Costozero Marzo/Aprile n.2/2015

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NUMERO 02

MARZO/APRILE 2015

Jobs Act un cantiere avviato



EDIT OR IA L E / MA R ZO A P R IL E 2015

Nuova occupazione, la riforma del lavoro da sola non basta Se le aziende in questi anni hanno smesso di assumere non è stato per la rigidità dei contratti, quanto piuttosto per la carenza di domanda

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o scorso 7 marzo sono entrati in vigore i primi due decreti attuativi della riforma del mercato del Lavoro promossa dal Governo Renzi, l’uno riguardante le disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati e, l’altro, le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Dal punto di vista politico, Confindustria ha espresso un giudizio complessivamente positivo su questi due primi passi. Il decreto sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in realtà rafforza l’impianto già delineato timidamente dalla legge Fornero, in quanto estende l’ambito di applicazione della tutela economica che diviene, oramai, la vera e propria garanzia di riferimento in caso di licenziamento illegittimo, avvicinando la nostra legislazione a quella che prevale in Europa. Viene inoltre predeterminata la misura dell’indennizzo sulla base dell’anzianità di servizio del lavoratore, con conseguente possibilità di prevedere la misura esatta della sanzione. Il decreto NASpI, invece, costituisce parte del più complessivo intervento disegnato dal legislatore nel Jobs Act che comprende anche la ridefinizione degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e, soprattutto, un radicale intervento sulle politiche attive. Su questa misura, pertanto, Confindustria potrà formulare un giudizio complessivo una volta che l’intero progetto sarà ultimato, non certo oggi. Ambedue i temi, insieme a quello potremmo dire “preliminare” degli sgravi contributivi triennali per le nuove assunzioni a tempo indeterminato previsti dalla Legge di Stabilità 2015, sono stati approfonditi nel corso di una giornata di studio tenuta presso la nostra Associazione il 16 marzo scorso, che ha visto relatori il professore di Diritto del Lavoro all’Università La Sapienza Arturo Maresca, il Direttore dell’Inps di Salerno Clelia Petrone e Antonio Negri e Aniello D’Elia sempre dell’Inps di Salerno. All’indomani dell’incontro informativo, poi, per cominciare a fare una stima del grado di conoscenza delle nuove norme da parte delle aziende salernitane e del possibile impatto che la riforma potrà avere sulle politiche di assunzione del personale sul nostro territorio, abbiamo avviato un’indagine tra le aziende nostre associate anche per meglio orientare i servizi da noi offerti in materia di lavoro e la politica di rappresentanza sul tema. Nel mentre che attendiamo di conoscere il sentiment in cifre delle imprese, ci preme ribadire anche in questa sede che qualsiasi riforma, benché condivisibile, non può da sola creare nuovi posti di lavoro. È il mercato, nella sua complessità, a determinare le condizioni economiche necessarie a favorire l’ingresso di nuovo personale in azienda. Se le aziende in questi anni hanno smesso di assumere, quindi, non è stato solo per la rigidità dei contratti, quanto piuttosto per la carenza di domanda. Al contrario, saranno ben liete di tornare ad assumere se e quando torneranno anche le commesse necessarie, essendo disposte a tutto pur di avere in squadra i lavoratori migliori.La ricetta per creare nuova occupazione non si risolve con un provvedimento, ma resta la stessa di sempre per il nostro Paese: sviluppo e una nuova sensibilità industriale.

Mauro Maccauro Presidente Confindustria Salerno


S O M M A R IO NEW ENTRIES

EDITORIALE 1

Nuova occupazione, la riforma del lavoro da sola non basta di M. Maccauro PRIMO PIANO / JOBS ACT

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Jobs Act, atto secondo di G. Fontana

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Maresca: «La riforma tutela l’occupazione del lavoratore, non il suo posto di lavoro» di R. Venerando, intervista ad A. Maresca

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Ammortizzatori sociali, cosa cambia di R. Venerando, intervista a C. Petrone

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Lamberti Design, la fabbrica dal cuore e polso d’acciaio di R. Venerando

28

DelNas, la competenza non è solo una questione di etichetta a cura della Redazione

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Cesarmarine, un’azienda sulla cresta dell’onda a cura della Redazione

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Sicuri, garantisce Gefina Broker a cura della Redazione

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Wall Street English, imparare l’inglese è un piacere a cura della Redazione

Bonus Assunzioni, 10 i requisiti per accedere al beneficio di R. Venerando, intervista a G. Baldi L'O PINIONE 12

EDILIZIA INDUSTRIALE 32

Fronte del porto di R. Venerando, intervista ad A. Annunziata

Dentro la Sanità Privata campana 14 di R. Venerando, intervista a O. Coriglioni Trasporto Pubblico Locale, 17 tanta strada ancora da fare di R. Venerando, intervista a G. Buonocore

NORME E SOCIETÀ 34

In arrivo nuovi sistemi di dispute resolution per i contratti pubblici di M. Marinaro

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Conflitto di interessi, quando la revoca dell’amministratore di SRL è giustificata di M. Galardo

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Rent to buy: un’interessante opportunità per le imprese edili, i proprietari e gli acquirenti di L. De Valeri

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Reputazione economica, come difendersi in caso di illegittima segnalazione alla Centrale Rischi di P. Di Stefano

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Il DURC negli appalti alla Corte Europea di L. D'Angiolella

FOCUS Risorse Idriche: lo stato dell’arte 18 della spesa pubblica e della Legge Obiettivo di A. Panaro CONFINDUSTRIA Insieme per l’Agro, 21 accordo tra Confindustria Salerno e la Curia di G. Longobardi Expo 2015, la Campania e i territori 22 delle eccellenze agroalimentari di G. Sica 24

Internazionalizzare per crescere di M. Gambardella

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She Business Advanced, un progetto al femminile di M. De Carluccio BUSINESS

26 Lowendalmasaï, il partner giusto per moltiplicare la crescita del PIL a cura della Redazione

Il SIAD, un'occasione reale di sviluppo di L. Pellegrino

LAVORO 43

Lavoro, i rischi derivanti da una non corretta gestione del personale di M. Ambron FISCO

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Processo tributario, la responsabilità civile dei magistrati di M. Villani

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Penale d'impresa 2.0 di M. Fiorentino


NUMER O 2 / MA R ZO A P R IL E 2 0 1 5 Bonus strutture ricettive, 48 dentro anche agenzie di viaggio e tour operator di A. Sacrestano 50

Fatturazione elettronica: analisi del funzionamento del Sistema di Interscambio di N. Savino INTERNAZIONALIZZAZIONE

L'immagine di coper tina è una rielaborazione della foto di Char les C. Ebbets Lunch atop a Skyscraper (1932)

Ruote Mediterranee: 52 Barcellona, vent'anni dopo di E. Szajkowicz SICUREZZA 54

L’idoneità per i lavori elettrici sotto tensione di G. L. Amicucci

SALUTE Controllo del peso e patologie metaboliche, 56 non solo farmaci/1 di G. Fatati Cellulite, la nemica estiva delle donne 57 a cura della Redazione PARLIAMO DI... 59

ZenPasta, una buona idea italo-nipponica di A. Spagnulo ARTE

60

Wilderness #2 (in un paese dove la felicità è sposata al silenzio) di A. Tolve FINISTERRE

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Omaggio a Andy Warhol, artista televisivo di A. Amendola

Magazine di Economia, Finanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg . Trib. di Salerno N. 677 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Mauro Maccauro Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management Vito Salerno Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Salerno Service Srl Via Madonna Di Fatima, 194 84129 Saler no Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 03971170653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Arti Grafiche Boccia/Salerno Foto Archivio Costozero Vito Salerno Massimo Pica/Ag. Fotografica Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it

BON TON 63

Selfie con bon ton di N. Santini LIBRI/HOMECINEMA

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Inbound Marketing Lo Sciacallo / Nightcrawler a cura di V. Salerno

Grafica / Illustratrice Emanuela Maria Rago

L e opi ni oni espr esse negl i a r ti c ol i a ppa r tengono ai si ngol i a utor i dei qua l i si i ntende r i spetta r e l a pi ena l i ber tà di gi udi z io


P R I M O P IA NO / J OBS ACT

Jobs Act, atto secondo Nonostante l’enfasi posta dagli ambienti governativi sul contratto a tutele crescenti, la riforma rischia di interessare ancora per molti anni soltanto una piccola parte di addetti, essendo applicabile solo ai nuovi assunti, e di imprese, riguardando direttamente solo quelle che faranno molte assunzioni o le start-up Giorgio Fontana Professore Ordinario di Diritto del Lavoro

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a legislatura in corso sembra aver finalmente imboccato la strada, difficile ma necessaria, della riforma del diritto del lavoro, con l’obiettivo di creare nuova occupazione e rimuovere il pesantissimo gap che, soprattutto al Sud, blocca un’intera generazione di giovani. La tesi secondo cui introdurre ulteriori dosi di flessibilità nel mercato del lavoro rappresenti sicuro viatico per la ripresa dell’economia e la crescita dell’occupazione è, in verità messa in dubbio da autorevoli economisti, i quali, anche recentemente (cfr. Zingales su Il Sole 24 ore del 15 marzo 2015), dimostrano con argomenti molto seri che, in effetti, più importante ancora sarebbe la flessibilità dei capitali, ossia la facilitazione nelle riallocazioni dei capitali dalle imprese inefficienti verso quelle maggiormente efficienti e competitive. Certamente, però, nonostante queste note critiche, la modernizzazione del mercato del lavoro resta un obiettivo importante. Dopo il D.L. n. 34/2014 – che ha riformato i contratti a termine, la somministrazione e l’apprendistato – e la legge delega di riforma del mercato del lavoro (c.d. jobs act), i primi due decreti legislativi attuativi della legge delega (n.

22 e 23 del 2015) sono stati finalmente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Il contratto a tutele crescenti e la riforma degli ammortizzatori sono ora leggi dello Stato. Per una valutazione critica dell’azione riformista del Governo Renzi occorrerà ovviamente attendere gli altri provvedimenti, che completeranno il quadro (cancellando, come più volte dichiarato dal ministro Poletti, un buon numero di inutili tipologie contrattuali attualmente disponibili, a partire dal contratto a progetto), e soprattutto attendere la verifica empirica dell’efficacia delle nuove norme. Tuttavia, qualche breve riflessione può essere già formulata. La prima – in ordine di importanza – non può che riguardare il carattere molto parziale della riforma, che, nonostante l’enfasi posta dagli ambienti governativi sul contratto a tutele crescenti, rischia di interessare ancora per molti anni soltanto una piccola parte di addetti (essendo applicabile solo ai nuovi assunti) e di imprese (riguardando direttamente solo quelle che faranno molte assunzioni o le start-up). La scommessa del Governo è che le


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Non bisogna dimenticare che nell’ambito del contratto a tutele crescenti resta la sanzione della reintegrazione per i casi di licenziamenti discriminatori e nulli, nonché per i licenziamenti disciplinari nel caso in cui risulti insussistente il “fatto materiale contestato” al lavoratore

imprese, in presenza di queste nuove condizioni, faranno molte assunzioni. L’effetto-annuncio finora sembra positivo, ma se il ciclo economico non sarà favorevole le nuove assunzioni saranno per lo più sostituzioni. Qui entra in gioco il problema delle differenze di trattamento all’interno delle aziende e fra le aziende (vecchie e nuove). Se l’incremento occupazionale e la nascita di nuove imprese non saranno significativi, le disparità di trattamento appariranno tanto più ingiustificate. Sarà piuttosto forte la tendenza sindacale a recuperare attraverso la contrattazione collettiva le garanzie che la legge ha negato ai (pochi) nuovi assunti. In generale, presupponendo la convivenza a lungo termine di lavoratori garantiti e non garantiti, la riforma potrebbe innescare una situazione all’interno delle aziende non necessariamente ottimale. In quest’ottica sarebbe stata forse preferibile una riforma meno ambiziosa ma ad applicazione generalizzata e, soprattutto, una coraggiosa iniziativa sul fronte pensionistico per consentire alle imprese di svecchiare gli organici. Altro aspetto piuttosto problematico è la sovrapposizione di diversi (troppi) regimi di disciplina: se l’obiettivo era garantire alle imprese la compiuta riconoscibilità dei costi del licenziamento, la riforma non

sembra dare risposte tranquillizzanti. Oltre al regime di tutela previsto nella materia dei licenziamenti (disciplinari e per motivi aziendali) dalla legge Fornero per i vecchi assunti, bisogna considerare il nuovo regime applicabile ai contratti a tutele crescenti. E all’interno di ciascun regime di disciplina, valutare le condizioni che consentono al giudice di disporre, in caso di invalidità del licenziamento, la vecchia ma ancora vigente reintegrazione nel posto di lavoro, anziché quella economicorisarcitoria. Non bisogna dimenticare che nell’ambito del contratto a tutele crescenti resta la sanzione della reintegrazione per i casi di licenziamenti discriminatori e nulli, nonché per i licenziamenti disciplinari nel caso in cui risulti insussistente il “fatto materiale contestato” al lavoratore. É dunque sbagliato dire che la riforma cancella l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, se con questo si intende il regime di tutela reale del posto di lavoro in caso di licenziamenti individuali. Anzi, a ben pensare, la nuova norma introdotta dal contratto a tutele crescenti darà probabilmente filo da torcere in sede giudiziaria, giacché la reintegrazione verrà dal giudice ammessa o negata in base all’interpretazione che darà di una

nozione ambigua (e sfuggente) qual è, appunto, il “fatto materiale contestato”. La reintegrazione è invece dalla legge completamente esclusa (sempre soltanto per i nuovi assunti) in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (motivi aziendali non riguardanti la condotta del lavoratore, come ad esempio in caso di soppressione del posto). Ma anche in questi casi resta la possibilità per il giudice di sindacare l’atto datoriale onde verificare se esso non celi in effetti un provvedimento punitivo (quindi rientrante nella specie dei licenziamenti disciplinari) o discriminatorio. In tal caso potrebbe applicare la sanzione della reintegrazione. Il quadro è dunque molto complesso e non si può affrontare in poche battute, ma resta il fatto che alle imprese, specialmente quelle di piccole-medie dimensioni che non posseggono attrezzati uffici del personale, la prevedibilità ex ante dei possibili sbocchi giudiziari di un provvedimento di licenziamento risulterà molto difficile. Probabilmente il contratto a tutele crescenti rappresenta solo una tappa della transizione del diritto del lavoro, in un Paese in cui ogni riforma (quindi anche quella del lavoro) sembra essere metabolizzata molto lentamente.


P R I M O P IA NO / J OBS ACT

Maresca: «La riforma tutela l’occupazione del lavoratore, non il suo posto di lavoro» Secondo il professore di Diritto del Lavoro, Arturo Maresca, il legislatore vuole soprattutto spostare il flusso di assunzioni verso il tempo indeterminato di Raffaella Venerando

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rofessore, il primo decreto attuativo del Jobs Act sdogana il contratto a tutele crescenti: quali le finalità che il provvedimento potrebbe centrare? Sarà secondo lei utile a contrastare la disoccupazione giovanile? Innanzitutto va detto che il Jobs Act rivoluziona l’approccio al tema lavoro, occupazione e tutele. Infatti con il primo decreto attuativo della legge delega il legislatore ha inteso porre al centro del diritto del lavoro il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, rendendolo più attrattivo rispetto alle altre tipologie contrattuali temporanee e flessibili. Tre sono gli interventi per centrare questo obiettivo: l’esonero contributivo triennale per i nuovi assunti

Arturo Maresca Professore Ordinario di Diritto del Lavoro Facoltà di Giurisprudenza - Università Sapienza di Roma

a tempo indeterminato, la flessibilità interna al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (con la modifica di due norme dello Statuto dei lavoratori, gli artt. 4 e 13 in materia di mutamento di mansioni e controlli tecnologici) e le tutele crescenti, ovvero i costi prevedibili e certi nel caso di licenziamento ingiustificato. Il legislatore vuole invertire la situazione attualmente in essere, spostando il flusso di assunzioni verso il tempo indeterminato perché oggi su 100 contratti solo 15 sono subordinati a tempo indeterminato. C’è chi richiama l’attenzione sulla possibile discriminazione che potrebbe crearsi tra lavoratori diversi della stessa azienda ma contrattualizzati prima o dopo il Jobs Act. È un’ipotesi reale secondo lei? Bypassabile come? Una delle critiche più frequenti mosse al Jobs Act è quella di aver dato vita ad un nuovo dualismo – con difficoltà di natura gestionale per le aziende - perché le nuove regole valgono per le assunzioni effettuate a partire dal 7 marzo di quest’anno. Chi, invece, a tale data era in servizio, non sarà assoggettato al nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo. Se, però, la legge dovesse dare buona prova di sé, con nuove assunzioni a tempo indeterminato da parte delle aziende e senza licenziamenti indiscriminati oggi da alcuni paventati, non è escluso che, in futuro, potrà esserci un’applicazione generalizzata delle nuove norme. Ciò che è certo è che la dinamica di diffusione della nuova normativa sarà molto più rapida di quanto si possa immaginare, in conseguenza del fatto che ogni anno in Italia 3 milioni di persone cambiano lavoro passando da un’azienda all’altra. Ma, brevemente, come funziona il contratto a tutele crescenti e quali vantaggi possono derivare da questo nuovo strumento? Non si tratta di un nuova tipologia di contratto di lavoro, ma più semplicemente del regime sanzionatorio applicabile nel


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Il nuovo impianto potrà funzionare al meglio se il regime indennitario previsto per il licenziamento ingiustificato verrà accompagnato dal sostegno alla ricollocazione del lavoratore

caso di licenziamento ingiustificato del dipendente assunto a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo. In questo caso la regola generale – prevista dall’articolo 3 comma 1 – prescrive che quando il giudice non riscontra una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento, il datore di lavoro è condannato a pagare un’ indennità - da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità – a fronte dell’estinzione del rapporto di lavoro. In altri termini, quindi, al lavoratore è riconosciuta solo ed esclusivamente un’indennità risarcitoria, mentre eccezionalmente opererà ancora la reintegrazione nel posto di lavoro. Questo regime di tutela del lavoratore ingiustamente licenziato, deve essere efficacemente combinato con le politiche attive del lavoro finalizzate a ricollocare il lavoratore in una nuova occupazione presso un’altra azienda, in tempi ragionevoli. Il sintesi il legislatore vuole tutelare l’occupazione del lavoratore, non “il suo posto di lavoro”. Con la nuova normativa del Jobs Act entra infatti in funzione anche il contratto di ricollocazione secondo cui il lavoratore disoccupato ottiene una “dote” individuale che può utilizzare per stipulare con un’agenzia del lavoro autorizzata un contratto che gli fornirà i servizi per la sua ricollocazione. Non ci sono garanzie sull’effettivo e certo reimpiego, ma il corrispettivo per i servizi viene pagato all’agenzia solo a risultato raggiunto ed è diversificato in base alle competenze del lavoratore da ricollocare. Il nuovo impianto potrà quindi funzionare se il regime indennitario previsto per il licenziamento ingiustificato verrà accompagnato dal sostegno alla ricollocazione del lavoratore. Quali sono i casi eccezionali in cui resta la reintegrazione per il lavoratore? La reintegrazione sopravvive solo in 5 casi: il licenziamento per motivi discriminatori, quello nullo, quello orale, quello del dipendente divenuto inidoneo nel corso del rapporto di lavoro e quello disciplinare, ma solo quando il fatto materiale oggetto della contestazione al dipendente sia insussistente. In tutti gli altri casi in cui il licenziamento sia carente di giusta causa o di un giustificato motivo

soggettivo od oggettivo ed anche nei licenziamenti collettivi al lavoratore spetterà un’indennità in una misura variabile in relazione all’anzianità di servizio che non potrà essere inferiore a 4 mensilità e superiore a 24. Il sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo si fonda, quindi, sulla monetizzazione del danno subito dal dipendente, come già si verificava per le aziende fino a 15 dipendenti e per i dirigenti. Presto o tardi finiranno però gli sgravi contributivi previsti dalla Legge di Stabilità per i nuovi assunti. Quali saranno allora i passi che a suo avviso il Governo dovrà compiere per favorire nuova occupazione stabile? L’esonero contributivo triennale e generalizzato non può essere una misura sostenibile nel lungo periodo, ma serve in questo momento per indirizzare le aziende verso il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. L’abbandono di questa agevolazione dovrà essere graduale con una sorta di decalage. A regime, quindi, le risorse non più destinate a questi esoneri contributivi dovrebbero essere utilizzate per realizzare un abbattimento generalizzato del costo del lavoro, intervenendo sul cuneo fiscale. Come dicevo a cambiare dovranno essere soprattutto le politiche attive del lavoro che – se passerà la riforma della Costituzione attualmente in discussione in Parlamento – troveranno un espresso riferimento anche nella Carta costituzionale. Deve esserci uno diverso approccio anche al tema degli ammortizzatori sociali. Le aziende, ad esempio, potranno utilizzare la cassa integrazione solo in caso di accertata necessità che presuppone il preventivo utilizzo delle misure contrattualmente possibili per flessibilizzare gli orari al fine di fronteggiare temporanee difficoltà di tenuta dell’occupazione. La CIG non può più essere utilizzata per mantenere in vita artificialmente un’occupazione che non c’è più, cristallizzando le necessarie azioni di ristrutturazione che aziende e lavoratori devono affrontare. Il Jobs Act sul punto appare chiaro: le risorse saranno indirizzate solo verso chi ha reali necessità di sostegno all’occupazione, non altrimenti fronteggiabili.


P R I M O P IA NO / J OBS ACT

Ammortizzatori sociali, cosa cambia Il Direttore dell'Inps Salerno, Clelia Petrone, chiarisce le novità della NASpI rispetto alla precedente riforma Fornero

di Raffaella Venerando

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on il Jobs Act cambia il sistema di ammortizzatori sociali: come funzionerà e a chi è diretta la NASPI? A decorrere dal 01 maggio 2015 le prestazioni di ASpI e miniASpI saranno sostituite dalla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego). Sono destinatari della NASpI i lavoratori dipendenti, ad eccezione degli assunti a tempo indeterminato dalle pubbliche amministrazioni, degli operai agricoli a tempo determinato o tempo indeterminato. Quali differenze con la ASPI della precedente riforma Fornero? Le novità della NASpI, la nuova assicurazione per l’impiego che prende il posto dell’ASpI in base al decreto sugli

Clelia Petrone Direttore Inps Salerno

ammortizzatori sociali 22/2015, attuativo del Jobs Act, sono relative: ai requisiti di accesso al sussidio, al calcolo e alla durata dell’indennità, ai termini di presentazione della domanda, alle regole sulla compatibilità con un nuovo lavoro o attività. In relazione ai requisiti di accesso va detto che per la NASpI bisogna avere almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti alla risoluzione del rapporto di lavoro, mentre per l’ASpI ci volevano due anni di assicurazione e un anno di contributi nel biennio precedente e per la mini ASpI 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi; il lavoratore deve avere almeno trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione, un requisito che non era previsto per ASpI o mini ASpI; l’erogazione della NASpI, in base all’articolo 7 del decreto, è condizionata alla partecipazione del disoccupato a iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti: questo non era previsto per l’ASpI. In merito, invece, alla misura dell’indennità va precisato che la NASpI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33. L’ASpI, invece, è rapportata alla retribuzione degli ultimi 2 anni, sempre divisa per le settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33. Il calcolo è uguale per i primi mesi. Per questo 2015, la NASpI è pari al 75% della retribuzione se lo stipendio era inferiore a 1.195 euro, mentre per le retribuzioni superiori bisogna aggiungere il 25% della differenza fra stipendio e 1195. Cambiano però i massimali: la NASpI non può comunque superare 1300 euro al


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La richiesta di accesso alla NASpI va presentata all’INPS in via telematica entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, pena la decadenza dal diritto; quella per l’ASpI entro due mesi dall’inizio del periodo indennizzabile

mese, mentre il tetto dell’ASpI era l’importo massimo annualmente rivalutato della cassa integrazione. Ed è diversa anche la progressione nel tempo: la NASpI scende del 3% ogni mese successivo al terzo, l’ASpI scendeva del 15% dopo i primi sei mesi e di un altro 15% dopo il primo anno. Per quanto attiene invece alla durata della prestazione, la NASpI è corrisposta per un periodo pari alla metà di settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, e dal gennaio 2017 la durata massima sarà di 78 settimane. L’ASpI invece è parametrata all’età anagrafica del lavoratore (10 mesi per gli under 50, 12 mesi under 55, 16 mesi per gli over 55), mentre la mini ASpI dura per un periodo pari alla metà delle settimane di contribuzione dell’ultimo anno. La richiesta di accesso alla NASpI, inoltre, va presentata all’INPS in via telematica entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, pena la decadenza dal diritto; quella per l’ASpI entro due mesi dall’inizio del periodo indennizzabile (l’ottavo giorno dalla cessazione del rapporto, termine rimasto uguale). Cosa succede in caso di nuovo lavoro? La NASpI può proseguire, con importo ridotto in proporzione al reddito, nel caso in cui il lavoratore trovi nuova occupazione, anche come dipendente, entro determinati limiti di stipendio (il reddito minimo escluso da imposizione fiscale, intorno agli 8mila euro annui), mentre l’ASpI può esser sospesa nel caso di occupazione a tempo determinato fino a sei mesi, se invece il contratto è più lungo decade. La NASpI è compatibile anche con una nuova attività autonoma o di impresa individuale, sempre nei limiti del reddito minimo: l’interessato deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, per consentire di determinare la riduzione della prestazione. Come funzionerà, invece, la Dis-Coll? In via sperimentale per il 2015, in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1 gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015, è riconosciuta ai collaboratori

coordinati e continuativi e a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, una indennità di disoccupazione mensile denominata DIS-COLL che sostituisce l' una tantum. La DIS-COLL è riconosciuta ai soggetti che hanno maturato almeno tre mesi di contributi nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno solare precedente la disoccupazione alla data di cessazione dal lavoro. Nell’anno solare in cui si verifica l’evento di perdita del lavoro, bisogna avere almeno un mese di contributi oppure un rapporto di collaborazione di almeno un mese con un reddito pari almeno alla metà dell’importo necessario per l’accredito di un mese di contribuzione. Essa è rapportata all’imponibile previdenziale dell’anno in cui si verifica la disoccupazione e di quello precedente, diviso per il numero di mesi di contribuzione. Se il reddito mensile è pari o inferiore a 1.195 euro, l’importo della DIS-COLL è pari al 75% dello stesso reddito; se questo è più alto bisogna aggiungere il 25% della differenza fra reddito mensile e tetto previsto. Si riduce del 3% ogni mese successivo al quarto. Non sono previsti contributivi figurativi. Come la NASpI, spetta dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto oppure dal primo dopo la presentazione della domanda. É compatibile con reddito autonomo con le stesse modalità della NASpI e d in ogni caso non può superare la durata massima di sei mesi. Non è previsto l’accredito di contributi figurativi per il periodo di fruizione della DISCOLL. Secondo lei il nuovo sistema sarà capace di incentivare il lavoratore a ricercare una nuova occupazione? Poiché i sopra citati strumenti sono stati previsti dal legislatore per spingere il lavoratore a ricercare nuovo lavoro, l’auspicio è proprio quello che si realizzino gli obiettivi di dare una scossa all’occupazione.


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P R I M O P IA NO / J OBS ACT

Bonus Assunzioni, i requisiti per accedere al beneficio Il Vice Direttore Inps Salerno, Giovanna Baldi, precisa che lo sgravio contributivo non comporta alcuna riduzione nella misura del trattamento pensionistico

di Raffaella Venerando

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a Legge di Stabilità 2015 prevede sgravi contributivi per i nuovi assunti a tempo indeterminato. Quali sono i requisiti cui il datore di lavoro deve prestare attenzione per poter godere del beneficio? L’esonero in discorso riguarda le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel periodo che va dal primo gennaio di quest’anno in corso al 31 dicembre 2015 ed è riconosciuto per un periodo massimo di 36 mesi. L’agevolazione contributiva non si applica al settore dell’agricoltura, agli apprendisti e al lavoro domestico. L’esonero riguarda il totale dei contributi previdenziali

dovuti dal datore di lavoro, non riguarda i premi INAIL e non è cumulabile con altri esoneri o sgravi. È tuttavia cumulabile con gli incentivi di natura economica (ad es. assunzione di percettori di trattamento ASpI, incentivo ex programma “Garanzia Giovani”, etc...). Esso è inoltre subordinato alla correttezza degli adempimenti contributivi, al rispetto degli adempimenti posti a tutela delle condizioni di lavoro e al rispetto di accordi e contratti collettivi Il massimale annuo di esenzione contributiva per ogni lavoratore (frazionabile in quote mensili) è pari a euro 8.060. Chiariamo meglio la misura: ci saranno riverberi negativi sulle pensioni future dei lavoratori? Il beneficio non comporta alcuna riduzione nella misura del trattamento pensionistico in quanto l’aliquota di computo della pensione rimane quella fissata per la generalità dei lavoratori dipendenti, ovvero il 33%. In caso di interruzione del rapporto di lavoro nel periodo di prova, l’azienda intenzionata ad assumere successivamente lo stesso lavoratore potrà godere comunque del bonus? Se sì, in che misura? Non spetta ai lavoratori per i quali il beneficio sia già stato usufruito relativamente ad una precedente assunzione a tempo indeterminato con lo stesso datore che riassume.

Giovanna Baldi Vice Direttore Inps Salerno

Secondo le stime dell’INPS il provvedimento sarà capace di contribuire concretamente alla creazione di nuova occupazione stabile? Anch’io, come il mio Direttore, nel ribadire che non è compito dell’Inps, né dei suoi dipendenti, giudicare un provvedimento legislativo, mi auguro che si realizzino gli obiettivi di creare nuova occupazione, prefissati dal Legislatore con l’introduzione del nuovo strumento in argomento.


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L ' O P I N I ONE

Fronte del porto Le priorità della riforma per il Presidente dell'Autorità Portuale di Salerno Andrea Annunziata: «Dragaggi, piani regolatori, autonomia finanziaria: sburocratizzazione »

di Raffaella Venerando

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residente Annunziata, il porto commerciale è uno dei punti di forza del tessuto economico della provincia di Salerno. Numeri e performance raccontano, infatti, una realtà in costante avanzamento in cui anche l’attività crocieristica gioca un ruolo di primo piano. Ad oggi quali sono le cifre relative al traffico dello scalo salernitano? Nella provincia di Salerno la prima industria è proprio il porto, con 1200 dipendenti distribuiti su tre turni e con circa 5000 risorse nell’indotto diretto.

Negli ultimi quattro anni inoltre siamo riusciti recuperare le quote di risultato che la crisi ci aveva eroso, tant’è che ad oggi il porto fa registrare un +50% rispetto al 2010. In più il 2014 si è chiuso con uno +26/27% nel settore commerciale, con punte del +36% nel container. Nel settore turistico, la media salernitana è di circa 200mila passeggeri crociera, che diventano in tutto un milione se si tiene conto anche delle vie del mare. Un numero destinato senz’altro a crescere una volta che il nostro avrà smesso di essere un cantiere aperto. Attualmente è in corso un dragaggio importante per il nuovo polo crocieristico; il molo Manfredi, inoltre, già prolungato di 400 metri sarà prolungato di altri 300 metri nel prossimo futuro, con il nuovo Piano Regolatore. A breve, infine, sarà realtà la nuova stazione marittima – progettata da Zaha Hadid - dedicata esclusivamente alle navi da crociera. Nel settore autovetture, poi, con 500mila auto esportate in tutto il mondo siamo stati anche nel 2014 il primo porto italiano. Nel merito della questione, vorrei precisare che non c’è alcun allarme che riguarda il porto (negli scorsi mesi correva voce che Fiat e Grimaldi stessero per lasciare Salerno, preferendogli il porto di Civitavecchia, ndr) perché a Civitavecchia viene destinato quel surplus produttivo della Fiat che il nostro porto non riesce più a contenere. Certo, restano una necessità quelle infrastrutture necessarie a incrementare il traffico ro-ro auto, asset per noi strategico. Un primo, seppur piccolo passo, sarà il completamento del parcheggio multipiano all’interno dello scalo.

Andrea Annunziata Presidente Autorità Portuale di Salerno

Anche in ambito di innovazione tecnologica, come pochi altri porti di eccellenza, Salerno è all’avanguardia nel


12/ 13 produrre incrementi di produttività e velocizzare i processi operativi all’interno del terminal. Un esempio è il sistema di “preclearing”. La produttività elevata di un porto di contenute dimensioni come il nostro è dovuta anche a fattori di innovazione di questo tipo. La procedura di "preclearing” riesce infatti a rendere più snelle le operazioni di sdoganamento delle merci perché in parte tale sdoganamento avviene in mare. Grazie all’utilizzo di sistemi satellitari e di radiolocalizzazione del traffico navale disponibili presso la Capitaneria di Porto, che già garantiscono la sicurezza della navigazione, si può garantire anche la sicurezza doganale delle merci trasportate. Con il “preclearing” si effettua il monitoraggio già in alto mare nel Mediterraneo, operazione che fa risparmiare giorni sulla consegna delle merci sbarcate, con positive ricadute in termini di redditività ed efficienza per gli operatori e per lo Scalo salernitano. Sembra invece svanita l’ipotesi contenuta nella riforma della legge n.84 del 1994 di riduzione delle attuali 24 Autorità Portuali a vantaggio di alcuni “core ports” che dovevano nascere dall’accorpamento di vari centri portuali. Resta però il problema dell’autonomia finanziaria delle Autorità Portuali, inteso come potere di spendere le risorse generate dagli stessi porti. Nel progetto di riforma infatti pare non esserci alcuna buona notizia al riguardo. Cosa ne pensa? Tutto il clamore sull’eventuale accorpamento del nostro scalo con quello napoletano oggi è svanito e direi per fortuna. Il punto infatti non è ragionare contro ma insieme perché Salerno e Napoli uniti potrebbero essere un grande bacino. La portualità campana, se ben coordinata, può essere decisiva per l’intera economia regionale. Potremmo essere primi attori nel Mediterraneo se la riforma, tra le altre cose, velocizzasse la governance e, più che parlare di accorpamenti, sburocratizzasse le autorizzazioni. L’autonomia finanziaria, poi, è la questione madre e dovrebbe essere il principio regolatore della capacità competitiva di un porto: chi riesce da solo a stare sul mercato vince, chi non ce la fa può accorpare e mettere in comune con altri alcuni servizi. In questo modo sarebbe il mercato a decidere le sorti di uno scalo e non una legge. Dragaggi, piani regolatori, comitato portuale che sia conferenza servizi… Lei vorrebbe inoltre trasformare le Autorità Portuali in una

società per azioni come nel modello inglese. Quali sarebbero i vantaggi? Il modello del Nord Europa è il migliore al mondo, mentre altrove ci sono invece diverse tradizioni. A mio avviso il pubblico deve esserci nella gestione perché il mare è un confine di Stato, ma c’è bisogno di un pubblico che aiuti non che invada. Bisognerebbe – oltre a velocizzare ovviamente le procedure - allungare le concessioni ai privati per consentire una migliore pianificazione e organizzazione degli investimenti con concessioni più lunghe. In questo modo lo Stato recupererebbe anche risorse da destinare altrove. Perché vorrebbe un Ministero del mare? La mia è una sorta di provocazione per attirare attenzione sul tema perché il mare è una risorsa autentica, mai seriamente considerata. Ottimizzare le potenzialità del mare equivarrebbe anche a riequilibrare il sistema dei trasporti, oggi troppo sbilanciato sulla gomma. Il mare può essere il futuro, l’orizzonte. L’Autorità portuale di Gioia Tauro ha proposto la creazione di una Zona economica speciale (ZES) connessa con le Aree Vaste e le filiere territoriali logistiche calabresi, per migliorare la competizione con i principali porti europei. Per Salerno una simile iniziativa sarebbe possibile e auspicabile? Non credo, non avrebbe per noi utilità. Certo, è importante che ci sia un hub nazionale per le grandi navi ma poiché noi consegniamo a massimo 150 km, dovremmo interessarci più all’area vasta della nostra regione. Il ragionamento europeo di una portualità con navi da 15000 container non vale per la morfologia italiana, fatta di tanti porti comunque non troppo distanti tra loro geograficamente. Piuttosto, non mi stanco di dirlo, dobbiamo proseguire a servire bene eccellendo sicurezza, velocità e tutela ambientale. Necessari sono, invece, gli strumenti per investire nel retroporto che ad oggi non abbiamo, una maggiore sinergia con Napoli, la creazione di una grande area di interporto che coinvolga anche Avellino e Benevento. Indispensabile è poi ormai il decollo dell’aeroporto. Lo scalo salernitano, specie per la sua localizzazione geografica, potrebbe fare il cargo, rendendo un servizio di estrema utilità alle aziende del nostro territorio. Se non riusciremo a offrire questa possibilità in tempi brevi, perderemo un’altra fetta di investimenti, economia e occupazione.


L ' O PI N I O NE

Dentro la Sanità Privata campana Tra tagli, sprechi e aggregazioni: Ottavio Coriglioni, Presidente del Gruppo Sanità di Confindustria Salerno, fa il punto sullo stato di salute di un comparto interessato da vecchi problemi e nuovi cambiamenti

di Raffaella Venerando

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residente Coriglioni, la Sanità in Campania è commissariata da quattro anni nonostante i bilanci siano ritornati in attivo. Quali sono, allora, i problemi non ancora risolti? Il pareggio di bilancio in Sanità è stato raggiunto nel 2013, ma – ad onor del vero - il risanamento è stato conseguito non per una reale razionalizzazione della spesa, ma grazie ai sacrifici di cittadini e imprese.

Sacrifici che si sono tradotti in limitazioni delle prestazioni erogabili - a Salerno e provincia per il terzo anno consecutivo non ne sono state più prestazioni dai mesi di settembre/ottobre – cui si è poi aggiunta l’introduzione dei ticket, senza contare le addizionali delle imposte e delle accise che gravano sulle imprese. I ticket successivamente sono stati in parte rivisti al ribasso, ma al contempo ne sono stati introdotti di nuovi. Per alcune prestazioni “ospedaliere” - oggi classificate ambulatoriali - è necessario, infatti, pagare un ticket, prima non previsto. A mio avviso, quindi, dei problemi strutturali della Sanità nella nostra regione non solo non ne è stato risolto alcuno, ma non lo si è nemmeno affrontato. Basti vedere le classifiche nazionali delle scorse settimane per gli indicatori dei Livelli Essenziali di Assistenza per il 2013 che ci vedono agli ultimi posti con un punteggio inferiore a 130, soglia sotto la quale si è considerati inadempienti. Noi stessi abbiamo consegnato al Commissario Caldoro il dossier di Confindustria sulle “Realtà Regionali della Sanità sui dati 2012/2013” che, tenuto conto degli indicatori per misurare competitività, attrattività e grado di sviluppo socioeconomico correlato, riprova come la nostra regione sia sempre agli ultimi posti. Tali evidenze, oltre a certificare l’inefficacia del sistema, legittimano quasi certamente, che, nonostante il pareggio di bilancio, continueremo ad essere commissariati.

Ottavio Coriglioni Presidente Gruppo Sanità Confindustria Salerno

Ma gli sprechi della spesa pubblica sono stati sanati? Come dicevo, poco o nulla si è fatto per affrontare


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gli sprechi. I bilanci parlano chiaro, a fronte di un taglio lineare del 2.4% nell’assistenza erogata da strutture a capitale privato, solo lo 0.6% è il contenimento della spesa per le strutture a capitale pubblico. Le strutture ospedaliere a capitale pubblico creano un buco tra prestazioni erogate e risorse impiegate di circa 1 miliardo e 500 milioni di euro l’anno. Questo dato sembra non preoccupare nessuno, anzi questo malinteso senso di difesa della cosa pubblica che vediamo nei funzionari e, talvolta, nel giudice amministrativo, finisce per alimentare l’inefficienza e lo spreco. Qual è il suo giudizio sulla riforma del sistema territoriale di cure? Il sistema territoriale delle cure, almeno quello prospettato dal Decreto “Balduzzi”, ha risvolti interessanti ma anche qui la Campania è impreparata. Al riguardo non è stato fatto un serio studio sui fabbisogni della popolazione, il cardine di qualsiasi scelta programmatica. Ciò che è certo è che la nostra regione è assolutamente carente per l’assistenza territoriale di primo impatto, così come per la continuità assistenziale post ricovero. Passiamo al suo comparto: la Sanità Privata non gode ottima salute specie a causa dei tanti tagli subiti. La prospettiva per questo anno e per l’immediato futuro è più incoraggiante o il quadro resta opaco per le aziende? È dal Governo Monti che il comparto della Sanità Privata continua a subire tagli lineari. A ciò va aggiunto che la Struttura Commissariale non ha difeso le imprese del nostro settore limitandosi ad applicare i tagli senza intervenire sulle strutture a capitale pubblico che, come detto, creano ogni anno, tra prestazioni erogate e risorse impiegate, un buco di oltre 1,5 miliardi di euro. Abbiamo più volte affermato che oggi fare i conti per misurare l’efficienza delle strutture sanitarie è relativamente semplice: basta verificare la produttività delle imprese rispetto ai costi sostenuti. Procedura purtroppo non seguita, seppure prevista dalla normativa vigente (D.Lgs. 502 e seguenti, ivi compresa la riforma “Bindi”). Ci si occupa

solo di assunzioni, che sembrano essere l’unico vero problema della nostra sanità. È chiaro che le assunzioni sono importanti, ma calate in un sistema non ordinato, rischiano di produrre l’effetto inverso, non sono la panacea di tutti i mali, quando ad esempio abbiamo scelto di essere la regione con il minor numero di posti letto per 1000 abitanti. Avere più assunti non significa far crescere i letti e diminuire le barelle, o diminuire i tempi di attesa o i viaggi in altre regioni per cui spendiamo circa 300 milioni di euro l’anno o contenere i ricoveri ospedalieri. L’offerta di prestazioni sanitarie è quindi sottodimensionata rispetto al reale fabbisogno. Come si risolve questo nodo? Al di là di quanto già detto, parte del problema è culturale. Spesso si ha l’idea che in strutture a nord della Campania ci sia maggiore efficienza e, quindi, maggiori garanzie per il paziente, ma non è detto che sia così. É necessario, quindi, fornire informazioni all’utenza dando notizie corrette sulle attività di assistenza e cura, sui percorsi assistenziali che le nostre strutture - sia a capitale pubblico che privato - sono in condizione di erogare, facendo anche rete tra di loro per fornire la migliore assistenza possibile, non solo in senso verticale ma anche orizzontale. Questione pagamenti: il ritardo della pubblica amministrazione è stato recuperato? Qual è ad oggi l’andamento? Effettivamente la questione pagamenti è di molto migliorata. La nostra ASL ormai dal 2011 ha pagamenti regolari e l’attuale dirigenza prosegue su questa strada. Nello scorso anno è stato possibile addirittura ricevere cifre relative ad anni pregressi, grazie ad una transazione con la ASL in cui abbiamo rinunciato ad alcune spese a fronte però di un regolare pagamento. Alcune partite invero sono tuttora aperte, spesso assistite da decreti ingiuntivi anche se non esecutivi. Più volte abbiamo proposto alla struttura commissariale di avviare una trattativa per chiudere in modo “tombale” tutto il pregresso ancora non pagato e determinato da contenziosi vari riportandoli all’anno zero per ripartire con


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L' O PI N I ONE

Necessario aprire un dialogo programmatico tra Istituzioni Regionali, forze sociali ed operatori del settore per la qualità e l’efficienza delle prestazioni indispensabili sul territorio, e farlo in tempi brevi per garantire un servizio sanitario regionale di livello europeo

i conti “puliti”. Sino ad oggi non si è avuta però alcuna svolta positiva in tal senso. La Regione ha accantonato in bilancio delle cifre per il contenzioso ma noi riteniamo che il valore del non pagato sia inferiore all’accantonato. Pertanto un accordo tombale equivarrebbe a rendere disponibili, liberandole, ulteriori risorse. Risorse aggiuntive, inoltre, potrebbero essere ricavate dalla vendita degli immobili non strumentali delle ASL che probabilmente generano più problemi che introiti. La ex ASL Salerno2, ad esempio, possiede più di 50 appartamenti a Napoli. Tariffe: quali sono le richieste e le proposte sul tema per l’ente regionale? Relativamente alle tariffe, la proposta è semplice: dato che tutti i comparti soffrono per la revisione delle tariffe, seppur per motivazioni diverse, noi vorremmo che le stesse rispettassero i costi. Ci rendiamo conto di quanto affermato dal Consiglio di Stato che il momento è difficile e bisogna contenere la spesa, ma è anche vero che lo stesso Consiglio ritiene le tariffe eccessivamente basse. Fa rabbia che le strutture a capitale pubblico siano pagate a piè di lista senza tenere in alcun conto la loro produttività, mentre noi privati riceviamo solo per ciò che realmente produciamo. Almeno le tariffe per la spedalità potrebbero essere uguali a quelle per gli ospedali mentre per quelle della riabilitazione, in questi giorni, si stanno definendo accordi con la Struttura Commissariale. Purtroppo per le tariffe per i laboratori al momento tra accorpamenti ed altro si deve solo attendere la decisione ministeriale. I piccoli laboratori, per norma, così come le case di cura al di sotto dei 60 posti letto, saranno obbligati entro un

anno – al massimo due - ad aggregarsi per restare in vita. Le aziende a suo avviso sono preparate a questo decisivo cambiamento? Quali saranno gli effetti più evidenti di questa diversa modalità anzitutto tecnicoorganizzativa? A mio avviso non siamo affatto preparati e questa è una responsabilità grave delle nostre strutture che non hanno voluto tenere in conto una tendenza già da tempo adottata in Europa. Per il pubblico-utente non vi saranno particolari cambiamenti, anzi c’è da aspettarsi un miglioramento qualitativo; per i piccoli laboratori invece le aggregazioni saranno dolorose e molto personale qualificato, in prevalenza biologi , perderà il lavoro. Questa piccola rivoluzione lascerà non pochi strascichi anche perché non dobbiamo dimenticare che solo tre mesi fa questi stessi laboratori hanno avuto l’accreditamento definitivo, per ottemperare al quale i titolari hanno investito soldi e risorse che avrebbero potuto destinare ad altro se l’accreditamento avesse tenuto conto dell’aggregazione forzata. Stesso discorso vale per le case di cura al di sotto dei 60 posti letto, con l’aggravante che da un punto di vista tecnico è molto più complesso aggregare strutture di ricovero che sono legate al posto letto che non è sostituibile di certo con una risorsa tecnologica. Sarebbe auspicabile, anzi necessario, aprire un dialogo programmatico tra Istituzioni Regionali, forze sociali ed operatori del settore per la qualità e l’efficienza delle prestazioni indispensabili sul territorio, e farlo in tempi brevi per garantire un servizio sanitario regionale di livello europeo. La sanità può essere un valido volano per l’economia regionale.


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Trasporto Pubblico Locale, tanta strada ancora da fare Per Gerardo Buonocore, Consigliere regionale dell’ANAV, sul comparto pesano ancora vecchi nodi mai sciolti di Raffaella Venerando

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ottor Buonocore, un paio di anni fa lei invocava l’avvio delle gare per l’affidamento dei servizi minimi come un primo step per la soluzione della crisi del TPL. Da allora, cosa è cambiato? Purtroppo rispetto alle gare per l’affidamento dei servizi minimi siamo ancora in una fase di stand-by perché il bando regionale è stato impugnato a causa dei requisiti richiesti ritenuti fortemente inibitori per le piccole aziende. I giudici del Tar hanno infatti sospeso le gare regionali, fissando a fine giugno l’udienza di merito. Ovviamente questa incresciosa situazione ha ulteriormente ingessato il comparto, già gravato da diversi problemi, molti dei quali legati alla carenza di risorse che inevitabilmente incidono sull’offerta al pubblico, riducendola, generando sofferenza nelle aziende e malcontento nell’utenza. A ciò si aggiunge un ritardo costante da parte della Regione nel pagamento dei corrispettivi e l’inadeguatezza degli stessi, aggiornati al 2009. Questi fattori congiunti finiscono poi per incidere in negativo sull’occupazione. Sarebbe necessario infatti un adeguamento del “fondo” stanziato dall’Assessore competente al lavoro per la gestione degli esuberi di personale determinatisi a seguito dei tagli ripetuti delle risorse al settore. Finora, inoltre, non è stato erogato un solo euro per gli incentivi all’esodo previsti nell’oramai lontano ottobre 2011, una autentica beffa per quei lavoratori che hanno lasciato il lavoro senza ricevere in cambio quanto promesso. È da pochi mesi entrato in vigore il Nuovo sistema tariffario regionale: qual è il giudizio delle imprese? Non possiamo gridare di certo al miracolo. Il nuovo sistema tariffario, infatti, in molti casi prevede l’adozione di tariffe al ribasso rispetto a quelle correnti e l’adozione di due differenti sistemi: integrato ed aziendale. Il nuovo sistema – che prevede che le tariffe vadano da matrice a destinazione senza tenere conto dei km percorsi - nei fatti penalizza le aziende creando non poche discrasie. A tal proposito, pur condividendo l’intento sociale alla base

Gerardo Buonocore Consigliere Regionale Anav di tale scelta, chiediamo che vengano tutelate anche le imprese prevedendo idonee compensazioni per il recupero dei minori ricavi da traffico. Una soluzione possibile potrebbe essere quella di stabilire costi standard e su questi dimensionare l’offerta dei servizi. In più finora la Regione non ci ha fornito della strumentazione tecnologica per gestire la tariffazione e l’integrazione tariffaria. Insomma, il nuovo sistema scontenta sia l’utenza, sia il sistema delle imprese. A che punto è poi l’intricata vicenda che vede coinvolti Regione Campania, Eav ed aziende? La questione attiene alla dotazione del parco mezzi, nello specifico degli autobus, il più vecchio di Italia. È un circolo vizioso quello tra la Regione Campania, l’Eav e le aziende perché l’Eav non trasferisce i canoni pagati dalle aziende per usufrutto oneroso di bus con i quali si sarebbero dovuti comprare nuovi mezzi, investimento in realtà mai realizzato. Per risolvere tale spinosa vicenda noi proponiamo che si realizzi un riscatto definitivo degli autobus stabilendo il criterio per la determinazione del valore.


FO C U S

Risorse Idriche: lo stato dell’arte della spesa pubblica e della Legge Obiettivo I risultati di uno studio SRM e Servizio Studi Intesa Sanpaolo mostrano che una buona percentuale degli esborsi per investimenti idrici è effettuata dagli Enti territoriali e locali di Alessandro Panaro Responsabile Infrastrutture SRM

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gli inizi di marzo a Napoli è stato presentato nel corso di un seminario organizzato da SRM lo studio intitolato “L’industria Idrica”; un settore che è vitale per lo sviluppo della nostra economia

e per il benessere della popolazione e di cui poco si parla, ma che configura un vero e proprio sistema industriale con gestioni variegate e complesse e investimenti infrastrutturali. In questo testo ci

focalizziamo sulla spesa pubblica e sulle grandi opere guardando ai flussi finanziari. L’andamento della spesa in conto capitale rappresenta un’espressione dell’eterogeneità territoriale

Grafico 1_Distribuzione ed evoluzione per ripartizioni territoriali della spesa in conto capitale - Anni 2007 - 2012, Settore Idrico (Milioni di euro) / Fonte: Elaborazioni SRM su banca dati CPT


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Se consideriamo il peso del settore acqua nell’ambito degli esborsi complessivi dei 3 principali settori “ambientali” (idrico, smaltimento dei rifiuti ed energia), a livello Italia, negli ultimi 6 anni l’incidenza in termini di spesa dell’idrico sul totale dei 3 comparti considerati è pari mediamente a circa un quinto del dato complessivo con una punta massima del 25,8% nel 2008 e una minima del 16,2% nel 2011

degli esborsi per investimenti nel settore idrico. L’analisi dell’output della banca dati Conti Pubblici Territoriali del DPS-MEF sui flussi di spesa del Settore Pubblico Allargato (S.P.A.) evidenzia differenti situazioni sia nella ripartizione degli importi per singoli territori regionali che nel la distribuzione per livelli di governance. I dati utilizzati ai dell’analisi sono relativi alla spesa in conto capitale per i comparti “Acqua” e “Fognatura e Depurazione acque”. Il grafico 1 mostra la dinamica della spesa annua nel periodo 2007-2012 suddivisi per partizione territoriale. Dopo l’aumento del 2008 si assiste ad una successiva costante diminuzione nel livelli di spesa, con una ripresa nei dati relativamente alla spesa del Centro Nord tra il 2010 ed il 2011 ed una nuova decrescita di questi ultimi nell’ultimo anno disponibile. É evidente, altresì, come gli importi spesi nelle regioni del Mezzogiorno per il comparto idrico siano inferiori rispetto a quelli relativi al Centro-Nord, e pari mediamente a circa un terzo della spesa totale a livello Italia.

Osservando il dato di spesa rapportato alla popolazione, il Centro Nord si distingue sempre per gli importi maggiori, tranne che nel 2009 in cui gli importi pro-capite della macroarea Sud risultano superiori e nel 2012 in cui si equivalgono. Se invece consideriamo il peso del settore acqua nell’ambito degli esborsi complessivi dei tre principali settori “ambientali” (idrico, smaltimento dei rifiuti ed energia), a livello Italia, negli ultimi 6 anni l’incidenza in termini di spesa dell’idrico sul totale dei 3 comparti considerati è pari mediamente a circa un quinto del dato complessivo con una punta massima del 25,8% nel 2008 e una minima del 16,2% nel 2011. Proprio in relazione a quest’ultima percentuale è da segnalare che, ad una progressiva diminuzione degli esborsi per il settore idrico, non è corrisposto un simile trend negli altri due comparti. La spesa per rifiuti ed energia nel 2011 è aumentata rispetto all’anno precedente, rendendo maggiormente evidente il divario rispetto al comparto acqua. Nell’analisi dei dati relativi alle partizioni territoriali si evidenzia

che i valori di riferimento del Centro Nord risultano in linea con quelli base Italia, mentre nel Sud, tra il 2008 ed il 2009, sono evidenti percentuali più elevate. Scendendo nel dettaglio degli esborsi finanziari a livello territoriale, è stato operato un confronto tra i livelli di spesa per il settore idrico su base regionale per comprendere in quale territorio siano stati convogliati i maggiori flussi nell’ultimo triennio. La mappatura mostra in maniera immediata l’intensità di spesa pro capite a livello regionale, evidenziando dove c’è la maggiore concentrazione degli esborsi e dunque dove sono stati effettuati i maggiori investimenti: 13 regioni su 20 presentano dati di spesa inferiori ai 50 euro/abitante, e solo due sono i territori in cui i valori risultano più elevati: Liguria e Trentino nel Nord del Paese. I conti pubblici territoriali relativi all’Italia, e quelli delle partizioni territoriali Centro-Nord e Mezzogiorno, consentono di effettuare anche un’analisi della governance del settore idrico. A livello Italia, di minore rilevanza risulta la percentuale di


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F O CU S

Molise Abruzzo Campania Basilicata Puglia Calabria Sicilia Sardegna Totale

numero opere

Costo al 31 ott. 2013

Disponibilità al 31 ott. 2013

Fabbisogno al 31 ott. 2013

6 9 7 12 8 4 7 11 64

631.946 1.420.091 1.177.280 743.407 665.163 345.401 383.970 570.746 5.938.004

187.305 46.608 435.570 352.106 329.577 120.321 241.308 342.713

444.641 1.373.483 741.710 391.301 335.586 225.080 142.662 228.033

2.055.508

3.882.496

Grafico 2_Legge Obiettivo: costo al 31 ottobre 2013 per Regione (dati in migliaia di euro) / Fonte: Servizio Studi, Camera dei Deputati spesa effettuata dallo Stato e dalle Amministrazioni Regionali, che nel complesso supera di poco il 10% del totale. Sono le imprese pubbliche locali ad aver speso in misura maggiore (63%). Soffermandosi sulle partizioni territoriali, emerge per il CentroNord una maggiore rilevanza delle imprese pubbliche locali, alle quali sono imputabili oltre il 70% della spesa totale. Al Sud la spesa pubblica sostenuta dalle imprese pubbliche locali pesa per poco più del 49%, mentre quella sostenuta dalle Amministrazioni Regionali e Locali rappresenta circa il 46% del totale, a testimonianza che, in presenza di ancora numerose gestioni in economia, una buona percentuale degli esborsi per investimenti idrici è effettuata dagli Enti territoriali e locali. Analizzando invece la Legge Obiettivo, l’ultimo Rapporto su “L’attuazione della Legge Obiettivo” della Camera dei

Deputati riporta lo stato di attuazione delle grandi opere infrastrutturali per lo sviluppo del nostro Paese, aggiornata a ottobre 2013. Esso prende in considerazione 1.359 lotti relativi a 403 opere il cui costo complessivo presunto di realizzazione è pari a 375,3 miliardi di euro. La categoria degli Schemi idrici comprende 64 opere che riguardano esclusivamente le otto regioni del Mezzogiorno per un costo complessivo previsto di oltre 5,9 miliardi di euro dei quali solo il 35% circa è classificato come disponibile. La regione con il maggior numero di opere è la Basilicata (12 su 64), mentre sulla base dell’ammontare complessivo del costo delle opere prevale il dato dell’Abruzzo con oltre 1,4 miliardi di euro (come emerge dal grafico, poco meno di un quarto del totale). Per nessuna delle 8 regioni, inoltre, vi è la totale copertura finanziaria e il

fabbisogno complessivo raggiunge i 3,9 miliardi di euro. La maggior parte degli interventi risulta essere in fase di programmazione (45,6%), ma si rileva anche un 10% di interventi conclusi per un ammontare pari a 607 milioni di euro. Se si considerano solo le opere deliberate dal CIPE, emerge come quelle per gli schemi idrici sono 26 per un costo complessivo pari a circa 1,6 miliardi di euro. Dai dati di dettaglio si rileva, inoltre, come le opere con lavori in corso e ultimate incidono insieme per oltre la metà del costo complessivo (67%), quelle in fase di progettazione e in gara per il 27% e quelle affidate per poco più del 6%. Ci fermiamo qui, l’analisi è molto più dettagliata e contiene anche alcune proposte e spunti per migliorare. Per saperne di più lo studio è disponibile su www.sr-m.it (free download dopo iscrizione gratuita).


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CO N F I N D US TRIA

Insieme per l’Agro, accordo tra Confindustria Salerno e la Curia L’intesa tra i responsabili del Progetto Policoro della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno e gli imprenditori salernitani si propone di coordinare, potenziare e mettere in rete i servizi di informazione, orientamento e accompagnamento per la formazione ad una nuova cultura del lavoro e alla creazione d’impresa di Gaia Longobardi Ufficio Studi e Comunicazione Confindustria Salerno

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onfindustria Salerno e la Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno si sono rese protagoniste del primo accordo operativo in Italia tra un’associazione imprenditoriale e la Curia. L’intesa si propone di coordinare, potenziare e mettere in rete i servizi di informazione, orientamento e accompagnamento per la formazione ad una nuova cultura del lavoro e alla creazione d’impresa. Una sinergia inedita, sancita al termine di un percorso fatto di incontri e confronti tra i responsabili del Progetto Policoro della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno e Confindustria Salerno. Il Progetto Policoro nasce a livello nazionale dalla volontà di don Mario Operti per i giovani disoccupati del Sud che auspicava «strade nuove e soluzioni inedite affinché tutti insieme sul territorio operassero per risolvere il grave problema della disoccupazione». Secondo questo progetto, le comunità ecclesiali devono investire sulle capacità dei giovani di promuovere un autentico sviluppo e di dare una testimonianza cristiana caratterizzata dalla solidarietà e dal rispetto della legalità. Partendo da questi presupposti, l’Accordo, intitolato “Insieme per l’Agro”, ha come finalità la promozione di servizi di informazione e consulenza sugli strumenti legislativi a sostegno della autoimprenditorialità e dell’auto-impiego, la ricerca delle opportunità e l’analisi dei fabbisogni formativi, l’orientamento e l’assistenza nella scelta delle diverse tipologie di strumenti di finanziamento utilizzabili e sulla scelta della forma giuridica.

Monsignor Giudice, Vescovo della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, all’atto della firma dell’Accordo, ha sottolineato che «l'iniziativa si inserisce nel percorso del Concilio giovane che stiamo vivendo a livello diocesano. Il Progetto Policoro, sin dal primo momento, è stato profetico perché ha saputo guardare lontano nell'ampia realtà del mondo del lavoro. Una profezia che diventa speranza per i giovani, i quali sono aiutati a riscoprirsi imprenditori di se stessi. L'accordo ci consente di continuare su questa strada consapevoli del fatto che la Chiesa è dentro la realtà umana e ricorda tutti che la dignità nasce dal lavoro». Anche il Presidente di Confindustria Salerno, Mauro Maccauro, ha fatto riferimento alla dignità dell’uomo, precisando che l’Accordo con la Diocesi parte dalla consapevolezza che al lavoro si deve necessariamente legare il concetto di dignità che è imprescindibile in un momento storico particolare come quello che stiamo attraversando. «Le intese operative con il mondo dell’associazionismo – ha affermato Maccauro - rientrano a pieno titolo tra le azioni di Confindustria Salerno tese a dare un contributo concreto per la crescita del territorio. E il momento sembra particolarmente propizio perché l’Agro-nocerino-sarnese intravede, come il resto delle provincia, piccoli segnali di ripresa economica e produttiva ed è, dunque, in quest’ottica che si inserisce la firma di un accordo finalizzato a favorire e a sostenere l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, la formazione continua per i lavoratori e il sostegno all’auto-imprenditorialità».


C O N F I N DUS TRIA

Expo 2015, la Campania e i territori delle eccellenze agroalimentari L'Esposizione universale rappresenta un'opportunità unica per diffondere ulteriormente la conoscenza delle produzioni salernitane

Gerry Sica Consigliere Delegato Confindustria Salerno gerrysica@libero.it

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er almeno sei mesi l’Italia sarà sotto i riflettori mondiali per la tanto attesa Esposizione universale. Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita” va decisamente oltre il semplicistico concetto di fiera. Rappresenta il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione che, nel dare una risposta concreta all’esigenza vitale del cibo sano per tutti, riesce a coniugare tradizioni alimentari e gastronomiche con le innovazioni tecnologiche, la ricerca, la cultura a 360 gradi, la valorizzazione sociale, la sostenibilità ambientale, la sicurezza e tanto altro ancora. Una grande rete che coinvolge più di 140 Paesi e organizzazioni internazionali con una vetrina unica di opportunità e componente business che vede in prima linea aziende e mondo imprenditoriale. L’attenzione, indubbiamente, sarà puntata sul padiglione dell’alimentare italiano che sarà meta, unitamente ai visitatori, di migliaia di operatori professionali. Per il nostro Paese, è bene ribadirlo, l’agroalimentare è un asset strategico, in molti settori vantiamo la maggior quota di mercato

globale, con più di un miliardo di persone che acquistano ogni anno un prodotto Made in Italy. Ma come arriviamo a questo appuntamento? Come al solito, sparigliati e in ordine sparso. Le Regioni si sono proposte singolarmente, con il risultato di avere in calendario iniziative frammentate e un approssimato livello di consapevolezza nei cittadini italiani rispetto agli obiettivi dell’evento. Sembrerebbe essere mancata la visione d’insieme, il "saper fare sistema" si diceva qualche anno fa, e, ancora una volta, l’eccessivo individualismo degli attori in campo pare aver prevalso. In tale contesto, il contributo che la Campania può dare a Expo per le sue ricchezze e eccellenze in campo agroalimentare è sicuramente rilevante e l’Esposizione rappresenta un momento importante per diffondere ulteriormente l’eccellenza campana attraverso un comparto che può diventare, più di adesso, volano di sviluppo e fattore di crescita e di tutela dei nostri territori. La nostra Regione dovrebbe sicuramente attivarsi per


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Sembrerebbe essere mancata la visione d’insieme, il "saper fare sistema" si diceva qualche anno fa, e, ancora una volta, l’eccessivo individualismo degli attori in campo pare aver prevalso

garantire ampia visibilità ad un patrimonio che la rende tra le prime per qualità delle produzioni agroalimentari e promuovere, allo stesso tempo, la conoscenza e le peculiarità delle aree di produzione. Tante contraffazioni, d’altronde, trovano mercato perchè al consumatore manca proprio la conoscenza dei luoghi di origine dei nostri tesori alimentari. La provincia di Salerno, a tal proposito, vanta un tessuto di imprese agroalimentari di primo piano altamente competitive sui mercati internazionali, un settore conserviero e della trasformazione degli ortaggi che non ha eguali nel mondo e un’offerta di produzioni alimentari di pregio: Dop e Igp come il fico bianco del Cilento, il pomodoro San Marzano e il limone della costiera amalfitana, un distretto caseario con punte di diamante come la mozzarella di bufala campana. La nostra provincia si configura come una straordinaria "food valley", insomma. Un’area naturalmente favorita da un clima che ha creato le basi per l’affermazione di un modello alimentare preso a riferimento in tutto il mondo, la cosiddetta “dieta mediterranea”, divenuta sinonimo di benessere

e salute. Inoltre, le attrattive turistiche-paesaggistiche-culturali eccezionali, come le costiere Amalfitana e Cilentana ma anche i templi di Paestum, la Certosa di Padula e tante altre risorse, completano un quadro attrattivo che necessita l’inclusione in un unico e grande sistema. Tuttavia la risposta del territorio in termini di servizi è inferiore alle aspettative. Ci sarebbe tanto da fare. In primis, il prolungamento della pista dell'aeroporto di Pontecagnano e l'ammodernamento dello scalo, il miglioramento del sistema di viabilità, tanto per fare qualche riferimento restando in ambito provinciale. È uno sforzo imprescindibile per dare l’impulso necessario all’agroalimentare salernitano che è un enorme serbatoio di tradizioni e gusto con un elevato potenziale da esprimere. Un progetto ambizioso potrebbe essere sicuramente quello di coniugare l’eccellenza alimentare delle imprese con la produzione culturale e il turismo, utilizzando anche il web e i social media per la promozione e la diffusione della conoscenza del nostro patrimonio o nuovi modelli organizzativi come le reti di impresa. Rete Destinazione Sud, ad esempio, è stata una

lungimirante iniziativa di aggregazione tra imprenditori, nata per dare vita a un prodotto turistico Sud Italia da proporre come unica entità sui mercati internazionali. D’altronde, tra gli obiettivi di Expo 2015 vi sono anche i progetti legati alla crescita di ogni ambito culturale e territoriale adeguatamente declinati con voci e competenze, per stimolare la curiosità e la voglia di conoscere che da sempre muovono il mondo, soprattutto in occasione dell’evento di Milano. Ne derivano programmazioni cinematografiche a tema, iniziative didattiche e attività connesse per una Esposizione che va oltre il momento di visita vero e proprio ma che possa raggiungere il cuore dei territori. I progetti messi in campo meritano, dunque, un coordinamento più incisivo, e in quest'ottica si sta impegnando il delegato all'Expo di Confindustria Salerno, definendo le priorità ed evitando spreco di risorse, con istituzioni e associazioni che devono operare in un rapporto non gerarchico. Ammesso che si riesca a superare gli individualismi e si impari a coltivare le eccellenze. Se non saremo in grado di sfruttare un’occasione come Expo allora sarà giusto porsi grandi interrogativi sulle nostre capacità.


CO N F I N D US TRIA

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Internazionalizzare per crescere Molte imprese hanno saputo cogliere la sfida di aprirsi all'estero. A vincere è chi cambia Marco Gambardella Vice Presidente Gruppo Giovani Imprenditori Confindustria Salerno

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er reggere la competizione sui mercati oggi è sempre più necessario per le imprese internazionalizzarsi, oltreché crescere in competenze, capacità innovative, efficienza e dimensione. La crisi finanziaria del 2008, la più lunga dal dopoguerra, ha imposto alle aziende l’obbligo-opportunità di trasformarsi cambiando profondamente visioni e prospettive, costringendole a ripensare le proprie strategie produttive e competitive, per poter fronteggiare con successo le mutate condizioni di mercato e la concorrenza internazionale. Sempre più PMI, infatti, si sono impegnate per veder crescere la propria percentuale di fatturato verso l’estero, finanche in paesi un tempo così lontani da sembrare irraggiungibili. Oltre al vantaggio competitivo derivante dal buon

appeal che da sempre il made in Italy ha sui mercati oltreconfine per qualità ed eccellenza, per le imprese un aiuto fondamentale in questi processi espansivi è arrivato dalle nuove tecnologie di Internet e dagli strumenti di marketing (e-commerce, cloud) che permettono, tra l’altro, di avere una vetrina dei loro prodotti sul mondo, ma anche da fattori contingenti come il deprezzamento dell’euro, un QE imponente e un prezzo del petrolio ai minimi storici. Dinanzi a questi mutati scenari, gli imprenditori italiani hanno scelto ancora una volta la strada del fare, investendo in capacità produttive ma soprattutto, e molto, in capitale umano. Le aziende vivono oggi di costanti cambiamenti, di aggiornamenti formativi continui grazie ai quali migliorano le conoscenze e com-

petenze linguistiche al proprio interno, ma anche quelle relative allo studio di culture e modi di operare sui mercati talvolta molto diversi. Senza dubbio anche l’Expo 2015 di Milano, una vetrina mondiale per il food, sarà una preziosa occasione per le imprese, considerato l’elevato numero di visitatori previsto (si stima 10 milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo). Lo sarà ancor di più per le nostre tante PMI del settore agroalimentare, il secondo per export. In questo scenario sarebbe determinante per le imprese poter contare su di un sistema Unione Europea che regoli la competizione in maniera equa, vigilando su eventuali condotte sleali e sanzionando le possibili illeceità che uno scacchiere competitivo oramai così esteso e globalizzato potrebbe nascondere.


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She Business Advanced, un progetto al femminile Trentacinque donne imprenditrici e manager a scuola di Innovation & Networking

di Monica De Carluccio Servizi alle Imprese Confindustria Salerno

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quadra che vince, non si cambia. Questo adagio è quanto mai vero per l’esperienza del format “SHE BUSINESS”, nato nel 2013, che quest’anno coinvolge 35 donne imprenditrici e con ruoli gestionali di imprese della provincia di Salerno di tutti i settori produttivi, in un percorso di apprendimento esperienziale, imperniato sulla centralità della leadership e sul potenziamento delle leve per viverla, a partire dall’acquisizione di nuovi modelli e strumenti manageriali che favoriscano l’innova-

zione e incoraggino il networking. Il progetto, realizzato con il contributo economico della Camera di Commercio di Salerno, è promosso e attuato dal Comitato Femminile Plurale di Confindustria Salerno - presieduto da Stefania Rinaldi della Rinaldi Group - ed erogato in collaborazione con il DISTRA/ Dipartimento Studi e Ricerche Aziendali dell’Università degli Studi di Salerno. Responsabile Scientifica del progetto è la professoressa Carmen Gallucci, mentre Giuliana e Francesca Saccà ne sono le con-

sulenti per la formazione esperienziale. La formazione - cominciata a febbraio - è articolata in dieci incontri a cadenza settimanale, che si terranno fino a maggio 2015. L’ultimo appuntamento in aula sarà un momento finale di divulgazione dei risultati del percorso. L’iter di apprendimento esperienziale si basa su di una modalità learning by doing, con risultato un “progetto di business innovativo” e lo sviluppo di nuove occasioni di crescita e di aggregazione tra imprese.


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BU SI N ES S

Lowendalmasaï, il partner giusto per moltiplicare la crescita del PIL La società di consulenza di direzione vanta al proprio interno un Dipartimento R&D Advisory, grazie al quale offre ai clienti assistenza per la gestione e ottimizzazione dei processi di richiesta di finanziamenti agevolati, contributi a fondo perduto e incentivi fiscali, per supportare le aziende che vogliono investire in innovazione e sviluppo tecnologico a cura della Redazione

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owendalmasaï è una società di consulenza di direzione specializzata in Enterprise Cost Management, con l’obiettivo di aiutare le aziende a controllare i costi per migliorare le proprie performance preservando il capitale umano. Al proprio interno, Lowendalmasaï vanta un Dipartimento R&D Advisory, grazie al quale offre ai propri clienti servizi di consulenza indirizzati alla gestione e ottimizzazione dei processi di richiesta di finanziamenti agevolati, contributi a fondo perduto e incentivi fiscali, erogati dalle istituzioni per supportare le aziende che vogliono investire in innovazione e sviluppo tecnologico. Attraverso il proprio network internazionale, Lowendalmasaï è in grado di aiutare le aziende a sfruttare le potenzialità a livello locale, nazionale, europeo e cross-country. Le soluzioni proposte si rivolgono a tutte le realtà che conducono ricerca di base e applicata, sviluppo sperimentale (test, esperimenti, si-

mulazioni e/o prototipi) e attività finanziabili attraverso programmi UE. Lowendalmasaï propone un approccio operativo disegnato specificamente sulla base delle esigenze e delle caratteristiche del cliente, per accompagnarlo in ogni fase del processo, fino all’ottenimento del risultato previsto. Obiettivo è quello di sviluppare e migliorare i prodotti e i processi, identificando al tempo stesso le opportunità di finanziamento, per permettere alle aziende una maggiore competitività sul mercato globale. Inoltre, Lowendalmasaï sfrutta le opportunità offerte da Horizon 2020, il nuovo programma di finanziamento destinato alle attività di ricerca della Commissione Europea. Questo programma, attivo da dicembre 2014 fino a fine dicembre 2020, mette a disposizione di ricercatori e innovatori gli strumenti necessari per la realizzazione dei propri progetti e delle proprie idee, incentivando la cooperazione tra le aziende dei Paesi europei.


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NE W E N T RIE S

Lamberti Design, la fabbrica dal cuore e polso d’acciaio Dal 2011 l’azienda cavese specializzata in arredamento di interni ed esterni ha ampliato ancora di più il suo raggio d’azione. È nata così la Lamberti Decor, un nuovo marchio che si fregia della collaborazione di brillanti architetti e designer internazionali

di R. Venerando

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al 1985 la Lamberti Design lavora il metallo per arredamenti da interno ed esterno in una fabbrica laboratorio, incastonata a mo’ di gemma preziosa nella montagna cavese, alla via Arte e Mestieri. Sarà una casualità ma la strada che racchiude e protegge il silenzio operoso dell’azienda pare averne segnato il destino e la buona stella. Dopo avere a lungo, infatti, prodotto strutture in ferro e alluminio, negli anni ’90 l’azienda - raccogliendo l’eredità del maestro Matteo della Corte - si specializza nella lavorazione dell’acciaio diventando rapidamente leader nel settore, sia a livello nazionale, sia internazionale. Grazie a qualificate collaborazioni con artigiani locali e a tecnologie sempre più all’avanguardia,

Fluid Ribbon Chair

la Lamberti Design è all’altezza oggi di rispondere a qualsivoglia commessa nella lavorazione dei metalli, offrendo soluzioni “complete” di elevato pregio estetico, perfette per cura dei particolari e minuzia dei dettagli. Il core business resta la progettazione e realizzazione di arredo negozi, che mettono in vetrina - ovunque nel mondo - la bellezza ricercata dei prodotti Lamberti Design. Il grande salto oltre confine l’azienda lo ha fatto con l’ingresso in società della seconda generazione, Vincenzo e Maria, figli del fondatore Carmine. Per carattere e genio familiare, non c’è sfida che i Lamberti non abbiano accettato arrivando addirittura a costruire macchinari nuovi o a perfezionarli per esigenze di lavorazione insolite o mai affrontate prima, come successo per la tecnologia waterjet a controllo numerico, che con il taglio ad acqua permette di tagliare, con il massimo grado di precisione, sia i materiali più duri che quelli più morbidi. Quattro anni fa poi l’azienda ha deciso di ampliare ancora di più il suo raggio d’azione. È nata così la Lamberti Decor, un nuovo marchio di cui Lamberti Design è produttore ufficiale con sede anche negli Stati Uniti. Architetti e

Scrivania Onda designer di fama internazionale del calibro di Giancarlo Petrazzoli - sue le linee Onda, Rigo, Arco dell’azienda - di Robert Evans, di Michael d'Amato - la mente della Fluid Ribbon Chair, di Antonio Pio Saracino - che ha la natura come musa - danno forma a creazioni uniche, realizzate dalla Lamberti Decor a mano con tecniche artigianali, gioielli “solitari” anche customizzabili a seconda delle proprie esigenze. I pezzi di arredamento dell’azienda cavese – molti scultorei – sono così diventati meta del desiderio di acquirenti americani e arabi vogliosi di avere tanta bellezza e qualità made in Italy a portata di mano. Un successo lucido, destinato a durare. Alla Via Arte e Mestieri il foglio bianco è infatti già pronto per accogliere e veder crescere un nuovo progetto.

Lamberti Design srl Via Arte e Mestieri snc / Cava De’Tirreni (SA) www.lambertidesign.it / www.lambertidecor.com Tel. 089 46 16 81 info@lambertidesign.it


N E W E N T RIE S

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DelNas, la competenza non è solo una questione di etichetta La società, oltre ad occuparsi di consulenza ambientale, certificazioni, sicurezza sul lavoro, mette a disposizione delle aziende alimentari le proprie conoscenze specialistiche per un’etichettatura dei prodotti trasparente

A cura della Redazione

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a Del.Nas. s.n.c. - nata nel 2008 si occupa di consulenza ambientale, certificazioni, sicurezza sul lavoro e valutazione tecnico scientifica ex regolamento comunitario N. 1169/2011. Dotata di un modernissimo laboratorio di analisi chimico–fisiche e merceologiche, la società è capace di offrire alle aziende un’esperienza altamente qualificata e strutturata, maturata sul campo dopo anni di consulenza all’interno delle migliori realtà produttive italiane.

Per quel che concerne il delicato tema della sicurezza sul lavoro, la Del.Nas. dà supporto tecnico, organizzativo e procedurale al datore di lavoro per quanto attiene alle misure di prevenzione e protezione previste dalla legge (DVR, DUVRI, RSPP, etc.).

Cons ulenza T e c nic o Sc ie nt ific a s ulla bas e de l R e gola m e nt o Eur opeo 1169/ 20 1 1 L'etichettatura rappresenta un importante strumento di informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari. In Unione Europea vige il RegolaA m b i e nte mento (UE) 1169/2011 che, dopo Nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia ambientale, la Del. tre anni di transitorietà, è divenuto cogente il 13 dicembre 2014. Nas. svolge un lavoro preventivo L'obiettivo dell'etichettatura è fornire di consulenza teso ad informare le un'informazione corretta e trasparente aziende sulle novità legislative al fine sul prodotto alimentare, senza indurre di ottenere le autorizzazioni di cui necessitano (AUA, AIA, ex SIN, etc.), in errore il consumatore circa le caratoltre ad essere esperta in inquinamento teristiche dell'alimento. La ratio del nuovo Regolamento preambientale, acustico e gestione dei vede che l’etichetta sia uno strumento rifiuti. Il modernissimo laboratorio di analisi e sempre più fruibile per il consumatore. monitoraggio ambientale, infatti, rap- Trasparenza, chiarezza e semplicità presenta un vanto per la società per la sono i paradigmi da seguire. massima attendibilità che deriva dalla Il vulnus della nuova norma risiede nel venir meno dell'obbligo di indicaqualità delle analisi in esso effettuate.

zione della sede di stabilimento in cui l’alimento è stato “prodotto”, variazione che ha creato non poche polemiche soprattutto per le unità produttive presenti in Italia. Tutte le informazioni, inoltre, devono essere riportate in caratteri leggibili e indelebili, intellegibili al consumatore e quindi opportunamente tradotte nelle diverse lingue. La Del.Nas., coadiuvata da tecnologi alimentari e capaci legali, è in grado di offrire alle aziende interessate, specie quelle che esportano le proprie merci nel mondo, la propria expertise e consulenza per realizzare un packaging pienamente conforme al regolamento comunitario e nel rispetto dei canoni linguistici di ogni Stato membro.

DelNas s.n.c. V ia delle Fontane, 45 84012 Angri (SA) Tel. 081 18953023 info@delnas.it food@delnas.it


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Cesarmarine, un’azienda sulla cresta dell’onda Le prossime sfide sono orientate ad incrementare la vocazione turistica con i servizi di water-taxi e di Boat & Breakfast

A cura della Redazione

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a Cesarmarine S.r.l. nasce nell’autunno del 2006, forte della pluriennale esperienza della famiglia Capone nel settore nautico. Incipit dell’avventura imprenditoriale è l’acquisizione del mandato per la distribuzione nella provincia di Salerno dei prodotti della Suzuki Marine, marchio in ascesa a livello mondiale per volumi di vendita nel mercato dei motori fuoribordo. Gli ottimi risultati conseguiti in breve tempo consentono alla Cesarmarine di figurare presto tra i primi rivenditori in Italia. A questo successo se ne aggiunge rapidamente un altro: l’ottenimento nel 2008 del mandato per la commercializzazione dei battelli pneumatici del celebre multinazionale francese Zodiac. Grazie ad una valida competenza nel settore commerciale e ad una provata esperienza nel comparto marino, la Cesarmarine ha negli anni migliorato la qualità e la quantità della propria offerta, affiancando alla vendita e all'allestimento di imbarcazioni e battelli pneumatici, un'efficiente officina meccanica (autorizzata Suzuki Marine) con un servizio di pronto intervento H24 via terra e via mare. Nel 2013

ha inaugurato inoltre in via Porto a Salerno un piccolo showroom con la disponibilità costante di ricambi e accessori “onsite”, mentre nel 2014 ha implementato il servizio di rimessaggio e manutenzione al coperto e allo scoperto con l'acquisizione della nuova struttura di oltre 3000 mq a Baronissi (Sa), a poche centinaia di metri dall'uscita di Baronissi nord. È Maksimilian Capone, il giovane amministratore della Cesarmarine, a raccontarci le sfide future: «Quest'anno prevediamo di rendere operativo anche il noleggio di natanti a breve e lungo termine, oltre al servizio di ormeggio a secco in collaborazione con il Cantiere Soriente di Salerno per unità fino a

8 metri. Le sfide future sono orientate ad incrementare la vocazione turistica dell'azienda con i servizi di water-taxi e di Boat & Breakfast. Da un punto di vista strategico, stiamo pianificando la ristrutturazione e l'ampliamento dello stabilimento di Baronissi con la creazione di un grande showroom dedicato alla nautica, traendo ispirazione da quello allestito da mio padre Cesare negli anni ’70 e che è stato culla della mia profonda passione per il mare».

Cesarmarine V ia Porto, 118 Salerno Tel/Fax +39 089/9432055 www.cesarmarine.it info@cesarmarine.it


N E W E N T RIE S

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Sicuri, garantisce Gefina Broker La qualificata esperienza trentennale consente al broker salernitano di fornire al cliente coperture per tutti i rischi tra cui fidejussioni e cauzioni, credito, trasporti, aviation e marine

A cura della Redazione

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a Gefina Broker opera nel settore assicurativo e finanziario da circa 30 anni, avvalendosi di professionalità esperte e qualificate e potendo vantare collaborazioni con i principali partner italiani e stranieri. Il Presidente del Consiglio di Amministrazione è Roberto Feo che ha iniziato la propria carriera nel mondo assicurativo nel 1980, presso la Direzione di una primaria Compagnia Italiana. Dopo qualche anno Roberto Feo ha intrapreso l’attività imprenditoriale con diversi mandati di agenzia di importanti compagnie per poi entrare nel mondo del brokeraggio assicurativo e finanziario. Il portafoglio clienti della Gefina Broker spazia dal pubblico al privato, dal settore industriale al mondo delle piccole e medie imprese, dalla sanità alla grande distribuzione, avendo incarichi, in qualità di broker esclusivo, da parte di importanti aziende nazionali e internazionali e numerosi enti pubblici. La Gefina Broker è in grado di

fornire coperture per tutti i rischi tra cui fidejussioni e cauzioni, credito, trasporti, aviation e marine. Tra i principali partner assicurativi figurano Allianz, Unipol Sai, Lloyd’s, Generali, Allianz Global Corporate & Specialty, Reale Mutua, Coface, Sace, Europe Assistance, Chubb, Axa, Allianz Global Assistance, Direct Line, Allianz Worldwidecare, Metlife e Genial +. Quanto ai servizi, invece, la Gefina Broker è specializzata in identificazione e analisi dei contratti assicurativi; elaborazione di programmi assicurativi efficaci; assistenza nella gestione di contratti e sinistri; analisi dei danni subiti; fidejussioni assicurative e cauzioni.

Gefina Broker srl P.zza V. Veneto, n.39 - Salerno Tel. 089.241018 / Fax 089.8421173 Numero Verde 800 92 60 89 www.gefinabroker.com direzione@gefinabroker.com


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Wall Street English, imparare l’inglese è un piacere Nella scuola di formazione salernitana esperti madrelingue seguono lo studente in un personale percorso didattico, con tempi e lezioni calibrati sulle sue esigenze, così da consentirgli la massima assimilazione dei contenuti e, alla fine, il raggiungimento degli obiettivi

A cura della Redazione

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all Street English è una scuola di formazione, leader nell’insegnamento della lingua inglese, francese, tedesca e spagnola e sede specializzata per la preparazione e il conseguimento degli esami Eipass (certificazione informatica europea). L’istituto, con sede in via Irno 11 a Salerno, eroga corsi per adulti e bambini a partire dai tre anni, occupandosi inoltre della preparazione agli esami Cambridge e Trinity di ogni livello. Esperti madrelingue seguono lo studente in un personale percorso didattico, con tempi calibrati sulle sue esigenze e con lezioni individuali o di gruppo, così da consentirgli la massima assimilazione dei contenuti e, alla fine, il raggiungimento degli obiettivi. Grazie ad un consulente didattico, infatti, lo studente può programmare il proprio percorso formativo

secondo le sue necessità e i suoi orari anche in funzione dell’estrema flessibilità di scelta visto che l’istituto è aperto dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 21 (orario continuato e il sabato dalle 10 alle 13). Il ciclo di apprendimento verte su attività multimediali, interazioni con altri studenti e attività ludiche tali da offrire un'esperienza unica in un contesto piacevole e rilassante. I corsi sono strutturati anche per aziende e dipendenti che avranno così l'opportunità d'imparare l'inglese nella propria sede di lavoro e di verificare e certificare le competenze linguistiche raggiunte attraverso il conseguimento della certificazione BULATS (Business Language Testing Service-Cambridge exam).

Wall Street English Salerno V ia Irno 11 Salerno Tel. 089 99 56 945 Mob. 340 95 82 598


ED I LI ZI A IND US TRIALE

Il SIAD, un’occasione reale di sviluppo Le potenzialità di uno strumento di marketing territoriale per i Comuni, considerato che non può esistere una città senza commercio e, al contempo, non può funzionare il commercio senza un’adeguata pianificazione del territorio di Laura Pellegrino Architetto, Istruttore direttivo tecnico presso il Comune di Baronissi (SA) laura.pellegrino@tiscali.it

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l SIAD (Strumento comunale d’intervento per l’apparato distributivo) – regolamentato all’art.10 della Legge Regionale n.1 del 9 gennaio 2014 può rivelarsi per i Comuni un efficace strumento di marketing territoriale per lo sviluppo del territorio e, non soltanto, per i settori commerciali che esso viene ad interessare. Infatti, la redazione del SIAD da parte dei comuni è di frequente limita alla rappresentazione grafica del territorio (dove con apposite campiture vengono individuate le attività commerciali, in conformità alla zonizzazione esistente) e, ad un “Regolamento” che riporta gli articoli del Regolamento Urbanistico Edilizio Comunale sulle attività commerciali e produttive implementate delle norme regionali sul commercio. Tale impostazione si pone come l’ulteriore ed ennesimo adempimento degli enti locali alle norme regionali, sfuggendo agli enti locali l’opportunità di trasformare il SIAD in occasione per nuovi investitori sul territorio o per il consolidamento delle attività esistenti, attribuendogli strategie proprie del marketing territoriale, che possono concorrere anche alla valorizzazione ed alla tutela delle

aree interessate. Al riguardo, sebbene sul Marketing territoriale siano state elaborate definizioni diverse (Van der Meer, Texier e Valla, Kotler, Haider, Rein), ipotizzando la costruzione dello SIAD sulla base teorica di Kotler, Haider, Rein (1993) che, previa analisi SWOT costruita sui diversi interessi degli stakeholders del territorio, individua in linea di principio le seguenti operazioni: 1. Definizione di un adeguato mix di caratteristiche strutturali e di servizi offerti dal territorio. 2. Predisposizione di un sistema di incentivi per gli utilizzatori attuali e potenziali di tali strutture e servizi. 3. Individuazione di efficaci promozioni dell’immagine dell’area affinché la domanda ne percepisca il valore. Avremo quindi che, per la costruzione dello Strumento comunale d’intervento per l’apparato distributivo, occorrerà: 1. Analizzare i bisogni e le risorse disponibili utilizzando i dati e le informazioni provenienti dai vari settori degli enti locali (tributi, commercio, edilizia, stato civile) nonché i dati statistici forniti dall’ISTAT sui vari settori di produzione; 2. Individuare efficaci promozioni

dell’immagine dell’area affinché la domanda ne percepisca il valore. 3. Effettuare il coinvolgimento di più attori o portatori d’interessi (stakeholder) nei confronti del territorio o di sue specifiche funzioni o porzioni. Quest’ultimo punto è nodale per la costruzione del SIAD ,come opportunità di sviluppo del territorio (anche in variante alla pianificazione urbanistica), poiché gli stakeholder generalmente interessano: le imprese insediate nel territorio o le parti di imprese esterne con unità operative presenti nel territorio; i cittadini residenti, la fascia di popolazione che ha un regolare lavoro e quella potenzialmente impiegabile; gli investitori e i finanziatori degli investimenti, i cui interessi sono comunque riconducibili a valutazioni di redditività attesa e di rischio percepito, nonché di costo/opportunità per operazioni complesse di Project Financing. Tuttavia, la difficoltà maggiore nell’impostare tale procedimento è data dal “soggetto” che è sempre il “territorio” nella sua complessità, comportando tecniche di analisi e costruzioni di strategie con obiettivi differenti, anche antitetici, a seconda che le aree d’inter-


3 2/ 33 vento siano i centri storici, le zone di nuova espansione, oppure i distretti industriali e/o commerciali, ed inoltre ulteriormente complicati dalle politiche di liberalizzazione del commercio (derivanti dalla riforma Bersani di cui al D.lgs. n.114/98 smi) recepite all’art.10 co.5 della L.R.1/2014. Del resto, la costruzione del SIAD su strategie per il conseguimento di obiettivi importate dal marketing territoriale implementa la valenza urbanistica di tale “strumento”, che è stato normato dall’art.10 co.2 della L.R.01/2014 “Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale” come «...integrato del piano urbanistico comunale con una funzione esaustiva del potere di programmazione e pianificazione del territorio ai fini urbanistico-commerciali...» senza essere inquadrato urbanisticamente tra i Piani e i Programmi della L.R. 16 del 22 dicembre 2004 smi ovvero la “Norma sul governo del territorio”. Al riguardo ci si auspica che tale discrasia sia quanto prima risolta e, soprattutto, che l’ambito d’intervento del SIAD venga ampliato anche alla pianificazione intercomunale considerato che il commercio è soprattutto interazione con i territori circostanti. A questo punto, se il SIAD è strumento di marketing territoriale per i comuni, il territorio diventa metafora dell’impresa, riprendendo la tesi del professor G. Cozzi che, al riguardo, individua tre analogie del territorio come impresa: a. come un’impresa, il territorio vede convergere verso di sé gli interessi e le aspettative di parecchie categorie di stakeholder tra loro diverse ed in parte contrapposte. Chi governa il territorio deve conoscerle, esaminarne la possibile evoluzione, valutarne il grado di soddisfazione-insoddisfazione, cercare punti di convergenza e di riduzione delle divergenze, adoperarsi, con il loro

coinvolgimento, per ridurre il divario complessivo tra le loro aspettative (benefici attesi) e la loro percezione di soddisfazione (benefici percepiti)…; b. come un'impresa, il territorio ha clienti/mercati attuali e potenziali, interni ed esterni, interessati alla fruizione delle strutture, infrastrutture, servizi, nelle loro componenti materiali o immateriali, di cui dispone o che intende sviluppare. Il territorio non è infatti solo un sistema dato e immutabile, ma un insieme di idee, di progetti, di percezioni che si evolvono dinamicamente. I clienti/mercati sono composti da pubblici eterogenei. Richiedono pertanto di essere analizzati al fine di segmentarli per definire a ragion veduta i target cui dirigere le varie azioni di Marketing Territoriale (interno ed esterno) e per definire gli ingredienti (politiche di mercato) più appropriati da utilizzare nei loro confronti (sia generali, ossia rivolti a più target) sia specifici. Una parte, (ma solo una parte) dei clienti/mercati è oggetto di offerte competitive da parte di territori con aspirazioni e risorse analoghe, per cui si pone, nei suoi confronti, un problema di posizionamento competitivo, problema che viene invece generalizzato – come si è visto – da chi fa discendere lo sviluppo del Marketing Territoriale da un’ipercompetizione tra territori, oltre che tra imprese. c. come in un’impresa, il Marketing Territoriale persegue obiettivi specifici di customer satisfaction nei confronti dei clienti/mercati-target esistenti, di attrattività nei confronti di quelli potenziali, obiettivi tra loro sinergici. Si tratta però di obiettivi assai vari, data l’eterogeneità dei target e dei loro criteri di valutazione. Al di là di questi il Marketing territoriale contribuisce a perseguire un obiettivo sintetico di creazione, conservazione, difesa del valore del

territorio per i clienti target e per gli stakeholder, valore non coincidente per le due categorie di attori e comunque non esprimibile, anche in una logica di lungo periodo, in termini esclusivamente economici. L'economicità (nella misura maggiore possibile) per le imprese è l'obiettivo, data la loro finalità caratteristica, per il territorio (in una misura accettabile e variabile a seconda delle azioni e dei progetti) è invece solo un vincolo. Questa lettura del territorio-impresa rafforza il nesso tra SIAD e marketing territoriale rendendo necessario che l’intero territorio comunale venga interessato allo strumento dell’apparato distributivo commerciale. In realtà la norma regionale all’art.2 esclude le aree agricole ed i produttori agricoli, singoli o associati, che esercitano le attività di vendita di prodotti nei limiti di cui all'articolo 2135 del c.c. (sostituito dall'art. 1, D.Lgs. 18.05.2001, n. 228) inasprendo l’annoso divario tra i territori “urbani” e quelli “rurali”. Quindi, se nell’ambito dell’attuale economia stagnante, è nel settore agricolo che si ricercano effetti diffusivi sulla vitalità delle piccole unità produttive e sul miglioramento complessivo della competitività dei territori, è opportuno che questa esclusione venga compensata. In tal modo il SIAD, costruito sulla base del marketing territoriale, ovvero con analisi approfondite che mirano al raggiungimento di obiettivi consoni alle vocazioni di tutte le singole aree del territorio e integrativo degli strumenti urbanistici, diventa una occasione reale di sviluppo (economico, edilizio, urbanistico, di accessibilità…) considerato che non può esistere una città senza commercio ed al contempo non può funzionare il commercio senza un’adeguata pianificazione del territorio.


NO R M E E S OCIE TÀ

In arrivo nuovi sistemi di dispute resolution per i contratti pubblici È all’esame del Parlamento il disegno di legge delega (n. 1678) per l'attuazione di tre Direttive europee, rispettivamente sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Roma info@studiolegalemarinaro.it

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a notizia non ha avuto un’ampia diffusione ma assume un notevole interesse il fatto che il 5 febbraio 2015 il presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini abbia concluso la sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ipotizzando l’introduzione «a scopi deflattivi, di rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale», insomma i cosiddetti strumenti di A.D.R. (alternative dispute resolution), «in analogia con un indirizzo che Governo e Parlamento hanno già intrapreso in campo civile e commerciale sulla scorta delle direttive europee» e ciò al fine di migliorare l’efficienza della giustizia amministrativa. La puntuale sollecitazione del presidente del Consiglio di Stato apre un fronte di straordinario rilievo per l’introduzione, anche nel contesto giurisdizionale amministrativo, di nuovi sistemi di risoluzione delle controversie. Al riguardo occorre rimarcare come la mediazione di cui al D.Lgs. 28/2010 sia applicabile

a tutte le liti aventi ad oggetto diritti disponibili e, quindi, anche a quei contesti conflittuali nei quali la pubblica amministrazione è parte in virtù di un rapporto di tipo privatistico (che costituisce attualmente la regola quando la Pubblica Amministrazione non adotta atti di natura autoritativa in base all’art. 1, comma 1-bis, legge 241/1990, come inserito dalla legge n. 15/2005). Sul tema della P.A. in mediazione, oltre alla Circolare del 10 agosto del 2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi), ha destato


34/ 35 della giurisdizione amministrativa. Il riferimento è alla materia della contrattualistica pubblica, principalmente nella sua fase attinente al procedimento di affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture, che è tra quelle che particolare interesse la sentenza impegnano maggiormente i giudici della Corte dei Conti - Sezione amministrativi di primo grado e giurisdizionale siciliana - n. di appello. Ed infatti è all’esame 2719 del 23 luglio 2013 che ha del Parlamento il disegno di legge sottolineato in una lite in materia delega (n. 1678) per l'attuazione di responsabilità medica e sanitaria di tre Direttive europee (2014/23/ la necessità per l’ente pubblico UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del di addivenire ad una rapida 26 febbraio 2014 del Parlamento composizione della controversia «sia europeo e del Consiglio), per evitare i maggiori costi relativi rispettivamente sull'aggiudicazione al contenzioso civile (…), sia per dei contratti di concessione, sugli rimediare al notevole danno di appalti pubblici e sulle procedure immagine subìto dall’azienda a causa d'appalto degli enti erogatori nei del clamore mediatico suscitato settori dell'acqua, dell'energia, dei dalla particolarità della vicenda». trasporti e dei servizi postali. È nota infatti l’atavica ritrosia Su tale proposta legislativa il 14 di amministratori e dipendenti gennaio 2015 è stato ascoltato dalla pubblici a causa dei timori di essere VIII Commissione del Senato il chiamati a rispondere dei danni presidente del Consiglio di Stato per responsabilità erariale con la Giorgio Giovannini che in quella paradossale conseguenza che spesso sede ha avuto modo di esprimere la P.A. preferisce pagare somme la sua autorevole opinione proprio anche doppie, ma sulla base di un su quelli che ha definito «i rimedi giudicato di condanna piuttosto che alternativi di tutela». assumersi la responsabilità di una Secondo la relazione del presidente transazione. Giovannini sono due le ragioni Questo approccio tuttavia sembra per quali occorre “razionalizzare” i destinato progressivamente a cedere percorsi di ADR in questa materia e non soltanto per l’intervento della secondo quanto proposto per la magistratura contabile. Infatti, sono legge delega. In primo luogo, perché alle porte taluni sviluppi normativi è «consonante con un generale che potrebbero radicalmente orientamento dell’Unione europea trasformare le modalità di dispute favorevole a queste forme di rimedi», resolution anche in materie che orientamento che, come è noto, costituiscono i punti nevralgici si è espresso in materia civile e

commerciale con la Direttiva n. 52/2008 per la mediazione civile e commerciale (ma anche con la Direttiva n. 11/2013 in fase di recepimento, sugli “ADR per i consumatori”). Il criterio che si intende introdurre con la legge delega è più in generale da condividere in quanto «potrebbe contribuire a realizzare una certa deflazione del contenzioso giudiziario». Infatti, se è pur vero che i giudici amministrativi riescono a far fronte ai ricorsi in materia contrattualistica pubblica in tempi estremamente brevi, ciò secondo il presidente Giovannini «avviene a discapito dell’altro contenzioso …che per volontà della legge e per forza di cose finisce coll’essere posposto a detti ricorsi e vede così accrescersi i tempi di attesa delle decisioni». Nuovi e più ampi orizzonti sembrano schiudersi dunque per i sistemi di dispute resolution e non appare superfluo ricordare come l’agire della Pubblica Amministrazione debba essere sempre orientato dal principio fondamentale espresso dall’art. 97, comma 1, della Carta Costituzionale, assicurando «il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione». Occorre dunque perseguire il “buon andamento” e cioè l’efficacia – intesa come raggiungimento dello scopo – e l’efficienza – intesa come migliore impiego delle risorse dell’azione – dell’amministrazione. La mediazione e tutti gli altri procedimenti di ADR costituiscono mezzi straordinariamente performanti per il raggiungimento dello scopo. Al legislatore il delicato e complesso compito di apprestare una idonea ed utile regolamentazione.


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Conflitto di interessi, quando la revoca dell’amministratore di SRL è giustificata Una recente sentenza ha evidenziato che gravi irregolarità nella gestione di una società possono essere un buon motivo per la revoca cautelare del suo amministratore, al fine di impedire l’aggravarsi dei danni degli illeciti commessi. Il caso discusso al Tribunale di Bologna

Maurizio Galardo Avvocato / Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it

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l Tribunale di Bologna con sentenza depositata il 16 gennaio 2015 ha stabilito che deve essere revocato, ai sensi dell’art. 2476 , comma 3° cod. civ., l’amministratore di SRL che compie atti in conflitto d’interessi con la società arrecando danni a quest’ultima, evidenziando altresì che la condotta illecita dell’amministratore giustifica, sotto il profilo del periculum in mora, la misura della revoca. Il socio di una società a responsabilità limitata, titolare di una quota di partecipazione pari al 50% del capitale sociale, nonché amministratore della stessa, chiedeva la revoca in via cautelare dell’altro amministratore, nonché Presidente del C.d.A. della stessa società, proprio fratello e socio a sua volta per la quota del restante 50% del capitale sociale. Il ricorrente lamentava che l’altro amministratore avrebbe di sua esclusiva iniziativa distratto i clienti nazionali della società, attribuendosi successivamente, in relazione agli affari conclusi con gli stessi, una percentuale del 5%, non autorizzata e, pertanto, arbitraria; a seguito di questa sarebbe

stato tratto in giudizio anche per il reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 del codice civile. Lo stesso amministratore, inoltre, si era fatto rimborsare dalla società spese estranee alla sua attività gestoria, per una somma complessiva di euro 300.000,00 a far data dal 2011. Per occultare poi le proprie condotte, il resistente aveva modificato la password per accedere al programma di contabilità e alterato i dati contabili, anche al fine di celare i prelievi effettuati. L’amministratore convenuto in giudizio veniva inoltre accusato di far gravare sulla società la retribuzione di un’autista personale avente la sola funzione di accompagnare lo stesso che lo aveva assunto senza averne i poteri. Il ricorrente evidenziava poi in particolare come tali condotte costituissero degli atti posti in essere dall’amministratore in conflitto d’interessi con la società, in quanto i clienti della stessa potevano essere seguiti dai soci senza necessità di corrispondere provvigioni agli agenti, essendo i soci nel caso di specie amministratori retribuiti in


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L’azione si prescrive entro il termine di cinque anni che decorrono, anche in caso di intervenuto fallimento, dalla data nella quale si manifesta il danno subito dalla società

virtù di quest’ultima carica. Pertanto, i pagamenti disposti dall’amministratore in favore di se stesso a titolo di provvigioni rappresentavano atti posti in essere in conflitto d’interessi con la società. A sua difesa, l’amministratore convenuto in giudizio evidenziava, tra l’altro, come la sua gestione si fosse rivelata invece vantaggiosa per la società, essendone derivato un miglioramento sul piano reddituale e finanziario, così come risultante dai bilanci d’esercizio, per cui la diminuzione patrimoniale conseguente all’aumento delle spese per le provvigioni in favore dei soci e amministratori sarebbe stata compensata dalla diminuzione del numero di agenti della società operanti all’estero, fino ad esaurirsi completamente; osservava inoltre che la percentuale delle provvigioni da lui percepite, sarebbe stata mediamente più bassa di quella normalmente riconosciuta nel settore. Il Tribunale, nell’accogliere il ricorso, ha ritenuto che la decisione assunta in maniera unilaterale dall’amministratore, di modificare il criterio di ripartizione della clientela, già condiviso dai soci, nonché amministratori, e la decisione di stabilire unilateralmente la percentuale delle

provvigioni in favore dei medesimi, costituiscono atti che eccedono i poteri attribuiti a ciascun amministratore sulla base dello statuto sociale, in virtù del quale le decisioni dovevano assumersi con il metodo collegiale o secondo il criterio della consultazione scritta, nonché delle decisioni del CdA. Il Tribunale ha evidenziato inoltre che le suddette decisioni costituiscono atti posti in essere in conflitto d’interessi, in quanto assunti dall’amministratore nonché presidente della società in proprio favore; ne è conseguito, secondo la ricostruzione del Tribunale, che l’amministratore attribuendosi una determinata percentuale di provvigioni, senza il consenso e anzi con la formale opposizione dell’altro amministratore, ha posto in essere, agendo quale legale rappresentante della società un atto in conflitto d’interessi con quest’ultima e provocando un danno alla società costituito dall’ammontare delle somme prelevate senza una formale decisione dell’organo amministrativo, condotte che hanno generato fra l’altro una forte conflittualità all’interno della compagine sociale e amministrativa. Il danno viene quantificato nella somma di

euro trecentomila pari alle provvigioni illegittimamente percepite, oltre ad euro dodicimilaottocentoquaranta/68 quali ulteriori somme contestate dal ricorrente. Sotto il profilo del periculum in mora, il Tribunale ha evidenziato che la permanenza della condotta da parte del resistente giustificasse la misura cautelare della revoca dello stesso dalla carica di amministratore, al fine di impedire l’aggravarsi del danno nei confronti della società. Com’è noto l’art. 2476 cod. civ. è una delle norme centrali nella disciplina della società a responsabilità limitata contenendo una serie di disposizioni dirette a regolamentare non solo la responsabilità degli amministratori. L’azione si prescrive entro il termine di cinque anni che decorrono, anche in caso di intervenuto fallimento, dalla data nella quale si manifesta il danno a carico della società, salva la sospensione durante la carica dell’amministratore. La norma associa all’azione individuale di responsabilità la facoltà di proporre un’istanza cautelare di revoca dell’amministratore al ricorrere di “gravi irregolarità nella gestione".


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Rent to buy: un’interessante opportunità per le imprese edili, i proprietari e gli acquirenti Con il provvedimento del governo Renzi “Sblocca Italia” è stato regolamentato il “Rent to buy”, la Legge 164/2014 ha convertito il decreto con alcune modifiche

Luigi De Valeri Ordine Avvocati di Roma studiolegaledevaleri@gmail.com

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l decreto legge 12 settembre 2014 n. 133 ha introdotto all’art. 23 la disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili che regolamenta le tutele per le parti contraenti. In breve nel Rent to buy - “affitto per poi acquistare” - il proprietario concede in godimento un immobile, abitativo anche in costruzione o non abitativo, con il diritto per il conduttore di acquistarlo, entro la data fissata, imputando una parte del canone di locazione, espressamente specificata nel contratto, a prezzo di acquisto. Il legislatore, scendendo nel dettaglio, ha previsto che le parti hanno la possibilità di sottoscrivere un contratto di locazione, regolato dalle relative norme applicabili che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis codice civile. Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un

numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo. Il termine triennale previsto dal comma terzo dell’articolo 2645-bis del codice civile, trascrizione dei contratti preliminari, è elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano inoltre le disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 e degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l’articolo 2932 del codice civile, esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto e se il contratto ha per oggetto un’abitazione, il divieto di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 20 giugno 2005, n.122, opera fin dalla concessione del godimento. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è


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Per chi intende vendere il proprio immobile, il Rent to Buy permette di reperire con più facilità potenziali interessati; permane tuttavia il rischio che il conduttore decida poi di non acquistare il bene non potendo essere obbligato in tal senso

stato diversamente convenuto nel contratto. In caso di fallimento del concedente, che talvolta può essere l’impresa edile, il contratto prosegue, fatta salva l’applicazione dell’articolo 67, comma 3, lettera c), del R.D.16 marzo 1942, n.267. Quanto alla revocatoria fallimentare la vendita non vi è soggetta, ma deve essere pattuita al cosiddetto “giusto prezzo” ovvero il prezzo ricavabile dal mercato per gli immobili di simili caratteristiche e riferirsi all’abitazione principale del conduttore o dei suoi parenti o affini più stretti. In caso di fallimento del conduttore, si applica l’articolo 72 del R.D. 16 marzo 1942, n.267 e successive modificazioni, se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni del comma 5. Le disposizioni dell’art. 23 del decreto si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore. Nella conversione in legge è stato opportunamente previsto che le parti definiscano in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare

la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito. Il comma aggiunto dispone: «1-bis. Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito». L’inserimento del comma 1 bis persegue la ratio di scongiurare un ingiustificato arricchimento del proprietario, locatore-concedente. A fronte del versamento da parte del futuro acquirente di una somma mensile di cui una parte viene considerata come canone di locazione effettiva ed il resto in conto di futuro acquisto, qualora questo non si perfezioni il proprietario dovrà restituire quanto ricevuto a tale titolo come le parti avranno pattuito nel contratto. Per chi intende vendere il proprio immobile, il Rent to Buy permette di reperire con più facilità potenziali interessati; permane tuttavia il rischio che il conduttore decida poi di non acquistare il bene non potendo essere obbligato in tal senso. In questo caso il proprietario potrà trattenere tutto o parte di quanto è stato pagato, somma che sarà certamente superiore ai correnti canoni di locazione. Altra criticità pratica è che l’immobile rimanga

occupato dal conduttore divenuto inadempiente e di dover avviare la procedura giudiziale per ottenere la riconsegna del bene. É prevista la trascrizione nei registri immobiliari del contratto per un massimo di dieci anni che consentirà al conduttore di acquistare il bene libero da ipoteche, pignoramenti, o altre pregiudizi che emergano dopo la trascrizione. A parere di chi scrive, considerato lo stallo del mercato immobiliare dovuto alla tassazione che ha raggiunto un picco insostenibile e l’attuale difficoltà ad ottenere mutui da parte dei potenziali acquirenti, il Rent to Buy costituisce un’ottima chance per l’acquisto o la vendita della casa o dell’immobile commerciale, pur con le dovute cautele quanto ad esame preventivo dell’immobile e dell’affidabilità economica del proprietario concedente che si impegna eventualmente a vendere e del conduttore. La complessità di questa forma contrattuale con le relative pattuizioni, che devono essere ben calibrate per scongiurare successivi contenziosi e tutelare entrambe le parti, richiede l’intervento di professionisti esperti del diritto immobiliare che dovranno elaborare l’accordo da presentare al notaio per la trascrizione.


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Reputazione economica, come difendersi in caso di illegittima segnalazione alla Centrale Rischi I danni risarcibili possono essere sia patrimoniali, per perdita subita o mancato guadagno, che non patrimoniali, quali il danno all’immagine professionale e sociale e quello all’affidabilità commerciale dell’imprenditore

Piera Di Stefano Avvocato - Studio legale D|&|D T.R.ON™ / Tutela della Reputazione Online www.disommadistefanolegali.it

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economia, intesa come libera circolazione del credito, è sempre più a rischio a causa della crisi che attanaglia da anni il nostro Paese. La ripresa si mostra lenta e difficoltosa, oltre ad essere ostacolata, a volte, da errori o lungaggini burocratiche che possono pregiudicare un imprenditore e la sua attività. Si fa riferimento alla possibilità di essere iscritti negli elenchi dei cattivi pagatori detenuti dalle cosiddette “Centrali Rischi”, vale a dire quelle banche dati grazie alle quali è possibile reperire informazioni sulla situazione creditizia di tutti i soggetti che richiedono un accesso al credito. La Centrale Rischi pubblica è gestita dalla Banca d'Italia; quella privata, invece, fa capo alla SIA (Società Interbancaria per l'Automazione). Esistono, infine, alcune Centrali Rischi private non disciplinate da alcuna norma, nel caso di richiesta di finanziamenti per importi inferiori a 30.000 euro, come CRIF, CTC ed Experian. Grazie ai dati offerti al sistema bancario e finanziario dalle migliori banche dati, gli istituti di credito o finanziari possono conoscere in tempo reale la posizione creditizia del cliente che ha fatto richiesta di un prestito, di una rateizzazione

per l'acquisto di un bene di consumo, o di una semplice erogazione di carta di credito. È possibile quindi che un soggetto (persona fisica o persona giuridica) abbia bisogno di un prestito o di un finanziamento, ma non possa o non riesca ad ottenerlo in tempi congrui, perché inserito in "blacklist" come cattivo pagatore. Va, innanzitutto, precisato che non sempre le segnalazioni si rivelano legittime. Il soggetto che intendere effettuare in maniera corretta la segnalazione “a sofferenza” nella Centrale Rischi di un cliente deve adempiere a precisi obblighi, ispirati a perizia, prudenza e diligenza. In primis, deve verificare che la non solvibilità del cliente non consista in un mero inadempimento, ma sia il risultato di altri fattori, come la sussistenza di protesti, la pendenza di procedure esecutive, che evidenzino l'impossibilità di produrre reddito e la scarsa liquidità del soggetto segnalato. L'ente segnalante, poi, deve informare preventivamente il debitore per iscritto, con comunicazione specifica e puntuale inviata a mezzo raccomandata. Tale avvertimento è di importanza fondamentale giacchè il cliente è messo nella condizione di


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onorare il suo debito prima che si verifichi la segnalazione, riuscendo così ad evitarla. La reputazione economica va salvaguardata e monitorata costantemente, anche perché non di rado l’iscrizione in uno di questi elenchi è legata a vicende molto lontane nel tempo, o ad addebiti di interessi anatocistici da parte delle Banche o, peggio, a truffe subite che hanno comportato, tra l’altro, anche la segnalazione del proprio nominativo alla Centrale Rischi. Naturalmente una soluzione a tale tipologia di problemi esiste. Prima di tutto, se l’iscrizione nei suddetti elenchi è stata effettuata in violazione di legge, è possibile intraprendere nei confronti della Banca una causa per risarcimento danni. Il tipo di responsabilità che fa capo all’istituto di credito per aver proceduto ad una illegittima segnalazione può essere contrattuale, se tra le parti è stato concluso un contratto ed esso è ancora in forza tra le medesime, oppure extracontrattuale, come nel caso del soggetto che non ha in essere con la Banca neppure un’apertura di credito o un mutuo, e nonostante ciò, per uno scambio di persone, viene erroneamente segnalato. I danni di cui si chiede il risarcimento possono essere sia patrimoniali, per perdita subita o mancato guadagno, che non patrimoniali, quali il danno all’immagine professionale e sociale e il danno alla reputazione economica, cioè all’affidabilità commerciale dell’imprenditore (Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 15609 del 2014). Quest’ultimo deve essere ingiusto, nel senso che la segnalazione è avvenuta in assenza dei presupposti per procedere all’i-

scrizione, per cui l’interesse privato a non vedere danneggiata la reputazione del cliente prevale su quello pubblico all’informazione. Il danno alla reputazione, inoltre, qualora sia ingiusto, è considerato in re ipsa; il soggetto leso è pertanto esonerato dall’onere di fornirne la prova, essendo sufficiente allegare l’illegittima iscrizione. Il danno alla reputazione può, infine, interessare sia professionisti che consumatori, giacchè la segnalazione in Centrale rischi può coinvolgere anche questi ultimi. Se il proprio interesse è, invece, quello di ottenere la sospensione o la cancellazione del proprio nominativo dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia, bisogna fare un distinguo che parte da una considerazione fondamentale: poiché segnalare in Centrale Rischi significa in sostanza violare la segretezza di cui deve in via generale godere il cliente bancario, i dati oggetto di comunicazione rientrano nel campo di applicazione della normativa sulla tutela della privacy. Ciò premesso, se ci si duole delle modalità con cui i dati relativi all'insolvenza sono stati raccolti, trasmessi o gestiti, si potrà chiedere al Garante della Privacy la rettificazione o la cancellazione di quei dati inseriti nella Centrale rischi (artt. 7, 8 e 142 Codice Privacy) oppure ricorrere all’Autorità giudiziaria (art. 152 Codice Privacy). Data la qualificazione del trattamento dati personali come attività pericolosa, si applica l’art. 2050 del codice civile, per cui è colui che effettua il trattamento, a fini liberatori, a dover dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Molto spesso, tuttavia, i tempi della giustizia ordinaria non permettono

di ottenere una risposta rapida ed efficace, che è necessitata dal fatto che la permanenza della segnalazione contra legem arreca un considerevole pregiudizio alla reputazione commerciale e personale del soggetto. Non solo. Conseguenza della segnalazione è l’impossibilità di ottenere un nuovo credito e quindi lo “stop” dell’attività imprenditoriale nel giro di poche settimane o comunque di pochi mesi. Il rimedio processuale che risponde più celermente a questa impellente esigenza degli imprenditori è rappresentato dal ricorso cautelare (art. 700 c.p.c.), il quale richiede per la sua emissione il cosiddetto “fumus boni iuris”, che, nel caso in esame, consiste nell’assenza degli elementi che giustificano la segnalazione, ed il cosiddetto “periculum in mora”, cioè il pregiudizio imminente e irreparabile che deriva all’impresa dall’iscrizione (perdita di affari). Il ricorso ex art. 700 c.p.c. è ora ammissibile sia qualora si proceda ex art. 152 Codice Privacy, sia quando si richiede un provvedimento di cancellazione perché la segnalazione è stata effettuata in violazione degli obblighi di comunicazione degli intermediari, giacchè si è in presenza di una responsabilità contrattuale che configura anche un illecito trattamento dei dati (art. 2043) (ex plurimis Tribunale Milano, sez. VI, ordinanza 15.10.2014). Per chi necessita di un rilancio della propria attività imprenditoriale, la cancellazione dell’iscrizione dagli elenchi dei cattivi pagatori, ove illegittima o “obsoleta”, rappresenta una chance concreta da non perdere e la tutela in via d’urgenza può garantire tale risultato in tempi senz’altro rapidi.


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Il DURC negli appalti alla Corte Europea La legge italiana non sempre è chiara, arroccata dietro rigidi formalismi e, talvolta, difforme dai principi comunitari Luigi D’Angiolella Avvocato e Presidente della Camera Amministrativa Comunitaria della Campania studiodangiolella@tin.it

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e imprese che si occupano di lavori pubblici sanno come il DURC - documento di regolarità contributiva per INPS, INAIL e Cassa Edile – sia spesso la classica buccia di banana nelle gare con la Pubblica Amministrazione. Si può aver presentato la miglior offerta e predisposto il miglior progetto, ma se una rata di un debito erariale non è stata pagata, o è sfuggito il pagamento di mille euro – giusto per fare un esempio - seppure la gara vale milioni, la Commissione esclude l’impresa “inadempiente” sul presupposto che il DURC non sia sindacabile dalla stazione appaltante, che chiede la regolarità nel corso di tutta la procedura di gara (da ultimo T.A.R. Campania, 1^, n. 96/15, che “legge” in questo modo Consiglio di Stato in Ad. Plenaria n. 8/12). Quando poi l’irregolarità riguarda versamenti alle Casse Edili, la questione diventa ancor più amara e, talvolta, sospetta, visto il grado di minor attendibilità delle Casse Edili in quanto associazioni non riconosciute e non enti pubblici. Questi soggetti quindi, pur non essendo “istituzionali”, spesso decidono le sorti di una gara con una comunicazione che può essere parziale o ritardata. Il problema di un DURC irregolare, con l’impresa spesso inconsapevole o addirittura espulsa nonostante non abbia pendenze o comunque le abbia chiarite e risolte, è assai sentito. Uno spiraglio, dopo molte ingiustizie sull’altare del rigido formalismo, viene dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, che con l'ordinanza 11 marzo 2015 n. 1236, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione

Spesso sono le Casse Edili, seppur non enti pubblici, a decidere le sorti di una gara per un'impresa, talvolta con comunicazioni parziali o addirittura ritardate Europea il merito della conformità della legislazione italiana a quella comunitaria e, in particolare, al principio di ragionevolezza e agli articoli 49 e 56 del Trattato, quando la violazione contributiva non è conosciuta dall’operatore (che partecipa ignaro alla gara d’appalto) e comunque non può essere considerato inadempiente (perché paga quando avvertito) al momento della aggiudicazione. Speriamo dunque che i Giudici Europei chiariscano quanto irrazionale e difforme dai principi comunitari sia la legge italiana, spesso rafforzata dai formalismi ancora più rigorosi, sia pur corretti alla luce della legge e dei precedenti, di talune decisioni dei Giudici Amministrativi. Affidiamoci alla Corte Europea allora per questo e ancor di più - dovrebbe essere prossima la decisione - per cancellare la vergogna del contributo unificato (la marca da bollo da apporre al ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale e al Consiglio di Stato) che in Italia può costare all’impresa fino a 20.000 euro di tasse nascoste solo per chiedere giustizia.


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Lavoro, i rischi derivanti da una non corretta gestione del personale La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1262/2015 ha solo in parte confermato i verdetti di primo e secondo grado limitatamente alla dequalificazione e mobbing di un lavoratore, ma ha cassato quella di licenziamento Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it

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a recentissima sentenza della Corte di Cassazione 1262/2015 conferma solo in parte le precedenti sentenze emesse sia in primo grado, sia in Corte di Appello, mentre ha ritenuto fondato il ricorso principale nella parte in cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine alla effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Veniamo al fatto. Il dipendente, inquadrato nel più alto livello impiegati con funzioni direttive, fu assegnato a nuovo ufficio, ufficio che poi fu dopo soli due mesi soppresso e di conseguenza il dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo. Il dipendente-ricorrente impugnò il licenziamento, adducendo la pretestuosità dello stesso e, anzi, denunziando l’attività persecutoria dell’Azienda che avrebbe architettato un piano per licenziarlo, tant’è che non gli aveva neanche fornito i necessari strumenti informatici indispensabili per esercitare l'attività di responsabile del nuovo Ufficio Marketing. Anche la domanda di risarcimento danni da mobbing era giustificata dal comportamento aziendale persecutorio nei suoi confronti. La Cassazione ha giudicato correttamente provato il demansionamento sofferto dal ricorrente, richiamando il costante orientamento della S.C. circa il divieto ex art. 2103 c.c. (sostituito e modificato poi dal D.L. promulgato in attuazione della legge 10/12/2014 che all’art. 55 recita: «In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore») di variazioni in peius delle mansioni, da accertarsi in punto di fatto. Nella fattispecie il dipendente, aggiunge la S.C., non è stato messo in condizione di espletare le nuove mansioni perché non disponeva neanche di un computer. In definitiva, si è confermato che “il baricentro dell’art. 2103 c.c. è dato dalla protezione della professiona-

lità acquisita dal prestatore di lavoro”. Anche riguardo alla situazione di mobbing o di costrittività organizzativa la S.C. ha ritenuto che la sentenza impugnata, che aveva sostenuto che non era stata fornita prova di mobbing, era immune da vizi logico-giuridici. Infatti, perché vi sia mobbing sono necessari comportamenti di carattere persecutorio con intento vessatorio in modo sistematico e prolungato, che producano danno alla salute, dignità e personalità del dipendente. La S.C. invece proprio sulla questione più importante, vale a dire la legittimità del licenziamento irrogato, ha deciso di cassare la sentenza e di rinviarla presso la Corte di Appello, in quanto ha ritenuto esserci un vizio di motivazione in ordine alla effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. In buona sostanza la Corte di Appello aveva preso atto dell’avvenuta soppressione del nuovo ufficio limitandosi alle sole mere verifiche formali, mentre doveva secondo la S.C. accertare se la creazione e la successiva soppressione dell’ufficio Marketing rispondesse ad una effettiva esigenza aziendale, oppure costituisse solo una artificiosa modalità organizzativa per collocare il dipendente in una posizione lavorativa ab origine destinata ad essere eliminata. In merito a questa sentenza, osservo che è intollerabile la lungaggine processuale. Il licenziamento è, infatti, avvenuto nel settembre 2003 e ancora non c'è la sentenza definitiva. Le conseguenze per le parti in causa sono devastanti. L’azienda, infatti, teme una sentenza di reintegrazione sia per l’esborso economico elevatissimo, sia per il fatto di dovere reinserire nella sua organizzazione una risorsa difficilmente utilizzabile per tanti intuibili motivi. D’altro canto anche l’ex dipendente ha vissuto e vive da tanti anni una situazione di incertezza che ha condizionato la sua vita lavorativa, familiare e che ha anche inciso sul suo stato di salute.


F I SCO

Processo tributario, la responsabilità civile dei magistrati È quanto mai urgente riformare totalmente il processo tributario, sottraendo la gestione al Ministero dell’Economia e delle Finanze (che è una delle parti in causa) e rendendo paritaria ed effettiva la difesa del contribuente, senza alcuna limitazione processuale

Maurizio Villani Avvocato Tributarista in Lecce / Patrocinante in Cassazione avvocato@studiotributariovillani.it

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a responsabilità civile dei magistrati, con la recente riforma, è disciplinata dalla Legge n. 18 del 27 febbraio 2015, vigente dal 19/03/2015. La suddetta legge introduce disposizioni volte a modificare le norme di cui alla precedente Legge n. 117 del 13 aprile 1988, al fine di rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Premesso che, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, non può mai dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove, la responsabilità civile dei magistrati si manifesta nei casi di dolo e di colpa grave. A tal proposito, per ben comprendere le differenze, è opportuno distinguere la posizione dei giudici ordinari da quella dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziali collegiali, come i giudici laici delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali ai sensi del D.Lgs. n. 545 del 31/12/1992. I magistrati ordinari possono rispondere civilmente nei casi di dolo e di colpa grave nell’esercizio delle proprie funzioni giudiziarie. Costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge, nonché

del diritto dell’UE, il travisamento del fatto o delle prove, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione (art. 2, comma 3, Legge n. 18 cit.). Il Presidente del Consiglio dei Ministri, entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziario o di titolo stragiudiziale, ha l’obbligo di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato nel caso di diniego di giustizia, ovvero nei casi in cui la violazione manifesta della legge, nonché del diritto dell’UE, ovvero il travisamento del fatto o delle prove sono stati determinati da dolo o da negligenza inescusabile (art. 4, comma 1, Legge n. 18 cit.). I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali, come i giudici laici tributari, rispondono, invece, soltanto in caso di dolo o negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove. Nell’attuale processo tributario, per tutti i giudici (ordinari e laici), oltre alle ipotesi di dolo, è unica la responsabilità in caso di negligenza inescusabile per travisamento del


4 4/ 45 fatto o delle prove. Il travisamento dei fatti si può realizzare in due distinte ipotesi, e cioè: - l’affermazione (determinata da negligenza inescusabile) di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; - la negazione (sempre determinata da negligenza inescusabile) di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento. La formula è simile al n. 4 dell’art. 395 c.p.c., da cui è tratta; manca, tuttavia, l’espressione «se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare», che c’è nel citato art. 395 c.p.c.. Quest’ultima espressione non risulta nell’attuale nuova formulazione, così come non risultava nella vecchia. In sostanza, sia la vecchia che la nuova formulazione non riportano assolutamente l’espressione «se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi». Di conseguenza, negli attuali organi giudiziali collegiali, come le Commissioni Tributarie, questa ipotesi può suscitare, nei componenti del collegio diversi dal relatore, il timore di incorrere in responsabilità per negligenza del collega che si sia lasciato sfuggire fatti rilevanti o, viceversa, supponga esistenti fatti esclusi dalla documentazione, donde la necessità che ciascuno possa esaminare l’intero fascicolo di causa e abbia copia di tutti gli atti processuali. Ciò comporterà una diversa metodologia di lavoro perché le camere di consiglio dovranno necessariamente essere precedute dalla distribuzione della copia di tutto il fascicolo processuale a tutti i componenti del collegio. Metodologia giusta e auspicabile, ma che la macchina giudiziaria tributaria difficilmente riuscirà a sopportare se non a costo di gravi ritardi nelle pronunce collegiali,

fino a quando non si provvederà ad una adeguata ristrutturazione delle Commissioni Tributarie stesse. In modo analogo, sarà necessaria maggiore cura nella preparazione dei fascicoli processuali, con indice aggiornato e vistato dall’ufficio di segreteria, affinchè non si corra il rischio di escludere o pretermettere documenti esibiti e non fascicolati, così incorrendo in una ipotesi di travisamento dei fatti. L’altra ipotesi di negligenza inescusabile è quella del travisamento delle prove, che prima non era tassativamente prevista dall’art. 2 della Legge n. 117/1988. Questa ipotesi si può verificare se una prova viene totalmente ignorata, oppure se si ritiene esistente una prova che invece non risulta assolutamente negli atti processuali. Questo problema si può porre, in particolare, nell’attuale processo tributario dove i poteri istruttori delle commissioni tributarie sono limitati dall’art. 7 D.Lgs. n. 546/92 e dove non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale. Questi limiti istruttori possono, secondo me, facilmente indurre i giudici tributari a cadere, non certo per loro incapacità professionale, in ipotesi di travisamento del fatto o delle prove, soprattutto se la parte non può efficacemente difendersi citando, per esempio, dei testimoni che, pur in assenza di prove documentali (le uniche ammesse nel processo tributario attuale) possano dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di particolari situazioni, giuridiche o di fatto, aventi rilievo fiscale. Ultimamente, la Corte di Cassazione, anche in ossequio all’ordinanza della Corte Costituzionale n. 18/2000, ha riconosciuto la possibilità per il contribuente, in un sistema processuale fondato sulla parità delle parti, di introdurre in giudizio eventuali dichiarazioni extraprocessuali del terzo a suo favore, ancorché

rilasciate al contribuente stesso o a chi lo assiste (sentenze n. 4423/2003 e n. 4122/2015). Del resto, i principi del giusto processo come formulati nel nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione garantiscono il principio della parità delle armi processuali, nonché l’effettività del diritto di difesa e, quindi, impongono di riconoscere al contribuente, così come riconosciuto all’Amministrazione finanziaria, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, pur non essendo idonei a costituire da soli il fondamento della decisione (Cassazione, sentenze n. 4269/2002, n. 5957/2003, n. 4122/2015 e n. 5018/2015). Questo, però, secondo me non è sufficiente a rendere effettiva la parità processuale delle parti nell’attuale processo tributario. Appunto per questo, in ossequio all’art. 10 della Legge Delega n. 23/2014, è opportuno e urgente riformare totalmente il processo tributario, sottraendo la gestione al Ministero dell’Economia e delle Finanze (che è una delle parti in causa) e rendendo paritaria ed effettiva la difesa del contribuente, senza alcuna limitazione processuale, così come esposto nel mio progetto di legge, condiviso da UNAGRACO, attualmente in discussione al Parlamento e consultabile sul mio sito (www. studiotributariovillani.it). Oltretutto, rendere il processo tributario un vero processo, con tutte le garanzie probatorie, consente ai giudici tributari di avere una visione organica e pienamente documentale di tutti i fatti oggetto di causa che, secondo me, può rendere i giudici stessi immuni da ipotesi di travisamento dei fatti o delle prove.


FI S CO

Penale d’Impresa 2.0 In agenda la discussione sulla delicata riforma del falso in bilancio e dei reati fiscali

Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it

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l Parlamento ha in calendario la riforma del falso in bilancio e dei reati fiscali. Temi, che, se mal gestiti, possono avere effetti negativi sulla ripresa economica. Infatti, norme ispirate dal solo obiettivo della repressione, attraverso dilatazioni di pene e dei tempi per applicarle, producono solo un incremento dei procedimenti bagatellari e una perdita di fiducia nell’intrapresa. Ciò, nonostante ogni possibile investimento in compliance. Le linee guida della bozza del nuovo art.2621 cc, sul falso in bilancio per le società non quotate, sono le seguenti: a) i soggetti punibili con la reclusione da uno a cinque anni, sono gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti i sindaci e i liquidatori; b) tale soggetti commettono reato quando per un ingiusto profitto, espongono o omettono fatti materiali rilevanti falsi e tali fatti sono in grado di fuorviare i terzi; c) i documenti sensibili sono i bilanci o le altre comunicazioni al pubblico. Rispetto alle norme vigenti, le pene aumentano sino a 5 anni e scompaiono le soglie numeriche, oggetto di tanta polemica. Il reato diviene “di pericolo”, ne consegue che non è necessario il danno. Il reato si persegue d’ufficio, salvo il

caso delle micro società (art.1 co2 RD 267/42), ove è necessaria la querela di parte (art.2621bis co2). Le pene scendono ad un massimo di tre anni, quando i fatti sono di lieve entità (art. 2621bis co 1) e, grazie al DLGS 28/15 si può applicare la non punibilità “per particolare tenuità del fatto” (art. 2621ter cc.). L’art.2622 cc. disciplina le società quotate, ma la struttura è identica. È importante precisare che: a) non vi sono casi di mitigazione della pena; b) la pena arriva sino a 8 anni; c) i falsi possono anche essere non “rilevanti”. Sono soggette a tale disciplina: (i) le società sottoposte a vigilanza; (ii) le società controllanti di tali società. Rimanendo all’ambito “non quotato“, il cuore del provvedimento rimangono le false informazioni che devono riguardare fatti rilevanti, e non qualunque circostanza, anche di natura valutativa e devono avere la fattualità reale nel fuorviare. La “materialità” è certo un fatto positivo, in quanto circoscrive i delitti a situazioni significative, tuttavia rimane sempre una definizione qualitativa, che non risolve il tema della graduazione ex lege del reato.


4 6/ 47 In poche parole, la valutazione dell’entità dell’offesa viene comunque rimessa al giudice. Tale soluzione non è sempre convincente per varie ragioni. La prima è che se la vicenda deve essere risolta dal giudice vuol dire che si è già incardinato un processo, con tutto quel che ne consegue in termini reputazionali, di riorganizzazione, di costi, e così via. Poi c’è il pericolo che non si formi subito una consolidata giurisprudenza sulla “materialità”, con la conseguenza di avere, all’inizio almeno, decisioni di ogni tipo e condanne o assoluzioni su base random. Infine, se il nostro tessuto economico è composto per la quasi totalità da PMI (che non sono microimprese), non ha senso l’introduzione di un reato, senza alcuna soglia di rilevanza e con una sola macroclassificazione: quotate – non quotate. Così operando, c’è il rischio (teorico quanto si vuole) che migliaia di società tra artigiani e piccoli imprenditori, possano vedere i loro amministratori incriminati perché alcune poste del loro bilancio sono fuorvianti. Ma a chi interessa tutto ciò? Nemmeno ai magistrati credo, i quali saranno obbligati ad indagare su ogni ipotesi di reato, con enorme dispendio di energie e di tempo. Occorrevano ed occorrono soglie e graduazioni numeriche, come per i reati fiscali. La riforma del DLGS 74/2000 sui reati fiscali invece è ancora in freezer “politico”, ma lo schema di decreto nei suoi aspetti sostanziali è noto. In sintesi, la riforma ripropone: - reati di serie A: da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione;

- reati di serie B: da un anno e sei mesi a tre anni di reclusione; - reati di mezzo: da un anno e sei mesi a quattro anni di reclusione. Limitandoci ai casi più comuni, rientrano tra i reati di serie A: l’utilizzo di fatture false superiori a 1.000 euro (art.2), nonché la vera e propria “frode fiscale” (art.3), che si realizza qualora, congiuntamente, l’imposta evasa supera 30mila euro e la componente fittizia supera il 5% degli elementi attivi dichiarati ed in ogni caso supera euro 1,5mli. Resta reato grave l’emissione di fatture false, ma queste devono essere superiori a mille euro (art.8). Meno grave si conferma il reato di dichiarazione infedele (art.4) - le cui soglie vengono tutte aumentate - che si realizza qualora, congiuntamente, l’imposta evasa supera 150mila euro e la componente sottratta supera il 10% degli elementi attivi dichiarati ed in ogni caso supera euro 3mli. I casi di non inerenza o non deducibilità di costi reali, che spesso hanno mandato a giudizio imprenditori, non causano dichiarazione infedele in quanto - seppur indeducibili - sono costi realmente sostenuti e contabilizzati. Il costo non documentato rimane fuori dalla non punibilità ma è un errore, in quanto la patente di costo documentato dipende dal giudizio dell’organo accertatore, notoriamente e, se si vuole, legittimamente interessato, di contro, a scovare evasione. Occorre una soluzione finale che salvi, in qualche modo, i costi a “documentabilità contrastata”. Da ultimo, il reato di mezzo della omessa dichiarazione (art.5), la cui soglia di punibilità sale da 30k a 50k euro di imposte evase. Le novità sono due: la prima (art.13)

prevede che il pagamento dei debiti tributari: a) estingue i reati di dichiarazione omessa o infedele, nonché quelli sull’omesso versamento di IVA e ritenute dichiarate; b) dimezza le pene previste per tutti gli altri delitti. La seconda, rivoluzionaria, (art.19bis) esclude la punibilità, quando l’importo dell’evasione non è superiore al tre per cento del reddito imponibile o dell’IVA dichiarata. Norma riferibile ai grandi gruppi, per i quali il superamento delle soglie di base si può dare per scontato. La bozza sui reati fiscali esprime il miglior tentativo per disciplinare una pena, che si base solo su dati numerici: soglie di punibilità fisse e variabili, cause estintive e di non punibilità e così via. Tuttavia, benché si tratti di una norma pensata senza manie persecutorie, l’esiguità delle soglie rischia di rendere del tutto ininfluente l’intera impalcatura. Si pensi alla frode fiscale, dove le soglie previste dalla Riforma mandano in carcere un amministratore per una imposta evasa di 30.000 euro su un costo indeducibile di 100.000 e su un fatturato di 2mli. Mi sembra eccessivo. In conclusione, le due riforme hanno ancora significativi margini di miglioramento, perché reati basati su numeri, devono per forza avere una soglia di irrilevanza non virtuale, rappresentata dal costo-beneficio per la collettività nel perseguirlo e una graduazione ex lege della pena. Solo così potrà evitarsi che le pene, alla fin fine, vengano determinate solo dalle capacità processuali delle parti o dalla sensibilità del giudice.


FI S CO

Bonus strutture ricettive, dentro anche agenzie di viaggio e tour operator Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo riconosce un credito d’imposta del 30% dei costi - fra il 2014 e il 2016 - ritenuti eleggibili. Diverse le tipologie di spesa ammissibili fino a un massimo di 41.666 euro per ciascun beneficiario Alessandro Sacrestano Tax Consultant Progetto Arcadia Srl alessandro.sacrestano@progettoarcadia.com

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l Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo detta le regole per la fruizione del bonus fiscale destinato a esercizi ricettivi, agenzie di viaggi e tour operator. Con apposito decreto, datato 12 febbraio 2015 (in GU n. 68 del 23/03/2015), il Dicastero ha infatti tracciato le linee guida del credito d’imposta disciplinato dall’articolo 9 del DL n. 83/2014, soffermandosi in particolare sulla tipologia e il limite massimo di spesa ammissibile, la procedura di ammissione a beneficio e le modalità di recupero dell’incentivo indebitamente fruito. Soggetti beneficiari della misura di aiuto sono gli esercizi ricettivi singoli o aggregati. Nel primo caso, spiega il decreto, si tratta di strutture alberghiere con almeno sette camere ed extra-alberghiere (affittacamere, ostelli, case vacanze, ecc.). Quanto agli esercizi aggregati, gli stessi si riferiscono a strutture singole con servizi extra-ricettivi o ancillari (ristorazione, trasporto, ecc.), riunite in consorzi, reti di impresa, ATI o organismi similari. Sono parimenti agevolati le agenzie di viaggio e i tour operator, purché appartenenti al cluster 10 - Agenzie intermediarie specializzate in turismo incoming, o al cluster 11 - Agenzie specializzate in turismo incoming degli

studi di settore. A tali soggetti, la norma riconosce, per ognuno degli anni fra il 2014 e il 2016, un credito d’imposta del 30% dei costi ritenuti eleggibili e, comunque, in misura non superiore ad euro 12.500 nei tre periodi, da utilizzarsi in compensazione in tre rate annuali di importo costante. L’importo concesso concorrerà alla formazione del plafond de minimis di cui al Regolamento Comunitario m. 1407/2013 e non è cumulabile con altri incentivi fiscali ottenuti sui medesimi costi. Sono ammesse a beneficio le seguenti tipologie di spesa, secondo le specifiche indicate in decreto (si veda tabella): a) impianti wifi, purché siano messi a disposizione gratuita dei clienti e abbiano una velocità di connessione minima pari ad un megabit/s; b) siti web ottimizzati per il sistema mobile; c) programmi per la vendita diretta di servizi e pernottamenti e la distribuzione sui canali digitali, purché in grado di garantire gli standard di interoperabilità necessari all’integrazione con siti e portali di promozione pubblici e privati e di favorire l’integrazione fra servizi ricettivi ed extra-ricettivi; d) spazi e pubblicità per la promozione e commercializzazione di servizi e


4 8/ 49 pernottamenti turistici sui siti e piattaforme informatiche specializzate, anche gestite da tour operator e agenzie di viaggio; e) servizi di consulenza per la comunicazione e il marketing digitale; f ) strumenti per la promozione digitale di proposte e offerte innovative in tema di inclusione e di ospitalità per persone con disabilità; g) servizi relativi alla formazione del titolare o del personale dipendente ai fini di quanto sopra previsto. Le spese, precisa ancora il decreto,

pur se eleggibili al 100%, non possono superare il limite di 41.666 euro per ciascun beneficiario, al fine di rispettare il limite massimo del credito d’imposta pari a 12.500 euro. L’effettività della spesa dovrà risultare da apposita certificazione da parte del presidente del collegio sindacale del beneficiario o, in mancanza, da parte di un revisore legale, un dottore commercialista/esperto contabile, un perito commerciale o consulente del lavoro (purché iscritti ai rispettivi albi) o dal responsabile di un CAF.

TIPOLOGIA DI SPESA

L’accesso al beneficio è regolato, anno per anno, da apposita istanza telematica da inviarsi al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo dal 1° gennaio al 28 febbraio. Limitatamente al 2014, la domanda andrà presentata entro 60 giorni dalla definizione della procedura telematica di accesso. L’agevolazione sarà riconosciuta nei limiti degli stanziamenti annui disponibili e fino ad esaurimento delle risorse, destinate, nel 10% del totale alle agenzie di viaggi e ai tour operator.

COSTI ELEGGIBILI

Spese per impianti wi-fi a disposizione gratuita dei propri clienti con velocità di connessione pari ad almeno 1Megabit/s in download

Acquisto e installazione di modem/router ; dotazione hardware per la ricezione del servizio mobile (antenne terrestri, parabole, ripetitori di segnale)

Siti web ottimizzati per il sistema mobile

Acquisto di software e applicazioni

Spese per programmi e sistemi informatici per la vendita diretta di ser vizi e pernottamenti, purché in grado di garantire gli standard di interoperabilità necessari all'integrazione con siti e portali di promozione pubblici e privati e di favorire l'integrazione tra ser vizi ricettivi ed extra-ricettivi

Acquisto software; acquisto hardware (server, hard disk)

Spese per spazi e pubblicità per la promozione e commercializzazione di ser vizi e pernottamenti turistici sui siti e piattaforme informatiche specializzate, anche gestite da tour operator e agenzie di viaggio

Contratto di fornitura spazi web e pubblicità on-line

Spese per servizi di consulenza per la comunicazione e il marketing digitale

Contratto di fornitura di prestazioni e di servizi

Spese per strumenti per la promozione digitale di proposte e offerte innovative in tema di inclusione e di ospitalità per persone con disabilità

Contratto di fornitura di prestazioni e di servizi; acquisto di software

Spese per servizi relativi alla formazione del titolare o del personale dipendente

Contratto di fornitura di prestazioni e di servizi (docenze e tutoraggio)


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Fatturazione elettronica: analisi del funzionamento del Sistema di Interscambio La digitalizzazione comincia a dare i suoi effetti positivi, specie in termini di risparmio. Dal 31 marzo si è ampliata la platea dei soggetti coinvolti e, con ottime probabilità, nel tempo aumenterà anche la dimestichezza delle aziende e dei professionisti (fornitori della PA) nell’utilizzo del SdI Nicola Savino Presidente, Digital and Information Manager e CEO della Seen Solution Srl nicola.savino@seensolution.com

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l 31 marzo 2015 è partita anche la Fatturazione Elettronica PA verso gli Enti Locali. Con il decreto Legge 24 aprile 2014 n. 66 (misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), infatti, è stato anticipato al 31 marzo 2015 il termine di decorrenza degli obblighi di fatturazione elettronica per tutte le altre amministrazioni (Comuni, Province, USL, etc.). È passato quasi un anno, invece, da quel 6 giugno 2014 quando c’è stato il completo Switch Off delle PA Centrali Ministeri, agenzie fiscali, enti di previdenza e assistenza nazionali - obbligate a ricevere e pagare le fatture solo in formato elettronico per un risparmio diretto stimato pari a oltre 1 miliardo di euro. Dal 31 marzo invece, i soggetti coinvolti sono quasi 37mila uffici di oltre 21mila amministrazioni, mentre sono due milioni le aziende che dovranno scambiarsi fatture esclusivamente in modalità elettronica. In questo caso si stimano risparmi per oltre 1,5 miliardi di euro e a una maggiore trasparenza nell’ottica del reciproco controllo: più facile esigere fattura, più facile per l’Agenzia delle Entrate tracciarle e più facile farsi pagare dalla PA nei termini stabiliti. La stessa Sogei, che gestisce il sito www.fatturapa.gov.it, ha recentemente fornito diversi report relativi ai dati statistici sintetici del Sistema di Interscambio (SdI) che ad oggi, lo

ricordiamo, è l’unico disponibile per inviare una fattura elettronica ad una PA. Proviamo pertanto ad analizzare i dati raccolti, partendo ovviamente da giugno 2014. Dal 6 al 30 giugno 2014, ovvero in un mese di utilizzo del canale, emerge che il SdI ha ricevuto e gestito ben 43.083 file fattura di cui: - il 60% (25.851) sono stati inoltrati alla PA; - circa il 40% (17.179) sono stati scartati dal sistema per varie motivazioni; - lo 0,12% (53) non sono stati recapitati per l’impossibilità di identificare l’ufficio destinatario ed è stata restituita al cedente/ prestatore l’attestazione di avvenuta trasmissione. Anche i dati sugli scarti delle fatture non sono altissimi, e tenuto conto che le PA si sono viste con poco preavviso recapitare fatture in formato elettronico, si può dire che per il primo mese il successo sia stato notevole. Come si sa nelle PA è sempre difficile ed ostico introdurre processi digitali di un certo impatto, ed è per questo motivo che il risultato ottenuto, è certamente positivo. Anche i dati sul Codice Ufficio Destinatario, che ricordiamo è un dato obbligatorio da inserire nella fattura elettronica e che rappresenta l’identificativo univoco dell’ufficio centrale o periferico dell’Amministrazione destinatario della fattura, ovvero in altri termini una sorta di


50/ 51 indirizzo virtuale al quale il Sistema di Interscambio invia la fattura elettronica. I dati dimostrano che, per il primo mese, ci sono stati dei normalissimi errori dovuti alla prima fase iniziale, dovuti soprattutto alla problematica di dover assegnare un codice univoco (IPA) a tutte le PA Centrali. Si sono anche riscontrati errori da parte dei fornitori delle PA, che per la prima volta hanno dovuto compilare ed inviare fatture in formato XML e che quindi hanno dovuto col tempo prendere confidenza con il nuovo sistema di gestione e i nuovi software di creazione delle fatture elettroniche. Molto spesso, in effetti, si sono visti aggiornare i proprio gestionali con schermate completamente nuove e nuove informazioni da riportare in fattura, come il codice CIG e CUP. Già a far data dal 31 settembre (saltando quindi i mesi “estivi di luglio ed agosto”), i dati dicono cose totalmente diverse e quindi con un prospetto migliore da diversi punti di vista, rispetto al primissimo mese di utilizzo del sistema. Prendendo come riferimento il periodo che va dal 1 settembre al 31 settembre 2014, i dati dicono che il SdI ha ricevuto e correttamente gestito 259.120 file fattura di cui: • il 77,80% (201.594) sono stati inoltrati alla PA; • il 21,68% (56.179)sono stati scartati dal sistema per le motivazioni specificate nel seguito del documento; • lo 0,52% (1.347) non sono stati recapitati per l’impossibilità di identificare o raggiungere l’ufficio destinatario ed è stata restituita al cedente/prestatore l’attestazione di avvenuta trasmissione. Aumentano infatti le fatture inviate, ma diminuisce il dato riferito alle fatture scartate, passato dal 40% di giugno al 21,68% di settembre. Sia i fornitori, quindi, sia le

PA stanno prendendo dimestichezza non solo con il nuovo sistema, ma anche con i nuovi processi tecnici di invio e gestione della fattura elettronica. Anche gli esiti di scarti diminuiscono, in virtù della formazione necessaria che gli amministrativi e i contabili delle aziende emittenti hanno avuto nel corso dei primi tre mesi di inizio invio elettronico. Facendo un confronto tra i mesi di giugno, luglio, agosto e settembre, si evince che il processo di fatturazione elettronica è in una fase evolutiva e come tutte le nuove tecnologie e tutti i nuovi processi di business, ha bisogno di un certo lasso di tempo, per poter portare vantaggi anche in termini di tempo speso. Proprio verso la fine dell’anno si nota un evidente miglioramento dei processi di fatturazione elettronica sia nei fornitori sia nelle PA. Prendendo appunto come riferimento il mese di dicembre 2014, i dati dicono che nel periodo di riferimento il SdI ha ricevuto e correttamente gestito 447.213 file fattura di cui: • il 86,72% (387.800) sono stati inoltrati alla PA; • il 12,84% (57.435) sono stati scartati dal sistema per le motivazioni specificate nel seguito del documento; • lo 0,44% (1.978) non sono stati recapitati per l’impossibilità di identificare o raggiungere l’ufficio destinatario ed è stata restituita al cedente/prestatore l’attestazione di avvenuta trasmissione. Ancora in aumento quindi le fatture ricevute dal SDI, ma in notevole diminuzione sia gli scarti, sia le fatture che sono state impossibili da recapitare correttamente. Il report di dicembre, però, ci offre anche un altro dato molto interessante. La causa più frequente di scarto continua ad essere costituita dagli errori commessi nel nominare i file fattura (37% complessivamente), invece di

essere nominati in modo univoco e secondo le direttive dettagliate del documento tecnico fornito dalla stessa Sogei sul sito www.fatturapa.gov.it. A seguire, nella distribuzione delle cause di scarto, troviamo l’inserimento in fattura di un identificativo IVA del cessionario/committente non valido e quindi un evidente errore di imputazione dei caratteri. Ovviamente queste tipologie di errori, andranno via via scomparendo, man mano che i sistemi gestionali delle Aziende saranno completamente aggiornati e automatizzati, permettendo quindi una connessione con le anagrafiche già preesistenti e quindi evitando di commettere nuovi errori. Il report riferito al primo mese del 2015, indica una certa stabilità nell’utilizzo del sistema. Più del 66% degli scarti (10% dei file ricevuti) è causato da errori non legati all’utilizzo del supporto (nomenclatura del file e problemi legati alla firma digitale ed al riferimento temporale). Difatti solo il 20% circa degli scarti (3% dei file ricevuti) è causato da errori di conformità del file fattura XML rispetto alle linee guide riportate dal sito fatturapa.gov.it e le indicazioni tecniche sulla nomenclatura. Quanto indicato, permette di essere ottimisti rispetto alla familiarità delle aziende e dei professionisti (fornitori della PA) con il nuovo sistema di fatturazione elettronica. Ora quello che ci aspetta dal 31 marzo 2015 è certamente un movimento di fatture elettroniche molto più ampio , visto che saranno molti di più i soggetti coinvolti. La speranza di digitalizzazione del nostro Paese, dati alla mano, dunque è ben riposta e non possiamo far altro che spingere ancora di più su questa strada intrapresa, certamente ricca di vantaggi e di nuovi spunti innovativi non solo per le PA, ma anche e soprattutto per l’intero sistema Paese.


IN TERN AZ IONALIZ Z AZ IO NE

Ruote Mediterranee: Barcellona, vent'anni dopo Che fine ha fatto lo Spazio Euromediterraneo, quella grande policy comunitaria che nel 1995 aveva deciso di creare un’area di prosperità condivisa fra Unione Europea e Partners sudmediterranei?

Ely Szajkowicz Responsabile Informazione e Comunicazione Confindustria Assafrica & Mediterraneo news@assafrica.it

É

una Europa schizofrenica quella che osserva il Mediterraneo. Da un lato infatti guarda con timore all'area organizzando strumenti e operazioni per contrastare i flussi di immigrazione e, dall’altro, ha invece in un cassetto intelligenti politiche e strumenti elaborati vent'anni fa in risposta alle dinamiche socioeconomiche che già allora agitavano il Sud Mediterraneo. Il 2015 infatti non è solo l'anno dell'Expo ma anche quello del ventennale della Conferenza di Barcellona che nel 1995 aveva lanciato una grande policy comunitaria costruita a “ruota di bicicletta”: l’Unione Europea ne era il centro e, una volta firmati gli Accordi di Associazione con i Paesi della Sponda sud che l’avevano sottoscritta (i “raggi”), questo avrebbe portato alla creazione di un’area di prosperità condivisa che si sarebbe aperta nel 2010. Il Partenariato Euromediterraneo così veniva definito questo sistema di relazioni fondato su tre pilastri (economico, sociale e culturale) - fu giustamente salutato come una storica svolta nelle relazioni fra Unione

Europea e Partners sudmediterranei. Attraverso una architettura comunitaria per l’epoca ardita e di grande visione, l'Unione Europea individuava infatti una risposta possibile a divario economico e crescita demografica, due problemi di fondo della Sponda Sudmediterranea, che venivano di fatto affrontati alla radice puntando allo sviluppo economico e sociale in loco e, quindi, alla diminuzione della pressione migratoria verso l’Europa. Allo stesso tempo, inoltre, la politica euromediterranea attraeva i paesi sudmediterranei verso l'Europa, evitando spinte centrifughe verso altre macroregioni economiche che si sono poi evidenziate (Brics, Golfo, USA) e mettendo a fattor comune manodopera e risorse di petrolio e gas sudmediterranee da un lato e knowhow e maturità dei sistemi industriali europei dall'altro, così da offrire una exit strategy alla combinazione di disoccupazione e demografia che è poi divenuta il detonatore della grande crisi di crescita e dei cambiamenti sociali mediterranei, tuttora in corso. Lo Spazio Euromediterraneo,


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È cresciuta la consapevolezza dei Governi dell'area che il modello della piccola industria può e deve essere la risposta ai problemi della disoccupazione del Nord Africa

infatti, offriva e offre tuttora ai paesi rivieraschi firmatari della Dichiarazione di Barcellona la grande opportunità di un rapporto one-on-one con l’UE, per creare una relazione privilegiata fondata sulla pari dignità e sulla corresponsabilità della stabilità politica e dello sviluppo economico e sociale della macroregione mediterranea, coinvolgendo, seppure in un momento successivo, anche la Libia, che aveva uno status di osservatore, non essendo firmatario della Dichiarazione di Barcellona. La vera rivoluzione mediterranea era dunque già tutta nel DNA di un'Europa che portava avanti l'idea che, come diceva Jean Monnet, uno dei Padri fondatori comunitari, le spiegazioni fossero economiche ma gli obiettivi fossero politici. La Zona di Libero scambio si è aperta nel 2008 con la Tunisia, primo Paese ad aver firmato l'Accordo di Associazione con la UE, circostanza che ne avvalora maggiormente il ruolo di laboratorio mediterraneo e di Paese di riferimento per la comprensione delle dinamiche sudmediterranee. Certo, è poco rispetto ai grandi traguardi che l'Euromediterraneo avrebbe potuto conseguire se nel 2010 si

fosse effettivamente aperta una Zona di prosperità condivisa attraverso la forte incentivazione di massicci investimenti privati e pubblici europei nei Paesi della Sponda sud del Mediterraneo. Ma gli incentivi e gli investimenti sono stati ben poca cosa in questi venti anni. A margine dei Vertici dei Ministri che hanno seguito l’attuazione della Conferenza di Barcellona è nato peraltro anche uno storico processo di aggregazione delle organizzazioni imprenditoriali della Sponda sud, che ha portato alla nascita di Businessmed, l'Organizzazione imprenditoriale delle "Confindustrie" sudmediterranee. E fu una piccola rivoluzione anche quella che portò la Confindustria italiana, tutor del programma comunitario che aveva portato alla nascita stessa di Businessmed, a diventarne il primo Membro (Osservatore) nordmediterraneo. Se questo è dunque lo stato dell'arte di preziosi meccanismi comunitari, in casa imprenditoriale il 2015 si è aperto con un fatto nuovo: a gennaio il Presidente della Piccola Industria di Confindustria Alberto Baban è stato eletto Vice Presidente di Businessmed, affiancando quindi, insieme all'Algeria, il

nuovo Presidente Jacques SarrafLibano, uno dei più importanti imprenditori dell'area del Mediterraneo orientale. Una novità assoluta ed un rilevante salto di qualità nelle relazioni imprenditoriali euromediterranee, che riporta l'Italia davvero al centro dell'area e riassorbe le spinte talvolta extramediterranee delle precedenti Presidenze di Businessmed. Certo, la situazione socio-politica ed economica nel Mediterraneo è molto diversa e assai più complessa rispetto al 1995. Ma è cresciuta anche la consapevolezza dei Governi dell'area che il modello della piccola industria può e deve essere la risposta ai problemi della disoccupazione del Nord Africa, dove molto si è investito su formazione e istruzione e dove si spinge su incentivi agli investimenti e piani di industrializzazione. Probabilmente però saranno turchi, cinesi, coreani, brasiliani e altri ancora ad usufruirne, se la narrativa italiana sul Mediterraneo continuerà ad essere principalmente quella del contrasto ai flussi migratori. Ci vorrebbe più economia integrata mediterranea e meno euro-burocrazia. Ma questa è un'altra storia.


S I CU R E Z Z A Settore ricerca, certificazione e verifica osservatorio della sicurezza a cura della Direzione Centrale Programmazione, Organizzazione e Controllo

L’idoneità per i lavori elettrici sotto tensione Per l’attestazione e il rilascio di questa, il datore di lavoro deve accertare che l’operatore abbia le conoscenze teoriche e l’esperienza pratica nell’ambito delle attività lavorative previste di Giovanni Luca Amicucci INAIL – Settore Ricerca, Certificazione e Verifica – Dipartimento Innovazione Tecnologica Laboratorio Apparecchiature e Impianti Elettrici e Elettronici

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er quanto riguarda la bassa tensione (sistemi di Categoria 0 e I, cioè, per chiarezza, fino a 1000 V c.a. e 1500 V c.c.), il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008 e ss.mm. e ii.) all’art. 82 consente i lavori sotto tensione quando le procedure adottate e le attrezzature utilizzate sono conformi ai criteri definiti nelle norme tecniche (nel caso della bassa tensione le Norme EN 50110-1 e CEI 11-27), purché l'esecuzione di lavori su parti in tensione sia affidata a lavoratori riconosciuti dal datore di lavoro come idonei per tale attività (secondo le indicazioni delle norme citate). I lavori con rischio elettrico, che non siano lavori sotto tensione, possono essere eseguiti da: PES (persona esperta in ambito di lavori elettrici) o PAV (persona avvertita in ambito di lavori elettrici), oppure da PEC (persona comune, cioè non esperta e non avvertita) sotto la supervisione di PES (dove per supervisione si intende un complesso di attività, svolte prima di eseguire un lavoro, ai fini di mettere i lavoratori in condizioni di operare in sicurezza senza ulteriore necessità di controllo), oppure da PEC sotto la sorveglianza costante

di PES o PAV. I lavori sotto tensione possono essere eseguiti solo da PES o PAV idonei. Per poter ottenere dal datore di lavoro la qualifica di PES o PAV è necessaria un’adeguata formazione, ed è raccomandata (CEI 11-27), in bassa tensione, una durata minima di eventuali corsi per la preparazione teorica (livello 1A) non inferiore alle 10 ore, però per l’idoneità, cioè per poter effettuare lavori sotto tensione, si devono aggiungere almeno ulteriori 4 ore di formazione teorica (livello 2A). Quanto segue completa l’intervento del numero 6 di novembre/dicembre 2014 di Costozero, dove per ragioni di brevità non si era parlato di idoneità per i lavori sotto tensione. Infatti, in accordo con l’art. 82 del Testo Unico, la Norma CEI 11-27 prevede, al punto 6.3.1.6, come requisiti per poter eseguire lavori sotto tensione in bassa tensione due cose: in primo luogo il personale che lavora sotto tensione deve essere PES o PAV, inoltre deve aver ottenuto l’idoneità ai lavori sotto tensione su sistemi di Categoria 0 e I. Tale idoneità deve essere attestata e rilasciata dal datore di lavoro, come

meglio chiarito tra poco. L’idoneità è quella condizione per la quale ad una persona è riconosciuta la capacità tecnica e pratica ad eseguire uno o più lavori sotto tensione specificati dal datore di lavoro, come riportato al punto 6.3.2 della CEI 11-27. Essa sottintende il possesso di un insieme di qualità personali e professionali della persona interessata. Per l’attestazione e il rilascio dell’idoneità, il datore di lavoro deve accertare che l’operatore abbia le conoscenze teoriche e l’esperienza pratica nell’ambito delle attività lavorative previste. La conoscenza teorica si può ottenere tramite processi formativi conclusi con esito positivo. I corsi formativi possono essere erogati dal datore di lavoro, o da soggetti esterni. In quest'ultimo caso, tali soggetti devono rilasciare un attestato di regolare frequenza ai corsi di formazione, comprensivo delle valutazioni finali di apprendimento. Le conoscenze pratiche possono essere acquisite tramite affiancamento della persona da formare con PES idonee, durante l’attività lavorativa o formativa. L'attestazione dell'idoneità per i lavori


5 4/ 55 sotto tensione in bassa tensione deve essere formalizzata per iscritto, quando si tratta di lavoratori dipendenti (punto 6.3.2.1, CEI 11-27). Per il conseguimento dell'idoneità, la persona deve possedere conoscenze dei lavori sotto tensione in Categoria 0 e I che completano le conoscenze di base (secondo la terminologia adottata dalla Norma le conoscenze teoriche devono essere di livello 2A e quelle pratiche di livello 2B). Il datore di lavoro può autorizzare a svolgere i lavori sotto tensione solo quelle persone che prima abbia riconosciuto come idonee. Per il conferimento dell'idoneità, il datore di lavoro deve effettuare una valutazione completa della persona che vuole riconoscere come idonea e per far ciò considererà, accanto alla formazione posseduta, anche l’idoneità psicofisica, il curriculum professionale e i comportamenti tenuti durante l'attività lavorativa

svolta (con riferimento alla sicurezza). Per la valutazione della formazione posseduta, il datore di lavoro può assumere a riferimento, una o più delle seguenti attività formative: • le attività lavorative e formative pregresse, anche eseguite in affiancamento; • la documentazione attestante l'avvenuta frequenza con esito positivo di specifici corsi di formazione, con indicata la valutazione finale del corso espressa dall’organizzazione erogatrice del corso; • la formazione svolta in ambito aziendale. Nel caso degli stessi datori di lavoro o di lavoratori autonomi che svolgono attività lavorativa sotto tensione su sistemi di Categoria 0 e I, questi devono possedere le conoscenze necessarie per l'idoneità all'esecuzione dei suddetti lavori e, quando richiesto, autocertificare tale idoneità (punto 6.3.2.2, CEI 11-27). Tale autocertificazione deve essere ba-

sata sul possesso dei requisiti necessari per poter svolgere lavori sotto tensione su sistemi di Categoria 0 e I (senza trascurare il requisito relativo al possesso di un’adeguata esperienza lavorativa su tali sistemi). L’idoneità ad eseguire lavori sotto tensione deve essere mantenuta con la pratica o con successivi addestramenti, come previsto al punto 6.3.3 della CEI 11-27. La validità dell’autorizzazione al lavoro sotto tensione deve essere rivista se necessario, in accordo con il livello di idoneità della persona interessata. È comunque buona norma riesaminare l’idoneità con cadenza annuale. L’idoneità può essere revocata dal datore di lavoro qualora dovesse risultare evidente il venire meno del possesso dei requisiti personali dell’operatore, ad esempio a seguito del verificarsi di palesi violazioni dei principi di sicurezza.


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Controllo del peso e patologie metaboliche, non solo farmaci/1 Attualmente vi è un aumentato interesse per approcci alternativi non farmacologici per il controllo del peso che prevedono l'impiego di sostanze naturali ed estratti vegetali Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica)

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ei Paesi industrializzati l’obesità è ormai una patologia epidemica e gli interventi di prevenzione, fino ad ora, si sono dimostrati inefficaci. Si ritiene che la crescente disponibilità di alimenti ad alta densità energetica sia l’elemento motore primario. Man mano che i redditi aumentano e le popolazioni diventano più urbanizzate, le società entrano in una transizione nutrizionale, caratterizzata dal passaggio da diete composte principalmente da cereali e verdure a diete ricche in grassi e zuccheri e povere di fibre. L’invecchiamento della popolazione e il progressivo aumento dell’obesità sono alla base della crescita marcata dei casi di diabete. Le stime più recenti indicano che, nel mondo, l’8,3% di adulti - 382 milioni di persone - hanno il diabete, e il loro numero è destinato a salire ad oltre 592 milioni in meno di 25 anni. Purtroppo la terapia farmacologica dell’obesità non può essere definita soddisfacente. Negli ultimi 25 anni più di 120 farmaci sono stati studiati ma solo uno negli Stati Uniti e in Italia, orlistat, è ancora approvato per la terapia a lungo termine. Attualmente vi è un aumentato interesse per approcci alternativi non farmacologici per il controllo del peso che prevedono l'impiego di sostanze naturali ed estratti vegetali. Di seguito vengono illustrate le caratteristiche di alcuni di questi prodotti. L'Opuntia ficus-indica (conosciuta come nopal o fico d'india) appartiene alla specie dei cactus ed è abbondantemente rappresentata in Messico, in vaste aree dell'America Latina, nel Sud Africa e nel Mediterraneo. Questo tipo di cactus produce una pera spinosa che, oltre ad uso culinario, è impiegata nel trattamento dell'ulcera peptica, malattie epatiche, glaucoma, nella terapia delle ferite e nella fatigue. L'Opuntia è utilizzata, da sempre, dagli Indiani Pima per il trattamento del diabete e della iperlipemia, inducen-

do un abbassamento dei valori della glicemia a digiuno e una riduzione del colesterolo totale e della frazione LDL. L'estratto acquoso della pera spinosa ha dimostrato di possedere elevato potere antiossidante dovuto soprattutto al contenuto in vitamina C, vitamina E, piccole frazioni di carotenoidi, flavonoidi come la quercentina, nonché betacianina e betaxantina. Recentemente è stato confermato l'effetto metabolico di un estratto di ficus-indica Opuntia (OFI) su un modello murino di obesità indotta dalla dieta e sulle isole pancreatiche isolate. Non va sottovalutato il fatto che i cladodi dell'Opuntia ficus-indica sono una ricca fonte di fibre dietetiche solubili e la polvere disidratata è stata utilizzata in laboratorio per legare i grassi dietetici nell'ipotesi che il complesso grasso-fibre non venga digerito, né assorbito e quindi eliminato, contribuendo a ridurre l'intake energetico e a promuovere la perdita di peso. É presente in commercio un complesso di fibre vegetali (Litramine IQP G-002AS) brevettato e composto da fibre ricavate dalla disidratazione di foglie di cactus Opuntia ficus arricchite da una seconda fibra solubile vegetale che è la gomma di acacia (acacia gum). Questo composto può legare e sequestrare i grassi assunti con la dieta nell’intestino, impedendone così l’assorbimento. In pratica a parità di calorie assunte con la dieta, quelle realmente assorbite sono di meno, e l’efficacia della dieta risulta maggiore. Litramine in soggetti sovrappeso e obesi trattati con una dieta ipocalorica è in grado di indurre, a 12 settimane, una perdita di peso almeno pari al 5% di quello iniziale. Una dose giornaliera di 3 g per un periodo di 7 giorni ha indotto un aumento dell'escrezione di grasso nelle feci statisticamente significativa nei confronti del placebo -15,8% (SD 5,8%) rispetto al 4,6% (SD 3,1%); P <0,001- .


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Cellulite, la nemica estiva delle donne Tanti buoni suggerimenti per contrastare il ristagno dei liquidi nei tessuti. Parola di Antonino Di Pietro, Direttore dell'Istituto Dermoclinico Vita Cutis a cura della Redazione

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er la cellulite è arrivato il momento della verità. La prova costume, infatti, metterà in crisi l’80% delle donne. Niente paura, però, perché per migliorare l’aspetto di gambe, glutei e addome non è mai troppo tardi. Ci si può affidare a tecniche sperimentate ed efficaci (ad esempio carbossiterapia, microterapia, etc.) chiedendo consiglio al dermatologo, ma si può fare qualcosa anche a casa propria. I risultati variano a seconda del tipo di cellulite e della sua “severità”, ma vale sempre la pena fare un tentativo.

logica e Rigenerativa, e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, a Milano. Quali gli alimenti da preferire? La frutta e la verdura, ricche di acqua, aiutano a eliminare dai tessuti i liquidi in eccesso responsabili della cellulite. Mirtilli e ananas, ad esempio, possono rappresentare un ottimo dessert, magari con l’aggiunta di una pallina di gelato. «L’ananas è ricco di bromelina, una sostanza che aiuta ad eliminare i liquidi che si accumulano nei tessuti svolgendo un’azione antinfiammatoria importante per combattere la cellulite. I mirtilli, A tavola invece, sono ricchi di flavonoidi Il primo passo per dire basta che, rafforzando i capillari sanguialla buccia d’arancia, passa dalla gni, favoriscono la microcircolatavola. «Bisogna cercare di limizione locale, con l’eliminazione di tare i cibi salati, come affettati, scorie e liquidi in eccesso», spiega formaggi stagionati, sostitutivi il professor Di Pietro. del pane, piatti pronti e in scatoAnche soia (germogli, ma anla e alcuni biscotti e dolci (basta che latte, yogurt, budini) e pesce leggere la quantità di sale presente azzurro (sardine, sgombri etc.) in etichetta), per lasciare spazio a contengono sostanze drenanti che cibi più sani ma comunque gufavoriscono la lotta alla cellulite. stosi», dice il professor Antonino L’igiene personale Di Pietro, Presidente fondatore dell’Isplad, Società Internazionale Le cure dedicate all’igiene personale possono diventare un valido di Dermatologia Plastica, Onco-

Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis

momento di lotta alla cellulite. «Le creme anticellulite a base di sostanze che rendono la pelle più compatta, esplicano un effetto drenante e stimolano il microcircolo, funzionano di più se abbinate allo scrub. Passare sulla pelle un prodotto per eliminare le cellule morte durante la doccia, infatti, permette poi alla crema anticellulite (ad esempio a base di iodio, ginko biloba, caffeina e centella) di penetrare più in profondità», suggerisce Di Pietro. In alternativa si può fare un bagno in acqua “freddina” (26-27 gradi) con i sali del Mar Morto, che hanno un effetto drenante.

L’automassaggio Il massaggio linfodrenante per-


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mette di riattivare la circolazione linfatica favorendo l’eliminazione di liquidi e tossine. Deve essere praticato da personale esperto, ma per provare a combattere la cellulite si può tentare un fai da te, anche a casa propria. «Basta mettere le dita dietro le ginocchia muovendole avanti e indietro con una leggera pressione. Si può poi ripetere lo stesso movimento all’inguine e sotto le ascelle. Altrimenti si possono pizzicare delicatamente i tessuti “incriminati” tra pollice e indice per agire sui liquidi di ristagno», spiega il professor Di Pietro.

Per ovviare a questo inconveniente quando si torna a casa si può fare un pediluvio con acqua tiepida e sale grosso, che aiuta ad eliminare il ristagno di liquidi. Se invece si fa la doccia, alla fine si possono spruzzare le gambe per 3-4 volte con dell’acqua fredda per riattivare la circolazione locale. Sedute sul divano a guardare la TV o a letto è utile mettere sotto le gambe un cuscino non troppo alto per favorire al circolazione e il ritorno del sangue al cuore. «Per sgonfiare le gambe si può anche fare un massaggio, semplicemente mettendo le mani a ventosa, come per raccogliere dell’acqua, e massaggiando le gambe dalla caviglia alla coscia», suggerisce il professor Di Pietro.

ristagno di liquidi. «Se si sta tutto il giorno in piedi, quindi, è utile alzarsi sulle punte per 1-2 minuti ogni ora. Chi sta sempre seduta, invece, dovrebbe alzarsi e sgranchirsi le gambe camminando per un paio di minuti ogni 1-2 ore», dice Di Pietro.

Attenzione all’abbigliamento

Infine, occhio all’abbigliamento. Meglio evitare abiti troppo attillati, come jeans o leggings stretti, che rendono difficile la circolazione nella zona di gambe e glutei. Attenzione anche ai tacchi: troppo alti non vanno bene, ma nemmeno l’opzione rasoterra è l’ideale. «La Per le gambe gonfie soluzione migliore è mantenere Spesso gambe gonfie e cellulite una curvatura naturale del piede sono due facce della stessa medache muovendosi funge da pompa, glia. Le gambe, infatti, si gonfiano facendo risalire il sangue verso il Cambiare posizione soprattutto con il caldo, perché il cuore. sangue non riesce a ritornare bene Stare sedute o, al contrario, in La miglior scarpa “anticellulite” ha verso il cuore facendo accumulare piedi tutto il giorno, non fa certo quindi un tacco di 2-3 centimetri», bene alle gambe perché favorisce il spiega l’esperto. liquidi nei tessuti.

Senza dimenticare lo sport Fare attività fisica è un suggerimento anticellulite che si sente ripetere da tempo, ma che non è affatto superato. «Muoversi riattiva la circolazione locale e l’eliminazione di liquidi e tossine. Inoltre tonifica i muscoli rendendo la cellulite meno evidente», precisa Elena Buscone, Personal Trainer a Milano. Tutti gli sport vanno bene, ma tra i più indicati per combattere la cellulite ci sono i “classici” aquagym, hydrobike o nuoto. «Muoversi in acqua aumenta l’effetto drenante dell’attività fisica, grazie al massaggio e alla temperatura dell’acqua stessa. Se poi il movimento viene fatto in mare, nell’acqua salata che richiama i liquidi dai tessuti, il risultato è amplificato», dice Elena Buscone. Chi è stufa dei soliti corsi può

puntare sulle novità più alla moda, come l’antigravity, una nuova proposta del fitness che si pratica utilizzando amache appese al soffitto. «Le amache possono essere utilizzate per praticare diverse discipline, dallo yoga ai corsi di fitness. Venendo a diretto contatto con il corpo nelle zone critiche (come glutei e cosce) praticano un massaggio che aiuta a vincere la cellulite», suggerisce l’esperta.


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ZenPasta, una buona idea italo-nipponica Leggerezza orientale e sapore occidentale per un prodotto che viene dal passato e che diventa un’idea per il futuro, destinata a prendere spazio sulle nostre tavole di Angela Spagnulo

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hiamateli, se volete, Shirataki. E fate un salto indietro nel passato. Da noi in Italia sono arrivati come ZenPasta e, da circa un anno, tra i salutisti e i golosi che fanno attenzione alle calorie di troppo sono già un trend. «Il piatto che celebra una convivialità internazionale è l’idea che mancava: leggerezza orientale, sapore occidentale, storia e tradizione nella materia prima, innovazione e creatività nel suo impiego a tavola» commenta Nicola Santini. «La ZenPasta è un contenitore di cultura e salute, ideale per qualsiasi tipo di commensale che non rinuncia al piacere di un primo piatto o di un piatto unico e che, in tempi di diete e culto della forma fisica, strizza l’occhio con curiosità alle proposte che vengono da lontano. Un prodotto che viene dal passato e che diventa un’idea per il futuro, destinata a prendere il suo spazio nelle nostre tavole». La ZenPasta nasce da un’idea di Lorenzo Simonini, ingegnere veronese, e di sua moglie Yuko, di origine giapponese, che hanno fondato nel 2012 l’azienda. Sulla pasta si sono aperti orizzonti nuovi: c’è chi la chiede senza glutine, chi la vuole a minor indice glicemico, chi la vuole senza carboidrati o più proteica possi-

bile. I giapponesi ce l’hanno da sempre. E la usano come rimedio vicinissimo alle zero calorie per porzione (circa 15), senza rinunciare al Lorenzo Simonini insieme con sua moglie Yuko gusto, concentrando la creatività sul condimento senza l’ossessione di non l’apporto calorico. ZenPasta consente di tagliare le calorie della pasta, scemescolare proteine e carboidrati. Sì, perché una cosa è certa: chi ama la pa- gliendo di privilegiare le proteine e le sta ad ogni pasto dà del filo da torcere fibre contenute nei condimenti, senza alle proprie energie, mentre un piatto rinunciare al gusto di un primo piatto da mangiare con disinvoltura». leggero e reso facilmente appetitoso Ma cosa ha dato ispirazione alla dai condimenti proteici o vegetali, creazione di questo nuovo concetto mette d’accordo sapore e viver bene. La ZenPasta di carboidrati non ne ha, culinario? «Siamo degli amanti della buona tavola, ma contemporanecosì come non ha glutine. E il gusto lascia lo spazio ai sughi che amente vogliamo tenere d’occhio a questo punto possono essere conce- la linea e cercare ciò che fa bene al piti con più disinvoltura: la carbonara nostro corpo: in fondo noi siamo ciò diventa un piatto proteico, il ragù un che mangiamo», raccontano Lorenzo e Yuko. «In Giappone l'attenzione po’ di carne con le giuste verdure, il ai cibi che fanno bene è altissima da pesto una vera iniezione di sapore, come spiega Samantha Biale, diet co- sempre. In Italia invece, siamo più ach che ha dato la sua benedizione dal portati all'attenzione per il gusto e per i prodotti della nostra terra. Così abpunto di vista nutrizionale: «Molto spesso nel confezionare sartorialmente biamo pensato di fare scoprire anche un piano alimentare ci si trova ad af- in Europa un prodotto che riesce a frontare il “punto pasta”, che è spesso coniugare i vantaggi delle due culture quello scoglio che in pochi riescono a e si sposa perfettamente con i piatti della storia culinaria italiana». superare quando decidono di ridurre


A RTE

Wilderness #2 (in un paese dove la felicità è sposata al silenzio) Sedimentazione e rielaborazione rappresentano la fase conclusiva del cammino di Daniele Girardi, la formalizzazione e l'impaginazione visiva, la eco di un tragitto, la testimonianza di una esperienza di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata

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l racconto di viaggio ha inizio il 12 novembre 2014, con un primo report in cui l'artista avvisa

che intende classificare «l'email per giorni, perciò con data», e, «quando sono reperibili, anche» munite «di coordinate GPS (non c'è molto campo satellitare, ma c'è una luce fantastica per fotografare) […]». Le coordinate preparatorie, N 60° 5'37.53'' / E 12°20'50.64'' (A 224m), tracciano, assieme ad una storia degli oggetti debitamente fotografati e classificati, il punto di partenza di un processo che, a dire il vero, ha a che fare con gli inizi e con le fini, con la descrizione delle continuità oscure e con i ritorni, con la consuetudine e con la desuetudine. Il 13 novembre, dopo l'arrivo nella foresta inospitale e selvaggia, ha inizio finalmente il percorso. «I norvegesi lo chiamano MYR», avverte l'artista in un blog che rappresenta la visual chronicles from Norwegian wilderness, «è un terreno intriso d'acqua dove i piedi sprofondano come in sabbie mobili; un passo sono come cinque, ma non si avanza» se non a stento. Il primo step di questo

itinerario estetico è legato, appunto, ad una serie di importanti flessioni creative che trasformano l'arte in vissuto quotidiano, in esplorazione, in esercizio e pratica di resistenza, in connessione con la natura selvaggia e nell'organizzazione di una poetica cartografica che disegna i punti cardinali del percorso. A questi quattro globuli che rappresentano, per Girardi, la «base e l'essenza di tutto il percorso» poiché «il vissuto ha una valenza performativa, in quanto la radice più autentica della poetica si stabilisce nel momento preciso in cui io vivo l'esperienza e in questo caso la mia permanenza nella foresta a contatto


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diretto con l'ambiente circostante», fa fede un successivo momento legato più strettamente alla documentazione, alla testimonianza di ciò che è stato, alla cronaca visiva che cuce, sotto uno stesso cielo la realtà e la visione, le poetiche cartografiche, le memorie e le biografie dei percorsi. È, questo, un ambiente d'elaborazione in cui l'artista edifica una lenta passerella – che definisce Epica degli oggetti ed archeologia dei materiali – utile a definire le attività, gli spostamenti delle cose: «A volte utilizzati altre volte sostituiti, i diversi oggetti e manufatti diventano componente fondamentale nell'attività outdoor. Nelle differenti situazioni possono rivelarsi decisivi, come per esempio una bussola o un accendino; l'esito di una semplice azione come orientarsi o riscaldarsi può risolvere un'incognita o determinarne l'insuccesso. Nella loro funzione e/o una volta decontestualizzati in studio mi riportano a considerarli e a valorizzarli per la loro epica. Una volta collocati in una dimensione indoor sono classificati e catalogati, per registrarne

l’impiego. Le stesse Moleskine vengono sotterrate (in qualche area remota e geotaggate) e in seguito dissotterrate dal terreno; una pratica comune alla fase di scavo archeologico. Ricongiunti nello spazio, creano una relazione, diventano feticci post-natura di quello che rimane o di ciò che è stato». Sedimentazione e rielaborazione rappresentano, infine, la fase conclusiva del cammino, la formalizzazione e l'impaginazione visiva, la eco di un tragitto, la testimonianza di una esperienza. Ma «questa è solo una documentazione», puntualizza l'artista, «il vero lavoro è stare nella foresta selvaggia», nutrirsi di visioni ataviche, di Wilderness (in un paese dove la felicità è sposata al silenzio).


F I N I S TE RRE

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Omaggio a Andy Warhol, artista televisivo La sua idea di “scatola meravigliosa” è stata amalgama tra arte contemporanea e sperimentazione audiovisiva

Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università degli Studi di Salerno

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i Andy Warhol (1928-1987) sappiamo tanto. L’artista che ha creato le serigrafie e multipli con i personaggi del mondo pop (Marylin Monroe, Mick Jagger, Elisabeth Taylor, Michael Jackson), della politica (Mao, Che Guevara) e di oggetti di consumi di massa (le zuppe Campbel, la Coca Cola). Il teorico dei 15 minuti di fama dovuti a tutti. Il regista immaginifico di opere “assolute” (“Flesh”, “Trash”, “Nude Restaurant” e un’altra decina di film che sfidano lo sguardo), il producer algido, il fondatore della Factory, lo scopritore di talenti (dai Velvet Underground a Basquiat), il nightclubber, il grande provocatore dell’arte come marketing e mille altre cose dentro e fuori il “sistema dell’arte”. Sicuramente meno conosciuto il lavoro televisivo di Andy Warhol. Immediatamente va detto che la “sua” idea di televisione è amalgama tra arte contemporanea e sperimentazione audiovisiva. La sua produzione televisiva è uno scenario che in maniera potente s’inserisce nella vastissima produzione pop dell’artista. Andy Warhol è, appunto, una delle figure più significative dell'arte e della cultura del Novecento. A partire dagli anni Sessanta è stato tra i maggiori interpreti di una nuova visione del mondo e della vita, una visione estetica che è stata denominata pop. Ma, a differenza di altri protagonisti della Pop Art, l'opera di Warhol ha espresso una straordinaria capacità di penetrare nei tessuti della comunicazione contemporanea attraverso svariate modalità operative, creando un'inedita rete multimediale. Analizzando i vari linguaggi artistici utilizzati da Warhol (in particolare la pittura e il cinema) e le riflessioni disseminate nei suoi scritti e nelle interviste troviamo un continuo sconfinamento nella cultura dei massmedia e del costume. Dai feticci industriali all'indagine sul divismo hollywoodiano, dal tema della morte al travestitismo,

dal cinema underground all'arte commerciale, l'estetica warholiana rivela una continua sovrapposizione mimetica con la sua fonte iconica principale, l'America, metafora assoluta di una contemporaneità ridotta a superficie. Dalla telecamera immobile che riprende l’Empire State Building ai primi piani di Edie Sedgwick, dalle interviste “mute” agli autoritratti alle canzoni a lui dedicate, tutto questo è Warhol, il Warhol immerso in quella “scatola meravigliosa” che a detta di Warhol era la tv. L’analisi di uno strumento oggi così abusato e sopravvalutato è interessante a mio parere per comprenderne l’evoluzione da un punto di vista freddo e distaccato come quello del Warhol nei suoi variopinti talk shows, un atteggiamento che oggi, rispecchia tutti noi, telespettatori sempre più distratti. Warhol ha messo a nudo la nostra realtà, vestita solo di pixel, la nostra sedentarietà e indifferenza dinanzi al già visto, al già sentito e al già vissuto. Oggi la tv non è sola, pensiamo a youtube, google, facebook, instagram, twitter. L’alienazione in scala, comoda e deformante. Oggi basta un click per trasformare un proprio selfie in un'icona pop; i famosi quindici minuti di celebrità che tutti possono ottenere nella propria vita che preconizzava già cinquant’anni fa l’egocentrico artista. Warhol voleva provocare, voleva la fama, anche televisiva, voleva il chiacchiericcio inconsistente, perché la televisione si nutre di tale vacuità, la stessa che alimenta quasi interamente le giornate delle nuove e ormai anche delle vecchie generazioni di telespettatori e social network addicted. Warhol scompare nei pixel nella pubblicità per la TDK e la domanda che mi pongo concerne il grado di consapevolezza che oggi ci abbandona all’alienazione, oggi così come cinquant’anni fa. “Quanto rimarrà della comunicazione reale e che prezzo bisognerà pagare per imparare a riconoscere il limite da non superare?”


B O N TO N

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Selfie con bon ton Un po’ di misura e di buon senso - dalla giusta angolazione, ovvio - non guasta neanche in questo caso

Nicola Santini Esperto di galateo, costume e società ph/Christian Ciardella

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a contagiato tutti. Dai primi ministri a Barbara d’Urso. Dalle star candidate agli Oscar agli alti prelati. Il selfie, vizio e virtù trasversale, ha un suo bon ton e guai a starne alla larga. Mai chiamarlo autoscatto, guai a non postarne uno con la stessa frequenza con la quale ci si cambia d’abito per non inflazionare gli aggiornamenti in bacheca. Ma, soprattutto, guai ad arrendersi al primo round: c’è sempre una bocca che arricciata si mangia le prime rughe di espressione, un occhio che può uscire più languido, e se si becca l’angolo giusto siamo certi che nemmeno Avedon sarebbe stato in grado immortalarci in un’espressione migliore rispetto a quella che otteniamo da soli dopo ore e ore davanti allo specchio o al cellulare. Secondo me il galateo non sempre deve dare verità assolute, o dettami talebani sul savoir faire: già saremmo felici, noi amanti della buona creanza, se dopo una minima riflessione le persone si ponessero i quesiti giusti. L’esperienza insegna che se ci facciamo le domande giuste, la risposta non è molto distante. Contate fino a dieci, quindi, trattenete il respiro, e selfie sia! Ma veniamo alle domande. Domanda uno: sarà che forse ai miei tempi chiudersi in bagno per farsi un selfie aveva tutto un altro significato, ma mi domando cosa ci sia di meno sexy di una posa sinuosa o virile con una tazza con la tavoletta alzata sullo sfondo o con le ciabatte da camera poste ad asciugare sul termosifone che non abbiamo omesso dall’in-

quadratura. Domanda due: che ne pensate dell’accostamento asciugamano in vita, stendibiancheria sul lato? Tanta la cura per sistemare gli angoli della bocca, tanta la sciatteria nell’aprire le porte al mondo su un’esistenza che non prevede locali lavanderia fuori dal salotto buono. Domanda tre: che cos’è che ci consente di dormire con la testa miracolosamente appoggiata sul cuscino dove i capelli non fanno una piega e ci rende autonomo il braccio sinistro per scattare una foto durante il sonno? Belen Rodriguez in questo merita la cintura nera. E in buona sostanza: se è un selfie, l’aria distratta da star paparazzata, una volta ci sta, ma siamo credibili se ogni volta sgraniamo gli occhi come fossimo stati colti da un’entità autonoma che si impossessa del nostro cellulare per beccarci proprio quando non ce l’aspettiamo? Le regole auree stanno dunque scritte tra le righe. E anche se, come nella gran parte dei casi, è il buon senso a dare le risposte, basta guardarsi e vedere non se, ma quante volte nel nostro archivio siamo finiti con le mani in alto e il cellulare puntato per cedere alla tentazione: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Una pietra a parte, meriterebbero i tag che talvolta sfiorano la follia più totale: fotografarci e scrivere #me, #io, #myself, #selfie forse è un modo per ricordare a noi stessi, fotografo e soggetto al contempo, chi siamo? Può sembrare paradossale, ma forse per chi soffre di crisi d’identità, aiuta.


LI B R I / H OME CINE MA

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a cura di Vito Salerno

Inbound Marketing di Jacopo Matteuzzi

Lo Sciacallo / Nightcrawler di Dan Gilroy

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l libro di Jacopo Matteuzzi parla di web ma è allo stesso tempo il personale e professionale punto di vista dell’autore sulle leggi che regolano oggi i nuovi mercati. Matteuzzi vanta un’esperienza più che decennale in ambito web ed è consulente e formatore di marketing digitale per molte piccole e grandi aziende italiane. L’assunto di partenza di Inbound Marketing, edito da Dario Flaccovio, è che l’apprendimento delle tecniche di marketing dell’era digitale possa consentire di smettere di inseguire i clienti, facendo in modo che siano loro a cercare l’azienda. La strategia di marketing proposta dall'autore consiste essenzialmente nel passaggio dall’interruption all’inbound marketing. L’interruption marketing comprende le forme di marketing tradizionali – come pubblicità sui giornali, radio o televisione, cartellonistica – accomunate da una caratteristica ben precisa: ci interrompono. Secondo la teoria dell’inbound marketing, invece, l’obiettivo fondamentale è farsi trovare nei luoghi dove i consumatori si informano, cioè su internet. Oggi, infatti, il processo di acquisto passa dalla rete, non solo per gli acquisti online, ma anche per quelli effettuati nei negozi e la maggioranza del tempo e dell’attenzione degli utenti di internet deriva da canali inbound: la newsletter a cui abbiamo scelto di iscriverci, i contenuti che vogliamo leggere, i risultati di una ricerca, i social media che utilizziamo, i video che guardiamo. L’inbound marketing è una strategia customer-oriented e non product-oriented. Ciò significa che mette al centro le persone, non il prodotto, utilizzando i dati messi a disposizione dalla rete per studiare le abitudini e le preferenze del consumatore, in modo da costruire un prodotto e una comunicazione su misura. Il libro si rivolge all’imprenditore della PMI come della multinazionale, al manager, al libero professionista, a chi già lavora nel marketing o nella comunicazione e vuole comprendere meglio le dinamiche della rete ma anche a chi si accosta per la prima volta a queste tematiche, per arricchire le sue competenze o per passione.

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l film del regista e sceneggiatore Dan Gilroy racconta la storia di Lou Bloom (interpretato da un eccezionale Jake Gyllenhaal), un ladruncolo di periferia che vive di piccoli furti ed espedienti. La vita del protagonista cambia quando un giorno, assistendo per caso a un incidente stradale, nota un uomo che con una telecamera cerca di catturare i dettagli dell’avvenimento. All’improvviso ha un’illuminazione: si procura una videocamera e una radio della polizia e da quel momento passerà tutte le notti, mentre la città dorme, scorrazzando per i vasti meandri di Los Angeles in cerca di una storia, correndo sui luoghi delle emergenze e degli omicidi, per riprendere le scene più cruente nella speranza di vendere il materiale ai network televisivi locali. L’incontro con Nina (Rene Russo), la responsabile delle morning news di una importante emittente televisiva, lo aiuterà a capire come operare ed è così che assume il giovane Rick (Riz Ahmed), come assistente per farsi aiutare nelle riprese notturne. Schizzando da una zona del crimine all'altra, Lou non si pone scrupoli, mosso dalla semplice equazione che converte crimini e vittime in dollari e centesimi. La sua scalata al successo lo rende sempre più spietato, un vero e proprio sciacallo, finché, una notte pur di mettere a segno uno scoop sensazionale, arriverà a interferire pericolosamente con l’arresto di due assassini.



NUMERO 02

MARZO/APRILE 2015

Jobs Act un cantiere avviato


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