Costozero - Fiducia ai giovani

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editoriale

Lavoro ai giovani e crescita, è il momento della responsabilità Alla vitalità del settore privato, occorre aggiungere un più incisivo contributo del comparto pubblico cui chiediamo di attivare gli investimenti previsti per realizzare quelle infrastrutture materiali e immateriali di cui il Paese ha bisogno per competere di Vincenzo Boccia presidente Confindustria

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avoro ai giovani e crescita sono due facce della stessa medaglia. Nel senso che le politiche per la crescita sono quelle che servono, prima di tutto, a dare un’occupazione alle nuove generazioni a conferma del fatto che tra imprese e società non c’è distanza ma comunione d’interessi. Il lavoro ai giovani è dunque per Confindustria una grande priorità, per due ordini di motivi: perché i giovani assunti possono realizzare i propri sogni - definire un progetto di vita, acquistare una casa, un’auto - contribuendo a stimolare la domanda, e perché rendono più competitive le imprese che li scelgono, imprese aperte all’innovazione e ai nativi digitali. Imprese più competitive investono di più e conquistano nuovi mercati, soprattutto all’estero, continuando a crescere e creando le condizioni per dare nuova occupazione e nuova domanda, innescando il circolo virtuoso dell’economia: più investimenti, più export, più occupazione e più domanda. Dobbiamo allora domandarci che cosa determini la crescita, e la risposta possiamo trovarla nei fatti. Partendo dal valutare quei provvedimenti che hanno consentito al nostro Paese d’invertire la rotta dopo anni di crisi e far segnare un innalzamento del Prodotto Interno Lordo che, a fine 2017, potrà attestarsi al di sopra delle aspettative, nonché esportazioni cresciute del 7% rispetto all'anno precedente. I risultati di oggi derivano da una stagione di riforme che hanno portato profonde innovazioni: il Jobs Act, il piano Industria 4.0, il credito d’imposta al Sud.

Senza dimenticare i contratti di sviluppo di Invitalia e i Patti governativi firmati con città e Regioni. Una serie di strumenti che le imprese hanno saputo usare e apprezzare, senza vincoli geografici o di dimensione, mostrando una capacità di reazione che si è tramutata in un ritorno degli investimenti, nell’innalzamento dell’export e in una ripresa dell’occupazione, recuperando di fatto posizioni perdute nella crescita interna. Ora ci troviamo davanti a un bivio: proseguire lungo la strada imboccata per puntare a nuovi traguardi o rischiare di perdere l’abbrivio. Un rischio, quest’ultimo, che non vogliamo e non possiamo correre. Alla vitalità del settore privato - cui si devono i successi che abbiamo sotto gli occhi - occorre aggiungere un più incisivo contributo del comparto pubblico al quale chiediamo di attivare gli investimenti previsti per realizzare quelle infrastrutture materiali e immateriali di cui il Paese ha bisogno per competere. Solo così, lavorando per la crescita e per l’occupazione, potremo pensare di abbattere la montagna del debito pubblico che grava sull’Italia rendendoci sorvegliati speciali in Europa, dove si teme per un allentamento della spesa e un aumento del deficit che non possiamo assolutamente permetterci. Dobbiamo imparare a fare i conti con le nostre potenzialità senza lasciarci andare a politiche non sostenibili da una finanza pubblica compromessa dai debiti che per troppo tempo abbiamo messo sulle spalle delle generazioni future. È arrivato il momento della responsabilità. E i sacrifici di oggi ci ripagheranno in futuro.


sommario

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EDITORIALE Lavoro ai giovani e crescita, è il momento della responsabilità di V. Boccia SPECIALE GIOVANI E LAVORO Fiducia ai giovani di R. Venerando

Brugnoli: «Più qualità nella formazione, più qualità all’impresa» Intervista a G. Brugnoli

Provenzano, Svimez: «Il Sud recupera ma 10 resta il nodo lavoro» Intervista a G. Provenzano

PRIMO PIANO Trame Africane, per essere felici basta poco 12 di R. Venerando

FOCUS Giovani imprenditori nel Mezzogiorno: nuove 14 opportunità di crescita e il ruolo delle imprese medio/grandi di S. Capasso

CONFINDUSTRIA SALERNO 18 Voucher 2017, è ora di scegliere a cura della Redazione Autorizzazione Unica Ambientale, Provincia 19 e Confindustria Salerno si alleano a cura della Redazione 20

2017, è la volta del PMI DAY "originale" a cura della Redazione

NEW ENTRIES DELBASSO parquet, l'incanto dell'artigianalità 24 senza tempo a cura della Redazione 25

Ines, il design che fa bene alla salute a cura della Redazione

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Borgherese Consŭlĕre, la Risorsa è Umana a cura della Redazione

STRATEGIE DI IMPRESA 27 «Più forti i Confidi più forte il credito alle imprese» a cura della Redazione 28 Apprendistato con Umana: imparare facendo a cura della Redazione 29

Gruppo Gallozzi, 65 anni proiettati nel futuro a cura della Redazione

BNL Gruppo BNP Paribas continua a investire 30 sul territorio salernitano a cura della Redazione Garone Habitat, in alto fino ai grattacieli 31 di Panama City a cura della Redazione 33 Patto di famiglia, la D’Amico fa scuola di R. Venerando 34 4 M.A.N. Consulting, il successo si impara a cura della Redazione 35

Mecaprom, motori di innovazione a cura della Redazione

NORME E SOCIETÀ 37 L'equilibrio tra mediazione e processo di M. Marinaro

FISCO Fatture in PDF, gli errori più comuni 39 e come risolverli di N. Savino 41

Zone Economiche Speciali, la prima volta italiana di M. Villani, F. Attanasi

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Il punto sui servizi infragruppo di M. Fiorentino

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Tax credit alberghi di A. Sacrestano


LAVORO Licenziamento, quando la violazione del vincolo 46 fiduciario costa il posto di M. Ambron Riflessioni sulla responsabilità professionale 47 del Project Manager di L. De Valeri INTERNAZIONALIZZAZIONE 49 The Brexit effect, prendere o lasciare? di D. Trimarchi

NUMERO 5 DICEMBRE 2017/GENNAIO 2018 Bimestrale di Economia, Finanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg. Trib. di Salerno N. 67 7 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Andrea Prete

RICERCA 52 Liposomi: una tecnologia innovativa di P. Trucillo

SICUREZ ZA La trasformazione digitale e gli impatti 54 sui lavoratori di E. Pietrafesa, S. Stabile, R. Bentivenga, S. Iavicoli

SALUTE 56 SOS freddo: come proteggere la pelle di A. Di Pietro 57 Alimentazione: verità e pregiudizi di G. Fatati BON TON 58 Natale, auguri non tradizionali di N. Santini ARTE 60 La battaglia immaginaria di Valentina Vallorani di A. Tolve

FINISTERRE Carlo Michelstaedter, il filosofo 62 che fece di se stesso fiamma di A. Amendola LIBRI/CINEMA 64 L'Arminuta a cura di R. Venerando 64 DUNKIRK a cura di V. Salerno

Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management Vito Salerno Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Salerno Ser vice Srl Via Madonna Di Fatima, 194 84129 Salerno Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 039711 70653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Salerno Foto Archivio Costozero Vito Salerno Massimo Pica/Ag. Fotografica Studio Fotografico Cerzosimo Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it L e op inioni esp resse neg l i a r tic ol i a p p a r teng ono a i sing ol i a u tori dei q u a l i si intende risp etta re l a p iena l ib er tà di g iu diz io

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speciale giovani e lavoro

Fiducia ai giovani Il progetto di crescita del Paese al centro dell’Assemblea Pubblica di Confindustria Salerno di Raffaella Venerando

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l tema del lavoro dei giovani è diventato il termometro dello stato di salute del nostro Paese. Se stiamo bene o, viceversa, se facciamo fatica, ce lo raccontano con precisione i dati che fotografano ancora ad oggi un inadeguato livello di occupazione giovanile in Italia. Proprio ai giovani e alla necessità di restituire loro fiducia, spazio e opportunità, è stata dedicata l’Assemblea Pubblica di Confindustria Salerno, tenutasi lo scorso 16 novembre al Teatro Augusteo. L’incontro si è aperto con Vincenzo Napoli, sindaco di Salerno, che ha rimarcato quanto il Comune si stia adoperando

perché il territorio possa essere ancora più accogliente e offrire occasioni di lavoro ai giovani: «Facciamo quanto è nelle nostre possibilità, con la promozione della grande trasformazione urbana per rendere il nostro territorio accattivante. L’impresa resta il motore della nostra economia». A salire sul palco, poi, sono stati i veri protagonisti del convegno: i giovani. A raccontare - davanti a una platea attenta e numerosa - la propria esperienza di vita e di lavoro sei diversi profili, cui si è aggiunta la testimonianza registrata di Marco Landi, brillante ingegnere salernitano emigrato nel Regno

Unito per seguire un’opportunità professionale avvincente (vedi scheda pagina 6, nda). È stata quindi la volta del presidente di Confindustria Salerno, Andrea Prete, che ha condensato nella sua relazione le ragioni del tema scelto e la necessità di includere nuove energie nel sistema Paese: «Da questo palco scegliamo l’orizzonte verso cui tendere: dare fiducia ai giovani, leva essenziale perché il nostro Paese torni a crescere. L’Italia ha bisogno infatti di un disegno di lungo respiro, con risorse adeguate, che dia una scossa all’occupazione perché, senza

16 novembre 2017 | Teatro Augusteo Assemblea Pubblica Confindustria Salerno

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Andrea Prete, presidente Confindustria Salerno

Vincenzo Napoli, sindaco Comune di Salerno PH Massimo Pica

Vincenzo De Luca, presidente Regione Campania

Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia e delle Finanze

lavoro e senza reddito, non c’è futuro per i giovani, né sviluppo per la società: i primi non possono fare il salto verso l’autonomia personale e la seconda, perdendo vitalità e forza, si condanna a un inesorabile declino. È necessario, dunque, superare ogni egoistica immobilità e tirare dritti verso l’obiettivo comune e doveroso di dare corpo ad una nuova società per i giovani, offrendo, a chi mostra il talento per meritarle, opportunità di vita e di lavoro». I giovani come soluzione alla crisi, all’immobilismo, alle incognite del futuro. I giovani come speranza e certezza: «La strada giusta per l’inclusione dei giovani nel mondo delle imprese è quella di continuare ad avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro, investendo in programmi formativi che mettano al centro i nuovi saperi digitali e tutto ciò che serve per avere una professionalità adeguata ai tempi e a misura del bisogno di innovazione dell’economia italiana. Formando i giovani così come richiede il mercato e impiegando i migliori nei posti giusti nelle imprese e nella pubblica amministrazione, il Paese sì che ripartirebbe!». Le premesse perché la Campania torni ad essere attrattiva, senza più disperdere l’immenso patrimonio intellettuale e giovane di cui dispone, sono state evidenziate invece dal presidente della Regione Vincenzo De Luca: «In Campania, così come nel Sud, ci sono due grandi criticità cui far fronte: il tasso di emigrazione giovanile, soprattutto dei giovani scolarizzati, e quello di disoccupazione giovanile che rimane


speciale giovani e lavoro

PROFILI GIOVANI, STORIE DI VITA E DI LAVORO Testimoni e ambasciatori dell’Italia che spera ancora e fa ben sperare. È stato questo il ruolo dei giovani alternatisi sul palco del Teatro Augusteo il 16 novembre scorso, nel corso dell’Assemblea Pubblica di Confindustria Salerno. Sei storie esemplari, di vita e di lavoro, per raccontare più di qualunque report o statistica – che i giovani sono la prua del mondo. I primi a prendere la parola sono stati Andrea Carluccio e Michele Marrone, 19 e 20 anni, entrati in azienda (la CTI Foodtech di Montecorvino Pugliano) a seguito di un percorso di Alternanza messo in piedi dal Gruppo metalmeccanico di Confindustria Salerno con l’Istituto Galilei. Dai banchi all’impegno da grandi, un’opportunità di mettersi alla prova che i due ragazzi hanno accettato con serietà ed entusiasmo per ricambiare gli imprenditori che hanno creduto da subito in loro. Vincenzo Acconcia, 24 anni, ha raccontato invece le aspettative di chi ancora non ha fatto il suo ingresso nel mondo del lavoro. Laureato in Economia e Commercio e in procinto di laurearsi in Consulenza e Management Aziendale, è alla ricerca dell’opportunità giusta per mettere le sue competenze al servizio del Paese, del suo e nostro Paese. Un lavoro lo ha già, invece, Irene Di Giambattista, 29 anni, ricercatrice alla Fos di Battipaglia. Dopo un qualificato percorso formativo, Irene è da poco entrata in azienda con in tasca la grande ambizione di contribuire al prestigio del marchio “Made in Italy” nel mondo. É poi andata in onda la testimonianza di Marco Landi, laureato in ingegneria elettronica a Salerno, oggi in forze all'Agenzia britannica per l'Innovazione. Un cervello in fuga ma con tanta voglia di tornare in Italia. In Italia è invece già rientrato, dopo aver fatto esperienza del mondo, Vincenzo Marano, oggi responsabile di uno dei centri di sviluppo di Mecaprom a Penta, nel Salernitano. Vincenzo – dopo anni di studio e lavoro all’estero - immagina il suo futuro qui in Italia, per dimostrare a se stesso e a chi ha creduto in lui che anche al Sud il futuro può essere grande. A chiudere il ciclo delle testimonianze, Abdelkader Mlik, 29 anni, tunisino. Abdelkader - arrivato in Italia nel 2011, a seguito della rivoluzione nel suo Paese - oggi lavora stabilmente al servizio di accoglienza dell’Hotel

Scapolatiello di Cava de’ Tirreni. Se guarda avanti Abdelkader si vede realizzato qui in Italia, Paese che ha visto nascere anche la sua piccola Bahija. Storie vere, positive, che dimostrano come solo “quel che persevera”, come è inciso sul legno della nave scuola Amerigo Vespucci, avrà il futuro che si merita.

Andrea Carluccio e Michele Marrone PH Massimo Pica

Vincenzo Marano PH Massimo Pica

Vincenzo Acconcia, AbdelKader Mlik, Michele Marrone, Andrea Carluccio e Irene Di Giambattista

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estremamente alto. Ambedue sono al centro dell’impegno della Regione, ancora di più ora che la Campania sta facendo da traino al Mezzogiorno, con dati di crescita mai registrati prima. Dobbiamo continuare nella linea di investimenti e mi auguro che nei prossimi mesi maturi l'idea di un piano per il lavoro dedicato al Sud che punti anche ad incrementare l'occupazione nella pubblica amministrazione». Tanta è la sfiducia che dilaga nel Paese. Sul banco degli imputati per De Luca c’è «il groviglio burocratico, amministrativo e giudiziario che rende quasi una impresa eroica tradurre qualunque progetto in realtà. Lanciamo, però ai giovani della Campania un messaggio di fiducia. Siamo ripartiti come Regione». A riprova delle buone performance della Regione Campania le parole di Pier Carlo Padoan, che plaude al dinamismo e alla vivacità mostrati dalla Campania: «I dati sulla crescita sono incoraggianti e fatemi sottolineare che il contributo della Regione Campania è veramente eccezionale ed è il segno che la crescita c’è». Il ministro dell’Economia si è quindi soffermato sull’analizzare lo stato di salute del Paese: «Si sta chiudendo una legislatura che offrirà alla seguente un quadro oggettivamente migliore in termini di crescita e finanza pubblica. Il Paese sta migliorando». Il debito dell’Italia, ha ricordato, «a differenza di altri Paesi d’Europa va stabilizzandosi e cominciando a scendere» e questo, ha rimarcato, «è il vero punto di svolta sul piano finanziario». Lavoro e giovani sono stati infine il fulcro delle con-

Vincenzo Boccia e Andrea Prete PH Massimo Pica

Vincenzo Boccia, presidente Confindustria

clusioni affidate al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: «Ci auguriamo che la legislatura che verrà - è stata la chiosa del numero uno degli industriali - non smonti provvedimenti che hanno avuto effetti positivi sull’economia reale. Bisogna continuare ad avere attenzione verso la crescita, precondizione per la stabilità, per ridurre il debito, i disagi e le disuguaglianze nel Paese. Occorre rimettere il lavoro al centro del Paese con un piano per i giovani. Bisogna costruire per loro un progetto di vita, in particolare per i giovani del Mezzogiorno». Piuttosto che pensare sempre al “passato”, il presidente Boccia, netto, dice di «non comprendere perché si mettono sul piatto 200 milioni di euro per le pensioni e non ci sono 5 milioni per favorire la formazione, la scuola, il futuro». Futuro e scelte giuste anche a costo di sacrifici restano l'obiettivo verso cui tendere: «La Campania è la prima del Sud perché ha fatto da acceleratore alle politiche economiche nazionali. Prima decidiamo che cosa vogliamo definire nell’economia reale, poi individuiamo strumenti, quindi risorse e poi interveniamo sui saldi di bilancio. Se si vuole costruire, occorre fare dei sacrifici. Noi siamo disposti».


speciale giovani e lavoro

Brugnoli: «Più qualità nella formazione, più qualità all’impresa» Confindustria traccia la strada per una migliore occupabilità dei giovani: insistere sull’orientamento scolastico e sull’utilità dei fondi interprofessionali, indispensabili per la formazione e l’aggiornamento professionale di chi già lavora di Raffaella Venerando Giovanni Brugnoli Vice presidente Confindustria con delega al Capitale Umano

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ottor Brugnoli, il nostro Paese è in ripresa, eppure ancora destano preoccupazione i dati relativi alla disoccupazione giovanile. Sul banco degli imputati - per Confindustria - ci sono soprattutto le cattive scelte dei giovani rispetto all’istruzione secondaria. Di che cifre parliamo? È molto semplice descrivere la situazione italiana con i numeri. Il nostro è un Paese manifatturiero: siamo settimi nel mondo e secondi in Europa dietro alla Germania. Sia la nostra manifattura che quella tedesca non possono competere sui costi, ma devono puntare alla qualità che è figlia sì degli investimenti ma anche della preparazione professionale dei giovani e delle persone che lavorano. In Germania nelle scuole terziarie professionalizzanti, quelle che formano i super periti, ci sono 765.000 studenti, in Italia poco più di 8mila. Questi numeri spiegano, almeno in parte, il mismatch fra domanda e offerta di lavoro. La soluzione sta nell’avvicinare il

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mondo della produzione a quello della scuola. Un esempio riuscito di collaborazione che vede allineate domanda e offerta di lavoro sono gli ITS. Confindustria chiede il potenziamento dell’offerta formativa legata a questi Istituti e di scongiurarne un ridimensionamento. La partita si può ancora vincere? Confindustria è per la difesa degli Istituti Tecnici Superiori, anzi, per il loro potenziamento, perché l’industria manifatturiera ne ha bisogno, così come ha necessità di avere laureati nelle materie scientifiche, quelle che chiamiamo le lauree STEM, ossia Science, Technology, Engineering e Match. Oggi più dell’80% di chi frequenta un ITS trova subito occupazione e la trova in attività che sono strettamente collegate al percorso di studio. In alcuni ambiti, come quello della meccatronica ad esempio, queste percentuali superano il 90% e, nonostante ciò, oggi la sopravvivenza degli ITS è messa in discussione. Tutti a parole ne esaltano il valore, ma poi non si

trovano risorse per sostenere le fondazioni o, quel che è peggio, le si mette in competizione con le cosiddette lauree professionalizzanti di cui ancora non si comprende fino in fondo la mission. Penso sia un vero delitto non valorizzare questi percorsi formativi. Anche i percorsi di Alternanza creano lavoro, o quanto meno preparano il terreno. Quali sono i nodi da sciogliere ancora perché si faccia largo una buona opinione pubblica sul sistema di ASL italiano? In primo luogo bisogna ricordarsi che sono percorsi educativi della scuola. Non hanno nulla a che vedere con gli stage o con l’apprendistato. È la scuola che viene chiamata ad aprirsi al lavoro per progettare percorsi scolastici che consentano di vedere applicate sul campo le nozioni apprese a scuola. In questa prospettiva, le polemiche e le manifestazioni contro l’alternanza mi sembrano una follia che serve solo a dimostrare la vitalità del pregiudizio verso le


Poznyakov / 123RF Archivio Fotografico

imprese e il lavoro. In secondo luogo, è importante che le imprese si rendano disponibili a collaborare in questi percorsi. Proprio per incentivare questa collaborazione, abbiamo avviato in Confindustria una vera e propria campagna per l’alternanza. Vogliamo spingere le imprese migliori a rendersi disponibili e abbiamo introdotto una sorta di bollino blu per le imprese che fanno buona alternanza. In questo modo pensiamo di rendere visibile e riconoscibile ai terzi questa generosa collaborazione. E gli altri percorsi che garantiscono l’occupabilità ai giovani? Confindustria a giugno ha lanciato un vero e proprio manifesto per il lavoro dei giovani e ha indicato diversi percorsi per l’occupabilità a partire da quelli sull’apprendistrato che in Italia è poco conosciuto e anche poco valorizzato. Le imprese, però, hanno bisogno anche di laureati di qualità e qui, naturalmente, un orientamento della nostra filiera alta della formazione scolastica verso le materie STEM aiuterebbe di certo. Proprio per l’occupabilità insistiamo molto sull’orientamento scolastico e sull’utilità dei fondi interprofessionali che sono indispensabili per la formazione e l’aggiornamento professionale di chi già lavora.

Industria 4.0 è un’opportunità per il Paese, per le imprese ma anche e soprattutto per i giovani. Quali sono gli spazi aperti per il futuro? Non voglio sottrarmi alla domanda ma rispondere con certezza non è affatto facile perché la digitalizzazione e la robotizzazione introducono ogni giorno novità significative in grado di incidere sull’occupazione del presente e del futuro. Certamente le competenze nelle scienze e nelle tecnologie serviranno molto, ma sarà indispensabile anche saper usare la logica e il ragionamento e in questa direzione la nostra scuola può dare una grossa mano. Ad ogni modo, personalmente, mi iscrivo al partito degli ottimisti e dico che il lavoro cambierà ma non verrà meno. Già oggi, le proiezioni elaborate da Confindustria, sulla base dei dati del sistema Excelsior delle Camere di Commercio, consentono di affermare che nei prossimi cinque anni serviranno circa 90mila fra laureati e diplomati nel settore della meccanica e oltre 70mila esperti nel settore delle tecnologie informatiche, sostanzialmente, divisi in parti uguali fra laureati e diplomati. Questi numeri mi sembrano un buon punto di partenza per ragionare sul futuro.


speciale giovani e lavoro

Provenzano, SVIMEZ: «Il Sud recupera ma resta il nodo lavoro» Bisogna riportare i giovani nella pubblica amministrazione il prima possibile. Se si vuole favorire lo sviluppo, l’impresa e il mercato, occorre uno Stato innovatore, intelligente e strategico, oggi impossibile con questo deficit di competenze nel settore pubblico Giuseppe Provenzano Vice direttore Svimez

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novembre è stato presentato il Rapporto SVIMEZ 2017. Secondo le previsioni per il 2017 e 2018 il Mezzogiorno può farcela ad agganciare la ripresa. Nel corso dell’esposizione dei dati più salienti, lei ha più volte rimarcato quanto questo non fosse affatto un risultato scontato… Sì, non era scontato data la profondità della crisi durata ben sette anni consecutivi al Sud. Per fortuna il nostro Mezzogiorno ha mostrato una certa resilienza e oggi chiari sono i segnali di ripresa, dalle buone performance del turismo a quelle dell’agroalimentare di qualità. La novità è che finalmente segnali nuovi riguardano anche l’industria. L’industria manifatturiera meridionale è cresciuta al Sud nel biennio di oltre il 7%, più del doppio del resto del Paese (3%). I primi segni di ripartenza del settore manifatturiero fanno ben sperare: sarebbe illusorio pensare di affidare la ripresa dello sviluppo al turismo o all’agricoltura, per quanto ancora abbiano potenzialità inespresse nell’area.

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di Raffaella Venerando

Per il Sud è poi essenziale la ripresa dell’edilizia (+0,5%), che ancora appare troppo debole. Insomma, la ripresa è insufficiente a colmare i vuoti della crisi, ma le basi sembrano ora essere più solide. La ripartenza ha basi più solide ma in un quadro che comunque resta di persistente sofferenza sociale. Le cifre della povertà ad esempio sono allarmanti… Nel 2016 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord. Noi della Svimez abbiamo ricondotto la spietatezza di questi numeri al tasso di tasso di occupazione nel Mezzogiorno, ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE), nonostante il recupero dell’ultimo biennio che prosegue anche nei primi due quadrimestri del 2017 (oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”). Il nodo era e resta il lavoro. Mentre il Centro Nord infatti ha superato i livelli occupazionali pre-crisi, al Sud sono 350mila gli occupati in meno rispetto

al 2008. All’interno del mercato del lavoro poi si è verificata una ridefinizione della qualità dell’occupazione che esclude in larga parte i giovani e che offre occupazioni a orario ridotto (e quindi a salario ridotto) anche quando si tratta di lavori a tempo indeterminato. Sulla crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno incide, infatti, l’esplosione del part time involontario, di poco inferiore all’80% del lavoro a tempo parziale, che non deriva dalla libera scelta individuale ma è determinato da una carenza di domanda. Al drammatico dualismo generazionale, si sta affiancando un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell'occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi. È un problema di qualità quindi? Di qualità e di reddito. Salari ridotti non fanno abbassare le cifre sulla povertà, perché per ogni lavoratore in più non abbiamo, come ci potremmo aspettare, un povero in meno. A incidere in negativo, anche il


fatto che l’azione redistributiva pubblica si è molto ridotta, così come la capacità del welfare di rispondere ai bisogni sociali. Come Svimez abbiamo poi evidenziato nel Rapporto quanto la bassa qualità di performance nelle pubbliche amministrazioni sia un problema che riguarda non solo la vita privata dei cittadini, ma anche quella delle imprese. Una pubblica amministrazione non solo ingessata ma vecchia. È così e resta emergente l’esigenza di riportare i giovani nella pubblica amministrazione il prima possibile. Negli anni si è assistito, soprattutto al Sud, non solo a un ridimensionamento ma anche a un invecchiamento enorme della P.A., con una media che supera i 50 anni di età e un numero di laureati inferiore a un quarto. Se si vuole favorire lo sviluppo, l’impresa, il mercato occorre uno stato innovatore, intelligente e strategico, e oggi appare impossibile con questo deficit di competenze nel settore pubblico. Nel nostro Paese gli investimenti pubblici sono ai livelli più bassi di sempre non perché non si hanno spazi di bilancio, o quanto meno non solo per questa ragione, ma perché non siamo più in grado di farli questi grandi investimenti, non c’è capacità progettuale, nè realizzativa. Mancano ingegneri, non si parla inglese. Chi si confronta al Sud con la Banca Europea degli Investimenti o con i grandi fondi sovrani? La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud passa per una sua profonda riforma ma anche per un suo rafforzamen-

Porto di Salerno

to attraverso l’inserimento di personale più giovane a più alta qualificazione. È questa la chiave. «Il Mediterraneo é per il Mezzogiorno un destino da costruire, non da subire»: questa la sua convinzione. Quanto è vicino al Sud a questo obiettivo? Finora non abbiamo avuto una politica del Mediterraneo. Abbiamo solo subito la gestione, peraltro insufficiente, dei flussi migratori. È mancata l’Europa, ma questo non può diventare un alibi: abbiamo perso grandi opportunità strategiche, penso ai porti, ai cinesi che sono andati via da Taranto e hanno preso in mano il Pireo. Per questo abbiamo sottolineato quanto sia ancora importante, non solo per il Sud, ma per l’intero Paese, l’opzione mediterranea. E lo abbiamo fatto provando a uscire da un elenco di buone intenzioni, individuando le sfide e le opportunità concrete su versante della logistica, dell’economia del mare, dell’integrazione delle filiere produttive. Alle zone economiche speciali

che chiedevamo da anni e che finalmente sono state istituite bisogna dare proprio questa missione: riorientare la strategia di internazionalizzazione del Paese e del Sud verso il suo bacino naturale, il Mediterraneo, intorno al quale si giocheranno grandi sfide nel futuro. I grandi attori globali lo hanno capito, noi fin qui abbiamo fatto troppa fatica. Ma non è mai troppo tardi per recuperare il tempo perduto.

«Al drammatico dualismo generazionale, si sta affiancando un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell'occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi»


primo piano

Trame Africane, per essere felici basta poco Pasquale Coppola, Ceo dell’omonima Industria di Conserve Alimentari di Scafati e fondatore della Onlus, racconta come l’Associazione - coadiuvata dalle Piccole Suore di S. Teresa del Bambin Gesù e da persone capaci del posto - metta a disposizione delle popolazioni keniote strumenti e strutture perché queste possano rendersi autosufficienti e aiutare, a loro volta, altri che hanno bisogno di Raffaella Venerando Pasquale Coppola

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he sia una categoria dell’essere e non dell’avere o che appartenga più al sogno che alla realtà, la felicità è di sicuro un bene assai raro. Raro come le persone capaci di crearne per sé e, ancor di più, per gli altri. Una di queste è Pasquale Coppola, Ceo della Coppola SpA, Industria di Conserve Alimentari di Scafati e fondatore di Trame Africane Onlus.È lui - smessi per un attimo i panni dell’imprenditore - a raccontarci dell’Associazione, di come sia organizzata, di come da scintilla di bontà di un gruppo ristretto di amici nel 2001 sia diventata, in pochi anni, un progetto carico di vita caro a molti.Pasquale è appena tornato dal suo Kenya e negli occhi ha ancora impressi bellezza, commozione e una leggera euforia. È stato lì non solo per supervisionare i progetti in corso - come dice lui stesso - ma anche per “prendere”. Dice di aver raccolto abbracci, sorrisi, lezioni di vita e soddisfazioni per come lì tutto si muova nella direzione giusta. Funzioni, sia utile. Ripercorre il progetto di Trame Africane, partendo dagli inizi: «Avevo voglia di restituire ai meno privilegiati parte della fortuna che, invece, la vita a me aveva dato in sorte. Ho cominciato così - più di vent’anni fa - a impegnarmi nel sociale, seguendo canali e modalità istituzionali. Mi sono accorto presto, però, che quello non era il mio modo, che non mi bastava». Sentiva mediato il suo slancio, sentiva che parte dell’energia investita andava persa e gli sembrava uno spreco donare a metà. Fu allora - e per questo - che pensò di mettere in piedi un’Associazione che facesse dell’aiuto diretto la sua unica bandiera, che destinasse l’intero ricavato delle donazioni a chi ne aveva realmente bisogno, 12 | dicembre 2017 / gennaio 2018

senza intermediari, senza sovrastrutture, in modo semplice. Trame Africane nasce così, con quel nome simbolo di una delle prime attività - la tessitura - ricreata insieme alle donne del luogo nei primi villaggi in cui l’Associazione è intervenuta, ma anche come intreccio di fili che, uniti, formano il tessuto, la forza. La trama che si crea non è mai quella del singolo ma quella della comunità che, grazie all’aiuto di Trame Africane, lavora per diventare autosufficiente. L’Associazione, infatti, coadiuvata dalle Piccole Suore di S. Teresa del Bambin Gesù e da persone capaci del posto, opera mettendo a disposizione delle popolazioni indigene strumenti e strutture - tra cui dispensari medici, scuole e ospedali - perché queste possano rendersi man mano autonome “a casa propria” e farsi motore per aiutare a loro volta gli altri. Niente assistenzialismo, quindi, quanto piuttosto l’offerta di un percorso di riscatto per chi da solo neanche potrebbe immaginarlo. Trame Africane, nel tempo, è riuscita a migliorare le condizioni igienico-sanitarie di Machaka nel cuore del Kenya e di altri villaggi limitrofi, ha permesso a tanti bambini di poter avere un’istruzione scolastica diversamente impossibile, ha creato opportunità di lavoro, ha dato più di una forma alla speranza. Chi dona a Trame Africane partecipa a progetti concreti che vengono seguiti dall’inizio alla fine, in modo compiuto e totale. Un esempio è l’ospedale costruito a valle di Machaka. Mattone dopo mattone, cura dopo cura, le suore missionarie insieme con Trame Africane hanno trasformato gli iniziali 1200 mt² del 2008 in un presidio con 200 posti di letto, che oggi accoglie oltre 120mila


La scuola di computer

Asilo di Machaka

persone all’anno provenienti anche da regioni lontane. Tra i progetti per il futuro un nuovo dispensario medico a supporto dell’ospedale, pronto per Natale, sempre nella regione del Meru a circa 30 km da Kiirua e un Health Center, una struttura di soccorso e prima degenza da costruire nei pressi del lago di Elementaita. Salute e istruzione restano, quindi, i pilastri dell’impegno di Trame Africane perché la filosofia guida è che solo la conoscenza che si moltiplica è capace di affrancare da povertà e mancato sviluppo, solo permettere la conoscenza è veramente donare. Pasquale ha profondità e fuoco nelle parole, nascosti e svelati dietro il largo sorriso di chi ha scelto di essere felice e ha trovato il modo migliore per esserlo. Nonostante questo suo spirito mai arrendevole, dice che non avrebbe potuto - come in azienda - fare tutto da solo. A fargli da spalla larga è la famiglia, che mai gli ha fatto mancare il supporto e che gli ha insegnato la strada, ma anche tanti altri imprenditori, artisti e persone comuni che come lui credono nella bontà ben gestita di Trame Africane. Un sentimento che, dall’Italia fino in Kenya, sembra avere la misura del cielo.

Una delle Piccole Suore di S. Teresa del Bambin Gesù

Un bimbo dell'orfanotrofio


focus

Giovani imprenditori nel Mezzogiorno: nuove opportunità di crescita e il ruolo delle imprese medio/grandi Per un reale potenziamento della forza competitiva del nostro sistema economico diventa fondamentale rafforzare il compito delle capo-filiere nel fornire supporto ai giovani rispetto a quei fattori strategici, quali innovazione, strategie competitive, ma anche cultura manageriale e finanziaria di Salvio Capasso Responsabile Ufficio Economia delle Imprese e del Territorio - SRM salvio.capasso@intesasanpaolo.com

U

n tema oggi sempre più centrale è quello dei possibili percorsi di crescita dei giovani imprenditori in un mercato sempre più competitivo partendo dalla consapevolezza delle loro numerose potenzialità che costituiscono un vero sistema passante di accelerazione dello sviluppo e dell’innovazione. Potenzialità da cui il Mezzogiorno non può prescindere se vuole estendere la “forza” produttiva e tecnologica e accelerare la strada della ripresa, recuperando quanto perso a causa della crisi. Ricordiamo che un fattore chiave per la ripresa è proprio l’abbondanza di capitale umano soprattutto se giovanile: i giovani sono immersi nella comunicazione tecnologica, hanno versatilità mentale multitasking, indossano competenze medie più elevate delle generazioni passate. Tali caratteristiche si sposano bene con i nuovi dettami di un’era sempre più dinamica ed evoluta.

E l’autoimprenditorialità è una strada che continua ad attirare la popolazione giovanile andando a riempire una parte di quel vuoto economico e sociale generato dagli elevati livelli di disoccupazione giovanile. Ciò si verifica in modo particolar nel Sud Italia dove si concentra oltre il 40% delle imprese italiane costituite da giovani sotto i 35 anni (215.723). In realtà, da parte dei giovani imprenditori c’è tanta forza e volontà di incanalare la strada giusta del successo, facendo propri quei fattori - le cosiddette 5 i (impresa, imprenditorialità, investimenti, innovazione internazionalizzazione) - che rappresentano la formula vincente senza cui non è possibile restare sul mercato. In particolare, diversi studi evidenziano il significativo impatto dell’aspetto dimensionale nelle strategie competitive: la minore dimensione media delle imprese giovanili può portare di per sé a una diffusione inferiore di

Imprese giovanili: principali regioni italiane per numerosità e incidenza 16,0

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Incidenza imprese giovanili %

Numero imprese giovanili

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Fonte: elaborazioni ISTAT 14 | dicembre 2017 / gennaio 2018


comportamenti ottimali che si associano più spesso a imprese più grandi, rendendole così più vulnerabili ai rischi del mercato. Accanto alle problematiche strutturali ci sono, poi, quelle sociali, spesso strettamente interconnesse alle prime e forse ancor più rilevanti. I valori espressi nel Mezzogiorno in termini di ricchezza pro-capite, di occupazione e di skill formativi sono - solo per fare qualche esempio - indubbiamente troppo deboli per non creare ostacoli significativi alla crescita diffusa e competitiva di un territorio. Dinanzi al suddetto scenario è indispensabile disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano alle imprese e nel caso specifico ai giovani imprenditori di intraprendere un percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi positivi che apportano sul territorio. Serve un miglioramento del modello economico e maggiore interesse verso quei campi dove il Mezzogiorno ha già potenzialità da poter sfruttare: Bioeconomia, Rigenerazione urbana, Circular economy, Industria 4.0, Tecnologie agricole, Logistica sostenibile, Maritime Economy, Turismo cultura e ambiente, Energie Rinnovabili sono solo alcune delle aree e degli strumenti che potrebbero trovare nel Mezzogiorno ampio spazio per crescere. Ma in modo particolare è utile soffermarsi sull’importanza delle catene produttive internazionali. Si è detto che l’ambiente competitivo è diventato più complicato con l’abbattimento delle barriere dei mercati, l’avvento dell’e-commerce e del mondo del web, l’evoluzione della domanda, l’ambiente competitivo dei sistemi

«Un fattore chiave per la ripresa è l’abbondanza di capitale umano soprattutto se giovanile: i giovani sono immersi nella comunicazione tecnologica, hanno versatilità mentale multitasking, indossano competenze medie più elevate delle generazioni passate»

produttivi locali è diventato più globale, quindi più ampio, più complesso ma anche potenzialmente più profittevole. É evidente che lo sviluppo di una vision imprenditoriale più vocata alla globalizzazione rappresenti un punto di forza per l’imprenditore, sia per la maggiore capacità di soddisfare la domanda interna, sia per la possibilità di integrarsi come fornitore nei cicli produttivi nazionali e internazionali. In Italia, ad esempio, rispetto al passato si rileva una crescente apertura della manifattura italiana all’offerta estera: il contributo estero era il 19% nel 2000, il 24,4% nel 2008 e il 25,6% nel 2014. É chiaro che sono state soprattutto le medio/grandi imprese a sviluppare la capacità di andare oltre i propri orizzonti promuovendo una supply chain internazionale sempre più estesa. Le caratteristiche produttive e competitive del Mezzogiorno imperniate sulla qualità, sulla creatività e sulla competenza costituiscono un forte potenziale economico per sostenere i processi di trasformazione della supply chain internazionale, e sono presenti sul territorio di-

versi esempi di realtà imprenditoriali che producono, innovano e operano con successo in tali mercati. Sono le stesse realtà che consentono al Mezzogiorno di non essere quel deserto industriale da alcuni erroneamente paventato, nonostante i duri colpi della crisi e le numerose difficoltà strutturali e sociali. Va ricordato, infatti, che il peso economico del Mezzogiorno in Europa è rilevante, tale da confrontarsi con l’intero PIL di alcuni Paesi come Svezia, Belgio, Norvegia e Austria e che esistono significative realtà produttive e imprenditoriali che poggiano la loro forza competitiva sull’attrattività nazionale e internazionale dei loro prodotti di eccellenza. In particolare esistono filiere quali ad esempio quella Aerospaziale, Agroalimentare, dell’Abbigliamento Moda, o dell’Aeronautico e del Bio-Farmaceutico che assumono una rilevanza per il peso economico sull’economia interna, e per il contributo al sistema economico nazionale e internazionale e per l’elevato effetto indotto. Qualche dato a conferma di


focus

ciò: le esportazioni dei suddetti settori nel Mezzogiorno pesano il 59% sul manifatturiero (no oil), valore superiore al dato nazionale (36,1%) mentre in termini di valore aggiunto i suddetti settori generano nel Mezzogiorno oltre 11,6 mld di euro. Ma il peso di tali comparti è molto più rilevante se si considerano anche gli intrecci produttivi del Mezzogiorno con il resto dell’Italia. L’approfondimento svolto ad esempio negli ultimi anni da SRM sul tema dell’interdipendenza economica e produttiva tra il Mezzogiorno e il Nord Italia, ha evidenziato proprio la presenza di forti relazioni commerciali all’interno del Paese che ne hanno condizionato la struttura, evidenziando un territorio più unito e attivo di quanto si pensi.Ciò significa che c’è un’interconnessione forte tra l’economia del Nord e quella del Sud, che rende queste due parti del Paese largamente dipendenti l’una dall’altra più di quanto non avvenga, come “sistema Paese”, verso qualunque altro partner dell’Unione Europea. C’è ancora un enorme margine di sviluppo nella competizione globale che deve essere sfruttato per dare nuova linfa e nuove opportunità di crescita economica dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno. É indispensabile infatti non rimanere fermi nel descrivere le difficoltà del nostro sistema economico e produttivo, ma è compito in particolare della cosiddetta “classe dirigente” agire e disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano di intraprendere un più efficace percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi 16 | dicembre 2017 / gennaio 2018

positivi comunque presenti in questi territori. Ma anche le grandi realtà produttive hanno un compito in quanto attrattive, proprietarie di un patrimonio di competenze e di cultura imprenditoriale di grande livello che le rendono vere eccellenze riuscendo ad imporsi in Italia e nel mondo. In altri termini la presenza di medio-grandi imprese sul nostro territorio rappresenta un’occasione di sviluppo per le PMI e anche per i giovani imprenditori in quanto funge da cerniera tra il sistema locale e quello nazionale e internazionale. Le capo-filiere possono aiutare le Pmi e i giovani imprenditori a valorizzare in un contesto più internazionale le proprie produzioni, fornendo supporto a quei fattori strategici, quali innovazione, strategie competitive, ma anche cultura manageriale e finanziaria. Anche sotto questo punto di vista le grandi imprese possono intervenire, alimentando quella cultura finanziaria che supporta tali processi. Le prospettive di crescita sono, dunque, fortemente connesse alla capacità comune di comprendere i profondi mutamenti che stanno avvenendo in campo internazionale e che riguardano sia il “dove” andare per migliorare la propria competitività ma anche il “cosa” fare per innovare e qualificare ancora di più le nostre produzioni e le nostre imprese. Ecco quindi che investire nelle relazioni di connessione produttiva tra le aree del Paese; favorire la crescita e il giusto inspessimento della struttura imprenditoriale; ampliare e rafforzare gli strumenti a sostegno dei processi di internazionalizzazione rappresentano i driver chiave su cui è neces-

sario focalizzare l’attenzione e attuare politiche “industriali” ed economiche finalizzate ad un reale recupero della forza competitiva del nostro sistema Paese (e del Mezzogiorno in particolare). Nel caso specifico dei giovani imprenditori, ma anche delle PMI, non può che essere proficua la relazione con le grandi imprese la quale consentirebbe di supportare gran parte delle suddette strategie. Investendo quindi sul rapporto tra le grandi imprese e i giovani imprenditori è possibile creare più facilmente le condizioni per un reale potenziamento della forza competitiva del nostro sistema economico. Queste azioni consentirebbero di far emergere il forte potenziale economico ancora inespresso del Sud. Pertanto le parole chiave per il presente e il futuro del Paese e del nostro Mezzogiorno sono: qualità della formazione professionale e imprenditoriale, ricerca costante dell'innovazione e della qualità dei prodotti e, soprattutto, rafforzamento delle relazioni produttive ed economiche.

«Serve un miglioramento del modello economico e maggiore interesse verso quei campi dove il Mezzogiorno ha già potenzialità da poter sfruttare. Bioeconomia, Rigenerazione urbana, Circular economy, Industria 4.0, Tecnologie agricole, Logistica sostenibile, Maritime Economy, Turismo cultura e ambiente, Energie Rinnovabili sono solo alcune delle aree e degli strumenti che potrebbero trovare nel Mezzogiorno ampio spazio per crescere»


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Voucher per l'internazionalizzazione, è ora di scegliere Confindustria Salerno, attraverso il suo braccio operativo Assindustria Salerno Service srl, si candida per offrire alle imprese beneficiarie delle agevolazioni quei servizi di accompagnamento indispensabili, che vanno dalla selezione di un TEM con skills ed esperienze certificate, alla progettazione dell’intervento di internazionalizzazione a cura della Redazione

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hi ha fatto richiesta del voucher per l’internazionalizzazione - oltre a incrociare le dita perché la sua domanda trovi accoglimento - dovrà ora affidarsi a una società fornitrice di servizi che ne guidi il percorso, scegliendola tra quelle inserite in un elenco dedicato, reso pubblico sul sito del Ministero dal 20 dicembre 2017. Confindustria Salerno, attraverso la sua società di servizi Assindustria Salerno Service srl - come per la precedente edizione del voucher - si candida per offrire alle imprese beneficiarie delle agevolazioni, non solo socie, proprio quei servizi di accompagnamento indispensabili, che vanno dalla selezione di un Temporary Export Manager con skills ed esperienze certificate che supporterà in maniera adeguata l’azienda finanche nella progettazione dell’intervento di internazionalizzazione. Come più volte sottolineato da Nicola Scafuro, vice presidente di Confindustria Salerno con delega all’internazionalizzazione: «Crescere all’estero richiede determinazione, investimenti,

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nuovi modelli di business, nuove strategie ma soprattutto pianificazione. Per questa ragione lo strumento del voucher è un’opportunità da cogliere perché consente di mettere in mani esperte il proprio progetto di espansione, affidandosi a chi ha già contezza dei diversi contesti competitivi. Ed è una opportunità vincente se la si affronta con la necessaria serietà, la stessa che garantisce Confindustria Salerno». Gli fa eco Alessandro Sacrestano, amministratore unico di Assindustria Salerno Service, la società TEM, già iscritta nell’elenco del 2015 del Ministero dello Sviluppo Economico e accreditata a fornire servizi di accompagnamento ai processi di internazionalizzazione alle PMI beneficiarie del voucher, che chiarisce: «Assindustria

Salerno Service mette a disposizione non solo delle imprese socie di Confindustria Salerno la comprovata esperienza dei suoi TEM - che già collaborano con imprese operanti in diversi settori - corroborata dalla possibilità di fruire di una corsia preferenziale che il Ministero ha riservato alle società delle associazioni di imprese, Confindustria in primis, nell’accreditamento delle società dei TEM. Una doppia buona promessa di risultato per le PMI che sceglieranno il nostro supporto». Per maggiori informazioni, è possibile contattare la dottoressa Monica De Carluccio, Servizi per le Imprese - Internazionalizzazione di Confindustria Salerno allo 089.200811, m.decarluccio@confindustria. sa.it.


Autorizzazione Unica Ambientale, Provincia e Confindustria Salerno si alleano C’è la firma per la semplificazione del complesso iter procedurale. L’intesa tra le istituzioni prevede la costituzione di uno sportello informativo in Confindustria Salerno, fruibile dalle aziende associate, che faccia da ponte con la Provincia e tra questa e gli altri enti coinvolti nel procedimento, facilitando in modo particolare il dialogo con i SUAP a cura della Redazione

I

l 27 ottobre scorso nella sede della Provincia di Salerno, il presidente di Confindustria Salerno, Andrea Prete e quello della Provincia, Giuseppe Canfora, hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa per la semplificazione del procedimento di Autorizzazione Unica Ambientale. L’accordo intende rafforzare il percorso di lavoro e collaborazione già in essere da anni con la Provincia sui diversi ambiti di competenza, formalizzando le attività in materia di Autorizzazione Unica Ambientale al fine di favorire ulteriormente l’interscambio di informazioni e condividere proposte di semplificazione del complesso iter procedurale. In ragione dell’intesa sarà costituito

uno sportello informativo in Confindustria Salerno, fruibile dalle aziende associate, che funga da anello di raccordo con la Provincia di Salerno (Autorità competente), e tra questa e gli altri enti coinvolti nel procedimento, facilitando in maniera particolare il dialogo con i SUAP. Lo Sportello garantirà, inoltre, alle aziende orientamento normativo in materia e il supporto per una prima verifica documentale. «Un altro passo è stato compiuto nella direzione di facilitare il dialogo tra le aziende e gli enti preposti - ha sottolineato il Andrea Prete - al fine di favorire la semplificazione burocratica e amministrativa. Le aziende lamentano da tempo la lungaggine e la complessità degli iter procedurali, concreti ostacoli alla vita d’impresa. In riferimento al procedimento di Autorizzazione Unica Ambientale, riteniamo necessario affrontare con l’Autorità competente eventuali criticità che le nostre aziende associate ci segnaleranno, onde evitare per queste la stasi del procedimento. L’obiettivo sarà risolvere le problematiche che sottendono all’empasse, favorire la semplificazione del

procedimento con uno sforzo condiviso e accelerare i tempi di rilascio dell’Autorizzazione». Competente per il rilascio è proprio la Provincia, unico riferimento anche per il rinnovo e l’aggiornamento dell’Autorizzazione Unica Ambientale di cui al Dpr 59\2013. L’AUA, che sostituisce ben 7 titoli abilitativi in materia ambientale, si applica alle piccole e medie imprese e agli impianti non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale. Ne deriva che la maggior parte degli impianti presenti in provincia di Salerno sia sottoposta al regime dell’Autorizzazione Unica Ambientale. «Obiettivo comune - ha dichiarato il presidente Canfora - è rafforzare la collaborazione sui temi della diffusione per favorire l’interscambio di informazioni attraverso un flusso informativo fluido e comprensibile che garantisca il principio di trasparenza e chiarezza delle attività della pubblica amministrazione senza compromettere il processo di semplificazione. La Provincia anche con questa azione mostra il suo interesse ad agevolare lo sviluppo globale delle realtà produttive provinciali».


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2017, è la volta del PMI DAY “originale” L’edizione di quest’anno è stata dedicata al contrasto della contraffazione, fenomeno sempre subdolo e spesso sommerso, che mette a rischio non solo aziende e il sistema economico in generale, ma anche la salute stessa dei consumatori a cura della Redazione

È

salito a quota otto edizioni il PMI Day-Industriamoci, l’iniziativa ideata per contribuire a diffondere la conoscenza della realtà produttiva del territorio italiano e, con essa, i valori fondanti e collettivi del fare impresa attraverso visite guidate nelle PMI associate al Sistema Confindustria. Il 17 novembre scorso si sono aperte così le porte di numerose piccole e medie aziende su tutto il territorio italiano con un obiettivo quest’anno ancor più specifico: sensibilizzare i giovani sull’importanza della lotta alla contraffazione. La contraffazione è un fenomeno sempre subdolo e spesso sommerso, che mette a rischio

non solo aziende e il sistema economico in generale, ma molto spesso anche la salute stessa dei consumatori attraverso componenti tossiche o non a norma, abbondantemente presenti nei prodotti contraffatti. In Italia il fatturato del “falso” è quantificato in circa 7 miliardi di euro (dati 2015). Se si riuscisse a mettere fuori mercato tale giro di affari, sostituendolo con business dalla chiara legalità, si avrebbero 18,6 miliardi di euro di produzione aggiuntiva, la creazione di circa 100.000 unità di lavoro in più e un aumento del gettito fiscale, tenuto conto che oggi il mercato del falso sottrae all’erario 1,7 miliardi di euro tra imposte dirette e indirette. Nelle classifiche dei prodotti più contraffatti, al primo posto per valore del fatturato, ci sono l’abbigliamento e gli

accessori moda, seguiti dal settore degli audiovisivi e dai prodotti alimentari. In crescita il comparto dei dispositivi elettronici, soprattutto cellulari e componenti, e degli orologi e dei gioielli. In occasione del PMI DAY 2017, la Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione - Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero dello Sviluppo Economico, ha aperto agli studenti una sessione straordinaria del concorso a premi ”IO SONO ORIGINALE” proprio per una corretta informazione sui rischi legati alla contraffazione, l'utilizzo degli strumenti di tutela della proprietà intellettuale-industriale e la diffusione della cultura della legalità contro il mercato del falso. Per partecipare, occorreva scaricare l'APP "Vinci Originale" (da APP Store o da Play Store), registrarsi e

L'Istituto Tecnico Industriale "B. Focaccia" di Salerno in visita alla Bioplast di Fisciano 20 | dicembre 2017 / gennaio 2018


quindi dare la giusta risposta a 10 domande nel minor tempo possibile. In palio per i primi due classificati uno smartphone o un tablet. Anche quest’anno è stato poi possibile coinvolgere nei percorsi di visita, a livello territoriale, le aziende agricole grazie alla partnership tra Piccola Industria e Confagricoltura. Così si è fatto anche a Salerno, dove diciassette sono state le piccole e medie imprese che hanno ospitato 367 studenti della provincia per mostrare loro dal vivo come si svolge la vita in impresa. «Quest’anno la Giornata - ha spiegato Gerardo Gambardella, presidente del Comitato Piccola Industria di Confindustria Salerno - è stata dedicata alla lotta alla contraffazione, un tema importante da affrontare con le nuove generazioni fin dai banchi di scuola. I numeri del falso in Italia evidenziano come la contraffazione rappresenti a tutti gli effetti un settore economico parallelo a quello ufficiale, con ripercussioni considerevoli su Made in Italy, sulla sicurezza e l’ordine pubblico, sul mercato del lavoro, sul gettito erariale e sulle finanze statali e sulla legalità in generale. Siamo convinti che occorra diffondere una cultura della legalità fin dalle scuole, affinché queste formino individui consapevoli di scegliere sempre la strada maestra della trasparenza». Le aziende salernitane coinvolte nell’iniziativa sono state: Arti Grafiche Boccia di Salerno, Bioplast Srl di Fisciano, De Iuliis Macchine di Fisciano, Essenia

Uetp di Salerno, Giroauto Travel Srl di Salerno, Gruppo Iovine Srl di Baronissi, Industria Grafica FG Srl di Salerno, Italiana Energia Spa di Nocera Inferiore, Jobiz Formazione Srl di Salerno, Intercar Group di Montecorvino Pugliano, Manifatture Tessili Prete Srl di Scafati, Mgr Srl di Cicerale, Michele Autuori Srl di Salerno, Re.Ma.Plast Srl di Sarno, Sider Pagani di Pagani; Sip & T di Baronissi; Rinaldi Group di Giffoni Valle Piana, Rago Group e Finagricola di Battipaglia.Le scuole partecipanti all’iniziativa, invece, sono state: Liceo Scientifico “Da Procida” di Salerno, Istituto Tecnico Industriale Basilio Focaccia di Salerno, Istituto d’Istruzione Superiore Galileo Galilei di Salerno, Istituto d’Istruzione Superiore Santa Caterina e Amendola di Salerno;

Istituto d’Istruzione Superiore “R. Virtuoso” Salerno, Istituto d’Istruzione Superiore Baronissi Indirizzo Tecnico, Liceo Artistico “Sabatini - Menna” di Salerno; Istituto d’Istruzione Superiore Raffaele Pucci di Nocera Inferiore; Istituto d’Istruzione Superiore Focaccia Salerno; Istituto d’Istruzione Superiore Cuomo Milone Indirizzo Moda di Nocera Inferiore; Istituto d’Istruzione Superiore Cenni -Marconi di Vallo Della Lucania; Istituto d’Istruzione Superiore -Giovanni XXIII Tecnico Nautico Salerno; Istituto d’Istruzione Superiore Fermi Sarno, Liceo Scientifico "Mons. Bartolomeo Mangino” di Pagani; Istituto d’Istruzione Superiore Galileo Galilei di Salerno, Liceo Scientifico Alfano I di Salerno e il Profagri di Battipaglia.

Liceo Scientifico "Alfano I" di Salerno in visita presso la Valflex, Rinaldi Group


L'I.I.S.S. Santa Caterina e Amendola di Salerno in visita alla Essenia Uetp

L'I.I.S. Baronissi (indirizzo tecnico) presso il Gruppo Iovine srl

Liceo Artistico "Sabatini-Menna" di Salerno da Industria Grafica FG

L'I.I.S."Raffaele Pucci" di Nocera Inferiore in visita da Italiana Energia

L'I.I.S.S. Santa Caterina e Amendola di Salerno da Jobiz Formazione

L'I.I.S. "Fermi" di Sarno da Re.Ma.Plast

L'I.I.S. "Focaccia" di Salerno da Intercar di Montecorvino Pugliano

L'I.I.S. "Galileo Galilei" di Salerno dalla SIP & T


L'I.I.S. "Cuomo Milone"di Nocera Inferiore in visita da Manifatture Tessili Prete

Liceo Scientifico "Mons. Bartolomeo Mangino" di Pagani alla Sider Pagani

L'I.I.S. "Cenni-Marconi" di Vallo della Lucania alla MGR

L'I.I.S. "Giovanni XXIII" Tecnico Nautico di Salerno in visita alla Michele Autuori

L'I.I.S. Galileo Galilei di Salerno in visita alla De Iuliis Macchine


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DELBASSO parquet, l’incanto dell’artigianalità senza tempo Oltre alla garanzia di un prodotto finito non in serie, l’azienda assicura un trattamento ecosostenibile, con oli vegetali e componenti naturali che non inquinano, in perfetta rispondenza alle logiche della bioedilizia

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ELBASSO parquet è un’azienda a conduzione familiare che, da tre generazioni, si occupa della lavorazione del legno per la realizzazione di pavimenti artigianali. La storia inizia oltre un secolo fa quando un artigiano, molto abile nel lavorare il legno, decide di avviare una propria attività commerciale per la realizzazione di infissi. Nel corso del tempo, la piccola bottega artigiana è cresciuta, specializzandosi sempre più, nella produzione di parquet. Oggi la DELBASSO è un punto di riferimento per la produzione di pavimenti in legno artigianali made in Italy, capaci di dare vita e forma a un’opera unica, esattamente come unico è chi l’ha progettata. Grazie alla sapienza artigianale, combinata ad una moderna capacità industriale, l’azienda offre soluzioni personalizzate, prodotti esclusivi e di qualità, a scelta tra pavimenti in legno tre strati, pavimenti in legno massello e pavimenti in legno 2 strati, rivolgendosi principalmente al canale retail per il settore residenziale, commerciale e horeca di fascia alta. Di particolare pregio le essenze utilizzate che spaziano dalla quercia francese - quella a maggiore impiego - alla quercia italiana, al noce nazionale, al rovere antico, all’abete di recupero di prima patina e olmo antico di seconda patina, nell’ambito dei legni prefiniti 3 strati, con 6-8 millimetri di legno nobile e un supporto in bistrato incrociato di abete che rende le creazioni DELBASSO resistenti e durevoli, adatte a pavimenti riscaldati e a posa incollata o flottante. L’estrema cura dell’azienda nella selezione dei legni vede prediligere quelli italiani e i legni di recupero, soprattutto per dare la possibilità a questo

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materiale così prezioso di continuare a vivere. La nobiltà dei materiali scelti rende possibile realizzare grandi e piccoli listoni, spine francesi e masselli, dando vita a splendide fusioni di colori e design che conservano intatto il profumo originario del legno madre e restituiscono una piacevole sensazione tattile fedele alla percezione visiva di totale naturalezza del prodotto. Il ciclo di lavorazione e finitura viene realizzato interamente in Italia, completamente a mano, presso lo stabilimento di Battipaglia, dove nascono parquet artigianali impreziositi con finiture sempre diverse. Oltre alla garanzia di un prodotto non in serie, l’azienda assicura un trattamento ecosostenibile, con oli vegetali e componenti naturali che non inquinano, in perfetta rispondenza alle logiche della bioedilizia. Sebbene i metodi di lavorazione siano cambiati nel tempo e sicuramente evoluti rispetto alle origini, l’amore e il rispetto che la DELBASSO nutre nei confronti del legno sono gli stessi di una volta, gli stessi a fare la differenza con un normale parquet. Il punto di forza dell’azienda oggi più che mai è la completa personalizzazione dei prodotti. Il tempo ha solo aggiunto, all’incanto dell’antica artigianalità, un approccio indispensabilmente moderno nella realizzazione di parquet made in Italy.

CONTATTI Viale Brodolini, 19 Battipaglia (Sa) Tel. +39 0828.307383 Fax +39 0828.614802 info@delbasso.it / www.delbasso.it


Ines, il design che fa bene alla salute La società di ingegneria realizza sale diagnostiche la cui bellezza migliora le prestazioni del personale delle strutture e, sul fronte psicologico, la degenza dei pazienti

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nes è una società specializzata nella realizzazione di impianti speciali in ambito ospedaliero, la cui attività principale è la realizzazione di gabbie di Faraday e installazioni specifiche per le risonanze magnetiche. Si colloca in un mercato di nicchia, in cui sono presenti in Italia “solo” 5 aziende che operano in ambito sia pubblico, sia privato. La società nasce nel 2012 dall’esperienza maturata dai soci negli anni passati che, perso il lavoro a seguito della crisi finanziaria che ha colpito il sistema imprenditoriale italiano, tutt’altro che arrendevoli, hanno deciso di provarsi in questa nuova avventura. La determinazione e la profonda conoscenza del business ha convinto i soci a rimettere in piedi, ma in modo autonomo, la stessa attività svolta in passato, senza avere capitali da poter investire, ma certi della bontà della loro idea imprenditoriale e della voglia di farcela. Oggi l’azienda conta 15 collaboratori stabili, tra dipendenti e consulenti e nel 2016 ha realizzato oltre 1 milione di fatturato. Nonostante i buoni risultati, però, i soci continuano a vedere la propria azienda dall’interno, senza aver perso quella buona lena nel fare che li muove innanzitutto come lavoratori e poi come imprenditori. Il successo ad oggi riscontrato è principalmente il frutto di elevate competenze professionali, ma anche di flessibilità, cura del cliente, attenzione al paziente e innovazione. Le soluzioni progettuali della Ines sono sempre orientate a soddisfare il cliente in ogni modo e a far sì che ogni installazione non sia mai uguale ad una precedente. In più

l’azienda si fa vero partner per i clienti, investendo con loro nella migliore soluzione di design per realizzare una sala diagnostica per quanto possibile “piacevole per il paziente” e “rivendibile per l’azienda” in termini di marketing. Quella che oggi viene da più parti definita “umanizzazione della cura”, la Ines ha cominciato a realizzarla sin dalle prime installazioni, perché ha sempre creduto che un ambiente più rilassante aiuti non solo il paziente a sopportare meglio l’esame diagnostico, ma anche tecnici e radiologi a svolgere al meglio il proprio lavoro. Con il passo di chi sa dove andare e come procedere, la Ines ha realizzato nei suoi anni di attività restyling completi non solo di sale di risonanza di altri competitors, ma anche di reparti ospedalieri come radio terapia, pediatria, e altri ancora. Da quest’anno, poi, ha deciso di sfidare il mercato estero, con particolare attenzione a quello arabo e nord africano. L’obiettivo a breve termine è quello di iniziare a commercializzare prodotti innovativi per le sale risonanza, la maggior parte dei quali inventati dalla stessa azienda, per riuscire così in un futuro non troppo lontano a imporsi come leader nazionale e riferimento per i grandi produttori di RM nel mondo.

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Borgherese Consŭlĕre, la Risorsa è Umana Nel mondo complesso e talvolta confuso delle organizzazioni, la consulenza offerta dalla società fa sì che le aziende diventino innanzitutto una comunità di persone in cammino che acquisisce valore ambientale, educativo, sociale, culturale ed economico

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orgherese Consŭlĕre ritrova i suoi luoghi di espressione nell’ampio territorio della Gestione delle Risorse Umane. L’azienda nasce dal desiderio e dall’esperienza della sociologa Giulia Borgherese che coinvolge nella nuova impresa i fratelli, Lelio e Marco, imprenditori moderni e vivaci. Nel mondo complesso e talvolta confuso delle organizzazioni, la consulenza offerta dalla Borgherese Consŭlĕre favorisce il tempo e lo spazio per prendersi cura delle persone, vera linfa di ogni impegno imprenditoriale. Le attività svolte prevedono l’analisi e la diagnosi della cultura aziendale, la psicologia dell’organizzazione, la selezione e la valutazione delle prestazioni professionali, la diversità di genere applicata alle aziende, il Self Reparenting nei passaggi generazionali, l’Educazione alla Persona, il monitoraggio e la verifica delle dinamiche generate. Acquisire l’autorità, l’intelligenza sociale, il benessere, l’energia delle relazioni consente ai lavoratori e alle lavoratrici, in ruoli diversi, di divenire consapevoli delle visioni, degli obiettivi, delle metodologie, degli strumenti nei processi aziendali.

26 | dicembre 2017 / gennaio 2018

Quando la Risorsa è Umana, il potere delle relazioni è liberante e sostituisce le relazioni di potere che soffocano e determinano iperadattamento. Coltivare il desiderio attraverso lo studio e la ricerca condivisi, mediante comportamenti congruenti ed efficaci, favorisce un’imprenditorialità responsabile e gioiosa. È bello ed è utile che nelle organizzazioni si incontrino persone autentiche e generose. Professionisti in cammino. Nei gruppi di lavoro, alla qualità delle prestazioni affianchiamo la qualità delle relazioni, la capacità di operare sentendo, pensando e agendo a favore del profitto e del successo di tutti/e. Ogni azienda diviene una comunità di persone in cammino che acquisisce valore ambientale, educativo, sociale, culturale ed economico. La Borgherese Consŭlĕre analizza, condivide, attiva percorsi virtuosi verso l’autonomia indagando, di ogni persona, inclinazioni e passioni e cristallizzando sistemi di governo sereni e proficui.

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strategia di impresa

«Più forti i Confidi, più forte il credito alle imprese» Rosario Caputo, presidente di GA.FI. e di Federconfidi, delinea il futuro prossimo degli organismi di garanzia

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residente, la fusione per aggregazione con CRC ha consolidato ulteriormente la posizione di GA.FI.. Sì, oggi GA.FI. è l’organismo di garanzia più importante del Sud. Ciò è stato possibile grazie a un processo di concentrazione di forze e risorse, che si configura come un’azione di crescita dimensionale, da un lato, e di efficienza organizzativa, dall’altro. Per quanto riguarda la Campania, qual è il suo giudizio sul sostegno ai Confidi? Nell’ultimo biennio abbiamo avvertito un radicale cambiamento delle politiche creditizie a sostegno delle imprese

e un reale coinvolgimento dei Confidi nella gestione degli strumenti di incentivazione e nell’allocazione delle risorse alle PMI. Credo che su questo fronte ancora ci sia molto da fare e sono convinto che la lungimiranza dell’attuale gestione politica regionale assegni un ruolo fondamentale ai Confidi sin dalla prossima programmazione comunitaria. Secondo lei in che modo? Dobbiamo destinare risorse finanziarie per potenziare i sistemi di garanzia in grado di generare una forte leva di sviluppo per le PMI, ad iniziare dalla possibilità di creare una sezione speciale presso il Fondo di Garanzia da utilizzare in controgaranzia pei i Confidi vigilati affinché, in seguito alla revisione dei criteri del Fondo stesso, si possa mantenere inalterato il livello di copertura attualmente ricevuto. Inoltre sarà utile replicare iniziative come il Fondo di garanzia rotativo affidato ai Confidi e operazioni di Tranched Cover. Come valuta la riforma del Fondo Centrale di Garanzia? La riforma renderà le modalità di intervento del Fondo più efficaci ed efficienti, riducendo l’assorbimento di risorse pubbliche a parità di volumi di finanziamenti garantiti. Dal 1° gennaio 2018, con le nuove disposizioni l’intervento pubblico in favore di imprese sarà inversamente proporzionale al loro standing, assicurando ai Confidi

una maggiore possibilità operativa sebbene con percentuali di copertura inferiori. La legge 150 del luglio 2016 sollecita i confidi ad autoriformarsi. Pur mancando ancora i decreti attuativi, ritengo siano quattro gli obiettivi da raggiungere: ridefinire il ruolo del sistema dei confidi nella filiera della garanzia; rafforzarne la capacità di sostegno all’accesso al credito delle micro imprese e delle pmi; semplificare e razionalizzare gli adempimenti e lo scenario normativo di riferimento; assicurarne la sostenibilità nel tempo. Qual è il suo pensiero sugli NPL, i cosiddetti crediti deteriorati? Nutro forte perplessità per le proposte della vigilanza bancaria Bce. In questo momento un’ulteriore stretta creditizia accrescerebbe la selettività del credito riducendone l’erogazione. Le imprese vanno supportate e non penalizzate nell’accesso al mercato finanziario e dei capitali. Dallo scorso luglio lei è anche Presidente Nazionale di Federconfidi. Anche da un osservatorio più ampio, la fotografia del sistema non muta. È importante realizzare forme di condivisione dei rischi tra i confidi, per essere più forti. Uno spirito di mutualità che ha sempre caratterizzato i confidi e consentirebbe di assicurare un crescente flusso di finanziamenti alle imprese.


strategia di impresa

Maria Raffaella Caprioglio

Apprendistato con Umana: imparare facendo Un modello competitivo per soddisfare la ricerca di professionalità nelle aziende

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na potente leva di placement, capace di sostenere l’occupazione dei giovani e al tempo stesso rispondere alle esigenze delle imprese. Sono già molte le aziende che hanno compreso il valore dell’Apprendistato, uno strumento che sta vivendo in questi ultimi due anni una nuova e positiva stagione. A cogliere l’occasione sono soprattutto quelle PMI che oggi cercano collaboratori capaci di immettersi subito nel circuito produttivo dell’azienda, ma che faticano a trovare profili adatti alle loro necessità. In un mercato del lavoro sempre più flessibile ed evoluto, il nodo da sciogliere è infatti ancora il dialogo fra formazione e impresa. E in questo articolato e delicato contesto, l’Apprendistato, anche

28 | dicembre 2017 / gennaio 2018

in somministrazione, è chiamato a rivestire sempre più efficacemente una funzione di raccordo tra le giovani generazioni e le aziende. Questo strumento - in tutte le sue declinazioni, sia esso di I, II o III tipo - affida oggi alle Agenzie per il Lavoro un ruolo centrale, anche in forza delle misure di politica attiva che hanno saputo valorizzarlo. Le imprese potranno infatti godere dei vantaggi del rapporto triangolare proprio della somministrazione individuando quelle figure che più si attagliano alle loro esigenze, scegliendo giovani promettenti e motivati, intravedendo in loro i futuri collaboratori di fiducia, addestrandoli professionalmente sotto la propria guida e monitoraggio. A sostenere le ragioni di un consenso crescente verso l’Apprendistato, c’è la revisione della disciplina (il cd “Codice dei Contratti”, introdotto con il D.Lgs. 81/2015) che ne ha rilanciato il senso e la fruibilità delineando nella pratica un modello in cui tutti vincono: vincono i giovani cui si rivolge, vincono le imprese che possono finalmente contare su risorse formate e motivate e vince quel mercato del lavoro che da tempo non registrava significativi segnali di ripresa verso un’occupazione stabile e di qualità. È per questo che Umana, Agenzia per il

lavoro che conta in Italia 130 filiali operative e impiega mediamente ogni giorno 23mila persone, prosegue il suo convinto cammino volto a promuovere l’Apprendistato in somministrazione, quale soluzione formativa integrata di alto valore aggiunto: «L’inserimento dei ragazzi in Apprendistato nelle nostre aziende clienti, in particolare professionalizzante di secondo livello, ma anche di I e III tipo, e la partecipazione di queste alla formazione e all’inserimento dei nuovi tecnici avanzati - spiega Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana - sono favoriti dagli indubbi benefici generati dalla vera contaminazione quotidiana tra chi fa impresa e chi fa scuola. Una sinergia che cerchiamo di favorire e che crediamo possa dare un importante contributo di crescita economica, occupazionale e sociale a tutti gli attori coinvolti». Con le novità introdotte dalla nuova disciplina, relative in particolar modo all’Apprendistato di I e III tipo, infatti, si pongono per la prima volta le fondamenta dell’Apprendistato cosiddetto duale, già da tempo introdotto con ottimi risultati in altri paesi europei, grazie al quale il mondo della formazione e quello del lavoro hanno finalmente la possibilità di dialogare, interconnettersi e mettere a fattor comune le rispettive necessità.


Gruppo Gallozzi, 65 anni proiettati nel futuro Da Salerno sulle rotte di Inghilterra, Cina e Turchia

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residente, dicembre è tempo di bilanci. Come è stato il 2017 per il suo Gruppo? Senza dubbio un anno speciale, in cui abbiamo guardato come sempre avanti, fermandoci però anche a renderci conto di quanta strada abbiamo percorso. I numeri che è importante sottolineare questa volta sono quelli dietro cui c’è la storia di tante persone, di tante famiglie. Sono i numeri di quanti lavorano nel Gruppo Gallozzi. Nel 1997 erano 111. Dieci anni dopo, sono diventati 252. Oggi, nel 2017, gli addetti sono 343. Ed è giusto, in questa circostanza, che il ricordo vada prima di tutto a colui che diede vita a questa straordinaria avventura umana e imprenditoriale. Giuseppe Gallozzi legò, con

passione, la sua vita al porto di Salerno, che contribuì a inventare, ponendo, nel 1952, insieme con la moglie Titina, le radici di quello che è oggi il Gruppo Gallozzi SpA. Cosa è cambiato da allora? In questi anni la governance è rimasta ancorata ad una visione strategica che prende spunto dalla constatazione che, per crescere strutturalmente, l’Italia ha bisogno di produrre di più e vendere di più. Da ciò ne consegue che l’Italia va vista come una grande piattaforma delle produzioni industriali export oriented. Una piattaforma resa competitiva da un’efficiente rete di regional port territoriali, anello forte di un sistema di logistica concepito per espandersi capillarmente a livello globale. Progetti per il futuro? La sfida per il Gruppo è continuare a crescere a Salerno e nel mondo. A Salerno dove il legame con la città è fortissimo e dove batterà sempre, con passione, il cuore dell’azienda. Nel mondo perché la nostra economia non può espandersi se non ricercando sempre maggiori affermazioni sui mercati internazionali, sviluppando nuove alleanze e perché le sfide si vincono rinsaldando e allargando le intese, non restando marginali.

Nel 2017 il Gruppo Gallozzi “compie” 65 anni (fu fondato nel 1952); Salerno Contaniner Terminal (movimentazione terminalistica dei container) arriva al traguardo dei 40 (nacque nel 1977); GF Logistic China (spedizioni, trasporti e logistica internazionali) con base a Shanghai giunge al decimo anno; Marina d’Arechi SpA ha 5 anni e GF Logistic Turkey ha da poco iniziato a muovere i primi passi

Agostino Gallozzi, presidente Gallozzi Group


strategia di impresa

BNL Gruppo BNP Paribas continua a investire sul territorio salernitano La storica Banca ha attivato AgriBusiness, un sistema di soluzioni personalizzate dedicato agli imprenditori del settore agricolo

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NL Gruppo BNP Paribas è una banca storica che continua ad investire sul territorio salernitano. In questi giorni, infatti, l’istituto ha rafforzato la propria attività inaugurando in Corso Garibaldi 200 un nuovo format di accoglienza. Trasparente e senza barriere, automatizzato, altamente tecnologico, rinnovato nella distribuzione degli spazi, è un punto d’incontro delle competenze del Gruppo BNP Paribas. L’attenzione alle esigenze del cliente è espressa anche nel centro dedicato alle imprese, il “Creo”,

30 | dicembre 2017 / gennaio 2018

dove l’imprenditore è seguito da un gestore dedicato per lo sviluppo della propria azienda, e da un Private Banker per la gestione del patrimonio personale. Il Centro “Creo” diventa un punto di riferimento per chi vuole mirare all’ingresso sui mercati esteri. BNP Paribas è tra i leader mondiali nel mercato bancario e finanziario, operando con una presenza diretta in oltre 70 Paesi. Operare con l’estero vuol dire transazioni commerciali internazionali e, in questo ambito, per facilitare l’execution contrattuale si inseriscono le garanzie internazionali di BNL sia nelle fasi di ordinaria gestione di impresa, ma anche per partecipare a gare d’appalto nel mondo, realizzando sviluppo e crescita aziendale. L’offerta BNL include, tra gli altri: Bid Bond, Performance Bond, Advance Payment bond e Lettere di credito Standby. L’imprenditore potrà rivolgersi al centro “Creo” anche per tutte quelle dinamiche dell’azienda legate agli aspetti del passaggio generazionale. Sempre supportato dal responsabile della relazione potrà trarre vantaggio dalle società del Gruppo BNP Paribas specializzate in Leasing, Factoring o nei sistemi di incasso che si avvalgono di un’infrastruttura tecnologica con elevati standard di sicurezza e flessibilità. Continua-

re a essere competitivi nell’epoca dell’evoluzione dei mercati e del digitale impone di investire e di crescere nella cultura dell’aggregazione di aziende in Reti d’impresa. BNL sostiene la concessione di agevolazioni creditizie dedicate. Valido partner per la spinta sulla competitività delle aziende agroalimentari, BNL ha attivato AgriBusiness, un nuovo sistema di soluzioni personalizzate dedicato agli imprenditori del settore agricolo che attraverso la competenza di un Desk specialistico si occupa di Energie Rinnovabili e di finanziamenti assistiti da garanzie ISMEA. L’agricoltura necessita oggi di essere sostenuta con progetti di glocalizzazione, di economia circolare, dell’apporto delle nuove tecnologie e delle reti d’impresa. BNL si pone come partner di imprese che operano in tutti i comparti e che desiderano intercettare i trend di uno sviluppo futuro sempre più declinato sulla sostenibilità della crescita e sulla circolarità dell’economia. Per affiancare l’imprenditore in una necessaria crescita aziendale è stato realizzato un Desk specialistico che valuta e gestisce le progettualità delle aziende, sia in ambito Industria 4.0, che per le esigenze di finanza strutturata legate alla discontinuità aziendale.


Rainbow Tower - Panama

Garone Habitat, in alto fino ai grattacieli di Panama City Flessibilità di prodotto, presenza commerciale in loco ed elevata innovazione tecnologica rappresentano i fattori alla base del successo dell’azienda salernitana che oggi si prova, con ottimi riscontri, sulla scena internazionale

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arone Habitat è un’impresa salernitana con una lunga esperienza nel settore degli infissi in legno e legno-alluminio. Dopo aver consolidato la presenza nel mercato italiano, l’azienda ha avviato, recentemente, importanti collabora-

zioni commerciali all’estero. Grazie alla qualità dei prodotti, alla flessibilità produttiva e alle partnership commerciali, Garone Habitat ha ottenuto una commessa importante, ovvero quella di realizzare i serramenti e fornire i contract chiavi in mano per i nuovi grattacieli di Panama. L’azienda ha fornito infissi, porte e mobili per Rainbow Tower, Firenze Tower, South Coast Tower, Roma Tower, mentre sono in fase di completamento i grattacieli Great City e Venezia Tower. Un risultato molto importante per un’impresa salernitana da poco sul mercato internazionale ma che già si misura con successo con aziende concorrenti di grandi dimensioni. Se da una parte, però, le grandi imprese riescono a usufruire di maggiori economie di scala, dall’altra, quelle piccole o medio-piccole come la Garone Habitat, hanno la flessibilità necessaria per poter rispondere alle esigenze specifiche dei singoli clienti, fornendo soluzioni su misura. «Il nostro punto di forza - ha sottolineato il direttore commerciale dell’azienda Garone

Habitat, Pasquale Garone - è rappresentato proprio dalla capacità di progettare e realizzare prodotti su misura e in grado di assecondare le richieste dei clienti panamensi». Operando in questo modo, quindi, l’impresa è riuscita a creare un vantaggio competitivo di notevole rilievo, sia nei confronti di molti concorrenti italiani che di quelli esteri. «L’altro aspetto competitivo determinante - ha aggiunto Garone - è la nostra presenza diretta, con l’ausilio di un responsabile della Garone Habitat, presso i cantieri panamensi per verificare il corretto andamento dei lavori». A tutto questo si aggiunge l’innovazione tecnologica introdotta recentemente nel processo produttivo aziendale. Garone Habitat ha infatti investito cospicue risorse finanziarie per automatizzare il sistema produttivo, attraverso l’introduzione della robotica e di macchinari ad alta tecnologia. Flessibilità di prodotto, presenza commerciale e innovazione tecnologica, quindi, rappresentano i fattori alla base del successo dell’azienda italiana nello scenario internazionale.


strategia di impresa

Infissi grattacielo Panama

South Coast - Panama

Contract - Panama

Roma Tower - Panama 32 | dicembre 2017 / gennaio 2018

Il team di Garone Habitat


Patto di famiglia, la D’Amico fa scuola Per gestire al meglio il passaggio di testimone alla terza generazione, l’azienda si è affidata alla competenza dello Studio Ambrosetti con cui ha organizzato un incontro per raccontare il percorso finora svolto di Raffaella Venerando

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el nostro Paese l’impresa è di frequente un bene di famiglia e, come tale, entra in successione. Continuità, cambiamento e passaggio generazionale sono, quindi, da sempre temi molto sentiti e seguiti dalle aziende. A questi era, infatti, dedicato l’incontro tenutosi alla D’Amico, azienda tra le

principali in Italia specializzata nella produzione di conserve alimentari, oggi alla terza generazione. Testimonial di un passaggio di consegne nel tempo ben riuscito è stata proprio la storia della famiglia D’Amico, cominciata nel 1968 per volere dei fratelli Francesco e Mario D’Amico che, però, decisero per lungo tempo di fare affari - nella stessa struttura, con gli stessi prodotti ma ciascuno per conto proprio. Per i sopraggiunti figli dei due - come ci racconta Sabato D’Amico, attualmente amministratore delegato D&D Italia SpA - questa faccenda del “muro di Berlino” in famiglia, però, era difficile da mandar giù. Dopo qualche anno, pertanto, proposero ai padri di riunire le forze per andare più lontano. Da allora di strada ne hanno fatta tanta e oggi, per non interrompere il buon cammino, si sono affidati allo Studio Ambrosetti per gestire al meglio il passaggio di testimone alla terza generazione. «Abbiamo voluto stabilire delle regole - racconta Sabato D’Amico perché, anche se è vero che i nostri figli dovrebbero avere scritto nel loro DNA la voglia di fare impresa, il ruolo in azienda va conquistato. I ragazzi, ad esempio, non hanno ricoperto da subito posizioni di vertice, ma hanno studiato per avere oggi un'adeguata prepara-

zione che domani consentirà loro di ambire alla guida della D’Amico. Istituzionalizzare le regole che devono disciplinare la gestione aziendale significa sapere cosa fare sempre, con certezza, nell’assoluto e primario interesse della nostra impresa, evitando così la nascita di malumori». Ad aiutare la D’Amico a mettere nero su bianco il nuovo patto di famiglia è stato lo Studio Ambrosetti. Luca Petoletti, partner di The European House-Ambrosetti con responsabilità dell’area di consulenza “Famiglia, Impresa e governance”, sottolinea come non esistano ricette universalmente valide perché ogni impresa ha cultura e persone uniche. «È possibile, però, tracciare delle linee guida. In primis - dice l’esperto - occorre distinguere le dinamiche della famiglia, votate all’uguaglianza, da quelle delle impresa, fondate sulla meritocrazia. Bisogna poi differenziare il ruolo di chi è socio da chi invece ha ruoli operativi. Può succedere che nelle imprese familiari i soci siano anche amministratori, ma quando la famiglia si allarga è necessario prestare attenzione per non fare confusione. Fondamentale risulta inoltre regolare l’ingresso dei giovani in azienda. Regole chiare e condivise, insomma, aumentano senz’altro l’accordo in azienda e, di rimando, in famiglia».


strategia di impresa

4 M.A.N. Consulting, il successo si impara Aprirà ad Agropoli nel 2018 una nuova sede della società di consulenza che, dal 2011, affianca gli imprenditori nelle sfide poste dal mercato, attraverso un approccio integrato e certificato di formazione e coaching

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uone notizie per gli imprenditori della provincia di Salerno. Apre ad Agropoli, nel 2018, la nuova sede di 4 M.A.N. Consulting, la società di consulenza, formazione e coaching che allena imprenditori e aziende eccellenti con un sistema integrato che porta a un piano superiore di qualità le performance e i risultati del business aziendale. L’azienda,

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nata da un’idea di Roberto Castaldo, ha ottenuto nel 2017 Le Fonti Adwards, come Eccellenza dell’Anno 2017 Innovazione&Leadership Coaching: si tratta del prestigioso riconoscimento internazionale conferito ad aziende del calibro di Rai, Eni, Deutsche Bank e Cucinelli. Da sempre, la mission di 4 M.A.N. Consulting è valorizzare il talento: affiancando, supportando e motivando l’imprenditore nel percorso verso il raggiungimento dell’eccellenza e del successo. A sostegno di questo progetto, un principio chiaro: tutto ciò che è misurabile, è migliorabile. «Le variabili che possono decretare o meno il successo di un’idea imprenditoriale spiega Roberto Castaldo - sono infinite. Dopo una lunga fase di studio, frutto anche della mia esperienza personale come imprenditore, sportivo e formatore, le ho racchiuse in sei filoni: talento, competenze, idee, persone, marketing ed errori di gestione. È proprio su questi che aiutiamo manager e capitani d’azienda a intervenire per massimizzare i risultati e raggiungere il successo: l’arte di far accadere le cose».

4 M.A.N. Consulting nasce nel 2011 e si propone di affiancare l’imprenditore nelle sfide poste dal mercato, attraverso un approccio integrato e certificato di consulenza, formazione e coaching. L’azienda conta, oggi, circa 25 professionisti tra interni ed esterni e un portfolio clienti di circa 40 imprese su tutto il territorio nazionale. A queste risorse, nel corso del 2018, si aggiungeranno 10 nuovi assunti. 4 M.A.N. Consulting è presente in tutta Italia con 3 sedi: Napoli, La Spezia e Milano. Dal prossimo anno, però, con l’apertura della sede di Agropoli, la formula del successo sarà ancora più vicina agli imprenditori salernitani.

CONTATTI 4 M.A.N. Consulting Via Ferrante Imparato, 495 Napoli Tel. 800 911 827 www.4mancons.it


Mecaprom, motori di innovazione Headquarters a Torino e quattro centri di Engineering in Italia: Torino, Arese, Imola e Salerno, dove si concentrano le attività di R&D, con particolare focus da qualche anno nel settore Hybrid e Full Electric. Il Gruppo ha all’attivo diversi brevetti e progetti di ricerca finanziati

«P

er un imprenditore, quasi nulla è impossibile, non pensa mai a priori che una certa idea sia irrealizzabile, perché non pone limiti al progresso. Prendiamo un caso molto attuale: le normative sulla sicurezza o l’inquinamento, oggi molto stringenti in vista del traguardo 2020, vanno colte come una sfida a mettersi

in gioco per superare i vincoli, motore dell’Innovazione e quindi del cambiamento anche a livello sociale, per i benefici che possono derivare dallo sviluppo di nuove tecnologie». Ne è convinto Cristiano Regis, Sales Manager della Mecaprom Technologies Corporation. Chi lo conosce sa che questo è il suo approccio alla vita, non solo alla sua attività all’interno dell’azienda di famiglia.Siamo a Torino, città culla dell’auto e dello sviluppo industriale, protagonista indiscussa del panorama internazionale, dove la sobrietà è di casa: con tipico stile sabaudo, fare molto e pubblicizzare poco. Qui, all’ombra della Mole, Roberto Regis gettava negli anni ’60 le basi della sua azienda che oggi è un gruppo privato italiano affermato nel settore Automotive di cui è Presidente: la Mecaprom Technologies Corporation, società di Engineering con spiccata propensione all’Innovazione, vocazione internazionale e sedi all’estero - India, Cina, Russia e USA - per supportare clienti worldwide sempre più esigenti. Il settore è quello del Powertrain: Motori e Trasmissioni, da sempre il core business dell’azienda, che nei

decenni ha maturato elevate competenze nella progettazione e nello sviluppo di componenti e sistemi di motopropulsione, dal concept iniziale fino alla fase di avvio della produzione. Prosegue Cristiano Regis: «Sin dai primi step, si lavora in stretta collaborazione con il management e i team tecnici dei clienti. Ogni fase del processo è contraddistinta da uno scambio virtuoso, in cui la nostra azienda evolve competenze e tecnologie in armonia con la visione e le richieste di brand esigenti, fortemente determinati a consolidare la propria leadership. È insieme a loro che abbiamo raggiunto i risultati più ragguardevoli e continuiamo a costruire una storia aziendale bella e importante. Mecaprom vuole essere un partner ideale per il cliente assistendolo in ogni criticità sino ad arrivare al progetto chiavi in mano». Headquarters a Torino e quattro centri di Engineering in Italia: Torino, Arese, Imola e Salerno, dove si concentrano le attività di R&D, con particolare focus da qualche anno nel settore Hybrid e Full Electric. All’attivo, diversi brevetti e progetti di ricerca finanziati. A questo


strategia di impresa

scopo, va irrobustendosi sempre più la divisione “Mechatronic Systems”, oggi davvero trainante e determinante per gli obiettivi di crescita del gruppo. Una progressione continua negli ultimi anni, sia sotto il profilo delle competenze e dell’esperienza, sia dal punto di vista del numero di risorse che periodicamente vengono inserite nei diversi team, con profili di vario livello e un’attenzione particolare a studenti e neolaureati. Lo scopo non è unicamente quello di portare avanti lo sviluppo di commesse, ma di rendere concrete ed efficaci le attività di Formazione, strategiche per il gruppo, perché “I giovani sono la nostra ricchezza, il nostro presente e il futuro dell’azienda: solo preparandoli adeguatamen-

te sui nostri programmi interni, possiamo rimanere competitivi”. In quest’ottica, in un contesto di grande cambiamento e di rapida evoluzione verso modelli globalizzati, la Mecaprom Technologies Corporation punta su scenari alternativi, e vede il legame con il tessuto economico, sociale, culturale, ambientale del territorio campano - istituzioni, Università, società locale - come un rapporto determinante per trovare e lanciare giovani di talento, costruire sinergie, attrarre e sviluppare progetti con altre realtà, contribuire a garantire importanti asset. Il legame con il territorio come possibile leva competitiva, come chiave di un successo condiviso. Su queste basi, a fine 2016 la Mecaprom Technologies Corporation ha

fondato il Centro di Engineering di Penta - Fisciano (SA), ultimo nato in termini cronologici e strettamente collegato a quello di Imola, sede principale della divisione “Mechatronic Systems”. Ospitato in una magnifica struttura - un ex monastero sconsacrato - a pochi passi dalla sede dell’Università di Salerno, il team di Penta è entrato da subito a pieno regime nei programmi aziendali, ed oggi conta una decina di risorse, selezionate in virtù di un percorso di studi universitari conclusosi per tutti con successo, ovvero con un Dottorato di Ricerca. É superfluo ricordare che gli obiettivi per il 2018 sono decisamente ambiziosi, e fra questi sicuramente - non ultimo - anche quello di raddoppiare il numero di ingegneri.

High performance smart actuator

Electric power unit 36 | dicembre 2017 / gennaio 2018

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norme e società

L’equilibrio tra mediazione e processo Occorre rafforzare la giurisdizione per fortificare le tutele, offrendo al contempo procedimenti a-giurisdizionali regolamentati e che prevedano percorsi compositivi basati sulla costruzione del consenso e non sulla forza della cogenza del dictum del terzo

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Bologna Giudice ausiliario della Corte di Appello di Napoli www.studiolegalemarinaro.it

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all’analisi dei dati statistici disponibili a livello europeo emergono due evidenti paradossi. In primo luogo, si rileva che, nell’Unione europea, soltanto una controversia su cento di quelle che arrivano nei tribunali approda in mediazione. In secondo luogo, ed è forse il vero paradosso della mediazione (in Italia e per converso anche in Europa), è che il ricorso alla procedura di mediazione in Italia è sei volte superiore al resto d’Europa. La nascita dell’istituto della mediazione delle controversie civili e commerciali in Italia deve essere ricondotta al 20 marzo 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 in attuazione della Direttiva 2008/52/CE. Questa data segna una svolta culturale e giuridica di notevole rilevanza, ma che ancora oggi - a distanza di oltre sette

anni - si stenta ad apprezzare. Le ampie discussioni sulle problematiche tecnico-giuridiche relative ad aspetti per lo più connessi al meccanismo della condizione di procedibilità hanno polarizzato l’attenzione degli operatori e degli interpreti, lasciando sullo sfondo le profonde ragioni di una svolta epocale in atto a livello transnazionale. E la nascita della mediazione costituisce la tappa di approdo e al tempo stesso di partenza di un percorso culturale e normativo europeo destinato ad attuare in chiave evolutiva anche i principi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale nel quadro di un complesso sistema di fonti qual è quello italo-comunitario. Facilitare l’accesso alla giustizia e ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali e promuovere la composizione

amichevole delle medesime attraverso la mediazione, costituisce il principale obiettivo che con la Direttiva n. 52/2008 il legislatore europeo mira a raggiungere. Una disciplina che nel perseguire questi obiettivi e pur incoraggiando il ricorso alla mediazione, intende altresì garantire «un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario» (articolo 1, Dir. 52/2008) e non soltanto nelle controversie transfrontaliere, risultando applicabile anche «ai procedimenti di mediazione interni» (considerando 8, Direttiva 52/2008). D’altronde «la mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dal-


norme e società

la mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera» (considerando 6, Direttiva 52/2008). Ma i temi che attanagliano il dibattito italiano nella doppia prospettiva de jure condito/ de jure condendo sono tuttora quelli connessi all’obbligatorietà e all’effettività. Forse occorrerebbe prendere atto dell’esigenza dell’impiego di forme di obbligo in chiave promozionale (unitamente ad un incremento di attività informative e formative, oltre che di incentivi non solo fiscali) per il necessario riequilibrio (qualitativo e quantitativo) e che la mediazione (sia pur attenuata nella sua obbligatorietà) è o non è (quindi è sempre “effettiva”). La riflessione e il dibattito dovrebbero quindi spostarsi sia in sede interpretativa, ma ancor più in fase propositiva, nella distinzione tra mediazione e altri procedimenti ADR di tipo valutativo (sia pur non vincolanti) e, ancor di più, sul tema dei costi della mediazione e di quelli dell’accesso al processo, in una prospettiva che miri a ripensare il costo del più complesso e articolato sistema della giustizia civile. Più che discorrere di "degiurisdizionalizzazione” delle tutele occorrerebbe affrontare il tema dei nuovi confini della

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giurisdizione e del nuovo ruolo del giudice in un sistema della giustizia in tal senso evoluto. Non occorre portare fuori dalla giurisdizione le tutele, ma occorre rafforzare la giurisdizione per rafforzare le tutele, al contempo offrendo procedimenti a-giurisdizionali regolamentati e che prevedano percorsi compositivi basati sulla costruzione del consenso e non sulla forza della cogenza del dictum del terzo. Sistemi negoziali nei quali si costruisce un consenso consapevole e responsabile con l’ausilio di un terzo indipendente e imparziale con funzioni affatto diverse. Da un lato il mediatore, che facilita la soluzione puramente negoziale, dall’altro, forme di arbitrati non vincolanti, dove l’arbitro è il terzo che formula proposte di soluzione basate su criteri predeterminati (diritto, equità, codici di condotta, etc.) poi accolte dalle parti. Accordi compositivi delle controversie ai quali le parti pervengono attraverso diversi percorsi scelti dalle stesse o suggeriti/ordinati dalle legge o dal giudice. Non si tratta dunque di degiurisdizionalizzare le tutele. Si tratta di consentire alla giurisdizione di garantire la tutela dei diritti quando è necessario, intervenendo tempestivamente ed efficacemente. Si tratta di aprire spazi di autonomia negoziale regolamentata nei quali consentire alle parti opportunità compositive extragiudiziarie prima del processo e durante Io stesso, mai confondendo

«La Direttiva n. 52/2008 mira ad un sistema di giustizia equilibrato e integrato, un sistema sostenibile nel quale la risorsa giurisdizionale possa operare in un alveo fisiologico (di tipo qualitativo e quantitativo)»

ruoli e funzioni. La Direttiva n. 52/2008 invero non chiede di degiurisdizionalizzare alcunché e tantomeno le tutele. La Direttiva mira ad un sistema di giustizia equilibrato e integrato, un sistema sostenibile nel quale la risorsa giurisdizionale possa operare in un alveo fisiologico (di tipo qualitativo e quantitativo). L’accesso alla giustizia o meglio a sistemi di risoluzione non giurisdizionali di composizione delle liti civili anche attraverso forme di obbligatorietà risponde ad esigenze sociali e culturali più che a mere problematiche emergenziali. Anzi proprio le forti spinte derivanti dalla situazione di collasso nella quale, in certi contesti, ci si ritrova ad operare denotano quanto occorra andare alle radici della conflittualità piuttosto che continuare ad operare nel circuito della ricerca del rimedio processuale e poi del rimedio del rimedio e poi, ancora, così all’infinito.


fisco

Fatture in PDF, gli errori più comuni e come risolverli I modi per ovviare alla “carta” senza imbattersi in sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate

Nicola Savino CEO Savino Solution srl nicola.savino@savinosolution.com

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a anni mi occupo e scrivo di digitalizzazione e dematerializzazione, eppure ancora mi imbatto in aziende italiane che commettono due errori pazzeschi in tema di fatturazione. La colpa non è né dei CFO (Chief Financial Officer), né degli imprenditori o dei loro responsabili amministrativi. Non è la persona, tu che te ne occupi, insomma, il problema. La difficoltà si ingenera perché nessuno ti dice le cose come stanno, o quanto meno lo fa in modo semplice, senza rifugiarsi nella solita sbobinatura tecnico-legale. Sia chiaro, quando si parla di conservazione digitale o sostitutiva di fatture contabili e in generale di documenti contabili, è normale che tutto sia governato da normative e da decreti specifici del MEF, come ad esempio il DMEF del 17 Giugno 2014 o le Circolari e Risoluzioni dell’Agenzia delle

Entrate. Ma se non c’è nessuno che le leggi le spieghi in parole comprensibili a chiunque, allora si creano almeno questi due problemi: • Un’azienda ha un’idea di voler liberare il proprio archivio cartaceo o ha intenzione di digitalizzare a norma il proprio processo contabile, ma non sa da dove partire e come fare. • Un’azienda non sa neanche che esiste una normativa o un procedimento per poter dematerializzare gran parte dei documenti presenti in azienda. Se questi due problemi si presentano anche da te, allora devi sapere che, in questo articolo, ti parlerò come parlerei ad un amico che per la prima volta vuole capire come diavolo sia possibile non solo non stampare più carta, ma come liberarsi di quel maledetto archivio

cartaceo o ancora come poter digitalizzare un processo. Bene. Partiamo da un fatto certo: oggi puoi dematerializzare tutti i documenti presenti nella tua azienda. Tutti, non solo alcuni. Proprio tutti. In questo articolo, però, partiamo dalla base: ovvero dalle tue fatture. Se fatturi, e spero che per te sia una pratica quotidiana, hai di solito un gestionale o qualche processo che prevede di crearti un PDF. Se poi sei strutturato e intendi digitalizzare un processo, potresti anche partire da un ERP o un sistema EDI che, casomai, ti offre anche la possibilità di fare fatture nativamente elettroniche. Se partiamo quindi dal tuo PDF; in realtà quello che fai di solito è: • Fai i PDF e non li stampi mai, al massimo li archivi. • Fai i PDF e li stampi. Se fai i PDF e applichi il processo di conservazione sostitutiva o


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digitale a seconda dei casi, mi fa piacere per te. Evidentemente sei un passo davanti alla media delle aziende. Spero, però, che la tua digitalizzazione non sia finita qui, ma che poi tu sia in grado di dematerializzare anche il processo che governa la tua fatturazione sia attiva che passiva, che tra le altre cose è l’elemento più importante. Ritorniamo, quindi, alle due possibilità. Se non li stampi, devi sapere che non puoi farlo. Ebbene, quando fai una fattura analogica, perché ricordati che il PDF non firmato digitalmente o che non ha le caratteristiche di integrità, qualità, sicurezza e immodificabilità è comunque un documento analogico, devi ricordarti che per legge la devi sempre stampare. Ed è inutile che pensi che tanto faccio il PDF/A e sono a posto perché non è così. L’Agenzia delle Entrate se non trova i tuoi PDF stampati, ti sanziona. Oltre alla sanzione, però, esiste anche un problema di spreco. Pensaci, fai tutto il processo digitale e poi stampi? Un modo deve pur esserci per ovviare alla carta. Ed eccoci, allora, al secondo punto. Senz’altro sei libero di fare quello che vuoi nella tua azienda. Se ti va di sprecare soldi, carta, toner, stampanti, avere processi digitali monchi dove in pratica alla fine stampi, o se vuoi continuare ad avere un’azienda che non ha nulla di digitalizzato, continua pure. Non lamentarti, però, se vedi che la tua azienda non ha un minimo di controllo e non è rivolta verso il futuro. Cosa dovresti fare quindi?

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«Quando fai una fattura analogica - perché, ricordati, che il PDF non firmato digitalmente o che non ha le caratteristiche di integrità, qualità, sicurezza e immodificabilità è comunque un documento analogico - devi ricordarti che per legge la devi sempre stampare» Ovviamente digitalizzare e dematerializzare i documenti delle tue fatture in PDF e anche dematerializzare il tuo processo. Procediamo per ordine, però. Se pensiamo al tuo PDF delle tue fatture attive, la prima cosa intelligente che dovresti fare è affidarti in outsourcing ad un’azienda che, in qualità di Responsabile del Servizio di Conservazione prende i tuoi PDF e li conserva a norma, come prescritto dalle leggi in vigore. Eviti quindi di stampare sapendo che il PDF va da qualche parte sicura e certificabile e che viene conservato diventando un documento informatico. E hai anche un altro vantaggio: quando l’AGE viene a fare un controllo, può anche non venire da te in azienda ma presso l’outsourcer e in via telematica e veloce. Il funzionario verifica quello che deve, con tutto il supporto che gli serve. Quando c’è un controllo per un nostro cliente, neanche lo avvisiamo che l’AGE ha chiesto qualche documento. Perché disturbarti se si tratta di un controllo formale fatto anche via web con login e password? Bene, ma non hai risolto del tutto. Perché quello di non stampare è solo uno dei vantaggi, non certo il più importante.Il più importan-

te è la dematerializzazione del processo che governa la tua fatturazione, che è poi quello che faccio nelle aziende, grazie al mio Metodo Savino. E il Metodo non lo trovi da altre parti. Non si può copiare, perché consiste nel darti una metodologia appunto che, grazie a 7 regole ben precise, ti permette non solo di risolvere il problema della carta, ma anche di avere un processo completamente digitalizzato. Ad esempio, se pensiamo alla parte di fatturazione, potremmo pensare di reingegnerizzare il processo della gestione delle tue fatture passive per permetterti di non perdere tempo nel registrare ancora a mano o con un timbro le fatture dei tuoi fornitori, ma avere un processo che permetta di gestire anche quei documenti completamente in digitale. O ancora, fare in modo che il tuo ERP produca documenti informatici nativi e che, anche se privi di firma digitale, abbiano le caratteristiche richiesta dall’Agenzia delle Entrate e dalla normativa. O ancora capire se nel tuo caso sia utile avviare un processo di fatturazione elettronica tramite un HSM che ti firmi massivamente tutte le tue fatture in automatico, mentre sei altrove. O ancora come, grazie alla digitalizzazione, puoi migliorare in modo radicale il lavoro del tuo CFO o del tuo responsabile amministrativo. E potrei continuare all’infinito. Cosa devi fare ora? O non fai niente, perché a te non interessa questo argomento, oppure decidi di avere efficienza nei processi e una visione futura della tua azienda.


Zone Economiche Speciali, la prima volta italiana Con il cosiddetto Decreto Sud nasceranno le prime ZES nel nostro Paese con l’intento di dare impulso alla crescita del Mezzogiorno, sia destinandovi risorse, sia incentivando l’utilizzo di strumenti imprenditoriali già esistenti, anche con riguardo all’innovazione

di Maurizio Villani e Federica Attanasi Studio Tributario Villani avvocato@studiotributariovillani.it www.studiotributariovillani.it

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e Zone Economiche Speciali (ZES) sono aree geografiche circoscritte nell’ambito delle quali l’Autorità governativa: applica una legislazione economica differente rispetto a quella applicata nel resto del Paese e offre incentivi a beneficio delle aziende, attraverso strumenti di agevolazioni fiscali/finanziarie e semplificazioni amministrative. L’Ocse ha identificato quattro diversi tipi di zone economiche speciali: • le zone di libero scambio (free trade zone), presso i porti e gli aeroporti, che offrono esenzioni parziali o totali sui dazi all’import o all’export di quei beni che vengono riesportati; • le Export processing zone, che agevolano sì la riesportazione dei beni, ma solo di quelli che, venendo lavorati in loco, assumono

un significativo valore aggiunto; • le zone economiche speciali vere e proprie, che offrono appunto un pacchetto variegato di incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese che stabiliscono lì la propria sede; • le zone speciali industriali, che limitano le agevolazioni a un settore specifico (spesso si tratta del tessile, oppure dell’Ict) per il quale costruiscono anche infrastrutture ad hoc. Attualmente, secondo i dati della Banca Mondiale, nel mondo si contano circa 4000 ZES, molte delle quali situate in Asia e in Europa (ad es. Lettonia, Spagna, Gran Bretagna e Croazia e con la Polonia in prima fila dove ce ne sono circa 14). Cina e a Dubai sono comunque gli esempi più noti. LE CARATTERISTICHE DI UNA ZES: AGEVOLAZIONI E CONDIZIONI La Zona Economica Speciale: • deve essere istituita all’interno dei confini statali, in una zona geografica chiaramente delimitata e identificata; • può essere composta an-

che da aree territoriali non direttamente adiacenti, purché abbiano un nesso economico funzionale; • deve comprendere un’area portuale, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN- T), con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013. L’istituzione di una Zes porta come conseguenza principale la possibilità per le imprese di sfruttare importanti agevolazioni fiscali e di beneficiare di rilevanti semplificazioni di carattere amministrativo e burocratico. È prevista, inoltre, l’applicazione, in relazione agli investimenti effettuati nella Zes, di un credito d’imposta proporzionale al costo dei beni acquistati, entro il 31 dicembre 2020, nel limite massimo, per ciascun progetto d’investimento, di 50 milioni di euro. IL D.L. 91/2017, C.D. “DECRETO SUD” Il decreto legge n. 91 del 2017, c.d. “Decreto Sud”, ha sancito la nascita delle prime ZES italiane. Il D.L. reca un insieme di disposizioni volte nel complesso a


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dare impulso alla crescita del Mezzogiorno, sia destinandovi risorse, sia incentivando l’utilizzo di strumenti imprenditoriali già esistenti, anche con riguardo all’innovazione. Più nel dettaglio, il decreto ha introdotto due fattispecie speciali: • il “Resto al Sud”, dedicata all’imprenditoria giovanile (è, infatti, rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i 35); • la “Zes”, dedicate ad imprese già insediate o che si insedieranno. Il provvedimento reca misure destinate alle imprese; prevede semplificazioni e procedure più efficienti per agevolare sia i cittadini che gli investimenti; istituisce zone economiche speciali e interviene in favore dei giovani imprenditori del territorio e delle politiche attive del lavoro. Più nel dettaglio, a disciplinare le Zes, sono gli artt. 4 e 5 del D.L. 91/2017, da cui emerge inequivocabilmente come lo scopo della loro istituzione sia quello di creare condizioni economiche, finanziarie e amministrative che consentano lo sviluppo delle imprese già operanti e l’insediamento di nuove imprese. Le condizioni per il riconoscimento delle agevolazioni sono, però, due: le imprese dovranno mantenere le attività nella Zes per almeno 7 anni successivi al completamento dell’investimento oggetto della agevolazione (pena la revoca dei benefici concessi e goduti) e non dovranno essere in liquidazione

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o in fase di scioglimento. Le ZES nasceranno, quindi, al Sud Italia: si tratterebbe dei porti di Napoli (con Salerno e Castellammare di Stabia), Gioia Tauro, Augusta (con Catania), Palermo, Cagliari, Bari, Taranto e un ultimo porto ancora da individuare che dovrebbe unire aree delle Regioni Molise e Abruzzo. A questo fine sono già stanziati circa 200 milioni di euro, da utilizzare tra il 2018 e il 2020. Ciascuna ZES sarà istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la Coesione territoriale e per il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, su proposta della regione interessata, corredata da un piano di sviluppo strategico. La regione interessata dovrà formulare la proposta di istituzione della ZES, indicando le caratteristiche dell’area identificata. Quanto alla gestione dell’area ZES si prevede, invece, che essa sarà affidata ad un Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell’Autorità portuale, che lo presiede, da un rappresentante della regione (o, come precisato presso il Senato, delle regioni, nel caso di ZES interregionale) da un rappresentante rispettivamente della Presidenza del Consiglio e del Ministero delle infrastrutture. Il soggetto gestore dovrà assicurare - gli strumenti che garantiscano la piena operatività delle aziende presenti nella ZES; - l’utilizzo di servizi sia economici che tecnologici

nell’ambito ZES; l’accesso alle prestazioni di servizi da parte di terzi. Il soggetto gestore potrà anche autorizzare la stipula di accordi o convenzioni con banche e intermediari finanziari. Per ciò che concerne le agevolazioni, come già rilevato, esse comporteranno come conseguenza principale la possibilità per le imprese di sfruttare importanti agevolazioni fiscali e di beneficiare di rilevanti semplificazioni di carattere amministrativo e burocratico. In più, è stata prevista l’applicazione, in relazione agli investimenti effettuati nella Zes, di un credito d’imposta proporzionale al costo dei beni acquistati, entro il 31 dicembre 2020, nel limite massimo, per ciascun progetto d’investimento, di 50 milioni di euro. Inoltre l’agevolazione per tali zone è stata estesa fino al 31 dicembre 2020. Alla luce di tanto, in conclusione, si auspica che venga posto in essere, e vagliato molto attentamente, un piano strategico di sviluppo del Mezzogiorno, capace di tenere insieme le aree e gli interessi economici/ territoriali delle regioni del sud Italia. «Le condizioni per il riconoscimento delle agevolazioni sono due: le imprese dovranno mantenere le attività nella Zes per almeno 7 anni successivi al completamento dell’investimento oggetto della agevolazione (pena la revoca dei benefici concessi e goduti) e non dovranno essere in liquidazione o in fase di scioglimento»


Il punto sui servizi infragruppo Chiarimenti sulla deducibilità dei costi dei servizi intercompany

Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it

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a recente sentenza della Cassazione n.25566, depositata il 27 ottobre 2017, ha fornito ulteriori chiarimenti in merito alla scivolosa tematica delle condizioni di deducibilità dei costi per i servizi tra società del medesimo gruppo. L’assunzione di base della questione che agita tutti i gruppi di imprese è che i servizi intercompany, siccome scambiati tra controparti non indipendenti, possano in realtà nascondere, o essere strumento per, riallocazioni improprie di utili o perdite, al solo fine di ottenere una ottimizzazione fiscale complessiva di gruppo. E tale preoccupazione, recepita da sempre anche a livello OCSE, ha la sua fondamentale esplicitazione proprio nelle prestazioni di servizi, le quali, mancando della realità tipica delle cessioni di beni, possono meglio prestarsi a manovre elusive

concordate. In questo ambito, possono generalmente distinguersi prestazioni intercompany rese “one to one”, che in questo articolo tralasciamo, e i cc.dd. “cost sharing agreement” (CSA), ovvero gli accordi di ripartizione tra tutte le società del gruppo di costi sostenuti da una sola di esse, frequentemente, la controllante. I CSA, nello specifico, gestiscono le modalità di ribaltamento di costi di natura generale sostenuti a livello centrale, ma nell’interesse pro quota di ciascuna delle società controllate e quindi la loro natura può essere vastissima (amministrativa finanziaria -legale - HR - logistica - commerciale - e così via). Oggetto della citata sentenza sono stati proprio questi ultimi, che, data la loro estesissima configurabilità, sono quelli più temuti e osservati dall’OCSE e, ovviamente, dall’AGE, soprat-

tutto nell’ambito di gruppi internazionali. Nel caso della sentenza si trattava di costi per sevizi resi dalla casa madre per la gestione e implementazione del portale relativo alla telefonia mobile, riaddebitati/ripartiti in base a una percentuale predeterminata, seppure variabile, del costo sostenuto dalla casa madre per il settore mobile. La Cassazione ha ritenuto che, ai fini della deducibilità dei costi, è necessario verificare in termini quantitativi concreti il rapporto tra i costi e il beneficio della società, essendo quest’ultimo uno degli elementi fondamentali per la valutazione dell’inerenza. Questa presa di posizione è abbastanza in linea anche con l’orientamento ministeriale sin dal 1980 (circ. Min. Finanze 22 settembre 1980 n. 32), che subordina la deducibilità dei costi da CSA all’effettività e


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all’inerenza della spesa all’attività d’impresa, esercitata dalla controllata e al reale vantaggio che deriva a quest’ultima. In buona sostanza, l’inesistenza della contrapposizione di interessi, tipica di ogni transazione tra controparti non indipendenti, obbliga i soggetti che vi intervengono, ad un processo di determinazione della natura dei servizi e dei relativi prezzi più complesso rispetto a operazioni ordinarie, onde evitare la contestazione della violazione di taluno dei requisiti previsti dall’art. 109 del TUIR per la deducibilità dei costi. Non basta quindi che il costo sia contrattualizzato e contabilizzato, occorre che esso sia certo, determinato o determinabile e di competenza, ma soprattutto inerente. Il concetto di inerenza nei rapporti intercompany, tuttavia, si presenta più rigido, in quanto maggiormente ancorato a quello di coerenza e di utilità economica (Cassazione 12 aprile 2017 n. 9466). In una parola, pure secondo le linee guida dell’OCSE, l’inerenza di un costo intercompany deve misurarsi anche in termini di congruità rispetto al valore della prestazione che si intende ripartire, posto che l’antieconomicità porta sempre alla indeducibilità. Venendo al concreto, e sulla base delle indicazioni provenienti sia dalla prassi ministeriale che dalla Giurisprudenza, i gruppi di imprese nazionali (per quelli internazionali, ci sono le Transfer Pricing Policy) che utilizzano la struttura dei costi accentrati, da ripartirsi

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sulle controllate, per (cercare) di evitare contestazioni, dovrebbero seguire queste guide lines di massima: • identificazione chiara delle funzioni e delle prestazioni comuni che vengono accentrate e dell’interesse delle controllate a riceverle; • determinazione analitica (a preventivo e a consuntivo) del costo delle funzioni che si intende riaddebitare; • verifica della inesistenza di casi di eccessiva onerosità, rispetto al corrispondente valore di mercato; • identificazione di idonei drivers di riaddebito dei vari costi o centri di costo comuni, tenendo conto che appare irragionevole utilizzare un solo parametro (ad esempio: il fatturato delle controllate) per ogni tipo di ripartizione; • applicazione di un mark up remunerativo della gestione della procedura; • stipula di appropriati CSA, aventi data certa, con articolazioni contrattuali adeguate e chiara esplicitazione delle prestazioni rese; • verifica della inesistenza di duplicazioni di funzioni - costi della medesima natura presso le singole controllate; • da ultimo, predisposizione di un set documentale ovvero di un processo di rendicontazione, a seconda dei casi, che sia in grado di attestare l’effettiva erogazione delle prestazioni. Una sottolineatura merita la verifica dell’inesistenza

di una struttura autonoma della controllata che, ai fini della deducibilità del costo, è essenziale, come anche stabilito dalla CTR di Milano (sentenza n. 123/36/2015) che ha subordinato tale deducibilità proprio all’assenza di identica struttura idonea a porre in essere i servizi forniti dalla controllante. Infine, l’aspetto della documentabilità delle prestazioni rese non deve essere sottovalutato, posto che è proprio su tale punto che l’AGE spesso ha vinto le sue “battaglie”. Il quadro che emerge può per certi versi portare a pensare che, per sottrarsi al rischio fiscale, sia meglio rinunciare all’accentramento delle funzioni e perdere efficienza, ma nella realtà non è così. Occorrono solo una buona organizzazione aziendale e la normale attenzione che deve porsi nella gestione di un gruppo, facendo ricorso, ove possibile, anche alla procedura del consolidato fiscale, che, tranne i casi di frode e di differenti detraibilità dell’IVA, dovrebbe un pó scoraggiare le smanie accertatrici dell’AGE. Ini ogni caso, si tenga presente che nulla rende l’AGE autorizzata ad entrare nel merito della opportunità del costo e della sua collocazione organizzativa, posto che, come sancito dalla Cassazione (n. 10319/2015) il vaglio di inerenza non può mai spingersi sino alla valutazione circa la necessità o l’opportunità di servizi prestati dalla capogruppo, atteso che questa è e rimane di competenza esclusiva dell’imprenditore.


Tax credit alberghi Esteso l’ammontare del credito d’imposta dal 30 al 65% delle spese sostenute per il sostegno di ristrutturazioni edilizie ed eliminazione delle barriere architettoniche, per l’incremento dell’efficienza energetica e l’acquisto di mobili e complementi d’arredo delle imprese turistiche di Alessandro Sacrestano Management Consultant Sagit&Associati srl Amministratore unico Assindustria Salerno Service srl asacrestano@studiosagit.it

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l decreto legge n. 83/2014 (Art Bonus) prevede, all’art. 10, un credito di imposta per il sostegno dei programmi di ristrutturazione edilizia ed eliminazione delle barriere architettoniche, per l’incremento dell’efficienza energetica e l’acquisto di mobili e complementi d’arredo delle imprese del settore turistico alberghiero. Il beneficio era inizialmente destinato alle sole imprese qualificabili come alberghiere esistenti all’1.1.2012, che sostenevano spese agevolabili nei periodi di imposta 2014/2015/2016. La misura dell’incentivo era fissata al 30% del costo ammissibile complessivo e fino a un massimo di euro 200.000, in regime de minimis. La legge di bilancio per il 2017 (art. 1, commi 4 e 5, L. n. 232/2016) ha prorogato il regime agevolativo in commento, prevedendo che lo stesso venga riconosciuto anche per i periodi d’imposta 2017 e 2018, nella misura del 65% delle spese ammissibili, a condizione che gli interventi agevolabili perseguano anche le finalità elencate nel comma 2, dell’art. 1 della legge di bilancio 2017 (ossia per l’accesso alle agevolazioni consistenti nelle detrazioni per l’efficienza energetica, per la ristrutturazione edilizia e acquisto mobili, per la riqualificazione antisismica). È, inoltre, ampliata la platea dei beneficiari, che vede l’ammissibilità delle strutture che svolgono attività agrituristica, come

definita dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96 e dalle pertinenti norme regionali. La fruizione del bonus, che dovrà avvenire in 2 quote annuali di pari importo (e non più 3 come previsto fino al 2016), è possibile a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui gli interventi sono stati realizzati, nel limite massimo di 60 milioni di euro nel 2018, di 120 nel 2019 e di 60 milioni nel 2020. Tuttavia, la legge di bilancio contempla la necessità di provvedere all’aggiornamento del relativo decreto attuativo con le nuove disposizioni. Al momento il nuovo provvedimento non è stato ancora emanato. I soggetti beneficiari del credito di imposta sono rappresentati dalle imprese alberghiere esistenti alla data del 1° gennaio 2012. Il bonus fiscale spetta nella misura del 65% delle spese per la ristrutturazione edilizia ed eliminazione delle barriere architettoniche, per l’incremento dell’efficienza energetica e l’acquisto di mobili e complementi d’arredo sostenute nei periodi d’imposta 2017 e 2018, fino ad un massimo di 200.000 euro. Relativamente all’acquisto di mobili e complementi di arredo, il d.l. n. 50/2017 ha eliminato l’obbligo di destinazione esclusiva dei mobili e dei componenti d’arredo all’immobile oggetto degli interventi agevolati di riqualificazione edilizia o energetica. Inoltre, è stata cancellata la riserva

pari al 10% dello stanziamento complessivo per l’agevolazione delle spese relative ad interventi ulteriori. È, invece, esteso dal II all'VIII periodo di imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento, il termine entro il quale il beneficiario non può cedere i beni agevolati a terzi o destinarli a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, pena la revoca del beneficio.L’agevolazione è concessa nel rispetto del regolamento de minimis e potrà essere fruita, in compensazione, in due quote annuali di pari importo a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in cui gli interventi sono stati realizzati.La procedura di accesso al beneficio prevede la presentazione della domanda dal 1 gennaio al 28 febbraio dell’anno successivo a quello delle spese. L’inoltro dell’istanza avverrà per via telematica in base alle istruzioni del Mibact. Lo stesso Ministero provvederà alla verifica formale della documentazione entro 60 giorni dal ricevimento, comunicando la concessione o il diniego del credito di imposta. Il credito di imposta andrà indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta per il quale è concesso. Non concorrerà alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini Irap, né ai fini del rapporto di cui agli art. 61 e 109, c. 5, del D.P.R. 917/1986.


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Licenziamento, quando la violazione del vincolo fiduciario costa il posto Anche le attività potenzialmente lesive possono essere motivo di non prosecuzione del rapporto di lavoro

Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it

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a Corte di Cassazione con sentenza n. 25147 del 24 ottobre 2017 si è pronunciata sul licenziamento per giusta causa irrogato dal datore di lavoro a un proprio dipendente che aveva copiato sulla propria pen drive file riguardanti la società. Il fatto. In primo grado, il Tribunale di Perugia - accogliendo la domanda del ricorrente - ha ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente per avere sottratto file aziendali. La Corte di Appello di Perugia riformando la sentenza emessa dal Tribunale di Perugia, ha ritenuto invece legittimo il licenziamento intimato. Infatti, secondo la Corte di Appello il comportamento assunto dal dipendente, il quale aveva trasferito numerosi dati aziendali su una pen drive, anche se non divulgati a terzi, era sanzionabile con il licenziamento in tronco previsto dall’art.52 del contratto collettivo dell’industria chimica. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore 46 | dicembre 2017 / gennaio 2018

per violazione del vincolo fiduciario. La condotta tenuta dal dipendente e diretta alla sottrazione di dati e informazioni aziendali è da ritenersi di una gravità tale da violare il «dovere di fedeltà che si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, siano dotate di potenziale lesività». Pertanto, anche se i dati e le informazioni non vengono divulgati ma restano nell’esclusiva disponibilità del dipendente, lo stesso è portatore di un potenziale danno per l’azienda datrice di lavoro. La giusta causa di licenziamento si sostanzia in una trasgressione o in un’inadempienza posta in essere dal lavoratore di gravità tale da compromettere il rapporto fiduciario e da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha condiviso quanto stabilito dalla Corte di Appello di Perugia che «ha verificato, ponendo a confronto

le due disposizioni collettive che la condotta addebitata al ricorrente, e quale era risultata in giudizio provata, dovesse essere ricondotta nell’ipotesi, sanzionata con la massima sanzione espulsiva, della grave infrazione alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o che provochi all’impresa grave nocumento morale e materiale e che compia azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro esemplificativamente individuata nel furto o danneggiamento volontario di materiale di impresa e nel trafugamento di schede, disegni di macchine, utensili o comunque di materiale illustrativo di brevetti o di procedimenti di lavorazione». Di conseguenza, secondo la Suprema Corte la sottrazione di dati e informazioni del datore di lavoro è riconducibile alla violazione del vincolo fiduciario che comporta il recesso in tronco del rapporto di lavoro. I fatti sopraesposti confermano che il rapporto di lavoro, in questo caso a tempo indeterminato, richiede non solo professionalità, correttezza e diligenza nella sua esecuzione ma soprattutto lealtà da parte del dipendente.


Riflessioni sulla responsabilità professionale del Project Manager Per il professionista che svolge attività intellettuale la responsabilità deriva dalle obbligazioni contrattuali assunte con il soggetto nel cui interesse viene eseguita la prestazione

Luigi De Valeri Ordine avvocati di Roma studiolegaledevaleri@hotmail.com

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l legislatore del 1942 con gli articoli 2230 e seguenti del c.c. ha regolato le prestazioni eseguite dai professionisti iscritti agli albi chiamati ad eseguire un’opera intellettuale. Il project manager, i cui servizi rientrano nell’ambito dell’opera intellettuale, è tenuto all'esatto adempimento dell'obbligazione ex contractu da valutarsi secondo canoni di diligenza e correttezza vigenti in materia di obbligazioni. Le obbligazioni del professionista intellettuale costituiscono un tipico esempio di obbligazioni di mezzi, in quanto nell'adempimento delle stesse il professionista/debitore è tenuto ad eseguire la prestazione pattuita con il massimo impegno giovandosi delle sue capacità al fine di conseguire un risultato che, pur indicato nel contratto, potrebbe non essere raggiunto nonostante questi abbia profuso il massimo sforzo intellettuale. Il project manager, pur non essendo obbligato

al conseguimento del risultato, è tenuto nell'adempimento delle obbligazioni assunte a osservare tutte le regole tecniche che permettono la realizzazione ottimale del progetto. Il mancato o inesatto risultato del progetto per cui è stato richiesto l’intervento di un project manager non potrà determinare di per sé la responsabilità contrattuale del professionista, ma potrà rilevare quale indicatore di una sua eventuale condotta negligente. In materia di responsabilità contrattuale, la regola generale di valutazione è la diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2 c.c. commisurata alla natura dell'attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera il disposto dell'art 2236 c.c. che pone il limite all’accertamento della responsabilità del professionista ai casi in cui si evidenzi la sussistenza del dolo o

della colpa grave. Ricordo un caso deciso dalla Cassazione, sentenza n. 20216/2012, che riguardava uno studio tecnico cui era stato affidato da una società il compito di redigere il documento programmatico della sicurezza e che si era visto negare il compenso dal committente che gli contestava l’inadeguatezza dell’elaborato. Il giudice di legittimità nella decisione in questione ha esposto due principi da tenere in considerazione: le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, s'impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato e non a conseguirlo. L'inadempimento non potrà essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell'atti-


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vità professionale e in particolare al dovere di diligenza, per la cui valutazione trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176 comma 2 c.c. Il secondo principio prevede che se la prestazione professionale da eseguire richiede la soluzione di particolari problemi tecnici la responsabilità è attenuata e si configura ex art. art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave ascrivibile al professionista. Quanto all’onere della ripartizione della prova il professionista dovrà dimostrare la presenza dei particolari problemi tecnici, mentre il committente la regolare conclusione del contratto tra le parti. Decidendo una controversia che aveva riguardato l’operato di un consulente del lavoro, la Cassazione III sezione sentenza n. 21700/2011 ha statuito che la presenza di un quadro normativo confuso non dà luogo alla responsabilità del professionista. Attenzione alle conseguenze pratiche dell’inadempimento derivante da negligenza: il codice civile all’art. 1460 che regola l’eccezione di inadempimento nei contratti a prestazioni corrispettive (inadimplenti non est adimplendum) ne fa derivare la facoltà per l’altro contraente di non corrispondere il compenso al professionista. Per inquadrare correttamente le peculiarità della responsabilità dei professionisti non appartenenti ad ordini tra i quali potrebbe collocarsi il project manager, è opportuno ripercorrere alcune disposizioni della legge 4/2013. L’art. 1 stabilisce che l’esercizio della professione è libero

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e fondato sull’autonomia, sulle competenze, sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica e fa richiamo ai principi di buona fede, affidamento del pubblico e della clientela, alla correttezza, facendo riferimento espressamente alla responsabilità del professionista. L’art. 2 prevede che le associazioni professionali, costituite dai professionisti non appartenenti agli ordini, valorizzino le competenze degli associati, promuovano la formazione permanente dei propri iscritti adottando un codice di condotta ex d.lgs. 206 del 2005 il cd. codice del consumo e vigilino sulla condotta degli associati. L’art. 6 precisa che scopo della legge è promuovere l’autoregolamentazione volontaria e la qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano le professioni non organizzate indipendentemente dall’adesione degli stessi ad una delle associazioni costituite in base all’art 2. La qualificazione della prestazione professionale si deve basare sulla conformità della stessa alla normativa tecnica UNI e le associazioni tra l’altro potranno attestare che il professionista iscritto è in possesso della certificazione rilasciato da un organismo accreditato relativa alla conformità alla norma tecnica UNI. Il project manager che possa godere di queste attestazioni, anche se non obbligatorie per l’esercizio della professione, potrà presentare all’azienda o all’ente pubblico un curriculum da preferirsi rispetto al concorrente che ne è privo, ma ai fini della responsabilità contrattuale verrà giudicato con maggior rigore potendo godere di una certificazione professionale che dimostra l’ele-

vata preparazione e la capacità di gestire eventuali criticità nell’esecuzione del progetto.A mio parere l’operato di un project manager, che abbia conseguito svariate certificazioni professionali e con i requisiti di conoscenza, abilità e competenza di cui alla recente norma UNI 11648:2016 potrebbe essere ’giudicato” con minor rigore quanto alla mancata realizzazione del progetto se la struttura che il committente ha messo in campo non era all’altezza dei compiti precipui di quel progetto. Considerando l’esperienza personale di assistenza ai project manager, nei contratti che li riguardano vi sono varie clausole fonte di potenziale responsabilità: potrà essere chiamato a garantire la sicurezza del personale rispetto a possibili infortuni, la riservatezza delle informazioni, di concetti, idee, procedimenti, metodi o dati tecnici di cui viene a conoscenza in corso d’opera, il rispetto della proprietà intellettuale dei prodotti, quello degli obblighi di condotta del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, la normativa anticorruzione, tanto per citare le più usuali. La violazione di questi obblighi per espressa previsione pattizia può costituire causa di risoluzione del contratto, fatto salvo il risarcimento dei danni. Vi è poi il tema della responsabilità connessa alla cd. culpa in eligendo e in vigilando per cui si deve far riferimento all’art. 1228 c.c.. Il project manager se si avvale anche dell’opera di terzi per l’adempimento della propria prestazione, risponderà al committente dei fatti dolosi o colposi eventualmente compiuti da questi.


internazionalizzazione

The Brexit effect, prendere o lasciare? Gli imprenditori non dovrebbero restare a guardare in attesa di vedere cosa accadrà nei prossimi anni, ma agire ora che si stanno ponendo le basi per il futuro dell’Inghilterra e probabilmente dell’Unione Europea tutta

Daniele Trimarchi Studio Trimarchi daniele@studiotrimarchi.com

S

embra essere di grossa attualità cercare di spiegare quello che accadrà nel Regno Unito con la Brexit, questo anche alla luce di quanto sta accadendo con lo spostamento dell’EMA (Agenzia Europea per il Farmaco) ad Amsterdam e col trasloco dell’EBA (Autorità Bancaria Europea) a Parigi. La mia personale impressione è che Londra stia solo perdendo un pó d’interessi, ma che il capitale resti. L’instabilità che in questo periodo sta divampando nell’Ue, vedi appunto quello che è successo per l’assegnazione degli enti di cui sopra o anche cosa sta succedendo in Germania, potrebbe fare infatti molti più danni della Brexit. Questo è, senza dubbio, il punto da cui partire se vogliamo capire che cosa sta succedendo nel Regno Unito. Occupandomi di processi d’internazionalizzazione delle imprese, sono spesso tra Londra e Istanbul per lavoro. Durante le mie trasferte

ho avuto modo di verificare quello che realmente gli inglesi (e non solo) pensano succederà nei prossimi 2 - 4 anni e soprattutto constatare che lo stato di salute dell’economia britannica è buono. Le impressioni dall’interno non sono negative e riflettono appunto le performance economiche (dati pubblicati anche sul sito del governo https://www.gov.uk). Per prima cosa, il PIL inglese non ha subito la caduta che molti pronosticavano un anno fa ma, anzi, nel 2016 è risultato tra i migliori dei paesi appartenenti al G7 (+1,8%). Vero è che potrebbe essere ancora presto per un eventuale #brexiteffect. In effetti la crescita del Paese è stata rivista al 1,5% nel 2017 al 1,4% nel 2018 e 1,3% nel 2019, ma poi potrebbe risalire fino al 1,9% e 2,0% negli anni 2021-22. Ovviamente sono dati lontani da un’economia in crisi. Ci sono anche altri indicatori come ad esempio la disoccupazione che è scesa per la

prima volta dal 1975 al 4,3% e il livello degli investimenti provenienti dall’estero (IDE), si parla di oltre 2.200 progetti registrati nel solo periodo 2016-2017, che indicano il Regno Unito come primo mercato nell’Ue. Lo scorso novembre ero nella City a cena con un alto dirigente di una banca d’investimenti inglese (un ex collega del MBA che da circa 14 anni vive a Londra) e ci siamo soffermati ad analizzare la reazione della popolazione inglese, in stand-by prima di decidere cosa fare nei prossimi anni. É indubbio che c’è chi dall’interno ha paura, ma credo che la Brexit stia ossessionando molto più noi che la viviamo dall’esterno. Ovviamente stiamo parlando del quarto mercato per esportazione dei nostri prodotti e mi sembra comprensibile avere timori, ma piuttosto che preoccuparci, dovremmo invece agire e subito. Premetto che non è semplice fare una previsione e decidere come agire una volta che


internazionalizzazione

l’UK uscirà dall’Unione Europea, ma il sentore è che dal marzo 2019, e per i successivi due anni (fase di transizione), molti imprenditori del vecchio continente rimarranno delusi nello scoprire di aver perso l’ennesima occasione. É evidente che in caso di hard Brexit, l’impatto in termini economici e occupazionali potrebbe essere molto più consistente rispetto a una soft Brexit che porrebbe, invece, l’Inghilterra all’interno dell’unione doganale. Gli imprenditori non dovrebbero però restare a guardare: in questo momento si stanno ponendo le basi per il futuro dell’Inghilterra e probabilmente dell’UE tutta. Ma quali sono le “priorità” del Governo inglese? La prima urgenza del governo inglese non può che essere quella di garantire stabilità, continuità e accordi transitori che riducano al minimo le interruzioni di attività per le imprese. Ci saranno punti di scontro - come la questione del controllo dell’immigrazione - ma si andrà verso una serie di compromessi dettati dal reciproco rispetto. Dopotutto, come rimarcato dal Primo Ministro belga Charles Michael, “The UK cannot have its cake and eat it, too” (detto popolare inglese per dire che gli inglesi non possono tenersi la torta e mangiarsela pure). Un messaggio chiaro lo ha inviato il Sindaco Laburista di Londra Sadiq Khan che ha assicurato una certa apertura della capitale britannica tramite l’istituzione di visti di lavoro per la città di Londra. Inoltre, il Regno Unito vuole mantenere un rapporto più stretto possibile con i “neighbours” (i vicini paesi europei), quindi senza interrom-

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pere le relazioni commerciali, ma identificando scenari i cui aspetti potremo verificare nel concreto solo dopo che il governo inglese avrà ripreso a correre a “briglie sciolte”. Che cosa possiamo fare? Se vogliamo veramente anticipare gli effetti della Brexit, non possiamo ignorare la loro cultura. Anzi, è proprio da questa che dovremmo partire per consolidare i rapporti in essere. Quando ero un giovane AD di un’azienda inglese, mi colpirono le parole di un trasportatore che mi spiegava perché gli inglesi non volessero la UE: «noi siamo un popolo con pochissime leggi, molto chiare; nonostante ciò ti assicuro che è difficile rispettarle tutte; ma voi come fate con migliaia di leggi a rispettarle veramente?». In sostanza mi parlava di un Paese snello, con poca burocrazia e per questo dinamico e concreto. Se approfondiamo bene quello che è stato il processo d’integrazione nell’Ue, notiamo che il libero scambio di prodotti e persone ha portato tutta una serie di nuove leggi, procedure spesso complicate, che hanno finito per compromettere la capacità di reazione dei vari mercati.Un Paese snello è sicuramente quello che meglio di altri potrà concretamente fronteggiare la quarta rivoluzione industriale. Perché avrebbero dovuto rimanere a bordo di un carrozzone? Molto probabilmente l’UK con il ruolo da sempre centrale nell’economia, si trasformerà in una piattaforma per aziende straniere, si pensi agli USA che già adesso usano la Gran Bretagna come punto di accesso all’Europa. La ricetta è semplice e i presupposti ci sono tutti. Per prima

cosa la Corporate Tax (tassa sulle imprese) in UK già di per sé aggressiva (al 19%) scenderà al 17% dal 1 aprile 2020. È facile intuire che siamo ad un passo dal 12,5% applicato da Dublino. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se dal 2021 l’Inghilterra proponesse un abbattimento delle tasse al 12% per 10 anni a tutte quelle aziende che volessero spostare la loro sede in UK. Questo significa che nuove opportunità saranno disponibili prima di tutto per chi avrà avuto la volontà di investire tempo ed energie per formare delle partnership necessarie per durare a lungo. Nel Regno Unito c’è una correlazione unica al mondo di competenze, conoscenze e industrie. É considerato uno tra i migliori posti al mondo per avviare e far crescere un’azienda, in parte grazie al loro ambiente normativo avanzato, al loro solido sistema legale e a una forza lavoro altamente qualificata. Il capitale cui si faceva riferimento all’inizio dell’articolo è dato quindi da queste forze intrinseche che rimarranno sempre in quel mercato, condizioni piuttosto rare negli altri paesi Ue e che noi non possiamo trascurare. Per la prima volta, dopo oltre quarant’anni, il Regno Unito potrà di nuovo avere una politica commerciale completamente indipendente, libera di poter stringere legami commerciali con i paesi di tutto il mondo, con partner nuovi e vecchi. Ritengo dunque che chiunque crede di vedere con la Brexit un’Inghilterra alla deriva, si sbagli di grosso, perché, in effetti, gli inglesi hanno scelto un’altra strada: «abbracciare orizzonti più ampi e veramente globali».



ricerca

Liposomi: una tecnologia innovativa La tecnica sviluppata da Nanotech Liposomes è pensata per il modello B2B, nell’ottica di produrre liposomi on demand per aziende terze interessate al servizio di incapsulamento in liposomi, ottenendo risultati migliori, risparmiando sui costi di gestione, specialmente per le formulazioni ad alto valore aggiunto di Paolo Trucillo Ingegnere chimico, dottorando al 3° anno Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIN) Università degli Studi di Salerno ptrucillo@unisa.it www.nanotechliposomes.com

N

anotech Liposomes è una realtà creata all’interno del gruppo di Fluidi Supercritici dell’Università di Salerno, che presto diventerà uno spin off approvato da UniSA. Nel laboratorio I3 del Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIN), Nanotech Liposomes ha sviluppato una tecnologia innovativa in grado di produrre liposomi di caratteristiche uniche. I liposomi sono vescicole sferiche cave caratterizzate da un nucleo acquoso interno e un doppio strato lipidico esterno, la cui struttura li rende simili alle barriere cellulari umane. Per questo motivo, i liposomi sono sfruttabili come drug carriers (trasportatori di molecole) per finalità terapeutiche, cosmetiche e nutraceutiche. Grazie ai liposomi, è possibile veicolare antibiotici, proteine, DNA, vitamine, antitumorali, stabilizzatori e antiossidanti direttamente nelle cellule umane, migliorando la biodisponibilità 52 | dicembre 2017 / gennaio 2018

delle molecole trasportate. I metodi tradizionali di produzione di liposomi sono caratterizzati da numerose problematiche. La tecnica attualmente più diffusa non permette di lavorare in continuo, da cui deriva la difficoltà nello scalare la produzione a livello industriale. I costi sono attualmente elevati e la tecnologia più diffusa fra i competitor porta alla produzione di liposomi troppo grandi per essere assorbiti facilmente dalle cellule, con efficienze di intrappolamento inferiori al 30%. Questi problemi implicano l’obbligo di aggiungere step di post-produzione, per ridurre le dimensioni medie delle particelle e migliorarne il controllo granulometrico. Questa scelta obbligata causa spesso la perdita di farmaco, con conseguente aumento di costi e tempi di produzione. Inoltre, i processi che lavorano in modo discontinuo sono poco riproducibili, con presenza di solvente residuo tossico, causa

di incompatibilità con l’uomo. La tecnologia sviluppata da Nanotech Liposomes può risolvere le attuali problematiche di produzione dei liposomi. Mediante l’uso di un iniettore, l’impianto genera gocce d’acqua di dimensioni nanometriche direttamente all’interno di una camera di formazione ad alta pressione. Le gocce vengono velocemente ricoperte da un doppio strato di fosfolipidi. Il fenomeno di formazione e cattura delle gocce d’acqua viene facilitato dall’uso dell’anidride carbonica supercritica, che in condizioni di temperatura blande riesce a preservare la natura dei fosfolipidi. Grazie a questa tecnologia innovativa, si producono liposomi di dimensioni nanometriche (diametro medio inferiore di ben 2 ordini di grandezza), con un migliorato controllo delle granulometrie. La tecnica produce vescicole in un solo step (1-shot), senza ricorrere a operazioni di post-processing.


Nanotech Liposomes ha presentato il progetto NutraLip alla finale Start Cup Campania 2017 I credits© sono: Ph Giusva Cennamo | Studio fotografico Primo Piano

Il processo lavora in continuo, vantaggio che lo rende riproducibile e scalabile fino al livello industriale. Le efficienze di incapsulamento di composti di natura idrofila e lipofila sono superiori al 95%, indipendentemente dal tipo di molecola intrappolata. Questo dimostra anche la versatilità del processo. Il gruppo universitario del DIIN che si è dedicato alla ricerca e allo sviluppo dell’impianto su scala di laboratorio è costituito dal professor Ernesto Reverchon, ordinario di Impianti Chimici, Roberta Campardelli, assegnista di ricerca, e da me che sono dottorando di ricerca al terzo anno. Nello scorso anno, il gruppo ha incamerato due nuovi elementi: Silvia Iuorio, medico chirurgo della Regione Campania, che cura l’aspetto farmacologico e nutraceutico delle ricerche, e Day One S.r.l., società che ha incubato Nanotech Liposomes.

Il gruppo ha contribuito a realizzare un documento di Business Plan, ottenendo numerosi riconoscimenti: 16° convegno sui fluidi supercritici (Lisbona), GRICU (Palermo), Start Cup Campania 2017 e a Finance Start Cup Campania 2017 (Napoli). Nanotech Liposomes si sta quindi trasformando in spin off accademico. In questo modo, i frutti delle ricerche del gruppo universitario saranno portati sul mercato con un piano economico ponderato. La tecnica sviluppata da Nanotech Liposomes è pensata per il modello Business to Business (B2B), nell’ottica di produrre liposomi on demand per aziende terze interessate al servizio di incapsulamento in liposomi. I clienti interessati alla tecnologia saranno attratti dalla possibilità di risolvere le problematiche legate all’uso di metodiche tradizionali. La possibilità che offriamo è di

ottenere risultati migliori, consentendo di risparmiare sui costi di gestione, specialmente per le formulazioni ad alto valore aggiunto. Nella Food Industry lo sfruttamento degli effetti anti-età e antimicrobici e la prevenzione di malattie cardiovascolari e metaboliche trova un ulteriore punto di forza nelle alte efficienze di incapsulamento che Nanotech Liposomes garantisce. Grazie a Sviluppo Campania, Nanotech Liposomes è stata selezionata per mostrare la propria attività a un pubblico di medici, farmacisti e aziende durante i lavori del PharmExpo 2017, tenutosi presso la Mostra D’Oltremare, a Napoli, dal 24 e il 26 novembre scorso. Crediamo fortemente in questa tecnologia, nei risvolti positivi che può dare a valle della creazione di un’attività etica e nei benefici che siamo certi potrebbe apportare alla salute delle persone.


sicurezza

La trasformazione digitale e gli impatti sui lavoratori Il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail ha realizzato una monografia per analizzare quanto le ICT possono incidere sul benessere dei lavoratori e per contribuire alla definizione di misure di prevenzione e di gestione dei rischi legati al loro utilizzo

di Emma Pietrafesa, Sara Stabile, Rosina Bentivenga, Sergio Iavicoli Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila), Inail e.pietrafesa@inail.it

L

e aziende italiane stanno rivolgendo la propria attenzione verso tecnologie più di “frontiera” rispetto al processo complessivo di trasformazione digitale, sviluppando progetti in ambito di big data, customer experience multicanale e Internet of Things (IoT) (Rapporto Annuale 2017 Digital Italy). In tale contesto gli investimenti aziendali in tecnologie per la trasformazione digitale sono destinati a crescere: nel corso di questo anno supereranno a livello mondiale i 1.200 miliardi di dollari e raggiungeranno la cifra di 2.000 miliardi di dollari entro il 2020 (International Data Corporation). La quarta rivoluzione industriale sta determinando profondi cambiamenti anche a livello organizzativo che implicano per i lavoratori nuove mansioni, ruoli e competenze sulla spinta dell’innovazione tecnologica. 54 | dicembre 2017 / gennaio 2018

Anche le condizioni e gli ambienti di lavoro stessi si trasformano attraverso cambiamenti che interessano l’interfaccia uomo-macchina, il monitoraggio dei parametri lavorativi, l’utilizzo di nuovi materiali intelligenti, e molto altro ancora. NUOVE MODALITÀ DI LAVORO E NUOVE PROFESSIONALITÀ Entro il 2020 sono a rischio di sostituzione 7.1 milioni di posti di lavoro, a fronte della creazione di 2 milioni di nuovi posti legati al settore delle tecnologie digitali (World Economic Forum). I rapidi e profondi cambiamenti socio-demografici, la globalizzazione dei mercati e le innovazioni tecnologiche, oltre ad offrire grandi opportunità di sviluppo e accrescimento della competitività delle aziende, hanno portato a una ridefinizione del mondo del lavoro e dei processi

produttivi e, di conseguenza, delle competenze. A fronte di tali cambiamenti, l’Italia è uno di quei Paesi che deve maggiormente impegnarsi nel processo di trasformazione digitale poiché nei prossimi anni i nostri lavoratori dovranno innovare e modificare circa il 40% delle proprie competenze principali (School of Management del Politecnico di Milano). Le nuove modalità di lavoro devono costantemente adeguarsi ai continui mutamenti del contesto economico e sociale e caratterizzarsi attraverso una maggiore flessibilità che tendi a massimizzare la produttività e a migliorare l’integrazione dei tempi di vita e di lavoro, come nel caso delle modalità di lavoro agile e/o smart working. Oggi, infatti, non esiste più un posto di lavoro per tutta la vita, né un unico luogo di lavoro nel corso dello stesso rapporto di lavoro,


né un orario fisso. Tutto ciò porta i lavoratori a percepire la sicurezza lavorativa, non più in termini di stabilità, legata quindi a un luogo fisico o ad una mansione, quanto piuttosto in termini di flessibilità, competenze e reti professionali ovvero di capacità di attingere alle relazioni con gli altri - network professionale - che estendono la propria carriera lavorativa. Questo all’interno dei luoghi di lavoro produce effetti anche nei percorsi formativi e di apprendimento che si stanno sempre più spostando dal tradizionale contesto d’aula verso l’uso di strumenti social e piattaforme collaborative e interattive. GLI IMPATTI NEL SETTORE DELLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO Spesso l’applicazione e l’implementazione di una nuova tecnologia in un settore lavorativo avvengono prima che ci sia una buona comprensione degli effetti sulla salute e la sicurezza sul lavoro. I processi di innovazione e trasformazione collegati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) oltre a creare nuove opportunità di lavoro e migliorarne la qualità possono determinare fattori di rischio per i lavoratori a causa dell’eccessivo carico di lavoro, del sovraccarico informativo, dell’uso pervasivo di questi strumenti in modalità h24, dell’esposizione a continue interruzioni e intromissioni e della mancanza di separazione tra vita privata e vita professionale. In tale contesto di riferimento, il Dipartimento di medicina,

epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail ha realizzato la monografia ICT e lavoro: nuove prospettive di analisi per la salute e la sicurezza sul lavoro che analizza gli impatti legati alla introduzione delle ICT e all’uso dei social media in termini di rischi e opportunità per i lavoratori. Il volume strutturato in cinque aree tematiche affronta i cambiamenti nel mondo del lavoro, l’evoluzione della normativa, l’uso dei social media, il benessere e l’apprendimento nei luoghi di lavoro attraverso le piattaforme digitali. La monografia rappresenta uno degli output legati alle attività di ricerca del Laboratorio rischi psicosociali e tutela dei lavoratori vulnerabili che ha tra i propri obiettivi proprio l’analisi dell’impatto delle ICT sul benessere dei lavoratori per contribuire alla definizione di misure di prevenzione e di gestione dei rischi legati al loro utilizzo, allo sviluppo di modelli di supporto per un adeguato ed efficace impiego delle ICT, che tenga anche conto delle

diversità dei lavoratori per migliorarne l’inclusione lavorativa. Bisogna inoltre considerare che entro il 2030 la crescita della popolazione mondiale raggiungerà oltre 8 miliardi di individui, agevolando l’ingresso sul mercato del lavoro di circa 40 milioni di persone all’anno: una forza lavoro sempre più multigenerazionale, multiculturale e ageing (International Labour Organization). Ciò comporterà una sempre maggiore diversificazione nell’uso delle ICT: le nuove generazione di lavoratori sono più orientate ad un uso costante, anche mediante i propri dispositivi con possibili effetti anche sulla diversa percezione dei concetti stessi riferiti a luogo e tempi di lavoro e attività lavorativa (always on, bring your own device, lavoro agile, virtual workplace, crowd-working). In ambito lavorativo si assiste poi alla progressiva perdita delle competenze digitali di base e ad una crescente domanda di competenze avanzate in tutti i settori. Questo implica una maggiore possibilità di occupabilità solo per coloro che acquisiranno tali competenze aumentando il fenomeno del divario digitale e il rischio di costituzione di una digital élite. Le tecnologie digitali consentono, infine, di essere “always on”, tuttavia tale possibilità di essere sempre connessi può avere conseguenze negative anche in termini di dipendenza e di abuso fino a determinare, come alcuni studi internazionali hanno evidenziato, una relazione tra uso eccessivo e alti livelli di ansia, depressione e stress.


salute

Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it | www.istitutodermoclinico.com

D

SOS freddo: come proteggere la pelle

Dieta sana e tante vitamine per affrontare la sfida dell’inverno con il piglio giusto

L’

autunno è il momento ideale per iniziare a fornire alla pelle tutto ciò che le sarà utile per affrontare i mesi più rigidi. D’inverno, infatti, a causa dell’azione combinata di freddo, vento, sbalzi di temperatura tra ambienti esterni e interni, e inquinamento alle stelle, lo stress cui è sottoposta la cute raggiunge i massimi livelli. Seguendo fin da ora una serie di accorgimenti è però possibile correre ai ripari. Un mix di stratagemmi naturali Per preparare la pelle alla sfida invernale, indubbiamente l’alimentazione gioca un ruolo di primaria importanza, insieme a uno stile di vita sano, quindi con attività fisica costante, buon sonno e riduzione al minimo di tutti gli stress evitabili, a partire dal fumo. È perciò fondamentale fornire alla cute tutti i nutrienti che le saranno poi necessari quando ne avrà più bisogno. Via libera, quindi, a vitamina C, contenuta in agrumi, kiwi, broccoli, cavolfiori, cavoli, spinaci e peperoni. Ottimi anche i flavonoidi, presenti in grandi quantità nei frutti di bosco, che contrastano la fragilità capillare e favoriscono la microcircolazione. Per favorire il rinnovamento dell’epidermide non bisogna, poi, dimenticare

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la vitamina A, presente soprattutto nelle uova, nel latte e nei suoi derivati. Questa sostanza stimola il ricambio cellulare, favorendo l’eliminazione delle cellule morte e la formazione di una pelle nuova e più compatta. Occorre inoltre bere almeno due litri di acqua al giorno, da affiancare a tisane e centrifugati di frutta e verdura freschi: una buona abitudine per idratare adeguatamente l’intero organismo, pelle inclusa. Prodotti ad hoc Le creme che si utilizzano nei mesi più freddi devono contenere sostanze capaci di migliorare il grado di idratazione e di rafforzare la barriera cutanea, sottoposta all’azione costante degli agenti esterni. Efficaci sono oli e burri vegetali, ricchi di acidi grassi essenziali, e principi attivi come allantoina e acido ialuronico, che idratano in profondità e restituiscono alla pelle turgore e compattezza. Un complesso naturale di ultima generazione dalle notevoli proprietà è la Fospidina, che unisce fosfolipidi estratti dalla soia e glucosamina. Questo principio attivo rinforza le cellule della pelle, contrasta gli inestetismi come macchie e rughe, e favorisce la formazione di nuovo acido ialuronico, garantendo alla cute il corretto grado di idratazione. Molto importanti, infine, sono gli antiossidanti come la vitamina E, che frenano l’aggressione dei radicali liberi, e i filtri solari. Contrariamente a ciò che si possa credere, infatti, i filtri solari sono necessari anche nei mesi freddi. Sebbene in questo periodo dell’anno diminuiscano i raggi UVB che d’estate ci scaldano e ci fanno abbronzare, gli UVA, nemici per eccellenza della pelle, non vengono meno. Per salvaguardare la salute della pelle, perciò, i prodotti normalmente utilizzati di giorno devono contenere anche filtri UV.


É

Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

Alimentazione: verità e pregiudizi

É assolutamente necessario ridare al cibo il valore culturale e identitario che lo ha sempre caratterizzato e che ha consentito lo sviluppo della nostra società

É

stato presentato, il 24 novembre, nella Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati, il manifesto CIBOVERITAS sottoscritto dalla Fondazione Italia Sostenibile, dall’Università di Salerno, dalla Copagri, dalla Fondazione Ebris e dalla Fondazione ADI. Nel manifesto si legge: «Il cibo siamo noi, e molto di più. Nessuno ha il diritto di trasfigurare il valore pieno del cibo, sacrificandolo sull’altare di mode tanto passeggere, quanto schizofreniche e dannose, tantomeno di derubricarlo a mero ingrediente di avanspettacolo». I firmatari hanno riaffermato la necessità di un libero approfondimento sull’alimentazione che nasce dalle troppe certezze, o presunte tali, che costantemente vengono portate all’attenzione popolare, quasi sempre condite e sostenute da una parvenza di scientificità. Norberto Bobbio asseriva che «compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze». E lo stesso Ancel Keys, il padre della dieta mediterranea, a quasi cento anni, al giornalista che chiedeva se la dieta avesse contribuito alla sua longevità, con l’onestà del ricercatore rispose: «Molto probabilmente, ma non ci sono prove». Al

contrario le evidenze riferite dalla letteratura scientifica, spesso su campioni limitati e selezionati, fanno etichettare come etici comportamenti che non migliorano la qualità della vita e non rispettano la dimensione soggettiva della persona umana. Mezze verità diventano pregiudizi stabilizzati. Esempio paradigmatico sono le persone obese etichettate come golose, deboli, pigre, non attraenti. L’obesità non va considerata come una malattia del singolo individuo, ma anzi come il risultato di tanti fattori ambientali e socioeconomici che condizionano le abitudini alimentari e gli stili di vita, determinandone la diffusione epidemica. Per molti è sufficiente dividere i cibi tra buoni e cattivi per risolvere il problema. Un esempio su tutti: le linee guida sul consumo dei grassi introdotte alla fine degli anni Settanta e che ancora oggi molti seguono come un dogma: una recente revisione degli studi che ne erano alla base, mette in dubbio il razionale clinico che le ha giustificate. E gli stessi attacchi ai salumi italiani non tengono conto del fatto che negli anni si è registrato un netto miglioramento del profilo lipidico della materia prima, grazie all’evoluzione delle tecniche di allevamento e all’alimentazione prevalentemente vegetale dei suini e che il contenuto di nitrati si è ridotto, fin quasi ad annullarsi, mentre i nitriti sono oggi praticamente assenti. Il popolo del Mediterraneo ha avuto la fortuna di avere tre piante autoctone e presto coltivate come l’olivo, la vite e il grano e una terra e un clima che hanno consentito alle piante e ai frutti più disparati di mescolarsi e ricomporsi in una unità originale che sono gli alimenti e i cibi regionali. É assolutamente necessario ridare al cibo il valore culturale e identitario che lo ha sempre caratterizzato e che ha consentito lo sviluppo della nostra società.


bon ton

Nicola Santini Esperto di Galateo, Costume e Società ph/Christian Ciardella

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Natale, auguri non tradizionali

Fatevi dono del senso della famiglia e della nascita di qualcosa di buono

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opo aver detto di tutto e di più sul Natale inteso come raccomandazione di non regalare profumi a persone di cui non si conoscono gusti, di evitare la biancheria intima o le mutande rosse ormai estremamente demodé - dopo aver spiegato in tutte le lingue che la tavola di Natale non deve essere una carnevalata e dopo aver rammentato quanto sia bello buttare un occhio sul passato ma anche strizzarlo verso il futuro, mi trovo a fare i conti per capire se, realmente, dopo tanta forma e formalità rimanga anche un po' di autentica sostanza. Voglio quindi dare uno spunto, più che un elenco di regole, per questo Natale, cercando di coglierne l'essenza, indipendentemente dal tasso di religiosità che si può coltivare all'interno di noi stessi e delle nostre famiglie. Difendo il Natale da quanti dicono che sia un giorno come un altro perché un giorno come un altro non lo è affatto. E lo difendo soprattutto da quelli che Natale è “un giorno come un altro” ma poi ad Halloween si travestono o mangiano il tacchino il giorno del

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Ringraziamento, feste che senz’altro rispetto ma che non sento perché credo che tutto, folklore compreso, vada ricondotto alle proprie radici.Del Natale voglio portare, anzi riportare, in auge due concetti fondamentali che vi auguro di ritrovare: il senso del nucleo, della famiglia e quello della nascita di qualcosa di buono. Cosa c'entra il galateo in tutto questo? Ci troviamo molto spesso, sempre più di frequente, a pretendere il teletrasporto a Betlemme senza nemmeno occuparci di seguire la stella cometa. Si chiedono consigli preconfezionati, senza ragionare sul loro valore reale e sull'impatto che potrebbero avere sulle nostre vite. I Re Magi, che erano re non certo dei poveracci, hanno fatto la strada ma non ho mai trovato uno che mi racconti il percorso, proprio in un momento in cui credo sia fondamentale per il Paese scoprire la bellezza del viaggio e non solo del punto di arrivo. L'augurio che faccio a tutti i miei lettori è di godere di ogni singolo metro di strada fatta, anche quando la meta sembra lontana.



arte

La battaglia immaginaria di Valentina Vallorani di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata Una personale dell’artista negli spazi della Galleria Tricromia di Roma - in via della Barchetta 13, fino al 20 gennaio 2018 - illumina la scena dell’arte con i frammenti di un combattimento dipinto

Ab immemorabili I, 2016, tecnica mista su legno, 14,5x15,5cm.

U

t pictura poësis. Questa locuzione di Orazio, nata per definire l’incontro tra la pittura e la poesia, è forse il viatico più felice a descrivere e decifrare il recente lavoro di Valentina Vallorani (San Benedetto del Tronto, 1991), il suo labirintico e vivace duello con la superficie, il suo narrare mediante sottintesi e leggerezze, il suo delineare forme che spiccano il volo e sembrano trovar riparo in un mondo fatto di sogni ad occhi aperti, di pensieri, di croccanti sterzate miocinetiche, di appunti intimi e preziosi. Come

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ombra o calco poco reale di una esperienza lontana legata agli antichi saperi della fiaba, della filastrocca, della oralità, del passaparola che gonfia, che accresce e che a volte trasforma inevitabilmente i materiali delle origini in materiali della fantasia, i nuovi progetti di Vallorani - realizzati tutti tra il 2016 e il 2017 - sono rappresentazione e spettacolo di battaglie immaginarie, voci o gesti lontani nel tempo, «storie incomplete di personaggi rocamboleschi, provenienti da non so quale mondo» avvisa l’artista, «dove la natura sembra non aver mai portato a termine la sua creazione, dove ogni essere sembra aver avuto ogni volta un contrattempo o impedimento nel suo farsi, e se la natura avesse voluto dar vita ad un cavallo avrebbe di certo finito per qualche sciagurato motivo per fargli un muso non identificabile, o delle zampe che ricordano quelle umane, senza logica connessione». Ariose carte su cui sembrano apparire fantasmi della memoria o di storie immaginarie, piccole e preziose tavolette

(frammenti lignei in compensato, stuccati e trattati con colori a olio, con bitume, incisioni, collage di carte da imballaggio e carta velina bianca o avorio), parallelepipedi che tridimensionalizzano lo spazio della pittura per dar vita a storie circolari, laterali, spigolose. Il suo è un cosmo che si rivolge alla storia di qualcosa che non ha confine, alla storia delle idee suggerirebbe Foucault, quella degli aspetti secondari e marginali, delle conoscenze imperfette (dell’alchimia, della frenologia, dei temi atomistici), «delle filosofie umbratili che ingombrano» e vi-

Soldati, 2017, tecnica mista su cartone, 18x20x14cm.


arte

Reregina n. 2, 2016, tecnica mista su cartone, 20x27x8cm.

vacizzano «le letterature, l’arte, le scienze, il diritto, la morale e perfino la vita quotidiana degli uomini; storia di quelle tematiche secolari che non si sono mai cristallizzate in un sistema rigoroso e individuale, ma hanno formato la filosofia spontanea di quelli che non fanno filosofia». Prendendo per la coda un verso di Shakespeare, Domani nella battaglia pensa a me (Tomorrow in the battle think of me più esattamente) che ha ricordato anche Javier Marías in un suo struggente romanzo del 1994 (Mañana en la batalla piensa en mí), Valentina Vallorani accende una candela timida nella mente per tratteggiare fantasie di avvicinamento a un mondo magico svuotato dei suoi simboli e ridisegnato, stratificato,

condensato con una elegante elasticità su carte di fortuna, strappate all’oblio quotidiano. Riciclare vecchi foglietti sgualciti, carte screpolate dal tempo, imballaggi dimenticati che conservano storie e sorrisi o contenitori, custodie, pacchi, astucci e scrigni vuol dire per Valentina Vallorani entrare nel campo degli incontri inaspettati, prendersi cura dell’antico e della sua eco, lavorare con una archeologia del sapere fatta di incroci, di memoria millenaria e collettiva, di avvenimenti minimi, di virate fantastiche, di battaglie mitiche e favolose: «le immagini di lunghe e lineari lance, la rotondità degli elmetti, il piacere nel disegnare la sinuosità elegante della forma del cavallo affiancandogli per contro le goffe forme di soldati

A caval donato non si guarda in bocca, 2016, tecnica mista su carta, 70x100cm.

in perenne caduta». La fantessa, Il duello, La badessa, Il diavolo e A caval Donato non si guada in bocca (tutte 70x100). E poi L’assedio, la Macchina da guerra, la Caduta da cavallo, i Soldati e gli Angeli, le figure androgine di Reregina o la delicatissima e disarmante serie Ab immemorabili: sono le immagini che popolano questa terra di mezzo dove appaiono diversi passati, diverse forme di concatenazione, diverse gerarchie di importanza, diverse sovrapposte complicità immaginarie, diverse battaglie che si stratificano sulla (nella) superficie per abbagliare e suggestionare lo spettatore, per guardare la storia lasciare il posto alle storie, per attendere che i fantasmi del tempo prendano volto, cerchino prepotentemente un nome.


finisterre

Carlo Michelstaedter, il filosofo che fece di se stesso fiamma di Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università di Salerno

Il suo ”radicalismo” e il suo desiderio di ritrovare lo ”stato originario” dell’esistenza sono solo alcuni dei temi nodali del volume a lui dedicato ”Come una cometa” di Valentina Mascia

C

i sono autori che ti attraversano per tutta la vita. Tu cresci, giochi, ami, ti arrabbi, gioisci, lavori, perdi tempo, costruisci relazioni, fai mille cose o non fai nulla, invadi o ti lasci invadere, fai carriera o fallisci…Insomma, mentre tu vivi, loro stanno lì. Dentro quel regno astratto e fondante che è il pensiero. Imperiosi e alteri nella loro forza espressiva. Immersi in quel tempo incantato che chiamiamo lettura. Ecco, Carlo Michelstaedter è uno di quegli autori che se lo hai letto in gioventù (nella ferocia ipersensibile del dirsi giovane) ti resta per sempre dentro. Ti resta dentro quell’estremo vigore di ragazzo-filosofo che deciderà di

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chiudere i conti con la vita, con un colpo di rivoltella alla tempia il 17 ottobre del 1910 a 23 anni. Questo sommo goriziano lascia un testo fondamentale per il Novecento (e per il tempo che verrà): ’La persuasione e la rettorica”, ovvero la sua tesi di laurea pubblicata postuma, come postume sono tutte le sue pubblicazioni (l’Epistolario, le poesie e “Il dialogo della salute”). Il suo è un pensiero fondato sulla filosofia greca, con uno sguardo incessante a Schopenhauer e Leopardi e costantemente proteso verso un orizzonte di volontà metafisica. La sua “attualità”, la sua visione della vita, il suo “radicalismo”,

il suo desiderio di ritrovare lo “stato originario” dell’esistenza sono alcuni dei temi nodali del volume “Come una cometa. Saggio su Carlo Michelstaedter” di Valentina Mascia (nella collana “Vita Nova” diretta da Daniela Calabrò, Rosalia Peluso e Renata Viti Cavaliere per le Edizioni Le Lettere). La giovane ricercatrice dell’Ateneo salernitano, già autrice di saggi dedicati all’autore goriziano, in questo prezioso volume sistematizza tutte le trame teoriche del filosofo. E lo fa con densa attenzione filologica, analitica e teoretica. La Mascia scava nella storia giovanile di Michelstaedter, scioglie luoghi comuni (quelli che inevitabil-


mente invadono le biografie dei sucidi), si sofferma su temi nodali (il dolore), ricostruisce il suo guardare all’infinita poesia di Leopardi, ritrova tutti i riferimenti della sua tensione espressiva (Ibsen, Sofocle, logicamente Schopenhauer), propone un vivace cortocircuito con Italo Calvino (“che, per parlar di sé, ha indossato i sandali di Perseo e ha sfidato i mostri incantatori della civiltà moderna”) e largamente si sofferma sull’analisi della “Persuasione” indicandoci il procedere per “scomposizione” di Michelstaedter verso i “territori inesplorati dell’inconscio” e la “difficoltà di connettere il dentro/fuori di ogni esistenza”. Un libro che entra nel cuore vivo di colui che fece “di se stesso fiamma”. Un libro che, con vigore analitico e tensione scientifica, ci racconta quel filosofo in grado di dire al mondo “a venire” che la sapienza non è nella misurazione della conoscenza o nel dato di una costatazione numerica o nella “logica del fare”. E nell’oggidiana epoca di forsennata “valutazione”, di “logica economica” e di “dato algebrico” come è necessario il suo pensare, la sua ricerca dell’altrove, il suo guardare al volo come dimensione salvifica. Come è tenacemente necessario il suo essere “come una cometa”.

«Mascia si sofferma su temi nodali (il dolore), ricostruisce il suo guardare all’infinita poesia di Leopardi, ritrova tutti i riferimenti della sua tensione espressiva, propone un vivace cortocircuito con Italo Calvino e largamente si sofferma sull’analisi della “Persuasione” indicandoci il procedere per “scomposizione” di Michelstaedter verso i “territori inesplorati dell’inconscio” e la “difficoltà di connettere il dentro/fuori di ogni esistenza”»

Mascia scava nella storia giovanile di Michelstaedter, scioglie luoghi comuni


LIBRI

CINEMA

a cura di Raffaella Venerando

L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio

A

Einaudi Editore pagg. 176 euro 17,50

ccade che a tredici anni, senza un motivo e con una sacca piena di scarpe e di strada già fatta, l’Arminuta fa ritorno in un paesino dell’entroterra abruzzese, in una casa abitata dalla miseria e dai suoi genitori biologici, resa indietro come un vuoto dalla famiglia che - fino ad allora - lei aveva creduto sua. Ad aprirle la porta è Adriana, la sorella piccola di cui ignorava l’esistenza e che si rivelerà per lei l’unico profondo e vero legame d’affetto della sua nuova e non voluta vita. L’Arminuta scopre così di essere sorella di cinque fratelli. Lei che fino a un minuto prima era figlia unica, ora lo è di due madri e di nessuna. La ragazzina da subito chiede, chiede a tutti, compreso il padre ’non padre” che l’ha condotta a forza fin lì, perché quella che credeva essere la propria madre non può più tenerla con sé. Da sola si fa capace di una malattia come causa impediente, pensa a questo cambiamento come temporaneo, difficile, doloroso ma passeggero. E invece a passare sono solo i giorni, riempiti dalla fame, dalle ostilità dei fratelli per la bocca in più da sfamare, dalle faccende domestiche da sbrigare senza opporsi, dal dialetto ruvido e granitico. Lontana dalla sua casa borghese, dalle sue amicizie di sempre, dalla sua vita agiata, l’Arminuta diventerà grande in modo diverso, imparando a sue spese quanto differente può essere lo stesso sentimento d’amore. «Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza». 64 | dicembre 2017 / gennaio 2018

a cura di Vito Salerno

DUNKIRK di Christopher Nolan

U

n epico e impeccabile thriller d’azione, co-prodotto, scritto e diretto dal regista Christopher Nolan (“Interstellar”, “Inception”, la trilogia de “Il cavaliere oscuro”), questo è “Dunkirk”. Ambientato nel 1940 in piena Seconda guerra mondiale e tratto da una storia vera, il film inizia con le immagini della spiaggia di Dunkirk e di centinaia di migliaia di soldati appartenenti alle truppe britanniche ed alleate che vengono circondati dalle forze nemiche tedesche. Intrappolate sulla spiaggia con le spalle rivolte verso il mare, le truppe si trovano ad affrontare una situazione impossibile mentre il nemico si stringe intorno a loro. La storia si sviluppa tra terra, mare ed aria e racconta di una rocambolesca operazione di ripiegamento organizzata dai britannici. Gli Spitfire della RAF si sfidano col nemico in cielo aperto sopra la Manica in difesa degli uomini intrappolati a terra. Nel frattempo, centinaia di piccole imbarcazioni capitanate da militari e civili tentano un disperato salvataggio, mettendo a rischio le proprie vite in una corsa contro il tempo per salvare anche solo una piccola parte del proprio esercito. L'Operazione Dynamo si svolse in 8 giorni e riuscì a salvare la vita a 338.226 soldati e, insieme con il più celebrato sbarco in Normandia, fu uno degli episodi storici che hanno determinato l'esito della Seconda guerra mondiale. Fra i protagonisti del film spiccano, nel multigenerazionale cast di attori, le prove di Kenneth Branagh e Tom Hardy.




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