elezione il neo presidente - impronteremo la nostra azione nel segno della continuità, facendo rete e ampliando la partecipazione dei giovani alla vita associativa. È nostra intenzione mettere idee e capacità del Gruppo al servizio del tessuto imprenditoriale e sociale della provincia e del territorio nazionale, dando spazio ad iniziative che abbiano ripercussioni concrete sul nostro territorio. Per tale ragione focalizzeremo l’attenzione sulle problematiche del sistema dell’education, ancora troppo distante dalla domanda di occupazione e di competenze proveniente dal circuito delle imprese».


Costo Ammortizzato: un tema ostico Il criterio in analisi è entrato a pieno titolo tra i principi di redazione del bilancio delle società

Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it

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l nuovo articolo 2426 del codice civile, introdotto dal DLGS 18 luglio 2015 n.139 - che ha rivoluzionato il contenuto del bilancio civilistico, in recepimento della Direttiva Contabile 34/2013/UE - dispone al n.1 che «le immobilizzazioni rappresentate da titoli sono rilevate in bilancio con il criterio del costo ammortizzato, ove applicabile» mentre al n. 8, che «i crediti e i debiti sono rilevati in bilancio secondo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto del fattore temporale e, per quanto riguarda i crediti, del valore di presumibile realizzo». Il criterio del “costo ammortizzato” quindi è entrato a pieno titolo tra i principi di redazione del bilancio. Il legislatore, tuttavia, non ne ha fornito una definizione precisa, ma ha rimandato ai principi contabili internazionali e quindi allo IAS 39. Questo definisce il costo

ammortizzato di una attività o passività finanziaria come il valore a cui tale attività o passività è stata misurata al momento della rilevazione iniziale, al netto dei rimborsi di capitale, aumentato o diminuito dall’ammortamento complessivo - utilizzando il criterio dell’interesse effettivo - su qualsiasi differenza tra il valore iniziale e quello a scadenza e dedotta qualsiasi riduzione, a seguito di una riduzione di valore o di irrecuperabilità. Effettivamente la definizione non brilla per semplicità e pertanto, appaiono più che comprensibili i dubbi e le incertezze che gli operatori stanno manifestando in fase di prima applicazione di questo, per certi versi rivoluzionario, criterio di rilevazione contabile. L’OIC è anche intervenuto coi nuovi principi OIC 15 ed OIC 19 (relativi, rispettivamente, ai

crediti ed ai debiti), ma le complicazioni operative in verità rimangono. Cerchiamo di semplificarne la definizione, partendo dall’obiettivo di fondo del criterio, che è quello di rilevare nelle scritture contabili l’effettiva componente finanziaria implicitamente connessa a specifiche operazioni aziendali, in funzione del decorso del tempo e dei costi sostenuti per realizzarle. È frequente infatti, che, dinanzi (per esempio) ad operazioni di finanziamento a lungo termine, accanto agli interessi vi siano da pagare anche altre spese accessorie significative, che nella sostanza, fanno lievitare il costo effettivo del denaro ricevuto, ma che nei bilanci vengono registrati in voci non connesse all’operazione che le genera. Con il costo ammortizzato si interviene su questo disallineamento informativo, riqualifican-


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do quali oneri finanziari anche i costi annessi, arrivando ad ottenere il quadro economico e finanziario effettivo dell’operazione, lungo tutta la sua durata. Con le stesse logiche si opera, anche nei casi di prestiti a tassi inferiori al quelli di mercato (o pari a zero), dove il criterio consente di rappresentare in bilancio il gap economico di operazioni “fuori mercato”. È quindi una tecnica di riqualificazione contabile sostanziale, finalizzata a fornire un quadro fedele di talune operazioni a medio- lungo termine. Nel concreto, il momento in cui questo obiettivo si realizza, è all’atto della prima rilevazione in contabilità di crediti, debiti e titoli immobilizzati, il cui valore, a precise condizioni e modalità in seguito indicate, deve essere attualizzato per tener conto della data futura di esigibilità. Tale valore attualizzato va poi sommato algebricamente con i cc.dd. “costi di transazione”, definiti dallo IAS 39, come i costi marginali direttamente attribuibili all’operazione realizzata (si tratta dei costi che non si sarebbero sostenuti se l’operazione non fosse stata effettuata e quindi onorari, commissioni, fees, tasse di trasferimento e così via), allo scopo di arrivare a misurare l’operazione nel suo contenuto finanziario effettivo e globale. Al termine di questi calcoli, ovviamente, viene a determinarsi un differenziale tra il valore contabile rilevato all’inizio (solitamente più basso per i debiti, più alto per i crediti e i titoli) ed il valore di estinzione

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dell’operazione a scadenza. Tale differenziale (il costo) viene opportunamente spalmato, o meglio ammortizzato, lungo il periodo di durata dell’operazione. Per determinare le singole quote di ammortamento del costo ammortizzato occorre far ricorso al criterio del tasso di interesse effettivo (nella prassi, il “TIR”), che è quel tasso che eguaglia il valore iniziale e quello finale, facendo conoscere la reale onerosità dell’operazione. Ad eguali conclusioni si arriva, qualora il differenziale sia stato determinato (anche) da disallineamenti tra tassi nominali e tassi di mercato dell’operazione. Come corollario, i costi di transazione, iscritti solitamente tra gli oneri pluriennali ed ammortizzati, con il criterio del costo ammortizzato perdono tale natura divenendo componenti finanziarie. In definitiva per il calcolo del costo ammortizzato sono necessari: • la stima attesa dei flussi finanziari; • il tasso nominale; • la date previste degli incassi; • la quantificazione dei costi di transazione; • la determinazione del TIR; • un adeguato tasso di attualizzazione. Sono soggetti a questa nuova regola contabile esclusivamente: a) i titoli immobilizzati secondo la definizione del citato IAS 39, e quindi gli strumenti finanziari aventi scadenza e pagamenti fissi o determinabili (con esclu-

sione di quelli valutati al fair value o destinati alla vendita e ovviamente di quelli iscritti nel circolante), i finanziamenti e i crediti immobilizzati; b) i crediti e i debiti, senza distinzione di natura e durata. Per finalità semplificatorie, il costo ammortizzato non si applica se i suoi effetti sono irrilevanti e questi, di solito, sono tali quando: • le scadenze dei pagamenti sono inferiori a 12 mesi, ovvero • i costi di transazione, le commissioni e ogni altra differenza tra valore iniziale e valore a scadenza sono di scarso rilievo e/o i tassi nominali delle dilazioni sono in linea con quelli di mercato. Il criterio del costo ammortizzato deve essere utilizzato a partire dal bilancio 2016, da tutte le società che redigono il bilancio in forma ordinaria, mentre sono escluse dall’obbligo quelle che redigono il bilancio in forma abbreviata (art.2435 bis cc.) e le cc.dd. “micro imprese” (art.2435 ter cc). Infine, per le operazioni sorte prima dell’1.1.2016, è possibile continuare la contabilizzazione con i vecchi criteri, ma se si cambia criterio, occorre adottare il costo ammortizzato per tutte le operazioni pregresse. In conclusione, la matematica finanziaria, dapprima utilizzata in pratica solo per gli impairment e dalle imprese assicurative, è adesso entrata a pieno titolo nelle politiche generali di bilancio. Occorre che le imprese si attrezzino di conseguenza.


lavoro

Obbligo di fedeltà, la Suprema Corte conferma un orientamento consolidato La sentenza n. 3186 del 2017 stabilisce che non è necessario acquisire la prova di comportamenti illeciti del dipendente, ma, a integrare la violazione dell’obbligo di fedeltà, è sufficiente la mera attività del lavoratore di trattazione di affari in concorrenza, per conto proprio o di una impresa terza

Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it

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on sentenza n. 3186/2017 la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che il lavoratore subordinato ha nei confronti del suo datore di lavoro l’obbligo di fedeltà previsto all’art. 2105 del c.c. , che statuisce che il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione o farne uso in modo da potere recare ad essa pregiudizio. Tale obbligo ha, però, un contenuto ancora più ampio, in quanto deve essere posto in relazione ad altri due articoli del c.c. , vale a dire il 1175 e 1375 che prevedono l’obbligo di tenere un comportamento secondo le regole della correttezza e di eseguire il contratto secondo buona fede. Il fatto. Un dipendente di una srl fu licenziato per giusta causa in quanto aveva contattato alcuni colleghi proponendo loro di passare ad altra Azienda, che stava costituendo e che avrebbe operato nello stesso

settore produttivo. Inoltre, gli fu contestato anche di avere fatto attività promozionale nei confronti di clienti della Società, in modo da convincerli a trattare con la nuova costituenda Azienda. Il licenziamento, intimatogli dopo avere acquisito documentazione e dichiarazioni, fu ritualmente impugnato. Il giudice di prime cure accolse parzialmente il ricorso del dipendente licenziato, dando rilievo al fatto che l’attività di concorrenza sleale non era in atto. La Corte di Appello, invece, respingeva ogni domanda proposta nei confronti della Società, da un lato precisando che la violazione dell’art. 2105 non richiede che l’attività di concorrenza sleale sia in atto, ma è sufficiente che gli atti compiuti siano potenzialmente lesivi degli interessi del datore di lavoro. La Corte di Appello escludeva la pur eccepita non immediatezza della contestazione, in quanto per la fattispecie della condotta illecita tenuta dal dipendente era necessaria una attenta preliminare verifica interna che aveva richiesto del

tempo. Avverso la decisione della Corte di Appello il lavoratore propose ricorso per Cassazione, denunciando con il primo motivo la errata interpretazione dell’art. 2105 c.c. in quanto non aveva trattato affari in concorrenza con la società, nè divulgato notizie riservate e/o attinenti la organizzazione. Si era invece limitato a prospettare ai colleghi una diversa soluzione nel caso la società dovesse fallire. La condotta del lavoratore nasceva dalla convinzione del prossimo possibile dissesto della società. La seconda censura del lavoratore denunciava la mancanza da parte della Corte di appello della valutazione dei motivi e della intensità dell’elemento intenzionale che avevano spinto il lavoratore a tale condotta. Inammissibile dalla S.C. in quanto la Corte di Appello aveva valutato anche il profilo soggettivo della condotta, ma aveva concluso che non poteva essere attribuita alcuna rilevanza alle «motivazioni personali che stanno alla base del compimento di atti di slealtà nei confronti del datore di lavoro».


privacy

25 maggio 2018: arriva il Data Protection Officer Fissata la timeline per le aziende italiane per nominare questa figura professionale. Bisogna attivarsi al più presto per non incorrere in sanzioni

Piera Di Stefano Avvocato - Studio legale D | & | D T.R.ON® / Tutela della Reputazione ONline info@disommadistefanolegali.it

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l 24 maggio 2016 è entrato in vigore il Regolamento Europeo della Privacy (Reg. UE n. 679/2016) che dovrà essere applicato dai singoli Stati Membri a partire dal 25 maggio 2018. Un Regolamento ambizioso, i cui obiettivi principali consistono nel rafforzare la libera circolazione dei dati personali anche al di fuori dell’Ue e assicurare un altissimo standard di tutela ai dati delle persone fisiche trattati nel contesto di un’attività economica. Il concetto di dato personale che emerge dal Reg. UE si estende a tutte quelle informazioni che siano in grado di identificare una persona fisica e centrale è il principio del consenso al trattamento, del quale si ribadisce la revocabilità in ogni tempo, escludendosi qualunque forma di consenso tacito. Numerose le novità introdotte dal Reg., ma quella che è senza dubbio considerata tra le più significative 50 | aprile/maggio 2017

è data dall’inedita figura professionale del responsabile della protezione dei dati personali, il cd. Data Protection Officer (DPO). Il DPO è un soggetto autonomo, esperto in materia di privacy, ed è obbligatoria la sua presenza: 1) per le amministrazioni e organismi pubblici, escluse le autorità giurisdizionali; 2) per i titolari o i responsabili la cui principale attività consiste in trattamenti che, per la loro natura, oggetto o finalità richiedono il monitoraggio sistematico e regolare su larga scala; 3) per i titolari o i responsabili la cui principale attività consiste in trattamenti, su larga scala, di dati sensibili- inclusi quelli relativi alo stato di salute o alla vita sessuale- di dati genetici, dati giudiziari (condanne penali e reati) e dati biometrici (immagine facciale, dati dattiloscopici etc.). Attenzione! Le aziende soggette all’obbligo di nomina del DPO che entro il 25 maggio 2018 (quelle ita-

liane sarebbero oltre 23.000) non avranno provveduto a nominare questa figura professionale sono esposte al rischio di sanzioni fino a 10 milioni di euro o, in caso di impresa, pari al 2% del fatturato totale annuo mondiale dell’esercizio precedente, se superiore. Bisogna, quindi, attivarsi al più presto. Ma quali sono i compiti del DPO e soprattutto chi è il DPO? Sebbene il Regolamento nulla stabilisca sul punto, dal tenore normativo del provvedimento emerge come scelta preferenziale quella di affidare le mansioni del DPO ad un giurista. L’art. 39 invero prevede che il DPO sia «designato in funzione delle qualità professionali, in particolare della conoscenza specialistica della normativa e della prassi in materia di protezione dei dati, e della capacità di assolvere i compiti a lui assegnati al Regolamento». D’altra parte, l’art. 38 sanziona il cd. conflitto di


interessi: l’indipendenza del DPO è imprescindibile perché i suoi compiti comportano obblighi di controllo solitamente affidati alle autorità. Si ritiene, quindi, una scelta da escludere a priori quella di nominare DPO l’IT manager dell’azienda di interesse o chi è addetto a reparti che in larga misura gestiscono dati personali (es. ufficio legale, risorse umane, direzione marketing). Quanto all’inquadramento contrattuale, non è previsto che il contratto che lega il DPO al titolare o al Responsabile abbia una durata minima, ma - nel caso di DPO esterno - è preferibile che abbia una durata non al di sotto dei 4 anni. Veniamo ai compiti del DPO. Si tratta di mansioni dettagliate e complesse, oltre che numerose, per adempiere le quali il titolare o il responsabile del trattamento dovranno mettere a disposizione dell’Officer le risorse umane e finanziarie necessarie. In linea generale, il DPO garantisce un controllo interno all’impresa, al fine di minimizzare i rischi di violazione del Regolamento e di permettere alle Autorità preposte al controllo di fare riferimento ad un’unica figura, che dovrà fungere da terminale delle imprese stesse in caso di informazioni o sanzioni. In estrema sintesi, egli deve: a) informare e consigliare il titolare o il responsabile del trattamento, nonché i dipendenti, in merito agli obblighi derivanti dal Regolamento europeo e da altre disposizioni dell’Unione o degli Stati membri relative alla protezione dei dati; b) verificare l’attuazione e l’applicazione del Regolamento,

delle altre disposizioni dell’Unione o degli Stati membri relative alla protezione dei dati nonché delle politiche del titolare o del responsabile del trattamento in materia di protezione dei dati personali, inclusi l’attribuzione delle responsabilità, la sensibilizzazione e la formazione del personale coinvolto nelle operazioni di trattamento, e gli audit relativi; c) fornire, se richiesto, pareri in merito alla valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e sorvegliare i relativi adempimenti; d) fungere da punto di contatto per gli interessati in merito a qualunque problematica connessa al trattamento dei loro dati o all’esercizio dei loro diritti; e) fungere da punto di contatto per il Garante per la protezione dei dati personali oppure, eventualmente, consultare il Garante della Privacy di propria iniziativa. Passiamo alle sanzioni, davvero impressionanti. Oltre a quella citata in caso di violazione delle norme sulla designazione, posizione e compiti del DPO, il Reg. UE prevede che siano soggette a sanzioni amministrative fino a 10 milioni di euro, o in caso di un’impresa, fino al 2% del fatturato totale annuo mondiale dell’esercizio precedente, se superiore, le violazioni delle norme stabilite in materia di: consenso dei minori, documentazione relativa a ciascun trattamento di dati personali, sicurezza del trattamento, cooperazione con l’autorità di vigilanza, notificazione dei cd. data breach all’autorità e altro. L’ammontare delle sanzioni può salire, invece, fino a 20 milioni di euro, o in caso di un’impresa, fino al 4% del fatturato totale

annuo mondiale dell’esercizio precedente, se superiore, per le violazioni in materia di principi base del trattamento, condizioni per il consenso, diritti degli interessati, trasferimento di dati personali all’estero, mancata ottemperanza a un ordine o a una limitazione temporanea o definitiva del trattamento disposti dall’autorità di vigilanza.Il tempo sta per scadere. Le aziende italiane non possono permettersi di perdere risorse economiche per il mancato adeguamento agli obblighi europei perché quelle risorse vanno investite, piuttosto, in innovazione e formazione, le due leve di effettiva competitività nell’era digitale. L’invito è quello di iniziare quanto prima a pianificare una strategia e a non lasciarsi prendere dal panico (più che legittimo!).

Le aziende italiane non possono permettersi di perdere risorse economiche per il mancato adeguamento agli obblighi europei perché quelle risorse vanno investite, piuttosto, in innovazione e formazione, le due leve di effettiva competitività nell’era digitale


ricerca

Il valore doganale delle merci Le innovazioni legislative introdotte a maggio 2016 con il Nuovo Codice doganale dell’Unione (CDU) hanno apportato modifiche a un aspetto molto delicato per gli operatori che effettuano operazioni di commercio estero e in particolar modo per gli importatori

Fabrizio Ceriello Servizi per l’Internazionalizzazione delle Imprese info@studioceriello.com

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l valore doganale delle merci è uno degli elementi essenziali della dichiarazione doganale insieme alla qualità delle merci (classificazione doganale), l’origine e la quantità. Commettere errori nel determinarlo può comportare due criticità: sotto il profilo tributario può esporre al pagamento di differenze e onerose sanzioni, ai sensi dell’art. 303 del Testo Unico Legge Doganale, mentre sotto il profilo meramente commerciale può compromettere le valutazioni di opportunità in merito alla convenienza di effettuare acquisti in paesi ExtraUE. Per valore doganale delle merci si intende il valore attribuito alle merci all’atto dell’importazione, al fine di applicare i dazi ad valorem che, in ambito comunitario, rappresentano risorse proprie tradizionali del bilancio della UE. Costituisce, altresì, la base di partenza per la determinazione dell’iva all’importazione. L’art. 70 CDU stabilisce che il valore in dogana delle merci importate è basato sul valore di transazione, con cui si intende «il prezzo effettivamente pagato o da

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pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione, eventualmente adeguato». Sempre l’art. 70 spiega che il prezzo effettivamente pagato o da pagare è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o a una terza parte a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate. “Eventualmente adeguato” significa che non è necessariamente il valore espresso sulla fattura del fornitore a dover essere preso in considerazione come valore doganale; a tale importo, infatti, è possibile dover aggiungere o sottrarre elementi che possono portare a una determinazione finanche molto diversa. Sono gli articoli 71 e 72 a fornire la lista degli elementi che di volta in volta potrebbe essere possibile aggiungere o sottrarre. Rimandando alla lettura dei suddetti articoli (CDU, Reg. CE 952/2013) per il lungo

elenco degli elementi in questione, è opportuno ricordare che quando il criterio del valore di transazione non è applicabile, o se le Dogane lo ritengono opportuno, è possibile ricorrere a metodi alternativi di valutazione, utilizzati secondo un predeterminato ordine di successione, nel senso che si può ricorrere a ciascun criterio solo se il precedente risulta oggettivamente inadeguato. Ancora, la nuova legislazione doganale ha eliminato la possibilità di applicare il criterio del prezzo di prima vendita, disponendo che la determinazione del valore doganale avvenga sulla base del prezzo dell’ultima vendita che ha preceduto l’introduzione dei beni nella UE. Tale regola, tuttavia, può ancora essere applicata per il solo calcolo dei dazi (e non per l’IVA) fino alla fine del 2017 se, contemporaneamente, le importazioni rispettano i requisiti per la sua applicazione in base alla normativa preesistente, se sono effettuate in base a un contratto concluso prima del 18.01.2016 e se ovviamente, entro il termine di quest’anno.


Trasformazione Digitale, il ruolo della tecnologia negli affari La differenziazione competitiva è sempre più determinata dalla capacità di abbracciare modelli di business software-driven

Lino Mari Senio Technical Architect at Healthware International www.healthwareinternational.com www.linomari.com

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a tecnologia ha da sempre una capacità intrinseca di creare interesse e, allo stesso tempo, preoccupazione. Da qualche anno il trend topic è “digital disruption”, ovvero la capacità della tecnologia di rimodellare non solo processi aziendali ma l’industria stessa e lo stile di vita di tutti noi. Nuove startup nascono tutti i giorni in diversi settori e propongono nuovi processi e tecnologie. In alcuni casi sono in grado di conquistare un intero mercato che è stato stabile per decenni, oppure di crearne uno tutto nuovo. Basta dare uno sguardo a Facebook, Uber, Tesla oppure Airbnb. Le aziende stanno vivendo la fase dove o abbracciano la trasformazione digitale, o rischiare di uscire dal mercato. Nuove figure acquistano sempre più importanza, come i CIO (Chief Innovation Officer) che indicano la strada e gestiscono progetti di innovazione. Le parole d’ordine sono Mobile, Cloud, Big Data e Intelligenza

Artificiale. Ma come orientarsi e non perdersi nella giungla di applicazioni, tecnologie e modelli di sviluppo software? Cosa è cambiato? Il software e l’hardware sono parte integrante del tessuto aziendale da almeno 60 anni. La differenza fondamentale sta nell’utilizzo della tecnologia, ovvero fino a ora le aziende hanno utilizzato la tecnologia come supporto al business. Oggi invece la tecnologia è parte integrante del business, se non il business stesso. La tecnologia è diventata l’interfaccia primaria dell’azienda verso i clienti e il mercato, assumendo su di sé la responsabilità di come l’azienda è comunicata all’esterno e di come è percepita. Cosa cambiare Per attivare con successo la trasformazione digitale è necessario integrare la tecnologia nei processi di business. La soluzione non è quella di ripensare l’IT, ma di costruire un nuovo

modello operativo che sia in grado di mettere la tecnologia al centro del business come un cuore pulsante. Ci sono molte modifiche da intraprendere ai propri modelli e processi interni, ad iniziare dalla tecnologia. La tecnologia, e in particolare il software, devono essere progettati, costruiti e gestiti come fattori critici per i propri clienti e il business. Ora le aziende sono chiamate a fornire servizi basati su software che si interfacciano direttamente con i clienti e ogni azienda sarà chiamata a integrare processi tipici delle Software Factory. La competizione tra le aziende, che siano già presenti da anni sul mercato oppure nuove, piccole o grandi, è stata appiattita dalla tecnologia e non basta più la sola qualità dei servizi e dei prodotti ma l’intera esperienza, ovvero l’interazione con i clienti basata sui propri software. Competere significa saper modificare il proprio modello di business velocemente.


ricerca

La poliedricità del Centro NanoMates Un’eccellenza dell’Ateneo salernitano capace di fare rete per progettare, svolgere e gestire, con approccio multidisciplinare, progetti di alta formazione, di ricerca e di trasferimento tecnologico nel campo delle nanoscienze e delle nanotecnologie

Maria Sarno Direttrice Centro NanoMates msarno@unisa.it

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ll’interno del Campus universitario di Salerno è nato nel 2007 il Centro di ricerca interdipartimentale NanoMates (Research Centre for Nanomaterials and Nanotechnology at the University of Salerno) con l’idea di generare una rete di ricerca all’interno del Campus in grado di valorizzare attraverso una forte sinergia tra ricercatori di più Dipartimenti le competenze acquisite nel campo delle nano-scienze e delle nanotecnologie, contesto nel quale l’Ateneo è stato tra i pionieri, diretto prima dal professor Paolo Ciambelli e ora da me (DIIN). La mission del Centro NanoMates è di fare rete per progettare, svolgere e gestire, con approccio multidisciplinare, progetti di alta formazione, di ricerca e di trasferimento tecnologico, nel campo delle nanoscienze e delle nanotecnologie. Un percorso che ha portato il Centro NanoMates a divenire un’eccellenza, grazie proprio alle sinergie 54 | aprile/maggio 2017

attivate nel settore delle nanotecnologie, che ricopre un vasto spettro di prodotti, processi e strategie che vanno dalla energia all’ambiente, all’aerospazio, all’elettronica, ma anche alla salute, all’alimentazione. I risultati prodotti dal Centro NanoMates consistono in più di 200 articoli su riviste internazionali, numerosissimi contributi su atti di congressi, partecipazione agli eventi Nanotech in Giappone e negli Stati Uniti. Il Centro vanta inoltre diverse facilities. Per le caratterizzazioni dei materiali si hanno a disposizione: Laboratori SPM (STM, AFM, EFM, MFM), Microscopia Elettronica (SEM, FESEM, TEM) con X-ray (EDAX) e analisi di diffrazione elettronica (SAED), Diffrattometria ai raggi x, NMR e spettroscopia Raman, spettroscopia FT-IR e UV-Visibile, analisi termica (TG-MS, DTA, DSC, µTA), analisi termomeccanica (DMT, TMA), ICP-MS, Spettrometria ad assorbimento

atomico, Cromatografia ionica, adsorbimento/desorbimento di N2 a 77 K, porosimetria, distribuzione delle dimensioni delle particelle, caratterizzazione elettronica e elettromagnetica.Per la modellazione e visualizzazione si hanno a disposizione: Strumenti di visualizzazione e di progettazione potenti, Calcolo parallelo e cluster di computer, Modellazione Lab per Nanostrutture e catalisi. Tra i progetti più importanti sono da citare: i nanotubi di carbonio per interconnessioni ultra veloci (Catherine, European FP 7, STREP- ICTFET Proactive), per sensori di temperatura (Por Campania), per il thermal management in micronanoelettronica (Contratto Selex-Sistemi Integrati) e nell’illuminazione led (Por Campania), per batterie in flusso e supercondensatori per l’accumulo di energia (distretto tecnologico Smart Power System), i nanoadditivi a base


di nano foglietti di solfuri di molibdeno e tungsteno per lubrificanti liquidi (AddNano, European FP 7, Large Scale Project - NMP) e solidi (Nanogrease, cooperazione Italia-Israele) o a base di grafene (PON Ricerca), concentratori nanopolimerici per il rilevamento di precursori di droghe (Custom, European FP 7, Cooperation Project - SECURITY), nuovi nanomateriali per il fotovoltaico (progetto Mise-Crui-Ice e distretto tecnologico Smart Power System), compositi a matrice ceramica per radome (Sirena, Mise), nuove tecnologie per la salute (PON Infrastrutture). L’azione poliedrica del Centro vanta altre attività di ricerca, come, per esempio, nanostrutture e aerogeli polimerici per applicazioni catalitiche, processi sofisticati per la crescita e caratterizzazione di film sottili, eterostrutture, super-reticoli mediante epitassia a fasci molecolari o deposizione da laser pulsato, processi chimici, che hanno prodotto, per esempio,

nanoparticelle magnetiche biocompatibilizzate con un coating di silice per applicazioni biomediche, insieme a processi con fluidi supercritici per l’ingegneria tissutale. Altre attività sono: nanotossicità, polimeri co-cristallini ferroelettrici, nanocompositi a matrice epossidica per adesivi, nanostrutture 2-D, nanocompositi polimerici per il packaging, calixareni, fluidi magnetoreologici, modellazione multi-scale di nanomateriali. Queste conoscenze hanno portato a diversi brevetti e all’ottenimento di numerosi premi, tra i quali: 1° premio StartCup Campania 2011 a Nyborgmat (Nano Hybrid Organic-inorganic Materials), 1° premio StartCup Campania 2012 a Narrando (Nano Carbon Radiation Dosimeters) 1° premio Nazionale Innovazione 2012 a Narrando (Nano Carbon Radiation Dosimeters) che ha generato nel giugno 2013 la start-up innovativa Narrando srl.

L’azione poliedrica del Centro vanta tante attività di ricerca, come, per esempio, nanostrutture e aerogeli polimerici per applicazioni catalitiche, processi sofisticati per la crescita e caratterizzazione di film sottili, eterostrutture, super-reticoli mediante epitassia a fasci molecolari o deposizione da laser pulsato, processi chimici, che hanno prodotto nanoparticelle magnetiche biocompatibilizzate con un coating di silice per applicazioni biomediche, insieme a processi con fluidi supercritici per l’ingegneria tissutale


sicurezza

Applicazione degli RFId nel settore sanitario Studi e sperimentazioni consentono di trovare soluzioni sicure consentendo il riconoscimento a distanza di un oggetto o una persona

di Giovanni Luca Amicucci INAIL/DIT Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti e Insediamenti Antropici e di Fabio Fiamingo Università “Campus Biomedico” - Roma

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a ricerca “RFId (Radio-Frequency Identification) in applicazioni di sicurezza”, on line sul sito dell’Inail, è stata realizzata dal Laboratorio Attrezzature e Impianti Elettrici ed Elettronici del Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (Dit) e condotta presso il Centro di Ricerche di Monteporzio Catone. I sistemi RFId sono una tecnologia che permette il riconoscimento a distanza di un oggetto per mezzo di comunicazioni radio. Un apposito lettore (Reader) interroga i Tag (trasponder) associati a oggetti di interesse, per ricavarne informazioni. Il Tag può assumere qualunque forma, può essere esposto agli agenti atmosferici o essere rivestito con il materiale più idoneo al tipo di utilizzo che se ne vuole fare. In un ambiente 56 | aprile/maggio 2017

sanitario le tecnologie RFId potrebbero essere una fonte di pericolo in quanto potenzialmente in grado di interferire con il funzionamento di dispositivi sensibili. Ciò porta a limitazioni d’uso variabili a seconda dell’applicazione. Tuttavia, studi e sperimentazioni possono essere condotti caso per caso in modo da trovare soluzioni sicure che permettano di non rinunciare alle ricadute positive. Braccialetti per l’identificazione e la localizzazione dei pazienti È possibile associare un Tag passivo RFId a un paziente per mezzo di un braccialetto e il numero contenuto nel Tag permette l’identificazione positiva del paziente. Questo è utile per ridurre gli errori medici ospedalieri evitabili (ad esempio le disgrazie causate dall’uso improprio di

medicinali sui ricoverati, i rischi di interventi chirurgici nelle sedi sbagliate, sul paziente sbagliato, i rischi di trattamenti medici errati). L’identificazione non manuale del paziente per mezzo di braccialetti non trasferibili consente una serie di benefici, tra cui: l’efficienza del sistema (migliora la comunicazione e riduce gli errori di raccolta e immissione dei dati); aumenta la sicurezza del paziente; consente un accesso veloce ai dati e alla scheda clinica del paziente memorizzati all’interno del sistema informativo (per operazioni di lettura/ scrittura e trasferimento); è più veloce rispetto alla lettura di un codice a barre; a differenza dei codici a barre, la lettura può essere effettuata attraverso e intorno al corpo umano, gli abiti, le coperte dei letti e i materiali non metallici, senza disturbare il paziente.


Localizzazione di apparecchiature, pazienti e personale sanitario È possibile realizzare un approssimativo sistema di tracking, posizionando Reader all’ingresso dei locali della struttura sanitaria. I Tag possono essere messi sui pazienti, nei tesserini identificativi del personale, sulle apparecchiature (inclusi gli elettromedicali). Tracciamento dei ferri chirurgici in sala operatoria Un’applicazione tipica può essere quella del controllo dei ferri chirurgici in una sala operatoria: Tag passivi sono sistemati sui ferri chirurgici, un Reader in corrispondenza del contenitore dei ferri può segnalare a fine operazione se qualche ferro non è stato riposto (indicando anche quale, grazie all’identificatore del Tag). Inoltre un Reader mobile può essere passato sul paziente appena operato per verificare che non siano rimasti ferri al suo interno dopo l’operazione. Potrebbero esistere anche Tag certificati per essere posizionati sulle garze e sulle bende (a distanze prestabilite). Un tale sistema non serve ad evitare l’adozione di procedure di qualità per il tracciamento dei ferri chirurgici e delle garze, ma può servire per avere un’informazione tempestiva (in tempo reale) sulla permanenza di corpi estranei all’interno del paziente. Utilizzo di dispositivi attivi Possono essere impiegati: per il monitoraggio di parametri vitali (pressione del sangue, battito cardiaco, glicemia); per

il monitoraggio di dispositivi impiantabili attivi (dispositivi per l’udito, dispositivi per la vista, dispositivi per il rilascio periodico di medicinali); per il monitoraggio delle terapie e delle condizioni ambientali cui il paziente è sottoposto. L’uso di queste tecnologie può permettere un’estensione dei trattamenti e delle cure somministrati presso l’abitazione del paziente, permettendo la riduzione dei costi di ospedalizzazione. Ciò può essere utile soprattutto nel caso di pazienti cronici, di persone con ridotta mobilità, di persone anziane, di neonati. Sono sufficienti Reader posizionati presso le abitazioni e collegati in rete col sistema informativo dell’azienda sanitaria. Soluzioni impiantistiche Nei locali medici, ma anche in officine o altri ambienti di lavoro, possono aversi impianti di alimentazione con caratteristiche diverse all’interno dello stesso locale, che servono ad alimentare utilizzatori che necessitano di alimentazioni specifiche. Esistono molteplici soluzioni per fare in modo che le spine degli utilizzatori siano connesse nelle prese corrette: un codice di colori per prese e spine, prese e spine non intercambiabili, ecc. I sistemi RFId possono essere d’ausilio anche in questo caso, fornendo un servizio dalle caratteristiche di sicurezza superiori, associando dei Tag (passivi) alle spine e dei Reader alle prese. In tal modo il Reader può rilasciare il consenso per

l’attivazione dell’alimentazione solo se la spina è stata inserita nella presa corretta. Inoltre è possibile riconoscere quando un utilizzatore è connesso all’alimentazione e monitorare i suoi consumi e i motivi dei malfunzionamenti per cause di alimentazione.

Un’applicazione tipica può essere quella del controllo dei ferri chirurgici in una sala operatoria: Tag passivi sono sistemati sui ferri chirurgici, un Reader in corrispondenza del contenitore dei ferri può segnalare a fine operazione se qualche ferro non è stato riposto


salute

C

Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it | www.istitutodermoclinico.com

Duroni: cause, prevenzione e rimedi

Cosa sono e come si curano gli inestetismi della pelle che colpiscono mani e piedi Chiamati anche duroni o tilomi, i calli si presentano come una pelle ispessita, liscia e rigida, di colore bianco o semitrasparente e talvolta di tinta giallastra, dovuta alla rottura di un piccolo capillare sanguigno sottopelle. In genere si sviluppano sui piedi, ma non è raro che si manifestino anche sulle mani. Non si tratta solo di un problema estetico, ma anche di qualcosa di molto doloroso e bisogna tener presente che possono infiammarsi o infettarsi. Questo succede quando si cerca di eliminarli in modo maldestro e quando si tocca la pelle viva sotto la superficie del callo. Se la zona si arrossa e diventa calda e se compare un dolore pulsante, il mio consiglio è di andare il prima possibile da un medico. I calli sono un deposito di cellule morte che si formano per proteggere la pelle dall’eccessiva pressione o sfregamento che molto spesso si esercita. La pelle si ispessisce per creare uno strato di difesa ma questo strato può arrivare talmente in profondità da giungere fino alle terminazioni nervose: ed ecco che compare il dolore. La maniera più semplice per prevenire i calli è usare guanti (in caso di utilizzo delle mani in lavori pesanti) e calzature comode. A proposito di scarpe, bisogna sceglierle non troppo strette ma neppure troppo larghe per evitare che i piedi sfreghino contro le pareti interne. Inoltre calzature con tacchi vertiginosi o a spillo devono essere indossate solo in occasioni particolari e mai tutti i giorni e per parecchie ore consecutive. In caso contrario, il piede viene costretto ad una posizione innaturale e carica l’intero peso

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del corpo sulla punta facilitando la formazione di calli sulla parete esterna del mignolo e fra le dita. Una volta cresciuti, i calli si possono eliminare dalla pelle con l’utilizzo dei callifughi che si trovano facilmente in vendita. Attenzione però: le persone che soffrono di diabete non devono ricorrere ad alcun prodotto callifugo. Questi ultimi aumentano il rischio che si creino delle ulcerazioni anche altamente pericolose ed è noto che le ferite poste alle estremità, nei diabetici, tendono a rimarginarsi con minore facilità. Pertanto è necessario che il “piede diabetico” sia soggetto ad un controllo abituale almeno una volta all’anno e, in caso di presenza di calli o duroni, bisogna lasciar intervenire un esperto. Il pediluvio aiuta ad ammorbidire i calli e a rimuovere le zone più spigolose con la pietra pomice: è sufficiente versare in una bacinella di acqua tiepida un cucchiaino di bicarbonato. Il bicarbonato rende la pelle morbida e svolge un’azione disinfettante, impedisce la crescita di funghi e batteri che si possono annidare tra le pieghe delle dita, in particolare quando si usano scarpe chiuse che lasciano respirare poco i piedi. Consiglio di lasciare i piedi in ammollo per un quarto d’ora e, in seguito, asciugare accuratamente. Tre ulteriori soluzioni: 1) indossare per un po’ di tempo (qualche settimana) soltanto scarpe adeguate e aspettare che il callo sparisca da solo; 2) applicare sul callo delle tinture a base di acido salicilico; 3) far recidere il callo da uno specialista ma soltanto da chi è davvero esperto (un medico dermatologo, un podologo o un’estetista qualificata) in quanto il “fare da sé”, come abbiamo visto, può risultare rischioso e portare a complicanze.


Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

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Telemedicina e medicina narrativa nel diabete/1

Una metodica nuova, utile per personalizzare il processo di cura, con l’obiettivo di mettere il paziente al centro del percorso terapeutico É opinione comune che tra le persone malate il confronto con gli altri e la condivisione delle esperienze venga prima di tutto. Il punto di vista dei propri pari sembra essere più importante dei siti istituzionali. É bene fare autocritica e considerare che, in tempo di crisi, il nostro modo di comunicare non è cambiato e non ha considerato che viviamo in una società liquida dove i confini e i riferimenti sociali si perdono e i poteri si allontanano dal controllo delle persone. In questo periodo è peggiorata l’inerzia gestionale delle patologie croniche per carenze culturali e per fenomeni psicopatologici individuali collegati ad un uso eccessivo o inadeguato della rete. Il diabetologo deve imparare a gestire la tecnologia e a non lasciarsi travolgere, a non lasciare che la tecnologia travolga la persona con diabete e infine a non considerare le persone dei cloni per cui si tipizza la malattia ma non il malato. Un’indagine (Diabetes Web Report 2016) condotta attraverso la somministrazione di un questionario on line a persone con diabete che si proponeva di valutarne i comportamenti, ha evidenziato che forum e community sono il punto di riferimento preferito dalla maggioranza di quel 90% della popolazione che naviga in rete alla ricerca di informazioni sulla salute. Il 70% consulta i forum di pazienti contro il 52% che dichiara di affidarsi ai motori di ricerca, mentre il 42% cerca informazioni sui siti di associazioni pazienti e il 35% interpella i social

media. Per un intervistato su due la maggior influenza è del portale della community del diabete. Il diabetologo rimane per il 68% la principale fonte di informazioni in grado di influenzare scelte e comportamenti gestionali della malattia, seguito da internet (19%), dal medico di base (7%) e da parenti e amici (5%). L’utilizzo dei motori di ricerca per ottenere informazioni sulle patologie è un fenomeno ormai diffuso tanto che il 99 % dei medici afferma di avere pazienti che riportano informazioni dal web. Tale tendenza è accettata e vista positivamente dall’87% dei professionisti (il 73% nel 2015). I risultati dell’indagine dimostrano che il medico virtuale sta perdendo terreno: il bisogno di dialogo e confronto si traduce in un nuovo modo di rapportarsi con il medico curante reale. È proprio in questa ottica che, nell’ultimi anni, nella Struttura Complessa di Diabetologia e Dietologia dell’Azienda Ospedaliera di Terni diretta da chi scrive, si è ritenuto opportuno utilizzare la telemedicina e la medicina narrativa come strumenti nuovi e utili per personalizzare il processo di cura, con l’obiettivo di mettere il paziente al centro del percorso terapeutico. Per fare questo, il punto di partenza non è la sola tecnologia ma la progettazione condivisa del percorso terapeutico anche con la realizzazione di un nuovo ambulatorio. É stato sufficiente prevedere un tavolo rotondo con tre monitor in linea che consentano al diabetico, all’infermiere e al medico di confrontarsi per ottenere un ottimo risultato e soprattutto impedire che il mezzo informatico divenisse un ostacolo. La telemedicina è stata utilizzata per il monitoraggio in remoto dei pazienti diabetici complessi o fragili, come quelli oncologici. Si tratta di persone che hanno gravi difficoltà a muoversi e per le quali il dover accedere alla struttura ospedaliera per i controlli e l’adeguamento della terapia è un onere fisico, psicologico e sociale.


bon ton

Nicola Santini Esperto di Galateo, Costume e Società ph/Christian Ciardella

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Dulcis in fundo, come chiudere una cena in bontà

Tra i dessert, il gelato risulta sempre il più gradito e versatile dei fine pasto, ottimo d’estate ma anche in inverno

Con l’arrivo della bella stagione si arricchisce il ventaglio delle proposte con le quali si può chiudere in dolcezza un pranzo o una cena, ma anche per trovarsi dopo i pasti canonici, verso le ore piú tarde della giornata, solo per il gusto della compagnia. Il gelato, tra queste, è sicuramente la via più semplice per far felici tutti i nostri ospiti prima di lasciare la tavola. Nulla in contrario al gelato d’inverno, ovviamente. Però si sa bene che per molti è quasi un tabù. Prima però di farvi desistere totalmente dal facilitarvi la vita, voglio farvi riflettere su un paio di cose. Una pallina di gelato può rendere deliziosa una semplice pera, magari leggermente calda, un biscotto anonimo diventa subito dessert. Divertitevi a insaporire i gusti classici con le erbe aromatiche: una foglia di basilico sul gelato al limone, del rosmarino con la fragola, crema e cioccolato chiamano la cannella…e basta poco che si cambia già l’atmosfera, rendendola più casa che giardino, pronti per una stagione più fresca, poi fredda. Ma cosa c’è da sapere sul dessert se decidiamo che il gelato proprio non va? Che si può chiudere con il formaggio, ad esempio, ricordando che va bene solo per mezzogiorno ma

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non la sera. Fette sottili, già tagliate indicando il percorso da seguire agli ospiti: dal meno saporito al più deciso, accompagnandolo, magari con delle marmellate o delle mostarde di frutta. A proposito di frutta, ricordate che si serve prima del dolce, cui spetta sempre il ruolo di anticipare caffè o liquori. Ricordiamo sempre che, al contrario del dolce, che si passa due volte, la frutta e il formaggio si passano una sola volta.


arte

L’arte allo stato atmosferico di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata Fino al prossimo 15 settembre, Donato Piccolo è a Macerata negli spazi della Galleria dell’Accademia di Belle Arti con Aritmosferica, un percorso unico che pone al centro dell’attenzione l’atmosferologia come fenomeno naturale e manipolazione dei sentimenti

Con uno sguardo filosofico sui fenomeni naturali e sui fattori emozionali che sequestrano l’occhio dello spettatore per condurlo in un ambiente irresistibile e seducente, Donato Piccolo mette in campo una serie di lavori il cui comune denominatore è riflessione ecosofica sulla smaterializzazione e rimaterializzazione degli elementi, sul peso e sulla leggerezza, sulla naturalizzazione dell’artificio e sull’artificializzazione della natura. Dopo una serie di progetti legati alla parola - come non pensare al sodalizio con Mario Luzi dal quale nasce una sculturpoesia a due mani (Cuore2 Dirty, 2003-2005) - e accanto alle inclinazioni estetiche che virano l’attenzione sul corpo, spietata topia che è al centro di procedimenti e atteggiamenti alternativi come Il giornale di un solo giorno pubblicato in seimila copie e distribuito il 22 novembre

2001, Worter (2006-2007) o Pensa con i sensi e senti con la mente realizzato in occasione della 52. Esposizione Internazionale Biennale di Venezia (2007), Donato Piccolo instaura un rapporto con la robotica per entrare via via in contatto con la teoria fenomenologica che Giovanni Jona-Lasinio ha posto come sezione conclusiva della Dynamical Model of Elementary Particles Based on an Analogy with Superconductivity elaborata assieme a Yoichiro Nambu e con tutti i successivi sviluppi di Peter Higgs, di Baker e Glashow che introducono tra l’altro per la prima volta il termine di rottura spontanea di simmetria. Ordinare e regolarizzare l’instabilità mediante stratagemmi che racchiudono l’atmosferico in un involucro capace di contenere e far vedere i processi elettromagnetici o le dinamiche paratmosferiche riprodotte in laboratorio mediante nebulizzatori ad ultrasuoni, pompe idrauliche o motori elettrici sono per l’artista viatici per vedere, udire, odorare, gustare, toccare e mostrare l’ineffabile. Straordinario generatore di esperienze atmosferiche - esperienze da controllare all’interno di sculture trasparenti le cui forme risucchiano lo sguardo per sedurlo - il suo procedimento coinvolge il corpo vissuto (Leib) che funge da luogo di ripercussione, da «cassa di risonanza dei sentimenti atmosferici», suggerirebbe Tonino Griffero, «da cui siamo rapiti». Uragani racchiusi sotto teca, ebollizioni controllate da congegni che conservano una loro artisticità, piogge spinose


e spigolose, macchine celibi e macchine dei sogni (Dream Machine che sbuffa vapore acqueo, ovvero sogni che si perdono nell’aria, è del 2010), sono per Piccolo alcuni dei luoghi rielaborati per leggere l’imprevedibilità e l’instabilità, per costruire opere in continuo divenire, per elaborare un discorso sullo spazio e sul tempo, sull’arte e sui luoghi dell’arte, sulle vaporizzazioni dei corpi e sull’impossibilità di archiviare il presente e le presenze, le luci e le ombre del mondo. Derubricando e decontestualizzando il processo naturale per inserirlo in una schematica tecnoscientifica che suscita una nuova immaginazione, l’artista trasforma l’opera in dispositivo aritmosferico capace di produrre un evento, una calma turbolenza, una condizione meteorologia e assieme meteorografica i cui cambiamenti avvengono in tempo reale e in tempo 62 | aprile/maggio 2017

reale svolgono durata e configurazione variabile, assumono reversibilità («nel momento in cui io spengo il circuito, il vapore ridiventa acqua», rileva Piccolo), trasformano il suono in immagine, in corpo fluido, in energia eticamente pura. Le sue, avvisa Laura Cherubini, sono «sculture d’aria che si materializzano con il caldo e con il freddo, quasi affette da metereopatia», da piacevoli turbamenti che trasformano il «fenomeno artificiale» in «stato mentale», da inquietudini che assorbono lo spazio circostante e estendono il mondo dell’artisticità al campo dei discorsi naturali, matematici, scientifici. Donato Piccolo simula l’ambiente ma allo stesso tempo crea una ripetizione differente capace di sobillare nuove emozioni mediante l’utilizzo della violazione o rottura delle simmetrie per rinnovare il valore di messa in scena e produrre veri e propri souvenir della natura. La rifrazione della luce attraverso le gocce d’acqua che produce un arcobaleno (un fenomeno studiato dall’ottica), l’effetto di un urto anelastico, l’energia elettrica generata da un fulmine, i processi di nebulizzazione dell’acqua o tutte le varie branche della geofisica - fisica dell’atmosfera, meteorologia, climatologia, oceanografia, geomagnetismo e sismologia - diventano oggi per l’artista colori di una nuova tavolozza, strumenti (e componenti) privilegiati, materiali da adottare per dar vita ad apparecchiature estetiche grazie alle quali l’opera diventa, etimologicamente, paradosso (parà ten doxan) di un fenomeno naturale.


finisterre

Una storia del cinema underground di Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università di Salerno Negli anni Settanta in Italia si sviluppa il “fenomeno video”. Un nuovo strumento che accattiva artisti, poeti, registi e musicisti Nell’ottobre del 1967 il Filmstudio apre a Roma la prima saletta (lo studio 1) con l’obiettivo di far conoscere il New American Cinema, il cinema indipendente italiano e quello europeo e anche i film delle avanguardie storiche. Il 1967 è anche l’anno di nascita della Cooperativa del Cinema Indipendente. La Cooperativa assume il carattere di un gruppo informale che non solo riesce a mantenere i contatti tra i vari film-makers italiani ma anche ad ampliare il numero degli associati, grazie soprattutto all’instancabile Baruchello. In queste occasioni i cineasti indipendenti italiani si sono rivelati più radicali del gruppo inglese e di quello tedesco, che avevano già costituito solide realtà organizzative, ma anche dello stesso gruppo del New American Cinema. A partire dal ’74-’75, per una decina d’anni, sarà il Filmstudio che si prenderà cura di distribuire un buon numero di “classici” dell’underground italiano, per iniziativa prima di Annabella Miscuglio, che in quel periodo aveva creato una

piccola struttura di “distribuzione alternativa”, e poi, dal 1978, di Armando Leone. Nel dicembre ’67 l’underground italiano ha anche la sua rivista: Ferrero, un cineasta di Torino, fonda Ombre elettriche che teorizzerà “il cinema della liberazione e della rivolta” ma che avrà vita breve. Verso la fine degli anni Sessanta assistiamo alla nascita di quella particolare ricerca visiva che viene prima definita “cinema dei pittori”, poi “cinema d’artista”, includendo film di scultori, architetti, musicisti e performers. In quegli anni pittori come Schifano, Angeli, Gioli, Nespolo, influenzati dalle esperienze dei cineasti del New American Cinema sentono l’esigenza di uscire dalle gallerie per impadronirsi di nuovi spazi di ricerca e sviluppare una riflessione maggiormente approfondita sugli strumenti del proprio operare artistico. Molto sentita, dopo l’esplosione del ’68, era l’esigenza di aprirsi anche in modo nuovo al sociale e al politico. Contemporaneamente in Italia in questi anni si sviluppa il “fenomeno video”. Un nuovo strumento che accattiva artisti, poeti, registi e musicisti. Negli anni Settanta non è facile nemmeno la circolazione di questi film sperimentali, a dispetto del circuito attivissimo dei cineclub, collettivi e cooperative cinematografici sparsi un po’ dappertutto. Ci vorrà del tempo per arrivare alla produzione su larga scala di videoproiettori di buona qualità da impiegare nei locali pubblici. Tuttavia il cineasta Alberto Grifi realizza, tramite il “vidigrafo”, strumento costruito e inventato da lui stesso, il film Anna (19721975). Questa nuova macchina era in grado di trascrivere il video nuovamente su pellicola 16mm, in modo da poterlo proiettare poi nelle sale cinematografiche. Il film è girato in video e proprio

per questo risulta trasformato alla radice. Anna si rivela una metafora potente, in grado di esemplificare il tipo di situazione innescata dal video e dal suo linguaggio in un contesto visivo dominato da altri media. Realizzato in co-regia con Massimo Sarchielli, Anna diventerà un cult movie della cultura alternativa post sessantottesca. Verrà inoltre presentato al festival di Berlino e alla Biennale di Venezia nel 1975, a Cannes nel 1976. Il progetto del film parte con pochissimi mezzi, grazie all’aiuto concreto di personaggi come Rossellini, ma durante la difficoltosa lavorazione Grifi e Sarchielli vengono a sapere che a Roma si possono trovare dei videoregistratori, così approfittano subito della possibilità di lavorare a costi notevolmente inferiori rispetto al cinema e alle sue troupe poderose. Simonetta Fadda definisce il film di Grifi e Sarchielli un “film verità”, innanzitutto perché il personaggio di Anna è reale. Anna è una 16enne che Mario Sarchielli incontra nei pressi di Piazza Navona a Roma; una ragazza problematica, incinta e sotto l’effetto costante di stupefacenti. Figlia di immigrati sardi in Francia, la ragazza era scappata da diversi riformatori. L’attore decide di prendersi cura di lei e portarla a casa. Inizia subito a prendere appunti sui comportamenti della ragazza, fino al momento in cui decide di riprenderla in video per girare un film. La vita vera diventa scena! Adriano Aprà nel suo libro Fuori norma: “la via sperimentale del cinema italiano” sottolinea come il film di Grifi e Sarchielli «va visto oggi, in una prospettiva storica, come il punto di arrivo, ma anche come la fine, di una esperienza underground che aveva caratterizzato la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta».


LIBRI

CINEMA

a cura di Raffaella Venerando

Tre piani di Eshkol Nevo

C

Neri Pozza Editore prezzo di copertina euro 17,00

om’è la vita in un ordinato e apparentemente tranquillo condominio borghese nei pressi di Tel Aviv? Ce la racconta, con profonda umanità, Eshkol Nevo nel suo ultimo romanzo “Tre piani”, edito da Neri Pozza. Al primo piano vive una giovane coppia, Arnon e Ayelet, genitori della piccola Ofri, di tanto in tanto lasciata alle cure di Ruth e Hermann, due anziani perbene giunti in Israele dalla Germania. La vita scorre per tutti apparentemente serena, fino a quando Herman, ammalatosi di Alzheimer, “rapisce” Ofri per un pomeriggio intero gettando nel panico la famiglia. L’ira non si placa neppure quando Afron, il papà della bimba, ritrova vicino e figlia in un frutteto. Lo divora il sospetto che il gesto di Herman sia stato tutt’altro che inconsapevole e che in quelle ore possa essere successo qualcosa di terribile. Al secondo piano abita, invece, Hani, madre di due bambini e moglie di Assaf, quest’ultimo continuamente fuori casa per lavoro. Tormentata dalla paura di diventare folle da quando sua madre è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico, Hani si lascia convincere a ospitare in casa suo cognato Eviatar, finito nei guai per un dissesto finanziario, compensando così la sua solitudine. Risiede al terzo piano, infine, Dovra, giudice in pensione che, attraverso una segreteria telefonica, continua a restare in contatto con il marito defunto. Vive nel passato fino a quando, nel corso delle proteste sociali dell’estate del 2011, conosce Avner e con lui parte per uno strano viaggio nel deserto. Tre famiglie, tre storie, tre confessioni per rappresentare i tre diversi piani dell’anima di tutti - Es, Io, Super-io narrati attraverso la lotta dura tra paure, ansie, etica, immaginazione e impulsi comuni a molti, straziati ma non sfiniti dalla vita. «…La nostra anima procede a cerchi e spesso ricade nelle stesse buche»… 64 | aprile/maggio 2017

a cura di Vito Salerno

La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson

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ella primavera del 1945, quando la guerra nel Pacifico è arrivata ai suoi ultimi e più letali giorni, e l’esercito degli Stati Uniti a Okinawa ha affrontato alcuni dei combattimenti più feroci in assoluto, un solo soldato rimane in piedi fuori dalla massa. Lui è Desmond T. Doss, un obiettore di coscienza arruolatosi per servire il suo Paese, ma che rifiuta con fermezza l’utilizzo delle armi; lavorando con grande coraggio come medico nella divisione della fanteria, senza sparare un colpo di proiettile, da solo continua a salvare una dopo l’altra la vita di decine di suoi commilitoni caduti sotto il fuoco nemico. L’uomo è stato il primo obiettore di coscienza a essere insignito della Medaglia d’Onore dal Presidente Harry S. Truman per aver salvato in solitaria con le proprie forze più di 75 compagni durante la brutale battaglia di Okinawa nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Mel Gibson ha realizzato un film epico sulla toccante storia vera del medico dell’esercito americano Desmond T. Doss (Andrew Garfield), che torna di grande attualità in tempi che minacciano all’orizzonte scenari bellici purtroppo già tristemente vissuti. Il film, dotato di una forza e un impatto fuori del comune, ha ottenuto 6 candidature e vinto 2 Premi Oscar, 3 candidature ai Golden Globes, 5 candidature e vinto un premio ai BAFTA e 1 candidatura ai London Critics.


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