Costozero Settembre/Ottobre n.4/2016

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NUMERO 04

SETTEMBRE/OTTOBRE 2016

Verso la fabbrica digitale



EDITOR IA L E / SET T EMBR E OT TOBR E 2016

Referendum sulla riforma costituzionale, Sì a un’opportunità di cambiamento Nel luglio scorso, Confindustria Salerno ha costituito il Comitato Co.Sì Salerno, in linea con la posizione favorevole al ddl Boschi espressa all’unanimità dal Consiglio Generale di Confindustria, crede che la riforma costituzionale approvata dal governo Renzi possa rendere l’Italia dei prossimi decenni più forte nel contesto europeo e globale attraverso nuove regole democratiche

I

l prossimo 4 dicembre si terrà il referendum sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento, il cosiddetto “ddl Boschi”. Si tratta di un testo che modificherà, a nostro avviso, in maniera sostanziale e positiva il funzionamento dello Stato. A sostegno del sì a questa iniziativa, nel luglio scorso, abbiamo costituito il Comitato Co.Sì Salerno, che aderisce alla rete nazionale dei Comitati Basta un Sì. Nato su proposta e volontà di Confindustria Salerno e in linea con la posizione favorevole alla riforma espressa all’unanimità dal Consiglio Generale di Confindustria, il nostro Comitato è composto da imprenditori, docenti universitari, manager, liberi professionisti e studenti che credono che la riforma costituzionale approvata dal governo Renzi sia per il Paese un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. In questi mesi il Comitato si è impegnato per favorire la partecipazione informata e consapevole al voto referendario. Tante le iniziative fin qui realizzate, sia direttamente mediante tre incontri di approfondimento informativo con i costituzionalisti Stefano Ceccanti, Giovanni Guzzetta e con lo storico Paolo Pombeni, sia quelle cui ho partecipato in qualità di coordinatore del Comitato Co.Sì Salerno per diffondere bene, velocemente e con tenacia le motivazioni che ci inducono a ritenere fondamentale per il futuro dell'Italia la trasformazione prevista con la vittoria del Sì. Il nostro sì non nasce da ragioni di posizionamento politico, ma da opportunità di natura economica. Se passa il sì, noi imprenditori possiamo finalmente ottenere un nuovo assetto istituzionale per un Paese moderno, maggiormente stabile e più rapido nelle decisioni. In una parola, più efficiente. Governabilità e credibilità in economia non sono due variabili accessorie, ma rappresentano condizioni essenziali per favorire la crescita. Il nostro sì deriva dal credere in maniera convinta nella modernizzazione del Paese, in un’Italia più competitiva grazie a iter legislativi snelli ma, soprattutto, riteniamo sia fondamentale una maggiore chiarezza in materia di competenze Stato–Regioni. Il Titolo V della Costituzione va riformato, riconducendo allo Stato le competenze, ora attribuite alle Regioni, sulle grandi reti di interesse strategico (autostrade, ferrovie, reti energetiche, banda larga etc.) perché non ci siano più disomogeneità e veti, ma maggiore libertà d’azione ed efficacia all’azione del governo nazionale. Il nostro sì è per il superamento del bicameralismo perfetto, per un futuro Senato con minori funzioni legislative e maggiori compiti di controllo: sulle politiche pubbliche, sull’attuazione delle leggi, sulla pubblica amministrazione, sull’attuazione delle direttive europee. Di esempi riusciti ve ne sono. Basti citare la Germania o la Francia, rinomatamente Paesi più organizzati e produttivi del nostro. Per tutti questi motivi abbiamo accettato di dare il nostro contributo alla causa. Manca poco più di un mese a un voto che traccerà l’Italia dei prossimi decenni rendendola, con la vittoria del sì, più forte nel contesto europeo e globale attraverso nuove regole democratiche. È giunto il momento di decidere, di compiere una scelta che rifletta la speranza e il futuro piuttosto che la paura e la resistenza strenua al cambiamento. Rimandare ancora potrebbe essere imperdonabile.

Mauro Maccauro presidente Confindustria Salerno @MauroMaccauro


S O M M A RIO

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EDITORIALE

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Referendum sulla riforma costituzionale, Sì a un'opportunità di cambiamento di M. Maccauro

Sinergie vincenti, alla IMC e all'Istituto Spin di Salerno il Premio Guglielmo Marconi di R. Venerando

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Gruppo Sada, fin dal 1870 primi nel settore del packaging di R. Venerando

PRIMO PIANO / INDUSTRIA 4.0 4

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Catania, Confindustria Digitale: «Crescere è un passaggio obbligato per le pmi» di R. Venerando, intervista a E. Catania Storchi, Federmeccanica: «Industria 4.0, la direzione è giusta» di R. Venerando, intervista a F. Storchi L'O PINIONE

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Mottura, Willis Towers Watson: «Da pionieri a leader nei servizi di welfare» di R. Venerando, intervista a M. Mottura

NEW ENTRIES 26

Studio Viglione & Libretti, un ingranaggio perfetto per aziende e privati di R. Venerando

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Mecas Group, generatore di cultura tecnologica innovatica di R. Venerando

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Cerzosimo, ritratto di famiglia di R. Venerando EDILIZIA INDUSTRIALE

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10 Le opportunità del welfare aziendale: soluzioni e servizi di A. Maggiani

NORME E SOCIETÀ 32

La responsabilità della banca nella prestazione dei servizi di investimento in contratti derivati di M. Galardo

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La mediazione all'esame dell'Unione europea di M. Marinaro

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Lo spread, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato di M. Degiorgis

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Riconoscimento biometrico: gli obblighi previsti dal Codice Privacy di P. Di Stefano

12 Welfare, il bello di lavorare a Salerno di R. Venerando, intervista a D. Giordano FOCUS 14 Innovazione e creazione di lavore: il settore farmaceutico nel Mezzogiorno di C. Carreras CONFINDUSTRIA SALERNO 16 Per Paestum, gran gala alla Tenuta dei Normanni di R. Venerando 18 Osservatorio professioni, moltiplicatore di sviluppo di Giuseppe F. Palumbo STRATEGIE DI IMPRESA

LAVORO 40

Permessi per l'assistenza ai familiari, istruzioni per un uso corretto di M. Ambron

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Il licenziamento discriminatorio della lavoratrice madre di L. De Valeri

19 Il sigillo ufficiale di Gio Ponti per la Ceramica Francesco De Maio di V. Salerno 20 Aletex, la stoffa dei sogni di R. Venerando 22 Manifatture Tessili Prete, una storia resistente al tempo di R. Venerando

Piccoli paesi per una nuova green economy di A. Verderosa

FISCO 42

Tari, obbligatoria ma ancora poco chiara di M. Villani e I. Pansardi

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Cultura crea, il programma a favore di pmi e del terzo settore della filiera culturale e creativa di A. Sacrestano


NUMER O 4 / SET T EMBR E OT TOBR E 2 0 1 6 46

Plusvalenze nel Sale and lease back, via libera della Cassazione allo splitting di M. Fiorentino

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Accertamenti sui conti correnti bancari, i “corretti limiti” da parte dell'Agenzia delle Entrate di A. Visconti

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La fatturazione elettronica tra privati: siamo solo all’inizio di N. Savino RICERCA

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La produzione di idrogeno da fonti fossili o rinnovabili: la ricerca del Gruppo ProCEED di V. Palma Web, l'importanza dell'Offline First di L. Mari SICUREZZA

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Sicurezza alimentare, l'innovativo Sportello per la diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica di E. Sturchio e U. Mazzanti SALUTE

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Beat the Street: l'epigenetica positiva in pratica di G. Fatati

58

Tatuaggi, una scelta di colore non più definitiva di A. Di Pietro BON TON

59

L'arte del ricevere 3.0: buoni consigli per ospiti e padroni di casa di N. Santini ARTE

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Magazine di Economia, F inanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg . Trib. di Salerno N. 677 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Mauro Maccauro Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management V ito Saler no Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Saler no Ser vice Sr l V ia Madonna Di Fatima, 194 84129 Saler no Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 03971170653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Saler no Foto Archivio Costozero V ito Saler no Massimo Pica/Ag . Fotografica Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it L e opi ni oni espr esse negl i a r ti c ol i a ppa r tengono ai si ngol i a utor i dei qua l i si i ntende r i spetta r e l a pi ena l i ber tà di gi udi z io Im m a gi ne i n c oper ti n a Di r i tto d'a utor e: A rc hi vi o F otogra f i c o 123RF / a i m a ge

L'evento del ritorno di A. Tolve FINISTERRE

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Omaggio a Samuel Beckett, dal teatro ai media di A. Amendola LIBRI/HOMECINEMA

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Neve, cane, piede a cura di R. Venerando

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La Pazza Gioia a cura di V. Salerno

www.costozero.it


P RI M O P IA NO / IND UST RI A 4.0

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Catania, Confindustria Digitale: «Crescere è un passaggio obbligato per le pmi» La politica di sviluppo del Paese, un tempo orientata a stimolare il modello di economia tradizionale, oggi va ridisegnata del tutto. «Dobbiamo cambiare pelle, la filiera di produzione deve diventare digitale»

di Raffaella Venerando

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residente, un anno fa lei sosteneva che bisognava trovare una «via italiana» per Industria 4.0. Il Piano del governo l ’ha imboccata? Direi con convinzione di sì. Il governo ha ben compreso quanto sia importante che la manifattura si trasformi, facendo maggiormente ricorso ai processi digitali, tanto che ha organizzato su tutto il territorio nazionale un road show per presentare il Piano di incentivi di supporto, le formule di

Elio Catania presidente Confindustria Digitale

sostegno e i possibili benefici per le imprese previsti da questo fondamentale passaggio. Direi soprattutto che ne hanno capito la valenza gli imprenditori, che ora vogliono recuperare il terreno perso - in termini di competitività e di crescita - proprio a causa del gap digitale con le altre economie mondiali. Con la predisposizione del piano Industria 4.0 abbiamo creato la giusta mobilitazione perché finalmente le nuove tecnologie - penso ai big data o all’internet delle cose, giusto per citare due delle direttrici di sviluppo - possano essere iniettate nei processi di fabbrica. Siamo di fronte a un passaggio obbligato per le aziende manifatturiere. Se lo si manca, si va fuori del mercato. Restando in tema, i 23 miliardi di euro, in quattro anni - 13 di incentivi f iscali e 10 di investimenti basteranno a innescare a quello che è stato battezzato come il “New Deal ” per la nostra industria? Le misure previste dal ministro dello Sviluppo Economico Calenda indubbiamente sono senza precedenti per portata. Secondo le prime stime, queste dovrebbero essere capaci a loro volta di mettere in moto dieci miliardi addizionali di investimenti da parte dei privati. Speriamo, quindi, che l’impegno economico preso resti tale nella legge di Stabilità, senza subire limature o riduzioni di importo. In questa fase il governo dovrà dimostrare che crede davvero nella leva dell’innovazione per ammodernare la manifattura. È fondamentale inoltre che questi provvedimenti vadano a coprire realmente tutte le aree del digitale, quelle dei nuovi


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Il Mercato digitale in Italia Valori in migliaia di Euro e variazioni %

+ 1,5%

+ 1,7%

+ 2%

Fonte: NetConsulting cube

robot così come dei nuovi macchinari, ma anche quelle relative ai processi di digitalizzazione, ai software e ai servizi che occorreranno a connettere tutte le aree insieme. Dobbiamo andare avanti. Il Paese non può più permettersi di ritornare a una politica industriale che guarda al passato. Dove compreremo l ’hardware e il software che compongono l ’Industria 4.0, nel nostro Paese o all ’estero? Riguardo questo aspetto quanto è pronta l ’Italia? In Italia abbiamo almeno 600mila operatori che ruotano attorno al mondo del digitale. Alcuni sono espressione di grandi multinazionali presenti nel nostro Paese, altri della grande impresa italiana e altri ancora di piccole aziende di tecnologia. A oggi abbiamo cinquemila le start up che hanno deciso di puntare tutto il proprio futuro sul digitale e sulla capacità di innovare. In passato, nella ormai vecchia informatica, l’elemento centrale era l’elaboratore, il computer. Oggi invece il fulcro si è spostato sull’ingegno, sullo sviluppo del software, su quelle applicazioni che ridisegnano i processi aziendali. In Italia abbiamo grandi potenzialità da questo

punto di vista, senza dimenticare il ruolo estremamente significativo che svolgono i poli tecnologici e le università. È quindi molto ampio il bacino di risorse messe a disposizione delle nostre piccole e medie imprese per poter avviare questo percorso di trasformazione di cui il Paese ribadisco - ha assoluto bisogno. Il controllo sull ’attuazione delle misure spetta a una cabina di regia di cui Conf industria è parte. Non solo politica, quindi. Questo che garanzie offre al sistema delle imprese? L’architettura di governo pubblico-privata della cabina di regia dovrà assicurare una governance forte e necessaria coesione di sistema su obiettivi e strumenti. La politica di crescita un tempo era orientata a stimolare il modello di economia tradizionale, oggi l’economia italiana va ridisegnata del tutto. L’intera politica di sviluppo dovrà puntare su questi nuovi fattori per vedere innalzata la produttività e la competitività del Paese. Devo dire che Calenda ha sposato da subito l’importanza strategica, anzi strutturale, di questo cambiamento per la nostra economia. Dobbiamo cambiare pelle, senza per questo perdere il valore del


P RI M O P IANO / IND UST RI A 4.0

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Mercato digitale business per settore d’utenza

Fonte: NetConsulting cube

territorio ma riaggregando tutti gli elementi positivi intorno alle tecnologie. Il partenariato pubblico provato, unito a un coinvolgimento aperto di tutti i protagonisti di Industria 4.0, fanno di questo Piano un’occasione concreta, la buona occasione per riagganciare la ripresa e tornare a essere competitivi. E Conf industria come si sta muovendo su questo terreno? Come Sistema confindustriale siamo impegnati in grande progetto nazionale di politica industriale “Impresa 4.0 - Trasformazione competitiva digitale delle imprese e del Paese” che si esprime in modo sinergico al Piano governativo. Agendo in modo trasversale ai vari settori - ad oggi sono impegnate 19 federazioni e associazioni di categoria valorizzando e mettendo a sistema le best practices già presenti sul territorio, la via italiana a Industria 4.0 che stiamo tracciando si basa su quattro pilastri. Roadshow territoriali e focus group di informazione e formazione, per far conoscere i fondamentali della trasformazione digitale a imprenditori e amministratori delle

aziende di piccole e medie dimensioni. Creazione di una rete nazionale di Digital Innovation Hub. Punti di innovazione in casa Confindustria, frutto di partenariati pubblico-privati, in cui accentrare competenze, informazioni, accesso alle risorse finanziare, con l’obiettivo di supportare i progetti di trasformazione digitale delle imprese. Per questo i DIH vedono coinvolti una serie di soggetti radicati sul territorio come università, centri di ricerca, enti locali, poli tecnologici, banche, le imprese dell’Ict. Piattaforme di filiera e reti d’impresa 4.0: ecosistemi capaci di supportare gli sforzi delle singole imprese digitalizzando l’intera supply chain. Per questo sosteniamo la realizzazione di piattaforme intorno a ecosistemi tipici del Made in Italy, quali ad esempio, quelli della moda, del turismo, dell’alimentare. Infine, ma non meno importante, la formazione di competenze digitali per i manager e per i dipendenti delle Pmi che riteniamo un pilastro fondamentale dei nuovi processi, che realizzeremo impegnando i fondi bilaterali.


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Storchi, Federmeccanica: «Industria 4.0, la direzione è giusta»

Le intenzioni di investimento dei “non adopters” nei prossimi anni risultano decisamente inferiori rispetto a quelle dichiarate dagli “adopters”. Ed è proprio qui che bisogna agire, velocemente. «In assenza di azioni correttive il divario tra le imprese più avanzate e quelle più arretrate sarà inevitabilmente destinato ad accentuarsi» di Raffaella Venerando

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residente, Federmeccanica ha realizzato un’indagine presso le imprese associate per capire a che punto sono rispetto alla digitalizzazione della manifattura. Cosa è

emerso? Federmeccanica, consapevole dell'importanza del tema “Industry 4.0” ha costituito la Task Force “Liberare l’ingegno”, composta da rappresentanti del mondo associativo, accademico e imprenditoriale; tale gruppo di lavoro dopo aver individuato 11 tecnologie abilitanti (dalla Stampa 3D alle nanotecnologie, dalla Meccatronica alla Robotica; passando per l’Internet of

Fabio Storchi presidente Federmeccanica

Things), ha condotto un’indagine presso le imprese associate per definire insieme un percorso strutturato e “accompagnare” le aziende manifatturiere verso una graduale digitalizzazione e la nuova “fabbrica intelligente”. L’analisi, presentata a Roma lo scorso 21 settembre e disponibile sul nostro sito (http:// federmeccanica.it/industria40), si basa su un campione di 527 imprese. I risultati emersi sono estremamente interessanti, un dato su tutti da cui partire: il 64% delle imprese campione (definite “adopters”) dichiara di avere adottato almeno una delle 11 tecnologie considerate; mentre il 36% (le “non-adopters”) dichiara di non averne adottata alcuna. Il ritardo delle imprese italiane sul tema “Industry 4.0” resta però significativo: le intenzioni di investimento dei “non adopters” nei prossimi anni risultano decisamente inferiori rispetto a quelle dichiarate dagli “adopters”. Ed è proprio qui che dobbiamo agire, velocemente. In assenza di azioni correttive il divario tra le imprese più avanzate e quelle più arretrate sarà inevitabilmente destinato ad accentuarsi. Il nostro ruolo è proprio quello di agire come “nodo intelligente”, promuovere e diffondere la cultura dell'innovazione, come indispensabile driver di competitività e crescita dell'Industria italiana. In merito alle attese delle imprese invece? Dalla nostra indagine emerge con chiarezza che le imprese si aspettano da Federmeccanica una informazione puntuale circa gli strumenti finanziari a supporto degli investimenti, siano essi a livello nazionale o europeo, nonché l’aggiornamento e la sensibilizzazione degli imprenditori e lo sviluppo di una campagna di comunicazione che individui aziende campione e diffonda nel sistema “buone pratiche”. Bisogna quindi comunicare la "buona novella”, spiegando agli imprenditori che può trattarsi anche di un processo graduale con limitati investimenti e utilizzando gli impianti esistenti, ma che va


P RI M O P IANO / IND UST RI A 4.0 iniziato, con urgenza. Da ciò il nostro slogan "iniziare in piccolo, già da domani, ma pensando in grande". Sì dunque alla gradualità, ma all'interno di un progetto ampio e con una visione complessiva anche di politica industriale. Il Piano del governo prevede 23 miliardi di euro, in quattro anni, 13 di incentivi f iscali e 10 di investimenti. Basteranno a dare vita alla “rivoluzione delle rivoluzioni”? Noi preferiamo parlare di “evoluzione” più che di “rivoluzione”, poichè come detto può trattarsi anche di un processo “graduale”; inoltre “rivoluzione” è un termine che potrebbe spaventare ingiustificatamente gli imprenditori. Per quanto attiene il Piano probabilmente non sarà sufficiente ad affrontare un fenomeno così importante come “Industry 4.0” ma dimostra che il governo ha preso in carico l’impegno di avviare un progetto di politica industriale assente da molti anni nel nostro Paese. Quali saranno i vantaggi per le piccole e per le grandi? Per le piccole imprese sarà possibile massimizzare l'utilizzo degli impianti, renderli più affidabili e capaci di produrre i beni in quantità e qualità adeguate, rendere più flessibili le proprie linee produttive, guadagnare in produttività. E non sarà certo infrequente vedere piccole aziende inventare nuovi prodotti e nuovi modelli di business. Le grandi, in aggiunta a ciò, potranno essere sempre più orientate al cliente grazie all’accesso ad informazioni direttamente provenienti da essi. Esempi ce ne sono già, ma l’inventiva unita alla tecnologia ci riserverà molte sorprese. Bisogna però sottolineare che non esistono più vantaggi competitivi di lunga durata. É necessario dunque evidenziare anche i rischi e gli svantaggi di rimanere indietro. Sarebbe come pensare che chi è rimasto al telaio mosso da macchine a vapore possa competere con moderni impianti di filatura. Alla lunga non ci sarà spazio per questo. Cosa spingerà a innovare quelle aziende che ritengono non necessario investire in digitale? Decidere di non investire oggi è come se all'inizio dell'era delle macchine a controllo numerico si fosse deciso di non adottare quella tecnologia. Con torni e fresatrici manuali ci si sarebbe trovati in poco tempo fuori mercato. Ma d'altra parte bisogna ribadire alle imprese più “scettiche” che è possibile entrare un passo alla volta in questo nuovo paradigma ricordando ad esempio, che sensori capaci di rilevare un numero impressionante di grandezze fisiche hanno costi irrisori. Con meno di 150 euro e un PC si può fare una prima incursione nelle nuove tecnologie e metterle a frutto massimizzando l'utilizzo di un macchinario. Come sempre

8 avviene poi, il buon esempio della “porta accanto” sarà uno stimolo. Solo che la porta accanto questa volta potrà essere l’azienda di Sidney, di Toronto o di Shanghai, in grado di soffiare un cliente o un prodotto grazie a costi, qualità o user feedback migliori. Abbiamo testimonianze di interi distretti industriali che si sono salvati grazie allo sforzo di innovazione e di rinnovamento tecnologico. Al contrario, abbiamo purtroppo interi distretti che soffrono per non aver avuto coraggio e lungimiranza nell'accettare la sfida e rilanciare. Come saranno formate le competenze necessarie previste da Industria 4.0? Con interventi di formazione continua, attraverso l’alternanza formativa e collegando in rete scuola, ricerca e impresa come ha programmato il governo nel Piano per Industria 4.0 e nel Piano Scuola Digitale. Le imprese, soprattutto quando innovano, sono chiamate a riqualificare le proprie persone. In questo senso, il diritto soggettivo alla formazione continua, estesa a tutti i lavoratori, che Federmeccanica ha proposto nell’ambito del Rinnovamento contrattuale, offre uno strumento essenziale. Relativamente alla formazione di nuove professioni, ritengo ampiamente condivisibile e di grande visione il Piano del Governo per Industria 4.0, con obiettivi concreti da realizzarsi entro il 2020. Particolarmente interessante è la previsione dei Digital Innovation Hub, partecipati da poli universitari di eccellenza, che hanno l’obiettivo di trasformare la ricerca di base in trasferimento tecnologico, dei Competence Centre quali laboratori di traino verso l’innovazione del sistema universitario e industriale, nonché l’investimento nella formazione di 200.000 studenti universitari e di 1.400 dottorati di ricerca specializzati su Industria 4.0 e nel raddoppiare il numero degli iscritti agli ITS per formare, in 2 anni, quadri intermedi sui temi I40. Queste misure sono importanti perché propongono un percorso di trasformazione della filiera della conoscenza che va di pari passo con la trasformazione dei processi produttivi affidandone la regia a tutti gli stakeholder, pubblici e privati, coinvolti in questa grande evoluzione verso Industria 4.0. Il controllo sull’attuazione delle misure spetta a una cabina di regia di cui Conf industria è parte. Non solo politica, quindi. Questo che garanzie offre al sistema delle imprese? “Industry 4.0” è una sfida che coinvolge l’intero Sistema Paese. É dunque fondamentale che il mondo delle imprese rappresentato da Confindustria sieda al tavolo dove si discute del nostro futuro. E noi siamo pronti ad offrire al Governo tutte le nostre conoscenze e competenze nell'interesse delle imprese associate, consapevoli del processo di cambiamento che queste dovranno affrontare.


L' O PI N I ONE

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Mottura, Willis Towers Watson: «Da pionieri a leader nei servizi di welfare»

Come spiegato dal sales manager H&B Italia, Mauro Mottura, è ampio il carrello della spesa offerto dalla società che oggi conta 22.000 dipendenti sotto contratto di flexible benefits e 67 piani di welfare. «Ci siamo evoluti e abbiamo evoluto la nostra offerta insieme a questo trend di mercato che, impattando positivamente su reddito, fiscalità, motivazione e produttività, produrrà effetti virtuosi» di Raffaella Venerando

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uali sono le caratteristiche chiave del vostro servizio di welfare per le reti di impresa? La nostra piattaforma di flexible benefit per i dipendenti consta in una offerta ricca di prodotti e servizi che vanno dai rimborsi dei libri scolastici all’acquisto a condizioni vantaggiose di attività ludico-ricreative: pensi agli abbonamenti in palestra, a buoni vacanze, piuttosto che a ticket per le spese di carburanti e molto altro. Senza dubbio, quindi, il primo elemento caratterizzante del nostro servizio di welfare è quello di consentire all'azienda di dimensioni medio-piccole, o tendenzialmente piccole, di scegliere un paniere di servizi esattamente uguale a quello cui accede una grande azienda. Un esempio: in un progetto di rete di impresa l'azienda da 10 dipendenti gode dello stesso livello qualitativo e quantitativo di beni di un'azienda con 2000 dipendenti. Senza la nostra intermediazione non sarebbe possibile. Questo indipendentemente dal numero di aziende che compongono la rete? Sì, certo. Il livello qualitativo offerto è lo stesso per ciascuna azienda aderente alla rete. Un altro esempio: un’azienda piccola campana con 30 dipendenti, muovendosi in autonomia, potrebbe accedere a un mercato di welfare con un servizio di livello - qualitativo e quantitativo - medio basso. Aderendo, invece, a un progetto di rete potrebbe ottenere lo stesso pacchetto che noi offriamo a un'azienda italiana di telecomunicazioni che conta 6000 dipendenti, ovvero un carrello della spesa completo di tutte le voci sia per quanto riguarda il convenzionamento diretto, sia per la parte rimborsuale. Con la rete si realizzano alti indicatori di performance a costi condivisi fra le aziende aderenti e, tutto sommato, contenuti, tenuto conto dell’ottimo livello di servizio

Mauro Mottura sales manager H&B Italia offerto attraverso una piattaforma tecnologica molto avanzata e di facile utilizzo, che consente ai dipendenti una completa autonomia nella gestione dei valori assegnati, e il tutoring. Esistono altri vantaggi non immediatamente calcolabili? Per welfare aziendale si intende l’insieme di benefit e servizi che l’azienda può offrire ai dipendenti per migliorarne la vita lavorativa e privata in una prospettiva di migliore conciliazione vita-lavoro. È l’esplodere, e speriamo il consolidarsi, di una nuova filosofia di vita e di lavoro che, a conti fatti, aumenta la produttività e riduce l’assenteismo. Un traguardo doppio difficilmente raggiungibile. A oggi qual è la risposta delle aziende? Al di là dei numeri concreti, la partita in corso ha messo in moto un processo di rinnovamento culturale. Siamo di fronte a un cambiamento epocale per i dipendenti che sono certo con il tempo capiranno che conviene di più sottoscrivere piani pluriennali di investimento, anziché una retribuzione annuale lorda in concreto meno vantaggiosa. Tre anni fa siamo partiti con un progetto di welfare per una nota società sportiva che prevedeva un bonus speciale il cui totale era suddiviso per metà in ral e l’altra metà erogato sotto forma di welfare. Bene, l’anno successivo i calciatori hanno deciso di convertire l’intero premio in welfare ritenendo questa via la più redditizia.


L' O P I N I ONE

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Le opportunità del welfare aziendale: soluzioni e servizi La Divisione Employee Benefits e Welfare Assiteca si occupa dell’analisi, sviluppo e gestione di programmi e servizi dedicati al capitale umano e definisce soluzioni innovative e personalizzabili in collaborazione sia con il primario mercato assicurativo, sia con provider di servizi specializzati e di comprovata esperienza

Alessia Maggiani direttore Divisione Employee Benefits e Welfare Assiteca SpA

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i parla e si scrive di welfare per molte valide ragioni. Tra le principali dinamiche di causa-effetto, ne sottolineiamo due. La prima: aumentano i bisogni sociali e si allungano le aspettative di vita. A questa corrisponde uno specifico effetto: diventa fondamentale, infatti, saper governare il cambiamento e l’invecchiamento della società. Una seconda causa è, invece, relativa alla riduzione dell’intervento pubblico nello stato sociale. L’effetto corrispondente è che si fa necessario l'intervento privato per sostenerlo e integrarlo. Il welfare aziendale è una necessità contemporanea e globale, con impatti molto diversi tra i paesi in funzione della loro storia. Le iniziative messe in atto creano inoltre un circolo virtuoso con effetti di rilievo sull’economia del paese. L’assistenza sanitaria integrativa e il cosiddetto wellness rispondono per esempio a necessità non coperte dal welfare pubblico; l’assistenza agli anziani, attraverso contributi a colf e

badanti, integra il pubblico e fa contemporaneamente emergere il fenomeno del lavoro nero. In Italia il welfare è un tema trasversale, ormai indipendente da settore e dimensione dell’impresa. Negli ultimi cinque anni si è passati da pochi progetti sviluppati, con grande coraggio, da grandi imprese multinazionali finanziate e sollecitate dalle loro case madri, a iniziative di realtà con poco più di 10 dipendenti. Se prima le aziende più interessate erano società finanziarie e di servizi (grandi banche soprattutto), ora è l’industria metalmeccanica che, specialmente in sede di rinnovo degli accordi di secondo livello, inizia a porre sul tavolo il tema del welfare. Se prima c’era una sostanziale “freddezza” delle rappresentanze sociali, ora il welfare è divenuto il primario veicolo di comunicazione tra le parti, con varie forme e a vari livelli. Se prima le iniziative difettavano di visibilità, ora non passa giorno che non si legga sui giornali di progetti di welfare. In questo senso la comunicazione è, in-


11 sieme alla tecnologia - intesa anche come “fruibilità” delle iniziative e possibilità del dipendente di averne accesso -, un tema fondamentale per il successo dei piani di welfare e il raggiungimento degli obiettivi che le parti coinvolte si sono poste. Legge di Stabilità 2016: un punto di svolta L’inserimento nella Legge di Stabilità 2016 di particolari innovazioni in tema di welfare ha tracciato una linea di separazione molto netta tra ieri e oggi. Il 2016 è l’anno di svolta per il welfare aziendale italiano, finora costretto legislativamente in tentativi di realizzazione più o meno borderline. Occorre risolvere ancora molti temi, primo tra tutti la libera scelta di destinazione di parte della retribuzione, fissa o variabile che sia, in beni e servizi, così come già avviene in altri paesi europei, prima tra tutti la Spagna. Occorre riordinare in modo definitivo l’assistenza sanitaria integrativa superando il distinguo tra lavoratore dipendente o autonomo, causa di forte discriminazione. Occorre razionalizzare il mondo dei provider dei servizi più necessari, quali sanità, assistenza e istruzione. Ma siamo certi che, negli anni a venire, proseguendo sulla strada tracciata, le eccellenze di welfare aziendale, tra cui quelle messe in luce dal Premio Assiteca 2015, diverranno sempre più numerose, visibili e importanti a vantaggio di tutti i lavoratori e, in generale, del sistema Italia. In particolare la Legge di Stabilità ha introdotto: • nuovi benefit agevolati: assistenza a familiari anziani/non autosufficienti; • più ampie possibilità per

benefit già agevolatiin passato: servizi di utilità sociale, spese scolastiche, possibilità di offrire i benefit mediante voucher; • tassazione agevolata per i premi di produttività. La Divisione Employee Benefits e Welfare Assiteca Introdurre il welfare in azienda significa agire sullo schema retributivo del lavoratore, cambiandone il paradigma e impattando positivamente su reddito, fiscalità, motivazione e produttività.La Divisione Employee Benefits e Welfare Assiteca si occupa dell’analisi, sviluppo e gestione di programmi e servizi dedicati al capitale umano e definisce soluzioni innovative e personalizzabili in collaborazione sia con il primario mercato assicurativo, sia con provider di servizi specializzati e di comprovata esperienza. Assiteca è inoltre broker di CASSA - Cassa Autonoma di Servizi Sanitari e Assistenziali, che eroga prestazioni e servizi a elevato valore aggiunto. L’adesione ai programmi assistenziali diCASSA permette di usufruire di prodotti estremamente vantaggiosi, che offrono garanzie esclusive e servizi all’avanguardia sotto il profilo normativo (fiscale e contributivo) ed economico, grazie alle economie di scala garantite dalla numerosità delle aziende iscritte. Assiteca e CASSA mettono a disposizione tutti gli strumenti, le competenze e le tecnologie per costruire programmi di flexible benefit e di welfare aziendale per piccole e medie imprese e per grandi realtà, con servizi dedicati alle diverse categorie di dipendenti (dirigenti, quadri, impiegati, operai), così come agli amministratori e ai soci d’impresa.

Le attività della Divisione Consulenza per analisi, disegno e gestione dei piani: analisi dei piani esistenti, disegno e realizzazione dei piani employee benefit, analisi di benchmarking, indagini interne tramite focus group e survey online, analisi demografiche e di clima. Consulenza per il welfare aziendale: disegno, implementazione e gestione piani di welfare aziendale/piani di flexible benefit, analisi della spendibilità di un piano welfare, analisi delle fonti di finanziamento, consulenza legale, fiscale e giuslavoristica. Gestione delle soluzioni e dei servizi: programmi e servizi employee benefit (assistenza sanitaria, vita, infortuni, LTC, previdenza integrativa ecc.), servizi tempo libero, servizi trasporto pubblico, altro (educazione, istruzione, buoni spesa, carburante ecc.). Strumenti e tecnologia: piattaforma tecnologica integrata, upload documenti di spesa, integrazione flussi di payroll, gestione benefit, personalizzazione look & feel, gestione finanziaria dei benefit (centrale di acquisto), assistenza dedicata (chat, ticket). Gestione della comunicazione: predisposizione di piano di comunicazione, brochure e guide al piano, incontri con i dipendenti. Riferimenti sede Salerno Assiteca S.p.A. Via F.lli de Mattia, 6 - 84123 Salerno Tel. 089.5647921 E-mail: salerno@assiteca.it


L' O PI N I O NE

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Welfare, il bello di vivere e lavorare a Salerno Dino Giordano, socio fondatore della Giordano Associati, illustra il progetto che agevola lo scambio orizzontale tra realtà aziendali diverse e professionalità multiple. «È nato così un primo nucleo di una community che ha avviato la co-creazione di officine e servizi di benessere inter-aziendali a chilometro e costo zero, mettendo a fattor comune risorse e competenze già immediatamente disponibili sul territorio» di Raffaella Venerando

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ottor Giordano, quello cui il suo gruppo sta lavorando è un progetto di welfare di territorio. Quali sono i punti chiave del vostro lavoro? In verità parliamo di un progetto di Welfare Sinergico Territoriale, di cui è ambassador la dottoressa Bianca Barone, i cui ingredienti sono: benessere privato, sinergia inter-aziendale e sostenibilità a chilometro zero. Il 25 novembre 2014 fu pubblicato un primo lavoro collaborativo svolto in Confindustria Salerno che si intitolava “Dentro la fabbrica, il cambiamento comincia qui e ora”. Ho introdotto allora un primo discorso su #WelfareinSalerno, evidenziando la necessità di spostare il dibattito dal mero fattore di erogazione di servizi in convenzione o problematiche di disponibilità economica dell’azienda, ad aspetti primariamente culturali che connotano il patto psicologico tra dipendente e imprenditore nel nostro territorio. Esiste oggi, come allora, infatti, una peculiarità nelle relazioni che vengono vissute all’interno delle nostre aziende che è data dal tessuto sociale del nostro territorio e dal fattore culturale, per cui una politica di servizio - ad esempio

su prodotti previdenziali scontati per tutti i collaboratori - è molto meno efficace di un intervento liberale a favore di un singolo nucleo familiare all’interno della stessa azienda. Il fattore differenziante, a mio avviso, non è solo la capacità di investimento dell’imprenditore, quindi l’ammontare del premio erogato o la percezione del valore del servizio che sostituisce quel premio, quanto piuttosto la soddisfazione di un bisogno reale preso in carico in una forma di cura della persona che non lascia intendere altri scopi e finalità sottese se non il benessere della persona stessa e del suo nucleo familiare. La fedeltà all’impresa non è più garantita dal lavoratore perché la promessa di stabilità non può essere più mantenuta. Il crash che si è generato nel patto psicologico ha fatto sì che il lavoratore non sia più sereno nell’affrontare scelte su politiche retributive, quali quelle di welfare. #WelfareinSalerno realizza un modello di welfare sinergico nella misura in cui prende in carico la problematica del patto psicologico tra imprenditore e dipendente e inizia a lavorare sul fattore culturale per una riscrittura del patto stesso. È per questo che abbiamo oggi realizzato un manifesto del

Dino Giordano Socio fondatore della Giordano Associati benessere in azienda, come primo atto di volontà di inclusione rivolto sia agli imprenditori che ai dipendenti, in cui il benessere della persona è il punto di partenza e non di arrivo nella creazione di servizi. Siamo quindi partiti dalla convinzione che sia il singolo a poter agire un cambiamento. Privato è per noi sia sinonimo di “azienda privata” che di “persona”. Ci piace pensare che il collaboratore e l’imprenditore stipulando un nuovo patto psicologico possano entrambi essere promotori di benessere per la


13 comunità in cui agiscono. Il singolo collaboratore, al tempo stesso cittadino, prima di iniziare a scegliere il servizio prende consapevolezza dell’azione di valore che l’azienda sta compiendo per il territorio e poi decide come investirlo in termini di tempo, credito o esperienza nella partecipazione a quelle che abbiamo definito “officine del benessere”. Per facilitare queste modalità collaborative e inter-aziendali di lavoro ho messo a disposizione delle aziende il nostro gruppo di professionisti che, grazie a un sistema anche di co-creazione di servizi tra più aziende, sta riuscendo a raggiungere una sostenibilità economica del modello. La nostra ambizione è quella di introdurre poi una misurazione di impatto sociale.

mercato locale ma, all’opposto, essere attenti ai processi di innovazione al punto da considerare la propria azienda una piattaforma aperta i cui primi portavoce siano i collaboratori stessi.

Dodici sono le aree individuate: quali? Vanno dalle aree di bisogno fisiologico quali Salute, alimentazione, Sicurezza, a quelle volte a soddisfare bisogni di sicurezza per sé e la propria famiglia: previdenza, famiglia, mobilità; alla copertura di servizi per il benessere, il proprio equilibrio di vita e lavoro e la realizzazione personale; sport, lavoro agile, formazione, autorealizzazione; alla cura per la collettività: impegno sociale e sostenibilità. Per individuare le aree di welfare, oltre che sulla nostra esperienza, ci Nella sintesi del progetto ricorre spesso la siamo confrontati con l’indice del parola “cambiamento”. Ciascun soggetto welfare per le PMI voluto anche da coinvolto deve esserne portatore sano… Confindustria, che ha visto la sua Oggi il nostro ruolo di professionisti prima sperimentazione quest’anno delle risorse umane è sempre più quello e si candida a essere un benchmark di essere anticipatori e abilitatori del nazionale. Noi, rispetto a quell’indicambiamento. Ci troviamo immersi in ce, abbiamo aggiunto una valenza e relazioni complesse che hanno bisogno un’attenzione in più ai processi di indi essere esplicitate perché la prima gaggio e autorealizzazione dell’indiviazione del cambiamento nasce dalla duo e alla sostenibilità ambientale. consapevolezza. Con il progetto di #WelfareinSalerno, la prima iniziativa Tempo, beni, servizi e competenze del messa in campo è stata quella di singolo messi a fattor comune: ci spiega realizzare un manifesto culturale cui è come? possibile contribuire e sottoscrivere. Abbiamo chiesto ai firmatari del Prima che il raggiungimento di obiettivi comuni per poter agire in direzioni che soddisfino tutti gli stakeholder, vi è l’accordo sui valori e l’identità culturale. Ciò che unisce gli imprenditori e i singoli che hanno iniziato a sottoscrivere il manifesto è il valore di essere agenti di una economia di territorio, che non significa necessariamente essere orientati al

manifesto di partecipare alle attività di progetto donando tempo. È nato così un primo nucleo di una community che ha avviato la co-creazione di officine e servizi di benessere inter-aziendali a chilometro zero e costo zero, mettendo a fattor comune risorse e competenze già immediatamente disponibili. È un processo di lavoro che segue il flusso dei suoi stessi partecipanti, agevolando lo scambio orizzontale tra realtà aziendali diverse e professionalità multiple. In questo modo riteniamo sia anche possibile la contaminazione di saperi e la sperimentazione di nuovi modi di lavorare in forma collaborativa. Tutti elementi questi che contribuiscono alla scoperta di talenti, alla valorizzazione e all’attrattività del territorio. Quali i benef ici immediati per il lavoratore, l’azienda e la comunità? Benefici immediati per il collaboratore sono il consolidamento del rapporto fiduciario, la motivazione, il senso di appartenenza e il miglioramento della qualità delle relazioni di lavoro anche riflesse sulla propria vita privata. Questo nell’immediato, anche se, mi consenta, noi stiamo lavorando ad un obiettivo di medio periodo che è il rafforzamento della cultura del bello di vivere e lavorare nel territorio di appartenenza.

Soci e collaboratori della Giordano Associati


FO C U S

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Innovazione e creazione di valore: il settore farmaceutico nel Mezzogiorno I dati di una ricerca condotta di recente da SRM, in collaborazione con Farmindustria, evidenziano un Sud che vanta una posizione di rilievo in ambito nazionale con un fatturato delle imprese pari a oltre 1 miliardo di euro e un valore aggiunto di 600 milioni di euro (il 6% del dato nazionale) e 2,3 miliardi di export (il 10% del dato nazionale) di Consuelo Carreras Ricercatrice Ufficio Economia delle imprese e del territorio SRM - Studi e Ricerche per il Mezzogiorno c.carreras@sr-m.it

L’

industria farmaceutica in Italia, e più in generale il settore delle tecnologie per le scienze della vita, si caratterizza per un ampio numero di imprese e una solida base produttiva, risorse umane molto qualificate, moderne relazioni industriali, un indotto di eccellenza e un’intensa attività innovativa. É un settore che SRM ha analizzato nell’ambito di una ricerca rientrante nel filone di studi su quelle filiere produttive che meglio esprimono l’idea di un Sud in grado di innovare e produrre. Lavoro cui ha collaborato anche Farmindustria e che è stato presentato nel mese di luglio scorso presso il Banco di Napoli. I diversi approfondimenti contenuti nello studio hanno consentito di ottenere una serie di conferme della sua valenza. É un settore in cui produttività, retribuzioni, export e investimenti per addetti sono notevolmente superiori alla media; effetti tangibili delle opportunità che questo comparto può offrire all’Italia nell’ambito della competizione internazionale. Il nostro Paese è, infatti, il secon-

do hub produttivo in Europa dopo la Germania, grazie al contributo di aziende a capitale italiano e di realtà industriali a capitale estero. La farmaceutica è l’unico settore ad aver aumentato la propria capacità produttiva nel periodo della crisi, con una produzione che è cresciuta tra il 2014 e il 2015 del 5% fino a 30 miliardi di euro. Da circa un biennio le imprese del farmaco si sono impegnate a mettere in atto un piano di sviluppo con investimenti pari a 1,5 miliardi e 2.000 addetti in più in tre anni. Le proiezioni 2016 indicano che, rispetto a quegli impegni, i valori saranno anche superiori (+1,6 miliardi di investimenti e +3mila addetti). La filiera farmaceutica inoltre è particolarmente attiva nell’ambito della Ricerca e Innovazione, con 1,4 miliardi di investimenti nel 2015 (+15% rispetto a due anni fa) la farmaceutica vale quasi il 7% del totale della Ricerca in Italia, investendo il 15% del suo valore aggiunto e trainando il Paese verso l’obiettivo di Europa 2020. In questo contesto il Sud fa la sua parte. I dati evidenziano un Mezzogiorno che vanta una posi-

zione di rilievo in ambito nazionale con un fatturato delle imprese pari a oltre 1 miliardo di euro e un valore aggiunto di 600 milioni di euro (il 6% del dato nazionale) e 2,3 miliardi di export (il 10% del dato nazionale). Sono localizzati al Sud il 6% circa di tutti gli addetti diretti e il 15% degli indiretti di tutta la filiera nazionale. Le regioni trainanti per il comparto sono divenute Abruzzo, Puglia, Campania e Sicilia, ma anche altri territori vantano ormai qualificate presenze scientifiche e aziendali, come esempio la Sardegna, che nel campo delle biotecnologie, della genetica e della genomica può considerarsi un’area con cluster e competenze, studi e produzioni di eccellenza anche a livello internazionale. Sono presenti vasti stabilimenti facenti capo a 14 player italiani ed esteri di medie e grandi dimensioni. I loro impianti – ritenuti di rilievo strategico dai Gruppi di appartenenza – in molti casi dispongono di centri di ricerca e in gran parte producono farmaci per il consumo finale, destinati in percentuali rilevanti anche a mercati interna-


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Innovazione, internazionalizzazione, investimenti in logistica e organizzazione dei processi sono solo alcuni dei principali driver su cui agire per far crescere l’intera filiera

zionali. Rimarchevoli sono stati gli investimenti attuati negli ultimi anni in diversi stabilimenti, soprattutto di multinazionali, per innovazioni di processi e prodotti. In Abruzzo, Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna i siti maggiori delle multinazionali, e molti impianti minori guidati da operatori meridionali, sono ormai inseriti da anni in organismi distrettuali di ricerca con la partecipazione di Università, loro Dipartimenti e altri centri come ad esempio il CNR. La presenza del comparto farmaceutico in quei contesti territoriali ha contribuito a radicarvi o a incrementarvi attività di ricerca applicata, pubbliche e private, favorendo nascita e sviluppo di dipartimenti universitari in farmacologia, chimica e tecnologie farmaceutiche e scienze biotecnologiche, e ad avviarvi prime supply chain per le industrie trainanti. Sono nati così Distretti biotecnologici e di life sciences costituiti da imprese di più settori fra loro interattive e da varie Istituzioni pubbliche. I dati sottolineano anche l’interdipendenza esistente e il contributo dato ai successi di tutta la filiera farmaceutica italiana: 100 euro di produzione farmaceutica nel Mezzogiorno attivano infatti ulteriori 440 euro nel resto del Paese. Il settore dell’industria farmaceutica è dunque presente nell’Italia meridionale, sia pure con varia densità numerica di aziende e produzioni

nelle singole regioni. É un comparto che nel Mezzogiorno ancora non offre numeri importanti, ma la cui significatività è senz’altro crescente. Le difficoltà certamente non mancano soprattutto per le trasformazioni del mercato, ma le imprese di questa filiera stanno dimostrando di aver ben compreso che occorre coniugare la qualità organizzativa e la capacità produttiva con innovazione, tecnologie e sperimentazione. Innovazione, processi di internazionalizzazione, investimenti in logistica e organizzazione dei processi sono solo alcuni dei principali driver su cui agire per far crescere l’intera filiera da sempre progettata e strutturata per “far star bene e in salute il mondo”. C’è ancora molto da fare per poter

portare la struttura produttiva e di ricerca del Mezzogiorno ai livelli di quella nazionale. Non esiste ancora una sufficiente capacità di fare sistema, che riesca a trasformare il sistema produttivo dell’area da un insieme di presenze spesso puntiformi e isolate (anche se singolarmente rilevanti) a sistemi integrati di produzione e di ricerca in grado di dare una forte impronta sulla sua struttura produttiva e sulle sue direzioni di ricerca e innovazione tecnologica. Ci sono però le capacità, gli skill professionali e le potenzialità di investimento per percorrere la strada della crescita e della competitività, anche in questa filiera così rilevante per il suo impatto innovativo e tecnologico sul territorio. Tabella - Alcuni dati di sintesi

Italia

Mezzogiorno

% Mezzogiorno/Italia

Valore aggiunto (mln di euro)

9.213

599

6,5

Fatturato (mln di euro)

28.450

1.080

3,8

N. Unità locali

759

125

16,5

N. Imprese

306

50

16,3

N. Occupati

63.500

3.600

5,7

Export (mln di euro)

21.872

2.282

10,4

Import (mln di euro)

22.106

2.131

9,6

TPA - Traffico Perfezionamento attivo (mln di euro)

4.033

223

5,5


C O N F I N D US TRIA S ALE RNO

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Per Paestum, gran gala alla Tenuta dei Normanni La Fondazione della Comunità Salernitana ha organizzato una raccolta fondi per il restauro della Tomba lucana con Pugili e Arbitro che entrerà a far parte, messa a nuovo, del patrimonio espositivo del sito archeologico magistralmente diretto da Gabriel Zuchtriegel di Raffaella Venerando

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uy Debord, filosofo francese, riteneva che «in un’epoca in cui i progetti sono deboli, bisogna progettare le situazioni». In questo caso il progetto non è debole, ma per sostenerlo è stato necessario congegnare ad arte la “situazione” di gala, organizzata dalla Fondazione della Comunità Salernitana presso il meraviglioso giardino della Tenuta dei Normanni di Salerno lo scorso 15 settembre, in favore del Museo Archeologico di Paestum. Obiettivo della serata una raccolta fondi per il restauro della Tomba lucana con Pugili e Arbitro che entrerà a far parte messa a nuovo del patrimonio espositivo del sito magistralmente diretto da Gabriel Zuchtriegel. Un evento di grande fascino, presentato da Nunzia Schiavone, tutto incentrato sul bello. Padrino d’eccezione Vittorio Sgarbi che, oltre a tenere una lezione accorata sullo stato dell’arte nel nostro Paese ha anche presentato il suo libro “La Costituzione e la Bellezza”. Ospiti d'eccezione Peppe Barra con le sue “narrazioni” e Piera Lombardi, voce profonda del Cilento, che hanno incantato il pubblico presente. Ad offrire, nell'accezione autentica del termine, le note di gusto è stato il Costa del Cilento Coulinary Team, coordinato dal maestro Matteo Sangiovanni. Protagoniste della serata anche le migliori aziende enogastronomiche del nostro territorio che hanno contribuito alla realizzazione dell'evento. L'evento ha visto la partecipazione di un numeroso, qualificato pubblico e registrato una raccolta complessiva di 7.600 euro. Entusiasta la promotrice dell’evento Antonia Autuori, presidente Fondazione della Comunità Salernitana: «La Fondazione non è nuova a iniziative a sostegno della conservazione e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico della nostra comunità. È la prima volta

però che ci proviamo in un esperimento del genere che, potremmo dire, ha risocializzato la cultura. La storia di Paestum è la nostra, la sua arte è un bene collettivo, che va tutelato e tramandato ancora. Prendersi cura del patrimonio oggi significa investire nel capitale culturale e sociale di un territorio, ed è esattamente questo uno dei filoni della nostra Fondazione. È stato motivo di grande orgoglio vedere quanto interesse, quanta partecipazione, quanta amicizia ha riscosso la nostra serata per Paestum. Ciascuno dei partecipanti ha donato in questa occasione denaro ma anche il proprio tempo, il proprio slancio, la propria voglia di partecipare ad un progetto comune».

Antonia Autuori, Nunzia Schiavone, Gabriel Zuchtriegel


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Di pari soddisfazione quella di Maria D’Amato, general manager di Tenuta dei Normanni: «Prendersi cura del proprio territorio e del suo patrimonio artistico-culturale è compito di tutti, lo è ancor di più per chi vi opera. Abbiamo, come imprenditori, la responsabilità dello sviluppo del nostro territorio e la cultura è una delle leve più importanti. Il mio impegno in questo progetto nasce in un giorno di primavera, durante una visita al Museo con il gruppo di Confindustria, guida d'eccezione Gabriel Zuchtriegel. Un'emozione che si è trasformata in un progetto concreto, proposto all'istante e successivamente sviluppato, in uno, con la Fondazione della Comunità Salernitana, quale Ente garante. La Tenuta dei Normanni si candida ad essere polo culturale di riferimento per eventi a sostegno dei nostri beni artistici e culturali. Sono fermamente convinta che investire in cultura sia lo strumento principe per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Altrettanto convinta che sia un volano per l'occupazione dei nostri giovani talenti. Partecipare al rilancio di Paestum, sito unico al mondo, condividere il nuovo percorso di sviluppo del sito con Gabriel Zuchtriegel è stato per me un privilegio».

«Prendersi cura del patrimonio oggi significa investire nel capitale culturale e sociale di un territorio, ed è esattamente questo uno dei filoni della nostra Fondazione»

Antonia Autuori


C O N F I N DUS TRIA S ALE RNO

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Osservatorio professioni, moltiplicatore di sviluppo I Giovani Professionisti e i Giovani Imprenditori Salernitani insieme per portare al centro dell’azione la centralità del valore dell’inclusione sociale e della riqualificazione del territorio

Francesco Giuseppe Palumbo presidente Giovani Imprenditori Confindustria Salerno

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on grandi ambizioni il 14 settembre scorso abbiamo presentato alla stampa, nella sede di Confindustria Salerno, l’Osservatorio delle Associazioni Giovani Professionisti e Giovani Imprenditori Salernitani (in sigla SAL.P.O.) che mi vede ricoprire il ruolo di coordinatore. Vice coordinatore è invece Mariagrazia Montera, dell’Associazione Giovane Avvocatura Salernitana AGAS), mentre il segretario è Claudio Zulli, dei Giovani Medici di Salerno. L’organismo interprofessionale, costituito dai rappresentanti delle maggiori realtà giovanili delle principali categorie professionali e imprenditoriali presenti sul territorio salernitano, si propone di avviare fin da subito un dialogo continuo e costante con le istituzioni locali per portare al centro dell’azione la centralità del valore dell’inclusione sociale e della riqualificazione del territorio. Abbiamo scelto di mettere a fattor comune moltiplicativo le diverse sensibilità e competenze che sul nostro territorio

si esprimono; SAL.P.O. vuol dire infatti l’esperienza di giovani avvocati, ingegneri, imprenditori (che vanno dal settore agricolo, alle costruzioni, al conserviero) medici, dottori commercialisti, commercianti e geometri che già si adoperano per il territorio perché territorio significa luogo di lavoro, condizioni sociali, qualità della vita. Entro fine anno renderemo noti alle istituzioni locali due progetti su cui da subito ci siamo concentrati. Uno riguarda la riqualificazione territoriale di alcune aree degradate, l’altro ha invece una più smaccata validità sociale. Le idee non mancano, né a noi, né alla città. Ciò che invece troppo spesso si è rivelata debole è la caparbietà di voler concludere e di realizzare quelle idee. L’Osservatorio vuole riuscire proprio in questo scopo, ripartendo dall’essenziale e dando sostanza reiterata e costante al confronto tra istituzioni e territorio perché i progetti non restino solo tali ma si concretizzino, con la capacità di guardare oltre le necessità del giorno stesso o, al massimo, del giorno dopo.


STRATEGIE D I IM PRE S A

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Il sigillo ufficiale di Gio Ponti per la Ceramica Francesco De Maio È stato uno straordinario successo di pubblico la presentazione al Cersaie 2016, il Salone internazionale di Bologna della ceramica per l'edilizia e l'arredobagno, del sigillo ufficiale del maestro Gio Ponti alla nuova collezione della Ceramica Francesco De Maio “Blu Ponti” di Vito Salerno

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spite d’eccezione dell’evento di presentazione realizzato in uno stand completamente dedicato a Gio Ponti è stato Salvatore Licitra, nipote del grande artista, intervenuto per l’occasione con Aldo Colonetti, filosofo, storico e teorico dell'arte, del design e dell'architettura, studioso di Gio Ponti, Gianni De Maio, amministratore unico della Antiche Fornaci D’Agostino e Patrizia Famiglietti, direttore creativo della Ceramica Francesco De Maio. L’azienda campana Ceramica Francesco De Maio sarà esclusivista per 5 continenti (Europa, America, Africa, Oceania e Antartide) dei decori di Gio Ponti, realizzando piastrelle con i medesimi smalti, supporti e colori da lui creati, nel segno della continuità della tradizione ceramica tra passato, presente e futuro. La Ceramica Francesco De Maio ha ottenuto, infatti, la licenza originale per la riproduzione dei trenta decori bianco e blu che Gio Ponti realizzò tra il 1960 e il 1962 per l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento, il primo hotel design al mondo. L’autorizzazione alla riproposizione dei decori del

stampa a mano Gio Ponti

designer, uno dei più importanti nel panorama internazionale, è stata concessa alla Ceramica Francesco De Maio perché ne ha assicurato la riproduzione fedele e per essere tenutaria del know-how della ex Ceramica D’Agostino di Salerno. Il grandissimo architetto e designer Gio Ponti, fautore dell’industrial design e grande estimatore dell’artigianato, tra la fine degli anni ’50 e

gli inizi degli anni ’70, amava venire a Salerno alla ex Ceramica D’Agostino. Qui studiò il rinnovamento del linguaggio della ceramica e, enfatizzando il contesto territoriale attraverso colori e tratti geometrici e naturalistici, ideò le celebri maioliche “Blu Ponti”, che oggi la Ceramica Francesco De Maio ripropone per unire artigianalità, territorialità e design in un fare tutto italiano.


S TRATEGIE D I IM PRE SA

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Aletex, la stoffa dei sogni Tre linee di business - tradizionale, moda Positano e costumi da bagno - per l’azienda tessile di Buccino che di anno in anno si rinnova tessendo centinaia di preziosissime novità

di Raffaella Venerando

l'Aletex srl si è posizionata sul mercato con altre due linee di business: la moda Positano e i costumi da bagno. Il business tradizionale è rivolto alle imprese converter, agli importatori e ai grandi confezionisti di abbigliamento in Italia. Questi consegnano il tessuto alla Aletex perché lo nobiliti attraverso numerose lavorazioni che vanno dalla semplice preparazione, magari per una successiva tintura in capo, alla stampa (tradizionale, con coloranti reattivi, dispersi, acidi o pigmenti oppure in digitale), alla tintura o alla ritintura, alla modifica dell'aspetto tattile, ammorbidendolo Impianto Aletex o irrigidendolo, oppure a una correzione strutturale del tessuto, che ne ome l’araba fenice c’è un’im- tradizionale, digitale e nella tintura di aumenti le dimensioni o lo compatti presa nel Salernitano che è tutte le fibre tessili (cotone, viscosa, così da evitare restringimenti anomali stata brava a rinascere più nylon, lino, poliestere, seta, e tutte le una volta realizzati i capi. Una serie forte di prima dalle ceneri altrui. È la fibre miste), mettendo a punto un di processi complessi resi facili per la Aletex di Buccino, che nel 2011 ha nuovo processo produttivo che mette Aletex grazie al possesso di numerosi raccolto la buona eredità della Stam- in risalto la forza, la brillantezza e la macchinari capaci di offrire altissima patex recuperandone lo stabilimento e solidità del colore denominato “Color flessibilità e alle numerose professiole valide professionalità che vi opeLife System”. Oltre al business della nalità che, nel corso del tempo, hanno ravano e avviando, insieme a queste, nobilitazione del tessuti in conto terzi, maturato solida esperienza nella un nuovo sfidante inizio. L’azienda ereditato dalle “ceneri” Stampatex gestione delle infinite variabili che oggi si è specializzata nella stampa ma ottimizzato, corretto e rilanciato, caratterizzano il mondo tessile.

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21 La seconda tipologia di business è rivolta a tutti quegli artigiani che rendono ancora la cosiddetta “moda Positano” unica nel mondo. La Aletex srl partecipa a questa unicità acquistando lini, pizzi e ricami che, in azienda, vengono trasformati (con tutte le tipologie di lavorazioni eseguibili al suo interno) e forniti ai vari produttori della zona positanese che, a loro volta, rielaborano questi tessuti dando vita a uno stile intramontabile, famoso in tutto il mondo. Ultimo nato in casa Aletex è, infine, il business della produzione dei costumi da bagno. Grazie alla leva della conoscenza del mondo dei tessuti, l’azienda con sede a Buccino è riuscita nel creare per le donne costumi da scegliere al di là della semplice gradevolezza estetica. Due le linee mare: Wow bikini (wowbikini.it) per i negozi al dettaglio e Whykini (whykini.it) per on line. Tutti i capi sono realizzati con tessuti morbidissimi al tatto, ad altissimo grado di asciugatura (il costume asciuga in un tempo ridottissimo) e con colori molto brillanti. Una collezione che, di anno in anno, conquista sempre più seguito per il suo gusto fresco, esotico e giovanile. Anche la rete distributiva della linea costumi si allarga sempre di più, con rappresentanti regionali in Sardegna, Sicilia, Puglia, Campania, Lazio, Emilia Romagna e Lombardia. Prossimi obiettivi da centrare, Toscana, Veneto e Liguria. Oltre ad essere ben presente sul territorio italiano, la Aletex sta lavorando anche per approdare su altri lidi, come ci racconta il direttore generale Umberto Lettieri: «Siamo attualmente concentrati sull’internazionalizzazione del marchio Wow bikini, attraverso innanzitutto la partecipazione alle più rinomate fiere di settore. Al momento abbiamo un

distributore ad Atene che ci cura sia la Grecia, sia Cipro, stiamo attuando una vasta azione di penetrazione del mercato francese insieme all'ICE di Parigi, in Germania abbiamo trovato un ottimo punto vendita nella zona di Francoforte disposto a farci da tester per il mercato tedesco, mentre in Russia abbiamo convinto un valido distributore a realizzare una collezione adatta alle esigenze locali a partire dalla stagione 2018. Il nostro

brand, versatile ma romantico, può essere interpretato in ambienti molto diversi senza che si perda l’amalgama di gusto e di ricerca estetica che lo contraddistingue. Non a caso a sud di Prato non esiste un’altra stamperia capace di fare quello che facciamo noi, raggiungendo il nostro livello di eccellenza, di qualità e di esperienza». Oggi Aletex, con all’attivo trenta dipendenti, ha un andamento in crescita, con un più 15% l’anno in termini sia di quantità, di metri lavorati, sia di fatturato. L’araba fenice dei tessuti ha però ancora voglia di crescere, di spiccare il volo. Ha in serbo, infatti, un progetto di ricerca molto articolato e innovativo per affrontare il mercato della casa. Una quarta linea di business che potrebbe consacrare il buon percorso di ricostruzione e rilancio sinora svolto. Sobrietà, coraggio e concretezza sono le forze che stanno permettendo alla Aletex di tener ben salda “la barra” in un mercato pieno di insidie. La rotta sembra essere tracciata ed è quella di un sogno che diventa avvincente avventura.


S TRATEGIE D I IM PRE SA

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Manifatture Tessili Prete, una storia resistente al tempo Passato e presente coesistono in un progetto di impresa che è stato capace di trasformare «un’arte antica in un’industria moderna»

di Raffaella Venerando

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omini energici. La prima cosa che sorprende, e poi conquista, dei fratelli Prete è quel vigore resistente che a più di 60 anni di attività ancora illumina loro lo sguardo, mentre raccontando dell'azienda - la Manifattura Tessili Prete di Scafati, nata nel 1900 finiscono con il dire molto della propria vita. Di che fibra morale sono fatti. Cominciano a raccontare da lontano, dai giorni in cui i grandi

platani, come giganti, controllavano il territorio e il fiume che tuttora scorre vicino alla loro fabbrica era vivo e pescoso e, con la sua forza opportunamente regolato da chiuse e canali, faceva muovere i mulini del pastificio di famiglia prima, e i telai meccanici della Manifattura dopo. Nei ricordi di bambini, sembrava che tutta l'energia del cosmo si fosse concentrata in quei flutti. In quello specchio d’acqua, oggi scellerata-

mente inquinato, loro insieme con i compagni si immergevano e nuotavano, bevendone grandi sorsi. «Una poesia, una ricchezza», ricordano. Deve essergli rimasta dentro però quella forza della natura se, dopo 60 anni trascorsi in fabbrica, i fratelli Prete mostrano come lavorano i loro telai, con l’entusiasmo contagioso di chi le tante ore trascorse in azienda non le considera solo un impegno, ma un piacere. Hanno un approccio che parte dalla materia, lo si capisce subito, ed è una materia nobile, naturale ma resistente alle trazioni. Come il lino di cui sono fatti i loro tessuti. Con orgoglio mostrano la meccanica della manifattura, fatta di telai tradizionali con sistema a navetta o trama ininterrotta, telai a nastro, telaio muniti di jacquard del tutto informatizzati e macchine ricamatrici. Passato e presente qui coesistono in un progetto di impresa che è stato capace di trasformare «un’arte antica in un’industria moderna», come con efficace sintesi aggiungono i nipoti. «Nella nostra manifattura -


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raccontano - tessiamo solo fibre naturali, esclusivamente italiane: lino, cotoni ritorti, canapa, lana, seta, per tessuti destinati all’abbigliamento o alla biancheria per la casa. Il lino lo acquistiamo dal Linificio e Canapificio nazionale di Como dal 1960. Siamo gli unici in Italia a fregiarci del loro marchio». In famiglia sono convinti che la vera qualità della vita si raggiunga nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. È il loro obiettivo e da sempre vogliono raggiungerlo anche con il lavoro, tramandandolo. Per questo tra tutte le fibre tessili, quella da loro eletta è il lino perché la sua coltivazione preserva il suolo migliorando le coltivazioni future, la trasformazione non nuoce all’ecosistema e i prodotti che ne derivano hanno eccezionale potere assorbente e una freschezza che dura a lungo. Se i fratelli Prete con i loro collaboratori - alcuni dei quali in forze da più di quarant’anni - sono la storia di Manifatture Tessili Prete, spetta ai nipoti dare l’idea della proiezione nel futuro: «I nostri prodotti resistono al tempo.

Le finiture non sono mai cambiate, quello che si è evoluto per seguire i desideri della clientela e i trend del settore è il disegno. Forti della nostra solida tradizione, vogliamo ora rafforzare la rete commerciale in Italia e provarci nella sfida dell’estero, anche se, a conti fatti, fuori dei confini ci siamo già. Una nostra tovaglia o un nostro capo di abbigliamento, acquistato

qui in Italia magari in una città turistica, potrebbero essere ovunque nel mondo e noi non lo sappiamo con certezza». Su questa suggestione, i fratelli, che dicono di chiudere gli occhi davanti alle cose brutte, li sgranano emozionati, immaginando l’airone reale simbolo della loro azienda volare chissà dove, in alto, con la forza delle sue sole ali.


S TRATEGIE D I IM PRE SA

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Sinergie vincenti, alla IMC e all’Istituto Spin di Salerno il Premio Guglielmo Marconi La Società Italiana di Fisica ha conferito il 26 settembre scorso all’azienda salernitana produttrice di cavi speciali il prestigioso riconoscimento per aver realizzato, negli ultimi cinque anni, con ricerche svolte in collaborazione con università e istituti specializzati, una significativa applicazione della fisica a livello industriale di Raffaella Venerando

N

ei suoi obiettivi minimi, un ateneo che funzioni deve offrire ai propri studenti una buona didattica universitaria e una ricerca di buon livello. Meglio ancora sarebbe se l’università riuscisse, nel tempo, a entrare in contatto non mediato con il mondo fuori l’accademia, dialogando in modo produttivo con operatori economici e società, ovvero spingendo con efficacia sul trasferimento tecnologico. Infatti, oramai è assodato che il nuovo si crei solo se solida è la cooperazione e congiunto l’impegno tra le parti coinvolte, imprese da un lato e ateneo dall’altro. Un riuscito esempio di sinergia vincente è il progetto messo in piedi dalla IMC di Salerno in collaborazione con il Dipartimento di Fisica di Salerno e il CNR. Vincente non a caso. La Società Italiana di Fisica ha conferito, infatti, il 26 settembre scorso nell'aula Magna dell'Università di Padova a Palazzo del Bo a I.M.C. S.r.l. il Premio "Guglielmo Marconi", per aver, negli ultimi cinque anni, conseguito, con ricerche svolte in collaborazione con università e/o istituti di ricerca, una significativa applicazione della Fisica a livello industriale, con la

Aldo Cigolari e Gerardo Iannone

seguente motivazione: per l'impegno, in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Istituto Spin di Salerno, nel perseguire l’obiettivo aziendale di individuare una più efficace metodologia per la realizzazione di un cavo schermato adatto alle esigenze del mondo della ricerca, riducendone al tempo stesso il costo di produzione. Nello specifico il Premio è stato assegnato a Gerardo Iannone, del CNR, per la sua attività di ricerca e sviluppo di modelli elettromagnetici per la previsio-

ne del comportamento di cavi coassiali schermati, di forma e struttura varia e ad Aldo Cigolari, I.M.C., per lo sviluppo di codici di calcolo che permettono di agevolare la fase iniziale di progettazione di un cavo, individuandone la configurazione ottimale ai fini della schermatura e dell’impiego di materiale. È proprio Aldo, che in azienda si occupa di gestione e controllo della produzione, a commentare il prestigioso riconoscimento: «Sono onorato di aver ricevuto questo Premio che attesta la validità non solo del progetto, ma del metodo utilizzato per realizzarlo. Si fa un gran parlare di trasferimento tecnologico, spesso ritenendolo quasi un processo in serie. Non è così. Nel nostro caso ha vinto l’obiettivo di ideare e realizzare un progetto comune che fosse utile per entrambe le parti e applicabile. Fondamentale è stato aprirsi alla ricerca, invitando in azienda professori e ricercatori coinvolti che, sperimentando dal vivo chi siamo e cosa facciamo, hanno elaborato proposte e soluzioni adatte alle nostre esigenze. È spettato a noi scegliere l'idea più congeniale per adeguatezza e fattibilità».


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Gruppo Sada, fin dal 1870 primi nel settore del packaging La rivista Investire, nell’agosto scorso, ha premiato il presidente e ad Antonio Sada come “imprenditore del mese” per la gestione efficace, lunga cinque generazioni dell’azienda di famiglia

di Raffaella Venerando

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l 2 Agosto scorso Antonio Sada, un utilizzo efficiente delle risorse e con presidente e AD del Gruppo Sada, un impatto sempre minore sull’amazienda specializzata nella produbiente. A ritirare il premio per l’azienzione di cartone ondulato e cartotecda Valentina Sada, R&D - Marketing nica, ha ricevuto dalla rivista di settore Department del Gruppo Sada, una Investire il premio “Imprenditore del delle risorse di quella quinta generamese”. zione che contribuisce a garantire oggi Il Gruppo Sada, azienda familiare nata lustro e futuro per l’azienda. Antonio Sada, "Imprenditore del mese" nel 1870 oggi alla sua quinta generazione, si colloca ai primissimi posti nel settore del packaging e per questa continuità d’ininterrotti successi l’azienda ha ricevuto una speciale targa. Alla premiazione, svoltasi nell'ambito del seminario organizzato dalla stessa rivista a Pontecagnano (SA), sede del Gruppo Sada, ha partecipato anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che ha lodato la solidità del Gruppo e l’efficienza della sua capacità produttiva. Per diventare quello che è oggi il Gruppo Sada sono stati necessari – come lo stesso Antonio Sada in più di un’occasione ha ricordato - continui interventi di efficientamento dei cicli produttivi e nuovi investimenti in tecnologie per offrire alla clientela Valentina Sada ritira il premio "Azienda" conferitole da Investire stampati di alta qualità, realizzati con


NE W E N T RIE S

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Studio Viglione & Libretti, un ingranaggio perfetto per aziende e privati Da oltre trent’anni, il team di professionisti offre un’esperienza globale che va dal marketing, all’organizzazione e contrattualistica aziendale, passando per l’assistenza per locazione e/o vendite aziendali, all’esame e realizzazione di piani di sviluppo e risanamento aziendale, garantendo anche il patrocinio legale dinanzi alle giurisdizioni ordinarie e straordinarie nazionali ed europee di Raffaella Venerando

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on chiamatelo consulente. Antonio Libretti, entrato dieci anni fa nel team di professionisti dello studio familiare Viglione e Libretti, non ama essere definito così. L’etichetta gli sta stretta. Più che essere un dispensatore di soluzioni in stock, si propone al cliente - azienda o privato che sia - come un gestore di situazioni complesse che, grazie al lavoro della sua organizzazione, diventano più semplici. Dotato di una mente originale, ha un approccio tutt’altro che ingessato con chi ha di fronte. Sparisce la distanza e parte l’ascolto. Sarà perché oltre a essere un esperto in materia fiscale, Antonio Libretti è anche un imprenditore. Sa quindi cosa occorre alla sua clientela per tenere quello che lui definisce “il cassetto delle carte”in ordine. Lo studio, di cui è un anello fondante, vive da oltre 30 anni offrendo a imprese, esercizi commerciali, professionisti e cittadini, un’esperienza globale che va dal marketing, all’organizzazione e contrattualistica aziendale, passando per l’assistenza per locazione e/o vendite aziendali, all’esame e realizzazione di piani di sviluppo e risanamento aziendale, all'assistenza per l'internazionalizzazione, toccando diversi campi, quello economico, giuridico, fiscale e del lavoro con particolare riguardo

Via Foce,79 - 84037 Sant'Arsenio (Sa) T.0975/399004 info@svlsrl.it | www.svlsrl.it

alle problematiche societarie sia ordinarie, sia straordinarie. Un’organizzazione impeccabile in cui ogni professionista in squadra non è una monade isolata ma, innanzitutto, un produttore instancabile di relazioni. Ed è proprio questa filosofia, l’elemento vincente che ha permesso al team dello studio di avere una clientela che oggi si aggira sulle trecento unità e cinque sedi in Italia (Napoli, Salerno, Roma, Milano, Brienza con il quartier generale a Sant’Arsenio). Grande spazio sì alla professionalità del servizio reso, ma altrettanto alla flessibilità con cui si gestisce l’azienda o la famiglia del cliente come fosse la propria. Ogni scadenza o incombenza viene domiciliata allo studio e il cliente può monitorarla in un’area personale, a breve potrà accedervi anche dal proprio smartphone

mediante un’app, disponibile sul sito internet della società. «Da quando sono entrato in forze allo studio dieci anni fa - racconta Antonio Libretti - l’incremento di clientela è stato notevole. Il cliente è per noi anche un partner, in un certo senso. Se perdo la sua fiducia, perdo parte del mio lavoro. Per questo, spesso propongo un pacchetto che va dalla gestione degli oneri aziendali a quella dei compiti familiari.Voglio che chi ci sceglie non abbia motivi per preferire altri, che senta continua la cura e l’attenzione da parte nostra per le sue attività, che si tratti dell'apertura di una nuova attività commerciale o del pagamento della Tari». E i numeri gli danno ragione: ciò che fa bene alle persone fa bene agli affari. Quasi il 99% dei suoi clienti acquista dallo studio il pacchetto all-inclusive, sentendo di affidarsi in mani credibili ed esperte. Nulla è lasciato al caso e nessun compito svolto in modo standardizzato. Ciascun componente dello studio lavora con dedizione e precisione perché l’ingranaggio sia perfetto e l’orologio segni sempre il tempo della puntualità. Questo per la compagine dello Studio Viglione e Libretti significa creare valore e assicurarsi come diceva qualcuno «un cliente, non una semplice vendita».


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Mecas Group, generatore di cultura tecnologica innovativa Con la sua competenza avanzata e un know-how differenziato, l’azienda che ha sede a Sant’Arsenio offre soluzioni individuali per sistemi ICT, digital signage, videosorveglianza, sicurezza, networking e recupero dati

di Raffaella Venerando

M

ecas srl è una società altamente specializzata in innovazione e alta tecnologia, con un bagaglio di esperienza quarantennale in sistemi ICT, digital signage, videosorveglianza, sicurezza, networking e recupero dati. Inizialmente il core della azienda era concentrato sull’offerta di sistemi per broadcasting e TV automation, anche questa oggi fortemente ampliata. Attualmente essa comprende hosting e applicazioni web per automazione completa di una emittente televisiva su internet. TV, Web TV, IPTV, Business Television diventano strumenti di comunicazione dinamici con i sistemi dedicati che Mecas fornisce. Anche nella comunicazione visiva Mecas ha nel tempo fatto passi da gigante, attestandosi oggi tra i principali produttori di chioschi e totem interattivi, realizzati secondo criteri di massima efficienza ed efficacia, utilizzando materiali come acciaio inox, acciaio verniciato, vetro, MDF, etcc.

Amplissima la scelta di modelli, ciascuno realizzato sulle esigenze personali del cliente. Punto forte della società è, inoltre, la fornitura di soluzioni professionali per la videosorveglianza integrata, tesa a difendere la privacy e la sicurezza di persone e luoghi e per monitorare anche da remoto edifici e infrastrutture sia pubblici, sia privati. Le tecnologie approntate da Mecas consentono un controllo molto stretto sui possibili fenomeni criminosi, grazie all’installazione di telecamere di ultimissima generazione - alcune delle quali molto diverse dalle tradizionali perché collegate addirittura a megafoni - connesse ad una sala di

controllo. Nel momento in cui il sistema rileva immagini di illeciti, il sorvegliante dell’azienda dà l’allarme informando con tempestività le forze dell’ordine che potranno rapidamente identificare i responsabili degli abusi e sventare del tutto il pericolo di intrusioni dall’esterno. A ulteriore garanzia dell’efficacia del sistema vi sono due plus aggiuntivi: il funzionamento dell’operatore h24 e la trasmissione wifi, funzionante pertanto in tutta Italia. In maniera residuale, infine, la società fornisce hardware e software per uffici ed enti pubblici. Mecas srl Sede Legale: Via Foce, 79 Sant'Arsenio (SA) Sede Operativa: Via Fosso del Mulino, 23 - Sant'Arsenio (SA) Phone: +39 0975 396845 Fax: +39 0975 396845 info@mecasgroup.it http://mecasgroup.it


NE W E N T RIE S

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Cerzosimo, ritratto di famiglia Lo studio fotografico è capace di offrire proposte e soluzioni su misura. Che sia una foto di cerimonia o un catalogo aziendale, nessuna offerta è standardizzata e non esistono immagini in serie

di Raffaella Venerando

L’

attività nasce agli inizi degli anni Ottanta, quando Armando - bravissimo nel cogliere nei suoi scatti il sogno, l’intimo, il non visto - apre uno studio fotografico artigianale a Bellizzi in cui si dedica, in particolare, alla fotografia da cerimonia, quella che racconta per istantanee le gioie di famiglia, eternandole. Decide di chiamarlo ART foto CAMERA CHIARA,

dei Cerzosimo - nel 2000 entra in squadra anche Pietro, il primogenito - lavora principalmente come attività artigianale, continuando a specializzarsi in quelle immagini in cui svelare il vincolo segreto e profondo che lega le persone, quel sentimento che, forse, è proprio uno di quegli elementi che è più difficile da far apparire in una fotografia. Nel 2006 la svolta: lo studio artistico diventa una vera e propria società, Camera Chiara srl, accogliendo anche il secondogenito Nicola, rientrato a Bellizzi dopo Nicola, Armando e Pietro Cerzosimo un lungo percorso di studi di in omaggio al saggio sul tema del design a Roma che gli era valso critico francese Roland Barthes lavori e riconoscimenti di respiro uscito proprio in quegli anni. internazionale. Agli inizi degli anni ’90, poi, allo Oggi Armando che ha 56 anni, studio di Bellizzi Armando decide Pietro che ne ha 32 e Nicola che di affiancare un altro laboratorio. ne ha 27, interpretano l’attività La sede scelta stavolta è Salerno, la fotografica “Cerzosimo” in maniera città che lo invita ad aprirsi anche differente. Diversa da un tempo verso altri settori, sperimentando e diversa tra loro ma con la stessa nuovi mercati, nuovi modi di fare cifra stilistica. fotografia e nuovi clienti. «Armando è il poeta dello scatto Fino al 2006 il laboratorio ad effetto», raccontano i figli. «I


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suoi lavori non hanno età, il suo è uno stile intramontabile» e per darmene prova mostrano una foto di sofisticata e moderna bellezza scattata al Casino Sociale di Salerno diciannove anni prima. Nicola e Pietro, invece, pur avendo un gusto estetico autonomo, hanno entrambi un modo di ritrarre la realtà, le persone e gli oggetti del tutto contemporaneo. Maestri di tecnologia, senza esserne schiavi. Pietro ne è convinto: «Correre dietro alla tecnologia è un vantaggio, ma non sempre un bene. Bisogna saper utilizzare gli strumenti ricordandosi che la fotografia, una buona fotografia, parte sempre dalla testa». Tre modi diversi di percepire le dinamiche, di vedere e interpretare quello che fotografano ma stessa prospettiva: chi scatta deve essere osservatore silenzioso. Deve sì documentare fin nel dettaglio un momento, ma senza prendervi parte in maniera diretta.

La tecnica fotografica deve sfumare in qualcosa di evanescente, quasi di superfluo ma esserci ed essere qualitativamente di pregio. Lo studio fotografico dei Cerzosimo, in ragione di questo eclettismo artistico e personale, è capace di offrire proposte e soluzioni su misura. Che sia una foto di cerimonia o un catalogo aziendale, nessuna offerta è

standardizzata e non esistono immagini in serie. La flessibilità e la capacità operativa è da industria, ma il cuore di questa società è rimasto artigiano, come quando Pietro nel laboratorio di Bellizzi giocava con i rullini respirando il suo futuro, e Nicola, invece, con il pallone rompeva le cornici mentre papà Armando, con il suo sguardo profondo, scattava.

galleria di Salerno


ED I LI ZI A IND US TRIALE

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Piccoli paesi per una nuova green economy Si profila una congiuntura favorevole per il recupero dei luoghi interni grazie a diversi provvedimenti normativi ad hoc. La ricaduta sociale connessa è notevole, si riportano attenzioni e risorse dalla costa alla montagna, si innesca un trend economico volto anche all’adeguamento antisismico del patrimonio storico e, soprattutto, ad una pluralità di azioni a sostegno dei prodotti tipici locali

Angelo Verderosa Architetto/Docente del master universitario Casaclima-Bioarchitettura/Referente Campania della Fondazione Italiana di BIOAarchitettura/Console del Touring Club Italiano www.verderosa.it

ph/Antonio Bergamino

C’

è un crescente interesse dei viaggiatori italiani e stranieri verso i piccoli paesi dell'Appennino. Si tratta di borghi rurali di altura, poche centinaia di abitanti, da tempo in via di spopolamento. Il fascino che irradiano è però unico e irresistibile. Certo, attirano un determinato tipo di visitatori: colti, curiosi, camminatori; alla ricerca di valori autentici e di stili di vita sobri; un mondo antico e diverso, legato alla campagna, ai boschi, al cibo sano e locale; alla lentezza; lontani dalle folle e dalle mode di massa. Nei piccoli borghi le case sono di pietra con coppi di laterizio brunito e con all'interno soffitti di legno massiccio; qui ritroviamo il senso tattile degli intonaci ruvidi, delle mattonelle di cotto arrotato, della pietra grezza e scalpellata. In questi posti l'aria è buona e c'è quello che strettamente necessita. C'è la decrescita, c'è un silenzio che domina e che asseconda. Questi borghi sono luoghi ecologici ante-litteram: sistemi eco-sostenibili con ortaggi e frutta e grano ancora coltivati e consumati in loco; borghi intelligenti. In Campania ve ne sono tanti e molto interessanti tra l'Irpinia, il Sannio e

il Cilento. Alcuni sono classificati tra i "Borghi più belli d"Italia", altri aderiscono alla rete "Borghi Autentici d"Italia", altri ancora hanno ottenuto l"ambita "Bandiera arancione", il marchio di qualità turistico ambientale dal prestigioso Touring Club Italiano: 215 le "bandiere" in Italia, solo 4 finora in Campania. Nei piccoli borghi spopolati tra l'Irpinia e la Lucania Vinicio Capossela ha portato lo Sponz-Fest, con al seguito migliaia di fans da tutta Europa. Sono nati festival di resilienza in alcuni luoghi cardine: Cairano 7x, il festival visionario nell'omonimo borgo biologico di 300 abitanti e "La luna e i calanchi", la festa della paesologia ideata ad Aliano da Franco Arminio. Un premio nazionale, che si chiama "Recupera-Riabita", dal 2011 viene assegnato a chi recupera un luogo dell'Appennino, a chi riabitando - genera visioni, emozioni e nuova occupazione. Piccoli paesi, grande vita; si direbbe. A Castelvetere sul Calore (Av) c'è un borgo medioevale, recuperato dieci anni fa con fondi europei, che è divenuto un albergo diffuso tra i più grandi e più belli d'Italia. Circa 20 alloggi, una trattoria, una


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Borgo medioevale di Rocca San Felice (Av) ph/Angelo Verderosa

sala eventi, una bottega di prodotti tipici e artigianato locale, una chiesa, un museo e vari spazi espositivi, senza trascurare le piazzette ed i vicoli del borgo… Meta ormai di studiosi giapponesi, il passaparola è sui social e sui portali dedicati. Ci si arriva magari per dormire a basso costo, per visitare da lì le mete costiere più gettonate; poi però si finisce con lo scoprire le cantine del "Taurasi docg" all'intorno, per partecipare alle feste medioevali e per perdersi tra castelli e abbazie millenarie. Possono nascere nuove forme di economie green, ecologiche, sostenibili, legate al recupero dei borghi rurali dell'appennino campano ? Sembra proprio di sì; si profila una congiuntura favorevole per il futuro di questi luoghi interni: a) La Camera ha approvato all'unanimità lo scorso 26 settembre la legge che salva i piccoli paesi dall'estinzione: stanziati 100 milioni di euro per risollevare l'economia dei comuni con meno di 5.000 abitanti; sono tantissimi in Italia, ubicati per lo più nella fascia interna montana centrale: 5.585 paesi, circa il 70% del totale dei Comuni italiani dove vivono poco meno di 10 milioni di abitanti.

b) Il ministero dei Beni culturali ha eletto il 2017 come Anno nazionale dei Borghi. c) Per la prima volta, la capitale della cultura europea è una città rurale del sud interno: Matera nel 2019 porterà l'attenzione internazionale sull'entroterra appenninico meridionale e sui bellissimi borghi lucani. d) Il colosso delle vacanze peer to peer "AirBnb" ha scelto il borgo abbandonato di Civita di Bagnoregio per "Casa d"artista", un progetto che potrebbe cambiare l'accoglienza di rete in Italia: per la prima volta, la possibilità di soggiornare mescolati ad artisti provenienti da tutto il mondo accolti a prezzi agevolati, in cambio di un'opera d'arte da lasciare al paese. e) La regione Campania, infine, ha da poco varato la misura 7.6.1 nell'ambito del Piano di Sviluppo Rurale in vigore fino al 2020 con l'obiettivo di favorire il miglioramento e la valorizzazione delle aree rurali interne attraverso azioni di riqualificazione del patrimonio culturale e naturale dei villaggi, del paesaggio rurale e dei siti ad alto valore naturalistico. Quest'ultima in particolare è un'opportunità per gli imprenditori campani per investire su uno sviluppo che punti sui territori e sulle comunità, capace di coniugare storia, cultura e saperi tradizionali con l'innovazione, le nuove tecnologie e la green economy. Quello del recupero dei piccoli borghi finalizzato all'accoglienza turistica è un tema molto concreto che ha suscitato ad esempio l'interesse dell'Ance al laboratorio-convegno organizzato a Scario (Sa) a settembre scorso dall'Ordine degli Architetti di Salerno. I piccoli comuni, oltre un importante patrimonio storico-architettonico, detengono la gran parte del patrimonio di biodiversità agroalimentare; vi si coltiva oltre la metà della produzione

agroalimentare nazionale che ha reso celebre il Made in Italy nel mondo. La potenziale ricaduta sociale connessa al "recupero architettonico" e all'indotto turistico è notevole; si potrà puntare ad avere un riequilibrio tra mare e montagna attraverso la diversificazione dell'offerta complessiva regionale; l'obiettivo è innescare un trend economico virtuoso, volto anche al necessario e improcrastinabile adeguamento antisismico del patrimonio storico; si attiverebbero una pluralità di azioni a sostegno delle cento produzioni agricole locali da trasformare in offerta eno-gastronomica col brand "Campania". Certamente bisogna affrontare nell'immediato problematiche serie come la eccessiva frammentazione delle proprietà catastali; bisognerà inoltre lavorare su altre misure - se ne stanno occupando alcuni progetti pilota - come la ristrutturazione dei presidi ospedalieri e del trasporto pubblico, anche con la riattivazione delle ferrovie dimenticate. Interventi fondamentali per favorire gli investimenti nei piccoli paesi della Campania interna, per recuperare il patrimonio storico, per ricostruire i tessuti sociali, per riabitare una bellezza purtroppo oggi in via di abbandono e di spopolamento.

Abbazia del Goleto ph/Antonio Bergamino


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N O R M E E S OCIE TÀ

La responsabilità della banca nella prestazione dei servizi di investimento in contratti derivati Le disposizioni normative dirette a salvaguardare la trasparenza delle informazioni e a vietare le operazioni non adeguate al profilo dell’investitore si applicano anche nel caso in cui il servizio prestato dall’intermediario consista nell’esecuzione degli ordini impartiti dall’investitore stesso

Maurizio Galardo Avvocato, Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it

L

a Corte di Cassazione Sez. I Civile con la recente sentenza 17440 del 31/08/2016 ha ribadito alcuni principi fondamentali in tema di responsabilità della Banca intermediaria nella prestazione dei servizi di investimento in contratti derivati. Quattro persone avevano convenuto in giudizio una famosa banca chiedendone la condanna al pagamento di somme molto elevate a titolo di risarcimento dei danni che la stessa aveva loro cagionato commettendo plurime violazioni della disciplina legale e contrattuale riguardante i servizi d’investimento e, in particolare nel caso di specie, nelle operazioni di investimento in strumenti finanziari derivati (futures e options su indice di borsa MIB30), che avevano prodotto delle perdite per l’importo complessivo di due miliardi e mezzo di lire. La causa sarebbe stata ascrivibile alla condotta della banca contraria a correttezza e buona fede, sia nella fase di sollecitazione all’investimento, sia di esecuzione delle suddette operazioni. Il Tribunale in primo grado accolse la domanda. Tuttavia, in seguito all’appello proposto dalla banca, la Corte d’Appello accolse l’impugnazione dell’istituto di credito rigettando la domanda proposta dagli attori. Avverso la sentenza della

Corte d’Appello proposero ricorso per Cassazione gli attori appellati. La Suprema Corte nell’accogliere ben quattro motivi del ricorso ha affermato che in materia di contratti di intermediazione finanziaria, laddove risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia adempiuto diligentemente le obbligazioni che derivano dal contratto di negoziazione oltre a tutte le obbligazioni specificamente previste dal D.lgs. 24/02/1998 n. 58 (T.U.F.) e prima ancora dal D.lgs. 23/7/1996 n. 415, nonché dalla normativa secondaria. In particolare il profilo relativo alla ripartizione dell’onere della prova risulta secondo la ricostruzione della Corte di Legittimità così articolato: a) l’investitore deve evidenziare la circostanza dell’inadempimento dei suddetti obblighi da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento e ciò anche sulla base di presunzioni; b) l’intermediario, a sua volta, deve provare l’esatto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico e di cui la controparte eccepisce l’inadempimento, nonché di aver agito, sotto il profilo soggettivo con la specifica diligenza richiesta.Ai sensi dell’art. 21 del


33 T.U.F. D.lgs. n. 58 del 24/02/1998 , nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti; d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attività. Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, le Sim, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr, le società di gestione armonizzate, gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario, le banche italiane e quelle extracomunitarie: a) adottano ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere con il cliente o fra clienti e li gestiscono, anche adottando idonee misure organizzative, in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti; b) informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse quando le misure adottate ai sensi della lettera a) non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato; c) svolgono una gestione indipendente, sana e prudente e adottano misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati. Inoltre per i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, escluso il servizio di cui all'articolo 1, comma 5, lettera f), e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (art. 23 comma 1 T.U.F.). Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimen-

to e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta (art. 23 comma 6 T.U.F.). La Suprema Corte ha evidenziato che tali regole, ulteriormente precisate dalla Consob nel proprio regolamento intermediari 16190 del 2007 e succ. modd. e integr., sono tutte finalizzate al rispetto della clausola generale consistente nel dovere per l’intermediario di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nell’interesse del cliente. Tali obblighi si collocano, in parte nella fase che precede la stipulazione del contratto di intermediazione finanziaria e, in altra parte, in quella esecutiva. Attengono invece alla fase pre-negoziale l’obbligo di consegnare al cliente il documento informativo e quello di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria dello stesso. L’intermediario deve dunque mettere il cliente sempre in condizione di valutare in concreto la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni di investimento o disinvestimento e di ogni altro fatto necessario a disporre con consapevolezza tali operazioni. L’intermediario ha anche l’obbligo di comunicare per iscritto eventuali situazioni di conflitto d’interesse. Attengono sempre al momento esecutivo del contratto i doveri di contenuto negativo per l’intermediario, come quelli di non consigliare o di non effettuare operazioni che, per frequenza o dimensione, sarebbero eccessive rispetto alla situazione finanziaria del cliente. Con specifico riguardo poi, ai contratti d’investimento ad alto rischio, quali sono i contratti derivati, le disposizioni che tendono a salvaguardare la trasparenza delle informazioni e l’adeguatezza delle operazioni proposte all’investitore si applicano anche nell’ipotesi in cui il servizio prestato dall’intermediario consista nell’esecuzione negli ordini dell’investitore, in quanto la regola in virtù della quale in presenza di un’operazione non adeguata, l’intermediario deve astenersi dal dare esecuzione all’opera-

zione se non ha avvertito l’investitore e ottenuto dallo stesso un’autorizzazione espressa ugualmente sulla base di un ordine contenente il riferimento esplicito alle informazioni ricevute. Tale divieto, infatti, secondo quanto statuito dalla Suprema Corte, trova applicazione con riguardo a tutti i servizi di investimento, prestati nei confronti di qualsiasi investitore che non sia un investitore qualificato. Inoltre il dovere di fornire informazioni appropriate e l’obbligo di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate sussiste in tutti i rapporti con operatori non qualificati, e tale è anche chi, pur non rientrano in una delle categorie di investitori menzionate nei regolamenti CONSOB, abbia occasionalmente investito in titoli a rischio. Con specifico riferimento alla negoziazione di prodotti derivati l’art. 5 comma 3 del Reg. Consob 30/9/1997 n. 10943 ha disposto che «Gli intermediari autorizzati informano prontamente e per iscritto l'investitore appena le operazioni in strumenti derivati da lui disposte per finalità diverse da quelle di copertura abbiano generato una perdita, effettiva o potenziale, superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per l'esecuzione delle operazioni». Tale obbligazione, secondo il Giudice delle Leggi, non può ritenersi affatto assolta con la comunicazione periodica dell’esito delle operazioni; inoltre la mancata informativa sul cosiddetto “effetto leva”dei contratti derivati dal quale possono derivare perdite considerevoli non troverebbe giustificazione nella circostanza che tale obbligo informativo sarebbe stato previsto da un regolamento entrato in vigore successivamente. Invero secondo la Corte di Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’attenuare gli obblighi informativi dell’intermediario semplicemente perché l’investimento era da considerarsi ad alto rischio, in quanto proprio tale circostanza avrebbe dovuto invece accrescere gli oneri informativi a carico dell’intermediario, anziché sminuirli.


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La mediazione all’esame dell’Unione europea La valutazione - compiuta dalla Commissione ministeriale di studio per i sistemi di ADR istituita dal Ministro della Giustizia nel marzo 2016 - dimostra che in questo stadio «non è necessario modificare la Direttiva», ciò però non significa che la sua applicazione non possa essere «ulteriormente migliorata»

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Roma www.studiolegalemarinaro.it

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el maggio 2008 veniva adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio la prima Direttiva (2008/52/CE) in materia di ADR (Alternative Dispute Resolution) interamente dedicata alla mediazione delle controversie civili e commerciali. Il termine per il recepimento da parte degli Stati membri veniva fissato per il maggio del 2011 e al contempo si stabiliva che dopo il primo quinquennio (entro il maggio 2016) la Commissione avrebbe presentato al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull’attuazione della stessa Direttiva e ciò al fine di esaminare lo sviluppo della mediazione nell’Unione europea e l’impatto delle nuove norme comunitarie negli Stati membri, se del caso, formulando anche proposte di modifica. Si tratta evidentemente non soltanto di un passaggio formale obbligato del percorso normativo, ma di un momento di studio e di analisi cruciale alla comprensione e alla evoluzione della mediazione in Europa e, quindi, in Italia

ove è al lavoro la Commissione ministeriale di studio per i sistemi di ADR istituita dal Ministro della Giustizia nel marzo 2016 con lo scopo dichiarato di formulare una «ipotesi di disciplina organica e di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato». Il mandato è scaduto il 30 settembre, ma il presidente della Commissione, Guido Alpa, alla fine di luglio ha chiesto un rinvio per poter meglio approfondire alcune questioni. C’è quindi attesa per le decisioni che assumerà il Ministro, al quale il gruppo di esperti ha consegnato una prima bozza della sua proposta di riforma. Il documento predisposto dalla Commissione assume dunque un peculiare rilievo proprio in Italia posto che è tuttora in corso un approfondito confronto nella Commissione ministeriale, ma anche nelle sedi congressuali tra gli studiosi e gli operatori del sistema mediazione. Seguendo il percorso indicato dal do-


35 cumento predisposto dalla Commissione Europea e che andrà ora all’esame del Parlamento Europeo, del Consiglio e del Comitato Economico e Sociale Europeo, occorre in primo luogo rimarcare l’obiettivo della Direttiva in questione che intende facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle controversie (ADR) e promuoverne la composizione amichevole incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario. La relazione contiene una valutazione complessiva estremamente positiva rispetto alla quale nella consultazione pubblica sono state segnalate talune difficoltà pratiche nel funzionamento (come è accaduto proprio in Italia) «connesse principalmente alla mancanza di una “cultura” della mediazione». Ciò non toglie che complessivamente, dalla consultazione è emerso come la mediazione consenta importanti risparmi di costi in un'ampia gamma di controversie civili e commerciali e che, in molti casi, riduca significativamente i tempi di risoluzione delle controversie. Passando poi alla valutazione di alcune questioni particolarmente significative, si lamenta innanzitutto l’impossibilità di raccogliere dati statistici completi e comparabili per tutte le giurisdizioni (in quanto non tutti gli Stati membri hanno previsto un sistema di rilevamento complesso e capillare qual è quello italiano). Ciò costituisce un limite nel promuovere la mediazione e la sua efficacia, in quanto in assenza di una banca dati affidabile, è difficile ottenere la fiducia pubblica. Molto favorevolmente viene poi valutato il rilievo che in soli tre paesi dell’Ue la Direttiva sia stata recepi-

ta al fine di disciplinare soltanto le controversie transfrontaliere senza estenderla a quelle nazionali, considerato che non vi è alcun motivo per differenziare le due diverse tipologie di liti e che quelle interne sono ben più numerose. La questione poi dell’obbligatorietà della mediazione resta un tema centrale e pone una serie di problematiche teorico-pratiche. Dallo studio risulta che in cinque Stati membri - e tra questi l’Italia - la mediazione è obbligatoria in determinati casi specifici. Vari Stati membri promuovono la mediazione offrendo incentivi finanziari alle parti e, più precisamente, in tredici Paesi questi sono offerti sotto forma di riduzioni o rimborso integrale delle spese e dei costi legati al procedimento giudiziario. Permane il confronto tra chi ritiene che la non obbligatorietà della mediazione ne ostacoli la promozione e chi, invece, sostiene che per sua natura la mediazione può essere solo volontaria per poter funzionare correttamente e, se resa obbligatoria, perde la sua attrattiva rispetto alle procedure legali. D’altronde la Direttiva «lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario» e, sul punto, la relazione della Commissione ritiene che allo stato tale previsione possa essere considerata appropriata. In conclusione, la Commissione Europea ritiene che la mediazione possa contribuire nel breve periodo «a evitare procedimenti giudiziari

inutili a spese dei contribuenti e a ridurre i tempi e i costi associati alle controversie giudiziarie» e, a lungo termine, possa consentire di «creare una cultura non contenziosa in cui non esistono né vincitori né perdenti, ma partner». La valutazione compiuta dimostra che in questo stadio «non è necessario modificare la Direttiva», ciò però non significa che la sua applicazione non possa essere «ulteriormente migliorata». A tal fine, gli Stati membri dovrebbero adoperarsi maggiormente «per promuovere e incoraggiare l'uso della mediazione» occorrendo «ulteriori sforzi a livello nazionale per aumentare il numero di controversie per la cui risoluzione le autorità giurisdizionali invitano le parti a ricorrere alla mediazione». Si segnalano quali esempi di migliore prassi l'obbligo per le parti di indicare nelle domande presentate agli organi giurisdizionali se la mediazione è stata tentata e l'obbligo per il giudice di considerare la mediazione in ogni fase del procedimento giudiziario, oltre che gli incentivi finanziari che rendono la mediazione economicamente più attrattiva rispetto al procedimento giudiziario. E nel solco segnato dalla Direttiva di una equilibrata relazione tra mediazione e processo si delinea sempre più nitido un approccio ecologico alla soluzione delle controversie per un sistema sostenibile della giustizia civile. Un sistema ampio e poliedrico di dispute resolution, nel quale la giurisdizione statale si colloca quale centro gravitazionale dell’intero sistema a garanzia del diritto al ricorso effettivo a un giudice imparziale secondo quanto sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


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Lo spread, la differenza di rendimento tra titoli di Stato Il mercato non regala nulla. Se trovate un’obbligazione con rendimento molto elevato e prezzo basso, sarà legata a un rating molto basso o ad alti rischi, come quello politico o l’instabilità valutaria

Marco Degiorgis Dottore Patrimonialista Consulente Finanziario Indipendente www.studiodegiorgis.it |

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studiodegiorgis

he cos’è lo spread? Innanzitutto, partiamo dalla traduzione dall’inglese: letteralmente spread significa differenza. In finanza può essere usato per diversi concetti, ma normalmente i giornali si riferiscono alla differenza di rendimento tra due obbligazioni o titoli di Stato. Quando titolano “Lo Spread” senza dare ulteriori definizioni, si riferiscono alla differenza tra rendimenti dei titoli di Stato tedeschi (Bundesanleihen, comunemente noto come bund) e quelli italiani (Buoni del tesoro pluriennali o BTP) con scadenza a 10 anni, emessi in euro. Il rendimento effettivo è il risultato di componenti diverse tra domanda e offerta: da un lato c’è l’emittente che ha necessità di ottenere denaro, ma più obbligazioni emette e più deve cercare di renderle attrattive per i compratori, aumentando quindi il rendimento. Dall’altro lato c’è il compratore, che sta cercando un buon affare, tra rendimento, scadenza e solidità dell’emittente.

In tutto questo si innesca la fiducia (o la sfiducia) dei compratori nei confronti dell’emittente o di altre variabili, come la situazione politica, l’inflazione o la crescita economica. A domanda crescente, sale il prezzo e scende il rendimento. Se il titolo è di nuova emissione è più semplice trovare una valore di rendimento congruo, ma se il titolo è già stato emesso, non può che variare di prezzo per riequilibrare un tasso di rendimento troppo alto o troppo basso rispetto ai suoi simili già sul mercato. Infatti, il mercato non regala nulla. Se trovate un’obbligazione con rendimento molto elevato e prezzo basso, sarà legata a un rating molto basso o ad alti rischi, come il rischio politico o l’instabilità valutaria, oppure la politica economica o la spesa pubblica. Tornando allo Spread BUND/BTP, perchè esiste un differenziale tra questi due titoli di Stato emessi da due paesi dell’Unione europea? L’ingranaggio dell’Ue non sembra essere lubrificato


37 bene, perchè ogni Stato membro sembra fare storia a sé. La Germania è considerata Paese solido, con un rischio di insolvenza molto basso. Al contrario dell’Italia, ritenuta inaffidabile e con un rischio elevato di non riuscire a rimborsare i prestatori di denaro, cioè chi ha acquistato i Buoni del tesoro pluriennali. Entrano in gioco anche le attese su inflazione, debito pubblico, PIL. La misura di questa differenza è lo Spread, che viaggia ora intorno a 135/145, dipende ovviamente dal momento in cui lo guardate perchè varia in continuo. É espresso in punti base, quindi se volete un dato in percentuale basta dividere (1,35% - 1,45% di differenza tra il rendimento di un titolo di Stato tedesco e uno italiano). Lo spread può quindi essere considerato un misuratore, inversamente proporzionale, della fiducia che i compratori hanno nei confronti dell’emittente; al crescere della fiducia, decresce lo spread e viceversa. Uno Stato insolvente, o in gravi difficoltà, dovrebbe ricorrere a manovre restrittive, come la riduzione della spesa pubblica o l’aumento della tassazione, con effetti collaterali deprimenti per l’economia e gli investimenti. La distinzione andrebbe fatta anche tra mercato primario, cioè riservato a istituzionali (banche, fondazioni) o grandi investitori e mercato secondario, esteso a tutti, anche ai piccoli risparmiatori. Il mercato secondario risente direttamente del “sentiment” (altra parola inglese per definire lo stato d’animo nei confronti di un evento), mentre quello pri-

mario ne è influenzato in misura molto minore. Solo se il sentiment negativo continua per molto tempo, anche il mercato primario ne prenderà atto.Come mai allora gli Stati Uniti (treasury bond) hanno uno spread così elevato (160 circa) rispetto alla Germania? Sono un Paese meno solido e a maggior rischio fallimento? Bisogna ricordare che la Banca Centrale Europea ci mette del suo, perchè si è impegnata per riacquistare parte dei titoli Ue emessi, per sostenere i Paesi dell’Unione (il cosiddetto Quantitative Easing). Anche le manovre straordinarie di politica monetaria influenzano le valutazioni. Stessa cosa si può dire per la FED. Poi c’è la questione delle diverse valute, cioè le considerazioni in merito all’andamento del tasso di cambio EUR/USD. Quando lo spread sale, il dollaro americano tende ad apprezzarsi verso l’euro. Quindi lo spread tra le emissioni dei due Paesi è influenzato da molte più variabili e non necessariamente uno spread elevato significa debolezza USA, anzi potrebbe voler dire il contrario. Come ho già detto, in finanza nessun regala nulla, quindi bisogna capire bene quali sono le motivazioni che fanno salire o scendere il valore di un titolo di Stato e prendere le opportune decisioni di acquisto o vendita. Va ricordato, inoltre, che queste devono essere prima di tutto funzionali ai propri progetti di vita, alle proprie aspirazioni, a quanto e quando si vuole ottenere qualcosa con il denaro. Non ha alcun senso rincorrere il maggior rendimento possibile, anche perchè oltretutto sarebbe una strategia perdente in partenza.

Tab.: Confronto tra diversi Paesi a livello mondiale


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Riconoscimento biometrico: gli obblighi previsti dal Codice Privacy Per evitare responsabilità civili e penali, i titolari del trattamento devono adottare misure minime di sicurezza in base alla tipologia del dato biometrico, della finalità perseguita, dell’ambiente, della modalità di raccolta e conservazione del dato

Piera Di Stefano Avvocato, Studio Legale D|&|D / T.R.ON ® - Tutela della Reputazione ONline www.disommadistefanolegali.it

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egli ultimi tempi si assiste nel mercato ad un’enorme crescita di determinate tecnologie biometriche, quali ad esempio le impronte digitali, utilizzate come credenziali di autenticazione per l’accesso fisico (identificazione di entra e chi esce) e logico (identificazione di chi utilizza pc, banche dati riservate, posta elettronica e simili) ad aree aziendali, private e pubbliche. Ciò per le caratteristiche proprie del dato biometrico quali: 1) l’universalità, giacchè presente in ognuno di noi; 2) l’esclusività, essendo esso unico per ogni persona; 3) la permanenza, restando il dato biometrico tendenzialmente inalterato nel tempo, o quantomeno soggetto a modificazioni nel lunghissimo periodo. In linea generale, il trattamento dei dati biometrici per definirsi lecito deve rispettare determinate condizioni, e cioè: 1) il grado di invasività nei confronti degli interessati non deve essere sproporzionato e immotivato;

2) occorre rispettare tutte le disposizioni di legge in materia. Il Garante della Privacy con il provvedimento del 12 novembre 2014 ha adottato le Linee Guida in materia, fornendo ai titolari del trattamento, ai produttori di tali tecnologie, ai fornitori di servizi e in generale a tutti gli interessati, precise informazioni sui presupposti di legittimità del trattamento dei dati biometrici e sulla relativa sicurezza. In particolare, si richiede l’osservanza di precisi adempimenti. In primis l’informativa di cui all’art. 13 Codice Privacy, cioè l’interessato deve essere informato sul trattamento che verrà fatto dei propri dati personali e ciò prima che egli manifesti il proprio consenso. Nello specifico, il Garante ha stabilito che è indispensabile: a) indicare le cautele adottate, i tempi di conservazione dei dati e l’eventuale loro centralizzazione; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati rispetto al perseguimento della finalità del trat-


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Al verificarsi di episodi di violazione di dati o di incidenti informatici, come ad esempio accessi abusivi, questi ultimi devono infine essere comunicati all’Autorità Garante entro 24 ore dalla conoscenza del fatto

tamento. Se, inoltre, è previsto un sistema alternativo o gli interessati non possano o vogliano ricorrere al riconoscimento biometrico, o non ne vogliano più fare uso, deve essere loro indicata una modalità diversa con la quale accedere al servizio di cui si tratta. Ove, infine, il dato biometrico sia registrato in un dispositivo del quale l’utente abbia esclusiva disponibilità, l’informativa dovrà contenere precise indicazioni sulla corretta custodia e sulle operazioni da effettuare in caso di smarrimento, sottrazione o malfunzionamento; c) le conseguenze di un eventuale rifiuto a rispondere; d) i soggetti ai quali i dati possono essere comunicati, quelli che ne possono venire a conoscenza giacchè incaricati o responsabili, l’ambito di diffusione; e) i diritti dell’interessato ex art. 7 Codice Privacy (modifica, rettifica, oscuramento etc. dei dati); f ) gli estremi identificativi del titolare e del responsabile. Va precisato che nel caso in cui il riconoscimento biometrico agisca unitamente ad altro sistema, come ad esempio la videosorveglianza, ciò deve essere indicato in maniera chiara e adeguata. Ulteriore adempimento che il titolare del trattamento dei dati biometrici deve effettuare è la notificazione al Garante Privacy, la quale non è dovuta qualora il trattamento sia effettuato da esercenti le professioni

sanitarie e dagli avvocati, i primi rispetto ai dati non organizzati in una banca dati accessibile a terzi per via telematica, i secondi rispetto alle indagini difensive di cui alla legge 397/2000 o per tutelare o esercitare un diritto in sede giudiziaria, anche da parte di terzo. Atteso che l’utilizzo dei dati biometrici, per loro natura, presenta rischi specifichi per i diritti e la dignità dell’interessato, il relativo trattamento deve essere sottoposto altresì alla cosiddetta Verifica preliminare da parte del Garante ex art. 17 Codice Privacy, la cui obbligatorietà, peraltro, è stata esclusa dalle Linee Guida per i casi di: 1) autenticazione informatica; 2) controllo di accesso fisico ad aree “sensibili” di soggetti addetti e utilizzo di macchinari e apparati pericolosi; 3) uso delle impronte digitali o della topografia della mano a scopi facilitativi; 4) sottoscrizione di documenti informatici. La mancata istanza di verifica preliminare, ove obbligatoria, rappresenta un illecito amministrativo e comporta una sanzione pecuniaria dai 10.000 ai 120.000 euro. Per evitare responsabilità civili e penali, i titolari del trattamento devono adottare inoltre misure minime di sicurezza in base alla tipologia del dato biometrico, della finalità perseguita, dell’ambiente, della

modalità di raccolta e conservazione del dato, come meglio specificato agli artt. 33 e 34 e all’Allegato B del Codice Privacy. L’Autorità Garante distingue tra misure minime di sicurezza, che garantiscono una soglia minima di protezione, e misure idonee di sicurezza, che vanno valutate in base al progresso tecnologico. Al di là dei danni patrimoniali e di immagine in caso di accessi non autorizzati per mancata adozione delle misure di sicurezza, minime e idonee, l’omissione delle misure di sicurezza minime è punita sia a livello penale (reclusione dai 6 fino ai 24 mesi) che amministrativo (la sanzione pecuniaria da 10.000 euro a 50.000 euro), laddove per le ipotesi di mancata adozione delle misure idonee di sicurezza è prevista una responsabilità civile ex art. 2050 c.c., alla quale il titolare del trattamento può sottrarsi solo se fornisce la prova di aver comunque adottato tutte le cautele possibili per evitare il danno, laddove il danneggiato deve dimostrare solo l’esistenza del danno medesimo. Al verificarsi di episodi di violazione di dati o di incidenti informatici, come ad esempio accessi abusivi, questi ultimi devono infine essere comunicati all’Autorità Garante entro 24 ore dalla conoscenza del fatto. Modulistica, provvedimenti e ulteriori informazioni in materia di dati biometrici sono reperibili sul sito Istituzionale del Garante della Privacy, www.garanteprivacy.it.


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LAVORO

Permessi per l’assistenza ai familiari, istruzioni per un uso corretto La Cassazione non fa sconti neanche a chi li aveva utilizzati per scopi legittimi e utili, come la frequentazione di un corso di laurea di giorno, assicurando comunque attività assistenziale di sera

Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it

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on sentenza n. 17968/2016 pubblicata il 13 settembre scorso, la Corte Suprema di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di esercizio del diritto di cui all'art. 33 comma 3 Legge 104/92 la fruizione del permesso da parte del dipendente deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di una attività di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto, in quanto la tutela offerta dalla norma non ha funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per una assistenza comunque prestata. L'uso improprio del permesso può integrare secondo le circostanze del caso una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente, idonea anche a giustificare la sanzione espulsiva». La Cassazione ha quindi non solo confermato la legittimità del licenziamento, ma ha anche condannato alle spese processuali la dipendente che aveva usufruito del permesso in maniera scorretta. In verità la Cassazione ha confermato le decisioni espresse dai giudici di primo e secondo grado. Infatti, in primo grado il giudice del lavoro aveva respinto il ricorso della dipendente licenziata dal Comune di Villafranca di Verona e la Corte di Appello

di Venezia, presso la quale la dipendente aveva presentato ricorso ne confermava la legittimità, in quanto era stato provato attraverso le indagini e pedinamenti da parte della Polizia Giudiziaria - che la dipendente aveva utilizzato le 38 ore e mezzo concessele per seguire le lezioni presso la università ove era iscritta, invece che accudire la mamma affetta da grave handicap. La dipendente ha ammesso, e non poteva fare altro considerate le prove schiaccianti, di avere frequentato le lezioni nelle ore di permesso, precisamente dalle 11 alle 13, ma ha sostenuto di avere comunque assicurato attività assistenziale la sera. La Corte di Appello ha respinto tali difese, in quanto l'assistenza doveva necessariamente svolgersi in coincidenza temporale con i permessi accordati dal datore di lavoro che subisce un disagio organizzativo giustificato solo se effettivamente essi vengono utilizzati per scopi assistenziali e non altro. Aggravante nel caso in commento era il fatto che la dipendente lavorava all'ufficio del personale e, pertanto, era ben consapevole della normativa non rispettata. La Cassazione nel respingere le motivazioni poste dalla dipendente per il ricorso sostiene che la ratio della norma ex art. 33 comma 3 della Legge 104/92 è ben chiara dalla

sua lettura, in quanto il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito spetta al lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità. Quindi l'assenza dal lavoro è in stretta relazione con l'assistenza al disabile. Se questo non avviene, come nel caso in commento, si è in presenza di uso improprio o addirittura abuso del diritto; inoltre, la condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro scorretta, lesiva della buona fede e con danno alla organizzazione del lavoro. Indebita inoltre risulta anche la percezione della indennità relativa ai permessi di cui alla legge 104/92, erogata dall'Inps. È comportamento altresì particolarmente "odioso" perché può diffondere nell’opinione pubblica una posizione contraria a tali forme di assistenza tanto da indurre il legislatore a ridurre gli incentivi previsti per tali situazioni e quindi danneggiare posizioni genuine e rispettose delle normative vigenti. In conclusione, sicuramente le contestazioni rese nei confronti della dipendente sono di tale gravità da giustificare il licenziamento. Forse potevano essere evitate se la norma in questione fosse stata più chiara nel precisare che l’assistenza doveva obbligatoriamente coincidere con gli orari di permesso concesso ex lege 104/92 e se vi fosse stata una diversa gestione interna del personale.


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Il licenziamento discriminatorio della lavoratrice madre Spetta al datore dimostrare l’inesistenza di comportamenti contra legem nel trasferimento della dipendente che ha ripreso il lavoro dopo il congedo per maternità

di Luigi De Valeri Ordine Avvocati di Roma studiolegaledevaleri@gmail.com

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n relazione al Fertility Day con annesse polemiche massmediali ed effettiva tutela della famiglia che si concretizza nel sostegno alla genitorialità è, a mio parere, opportuno stigmatizzare la perdurante esistenza di comportamenti discriminatori di alcuni datori di lavoro nei confronti delle lavoratrici che, dopo aver partorito, ritornano sul posto di lavoro. A tale riguardo, un caso in subiecta materia è stato deciso dalla Cassazione e merita di essere sottoposto all’attenzione dei lettori. La vicenda riguardava una lavoratrice che, dopo il rigetto della domanda in primo grado, successivamente aveva ottenuto dalla Corte di Appello di Torino la declaratoria della nullità del trasferimento, delle sanzioni disciplinari e del licenziamento disposti a suo carico dal datore e la conseguente reintegra nel posto di lavoro occupato con il risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione globale di fatto a decorrere dalla data del recesso. Secondo il Collegio piemontese le decisioni datoriali potevano inquadrarsi in un disegno discriminatorio nei confronti di una lavoratrice madre in quanto costei, dopo soli tre giorni dall'inoperatività del divieto di cui all'articolo 56 del D.Lgs 151/2001, la normativa di tutela e sostegno della maternità e paternità, e al termine di un'astensione dal lavoro di

un anno e quattro mesi, era stata trasferita ad un altro punto vendita distante oltre 150 km dalla sua sede precedente. La sede di appartenenza non appariva necessitare di una riduzione di personale dal momento che, dopo l'inizio dell'assenza della lavoratrice, erano stati assunti due lavoratori. L’unità cui era stata destinata aveva ben 12 addetti e non erano state prospettate ragioni dirimenti in base alle quali si dovesse provvedere a un trasferimento da una sede che poi era stata tempestivamente reintegrata, per cui tali elementi, nella valutazione della Corte, erano «idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione di atti, patti o comportamenti discriminatori», secondo le previsioni dell'art. 40 del D.Lgs 198/2006, il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, con la conseguenza che sarebbe spettato al datore di lavoro provare l'insussistenza della discriminazione. La Corte di Appello inoltre evidenziava come il rifiuto della lavoratrice colpita da discriminazione di riprendere l'attività lavorativa, da cui erano derivate le sanzioni disciplinari e il licenziamento, era giustificato ai sensi dell'art. 1460 c.c., che prevede l’eccezione di inadempimento nei contratti a prestazioni corrispettive, sulla base dei reciproci inadempimenti e la loro proporzionalità. Il

datore ricorreva in Cassazione, la lavoratrice resisteva con un controricorso. Il giudice di legittimità confermava la decisione della Corte d’Appello di Torino, che aveva annullato il licenziamento disponendo la reintegra, con la recentissima sentenza della sezione lavoro n. 15435 del 26 luglio 2016. Osserva il Collegio che la previsione che gli elementi di fatto - idonei a fondare la presunzione di esistenza di atti o comportamenti discriminatori, attribuendo al datore di lavoro, in caso di indizi precisi e concordanti, l'onere della prova della situazione contraria di insussistenza della discriminazione, possano essere tratti "anche" da dati di carattere statistico - è diretta a corroborare lo sforzo difensivo del lavoratore e a facilitare l'emersione della condotta illecita, di cui egli sia stato vittima, in un'ottica di affiancamento agli elementi fattuali connotanti la fattispecie. Giustamente la sentenza di secondo grado, impugnata dal datore di lavoro, ha ritenuto che spettasse a quest’ultimo provare l'insussistenza della discriminazione, posto che tale conclusione è stata raggiunta sulla base della motivata ricognizione di elementi di fatto idonei a fondare, con i requisiti di legge, l'accertamento della sua esistenza e tale prova non è stata fornita dal ricorrente.


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Tari, obbligatoria ma ancora poco chiara La giurisprudenza è tuttora altalenante sull’obbligo delle amministrazioni locali di motivare le scelte tariffarie per il pagamento del tributo utile a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati di Maurizio Villani e Iolanda Pansardi Studio Tributario Villani

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a Tari è un’entrata obbligatoria per tutti i Comuni del territorio nazionale utile a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa comunale. Orbene, l’art. 1, ai commi da 641 a 668, della legge di stabilità per il 2014 (Legge n. 147/2013), si occupa della disciplina della nuova tassa a carico dell’utilizzatore dell’immobile. La Tari è una articolazione, insieme alla Tasi, della componente servizi della nuova imposta unica comunale (cosiddetta Iuc). Nell’individuarne presupposto, obbligati, riduzioni ed esclusioni, il Legislatore si rifà al regime della Tares, contestualmente abrogata. Tares che, a sua volta, ha lo stesso presupposto già previsto dal D.Lgs. n. 507/1993 in materia di TARSU (art. 62) e dal D.Lgs. n. 22/1997 in materia di TIA (art. 49, c. 3). Ciò premesso così il c. 641: «La Tari è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti,

suscettibili di produrre rifiuti urbani». Ecco che, con il passaggio dalla Tarsu/Tia alla Tares, e dal 2014 alla Tari, il tributo comunale sui rifiuti cambia nome ma non cambia nella sostanza, rendendo la pressione fiscale per le imprese del settore ricettivo sempre più gravosa. Per quanto concerne la commisurazione in base a tariffa, anche questo nuovo tributo è determinato in base a tariffa. In realtà le similitudini della Tari con i precedenti prelievi non finiscono qui. Ebbene la Tari si paga sulle superfici calpestabili degli immobili, anche a destinazione ordinaria, fino a quando i Comuni non avranno la possibilità di fare riferimento alle superfici catastali. I contribuenti, però, non sono tenuti a ripresentare le dichiarazioni se hanno già assolto all'obbligo per Tarsu, Tia o Tares. Lo prevede l'art. 1, c. 645, 646 e 647, della L. 147/2013. In sede di prima applicazione la nuova tassa rifiuti si paga sulla superficie calpestabile. Dunque, come per la Tares, viene rinviata

sine die l'applicazione dell’80% della superficie catastale per gli immobili a destinazione ordinaria (classificati nelle categorie A, B e C), come parametro per la determinazione del tributo. Pertanto viene consentito ai Comuni di fare ricorso alle superfici già denunciate per Tarsu, Tia e Tares, utilizzando per il calcolo la superficie calpestabile anche per gli immobili a destinazione ordinaria. Oltretutto, per quel che concerne la determinazione delle tariffe, il Comune tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27/04/1999, n. 158. Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto relativamente alle molteplici similitudini della Tari con quelle in materia di Tarsu, soprattutto per quel che concerne la determinazione delle tariffe, l’ente impositore deve considerare la effettiva destinazione dei locali sottoposti a tributo e, quindi, distinguere tra i locali equiparabili alle utenze domestiche e quelli, invece, non assimilabili a queste ultime. Orbene deve a tal punto essere richiamato l’orientamento della


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Il Tar Emilia Romagna ha stabilito che la delibera che fissa le tariffe della tassa rifiuti deve essere motivata e deve indicare i costi di esercizio dell'anno precedente, le stime dell'anno di competenza, il gettito della tassa e le ragioni dell'eventuale aumento dei costi e delle tariffe

giurisprudenza di merito secondo cui agli alberghi va applicata la tariffa relativa alle civili abitazioni per quanto concerne i locali destinati a stanze atte a ricevere gli ospiti e, invece, quella relativa a locali adibiti ad uso diverso da abitazione per le restanti parti dell’albergo (es: locali destinati alla ristorazione). All’indicato orientamento si sono adeguati i Giudici della CTP Lecce con le sentenze n. 616/09/08 e n. 617/09/08, pronunciate in data 18.11.2008 e depositate il 9.12.08, e, da ultimo, con la sentenza n. 227/02/13, depositata il 9.07.2013 con cui hanno affermato che «nel caso delle attività alberghiere appaiono sussistere aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, cucine e altro, minore per le aree destinate alle unità abitative». E in tal senso, le recentissime sentenze della CTR Foggia 825-6-7-8-9 del 7 aprile 2016 e 837 e 838 del 7 aprile 2016. Oltretutto, occorre precisare che per i coefficienti potenziali di produzione il succitato DPR n. 158/1999 si basa esclusivamente su formule e sigle secondo espressioni numeriche incomprensibili, inidonee a motivare correttamente i risultati esposti e, soprattutto, a consentire al contribuente la verifica dell’esattezza e proprietà della somma pretesa. Infatti, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che l’elemento

della copertura totale del costo del servizio non può essere confuso con quello della determinazione dell’onere individuale da porre a carico degli utenti. Oltretutto, la legge si limita a raccomandare la copertura integrale del costo complessivo del servizio, tacendo del tutto sui limiti per la determinazione delle tariffe individuali, in palese violazione del principio di legalità sancito dall’art. 23 Cost.. Appunto per questo, la Ctp Lecce con la recente sentenza n. 1891 del 1°giugno 2015 ha annullato una cartella di pagamento disapplicando il succitato regolamento con motivazioni valide anche per la TARI. Alla luce di quanto detto va posta però attenzione alla giurisprudenza che è tuttora altalenante sull’obbligo delle amministrazioni locali di motivare le scelte tariffarie per il pagamento della Tari. Infatti, da una parte per il Tar Latina sent. 486 del 21.07.2016, le tariffe Tari non richiedono la motivazione se i Comuni applicano i coefficienti fissati dal regolamento statale per la determinazione della quota fissa e di quella variabile del tributo. Ciò perchè, la delibera che fissa le tariffe Tari non richiede «una particolare o specifica motivazione dato che si tratta di un atto generale». Nello stesso senso la Ctr Palermo, sez. XXV, sent. n. 400 del 2.02.2016, laddove le delibere comunali sono atti generali che non vanno neces-

sariamente motivati e qualora non contengano una motivazione dettagliata dei costi del servizio di smaltimento rifiuti che giustifichi le tariffe adottate, non sono in contrasto con l'articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000) e non sono sindacabili per eccesso di potere. A favore del contribuente con orientamento contrario la decisione del Consiglio di stato sent. 5616/2010, che ha stabilito che il Comune deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe Tarsu. E non può invocare genericamente la necessità di assicurare la tendenziale copertura totale della spesa, senza avere dati certi sullo scostamento tra entrate e costo del servizio. Nello stesso senso la sentenza 504/2015 secondo cui il Comune deve indicare nella delibera le ragioni che hanno comportato l'aumento delle tariffe della tassa rifiuti, con l'obiettivo di coprire integralmente i costi del servizio, ma è insindacabile la scelta di privilegiare le utenze domestiche rispetto alle attività produttive. Ancora, il Tar Emilia Romagna sent. 1056/2015, secondo cui la delibera che fissa le tariffe della tassa rifiuti deve essere motivata e deve indicare i costi di esercizio dell'anno precedente, le stime dell'anno di competenza, il gettito della tassa e le ragioni dell'eventuale aumento dei costi e delle tariffe.


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Cultura crea, il programma a favore di pmi e del terzo settore della filiera culturale e creativa Tre le linee di intervento del bando di Invitalia per le startup culturali del Sud. Previsti contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero per un totale di 107 milioni di euro. Le regioni che ne usufruiranno sono Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia, Calabria

Alessandro Sacrestano Management consultant Sagit&Associati srls asacrestano@studiosagit.it

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allo scorso 15 settembre è possibile trasmettere ad Invitalia, con apposita procedura dedicata, la richiesta di incentivi per le imprese della filiera culturale e creativa. Il regime di aiuto - introdotto con DM 11 maggio 2016 - è diretto alla concessione di incentivi de minimis con riferimento a tre diversi ambiti di intervento: a) creazione di nuove imprese nell’industria culturale, come previsto al Titolo II del decreto (risorse destinate all’intervento euro 41.704.000,00); b) sviluppo delle imprese dell’industria culturale, turistica e manifatturiera, come previsto al Titolo III del decreto (risorse destinate all’intervento euro 37.807.000,00); c) sostegno ai soggetti del terzo settore che operano nell’industria culturale, come previsto al Titolo IV del decreto (risorse destinate all’intervento euro 27.422.000,00). Nel primo caso, sono ammessi alle agevolazioni le imprese, per investimenti realizzati presso una unità produtti-

va ubicata nel territorio delle regioni Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia, di micro, piccola e media dimensione costituite, da non oltre trentasei mesi alla data di presentazione della domanda di agevolazione, in forma societaria di capitali o di persone, ivi incluse le società cooperative, iscritte al registro delle imprese. Spazio, però, anche alle persone fisiche che intendono costituire una impresa solo dopo l’accettazione della domanda. L’investimento dovrà essere di importo non superiore a euro 400.000 e relativo ad attività quali quelle editoriali, di stampa, di produzione cinematografica, gestione di teatri, sale concerti, attività di biblioteche, archivi e musei. Per essere ammesse, però, le imprese dovranno prevedere l’introduzione di innovazioni di processo, di prodotto o servizio, organizzative, di mercato, in una delle seguenti aree: 1) economia della conoscenza; 2) economia della conservazione; 3) economia della fruizione;


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Il Fondo, gestito da Invitalia sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sostiene la nascita di piccole iniziative imprenditoriali, promosse da giovani fino ad un massimo di ventinove anni, attraverso la concessione di prestiti a tasso zero. La domanda può essere inviata dal 15 settembre 2016 attraverso la piattaforma informatica di Invitalia

4) economia della gestione. La domanda apre le porte a un finanziamento agevolato, a tasso d’interesse pari a zero, in misura pari al massimo al 40% (elevabile fino al 45%) della spesa ammessa e della durata massima di otto anni di ammortamento, oltre a un preammortamento di un anno per il periodo di realizzazione dell’intervento. Previsto anche un contributo a fondo perduto, in misura pari al massimo al 40% (elevabile fino al 45%) della spesa ammessa. Per la seconda area di intervento, le chances sono solo per imprese - come sopra individuate - già costituite e operanti in alcuni comuni delle medesime regioni, con un limite di investimento un po’ più alto (550 milioni), da eseguirsi in settori di attività quali, ad esempio, artigianato tradizionale, attività alberghiere e di ristorazione, attività editoriali e di produzione cinematografica, attività degli studi professionali, attività di noleggio di autovetture e altri. Diverso, in questo caso, il mix di agevolazioni, con il finanziamento che copre il 60% della spesa e il fondo perduto che si ferma al 20%.

Nella terza area di interventi, infine, spazio alle ONLUS, operanti nei settori culturali e artistici, in attività ricreative e di socializzazione, di protezione dell’ambiente e degli animali, ma anche nel manifatturiero, alberghi e ristoranti. In questo caso, è previsto un fondo perduto fino all’80% della spesa ammessa. Dal 12 settembre, inoltre, è stato semplificato l’accesso al Fondo SELFIEmployment. Da tale termine, infatti, le richieste di ammissione alle agevolazioni potranno essere presentate anche dai cosiddetti NEET, ossia giovani con un’età compresa tra i 18 e i 29 anni, residenti sul territorio nazionale, privi di occupazione e non inseriti in percorsi di studio o formazione, che abbiano però aderito al Programma Garanzia Giovani, a prescindere dalla partecipazione o meno al percorso di accompagnamento finalizzato all’autoimprenditorialità. Si ricorda che il Fondo in parola, gestito da Invitalia sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sostiene la nascita di piccole iniziative im-

prenditoriali, promosse da giovani fino ad un massimo di ventinove anni, attraverso la concessione di prestiti a tasso zero. Si tratta di idee imprenditoriali elaborate nell’ambito di percorsi di accompagnamento svolti presso la Regione o tramite Unioncamere. Le domande sono presentabili sin dallo scorso primo marzo per il tramite dell’apposita piattaforma informatica predisposta dal soggetto gestore. I richiedenti devono operare in forma di imprese individuali, società di persone, società cooperative con un numero di soci non superiore a nove, associazioni professionali e società tra professionisti. Dal 12 settembre, quindi, la partecipazione al percorso di accompagnamento finalizzato all’autoimprenditorialità non sarà più una discriminante. Tuttavia, precisa Invitalia, in sede di istruttoria, ai giovani NEET che abbiano concluso il percorso di accompagnamento sarà attribuita una premialità di 9 punti sul punteggio complessivo che concorre alla determinazione della soglia minima di accesso al finanziamento.


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Plusvalenze nel Sale and lease back, via libera della Cassazione allo splitting La contabilizzazione degli effetti di una operazione di leaseback ha natura asimmetrica, ma comunque sempre fiscalmente rilevante: le plusvalenze sono imponibili in via frazionata lungo la durata del contratto, mentre le minusvalenze sono immediatamente deducibili nell’esercizio di realizzazione

Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it

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l Sale and lease back (più semplicemente, Leaseback) è un’operazione con cui un’impresa trasferisce un proprio bene ad una società di leasing, la quale lo concede contestualmente in locazione finanziaria all’impresa cedente, in corrispettivo del pagamento di canoni periodici, con facoltà per la cedente di riacquistare il bene alla scadenza verso il pagamento di un corrispettivo predeterminato. Il contratto ha la chiara finalità finanziaria di far ottenere velocemente all’impresa una somma liquida, mediante l’alienazione di un immobile (di solito) strumentale, di cui però conserva il possesso, per effetto della sua contestuale retrolocazione da parte della società di leasing. Attorno al tema del trattamento fiscale delle plusvalenze, che vengono realizzate dalle imprese con la cessione del bene, si è da tempo radicato un vasto dibattito, posto che le posizioni della Dottrina e dell’Amministrazione Finanziaria sono del tutto differenti.

La prima propende per una configurazione sostanziale del Leaseback, e quindi per un concorso al reddito della plusvalenza correlato ai costi, rappresentati dai canoni di retrolocazione (principio di derivazione). E tale principio di derivazione (del reddito tassabile dal risultato di esercizio) troverebbe le sue basi tecnico-giuridiche, sia nell’Appendice D all’OIC 12, sia nel quarto comma dell’articolo 2425bis del codice civile (introdotto dall’articolo 16 Decreto legislativo 310/2004), i quali prevedono espressamente, quale procedura contabile corretta per i casi di Leaseback, il frazionamento della plusvalenza realizzata, lungo la durata del contratto di retrolocazione finanziaria. La seconda nega di contro tale possibilità affermando, con la circolare 38/E/2010, che la disciplina, dettata dall’articolo 2425-bis citato (nonché dall’Appendice D), non troverebbe applicazione in ambito tributario. Ciò in quanto - a parere dell’AGE - in


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Quando l’esecuzione del contratto di leaseback genera una minusvalenza, sarà proprio il principio di prudenza a imporre la rilevazione integrale della componente negativa emersa

mancanza di norme specifiche nel TUIR, l’eventuale plusvalenza generatasi dall’esecuzione di questi contratti deve essere assoggettata alla disciplina generale dell’articolo 86 TUIR (Plusvalenze) e concorrere quindi alla formazione del reddito nell’esercizio di conseguimento, ovvero, ricorrendone i presupposti (possesso triennale), in quote costanti nell’esercizio medesimo e nei quattro successivi. La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 35294 del 23 agosto 2016, ha trattato il tema, aderendo alla posizione opposta all’interpretazione resa dagli Uffici. In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che le regole contabili di cui all’articolo 2425 bis, comma 4 citato, che impongono il frazionamento della plusvalenza per la durata del leasing di ritorno, assumono una diretta valenza fiscale. Pertanto, in ossequio al generale principio di derivazione del reddito d’impresa dal risultato civilistico, l’imponibilità della plusvalenza da Leaseback deve essere frazionata lungo la durata del contratto anche dal punto di vista fiscale. Il sottostante giuridico di questa impostazione (la ratio dell’articolo 2425 bis) è il generale atteggiamento di prudenza nelle rileva-

zioni contabili, volto ad evitare la possibilità di iscrizione di ricavi non “effettivi”, in quanto legati all’assunzione di costi futuri (il pagamento dei canoni di leasing). In buona sostanza, la Cassazione ha bacchettato l’AGE sulla presunta inesistenza di una norma di legge sul trattamento fiscale, invitandola a leggersi il richiamato articolo 2425bis codice civile. In linea di principio, la massima della Suprema Corte dovrebbe fornire anche un’implicita interpretazione sulla questione opposta, relativa all’imputazione temporale delle minusvalenze, che eventualmente possano sorgere nei contratti in oggetto. Infatti, se il richiamo al principio di derivazione (articolo 83 TUIR) produce l’effetto di dare rilevanza fiscale al frazionamento della plusvalenza ai sensi dell’articolo 2425 bis comma 4, allora si può affermare che i medesimi principi si possono invocare - sempre in mancanza di una norma fiscale ad hoc - anche nell’ipotesi di minusvalenze. Ovviamente, le minusvalenze non soggiacerebbero alla regola del frazionamento - che disciplina esclusivamente le plusvalenze - ma, asimmetricamente, al principio di prudenza sopra

descritto, che governa la redazione del bilancio d’esercizio. Ne consegue che, quando l’esecuzione del contratto di leaseback genera una minusvalenza, sarà proprio il principio di prudenza a imporre la rilevazione integrale della componente negativa emersa. Salvo “ritorsioni” o cambiamenti in verità giuridicamente impossibili, questa impostazione troverebbe anche conferma nella circolare 38 citata, che espressamente statuisce la deducibilità dell’eventuale minusvalenza nell’esercizio del suo conseguimento, in applicazione dell’articolo 101 TUIR. In conclusione, la contabilizzazione degli effetti di una operazione di leaseback ha natura asimmetrica, ma comunque sempre fiscalmente rilevante: le plusvalenze sono imponibili in via frazionata lungo la durata del contratto, mentre le minusvalenze sono immediatamente deducibili nell’esercizio di realizzazione. Questa sentenza ha due ricadute significative: rende giustizia allo strafalcione tecnico dell’AGE, figlio solo di voglie di gettito e fa aumentare l’appealing delle operazioni di finanziamento del business, attraverso il leaseback. Speriamo che la Suprema Corte non ci ripensi: è già successo, purtroppo.


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Accertamenti sui conti correnti bancari, i “corretti limiti” alle contestazioni dell'Agenzia delle Entrate Le risultanze delle indagini finanziarie non possono costituire uno strumento di applicazione automatica ai fini dell’accertamento di maggiori redditi per imprese e professionisti poiché richiedono un’elaborazione e una valutazione successiva

Antonio Visconti Commercialista/dottore di ricerca in diritto tributario | Università di Napoli – Federico II avisconti@studioantoniovisconti.it

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ntrando nel vivo della materia afferente gli accertamenti bancari, la normativa di riferimento prevede che, sia con riferimento alle imposte dirette (art. 32 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600), che all’Iva (art.51 del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633), l’Ufficio procedente possa, previa autorizzazione del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per la Guardia di Finanza, del Comandante regionale, richiedere direttamente al contribuente, ovvero agli intermediari finanziari che hanno intrattenuto rapporti con lui, dati e notizie validi ai fini dell’attività accertativa. Nello specifico, può essere richiesta l’esibizione dei dati, delle notizie e dei documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati e le garanzia prestate da terzi o dagli operatori finanziari con cui si è intrattenuto il rapporto, quali: banche; Poste italiane spa (per le attività finanziarie e creditizie); società ed enti di assicurazione per le attività finanziarie; intermediari finanziari; imprese di investimento; organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr); società di gestione del risparmio (Sgr); società fiduciarie. In questi casi, i dati pervenuti

all’Ufficio sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38 (rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche), 39 (redditi determinati in base alle scritture contabili), 40 (rettifica delle dichiarazioni dei soggetti diversi dalle persone fisiche) e 41 (accertamento d’ufficio) del Dpr n. 600/1973, nel caso in cui il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che le movimentazioni contestate non hanno rilevanza allo stesso fine. Prosegue poi la norma statuendo che sono altresì posti come ricavi o compensi, qualora il contribuente non dia menzione del soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei medesimi rapporti o delle medesime operazioni. Attraverso lo strumento delle indagini bancarie, è dunque possibile la ricostruzione della base imponibile tramite metodi presuntivi: inizialmente, dette indagini erano utilizzate per la determinazione del solo reddito d’impresa, tuttavia, a seguito della Legge 311/04, la giurisprudenza ha esteso la possibilità di utilizzo delle presunzioni anche per altre tipologie di reddito. Tra l’altro, occorre tenere in considerazione che, a fronte dei maggiori ricavi


49 determinati, il contribuente ha diritto al riconoscimento dei costi sostenuti, pure ove questi non siano stati indicati nelle scritture contabili. Appare chiaro che la più grande criticità di tale tipologia di accertamento del maggior imponibile consista nella difficoltà di giustificare movimenti che vengono imputati a maggior reddito. Sino ad oggi l’Agenzia delle Entrate ha utilizzato le risultanze dei predetti controlli per farne scaturire direttamente e immediatamente delle contestazioni di maggior reddito, tuttavia, l’articolo 32, co. 1, n. 2) del Dpr 600/1973, rubricato “poteri degli uffici”, si colloca, dal punto di vista “sistematico”, in una diversa posizione procedimentale. Tale disposizione, infatti, dovrebbe assumere valore nell’ambito dell’attività istruttoria degli uffici e non in quella di accertamento. L’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 prevede, infatti, che i dati relativi ai rapporti intrattenuti con gli intermediari finanziari «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41» (dello stesso Dpr 600/1973). Il fatto che la norma disponga che i dati derivanti dalle indagini finanziarie sono “posti a base” delle rettifiche disciplinate dai successivi articoli 38, 39, 40 e 41 dello stesso Dpr 600/1973, vuole semplicemente affermare che i dati e gli elementi tratti dalle indagini devono poi essere “canalizzati” all’interno delle norme che disciplinano gli accertamenti. Quasi sempre, invece, nell’interpretazione della norma e nella concreta applicazione da parte degli Uffici territoriale delle Entrate, ci si limita ad affermare che l’articolo 32 del Dpr 600/1973 prevede che i dati derivanti dalle indagini sono “posti a base delle rettifiche”- senza però considerare quali e le regole di queste - se il contribuente non dà apposite dimostrazioni. Proprio il fatto che la norma “chiama” il contribuente a fornire determinate dimostrazioni (ad esempio, che i versamenti effettuati non hanno rilevanza reddituale) ha portato la giurisprudenza della Cassa-

zione (e così anche l’Agenzia) a ritenere che la norma disciplini una presunzione legale, che inverte l’onere probatorio e lo attribuisce al contribuente. Tuttavia, non viene considerato che la norma parla di dimostrazioni e non di prove a carico del contribuente (il che non è affatto secondario) e che la stessa risulta collocata in un contesto - quello delle attività istruttorie - che per “sua natura” non può disciplinare presunzioni di legge, visto che queste possono essere presenti, semmai, nelle norme che disciplinano gli accertamenti. Il fatto che si preveda che il contribuente possa dare delle dimostrazioni non è altro, quindi, che la rappresentazione dell’obbligo di esperire il contradditorio preventivo, così che il contribuente possa dare in quella sede dimostrazione circa l’effettiva consistenza dei dati acquisiti dagli uffici. In questo modo, questi ultimi possono escludere dall’eventuale accertamento i dati per i quali vengono fornite idonee giustificazioni. Accertamento che, se si guarda alle regole valevoli per gli imprenditori e i professionisti, dovrà essere emanato secondo i canoni recati dall’art. 39 del Dpr 600/1973, il quale non contempla alcuna presunzione legale, che inverte l’onere probatorio, e dunque, presuppone l’integrazione dei mezzi di prova derivanti dalle indagini bancarie con altri e ulteriori elementi “gravi, precisi e concordanti”. E questo vale anche per la previsione (applicabile solo agli imprenditori) dei prelievi non giustificati. Ed è proprio questo l’elemento di novità, chiarito anche di recente dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate Orlandi, che da un lato rende finalmente chiara l’illegittimità di tutti quei recuperi emessi sulla scorta dell’automatismo con le risultanze delle indagini bancarie, e dall’altro, impone agli Uffici - ai fini dell’emanazione degli avvisi di accertamento - l’effettuazione di ulteriori e più attente valutazioni prima di procedere al recupero a tassazione delle movimentazioni bancarie prive

di adeguata giustificazione. In definitiva, l’articolo 32 del Dpr 600/1973 disciplina un “qualche cosa” che sta prima rispetto agli accertamenti. E, quindi, risulta corretta l’affermazione che i dati derivanti dalle indagini finanziarie non possono determinare alcun automatismo, ma vanno “canalizzati” all’interno delle specifiche norme sugli accertamenti. Va da sé che particolare valenza assumerà in siffatto contesto l’instaurazione di una corretta e attenta fase di “contraddittorio” tra contribuente e Agenzia delle entrate, preventiva all’emanazione di atti di contestazione. Il contraddittorio, infatti, nell’ambito di tale procedimento, assolve alla triplice funzione di: garanzia del contribuente, che viene coinvolto in fase preventiva nell’analisi dei dati raccolti al fine di fornire le giustificazioni del caso; legalità del procedimento amministrativo, qual è quello di accertamento, nel quale il contribuente è sempre più partecipe con la conseguenza di una maggiore sostenibilità della pretesa tributaria qualora sia sottoposta al sindacato giurisdizionale rafforzamento del procedimento; ricerca della giusta imposta che, se condivisa, consente al contribuente di fruire della riduzione delle sanzioni tributarie previste dalle diverse leggi d’imposta ed all’erario di incassare in tempi celeri. Tra l’altro di recente la Suprema Corte, con la sentenza n. 4314/2015, anche aderendo agli ormai consolidati orientamenti comunitari, ha rinnovato l’invito agli Uffici a operare l’attività di contraddittorio preventivo, pena l’illegittimità del conseguente atto di accertamento.Infine, valutando anche le recenti evoluzioni interpretative analizzate, appare evidente come proprio il contraddittorio possa rappresentare quella fase in cui l’Ufficio procede ad acquisire e integrare gli “ulteriori” mezzi istruttori necessari per la corretta e compiuta motivazione di un avviso di accertamento emesso secondo i precetti recati dagli artt. 39 e ss del Dpr n. 600/73.


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La fatturazione elettronica tra privati: siamo solo all’inizio Partirà ufficialmente il 1 gennaio 2017 in modo prima facoltativo per poi diventare nel tempo obbligatoria. Il vantaggio non è solo quello della dematerializzazione cartacea, ma ottenere un processo digitale compliance con le norme e con gli asset aziendali, capace di offrire risultati concreti in termini di risparmio di costi e snellimento di procedure Nicola Savino CEO - Seen Solution SRL nicola.savino@seensolution.com

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l 2016 e il prossimo 2017 sono anni cruciali per la digitalizzazione dei processi aziendali e della pubblica amministrazione. Vediamo insieme quali sono i punti cruciali da tenere in considerazione per non perdere questo importante treno. Si parte con la fatturazione elettronica tra privati il 1 gennaio del 2017, passando per la digitalizzazione della pubblica amministrazione il 14 gennaio 2017, dove entrerà in vigore l’obbligatorietà definita dal DPCM del 13 novembre 2014 sulle Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici, nonché’ di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni, che ha rivoluzionato il modo di creare e formare documenti nelle pubbliche amministrazioni di qualunque grandezza, rendendo tutti documenti nativi informatici e quindi soggetti alla conservazione digitale a norma. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 13 Settembre 2016 del nuovo CAD nella sua versione 3.0, dopo le importanti modifiche del 2010

con il D.Lgs. 235/2010, abbiamo avuto un importante passo in avanti verso la digitalizzazione del sistema Paese. Il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179, recante Modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, tra le tante novità riferite ai rapporti tramite strumenti digitali tra cittadino e PA, recepisce anche il Regolamento eIDAS, ovvero il Regolamento UE n. 910 del 23 luglio 2014 (910/UE) appunto detto “eIDAS”, che ridefinisce il quadro normativo delineato già dalla Direttiva Europea 1999/93/EC sulle firme elettroniche e che dal 1 Luglio 2016 è entrato in vigore anche in Italia. E il Nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale arriva dopo che la fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione ha rappresentato una grandissima innovazione in termini di processi e un grandissimo vantaggio per tutti gli stakeholder interessati. Resistono però ancora molte lacune: la gestione digitale di tutti i docu-


51 menti collegati e collaterali alla fattura elettronica PA, ad esempio. Per questo motivo il governo e tutta Europa spingono anche per la fatturazione elettronica tra privati che partirà ufficialmente il 1 gennaio 2017 in modo facoltativo e che prevede poi un piano di estensione obbligatoria nel tempo. Questo perché i vantaggi sono talmente evidenti e importanti, che tutte le aziende private di qualunque dimensione e tutti i professionisti potranno beneficiare di un’innovazione di processo, tecnologica e che permetterà l’abbandono di processi analogici, vecchi e cartacei. Il vantaggio ovviamente non è solo quello della dematerializzazione cartacea, ma soprattutto nell’avere un processo digitale compliance con le norme e con gli asset aziendali, capace di offrire risultati concreti in termini di risparmio di costi e snellimento di procedure. Digitalizzare dunque i processi e non i documenti, anzi digitalizzare i record e le informazioni. Del resto l’Europa spinge verso la digitalizzazione e verso il digitale sicuro, proprio grazie al regolamento eIDAS che è in vigore dal 1 luglio 2016 e che sta rivoluzionando non poco la definizione e l’opponibilità a terzi del documento informatico anche sottoscritto con firma elettronica semplice. In questo contesto ci troviamo di fronte a una rivoluzione che necessita però di una governance, una pianificazione, una strategia certa e sicura per garantire che la conservazione digitale a norma e la fatturazione elettronica siano di fatto un vantaggio, e non un ostacolo o un’ulteriore complicazione. Per questo motivo le pubbliche amministrazioni, le aziende private e tutti i settori dovranno sempre e soltanto considerare che la cosa più importante della digitalizzazione è sempre la dematerializzazione di un processo piuttosto che di un documento, questo perché la tecnologia è l’ultimo dei problemi ma i processi digitali sono

il vero valore aggiunto. Come dico sempre è più importante dematerializzare un processo che un documento e, come dico sempre, il documento non è più nell’ottica immaginaria di un PDF o un oggetto o un file informatico, ma diventa un record, una informazione digitale, un dato digitale che deve essere gestito e conservato secondo le regole vigenti ma soprattutto deve essere formato nel migliore dei modi per garantire che ci sia appunto una digitalizzazione del processo di business e non una mera dematerializzazione cartacea che prende un documento su carta e lo fa diventare anche nella forma digitale. Non è la strada giusta. Il record invece è l’informazione e dobbiamo tutti imparare a conservare le informazioni digitali, non i documenti. Questo approccio è possibile per qualunque settore e per qualunque processo di business, anche nel settore contabile-fiscale dove già l’Agenzia delle Entrate con la famosa circolare 18/E del 24 Giugno del 2014, stabilì che per fattura elettronica non si doveva intendere solo il documento che viene emesso in formato digitale apponendo una firma digitale, ma anche un documento inteso come un tracciato record gestito da sistemi di controllo di gestione atti a garantire l’integrità, l’immodificabilità, l’autenticità e la certezza di quelle informazioni contabili. Conservare record e informazioni invece che documenti significa avare le necessarie linee guida per realizzare un sistema di conservazione di record, indipendente dal tipo di tecnologia scelta e dalla normativa, quindi assolutamente interoperabile. Significa definire policy, procedure, strumenti e regole pratiche per conservare informazioni e avere in modo dettagliato, ruoli e responsabilità degli utenti e degli stakeholder che fanno parte del sistema di record e del processo; significa avere dei modelli

organizzativi relazionati alle informazioni che devono essere conservate e non solo ai singoli documenti (come ad esempio un PDF).Questo approccio ci permetterà di percepire e assaporare i veri vantaggi della digitalizzazione dei processi partendo proprio dalla fatturazione elettronica PA: • risparmiare dai 7,5 e gli 11,5 euro a fattura, come da Studio dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione del Politecnico di Milano; • avere un approccio digitale per tutta la filiera di Fatturazione, processi annessi. Avere in digitale pertanto l’intero ciclo Ordine-Pagamento dagli Ordini fino, in cascata, al Pagamento. E anche le conferme d’ordine, i documenti di trasporto, le bolle, ecc.; • avere tutti i work flow e gli stati del processo direttamente in digitale, senza processi cartacei e quindi analogici. • avere più tempo per le attività che davvero contano, che fanno parte del core business; • avere dati e informazioni strutturate e quindi integrabili in qualunque sistema informativo; • avere le informazioni a portata di mano, sempre e ovunque, per migliorare anche la competitività dell’impresa; • non perdere tempo nel registrare i documenti fiscali e contabili. Insomma, di benefici se ne potrebbero aggiungere tanti altri, ma quello che mi preme sottolineare è che la digitalizzazione dei processi di business è qualcosa che non si può non attuare, non si può fermare ma anzi al contrario, chi si ferma in questo senso è perduto e per un semplice motivo: non sta guardando il contesto sociale e di business che gli sta intorno. E se accade questo, qualunque azienda è destinata a morire.


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La produzione di idrogeno da fonti fossili o rinnovabili: la ricerca del Gruppo ProCEED Il laboratorio è attualmente impegnato nella realizzazione di catalizzatori ad alta conducibilità termica che consentono di realizzare la retrodiffusione del calore di reazione lungo il letto catalitico, con una riduzione dell'incremento termico di circa il 90%, permettendo così una sensibile intensificazione dei processi esotermici di equilibrio come ad esempio il WGS, ponendo le basi per la conduzione di reazioni esotermiche di equilibrio in un unico reattore catalitico

Vincenzo Palma Professore associato di Chimica Industriale|Dip. di Ing. Industriale, Università di Salerno v.palma@unisa.it

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Università ha sempre sostenuto la ricerca e promosso la cultura in generale, favorendo lo sviluppo e l'affermazione di una società più razionale e tollerante in cui le persone sono più preparate e pronte ad affrontare al meglio il loro ruolo in campo economico e nella vita produttiva del Paese. Attualmente, con l'aumento della competitività mondiale, questo ruolo è essenziale, in particolare se si intende intraprendere le sfide sempre più ambiziose cui le prossime generazioni saranno chiamate. In effetti, se pensiamo solo i problemi derivanti dall'inquinamento atmosferico, alle sempre crescenti questioni energetiche, al rapido ritmo del cambiamento tecnologico, o la continua crescente interdipendenza globale e le disuguaglianze economiche, sia in Europa e fra l'Europa e gli altri continenti, ci si rende conto quanto sia importante produrre maggiori sforzi sia nella ricerca applicata sia in quella di base al fine di proporre nuove soluzioni ai problemi, perché solo in questo modo una migliore possibilità di successo economico e la conseguente stabilità sociale può essere raggiunta. Il gruppo di ricerca

ProCEED (Processes and Catalysis for Energy and Environment Depollution), da me coordinato, fa parte del Dipartimento di Ingegneria Industriale (DI.In.) dell’Università degli Studi di Salerno. In particolare, il Gruppo Proceed è attivo nello studio di nuovi processi catalitici e non, rivolti sia alla produzione di idrogeno da fonti fossili o rinnovabili, sia all’abbattimento dell’inquinamento atmosferico. Nel dettaglio, gli interessi scientifici sono rivolti allo studio e alla formulazione di nuovi catalizzatori per l’intensificazione di vari processi industriali catalitici, tra i quali citiamo: • reforming autotermico di idrocarburi leggeri con elevate efficienza termica e conversione; • catalizzatori strutturati ad elevata conducibilità termica per la produzione di idrogeno tramite steam reforming di metano; • nuovi catalizzatori strutturati per l’intensificazione del processo di CO Water Gas Shift; • catalizzatori per l’ossidazione parziale catalitica di idrocarburi;


53 • filtri catalitici innovativi per l’abbattimento di particolato carbonioso emesso da motori diesel, rigenerati tramite microonde; • catalizzatori per la produzione di idrogeno tramite steam reforming di etanolo a bassa temperatura; • produzione simultanea di idrogeno e zolfo tramite decomposizione catalitica di H2S. Le attività citate si caratterizzano tutte come “ricerca applicata”, e sono tutte contraddistinte da intense interazioni sotto forma di sviluppo di progetti nazionali ed europei, nonché di consulenze o convezioni di ricerca con le realtà industriali e di ricerca del territorio campano e, più in generale, nazionale e internazionale. Allo scopo di evidenziare le ricadute industriali delle attività svolte, se si considera la reazione di CO Water Gas Shift, questa è una reazione esotermica di equilibrio impiegata nella conversione di CO a H2 e CO₂, industrialmente condotta in due stadi catalitici adiabatici operanti a due diverse temperature, uno stadio ad alta temperatura (HTS) a circa 350 - 400°C e uno stadio a bassa temperatura (LTS) a circa 200 - 250 °C con catalizzatori a base di Fe-Cr e Cu-Zn, rispettivamente. Questo tipo di configurazione, sebbene sia quella attualmente piu impiegata, presenta ancora notevoli svantaggi che si traducono in costi eccessivi. I principali svantaggi sono legati al fatto che i due stadi richiedono due reattori e uno scambiatore di calore intermedio. La realizzazione di un processo a singolo stadio rappresenterebbe pertanto una notevole intensificazione di processo, consentendo di ridurre enormemente i costi. In condizioni adiabatiche, la esotermicità della reazione genera un gradiente termico sul letto catalitico, che si traduce in una temperatura più bassa all’ingresso, rispetto all’uscita del catalizzatore, sfavorendo la cinetica all’ingresso

e la conversione all’uscita; è teoricamente possibile, tramite una ridistribuzione del calore di reazione lungo il letto catalitico, appiattire il profilo termico abbassando la temperatura all’uscita del letto a spese di un innalzamento della temperatura all’ingresso, ottenendo di fatto una velocità di reazione maggiore ed una conversione più elevata. Pertanto, un catalizzatore che fosse particolarmente attivo nelle condizioni degli attuali due stadi e che, allo stesso tempo fosse in grado di appiattire il profilo termico sul letto catalitico, consentirebbe di operare in un singolo stadio, con un notevole risparmio di costo. Il laboratorio Proceed è impegnato nella realizzazione di catalizzatori ad alta conducibilità termica ed efficienza catalitica, preparati con carriers di alluminio a celle aperte che, grazie all’elevata conducibilità termica del supporto consentono di realizzare la retrodiffusione del calore di reazione lungo il letto catalitico, con una riduzione dell’incremento termico di circa il 90%, consentendo così di ottimizzare le condizioni cinetiche e termodinamiche di esercizio del reattore, migliorando la resa e la conversione, ponendo le basi per la realizzazione di un processo di WGS a singolo stadio. Il coinvolgimento in progetti di ricerca finanziati dal MIUR e dalla Comunità Europea hanno permesso di mettere a punto diversi impianti in scala di laboratorio e pre-pilota: in particolare, in collaborazione con la SOL spa e la KT – Kinetics Technology S.p.A. è stato sviluppato un sistema integrato, costituito da un reattore per il reforming autotermico di metano seguito da uno stadio di Water Gas Shift, entrambi caratterizzati dall’utilizzo di catalizzatori strutturati, in grado di produrre fino a 50 Nm3/h of H2. Nell’ottica di sviluppare tecnologie innovative in grado di garantire la produzione di idrogeno da fonti rinno-

vabili e il suo successivo impego come fonte energetica nelle celle a combustibile, il gruppo Proceed, nell’ambito del progetto europeo “COMETHY” ha dedicato una linea di ricerca al processo di reforming di bio-etanolo. Similmente a quanto osservato per il metano, l’endotermicità della reazione richiede alte temperature di esercizio per il raggiungimento di elevate rese ad idrogeno. Tuttavia, al fine di minimizzare la formazione di monossido di carbonio, ben noto veleno per l’anodo delle celle a combustibile, e garantire, nel contempo, bassi costi operativi e di esercizio, la ricerca è focalizzata sullo studio del processo a basse temperature (300-600°C). L’ottimizzazione della formulazione catalitica ha consentito il raggiungimento di elevate performances in termini di attività e stabilità. Inoltre, selettività a coke molto basse sono state registrate anche alimentando bio-etanolo simulato, contenenti le tipiche impurità contenute nella miscela prodotta dalle biomasse. Anche nel caso del reforming di etanolo, l’impiego di catalizzatori strutturati, in forma di schiume in carburo di silicio a celle aperte, ha consentito di minimizzare le resistenze al trasferimento di calore e di materia, migliorando ulteriormente le performances catalitiche. Il coinvolgimento di questo filone di ricerca in diversi progetti europei ha condotto alla preparazione di 10 dm3 di schiume catalitiche, che garantiscono la produzione di 2 Nm3/h di idrogeno in un reattore pilota a membrana operante a bassa temperatura e di 10 dm3 di catalizzatori supportati su silice per il reforming ossidativo di etanolo in un reattore a membrana a letto fluido, in grado di assicurare una produttività di idrogeno di 3.5 Nm3/h, entrambi quali unici esempi in Europa di reattori catalitici a membrana per il reforming di bioetanolo a basse temperature.


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Web, l’importanza dell’Offline First L'obiettivo è quello di creare applicazioni web che possano funzionare anche in assenza della connessione Internet Lino Mari Senior Technical Architect at Healthware International www.healthwareinternational.com www.linomari.com

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iamo tutti convinti di vivere in un mondo connesso dove tutto è sempre disponibile. Stiamo dicendo questo da anni, ma siamo sicuri sia vero? La realtà è molto diversa perché viviamo in un mondo in cui le connessioni non sono così stabili come sembra. Sappiamo che, in alcuni paesi, Internet non è né veloce, né affidabile, ma anche che in altri, cosiddetti avanzati, la disponibilità di connessioni stabili è un’utopia. Sappiamo che siamo sempre più dipendenti dalle reti mobili (3G, 4G) che in alcuni contesti possono lasciarci senza connessione. Ad esempio quando andiamo in campagna, in montagna oppure quando siamo in un altro paese e disattiviamo il servizio di rete a causa dei costi alti del roaming. Pensando a tutti questi problemi è nata una discussione tra gli addetti ai lavori che, negli ultimi due anni, è diventata trend topic, soprattutto tra gli sviluppatori web. Con il tempo questa discussione ha preso il nome di Offline First. Cosa significa Offline First? Con questo termine è stata lanciata una sfida soprattutto agli sviluppatori di applicazioni web. L'obiettivo è di creare applicazioni web che possano funzionare anche in assenza della connessione Internet. Per farlo la prima cosa è pensare all'architettura e alle tecnologie da utilizzare per rendere questo possibile. Sappiamo che la tendenza degli ultimi anni è di spostare gran parte dell'applicazione al client (pc) utilizzando librerie JavaScript per distribuire il carico di lavoro tra il server e il client. Questo approccio ha creato applicazioni performanti e quindi più efficienti. Per creare applicazioni offline è necessario prendere in considerazione l'uso di sistemi di caching locali e meccanismi di sincronizzazione dei dati. Cache e sincronizzazione. Se l’applicazione web che dobbiamo implementare risulta essere un insieme di pagine e contenuti statici risulta relativamente semplice assicurarsi che

funzioni anche una volta disconnessi. Tutto si complica quando parliamo di un'applicazione dinamica. Tra le applicazioni più note basate su questo concetto troviamo Google Gmail, che consente agli utenti di continuare a leggere i messaggi di posta elettronica scaricati anche una volta persa la connessione a Internet. Per creare applicazioni web dinamiche che funzionino offline, bisogna prima di tutto salvare i dati o parte di essi a livello locale. Ci sono diversi approcci per salvare i dati nella cache locale, ma consiglio di utilizzare una libreria che fornisce le API per salvare facilmente su IndexedDB, WebSQL o storage locale. Una delle librerie più utilizzate è localForage ed è disponibile su GitHub: https://github.com/ mozilla/localForage. Con questa libreria, è possibile salvare vari tipi di dati come, oggetti, array o file media. I dati memorizzati nella cache locale, quando la connessione Internet è nuovamente disponibile, dovranno poi essere sincronizzati. Un'altra libreria molto interessante è PouchDB che non solo rende disponibile API per il salvataggio dei dati in locale come localForage ma in più fornisce un potente sistema di sincronizzazione dei dati tra client e server. La libreria è disponibile su GitHub: https:// github.com/pouchdb/pouchdb. Conclusione. Oggi quindi è molto più facile progettare e realizzare applicazioni web che funzionino anche offline. Offline First è diventato un argomento di discussione ma è ancora raro vedere le applicazioni web funzionare davvero una volta offline. Non è un problema tecnico, ma la cultura di accessibilità che non è diffusa come dovrebbe. Tutti ben conoscono il valore del Responsive Design. Mi auguro che lo stesso possa accadere per l’Offline First. Per ulteriori informazioni sugli standard da adottare, si prega di visitare il W3C: https://www. w3.org/TR/offline-webapps/.


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SICUREZZA Settore ricerca, certificazione e verifica osservatorio della sicurezza a cura della Direzione Centrale Programmazione, Organizzazione e Controllo

Sicurezza alimentare, l’innovativo Sportello per la diffusione della conoscenza scientifica e tecnologica Primo prodotto operativo dello sportello sarà la realizzazione di un seminario innovativo/sperimentale per gli operatori del settore agrifood, che approfondirà il tema della sicurezza dalla produzione orticola fino al consumatore. L’appuntamento è per il prossimo novembre presso il Campus Etoile Academy di Rossano Boscolo a Tuscania di Elena Sturchio, INAIL DIT e Uranio Mazzanti, Organismo di ricerca CRF

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o “Sportello della Conoscenza Scientifica e Tecnologica quale vettore e acceleratore dell’innovazione culturale e produttiva, nel settore della sicurezza agroalimentare” è un progetto a carattere nazionale, realizzato in collaborazione con l’Organismo di ricerca CRF e la Fondazione Universitaria INUIT Tor Vergata. Lo Sportello attua un’innovativa strategia a lungo termine per: - favorire il realistico dialogo tra gli attori coinvolti nel processo di innovazione e ricerca scientifica e tecnologica: Università, Organismi di Ricerca, Imprese, Associazioni di categoria e Scuole (in particolare Istituti di Istruzione Superiore); agevolare i percorsi di valorizzazione delle attività di ricerca (tecnologie e competenze) nella scuola e nell'industria, promuovendo iniziative di servizi innovativi di disseminazione e compartecipazione attraverso processi di convergenza e di contaminazione intersettoriale; - mettere a sistema strumenti, competenze e obiettivi raggiunti perché siano di sostegno all'innovazione,

alla ricerca applicata e allo sviluppo sperimentale. Nella attuale fase di difficoltà economica e di contrazione delle risorse la conoscenza può diventare strumento per l’ottenimento di output produttivi. Lo sportello si prefigge di diventare uno strumento di dialogo tra impresa, ricerca e istruzione, mettendo così in relazione il mondo della “scienza” con la “società”, incoraggiando il dialogo tra le parti e consolidando il network degli attori del mondo della formazione universitaria con quella scolastica e con il mondo del lavoro, in modo da assicurare alle aziende e alla società civile di reperire sul territorio le competenze di cui necessitano e garantire ai giovani un corretto orientamento per il proprio responsabile inserimento nel mondo del lavoro. All’interno di questa cornice, delineata come “la terza missione dell’Università”, lo sportello si configura in modo autentico come funzionale "tessera del mosaico". Per facilitare in modo operativo lo scambio di informazioni ed esperienze scientificamente “validate”

concernenti la sicurezza in campo agroalimentare, lo sportello utilizza il sito web “www.innsite.it”, strumento ideato per far incontrare domanda e offerta e mettere in contatto chi cerca e chi fornisce beni, servizi o informazioni. Garantirà all’utenza, inoltre, l’aggiornamento sulla continua evoluzione delle disposizioni normative di riferimento attraverso la creazione di una struttura che funzioni da collegamento tra le esigenze del tessuto imprenditoriale e dell’istruzione e il know-how in continua evoluzione prodotto dall’attività di ricerca. Il progetto, attraverso la collaborazione con organizzazioni d’interfaccia, è un'opportunità per un dialogo costruttivo, produttivo e culturale tra imprese del settore e loro organizzazioni, mondo della ricerca e dell’istruzione, avvalendosi in primis di competenze ed esperienze innovative di ricerca dell’INAIL per gli ambiti di specifica competenza. Negli ultimi cinque anni il gruppo di ricerca ha ideato e realizzato un percorso di applicazione concreta e operativa, anticipando di fatto la


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S I CU R E Z Z A

La formazione tecnico scientifica in ambito agricolo e alimentare risponde al dettato della nuova politica agricola comunitaria per garantire la sicurezza igienica del prodotto in tutte le fasi della filiera

recente politica di terza missione dell’università e della ricerca. L’INAIL infatti svolge ruolo di riconosciuta autorevolezza nel trasferimento di conoscenze scientifiche e tecnologiche nel tanto drammatico quanto prioritario settore della prevenzione e sicurezza sul lavoro, nelle sue varie declinazioni. In questi anni i ricercatori hanno promosso e realizzato modelli operativi che coinvolgono proprio gli attori cui la politica nazionale attribuisce compiti responsabilità e risorse: scuole (its e “licei”), organismi pubblici e privati di ricerca e le imprese e loro organizzazioni. Lo sportello, dopo una prima fase di concertazione con le parti interessate, Università, Ministeri, Organismi di ricerca pubblici e privati, associazioni di categoria, realizzata presso il Parco Scientifico Romano dell’Università di Roma Tor Vergata, è stato presentato a Tuscania il 20 giugno 2016, alla presenza di autorità del mondo dell’istruzione, della politica nazionale e regionale, delle imprese e loro associazioni e di imprenditori locali. Tuscania è stata scelta in quanto rappresentativa di un territorio, la Tuscia, che da tempo è da più ottiche individuato come modello culturale di un possibile rilancio di ricchezza sostenibile dei territori del nostro Paese (http://www.biotecnologiesicurezza.it/videotuscania.mp4; http:// www.biotecnologiesicurezza.it/services-view/sportello). Primo prodotto operativo dello sportello sarà la

realizzazione di un seminario innovativo/sperimentale per gli operatori del settore agrifood, che tratta della sicurezza dalla produzione orticola al consumatore. È il primo seminario in programma di una lunga serie e si svolgerà il prossimo novembre presso il Campus Etoile Academy di Rossano Boscolo a Tuscania. Si intende fornire alle imprese di tale settore: attività di informazione, formazione e realizzazione di laboratori dimostrativi per l’efficace trasferimento delle attività di ricerca. I tecnici che operano nel settore agroalimentare avranno a disposizione nuovi e sempre aggiornati strumenti, conoscenze e tecnologie che possono essere utilizzate per salvaguardare l’ambiente, la sicurezza e la salute dell’operatore e migliorare la qualità degli alimenti integrando e implementando l’efficacia dei sistemi di garanzia della qualità già adottati. La formazione tecnico scientifica in ambito agricolo e alimentare risponde al dettato della nuova politica agricola comunitaria per garantire la sicurezza igienica del prodotto in tutte le fasi della filiera. Gli operatori qualificati potranno fare un’esperienza, su specifiche macchine alimentari, legata a individuare con l’ausilio di schede dedicate - le condizioni di rischio durante l’uso e la valutazione della documentazione adeguata che accompagna una macchina alimentare per valutarne la conformità. Il coinvolgimento delle scuole di cucina che prevedono

la formazione degli operatori, che spazia dalla gestione degli orti propri di produzione fino alla tavola, con controllo del prodotto su tutta la filiera, risulta di prioritario interesse perché permette di approfittare della grande attrazione sui media della gastronomia di qualità per veicolare in modo efficace dei corretti e validati messaggi di prevenzione e di tutela al grande pubblico così da realizzare la capillare diffusione della cultura della sicurezza ch'è nella mission di INAIL. Le finalità dello sportello sono state positivamente considerate dallo scienziato esperto dei cambiamenti climatici e delle loro implicazioni nel settore agroalimentare, Riccardo Valentini, che nell’occasione del citato Convegno di Tuscania, ha espresso l’interesse della Regione Lazio a individuare possibili forme di sostegno a iniziative volte a promuovere una difesa attiva, etica e produttiva dei territori. La sicurezza della filiera agroalimentare di un territorio è infatti elemento fondamentale di un suo rilancio virtuoso nel senso di qualità della vita che può essere garantito dagli operatori del settore, dagli imprenditori agricoli, da quelli della trasformazione e del commercio, dagli chef che sempre di più fanno tendenza e che si auspica che diventino operatori strategici consapevoli e capaci di assumere un ruolo di comunicatori di conoscenze validate nel settore agroalimentare.


S A LU TE

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Beat the Street: l’epigenetica positiva in pratica La Fondazione ADI, in collaborazione con Inteligent Health e il Comune di Terni, ha organizzato una divertente sfida inserita nella vita di tutti giorni di una comunità. La gara si svolge a Terni dal 21 settembre al 2 novembre 2016 Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

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uindici anni fa il genoma umano è stato completamente sequenziato e assemblato. Il genoma umano può essere considerato come un libretto di istruzioni contenente l'informazione necessaria perché sia costituito l'intero organismo, con le seguenti caratteristiche: ha più di un miliardo di parole; è composto da 5000 volumi, ognuno lungo 300 pagine; è contenuto nel nucleo di una cellula; è contenuto in quasi tutte le cellule dell'organismo. Molti di noi erano convinti che, grazie a questa scoperta, si sarebbe trovata con facilità la soluzione ai tanti problemi di salute che affliggono il genere umano. Purtroppo sono stati sottovalutati alcuni dati di fatto. Tanto per cominciare ci sono meno di 25.000 geni nel genoma umano; tuttavia ci sono più di 100.000 proteine derivate dai geni. Inoltre l’espressione di una singola proteina dipende da più geni (multigenicità) e un singolo gene è in grado di influenzare il destino di più proteine (pleiotropia). Recentemente si è molto parlato di epigenetica, definita come lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione genica che non sono causati da cambiamenti nella sequenza del DNA. Il termine è ripreso da Aristo-

tele, il quale credeva nell'epigenesi, ossia nello sviluppo di forme organiche individuali a partire dal non formato ed è stato introdotto dal genetista Conrad Waddington (1942) per descrivere i fenomeni che portano dal genotipo al fenotipo. L’epigenetica indaga dunque quella parte della genetica che interessa l’espressione genica, altrimenti detta fenotipo. In termini molto semplici, il gene si esprime in un modo o in un altro, in salute o in malattia, in rapporto a molteplici fattori, che comprendono tutte le interazioni che il nostro organismo ha con l’ambiente interno ed esterno. L’epigenetica è un processo secondo il quale, ad esempio, i fattori ambientali possono agire nel medio-lungo termine sull’espressione genica, senza modificare la sequenza genetica sottostante. Uno stile di vita salutare e attivo è in grado di modificare in senso positivo sia la qualità, sia la durata della vita di ciascuno di noi. In questo caso l’epigenetica assume anche valenza positiva e liberatoria rispetto al determinismo e alla condanna della genetica. Nell’ultimo secolo la vita media si è allungata considerevolmente, ma il periodo libero da malattie non è cresciuto proporzionalmente. L’attività fisica è il principale fattore in

grado di influenzare positivamente la nostra salute tanto che la sedentarietà viene considerato un fattore di rischio molto importante per le principali malattie metaboliche e cardiovascolari. Per cercare di migliorare lo stile di vita della popolazione, la Fondazione ADI in collaborazione con Inteligent Health e il Comune di Terni ha promosso l’iniziativa Beat the street che coinvolge una intera città. Beat the Street è una divertente sfida inserita nella vita di tutti giorni di una comunità. La gara si svolge a Terni dal 21 settembre al 2 novembre 2016. I partecipanti accumulano punti e vincono premi camminando, pedalando o correndo da un punto all’altro passando una tessera, registrata e attivata, sugli appositi sensori (Beat Boxes) posizionati sui pali della luce, lungo le strade scelte come percorsi dell’iniziativa. Questo progetto è rivolto al più alto numero possibile di partecipanti. Sono stati coinvolti i diversi plessi scolastici e si conta di riuscire ad avere una adesione superiore al 20% della popolazione, cioè oltre 20.000 persone. Obiettivo è quello di percorrere 400.000 chilometri in sei settimane. Può essere definito un tentativo pratico di realizzazione di un progetto complesso di epigenetica positiva.


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S A LU TE

Tatuaggi, una scelta di colore non più definitiva Grazie ai laser di nuova generazione oggi è più facile rimuoverli

Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it / www.istitutodermoclinico.com

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e fino a qualche anno fa la procedura per la rimozione di un tatuaggio prevedeva un lungo e delicato intervento chirurgico, ora, grazie ai laser di nuova generazione, le cose sono cambiate. Il tatuaggio è un insieme di micro-particelle di inchiostro che vengono iniettate nella parte più profonda della pelle attraverso aghi. Queste micro-particelle hanno una grandezza maggiore rispetto alle cellule epiteliali così da restarne intrappolate all’interno. Il laser, in particolare il laser Q-Switched, utilizza un fascio di luce concentrata che colpisce i granuli di pigmento colorato che costituiscono il tatuaggio, frantumandoli in pezzettini minuscoli che con il tempo vengono riassorbiti dalle cellule macrofagi del nostro organismo (particolari cellule che funzionano come spazzini). La possibilità di ottenere una buona cancellazione dipende da diversi fattori: profondità, tipo e intensità del colore. La profondità è la più difficile da poter stabilire a priori perché dipende da chi esegue il tatuaggio, dallo spessore della pelle del paziente e dalla sua reazione all’inchiostro. Potrebbe sorprendere invece che, per quanto riguarda il colore, i tatuaggi neri e blu sono più facili da rimuovere di quelli rossi e gialli, o comunque più chiari, questo perché il laser interagisce di più con i colori scuri e molto meno con quelli chiari. Inoltre il colore è tanto più intenso quanto maggiore è la quantità di inchiostro per centimetro quadrato. Per eliminare un tatuaggio dai colori decisi e carichi occorreranno quindi più sedute di laser. Discorso analogo quando l’inchiostro è penetrato a

maggiore profondità: in questo caso occorre che il laser agisca ben sotto la superficie della cute, con un rischio superiore di lasciare cicatrici. Questo trattamento è quasi del tutto indolore ad eccezione di una sensazione come di “puntura di spillo” ed è applicabile alla maggior parte delle persone, escludendo però chi è affetto da psoriasi (che dovrebbe evitare del tutto i tatuaggi) e chi ha pelli predisposte a formare cheloidi ovvero pesanti cicatrici. In questi ultimi soggetti l’esito potrebbe essere esteticamente insoddisfacente. Prima di procedere al trattamento con il laser è comunque necessario effettuare una visita specialistica con il dermatologo di fiducia e un test sulla pelle nel corso della quale il medico dirige la luce su una piccola porzione del disegno per verificare se è utile. Può capitare, infatti, che a causa del tipo di pelle della persona o della parte tatuata o del tipo di lavorazione con la quale è stato fatto il tatuaggio, il laser possa risultare inefficace. Se, per esempio, il disegno non è stato realizzato con apparecchi precisi (e ciò accadeva soprattutto in passato) può non esserci uniformità di colore e di profondità. In questo caso, il trattamento laser non riesce a eliminare del tutto il tatuaggio. I costi e il numero di sedute sono variabili, infatti, possono partire dai 500,00-600,00 euro fino a qualche migliaio per tatuaggi grandi, profondi e con colori intensi e il numero di sedute va da un minimo di 2 o 3 fino a più di una decina per zone che presentano una pelle particolarmente spessa come la schiena.


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L’arte del ricevere 3.0: buoni consigli per ospiti e padroni di casa Da parte di chi è destinatario dell'invito, il limite massimo per fare e rifare domande sull’indirizzo è tre ore prima dell'appuntamento, un giorno prima per eventuali ripensamenti e per chiedere di arrivare con qualcuno senza mettere in imbarazzo chi riceve

Nicola Santini Esperto di galateo, costume e società ph/Christian Ciardella

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ogliamo parlare di quelli che inviti a cena per la prima volta a casa tua con dieci giorni di anticipo, fornendo loro nel minimo dettaglio le indicazioni, e che a due minuti dall'orario previsto ti stalkerizzano su whatsapp per sapere indirizzo, citofono, posizione, scala, ascensore, interno? Bene, sparliamone. Mi è capitato personalmente qualche giorno fa: inauguro la casa dopo mesi di lavori e decido di invitare tutti gli amici che spesso mi accusano di latitanza perché una volta sono a cena fuori per lavoro, una volta sono a New York per vacanza, l'altra sono a Roma per la tv, spesso e volentieri sono irraggiungibile per sopraggiunti limiti di batteria telefonica. Insomma, tutti quelli che, per un motivo e per l'altro, vedo con piacere ma che di fatto non vedo e che meritano, quantomeno, un buon piatto di pasta fatto con le mie mani. Totale numero invitati: 30. L'invito lo faccio come da galateo 3.0: via whatsapp. Così capisco dalla spunta blu se qualcuno fa lo gnorri o se legge e risponde prontamente (come pretende da me anche quando sono in mezzo a una registrazione in tv e il telefono è comodamente in camerino). Rispondono tutti, tranne un paio, sacrificabili, che aspetto al varco alla prossima lamentela. Come si usa fare in questi casi comunico l'occasione, il giorno, l'ora, l'indirizzo preciso, il numero sul campanello (i cognomi a Milano non si mettono più) la scala e il piano: 9! Mi si replica in modo laconico: pollici all'insù, ringraziamenti, cuoricini, faccine con sorriso. L'invito è dalle 21, che significa che non ci sono posti assegnati, che il menù è tale da consentire di non sedersi a tavola a un orario preciso, basta non arrivare prima e il gioco è fatto. La preparazione è di quelle salva equilibrio mentale: rustici, una buona insalata di pasta, due di verdure miste per gli amici vegani e una di

pollo scondito per il solito ipermegasportivo che non mangia altro. Domanda ricorrente: «Cosa porto?». Una volta o l'altra risponderò di portare una cambiale. «Vieni col sorriso» è la risposta da dare: poi a discrezione loro scegliere un vermentino o dei cioccolatini, uno spumante italiano o una scatola di confetti aromatizzati. Sta di fatto che la domanda è la più imbarazzante anche per me. Sempre. Ma se all'imbarazzo ho sempre una formula di replica, all'impertinenza di chi alle 21 e 01 inizia a scrivermi mentre rispondo ai citofoni, mentre prendo le giacche, mentre servo prosecco per chiedermi di nuovo conferma dell'indirizzo, ecco lì non so cosa, se non una dose massiccia di rescue remedy (il fiore di bach studiato per placare le ire immediatamente), può esimermi dal non dare un indirizzo meno elegante che tutti abbiamo capito. Da qui in pillole i consigli per padroni di casa e ospiti: siate sempre chiarissimi nel fornire indirizzo e dettagli. Se la casa è vicina a un mezzo pubblico (fermata delle metropolitana o del bus o del tram) agevolate l'ospite facendolo presente, se le scale sono due spiegatelo, se sul campanello usate pseudonimi comunicatelo e, possibilmente, date un orario di arrivo tale da non farvi trovare a spadellare all'ultimo minuto, perché l'operazione <<ti ridico 4 minuti dopo l'ora prevista dove vivo>> richiede tempo e nervi saldi. Da parte di chi riceve l'invito il limite massimo per fare e rifare domande è tre ore prima dell'appuntamento, un giorno prima per eventuali ripensamenti, per chiedere di arrivare con qualcuno senza mettere in imbarazzo chi deve moltiplicare pani e pesci e quel qualcuno deve avere un senso. Per vostra informazione la cena è andata benissimo e si ripeterà presto. Certo, che fatica: l'arte del ricevere è anche arte del dare. Soprattutto.


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L’evento del ritorno Negli spazi della GABA.MC di Macerata, una retrospettiva dedicata al maestro Nicola Maria Martino, fino al 4 dicembre 2016

di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata

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ome figure che sgorgano da un'infanzia mai dimenticata, giochi d'avvicinamento ad un mondo incantato e spumose delicatezze d'un erotismo primario che porta il desiderio a desiderare le cose desiderate, le immagini che costellano il percorso intellettuale di Nicola Maria Martino invitano a riflettere sull'infinito intrattenimento della pittura e su un sillabario espressivo che alleggerisce, ammorbidisce, allontana le brutture del mondo, fino a cancellare la «sbiadita realtà senza fantasia degli adulti». Cieli limpidi arati da piccoli e innocui aeroplani o da nostalgici aquiloni, barchette affilate che percorrono mari e disegnano leggendarie avventure, biciclette filiformi che girano tra i borghi assolati di provincia, casette e stelle filanti che sembrano provenire dal paese delle meraviglie: e poi atolli, prati, alberi, fiori, segni, graffi, tracce di gioia e dolore che scolorano e si perdono su superfici screpolate dalla luce, rivestite dall'immaginazione degli anni, dei mesi, dei giorni, delle ore. Il ventaglio iconografico offerto da Martino è fatto di questi soggetti privilegiati che accorciano gli argini del tempo per meditare su un mondo mitico ed eroico evocato con emotivo silenzio lirico, con un sentimento che mostra qualcosa di mai visto e di segretamente familiare. Martino ricorda di ricordare, di ritornare al paese dei balocchi, di guardare con dolcezza gli incanti di Lilliput e di afferrare la crudezza del reale mediante stratagemmi poetici che contemplano il silenzio delle cose. Dopo un primo cammino comportamentale che porta l'artista a contestare con

Nicola Maria Martino

manovre polemiche e dissacranti l'establishment culturale e i lobbysmi di turno - a questo periodo risalgono performance e azioni come L'artista firma i muri (1969), Uscire dalla porta della critica (1970), Ombra d'artista (1971), Artista Italiano in vendita (1972), Ginnastica ad arte (1973), L'artista ha in grande considerazione la sua presenza (1973), L'artista non siede mai in panchina (1973) e Fuori commercio (1974) - Nicola Maria Martino sente l'esigenza di tornare ai perimetri chiari del codice pittorico per verificare nuovamente la forza del colore sulla superficie. Nel 1974, con la straordinaria serie dei reggiseni e successivamente con Colore Dolore (1976) è infatti tra i primi ad avvertire e praticare un cambio di rotta che lo riporta dunque agli ambienti della


61 sulla tavolozza dell'artista «Braque per la sua posizione etica, Matisse per la grande felicità nel colore, de Chirico per la visionarietà» e la sovratemporalità) per dar luogo a stupefacenti impennate pittoriche che trasformano il terreno pittorico in ambiente del pensiero, in camera semiotica tesa ad allineare i morfemi e i cromemi alle regole grammaticali della fantasia. Del resto per Martino «il gesto della pittura ha valore solo in quanto opera di Nicola Maria Martino rende possibile la realizzazione materiale dell'ipotesi di partenza», pittura (e in questo l'artista può avverte Filiberto Menna nel 1973: vantare dei meriti pionieristici), «qualsiasi intervento casuale, non di un'atmosfera cromatica previsto, deve essere accuratamente croccante e squillante, di una scartato nella misura in cui pastosità poetica che si reinventa potrebbe introdurre un fattore mediante spericolate virate nel di disturbo lungo il processo che terreno fertile dell'immaginazione. […] porta l'azione mentale ad «Pittore nativo», così lo ha definito identificarsi con lo spazio della Cesare Vivaldi, Martino si innesta tela» e a permutare la stessa pittura così, «con coscienza e autorità, in cosa mentale, in poesia muta. in quell'aria di cultura pittorica Con una intimità che restituisce romana […]» che da Cy Twombly le esigue tracce di un'antica serena a Gastone Novelli «arriva, traverso maraviglia le contrade estetiche certo lavoro di Baruchello, di battute da Martino mostrano, negli Carla Accardi, dell'ultima Fioroni anni, e soprattutto nell'ultimo sino a Simona Weller e ad altri decennio, un inesauribile dialogo giovani», a stabilire non solo il con le cose di sempre, con i luoghi primato del significante rispetto al significato, ma anche a detronizzare le freddezze concettuali e ad avviare una pulizia che salta il fosso del comportamentale per riappropriarsi di un dispositivo linguistico su cui esercitare scorrimenti pindarici, verificare la vertigine del ritorno, superare l'aderenza con il magma delle cose. Il suo è un armamentario magico che prende per la coda la figurazione con lo scopo di svolgere un progetto brillante dove la frontalità bizantina sposa l'aspetto opera di Nicola Maria Martino tragico del manierismo e il bagliore scenografico barocco (non mancano

opera di Nicola Maria Martino

che l'artista richiama alla memoria, con un piccolo mondo antico dove possono apparire i fantasmi dei principi e delle nascite, dove i flutti del mare si fanno eterni, dove i colori mutano in contrappunti di uno spartito che all'originale privilegia l'originario, dove le figure umane si dissolvono, dove coesistono implicitamente l'è stato, l'è e il sarà. Martino sente l'esigenza archeologica di scavare ancóra nei dedali del tempo, di portare alla luce, appunto, le presenze originarie della mente per farle esplodere nell'evidenza della percezione. La sua pittura (una pittura colta ha notato Italo Mussa in tempi non sospetti) pare dissolvere il presente in quanto mancanza della consapevolezza dell'esistenza del presente per sovrastoricizzare e deterritorializzare le occasioni, per attuare una potente Wandlung che frulla sulla tela gli attimi fuggenti dell'evidenza finita in prima persona, le screpolature autobiografiche (e ciò che sussiste in conformità ad una φαντασία λογική), le circostanze di una differente ripetizione, il senso del vuoto da riempire a mezza voce, nel mormorio delle cose.


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FI N I STE RRE

Omaggio a Samuel Beckett, dal teatro ai media La sintesi e la totalità delle arti, l’indistinzione della matrice linguistica e l’ibridizzazione dei generi, trovano nel programma beckettiano un comune punto d’ancoraggio e di sincronismo Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università degli Studi di Salerno

U

na consapevolezza estrema ha sempre animato Samuel Beckett. Una consapevolezza che leggiamo, perfetta e radicale, anche nell’uso complessivo dei media, prima dentro il suo teatro e poi con la pratica diretta della radio, della televisione e del cinema. Una pratica e una consapevolezza della dimensione mediale, della sua totale e totalizzante produzione artistica. Beckett nel suo attraversamento del Novecento ha assorbito tutto: tecniche, linguaggi, strutture, percorsi del pensiero, onde emozionali. Sono pochi gli autori del Novecento che hanno avuto il privilegio di seguire lo sviluppo delle innovazioni tecnologiche e di incrinare la loro attenzione – se non proprio il loro operare – su tali mutamenti. E sono davvero pochi quanti possono vantare un interesse mediale e una sperimentazione totale pari a quelle che hanno contrassegnato la vita e l’opera di Samuel Beckett. Interesse e sperimentazione che marchiano e si centralizzano attorno a un reale e irreparabile punto di rottura nei confronti della più diretta avanguardia letteraria. Il romanzo modernista, con i cui autori, Joyce in particolare, Beckett era in forte sintonia, aveva dichiarato l’impossibilità di riconoscere il mondo come un tutto unitario e comprensibile. Di fronte all’inconoscibilità – se non per frammenti- della realtà contemporanea, i limiti spaziali e temporali della forma teatrale per Beckett si trasformavano paradossalmente in idea di libertà. Il teatro, almeno per lui, offre infatti all’autore la possibilità di esprimersi senza le restrizioni dettate dalle “cose” (dalla realtà esterna all’io che crea), di

diventare un mondo di cui è signore assoluto. Beckett trova nel codice teatrale, nel suo innesto con le tecnologie, lo strumento col quale poter oltrepassare lo steccato della frammentarietà per parlare non a una piccola quantità di individui ma all’umanità tutta. È importante sottolineare che Beckett si trasferì a Parigi nel 1938, proprio quando, nel periodo postsurrealista, vari personaggi con i quali entrò in rapporto (tra cui Bataille, Breton, Jarry) andavano a ripensare i vari movimenti avanguardisti. Inoltre, l’operazione beckettiana di contaminazione mediale ha un primo cominciamento con la


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«Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò ancora. Fallirò meglio» Samuel Beckett

produzione dei romanzi e dei racconti (maturati su indicazione del suo Maestro James Joyce e successivi ai suoi lavori saggistici su Dante e Proust). Continua con il teatro, attraversa la produzione radiofonica e giunge alla televisione e al cinema. Seguendo questa lineare di ricerca e contaminazione: poesia, letteratura, teatro, radio, cinema e televisione in Beckett si uniscono (e alle volte si confondono) in un programma di narrazioni differenti nelle quali i diversi generi letterari e mediali cessano di avere importanza (e di poter essere “distinti”), fino a una estrema visione della componente mediale necessariamente dentro la pratica scenica. La sintesi e la totalità delle arti, l’indistinzione della matrice linguistica, l’ibridizzazione dei generi, trovano dunque un comune punto d’ancoraggio e di sincronismo nel programma beckettiano. Infatti per Beckett l’alleanza delle arti e l’utilizzo del

materiale multimediale è centrale e va a tracciare costantemente la linea di costruzione della sua poetica. Una sorta di programmazione sovramediale atta a disegnare, dispiegare e sintetizzare il reale lavoro effettuato da Beckett. Tutto questo sia ben chiaro in tempi “non sospetti”. Quando, appunto, “cultura di massa” era voce del negativo (ancora era lontano un Umberto Eco ad aprirci la mente sul valore dei consumi e delle forme estetiche popolari). Insomma Samuel Beckett è il primo verso scrittore che comprende il valore della comunicazione radiofonica e televisiva. Ma per comprendere, fino in fondo, il denso progetto e processo creativo (e produttivo) beckettiano bisogna sporgersi verso gli anni Trenta del Novecento, verso gli anni della giovinezza beckettiana. Tutto nasce nella sua intensa gioventù degli anni Trenta (vissuta tra Dublino e Parigi). In una dimensione quasi

benjaminiana di attraversamento vitale della città, in particolare Dublino. È lì che ha incominciamento la storia d’amore tra le immagini in movimento e gli strumenti della comunicazione (radio, magnetofoni, utilizzo delle luci, microfonazione…). Nello spazio metropolitano avviene un’attrazione costante verso lo svelamento dei linguaggi e delle strumentazioni tecniche, che accompagnano Beckett nell’arco di tutta la sua lunga e intensa vita d’artista. Vita che s’interrompe a seguito di una caduta il 22 dicembre 1989. Ma in perfetto stile beckettiano la notizia della morte del drammaturgo irlandese giungerà tardi. Infatti, la sua scomparsa sarà diffusa soltanto dopo quattro giorni a sepoltura avvenuta nel mitico parigino cimitero di Montparnasse (dove in un immaginifico post-reale stile “A livella” incontrerà Baudelaire, Ionesco, Brancusi, Cortazar, Duras, Sontag, Gainsbourg…).


LI B R I / H OME CINE MA

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a cura di Raffaella Venerando

a cura di Vito Salerno

Neve, Cane, Piede di Claudio Morandini

La Pazza Gioia di Paolo Virzì

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l romanzo, vincitore dell’edizione 2016 del Premio Elsa Morante, è ambientato in un vallone isolato delle Alpi. Vi si aggira un vecchio scontroso e smemorato, Adelmo Farandola, che la solitudine ha reso allucinato: accanto a lui, un cane petulante e chiacchierone che gli fa da spalla comica, qualche altro animale, un Neve, Cane, Piede giovane guardiacaccia che di Claudio Morandini Editore: Exòrma si preoccupa per lui, poco prezzo di copertina altro. euro 13,00 La vita di Adelmo scorrerebbe scandita dai cambiamenti stagionali, tra estati passate a isolarsi nel bivacco sperduto e inverni di buio e deliri nella baita ricoperta da metri di neve, se un giorno di primavera, nel corso del disgelo, Adelmo non vedesse spuntare un piede umano dal fronte di una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata. Dal libro «Adelmo Farandola ogni tanto si ricorda dei cavi che gli hanno ronzato sulla testa durante tutta l’infanzia. Le case del paese in cui era nato si stringevano proprio sotto il passaggio dell’elettrodotto, tra un pilone e l’altro, e quei cavi altissimi ronzavano giorno e notte. Quando il vento cessava, quando lo scampanio delle vacche si placava nel sonno, il ronzio aumentava fino ad assorbire i pensieri. Allora gli uomini credevano di diventare matti, urlavano per non sentire in testa il ronzio, picchiavano le donne, picchiavano le bestie, si scolavano bottiglie di vino per diventare sordi, partivano per i campi e non tornavano più. Tutti matti diventiamo, diceva la sua povera mamma. E anche il papà lo diceva, prima di prendere un bastone e rincorrere il figlio come se la colpa di quel ronzio fosse di quest’ultimo».

I

l regista Paolo Virzì, con la collaborazione di Francesca Archibugi alla scrittura, fonde ironia, buonumore e dramma in un on the road movie ambientato in Toscana che guarda al mondo femminile con una sensibilità che si fa, film dopo film, sempre più partecipe delle sorti dei personaggi che porta sullo schermo. La Pazza Gioia è una commedia drammatica che racconta di una improbabile amicizia fra due donne, Beatrice e Donatella, ospiti in una casa di cura per malattie mentali situata nel verde delle colline pistoiesi. Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi), ex ricca mitomane che tutto e tutti vuole comandare, è una sedicente contessa, chiacchierona istrionica e a suo dire in intimità coi potenti del pianeta, che vanta un’agenda zeppa di nomi della fama di Armani e George Clooney. Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti) è, invece, una giovane donna, fragile e silenziosa, che custodisce un doloroso

segreto. Sono tutte e due ospiti di una accogliente comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, entrambe classificate come socialmente pericolose. Diverse per età, temperamento, classe sociale e patologie, Beatrice e Donatella non si direbbero fatte per intendersi: tanto la prima è mitomane, loquace e narcisistica, tanto la seconda è insicura, silenziosa e schiva. E, invece, le due donne saranno protagoniste di una fuga strampalata e toccante, alla ricerca di un po’ di felicità in quel manicomio a cielo aperto che è forse il mondo dei cosiddetti sani.



NUMERO 04

SETTEMBRE/OTTOBRE 2016

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