Costozero n.5/2016

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EDITOR IA L E / NOVEMBR E DIC EMBR E 2016

Le classi dirigenti e la sfida del cambiamento Solo con una politica economica seria e decisa potremo ridare slancio al Paese, recuperando competitività e promuovendo coesione sociale

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o scorso 8 novembre, per l’ultima volta da presidente di Confindustria Salerno, ho proposto - dal palco del Teatro Verdi alla platea in sala - le mie riflessioni su quella che ritengo essere la precondizione dello sviluppo di un territorio: la costruzione di una classe dirigente capace di interpretare le esigenze del nostro tempo. Oggi è enorme il divario tra il profilo ideale della classe dirigente e le sue caratteristiche reali. Da chi è alla guida ci si aspetta visione strategica, capacità decisionale, oltre a un’elevata sensibilità verso l’innovazione ma nel concreto le doti percepite come utili risultano il merito di avere relazioni interpersonali importanti e la propensione a difendere interessi privati in luogo del benessere generale. La classe dirigente attuale, dunque, non piace. L’incapacità di dare risposte adeguate al prolungarsi della crisi economica e le reazioni sostanzialmente confuse rispetto alla crisi d’identità dell’Europa, espongono sempre di più la nostra società a inconcludenti forme di populismo che hanno il merito di saper ben cavalcare l’onda della protesta, per poi farsi travolgere dalla risacca della responsabilità della proposta. Disagio sociale e crisi economica sono state, a mio avviso, anche le ragioni che hanno spinto tanti al Sud a votare contro il disegno di riforma costituzionale, bocciato dall’esito referendario lo scorso 4 dicembre. Restiamo convinti che abbiamo mancato - l’Italia ha mancato - un’occasione di sviluppo, il "la" giusto per modernizzare il Paese. Alla classe dirigente, oggi più che mai, è affidato quindi il compito di saper immaginare un futuro verso cui condurre il Paese, perché esso “torni a desiderare”, riattivando se stesso e ritrovando l’orgoglio di quello che può ancora diventare. È chiaro che questo cambio di passo può concretizzarsi solo perseguendo nuovi modelli di selezione. Bisogna passare dal puro vantaggio di relazioni interpersonali al riconoscimento oggettivo del merito individuale. Se continuerà a prevalere un meccanismo in cui si premiano più la fedeltà che le competenze e il merito, le persone non avranno incentivi a migliorare e a migliorarsi: prevarrà sempre la tendenza ad adeguarsi e a ridurre il più possibile i conflitti attraverso la creazione di legami stabili con gruppi di riferimento cui garantire fedeltà in cambio di appoggio e sicurezza del proprio status. Il sistema dell’education e la ripresa della mobilità sociale che, secondo una recente indagine del Censis, rallenta nel nostro Paese, sono entrambi dunque punti di snodo imprescindibili per la creazione di una nuova guida, per una società che possa dirsi compiutamente democratica. Alla luce del periodo di indeterminatezza politica che ci aspetta nei prossimi mesi, diventa particolarmente urgente trovare soluzioni rapide capaci di riportare al centro la manifattura e ricondurre la questione sociale dentro quella puramente economica, per non rischiare di avere una crescita per pochi e un mancato sviluppo per tanti. Le necessità del Paese restano le stesse: riforme, riforme e ancora riforme. Solo con una politica economica seria e decisa, potremo rispondere con successo all’immensa sfida di rimettere le finanze pubbliche sulla strada giusta, modernizzando l’economia, recuperando competitività e promuovendo coesione sociale. Mauro Maccauro Non ci sono "no" che tengano.

presidente Confindustria Salerno @MauroMaccauro


S O M M A RIO EDITORIALE 1

STRATEGIE DI IMPRESA

Le classi dirigenti e la sfida del cambiamento di M. Maccauro

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Industria Grafica FG, il talento dell’esperienza di R. Venerando

PRIMO PIANO / CONFINDUSTRIA SALERNO ASSEMBLEA 2016

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Marina d’Arechi, un’opera di immensa passione a cura della Redazione Costozero

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Trasmissione futuro: le considerazioni finali di Mauro Maccauro di R. Venerando

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La risorsa Umana, chiave per la crescita dell’impresa a cura della Redazione Costozero

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Delai sulle classi dirigenti «Basta con il pensiero gregge» di R. Venerando, intervista a N. Delai

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Synergie, vent’anni e non sentirli di R. Venerando

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Delzio: «Dobbiamo diventare "portatori sani" del virus del merito» di R. Venerando, intervista a F. Delzio

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CTI FoodTech, trent’anni di successi a cura della Redazione Costozero

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Premio "Impresa Oltre Salerno", profeti non solo in patria di R. Venerando

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Mecar spa e Smet Logistics, aziende in costante movimento di R. Venerando EDILIZIA INDUSTRIALE

L’OPINIONE 12 Legge di Bilancio 2017, l’ultimo ambizioso disegno del governo Renzi di R. Venerando, intervista a M. Leonardi

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PTCP, localizzare nuove attività produttive qualificando il territorio di I. De Notaris NORME E SOCIETÀ

14 Una riforma mancata. Purtroppo di A. Matonti

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16 Provenzano, Svimez: «Il Sud non è un vuoto a perdere» di R. Venerando, intervista a G. Provenzano

Bonifici on line non autorizzati, la responsabilità degli intermediari finanziari è semi-oggettiva di M. Galardo

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L’efficienza della giustizia civile per la crescita economica di M. Marinaro

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L’importanza della giustizia riparativa e il Progetto Sicomoro di L. De Valeri

FOCUS 18 La presenza marittima e logistica della Cina nell’Area Med: da mare di transito a mare strategico di A. Panaro CONFINDUSTRIA SALERNO

LAVORO

20 MusicArtFood 2016, buonissima la terza edizione del galà di Natale dei GI di Confindustria Salerno di M. Pallotta

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Licenziamenti disciplinari, c’è il reintegro se il fatto è privo del requisito dell’antigiuridicità di M. Ambron

21 PMI Day 2016, 366 studenti a scuola di impresa a cura della Redazione Costozero

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Videosorveglianza sui luoghi di lavoro: quali rischi per la nostra azienda? di P. Di Stefano

24 Premio BP per l’innovazione 2016, idee che migliorano la vita e l’impresa di R. Venerando 25 Young Factory Design: ecco chi sono i vincitori di R. Venerando

FISCO 46

Omessa dichiarazione Iva con imposta a credito, cosa ha stabilito la Corte di Cassazione di Maurizio Villani e Iolanda Pansardi


NUMER O 5 / NOVEMBR E DIC EMBR E 2 0 1 6 48

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Start-up innovative, arrivano nuove agevolazioni con la Legge di Bilancio di A. Sacrestano Le società neo acquisite entrano nel consolidato fiscale di M. Fiorentino RICERCA

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Schiume polimeriche magneto-sensibili, una nuova classe di materiali con applicazioni sorprendenti di R. Pantani Intelligenza Artificiale e Big Data rivoluzioneranno il modo di curarci di L. Mari SICUREZZA

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Dal Dispositivo Medico al Dispositivo di Protezione Individuale di Francesco Campanella e Laura Moretti SALUTE

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Inverno a fior di pelle di A. Di Pietro

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Diabete e prediabete: non solo una questione semantica di G. Fatati BON TON

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Natale e dintorni, un solo obbligo: rispettate l’undicesimo comandamento! di N. Santini ARTE

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Magazine di Economia, F inanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg . Trib. di Salerno N. 677 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Mauro Maccauro Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management V ito Saler no Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Saler no Ser vice Sr l V ia Madonna Di Fatima, 194 84129 Saler no Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 03971170653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Saler no Foto Archivio Costozero V ito Saler no Massimo Pica/Ag . Fotografica Studio Fotografico Cerzosimo Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it L e opi ni oni espr esse negl i a r ti c ol i a ppa r tengono ai si ngol i a utor i dei qua l i si i ntende r i spetta r e l a pi ena l i ber tà di gi udi z io

Suspence, ovvero l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità emotiva di A. Tolve FINISTERRE

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Omaggio a Tina Modotti, occhi di innamorata a fotografare il mondo di A. Amendola LIBRI/HOMECINEMA

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Eccomi a cura di R. Venerando

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Il piano di Maggie a cura di V. Salerno

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P RI M O P IANO / CONFINDU ST RI A SAL ERNO ASSEMBL EA 2 0 1 6

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Trasmissione futuro: le considerazioni finali di Mauro Maccauro

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esponsabilità, merito, selezione trasparente, ma anche ringraziamenti accorati e bilancio del quadriennio associativo che lo ha visto protagonista: questi gli ingredienti di fondo dell’ultima relazione del presidente di Conf industria Salerno, Mauro Maccauro, dal palco del Teatro Verdi l’8 novembre scorso. Tema approfondito in lungo e in largo le classi dirigenti e la necessità non più procrastinabile per il Paese di averne di adeguate, capaci di elaborare un modello coerente e coeso, in grado di mettere insieme società, economia e politica per un futuro condiviso. A discuterne, moderati da Marco Congiu, giornalista Skytg24, dopo i saluti istituzionali del sindaco di Salerno, Enzo Napoli, del presidente della Camera di Commercio di Salerno e Unioncamere Campania Andrea Prete e del presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca, sono stati Francesco Delzio, manager di Autostrade per l’Italia; Nadio Delai, sociologo e dirigente di azienda; Antonio Matonti, direttore Affari Legislativi Conf industria e Marco Leonardi, consigliere economico della Presidenza del Consiglio. A tirare le f ila della mattinata di lavori il presidente di Conf industria nazionale Vincenzo Boccia, accolto nella sua Salerno sempre con visibile entusiasmo.

L'Assemblea 2016 di Confindustria Salerno in immagini


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Delai sulle classi dirigenti: «Basta con il pensiero gregge»

Per il sociologo le élite, non solo in Italia, di fronte alla crisi non hanno saputo dare risposte convincenti, salvo ripetere all’unanimità il mantra dell’austerità. Occorre, invece, inventare nuovi meccanismi di prossimità capaci di aiutarci a esercitare l’ascolto dei bisogni veri delle persone di Raffaella Venerando

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e q uazione di fondo della relazione del presidente Maccauro, all’Assemblea 2016 di Conf industria Salerno è che il benessere economico di un Paese dipende in larga misura dalla qualità degli uomini della sua f iliera istituzionale, politica, amministrativa, economica, tanto più validi nel guidare una comunità quanto più capaci di agganciare ciò che crea futuro, nell’interesse generale e non privato. La mancata crescita degli ultimi anni è quindi ascrivibile al nostro scarso capitale umano? La mancata crescita è legata a tre grandi fattori. Il primo

Nadio Delai presidente di Ermeneia

è certamente l’invecchiamento (e la cristallizzazione) del modello che si è andato a definire negli anni nel nostro Paese. Il secondo fattore è rappresentato dalle dinamiche esterne sul piano dei grandi flussi della finanza, dell’ economia e dello spostamento di peso in favore di nuove aree geoeconomiche che sono emerse e che occupano spazi di mercato. Il terzo fattore è costituito certamente dalla debolezza della classe dirigente (di tutte le classi dirigenti) che si trovano oggi ad affrontare con Mappe Mentali ormai datate una realtà del tutto nuova e con la (inconsapevole) tentazione di ricorrere ai modelli del passato, invece che esercitare - con Mappe rinnovate - le tre funzioni fondamentali delle élite che sono quelle dell’Interpretazione (continua), della Proposta e dell’Azione (sempre difficili e rischiose) e della Promozione del Consenso (rispetto a quello che ancora vogliamo raggiungere e diventare). Purtroppo in molti casi - e non solo in Italia - ha finito col vincere il “pensiero gregge” che - di fronte alla crisi - ha visto le classi dirigenti europee nel loro complesso non saper dare risposte convincenti al perché si è verificata la crisi e al come uscire da essa, salvo ripetere all’unanimità il mantra dell’austerità… Raffaele Cantone di recente ha dichiarato che «esiste una questione morale che investe la classe dirigente del Paese». Anche secondo lei più che di un problema politico si tratta di una falla di sistema? Risolvibile come? L’etica è una, ma solo una componente necessaria che taglia trasversalmente ogni tipologia di classe dirigente. Max Weber ricordava alla borghesia anseatica che “la proprietà obbliga” ed essere classe dirigente implica degli obblighi oltre che dare dei privilegi. Ma il nostro Paese ha sempre avuto difficoltà a “farsi borghesia” nel senso pieno del termine, mentre ha allargato enormemente il ceto medio, sostenuto dallo sviluppo economico e via via sempre più secolarizzato


P RI M O P IA NO / CONFI N DUST RI A SAL ERN O ASSEMB L EA 2 0 1 6 e immerso in una frammentazione sociale che è diventata anche frammentazione dei valori e delle convinzioni etiche, perdendo gradualmente di vista la responsabilità verso se stessi e la responsabilità verso gli altri. Ricordo che quando presentammo il primo Rapporto sulla Classe Dirigente al Senato della Repubblica nel 2008 riportai un dato che era effettivamente scioccante: solo il 4% dell’élite italiana (dall’ economia alla politica al sociale) si sentiva pienamente o sostanzialmente identificata con la classe dirigente del Paese. L’orgoglio di appartenere ad un’ élite non trova facilmente posto nella nostra cultura collettiva. Selezione: la trasparenza è più alta nel privato o nel pubblico? Il tema del merito risulta difficilmente accettato per il Paese, oltre che per la classe dirigente che assomiglia troppo a quest’ultimo. Esiste l’ansia di poter essere esclusi insieme all’abitudine dell’appartenenza e quindi la competizione spaventa, crea timori e questo si acuisce nelle situazioni di crisi come quella che stiamo vivendo. Va poi sottolineato che non serve tanto mettere l’accento sulla “meritocrazia”, la quale occupa periodicamente i titoli dei giornali quanto piuttosto sulla “meritofilia”: bisogna cioè voler bene al merito, non pensando tanto a come escludere quanto piuttosto a come includere, pur applicando criteri di merito. Quest’ultimo va visto dunque come l’ esercizio di una virtù di servizio e non come l’esercizio di un potere che esclude. Del resto bisogna ricordare che anche gli altri Paesi, non sono il paradiso del merito. De Gaulle ricordava - ed è passato più di qualche anno - come tutti i francesi siano in favore dell’ egalitè, ma nel senso che ognuno vuole la sua personale quota di privilegi. Il testo base di legge sui partiti può essere un nuovo punto di inizio per migliorare la selezione del personale del ceto politico? La prima reazione è che più che una legge sui partiti servono i partiti! Certo la regolamentazione dei partiti, prevista dalla Costituzione, non è mai stata attuata e certamente sarebbe utile uniformare almeno “al minimo”, principi e comportamenti che devono far parte di ogni organizzazione politica. La politica non si può esercitare rimanendo all’interno dei vari palazzi, salvo perdere progressivamente il contatto con la propria base di riferimento. Serve inventare un insieme di meccanismi nuovi di prossimità che per ora abbiamo perso, ma che devono aiutarci ad esercitare l’azione di “ascolto” della nostra constituency. Al contrario siamo tutti affannati a rincorrere nuovi leader che si chiudono nei palazzi e che si bruciano in tempi relativamente brevi. Molte volte ci siamo detti - come reazione all’ondata della finanza - che bisogna tornare all’ economia “reale” nel senso evoluto del termine: ebbene,

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dobbiamo saper tornare anche alla società “reale” per poter stare in relazione con i bisogni veri delle persone. Insomma bisogna esercitare le tre funzioni di base della classe dirigente che prima ho ricordato: l’ Interpretazione, la Proposta e l’Azione e il Consenso che ha le sue radici nella conoscenza e nella sintonia con i bisogni oggettivi ma anche emotivi delle persone. La politica si deve basare contemporaneamente sulla razionalità e sulle emozioni, sulla testa e sulla pancia del proprio popolo. E questo richiede di ritornare a camminare tra la gente. Perciò oltre al leader è necessario comunicare un’idea di Paese e un programma, nonché esprimere un’organizzazione adeguata. Il Censis ha da poco certif icato che le porte sociali di accesso sono tutte sbarrate. Il mancato ricambio incide, e quanto, sulla qualità della classe dirigente? Il ricambio è inutile se non è basato su un percorso di formazione adeguato. Ma questo non può avvenire se abbiamo tagliato i ponti con la società reale. Infatti la parola “formazione” trae in inganno, poiché non si tratta di inventare corsi di vario genere e tipo, dall’università alla post-università sino ai (sin troppi) master di questi anni. Ma serve piuttosto ricreare un vero e proprio cursus honorum (come esisteva in passato) che è fatto in grande parte di affiancamento ad altri membri di classe dirigente, se non proprio straordinari almeno decorosi. Cosa occorre fare per riavviare il ricambio? Bisogna che ogni classe dirigente pensi innanzitutto a se stessa e rientri nel ruolo che le compete. In realtà si corre costantemente il rischio di lamentarsi della debolezza della classe dirigente in generale oppure si ritiene implicitamente che siano sempre gli “altri” a dover pensare alla creazione di classe dirigente o ancora si ritiene che basti ricorrere al mercato per trovare le persone giuste. La verità è che il meccanismo di generazione delle classi dirigenti va rimesso in piedi con responsabilità personale e collettiva, ripartendo dal basso. Naturalmente tutti gli strumenti di comunicazione che abbiamo a disposizione possono essere utili, ma non possono mai sostituire il contatto diretto, il confronto, la discussione. La politica è rapporto con l’altro, che non si esaurisce attraverso una modalità ristretta al virtuale. Il teologo Vito Mancuso, cui avevo chiesto a suo tempo di scrivere una post-fazione al Rapporto sulla Classe Dirigente/2010, evocò un’immagine molto significativa, affermando che la classe dirigente deve ritrovare il ruolo di pontifex cioè quello che aiuta a gettare ponti tra quello che le persone sono e vivono nella vita quotidiana e quello che la classe dirigente può e deve fare (ed essere) per decidere e per orientare i propri Rappresentati.


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Delzio: «Dobbiamo diventare “portatori sani” del virus del merito» Per lo scrittore e manager Francesco Delzio per avviare il ricambio nei ruoli di vertice è necessario che ognuno di noi si assuma le sue responsabilità “dirigenziali”, piccole o grandi che siano, imponendo nella propria realtà selezioni efficienti, senza più compromessi al ribasso di Raffaella Venerando

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l benessere economico di un Paese dipende in larga misura dalla qualità degli uomini della sua f iliera istituzionale, politica, amministrativa, economica, tanto più validi nel guidare una comunità quanto più capaci di agganciare ciò che crea futuro, nell ’interesse generale e non privato. È d ’accordo? É un’equazione profondamente vera. Così vera che l’Italia è considerata ormai a livello internazionale un caso “di scuola”, in negativo, sotto questo profilo. Il gap di competitività e di crescita che il nostro

Francesco Delzio manager e scrittore

Paese ha accumulato negli ultimi 20 anni rispetto agli altri Paesi avanzati, infatti, è stato causato soprattutto da tre ragioni strettamente legate alla qualità degli uomini. La prima è il deficit di visione, innovazione e competenze della classe dirigente, non solo quella politica ma anche quella imprenditoriale e burocratica. La seconda è l’uso sistematico, in Italia, nella scelta dei ruoli di responsabilità del criterio della “selezione inversa”: è un criterio fondato sulla scelta di persone fedeli ma incapaci, in grado di eseguire senza insidiare, e quindi sull’annullamento del criterio naturale del merito. La terza ragione è l’insufficienza e l’inefficacia dei canali di collegamento tra sistema formativo e impresa: due mondi che comunicano ancora troppo poco, lasciando intatta la separazione anacronistica e pericolosa tra cultura teorica e cultura del management e delle professioni. Prima elimineremo questi tre macigni, prima riusciremo a tornare in vetta alle classifiche dello sviluppo occidentale. Raffaele Cantone di recente ha dichiarato che «esiste una questione morale che investe la classe dirigente del Paese». Anche secondo lei più che di un problema politico si tratta di una falla di sistema? Sono d’accordo. La questione morale in Italia è, oggi più che mai, una questione di sistema. Ma poiché non credo che gli italiani siano “etnicamente peggiori” dei francesi, dei tedeschi o degli americani, dobbiamo interrogarci seriamente sulla debolezza nel nostro Paese delle regole e dei presidi anticorruzione. Mentre sui presidi - proprio con l’istituzione dell’ANAC presieduta da Cantone -


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Gran parte della classe dirigente italiana non si considera responsabile dello scarso funzionamento dei meccanismi di selezione. É un gioco degli specchi che non promette nulla di buono per il futuro prossimo abbiamo fatto passi in avanti importanti negli ultimi anni, le regole evidentemente non funzionano. É questa la falla da colmare. Perché le regole attuali non prevengono, non disincentivano, non sanzionano adeguatamente comportamenti delinquenziali, in particolare nella gestione della cosa pubblica e nel rapporto pubblico-privato. Selezione: la trasparenza è più alta nel privato o nel pubblico? É sicuramente più alta nel privato, dove il mercato “impone” comportamenti comprensibili e tracciabili da parte degli stakeholder. Nel pubblico la trasparenza delle selezioni è cresciuta negli ultimi anni, ma non abbastanza. Eppure una semplice mossa potrebbe avere effetti “rivoluzionari”: estendere il criterio del concorso pubblico alla gran parte delle selezioni, applicandolo sempre, tranne che nei casi in cui è tecnicamente impossibile. Ma ciò priverebbe i partiti di una leva molto importante di potere: chi avrà il coraggio di farlo? Il testo base di legge sui partiti può essere un nuovo punto di inizio per migliorare la selezione del personale del ceto politico? Una legge del genere potrebbe migliorare la trasparenza esterna dei partiti e la loro democrazia interna, ma non la selezione del personale politico che rimane - ahinoi - una questione culturale e sconta oggi in Italia gli effetti negativi del dissolvimento di qualsiasi scuola di formazione. Estremizzando, potremmo dire che nessuno è in grado di rispondere a questa semplice domanda: chi “pensa” il pensiero politico, oggi in Italia? E una vera legge sul conflitto di interessi? Sarebbe molto utile nel nostro Paese. Non concentrandosi, però, soltanto su una categoria di conflitti d’interesse - quella sul rapporto tra

istituzioni, politica e proprietà dei media - ma sulle numerose categorie di conflitti che la nostra storia recente ha svelato. Il Censis ha da poco certif icato che le porte sociali di accesso sono tutte sbarrate. Il mancato ricambio incide, e quanto, sulla qualità della classe dirigente? Condivido molto le conclusioni del Rapporto Censis. Il nostro ascensore sociale è bloccato, ormai da molti anni, e da questa condizione deriva ogni giorno un enorme e straziante spreco di talenti e di competenze nel nostro Paese. La situazione è paradossale. Gran parte della classe dirigente italiana considera oggi questa situazione molto negativa, a tal punto da “dissociarsi” e da considerarsi non responsabile per lo scarso funzionamento dei meccanismi di selezione. É un gioco degli specchi che non promette nulla di buono per il futuro prossimo. Cosa occorre fare per riavviare il ricambio? É necessario che ognuno di noi si assuma le sue responsabilità “dirigenziali”, piccole o grandi che siano, imponendo nella propria realtà selezioni basate solo su criteri di merito. Senza più accettare compromessi al ribasso. E accettando, invece, l’idea che mettersi a fianco una persona di talento può rendere il lavoro quotidiano forse più faticoso, ma sicuramente più produttivo e stimolante. Dobbiamo diventare tutti, ogni giorno, “portatori sani” del virus del merito. Una soluzione prêt à porter per rigenerare la classe dirigente, innovandone i meccanismi di formazione, potrebbe essere ascoltare la società civile, o no? Ascoltare la società e contaminarsi con essa è sicuramente una mossa utile per rigenerare la classe dirigente. Purché la contaminazione non avvenga al contrario, trasferendo i vizi della classe dirigente alla società. Non possiamo proprio permettercelo.


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Premio “Impresa Oltre Salerno”, profeti non solo in patria In occasione dell’Assemblea Pubblica 2016, Confindustria Salerno ha assegnato a dieci sue iscritte - nate nella provincia salernitana, ma con sedi, impianti e consociate anche all’estero - un riconoscimento a testimonianza della presenza vitale del "Made in Salerno" in Europa e nel Mondo. A consegnarlo il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e il presidente della Territoriale salernitana Mauro Maccauro. Sono state premiate: Condor Group, CTI FoodTech, Gallozzi Group, Healtware International, Jcoplastic, La Doria, Magaldi Group, Smet, Tecnocap e Trans Italia.

Boccia e Maccauro premiano Nunzia Petrosino, amministratore unico di Condor Group

A ritirare il Premio il cavaliere del lavoro Agostino Gallozzi per Gallozzi Group

Biagio Crescenzo, presidente di CTI FoodTech, tra i presidenti Boccia e Maccauro

Per la Healthware International il premio è stato consegnato nelle mani del suo Ceo, Roberto Ascione


P RI M O P IA NO / CONFI N DUST RI A SAL ERN O ASSEMB L EA 2 0 1 6

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Per la Jcoplastic ha ritirato il premio Ciro Maucione della direzione amministrativa, finanza e controllo

Antonio Ferraioli, amministratore delegato de La Doria, premiato dai presidenti Boccia e Maccauro

Per Magaldi Group a ritirare il premio Letizia Magaldi, membro del board e responsabile delle relazioni istituzionali

Luigi De Rosa, presidente, Domenico De Rosa, direttore generale, e Andrea De Rosa, direttore amministrativo e finanziario ritirano il premio per l’azienda di famiglia Smet

In rappresentanza di Tecnocap ha ritirato il premio Maria Antida Giordano, communication & marketing manager

Per la Trans Italia ha ritirato il premio Luigi D’Auria, amministratore della societĂ


michele autuori s.r.l. P.zza Umberto I, n°1 84121 - Salerno - Italia tel: +39 089 230311 - fax: +39 089 253101 autuori@autuori.it - http://www.autuori.it


L’ O PI N I ONE

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Legge di Bilancio 2017, l’ultimo ambizioso disegno del governo Renzi Il consigliere economico di Palazzo Chigi Marco Leonardi commenta le misure principali per rilanciare investimenti e produttività del lavoro, del capitale e della tecnologia nel nostro Paese

di Raffaella Venerando

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rofessore, partiamo dalla legge di Bilancio di quest’anno. Quali sono le novità per imprese e startup? L’intento principale contenuto nella norma che vale circa 27 miliardi è di spingere in modo convinto sugli investimenti delle imprese attraverso specifici interventi: ammortamento, superammortamento, proroga della Nuova Sabatini e degli incentivi alla ricerca e sviluppo e Industry 4.0. Partiamo dall’ultimo. Il piano Industry 4.0

Marco Leonardi consigliere economico di palazzo Chigi

prevede sgravi per le aziende che investono in macchinari - incentivi destinati quindi a elevare la produttività tecnologica - che, prorogando fino al 31 dicembre 2017 il superammortamento del 140%, consentono a imprese e professionisti che acquistano o prendono in leasing macchinari nuovi di dedurre dal reddito il 140% del prezzo di acquisto in 10 dieci anni. La legge introduce inoltre, sempre per il 2017, un’altra tipologia di sostegno agli investimenti, relativi soprattutto al digitale. Per questi è, infatti, previsto l’iperammortamento del 250% dei costi. Abbiamo esteso fino al 31 dicembre 2020 il periodo in cui possono essere effettuati gli investimenti ammessi al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, con elevazione al 50% della misura dell’agevolazione e innalzamento da 5 a 20 milioni di euro dell’importo massimo annuale riconosciuto a ciascun beneficiario. In ultimo, la Legge interviene sulla tassazione con la riduzione fiscale dell’Ires al 24% e dell’Iri sempre al 24% sugli utili investiti per le società di persone e piccoli imprenditori. Sui premi di produttività delle imprese, invece, cosa è cambiato? La legge di Bilancio, che riguarda anche la produttività del lavoro, con le modifiche previste consente che a beneficiare dei premi produttività siano anche quanti guadagnano 80mila euro annui - con un premio di 4.000 euro ciascuno. La possibilità poi di convertire il premio in welfare viene arricchita di due opportunità: investire in sanità o previdenza complementare, tenuto conto


13 che i contributi destinati al welfare non intaccano i limiti di detraibilità e non vengono tassati al momento della fruizione della prestazione pensionistica. Si allarga anche la possibilità di mutare il premio in forma di azionariato diffuso. L’esonero contributivo resta anche per il prossimo anno per le aziende del Sud ma con delle differenze rispetto all ’attuale decontribuzione generalizzata: questa agevolazione sarà infatti applicabile nei limiti delle risorse disponibili previo autorizzazione dell ’Inps. Nei fatti chi sarà agevolabile? Se da un lato termina la decontribuzione di tutti i contratti a tempo indeterminato, utilizzando i Fondi europei il governo ha deciso di prolungare questa misura al Sud. La decontribuzione sarà totale fino a 8.060 euro per 12 mesi per gli imprenditori delle regioni meridionali che, nel 2017, assumeranno a tempo indeterminato o in apprendistato giovani tra i 15 e i 24 anni, e disoccupati con più di 24 anni privi di impiego da almeno sei mesi. Tale provvedimento differisce dal precedente esteso su scala nazionale perché in questo caso l’Inps, per autorizzarlo, deve controllare che non sia esaurito il plafond disponibile pari a 530 milioni di euro. Tenuto conto del trend di assunzioni al Mezzogiorno direi, purtroppo, che non così rapidamente le risorse finiranno. A breve l ’indennità di mobilità e la Cig in deroga non verranno più concesse alle imprese. Siamo pronti con le politiche attive? Innanzitutto le parti sociali stanno discutendo sul come rendere maggiormente efficienti i fondi interprofessionali rivolti all’adeguamento delle competenze e alla riqualificazione esclusivamente dei lavoratori a rischio di perdita del posto di lavoro. Queste devono funzionare e bene prima che il lavoratore venga licenziato. Per quanto attiene, invece, alle politiche attive che partono dopo il licenziamento, l’Anpal ha stabilito che, al quarto mese di Naspi, il lavoratore abbia diritto all’assegno di ricollocazione. Come funzionerà? Con 30mila assegni su tutto il territorio nazionale parte nel 2017 la sperimentazione, per un finanziamento complessivo di 200 milioni di euro. Dicevamo che dopo il quarto mese della Naspi il lavoratore matura il diritto di chiedere l’assegno

di ricollocazione che verrà rilasciato dal centro per l’impiego previo profilazione del lavoratore, in virtù della quale viene stimato quanto è facilmente ricollocabile quella persona. Questo assegno, successivamente, viene speso presso un operatore privato o pubblico, che a sua volta viene pagato solo a risultato ottenuto e dopo 6 mesi che la persona ha trovato lavoro a tempo determinato o indeterminato, ovviamente con diversi importi. Al Sud, invece, l’assegno è rimborsato all’intermediario solo dopo tre mesi per ragioni dovute al diverso indice di occupazione delle due differenti aree geografiche del Paese. Cosa prevede e che risultati vi attendete dalla sperimentazione del Sistema duale? Su questo punto va detto che ci siamo molto spesi. Innanzitutto abbiamo facilitato l’assunzione in azienda di tutti quei giovani che, svolto un periodo di alternanza, stage o apprendistato, decidessero di rimanervi. Per l’azienda questo tipo di assunzione comporta l’esonero dei contributi per i primi tre anni di lavoro. Abbiamo, poi, rinnovato con 27 milioni i fondi per l’apprendistato duale nell’istruzione professionale che hanno dato ottimi risultati. Terzo, puntiamo molto sul rafforzamento degli istituti tecnici e su quello della formazione professionalizzante. La norma che agevola le assunzioni dei giovani è particolarmente utile in coincidenza di quella dell’anticipo pensionistico. Con questo incentivo a inserire giovani risorse, il ricambio generazionale è di certo facilitato. L’esito del referendum dello scorso 4 dicembre ha inciso sulla tenuta del governo. E ora cosa accade? Vede, da più parti hanno accusato il governo Renzi di aver costruito una legge con delle mancanze. La realtà è invece un’altra. Il nostro esecutivo aveva un disegno ben preciso su come avviare il ricambio generazionale in fabbrica, su come incentivare la produttività del lavoro, del capitale e della tecnologia e su come costruire percorsi giusti di formazione per i giovani cui vengono richieste nuove competenze perché possano trovare prima lavoro. Ora senz’altro occorre una pausa di riflessione, ma mi auguro che un disegno così ambizioso e complesso riceva presto una nuova spinta propulsiva politica e non solo tecnica, portando a compimento molti decreti attuativi. Staremo a vedere cosa succede.


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L’ O P I N I ONE

Una riforma mancata. Purtroppo Il "basso rendimento decisionale" delle Istituzioni è da un lato alimentato e, dall’altro, alimenta la cattiva qualità della classe dirigente, in tutti i campi. L’esito del referendum non ha permesso di cambiare questo stato di cose

Antonio Matonti Direttore Affari Legislativi Confindustria tavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo», (Ordine del giorno Perassi, Seconda Sottocommissione Assemblea costituente). «Questo sistema [...] è stato strutturalmente predisposto sulla premessa di un contrappeso reciproco a riflessione portata avanti da di poteri e quindi di un funzionamento Confindustria Salerno, in occomplesso, lento e raro, sì come quello di uno casione dell’Assemblea annuale stato che non avesse da compiere che pochi e dell’Associazione, sul ruolo e sul coninfrequenti atti sia normativi che esecutivi cetto stesso della classe dirigente, suscita [...]» (G. Dossetti, 1951). alcune considerazioni rispetto al sistema Queste parole, che smentiscono la istituzionale italiano. Considerazioni retorica della Costituzione più bella del che, inevitabilmente, si intrecciano con la mondo, dimostrano quanto fossero chiari riforma costituzionale per cui siamo stati e acquisiti, già ai costituenti e al pensiero chiamati alle urne lo scorso 4 dicembre. dell’epoca, alcuni limiti intrinseci al no1. Classe dirigente e principio di stro sistema istituzionale. Limiti che non responsabilità tardarono a manifestarsi già nel secondo La prima considerazione riguarda il dopoguerra, determinando soprattutto rapporto tra classe dirigente e principio la sistematica mancata affermazione di responsabilità in Italia. Per inquadrar- del principio di maggioranza, associato lo, è utile tornare ai "fondamentali", cioè all’instabilità degli esecutivi. Ebbene, il alle riflessioni maturate già in Assemblea rispetto del principio di maggioranza è costituente e, successivamente, nei primi la premessa per far funzionare un altro anni di applicazione della Costituzione cardine della democrazia rappresentatirepubblicana. «La Seconda Sottocommisva: il principio di responsabilità nelle desione [...] si pronuncia per l’adozione del cisioni. Il cittadino conferisce la propria sistema parlamentare da disciplinarsi, tut- fiducia al rappresentate politico sapendo

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che costui, al termine del mandato, dovrà rendergli il conto di quanto realizzato e non. È ciò che accade in Italia? In pochi risponderebbero di sì, ma ancora meno sono quelli che si interrogano su una delle ragioni profonde di questa disfunzione. Quante volte abbiamo ascoltato autorevoli rappresentanti istituzionali affermare che quella riforma economica era sì nel programma di governo, ma che era stato impossibile realizzarla a causa dell’opposizione di una certa forza politica, minoritaria in termini di peso elettorale ma determinante per gli equilibri del governo stesso? Se manca il principio e la "pratica" della responsabilità, manca il presupposto di fondo per la creazione di una classe dirigente degna di questo nome. Si inceppa il funzionamento delle dinamiche democratiche, tanto che le nostre sono state definite come in perenne transizione. Ora, è indiscutibile che la riforma costituzionale, semplificando i processi decisionali e l’articolazione delle competenze, puntasse a rendere effettivo il principio di responsabilità. 2. Classe dirigente e sotto-cultura del veto Queste considerazioni sono collegate a un’altra anomalia italiana, che è la


15 sotto-cultura del veto, una anomalia alimentata da fragilità dei governi, bizantinismi parlamentari e dalle duplicazioni generate dal Titolo V riformato nel 2001. Una sotto-cultura radicata, ma che ha una genesi istituzionale precisa, che sta proprio nelle scelte ispirate al "raffreddamento" e al bilanciamento fatte all’epoca dell’Assemblea costituente. Scelte nobilissime ma non più attuali. Quelle scelte hanno dato vita a un modello di democrazia che alcuni definiscono "consensuale", il cui risvolto pratico è che la decisione è corretta, direi quasi "giusta", solo se incontra un consenso ampio e trasversale. È questo modello che alimenta la sotto-cultura del veto contribuendo al progressivo impoverimento della capacità decisionale delle Istituzioni e, in una seconda fase storica, all’esplosione della spesa sociale e, quindi, del debito pubblico. Abbiamo bisogno di una classe dirigente che si liberi da questa sotto-cultura, che sappia accettare, in politica come nell’impresa, nelle istituzioni come nella PA, l’idea che si compete, si discute, ma poi si decide e chi risulta in minoranza si rimette alla decisione della maggioranza e non ha la prerogativa o il diritto di ritardare se non bloccare, quella decisione. È questa la logica cui rispondeva il "combinato disposto" dato dalla revisione del Titolo V e dalla nuova configurazione del Senato: un modello ispirato a un regionalismo collaborativo, dove il valore delle autonomie non sta più nella rigida ripartizione di competenze ma nella possibilità per le Regioni di veicolare le proprie ragioni nel circuito parlamentare di formazione delle decisioni. 3. Classe dirigente e (basso) rendimento decisionale delle Istituzioni L’accentramento delle decisioni economiche, la verticalizzazione e l’europeizzazione non tolgono il fatto che i fondi e le tasse vadano raccolti e che i

servizi pubblici vengano erogati. Su questi aspetti, le decisioni a livello statale sono ancora determinanti, anche per la creazione del contesto in cui operano le imprese. Cito solo un caso, quello della Variante di Valico: il solo procedimento autorizzatorio è durato 9 anni, più di 1000 prescrizioni da rispettare e atti sotto ai quali si sono contate più di 40 firme di enti a vario titolo coinvolti. Come si fa a non vedere che un assetto del genere è insostenibile? Ma questo stato di cose è da un lato alimentato e, dall’altro, alimenta la cattiva qualità della classe dirigente, in tutti i campi. Come possiamo pensare di realizzare, con questo stato di cose, quelle ibridazioni tra competenze diverse, tra pubblico e privato, considerate necessarie per affrontare la complessità del presente? Si pensi solo a quante volte abbiamo ascoltato manager di successo prestati alle Istituzioni o alla PA, uscirne, dopo pochi mesi, affermando di non essere riusciti a "toccare palla". È evidente che la riforma costituzionale intervenisse sul basso rendimento decisionale delle Istituzioni, con soluzioni orientate semplicemente al pragmatismo. 4. Classe dirigente ed "effettività" dei poteri decisionali Ma il basso rendimento decisionale del sistema condiziona anche quella che potremmo definire l’effettività dei poteri decisionali. Mi riferisco al fatto che, oggi, i malfunzionamenti del sistema istituzionale "costano" anche in termini di espropriazione dei poteri decisionali: se non decidiamo noi, ci sarà qualcun altro che lo farà al posto nostro. Processi decisionali troppo complicati e lenti determinano, infatti, lo spiazzamento delle Istituzioni democratiche, espropriandole nei fatti a beneficio di entità non rappresentative e non responsabili. Viviamo questo conflitto rispetto all’Europa, che pure è una Istituzione democratica e, seppur con alcuni limiti,

rappresentativa. Ma a maggior ragione questo vale rispetto ai grandi player della finanza o delle comunicazioni elettroniche. Chiaramente, oltre alle istituzioni, quello stesso rischio di spiazzamento lo vivono le nostre classi dirigenti, che di quelle istituzioni sono espressione e che sono destinate a impoverirsi se il sistema non recupera capacità ed effettività. Anche a questo serviva quella modernizzazione dei processi, a partire da quello per eccellenza, che è il procedimento legislativo. 5. Classe dirigente e nuove classi politiche Esiste un intreccio fra le riforme e la trasformazione delle classi dirigenti (almeno politiche). Si pensi al superamento del bicameralismo paritario. La razionalità di fondo della riforma, non sappiamo quanto consapevolmente percepita, era di redistribuire la dialettica politica. Un Senato privo del ruolo di dare o togliere la fiducia al governo sarebbe diventato, se riempito di un ceto politico adatto al ruolo, una sede di controllo e di dialettica rispetto a: la Camera, per il suo potere di richiamarne le leggi e di formulare proposte su di esse; alcuni organi dello Stato, per i poteri di intervento diretto nelle nomine o indiretto; alcuni ambiti "riservati" alla sua valutazione, come la valutazione delle politiche pubbliche e della produttività della PA. Concludo mutuando le considerazioni di Angelo Panebianco: «l’ostacolo più importante ha forse a che fare con la cultura politica e istituzionale» della classe dirigente politica, da sempre convinta che un parlamentarismo inefficiente, dove vi è pure «una condizione di permanente debolezza dei governi a fronte delle assemblee legislative», sia un fatto positivo, mentre dovrebbero essere ben noti, come la dottrina più avvertita da tempo ha segnalato, i danni causati dalla frammentazione politica e da governi deboli e poco autorevoli.


L’ O PI N I ONE

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Provenzano, Svimez: «Il Sud non è un vuoto a perdere»

Per il vice direttore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno bisogna rendere il Sud del Paese attrattivo, rilanciando gli investimenti pubblici: «Abbiamo avuto la conferma che, quando aumentano, anche di poco come nel 2015, il Sud reagisce, il moltiplicatore funziona, genera reddito. E oggi, sono una leva indispensabile per l’attivazione e lo stimolo di quelli privati» di Raffaella Venerando

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el suo ultimo recente Rapporto - ottobre 2016 - la Svimez ha smesso i toni apocalittici, certif icando che il Pil del Mezzogiorno è tornato a crescere. Eppure, solo un anno fa, lei diceva che il Sud era come la Grecia. Cosa è successo? Aggiustamenti congiunturali o qualcosa è cambiato davvero? No, nessuna apocalisse. Il pessimismo o l’ottimismo non è mai nei dati, ma negli occhi di chi li guarda. L’anno scorso abbiamo dato conto degli effetti pro-

Giuseppe Provenzano vice direttore Svimez

fondi, sull’economia, la società, la demografia, di sette anni di recessione ininterrotta. Quest’anno, coi dati del 2015 e 2016, rileviamo una ripartenza in un quadro di persistente sofferenza sociale. Una ripartenza ancora modesta, non adeguata a recuperare quanto perduto, ma molto importante, e non solo perché nel 2015 il Sud è andato un po’ meglio del Centro-Nord. La ripresa dimostra che il Mezzogiorno non è un vuoto a perdere, o una pentola bucata: il Sud ha sete ma, se si investe, risponde ed è anche più reattivo del resto del Paese. Il Sud è una grande questione e una grande sfida europea. Per questo la politica relativa al Mezzogiorno deve essere necessariamente coerente, da Roma a Bruxelles. L’accostamento fatto con la Grecia, lo scorso anno, non voleva sottolineare una inevitabile comune sventura, ma la consapevolezza di un destino comune tra le aree meridionali dell’Europa e della Eurozona in particolare. Buone performance per agricoltura e turismo. E l’industria? Sì, c’è stato un vero e proprio boom nei due settori, sia sul versante della produzione, sia su quello dell’occupazione. Nel 2015 l’annata agraria, dovuta anche agli andamenti climatici e alle variazioni dei prezzi, è stata sorprendente. Il turismo meridionale ha beneficiato delle drammatiche crisi che - ahinoi - stanno travagliando la sponda Sud del Mediterraneo. Ma sono due settori su cui continuare a puntare, non affidandosi all’eccezionalità degli eventi, anche perché sono due comparti in cui le potenzialità del Sud sono


17 straordinarie e ampiamente sottoutilizzate. Cogliamo segnali positivi anche per l’anno in corso. E poi, vorrei dire, che questa distinzione tradizionale a volte non dice molto: agricoltura, turismo, industria, servizi, sono sempre più interconnessi, e così dev’essere. Ma, va pur detto, che una crescita senza industria ha basi troppo deboli: un elemento di preoccupazione per il 2015 fu la mancata crescita dell’industria, a fronte di una leggera ripresa delle costruzioni (anche se, guardando bene, al netto dei prodotti energetici, il manifatturiero riprendeva). Quest’anno, dai segnali sull’occupazione, sembra stia avvenendo il contrario: in ogni caso, è lì che bisogna puntare. Per questa ragione quest’anno abbiamo avanzato nuove proposte di una politica industriale specifica e adeguata per il Mezzogiorno, anche per Industria 4.0. Nel Rapporto, però, si parla di “nuovi poveri”. Malgrado ciò la disponibilità di quei cinquecento milioni che dovevano rappresentare le risorse governative per la lotta alla povertà sono spariti nella Legge di Bilancio di quest’anno. Noi indichiamo una direzione opposta. Bene la previsione di una misura universalistica di contrasto alla povertà (nella Legge di stabilità dello scorso anno), ma serve un progressivo incremento dei finanziamenti, che renda disponibile nel breve periodo un ammontare di risorse in grado di raggiungere la totalità, o almeno la maggior parte, dei 4,5 milioni di persone che in Italia attualmente versano in condizioni di povertà assoluta. La questione del costo delle misure anti-povertà deve considerare sempre i benefici effetti del nesso tra maggiore equità e crescita, anche in termini di ricadute sui consumi, sulla domanda interna. E bisognerebbe fare un’analisi razionale ogni volta che si fanno scelte redistributive: se una parte delle risorse impiegate per l’abolizione della tassazione sugli immobili fosse stata utilizzata per combattere la povertà, al di là di ogni giudizio di valore, l’economia ci avrebbe guadagnato. Sui fondi strutturali si sono compiuti passi in avanti? Sta funzionando l’Agenzia per la Coesione Territoriale? Il ciclo 2007-2013 è stato il più critico della storia recente della coesione al Sud, con delle eccezioni, come la Puglia e Basilicata. Le correzioni intervenute

dal 2011, a partire dall’espediente del PAC, hanno consentito il risultato importante e non scontato di un pressoché totale assorbimento delle risorse europee. E su questo sicuramente l’impegno dell’Agenzia e delle amministrazioni coinvolte è stato fruttuoso. Tuttavia, va segnalato che si tratta solo dei Fondi europei, che sono una piccola quota della già piccola quota di spese per investimenti. C’è stata una totale mancanza di aggiuntività e addizionalità, una “duplice” sostitutività: sul piano “interno”, delle risorse europee su quelle nazionali; in generale, delle risorse “aggiuntive” sulla spesa ordinaria per investimenti della PA, il vero “buco nero” dello sviluppo in questi anni. In chiusura del ciclo, l’intenso sforzo per evitare il disimpegno, in qualche caso, ha persino aumentato la sostitutività: il ricorso ai cosiddetti progetti "sponda", ora chiamati “progetti retrospettivi", ha avuto un effetto di “spiazzamento” sul PAC e, soprattutto, sul FSC. La strada per la ripresa per la Svimez passa sempre dal rilancio degli investimenti pubblici secondo precisi driver. Quali? Sì, e per fortuna a dirlo non siamo solo noi. Sappiamo gli effetti negativi del crollo degli investimenti pubblici. Abbiamo avuto la conferma che, quando aumentano, anche di poco come nel 2015, il Sud reagisce, il moltiplicatore funziona, genera reddito. E oggi, nelle condizioni date, gli investimenti pubblici sono una leva indispensabile per l’attivazione e lo stimolo di quelli privati. Non si tratta di scavare buche e poi riempirle, si tratta di fare esattamente quello di cui il Sud ha bisogno per essere attrattivo: dalle infrastrutture materiali e immateriali, alle reti, al riassetto del territorio. In questa prospettiva, la SVIMEZ da qualche anno, con progressivi approfondimenti, ha proposto alcuni driver di sviluppo, cioè motori che possono fare del Sud un’opportunità di sviluppo per l’intero Paese: la logistica in una prospettiva euromediterranea, le energie rinnovabili e le bio energie, la rigenerazione urbana, l’agroalimentare e l’agroindustria con tutti i settori ad essi collegati, l’industria culturale, a partire dalla scommessa di “Matera 2019”. Insomma, non è vero che quando si parla di Sud non si sa che fare. Si sa, e bisogna farlo in fretta.


FO C U S

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La presenza marittima e logistica della Cina nell’Area Med: da mare di transito a mare strategico Guardando al futuro il Dragone sarà protagonista del traffico marittimo containerizzato e, con esso, i suoi porti che vantano ormai primati mondiali in termini di produttività e di volumi movimentati

di Alessandro Panaro Responsabile Area di Ricerca Maritime & Med Economy, SRM

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ultimo Rapporto di SRM sulle Relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo, presentato a Napoli lo scorso 25 novembre, ha portato alla luce dati molto originali che illustrano, tra l’altro, la valenza della Cina nell’ambito del trasporto marittimo mondiale. Innanzitutto, giova ricordarlo all’inizio del presente articolo per avere un senso della dimensione economica del settore, in Cina la Maritime economy ha un valore di 970 miliardi di dollari e contribuisce al 9,4% del PIL. I dati relativi al traffico containerizzato suddivisi per area marittima, indicano che la zona denominata Greater China (termine che racchiude Cina, Hong Kong, Macau e Taiwan) è interessata da un movimento pari a quasi 200 milioni di Teus, vale a dire circa il 31% delle merci spostate via mare a livello globale. Il Report dà anche una visione allargata, con dati di prospettiva; infatti segnala che la stessa area vedrà un incremento al 2030 del proprio commercio, fino ad arrivare a 290 milioni di Teus per poi addirittura raggiun-

gere, nell’anno 2050 i 494 milioni; crescite rispettivamente del +48% e del 151% rispetto al 2013. Anche guardando al futuro dunque il Dragone sarà protagonista del traffico marittimo containerizzato e con esso i suoi porti che vantano ormai primati mondiali in termini di produttività e di volumi movimentati. Ciò sta già accadendo e accadrà nonostante gli assetti mondiali della portualità siano davanti a un momento delicato della propria storia; cambiamenti importanti sono in atto a livello organizzativo e normativo e inoltre vanno configurandosi significativi fenomeni che porteranno la competizione tra gli scali e tra i vettori navali a essere sempre più intensa. L’inarrestabile evolversi del gigantismo navale (in atto ormai da anni), la politica delle grandi alleanze nel settore dei container, le oscillazioni del prezzo del petrolio, la crisi e i momenti difficili di alcuni grandi carrier (es. Hanjin e HMM) e le note vicende economiche del Nord-Africa, sono solo alcuni dei fattori che stanno portando il sistema marittimo

globale a decisi cambi di strategie, di rotte e di comportamenti competitivi. A questi si è aggiunto il varo dei canali di Suez ad agosto 2015 e Panama a giugno 2016; non va dimenticato infatti che questi due grandi nodi strategici vedono protagonisti, con differenti misure e strategie, la Cina. Nel caso di Suez ad esempio Alphaliner ha più volte richiamato l’evoluzione positiva che questo canale ha avuto nella trasformazione dei servizi settimanali della rotta Far East-US East Coast, una delle più battute e che vanta una movimentazione di oltre 7,5 milioni di Teus l’anno; si è passati infatti dai 4 strings (servizi) del 2010 agli 8 del 2016 con un importante aumento dei volumi trasportati; mentre Panama è rimasta sostanzialmente stabile passando da 15 a 13. La Cina utilizza Suez come grande via di passaggio dei propri traffici e le elaborazioni del rapporto di SRM mostrano come proprio il canale egiziano dipenda sostanzialmente dalle merci che provengono e che sono dirette verso quell’area.


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La Cina utilizza Suez come grande via di passaggio dei propri traffici e le elaborazioni del rapporto di SRM mostrano come il canale egiziano dipenda dalle merci che provengono e che sono dirette verso quell’area Gli ultimi dati disponibili della Suez Canal Authority indicano come nella direzione Nord-Sud il South East Asia sia la destinazione prevalente del naviglio con 114 milioni di tonnellate di merci transitate all’anno (il 27,3% del totale) e come in direzione Sud-Nord, la stessa area, mandi a transitare per il canale 167 milioni di tonnellate di merci pari ad oltre il 41 % del totale. Essendone la direzione prevalente è facile dedurre come anche gran parte dei ricavi tariffari del canale provengano da navi dirette/provenienti dall’estremo oriente. E conseguenza ne sono le strategie del governo egiziano che sono ultimamente state orientate a concedere facilitazioni e sconti (fino al 65%) per le navi orientate su queste rotte per competere con il canale di Panama che avrebbe potuto con il suo allargamento nuocere ad alcune direttrici di traffico. Per quanto riguarda Panama la Cina è invece il secondo “cliente” dello snodo centro-americano (dopo gli Stati Uniti): per il canale infatti nel 2015 sono transitate 48 milioni di tonnellate di merci. È simbolico (anche se avvenuto per sorteggio) come la prima nave ad attraversare il canale ampliato sia stata la COSCO Andronikos, poi ribattezzata COSCO Panama. La Cina dunque con i suoi porti, i suoi vettori e una forte politica di merger & acquisition di imprese armatoriali nazionali ha consolidato e rafforzato negli anni la sua presenza già diffusa nel sistema marittimo globale. Questo Paese, infatti, era già

detentore di due grandi carrier quali Cosco e China Shipping e di terminal sparsi in tutto il mondo attraverso la Cosco Pacific che gestisce circa 90 milioni di Teus. Il Mare nostrum per questo Paese, col passare del tempo, è passato da mare di transito per le navi a vera e propria base logistica permanente, tattica, che è culminata, come vedremo, con l’acquisto di una quota rilevante del porto greco del Pireo. Non a caso, infatti, se si guarda l’andamento dell’interscambio commerciale, che per lo più avviene con modalità di trasporto marittima, da e verso i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e quelli del Golfo - che in una logica allargata fanno parte integrante della dimensione geo-politica dell’area - dal 2001 al 2015 oggi si osserva una crescita costante: l’Italia è passata da 37,6

a 66,5 Mld di dollari; la Germania da 40,6 a 89,8 Mld di dollari; gli Stati Uniti da 82,9 a 168,5 Mld di dollari. Chi però ha fatto un balzo di notevole portata è la Cina. Nell’area MENA-Middle East and North Africa l’interscambio cinese è passato dai 21,3 Mld di dollari nel 2001 a 257,4 Mld di dollari nel 2015 con stime che prevedono una crescita fino a 283 Mld nel 2018. Nasce, quindi, spontanea la riflessione che induce ad affermare che il Mediterraneo sta sempre più guadagnando una sua centralità e sempre più diventando bacino di traffico denso di opportunità per il commercio internazionale, come anche numerosi studi di SRM hanno dimostrato. La sfida la Cina l’ha lanciata, a noi saperla cogliere. Per approfondimenti www.srm-med. com. Tabella - Alcuni dati di sintesi


C O N F I N D US TRIA S ALE RNO

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MusicArtFood 2016, buonissima la terza edizione del galà di Natale dei GI di Confindustria Salerno Più di cinquecento ospiti hanno preso parte alla serata di beneficenza, organizzata alla Stazione Marittima, per raccogliere fondi destinati alla UOC di Neurologia dell’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno per l’acquisto di attrezzature e macchinari per la cura della SLA

di Massimiliano Pallotta Segreteria Gruppo Giovani Imprenditori Confindustria Salerno m.pallotta@confindustria.sa.it

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erza, splendida, edizione per il MusicArtFood, il Gran Galà di Natale organizzato dai Giovani imprenditori di Confindustria Salerno. Oltre cinquecento gli invitati che hanno preso parte alla serata, organizzata il 3 dicembre scorso alla Stazione Marittima di Salerno, per raccogliere fondi destinati alla UOC di Neurologia dell’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno per l’acquisto di attrezzature e macchinari per la cura

della SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica. La buona riuscita della serata è stata resa possibile grazie ai numerosi partner che hanno dato il proprio contributo in nome di una causa buona e giusta come quella promossa per la serata di gala. Pina Esposito, Consigliere Nazionale e delegata alla Campania dell’Associazione Aisla Onlus, per l’occasione ha consegnato al presidente dei Giovani Imprenditori, Francesco Giuseppe Palumbo, la spilla speciale di socio dell’Associa-

zione. Anche quest’anno non ha fatto mancare il suo sostegno l’Associazione Slow Food e, con essa, numerosi chef impegnati in uno speciale show cooking, finalizzato a valorizzare le eccellenze locali. Prezioso il contributo del Consorzio Vita Salernum Vites che ha permesso la degustazione di rinomate etichette della nostra provincia. Durante la serata sono state esposte opere della Biennale d'Arte Contemporanea di Salerno 2°edizione. L’allestimento è stato curato da Giuseppe Gorga e Olga Marciano. Chapeau per i bravissimi chef Riccardo Faggiano di Evù; Annaclara Capacchione di Vasilicò; Luigi Chirico de Il Cantastorie; Philly D’Uva e Nicola Attianese di Philly’s Personal Chef Italian Cooking School; Giulio Coppola de La galleria; Pasquale Vitale di Pascalò; Gerardo Denza di Chef a Casa Tua; Eliseo Marciello de L’agliara e Simone Rispoli di Braceria Rispoli. Dulcis in fundo grazie anche alla Pasticceria De Vivo e all’azienda Nuova Santa Rosa per aver contribuito a creare la magica atmosfera del Natale anche a tavola.


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PMI Day 2016, 366 studenti a scuola di impresa Dodici piccole e medie aziende salernitane hanno scelto di aprire le proprie porte per avvicinare i giovani del territorio al mercato del lavoro e raccontare loro impegno e valori del fare impresa

a cura della Redazione Costozero

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ell’ambito della XV Settimana della Cultura d’impresa, Confindustria Salerno ha aderito, lo scorso 11 novembre, al PMI Day, la Settima Giornata Nazionale delle Piccole e Medie Imprese, promossa dalla Piccola Industria di Confindustria finalizzata ad accrescere la consapevolezza sulla forza e sul ruolo delle Piccole e Medie Imprese, vero motore di sviluppo economico e sociale del Paese. Dodici le piccole e medie imprese salernitane che, in un open day straordinario, hanno accolto 366 studenti della provincia, per mostrare loro la vita d’impresa dal vivo, mostrando processi produttivi, organizzazione, storia e progetti per il futuro. «Quest’anno - ha spiegato Gerardo Gambardella, presidente del Comitato Piccola Industria di Confindustria Salerno - con la riforma della scuola che ha reso obbligatoria l’alternanza scuola-lavoro, questa iniziativa acquista ancora maggior pregio, anticipando spesso quei contatti e quella conoscenza diretti,

necessari a ridurre il gap tra le reali esigenze delle aziende e l’offerta professionale presente sul mercato». Imprese e scuole dovranno sempre più camminare insieme, favorendo una vera alternanza tra percorsi formativi negli istituti e percorsi di inserimento in azienda».

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Inciflex Srl di Fisciano K2 Consulting Soc. Cons. arl (Gruppo Iovine) di Salerno.

Le scuole partecipanti all’iniziativa sono invece state: • il Liceo Scientifico Statale G. Da Procida di Salerno • il Liceo Classico T. Tasso Hanno aderito al Pmi Day di Condi Salerno findustria Salerno: • il Liceo Scientifico e Linguistico • Arti Grafiche Boccia Enrico Medi di Battipaglia di Salerno • l’I.I.S.S. Santa Caterina Da • S &T Service Srl - Virvelle Siena-Amendola di Salerno di Salerno • l’Isis Giovanni XXIII Tecnico • Casa Di Cura Privata Salus Spa Nautico di Salerno di Battipaglia • il Liceo Socio Pedagogico Alfa• Di Martino Gaetano & F.lli Spa no I di Salerno Stabilimento Antonio Amato di • l’Istituto Tecnico Tecnologico Salerno B. Focaccia di Salerno • Michele Autuori Srl • l’IIS Cenni Marconi di Salerno di Vallo della Lucania • Essenia Uetp Srl di Salerno • l’I.S. R. Pucci Afm Turistico • Bioplast Srl di Fisciano di Nocera Inferiore • Mgr Srl di Cicerale • l’Istituto Tecnico Galilei • Starpur Srl di Salerno di Nocera Inferiore • l’Istituto Tecnico Pacinotti • CTI FoodTech Srl di Scafati di Montecorvino Pugliano • l’IIS Trani Moscati di Salerno


C O N F I N DUS TRIA S ALE RNO

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Il Liceo Scientifico Da Procida in visita da Arti Grafiche Boccia

L’ISIS tecnico nautico Giovanni XXIII presso Michele Autuori

L’IIS Cenni Marconi in visita da MGR

L’IISS Caterina da Siena- Amendola in visita presso il pastificio Antonio Amato

L’Istituto tecnico tecnologico B. Focaccia presso Bioplast


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L’istututo tecnico Galileo in visita da CTI FoodTech

Il liceo socio-pedagogico Alfano I in visita da Essenia

L’istituto tecnico Pacinotti in visita da Inciflex

L’IIS Trani Moscati in visita alla K2 Consulting - Gruppo Iovine

Il liceo classico Tasso in visita presso S &T Service Srl - Virvelle


C O N F I N DUS TRIA S ALE RNO

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Premio BP per l’Innovazione 2016, idee che migliorano la vita e l’impresa La decima edizione si è distinta soprattutto per il suo portato di valori: tantissimi i progetti in gara con fine medico-terapeutico

di Raffaella Venerando

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entouno idee innovative provenienti da tutta Italia sono state presentate l’1 e 2 dicembre scorso presso la Stazione Marittima di Salerno a una platea di imprenditori, professionisti e finanziatori nel corso del Premio Best Practices per l’Innovazione di Confindustria Salerno, l’iniziativa rivolta a imprese e startup italiane che - ormai da dieci anni - promuove le migliori pratiche in materia di innovazione imprenditoriale. Progetti tutti originali, utili e che guardano al futuro. Tra questi, nella Sezione Imprese, il primo posto è andato a Metoda Spa di Salerno, con il progetto Thin CigsFilm Machine destinato ai produttori di celle fotovoltaiche. Ex aequo per il secondo posto riconosciuto a CLE Srl di Bari, con Resettami, piattaforma che gestisce i processi informativi di integrazione socio-sanitaria di Ambiti Territoriali, Comuni, ASL e cooperative sociali e a U-Earth Biotechnologies Srl di Torino, con il progetto Pure Air Zone. Terzi classificati pari merito la Antonio Sada & Figli Spa di Salerno, con il progetto Cornerless e Proge Software Srl di Roma, con il progetto STS - Surgery Touchless System. Il Premio speciale messo a disposizione da Telecom Italia è andato invece all’impresa Planetek Italia Srl di Bari, per il progetto

Prima giornata del Premio Best Practices per l’Innovazione 2016

Rheticus® Displacement. Premio Platea all’impresa Centrale del Latte di Salerno Spa, per il progetto Latteallegro, latte ad alta pastorizzazione senza lattosio parzialmente scremato. Infine, si è aggiudicata il Premio web la Bioplast Srl di Fisciano, per il progetto StealthCode che consente l’inserimento del dato univoco all’interno di un prodotto stampato. Nella Sezione Start up, dedicata all’imprenditore salernitano Paolo Traci, sono stati premiati: al primo posto la Sentetic Srl di Perugia, per la realizzazione di una piattaforma software Cloud-based di apprendimento automatico, al secondo l’Enerbrain Srl di Torino, per il progetto Energy Cloud. Terzo posto pari merito per la Carepy Srl di Bari, per il progetto

Cassetta dei farmaci intelligente, e per Francesca Camerota di Scauri con il progetto Mamma Cult. Anche per i partecipanti di questa sezione sono stati previsti riconoscimenti speciali. Il Premio Telecom Italia e quello web sono andati alla start up Wayto Srl di Vallo della Lucania, per il Modello di Utilità brevettato, innovazione di rilievo per il mercato turistico internazionale; il Premio Platea è stato conferito alla start up Demosend Srl di Ancona, per la prima piattaforma web che offre ai suoi utenti la possibilità di gestire l’intero business musicale. Si è aggiudicata il Premio Banca Sella la start up Felix Srl di Caserta, per il progetto Circuito Felix, complementare rispetto al sistema bancario tradizionale.


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Young Factory Design: ecco chi sono i vincitori Buona la prima per il contest ideato e organizzato dal Gruppo Design, Tessile e Sistema Casa di Confindustria Salerno. Tre i progetti premiati che hanno presentato soluzioni innovative per l'arredo

di Raffaella Venerando “Costellazioni” è un appendiabiti a parete, richiudibile e dalla forma modificabile, realizzato in acciaio o ottone. Azienda partner del progetto la Lamberti Design. Kubbik, invece, è un espositore per prodotti tessili e, al contempo, un separatore artistico di ambienti dalla struttura portante in legno con all'interno inserti in tessuto. Partner di questo progetto creativo sono state le aziende Manifatture Le aziende e i progettisti della I edizione di Young Factory Design Tessili Prete e Basile Interiors. L’ultimo progetto, realizzato con l’azienda Fornace De Martino, è una ostellazioni, KubbiK e di integrazione tra i materiali messi sorta di pavimento narrante. Ricordi del Sud: questi i a disposizione dalle undici diverse nomi dei tre progetti vincito- realtà produttive che hanno promos- A essere raccontata è la storia del Sud Italia e di Rufoli, il piccolo borri del contest Young Factory Design, so il contest. go della provincia di Salerno dove ideato e organizzato dal Gruppo Ai tre vincitori - rispettivamente nascono le riggiole della famiglia De Design, Tessile e Sistema Casa di Antonietta Memoli per il progetto Martino da più di cinquecento anni. Confindustria Salerno e patrocina“Costellazioni” (categoria Arredo), «Portare in Confindustria Salerto dall’Ordine degli Architetti di Tommaso Auletta per il progetto Salerno e di Napoli, dalla FondaKubbiK (categoria Tessile-Arredo) e no tanti progettisti under 40 - ha dichiarato nel corso della conferenza zione dell’Ordine degli Architetti di Libero Rutilo-pavimenti (categoria stampa di presentazione del contest Napoli, dall’Ordine degli Ingegneri ceramica e marmi) andrà un premio Valeria Prete, presidente del Grupdi Salerno, dall’Associazione per il in denaro del valore di cinquecento po Design, Tessile e Sistema Casa disegno industriale Campania e da euro. Idee non solo originali e innoe RdD Tekla srl - è stato per noi Napoli Creativa. vative, ma anche di pronta realizzamotivo di orgoglio. Comincia con Ai trentaquattro progettisti partezione quelle premiate dal contest, in cipanti - tutti under 40 - era stacui sono stati esplorati nuovi concept il piede giusto, dunque, una nuova collaborazione e una vera partnerto chiesto di ricercare e proporre di arredo e tentati approcci finora ship tra il mondo della progettazione soluzioni innovative per l'arredo, mai provati. e quello dell’impresa». dando vita anche a nuove possibilità Ma “cosa sono” i progetti vincenti?

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Industria Grafica FG, il talento dell’esperienza Un’azienda giovane e moderna, che utilizza tecnologie all’avanguardia ed ecosostenibili, specializzata nella stampa digitale

di Raffaella Venerando

no trasferisce il suo know how a Salerno in Arti Grafiche Boccia, a inizio anni ’80, per poi decidere successivamente di fare il grande salto mettendosi in proprio. Scommette su di sé e vince, diventando ben presto una delle aziende di riferimento per tutto il Mezzogiorno nel settore della prestampa. Il tempo passa veloce e il settore della prestampa cede il passo a un’evoluzione apparentemente inarrestabile, quella della stampa digitale, proprio quella in cui è specializzata la FG. L’aver lavorato a lungo con i colori Stampa diretta UV su materiali rigidi e flessibili e con le immagini promette la i sono staffette probleun ramo di un’azienda di famiglia forza necessaria per far bene anche matiche, che mettono a già consolidata e specializzata in questa nuova sfida, di cui divenrepentaglio la continuità nella prestampa. È successo così tano i figli di Giovanni, Fabrizio e di impresa, rinviate fino a divenire che una tipica realtà familiare, al Giusy, in azienda rispettivamente critiche, ma esistono anche succes- passaggio di testimone, ha traaccount manager e responsabile sioni correttamente pianificate e smesso alle generazioni successive legale e commerciale, impegnati definite in cui il ricambio genera- capacità e competenza coltivate da a diventare primi nella stampa zionale ai vertici diventa, semplice- ben oltre trent’anni con caparbietà digitale dal grande formato al più mente, una nuova stagione di sfide. e dedizione. piccolo dei progetti. È questo il caso della Industria Giovanni Citro, fondatore di Oggi, non è solo la giovane età di Grafica FG, nata anni fa a Salerno ambedue le realtà, dopo essersi Fabrizio e Giusy a fare della FG da una ben ponderata cessione di formato come fotolitista a Milaun’azienda moderna, ma la voglia

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continua di crescere, di osare, di darsi nuovi obiettivi. La loro è un’impresa con due anime. Lui ordinato, riflessivo, tecnologico, è considerato dalla sorella - dinamica, grintosa e sorridentissima - “un freno alla fantasia” ma, pur di contenerne l’esuberanza, è ben felice di correre questo rischio. Lei passione, lui progresso. Lei cascata, lui montagna. Tanti i progetti nel sociale che FG sostiene, soprattutto quelli legati all’ecosostenibilità e al rispetto ambientale, quasi come se il bene comune fosse una dimensione costitutiva della loro attività d’impresa, nella convinzione che tutto ciò che migliora il territorio, senz’altro accresce in modo unico il valore della loro colorata impresa. Da qui anche la scelta di usare l’innovativa tecnologia chemistry-free per la produzione di lastre offset senza l’utilizzo di prodotti chimici, tecnologie di stampa grande formato che prevedono l’esclusivo uso di inchiostri ecologici. Nella gamma prodotti utilizzati

collaborazione, in quanto avvocato, con lo studio legale Montera a componente del gruppo SALPO, così come in tanti altri progetti legati al sociale, per far conoscere le qualità della sua azienda e dei suoi prodotti sul territorio. Animati sì da temperamenti diversi, ma con identità di vedute sul futuro del loro progetto imprenditoriale, i due fratelli vogliono insieme arricchirlo, espanderlo, rafforzarlo, tutto con un solo obiettivo: creare un servizio su misura per il cliente finale. Nei prossimi mesi le loro energie saranno concentrate sulla Prestampa offset con tecnologia chemistry-free creazione di un print lab interno all’azienda, da concepire non solo da FG figurano anche gli adesivi come un luogo in cui ricevere il 3M, tra cui la serie PVC Free che cliente e mostrargli il prodotpropongono alla propria clienteto finito o le infinte possibilità la come soluzione green insieme di stampa, ma anche come uno a tessuti alternativi ai classici spazio aperto, laboratoriale, dove striscioni in pvc. Iscritta anche ad è possibile imparare dal vivo e proAssografici, l’azienda salernitana vare in prima persona a stampare presta i propri servizi di stampa le proprie idee in esemplari unici. tra i primi in Campania ad offrire Con slancio e studio senz’altro ci la stampa diretta UV su materiali riusciranno. rigidi - a tipografie, agenzie di comunicazione, franchising e grandi aziende. Per tutti con la stessa cura e puntualità. Quest’anno Fabrizio - laureato in Economia e Management dell’Impresa presso l’Università degli Studi di Salerno e vincitore del master in direzione d’impresa presso la SDOA - ha concluso il rinnovo dell’intero parco macchine, ampliando la gamma dei servizi offerti grazie all’acquisto di un pantografo per la progettazione e lavorazione su materiali plastici, da lui stesso customizzato in collaborazione con l’Università, mentre Giusy - fiume in piena - si Fabrizio e Giusy Citro divideva in mille progetti, dalla


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Marina d’Arechi, un’opera di immensa passione Completati nel 2016 i mille posti barca del porto turistico salernitano immaginato e realizzato, in soli sei anni, dal Gruppo Gallozzi senza alcun finanziamento pubblico a fondo perduto

a cura della Redazione Costozero

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l 2016 per Marina d’Arechi è l’anno del completamento dei suoi 1.000 posti barca. Con gli ultimi 350 ormeggi per imbarcazioni dai 24 ai 50 metri ormai ultimati, la parte a mare del porto turistico, immaginato, realizzato e controllato dal Gruppo Gallozzi, giunge, infatti, alla sua conformazione definitiva che ne fa uno dei maggiori marina del Mediterraneo.Un’opera imponente, difficile perfino da immaginare lì dove una volta c’era solo degrado, conclusa in soli 6 anni, con grande volontà e passione, nella fase storica più difficile della nostra economia. Con un investimento, in opere già fatte, pari a 82.000.000 di euro, senza alcun finanziamento pubblico a fondo perduto, Marina d’Arechi è la più rilevante infrastruttura nell'ambito del turismo del mare realizzata nel Centro-Sud Italia negli ultimi dieci anni. La bellezza dell’architettura del marina, l’eccellente qualità dell’offerta infrastrutturale e l’attenzione speciale riservata ai servizi di supporto al diporto, alla

nautica, al tempo libero, non devono far dimenticare che Marina d’Arechi è innanzitutto una coraggiosa e visionaria iniziativa imprenditoriale. Il Salerno Port Village ha saputo già conquistare un posto nel cuore di molti diportisti provenienti da diverse parti d’Italia e del Mondo, con l’offerta di un “prodotto” di altissima qualità alla portata di tutti coloro che vogliano vivere la propria passione per il mare, senza preoccupazioni e in piena libertà. L’estate 2016 ha così registrato un incremento complessivo di contratti sottoscritti pari al 30%., evidenziando un ottimo rapporto tra i costi delle tariffe e la qualità dei servizi offerti. «Conclusi i lavori infrastrutturali (hardware) - ha commentato il presidente Agostino Gallozzi - ci stiamo dedicando al miglioramento di quello che definiamo il software, cioè l’offerta di servizi a 360 gradi, tale da rendere la fruizione del marina una esperienza indimenticabile per i nostri ospiti». «Ora che Marina d’Arechi ha assunto la sua conformazione reale - ha aggiunto

Gallozzi - fa una certa impressione pensare a com’era quest’area prima di avviare i lavori di costruzione. In pochi anni è stato restituito a Salerno un pezzo di città che è diventato un fiore all’occhiello della Campania e dell’Italia. Questo è per me, da imprenditore meridionale, uno speciale motivo di orgoglio, che mi sprona ad andare avanti con sempre maggiore determinazione». Marina d’Arechi - classificato come Marina Resort - è l’unico porto turistico della nostra regione ad avere ottenuto il punteggio massimo di cinque timoni (analogo alle cinque stelle degli alberghi) nell’ambito dell’autorevole certificazione del RINA - Registro Navale Italiano, ad aver conseguito l’attestazione Marina Excellence per la qualità dei servizi offerti, e, infine, per la seconda volta la “Bandiera Blu”. Il Salerno Port Village è dunque pronto ad affrontare le sfide del nuovo anno, con l'obiettivo di continuare a contribuire a promuovere l'immagine di Salerno e del Mezzogiorno in Italia e nel Mondo.


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La risorsa Umana, chiave per la crescita dell’impresa La presidente di Umana, Maria Raffaella Caprioglio, realtà nazionale che impiega mediamente oltre 18mila persone al giorno, evidenzia come la forza della sua agenzia per il lavoro sia la vicinanza alle aziende, l’essere parte essa stessa del mondo del lavoro

a cura della Redazione Costozero

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a crescita e lo sviluppo di un’impresa non possono prescindere dalla crescita e dallo sviluppo delle risorse che la animano». Così, Maria Raffaella Caprioglio, presidente Umana, Agenzia per il Lavoro con 126 filiali operative in Italia e che impiega mediamente ogni giorno oltre 18mila persone, introduce l’analisi sul nuovo corso intrapreso dal mercato del lavoro. Presidente, alla luce delle riforme di recente introduzione, quanto e come sta cambiando lo scenario del mondo del lavoro? In questi ultimi anni stiamo assistendo ad una profonda trasformazione del mondo del lavoro, anche dal punto di vista culturale. Sta cambiando l’organizzazione del fare impresa e, di conseguenza, si modifica non solo il tipo, ma anche il modello di lavoro così come finora inteso; che non è più lo stesso “per tutta una vita”. Culturalmente si sta affermando l’idea che la flessibilità, la mobilità e il cambiamento siano elementi positivi di crescita dell’esperienza e della carriera di ogni singolo individuo. La

In questo contesto Umana ha saputo rispondere alle esigenze delle aziende con grande efficacia, ritagliandosi un ruolo privilegiato nel rapporto con il mondo dell’industria. E questo grazie alla nostra vicinanza alle imprese, conoscendone i bisogni, a volte anticipandoli, entrando in Maria Raffaella Caprioglio ogni contesto territoriale con umiltà e professionalità, forti di una storia oramai lunga - siamo stati fra i primi formazione continua diventa infatti player nazionali a ricevere l’autorizoggi elemento strategico e costante zazione ministeriale nel 1997 - di in tutto l’arco della propria storia relazioni e solida fiducia reciproca. professionale. Il lavoro, e le regole Stiamo nei territori, dialoghiamo che lo governano devono essere per forza di cose contemporanei, devono con gli imprenditori. guardare alla società, parlare lo stesso Siamo noi stessi un’azienda, orgogliosamente italiana. Siamo noi linguaggio delle imprese. Un lavoro in linea con le rapide trasformazioni stessi manifattura. Lavoriamo con la materia prima più delicata e comeconomiche di questo tempo. plessa possa esistere. Noi lavoriamo Le ultime riforme, per estrema con le persone. semplificazione “Jobs act” e “Buona scuola”, sono interventi che guardano Per noi il lavoro è un valore perché a questa trasformazione e in qualche attraverso di esso le aziende e le persone crescono, e crescono insiemisura la accompagnano, perché me. Questo per noi vuol dire “Lavofanno riferimento alla realtà e alle ro contemporaneo”, il nostro claim esigenze del mercato e dell’impresa. aziendale che, da sempre, decliniamo E il ruolo svolto da Umana come in ogni nostro agire. sta evolvendo?


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Synergie, vent’anni e non sentirli L’agenzia di comunicazione di Alberto Rispoli da due decenni organizza a Salerno eventi di successo con stile ed eleganza

di Raffaella Venerando

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n tempi di sovrabbondanza di fatti, informazioni e avvenimenti che ci sovrastano, il valore distintivo di un evento risiede esclusivamente nel potere delle idee, creative e progettuali, che lo generano e che tanto più sono originali, quanto più capaci di renderlo semplicemente unico. Un buon evento viene vissuto e ricordato come tale, quindi, se chi lo pianifica e realizza - ispirandosi a precisi criteri di professionalità - è mosso da dosi corrette di intuizione e metodo. Doti di cui non difetta di certo Alberto Rispoli, fondatore di Synergie, agenzia con il cuore a Salerno che da vent’anni colleziona esperienze di successo proprio nell’organizzazione di eventi con costante ricerca del particolare caratterizzato da un tocco unico e riconoscibile. La vision della società è chiara e suona come un intento già dal nome: se, come diceva Seneca, «la vita è un’incessante costruzione di ponti» anche nel lavoro, per

dettaglio, contenuto e contenitore, con una predilezione per la sua amata Salerno come location, da lui ritenuta un “grande attrattore turistico” su cui ancora molto c’è da lavorare, anche grazie all’immenso patrimonio storico-scientifico ereditato dall’antica Scuola Alberto Rispoli Medica Salernitana. Eccellenza fondatore di Synergie ideativa ed esecutiva, buona reputazione ed elevato buon gusto ben riuscire, secondo Rispoli, era nella scelta del “come” realizzare ed è necessario diventare esperti l’evento, sono da sempre i valori di dell’interazione, dello scambio, del riferimento di Synergie che, grazie fattore comune, moltiplicando le alla sua solida ed elegante identità, esperienze, le energie, la creatività. in questi venti anni, è riuscita ad Creando “sinergie” per l’appunto, anticipare le tendenze non facenparola piena quando fu scelta nel dosi trovare mai impreparata in un 1996, e non vuota come accade mondo che è cambiato velocemenoggi, brandita con sciatteria e fate e continuerà a farlo. stidiosa pigrizia. Con uno sguardo Partire da qui, dopo due decenni, a 360 gradi, Synergie è capace per affrontare nuove sfide credenspecie in ambito medico scientifico do più che mai nel proprio lavoro - di garantire a quanti decidono di per costruire una realtà ricca di avvalersi delle sue professionalità significati ed emozioni. Tutto - servizi di comunicazione, pubbli- questo è possibile grazie al patriche relazioni, marketing ed eventi monio di esperienze da mettere al in cui sono ben miscelati organiz- servizio dei clienti. zazione ed emozione, sistema e Buon giro di boa, allora, Synergie.


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CTI FoodTech, trent’anni di successi L’encomiabile traguardo è stato festeggiato anche con “CTI Awards”, l’evento organizzato nei saloni della fiera CIBUSTEC di Parma che ha visto la premiazione di quanti hanno contribuito alla crescita dell’azienda nel suo lungo pezzo di vita

a cura della Redazione Costozero

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l comparto food machinery dell’industria salernitana può vantare da tempo un protagonista di assoluta eccellenza per quota di mercato e qualità del prodotto. Parliamo di CTI FoodTech, l’azienda produttrice di macchinari per l’industria di trasformazione alimentare specializzata in denocciolatrici per pesche, spesso definita “multinazionale tascabile” in riferimento alla sua presenza commerciale globale e alla vocazione all’avanguardia tecnologica che ispira la progettazione dei suoi innovativi prodotti. L’azienda ha celebrato quest’anno i trent’anni di attività e ha organizzato per l’occasione l’evento “CTI Awards” nei saloni della fiera CIBUSTEC di Parma, la prestigiosa vetrina dedicata all’industria del food che richiama ogni due anni i grandi nomi del settore a livello globale. Nel corso dell’evento sono state premiate le persone che hanno contribuito alla crescita dell’azienda nei suoi trent’anni di storia.

Oltre ad alcuni dei più importanti esponenti dell’industria conserviera mondiale, sono stati premiati come partner Pasquale Fedele, CEO della LiquidWeb (che sviluppa il software installato sui macchinari CTI FoodTech), e Carlos Fernandez, presidente e DG della divisione “Liquid Foods” della multinazionale americana JBT FoodTech, leader mondiale del food machinery e da anni partner preferenziale dell’azienda salernitana. Al termine della premiazione gli ospiti dell’evento hanno potuto assistere a un bellissimo concerto dei Neri Per Caso, il gruppo “a cappella” che da più di vent’anni calca le scene internazionali promuovendo l’arte salernitana nel mondo. Oggi CTI FoodTech è uno dei leader mondiali nel segmento denocciolatrici di pesche, in concorrenza diretta con un’altra grande multinazionale americana. Il brand CTI FoodTech è ormai riconoscibile e familiare per i produttori di conserve di USA, Sud America, Cina, Giappone, Austra-

lia, Nord Africa oltre che Spagna, Grecia, Bulgaria, Francia, grazie ai macchinari dell’azienda installati nelle linee di produzione dei maggiori esponenti del settore. Grazie a questi straordinari successi l’azienda non manca mai di suscitare interesse nel contesto globale e in quello locale. Infatti è tra le aziende del salernitano a vocazione internazionale che ha ricevuto il riconoscimento “Impresa Oltre Salerno”, consegnato al CEO Biagio Crescenzo durante l’ultima assemblea di Confindustria Salerno. Per il futuro CTI FoodTech continuerà a investire in ricerca, per introdurre innovazioni che le consentiranno di espandere la sua presenza commerciale. Oggi gli sforzi dei progettisti dell’azienda si concentrano sulla Peach Line 4.0, la linea di produzione pesche del futuro, che incorpora automatizzazione e tecnologie informatiche per aumentare l’efficienza produttiva e ridurre l’impatto ambientale.


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Mecar spa e Smet Logistics, aziende in costante movimento Consegnato il primo nuovo Iveco Stralis XP TCO2 Champion, sigillo di una partnership ambiziosa e vincente

di Raffaella Venerando

«I trasporti non sono più una commodity, ma diventano sempre più strategici per il sistema economico nel suo complesso»

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a Logistica internazionale, lo scorso 24 novembre, ha fatto tappa a Salerno. Non in un luogo qualsiasi, ma nel posto giusto: la piattaforma logistica di Mecar Iveco nella zona industriale della città, punta di diamante dei provider logistici europei. In quella occasione tanti annunci, tutti veri. Per prima cosa Gianandrea Ferrajoli, Ceo di Mecar spa, ha

Gianandrea Ferrajoli Ceo di Mecar spa

dichiarato che la splendida sede che ospitava quel giorno l’evento “Tecnologia e Sostenibilità Logistica 2020” diverrà presto un efficiente centro di manutenzione al servizio di tutte le aziende di ogni dimensione. Non solo. Nel corso del suo intervento, seguito a quello del presidente della CCIAA di Salerno Andrea Prete e del Sindaco Enzo Napoli,

Ferrajoli ha sottolineato come, anche nel suo settore, si stia assistendo a un cambio di paradigma al quale con anticipo hanno guardato sia la Mecar, sia la Smet Logistics - altra protagonista dell’evento - non lasciandosi trovare impreparate. «Negli ultimi anni - ha dichiarato con il suo impareggiabile e connaturato entusiasmo Ferrajoli - la logistica italiana ha vissuto una profonda


33 trasformazione in termine di modelli di business, puntando sempre di più sull’innovazione, non solo delle tecnologie ma soprattutto dei processi, con un occhio di riguardo per la sostenibilità ambientale. A spingere su questo cambiamento, la sempre più alta attenzione per l’impatto della produzione e, non ultimo, una fase economica che ha condotto le imprese a valutare nuove strategie di rilancio in chiave green. Con Smet Logistics collaboriamo dal 2009, anno in cui anche le nostre aziende si sono trovate di fronte a un bivio: o ammainare le vele o aggredire il mercato per dominare la crisi. Senza timore abbiamo scelto la seconda strada, condividendo da allora obiettivi e strategie. «I trasporti non sono più una commodity, ma diventano sempre più strategici per il sistema economico nel suo complesso». Iveco è il partner di riferimento per il trasporto ad impatto zero e Smet, intuendone l’importanza, non si è lasciato sfuggire l’occasione di essere con noi anche in questo ultimo progetto evolutivo che oggi celebriamo qui a Salerno». Gli ha fatto, quindi, eco Domenico De Rosa, general manager di Smet Logistics, rimarcando come «Salerno per il comparto della logistica pesante sia una avanguardia europea. Ne è prova il nuovo Iveco Stralis XP TC02 Champion, un campione appunto di tecnologia e innovazione che, alimentato a metano, rappresenta quel cambio di paradigma dal combustibile al metano liquido di cui diceva Gianandrea, rispetto al quale la Smet ha mostrato prontezza e capacità massima di risposta, cavalcando il cambiamento e non subendolo, così come ha fatto il nostro territorio

da sinistra Domenico De Rosa, Alessandro Oitana e Gianandrea Ferrajoli

che presto potrebbe avere le infrastrutture adeguate per la distribuzione di metano liquido, un’assoluta novità per l’intero Mezzogiorno». Le conclusioni dell’iniziativa lancio sono state affidate ad Alessandro Oitana, responsabile business della gamma Medi-Pesanti mercato Italia di Iveco che, insieme a Ferrajoli e De Rosa, ha fisicamente svelato, con meraviglia dei presenti all’evento, il gigante buono Golden Truck,

consegnato alla Smet. Nelle parole di Oitana il riconoscimento pubblico per il valore aziendale delle due realtà salernitane: «Mecar e Smet sono due partner strategici, veri e propri agenti di cambiamento. Il veicolo rappresenta l’eccellenza tecnologica e fa dell’ottimizzazione delle performance la sua caratteristica principale». Quando si dice essere sulla buona strada.


ED I LI ZI A IND US TRIALE

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PTCP, localizzare nuove attività produttive qualificando il territorio Il contributo della pianificazione d’area vasta alla gestione, alla salvaguardia, alla trasformazione e allo sviluppo del territorio e dell’economia salernitana

Ivonne De Notaris Architetto, Dottore di Ricerca in Pianificazione Territoriale e Responsabile del Servizio Pianificazione della Provincia di Salerno archivonne@gmail.com

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al 1990, il piano territoriale di coordinamento (Ptc), in precedenza previsto nell’ordinamento italiano come facoltativo, è divenuto ordinario e obbligatorio, assegnato alla competenza delle Province (PTCP) ed esteso all’intero territorio provinciale. La lentezza con cui molte Regioni hanno provveduto alla definizione legislativa delle relative procedure di formazione ha reso incompleta e squilibrata la sperimentazione di questo importantissimo strumento di governo e indirizzo delle dinamiche territoriali, con la consueta differenziazione tra Sud e Centro-Nord dove si è già arrivati a più “generazioni” di piani. All’ineguale “geografia” della pianificazione corrispondono però situazioni di equivalente rilevanza delle questioni con le quali le attività istituzionali di governo del territorio debbono misurarsi, acuendo l’urgenza di avvalersi delle potenzialità del PTCP nelle realtà in ritardo. Le dinamiche di tipo socio-economico e le connesse modificazioni nei pro-

cessi insediativi, insieme con le nuove acquisizioni culturali, con particolare riferimento alle questioni ecologiche, obbligano inoltre a rinnovare profondamente le strumentazioni del governo del territorio. La tradizione italiana della pianificazione territoriale ha fortemente privilegiato la produzione di strumenti urbanistici comunali, con la conseguenza di distorcere la percezione corrente del suo stesso significato che, nell’immaginario collettivo, si riduce spesso alla sola regolamentazione edificatoria dei suoli. Oggi, invece, si presentano come essenziali questioni diverse che appaiono suscettibili di adeguata comprensione, e di efficaci modalità di governo, solo in una impostazione pianificatoria di scala vasta. In particolare, la qualità dell’ambiente e del paesaggio, la vivibilità urbana, la sostenibilità dello sviluppo e la coesione territoriale sono i temi emergenti che si stanno affermando come prioritari delle politiche territoriali, per il cui efficace perseguimento appare sempre più indispensabile


35 un contesto di azione collaborativo. Una condizione essenziale per dare efficacia a tale orientamento è riconosciuta nella costruzione di una strategia integrata basata sulla considerazione della rete di relazioni che tra questi temi intercorrono. La centralità di questi temi emerge in rapporto alle criticità che caratterizzano l’attuale contesto territoriale e socio-economico, esito dello sviluppo insediativo ed economico del secondo dopoguerra: depauperamento delle risorse ambientali; scarsa competitività e inadeguata offerta prestazionale del sistema urbano; persistenza dei divari territoriali; basso livello di innovazione del sistema produttivo; etc.. È opportuno inoltre sottolineare che, con riferimento ad alcune specifiche tematiche, la dimensione comunale non risulta più idonea ad offrire efficaci forme di indirizzo, progettazione e gestione attuativa: è il caso delle politiche energetiche, dei trasporti, dei servizi di livello superiore per la casa, le attività produttive e la media e grande distribuzione commerciale. In assenza di progressi concreti della “riforma metropolitana” e di “area vasta”, cruciale e decisivo è il ruolo del PTCP, che si configura oggi in Italia come uno strumento complesso in grado di svolgere in modo integrato due diverse ma correlate funzioni. La prima è di tipo regolativo, e si esprime attraverso l’insieme di disposizioni tese a disciplinare le pianificazioni urbanistiche dei Comuni e le iniziative strategiche per lo sviluppo locale. In tal senso, rientrano nella mission regolativa del PTCP l’individuazione degli ambiti di tutela per ciascun sistema di patrimonialità e/o per ciascun tipo di

rischio, la fissazione dei criteri per il dimensionamento dei piani comunali, la definizione dei criteri di compatibilità/coerenza per le scelte di modificazione/trasformazione del territorio e altre disposizioni di indirizzo di analogo livello. La seconda funzione del PTCP è, invece, di tipo strategico, e attiene alla elaborazione di proposte progettuali di interventi e/o di politiche tese a conseguire un nuovo assetto territoriale sotto il profilo delle localizzazioni, dei ranghi e dei caratteri delle centralità e delle polarità con riferimento, ad esempio, allo sviluppo delle reti infrastrutturali, alla promozione della rete ecologica e alla valorizzazione sostenibile del patrimonio ambientale, alle localizzazioni e caratterizzazioni di attività economiche. Alla luce di quanto finora detto, l’Amministrazione provinciale di Salerno, con il piano di coordinamento approvato nel 2012, si è posta l’obiettivo di armonizzare conservazione e sviluppo attraverso una pianificazione dinamica, che coinvolga i differenti attori che concorrono alla gestione, alla salvaguardia, alla trasformazione e allo sviluppo del territorio e impostando per l’insieme del territorio provinciale strategie d’intervento, indirizzi di azione e normative che possano determinare una integrazione territoriale fondata sull’interscambio delle diverse qualità ambientali, paesaggistiche e culturali. In particolare, per quel che riguarda il settore produttivo, il PTC della Provincia di Salerno contiene chiare strategie di sviluppo provinciale, cui sono connesse azioni da implementare nel breve periodo a livello locale, per ognuno dei sette sub-ambiti provinciali individuati dal piano (gli Ambiti

Identitari). Gli indirizzi normativi del piano, inoltre, favoriscono l’attuazione di politiche integrate per lo sviluppo e la qualificazione degli insediamenti produttivi esistenti, con indicazioni di dettaglio per la localizzazione degli insediamenti produttivi di interesse comunale e di interesse sovracomunale, finalizzate a favorire: - la concentrazione degli insediamenti produttivi in aree di rilievo sovracomunale, per garantire una maggiore dotazione di servizi, un minor consumo di suolo e un minor carico logistico a livello locale; - il completamento degli insediamenti produttivi esistenti, utilizzando le aree residue, quelle sottoutilizzate e quelle derivanti da dismissioni; - il miglioramento delle condizioni di accessibilità per le merci e per le persone, anche mediante servizi di trasporto collettivo locale, in coerenza con le politiche di sviluppo della logistica; - l’implementazione di programmi integrati d’intervento, diretti al coinvolgimento degli imprenditori nella realizzazione delle infrastrutture tecnologiche ed ecologiche del comparto. Il piano provinciale prevede, altresì, misure dirette a favorire la delocalizzazione delle imprese incompatibili (industrie a rischio di incidente rilevante; industrie collocate in aree ad alta sensibilità ambientale e paesaggistica), congiuntamente agli interventi di recupero dei siti degradati. Per approfondimenti http://www.provincia.salerno.it/ e/o contattare il Servizio Pianificazione Territoriale della Provincia di Salerno ai seguenti recapiti: 089614236, servizioPTCP@pec. provincia.salerno.it.


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N O R M E E S OCIE TÀ

Bonifici on line non autorizzati, la responsabilità degli intermediari finanziari è semi-oggettiva La Suprema Corte ha stabilito che, per l’abusiva utilizzazione di credenziali informatiche, nell’ambito di un servizio equiparabile a quello di home banking, non spetta al correntista provare di non aver autorizzato l’esecuzione dell’operazione

Maurizio Galardo Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca in Diritto Commerciale Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it

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a Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con la sentenza n. 10638/2016 pubblicata il 23/5/2016, ha delineato una forma di responsabilità definita “semi-oggettiva” in capo all’intermediario finanziario nell’ipotesi in cui sia stato effettuato un bonifico on line non autorizzato dal correntista, attraverso un sistema informatico assimilabile a quello di home banking. Nella fattispecie in esame una persona aveva convenuto in giudizio un’azienda con funzioni creditizie per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti ad un illecito trattamento dei propri dati personali, avendo il suddetto intermediario finanziario consentito ad un bonifico on line dal proprio conto mai autorizzato dal correntista e dallo stesso espressamente disconosciuto anche attraverso la presentazione di una querela e una successiva diffida. Il procedimento, inizialmente introdotto dinnanzi al Tribunale di Milano con il rito ordinario, venne poi mutato ai sensi dell’art. 152 del D.Lgs. 196/2003, che

a sua volta rinvia all’art. 10 del D.Lgs. 150/2011 e che prevede l’applicazione del rito del lavoro se non diversamente disposto e la non appellabilità della relativa sentenza (art. 10 comma 6) D.Lgs. 150/11). La Suprema Corte, nel ribaltare la decisione del Tribunale di Milano, ha stabilito che nell’ipotesi in cui si discuta della responsabilità per l’abusiva utilizzazione di credenziali informatiche del correntista, nell’ambito di un servizio equiparabile a quello di home banking, non spetta al correntista provare di non aver autorizzato l’esecuzione dell’operazione, la quale costituirebbe peraltro una prova negativa difficile da configurare anche in astratto, né tanto meno quella di aver subito il furto dei dati di autenticazione personale. Secondo la Corte di Cassazione infatti, in questo caso si configura un’ipotesi di responsabilità “semi-oggettiva” dell’intermediario finanziario, in virtù del rinvio all’articolo 2050 cod. civ, contenuto nell’art. 15 del D.L.gs 193/2003 (Codice della Privacy). Com’è noto, l’articolo 2050


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L’attore è onerato soltanto della prova dei danni riferibili all’illecito trattamento dei suoi dati personali, mentre grava sull’intermediario finanziario convenuto in giudizio l’onere della prova liberatoria del codice civile, rubricato “Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose” dispone che: «chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno». Tale ricostruzione troverebbe, secondo la Suprema Corte, ulteriore conferma nel modello di responsabilità delineato a livello comunitario dall’art. 23 e dal considerando n. 55 della direttiva comunitaria n. 95/46/ CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali; invero ai sensi dell’art. 23 della direttiva 95/46/CE: «Gli Stati membri dispongono che chiunque subisca un danno cagionato da un trattamento illecito o da qualsiasi altro atto incompatibile con le disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva abbia il diritto di ottenere il risarcimento del pregiudizio subito dal responsabile del trattamento», e il considerando n. 55 della medesima direttiva dispone che: «…in caso di violazione dei diritti delle persone interessate da parte del responsabile del trattamento, le legislazioni nazionali devono prevedere vie di ricorso giurisdizionale; che i danni cagionati alle persone per effetto di un trattamento illecito devono essere riparati dal responsabile del trattamento, il quale può essere esonerato dalla propria responsabilità se prova che l’evento dannoso non gli è imputabile, segnatamente quan-

do dimostra l’esistenza di un errore della persona interessata o un caso di forza maggiore; che sanzioni debbono essere applicate nei confronti di qualsiasi soggetto di diritto privato o di diritto pubblico che non rispetti le norme nazionali di attuazione della presente direttiva». Ne consegue secondo la Suprema Corte che l’attore è onerato soltanto della prova dei danni riferibili all’illecito trattamento dei suoi dati personali, mentre grava sull’intermediario finanziario convenuto in giudizio l’onere della prova liberatoria che consiste nel dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. Tra queste rilevano quelle previste dal titolo V del D.Lgs. 196/2003 (Codice della Provacy) agli articoli 31-36, in virtù della regola generale secondo cui, in sede di trattamento dei dati personali, è richiesto comunque il rispetto di un onere di diligenza da valutare concretamente, in relazione sia alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, sia alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento. Questo onere si traduce nell’adozione di misure preventive di sicurezza finalizzate a ridurre al minimo i rischi di eventi dannosi, ivi compresi quelli relativi all’accesso non autorizzato ai dati personali. Pertanto, in virtù del rinvio operato dall’art. 15 del D.L.gs 196/2003 all’art. 2050 cod. civ., l’ente che svolga un’attività di tipo finanziario o creditizio risponde quale titolare

del trattamento dei dati personali, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico del cliente mediante la “captazione” (c.d. phishing) dei suoi codici di accesso e le conseguenti illegittime disposizioni di bonifico se non prova che l’evento dannoso non gli è imputabile perché deriva da trascuratezza, errore o frode dell’interessato o anche forza maggiore. Tale ripartizione dell’onere della prova risulta peraltro coerente anche con quanto disposto dagli articoli 10 e 11 del D.Lgs. 27/01/2010 n. 11 con riguardo all’obbligo del prestatore del servizio di pagamento di assicurare che i dispositivi personalizzati forniti dai gestori non siano accessibili a soggetti diversi dal legittimo titolare. Tali disposizioni prevedono, infatti, che qualora l’utente neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già effettuata, l’onere di provare la genuinità della transazione ricade essenzialmente sul prestatore del servizio. Nel contempo ciò obbliga quest’ultimo a rimborsare con immediatezza il correntista nell’ipotesi di disconoscimento dell’operazione, a eccezione del caso in cui vi sia un fondato sospetto di frode e salva comunque la possibilità per il prestatore dei servizi di pagamento di dimostrare, anche in un momento successivo, che l’operazione di pagamento era stata autorizzata, con conseguente diritto di chiedere e ottenere, in tal caso, dall’utilizzatore la restituzione dell’importo rimborsato.


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L’efficienza della giustizia civile per la crescita economica L’inefficienza del sistema giudiziario civile riduce la propensione a investire, disincentivando lo sviluppo delle imprese e dei mercati finanziari. Se la giustizia è lenta si produce perdita di valore nell’intero sistema economico

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Roma Giudice ausiliario della Corte di Appello di Napoli www.studiolegalemarinaro.it

«L

a crescita è l’unica direzione del Paese, dobbiamo costruirla insieme». Sono le parole del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, in un recente convegno, il quale qualche anno addietro, scriveva nell’incipit di una prefazione a un libro sui temi della giustizia civile che «Una giustizia rapida ed efficace è il sogno di ogni imprenditore». Oggi più di ieri l’imperativo espresso dal presidente Boccia deve trovare accoglimento e condivisione perché il sistema Paese possa divenire competitivo consentendo di tornare a crescere. E uno dei settori che non può ritenersi estraneo alle esigenze della crescita e che, quindi, deve divenire competitivo è quello della giustizia civile. Già da almeno un decennio una serie di studi hanno posto in evidenza come il tema giustizia sia centrale anche per la crescita economica. I tempi dei processi sono irragionevolmente lunghi e questo appare inaccettabile in un Paese civile. Secondo gli studiosi di queste tematiche ai fini della valutazione del grado di efficienza di un sistema giudiziario la variabile più rilevante

è quella dei “tempi medi” di risoluzione delle controversie, perché suscettibile di incentivare il ricorso pretestuoso alla giustizia (comportamenti opportunistici), creando una congestione che si autoalimenta (componente patologica della domanda di giustizia civile). È stato infatti rilevato che ciò incide negativamente sulla fiducia dei cittadini e delle imprese, rendendo eccessivamente rischiosa l’attività d’impresa. L’inefficienza del sistema giudiziario civile riduce in tal modo la propensione a investire, disincentiva la crescita delle imprese e ostacola lo sviluppo dei mercati finanziari. Le scelte di finanziamento vengono distorte e frenano gli investimenti dall’estero. Gli studi teorici sui temi dell’efficienza della giustizia civile e dei suoi effetti sull’economia sono relativamente recenti, ma le rilevazioni statistiche hanno da tempo accertato una diretta incidenza dell’una sull’altra. La variabile “tempi” per il processo civile diviene centrale in quanto produce altresì un aumento dei costi e consistenti fenomeni di autoalimentazione della domanda. La lentezza quindi sia


39 quale “indicatore” dell’inefficienza della giustizia, sia quale “causa” della stessa. Dette caratteristiche della lentezza emergono anche quando si esaminano le interazioni tra efficienza della giustizia civile ed efficienza del sistema economico. È stato rilevato infatti come una giustizia lenta intralci il corretto funzionamento della concorrenza nel mercato dei prodotti, producendo una perdita di efficienza nell’intero sistema economico. E allora per crescere, occorre migliorare l’efficienza della giustizia e, piuttosto che ricercare le soluzioni in nuove riforme del processo civile, bisogna lavorare sull’efficienza organizzativa degli uffici che operano per lo più secondo meccanismi ormai inadeguati. In questa prospettiva il processo telematico costituisce sicuramente una straordinaria innovazione tecnologica e culturale che potrà supportare un rinnovato sistema organizzativo degli uffici giudiziari. Ma la mera riorganizzazione, che pur sembra indispensabile, apparirebbe una scelta miope se non fosse accompagnata da un rinnovato approccio alla cultura del conflitto in una prospettiva che recida il binomio, che sino a qualche anno addietro appariva indissolubile, tra controversia civile e processo statale, tra l’insorgere della lite e l’accesso alla giurisdizione dello Stato. Le riforme, che dal 2010 con l’introduzione della mediazione delle liti civili e commerciali sulla spinta delle indicazioni dell’Unione europea hanno allargato l’orizzonte dei sistemi di risoluzione delle controversie con la disciplina dei c.dd. procedimenti ADR (Alternative Dispute Resolution), hanno consentito di comprendere quanto sia rilevante per migliorare l’efficienza del sistema della giustizia civile e, quindi, del sistema economico diffondere e promuovere

una nuova cultura dell’accesso alla giustizia civile. Insomma accanto a un processo giurisdizionale rapido ed efficiente, occorre sviluppare gli strumenti di ADR e cioè quei procedimenti che, riaffermando la centralità dell’autonomia privata anche nella fase della gestione della lite, possono concorrere a una soluzione più adeguata al soddisfacimento degli interessi delle parti, conseguendo altresì anche un fisiologico riequilibrio tra domanda e offerta di giustizia. Economicità, rapidità, negozialità della soluzione costituiscono le premesse di un nuovo modo di intendere l’accesso alla giustizia civile attraverso gli ADR che corre parallelo all’indispensabile strumento giudiziale statale, ove si riaffermano le tutele dei diritti, quando richieste perché necessarie. E l’efficienza di quest’ultimo diviene il presupposto necessario per lo sviluppo degli altri. In questa prospettiva un ruolo cardine assume la Direttiva 2008/52/CE in materia di mediazione civile e commerciale, che all’articolo 1 fissa un ambizioso obiettivo agli Stati membri: «facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie» promuovendo la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione. Quindi promuovere e incoraggiare soluzioni amichevoli con particolare attenzione alla mediazione, «garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario». Un equilibrio tra mediazione e processo che riscrive il sistema della giustizia civile in una diversa logica nella quale i due percorsi appaiono differenti, ma complementari, funzionali a diversi meccanismi risolutivi, ma integrati. Appare chiaro tuttavia che la chiave qualitativa non può e non deve escludere quella quantitativa proprio

| ITINERARI DI ADR – ALTERNATIVE DISPUTE RESOLUTION / 29 COLLANA DIRETTA DA MARCO MARINARO

LA GIUSTIZIA SOSTENIBILE

SCRITTI VARI

VOLUME IX a cura di

Marco Marinaro Prefazione di

Luciana Breggia

L’ultimo libro di Marco Marinaro

al fine di un riequilibrio tra i diversi procedimenti alleggerendo e filtrando le domande di giustizia che possono trovare risposta in mediazione o attraverso altri metodi estragiudiziali. In questa ottica, forme di obbligatorietà appaiono promozionali e necessarie a fondare un approccio responsabile alla gestione della lite, come anche incentivi e sanzioni finalizzati ad orientare buone prassi e un utilizzo adeguato di tutti i percorsi. E nel solco segnato dalla Direttiva di una relazione bilanciata tra mediazione e procedimenti giudiziari si delinea sempre più nitido un approccio ecologico alla soluzione delle controversie per un sistema sostenibile della giustizia civile, rispondendo alle esigenze di competitività del Paese. Un sistema ampio e poliedrico di dispute resolution, nel quale la giurisdizione statale si colloca quale centro gravitazionale dell’intero sistema a garanzia del diritto al ricorso effettivo ad un giudice imparziale, secondo quanto sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


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L’importanza della giustizia riparativa e il Progetto Sicomoro Il progetto, già operativo da alcuni anni anche in Italia, mira ad intervenire sulle vittime dei reati curando le loro ferite e ai detenuti offrendo la possibilità di riscattarsi attraverso la consapevolezza del male causato

Luigi De Valeri Avvocato, Ordine Avvocati di Roma studiolegaledevaleri@gmail.com

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on esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace>>. Queste parole di speranza di Papa Francesco risuonate il 5 novembre nella basilica di San Pietro in occasione del giubileo dei carcerati colpiscono e nessuno, credo, possa sentirsi escluso da questa riflessione. Con le parole del Pontefice introduco l’argomento della giustizia riparativa, la cui applicazione assume un ruolo decisivo nella lotta alla recidiva del reato. Il diritto romano prevedeva la “actio in integrum restitutio” con la quale poteva ripristinarsi lo status quo ante, eliminando gli effetti del contratto viziato dalla coercizione della volontà della parte danneggiata. Il principio, tuttora applicato nell’ordinamento italiano all’art. 2058 del codice civile “risarcimento in forma specifica”, consiste

nel mettere il danneggiato nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato. La realizzazione del modello di giustizia riparativa pone in primo piano l’autore del fatto criminoso e i danni provocati alla vittima del reato, proponendo l’eliminazione delle conseguenze del reato mediante l’attività riparatrice posta in essere da costui. Al centro dell’attenzione si trova il soggetto che ha commesso il reato al quale viene proposto di rimediare alla sua condotta criminosa e ai danni causati alle vittime. Egli diventa un soggetto attivo e non più un mero destinatario di una sanzione per la condotta che ha tenuto nei confronti di singoli individui o della collettività. La riparazione si concretizza mediante la restituzione in forma specifica del maltolto, il risarcimento del danno in forma pecuniaria o l’esecuzione di prestazioni in favore della vittima o di un servizio utile in favore della collettività. Il principale strumento operativo della


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Scopo primario è il recupero morale del reo e la possibilità per le vittime di sanare le ferite ricevute aiutandole a superare la “schiavitù” generata dal rancore, dall’odio e dal desiderio di vendetta preparando la via che porta al perdono

giustizia riparativa è la mediazione tra l’autore del reato e la vittima. Le tecniche della mediazione penale permettono di passare da una situazione di conflitto ad un possibile riavvicinamento tra le parti e la presenza di una terza parte neutrale è fondamentale per facilitare il dialogo tra la vittima e il reo in funzione della soluzione dei problemi derivanti dalla commissione del reato. Il reo verrà aiutato a comprendere la gravità del gesto compiuto e le relative conseguenze, la vittima a superare la propria sofferenza aprendosi nella condivisione di fronte a chi, pur non direttamente, l’ha causata. La vittima, che spesso avverte la necessità di trovarsi di fronte a chi ha commesso il reato per chiederne ragione e motivazioni, assurge a protagonista dell’incontro come il reo. Intento della giustizia riparativa è riconsiderare la vittima e metterla al centro dell’azione ristorativa favorendo la riconciliazione tra le parti. Da alcuni anni questi principi in Italia sono stati assunti dall’Associazione Prison Fellowship Italia Onlus, nata nel 2009 dall’esperienza statunitense dell’organizzazione mondiale Prison Fellowship International che, a partire dal 1976 ha dato il via ad una missione di recupero dei detenuti, anche attraverso l’evangeliz-

zazione delle carceri. L’organismo internazionale ha dato risposta al crescente affollamento delle carceri in cui spesso di verificano episodi di violenza, difficoltà di condivisione di spazi il più delle volte inadeguati, finendo con il diventare concausa di azioni esasperate degli stessi detenuti. L’Associazione, presieduta dal notaio Marcella Reni, non ha scopo di lucro, si sostiene con le libere donazioni e opera grazie ad alcuni volontari che realizzano, tra l’altro, il Progetto Sicomoro. Il Progetto Sicomoro deve il nome all’episodio nel Vangelo di Luca (Lc. 19, 1-9), in cui Gesù incontra il peccatore Zaccheo che, nascosto tra i rami di un sicomoro, lo guarda passare credendo di non essere visto, ma viene scorto e riconosciuto da Gesù che lo chiama per nome. Il riconoscimento di Zaccheo è il punto cardine di questo passo e avviene attraverso Gesù che si manifesta agli uomini, nessuno escluso, anche chi si è posto contro la legge di Dio e i volontari del progetto secondo questo esempio realizzano un percorso di riqualificazione della dignità umana che può portare benefici alle vittime, ai trasgressori, al sistema di giustizia penale, alla comunità. Il Progetto Sicomoro punta ad un inserimento nella realtà carceraria

che parte dalla condizione di uomo del detenuto cui offrire una possibilità di riscatto e reinserimento nella comunità civile. Vittime e ristretti sono coinvolti in un percorso di reciproca immedesimazione e conoscenza, attraverso una riabilitazione dei detenuti cui si accompagna in concreto la “giustizia restitutiva” in favore delle vittime. Il progetto Sicomoro è organizzato mediante passaggi di crescita cui si giunge dopo aver fatto propri i vari obiettivi di volta in volta proposti. Le otto sessioni, cui partecipano due facilitatori e un numero uguale di vittime e di detenuti, prevedono un tema affrontato e dibattuto a partire dalla Parola di Dio e da esempi concreti tratti dalla vita quotidiana. Lo scopo primario del progetto è il recupero morale dell’autore del reato e la possibilità per le vittime di sanare le ferite ricevute aiutandole a superare la “schiavitù” generata dal rancore, spesso dall’odio e dal desiderio di vendetta preparando la via che porta al perdono. In Italia il progetto Sicomoro, che ha ricevuto il patrocinio del Ministero della Giustizia, ha conseguito effetti positivi nel carcere di Opera a Milano, nelle carceri di Rieti, Modena e Tempio Pausania ed è tuttora in fase di programmazione per l’anno 2017.


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Licenziamenti disciplinari, c’è il reintegro se il fatto è privo del requisito dell’antigiuridicità La Cassazione, nel caso qui commentato, ha respinto il ricorso proposto dall’azienda, decretando che i fatti contestati, pur sussistenti, fossero di rilievo disciplinare sostanzialmente inapprezzabile

Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it

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a Cassazione - con sentenza n. 18418 - ha confermato un orientamento che va consolidandosi e che richiama le imprese ad un’attenta valutazione prima di ricorrere a provvedimenti di tipo espulsivo. La Corte Suprema ha enunciato infatti il seguente principio: «l’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente deve essere ricondotto alla ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cosiddetta reale. Nella specie la sentenza impugnata ha accertato la sostanziale non illiceità dei fatti addebitati e tale accertamento non ha formato oggetto di adeguata censura ad opera della ricorrente. Deve pertanto chiarirsi - conclude la Corte - che non può ritenersi relegato al campo del giudizio di proporzionalità qualunque fatto (accertato) teoricamente censurabile ma in concreto privo del requisito dell’antigiuridicità, non potendo ammettersi che per tale via possa essere sempre soggetto alla sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti di

rilievo disciplinare sostanzialmente inapprezzabile». Le contestazioni mosse nei confronti del lavoratore, poi licenziato, erano molteplici, vale a dire comportamenti litigiosi, maleducati e offensivi nei confronti di colleghi, con l’aggravante che il suo ruolo era addirittura legato alla formazione degli stessi. Inoltre egli aveva reiterato un atteggiamento conflittuale con l’ azienda, rifiutandosi di ridiscutere il superminimo individuale pur assegnatogli in via provvisoria. Per questi motivi, l’azienda gli aveva comminato il licenziamento per giusta causa, essendo venuta meno la fiducia alla base del rapporto di lavoro. In primo grado il giudice, rilevata una sproporzione tra i fatti contestati e il provvedimento espulsivo, aveva ritenuto di applicare tutela reintegratoria e risarcitoria prevista al quarto comma dell’art. 18. La sentenza era poi stata in parte riformata in Appello, con la detrazione di quanto il lavoratore per sua stessa ammissione aveva percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Tralasciando gli altri motivi alla base del ricorso per Cassazione da parte dell’impresa, ritenuti anch’essi infondati, è invece qui di interesse la motivazione di inammissibilità, con cui la Cass. replica

alla denuncia da parte della Azienda di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 della L. n. 300/70 nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n.92/12. L’azienda, infatti, sosteneva che nel caso specifico i fatti contestati si erano effettivamente verificati, così come confermato sia dalle documentazioni prodotte, sia dalle prove testimoniali e pertanto il giudice doveva applicare la sanzione indennitaria. Infatti, la L. 92/12 prevedeva la reintegra come eccezione e comunque in casi specifici, come la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. La Cassazione, respingendo il ricorso proposto dall’azienda, ha ritenuto però che i fatti contestati, pur sussistenti, non abbiano il carattere dell’antigiuridicità, condizione questa essenziale. Affinché al licenziamento venga applicata la sola tutela indennitaria. In buona sostanza, l’indagine del giudice è orientata non solo alla sussistenza del fatto nella sua materialità, ma anche sulla sua rilevanza disciplinare, sull’elemento psicologico, sulla prova del dolo e/o colpa da parte del dipendente. Se tutto ciò non viene dimostrato, secondo l’orientamento della Cassazione, può esserci la reintegrazione nel posto di lavoro.



LAVORO

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Videosorveglianza sui luoghi di lavoro: quali rischi per la nostra azienda? Prima di installare questo tipo di apparecchiatura è bene che il datore di lavoro si informi correttamente sull’uso e sulle autorizzazioni necessarie per non incorrere in sanzioni amministrative e penali

Piera Di Stefano Avvocato, Studio Legale D|&|D / T.R.ON ® - Tutela della Reputazione ONline www.disommadistefanolegali.it

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urti, violazioni, intrusioni. La nostra azienda è esposta a questi pericoli in modo pressoché costante e l’utilizzo di telecamere di videosorveglianza molto spesso risulta un efficace deterrente e strumento di tutela. Ma in quali casi e con quali modalità possiamo farvi ricorso? Chiariamo subito che, con esclusione degli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dal decreto attuativo del Jobs Act (d.lgs. 2015, n. 151) è assolutamente vietato utilizzare sistemi per controllare a distanza l’effettivo e corretto adempimento delle mansioni e/o dei macchinari o utensili di lavoro da parte dei dipendenti. L’uso delle videocamere è consentito soltanto per ragioni di protezione e sicurezza dei lavoratori, del patrimonio aziendale, dei clienti, di terzi, per esigenze organizzative/produttive, per acquisire prove (cosiddetti controlli difensivi). É necessario, altresì, che vi sia un accordo con le rappresentanze sin-

dacali o, in alternativa, l’autorizzazione della competente Direzione Territoriale del Lavoro (DTL). Sia l’accordo che l’autorizzazione in questione devono precedere l’istallazione dell’impianto giacchè è l’istallazione in sé ad essere vietata, a prescindere dal funzionamento o meno dello stesso. La giurisprudenza ha infatti statuito che l’accordo con le RSA o l’autorizzazione preventiva delle DTL è necessaria anche nel caso di impianto non messo in funzione o addirittura sconosciuto ai lavoratori. Qualora siano assenti le rappresentanze sindacali, l’istanza da inoltrare alla DTL su modulistica reperibile nei singoli uffici deve essere presentata in bollo e corredata da una planimetria che indichi la dislocazione delle telecamere e il loro campo di visuale, unitamente ai dettagli circa le caratteristiche tecniche dell’impianto. In caso di violazione della procedura di accordo sindacale o di autorizzazione della DTL competente si applica automaticamente la sanzione prevista


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Le immagini carpite illegittimamente sono inutilizzabili sia a fini disciplinari che difensivi, cioè ai fini dell’accertamento di comportamenti illeciti da parte di lavoratori, laddove le immagini acquisite legittimamente non possono essere conservate per un periodo che superi i 7 giorni, pena l’irrogazione di una sanzione amministrativa che va dai 30.000 ai 180.000 euro dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori per condotta antisindacale e il datore inadempiente rischia un’ammenda sino a 206 euro o l’arresto sino a tre mesi. É obbligatorio inoltre adempiere al cosiddetto. obbligo di informativa, vale a dire che ciascun dipendente deve essere informato con modalità adeguate, circa la tipologia di sistema adottato, ad esempio attraverso cartelli informativi. Questi ultimi devono essere affissi in prossimità del raggio di azione delle telecamere e devono indicare sia il nominativo del Titolare del Trattamento, sia la finalità per la quale esse sono state istallate. In mancanza, il datore di lavoro si espone ad una sanzione che va dai 6.000 ai 36.00 euro, come stabilito dall’art. 161 del Codice della Privacy. Va, invero, precisato che la gestione delle immagini proveniente da un impianto di videosorveglianza configura un’operazione di trattamento dei dati personali e ciò anche qualora le immagini siano utilizzate solo nel quadro di un circuito chiuso e non siano soggette a registrazione. Le immagini carpite illegittimamente sono inutilizzabili sia a fini disciplinari che difensivi, cioè ai fini dell’accertamento di comportamenti illeciti da parte di lavoratori, laddove le immagini acquisite legittimamente

non possono essere conservate per un periodo che superi i 7 giorni, pena l’irrogazione di una sanzione amministrativa che va dai 30.000 ai 180.000 euro. Ove vi sia una necessità particolare legata alla tipologia dell’azienda (si pensi al settore dell’esazione dei pedaggi autostradali) è consentito un tempo superiore, ma soltanto previa istanza di verifica preliminare inoltrata al Garante della Privacy. Se il datore di lavoro viola quanto statuito dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è soggetto a responsabilità penale ed è esposto all’irrogazione di un’ammenda dai 150 ai 1.500 euro o dell’arresto da 15 giorni ad un anno (art. 38 Statuto). Nelle ipotesi più gravi, le due pene si applicano congiuntamente ed è prevista la pubblicazione della sentenza. É tuttavia consentito il ravvedimento operoso, che consente al datore che paga di evitare le conseguenze penali della violazione dallo stesso commessa. Il controllo illecito se effettuato con dolo specifico e in presenza di un danno ai lavoratori integra altresì il reato di cui all’art. 167 Codice Privacy, che prevede la reclusione da 6 a 24 mesi (I comma) o da 1 a 3 anni (II comma), cui si aggiunge la sanzione amministrativa dell’art. 162, comma 2 bis, che va dai 10.000 ai 120.000 Euro. Facta lex, inventa

fraus, dicevano i latini. Fatta la legge, trovato l’inganno. E difatti risulta in costante crescita il ricorso alle cosiddette telecamere finte, nell’erronea convinzione che in tal modo si riesca a risparmiare danaro e ad evitare guai giudiziari. Attenzione! Come chiarito recentemente dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 4331 del 2013) anche in questo caso il datore di lavoro può essere sottoposto a procedimento penale giacchè quello previsto dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è un cosiddetto reato di pericolo, cioè il solo fatto di avere messo in pericolo la dignità e la riservatezza dei lavoratori integra reato, indipendentemente dall’effettiva lesione dei beni giuridici tutelati dalla norma. Da un punto di vista della disciplina della privacy, infine, il Garante ha affermato che l’istallazione di una finta telecamera, non in grado di riprendere immagini o suoni, sebbene non comporti un trattamento dati personali può determinare forme di condizionamento nei movimenti e nei comportamenti delle persone in luoghi pubblici e privati e pertanto può essere oggetto di contestazione. In conclusione, il rispetto delle procedure e dei principi posti a tutela dei lavoratori in materia di videosorveglianza sottrae la nostra azienda a problemi giudiziari dispendiosi e dall’esito compromettente.


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Omessa dichiarazione Iva con imposta a credito, cosa ha stabilito la Corte di Cassazione Se la dichiarazione è stata omessa, ma si dimostra che il relativo credito è derivato da acquisti inerenti l’attività d’impresa, il contribuente ha diritto a recuperarlo, specie se lo stesso risulta dalle liquidazioni periodiche regolarmente presentate di Maurizio Villani e Iolanda Pansardi Studio Tributario Villani

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a Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le sentenze dell’8.09.2016, n. 17757 e 17758 ha fornito alcuni principi di diritto da applicarsi nel caso di omesso invio della dichiarazione Iva da cui emerge un credito riportato poi nel modello dell’anno successivo. In merito al credito derivante da omessa dichiarazione (sent. n. 17757), la Corte ha statuito che il rapporto di natura tributaria con il fisco scaturisce da un’operazione lecita ed effettiva talché gli obblighi che ne derivano (dichiarazione, registrazione, eccetera) hanno solamente una funzione illustrativa dei relativi dati al fine di consentire all’A.d.E. di poter verificare agevolmente gli stessi e procedere alla riscossione delle imposte. Pertanto, ciò che conta ai fini della detraibilità, è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito. Per tale ragione si è assistito negli ultimi anni a un atteggiamento dell’Amministrazione volto a consentire al contribuente di dimostrare l’esistenza del credi-

to Iva (non dichiarato) attraverso altre prove e idonea documentazione (fatture, registri iva, e altre). Tale orientamento è stato avallato anche dai principi comunitari dai quali si evince che, ai fini della detraibilità, occorra la effettività degli acquisti da un soggetto passivo e la utilizzazione di detti beni per finalità proprie (operazioni imponibili). Altro è la violazione formale dell’omessa dichiarazione Iva che, però, non implica l’impossibilità di detrazione nel caso in cui vi siano altre prove a sostegno. Il giudice tributario dovrà pertanto riconoscere il credito Iva se il contribuente dimostra che sostanzialmente ha diritto alla detrazione: in tali casi l’A.d.E. potrà provvedere alla correzione del credito anche mediante controllo automatizzato. E allora, con sent. n. 17758/2016 le Sez. Unite hanno affermato il principio secondo cui in fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale

emissione di cartella di pagamento, ben potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli articoli 54-bis e 60 del d.P.R. 633/72. Nell’affrontare la questione e le problematiche che ne derivano, il percorso della giurisprudenza e anche della prassi è andato, pertanto, nella direzione di dare rilevanza alla sostanza (l’esistenza del credito), piuttosto che alla forma (mancato invio del modello annuale Iva). In ogni caso, val la pena evidenziare il quadro giurisprudenziale di riferimento finora favorevole al contribuente che si veda destinatario di una cartella di pagamento. Orbene, secondo recente giurisprudenza per disconoscere il medesimo credito nell’anno successivo è necessario un avviso


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Se l’Ufficio si avvale di una procedura errata, perchè non applicabile al caso di specie, la cartella deve essere considerata nulla in quanto illegittimamente emessa, senza bisogno di entrare nel merito della spettanza, o meno, del credito tributario utilizzato e contestato

di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, non essendo sufficiente l’avviso bonario successivo a un controllo automatizzato così come stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione del 3.04.2012 la n. 5318, la quale ha affermato che la procedura automatizzata di cui all’art. 36 - bis del DPR 600/1973 e 54 - bis del DPR 633/72 può essere adottata solo ove sia necessario un controllo meramente cartolare della dichiarazione. Ove invece «…sorga la necessità di risolvere questioni giuridiche o esaminare atti diversi dalla dichiarazione stessa, è necessario procedere mediante avviso di accertamento…se la liquidazione automatica viene utilizzata in casi non previsti dalla legge, la cartella di pagamento, solo per questo motivo, è nulla…». (Cass. n. 17754 del 16.10.2012 e n. 4539 del 22.02.2013). E invero, la questione della procedura utilizzata dall’Agenzia per accertare la presunta mancata spettanza del credito d’imposta è di assoluta importanza e propedeutica rispetto alla prospettazione di qualsiasi

questione di merito. Se l’Ufficio si avvale di una procedura errata, in quanto non applicabile al caso di specie, la cartella deve essere considerata nulla in quanto illegittimamente emessa, senza bisogno di entrare nel merito della spettanza, o meno, del credito tributario utilizzato e contestato. Tutto ciò detto in relazione al controllo automatizzato; in relazione invece al riconoscimento del credito, l’A.d.E., nel corso degli anni, ha mutato opinione in più di un’occasione (si vedano Risoluzione n. 74/E/2007 e Circ. n. 34/E/2012 e n. 21/E/2013), mentre la Cassazione ha mantenuto un’impostazione abbastanza costante e favorevole al contribuente “sbadato”. La Cassazione, con la sent. n. 11671 del 15/5/2013, ha affrontato per “l’ennesima” volta la problematica concernente il mancato riconoscimento di un credito Iva maturato in un anno in cui è stata omessa la presentazione della dichiarazione annuale, ripercorrendo alcune delle pronunce più significative e, soprattutto, le disposizioni nazionali e di rango

comunitario. Nella citata sentenza, accogliendo le doglianze della società ricorrente, la Cassazione ha esordito affermando il concetto sopra espresso, secondo cui «la mancata esposizione del credito Iva nella dichiarazione annuale non comporta la decadenza dal diritto di far valere tale credito purché lo stesso emerga dalle scritture contabili». In conclusione, se la dichiarazione è stata omessa, ma si dimostra che il relativo credito è derivato da acquisti inerenti l’attività d’impresa, il contribuente ha diritto a recuperarla, specie se lo stesso risulta dalle liquidazioni periodiche regolarmente presentate. La legittima azione dell’Amministrazione in questo senso non preclude, secondo quanto specificato dai giudici, la possibilità del contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa, documentando in giudizio l’avvenuta presentazione della dichiarazione risultante omessa all’anagrafe tributaria, ovvero dimostrando la sussistenza degli acquisti e dei requisiti da cui il credito non dichiarato emerge.


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FI SCO

Start-up innovative, arrivano nuove agevolazioni con la Legge di Bilancio Atto costitutivo a costo zero ed esonero tasse tra i benefici, oltre a una maggiore flessibilità del processo di sostentamento finanziario

Alessandro Sacrestano Management Consultant Sagit&Associati srl asacrestano@studiosagit.it

S

tart-up innovative più convenienti, per chi le costituisce e per chi vi investe. Dalla Legge di Bilancio il modello delle start-up esce rinvigorito da una serie di puntuali interventi che, nel loro complesso, tendono a renderne ancora più flessibile le dinamiche di costituzione e, soprattutto, il processo di sostentamento finanziario. Sotto il primo profilo, il ddl introduce l’esenzione dall’imposta di bollo e dal pagamento dei diritti di segreteria per l’iscrizione al Registro Imprese - nell’apposita sezione Speciale dedicata - dell’atto costitutivo delle società in argomento. La misura si aggiunge a quelle già in essere, che dispensano le start-up dal diritto annuale e da tutti gli altri diritti di segreteria e bolli per gli atti iscritti al Registro Imprese. Sempre sotto il profilo dello snellimento burocratico, l’atto costitutivo delle start-up potrà essere sottoscritto, oltre che con la firma digitale del legale rappresentante, anche con la firma elettronica avanzata autenticata di quest’ultimo. Si tratta, in sostanza, dell’attestazione, da

parte di un pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità dell’eventuale certificato elettronico utilizzato. La disposizione si inserisce nel già ampio novero di quelle che, allo stato, consentono la costituzione delle start-up senza passare dal notaio, adottando il modello standard tipizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico e riassunte nel DM dello scorso 17 febbraio 2016. Passando, invece, alle agevolazioni per chi investe nella costituzione delle start-up, sono previste sostanziali migliorie al modello in corso. Al momento, infatti, i soggetti IRPEF godono di una detrazione di imposta pari al 19% della somma investita, elevabile al 25% in presenza di start-up a vocazione sociale o che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico. L’investimento massimo agevolabile è di 500.000 euro, da mantenersi per almeno due anni. Di contro, ai soggetti IRES spetta una deduzione del reddito imponibile pari al


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Con le novità introdotte, è stato innalzato l’investimento massimo agevolabile per i soggetti IRPEF, fino ad 1 milione di euro. Resta invariato quello per i soggetti IRES

20% delle somme investite, elevabile al 27% nei casi di cui sopra. Il limite massimo dell’investimento è, però, fissato ad 1,8 milioni di euro. Ebbene, con le novità introdotte, è stato innalzato l’investimento massimo agevolabile per i soggetti IRPEF, fino ad 1 milione di euro. Resta invariato quello per i soggetti IRES. Per entrambi, però, sale a tre anni il vincolo minimo di destinazione dei capitali. Tuttavia, questi godranno, in entrambi i casi, rispettivamente di una detrazione e di una deduzione più elevata, fissata al 30%. Quest’ultima sarà applicabile anche alle start-up a vocazione sociale. Di ampio respiro, infine, la previsione secondo cui, per l’erogazione dei finanziamenti agevolati per gli interventi per le start-up innovative, la dotazione del Fondo per la crescita sostenibile è incrementata della somma di 47,5 milioni di euro sia per l’anno 2017 che per l’anno 2018. Consentita, inoltre, la cessione delle perdite prodotte dalla start-up nei primi tre esercizi di attività a favore di società quotate che ne detengano una partecipazione pari almeno al 20 per cento. L’INAIL, infine, potrà sottoscrivere quote di fondi comuni d’investimento chiusi, dedicati appositamente all’attivazione di start-up innovative. Si ricorda che possono qualificarsi come start up innovative le società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, residenti in Italia, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamen-

tato o su un sistema multilaterale di 15% del maggiore valore fra costo negoziazione. Tuttavia, a seguito della e valore totale della produziomodifica introdotta dall’art. 4, comma ne. Dal computo per le spese in 11, lettera b), del decreto-legge 24 ricerca e sviluppo sono escluse le gennaio 2015, n. 3, possono considespese per l’acquisto e la locazione rarsi tali anche le imprese residenti in di beni immobili; uno degli Stati membri dell’Unione 2. impiego, in percentuale pari o sueuropea o in Stati aderenti all’Accorperiore al terzo della forza lavoro do sullo spazio economico europeo, complessiva, di personale (dipenpurché abbia una sede produttiva denti o collaboratori a qualsiasi o una filiale in Italia. La società titolo) in possesso di titolo di dotdeve, inoltre, rispondere a una serie torato di ricerca o che sta svolgendi condizioni, tra cui la compagine do un dottorato di ricerca presso societaria, il valore della produzione, un’università italiana o straniera, l’oggetto sociale. oppure in possesso di laurea e Nel dettaglio, si tenga conto dei seche abbia svolto, da almeno tre guenti requisiti: anni, attività di ricerca certificata • costituzione e svolgimento attività presso istituti di ricerca pubblida non più di 60 mesi; ci o privati, in Italia o all’estero, • il valore della produzione annua, ovvero, in percentuale uguale o così come risultante dall’ultimo superiore a due terzi della forza bilancio approvato entro sei mesi lavoro complessiva, di personale dalla chiusura dell’esercizio, non in possesso di laurea magistrale ai deve essere superiore a 5 milioni sensi dell’art. 3 del regolamento di euro, a partire dal secondo di cui al decreto Miur 22 ottobre anno di attività; 2004, n. 270; • non deve distribuire e non deve 3. titolare o depositaria o licenziataaver distribuito utili; ria di almeno una privativa indu• deve avere quale oggetto sociale striale relativa a una invenzione esclusivo o prevalente: sviluppo, industriale, biotecnologica, a una produzione e commercializzaziotopografia di prodotto a semine di prodotti o servizi innovativi conduttori o a una nuova varietà ad “alto valore tecnologico”; vegetale, oppure titolare dei diritti • non deve derivare da un’operarelativi ad un programma per zione straordinaria, oppure da elaboratore originario registrato cessione d’azienda o di ramo di presso il Registro pubblico speciaazienda; le per i programmi per elaborato• ulteriore condizione (una tra le re, purché direttamente afferenti seguenti): all’oggetto sociale e all’attività di 1. spese R&S uguali o superiori al impresa.


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FI SCO

Le società neo acquisite entrano nel consolidato fiscale Con questo meccanismo, l’Agenzia delle Entrate ha creato uno spartiacque fiscale tra prima e dopo l’acquisizione, assimilando di fatto la posizione della neo acquisita a quella della neo costituita

Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it

L’

Agenzia delle Entrate (AGE) con la circolare n. 40/E del 29 settembre 2016 (nel corso dell’articolo definita la “Circolare”) ha fornito significativi chiarimenti a molti dubbi interpretativi sulle modalità di applicazione del regime di consolidato fiscale nazionale. L’esigenza di questo importante provvedimento è nata sia dalle indicazioni della Corte di Giustizia Europea in materia di libertà di stabilimento, sia dalle disposizioni del D.Lgs. 147/2015 (c.d. “Decreto internazionalizzazione”), sia, ancora, da pressanti richieste da parte degli operatori, con riferimento a casi notoriamente controversi. La Circolare ha fatto in sostanza un utile “punto nave” su diverse delicate tematiche (quali, ad esempio: il consolidato tra consorelle controllate dall’estero, le partecipazioni date in pegno o sequestrate e così via), e in linea generale, si presenta, sorprendentemente, favorevole alle imprese.

L’interpretazione più innovativa data dall’AGE e su cui ci soffermeremo - riguarda senz’altro la possibilità di far aderire, sin da subito, al regime del consolidato anche le società neo acquisite. Ma inquadriamo meglio la fattispecie. Come è noto, una partecipazione si considera rilevante ai fini del consolidamento fiscale, quando, congiuntamente, si dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria e viene superata la soglia del 50 per cento nella partecipazione all’utile di bilancio (articolo 120, comma 1 TUIR). Ai sensi dell’art. 120, comma 2 TUIR, il requisito del controllo (articolo 117 comma 1 TUIR) deve esistere sin dall’inizio dell’esercizio relativamente al quale la controllante e la controllata si avvalgono del regime in questione. E per la verifica del suddetto requisito, bisogna guardare sia all’inizio dell’esercizio della consolidante, sia


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L’ultima condizione che l’Agenzia delle Entrate ha posto è che l’acquisizione avvenga entro il termine utile per esercitare l’opzione di adesione al consolidato fiscale

all’inizio dell’esercizio della consolidata, che devono coincidere. Tuttavia, la decorrenza del controllo dalla medesima data è, per legge, derogata, in caso di società neo costituite, che quindi possono aderire al regime della tassazione di gruppo - sebbene solo in qualità di consolidate - anche a partire dall’esercizio in cui è avvenuta la loro costituzione, purché questa intervenga entro il termine per esercitare l’opzione, ovvero entro il 30 settembre. Con un notevole sforzo interpretativo - occorre dirlo - l’AGE con la Circolare ha affermato che la suddetta opzione per il “consolidamento immediato” può essere estesa anche ai casi di società acquisite dalla consolidante nel corso dell’esercizio. Quindi, sebbene nel ruolo di consolidate e non in quello di consolidanti, anche le neo acquisite possono entrare sin da subito nella fiscal unit. Ovviamente, vengono poste delle condizioni ben precise per beneficiare di tale favorevole possibilità, onde scongiurare eventuali usi distorti dell’agevolazione concessa. Per poter aderire immediatamente al regime di tassazione di gruppo, le società neo acquisite

devono assumere una apposita delibera assembleare in sede straordinaria, che: (i) anticipi la data di chiusura del loro esercizio in corso al momento dell’acquisizione, facendola coincidere con la data della acquisizione da parte della controllante; (ii) e stabilisca la data di chiusura del loro primo esercizio successivo all’acquisizione, nello stesso giorno in cui si chiude l’esercizio della controllante. Così operando infatti, si determinano due distinti periodi d’imposta (ante e post acquisizione), cui corrispondono altrettanto distinte dichiarazioni dei redditi: la prima riferibile al rapporto preesistente, la seconda rientrante nella fiscal unit. In buona sostanza, con questo meccanismo, l’AGE ha creato uno spartiacque fiscale tra prima e dopo l’acquisizione, assimilando di fatto la posizione della neo acquisita a quella della neo costituita. L’ultima condizione che l’AGE ha posto è che l’acquisizione avvenga entro il termine utile per esercitare l’opzione di adesione al consolidato fiscale. Ovviamente, anche questa operazione rientra tra quelle che possono configurare ipotesi di

abuso del diritto ai sensi dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente e anzi, la Circolare fa anche l’esempio paradigmatico di una manovra ritenuta elusiva, che si realizzerebbe qualora, nel primo periodo d’imposta in cui la neo acquisita entra nella fiscal unit, fossero realizzati redditi molto elevati, riconducibili a fatti precedenti la data di acquisizione e questi redditi venissero compensati con risultati negativi a livello di gruppo (commercio di perdite fiscali). Da ultimo, la Circolare non chiarisce quale debba essere la data entro la quale deve essere deliberata la chiusura anticipata dell’esercizio della neo acquisita, ma fa solo riferimento alla contestualità tra operazione di acquisto della partecipazione e chiusura anticipata dell’esercizio. Ciò lascia pensare che la delibera di anticipazione della scadenza debba essere tenuta il giorno del trasferimento della partecipazione, ma sarebbe utile un chiarimento ufficiale. Una buona apertura contenuta in una buona circolare, che certamente aiuta le imprese nei loro processi di lecita ottimizzazione fiscale. Speriamo non rimanga un caso isolato.


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R I CE RCA

Schiume polimeriche magneto-sensibili, una nuova classe di materiali con applicazioni sorprendenti Il Progetto EPOCAM, condotto presso il DIIn dell’Università degli Studi di Salerno in collaborazione con il CNR di Portici e l’Università del Sannio, risponde pienamente alla necessità per la nostra industria italiana di essere al passo con i tempi dell’evoluzione tecnologica

Roberto Pantani Professore Associato di Principi di Ingegneria Chimica Dipartimento Ingegneria Industriale Università degli Studi di Salerno rpantani@unisa.it

L’

unità di ricerca del Polymer Technology Group (www.polymertechnology.it) da me coordinata presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIn) dell’Ateneo di Salerno, insieme con il CNR di Portici (Unità guidata dall’ingegner Luigi Sorrentino) e l’Università del Sannio (Unità guidata dal professor Daniele Davino), sta portando avanti un progetto di ricerca PRIN (Progetti di Ricerca di Rilevante Importanza Nazionale) denominato EPOCAM, ovvero Sviluppo di Espansi POlimerici “smart” dal comportamento modulabile mediante CAmpo Magnetico. Il progetto propone lo sviluppo di una nuova classe di materiali compositi schiumati, i Materiali Attivi Porosi (MAP), leggeri e multifunzionali, le cui proprietà sono controllabili mediante l’applicazione di un opportuno campo magnetico. I MAP sono costituiti da particelle magnetiche, micro- o nano-metriche, distribuite in maniera controllata in una matrice polimerica durante la sua espansione. In fase di formazione della schiuma, la

presenza di un opportuno campo magnetico induce una disposizione spaziale delle particelle che può dar luogo a un rinforzo strutturale anisotropo. Ad esempio, un campo uniforme impone una aggregazione "fibrosa" delle particelle nella direzione delle linee di campo. Questo vuol dire che, in quella direzione, il modulo elastico del materiale sarà maggiore di quello nelle direzioni trasversali. Il comportamento strutturale conseguente è pertanto quello di un materiale “rinforzato” nella direzione di allineamento. Ma i MAP sono molto di più di semplici materiali rinforzati. La presenza di particelle magnetiche li rende sensibili all’applicazione di un campo magnetico esterno. Questo vuol dire che la loro risposta elastica (il loro modulo) può essere modulata per effetto dell’applicazione di un campo magnetico. In questo modo tali materiali possono essere resi deformabili o rigidi secondo necessità. Inoltre, controllando la loro struttura porosa, e in particolare aumentando la percentuale di vuoti all’interno di tali materiali, si


53 possono ottenere MAP facilmente deformabili. Infatti, quando sottoposti a un determinato stimolo elettromagnetico, le particelle in essi contenute, seguendo le linee di campo, assumono una particolare disposizione spaziale che induce sui MAP una deformazione mirata. Questo vuol dire avere materiali la cui forma può essere controllata dall’esterno. Infine, poiché le loro caratteristiche elettriche cambiano a seconda della deformazione che essi subiscono, possono essere usati come trasduttori di deformazione, fornendo una misura della variazione di geometria. Questa proprietà, associata a quanto precedentemente descritto, consente di modificarne la risposta elastica in funzione della deformazione. I MAP presentano alcune proprietà peculiari: - possono essere molto leggeri (in base alla porosità indotta durante la preparazione delle schiume); - consentono una elevata produttività, perché il processo di produzione è facilmente trasferibile all’industria (presso il DIIn vengono ottenuti per stampaggio ad iniezione, in presenza di elettromagneti progettati e controllati con procedure ad-hoc);

L’immagine al microscopio mostra una sezione di MAP ottenuti per stampaggio ad iniezione di un elastomero termoplastico caricato con particelle magnetosensibili. Lo spessore del manufatto è pari a 5mm.

In figura è mostrato l’elettromagnete (gli avvolgimenti sono in colore rosa) montato sullo stampo in alluminio appositamente progettato per ottenere i MAP

- possono essere formati a partire da polimeri dal basso impatto ambientale (biodegradabili, dal ridotto impiego di materie prime o ottenuti da processi dal ciclo produttivo a scarto nullo o ridotto); - possono essere sviluppati in modo da presentare gradienti delle proprietà magneto-meccaniche. I MAP rispondono all’esigenza di materiali controllabili tramite stimoli esterni, leggeri e attivi, che attualmente non sono disponibili né in laboratorio, né in ambito industriale. Le potenzialità applicative sono vastissime, anche grazie al ridotto costo di implementazione delle attrezzature necessarie (sono possibili rapidi adattamenti di impianti preesistenti). La possibilità di conferire un’orientazione della microstruttura di rinforzo lungo direzioni preferenziali, attualmente possibile soltanto mediante procedure lunghe e costose, unita alla distribuzione secondo gradienti controllati, rappresenta un salto tecnologico per il mondo dei materiali a bassa densità che può aprire scenari estremamente interessanti per la semplicità di applicazione della tecnologia, favorendo l’ingegnerizzazione dei sistemi cellulari sviluppati e la loro implementazione in programmi di ricerca applicata. I sistemi la cui rigidità può essere controllata in modo continuo possono trovare applicazione in diversi settori industriali quali l’industria

automobilistica o aerospaziale per quanto riguarda il comfort, la protezione del passeggero o per lo smorzamento attivo di sollecitazioni dinamiche, acustiche e vibrazionali. La possibilità di controllo delle dimensioni potrebbe trovare applicazione nella micro-manipolazione o nella filtrazione di fluidi (pompe peristaltiche o strutture a morfologia cellulare variabile). Inoltre i modelli e i metodi sviluppati saranno in grado di fornire correlazioni e stime predittive della risposta magnetomeccanica dei MAP, consentendone l’impiego come trasduttori funzionali tramite campo magnetico (ad es. come sensori di deformazione). Non va infine sottovalutata la possibilità di ottenere oggetti in materiale ecosostenibile applicando tale tecnologia a materiali biodegradabili, generalmente dotati di proprietà meccaniche non elevate. Il progetto EPOCAM si cala quindi pienamente nell’ottica della necessità per l’industria italiana di rispondere con una continua e veloce evoluzione tecnologica alle richieste di mercato, in completa armonia con le direttrici di sviluppo fissate in sede di programmazione comunitaria, nazionale e regionale. Considerata la presenza trainante nel comparto della plastica campano di aziende operanti nei settori aerospazio, nautica e trasporti, i MAP potrebbero rappresentare un asso nella manica dell’industria del nostro territorio.


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R I CE RCA

Intelligenza Artificiale e Big Data rivoluzioneranno il modo di curarci La salute dell’umanità passa inevitabilmente dallo sviluppo di macchine intelligenti Lino Mari Senior Technical Architect at Healthware International www.healthwareinternational.com www.linomari.com

C

on l’evoluzione della capacità delle macchine e delle interazioni immagazziniamo ogni anno sempre più dati. La quantità di dati in formato digitale è in crescita ad una velocità strabiliante, raddoppiando ogni due anni. Questo mondo, o universo di dati, è talmente grande che avremmo bisogno di sistemi di Intelligenza Artificiale per dare un senso, un contesto e un valore. Cosa è possibile fare in ambito salute? Con l’utilizzo in medicina dell’Intelligenza Artificiale si potrebbero creare trattamenti e cure migliori e fornire al medico indicazioni e informazioni per poter eseguire una diagnosi quanto più precisa possibile e di conseguenza scegliere la terapia migliore. Non stiamo parlando di un futuro lontano, ma praticamente del presente, perchè sono già in molti a sperimentare con successo l’utilizzo delle machine learning in medicina con ottimi risultati. Nel breve periodo questi sistemi dovrebbero essere facilmente accessibili. Di seguito alcune delle possibili applicazioni in medicina. Gestione delle cartelle cliniche

La raccolta e la gestione dei dati clinici dei pazienti è sicuramente uno dei principali impieghi dell’Intelligenza Artificiale. Il sistema potrebbe estrarre i dati di milioni di cartelle cliniche e individuare i migliori percorsi terapeutici, oltre che immagazzinare i dati in un formato digitale facilmente utilizzabile dalle macchine per altri scopi. Percorsi terapeutici in oncologia IBM ha lanciato un progetto sperimentale in grado di analizzare il miglior trattamento in base alla diagnosi. Si chiama Watson for Oncology ed è già in grado di analizzare il significato e il contesto di dati strutturati e non strutturati. Combinando i dati con i dati clinici del paziente individua i potenziali percorsi terapeutici migliori e li propone al medico. Medicina di precisione L’Intelligenza Artificiale avrà un enorme impatto sulla genetica e sulla genomica. La genomica è fatta di una enorme mole di dati genetici in relazione ai dati clinici del singolo individuo. Questi sistemi saranno in grado di effettuare simulazioni precise su cosa accadrà in base alla mutazione

di una singola variazione nel DNA. Si potranno spingere fino alla creazione di cure genetiche adatte al singolo individuo. Già oggi alcune aziende utilizzano queste tecniche per individuare malattie oncologiche o vascolari in una fase molto precoce. Sviluppo di nuovi farmaci Un nuovo prodotto farmaceutico per entrare nel mercato necessita di molti anni di ricerca e di studi clinici e ha un costo enorme. L’intelligenza Artificiale potrebbe accelerare enormemente i tempi basandosi su simulazioni con accesso a Big Data. Di recente un’azienda ha lanciato una ricerca per lo sviluppo di un farmaco contro il virus Ebola e il sistema ha individuato due possibili farmaci. La differenza? Gli strumenti classici avrebbero impiegato non meno di qualche anno mentre il sistema ha impiegato un solo giorno di calcoli e simulazioni. Con questo risparmio di tempo avremmo colto due obiettivi molto importanti, ovvero il costo finale del prodotto accessibile a tutti e soprattutto avremmo ridotto in modo considerevole il numero di vite spezzate in attesa del farmaco o vaccino.


SI CU R E Z Z A

55 Settore ricerca, certificazione e verifica osservatorio della sicurezza a cura della Direzione Centrale Programmazione, Organizzazione e Controllo

Dal Dispositivo Medico al Dispositivo di Protezione Individuale In termini di sicurezza e qualità un prodotto capace di offrire una duplice funzione deve rispettare i requisiti essenziali di più direttive

di Francesco Campanella e Laura Moretti INAIL, Dipartimento di Medicina Epidemiologia, Igiene del Lavoro e Ambientale, Sezione di Supporto Tecnico al SSN in materia di Radiazioni

N

on è rara la presenza sul mercato di prodotti che svolgano contemporaneamente una duplice funzione: > tutelare la persona che li indossa dai rischi per la salute e sicurezza: in questo caso vengono definiti come Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), e come tali sono sottoposti a quanto previsto dalla direttiva 89/686/CEE attuata in Italia con il D.lgs. 475/92, modificata dal Regolamento (UE) 2016/425, che entrerà totalmente in vigore dal 21 Aprile 2018, (gli artt. 20-36 e art.44 sono applicati dal 21 ottobre 2016); > essere impiegati sull’uomo ai fini di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia: in questo secondo caso sono qualificati come Dispositivi Medici (DM) e quindi sottoposti alla Dir. 93/42/CE attuata dal D.lgs. 46/97 e successive modifiche e integrazioni. La Dir 93/42/CE all’art 1 c.6 nella sua veste originale, quindi prima delle modifiche apportate dalla direttiva 2007/47CEE, stabiliva che la stessa non era applicabile

ai DPI e che la destinazione d’uso principale ne determinava l’appartenenza o meno ad una sola categoria tra DM e DPI. Tale situazione ha rappresentato per anni un problema applicativo non banale per tutti quei prodotti che potevano essere utilizzati sia come dispositivi medici, sia come dispostivi di protezione individuale. Pertanto in sede di modifica della Dir. 93/42/CEE si è provveduto a riesaminare la disciplina. In particolare l’art. 1 c 6 della direttiva 93/42, (come modificato dalla direttiva 2007/47 recepita in Italia con il D.lgs. 31/2010), stabilisce ora che, se un prodotto è destinato dal produttore a essere utilizzato sia in conformità delle disposizioni in materia di dispositivi di protezione individuale 89/686/ CEE, sia di quelle della presente direttiva, sono rispettati anche i requisiti essenziali in materia di sanità e sicurezza stabiliti dalla direttiva 89/686/CEE. Alla luce del nuovo approccio normativo, risulta chiaro che un prodotto può svolgere la duplice funzione di

DM e DPI, ma per soddisfare ciò dovrà tener conto dei pertinenti “requisiti essenziali di sicurezza” di entrambe le direttive. Quanto testé enunciato si traduce nel fatto che il fabbricante che intende mettere in commercio un dispositivo medico che abbia la duplice funzione, potrà sì farlo, ma dovrà nel contempo -di volta in volta- a secondo dell’uso di protezione al quale il DM è destinato, valutare quali sono i requisiti di salute e sicurezza previsti dalla direttiva 89/686/ CEE da rispettare. Un esempio può essere fornito dalle maschere utilizzate dai chirurghi in sala operatoria a scopo sanitario, che possono facilmente essere concepite anche come protezione delle vie respiratorie da agenti infettivi per l’operatore che li indossa. In questo caso dovrà essere rispettato come requisito essenziale di sicurezza quanto previsto dall’Allegato II della direttiva 89/686/ CC requisito 3.10. In sostanza un DPI non può essere immesso sul mercato se non rispetta i requisiti essenziali


SI CU R E Z Z A

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L’etichetta e le istruzioni d’uso che accompagnano i prodotti con duplice destinazione d’uso riporteranno un solo marchio CE, corredato dall’indicazione delle direttive applicate, ciascuna preceduta dal numero identificativo dell’organismo notificato intervenuto nel procedimento di valutazione della conformità TABELLA di sicurezza. In caso di simultanea applicazione di una o più direttive, il prodotto se non stabilito diversamente, deve essere sottoposto a procedure di valutazione di conformità relative a tutte le direttive che si intende applicare. Pertanto per un DM che voglia diventare DPI, non sarà sufficiente applicare solo le procedure di valutazione previste dalla dir 93/42 , ma occorrerà applicare anche quelle previste dalla direttiva 89/686/ CEE, al fine di verificare il rispetto dei pertinenti requisiti di sicurezza. La conformità a tali requisiti si esplica nella certificazione di conformità del prodotto e il rilascio del certificato da parte di un Organismo di notifica accreditato dal Ministero. Si aprono a questo punto due considerazioni: la prima, che per i DPI le procedure di certificazione variano a seconda della categoria di appartenenza dei DPI (in tabella), e il problema si potrà porre in questo caso per i DM di classe I (per i quali non è previsto l’intervento di un organismo notificato), che devono rispettare i requisiti di sicurezza della direttiva 89/686/ CEE che richiedono invece l’intervento di un organismo notificato. La seconda, che la Commissione europea in una nota esplicativa

CATEGORIA

DPI

CERTIFICAZIONE

1

DPI di progettazione semplice destinati a salvaguardare da rischi di lieve entità

Dichiarazione conformità da parte del Costruttore

2

DPI che non rientrano nelle altre due cat.

Conformità CE e attestato certificazione rilasciato dall’organismo

3

DPI di progettazione complessa destinati a salvaguardare da rischi di morte e lesioni gravi e di carattere permanente

Certificati come DPI di 2 cat.+ sistemi di controllo della produzione da organo competente

riportata nel documento “Interpretative document on the interpretation of the relation between the recise Directive 93/42/EEC concerning medical devices and Directive 89/686/EEC on personal protective equipment”, sottolinea che è da prevedere comunque un’unica marcatura CE con l’eventuale indicazione di uno o due organismi notificati, eventualmente intervenuti nel processo di certificazione per le direttive di riferimento. Quindi, a seconda dei casi, potrà verificarsi che vi sia solo la marcatura CE (ove non vi sia nessun coinvolgimento di un organismo notificato), oppure l’indicazione di uno o due organismi coinvolti (magari uno per DM

e l’altro per DPI). L’etichetta e le istruzioni d’uso che accompagnano i prodotti con duplice destinazione d’uso riporteranno conseguentemente un solo marchio CE, corredato dall’indicazione delle direttive applicate, ciascuna preceduta dal numero identificativo dell’organismo notificato intervenuto nel procedimento di valutazione della conformità. La prospettiva è quindi quella di un mercato capace di offrire prodotti che siano rispettosi dei requisiti essenziali di sicurezza di più direttive, così facilitando - relativamente al loro utilizzo da parte di operatori o pazienti - il perseguimento di logici obiettivi in termini di sicurezza e qualità.


S A LU TE

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Inverno a fior di pelle Occhio all’idratazione di cute, mani e capelli nei mesi freddi per preservarne compattezza e vitalità

Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it / www.istitutodermoclinico.com

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ei mesi invernali la nostra pelle appare più spenta, opaca e grigia; la colpa è del freddo ma anche e soprattutto dello smog. La prima regola per difenderla è detergerla in modo corretto mattina e sera utilizzando acqua tiepida insieme a un prodotto non aggressivo e poco schiumogeno. Dopo la detersione occorre sempre utilizzare una crema su viso, collo, décolleté, ma anche sulle mani e su tutto il corpo dopo la doccia. I prodotti ricchi di fosfolipidi, glucosamina, fospidin, vitamina C ed E sono i più indicati per migliorare la compattezza e la vitalità delle cellule. L’inquinamento Ormai tutti sappiamo che l’inquinamento accelera il processo di ossidazione delle cellule provocando l’aumento dei radicali liberi, così come i raggi Uv, che filtrano anche in inverno, indeboliscono e alterano il film idrolipidico cutaneo. Chi vive in città molto inquinate dovrebbe optare per creme a base di antiossidanti come vitamine, acido lipoico e Q10, oltre a antinfiammatori naturali come tè verde e polifenoli, senza dimenticare di applicare sempre una crema con filtri Uv, specie se si va in montagna e anche se non c’è il sole. Importanti anche gli oligoelementi, specie il manganese e il silicio, che rinforzano le difese cutanee e l’olio di borragine che dà elasticità alla membrana cellulare e ripristina l’equilibrio idrico della pelle. Per un effetto detox, la sera è consigliabile scegliere creme a base di retinolo e fare un paio di scrub delicati alla settimana che migliorano la microcircolazione rendendo la pelle del viso subito più luminosa e compatta. Maschere di vapore Fare il classico suffumigio con acqua bollente fa bene anche alla pelle oltre che alle vie respiratorie. Utilizzate la

camomilla per la pelle secca e le foglie di menta e scorza di limone per quella grassa, che trova sollievo anche con le maschere all’argilla. Sbalzi di temperatura Se in casa fa troppo caldo e fuori fa troppo freddo la prima a risentirne è la pelle. Per questo occorre utilizzare creme nutrienti e ricche come quelle alla vitamina D che isolano dal gelo e ricche di sostanze lenitive e anti-infiammatorie come avena e frutti rossi che prevengono i rossori. Per la disidratazione causata da troppo riscaldamento, sono da preferire quelle a base di acido ialuronico e collagene. Mani protette Nei mesi freddi anche le mani subiscono le intemperie e sono molto vulnerabili. Come primo accorgimento è bene asciugarle sempre molto bene per evitare fastidiose screpolature. Poi vanno protette con guanti di lana che siano leggeri e traspiranti, ma anche con una crema a base di ingredienti nutrienti da applicare almeno un paio di volte al giorno. Capelli più vulnerabili Probabilmente è l’ultima cosa che vi viene in mente ma nelle giornate più fredde e inquinate anche i capelli ne risentono, perdendo forza e lucentezza. Le particelle inquinanti si infiltrano tra le tegole di cheratina, rendendo la fibra capillare debole e opaca, mentre le polveri sottili si depositano sul cuoio capelluto provocando prurito e forfora. La soluzione è lavarsi i capelli più spesso, se non tutti i giorni a giorni alterni, per eliminare il sebo che ha un’azione irritante che peggiora la situazione a causa dello smog che c’è nell’aria.


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S A LU TE

Diabete e prediabete: non solo una questione semantica Sia nei Paesi industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo, questa malattia desta allarme a causa della sua continua e inesorabile crescita Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

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l diabete mellito rappresenta una delle sfide più difficili per tutti i sistemi sanitari, sia nei Paesi industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo, a causa della sua continua e inesorabile crescita. Il numero di persone che ne sono affette nel mondo sembrerebbe cresciuto dai 171 milioni del 2000 ai 415 milioni del 2015 e potrebbe raggiungere i 642 milioni nel 2040. I dati italiani sono altrettanto preoccupanti se è vero che ci sono 3.6 milioni di persone con diabete, di cui oltre il 90% affette da diabete di tipo 2, pari al 6.2% della popolazione. Non va, sottovalutato il fatto che per ogni tre persone con diabete noto, ce ne è una con diabete non diagnosticato, e che per ogni persona con diabete noto, vi è almeno una persona ad alto rischio di svilupparlo perché affetta da ridotta tolleranza al glucosio (IGT) o alterata glicemia a digiuno (IFG). Una glicemia a digiuno tra 100 e 125 mg/dl è indicativa di alterata glicemia a digiuno o impaired fasting glucose(IFG), mentre una glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio di 140-199 mg/ dl identifica la ridotta tolleranza

al glucosio o impaired glucose tolerance, (IGT). In Italia oggi vi sono almeno 3.6 milioni di persone ad alto rischio di diabete; inoltre secondo il rapporto Diabetes Atlas dell’International Diabetes Federation (IDF), il diabete causa 73 morti al giorno nel nostro Paese e quasi 750 in Europa. Diversi comitati di esperti internazionali considerano i valori di HbA1c ≥42 e <48 mmol/mol (6,0- 6,49%) come non diagnostici di diabete, ma meritevoli di attenzione in quanto associati a un elevato rischio di sviluppare la malattia e li indicano con il termine prediabete. In presenza di tali condizioni viene raccomandato un attento monitoraggio, la valutazione della coesistenza di altri fattori di rischio per malattie cardiovascolari come obesità (soprattutto centrale), dislipidemia e ipertensione arteriosa e l’implementazione delle misure di prevenzione. Negli Standard italiani si precisa che le condizioni di IFG e IGT non rappresentano situazioni di malattia, ma soltanto fattori di rischio per diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari che possono

coesistere nello stesso individuo, ma sono spesso presenti in forma isolata. Il termine prediabete non sembra appropriato alle Società Scientifiche italiane che hanno curato gli Standard e che sollevano due eccezioni. Prima di tutto l’uso del termine prediabete potrebbe avere conseguenze psicologiche, sociosanitarie ed economiche e poi un’elevata percentuale di soggetti con IFG e/o IGT e/o con HbA1c non ottimale (valore fra 42-48 mmol/ mol [6,00-6,49%]) non sviluppa il diabete; sottolineano il fatto che solo il 20- 25% dei soggetti con IFG e/o IGT sviluppa diabete nell’arco di 10 anni. Nella pratica clinica consigliano pertanto di definire IFG e IGT come condizioni di “disglicemia” o di “alterato metabolismo glicidico”. Il termine prediabete è adottato in Italia solamente in ambito pediatrico per identificare bambini e adolescenti con evidenza di autoimmunità beta-cellulare, suscettibilità genetica al diabete tipo 1 e alterazione della secrezione insulinica. Comunque, indipendentemente dalle questioni semantiche, il diabete avanza.


B O N TO N

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Natale e dintorni, un solo obbligo: rispettate l’undicesimo comandamento! Il galateo impone di non rovinare la festa - anzi, le feste - a quanti credono nelle tradizioni e intendono celebrarle a dovere

Nicola Santini Esperto di Galateo, Costume e Società ph/Christian Ciardella

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na moda che non passa ma che non ne fa passare una. Poco intelligente, come tutte le mode. Stiamo parlando di quella di disprezzare le feste comandate. «Sono commerciali, sono un inno al consumismo, alla convivenza forzata, ai regali non sentiti», e così via. A Natale poi non se ne parla: si scatena, da chi non vuole i presepi nelle scuole a chi va a cena con cani e porci tutto l’anno, ma trova insostenibile una vecchia zia che vede giusto quel giorno. Io questa storia non l’ho mai capita e non la capirò mai. Tanto più che, se c’è una cosa che il galateo invita a rispettare, sono proprio le tradizioni. Il Natale, Capodanno sotto il vischio, la Befana che porta le caramelle, sono tutte tradizioni che se non son parte delle origini più radicate, lo sono almeno per acquisizione, ormai talmente datata, da averne perso il giorno d’inizio. L’importante è non farsi contagiare da quelli che prima criticano e trattano da obsolete le nostre feste in famiglia, e poi perdono giorni interi alla ricerca del look per Halloween, snobbano lenticchie e cotechino, ma il giorno del Ringraziamento servono tacchino e patate, protestano per la Prima della Scala, ma sono in coda per il sacchetto azzurro di Tiffany. Natale è un giorno come un altro? Bene: non rovinatelo a coloro che non lo considerano tale. Statevene in casa a guardare Fantaghirò 17 e non salite sullo scranno a giudicare chi onora le tradizioni. Natale è un giorno dedicato al consumismo? Regalate qualcosa che non cambi le sorti dell’economia, ma che vi dia l’occasione di dimostrare di aver fermato il

tempo per dedicarvi a qualcuno che vi vuole bene: una pagnotta fatta in casa, un libro anche riciclato pensato per chi lo deve leggere, un vasetto di marmellata, ed ecco che, con pochi euro e molto cuore, avete sistemato anche la coscienza sindacalista. Che poi, se c’è una categoria dalla quale non vedrete mai un regalo, è quella fatta da chi dice che i regali vadano comprati in qualsiasi momento, basta trovare quello giusto. Non si è mai capito se è il momento giusto o il regalo giusto che non arriva mai, sta di fatto che da questi non vedrete mai una “caramella”. Altra categoria sono quelli che tirano in ballo la fame nel mondo come contrapposizione alle tavole imbandite nelle nostre famiglie. E lo dicono, naturalmente, all’aperitivo dove un drink si paga 10 euro e sul bancone del bar servono di tutto di più senza limiti: «on tutta la gente che muore di fame, ancora si vedono tavole opulente». Avete ribrezzo delle tavole opulente, vorreste vederci tutti a servire alla mensa dei poveri, proprio quel giorno? Bene! Date il buon esempio, poi visto che Natale è un giorno come un altro, tornateci anche a Santo Stefano. Non che sia un gesto da condannare: se lo snobismo del Natale porta volontari nelle associazioni umanitarie, significa che lo spirito è più forte della polemica. Il problema è che per me è più facile credere a Babbo Natale che alle buone intenzioni di chi, anziché metterle sull’albero con un sorriso, ha deciso di scassarle, le palle. Scusate la franchezza: non pensate che a Natale siano tutti più buoni, tranne me.


A R TE

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Suspence, ovvero l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità emotiva Una personale di Max Coppeta negli spazi della ART IN Gallery di Milano mostra il sogno sospeso, il desiderio di bloccare il fuggitivo, il transitorio, il contingente. Quella metà dell’arte di cui l’altra è l’eterno, l’immutabile

di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata

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nserito in un contesto assorbente che frulla le varie voci della creatività umana, il lavoro di Max Coppeta presente fino al prossimo 25 febbraio 2017 negli spazi della ART In Gallery di Milano, è specchio che riflette la forma dello spettacolo per sfidare le apparenze, attraversare le funzioni dell’oggetto, giocare con le finzioni, i simulacri, le ombre e le sembianze di uno scenario fenomenico instabile, inarrestabile, veloce. Con il desiderio di investigare l’artificiale e il naturale Coppeta produce, sin dalle sue prime azioni, cortocircuiti riflessivi e costruttivi tra il tangibile e l’alfanumerico per focalizzare teoricamente l’attenzione in limine, muoversi sulla soglia, trasformare il corporeo in incorporeo e, viceversa, l’irreale in quello che irreale non è. La sua partita è tutta giocata sul terreno fragile di una realtà che si inclina alle magie tematiche dell’interazione simulata per dar luogo ad una avventura stilistica che si nutre tanto di abbecedari strettamente tecnologici quanto di espedienti sovversivi nei confronti del software impiegato, fino a creare forme e formule visive designate a mostrare un’atmosfera legata al sogno, al sogno di un sogno. Dal vetro alla plastica, dal metacrilato alla resina, i suoi lavori costruiscono un’illusione che ferisce l’illusione e mostra gli stratagemmi logici dell’immaginazione per deragliare e far deragliare lo spettatore - dai luoghi della ragione ai circuiti senza fili della fantasia. La rivendicazione di un presente intrappolato nella fissità del tableaux vivant, porta Coppeta, negli ultimi tempi, a varcare la soglia della chimera o del sogno, per concepire una particolare Naturnachahmung che si solidifica sotto l’effetto

Flow, 2015, Exhibition view Chiesa dei Ss. Rufo e Carponio Capua (Ce), liquido cristallizzato su vetro, lega di alluminio, cm 60x4,25 h30 - pz.13

preventivo di materie artificiali e per produrre opere la cui plastica arresta definitivamente il tempo - questa azione vale prevalentemente per le Piogge sintetiche - e mette in moto lo spazio secondo direttive gestaltiche dove percepire significa concettualizzare, organizzare le forme seguendo la duplice modalità cognitiva del flusso intellettuale e del flusso intuitivo. Il funzionale lascia il posto al finzionale leibniziano (a qualcosa che non è sempre parte della realtà), per costruire sculture che partono dai processi di pensiero informati e arrivano a quelli percettivi mediante l’incanto, la meraviglia, l’evocazione di qualcosa che sta per fuggire ma resta perennemente intrappolato in un involucro sovratemporale e sovrastorico prodotto mediante la totale assenza della mano dell’artista


61 che produce una scultura pigra, espressione esatta della nostra contemporaneità che sostituisce con l’automazione tutte le forme di manualità. Grazie all’utilizzo di macchine con utensile da taglio a controllo numerico che produce fenditure a secco, Coppeta crea sorprendenti capsule del tempo che fermano il flusso inarrestabile del quotidiano e mostrano la volontà di far riapparire le cose, di portare duchampianamente l’ombra nell’opera, di farla diventare parte integrante dell’opera. Seguendo i processi di osservazione e interpretazione messi in campo da Arnheim, Coppeta crea una differenza d’approccio del quadro naturale, sposta l’asse su un piano essenzialmente emotivo, ricerca il valore del sogno ad occhi aperti, presenta l’immateriale mediante ombre proiettate, trasforma l’opera in un accumulatore di conoscenza. Fortemente legato ad un gusto di stampo cinetico dove l’attuale lascia il posto al fattuale, Coppeta disegna una visione eterocosmica che assume la luce come ingrediente totalizzante, come collante privilegiato tra l’opera e lo spazio, tra la fissità dell’oggetto e il movimento prodotto dall’inevitabile mormorio del getto luminoso. Consapevole che la comprensione nella logica del ragionamento agisce allo stesso modo della percezione nella logica del sensorio, e che il pubblico è un interprete che apre gli occhi e le orecchie ai messaggi trasmessi dalla forma, Max Coppeta elabora dunque un discorso che si nutre di regola e caso, di strutture mobili o immobili, di procedimenti che volgono lo sguardo all’asimmetrico e al simmetrico cadenzare ritmico della forma per riunire sotto uno stesso cielo estetico,

il manuale, il materiale e il mentale, fino a elaborare un rebus visivo che fa i conti con le logiche instabili della quotidianità. Con l’unitaria continuità e l’irrequietezza empirica di tenere aperti vari cantieri creativi, Max Coppeta mostra arterie riflessive che si nutrono di controspazi - è il caso di Zero Gravity (2013), un apparecchio sulla natura della gravità e sull’instabilità delle cose o di ingranaggi che assorbono il corpo luminoso - Spyglass (2013), Long Drop (2014), Flow (2015) e Strip of Wind (2016) - per trattarlo e trasformarlo mediante la trasparenza dei materiali adottati e l’analisi costante sulle piogge. Strumento di espressione privilegiata per offrire una visione emotiva e sensoriale, la luce è per Coppeta luogo fragile e indecifrabile che modifica e perfeziona l’opera, che accentua le deformazioni liquide, la ritmicità, il suono, la partitura musicale degli elementi adottati. Dal 2014, con una serie di bi-crome, Coppeta richiama alla memoria Yves Klein svuotandolo però di ogni forma di spiritualità e recuperandolo soltanto nella forza rituale del fare che resta, per lui,

Long Drop, 2014, Exhibition view Arsenale di Venezia, liquido cristallizzato su vetro, metacrilato, cm 20x250 h40

fondamento d’un processo che porta all’opera. Le piogge nere, d’altro canto, mirano ad una concavità, ad una chiusura, ad un risucchio luminoso, ad una somma cromatica che richiama alla memoria la visione suprematista di Malevič e i cellotex di Alberto Burri. Nelle ultime Calligrafie del 2016 l’artista mira a tradurre in grafia il suono della pioggia, a creare ritmi, a costruire fonografie. Dopo le prime piogge su vetro l’idea di riprodurre, di clonare, di rifare la natura mediante l’ausilio di processi artificiali porta Coppeta a ripensare la musicalità dell’opera plastica Rainmaker (2016) è propriamente un dispositivo sonoro - per dar luogo a ulteriori congelamenti, a teatri sospesi che rendono reale l’areale, a luoghi che mostrano come e quando uno spettacolo viene interrotto. Come un immoto andare, una corsa trattenuta, un istante frenato, inevitabilmente bloccato, il nucleo di lavori prodotti negli ultimi anni disegna un itinerario che trasforma la sospensione in riflessione, in analisi Three Stele, 2014, liquido cristallizzato costante di quello che è stato e che su vetro, metacrilato, cm 14x11,5 h31 mai più sarà.


FI N I STE RRE

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Omaggio a Tina Modotti, occhi di innamorata a fotografare il mondo Donna ribelle e combattente, nella sua grande ansia di vita e militanza politica, mai ha dimenticato l’incanto

Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università degli Studi di Salerno

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na vita semplicemente epica quella di Tina Modotti. Tra le più grandi fotografe del mondo e soprattutto donna ribelle e voracemente anarchica. Nata ad Udine nel 1896 e poi emigrante tra l’Europa e l’America, Tina Modotti è la protagonista di straordinari capitoli dove creatività e vita perfettamente si amalgamano in un’unica tensione. La sua biografia è un’infinita avventura. Bellissima modella e bravissima attrice. E successivamente, grazie all’incontro con il grande fotografo Edward Weston, scopre la possibilità del raccontare per immagini. Weston le insegna le grandi macchine fotografiche, l’utilizzo della camera oscura e le geometrie delle forme. La sua prima produzione è particolarmente incentrata su interni, sguardi metropolitani, nature morte. Poi scopre la politica. E per questo nel giro di pochi anni esplode, naturale e viscerale, il desiderio di raccontare i margini. Gira il Messico e il suo impegno aumenta sempre più. I suoi soggetti prediletti diventano la classe lavoratrice: manovali, braccianti, operai, contadini. Uomini e donne di lancinante fierezza. Nel 1929 la sua prima, potentissima, retrospettiva a Città del Messico nel Museo Nacional. Eccola “la prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico” (come venne presentata all’epoca). La sua vita è l’affresco di una donna che fece della fotografia e della libertà il proprio emblema di vita. Le sue fotografie ci trasportano, sempre, dentro mondi di assoluta bellezza e intensità. Sono un racconto dove troviamo la sensibilità, l’inquietudine, l’intimità, la sofferenza, l’umanità, la militanza, la cronaca. Il sogno rivoluzionario! Insomma un’artista vera e totale. Anche se la stessa Modotti soleva precisare: «quando le parole “arte” e “artistico” vengono

applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo…Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni». Ed è proprio qui che risiede la marcatura di differenza della produzione fotografica rispetto a qualsiasi altro artista. La verità e la bellezza come motori d’infinita costruzione. Attorno a tutto questo sono una miriade i suoi “nutrimenti”: gli amici, gli amori, le passioni, i viaggi, la lotta e la politica. I suoi sono occhi d’innamorata. Fotografa e rivoluzionaria. Sarà sempre “fedele” a questa tensione. Temi esistenziali che spesso, appunto, diventano lo sfondo per raccontare l’universo complesso di una donna e la totalità del suo mondo ribelle e sovente lacerato. Un lavoro fotografico di grande fascino ed espressività che si lascia ulteriormente apprezzare per la “disciplina” soprattutto quando, negli anni Trenta, si trasferirà a Berlino. Per poi approdare nell’Unione Sovietica dove si avvicinerà al movimento del Soccorso Rosso. Per poi partire per la Guerra di Spagna. Il suo carattere forte e determinato non l’abbandonerà mai. Fino agli ultimi giorni nel tempo del ritorno nel suo Messico (dove morirà d’infarto nel 1942). Tina Modotti, nella sua grande ansia di vita e militanza politica, giammai dimentica l’incanto. Lei, “fotografa e combattente” come in molti la definivano, è sempre nell’incanto delle cose. Lei vive dentro una sorgiva bellezza che è cronaca pulsante che ti mangia la pelle. È magnifica incandescenza eversiva. Perché Tina Modotti (come recita una magistrale poesia di Pablo Neruda a lei dedicata) è colei che ci ha insegnato a “sorridere sopra il fango”.


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LI B R I / H OME CINE MA

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a cura di Raffaella Venerando

a cura di Vito Salerno

Eccomi di Jonathan Safran Foer

Il piano di Maggie di Rebecca Miller

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mbientata a Washington durante quattro, convulse settimane, "Eccomi" è la storia di una famiglia in crisi ammalata di perfettinismo. Una famiglia convenzionale all’eccesso, piena di buone opinioni, sempre dal lato giusto dei conflitti e Eccomi delle scelte etiche, alidi Jonathan Safran Foer Editore: Guanda mentari, morali, di cui prezzo di copertina i principali attori sono euro 22,00 Julia e Jacob, marito e moglie protagonisti dell’ultimo romanzo di Jonathan Safran Foer, già autore del fortunato “Ogni cosa è illuminata”. Mentre Jacob, Julia e i loro tre figli sono costretti a confrontarsi con la distanza tra la vita che desiderano e quella che si trovano a vivere, arrivano da Israele alcuni parenti in visita. I tradimenti coniugali veri o presunti, le frustrazioni professionali, le ribellioni adolescenziali e le domande esistenziali dei figli, i pensieri suicidi del nonno, la malattia del cane: tutto per Jacob e Julia rimane come sospeso quando un forte terremoto colpisce il Medio Oriente, innescando una serie di reazioni a catena che portano all’invasione dello stato di Israele. Di fronte a questo scenario inatteso, tutti sono costretti a confrontarsi con scelte cui non erano preparati, e a interrogarsi sul significato autentico della parola casa. «Non devi chiederti se una cosa è buona e no. Se fa ridere o meno. Se è brillante o utile, o se non è utile. Se ti fai queste domande, inizi ad allontanarti dalla libertà necessaria per fare qualcosa di vero»

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a moderna e divertente commedia romantica della regista Rebecca Miller, "Il piano di Maggie", è una sofisticata e acuta analisi delle imprevedibili complessità che caratterizzano l’amore contemporaneo; è un film che miscela cuore e humour, in una storia incentrata sulla mutevolezza delle relazioni d’amore nel corso della vita delle persone. L’attrice protagonista è la bravissima Greta Gerwig che, nel film, è Maggie Hardin, un’allegra e affidabile trentenne newyorkese, che lavora come insegnante d’arte in una scuola. La vita di Maggie scorre regolare, pianificata e calcolata. Maggie non ha molto successo in amore ma decide comunque che è arrivato il momento di avere un figlio. Da sola. Ma quando conosce John Harding (Ethan Hawke), uno scrittore-antropologo in crisi familiare, Maggie s’innamora per la prima volta in vita sua, e così è costretta a modificare radicalmente il suo piano di diventare mamma. A rendere tutto ancora più complicato c’è il fatto

che John è infelicemente sposato con Georgette Nørgaard (Julianne Moore), una brillante professoressa universitaria danese. Mentre i suoi amici, gli eccentrici ed esilaranti Tony e Felicia (interpretati da Bill Hader e Maya Rudolph), stanno a osservare sarcasticamente dalle retrovie, Maggie mette in atto un nuovo piano che la lancia in un ardito triangolo amoroso con John e Georgette, e così le loro vite s’intrecciano e si uniscono in modi inaspettati e divertenti. Alla fine Maggie capirà che forse il destino dovrebbe essere lasciato andare indisturbato.




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