3 GIUGNO/LUGLIO 2017
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Campania
vince l’agricultura
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editoriale
Posto, dunque, esisto Il brusio di fondo ha preso il sopravvento, disorientando i cittadini e condizionandone le scelte sociali, politiche, economiche. Le certezze si sgretolano e i dubbi trionfano. A chi giova tutto questo? di Andrea Prete presidente Confindustria Salerno
I
l successo di un’impresa è un fatto documentabile. Numero di dipendenti, business plan, fatturato e bilancio provano lo stato di salute di un’azienda e, in qualche modo, il suo progetto di vita. Nel nostro mondo, poi, il falso ha un costo: si chiama truffa o fallimento, oppure ambedue le cose. Da uomo di impresa, pertanto, nell’analizzare una situazione, formarmi un giudizio su di essa e decidere di conseguenza, ho l’abitudine di ricorrere ai dati che la compongono. Di dati è fatta l’informazione, profondamente trasformata, complicata e “aumentata” negli ultimi anni da Internet e dalle tecnologie digitali. Oggi, infatti, chi vuole informarsi per decidere il proprio destino su basi razionali, fa non poca fatica a districarsi nel mare magnum dei contenuti, tanti sono i dati che produciamo noi stessi, attraverso i canali social ad esempio, e quelli cui siamo continuamente sottoposti. In Rete, poi, l’informazione circola per motivi che, più che con la verità e i “fatti”, hanno a che vedere con la qualità del messaggio, vale a dire con il suo potenziale appeal comunicativo. Quanto più l’informazione è sensazionale, tanto più essa troverà cassa di risonanza, eco e diffusione. È la classica vecchia regola: un cane che morde un uomo non fa notizia, mentre un uomo che morde un cane sì. È accaduto così che, anche notizie prive di fondamento, abbiano trovato credito, pubblico e, purtroppo, condivisione. Ed è accaduto perché, a forza di semplificare i modelli perché tutti possano dire la propria sui social e farlo pure in fretta, si scambia spesso la retorica per ragionamento, finendo con l’ammantare di vero ciò che non avrebbe dignità di essere discusso, come diceva Eco, «nemmeno tra imbecilli al bar dopo un bicchiere di vino». Il punto, ovvio, non sono i social di per sé, straordinari nell’amplificare la portata di una notizia, un
evento o la comunicazione di un prodotto, ma chi ne fa un uso smodato, chi, confondendo ormai vita reale e vita virtuale, si muove all’insegna del “posto dunque esisto”. Senza approfondire chi dice cosa e perché, in molti passano il proprio tempo a vedere, commentare, rilanciare, in una ormai eterna gara a chi la spara più grossa. Il brusio di fondo ha preso il sopravvento, disorientando i cittadini e condizionandone le scelte sociali, politiche, economiche. Le certezze si sgretolano e i dubbi trionfano. A chi giova tutto questo? Evidentemente a qualcuno notizie inesatte, falsi allarmismi, panico e congiura, convengono. La persuasione non è nata di certo con i social, ma con essa forse ha raggiunto derive finora mai immaginate per mano di chi - toccando quelle che sono le paure interiori di noi tutti cambia gli addendi del discorso e, appellandosi alla sola emotività, seppellisce i fatti sotto le credenze. Non potendo con semplicità distinguere il vero dal falso, diventa quindi fondamentale che io cittadino mi eserciti continuamente nel riconoscere autorità a chi ha mostrato, in modo legittimo, di meritarla. Anche questo è oggi più difficile ma si può e si deve fare cercando di capire il perché delle cose, piuttosto che cedere alla sindrome del complotto. Davvero vogliamo continuare a chiederci se l’uomo è andato o no sulla Luna? Il Pendolo di Foucault lo raccontava bene. Basta veramente poco perché un intrigo del tutto irreale diventi vero, quando la narrazione - come spesso accade su internet - sfugge al controllo e procede a valanga. Allora più che vederci una congiura, quando la narrazione si fa caotica e interattiva, proviamo a chiederci se - sotto sotto - esiste ancora quel dato iniziale dietro quella verità che tanto assomiglia a una truffa.
sommario
EDITORIALE 1
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Posto, dunque, esisto di A. Prete SPECIALE ECONOMIA AGRICOLA Tradizione e modernità: «È questa l’agricoltura che vogliamo per la Campania» Intervista a F. Alfieri
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«Il PSR? Un’opportunità da cogliere insieme» Intervista a R. Rago
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Sangiorgio: «L’agricoltura ha cambiato volto» Intervista a V. Sangiorgio
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Ferraioli, Anicav: «L’importanza della coesione» Intervista ad A. Ferraioli
PRIMO PIANO Industria 4.0: «Sono ancora poche le lepri» 12 Intervista a G. Potti 13
Innovazione digitale: occorrono regole certe Intervista a E. Gisolfi
L’OPINIONE De Rosa, SMET: «Il profitto è un mezzo, non il fine» 15 Intervista a L. De Rosa FOCUS Sistema moda campano, caratteristiche 17 e sfide future di A. Cozzolino CONFINDUSTRIA SALERNO Imprese, l'evoluzione in atto 19 Intervista a P. Sessa 20
Il pensiero sistemico Intervista a G. Granchi
Twin-Esperienze Work & Life Balance, 22 lo stress si vince di R. Venerando NEW ENTRIES Processo, chimica e rispetto dell’ambiente: 23 la triade vincente di Soltar a cura della Redazione Country House Villapiana, il luogo ideale 24 per vivere la natura a cura della Redazione
Italiana Energia, un riferimento certo per 25 impiantistica civile, industriale ed energie rinnovabili a cura della Redazione Triporganizer, il posto giusto per organizzare 26 i viaggi di lavoro a cura della Redazione STRATEGIE DI IMPRESA D’Amico, la virtù di piacere 27 di R. Venerando San Giorgio Dolce & Salato, numeri di successo 29 e nuovi obiettivi di R. Venerando 31
Inci-Flex, la sfida di guardare lontano di R. Venerando
Generali Santi Martiti Agenzia Generale 33 di Salerno, tradizione sicura di R. Venerando EDILIZIA INDUSTRIALE Ricostruire, il vantaggio del riutilizzo degli inerti 35 in edilizia di F. Talevi NORME E SOCIETÀ 37 La mediazione obbligatoria si stabilizza di M. Marinaro Deliberazione assembleare, quando può essere 39 impugnata per abuso o eccesso di potere di M. Galardo Abilitazione scientifica nazionale, pubblicati i primi 41 giudizi della tornata 2016 di L. De Valeri FISCO Accertamento fiscale, contabile o induttivo? 43 di M. Villani e I. Pansardi Agevolazioni, novità per lavoratori autonomi 45 e startup di A. Sacrestano Antiriciclaggio, nuove disposizioni 47 di M. Fiorentino LAVORO Riorganizzazione aziendale, la distribuzione 49 dell’orario può salvare dal licenziamento di M. Ambron
Permessi retribuiti, quando a perdere il lavoro 50 è il rappresentante sindacale di T. Freda PRIVACY Il contratto di cloud computing, 51 criticità e vantaggi di P. Di Stefano INTERNAZIONALIZZAZIONE Sedi all'estero: cosa c'è da sapere quando 53 se ne vuole aprire una di D. Trimarchi PARLIAMO DI... 54 La “scripofilia” di Massimo Caiafa di F. Spirito RICERCA DevOps: approccio Agile e metodologie 55 per il delivery di L. Mari SICUREZZA Agricoltura sostenibile: il nuovo 56 regolamento europeo sui fertilizzanti di Masciarelli, B.Ficociello e L. Casorri SALUTE 58 Capelli d’estate di A. Di Pietro 59 Telemedicina e medicina narrativa nel diabete/2 di G. Fatati BON TON 60 Niente di vero sotto il sole di N. Santini ARTE 61 L’ora che volge il disio di A. Tolve FINISTERRE 63 Philip K. Dick e le radici del futuro di A. Amendola LIBRI/CINEMA 64 Le otto montagne a cura di R. Venerando 64 Jackie a cura di V. Salerno
NUMERO 3 GIUGNO/LUGLIO 2017 Bimestrale di Economia, Finanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg. Trib. di Salerno N. 67 7 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Andrea Prete Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management Vito Salerno Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Salerno Ser vice Srl Via Madonna Di Fatima, 194 84129 Salerno Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 039711 70653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Salerno Foto Archivio Costozero Vito Salerno Massimo Pica/Ag. Fotografica Studio Fotografico Cerzosimo Immagine in coper tina Diritto d’autore: Shutterstock_249397000 Africa Studio Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it L e op inioni esp resse neg l i a r tic ol i a p p a r teng ono a i sing ol i a u tori dei q u a l i si intende risp etta re l a p iena l ib er tà di g iu diz io
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speciale economia agricola
Tradizione e modernità: «È questa l’agricoltura che vogliamo per la Campania» Per il consigliere del presidente De Luca per l’Agricoltura, Foreste, Caccia e Pesca, Francesco Alfieri, «nell’attuazione del PSR, le esigenze degli operatori del comparto e dei territori rappresentano il faro che guida ogni scelta» di Raffaella Venerando
Francesco Alfieri
C
onsigliere Alfieri, l’attuazione del Programma di Sviluppo Rurale (PSR) procede a gonfie vele. Eppure i problemi non sono mancati… Abbiamo dovuto recuperare il notevole ritardo dovuto alla tardiva approvazione del Programma, avvenuta solo nel novembre 2015 per l’inerzia della precedente Amministrazione. La sfida è stata ardua, ma amo le sfide come il presidente De Luca. Così, già nel maggio 2016, abbiamo pubblicato la prima tornata di bandi, tra cui quello per la selezione di undici GAL. Successivamente abbiamo messo a bando ingenti risorse per sostenere gli investimenti nelle imprese agricole, favorire il ricambio generazionale e l’imprenditorialità giovanile e supportare le aziende del Sannio danneggiate dalle avversità atmosferiche. Con il nuovo anno, abbiamo aperto il bando per gli investimenti nell’agroindustria, il primo in assoluto di questa Amministrazione dedicato al comparto e, grazie alla revisione del PSR, abbiamo selezionato altri quattro GAL in modo da assicurare rappresentatività a importanti
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territori rurali. Di recente, l’accelerazione è stata ancora più decisa con la pubblicazione di numerosi bandi, con scadenza a settembre, per un importo di 154,5 milioni di euro e l’approvazione delle graduatorie uniche regionali delle 1.469 domande di sostegno a valere sui bandi ad investimento e che saranno finanziate per complessivi 176,5 milioni di euro. Intanto stiamo lavorando ai nuovi bandi che lanceremo entro l’estate. La costante attenzione alle esigenze dei territori e degli operatori del comparto ha portato anche alla revisione del PSR. Raccogliendo l’indirizzo del presidente De Luca, è stato rafforzato il dialogo con il comparto e i territori. Abbiamo attivato il tavolo verde, che coinvolge le associazioni di categoria più rappresentative, e condotto un’intensa campagna di ascolto con l’obiettivo di rendere il PSR più aderente alle esigenze degli agricoltori e alle potenzialità dei territori. Un lavoro culminato, nel febbraio scorso, con l’approvazione, da parte della Commissione Europea, del processo di revisione del
PSR. Tra le principali modifiche apportate, l’introduzione dei progetti integrati e collettivi e la possibilità di finanziare fino ad un massimo di 15 GAL nell’ambito della misura 19, che ha visto incrementata la propria dotazione. Alcune di queste importanti novità, come i progetti collettivi di sviluppo rurale, sono già state recepite dai bandi emanati nelle scorse settimane, per i quali, a fine aprile, abbiamo pubblicato le pre-informative. Uno strumento, rivelatosi una buona prassi, che ci ha permesso di consolidare il percorso di condivisione avviato nei mesi scorsi. I primi bandi pubblicati hanno riguardato, come ha ricordato, gli investimenti nelle aziende agricole e l’imprenditorialità giovanile. C’è voglia di una nuova agricoltura? Sicuramente c’è un forte bisogno di cambiamento, che noi intendiamo soddisfare favorendo l’innovazione, la cooperazione, la competitività e la capacità di coniugare tradizione e modernità. È questa l’agricoltura che vogliamo per la Campania. Siamo la Patria della Dieta Medi-
terranea Patrimonio Unesco e vantiamo un comparto primario con produzioni d’eccellenza che tutto il mondo ci invidia e un potenziale di crescita enorme, in grado di fare da traino al PIL regionale. Sono sempre più i giovani che vogliono cogliere queste opportunità, come ha dimostrato la positiva risposta ai bandi di attuazione delle tipologie 4.1.2 e 6.1.1. Sono state ammesse a finanziamento 410 domande sul bando della 4.1.2, che sostiene gli investimenti finalizzati al ricambio generazionale e l’inserimento di giovani qualificati nelle aziende del comparto, e 417 domande sul bando della 6.1.1, che riconosce un premio ai giovani agricoltori che, per la prima volta, si insediano come capo azienda. Per favorire il processo di rinnovamento, nei prossimi mesi lanceremo il “Pacchetto Integrato Giovani”, introdotto con la revisione, che consentirà ai giovani agricoltori di accedere contestualmente ai benefici previsti dalla 4.1.2 e dalla 6.1.1. Agenda alla mano, quale sarà il timing complessivo del PSR? Entro l’estate pubblicheremo nuovi bandi grazie ai quali il totale delle risorse impegnate sarà pari a 1,2 miliardi di euro a fronte degli 1,8 miliardi di dotazione complessiva del Programma. Abbiamo intrapreso un percorso virtuoso per il raggiungimento degli obiettivi di performance che l’Europa ci ha assegnato e i target di spesa necessari a scongiurare il disimpegno automatico delle risorse. Non possiamo consentirci di sprecare o perdere un solo euro perché l’agricoltura e le aree rurali della Campania richiedono interventi risolutivi per renderle più moderne, più forti e più competitive. Il nostro
obiettivo è assicurare non solo la quantità, ma anche la qualità della spesa. In quest’ottica, stiamo valutando la possibilità di sottoporre il PSR ad un’ulteriore revisione, sempre di concerto con le associazioni di categoria e gli attori dei territori, per rendere il Programma ancora più aderente alle complesse esigenze del settore primario e delle aree rurali. Le risorse messe a bando sono state sempre sufficienti per soddisfare tutti i richiedenti? Premesso che il plafond delle risorse allocate su una tipologia d’intervento è spalmato su più annualità, per venire incontro al maggior numero possibile di domande pervenute abbiamo provveduto all’aumento della dotazione finanziaria di alcuni bandi. La dotazione del bando per gli investimenti nelle imprese agricole è stata portata da 70 a 115 milioni, mentre quella del bando a favore delle imprese agro-industriali da 35 a 45 milioni. Nell’attuazione del PSR, le esigenze degli operatori del comparto e dei territori rappresentano il faro che guida ogni nostra scelta. Una nota dolente per le imprese del comparto è da sempre l’accesso al credito, ma anche su questo aspetto pare che il Programma prometta miglioramenti… Abbiamo adottato una serie di iniziative per agevolare l’accesso al credito da parte delle imprese agricole e agroindustriali potenzialmente beneficiarie delle tipologie d’intervento a sostegno degli investimenti, ma di piccole dimensioni e con una ridotta disponibilità di mezzi propri. Oltre ad aver rafforzato, in sede di revisione del PSR, il ricorso agli strumenti di ingegneria
finanziaria, in particolare al fondo di garanzia del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI), abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con la Commissione regionale dell’ABI, cui stanno aderendo numerosi istituti di credito di primaria importanza. In pratica, un beneficiario, già titolare di un decreto di concessione del contributo a valere sul PSR, può chiedere, ad uno degli istituti bancari che ha sottoscritto il protocollo, un finanziamento di importo pari fino ad un massimo del 100% del costo dell’investimento cui il contributo si riferisce. Attenzione anche per i partenariati pubblico-privato. Lo sviluppo del territorio passa anche da questo strumento? Se lo sviluppo dell’agricoltura passa anche per una sempre maggiore cooperazione tra gli attori della filiera, che il PSR favorisce con misure ad hoc, la crescita dei territori, in particolare quelli rurali, non può prescindere dall’azione dei partenariati pubblico-privati. Stiamo per finanziare, con oltre 100 milioni di euro, i quindici GAL selezionati affinché possano tradurre in azione concrete le strategie di sviluppo. Con uno dei bandi emanati di recente, abbiamo allocato 42 milioni sui progetti collettivi di sviluppo rurale, grazie ai quali enti locali e soggetti privati hanno la possibilità di lavorare insieme ad iniziative di ampio respiro per uno sviluppo strutturale dei propri territori. In particolare, il bando prevede l’integrazione tra il sostegno agli enti pubblici per la riqualificazione del patrimonio architettonico dei borghi rurali e la sensibilizzazione ambientale e il sostegno ai privati per la creazione e lo sviluppo di attività extra-agricole.
speciale economia agricola
«Il PSR? Un’opportunità da cogliere insieme» Per Rosario Rago, presidente Confagricoltura Campania, agricoltori e istituzioni devono muoversi nella stessa direzione perché il comparto sia competitivo: «Solo facendo squadra possiamo avere la forza per imporre i nostri prodotti sui mercati gestiti dalla Grande Distribuzione Organizzata. Non è solo una questione di bontà del prodotto, ma anche di organizzazione e di quantità» di Raffaella Venerando
Rosario Rago
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residente, nell’ambito del PSR, la Regione Campania ha attivato per l'agricoltura e le aree rurali 1,2 miliardi di euro. Soddisfatto del Piano? Risponde alle esigenze delle imprese del comparto? La programmazione regionale a sostegno dell’agricoltura rappresenta un importante tassello, anche se non l’unico, per dare al comparto quelle risorse di cui ha bisogno per evolversi ed essere competitivo. L’insieme delle risorse è variegato e tocca numerosi aspetti della vita di un’azienda agricola. Dalla promozione di un’agricoltura sostenibile, aspetto questo che ritengo indispensabile per il nostro sistema economico, alle misure per favorire l’associazionismo e la cooperazione. Interessanti anche le misure che investono su modelli di business trasversali. Le risorse ci sono, adesso è il caso di sfruttarle appieno e di essere in grado di non sprecare nemmeno un centesimo. Su que-
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sto punto agricoltori e istituzioni devono essere consapevoli che il PSR è una opportunità che va colta insieme, con l’apparato burocratico consapevole anche di dover facilitare il compito di chi, una volta intrapreso il percorso, si aspetta non solo assistenza, ma anche tempi certi per l’attuazione dei progetti. In questo l’azione di Confagricoltura sarà sempre quella di forte raccordo per cercare di far sì che il Piano di Sviluppo Rurale sia uno strumento efficace per le imprese agricole. I primi bandi pubblicati riguardano, tra gli altri, gli investimenti nelle aziende agricole e l’imprenditorialità giovanile. Può essere questa la buona occasione per far nascere nel nostro territorio una nuova e migliore agricoltura? L’impegno del PSR Campania a favore dei giovani è importantissimo, in quanto, con la misura la 4.1.2, non solo si propone di sostenere i giovani che si sono formati in campo agricolo, riconoscendo loro un valore,
ma anche di favorire il ricambio generazionale all’interno di realtà produttive già esistenti. Questo consente, da un lato, di proteggere quel patrimonio di tradizioni e conoscenze vitale per l’agricoltura di qualità, dall’altro di ampliare i modelli di business favorendo l’acquisto di nuovi macchinari e software di gestione, agevolando di fatto l’innovazione. Uno strumento che ben si inscrive in quella che è la strada che l’agricoltura campana, ma italiana in generale, deve seguire: la difesa della tradizione, affiancata a una gestione della produzione efficiente e al passo con i tempi. In termini di difesa del territorio, invece, come giudica il PSR? In generale il Programma è abbastanza attento alla difesa del territorio e dovrà esserlo sempre più, considerando la portata degli stravolgimenti climatici che stanno interessando il nostro Paese. La siccità che stiamo affrontando in questo periodo
sta mettendo in ginocchio molte aziende del comparto, compromettendo numerosi raccolti. Il PSR deve essere sempre più dinamico, in grado di dare sostegno tempestivo alle aziende agricole costrette a confrontarsi con condizioni climatiche sempre più mutevoli ed estreme. In generale, comunque, non mancano le misure direttamente volte a ripristinare il potenziale produttivo danneggiato da eventi catastrofici così come c’è interesse alla salvaguardia del patrimonio forestale e faunistico. Fondamentale è l’aiuto e il sostegno previsto per finanziare una gestione del nostro territorio che sia economicamente efficiente e, al contempo, sostenibile dal punto di vista ambientale, incrementando il contributo dell’agricoltura e della silvicoltura al mantenimento e al rafforzamento della biodiversità. Obiettivi, questi, che devono essere la nostra stella polare, al di là delle possibilità di accedere a premialità e sostegni da parte delle istituzioni. La nostra idea di agricoltura è quella che vede il comparto agricolo come insieme di imprese che rappresentano un territorio, in grado di esaltarne le potenzialità in termini di capacità produttive, ma anche di farsi sentinelle e paladine della sua salubrità, da cui dipende l’esistenza stessa delle nostre aziende. Per questo motivo la nostra azione, come Confagricoltura, è sempre rivolta a incentivare le attività agricole all’avanguardia, sostenendo l’aggregazione e facilitando l’accesso a misure che possano aiutare le imprese a
fare rete e rafforzare lo spirito di cooperazione. Sua era l’idea di un marchio d’area. Come è andata a finire? Resto convinto che la grande ricchezza e varietà delle produzioni del nostro Paese e della nostra regione vadano evidenziate e tutelate da marchi che possano caratterizzare le diverse aree di produzione. La Piana del Sele, così come gli altri areali di produzione agricola della regione Campania, devono avere la capacità di esprimere sul mercato la loro grande qualità, attraverso dei marchi che li distinguano e li caratterizzino, rendendoli riconoscibili dai consumatori. Stiamo lavorando affinché l’iniziativa non resti una semplice testimonianza o una sola azione propagandistica, ma perchè abbia strategicamente, e nel lungo periodo, un impatto sull’economia delle zone interessate. Qualche anno fa lei lamentava la mancanza di una visione lunga nel tempo e nello spazio da parte degli imprenditori del settore. È ancora così, uno dei mali peggiori è il voler essere battitori liberi? La visione degli agricoltori si è allungata. È un processo inevitabile, anche se non scontato per tutti. La nostra battaglia non è contro i battitori liberi in generale, ma contro chi, pur avendo le qualità del battitore libero e dovendone giustamente trarne beneficio, a un certo punto non ravvisa la necessità di coinvolgere nel gioco anche altre realtà per poter ampliare il proprio ruolo. Il mercato globale premia sempre di più i prodotti di qualità
e noi in Campania, per nostra fortuna, abbiamo numerose produzioni di eccellenza. Venderle in tutto il globo non può essere alla portata di tutti. Solo facendo squadra possiamo essere in grado di avere i numeri e la forza per poter imporre i nostri prodotti sui mercati gestiti dalla Grande Distribuzione Organizzata. Non è solo una questione di bontà del prodotto, ma di organizzazione e di quantità. Condizioni che difficilmente possono essere raggiunte da una singola impresa, sebbene in grado di produrre ortofrutta di qualità. Perché l’agroindustria in Campania può e deve essere considerata una eccellenza? Quale distintività ci caratterizza e ci premia? Il nostro territorio grazie alla fertilità del terreno vulcanico e a un clima, fino ad oggi, particolarmente mite ci ha consentito di avere prodotti ortofrutticoli con proprietà organolettiche particolarmente pregiate. Questo ha agevolato la crescita di un comparto agricolo e, successivamente, agroindustriale particolarmente fiorente. Qualità che hanno permesso anche al settore lattiero caseario, ma a tutto il comparto food in genere, di riscuotere un successo globale. Oltre al vantaggio competitivo di partenza, l’aver adottato tecniche all’avanguardia per la produzione e la logistica, ci consente oggi, in un particolare momento storico, di poter fare sinergie con altri comparti industriali, per creare quello sviluppo economico che il nostro settore, e la nostra regione in genere, meritano davvero.
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Sangiorgio: «L’agricoltura ha cambiato volto» Per il presidente di Coldiretti Salerno, nel settore va formandosi una nuova imprenditoria fatta di laureati, specializzati, con idee innovative e chiare: «Ecco perché il PSR ha un ruolo strategico, perché dà la possibilità di far emergere progettualità che altrimenti rischierebbero di ammuffire nei cassetti. Dobbiamo fare di Salerno e della Campania la capitale dell’agroalimentare del Sud Italia» di Raffaella Venerando
Vittorio Sangiorgio
N
ell’ambito del PSR, la Regione Campania ha attivato per l’agricoltura e le aree rurali 1,2 miliardi di euro. Soddisfatto del Piano? Risponde alle esigenze delle imprese del comparto? La partenza è stata lentissima e siamo ancora in ritardo sulla tabella di marcia. Il PSR doveva partire nel 2014: i nostri imprenditori agricoli hanno atteso tre anni per l’apertura dei primi bandi. Coldiretti ha avuto un ruolo di sprone in Regione, partecipando anche, non senza lesinare critiche al processo di programmazione della spesa, chiedendo la sburocratizzazione della macchina regionale, una corretta gestione dei fondi, celerità nell’assegnazione dei finanziamenti, per scongiurare gli errori commessi con la programmazione 2007-2013 che ha visto la Campania arrancare nella spesa. Adesso registriamo una ripresa grazie anche all’impegno del consigliere delegato all’agricoltura Franco Alfieri che ha impartito una svolta in Regione. Bisogna evitare di di-
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sperdere fondi strategici per lo sviluppo del comparto agricolo campano: non possiamo permetterci di rimandare a Bruxelles neanche un euro di risorse comunitarie. Non possiamo farlo perché abbiamo avviato in questa Regione una rivoluzione in agricoltura in cui sempre più giovani investono, in cui sempre più imprenditori puntano sulla qualità, distintività delle produzioni e innovazione, e dove l’agroalimentare è ormai il primo volano economico per garantire sviluppo ai territori rurali. Una buona notizia è che presto partiranno i bandi Feamp per la pesca e l’acquacoltura, una nuova scommessa di sviluppo per le nostre aree. I primi bandi pubblicati riguardano, tra gli altri, gli investimenti nelle aziende agricole e l’imprenditorialità giovanile. Può essere questa la buona occasione per far nascere nel nostro territorio una nuova e migliore agricoltura? Oggi sempre più giovani si avvicinano all’agricoltura, un settore che fino a pochi anni fa aveva vissuto un processo
di invecchiamento che pareva inarrestabile e che oggi registra un ritorno al lavoro nei campi legato soprattutto ad attività innovative. L’età media avanzata dei conduttori delle aziende agricole campane ha rappresentato negli ultimi venti anni uno dei più significativi fattori di debolezza e precarietà del sistema agricolo. Coldiretti ha lavorato per invertire questa tendenza, per accompagnare in questo percorso i tanti giovani che intendono operare nel settore agroalimentare, sostenendo progetti che chiedono soltanto di poter emergere. Oggi i nostri ragazzi investono in attività nuove, nella multifunzionalità, nel turismo rurale, nell’accoglienza, nelle fattorie sociali. Sono iniziative che fino a pochi anni fa erano utopistiche. L’agricoltura ha cambiato volto. I nostri imprenditori sono in molti casi laureati, specializzati, hanno idee nuove e ben chiare. Ecco perché il Psr ha un ruolo strategico, perché dà la possibilità di far emergere progettualità che altrimenti rischierebbero di ammuffire nei
cassetti. Da giovane imprenditore, e da giovane presidente di Coldiretti, credo nelle potenzialità di questo territorio: dobbiamo fare di Salerno e della Campania la capitale dell’agroalimentare del sud Italia. In termini di difesa del territorio, invece, come giudica il PSR? Si può fare molto di più. I numeri dicono che la Campania si caratterizza per la grande fragilità idrogeologica con un territorio in cui oltre il 90% dei comuni è a rischio di frane e alluvioni. Il Genio Civile è praticamente assente; i Comuni arrancano tra mille difficoltà economiche; i Consorzi di Bonifica hanno un ruolo sempre più strategico di manutenzione del territorio. Coldiretti chiede alla Regione e ai Comuni di avvalersi del coinvolgimento delle imprese agricole che svolgono un ruolo essenziale per piccole, ma utilissime opere, come lo sfalcio e la pulitura dei fossi, ma anche la manutenzione delle strade rurali, delle aree verdi. E poi serve un grande piano di tutela idrogeologica, anche intercettando risorse del PSR per evitare di inseguire le emergenze e per mettere in sicurezza il territo-
rio. Si continua a trascurare la difesa idrogeologica che molto spesso si perde in una trafila di competenze burocratiche che crea solo danni. Ai sindaci, inoltre, come Coldiretti Salerno abbiamo chiesto un impegno preciso affinché nei Puc si tenga conto della valorizzazione paesaggistica e della tutela del territorio, per bloccare il consumo di suolo, tutelare le aree a vocazione agricola, garantire una pianificazione territoriale che aiuti le imprese ad accrescere la loro competitività ma soprattutto attuare forme di tutela idrogeologica e idraulica, investimento infrastrutturale che spesso non si vede ma che è centrale per lo sviluppo. Le scarse precipitazioni degli ultimi mesi potrebbero causare danni ingenti anche all’agricoltura campana. Ma per prevenire in tempo utile contingenze pericolose come questa, quali interventi strutturali e non sarebbero necessari? L’agricoltura ha avviato negli ultimi anni importanti investimenti ma ora chiediamo che la Regione acceleri sulle misure destinate ai Consorzi di Bonifica per le opere infrastrutturali e irrigue. I consorzi svolgono una funzione indispensabile
sul territorio, attraverso la gestione e la manutenzione di centinaia di chilometri di canali, di decine di impianti di sollevamento e altre strutture ma tutto questo non basta perché ad ogni ondata di maltempo o a lunghi periodi di siccità constatiamo che servono opere moderne per la difesa idraulica e la gestione delle acque. Questo si può fare solo indirizzando con tempestività ed efficacia adeguate risorse economiche. Un ultimo passaggio sull’export. Il made in Campania è conosciuto ma non basta. Cosa serve per rilanciare definitivamente l’agroalimentare nel mondo? Non bastano più le missioni all’estero o i B2B di una volta. Dobbiamo portare il mondo nei luoghi in cui si produce il “nostro” made in Campania per esaltarne la distintività e sostenere l’industria culturale del turismo enogastronomico. Questo progetto è purtroppo messo a repentaglio dal Ceta, un’ipotesi di accordo tra Ue e Canada che non tutela i nostri interessi nazionali. Noi abbiamo standard di produzione di altissima qualità che vengono messi in pericolo da accordi frettolosi e mal studiati.
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Ferraioli, Anicav: «L’importanza della coesione» Solo una filiera unita potrà creare le condizioni adeguate per crescere nel lungo periodo, puntando su pochi semplici obiettivi: agire secondo logiche di mercato; creare stabilità dei redditi attraverso la programmazione dell’offerta; dare più efficacia ai contratti; favorire l’aggregazione e sulla diffusione di un’etica nelle relazioni commerciali di Raffaella Venerando Antonio Ferraioli
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residente, nell’ambito del PSR, la Regione Campania ha aperto la possibilità di presentare le domande di sostegno per la tipologia d’intervento 4.2.1 del Programma di Sviluppo Rurale della Campania 2014-2020 dedicata alla “Trasformazione, commercializzazione e sviluppo dei prodotti agricoli nelle aziende agroindustriali”. Quarantacinque milioni messi a bando. Una buona notizia per il suo comparto? Ritengo che finanziamenti volti a migliorare la competitività delle aziende agroindustriali attraverso innovazioni di processo e di prodotto, privilegiando investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale, siano senz’altro positivi. Credo, però, che la Regione, nell’effettuare tali finanziamenti, dovrebbe anche in qualche modo finalizzare gli stessi per favorire progetti volti all’aggregazione, stante l’elevata frammentazione del settore agroindustriale e le connesse problematiche. Per quel concerne i produttori primari, penso che sia indispensabile una concentrazione
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dell’offerta, al fine di migliorare la produttività e di conseguenza la redditività agricola, in una logica di efficientamento della filiera. Parallelamente, anche per la parte industriale si dovrà dar corso ad un processo di razionalizzazione che faccia crescere il peso medio del singolo operatore. Spesso, infatti, la dimensione limitata e l’incapacità di fare sistema diventano un ostacolo alla crescita e alla competitività, soprattutto in un settore in cui le economie di scala risultano indispensabili, considerando i bassi valori aggiunti e il rapido processo di concentrazione, su scala europea e mondiale, della Grande Distribuzione che esercita una pressione sempre più crescente nei confronti dei propri fornitori. Aggregarsi, anche senza perdere la propria identità, diventa, quindi, la principale strada da percorrere per accrescere la competitività del comparto agroalimentare nel suo insieme. L’accordo del pomodoro per il Centro-Sud quest’anno è stato più difficile. Perché le parti non riescono a dialogare con
profitto come avviene altrove in Italia? Dopo mesi di discussioni, finalmente il 9 giugno scorso parte agricola e parte industriale hanno trovato un punto di incontro ed è stata raggiunta l’intesa per il Contratto Quadro d’Area Centro-Sud per l’imminente campagna di trasformazione del pomodoro. In sintesi, è stato confermato l’intero impianto contrattuale del 2016, sia per quanto riguarda la parte normativa, sia per quanto riguarda le condizioni economiche. Le trattative sono state lunghe e complesse poiché la parte agricola aveva avanzato richieste di aumento dei prezzi della materia prima in uno scenario caratterizzato, invece, dalla riduzione del costo del pomodoro fresco, così come avvenuto nel Bacino del Nord e in tutti gli altri Paesi trasformatori, nostri competitor. Alla fine, però, è prevalso il senso di responsabilità di entrambe le parti e noi come ANICAV, per venire incontro alle esigenze dei produttori agricoli, abbiamo acconsentito a non applicare alcuna riduzione del prezzo
rispetto alla campagna 2016. Purtroppo, bisogna tener conto che, seppur il pomodoro italiano si caratterizza per qualità e tipicità, le nostre aziende, operando in uno scenario globale in cui competono anche Paesi europei come Spagna, Portogallo e Grecia i cui costi della materia prima sono decisamente più bassi, sono penalizzate da un costo più elevato del pomodoro fresco. Ma esisterebbe una soluzione definitiva e ottimale? Solo una filiera coesa potrà creare le condizioni adeguate per accrescere la competitività del nostro settore nel lungo periodo, puntando su pochi semplici obiettivi: 1. agire secondo logiche di mercato; 2. creare stabilità dei redditi attraverso la programmazione dell’offerta che scongiuri le sovrapproduzioni degli anni passati; 3. dare più efficacia ai contratti per garantire il rispetto degli impegni assunti dalle parti; 4. aumentare l'efficienza e razionalizzare i costi di struttura per favorire l’aggregazione; 5. puntare sulla diffusione di un’etica nelle relazioni commerciali; 6. favorire la ricerca per ridurre i costi di produzione delle imprese agricole e migliorarne le rese. Perché l’agroindustria in Campania - nel senso più ampio - può e deve essere considerata una eccellenza? Quale distintività ci caratterizza e ci premia? I nostri prodotti sono eccellenze riconosciute in tutto il mondo grazie alla qualità, alla tradizione, alla genuinità, al forte legame tra prodotto e territorio, in una parola alla tipicità. Dobbiamo, però, continuare a lavorare per mantenere sempre
alti gli standard qualitativi che ci caratterizzano puntando sull’innovazione tecnologica, sul lancio di nuovi prodotti a maggior valor aggiunto e in linea con le richieste del consumatore moderno, sulla differenziazione rispetto alla concorrenza di altri Paesi. Bisogna puntare anche su una forte azione di comunicazione e valorizzazione delle produzioni di qualità delle nostre aziende, in primis il pomodoro pelato, tipico del nostro territorio, che continua a perdere importanti quote di mercato nonostante rappresenti l’essenza della tradizione agroalimentare italiana nel mondo. La nostra Associazione, da alcuni anni, sta portando avanti un percorso volto a tutelare il pomodoro pelato attraverso il riconoscimento di una IGP che possa diventare un strumento utile a fronteggiare le difficili scommesse del mercato globale e fermare l’inevitabile declino di un prodotto caratteristico delle aziende del Bacino del Centro Sud e per questo unico. Quali sono le ragioni della recente aggregazione fra le due grandi associazioni di rappresentanza delle aziende private di trasformazione del pomodoro AIIPA e ANICAV? Dal 1° gennaio di quest’anno ANICAV è diventata l’unica associazione nazionale del pomodoro da industria, in rappresentanza dei distretti del pomodoro del Nord e del Centrosud. La nuova associazione accoglie al suo interno 92 aziende, con un fatturato complessivo di 2,5 miliardi di euro e nasce da un percorso condiviso con AIIPA, l’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari, al cui interno il Gruppo Pomodoro ha un peso considerevole - di razionalizzazione della rappresentanza delle conserve vegetali
con l’obiettivo di giungere ad un’unica Associazione nazionale del pomodoro trasformato all’interno di Confindustria. Abbiamo deciso di unire le forze delle due Associazioni per valorizzare e tutelare al meglio il pomodoro italiano per far fronte alle nuove sfide del mercato globale. La nuova governance associativa tiene conto delle specificità dei due distretti produttivi, in modo da affrontare con efficacia ed efficienza le tematiche di specifico interesse e alle attività connesse ai sistemi interprofessionali di riferimento, come la contrattazione del pomodoro e la programmazione delle quantità da produrre. Per tutto il resto si opererà in modo congiunto in quanto gli interessi sono coincidenti: cercare di tutelare l’industria italiana del pomodoro, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Per problemi di qualunque natura, come nel caso dell’etichettatura o delle norme di qualità o per qualsiasi attività a supporto dell’immagine del pomodoro Made in Italy, bisogna far fronte comune. All’estero, il nostro pomodoro è conosciuto non come campano, emiliano, toscano, bensì come prodotto italiano poiché nel mondo l’italianità ha una valenza molto superiore alla regionalità. «La nostra Associazione da alcuni anni, sta portando avanti un percorso volto a tutelare il pomodoro pelato attraverso il riconoscimento di una IGP che possa diventare un strumento utile a fronteggiare le difficili scommesse del mercato globale e fermare l’inevitabile declino di un prodotto caratteristico delle aziende del Bacino del Centro Sud e per questo unico»
primo piano
Industria 4.0: «Sono ancora poche le lepri» Per il presidente CNCT di Confindustria Servizi Gianni Potti:«C’è da fare un grande lavoro di dissemination e cultura per spiegare davvero cosa sia questa quarta rivoluzione industriale» di Raffaella Venerando
Gianni Potti
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e competenze richieste da Industria 4.0 ci sono seppure allo stato di potenza o il cambiamento richiederà più tempo e sforzi di quelli previsti? Insomma, a che punto è realmente il nostro Paese? Io credo che oggi in Italia ci siano aziende che hanno davvero svoltato in meglio in questi anni, le cosiddette “lepri”, quelle che fanno il mercato e sono competitive. Poi ce ne sono tantissime, diciamo il 90%, che definirei “follower”, per lo più PMI, che hanno assolutamente bisogno di acquisire competenze nuove per essere competitive sul mercato. In ogni caso va compreso quanto sia decisiva per il futuro del nostro Paese la sfida della digital transformation: si pensi che una piena attuazione di Industria 4.0 da parte del sistema produttivo italiano, secondo le stime più accreditate, dovrebbe produrre una crescita del 4% del PIL. Come occorre trasformare la propria azienda? Quali tecnologie e servizi sono necessari per la manifattura 4.0? Il tema è la reingegnerizzazione del processo produttivo. Bisogna, pertanto, avere un piano di ripensamento della propria impresa per renderla più efficiente, risparmiare energia, migliorare la performabilità del prodotto…in una parola renderla più competitiva! L’implementazione di nuovi sistemi e tecnologie sta migliorando l’esecuzione dei processi complessi e ripetitivi grazie alla capacità delle macchine. Essi possono trattare grandi quantità di dati con affidabilità e velocità. Ciononostante, la presenza dell’uomo è sempre richiesta in quanto ci saranno delle situazioni imprevedibili che richiederanno la capacità e la memoria associativa umana. L’essere umano sarà inoltre sempre necessario per la validazione e la continua analisi e ricerca. L’uomo sarà al centro della Industria 4.0, perché in una produzione nella quale la parola d’ordine è flessibi-
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lità, il vero elemento flessibile sarà l’uomo, un operaio o impiegato con skill diverse e superiori a quelli attuali. Ecco perché la formazione e la capacità di fare squadra faranno davvero la differenza nella Fabbrica 4.0. In linea generale crede che le aziende abbiano compreso appieno la portata dell’opportunità? Una recente ricerca del Politecnico di Milano ci dice che solo il 10% degli imprenditori italiani sa cosa sia Industria 4.0. Quindi la risposta è no, ovvero non abbastanza! C’è da fare un grande lavoro di dissemination e cultura per spiegare davvero cosa sia questa quarta rivoluzione industriale. E qui risulta fondamentale il ruolo delle associazioni di categoria. E secondo lei quale sarà quello delle startup? Vedo le startup come il nuovo reparto Ricerca e Sviluppo collocato a fianco del manifatturiero. A loro il compito di inventare e creare soluzioni. Già molte aziende si appoggiano a coworking o fablab. È l’open innovation. E, se ben gestita, è un’ulteriore occasione di lavoro per tanti giovani. Certo, urgono anche interventi legislativi di vero supporto alle giovani start-up, tesi a sburocratizzare il settore e facilitare gli investimenti. Le fabbriche diventano intelligenti, i sistemi interconnessi con livelli di automazione inimmaginabili fino a pochi anni fa. Tutto questo modifica però e in maniera profonda anche la geografia dei rischi che potrebbero investire la gestione dei dati, ad esempio. Come proteggersi? La cyber security è una delle principali sfide dell’Industria 4.0. Pensiamo che, grazie ai cosiddetti sistemi cyber-fisici, nel 2020, almeno 60 miliardi di oggetti intelligenti saranno collegati in rete. Immaginiamo quale mole di dati, molti dei quali sensibili, invaderà il mondo. E oltre alla capacità di saper leggere e utilizzare questa enorme mole di big data, sarà decisivo proteggerla da hacker, basti vedere le ultime vicende. La verità è che questa materia (invisibile) fa notizia per qualche giorno, ma poi noi imprenditori non dedichiamo la dovuta attenzione a proteggere le nostre aziende. Invece sarà strategico farlo e blindare il più possibile le nostre reti aziendali, come i nostri smartphone. La cultura della sicurezza va portata in azienda come a casa.
Innovazione digitale: occorrono regole certe «Nella rivoluzione tecnologica e culturale in atto - per Edoardo Gisolfi, presidente Gruppo Servizi Innovativi e Tecnologici Confindustria Salerno - anche la società deve diventare 4.0» di Raffaella Venerando
Edoardo Gisolfi
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l processo legato a Industria 4.0 è ormai in moto. In linea generale, crede che le aziende abbiano compreso appieno il valore dell’opportunità? I principali dati statistici a livello nazionale segnalano che circa il 30% delle aziende ha effettivamente compreso appieno le opportunità, il 45% circa ne ha sentito parlare e ne ha una vaga idea, mentre un rimanente 25% non ha alcuna contezza della portata di tale rivoluzione non solo tecnologica ma soprattutto culturale. É importante, però, sottolineare il grandissimo lavoro svolto nel corso degli ultimi anni dal Sistema Confindustriale, in particolare dal CSIT e dal CNCT, che sin dal 2013 ha avviato un’opera di “evangelizzazione” sui territori, di informazione e divulgazione presso le PMI, grazie alla quale, poi, Confindustria è riuscita a dialogare con il Governo e ad avanzare proprie proposte (basate su una politica dei fattori e non dei settori) per contribuire a varare lo scorso anno il Piano Nazionale Industria 4.0 che, per la prima volta, ha dotato il
Paese di una politica industriale basata sull’innovazione digitale. L’obiettivo è stato in parte raggiunto anche se vi è ancora molta strada da fare e, soprattutto, vi è bisogno di regole certe e di medio lungo periodo senza le quali gli imprenditori non possono affrontare in maniera serena investimenti significativi per il rilancio del sistema produttivo e del sistema Paese. Quali tecnologie e quali servizi sono necessari per la manifattura 4.0? Industria 4.0 non deve essere percepita solo come l’introduzione di nuove tecnologie abilitanti (IoT, Big Data and Analytics, Cloud, Advanced Manufact Solution, Additive Manufactoring, Augmented Reality, Simulation, Ciber Security, Horizontal/Vertical Integration) e/o come l’introduzione di macchinari “intelligenti” interconnessi, collegati ad Internet e che dialogano tra loro. É qualcosa di ben più ampio che impatta in maniera radicale, sia sui processi produttivi e organizzativi, sia sui prodotti. É una vera e propria rivoluzione culturale in cui vanno adottati
nuovi modelli di produzione con processi che si fondono sulla comunicazione tra persone, macchinari e prodotti. In questo scenario cambia anche il concetto di prodotto, che si fonde sempre più con il servizio, divenendo quasi un tutt’uno dovendo rispondere ad una domanda di beni e servizi che sta cambiando rapidamente per via di alcune macro-tendenze che esercitano un forte impatto sui bisogni e orientamenti della società. L’Italia ce la farà a diventare digitale tutta insieme o ci saranno isole di eccellenza contro aree isolate? Quella di Industria 4.0 è una vera sfida per il nostro Paese che, se colta in maniera adeguata, rilancerà il sistema produttivo (in particolare manifatturiero) che è pur sempre il secondo in Europa anche se sconta forti handicap, rispetto ad altri Paesi UE, come, ad esempio, il costo dell’energia, quello del danaro, il costo del lavoro dovuto ad un eccessivo cuneo fiscale, la carenza di alcune infrastrutture fondamentali, sia fisiche che telematiche. È assurdo, infatti,
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che mentre si parla di Industria 4.0 vi siano alcune aree industriali non ancora servite da banda larga e ultra-larga. In tale contesto sarà fondamentale anche il ruolo della PA a tutti i livelli, che dovrà sostenere e favorire questo processo in tutte le aree del Paese e soprattutto procedere in maniera più spedita nel proprio percorso interno di innovazione e digitalizzazione reale, oramai urgente e improcrastinabile per il sistema Paese, per la semplificazione e trasformazione digitale della macchina pubblica a tutti i livelli gerarchici, in modo da poter garantire servizi più efficienti, trasparenti e celeri sia al sistema produttivo, sia ai cittadini. In pratica si dovrà passare da un modello di Industria 4.0 ad un modello di Società 4.0 in cui anche la PA può e deve giocare un ruolo fondamentale. In tale contesto, sarà importante anche il contributo che potrebbero dare i Digital Innovation Hub (DIH) a livello regionale e/o interprovinciale. Tali strutture, infatti, dovrebbero favorire il dialogo tra mondo della produzione, della ricerca (università, enti e istituti di ricerca, competence center, ecc.), della finanza e della PA fungendo da “driver”, da “vettori” dell’innovazione per accompagnare le aziende, in particolare le PMI, in questo processo di trasformazione e di rivoluzione culturale (non solo tecnologica) dell’economia. Per evitare che alcune aree del Paese restino isolate e/o marginalizzate sarebbe, dunque, importante che anche Confindustria giocasse il proprio ruolo, promuovendo e guidando Digital Innovation Hub Territoriali in collaborazione con gli altri attori e strutture del territorio. 14 | giugno/luglio 2017
«Progettare il futuro»: 10 miliardi per le imprese del territorio Confindustria e Intesa Sanpaolo presentano l’accordo dedicato alla competitività e alla trasformazione dell’industria a cura della Redazione
È stato presentato lo scorso 27 giugno, presso la sede della Inci.Flex di Fisciano, con la collaborazione di Confindustria Salerno, l’accordo triennale tra Confindustria Piccola Industria e Intesa Sanpaolo “Progettare il futuro”, dedicato alla competitività e alla trasformazione delle imprese per cogliere le opportunità offerte dalla quarta rivoluzione industriale. La partnership mette a disposizione un plafond nazionale di 90 miliardi di euro, dei quali 10 miliardi destinati alle imprese del territorio salernitano. Quattro i pilastri dell’intesa: Ecosistemi di imprese e integrazione di business; Finanza per la crescita; Capitale umano; Nuova imprenditorialità. Presenti all’incontro Gerardo Gambardella, presidente Comitato PI Confindustria Salerno, Francesco Guido, direttore regionale di Intesa Sanpaolo e direttore generale del Banco di Napoli, Gianluigi Viscardi, vice presidente Confindustria Piccola Industria, Vincenzo Consalvo, amministratore delegato Inci.Flex, Stefano Riemma, direttore Dipartimento Ingegneria Industriale Università degli Studi Salerno e Gianluigi Venturini, direttore commerciale Imprese di Intesa Sanpaolo. Gerardo Gambardella, presidente Comitato Piccola Industria Confindustria Salerno: «Confindustria Salerno è impegnata a sostenere le aziende nella delicata fase di attuazione delle opportunità offerte dalle direttive di Industria 4.0. Per realizzarle però è necessario il supporto del mondo del credito. L’accordo con Intesa San Paolo va in questa direzione, oggi le imprese salernitane hanno uno strumento in più a loro disposizione». Gianluigi Viscardi, vice presidente Confindustria Piccola Industria: «Per fare la differenza sui mercati occorre puntare con decisione sulla conoscenza, sia investendo sul capitale umano, sia attraverso la condivisione interna del know how. L'accordo firmato risponde all’obiettivo di sostenere gli investimenti e la trasformazione delle imprese». Francesco Guido, direttore regionale di Intesa Sanpaolo e direttore generale Banco di Napoli: «L’accordo siglato vuole aiutare le aziende italiane a migliorare la capitalizzazione e a cogliere le grandi opportunità che la digitalizzazione e i nuovi scenari della quarta rivoluzione industriale offrono. Azioni che richiedono investimenti sia finanziari, sia in termini di capitale umano».
l’opinione
De Rosa, SMET: «Il profitto è un mezzo, non il fine» Le tappe della vita imprenditoriale e personale del neo nominato Cavaliere del Lavoro, dalla nascita dell’azienda fino alla decisione di restare a Salerno: «Quando delocalizzare sembrava una strada obbligata, noi abbiamo scelto di rimanere dove siamo nati. Il tempo ha dato ragione alla nostra tenacia» di Raffaella Venerando
Luigi De Rosa
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n vecchio gigante del cielo, un camion d’epoca, una nave merci. All’ingresso della SMET SpA, uno dei maggiori player europei nel settore della logistica integrata e dei trasporti, con testa e cuore a Salerno, gli occhi trovano in fila tutto questo, come a dire, da subito: «il movimento è il nostro destino». Amministratore Unico della SMET è Luigi De Rosa, 62 anni, di cui 40 passati nell’azienda di trasporto merci che il papà Domenico aveva fondato nel primo immediato dopoguerra. Luigi, fin da giovanissimo, capisce che l’attività paterna può diventare l’opportunità di una vita e decide di costruirci sopra prima la sua, poi quella dei figli - ben quattro - che verranno. Sa che per migliorare la società che chiamerà SMET - Società Meridionale Esercizio Trasporti - deve essere
lui il primo a crederci. Dal 1975, allora, intraprende un percorso di costante sviluppo commerciale guardando fuori dei confini nazionali, variegando di molto l’offerta, personalizzando i servizi, puntando all’eccellenza. La velocità del mercato aumenta e per restare in gara bisogna imparare a correre. Negli anni Ottanta accelera, portando il suo Gruppo a parlare con il mondo, acquisendo importanti commesse internazionali per clienti multinazionali e specializzandosi sempre più nell’offerta di servizi su misura per il settore Automotive, Glass e Chimico. Lo fa continuando a investire senza sosta in infrastrutture, in strutturazione e organizzazione, in capitale umano e mezzi. Ancora oggi lo ripete convinto: «Non bisogna avere paura di cambiare, anche quando il cambia-
mento sembra un azzardo». Nel 1989 osa ancora, decidendo di avviare una nuova sede a Torino. La sua strategia visionaria lo premia, proiettando la SMET nei massimi contesti industriali italiani, specie quando riesce ad acquisire direttamente da FIAT AUTO SpA il ramo aziendale Flotta Trasporto Sud, diventando così, con la sua azienda, uno dei principali fornitori diretti di servizi logistici in just in time del gruppo torinese. Ambizioso e competitivo, sfida di nuovo se stesso: non gli basta più che la SMET sia la Società Meridionale Esercizio Trasporti. Luigi “vede” che ha i mezzi per andare oltre Salerno e va. Sono i primi anni Novanta e comincia adesso il processo di internazionalizzazione della sua azienda, con la costituzione di società in Spagna con sedi a Barcellona e Sagunto, in Romania a Calarasi, in Belgio a Franiere, sempre in stretto collegamento con le necessità dei suoi clienti multinazionali. Comprende anche il trasporto tradizionale è a fine corsa e che è giunto il momento di arricchire le modalità del servizio, attraverso soluzioni integrate alla filiera
Sergio Mattarella “Cavaliere del Lavoro”. «Un riconoscimento gratificante - commenta De Rosa - merito della mia famiglia e della mia squadra». Per come ha intrecciato, nel tempo, il racconto familiare con il percorso imprenditoriale c’era da aspettarselo che, per un imprenditore così, il profitto fosse un mezzo e non un fine e che, semplicemente, oggi più di ogni altra cosa volesse dividere questo traguardo con chi da sempre - moglie e figli in testa - lo accompagna nel suo viaggio di vita e di lavoro.
industriale. Con queste premesse, nel 1999 fonda Logint SpA con cui gestisce per la FIAT S.p.a la logistica interna degli Stabilimenti di Pomigliano, Cassino e Pratola Serra, assumendo circa 1300 dipendenti del gruppo torinese. Negli stessi anni, nasce e si consolida la partnership con il Gruppo Grimaldi, oggi leader nel trasporto multimodale short sea in tutto il mar Mediterraneo, Adriatico e Baltico, con presidi propri nei principali porti europei. Arriva sempre un po’ prima degli altri e non si ferma davanti al limite. Gli uomini in movimento sono fatti così. E così, quella che nel nome voleva essere “solo” la società meridionale esercizio trasporti, diventa un gruppo internazionale con più di 20 sedi in Europa, un fatturato aggregato di oltre 200 milioni di euro, un parco veicolare proprio complessivo di oltre 2500 unità e una forza lavoro pari a circa 1000 persone, tra diretti e indiretti. Nei primi anni 2000 però Luigi De Rosa vorrebbe, insieme con la sua famiglia, andare via da Salerno. Molte aziende clienti sono in 16 | giugno/luglio 2017
affanno - qualcuna chiuderà - e il suo business ha bisogno di infrastrutture e migliori condizioni di contesto più facilmente rinvenibili altrove. Vorrebbe, gli converrebbe, ma alla fine decide di restare lì dove tutto ha avuto inizio. «Quando delocalizzare sembrava una strada obbligata - dice - noi abbiamo scelto di rimanere dove siamo nati. Il tempo ha dato ragione alla nostra tenacia». Negli ultimi 10 anni allora rilancia, dedicandosi alla costante costruzione di un modello di business teso a ricercare modalità di trasporto innovative, sostenibili e sicure. È tra i primi, infatti, a promuovere l’utilizzo di automezzi con alimentazione “green” LNG (Metano Liquido) e a sviluppare forme di trasporto alternative al “tutto strada”, come il combinato marittimo e ferroviario. La sua griglia mentale rendimento-produttività-successo - trasferita come un mantra ai tre figli già attivi in azienda: Domenico, Lorella e Andrea - oggi lo ha portato anche a essere nominato dal presidente della Repubblica
La SMET è stata tra le prime a promuovere l’utilizzo di automezzi con alimentazione “green” LNG (Metano Liquido) e a sviluppare forme di trasporto alternative al “tutto strada”, come il combinato marittimo e ferroviario
focus
Sistema moda campano, caratteristiche e sfide future Il percorso di ripresa del comparto dalla profonda recessione degli anni 2008-2013 continua per il 2017 anche se lentamente, alimentato dall’atteso miglioramento dei volumi di esportazione e dal mercato nazionale. Occorre però puntare, tra l’altro, sulla solidità delle imprese, rafforzandone la patrimonializzazione, l’aggregazione, sviluppando il Capitale Umano e diffondendo la tracciabilità e i controlli per la tutela della qualità di Autilia Cozzolino Ricercatrice SRM
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na recente ricerca di SRM ha mostrato come la creatività, la tradizione artigianale e industriale, la qualità e le competenze che caratterizzanoil Made in Italy consentano all’Italia di occupare nello scenario europeo della produzione “Moda” una «posizione di leadership» collocandosi al primo posto per fatturato (77,7 mld di euro) e valore aggiunto (23,5 mld di euro), con oltre 80.000 imprese attive e quasi 500mila occupati (Fonte: Eurostat, Istat). Nel contesto nazionale, la Campania, con un valore aggiunto Moda di 1.027 milioni di euro, si posiziona al settimo posto mentre rappresenta la prima regione nella classifica meridionale. La vocazione produttiva campana nel settore Moda risulta rilevante, con un peso del settore sul manifatturiero di 12,1%, valore superiore al dato medio meridionale (9,4%) e nazionale (9,6%). Nella regione, al I° trimestre 2017, operano 8.172 imprese nella produzione Moda, pari al 10% del dato nazionale e a ben il 44% di
quello meridionale. In particolare, in riferimento alla numerosità d’imprese dei comparti produttivi, la Campania si posiziona al sesto posto in Italia nel tessile (853 imprese attive), al quinto nell’abbigliamento (4.601) e al terzo in quello delle pelli e relativi prodotti (2.718). Tra i punti di forza, rilevante è in Campania sia il ruolo della piccola impresa che l’attrattività dei prodotti Moda sui mercati esteri. La piccola impresa rappresenta la spina dorsale del sistema moda italiano e soprattutto di quello campano. Ben l’86% delle unità locali del settore Moda campano si concentra nella classe 1-9 addetti contro l’83,5% dell’Italia. La dimensione media delle imprese Moda campane è di 5,2 addetti per unità locale, inferiore a quella del Mezzogiorno (5,4) e dell’Italia (7,0). La fitta presenza sul territorio delle PMI, se da un lato rappresenta un punto di debolezza e di vulnerabilità per le ovvie conseguenze in termini di investimenti, innovazione, internazionalizzazione, professionalità manageriale, dall’altro poco fa emergere i punti di forza e di eccellenza che ne derivano come la flessibilità, la tenace ricerca del “bene dell’impresa”, la velocità
Valore Aggiunto Moda. Peso % su manifatturiero
Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat. Anno 2014
dei processi decisionali, l’elevata capacità di reazione agli eventi ambientali, la condivisione di un “sistema di valori”; caratteristiche che nel settore imprenditoriale del sistema Moda consentono di sviluppare produzioni di successo. Per quanto concerne il secondo aspetto, il valore delle esportazioni Moda in Campania, nel 2016, è di oltre 1 miliardo di euro, pari all’11,1% di quello del Manifatturiero, e pesa per il 46,8% sulle esportazioni Moda del Mezzogiorno. I comparti che alimentano maggiormente i flussi dell’export campano sono l’Abbigliamento (44%), le Calzature (25,5%) e la Concia-Pelletteria (21,8%); un peso minore si registra per il comparto Tessile (8,6%). Pur se con un andamento negativo negli ultimi anni, il tasso di crescita di lungo periodo delle esportazioni si mantiene su livelli positivi. In particolare tra il 2008 e il 2016 il settore Moda è cresciuto del 19,5%. L’UE 28 è la principale area verso cui la Campania esporta prodotti Moda, ben il 46,6% delle esportazioni Moda della regione mentre l’Oceania e l’America centro-meridionale sono le aree più dinamiche con un export che, rispetto ai valori del 2008, nel primo caso è raddoppiato, mentre nel secondo mostra una crescita del 56,1%. Il tasso di crescita verso l’UE 28 è, invece, pari a +46,5%. Oltre alla produzione, rilevante risulta anche la fase distributiva. In Campania, l’80,5% delle unità locali MODA campane si occupa del commercio, percentuale più elevata del dato nazionale (75%). In particolare, importante è il peso del commercio al dettaglio pari a 63,2% (61,1% Italia), mentre quello relativo al commercio all’ingrosso è quasi il doppio di quello nazionale (12% contro 6,7%). Dall’analisi economico-finanziaria (il campione di imprese 18 | giugno/luglio 2017
del sistema Moda è stato estratto dalla banca dati AIDA Bvdep ed è stato costruito considerando tutte le imprese che nel periodo 2012-15 hanno presentato un fatturato>0) delle imprese campane del settore MODA si evince, sia per la produzione che per la distribuzione, una struttura finanziaria protesa all’impiego di capitali di terzi e quindi ad uno sfruttamento della leva finanziaria – anche se in lieve calo nel periodo 2012-2015, trend in linea con il dato nazionale. Il settore nella regione presenta una crescita continua del fatturato nel periodo 2012-2015, anche se i ritmi sono rallentati, ma restano superiori a quelli nazionali. Positiva è inoltre la redditività. Il ROE (Utile netto su Capitale netto) delle imprese campane che si occupano di produzione Moda si presenta positivo (8,7%), in lieve crescita nel 2015 ed in linea al dato nazionale. Per quanto riguarda le imprese che si occupano della distribuzione Moda, emergono performance reddituali in crescita, sia in termini di redditività operativa (ROE: da 6,6% nel 2014 a 8,6% nel 2015, Ita) che di redditività complessiva (ROI: da 4,3% a 4,9%) e comunque superiori al dato nazionale. La Campania presenta proprie specificità produttive e distributive: Forte attrattività dei prodotti moda sui mercati internazionali, soprattutto abbigliamento e comparto pelli e accessori. Produzione sartoriale di alta qualità. Alcune imprese basano l’eccellenza sulla tradizione artigianale. Diverse imprese investono sul brand; indipendentemente dal luogo di produzione (Campania, Italia, estero) puntano sulla forza del marchio, sulla comunicazione e sulla logica distributiva. C’è un universo di imprese che, a vario titolo (importatoti di materia, converter di tessuti, produttori, distributori) sono orientate
all’attività di sub-fornitura delle aziende del Nord ed estere. Ciò alimenta fenomeni di interdipendenza produttiva. In riferimento al futuro, il percorso di ripresa del Sistema moda italiano dalla profonda recessione degli anni 20082013 si prevede continui per il 2017 anche se lentamente, alimentato dall’atteso miglioramento dei volumi di esportazione e dal mercato nazionale, seppure in decelerazione rispetto al 2016, a riflesso del marcato rallentamento del potere di acquisto delle famiglie. Nel medio periodo, la crescita del fatturato è legata all’accelerazione negli scambi commerciale grazie al miglioramento delle prospettive macroeconomiche degli emergenti, con il ritorno alla normalità dell’economia russa, importante mercato di sbocco commerciale del settore, ed al rafforzamento dell’area asiatica. Di fronte a tale scenario, per accrescere la competizione delle imprese campane del settore occorre spingere tutto il sistema Moda a consolidarsi e a rilanciarsi. In particolare, bisogna agire sia sul miglioramento delle dinamiche di funzionamento dei processi produttivi che sulla distribuzione e, quindi, sui mercati di riferimento. Per far ciò occorre puntare, da un lato, sulla solidità agevolando l’eccesso al credito (es. ruolo dei Confidi), rinforzando la patrimonializzazione, favorendo l’aggregazione, sviluppando il Capitale Umano e diffondendo la tracciabilità e i controlli per la tutela della qualità. Dall’altro canto è necessario irrobustire la competitività delle aziende mediante la promozione dell’innovazione, il rinnovamento dei modelli di business, la diffusione di filiera e reti, la modernizzazione della distribuzione e l’ampliamento dei mercati di riferimento. Per info: www.sr-m.it.
confindustria salerno
Imprese, l'evoluzione in atto Per il presidente dei Giovani Imprenditori salernitani: «Nel futuro che ci aspetta gli uomini dovranno mostrare di essere capaci di ottimizzare il loro enorme potenziale ancora inesplorato. Altro che robot» di Raffaella Venerando
Pasquale Sessa
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radizionalmente, uno dei terreni di maggior interesse dei Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno è l’education e il dialogo con il mondo dell’istruzione. La relazione si è rafforzata con i percorsi di Alternanza? Chi per mestiere fa impresa, sa bene che - fino a poco tempo fa - le risorse che entravano in azienda per la prima volta non avevano mai avuto la possibilità di fare esperienza sul campo nel corso dei loro studi, pur avendo dalla loro un ampio bagaglio di conoscenze. Un gap organizzativo e culturale con altri Paesi europei che, per fortuna, stiamo provando a colmare. Da tempo, come Gruppo, siamo impegnati nel diffondere cultura di impresa sul territorio, raccontando ai giovani cosa vuole dire fare impresa, come si lavora in squadra, quali sono i valori etici che ci guidano. “Istruzioni per l’uso”, diciamo, che la scuola non può inserire nella propria
didattica direttamente, ma che sta a noi fornire durante i percorsi di alternanza per invogliare i giovani a guardare al lavoro in azienda come a una scelta possibile e consapevole. Anche per questo avvieremo tavoli di confronto con gli Enti di Ricerca, Università e le scuole superiori, proprio per trovare, insieme con loro, la modalità per migliorare i programmi formativi adeguandoli alle reali esigenze aziendali nei vari settori. Nel suo programma ha dichiarato di voler spingere sul dialogo con Bruxelles attraverso la rappresentanza di Confindustria. Crede nell’Europa quindi? L’Europa è fondamentale, è e deve essere per noi un pilastro e, per nessuna ragione, dobbiamo prestare il fianco a chi vorrebbe far passare il messaggio contrario. Maggiore presenza a Bruxelles significa non solo difesa delle nostre imprese, ma anche occasione per informarci in modo diretto sulle opportunità di finanziamento
che derivano dalle iniziative comunitarie. Monitorando con attenzione le possibilità che offre l’Europa, possiamo anche crescere nell’internazionalizzazione, visti i tanti strumenti inclusivi offerti.È importante però che ci si muova come sistema e che il nostro Paese dimostri di avere un orizzonte politico stabile e capace di fare riforme utili e durevoli. Sono convinto che, nella prospettiva strategic a e di convergenza del Mezzogiorno, risiede il rilancio della competitività dell’intero Paese. Evolvere, è la parola guida del suo mandato? È il momento storico che lo richiede. Oggi siamo chiamati a sfide continue, senza precedenti. Sfide tecnologiche, organizzative, comunicative, di metodo, che non devono però farci perdere di vista la dimensione umana e relazionale. Nel futuro che ci aspetta dovremo mostrare di essere capaci di ottimizzare il nostro enorme potenziale ancora inesplorato. Altro che robot.
confindustria salerno
Il pensiero sistemico, cos’è e come ci fa funzionare Il manager che ragiona in modo sistemico coglie con precisione le conseguenze delle sue azioni nel sistema allargato focalizzandosi su un orizzonte temporale di medio-lungo termine di Raffaella Venerando
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Guido Granchi consulente, coach e formatore Granchi&Partners
ottor Granchi perché il manager oggi deve pensare “sistemico” e quali sono i vantaggi di questo approccio? Potrà sembrare paradossale, ma pensare sistemicamente sarebbe la semplice modalità di far corrispondere il nostro processo cognitivo alla realtà. La Natura si comporta in maniera sistemica e noi umani siamo esseri naturali, giusto? La Natura “lavora” in un’ottica circolare: pensiamo alla meraviglia che genera in noi un ecosistema in perfetto equilibrio! Pensare sistemicamente significa ragionare in termini circolari. Ad ogni azione corrisponde una reazione che porta delle conseguenze anche su chi ha agito l’azione. In altri termini l’effetto in un certo modo e in una certa misura “ci torna sempre anche indietro”. Siamo invece di solito abituati a interpretare la realtà in termini lineari, da A a B, da B a C etc…Pensare sistemicamente significa passare dal pensiero lineare, che abbiamo appreso a scuola, a quello circolare, nel quale la causa e l’effetto si influenzano reciprocamente nel tempo: A influenza B e anche B influenza A e C influenzerà B e A. Pensiamo, ad esempio , al caso di un manager che non riesce a
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motivare i propri collaboratori: non ne riconosce mai i meriti ed è scontroso nella relazione. Un possibile effetto collaterale può essere il non raggiungimento degli obiettivi da parte dei collaboratori e una conseguente riduzione di fatturato che genera delusione e risentimento. In termini sistemici questa situazione può essere descritta come una retroazione di rafforzamento che genera un circolo vizioso. Ipotizziamo che il manager capisca, ad esempio dopo aver partecipato ad un corso di formazione, l’importanza della motivazione delle risorse e decida quindi di cambiare il suo comportamento, valorizzando sinceramente il lavoro svolto del collaboratore. In questa nuova dinamica è probabile che il collaboratore noti e apprezzi il cambiamento del capo: la ruota del conflitto si è fermata. Questo comportamento è detto retroazione di bilanciamento. Questo cambio salutare di rotta può poi, nel tempo, divenire una retroazione di rafforzamento positiva che genera, questa volta, un circolo virtuoso: più motivazione da parte del manager maggior soddisfazione da parte del collaboratore - migliori risultati per il sistema azienda. Cosa c’è nella cassetta degli attrezzi del manager sistemico? Il Pensiero Sistemico aiuta il manager a leggere la realtà che accade attorno a lui individuando le retroazioni di rafforzamento e bilanciamento, che significa passare dai fatti alla struttura sistemica che
genera i fatti. Per compiere questo passaggio gli strumenti sono, oltre alle già citate dinamiche circolari di rafforzamento e bilanciamento, l’individuazione dell’effetto leva, l’analisi degli effetti collaterali e la considerazione dei ritardi temporali. Tutti questi strumenti aiutano il manager sistemico a cogliere con precisione le conseguenze delle sue azioni/decisioni nel sistema allargato e lo aiutano a focalizzarsi su un orizzonte temporale di medio-lungo termine. Ma anche nella vita privata funziona pensare sistemico? Certo, se trasliamo la dinamica conflittuale manager-collaboratore in quella tra genitori e figli o marito e moglie, le dinamiche sono le stesse. Infatti il pensatore sistemico è abituato ad osservare la struttura appunto del comportamento, oltre il contesto in cui si manifesta per gestire il cambiamento. È quindi vero che anche in azienda “è la somma che fa il totale”? Una delle formule che spesso utilizziamo per descrivere i vantaggi dell’applicazione del Pensiero Sistemico in azienda è: 1+1= 3! Per noi questa è un’operazione matematicamente sbagliata, ma umanamente vera. Imparare a leggere i comportamenti in termini sistemici significa andare oltre le illusioni lineari ed essere consapevoli che essi hanno degli effetti molto maggiori di quelli che normalmente ipotizziamo e prevediamo sia nella vita professionale che privata.
Twin-Esperienze Work & Life Balance, lo stress si vince Teatro d’eccezione per l’ultimo incontro del progetto è stata la Cesare Trucillo spa. Musicoterapia, mandala, personal coaching, test and game, formfilm e molto altro ancora hanno impegnato le corsiste in un "fare" ideativo ed esecutivo, gradevolmente intervallato da momenti di autentico gusto, grazie agli ottimi cibi e caffè offerti di Raffaella Venerando
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ensiero circolare, lineare, associativo, laterale. Abbondano le teorie su come pensare meglio, aiuti a vivere meglio. Ciò che è certo è che, abbandonarsi a pratiche creative, sia un esercizio estremamente utile per ridurre i livelli di stress. Lo hanno imparato sulla propria pelle le imprenditrici del Comitato Femminile Plurale di Confindustria Salerno - presieduto da Alessandra Pedone - lungo il progetto Twin- Esperienze Work & Life Balance,
un percorso di apprendimento esperienziale. Nel corso di otto appuntamenti le partecipanti hanno imparato come bilanciare vita personale e professionale, acquisendo le competenze necessarie per gestire in modo multitasking la propria agenda, senza stress ma raddoppiando le proprie abilità manageriali sia in casa, sia in ufficio. Teatro d’eccezione per l’ultimo incontro del progetto svoltosi il 16 giugno scorso è stata la Cesare Trucillo spa. Musicoterapia, mandala, personal coaching, test and game, formfilm e molto
altro ancora hanno impegnato le corsiste in un "fare" ideativo ed esecutivo, gradevolmente intervallato da momenti di autentico gusto, grazie agli ottimi cibi e caffè offerti dalla famiglia Trucillo. Ancora una volta a capitanare la squadra al femminile le sorelle Francesca e Giuliana Saccà, sempre avanti nel loro modo di organizzare la formazione manageriale, grazie alla competenza nel mostrare in modo esperienziale che l’obiettivo non è muoversi semplicemente da A a B, ma nell’inventare più di una lettera lungo la strada.
confindustria salerno
Laboratori e show cooking
22 | giugno/luglio 2017
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Processo, chimica e rispetto dell’ambiente: la triade vincente di Soltar
La migliore sinergia tra processo, chimica e rispetto dell’ambiente: ecco il fulcro della mission di Soltar.
La società scafatese si occupa prevalentemente di trattamenti di acque per i settori industriale, alimentare e ambientale
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a Soltar s.r.l. nasce a Scafati dalla passione e dalla professionalità dei suoi giovani soci fondatori, Salvatore Serrapica e Ciro Tortora. Grazie alla comprovata esperienza pregressa e all’elevata specializzazione tecnico-scientifica di entrambi, la società oggi è in grado di fornire soluzioni e servizi per i settori industriale, alimentare e ambientale che vanno a completarsi con una specifica attività di consulenza tecnica. Soltar opera, infatti, in più settori della chimica, caratterizzandosi prevalentemente per i trattamenti di acque di processo come generatori di vapore, circuiti di raffreddamento, impianti di trattamento acque e per prodotti utilizzati nella detergenza e la sanificazione sia civile, sia industriale. È presente, inoltre, nel campo ecologico curando la manutenzione e la gestione di impianti di depurazione, trattamento di acque di scarico e neutralizzazione di odori. La diversificazione della gamma prodotti e un servizio di assistenza attento e personalizzato offrono, ai clienti Soltar, le migliori garanzie di raggiungere risultati importanti anche grazie ad un monitoraggio costante dei processi e degli impianti. Le soluzioni proposte sono pertanto sempre concrete, efficaci e presentate in tempi veloci perfettamente conformi alle normative vigenti del settore.
CONTATTI via Santa Maria La Carità, 77 84018 Scafati (Sa) Tel. +39 081 199 386 70 www.soltarchimica.it info@soltarchimica.it
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Country House Villapiana, il luogo ideale per vivere la natura Sapori antichi e accoglienza moderna fanno della struttura ricettiva la location giusta per eventi di gran gusto
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ituata a pochi minuti dal centro di Salerno, Villapiana Country House è immersa in un bosco di castagni secolari, in un parco che si estende su di una superficie di dieci ettari su uno splendido rilievo collinare. È il luogo ideale per ritrovare l’equilibrio tra uomo e natura, grazie a emozioni semplici, prodotti genuini, massimo comfort e una accoglienza di elevata qualità. Nata come struttura ricettiva di turismo rurale, a Villapiana regna l’armonia. Gli animali della fattoria, spesso lasciati in libertà, sono perfettamente integrati nel contesto naturale. Particolare attenzione è destinata, poi, alla ristorazione, dove una brigata di chef, attraverso la tradizione culinaria italiana, riscopre gli antichi sapori contadini all’insegna della bontà e della novità per eventi di gran classe e gusto. A disposizione degli ospiti, spaziose sale ricevimento per meeting, congressi, cerimonie. Piccole sale private e un’ampia area relax con piscina completano la composita offerta della country house. All’interno della struttura è possibile usufruire, inoltre, di camere doppie con bagni privati, realizzate in una struttura indipendente dove a predominare è il calore del legno.
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CONTATTI via Piana, 08 84080 Coperchia /Pellezzano (Sa) Tel. +39 0895683016 www.villapiana.info informazioni@villapiana.info
Italiana Energia, un riferimento certo per impiantistica civile, industriale ed energie rinnovabili Servizi integrati che vanno dalla consulenza alla progettazione
industriale e residenziale. La ditta, operante anche come ESCo (Energy Service Company), continua la sua crescita con la recente acquisizione dell’attestazione SOA, unitamente alla già ottenuta certificazione ISO 9001, che testimonia il possesso da parte della stessa anche di tutti i requisiti previsti dalla attuale normativa in ambito dei Lavori Pubblici. La presenza nel proprio organico di personale specializzato consente all’azienda di garantire un servizio altamente professionale anche in fase di installazione e manutenzione.
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a Italiana Energia S.p.a. nasce nell’anno 2011 come ditta individuale su iniziativa di Bruno Salvatore, operando fin da subito nel settore del risparmio energetico e dell’energia rinnovabile. Da allora si è imposta sul mercato campano come una delle migliori realtà operanti nel settore. Nel corso degli anni, data la volontà di crescere e affermarsi sempre di più, la ditta ha compiuto ulteriori passi in avanti, inoltrandosi nel mercato degli Impianti Meccanici e di Condizionamento, con risultati altrettanto lusinghieri. Si è paventata così la necessità di ampliare il proprio organico, puntando su personale competente in materia capace di rendere costante la crescita iniziata nel 2011. Nel 2016 la società ha compiuto un ulteriore importante passo, diventando di fatto una Società a Responsabilità Limitata, con l’ambizione di fare sempre meglio e allargare il proprio mercato di riferimento uscendo fuori dei confini campani. Oggi Italiana Energia, diventata una S.p.A., è dotata di un ufficio tecnico interno costituito da un organico di quattro professionisti, tra cui un EGE certificato, ed è in grado di offrire servizi integrati che vanno dalla consulenza energetica alla progettazione impiantistica
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Triporganizer, il posto giusto per organizzare i viaggi di lavoro Il portale ad oggi vanta ben oltre 2500 utenti business, cui offre la miglior soluzione alberghiera al miglior prezzo, con la possibilità di modificare la scelta fatta in qualsiasi momento e quasi sempre senza alcun costo aggiuntivo
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gli imprenditori è ben noto che i costi di trasferta rappresentano una voce rilevante nei bilanci delle loro aziende: infatti, organizzare i viaggi di lavoro per i propri dipendenti, nella consapevolezza di aver scelto l'offerta più vantaggiosa, non sempre è semplice. Oggi ciò è possibile grazie ad uno strumento efficace presente sul sito www.triporganizer.it, operante nel campo del turismo B2B, che si pone come obiettivo primario la soddisfazione dei "clienti business" . L’idea nasce da un gruppo di imprenditori salernitani che hanno fondato nel 2015 la 2G srl, azienda che mira a diventare una delle leader nel campo delle prenotazioni alberghiere on line. Questi, avvalendosi della propria decennale esperienza nel campo del turismo, hanno pensato di creare un portale che ad oggi vanta ben oltre 2500 utenti business registrati, molti dei quali rivestono rilevanza nazionale. Il sistema offerto si avvale della migliore tecnologia informatica nel campo dell’e-booking, che permette di garantire la massima soddisfazione dell'azienda-cliente, fornendogli la possibilità di trovare la migliore soluzione alberghiera in base alle proprie necessità. Infatti, è lo stesso sistema a proporre la scelta migliore al miglior 26 | giugno/luglio 2017
prezzo, garantendo la possibilità di poterla modificare in qualsiasi momento e quasi sempre senza alcun costo aggiuntivo. Pertanto, utilizzando il sistema offerto sul sito www.triporganizer.it è possibile ridurre sensibilmente i costi aziendali sulle trasferte di lavoro, in quanto, si ribadisce, vengono messe a confronto le offerte di ben oltre 2500 di "utenti-hotel ", offrendo delle soluzioni concorrenziali rispetto ai più conosciuti sistemi di prenotazioni alberghiere on-line (Booking.com, Expedia etc, etc). La startup salernitana, avvalendosi di un team di sviluppo di primario livello, sta concentrando i propri sforzi non solo per il potenziamento di sistemi informatici orientati al business, ma anche per la creazione di una "app consumer" mirata alla conoscenza e valorizzazione del territorio: "l'incoming" è , infatti , un altro dei target dell’azienda, inteso come volano strategico dell'economia locale. Non resta che aspettare, quindi, le novità che la 2G non mancherà di proporci a breve: stay tuned!
CONTATTI via Dei Mille, 74/76 84129 Salerno Tel. +39 089.9959490/1 www.triporganizer.it info@triporganizer.it
strategie di impresa
D’Amico, la virtù di piacere Una tavola di amici imbandita di colori e una musica di gran classe sono gli ingredienti del commercial in onda sulle reti Rai firmato da Ferzan Ozpetek di Raffaella Venerando
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no spot da mangiare con gli occhi l’ultimo della D’Amico, azienda food che, a partire dal 1971, si è specializzata nella conservazione di ortaggi, funghi e olive, fino ad arrivare alle ben 150 referenze di oggi, molte lavorate dal fresco. La campagna, on air dal 7 maggio sulle reti RAI e tutti i canali web RAI, è stata ideata in collaborazione con l’agenzia Arkè e firmata da un regista unico nel suo genere: Ferzan Ozpetek. Come nei suoi film più noti, anche nel commercial
girato per la D’Amico il campo di azione è la cucina, luogo eletto di amicizia e soprattutto di gusto. Una tavola di amici imbandita di colori con una musica di gran classe fanno presagire una sintonia perfetta, sullo schermo, tra quello che si assapora col palato e l’emozione che si prova. Tutto senza parole. A parlare sono solo le differenti emozioni, suscitate negli amici riuniti a tavola, dai diversi prodotti D’Amico. La campagna televisiva si compone di otto filmati da 15 secondi, di due da 30 e di uno completo da 60. La D’Amico, azienda alla terza generazione, attualmente conta 98 collaboratori di cui il
60% donna, ha due siti produttivi, uno a Pontecagnano Faiano e uno a Rovereto, con una produzione di 35 milioni di pezzi. Sul mercato è presente con i marchi D’Amico, Logrò e Montello. È quindi una società già forte, ma che punta a farsi conoscere e apprezzare ancora e di più. Come racconta Maria D’Amico, responsabile marketing dell’azienda, lo spot infatti nasce «dall’esigenza di acquisire maggiore awareness e notorietà a livello nazionale, rivolgendosi anche ad un pubblico giovane e dinamico». La scelta di Ozpetek, invece, è dettata dal suo inconfondibile modo di stare dietro la mac-
Maria e Sabato D’Amico con il regista Ferzan Ozpetek
strategie di impresa
china da presa, quella capacità piena di coinvolgere, quel gusto raro e lirico di emozionare. La cifra stilistica è riconoscibile fin dal primo frame e, come svela sempre Maria, è stato proprio il regista turco a volere indugiare sulle reazioni spontanee degli attori all’assaggio dei prodotti. Da qui è nato il payoff che accompagna lo spot “Al gusto non si comanda”. Una promessa di unicità e di eccellenza che rende liberi di scegliere i prodotti D’Amico. Il meglio.
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San Giorgio Dolce & Salato, numeri di successo e nuovi obiettivi In cinque anni l’azienda punta al raddoppio del fatturato. «L’obiettivo per il 2020 è di raggiungere i 50 milioni», spiega Marco Ciron, Direttore Commerciale di Raffaella Venerando
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a storia della San Giorgio comincia negli anni ‘80 ed è prima di tutto la storia di Sabato Bruno che, in 35 anni, ha trasformato un piccolo laboratorio di pasticceria a Castel San Giorgio, alle porte di Salerno, in una grande azienda di croissante-
rie specializzata nel mercato del food service: la San Giorgio Dolce & Salato. Con impegno e dedizione, il piccolo laboratorio delle origini è diventato uno stabilimento che produce eccellenza: la passione di Sabato, condivisa dai figli Antonino e Ivan, associata agli impianti produttivi e di conservazione di ultima generazione sono stati le fondamenta della continua crescita dell’azienda. «A fine giugno abbiamo ricevuto un premio sponsorizzato da Borsa Italiana: tra le 8.000 PMI italiane, con un fatturato compreso tra i 20 e i 250 milioni di euro, ne sono state selezionate 420 che hanno ottenuto risultati economici particolari e di queste, 28, sono state premiate come casi di eccellenza nel proprio settore di riferimento», afferma con orgoglio Marco Ciron, Direttore Commerciale di San Giorgio SpA. «Oggi, in Italia, nel settore della croissanterie, San Giorgio è la società che sta facendo l’investimento industriale più importante. Abbiamo, infatti, un progetto che in cinque anni dovrebbe portarci a raddoppiare il fatturato che, nel 2016, è stato di 27 milioni, prodotto grazie all’impegno di oltre 150 dipendenti», spiega Ciron.
«L’obiettivo per il 2020 è di raggiungere i 50 milioni di fatturato e, come primo passo, abbiamo deciso di raddoppiare la capacità produttiva. Stiamo per concludere la realizzazione del nuovo sito produttivo: ci saranno tre nuove linee di produzione tra le più innovative e tecnologicamente avanzate a livello mondiale per la produzione di croissant e non solo», spiega Ciron. «Si tratta di tecnologia tedesca che rappresenta una novità assoluta per l’Italia, ma anche per la stessa azienda che ce li fornisce. Sono impianti particolarmente automatizzati, ma anche flessibili per adattarsi alla produzione di diversi prodotti. Il numero di linee installate passerà da 12 a 15, con impianti ad alta produttività e prestazioni al top della categoria». Sono parecchie centinaia le aziende di questo settore, ma solo una trentina operano a livello nazionale; le prime dieci, delle quali fa parte San Giorgio, coprono il 70% del mercato. San Giorgio, realtà molto forte nel Sud Italia, si sta espandendo su tutto il territorio nazionale e verso mercati internazionali; oggi è presente in Europa, Americhe, Australia e Asia, ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento. «I nuovi impianti ci
strategie di impresa
Marco Ciron, direttore commerciale San Giorgio SpA
consentiranno di abbassare i costi e aumentare la qualità per essere più competitivi anche a livello internazionale», aggiunge Ciron. «Di pari passo con l’innovazione industriale stiamo procedendo a una trasformazione in termini di governance della società, passata in brevissimo tempo da un’azienda di tipo laboratorio evoluto ad una realtà industriale moderna con sistemi informativi all’avanguardia e con processi che mettono in relazione i diversi uffici dell’azienda», prosegue il manager. Realizzando il nuovo progetto, San Giorgio conta di arrivare nel giro dei prossimi cinque anni a collocarsi tra le prime cinque aziende del comparto in cui opera, un segmento che oggi vale circa 600 milioni di fatturato. «Per farlo, stiamo anche potenziando il nostro sistema informativo e puntando sulla responsabilizzazione e sulla crescita delle risorse umane», puntualizza. «Dal punto di vista dei mercati stiamo anche studiando nuovi prodotti da realizzare con i nuovi impianti per posizionarci in nicchie dove oggi siamo marginali», spiega Ciron, che conclude: «Sia in termini di prodotto, sia di produzione cerchiamo di ca-
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valcare le novità più significative stando attenti alla qualità e, in questo senso, abbiamo tutte le certificazioni che oggi il mercato richiede».
L’azienda San Giorgio affonda le radici in provincia di Salerno, terra di sole e mare. E sono i limoni della zona, in forma di confettura con scorzette della Costiera Amalfitana, a costituire la farcitura del nuovo Cornetto Mamita da 85 gr., rifinito con una caratteristica granella topping gialla (nella pagina precedente). Realizzato con una lievitazione naturale che dura 48 ore, si distingue per fragranza, genuità e leggerezza dell’impasto
CONTATTI Via G. Petti, 10/2 84083 Castel San Giorgio (SA) info@sangiorgiospa.eu www.sangiorgiospa.eu
Inci-Flex, la sfida di guardare lontano Volontà e azione hanno in vent’anni portato l’azienda, specializzata in servizi di prestampa per partner del settore dell’imballaggio flessibile, ad affermarsi in ambito internazionale con sempre maggiore lena e rendimento di Raffaella Venerando
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olere si dice sia potere. Più che una storia di potere, però, l’evoluzione nel tempo della Inci-Flex di Fisciano ha la potenza di una storia vera, fatta di qualità elevata, di macchine all’avanguardia, di tecnologie di ultima generazione e di uomini la cui competenza è cresciuta di pari passo con quella dell’impresa. L’azienda,
specializzata in servizi di prestampa per partner del settore dell’imballaggio flessibile, nasce nel 1979 a Cava de’ Tirreni. A fondarla è Carmine Consalvo, papà di Vincenzo, oggi amministratore unico. Nel 1997 assume la denominazione attuale, cominciando quel continuo percorso di sviluppo che la porterà, anno dopo anno, ad essere apprezzata sul mercato espandendo il suo raggio operativo su tutto il territorio nazionale. Nel 2009 uomini e macchine si trasferiscono a Fisciano, nella sede di oggi, 10mila metri quadrati che la rendono una delle società più grandi di Italia per dimensioni e Vincenzo Consalvo, amministratore Inci-Flex
sfericità del prodotto offerto ai clienti. Quattro sono i reparti in cui è divisa l’azienda a seconda del tipo di stampa richiesto: flexo, label, rotocalco e ondulato. La scelta della qualità, la capacità di riconoscerla e volerla per sé per restituirla ai propri clienti è ovviamente merito di Vincenzo, della sua conoscenza e di quella sensibilità necessaria ad ascoltare i clienti per anticiparne i bisogni.Da questa inclinazione naturale deriva la forte propensione all’innovazione tecnologica che ha portato l’azienda ad essere la prima al mondo ad avere adottato il Full HD, il nuovo CDI Crystal 5080
strategie di impresa
XPS di Esko. Con questa particolare attrezzatura il processo di produzione di lastre flessografiche non solo è completamente automatizzato, ma anche veloce ed economico, perfettamente in linea con la volontà della guida di esserci sempre per il cliente, attenti come pochi al migliore risultato.Dopo una lunga espansione in Italia e in Europa, la Inci-Flex dal 2013 ha avviato un solido processo di internazionalizzazione, coadiuvata, tra gli altri, dalla competenza versatile di Pellegrino Gaeta, responsabile dello sviluppo internazionale. Nord Africa, Egitto, Tunisia, Algeria, Costa d’Avorio, Iran sono oggi i principali mercati di sbocco dei prodotti targati Inci-Flex che, presto, saranno prodotti direttamente anche in Algeria. Il know-how ormai forte della squadra di Consalvo promette di creare anche in Magreb qualcosa di veramente
Incisione laserdiretta label
innovativo, accettandone in modo appassionante il rischio, l’audacia della nuova avventura, la contaminazione con l’ignoto e l’arditezza di una scelta che - per l’azienda che quest’anno compie il suo 20esimo compleanno – non sarà di certo l’ultima sfida. Del resto «chi non rischia, non beve champagne». Alla Inci-Flex allora! Lastre flexo per cartone ondulato
Gruppo di lavoro Inci-Flex
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Generali Santi Martiri Agenzia generale di Salerno, tradizione sicura Con 25.000 clienti e 35.000 contratti, Davide Nicolao e Mariano Porcini certificano gli elevati standard in termini di consulenza e intermediazione assicurativa di Raffaella Venerando
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lla voce “assicurare” il vocabolario recita “Rendere sicuro, proteggere da un danno o pericolo”. E questa è la mission della Generali Santi Martiri Agenzia generale di Salerno, guidata dal 2005 da Davide Nicolao e Mariano Porcini, quest’ultimo anche pre-
sidente del Gruppo Assicurazioni in Confindustria Salerno. In dodici anni di attività, Nicolao e Porcini sono riusciti a far diventare la loro una tra le più importanti realtà del panorama assicurativo italiano, in particolare nell’Area Centro-Sud, grazie a una approfondita conoscenza del mercato e del territorio in cui operano. La loro strategia commerciale si fonda, infatti, su di un articolato programma di presidio territoriale, realizzato in modo capillare nella città e nella provincia di Salerno, con ben quattordici sedi localizzate nei principali centri produttivi e imprenditoriali del territorio. La prossimità geografica al cliente è di per sé sinonimo di un’assistenza e una consulenza tecnica continua, indice di efficienza e professionalità. Sono proprio queste doti a garantire che il cliente che ha scelto di affidarsi alla Generali Santi Martiri Agenzia generale di Salerno continui a farlo nel tempo, con fiducia, certo
di ricevere in cambio attenzione e competenza, nonostante i grandi numeri gestiti dall’Agenzia. Il suo giro d’affari infatti conta 25.000 clienti e 35.000 contratti, cifre che la rendono leader indiscussa del settore, raggiunte grazie all’elevato standard in termini di consulenza e intermediazione assicurativa, sia nella linea persona - pensioni e fondi integrativi, gestione del risparmio, investimenti, gestioni patrimoniali, tutela legale, rimborso spese sanitarie, solo per citarne alcuni - sia in quella relativa all’azienda (rischi Pmi; rischi Agricoltura; rischi professionali; rischi industriali; rischi del commerciante; rischi dell’albergatore; rischi della circolazione; rischi dell’abitazione). Una soluzione di stabilità e sicurezza per tutti, insomma, con la solida tradizione di un grande Gruppo alle spalle, ma proiettata nel futuro per essere al passo con le nuove necessità di mercato.
edilizia industriale
Ricostruire, il vantaggio del riutilizzo degli inerti in edilizia Dal punto di vista economico, la convenienza è legata al delicato equilibrio di un mix di fattori quali il prezzo rispetto al materiale vergine, il costo del conferimento in discarica, la presenza di un’industria del riciclo, l’elevata domanda di materiali con basse prestazioni e il contenimento dei costi di trasporto
Francesca Talevi Architetto francesca.tal@gmail.com
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l decreto terremoto approvato oggi ci soddisfa solo in parte. […] è mancato il coraggio di affrontare una delle quelle questioni più spinose che accomuna tutti i terremoti, lo smaltimento delle macerie […]. Siamo convinti che la soluzione migliore consiste oggi nel recupero differenziato e nel riutilizzo dei materiali per gli usi compatibili […] È questa una delle prime sfide da affrontare nella aree post-sisma e che invece inspiegabilmente non è stata considerata». È con queste parole che, Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente, commenta l’approvazione del terzo “Decreto terremoto”, convertito in Legge dello Stato 07/04/2017 n.45. L’attenzione rivolta da Legambiente al riciclo di materiali inerti nell’edilizia è, negli ultimi anni, molto alta, come testimoniano l’istituzione, nel 2015, dell’ Osservatorio Recycle, realizzato per promuovere il riutilizzo di materiali di scarto nei processi di costruzione,
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e le dichiarazioni rivolte nel settembre 2016 al Commissario Straordinario Vasco Errani per invitare ad una ricostruzione post-sismica corretta, sostenibile ed efficace: «Riciclo delle macerie, sicurezza degli edifici, controlli qualità del patrimonio edilizio: queste le nostre proposte per una corretta ricostruzione». L’intuizione di Legambiente, si dimostra pienamente in linea con la direttiva della Comunità europea 2008/98/CE (che prevede il raggiungimento, entro il 2020, di un obiettivo pari al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione) con la COM (2014)398), il collegato ambientale (Legge 221/2015), le disposizioni del nuovo Codice Appalti (D.lgs.50/2016) e consentirebbe all’Italia di aprire un nuovo panorama nel settore delle costruzioni, mettendo in atto quella che si configura come una vera e propria rivoluzione culturale, sociale ed economica, improntata alla sostenibilità ambientale. Nonostante i materiali da riciclo
e il recupero di aggregati risultino assolutamente competitivi sul piano tecnico ed economico, nel caso della ricostruzione post sismica, la proposta di Legambiente si va ad inserire nel più complesso campo della rimozione delle macerie, da sempre considerato un settore ostico per la frequente infiltrazione della criminalità organizzata e per la difficoltà legata all’individuazione di luoghi per il conferimento dei detriti. In questo senso, emblematico è quanto accaduto nel caso del sisma dell’Aquila del 2009, a seguito del quale, a causa dell’ingente quantità di materiale da rimuovere e dell’urgenza con cui è stato necessario portare avanti le operazioni, la rimozione dei detriti ha presentato contorni estremamente complessi dal punto di vista normativo, sfociando per la prima volta, in un serio conflitto relativo alla tracciabilità dei rifiuti imposta dalla direttiva 2008/98/ CE: l’estrema eterogeneità del
edilizia industriale
materiale imponeva, come unica soluzione, lo smaltimento in discarica. Si è avvertita dunque l’urgenza di intervenire, andando a delineare un panorama legislativo che consentisse di fronteggiare in modo corretto l’emergenza. Con il D.lgs. 39 del 28/04/09, convertito in L. 77 del 24/06/09, disciplinando lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento del materiale proveniente dalle demolizioni e classificando le macerie con l’identificativo generico 20.03.99 (solitamente attribuito ai rifiuti solidi Urbani, Rsu) sino al loro arrivo nei siti di deposito temporaneo, i rifiuti, una volta arrivati a destinazione, vengono separati, individuando i materiali riutilizzabili (porte, finestre, ringhiere ecc.), quelli riciclabili (inerti), i materiali non inerti (legno, plastica, ferro) e quelli inutilizzabili perché inquinanti. I materiali riciclabili vengono poi sottoposti ad opportune analisi fisico-chimiche e, se ritenuti idonei, trattati con impianti di frantumazione per consentire il futuro riutilizzo. I possibili utilizzi degli inerti Scegliere materiali edili di scarto, consentendo loro un “secondo ciclo vitale”, risulta essere vantaggioso da numerosi punti di vista, primo fra tutti, nel caso della ricostruzione post sismica, il forte legame con l’identità e la memoria del luogo ferito dal terremoto. Dal punto di vista economico, la convenienza è, invece, legata al delicato equilibrio di un mix di fattori quali il prezzo rispetto al materiale vergine, il costo del conferimento in discarica dei materiali, la presenza di un’industria del riciclo (e quindi di un’offerta di
inerti riciclati di qualità), l’incentivazione da parte degli enti dell’utilizzo di inerti riciclati nei lavori pubblici, l’elevata domanda di materiali con basse prestazioni e il contenimento dei costi di trasporto. Molteplici sono i casi in cui l’applicazione di questo tipo di soluzioni ha consentito di ottenere un risultato efficace, principalmente nell’ambito del recupero ambientale, della realizzazione delle opere in terra dell’ingegneria civile, di sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali, di piazzali civili e industriali, ma anche nella realizzazione di elementi alveolari per la pavimentazione da esterni, arredi urbani (Progetto RE-start Aquila), e calcestruzzi non strutturali. I casi studio Una delle infrastrutture di maggior rilievo realizzate con il recupero di rifiuti di lavorazioni industriali e di materiali è il Passante di Mestre. Per la sua costruzione è stato utilizzato Ecoconcrete, ottenendo un risparmio di materiale naturale del 71%, una riduzione delle deformazioni del materiale sottoposto a sollecitazioni veicolari variabile dal 10 al 37%, un aumento della vita utile della strada pari a 88% e un sensibile abbattimento dei costi complessivi dell’opera: i viaggi di camion evitati per il trasporto sono circa 40.000, con un conseguente risparmio economico oltre che in termini di produzione di C02 (circa 11400 tonnellate complessive). In Campania, significativa è l’esperienza scaturita dalla redazione del Manuale delle tecniche di Intervento per il recupero dell’architettura e del paesaggio in Irpinia, ad opera dell’architetto Angelo Verderosa e del suo gruppo
di lavoro, recepito, dal 2005, come riferimento per la stesura dei Capitolati speciali d’Appalto e dei Disciplinari tecnici di intervento dei successivi lavori di Recupero e Restauro che hanno interessato il territorio. Il testo introduce l’obbligo di utilizzare un piccolo tritovagliatore da cantiere, in modo da consentire il riciclo in loco dei detriti, che vengono frantumati e ridotti ad elementi di granulometria variabile da pochi mm (per la realizzazione di intonaci e massetti a coccio pesto) a 1-2 cm (per vespai e riempimenti). Il noleggio o l’acquisto del macchinario comportano una spesa minima, a fronte di un grande vantaggio ecologico ed economico, riconosciuto principalmente nell’assenza di costi di trasporto e di conferimento a discarica dei rifiuti edili. Nonostante gli evidenti vantaggi di carattere ambientale, economico e sociale di una scelta di ricostruzione di questo tipo, attualmente, secondo i dati di Legambiente, l’Italia riutilizza solo il 9% dei materiali da C&D, a fronte di un’Europa che viaggia in una direzione diametralmente opposta (in Olanda e Irlanda viene riutilizzato il 97-98%, per lavori pubblici o privati, in Danimarca, Germania, Belgio, Austria e Regno Unito il 90%, in Francia il 63%, la Finlandia il 55%, la Svezia il 50%, la Spagna il 38%). Viene dunque spontaneo domandarsi se non sia necessaria un’immediata e urgente inversione di tendenza, che ci conduca verso una cultura della costruzione consapevole, che possa consentire un “secondo tempo” alle città distrutte e un “nuovo tempo” per la nostra società.
norme e società
La mediazione obbligatoria si stabilizza Clienti e avvocati verso “un altro modo” di risolvere le liti civili
Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Bologna Giudice ausiliario della Corte di Appello di Napoli www.studiolegalemarinaro.it
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l 15 giugno 2017 il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva la legge di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017 n. 50 in materia finanziaria (c.d. Manovrina) che contiene la modifica al d.lgs. 28/2010, finalizzata alla stabilizzazione della mediazione obbligatoria. Termina dunque la fase di sperimentazione della mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale prevista nel 2013 (e in scadenza per il 21 settembre 2017) per le controversie in talune materie del diritto civile e commerciale (e in particolare: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari). Peraltro, anche esaminando i
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più recenti dati statistici pubblicati dal Ministero della Giustizia (relativi al I trimestre 2017) si conferma un trend assolutamente positivo in quanto il “tasso di successo” delle mediazioni che si svolgono effettivamente (e cioè nei casi in cui le parti superano la fase la mera fase informativa del primo incontro e restano al tavolo negoziale) è pari al 42,2%. E nel mentre si profilava all’orizzonte la stabilizzazione della mediazione obbligatoria, ritornava alla mente la ancora recente svolta dell’avvocatura, consacrata nella votazione di due mozioni politiche nell’ultimo congresso forense di Rimini con le quali si è deliberato di «mantenere l’istituto della mediazione, correggendone i limiti e le problematiche sinora riscontrate nella sua applicazione», esplicitando anche a livello normativo «il dovere di comparizione personale delle parti» e, quindi, una «revisione del modello di mediazione nell’ottica di favo-
rire e rafforzare lo svolgimento effettivo della stessa, con una costante valorizzazione del ruolo dell’avvocato». Un nuovo inizio dunque per un nuovo rapporto tra l’avvocatura e la mediazione e tutti gli strumenti di ADR (Alternative Dispute Resolution) non quale fuga dal processo civile, rispetto al quale è necessario lavorare perché possa essere in grado di dare risposte efficaci, e nemmeno quale mera alternativa, ma nell’ambito di un diverso modo di intendere i sistemi di dispute resolution come complementari e integrati, autonomi ma che dialogano per consentire di offrire soluzioni adeguate alle controversie civili. L’avvocatura italiana, dunque, non soltanto non si oppone più alla mediazione obbligatoria, ma ha aperto in maniera convinta alla mediazione e ai procedimenti ADR, rivendicando quel ruolo da protagonista in una prospettiva profondamente rinnovata.
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L’avvocato diviene quindi il vero motore propulsore di questo più ampio e articolato sistema della giustizia civile, i cui contorni sono tuttora in fase di realizzazione e, all’interno del quale, la mediazione costituisce sicuramente un modo che tecnicamente e culturalmente si distingue dal più consolidato approccio avversariale e contenzioso adottato nel processo civile. E se le pretese giuridiche e le stesse situazioni sostanziali protette sono sempre strumentali alla soddisfazione di bisogni e interessi, occorre ora rimarcare che questi ultimi possono ben essere perseguiti, sia attraverso la tutela (giurisdizionale) dei diritti, sia attraverso altri strumenti di natura negoziale volti a comporre la lite con la ricerca di una soluzione adeguata, più che dirimerla con una decisione eteronoma imposta. In questa prospettiva, l’avvocato è chiamato a valutare - sin dalla fase dell’incontro con l’assistito e in sede di analisi della controversia - ogni possibile percorso di risoluzione del conflitto e ciò trova riscontro anche in precisi obblighi legali e deontologici secondo i quali, all’atto del conferimento dell’incarico, è tenuto a informare la parte assistita chiaramente e per iscritto della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla legge, oltre che dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge. La pratica dei primi quattro anni di sperimentazione della mediazione obbligatoria ha evidenziato come il ruolo attivo e propositivo dell’avvocato che assiste la parte
in mediazione, soprattutto qualora sia formato alle tecniche di negoziazione e di mediazione, sia coessenziale al corretto e proficuo svolgimento della procedura. La partecipazione del legale che assiste il cliente in mediazione, e a prescindere dall’obbligo previsto dalla legge circa la sua presenza, diviene un valore aggiunto destinato a rendere effettiva la mediazione considerato che proprio in questi casi diviene davvero concreta la possibilità di un accordo che possa essere non solo soddisfacente, ma anche valido e redatto in maniera tale da poter essere reso esecutivo con la dichiarazione di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico resa dagli avvocati delle parti. Ma l’avvocato assume un ruolo cardine sin dalla scelta dell’organismo cui rivolgersi attraverso l’analisi di dati, di esperienze e dei regolamenti e codici etici, anche con la valutazione della proposizione di domande congiunte delle parti contenente anche l’indicazione di un mediatore che meglio possa soddisfare le esigenze di tutti. E dopo la fase introduttiva con l’analisi della lite che deve avere ad oggetto non soltanto i profili strettamente giuridici, ma deve scavare nei fatti e negli interessi delle parti preparando una adeguata strategia negoziale, gli avvocati delle parti presenti in mediazione divengono i principali “alleati” del mediatore cooperando per il raggiungimento della migliore soluzione possibile al raggiungimento dei rispettivi interessi. La capacità di gestire la negoziazione nella consapevolez-
za degli interessi che si agitano al tavolo condotto dal mediatore, oltre che la profonda conoscenza del quadro giuridico di riferimento e delle relative problematiche sostanziali e processuali, costituiscono la vera chiave del successo per la soluzione conciliativa. Si è aperta dunque una nuova epoca nella quale la sfida per il rinnovamento della professione forense è lanciata. L’avvocato in tal senso può ambire a divenire il cardine della rinascita di un sistema sostenibile della giustizia civile e, per ciò stesso, adeguato, efficace ed efficiente. La riforma del processo civile e dei sistemi di ADR, ma anche le buone prassi da avviare e consolidare presso gli uffici giudiziari, costituiscono il banco di prova della svolta partita dal Congresso di Rimini e che passa attraverso la stabilizzazione della mediazione obbligatoria, da intendersi quale opportunità e non quale vincolo dell’attività professionale.
Si è aperta dunque una nuova epoca nella quale la sfida per il rinnovamento della professione forense è lanciata. L’avvocato in tal senso può ambire a divenire il cardine della rinascita di un sistema sostenibile della giustizia civile e, per ciò stesso, adeguato, efficace ed efficiente
Deliberazione assembleare, quando può essere impugnata per abuso o eccesso di potere Si verifica annullamento o invalidità quando e se la decisione non trova alcuna giustificazione nell'interesse della società, poiché il voto è ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un vantaggio personale antitetico a quello collettivo
Maurizio Galardo Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca in Diritto Commerciale Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it
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l Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di impresa, con la sentenza n. 6452/2017 si è occupata del tema dell’abuso o eccesso di potere nelle deliberazioni assembleari delle società di capitali, individuando un’ipotesi di violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuale nei casi in cui il socio persegua un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale, circostanza che si verifica anche quando i soci di maggioranza pongano in essere una condotta fraudolenta diretta a ledere i diritti dei soci di minoranza. Nel caso di specie, i soci di minoranza di una s.r.l. avevano convenuto in giudizio la società per sentir dichiarare la nullità e/o l’illegittimità della deliberazione di azzeramento del capitale sociale della convenuta e di contestuale aumento del medesimo fino 39 | giugno/luglio 2017
all’importo di euro 500.000, in quanto asseritamente adottata con abuso di potere da parte del socio di maggioranza, come evidenziato dalle seguenti circostanze: 1. L’aumento del capitale era stato deliberato nonostante la condizione di inoperatività della società; 2. Non erano stati forniti ai soci di minoranza elementi tali da far presumere l’avvio dell’attività; 3. Le perdite poste a fondamento della situazione patrimoniale sulla base della quale era stato deliberato l’aumento di capitale non dovevano, secondo gli attori, considerarsi veritiere. Con riguardo al merito della vicenda, la sentenza ha evidenziato che, nel nostro ordinamento, la normativa societaria non contempla in maniera espressa una norma che identifica una fattispecie
Si ritiene viziata la deliberazione di aumento del capitale sociale se tesa esclusivamente a ledere la posizione dei soci di minoranza. Diversamente non ricorre tale ipotesi se la deliberazione di aumento, pur se in concreto lesiva dell’interesse di uno o più soci, appaia in ogni caso conforme all’interesse della società di abuso nelle deliberazioni assembleari; tuttavia, tale ipotesi è configurabile rapportandola al principio maggioritario che governa le deliberazioni assembleari nelle società di capitali. Viene così evidenziato un uso di tale regola non conforme ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, oppure da un enunciato normativo espresso, o anche ad una clausola generale. La figura dell'abuso di potere costituisce, quindi, un limite al principio maggioritario che vige nel diritto societario,
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corrispondente al principio generale dell'ordinamento giuridico secondo il quale è vietato abusare dei propri diritti e, quindi, fare di essi un esercizio emulativo. I principi di correttezza, di buona fede contrattuale e di collaborazione, che devono informare l'opera dei soci nell'organizzazione della società, sono il fondamento per riconoscere la figura dell'abuso di potere quale elemento invalidante le deliberazioni assembleari finalizzate esclusivamente a favorire la maggioranza a danno della minoranza, con la precisazione che il canone della buona fede, in senso oggettivo, non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi i quali, nel dinamismo proprio dell'ordinamento societario, sono destinati a trovare adeguata composizione nell'ambito del procedimento deliberativo.
La regola di maggioranza prescrive, dunque, al socio non di esercitare il diritto di voto in funzione di un predeterminato interesse, ma di esercitarlo liberamente e legittimamente per il perseguimento del proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. Sulla base di tali principi, viene evidenziato che l'abuso o eccesso di potere è causa di annullamento o invalidità delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società e costituisca una deviazione dell'atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale, ovvero quando costituisca il portato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.
La regola di maggioranza prescrive al socio non di esercitare il diritto di voto in funzione di un predeterminato interesse, ma di esercitarlo liberamente e legittimamente per il perseguimento del proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno
Abilitazione scientifica nazionale, pubblicati i primi giudizi della tornata 2016 L’obbligo di eseguire il decisum del Giudice vale per tutte le parti soccombenti e specialmente per la Pubblica Amministrazione
di Luigi De Valeri Ordine Avvocati di Roma studiolegaledevaleri@gmail.com
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ono in corso di pubblicazione i risultati della prima sessione della nuova procedura a sportello per l’abilitazione dei docenti di I e II fascia nei vari settori scientifico-disciplinari, i cosiddetti SSD. L’art. 16 della L. 240/2010 ha istituito l’abilitazione scientifica nazionale (A.S.N.) con durata quadriennale che prevede requisiti distinti per le funzioni di professore di I e di II fascia. L’abilitazione riconosce la qualificazione scientifica che costituisce titolo necessario per l’accesso alle due fasce dei professori. Il tema A.S.N. continua a essere di grande interesse nella community universitaria e i candidati che, verificando la loro posizione sul sito abilitazione.miur.it apprendono di essere “non idonei”, possono presentare un ricorso al TAR Lazio, unico competente, per conseguire l’annullamento del proprio giudizio e una nuova
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valutazione, ricorso da notificarsi entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione che corrisponde alla decorrenza dell’abilitazione, oppure nel termine di centoventi giorni proporre il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, deciso dal Consiglio di Stato. La novità recente è costituita dal fatto che i candidati possono presentare la domanda di abilitazione senza limitazioni temporali quindi in qualsiasi momento dell’anno.Dai primi di aprile di quest’anno è in corso la pubblicazione dei dati relativi al gruppo di candidature presentate entro il 2 dicembre 2016. L’A.S.N. “a sportello” proseguirà pertanto senza interruzioni, il 3 aprile sono scaduti i termini per il secondo gruppo di candidature che vedranno le commissioni impegnate nella valutazione entro il prossimo 3 agosto e la pubblicazione dei risultati agli inizi di settembre 2017. Quanto poi all’obbligo della P.A. di eseguire le decisioni giudiziali, di recente si è registrato l’intervento della Cassazione civile in materia di classificazione delle riviste scientifiche ai fini dell’A.S.N. Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 5058 del 21 febbraio 2017 hanno censurato l’operato dell’Agenzia nazio-
La novità recente è costituita dal fatto che i candidati possono presentare la domanda di abilitazione senza limitazioni temporali quindi in qualsiasi momento dell’anno
nale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (A.N.V.U.R.) che aveva escluso dalle pubblicazioni di eccellenza una rivista scientifica dell’area giuridica. La vicenda giudiziaria traeva origine dall’azione avviata da alcuni professori universitari, responsabili di una rivista di diritto amministrativo, che era stata ritenuta pubblicazione “non di eccellenza” e non inserita dal Consiglio direttivo dell’A.N.V.U.R. nella lista delle riviste scientifiche di area giuridica incluse nella classe A, ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale. La questione sottoposta al vaglio giudiziale si riferiva alla identificazione e applicazione per la rivista dell’indice (rating) di scientificità di una rivista giuridica, agli effetti della valutazione e inclusione nella classe (o fascia) A di cui al D.M. 7 giugno 2012, n. 76, allegato B che stabilisce: (…) a) le riviste di classe A sono quelle, dotate di ISSN, riconosciute come eccellenti a livello internazionale per il rigore delle procedure di revisione e per la
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diffusione, stima e impatto nelle comunità degli studiosi del settore, indicati anche dalla presenza delle riviste stesse nelle maggiori banche dati nazionali e internazionali; b) le riviste di classe B sono quelle, dotate di ISSN, che godono di buona reputazione presso la comunità scientifica di riferimento e hanno diffusione almeno nazionale; c) tutte le altre riviste scientifiche appartengono alla classe C. Il TAR Lazio dichiarava inammissibile il ricorso in relazione alla domanda di annullamento degli atti inerenti la procedura di abilitazione scientifica nazionale (per difetto di interesse dei ricorrenti) e improcedibile quella di annullamento e di nullità degli originali provvedimenti di classificazione poichè l’Agenzia aveva adottato una nuova classificazione in esecuzione dell’ordinanza di sospensiva conseguita dai ricorrenti. Successivamente con la sentenza 25 marzo 2015, n. 1584, il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso e conseguentemente annullava gli atti dell’A.N.V.U.R che avevano negato il carattere di eccellenza alla rivista.
Di conseguenza, con apposita delibera del Consiglio direttivo, l’Agenzia confermava il riconoscimento del carattere scientifico della rivista ma la collocava nella classe B. Pertanto, i ricorrenti chiedevano al Consiglio di Stato di accertare e dichiarare l’inottemperanza dell’Agenzia. Il Consiglio di Stato, con sentenza in data 11 gennaio 2016, accoglieva il ricorso ordinando l’esecuzione della sentenza dall’autorità amministrativa. Il giudice amministrativo evidenziava che l’amministrazione aveva già espresso per la prima volta un giudizio ad ottobre del 2012, collocando la rivista in questione in classe B; che, a seguito dell’ordinanza cautelare di primo grado n. 934 del 2013, l’amministrazione aveva rinnovato la valutazione, confermando tuttavia la disposta classificazione in classe B, che, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della rinnovata classificazione, l’A.N.V.U.R aveva adottato un terzo atto di sostanziale conferma dei precedenti.
Sarebbe pertanto contrastante con i principi di garanzia e di efficienza amministrativa e di effettività della portata obbligante del giudicato “l’ennesima edizione in capo al Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e all’A.N.V.U.R di una intatta potestà valutativa” dopo che il Consiglio di Stato decideva per il riconoscimento della classificazione della rivista nella classe A. Il Consiglio di Stato pertanto ordinava all’Agenzia di provvedere entro trenta giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della decisione ad iscrivere la rivista nella classe A. La controversia per impulso dell’Agenzia e del MIUR è approdata alla Cassazione e decisa a febbraio dalle Sezioni Unite. In sintesi il ricorso è stato respinto sul rilievo che «poichè nel giudizio di ottemperanza è attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione anche di merito, per distinguere le fattispecie in cui il sindacato sui limiti di tale giurisdizione è consentito da quello in cui risulta invece inammissibile, risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure il fatto stesso che un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava». Conclusivamente la Cassazione ha sottolineato che la Pubblica amministrazione in special modo ha l’obbligo di eseguire i provvedimenti del giudice «in un’ottica di leale e imparziale esercizio del munus publicum».
fisco
Accertamento fiscale, contabile o induttivo? Il principio di capacità contributiva limita l’amministrazione finanziaria nella scelta della tipologia
di Maurizio Villani e Iolanda Pansardi Studio Tributario Villani avvocato@studiotributariovillani.it www.studiotributariovillani.it
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a persona fisica obbligata alla tenuta delle scritture contabili può essere sottoposta a diverse tipologie di accertamento, tra cui l’accertamento analitico e l’induttivo. L’accertamento analitico ha ad oggetto l’analisi delle singole componenti della base imponibile, così come risultanti dalla contabilità ufficiale del contribuente e dalla dichiarazione. Tale tipo di accertamento viene disciplinato dall’art. 39, comma I, del d.p.r. n. 600/1973, il quale peraltro prevede due ulteriori sotto-tipologie, ovvero: l’accertamento analitico-contabile; l’accertamento analitico-induttivo. L’accertamento analitico ex art. 39, primo comma, d.p.r. n. 600/1973 viene effettuato sia per le imposte dirette, sia per l’IVA, sulla base dei dati risultanti dalle scritture contabili e, 43 | giugno/luglio 2017
in tal senso, viene denominato accertamento analitico-contabile: 1. analitico, poiché presuppone la conoscenza della fonte; 2. contabile, poiché si basa sule singole componenti di reddito derivanti dalla stessa contabilità. Con tale accertamento, pertanto, l’amministrazione finanziaria non mette in discussione le scritture contabili che, anzi, vengono prese proprio a supporto al fine della rideterminazione del reddito. Viceversa, per quanto attiene all’accertamento analitico-induttivo, l’ufficio si avvale di tale accertamento, previsto dal comma primo dell’art. 39 cit. lette. d), se: - l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 del d.p.r. n. 600/1973 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32; - l’esistenza di attività non di-
chiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. L’art. 39, comma 2, del d.p.r. n.600/1976 disciplina il cosiddetto accertamento induttivo-extracontabile, anche detto accertamento induttivo “puro”. In particolare, l’ufficio ricorre a tale metodo in presenza di gravi violazioni commesse dal contribuente ed espressamente previste dalla norma, ovvero: a) quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione; b) quando alla dichiarazione non è stato allegato il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite; c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; d) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risul-
fisco
tanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica. Le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazione ai sensi della lettera d) del primo comma dell’art. 14 del presente decreto; d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’art. 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; d-ter) in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15%, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione. Peraltro, se è pur vero che, con tale accertamento, l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti
o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni semplici, tuttavia occorre che la ricostruzione del reddito parta sempre da un fatto noto per rappresentare un fatto ignoto, non potendo questa essere del tutto apodittica. L’accertamento induttivo-extracontabile trae, quindi, origine dalla conoscenza di un fatto significativo attraverso il quale si perviene alla determinazione induttiva del reddito (Cass. n. 2605/2000). Al riguardo, la Corte di Cassazione con una sentenza 3 febbraio 2012 n. 1555 è intervenuta stabilendo il principio secondo cui, anche in caso di inattendibilità della contabilità, l’amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento analitico e non necessariamente a quello induttivo. Rientra, pertanto, nella discrezionalità dell’ufficio la scelta del tipo di accertamento di cui avvalersi e spetta, viceversa, al contribuente dimostrare, mediante l’esibizione di adeguata documentazione probatoria, l’illegittimità dell’accertamento. In linea generale, quindi, all’Amministrazione finanziaria è concessa un’ampia facoltà di scelta del modus operandi, che può manifestarsi anche nell’accertamento cosiddetto analitico-induttivo, fondato sul rinvenimento di inesattezze
contabili gravi, ovvero sul riscontro di situazioni di rilevante infedeltà in fatture, atti e documentazione varia. Purché non vi sia un pregiudizio sostanziale (Cass. 8333/2012; Cass. 19258/2005). Ebbene, di recente la Suprema Corte con sentenza Cass. civ. Sez. V, 03 febbraio 2017, n. 2873 così ha deciso: «Il potere dell’Amministrazione finanziaria, se esercitato nell’ambito delle previsioni di legge, di scegliere discrezionalmente il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto, è insindacabile, di talché il contribuente, in assenza di pregiudizio sostanziale, non ha titolo a dolersi della scelta operata. In presenza di pregiudizio, invece, il giudice ha il potere di annullamento dell’atto impositivo, ciò non configurando travalicamento della giurisdizione nell’ambito di poteri discrezionali della PA, in quanto espressione del legittimo sindacato del giudice tributario che ben può tener conto, ai fini della decisione, della metodologia adottata per la raccolta degli elementi utilizzati per la rettifica quando le emerse risultanze appaiano incongrue rispetto alla situazione concreta (come nella specie)». In concretezza, nell’attività di verifica vi è un sostanziale obbligo di scegliere il metodo di accertamento che, meglio degli altri, riesca ad individuare la reale capacità contributiva del contribuente.
Agevolazioni, novità per lavoratori autonomi e startup L’articolo 12 del Jobs Act dedicato prevede bandi di appalto specifici per l’assegnazione a professionisti di incarichi e consulenze presso le PA. Entrano nel vivo poi le misure che consentono la modifica on line dell’atto costitutivo e dello statuto delle startup
Alessandro Sacrestano Management Consultant Sagit&Associati srl asacrestano@studiosagit.it
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ue importanti novità interessano il panorama delle agevolazioni. In primo luogo, va sottolineato il fatto che i professionisti parteciperanno a bandi di appalto specifici per l’assegnazione di incarichi e consulenze presso le pubbliche amministrazioni. A stabilirlo è l’articolo 12 del c.d. Jobs Act per il Lavoro Autonomo, secondo cui le PA dovranno concretamente adoperarsi nel promuovere appalti pubblici che, in qualità di stazioni appaltanti, consentano ai lavoratori autonomi di prestare servizi e vedersi assegnare incarichi personali di consulenza o ricerca. Le PA, comunque, non dovranno solo attivarsi per la predisposizione di appositi bandi a favore dei lavoratori autonomi, ma dovranno altresì mettere questi ultimi nella condizione migliore per poterne prendere conoscenza, in uno con tutti i dettagli tecnici e operativi delle gare indette. A tal scopo - spiega lo stesso Disegno 45 | giugno/luglio 2017
di legge - le PA potranno servirsi anche dei neonati sportelli dedicati al lavoro autonomo, che lo stesso provvedimento normativo ha istituito all’interno dei centri per l’impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro e che, come previsto, potranno avvalersi anche di convenzioni con gli ordini e i collegi professionali. L’obiettivo, insomma, è quello di ampliare nel maggior modo possibile la partecipazione dei professionisti alle procedure di aggiudicazione. Una menzione a parte, poi, meritano le precisazioni del DDL a proposito di accesso dei lavoratori autonomi ai Fondi Europei. Come noto, la Finanziaria per il 2016, recependo la Raccomandazione della Commissione UE del 06/05/2013 n. 361, ha espressamente autorizzato la concessione di finanziamenti a favore dei liberi professionisti. Questi, in particolare, sono pienamente assimilati,
a tal scopo, alle piccole e medie imprese. Allo stato, quindi, non esiste più alcuna preclusione per i lavoratori autonomi per l’accesso alle risorse dei Fondi Sociali Europei (FSE), Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e Programmi Operativi Nazionali (PON) o Regionali (POR). Segnatamente all’accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali europei, il DDL ha ribadito l’equiparazione dei lavoratori autonomi alle piccole e medie imprese. Inoltre, allo scopo di favorire la partecipazione ai bandi e il concorso all’assegnazione di incarichi e appalti privati, la norma riconosce ai professionisti, senza alcuna limitazione soggettiva per la forma giuridica rivestita, la possibilità: a) di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, con accesso alle relative provvidenze in materia;
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b) di costituire consorzi stabili professionali; c) di costituire associazioni temporanee professionali. Su altro fronte, invece, entrano nel vivo le misure che consentono la modifica on line dell’atto costitutivo e dello statuto delle startup. Dallo scorso 22 giugno, infatti, è possibile fruire pienamente delle semplificazioni introdotte sul tema da parte del Decreto Mise dello scorso 28 ottobre 2016. Si ricorda che con il predetto atto era stato adottato il modello necessario ad effettuare le modifiche ai documenti costitutivi delle startup innovative costituite in forma di Srl, in fase propedeutica alla loro iscrizione nel Registro delle imprese. La disposizione rispondeva al dettato dell’art. 4, comma 10-bis del DL n. 3/2015, secondo cui le predette imprese possono costituirsi non solo per atto pubblico, ma anche con un documento sottoscritto con firma digitale non autenticata da parte dei soci. Il documento, così redatto, va poi trasmesso al competente ufficio del Registro delle imprese. Lo stesso dicasi, prevede la norma, anche nel caso
di modifiche da apportare all’atto costitutivo ed allo statuto. Successivamente ai primi chiarimenti sulla procedura, ad opera dei decreti ministeriali del 17 febbraio 2016 e 7 luglio 2016, il DM di ottobre scorso aveva delineato le modalità operative per l’iscrizione nel Registro delle imprese degli atti modificativi dell’atto costitutivo e dello statuto. In pratica, senza passare dal notaio, le startup redigono in forma elettronica, in conformità al modello standard allegato al DM, i documenti necessari e, dopo averli firmati digitalmente, li depositano per l’iscrizione in Camera di Commercio. Con il decreto emanato dal Direttore generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, è ora possibile – disponendo delle apposite specifiche tecniche - anche modificare il proprio atto costitutivo e lo statuto, utilizzando la stessa procedura semplificata. Le predette specifiche, spiega il decreto, consentono la predisposizione degli atti modificativi in un formato elaborabile XML. La platea dei potenziali beneficiari
è piuttosto ampia. Nel comunicato stampa ministeriale, infatti, si ricorda che sono già 444 le startup che si sono costituite con la procedura semplificata e che risultano iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese dedicata alle startup innovative. L’atto modificativo, identificato con un numero di registrazione, è poi trasmesso, tramite una pratica COMUNICA, all’ufficio del registro delle imprese competente per territorio. Quest’ultimo, ricevuta la pratica, la protocolla automaticamente e avvia tutte le verifiche del caso sui requisiti dell’impresa mittente. Nelle more delle verifiche, l’ufficio, nel termine di 10 giorni dal protocollo, provvede all’iscrizione provvisoria nella sezione ordinaria del registro delle imprese, con una dicitura aggiuntiva che indica la modifica in corso. Decorsi dieci giorni dall’iscrizione provvisoria, l’ufficio, completate con esito positivo le verifiche, iscrive in sezione speciale la modifica, eliminando la dicitura “iscritta provvisoriamente in sezione ordinaria, in corso di iscrizione in sezione speciale”.ese esidente del
Antiriciclaggio, nuove disposizioni Il titolare effettivo entra nelle assemblee societarie. La sua mancata individuazione rischia di invalidarle
Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it
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l 4 luglio 2017 sono entrate in vigore le nuove disposizioni in materia di antiriciclaggio, previste dal DLGS 90/2017 attuativo della IV^ Direttiva Antiriciclaggio - che integra e modifica la disciplina contenuta a sua volta nel DLGS 231/2007. Tali nuove disposizioni si sono rese necessarie allo scopo di accrescere gli strumenti a disposizione, per combattere e per dissuadere i fenomeni di riciclaggio di denaro in senso lato, legati al finanziamento del terrorismo e ad altri reati di grande impatto sociale ed economico. In questo macro ambito, uno dei temi principali disciplinati dal rinovellato DLGS 231 (il “Decreto”), concerne l’adeguata verifica della clientela attraverso, in particolare, l’alimentazione e l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di persone giuridiche e Trust (art.21). 47 | giugno/luglio 2017
In buona sostanza, il Decreto prevede l’obbligo per tali enti di iscrivere al Registro delle Imprese competente ed in apposita sezione ad accesso riservato, le informazioni relative ai propri titolari effettivi, così da renderle disponibili a specifiche categorie di soggetti, enti od Autorità. Tra gli abilitati all’accesso, oltre ovviamente alle Forze di Polizia, all’Autorità Giudiziaria ed al Fisco, sono ricompresi anche i soggetti obbligati all’adeguata verifica del cliente (Banche fra tutte), nonché i soggetti privati portatori comunque di un interesse meritevole di tutela giurisdizionale. Un apposito decreto MISE MEF da emanarsi entro 12 mesi dal 4 luglio, dovrà regolare le modalità di alimentazione e di consultazione di detta sezione riservata, la qualificazione precisa di soggetto portatore di interesse, ma soprattutto dovrà
stabilire la data di decorrenza effettiva delle annotazioni, ad oggi non chiara. Le conseguenze applicative dell’articolo 21 sono molteplici, soprattutto a carico dell’organo amministrativo, viste anche le disposizioni del successivo nuovo articolo 22 commi 2 e 3. Queste ultime, infatti, obbligheranno le imprese e le persone dotate di personalità giuridica ad ottenere (e conservare per un periodo di minimo cinque anni) le informazioni “necessarie, accurate ed aggiornate”, sui loro titolari effettivi, da fornirsi ai soggetti tenuti agli adempimenti antiriciclaggio. Tali informazioni dovranno essere raccolte dagli amministratori visionando le scritture contabili, i bilanci, il libro dei soci, le comunicazioni relative all'assetto proprietario, secondo le disposizioni vigenti o utilizzando ogni altro dato a loro
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disposizione. Non solo ma, nel caso in cui, nonostante le informazioni disponibili, dovessero permanere dei dubbi in ordine alla titolarità effettiva, gli amministratori dovranno fare espressa richiesta di chiarimenti ai soci “in dubbio”. Poteri ispettivi ampi, dunque, per gli amministratori, che, nei casi incerti, non potranno limitarsi alla mera lettura di documenti “pubblici”, ma dovranno interrogare direttamente i soci coinvolti. Gli effetti per i casi di inerzia o di rifiuto ingiustificato del socio, nel fornire i chiarimenti necessari ovvero di indicazione di informazioni palesemente fraudolente, sono molto impattanti, ai fini del regolare funzionamento delle assemblee dei soci. Il Decreto prevede infatti che, in tali casi, il diritto di voto in assemblea dei soci renitenti sia sospeso e quindi non esercitabile, con grave nocumento ovviamente per il going concern della società. Centrale quindi, sarà la funzione del presidente dell’assemblea, che per legge, è il soggetto chiamato ad ammettere o ad escludere dal voto taluno dei partecipanti, il quale dovrà presumibilmente verificare e richiedere agli amministratori e ai soci presenti, se sussistano elementi per l’applicabilità delle disposizioni penalizzanti. Qualora invece la diversa titolarità effettiva venisse a disvelarsi successivamente alla delibera assembleare, e questa fosse stata assunta con il voto determinante del socio “non effettivo”,
i soci assenti, dissenzienti od astenuti, gli amministratori e il collegio sindacale, potranno chiederne l’annullamento nei 90 giorni successivi alla data di deliberazione, ai sensi dell’articolo 2377 del codice civile. Dalla breve sintesi del nuovo ennesimo adempimento societario, emerge che, sia i soci, sia gli amministratori dovranno prestare molto attenzione nella “profilazione” dell’assetto proprietario, onde evitare il rischio di delibere irregolari. Mi riferisco soprattutto - in via meramente esemplificativa - ai casi in cui vi siano sindacati di voto, comunioni azionarie, procure al voto cumulative, usufrutti e in genere, casi, che, sebbene in linea di principio del tutto leciti, possono determinare - di fatto o di diritto ed anche temporaneamente - titolarità effettive differenti da quelle dichiarate. Ultimo tema è la decorrenza delle disposizioni sopra citate. Il dubbio nasce dalla circostanza che, mentre per l’obbligo della iscrizione alla sezione riservata del Registro delle Imprese (art. 21), la norma prevede espressamente, che occorre attendere l’emanazione di apposito provvedimento ministeriale, identico espresso rinvio non è previsto, invece, per la raccolta delle informazioni sulla titolarità effettiva dei soci prima delle assemblee e sulla sospensione del diritto di voto (art.22 commi 2 e 3). Una lettura sistematica porterebbe a ritenere che il nuovo armamentario di adempimenti non possa che entrare in
vigore dopo il decreto attuativo, tuttavia, non possiamo certo sorprenderci che possa prevalere una idea diversa. Anche perché in teoria, verifica sui soci e annotazione sul Registro delle Imprese non sono necessariamente adempimenti connessi l’uno all’altro. Ne consegue che per le assemblee dopo il 4 luglio 2017 (data di entrata in vigore del Decreto), se fossi amministratore qualche verifica formale sui soci la farei.
Centrale sarà la funzione del presidente dell’assemblea, che per legge, è il soggetto chiamato ad ammettere o ad escludere dal voto taluno dei partecipanti, il quale dovrà presumibilmente verificare e richiedere agli amministratori e ai soci presenti, se sussistano elementi per l’applicabilità delle disposizioni penalizzanti
lavoro
Riorganizzazione aziendale, la distribuzione dell’orario può salvare dal licenziamento Lo status di lavoratrici part time può in taluni casi, come quello in commento, essere di ostacolo al mantenimento del posto di lavoro
Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it
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on la sentenza n.18409 del 20/9/2016, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato il principio che- in caso di riorganizzazione aziendale- la scelta della lavoratrice basata sulla diversa distribuzione dell’orario di lavoro rispetto ad altra lavoratrice full time, può essere valido motivo di risoluzione contrattuale. L’azienda in questione, infatti, trovandosi in difficoltà finanziarie decise di riorganizzare l’ufficio di segreteria di Roma, riducendo ad una le due unità che vi lavoravano, l’una a part time, l’altra full time. Falliti i tentativi gestionali per una soluzione bonaria, l’azienda licenziò la lavoratrice segretaria part-time per giustificato motivo oggettivo, in quanto in base alla riorganizzazione in atto il servizio di segreteria poteva essere svolto da una unità ad orario completo. Di conseguenza la segretaria full time mantenne il posto di lavoro, a discapito della collega part time. Quest’ultima impugnò il licenziamento intimatole per giustificato 49 | giugno/luglio 2017
motivo oggettivo, in quanto a suo dire era pretestuoso, legato solo ad incremento di profitto della Società e in ragione del suo orario a tempo parziale, peraltro tutelato dalle normative vigenti, non rispettoso di criteri di maggiore anzianità e carico familiare. La domanda di reintegra nel posto di lavoro fu rigettata sia in primo grado, sia in Corte di Appello, ritenendo così corrette le decisioni aziendali nella scelta fatta in buona fede e correttezza. D’ altra parte gli organi giudicanti erano consapevoli che il controllo giurisdizionale ha dei limiti invalicabili previsti dall’art. 41 della Costituzione che garantisce l’autonomia e insindacabilità nel merito delle scelte imprenditoriali. Nel caso di specie hanno ravvisato, attraverso la istruttoria e la documentazione prodotta, il genuino ed effettivo cambiamento organizzativo di natura strutturale. La Cassazione conferma le sentenze di primo e secondo grado e respinge di conseguenza i due motivi che sono a base
del ricorso per cassazione. Il primo “violazione degli art. 3 legge 604/1966 degli art. del c.c. n. 1175 e 1375 per inesistenza del giustificato motivo oggettivo, erroneamente individuato in una mera riduzione dei costi, in funzione di un incremento di profitto con soppressione non già del posto di lavoro, ma del lavoratore tout court” non sussiste secondo la S.C. perché già nei giudizi precedenti è stata accertata la effettività del cambiamento organizzativo e tale scelta è decisa autonomamente dall’imprenditore, che ha dimostrato la genuinità, buona fede e correttezza. Anche il secondo motivo non è stato apprezzato dalla S.C. in quanto si basava sulla inosservanza di criteri di scelta e sulla fungibilità delle mansioni delle due segretarie. La Corte ha ricordato ancora l’art. 41 della Costituzione, precisando inoltre che il criterio di scelta aziendale fu strettamente connesso all’orario di lavoro delle due segretarie, le cui prestazioni proprio per questo non erano fungibili.
lavoro
Permessi retribuiti, quando a perdere il lavoro è il rappresentante sindacale Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno ha ritenuto legittimo il provvedimento per abuso plurioffensivo
Titti Freda Avvocato cassazionista ed esperto di diritto del lavoro tittifreda@virgilio.it
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a recentissima decisione n. 14050/2017 del Giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno, tra le prime in Italia, ha affermato la legittimità del licenziamento del rappresentante sindacale che fruisca indebitamente dei permessi connessi ai propri incarichi. Il sorgere del diritto al permesso è, infatti, collegato ad un’attività meritevole di tutela la cui elusione configura un abuso plurioffensivo: nei confronti del datore di lavoro, dei sindacati e della collettività. Inoltre, esso denota una condotta contraria ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., idonea a pregiudicare il rapporto fiduciario. Il fatto. Il lavoratore, che ricopriva un incarico sindacale per il quale è prevista la fruizione di un monte ore di permessi retribuiti, si assentava ripetutamente dal lavoro senza fornire alcuna dimostrazione delle attività svolte. L’Azienda decideva di sottoporre il proprio dipendente a pedinamento da parte di investigatore privato munito di regolare licenza. Dalle risultanze investigative emergeva che egli impiegava i tempi di permesso retribuito solo in minima parte nelle attività collegate al proprio ruolo, impiegando la restante per fini personali. Il procedimento disciplinare, instaurato ai sensi dell’art. 7 L. 300/70 e della contrattazione collettiva del settore, si concludeva con il licenziamento per giusta causa per il venir meno del necessario affidamento fiduciario, elemento fondamentale del rapporto di lavoro.
Il lavoratore impugnava il provvedimento espulsivo denunciandone la nullità perché comminato per ragioni ritorsive, nonché l’illegittimità per insussistenza dei fatti contestati. Il Giudice del Lavoro rigettava integralmente la domanda, confermando il licenziamento. Dalla decisione in oggetto possono enuclearsi una serie di principi di carattere innovativo e dirompente: a) sono legittimi i controlli investigativi che abbiano ad oggetto il corretto adempimento della prestazione, in quanto non in contrasto con i principi di buona fede e correttezza, né con il divieto di cui all’art. 4 L. 300/70; b) l’obbligo di comunicare i permessi non è un’indebita invasione della sfera dei diritti sindacali, ma è necessario per consentire la verifica del datore di lavoro; c) il licenziamento non ha carattere ritorsivo se il lavoratore non fornisce la prova della sussistenza di tale ipotizzato intento; d) i permessi implicano un uso mirato del tempo da impiegare in specifiche attività e l’autonomia del rappresentante sindacale non può estendersi al punto da sfociare in un uso arbitrario dei tempi e delle modalità di svolgimento dei compiti collegati al suo ruolo. La decisione in commento ha ritenuto sussistente una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolare dell’elemento fiduciario, in relazione ai fatti, alle circostanze in cui sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale, ritenendo proporzionata e adeguata la massima sanzione inflitta.
privacy
Il contratto di cloud computing, criticità e vantaggi Uno strumento ad altissimo potenziale per le aziende se saranno semplificate le procedure, rese eque e sicure le clausole contrattuali e promosse le competenze e l’imprenditoria digitale ad esso connesse
Piera Di Stefano Avvocato del Web™ Studio legale D | & | D T.R.ON� / Tutela della Reputazione ONline� info@disommadistefanolegali.it
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l cloud computing, o nuvola informatica, è uno strumento che permette l’archiviazione, l’elaborazione e l’uso di dati su computer remoti e il relativo accesso via Internet. Perché è così vantaggioso? Semplice, perché con il cloud gli utenti possono utilizzare una potenza di elaborazione quasi illimitata, non sono tenuti ad investire grandi capitali - pagando in base all’uso, evitando quindi costi fissi - e soprattutto possono accedere ai loro dati ovunque vi sia una connessione Internet. I consumatori utilizzano il cloud per archiviare informazioni (ad es. foto, mail) e per utilizzare dei software (ad es. social network, video, musica in streaming, giochi). Le organizzazioni, incluse le amministrazioni pubbliche, usufruiscono del cloud nell’ottica di sostituire i dipartimenti interni che gestiscono i centri dati e le tecnologie di informazione e comunicazione. Attraverso la “nuvola” anche le più 51 | giugno/luglio 2017
piccole imprese possono essere protagoniste dei grandi mercati e fare la differenza perché possono testare rapidamente e aumentare la propria offerta ai clienti senza creare, né investire in infrastrutture fisiche. In questa tecnologia e nelle opportunità straordinarie che essa offre l’Europa del resto ha creduto sin dagli inizi, predisponendo una serie di azioni sul commercio elettronico e sui servizi on line tramite la Commissione Europea. Potrebbe, infatti, essere predisposto nel 2020 un ulteriore investimento diretto nella nuvola informatica di 45 miliardi di euro per tutto il territorio UE che porterebbe alla creazione di 3,8 milioni di posti di lavoro. Veniamo alle caratteristiche specifiche del cloud. Esso si compone di tre elementi: middleware o piattaforma, software applicativo e hardware. Quest’ultimo, costituito dai PC e da dispositivi per archiviazione dati,
sono di proprietà del provider dei servizi di cloud computing e non dell’utente. I providers sovente spostano i dati di loro utenti da un PC all’altro o da un centro dati all’altro per metterli a disposizione degli utenti medesimi, ovunque si trovino, come e quando desiderano. Bisogna però ottimizzare questo strumento competitivo per l’economia globale chiarendo la normativa applicabile e riducendo i rischi, dal punto di vista della cybersicurezza, dato che le giurisdizioni applicabili potrebbero essere diverse. Le problematiche del contratto di cloud riguardano, infatti, l’accesso e la portabilità dei dati, nonché il controllo e la proprietà dei dati stessi. Si pensi alla responsabilità per le ipotesi di interruzioni del servizio o di perdita dei dati o alla tutela dei diritti degli utenti in caso di aggiornamenti del sistema decisi dal provider senza un’informazione preventiva.In particolare,
la portabilità dei dati è la facoltà del consumatore di poter cambiare servizio portando con sé i propri dati personali, senza subire “ostruzionismi” rispondenti alla logica concorrenziale del mercato. Il Regolamento Europeo della privacy 679/2016 (che verrà applicato da maggio 2018) ha disciplinato, all’art. 20, il diritto generale alla portabilità, che non però non si applica al trattamento necessario fatto per interesse pubblico o connesso all’esercizio di poteri pubblici di cui il titolare del trattamento è investito. Gli interessati possono chiedere i propri dati al fornitore dei servizi on line e se intendono chiudere il proprio account, o servirsi di altro fornitore, hanno il diritto, appunto, di “portarli con sé”. In relazione ai servizi di cloud, già nel 2011 il Garante della Privacy nell’utilizzo di tali servizi ha suggerito come passaggio fondamentale quello di mantenere una copia (locale, eventualmente come archivio compresso) dei dati, anche non personali, dalla cui perdita o indisponibilità potrebbero derivare danni economici ingenti all’utente, ove ci si avvalga di servizi gratuiti o a basso costo. Importante, altresì, è verificare se i dati restano nella disponibilità fisica del provider oppure se questi faccia da intermediario, cioè se offre un servizio che si basa su tecnologie di un terzo, nel qual caso l’utente deve sapere il luogo in cui i dati effettivamente si trovano. Sapere in quale Stato sono allocati fisicamente i server ci farà capire, in caso di controversia, quale sarà la giurisdizione e la legge applicabile, ergo se in quello Stato la legge contempla la possibilità di eseguire ordini di esibizione, accesso o sequestro. L’utente deve
altresì verificare se il trasferimento dei dati da un Paese UE ad un Paese extra UE avvenga secondo le linee guida europee in materia di protezione dei dati personali, quindi con standard di tutela elevati. Secondo l’art. 44 del Reg. UE 679/2016 la Commissione europea può stabilire che il livello di protezione offerto in un determinato Paese terzo è adeguato e che pertanto è possibile trasferirvi dati personali. É la “ decisione di adeguatezza”, che ha alla base la valutazione di elementi quali lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, la legislazione di settore, l’esistenza e funzionamento di un’autorità indipendente a protezione dei dati personali, gli impegni internazionali assunti da quel Paese Terzo in materia. Ad oggi i Paesi riconosciuti dalla Commissione Europea come Paesi terzi che garantiscono un livello adeguato di protezione dei dati sono: Svizzera, Andorra, Argentina, Canada, Israele, Isola di Man, Isole Fær Øer, Baliato di Jersey e Baliato di Guernsey, Nuova Zelanda, Uruguay. Per quanto riguarda gli Stati Uniti esisteva l’accordo del c.d. Safe Harbor (decisione della Commissione Europea n. 520 del 26 luglio 2000), con il quale i fornitori statunitensi aderenti potevano ricevere dati personali dall’UE autocertificando il proprio impegno a rispettare i principi stabiliti per la legittimità al trattamento dei dati personali. Nel 2015 la Corte di Giustizia dell’UE ha però ritenuto inadeguato il sistema di protezione all’interno del Safe Harbor. Sono, infatti, in corso i negoziati della Commissione per concludere un nuovo accordo con gli USA. Un’oculata scelta del contratto con l’ISP
del cloud non può poi prescindere dall’analisi degli obblighi e delle responsabilità in caso di perdita o smarrimento dei dati custoditi nella nuvola o di indisponibilità degli stessi per malfunzionamenti. Il contratto deve cioè prevedere, in maniera chiara, penali a carico del fornitore inadempiente. Non solo. Dovrebbero essere indicati i tempi di persistenza dei dati nel cloud e le modalità di conservazione, in particolare il termine entro cui, scaduto il contratto, il provider ne effettuerà la cancellazione. Quanto ai rischi per la sicurezza dei dati, occorre privilegiare i servizi che per l’accesso si avvalgono di procedure di autenticazione sofisticate e affidabili, rispetto a semplici password composte dai singoli, unitamente all’adozione di misure tecnico-organizzative idonee a gestire i rischi dei cd. data breach (violazioni dati personali), in considerazione della tipologia dei dati custoditi. Nel quadro dell’Agenda digitale europea, le azioni strategiche della Commissione sono tutte volte a potenziare il cloud negli Stati membri e a trasferirlo nel settore pubblico, prevedendo che nei prossimi 3 anni l’uso delle offerte di cloud computing pubblicamente disponibili potrebbe arrivare a un tasso di crescita annuo medio del 38%. Semplificare le procedure, senza abbassare gli standard di tutela, rendere eque e sicure le clausole contrattuali, “uniformare” la disciplina del cloud nel settore pubblico, promuovere le competenze e l’imprenditoria digitale connesse al cloud sono azioni strategiche necessarie nella sfida che vede l’Europa possibile polo mondiale della “nuvola” e protagonista vincente nella rivoluzione 4.0.
internazionalizzazione
Sedi all'estero: cosa c’è da sapere quando se ne vuole aprire una Decidere dove insediare l’attività e quale forma giuridica darle sono solo due delle scelte che dovrà ben ponderare chi vuole spostare fuori dei confini nazionali il proprio business
Daniele Trimarchi Studio Trimarchi daniele@studiotrimarchi.com
A
prire una sede all’estero non è un’operazione semplice, e non solo perché all’imprenditore viene richiesto di valutare un investimento considerevole, ma soprattutto perché ci sono aspetti dolorosi che un’azienda è obbligata ad affrontare per crescere all’estero. Premetto che la decisione di avere una presenza all’estero deve essere presa considerando che tornare indietro, spesso si traduce in ingenti perdite. Per questa ragione, risulta più vantaggioso guardare prima di tutto ai mercati dove già si hanno flussi commerciali. Questo aiuterà ad ammortizzare almeno parte dell’investimento. Attenzione a identificare un manager che sappia gestire con autonomia tutte le fasi fino al break-even. Sarebbe preferibile un profilo esterno all’azienda, con competenze trasversali e abilità di agire in situazioni complesse e/o ambigue. La scelta della location, invece, spesso dipende dalla presenza di idonea clientela. Occorre scegliere un’area facilmente raggiungibile da personale che abbia competenze che servono alla propria finalità. Non
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sottovalutare, poi, la fase di creazione di un networking professionale. Esperti presenti sul posto si rileveranno più utili di quello che possiate credere. La figura del commercialista, per esempio, è meglio sceglierla tra professionalità ben affermate; risparmiare, in questo caso, lo ritengo un grosso errore. Non va sottovalutata neanche la ricerca dell’avvocato: meglio uno studio associato che potrà seguire l’azienda sia nella contrattualistica, sia nella gestione delle risorse umane. Infine, dove possibile, chiedere anche al cliente principale di fornire personale di supporto; verificherete in questo modo se è nel suo interesse accelerare i tempi d’ingresso nel nuovo mercato. La scelta della forma societaria, inoltre, spesso è lasciata al consulente locale. Benché queste si somiglino e ripetano un po’ ovunque, meglio ricordare che le società per azioni (joint stock company) richiedono un capitale sociale più alto ma offrono maggiori protezioni, oltre a semplificazioni nello scambio di quote azionarie rispetto a società a responsabilità limitata (Ltd).
Quest’ultima forma, per certi versi scelta per semplificazione, in alcuni mercati richiede invece che il manager sia anche socio e con permesso di residenza nel mercato. Se i soci sono persone giuridiche, considerate che si dovranno presentare una bella quantità di documenti tradotti in lingua originale con certificazione e relativa “apostille”.I primi mesi sembrano essere quelli più rischiosi. Tuttavia, per esperienza, la parte peggiore arriva in un momento successivo, cioè quando il cash flow inizia a ridursi e le attività non saranno sufficientemente rodate per sostenere la struttura. C’è una fase di vera e propria selezione/crescita delle risorse dove, inevitabilmente, non si potrà richiedere efficienza. In questa, bisogna aver costruito un rapporto con il sistema finanziario locale che fungerà da supporto. Infine è indispensabile un controllo costante, ottenibile grazie a KPI dinamici appositamente inseriti nella fase di start up. Una buona gestione della nuova struttura sarà in questo modo più naturale e potrà adeguarsi alla crescita delle performance.
parliamo di...
La “scripofilia” di Massimo Caiafa Sono circa cento i titoli azionari e obbligazionari, emessi dalle società e raccolte dallo studioso nell’ultima pubblicazione, che raccontano un secolo di storia economica della provincia di Salerno
Ferdinando Spirito Dottore commercialista ferdinandospirito@tiscali.it
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assimo Caiafa è autore di molti lavori che pubblica per il piacere dello studio e della ricerca e, poi, per regalarli agli amici. Sono pubblicazioni legate alla sua professione di consulente e difensore di importanti società di assicurazioni e ad altri campi “fuori tema professionale” (attualità, storia patria, fotografia, narrativa e sport, tutte fuori commercio). L’ultimo suo lavoro riguarda la raccolta di titoli azionari e obbligazionari emessi da società che hanno operato nella provincia di Salerno a partire dal 1833 al 1999, anno in cui è stato abolito il cartaceo, opera che - secondo qualificati esperti del settore (Witula, Nicotera) - costituisce un unicum editoriale. Nel quadro di una grafica raffinata, l’iconografia dei titoli ricostruisce, in un percorso di notevole valenza storica e culturale, la storia economica della provincia di Salerno, illustrata in didascalie
di sintesi per ciascuna azione o obbligazione. La passione di questo tipo di ricerca (scripofilia, dall’inglese “scrip” certificato provvisorio di denaro e “filia”, dal greco, amore) per Massimo Caiafa viene da lontano, in quanto aveva rinvenuto titoli appartenenti alla sua famiglia; poi, è stata approfondita con visite ad archivi storici, antiquari del settore, mercatini d’epoca, inserendosi così, con autorità, nel nuovo filone collezionistico, formatosi negli anni ’80 del secolo scorso. In questo impegno, l’Autore ha dato dimostrazione dell’attaccamento alla sua terra, limitando l’inserimento alle sole azioni e obbligazioni emesse nella provincia di Salerno, collezionando il ragguardevole numero di circa 100 titoli, ivi compresi alcuni del debito pubblico, con certosina pazienza e l’aiuto di alcuni amici coinvolti nella ricerca. Inoltre, sotto il profilo della realizzazione, l’Autore ha dato atto dell’apporto disinteressato
del grafico Antonio D’Agostino, dell’avvocato Maura Guida e della Tipografia Jannone che ha curato la stampa in maniera eccellente e fedele nella riproduzione dei titoli, a livello dei più prestigiosi editori. Non ultimo, l’Autore ha apprezzato le pazienti ricerche, presso l’archivio della Camera di Commercio di Salerno, fatte dall’archivista Giancarlo Pacileo. Massimo Caiafa ha doverosamente inviato la pubblicazione agli enti del settore e archivi storici e culturali della città. L’ingegnere Andrea Prete, presidente della C.C.I.A. di Salerno, Ente istituzionalmente deputato alla raccolta delle informazioni nel settore, nonché presidente dell’Associazione Industriali della provincia, ha dato disposizioni affinché una copia della pubblicazione venisse esposta nella bacheca della Camera di Commercio. Per l’avvocato Massimo Caiafa, arrivederci alla prossima “performance”.
ricerca
DevOps: approccio Agile e metodologie per il delivery Dall’idea al prodotto finale la differenza è la velocità di produzione che permette di offrire valore ai clienti al momento giusto
Lino Mari Senior Technical Architect at Healthware International www.healthwareinternational.com www.linomari.com
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l percorso che inizia a partire dall’idea di un nuovo prodotto o servizio, fino alla sua realizzazione e alla disponibilità sul mercato, è diventato cruciale nelle attività moderne. Soprattutto se parliamo di produzione di applicazioni software. Una nuova applicazione deve avere un vantaggio competitivo dato dall’innovazione, ma anche dal tempo di delivery e disponibilità pari alla velocità del mercato stesso. Ogni lentezza in tutto il processo, dall’idea al prodotto finale, può significare l’arrivo sul mercato quando è ormai troppo tardi. L’approccio waterfall, al quale molte aziende fanno ancora riferimento, rappresenta bene i grandi progetti monolitici, con lunghi tempi di delivery e requisiti funzionali statici che abbassano la velocità di esecuzione e quindi il valore e il vantaggio competitivo. Al contrario le metodologie agili puntano a ridurre i tempi in tutto il processo attraverso l’iterazione continua di piccoli team di lavoro liberi da processi monolitici e 55 | giugno/luglio 2017
burocratici. L’iterazione continua, fatta di piccoli step, consente di rivedere quello che si sta costruendo intorno al contesto dei bisogni del cliente, aumentando la velocità e riducendo la rielaborazione intensificando gli sforzi intorno all’idea. Il percorso Agile La metodologia Agile è entrata nei processi dello sviluppo software creando non poco scompiglio nell’ultimo decennio. Anche se la metodologia non è così recente - è stata introdotta negli anni ’70 - ha cominciato ad essere adottata solo dopo la diffusione del Manifesto Agile nel 2001. Agile intende contrapporsi alla logica waterfall, ovvero ai processi lineari, con l’introduzione di piccoli team denominati “scrums” che lavorano su diversi processi con durata di due settimane, denominati “sprint”, i quali consentono di valutare e rivalutare continuamente lo stato del progetto e la direzione stessa. All’interno degli scrums è presente anche il cliente che ha la possibilità così di fornire il suo feedback a intervalli regolari. Questa è una
componente fondamentale perché consente di adattare continuamente le scelte e, quindi, di ottenere miglioramenti continui. Alla fine di ogni sprint c’è un momento dedicato alla retrospezione, ovvero all’analisi di cosa è andato bene e cosa è andato male, per consentire di evitare il ripetersi di errori e assicurarsi che quanto fatto offra effettivamente valore al prodotto. Agile si basa sulla costruzione di team orientati alla funzione ed estremamente collaborativi per assicurare la condivisione delle informazioni e dei feedback verso tutti, cliente compreso. Questo consente all’organizzazione di prendere decisioni rapidamente per rispondere alle reali esigenze del cliente e anche di riorganizzarsi più velocemente per affrontare nuove esigenze di un mondo in veloce e costante trasformazione. Se la metodologia Agile ci può sembrare di facile attuazione, la sua adozione e la scalabilità all’interno delle organizzazioni non lo è, ma di questo ne parleremo un’altra volta.
sicurezza
Agricoltura sostenibile: il nuovo regolamento europeo sui fertilizzanti L’orientamento è favorire un modello economico basato su una produzione agro-alimentare più vantaggiosa in termini di impatto ambientale-economico attraverso un più efficiente uso delle risorse
di Masciarelli, B.Ficociello e L. Casorri INAIL/DIT Settore Ricerca, Verifica e Certificazione
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a Commissione europea ha intrapreso da alcuni anni un processo di revisione della normativa sui fertilizzanti, oggi rappresentata dal regolamento CE 2003/2003 che disciplina solo i concimi minerali, mentre altri tipi sono normati autonomamente dai singoli Stati Membri. Obiettivi del nuovo regolamento, che si prevede andrà in vigore entro il 2018, sono l’armonizzazione del mercato, la riduzione e il livellamento dei costi di produzione, l’ottimizzazione del sistema di mutuo riconoscimento dei fertilizzanti e il contenimento degli adempimenti amministrativi a carico dei singoli Stati membri. Al momento in Italia la normativa che regola il settore è rappresentata dal D.Lgs. n. 75/2010 che, oltre a disciplinare l’immissione sul mercato dei concimi CE e nazionali, degli
ammendanti, dei correttivi e dei substrati di coltivazione, ha previsto anche l’istituzione di un registro dei fertilizzanti e dei fabbricanti e di un elenco dei fertilizzanti utilizzabili in agricoltura biologica anche se non ne regolamenta l’impiego. La Commissione europea, nell’ambito del Pacchetto sulla Circular Economy, ha quindi proposto un nuovo regolamento sui fertilizzanti per il quale il D.Lgs. n. 75/2010 rappresenta un modello di riferimento, costituendo l’esempio normativo più completo e avanzato d’Europa. Il termine Circular economy definisce un sistema economico in grado di rigenerarsi da solo, basato su una concezione alternativa della produzione e del consumo di beni e servizi e della diversità, come caratteristica imprescindibile dei sistemi resilienti e produttivi, nei quali
interagiscono il flusso dei materiali biologici, che si reintegrano nella biosfera, e il flusso dei materiali tecnici che vengono rivalorizzati senza entrare nella biosfera. In questa ottica i sistemi economici funzionano quindi come organismi, in cui i materiali, biologici e tecnici, elaborati e utilizzati, sono poi reimmessi in un “ciclo chiuso” o “rigenerativo”. Poiché i fertilizzanti rappresentano attualmente una fonte di contaminazione per il suolo, per le acque interne e marine, nonché per la catena alimentare, possono contenere metalli pesanti e metalloidi (cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, arsenico) e sono considerati pericolosi per la salute umana e l’ambiente, la Commissione suggerisce che la loro produzione, a partire da risorse secondarie (frazione organica di residui organici urbani o di residui
di attività agricole), e il loro impiego in agricoltura siano regolati da questo modello. In particolare i fertilizzanti organici e organo-minerali prodotti a partire da materie prime derivanti dal recupero e trattamento di residui di conceria possono contenere come contaminanti cromo esavalente, mentre il cadmio è presente in concentrazioni variabili nel fosforo minerale utilizzato per produrre concimi fosfatici e concimi organici prodotti a partire dai fanghi di depurazione. L’impiego di questi fertilizzanti in agricoltura determina inquinamento ambientale e contaminazione dei prodotti ortofrutticoli. Sarebbe invece auspicabile produrre concimi efficaci, sicuri e innovativi, a partire da materie prime organiche o secondarie in una prospettiva di green economy basata sulla sostenibilità, nella quale non ci siano prodotti di scarto e le
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materie vengono continuamente riutilizzate, permettendo un processo virtuoso di gestione dei rifiuti e un utilizzo di residui vegetali autoctoni, fondamentali per un’agricoltura sostenibile. In questo modo si favorisce un modello economico basato su una produzione agro-alimentare più vantaggiosa in termini di impatto ambientale-economico attraverso un più efficiente uso delle risorse. L’intento della Commissione è infatti quello di trovare, attraverso il nuovo regolamento, soluzioni innovative riguardo al recupero più efficace e più sicuro di risorse a partire dai rifiuti organici e inorganici e dalle acque reflue realizzando nuovi prodotti, aventi valore aggiunto, che rispondano sia alle esigenze del mercato, sia alle politiche di sicurezza e di protezione dell’ambiente e di tutela per la salute dei lavoratori agricoli e dei consumatori.
Sarebbe auspicabile produrre concimi efficaci, sicuri e innovativi, a partire da materie prime organiche o secondarie in una prospettiva di green economy basata sulla sostenibilità, nella quale non ci siano prodotti di scarto e le materie vengono continuamente riutilizzate, permettendo un processo virtuoso di gestione dei rifiuti e un utilizzo di residui vegetali autoctoni, fondamentali per un’agricoltura sostenibile
salute
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Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it | www.istitutodermoclinico.com
Capelli d’estate
Sole, salsedine, sudore, bagni in mare e in piscina: un mix micidiale che nei mesi caldi provoca uno stress enorme alla nostra chioma. Come correre ai ripari
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capelli d’estate tendono a schiarirsi, inaridirsi, spezzarsi. Quali accorgimenti sono utili per proteggerli? In spiaggia o in piscina In spiaggia o in piscina è importante rinfrescare spesso la chioma, facendo docce frequenti. Dopo ogni bagno in mare, i capelli vanno sciacquati con cura con acqua dolce in modo da eliminare le tracce di salsedine. I prodotti protettivi Per difendere la capigliatura nei mesi caldi, risulta utile applicare prodotti a base di sostanze rivitalizzanti ed emollienti come mandorle, germe di grano e olio di oliva, che siano al tempo stesso dotati di filtri capaci di creare uno scudo protettivo nei confronti dall’azione dei raggi solari. Il lavaggio È consigliabile usare shampoo delicati e ricchi di principi idratanti e di vitamine. I prodotti vanno massaggiati delicatamente, per poi risciacquare con cura in modo da eliminare residui di pulviscolo o di sabbia, che possono restare sulla chioma dopo una giornata in spiaggia. È anche utile utilizzare un balsamo a base di agenti come collagene, olio di mandorle, estratto di karité e provita-
mina B, in grado di proteggere i capelli dall’interno. Due volte a settimana si può applicare un impacco a base di fospidina, sostanza altamente idratante e ristrutturante. L’impacco va distribuito lungo la capigliatura e lasciato in posa per quindici minuti per poi risciacquare con acqua tiepida. Per l’asciugatura, invece, meglio optare per l’aria, per evitare le temperature calde dei phon, che possono indebolire i capelli ulteriormente. L’alimentazione Per avere capelli forti e sani non devono mancare le proteine, assimilabili attraverso uova, carne, legumi e pesce. Anche le vitamine sono imprescindibili. Tra le più importanti, c’è la vitamina B, la cui mancanza è tra le prime cause di caduta: si trova nei cereali integrali, nel pesce grasso, nei piselli e nello yogurt. Fondamentale è poi la vitamina C che favorisce la crescita ed è reperibile mangiando peperoni, kiwi e agrumi. La vitamina E, invece, assimilabile attraverso cibi come cereali, riso integrale, nocciole e mandorle, regola la produzione di sebo. Per avere una chioma forte occorrono, infine, i minerali: il ferro, che si trova nella carne e nei legumi; il rame, presente in fegato e aragoste; lo zinco assimilabile consumando ostriche, carne di manzo e pane bianco; il selenio di cui sono ricchi cereali, uova e pollame; e il manganese, che si può reperire da pane integrale, castagne e avocado. Gli integratori Se l’alimentazione non dovesse bastare, può essere utile assumere degli integratori. I principi attivi più efficaci, in questi casi, sono il silicio, il rame, i flavonoidi, lo zinco, il selenio e la biotina. Va, però, ricordato che gli integratori non vanno mai presi di iniziativa personale ma sempre su consiglio del proprio dermatologo.
Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica
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Telemedicina e medicina narrativa nel diabete/2
Grazie a questa metodica, in un anno è stato azzerato il numero dei ricoveri
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a telemedicina è stata utilizzata, nella Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni, per il monitoraggio in remoto di circa 70 pazienti diabetici complessi. Nella maggior parte dei casi, si trattava di persone con gravi difficoltà a muoversi e per le quali il dover accedere alla struttura ospedaliera per i controlli era un onere fisico, psicologico e sociale molto pesante. Il monitoraggio in remoto evita tutto questo, facilita il self management e la trasformazione del dato glicemico in un percorso personalizzato ed efficace. Il monitoraggio in remoto è stato realizzato attraverso il servizio Doctor Plus® di Vree Health, che unisce software avanzati per la rilevazione dei dati a una centrale infermieristica, in grado di intercettare le situazioni di allarme, così come di sostenere e stimolare il self management e l’aderenza alle misurazioni. In pratica, le rilevazioni dei valori glicemici domiciliari (autocontrollo) sono trasmessi in tempo reale alla centrale di ascolto infermieristica. Nel caso di parametri che possono risultare dannosi, scatta un sistema di allarme graduale fino a raggiungere il livello rosso che richiede l’intervento del referente medico. I risultati di un anno sono molto positivi. La metodica ha infatti consentito di migliorare la qualità
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della vita delle persone con diabete, riducendo gli accessi al Servizio di Diabetologia e azzerando il numero dei ricoveri. Tutti i 515 casi di allarme rosso rilevati sono stati gestiti a domicilio, senza ricorso al pronto soccorso, con 387 giornate di ricovero risparmiate. A sei mesi dal progetto, i soggetti arruolati hanno registrato in media una riduzione significativa della glicemia. Anche i pazienti trattati con cortisonici sono tornati spesso ai livelli di pre-trattamento. La valutazione data dai pazienti è positiva: il servizio migliora la gestione della patologia e aumenta il senso di sicurezza proprio e dei familiari, riducendo l’impegno operativo ed emotivo di chi si prende cura del paziente. Le componenti del successo di questa iniziativa sono la centralità attribuita al paziente, una visione manageriale operativamente innovativa, ma anche tecnologie di qualità. Sui pazienti arruolati, solo in tre casi sono emersi problemi associati all’uso delle tecnologie, nonostante la maggior parte avesse più di 60 anni. Quando la tecnologia è immaginata dal punto di vista di chi la deve usare, l’età dei pazienti come ostacolo all’innovazione digitale è un falso problema.I risultati migliori si ottengono più facilmente quando il punto di partenza è un percorso di cura condiviso e personalizzato. In questa ottica, un altro strumento utile si è dimostrato quello della Medicina Narrativa. Con il termine di Medicina Narrativa si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura.
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Nicola Santini Esperto di Galateo, Costume e Società ph/Christian Ciardella
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Niente di vero sotto il sole
Fashion victim, anticonformisti e sofisticati: tutti restano conquistati almeno una volta dal prodotto «tarocco» venduto in spiaggia, che si compra ma non si dice
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i sono articoli che a volte chiederebbero premesse più lunghe dei testi stessi, ad uso e consumo di chi è sempre pronto a puntare il dito anche quando, con i climi estivi, tutto ciò di cui c'è veramente bisogno è una certa dose di leggerezza e di freschezza. Il doveroso prologo è che quanto segue, non è un’incitazione all'acquisto di marchi contraffatti, ma unicamente un'istantanea del costume dei nostri tempi, quando finalmente arriviamo in spiaggia e il passo felpato del vu cumprà di turno si fa sentire, insieme alla voglia di pagare cash e di comprare qualcosa di trash. Quando si parla di vu cumprà siamo tutti uguali: dalla Sora Maria a Daniela Santanchè, nessuno escluso; dalla, a me carissima, Marta Marzotto, che arrivò addirittura a disegnare una linea da vendere attraverso i vu cumprà, all'aspirante cummenda che aspetta soltanto l'arrivo di luglio per regalarsi l'ennesimo orologio patacca da spacciare per vero. L'acquisto dal vu cumprá é un po' come il test delle intolleranze: prima o poi lo facciamo tutti, ma il galateo insegna che é il modo in cui si fanno che dà valore ed eleganza alle cose. Le cose stesse sono un discorso a parte, e per quanto mi riguarda, estremamente relative. I consigli di comportamento nei confronti dei vu cumprà sono pochi ed essenziali: 1) non chiamarli indistintamente Mustafá; 2) non intraprendere stacchi da centometristi in presenza di una finta Birkin con la sabbia che cuoce i piedi, perché tanto pochi
minuti dopo ne arriverà un altro; 3) non rifiutare in modo maleducato di vedere la merce anche in caso di mancato interesse, riservando la stessa cortesia che vuole che il buongiorno e la buonasera siano ricambiati a chiunque ce ne faccia augurio. Il resto, una volta aggiudicato l'acquisto, non fa parte del galateo, ma dell'arte di stare al mondo. Posto che non sarà una borsa griffata o un orologio a cambiare l'immagine, ma riconosciuto il ruolo centrale dell'accessorio nel look, se sapete ben dosare finti snobismi e reali astuzie, l'acquisto farlocco potrà essere perfettamente spacciato per vero. Un po' come certi ritocchi di chirurgia che, se non esagerate, potreste far credere doni di Madre Natura a rilascio posticipato. Il problema è che, spesso, piove sul bagnato. Per intenderci: una persona che può spendere per una borsa di grande pregio, non desterà mai il sospetto che la seconda sia falsa come i follower di certi influencer.Se una persona è nota per l’accozzaglia di imitazioni, anche con la più nobile e autentica chincaglieria, uscirà sempre con quell'aria di inganno che non convincerà nessuno. Mescolare ad arte é il segreto più smart che Pulcinella potesse concepire. Se esibite fieramente una semplicissima t-shirt bianca, magari investendo qualche euro in più nella gonna o nel pantalone, ricordando però che è dalle scarpe che si riconoscono i signori, è molto probabile che gli interrogatori sulla pochette o sulla cloche dell'orologio saranno meno insistenti. L'altra regola riguarda la stagionalità dell'acquisto. Se tutto ad un tratto con l'aumento delle temperature crescono proporzionalmente il numero di borse di Chanel mai avute prima, l'unica cosa di vero che c'è nel look è il made in Senegal. Se invece spuntasse una Birkin color lampone in un guardaroba a fine ottobre, vicino a un compleanno, o sotto le feste natalizie, probabilmente il passaggio di proprietà sarebbe più facile identificarlo dalla boutique al nuovo padrone che dall'ambulante al bagnante. Prendete nota.
arte
L’ora che volge il disio di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata Organizzata negli spazi della Sala TAC, della CAJA e dell’Istituto Italiano di Cultura in Venezuela, la mostra divisa in tre sezioni La presenza del futuro, Tornare e Passato prossimo - è un momento di riflessione e di dibattito critico sullo stato dell’arte
foto di Oriana Abello
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foto di Oriana Abello
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na grande mostra a Caracas pone al centro dell’attenzione un gemellaggio costruttivo tra due Paesi che presentano alcune caratteristiche estetiche simili, alcune confluenze visive e alcuni atteggiamenti che saltano il fosso della diversità per dar luogo ad una serie di scambi, di interventi intermittenti tesi a creare vie di fuga, forze polifoniche che pongono le basi di una riflessione sulla fratellanza, sui pensieri ancora pensabili, sui domini della libertà. Segnata da un rapporto di partecipazione culturale, di contaminazione linguistica, di necessaria coesistenza delle differenze e dalla basilare evocazione di un unterschiedlich, la mostra Disio. Nostalgia del futuro - organizzata negli spazi della Sala TAC, della CAJA e dell’Istituto Italiano di Cultura in Venezuela - riflette su una serie di fenomeni contemporanei che mostrano codici esteti-
ci sempre più aperti alla fusione di stili, di espressioni, di formule creative che superano il confine del quotidiano e trasformano l’opera in un dispositivo di ordine riflessivo che non solo invita a vedere da un’altezza nuova il mondo, le cose, gli avvenimenti, ma anche a rinnovare la figura dell’osservatore, a tramutarlo in un ricercatore, in una figura produttiva che ricrea dentro di sé l’opera e la proietta, poi, con le proprie categorie, nella vita che concretamente vive per scoprirne la realtà latente. Divisa in tre sezioni - La presenza del futuro, Tornare e Passato prossimo - Disio (termine preso a prestito da Dante per indicare lo sgambetto al tempo della saudade) è un momento di riflessione e di dibattito critico sullo stato dell’arte, un luogo che riattiva il giudizio critico e l’intelligenza da un’atmosfera dalla qual sono spesso banditi. Come un cervello o una mente che si estende e tesse la costruzione magica del nuovo, La presenza del futuro vuole essere un perno la cui rotazione centrifuga mostra la visione poetica e profetica del futuro e di un territorio artistico sovratemporale. Generata dall’incontro di alcune figure (Armando Reverón, Umberto Boccioni, Marcel Duchamp, Kazimir Malevič) la cui indiscutibile portata estetica scavalca il tempo, lo spazio e ogni genere di territorialità per disegnare un quadrato il cui potere magnetico è visione futura, presenza costante dell’attuale, lettura dell’avvenire. Due nomi di recente generazione (Luis Arroyo e Magdalena Fer-
arte
foto di Oriana Abello
nandez) entrano in questo anello visivo con un lavoro congiunto, come appendici di una riflessione che si estende al presente e alle presenze d’oggi. Con un’opera significativa, sempre nella stessa area, cinque artisti italiani e dieci venezuelani presenti anche nella sezione di mezzo (Tornare), espongono una traccia estetica del loro lavoro, un indizio, una impronta capace di marcare la loro visione del mondo. La sezione dedicata al ritorno è il baricentro della mostra, e propone i lavori site specific nati dal trialogo degli artisti delle cinque generazioni che ricoprono idealmente il secondo Novecento. Grazie alla forza creatrice di cinque artisti italiani (Enrico Pulsoni, Giovanni Termini, Eugenio Tibaldi, Domenico Antonio Mancini e Antonio Della Guardia) in dialogo con dieci artisti venezuelani (Jason Galarraga e Adolfo Alayón, Luis Millé e Zei-
nab R. Bulhossen, Hayfer Brea e Angela Bonadies, Ivan Candeo e Camilo Barboza, Eduardo Vargas Rico e Manuel E. González) la mostra propone, in un perimetro di incerti equilibri economici, politici e sociali, il desiderio di un impegno comune. Partendo da un clima socio-antropologico e dall’installazione unica di guapas yekuana, la terza sezione Passato prossimo pone al centro dell’attenzione lo spazio perfetto di una geometria che caratterizza non solo molte delle riflessioni artistiche italiane nate in seno ai gruppi dell’Arte Cinetica e Programmata dei primi anni Sessanta del XX secolo che si intersecano con i nomi lucenti di Soto e Cruz-Diez, ma anche alcune dinamiche delle culture attuali. Si tratta di un secondo quadrato che, grazie al lavoro di un artista venezuelano (Antonio Paz) e di due artisti italiani (Max Coppeta e Fabrizio Cotognini), costruisce un momento irrinunciabile, una riflessione sullo splendore della geometria. Sezione conclusiva della mostra è Disio. Documentazione fotografica, un momento irrinunciabile che invita lo spettatore a riflettere sulla esecuzione, sul processo di formalizzazione dell’opera, su un brano dell’arte che è l’incerto cammino d’una ricerca, in cui la sola guida è l’attesa della scoperta. Grazie allo sguardo attento di Oriana Abello, questo fascicolo conclusivo del progetto Disio rappresenta quello che è stato e che mai più sarà: la cristallizzazione dell’azione, l’appendice morbida e pungente di un processo elastico e polifonico che mette in rassegna le idee, le alleanze, le
allegrie e le invenzioni di artisti il cui sguardo e il cui gesto tendono ad assumere connotazioni critiche sul presente, a indicare i problemi fondamentali dell’uomo e dell’odierna società.
foto di Oriana Abello
finisterre
Philip K. Dick e le radici del futuro di Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università di Salerno Il maggior merito dell’autore, oltre la forza di una scrittura d’altissima qualità, è aver saputo “utilizzare” il tema della fantascienza come nucleo di una continua sperimentazione stilistica. I suoi scritti sono affollati da labirinti, specchi e personalità multiple. Le sue trame sono sempre dentro una cromatura estremamente stratificata
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arlare dello scrittore statunitense Philip K. Dick significa entrare in un magma complesso e stratificato. Non è facile, quindi, raccontare l’inventore di “Ubik”, “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” e “La svastica nel cielo”. Non è facile parlare di chi è riuscito a rendere le proprie pieghe della paranoia come una trama del sublime. Un autore fondamentale per il Novecento. Un narratore di grande innovazione e sempre dentro una magia infinita che -assieme ad Isaac Asimov, James Ballard, Thomas Pynchon, Kurt Vonnegut e William S. Burroughs - ha dettato i canoni della
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scrittura fantascientifica. Philip K. Dick è un narratore che decisamente s’inserisce tra i grandi visionari della nostra modernità. Giustamente Fabio Arciere (giovane studioso di mediologia e attento analista dello scrittore americano) ha sottolineato che «all’interno della sua vasta produzione narrativa Philip K. Dick intercetta e anticipa frequentemente un sentire che conduce già al di là delle forme del Moderno, e lo fa adoperando gli elementi forniti da quello straordinario meccanismo di convergenza fra innovazione scientifica e profondo desiderio tecnologico del pubblico metropolitano che dà vita al genere fantascientifico». Autore di pagine di densa bellezza e di lucida inquietudine dove la realtà viene regolarmente contraffatta, manipolata, adulterata, intimamente violentata. L’uso delle droghe, sovente, compare come elemento cardine della sua narrazione. La spiritualità è un processo di costante presenza. Così come il dominio tardo capitalista e la dimensione di mondi paralleli. Il suo maggior merito, oltre la forza di una scrittura d’altissima qualità, è aver saputo “utilizzare” il tema della fantascienza (e dei futuri possibili) come nucleo di una continua sperimentazione stilistica. Infatti Dick sposta radicalmente il tema fantascientifico dalla pura visionarietà del suo tempo e lo contamina con elementi di cultura underground, riflessioni socio-politiche, prassi paranoiche e considerazioni cristianologiche. La sua scrittura è affollata da labirinti, specchi e personalità multiple. Le sue trame sono sempre dentro una cromatura estremamente stratificata. Leggendo ancora Fabio Arcieri: «L’originalità di Philip K. Dick, la sua grande intuizione, sta pertanto nel cogliere, all’interno del corpo sociale americano dei primi anni Sessanta, la centralità della comunicazione di flusso dettata dai media elettrici. Una centralità che, attraverso il
suo sguardo distopico, si traduce in mistificazione e falsificazione del reale e strumento di controllo politico da parte dell’élite dominante». Un’originalità, a ben vedere, oggi più che mai attuale. Inoltre, su ogni cosa è la tensione filosofica ad avere il predominio. Tanto che uno dei suoi maggiori studiosi, Antonio Caronia, volle definirlo “il filosofo mascherato”. Stabilendo come ulteriore primato di stile una suadente ironia che ci ha regalato pagine di grande esuberanza, soprattutto quando si tratta di parodiare gli intellettuali, gli artisti, i creativi o il lavoro culturale: «Il guaio di farsi una cultura è che il processo richiede molto tempo, ti brucia la parte migliore della vita, e quando hai finito l’unica cosa che sai è che ti sarebbe convenuto di più fare il banchiere». Dopo la morte, nel 1982 a 54 anni, esplode il culto di Dick. Fino a diventare talmente riconoscibile come una categoria letteraria. Uno stile di riferimento. Un modo di dire: subito dopo “le atmosfere kafkiane”, troviamo “l’universo alla Dick”. E sicuramente il cinema ha dato un contributo di notevole diffusione alle opere dello scrittore: “Blade runner”, “Minority report”, “Un oscuro scrutare”, “Matrix”. E gli immaginari di filmaker come David Lynch o David Cronenberg che più volte si son dichiarati lettori di Dick. Senza dimenticare la musica, la serialità televisiva o il fumetto.
LIBRI
CINEMA
a cura di Raffaella Venerando
Le otto montagne di Paolo Cognetti
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Einaudi Editore prezzo di copertina euro 18,50
e otto montagne di Paolo Cognetti non solo è il vincitore del Premio Strega Giovani 2017, ma si appresta a divenire un vero classico in via di traduzione in 30 Paesi. Il libro racconta - come dice lo stesso Cognetti - di «due amici e una montagna». In realtà è molto di più, è il diario di bordo di Pietro, un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. I suoi hanno lasciato il Veneto contadino di cui sono originari in cambio della città e di un posto - che non gli somiglia - nel mondo. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento naturale, dotata com’è di «quel senso di responsabilità femminile e collettivo, di quello spirito di corpo proprio delle vere assistenti sociali». Il padre è un chimico, un uomo silenzioso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. A unire i due genitori di Pietro un amore solido: la montagna. Lì si sono conosciuti, amati e sposati prima di partire - in attesa della nascita del loro primo figlio - per la caotica e triste Milano. Recuperano in parte fiato solo quando arrivano a Grana, ai piedi del Monte Rosa, per le vacanze. Lì Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c’è Bruno, così diverso e così uguale. Otto montagne è la storia di un’amicizia al maschile ma anche il racconto di un’educazione diversa, di un modo di essere padre e figlio che va oltre il detto e al di là del tempo. «Mi tornò in mente una certa fragilità che avevo intravisto in lui, certi attimi di smarrimento che subito si affrettava a nascondere. Quando mi sporgevo da una roccia e gli veniva d’istinto di afferrarmi per la cintura dei pantaloni. Quando stavo male sul ghiacciaio e si agitava più lui di me. Mi dissi che forse quest’altro padre l’avevo avuto sempre lì e non me n’ero mai accorto, per quanto era ingombrante il primo, e cominciai a pensare che in futuro avrei dovuto, o potuto, fare un altro tentativo con lui».
a cura di Vito Salerno
Jackie di Pablo Larraín
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n film biografico dedicato alla vita di Jacqueline Kennedy, interpretata da una strepitosa Natalie Portman, questo è Jackie, diretto dal regista Pablo Larraín. Il film è un affascinante ritratto di una donna enigmatica e al tempo stesso una riflessione sui temi della fede, della storia, del mito e della perdita. Jacqueline aveva solo 34 anni quando suo marito, John Fitzgerald Kennedy, venne eletto Presidente degli Stati Uniti d’America. Elegante, piena di stile e imperscrutabile, divenne immediatamente un’icona in tutto il mondo e sicuramente una delle donne più famose della storia. Il suo stile e il suo gusto in diversi campi ne fecero per molti un modello da imitare. Arrivò, però, il 22 novembre 1963. A Dallas, durante un viaggio per la campagna elettorale, Kennedy venne assassinato e l’abito rosa di Jackie si macchiò di sangue. Quando Jackie salì sull’Air Force One per tornare a Washington, il suo mondo e la sua fede erano andati in pezzi. Sotto choc e sconvolta dal dolore, nel corso della settimana successiva affrontò momenti che non avrebbe immaginato di dover vivere: consolare i suoi due bambini, lasciare la casa che aveva restaurato con grande impegno e organizzare le esequie di suo marito. Jackie capì subito però che quei sette giorni sarebbero stati decisivi nel definire non solo l’immagine e l’eredità storica di Kennedy, ma anche come lei stessa sarebbe stata ricordata. La first lady dovette allora tirar fuori tutto il suo coraggio per cercare di superare il drammatico accadimento, sostenere la famiglia e contribuire a forgiare per sempre l’eredità storica del marito.
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