NUMERO 03
GIUGNO/LUGLIO 2016
EDITOR IA L E / GIUGNO L UGL IO 2016
Boccia, la sfida è appena cominciata Il nuovo presidente di Confindustria si è imposto grazie alla capacità di ascolto, di inclusione e al senso di squadra. L’Associazione ha ora davanti a sé l’occasione di riposizionarsi e di contribuire a riaprire la strada dello sviluppo per il Paese, portando in primo piano le richieste e le proposte delle imprese
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i nasce piccoli, ma poi si deve puntare a diventare grandi». Queste parole sono uno stralcio dell’intervista - che leggerete nelle pagine seguenti - a Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria. Sono la sintesi di un suo passaggio sulla necessità per le imprese, oggi, di crescere per reggere la competizione, ma potrebbero essere anche la perfetta didascalia della sua storia personale e associativa che parte da lontano. Da Salerno. Da quando era “piccolo”. Il suo percorso in Confindustria comincia nel 1994 quando, appena trentenne ma già ai posti di comando dell’azienda di famiglia - la Arti Grafiche Boccia, specializzata nella stampa di periodici, quotidiani, cataloghi e cartotecnica - Enzo diventa presidente dei Giovani Imprenditori salernitani e vice presidente dell’Associazione. Da qui ha inizio la sua lunga carriera nel sistema confederale nazionale che lo ha visto, tra le altre cose, dal 2009 al 2013 presidente della Piccola Industria. Consenso dopo consenso, con impegno e senso di responsabilità, le sfide vinte sono state molte di più di quelle dove non è arrivato primo. Intelligente e carismatico, Enzo ha mostrato nel tempo di essere un grande animatore di dibattiti non urlati, di credere nella forza del gruppo e nella quasi sacralità del sistema associativo, dove chi fa il capo non deve necessariamente imporsi in una gara di popolarità, quanto piuttosto convincere - con i fatti - di sapere dirigere al meglio la squadra. Nei mesi scorsi il piccolo imprenditore è diventato grande, affrontando e superando la prima parte dell’obiettivo più motivante fin qui datosi: arrivare al vertice di Confindustria. Il grosso viene, infatti, ora. Nel corso dei prossimi quattro anni, il presidente Boccia dovrà portare a compimento le priorità indicate nel suo ampio programma che spazia dal fisco, al credito, dalla politica industriale alla riforma costituzionale, dall’energia fino ad arrivare all’Europa. Tra tutti, un tema in particolare sentiamo più nostro: la modernizzazione dell’organizzazione del lavoro. Il presidente Boccia nella relazione tenuta durante l’assemblea annuale della confederazione degli industriali il 26 maggio scorso ha sottolineato come «agli aumenti retributivi debbano corrispondere aumenti di produttività. Con i profitti al minimo storico, lo scambio “salario/produttività” è l’unico praticabile». Lo abbiamo detto più volte e qui lo ripetiamo: se abbiamo perso competitività negli ultimi 20 anni, non è esclusivamente perché abbiamo un costo del lavoro elevato, ma perché siamo stati scarsamente produttivi. Aumentare la produttività significa anche migliore utilizzo degli impianti, crescenti quote di retribuzione collegate al merito e ai risultati dell’impresa. Per questo, riteniamo che debba essere sostenuto il percorso di consolidamento del ruolo e del peso della contrattazione aziendale, capace di creare maggior valore da redistribuire ai lavoratori, attraverso elementi sia retributivi in senso stretto, sia di “welfare”. Crediamo, pertanto, che la proposta di rinnovamento contrattuale di Federmeccanica - ben spiegata dal direttore Stefano Franchi nelle pagine 8 e 9 - sia condivisibile e confidiamo in un’intesa con il sindacato. L’avventura del nuovo presidente di Confindustria è appena cominciata ma, siamo certi che, con la memoria del passato e la consapevolezza del presente negli occhi, Vincenzo Boccia sarà in grado di portare molto avanti il futuro delle nostre imprese e del Paese.
Mauro Maccauro presidente Confindustria Salerno @MauroMaccauro
S O M M A R IO EDITORIALE 1
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Boccia, la sfida è appena cominciata di M. Maccauro
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Il nuovo Arbitrato per le controversie finanziarie presso la Consob di M. Marinaro
PRIMO PIANO
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Vincenzo Boccia, presidente Confindustria: «L’impresa va ripensata» di R. Venerando, intervista a V. Boccia
Unit Linked, quando il termine polizza può essere fuorviante di M. Degiorgis
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La responsabilità del medico e il consenso informato del paziente di L. De Valeri
La nuova squadra di Vincenzo Boccia SPECIALE / LAVORO
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Franchi, Federmeccanica: «Dalla parte delle imprese e del lavoro» di R. Venerando, intervista a S. Franchi
12 Del Conte, Anpal: «I contratti non sono compito del governo» di R. Venerando, intervista a M. Del Conte 14 Visentini, Segretario Generale Ces: «Bisogna lavorare sulla competitività e sugli investimenti» di R. Venerando, intervista a L. Visentini FOCUS
LAVORO 35
FISCO 36
L'Italia e il sostegno debole alle start up innovative di A. Sacrestano
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Le Sezioni Unite riportano le valutazioni nel falso in bilancio di M. Fiorentino
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L'accertamento catastale deve essere motivato di Maurizio Villani e Alessandra Rizzelli
16 Export marittimo strategico per la Campania di A. Panaro CONFINDUSTRIA SALERNO
Licenziamento del dipendente pubblico, la Cassazione cambia parere di M. Ambron
PRIVACY 42
20 Premio Best Practices per l’Innovazione, la forza della contaminazione positiva di R. Venerando, intervista a E. Gisolfi
Privacy, cambio di prospettiva con il nuovo Regolamento UE di R. Venerando, intervista a P. Balboni INTERNAZIONALIZZAZIONE
22 Garanzia Giovani, un’occasione da non perdere di F. G. Palumbo
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23 Young Factory Design, fuori le idee a cura della Redazione Costozero
Cara Europa, torniamo al Partenariato Euromediterraneo di E. Szajkowicz
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Certificazione Halal, avvicinarsi ai mercati di fede islamica di R. Venerando, intervista a F. Spilotros
DESIGN 24 Crisi e crescita: dal prodotto al sistema prodotto di S. Adinolfi
RICERCA 47
Nanomedicina e Nanotecnologie: le nuove frontiere di E. Reverchon
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Borsa della Ricerca 2016, la necessità di sistemi aperti per avanzare di R. Venerando, intervista a T. Aiello
NORME E SOCIETÀ 26 Il caso Dolce & Gabbana: società estera controllata e luogo della direzione effettiva ai fini fiscali di M. Galardo
NUMER O 3 / GIUGNO L UGL IO 2 0 1 6 RICERCA 51
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Borsa della Ricerca Award 2016: favorire il passaggio dalla ricerca all'innovazione Campiglia, Università di Salerno: «Il lungo viaggio di una buona idea» di R. Venerando, intervista a P. Campiglia
SICUREZZA 55
Inail, lo Smau l'ha eletta PA più "social" di M. Troianiello
Magazine di Economia, F inanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg . Trib. di Salerno N. 677 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Mauro Maccauro Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management V ito Saler no
SALUTE 57
Alimentazione sostenibile e sprechi: la cucina autarchica/2 di G. Fatati
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Acne, il disordine della pelle non conosce età di A. Di Pietro
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CRISPR: nuova era per il DNA editing di L. Mari
ARTE 60
Una mostra sospesa nel vuoto di A. Tolve
FINISTERRE 62
Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Saler no Ser vice Sr l V ia Madonna Di Fatima, 194 84129 Saler no Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 03971170653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Saler no Foto Archivio Costozero V ito Saler no Massimo Pica/Ag . Fotografica Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it L e opi ni oni espr esse negl i a r ti c ol i a ppa r tengono ai si ngol i a utor i dei qua l i si i ntende r i spetta r e l a pi ena l i ber tà di gi udi z io
Omaggio a William Burroughs, gli esordi di A. Amendola
BON TON 63
Il galateo della dieta di N. Santini www.costozero.it LIBRI/HOMECINEMA
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La femmina nuda a cura di R. Venerando
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La Grande Scommessa a cura di V. Salerno
P RI M O P IANO
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Vincenzo Boccia, presidente Confindustria: «L’impresa va ripensata»
Il presidente dell'Associazione degli Industriali non ha dubbi sulla direzione da intraprendere: più capitale di rischio e meno di debito. Le aziende devono utilizzare strumenti finanziari alternativi ed essere meno “banco-centriche”. Vanno poi innovati i prodotti e i processi produttivi, modernizzata l’organizzazione del lavoro e il modo di stare sul mercato. In sintesi: «L’industria del futuro dovrà essere innovativa, sostenibile, interconnessa»
Foto Agenzia fotografica Contrasto
di Raffaella Venerando
Vincenzo Boccia presidente di Confindustria
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ei viene dalla Piccola Industria, eppure ha lanciato un monito anche alle pmi invitandole a crescere… Perché è una necessità di cui noi imprenditori per primi siamo consapevoli. L’industria del futuro richiede dimensioni diverse, più adeguate al nuovo contesto competitivo. Per questo dobbiamo crescere: e farlo non è solo un dovere verso le nostre imprese, è anche la nostra responsabilità verso il Paese. "Piccolo" non è bello in sé, è solo una fase nella vita di ogni impresa. Si nasce piccoli, ma si deve poi puntare a diventare grandi.
E come si diventa grandi? Intanto con più capitale di rischio e meno di debito. Le imprese devono utilizzare strumenti finanziari alternativi ed essere meno “banco-centriche”. Poi dobbiamo innovare prodotti e processi produttivi, aprirci alle tecnologie digitali, modernizzare l’organizzazione del lavoro e il modo di stare sul mercato. In una parola, ripensare l’impresa, perché quello che andava bene un tempo, oggi non basta più. L’industria del futuro dovrà essere innovativa, sostenibile, interconnessa. Un’industria 4.0… Esatto. Per alcune imprese la quarta rivoluzione industriale è già una realtà, dobbiamo fare in modo che lo sia per moltissime altre. Per realizzare questo modello di industria serve una vera e moderna politica industriale. Una politica che i grandi paesi manifatturieri si sono dati, mentre da noi latita. Per questo abbiamo accolto con soddisfazione le dichiarazioni del Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, alla nostra Assemblea del 26 maggio. Il tema è tornato all’attenzione di tutti: e questo grazie anche alla forte azione di Confindustria, che ha riportato la questione industriale al centro del dibattito pubblico. Abbiamo avviato alcune riflessioni e, prima dell’estate, intendiamo presentare un progetto nostro di politica industriale, condiviso con tutto il sistema. In Assemblea, ai sindacati, ha mandato un messaggio chiaro: non vogliamo giocare al ribasso. Maggiore produttività per salari più alti. La variabile decisiva per le nostre imprese è la produttività. E nell’andamento della produttività c’è la
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«Non può esistere un capitalismo moderno, senza istituzioni moderne. Ecco perché ci battiamo per le riforme, che non sono patrimonio dei partiti, ma dei cittadini» causa della lenta crescita italiana. Bastano due numeri: dal 2000 a oggi la produttività nell’intera economia è salita dell’1% in Italia, contro il 17% dei nostri maggiori partner europei. È evidente che il nodo da sciogliere è qui. Noi abbiamo sempre considerato lo scambio “salario/produttività” una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzarlo. Dobbiamo legare il salario alla produttività, prevedere le giuste misure fiscali e innescare così un meccanismo virtuoso: maggiore competitività e più ricchezza redistribuita a famiglie e lavoratori. Una strada intrapresa con l'ultima Legge di Stabilità. Va rafforzata e resa strutturale. Pensa che i sindacati si risiederanno al tavolo? Credo che le relazioni industriali debbano contribuire in maniera decisiva alla crescita della ricchezza e del benessere di imprese e persone. Dobbiamo fare ogni sforzo perché diventino rapporti tra soggetti consapevoli, che condividono gli obiettivi di sviluppo aziendale. Per questo motivo avevamo chiesto ai sindacati di riscrivere insieme le regole della contrattazione collettiva. A malincuore abbiamo accettato la loro decisione di arrestare questo processo per dare precedenza ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro di vecchie regole, lasciando ai singoli settori il gravoso compito di provare a inserire qualche elemento di innovazione. Ora, con i rinnovi in corso, non possiamo interferire. Quando riprenderemo il confronto, avremo come bussola proprio lo scambio “salario/produttività”, sperando di riuscire noi a scrivere le nuove regole invece che lasciarlo fare ad altri. Da imprenditore del Sud quali pensa siano le ricette giuste per il nostro Mezzogiorno? L’abbiamo detto chiaro in Assemblea: al Sud non servono politiche straordinarie. Servono politiche più intense, ma uguali a quelle che sono necessarie nel resto del Paese. La mia impresa è nata ed è tutt’ora presente a Salerno, ma io giro l’Italia e mi rendo
perfettamente conto, incontrando gli imprenditori, che le problematiche che viviamo noi in azienda sono le stesse di molte altre imprese. Non serve parlare, ma fare in ogni regione d’Italia. In questo momento abbiamo la grande opportunità dei Fondi strutturali e dell’apertura dell’Europa a una maggiore flessibilità, sfruttiamola, invece di perdere al solito i treni che ci passano davanti. A proposito di treni persi, in Assemblea avete chiesto con forza di proseguire sulla strada delle riforme, per alleggerire f inalmente il Paese dalle zavorre che lo hanno immobilizzato in questi anni... Le riforme sono la strada obbligata se vogliamo liberare il Paese da quei tanti veti e particolarismi che hanno contribuito a ingessarlo. In più, per Confindustria, le riforme sono quasi pane quotidiano: ci battiamo da sempre per cambiare e modernizzare il Paese. Un impegno che risale ai lontani anni ‘90. E adesso chiediamo il superamento del bicameralismo perfetto e dell'attuale Titolo V. Non può esistere un capitalismo moderno, senza istituzioni moderne. Ecco perché ci battiamo per le riforme, che non sono patrimonio dei partiti, ma dei cittadini. Non hanno nomi o colori politici, ma solo argomenti: se sono validi e condivisi, li sosteniamo. In Assemblea ha voluto intervenisse il Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini: perché? Imprese e cultura sono molto più vicine di quanto si creda. E noi imprenditori crediamo che la cultura sia motore di sviluppo, umano ed economico. La cultura emoziona, accende il fuoco dell’industria creativa. E nessuna impresa al mondo ha la nostra creatività. Nessuna è alfiere e sinonimo di qualità e bellezza, come il made in Italy. Il nostro Paese suscita ovunque un sentimento di amore. Dobbiamo attrezzarci per accogliere più visitatori con un’offerta all’altezza delle loro aspettative, che unisca servizi e prodotti, facendo leva sul marketing e i marchi e su quel Brand Italia che ha un potenziale enorme. Saremmo folli a non scommetterci sopra.
P R I M O P IA NO
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La nuova squadra di Vincenzo Boccia Chi sono, da dove vengono e di cosa si occuperanno tutti gli uomini e le donne che affiancheranno il presidente nel corso del suo mandato
Alberto Baban Piccola Industria Classe 1966. È presidente di Tapì SpA e di VeNetWork SpA. È membro dell’Innovation Board dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del Comitato Scientifico Trieste Next.
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Giovanni Brugnoli Capitale umano Lombardia. Classe 1970. È presidente del CdA della Tiba Tricot Srl di Castellanza, leader nella produzione di tessuti indemagliabili per abbigliamento sportivo, tessuti industriali e per l’arredamento.
Lisa Ferrarini Europa Emilia Romagna. Classe 1963. È consigliere delegato del Gruppo Agroalimentare Ferrarini. Georgofila presso l’Accademia dei Georgofili dal 2005 e Mela d’oro della Fondazione Bellisario nel 2015.
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Stefan Pan Rappresentanze regionali e politiche di coesione territoriale Trentino Alto Adige. Classe 1959. È presidente del CdA della Pan Surgelati Srl e membro del consiglio direttivo di Villa Vigoni, Centro Italo-Tedesco per l’eccellenza europea.
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Marco Gay Giovani Imprenditori Classe 1976. Amministratore delegato di WebWorking Srl; fondatore di AD2014 Srl e presidente di Torino1884 Srl. Socio e vice presidente di Digital Magics.
Antonella Mansi Organizzazione Toscana. Classe 1974. Presidente Nuova Solmine Iberia; consigliere di amministrazione Nuova Solmine SpA, SolBat Srl e Sol Spa. Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana e Mela d’oro della Fondazione Bellisario nel 2014. Foto Agenzia fotografica AGF
Giulio Pedrollo Politica industriale Veneto. Classe 1972. È amministratore unico della Linz Electric Spa, che opera nel campo dell’energia, fondata nel 2002. È amministratore delegato dell’azienda di famiglia, Pedrollo Spa, leader mondiale nel settore delle elettropompe per acqua.
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Maurizio Stirpe Lavoro e relazioni industriali Lazio. Classe 1958. È presidente di Prima Spa, capofila di un gruppo nel settore della progettazione e realizzazione di componentistica in plastica per l’industria di auto, moto e elettrodomestici. È presidente del Frosinone calcio.
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Licia Mattioli Internazionalizzazione Piemonte. Classe 1967. Amministratore delegato della Mattioli Spa. È presidente di Exclusive Brands Torino, prima rete orizzontale nel mondo del lusso da lei fondata nel 2011. Insignita della Mela d’oro della Fondazione Bellisario nel 2010.
SPE CI A LE / LAV ORO
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Franchi, Federmeccanica: «Dalla parte delle imprese e del lavoro»
Per il direttore generale Stefano Franchi è necessario un profondo cambiamento nell’impianto contrattuale, altrimenti saranno molte le aziende a rischio tenuta e «se l’impresa muore, muore il lavoro»
di Raffaella Venerando
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irettore, lei nel presentare la proposta di Federmeccanica ai Sindacati utilizza l’espressione rinnovamento contrattuale e non rinnovo. Perché? Dobbiamo prendere atto che il contesto in cui operiamo è profondamente mutato. Viviamo uno scenario postbellico senza che ci sia stata una guerra. I dati economici parlano chiaro: tra il 2007 e il 2015 la produzione metalmeccanica è diminuita di circa
Stefano Franchi direttore generale Federmeccanica
il 28%, il 25% delle aziende hanno chiuso o ridotto la loro attività, si sono persi 268 mila posti di lavoro. I prezzi industriali sono fermi da troppi anni. Per questo è necessario un profondo cambiamento, altrimenti molte imprese rischiano di essere messe fuori mercato, determinando così nuove perdite di posti di lavoro. Niente sarà più come prima e non basta “aggiornare” quello che c’era mantenendo lo stesso impianto con un rinnovo di tipo tradizionale. Dobbiamo portare a compimento un reale Rinnovamento. Ma siamo consapevoli che non ci sono alternative. La proposta può essere sintetizzata in sei punti cruciali. Partiamo dal primo: un nuovo patto tra impresa e lavoro. Il rinnovamento deve essere culturale prima ancora che contrattuale dentro un nuovo paradigma. Ognuno deve fare la propria parte, nessuno escluso, comprese le Parti Sociali. La centralità della persona e l’impresa come bene comune sono i capisaldi di una visione evoluta delle relazioni industriali. Crediamo nella partecipazione intesa come responsabilizzazione e condivisione di obiettivi, rischi e risultati. Per questo parliamo di un nuovo patto tra impresa e lavoro. Per accogliere le sfide del futuro in un delicatissimo momento di transizione. Noi vogliamo gestire e accompagnare il cambiamento, non subirlo. Un cambiamento sostanziale nelle Relazioni Industriali. Il CCNL deve avere una funzione di garanzia e tutela con nuovi benefici per i lavoratori, allo stesso tempo vanno rilanciati gli investimenti e favorita la crescita dell’occupazione.
9 Lei ha più volte ribadito che il salario non è una variabile indipendente. Al riguardo cosa prevede la proposta di Federmeccanica? É ormai chiaro che non è possibile incrementare i salari nelle aziende in cui non ci sono profitti. Da qui l’introduzione di un principio semplice che potrebbe apparire persino un’ovvietà: distribuire la ricchezza se è stata prodotta, dove è stata prodotta e dopo che è stata prodotta. Il nostro obiettivo è aumentare le retribuzioni ma non possiamo più sopportare incrementi di costi in maniera indiscriminata, bisogna semmai cercare insieme una soluzione efficace per consentire alle imprese di tornare a creare ricchezza. Gli incrementi retributivi devono quindi essere legati ai risultati. In questo modo si garantirebbe anche un reale incremento del potere d’acquisto alle nostre persone. Infatti i premi di risultato sono tassati al 10%, mentre gli incrementi contrattuali sono tassati mediamente al 38%. Nella nostra proposta abbiamo previsto che almeno 260 euro debbano essere destinati a retribuzione variabile. In questo modo assicuriamo una copertura al 100% dei dipendenti. Garantiremo anche al 100% dei lavoratori una retribuzione di garanzia sempre in linea con l’andamento del costo della vita. Saranno quindi aumentati solo i salari individuali inferiori ai minimi che saranno agganciati al costo della vita e aggiornati ex post ogni anno. Allo stesso tempo si può intervenire in maniera molto efficace sui “nuovi bisogni” delle persone: dal welfare alla formazione. Si tratta di passare da un concetto di costo a quello di investimento sulla persona. Per contenere i costi e assicurare comunque migliori condizioni per i collaboratori abbiamo proposto un CCNL che garantisce: 1) salari minimi adeguati all’inflazione 2) più welfare 3) più formazione 4) più salario reale nelle aziende dove si produce ricchezza. Rispetto al welfare aziendale? La nostra proposta, come detto, vuole difendere le imprese e tutelare il reale potere di acquisto delle persone utilizzando tutti quegli strumenti previsti dalla legislazione vigente che consentono di abbattere in maniera sostanziale il cuneo fiscale. L’importo di 260 euro da destinare a premi di risultato potrà alternativamente essere impiegato nel welfare aziendale che offre tante opportunità per soddisfare ogni tipo di bisogno delle persone. Anche in questo caso il beneficio per i lavoratori è massimo visto che
questi riconoscimenti come i buoni spesa, i buoni benzina, le spese scolastiche e altri benefit non sono tassati. A quello contrattuale? Federmeccanica con il fondo MétaSalute offre una copertura sanitaria integrativa a totale carico dell’impresa ed estesa anche ai familiari che sul mercato avrebbe un prezzo di almeno 700 euro. Stiamo parlando della copertura gratuita di prestazioni largamente fruite nel quotidiano dalle famiglie. Per citare solo alcuni esempi: le cure e gli interventi dentali, le visite specialistiche, la Diagnostica e terapie di alta specializzazione; il Ricovero per interventi chirurgici, la Fisioterapia riabilitativa, i Servizi di ospedalizzazione domiciliare, il Rimborso dei ticket e la prevenzione. Si tratta di un importantissimo strumento a tutela della salute, il bene primario che comporterebbe anche un notevole risparmio per le famiglie. Infatti è notizia di questi ultimi giorni il drammatico dato riportato dalla ricerca del Censis secondo cui 11 milioni di italiani non si curano per difficoltà economiche. Ebbene la nostra proposta affronta in termini concreti un problema molto serio per le persone. Mentre per la previdenza complementare è previsto un ampliamento del contributo delle imprese, che passa dall’1.6% al 2% della retribuzione, riducendo allo stesso tempo il contributo minimo dei dipendenti che non dovrà più essere pari a quello dell’azienda ma potrà essere dell’1.2%. Vale a dire che si può ottenere il massimo del contributo aziendale anche con un contributo del dipendente più basso. C’è spazio anche per la formazione? La formazione è una dei capisaldi di questa riforma, che definirei “epocale” poiché riconosce a tutti i lavoratori un diritto soggettivo alla formazione per 24 ore nel triennio, con un contributo aziendale di 300 euro. Creare nuove competenze e nuove conoscenze è la garanzia più grande per i lavoratori e per la loro occupabilità nel tempo. Rispetto alle politiche attive del lavoro? L’idea è quella di operare sia a livello nazionale che territoriale per identificare i fabbisogni delle imprese e per verificare poi se questi si possono incrociare con i profili di coloro che hanno perso il lavoro. Dovrebbe
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S PE CI A LE / LA V ORO sulle persone, sul loro futuro. Le risorse umane sono determinanti per la crescita del Sistema e quello da noi proposto va proprio in questa direzione.
essere previsto necessariamente un raccordo con i soggetti pubblici e privati impegnati nelle politiche attive, prevedendo anche momenti di riqualificazione professionale per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Come crede si chiuderà la partita del rinnovo contrattuale del settore metalmeccanico? Interverrà il governo? Sono fiducioso che tutte le parti arriveranno a comprendere, prima o dopo, la reale portata delle nostre proposte e le ricadute positive per le persone e le imprese. Ci siamo resi disponibili a ricercare soluzioni condivise per introdurre il nuovo schema in maniera graduale, entro il triennio di vigenza del contratto e non a partire dal 1 gennaio 2017 come originariamente previsto. Abbiamo ritenuto che la definizione di forme condivise di gradualità avrebbe potuto rappresentare un modo ragionevole per gestire la fase di transizione e realizzare in maniera efficace il cambiamento. Certo, il conflitto non aiuta ma noi andiamo avanti Deve essere responsabilità nostra, delle parti sociali, portare a compimento questo importante progetto riformatore. Il governo ha introdotto strumenti importanti per stimolare il collegamento tra salari e produttività e l’investimento in welfare. Altri aspetti devono essere coperti come la decontribuzione dei premi di risultato ad esempio. Starà alle parti utilizzare al meglio queste leve utili per dare risposte alle imprese e le persone. Noi nel pieno rispetto dei ruoli, siamo pronti a fare la nostra parte.
Per far conoscere in maniera capillare il nuovo modello lei si è impegnato personalmente in un road show di presentazione. Com’è il termometro della situazione, come stanno le imprese del comparto metalmeccanico? Soffrono una situazione congiunturale ancora debole che stenta a sostenere una reale ripresa. Proprio per questo motivo la posizione di Federmeccanica appare del tutto congrua all’obiettivo di difendere le imprese. I nostri associati condividono pienamente la proposta di legare i salari alla produttività, poiché buona parte del peggioramento del CLUP (il costo del lavoro per unità produttiva) è proprio imputabile alla scarsa crescita della produttività necessaria a compensare l’incremento del costo del lavoro. Indichi “la buona ragione” per cui le imprese e i lavoratori dovrebbero scegliere la strada indicata da Federmeccanica. Provi a convincere gli irriducibili. Credo che nessuno avrebbe da obiettare se dico che, ora o mai più, dobbiamo impegnarci tutti per difendere le imprese e il lavoro. L’impresa è un valore sociale nel momento in cui crea occupazione e genera ricchezza da distribuire. Se l’impresa muore, muore il lavoro. Allo stesso tempo riteniamo si debba investire
IMPRESA BENE COMUNE
PERSONA AL CENTRO
1 difendere
fare 6 insieme
l’impresa & il lavoro
2
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nuova retribuzione detassata
formazione per tutti
4
pensare al futuro
3 il welfare
alza lo stipendio
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punto 1
punto 2
punto 3
# difendere l’impresa & il lavoro
punto 4
# nuova retribuzione detassata
punto 5
Nel nostro settore sono stati persi quasi 300 mila posti di lavoro, il 25% delle nostre Aziende ha chiuso o ha ridotto le attività. I prezzi dei prodotti industriali sono fermi da 10 anni. Molte imprese attraversano ancora situazioni di grande difficoltà e tanti lavoratori sono in Cassa Integrazione. Non è possibile aumentare i costi, anche del lavoro, in maniera indiscriminata, senza mettere a rischio altra occupazione e la sopravvivenza di tante imprese.
Salario mai inferiore al “minimo di garanzia”, agganciato al reale costo della vita e aggiornato ogni anno. Aumento degli stipendi legato alla produttività attraverso il collegamento delle retribuzioni ai risultati dell’azienda. Importo minimo pari a 260 euro annui da destinare a retribuzione varabile. Sostituire incrementi del salario lordo contattuale, tassati mediamente al 38%, con premi di risultato tassati al 10% per garantire un salario netto reale più alto mantenendo la piena contribuzione ai fini pensionistici.
# il welfare alza il salario
Come alternativa ai premi di risultato l’importo minimo di 260 euro potrà essere destinato al welfare aziendale, come ad esempio i buoni spesa, i buoni benzina, le spese scolastiche e per l’educazione, quelle ricreative e tanti altri benefits. Queste erogazioni non sono tassate. La distribuzione della ricchezza attraverso il welfare aziendale consente di aumentare realmente il potere di acquisto delle persone.
# pensare al futuro
Assistenza Sanitaria con il Fondo mètaSalute a totale carico del datore di lavoro. Copertura assicurativa estesa ai familiari che sul mercato costerebbe più di 700 euro, senza limitazioni all’ingresso per età anagrafica o patologie pregresse. Copertura anche dei lavoratori in Cassa Integrazione e in mobilità. Pensione integrativa più elevata con l’aumento del contributo dei datori di lavoro per il fondo Cometa che passa dall’1.6% al 2%.
# formazione per tutti
Garantire a tutti i lavoratori metalmeccanici un “Diritto Soggettivo” alla formazione pari a 24 ore in tre anni, con un contributo aziendale di 300 euro. Più garanzie e più tutele. Creando nuove competenze, nuove conoscenze che possano consentire la crescita professionale dei lavoratori e favorire la loro occupabilità nel tempo. punto 6
# fare insieme
Nuova cultura del lavoro basata sulla responsabilizzazione e condivisione degli obiettivi e dei risultati. Lavorare uniti per affermare l’importanza della sicurezza sul lavoro ed in particolare della prevenzione. Politiche attive per aiutare chi ha perso un lavoro a ritrovare un’occupazione attraverso la riqualificazione e cercando opportunità in altre aziende.
S PE CI A LE / LA V ORO
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Del Conte, Anpal: «I contratti non sono compito del governo» Il presidente della nuova Agenzia per le politiche attive del lavoro auspica che le parti sociali riescano a trovare un punto di incontro che consenta a tutti di non sprecare un’occasione importante di modernizzazione, non facilmente ripetibile di Raffaella Venerando
R
innovo dei contratti: manca ancora quello del comparto metalmeccanico all’appello. Lei come crede f inirà? Interverrà il governo? Credo che non sia compito del governo intervenire sulle questioni contrattuali. Questo però non significa non avere attenzione per ciò che succede nelle relazioni industriali. Il modello di contratto collettivo sul quale stanno discutendo Federmeccanica e sindacati contiene elementi di modernizzazione del sistema
Maurizio Del Conte presidente Anpal @maudelconte
che, personalmente, valuto molto positivamente. Perciò mi auguro che le parti riescano a trovare un punto di incontro che consenta a tutti di non sprecare un’occasione importante e non facilmente ripetibile.
«Federmeccanica ha avuto il coraggio di mettere sul tavolo del negoziato nodi problematici che non potevano più essere elusi: distribuire ricchezza laddove si produce davvero, garantire un sistema di welfare aziendale che integri quello pubblico, migliorare la produttività e la professionalità del lavoro» La nuova agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal) sarà operativa a breve. Cosa c’è di sostanzialmente nuovo rispetto al passato e quali esperienze o aspetti fallimentari sono stati rimossi? Del tutto nuova è l’idea stessa di avere una agenzia che si faccia carico di progettare e coordinare le politiche del lavoro sull’intero territorio nazionale. Purtroppo le esperienze sin qui maturate al livello di singole regioni o province sono state – salvo qualche lodevole eccezione - deludenti. Dobbiamo rimuovere la segmentazione del mercato del lavoro attraverso una struttura informatica
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«Del tutto nuova è l’idea stessa di avere una agenzia che si faccia carico di progettare e coordinare le politiche del lavoro sull’intero territorio nazionale. Dobbiamo rimuovere la segmentazione del mercato del lavoro attraverso una struttura informatica che renda accessibile a tutti e ovunque le informazioni sulla domanda e sulla offerta di lavoro»
che renda accessibile a tutti e ovunque le informazioni sulla domanda e sulla offerta di lavoro. Dobbiamo rafforzare la rete dei centri per l’impiego pubblici, sia sotto il profilo della quantità di personale addetto che della sua formazione specifica. Dobbiamo ridurre i costi di investimento degli operatori privati derivanti dalle procedure burocratiche di accreditamento. Dobbiamo mettere a disposizione di tutti i territori strumenti universali di politiche attive, come l’assegno di ricollocazione. Dobbiamo garantire misure personalizzate di aiuto alla ricollocazione in ragione delle specifiche caratteristiche del disoccupato. Ci vorrà tempo, ma è un cammino che non si può più rimandare. Del documento interconfederale dei sindacati che idea si è fatto? Un passo avanti verso l’unità sindacale, con aperture inedite delle singole componenti sindacali sulle regole, anche normative, della rappresentanza e sulla transizione da un modello conflittuale ad una visione più partecipativa del sindacato. Ma un documento ancora incerto sui rapporti tra contrattazione di primo e di secondo livello e debole sul piano della attuazione delle regole. Di quello programmatico di Federmeccanica rivolto ai sindacati? Federmeccanica ha avuto il coraggio di mettere sul tavolo del negoziato nodi problematici che non potevano più essere elusi: distribuire ricchezza laddove si produce davvero, garantire un sistema di welfare aziendale che integri quello pubblico, migliorare la produttività e la professionalità del lavoro. Credo, però, che – pur tenendo conto delle difficoltà in cui si muove in questo momento il settore metalmeccanico sia necessario da parte delle imprese un impegno
economico maggiore di quello sin qui offerto alla controparte sindacale. Esiste un problema di rappresentanza nel nostro Paese secondo lei? Esiste soprattutto un problema di credibilità della rappresentanza. Perciò deve essere finalmente realizzato un sistema che ne certifichi la dimensione effettiva. E questo vale sia per i sindacati che per le organizzazioni datoriali. Agenzie per il lavoro pubbliche e private potranno essere scelte dal cittadino come destinatari del proprio assegno per l’impiego. E poi cosa succede? Succede che inizia il percorso di attivazione. Che significa che il disoccupato non sarà più un percettore passivo di un sussidio, ma che quel sussidio sarà condizionato alla disponibilità del disoccupato a seguire percorsi di formazione, riqualificazione e accompagnamento al lavoro, fino al colloquio finale con l’impresa. E se si rifiuta una offerta di lavoro congrua, si perde il diritto al sussidio. Sul lavoro agile a che punto siamo? Come crede risponderanno le aziende? Il disegno di legge di iniziativa governativa è ora all’esame del Senato, che dovrebbe votarlo e trasmetterlo alla Camera entro l’estate. Il governo segue con attenzione il percorso parlamentare e si conta che il provvedimento possa essere varato dal Parlamento entro l’anno. Le imprese spingono perché si faccia il più presto possibile, i lavoratori non vedono l’ora di poter disporre più liberamente del loro tempo di vita e di lavoro. Sarà una piccola ma importante rivoluzione del modo di lavorare, per come sin qui lo abbiamo conosciuto.
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SPE CI A LE / LAV ORO
Visentini, segretario generale CES: «Bisogna lavorare sulla competitività e sugli investimenti» I salari in Italia vanno alzati e l’unico modo per farlo in maniera flessibile è firmare buoni contratti
di Raffaella Venerando
S
egretario, il rinnovamento del contratto metalmeccanico è ormai da mesi fermo al palo. Le parti sociali non riescono a giungere all’accordo. Che idea si è fatto del documento interconfederale dei Sindacati e di quello di Federmeccanica? Sul contratto metalmeccanico, contratto-guida in Italia come all’estero, si concentrano sempre tensioni sia di carattere economico che politico. Nel caso di questo rinnovo, si aggiungono i problemi legati
Luca Visentini segretario generale Confederazione Europea dei Sindacati
alla crisi perdurante, alla discussione sulla riforma degli assetti della contrattazione e alla possibile riunificazione del fronte sindacale con il recupero della FIOM in un contratto finalmente unitario. È chiaro che tutto questo influisce sul rallentamento del negoziato, persino più dei problemi salariali o di contenuto. Di certo la distanza che esiste sulle proposte di riforma dei contratti tra imprese e sindacato non aiuta. Dal punto di vista europeo, abbiamo molto apprezzato la proposta confederale, che affronta seriamente la rappresentatività delle parti e la validità e copertura dei contratti. Altrettanto non posso dire di quella di Federmeccanica. Il mio è chiaramente un giudizio di parte, ma ci sono alcuni elementi oggettivi che non ci trovano d’accordo. Affidare l’inflazione al contratto nazionale e la produttività al secondo livello non è una novità, è così dal 1993. Tuttavia l’impressione che si ha dal documento di Federmeccanica è che dietro questa ovvietà si nasconda l’alternatività tra i livelli contrattuali, lo svuotamento del contratto nazionale, e il solito risparmio sul costo del lavoro. Anche le proposte sul welfare contrattuale, sulla previdenza integrativa e sulla formazione, mirano essenzialmente a far risparmiare le imprese e a indebolire il sistema pubblico. Questa è una visione di corto respiro. Il recente Economic Outlook dell’OCSE mostra come le cose che mancano in Italia per spingere la competitività siano gli investimenti (pubblici e soprattutto privati) che sono collassati negli ultimi anni, e la domanda interna. Altro che costo del lavoro e sterilizzazione dei salari. Sempre l’OCSE ci dice che i salari in Italia negli ultimi 15 anni sono
15 sempre, dico sempre, cresciuti meno della produttività. Questo significa che la bassa produttività dipende da mancati investimenti, scarsa innovazione e carenza di domanda. I salari in Italia vanno alzati, non depressi, e l’unico modo per farlo in maniera flessibile e adatta alle esigenze di lavoratori e imprese è firmare buoni contratti. Come crede f inirà? Interverrà il governo? Francamente ne dubito, sia perché non credo che il governo abbia interesse a farlo, sostenendo così la contrattazione nazionale e reiterando il metodo tripartito, sia perché da quello che sento credo che si possa essere fiduciosi che il contratto verrà fatto. C’è un interesse comune di entrambe le parti e persino di chi sta fuori dal contratto come la FIAT/FCA, che non vuole subire competizione al ribasso. I «Tavoli sono per i mobilieri», questa la sintesi caustica del pensiero del presidente del Consiglio Renzi sulla concertazione. Lei cosa ne pensa invece? Penso che Renzi abbia ragione a togliere di mezzo terminologie vecchie e ritrite che hanno fatto il loro tempo. Parlare di “tavoli” fa quasi ridere. Infatti penso che Renzi, che giustamente vuole essere moderno, dovrebbe usare un linguaggio più europeo, e parlare di dialogo sociale e di relazioni industriali. I dati del Fondo Monetario Internazionale (non certo un centro studi sindacale…) dimostrano che i paesi dove questi strumenti funzionano meglio, come quelli scandinavi ad esempio, ma anche la Germania o i Paesi Bassi, sono quelli con le migliori performance economiche, in termini di competitività e di produttività. E questo perché le parti sociali sono quelle che meglio sanno gestire le dinamiche salariali, il mercato del lavoro, i sistemi di welfare. Ecco, se Renzi rifiuta anche questo, allora dimostra di non essere europeo e innovativo come dichiara, e di voler fare solo una battaglia ideologica e demagogica. Spero non sia questo il suo intento, alla lunga non pagherebbe. Esiste un problema di rappresentanza nel nostro Paese? Se sì come va risolto? Certo che esiste. Siamo ancora tra i meglio piazzati in Europa e nel mondo come rappresentatività sindacale (intorno al 35%, oltre il 50% nelle imprese dove ci sono pieni diritti sindacali). Non sono
percentuali nordiche, ma comunque molto al di sopra della media europea. Per gli imprenditori va un po’ peggio, e lo dico con rammarico perché questo indebolisce il potere contrattuale delle parti e aumenta la frammentazione del fronte delle imprese, tra i più polverizzati d’Europa. Tuttavia il problema centrale, che è legato a questa frammentazione, è che la Costituzione non è stata ancora applicata, non abbiamo un sistema legale di registrazione della rappresentanza, e quindi i nostri contratti non sono erga omnes, se non di fatto. Questo crea significativi problemi di copertura contrattuale, soprattutto nelle nuove aree del mercato del lavoro. Credo che il documento di CGIL-CISL-UIL indichi una via d’uscita, e credo che questa possa essere condivisa con Confindustria. Per riavviare la crescita economica nel nostro sistema complessivo cosa sarebbe necessario fare? Dal suo osservatorio europeo cosa vede? Qual è la situazione “degli altri” nostri competitor? La carenza di investimenti e di domanda non è solo un male italiano, lo è dell’Europa. E deriva dall’assenza di una politica economica adeguata. L’ossessione ideologica e cieca dell’austerità e degli equilibri di bilancio ha solo depresso l’economia, non riuscendo a ridurre né i debiti pubblici né la disoccupazione. Un fallimento su tutta la linea, cui si può rimediare solo derogando sensibilmente al Patto di Stabilità (non sto parlando di flessibilità, ma di deroghe, un vero strumento anticiclico). Questo, assieme ad un rafforzamento dei poteri economici dell’Unione, e in particolare dell’Eurozona, compresa la possibilità di mutualizzare parte del debito e usarlo come strumento di autofinanziamento, darebbe davvero la possibilità di spingere gli investimenti pubblici per far ripartire l’economia. E, come ci ricorda ancora l’OCSE, alimentare la spesa pubblica per investimenti innovativi non aumenta il debito, bensì lo riduce, perché fa crescere il PIL. Accanto a questo, come dicevo, ci vuole una vera politica di rilancio della domanda basata sui salari. Gli economisti più avveduti ci spiegano che il futuro dell’economia europea non è nelle esportazioni, ma nel benessere. Per questo bisogna aumentare i redditi delle persone, e lo strumento più efficace per farlo è la contrattazione collettiva.
FO C U S
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Export marittimo strategico per la Campania Circa il 56,5% dell’interscambio commerciale regionale viaggia via mare. Si tratta di 9,7 miliardi di euro che pesano per il 4,3% sul totale del commercio marittimo nazionale (pari a 225 miliardi) e del 19,8% sul corrispondente totale delle regioni del Mezzogiorno (circa 49 miliardi) A cura di Alessandro Panaro SRM, Head of Maritime & Mediterranean Dept. a.panaro@sr-m.it
S
RM ha realizzato insieme all’Unione Industriali di Napoli una pubblicazione che ha l’obiettivo di mettere in evidenza il peso del settore dei trasporti marittimi e della logistica nell’economia della Campania, denominata “Maritime Indicators”. Il volume si concretizza in un report periodico, snello e di facile consultazione, di analisi dell’Economia del Mare, finalizzato a fornire uno strumento interpretativo sulle dinamiche e i principali fenomeni che stanno caratterizzando il settore marittimo italiano, in questo caso per verificare l’evoluzione per la Campania
rispetto allo scorso anno. Uno strumento di rapida consultazione che attraverso infografiche, principali numeri e indicatori fornisce un quadro di insieme del settore marittimo campano. In questo articolo ci soffermeremo in particolare sui dati relativi all’importexport, un indicatore che SRM predilige per dare valore all’aspetto riguardante l’internazionalizzazione delle imprese. Nel corso del 2015 l’interscambio commerciale campano è stato pari a circa 21,8 miliardi di euro (ai fini del calcolo del peso delle modalità di trasporto sono state considerate solo quelle statisticamente
Grafico 1 – Modalità di trasporto dell’interscambio commerciale campano (dati in mln €). Anno 2015
Air transport 1.552,53 - 9%
Road transport 5.849,39 - 34%
Fonte: SRM su Coeweb
Rail transport 83,04 - 1%
Maritime transport 9.709,54 - 56%
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«Se analizziamo le merci più frequentemente scambiate via mare, per la Campania, il settore dei metalli e prodotti metallici rappresenta il 21,6% del valore del traffico complessivo (per l’80% in import) seguito dall’agroalimentare e dal tabacco, che rappresenta il 19,7% dell’interscambio marittimo campano (di cui 79% in export) e dal settore dell’industria tessile (16,2% del valore totale di interscambio marittimo campano e per l’85% in import)» rilevate. Non sono quindi comprese le voci “Non dichiarato” e “Altri mezzi di trasporto”, nda), in crescita del 6,6% rispetto al 2014. Nel dettaglio l’import, pari a circa 12,1 miliardi di euro, è aumentato del 9,9%, mentre l’export, con un valore di 9,7 miliardi di euro, è cresciuto del 2,8%. Dai dati si evince che circa il 56,5% dell’interscambio commerciale campano viaggia via mare. Si tratta di 9,7 miliardi di euro che pesano per il 4,3% sul totale del commercio marittimo nazionale (pari a 225 miliardi) e del 19,8% sul corrispondente totale delle regioni del Mezzogiorno (circa 49 miliardi). L’interscambio marittimo della Campania, cresciuto del +5,8% nell’ultimo anno, ha sempre mostrato valori attorno ai 9 miliardi di € l’anno. Nel 2015 il dato si è
attestato a 9,7 miliardi, confermando il trend in rialzo a partire da 2013. Nel corso del 2015 a crescere sono state in particolare le importazioni (+8,8%) accompagnate da un dato positivo delle esportazioni (+1,4%). I paesi dell’Estremo oriente confermano il primato nello scambio import-export via mare della Campania con quasi il 23% del totale regionale pari a circa 2,2 miliardi di euro. Seguono i Paesi dell’Unione europea con il 17,3% e quelli del Nord America con il 13,2%. Spostando le analisi sulla composizione totale dell’interscambio marittimo regionale, tra il 2010 e il 2015 è in leggera crescita il rapporto relativo alla quota dell’interscambio con l’Asia orientale e con i Paesi dell’Unione (UE 28). Si evidenzia infatti che l’interscambio commerciale
€ bn
Grafico 2 – Trend import-export marittimo campano (sugli istogrammi gli importi e sulle frecce le variazioni percentuali) 12 10 8
9,1 3,2
8,9 +3,0%
3,3
6
9,0
8,6 +10,4%
3,7 +7,9% 4,0 -5,1%
3,8 +1,4%
4
5,9 2
0
2010
Fonte: SRM su Coeweb
-5,5% 5,6 -12,7% 4,9 +2,7%
2011
2012
import
5,0
2013
export
9,7
9,2
+7,7%
+8,8%
3,8
5,4
5,9
2014
2015
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F O CU S marittimo della Campania con i Paesi UE28 ha recuperato 7,6 p.p. dal 2010 al 2015, mentre si è andato assottigliando negli anni il contributo degli scambi da/ verso i paesi del Centro e Sud America e del Nord Africa. Se analizziamo le merci più frequentemente scambiate via mare, per la Campania, il settore dei metalli e prodotti metallici rappresenta il 21,6% del valore del traffico complessivo (per l’80% in import) seguito dall’agroalimentare e dal tabacco, che rappresenta il 19,7% dell’interscambio marittimo campano (di cui 79% in export) e dal settore dell’industria tessile (16,2% del valore totale di interscambio marittimo campano e per l’85% in import). In conclusione, i dati contenuti in questo blocco di parametri rilevano un aumento dell’interscambio campano del +6,6% nel 2015 e una crescita dell’interscambio via mare del +5,8%, grazie in particolare alla crescita trainata dall’import. La modalità marittima continua a rappresentare un’importante leva per il commercio regionale veicolando circa il 56% del totale, percentuale sostanzialmente stabile rispetto al passato. A scegliere la modalità marittima per l’interscambio con Estremo Oriente, Unione europea e con il continente americano sono per lo più i segmenti
dei metalli e del tessile, in import, e dell’agro-alimentare in export. A confermare l’importanza del comparto è anche la programmazione nazionale 2014-2020 destinata alle infrastrutture di traporto per le Regioni in ritardo di Sviluppo (ex-Regioni Convergenza), a valere sui fondi strutturali europei, guarda all’insieme dei progetti ricadenti nelle aree logistiche vaste che possano integrare le differenti modalità di trasporto e garantire l’interoperabilità dei servizi connessi, individuando le cosiddette “Aree Logistiche Integrate”. In particolare l’Area logistica Campana contempla l’integrazione dei “nodi”, ovvero porto di Napoli e Salerno, interporti di Nola e Marcianise e aeroporti di Napoli e Pontecagnano, con le infrastrutture di rete (anche i collegamenti di ultimo miglio ferroviario e stradale) al fine di completare la realizzazione del corridoio Scandinavo-Mediterraneo della rete TEN che insiste sul territorio regionale. Il mare appare uno dei più importanti asset economici e produttivi dell’Italia e delle sue regioni. Obiettivo, attraverso i dati contenuti nell’Osservatorio, è offrire a quanti operano nel settore una visione d’insieme equilibrata e puntuale. Per la versione integrale del volume www.srm-maritimeconomy.com.
€ bn
Grafico 3 - Principali aree geografiche di riferimento dell’interscambio commerciale marittimo campano. Anno 2015 3
2,5
2,724569015 2,226519783
2
1,681400928 1,5
1,284347891 0,915131934 0,877570588
1
0,5
0
East Asia
Fonte: SRM su Coeweb
UE 28
North America South-Central America
North Africa
Others
19
€bn
Grafico 4 – Il trend delle principali aree geografiche di riferimento dell’interscambio commerciale marittimo campano (sugli istogrammi il peso percentuale delle aree) 12 10 8
22,6%
28,6%
26%
9,9%
10%
11,2%
10,6%
13,6%
12,1%
9,7%
13,4%
10,3%
6 4
2
36,9%
0
2010
East Asia
UE 28
15,8%
25,8%
28,1%
26% 9,7%
9%
9,3%
10,4%
9,4%
15,8%
15,5%
12,2%
13,2% 17,3%
16%
9,9%
12,6%
14,8%
24,6%
22,3%
22%
22,5%
22,9%
2011
2012
2013
2014
2015
North America
South-Central America
North Africa
Other
Fonte: SRM su Coeweb
€m
Grafico 5 – Principali categorie merceologiche dell’interscambio commerciale marittimo campano. Anno 2015 2500
21,6% 2000
19,7% 16,2%
1500
1000
9,6%
8,6%
7,3%
500
0
Fonte: SRM su Coeweb
Metals and Food, beverage Products of the Transportations Products of metal products and tobacco textile industry agriculture
Machines and mechanical appliances
CO N F I N D US TRIA S ALE RNO
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Premio Best Practices per l’Innovazione, la forza della contaminazione positiva Nel corso dell’iniziativa - in programma l’1 e 2 dicembre a Salerno - i partecipanti avranno la possibilità di presentare la propria case history a imprenditori, influenzatori, investitori e sviluppare relazioni all’interno del “networking” ampliatosi negli anni di Raffaella Venerando
Q
uali sono i principali numeri del Premio Best Practices per l’Innovazione di Conf industria Salerno diventato ormai, dopo dieci anni di attività, un vero networking? Nel corso delle precedenti nove edizioni circa 800 aziende e startup, provenienti dall’intero territorio nazionale, hanno presentato concreti progetti di innovazione. Nell’ultimo quinquennio si è registrata una media di 100 progetti per edizione. L’evento
Edoardo Gisolfi presidente Gruppo Servizi Innovativi e Tecnologici Confindustria Salerno
finale dello scorso anno ha fatto registrare la presenza di circa 2500 persone nel corso delle due giornate e ben 16 “tappe” nelle territoriali del sistema confindustriale nazionale. Si segnalano, inoltre, tre missioni in California, di cui due in Silicon Valley, con le quali è stata data l’opportunità ad alcune imprese e startup di confrontarsi con potenziali investitori e/o approcciarsi al mercato internazionale. E poi, un dato su tutti: lo scorso anno sono stati 1.500.000 i contatti digitali sviluppati dal Premio. Un numero che restituisce la forza aggregatrice dell’iniziativa. In oltre dieci anni di attività il Gruppo SIT di Confindustria Salerno, grazie al supporto di numerosi partner nazionali e internazionali, è riuscito a creare e consolidare un ecosistema dell’innovazione in grado di generare concrete opportunità sia per i partecipanti, sia per i vari attori che ne fanno parte. Elemento caratterizzante del Premio, che lo distingue da molti contest dedicati solo alle startup, è proprio la forte contaminazione tra le aziende che presentano progetti innovativi già realizzati e con risultati tangibili, le startup che presentano nuove idee e il mondo della ricerca pubblica e privata. Il Premio funziona grazie a tale contaminazione e alla forza dell’integrazione che, siamo certi, propagherà i suoi effetti benefici sull’intero sistema anche quest’anno. Quali sono i tempi della nuova edizione? Quali invece le caratteristiche per poter partecipare? Lo scorso 6 giugno è ufficialmente partita la call per partecipare alla decima edizione del Premio. Per iscriversi bastano poche e semplici mosse. È sufficiente, infatti, prendere visione del regolamento
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e compilare il formulario online direttamente sul sito dedicato (www.premiobestpractices.it). Da giugno a ottobre 2016, poi, il Premio sarà promosso presso le sedi confindustriali nazionali. Questo tour dell’innovazione è pensato anche per ampliare il numero dei partecipanti e potenziare l’ecosistema dell’innovazione. Tra le parole chiave quest’anno al centro c’è l’open innovation, perché? È una scelta di apertura obbligata per aumentare il valore della ricerca, la qualità e il numero di progetti innovativi. Il sistema aziendale chiuso da solo non basta più. Deve necessariamente interfacciarsi con altri soggetti individuali o istituzionali non aziendali. Il modello di riferimento si è fatto aperto, coinvolgendo vari attori, startup, università, fornitori e, allargando la prospettiva, chiunque sia portatore sano di idee innovative capaci di incrementare i livelli di conoscenza e tecnologia. Il concetto di confine si è dematerializzato ormai. Del tutto. La decima edizione, però, si caratterizza soprattutto per l’introduzione di “attività di mentorship” a favore di startup, da parte di imprenditori del sistema confindustriale per potenziare ulteriormente le sinergie e promuovere, con azioni concrete, il paradigma dell’open innovation. Oltre a big player, verranno coinvolte piccole e medie imprese di successo, che offriranno opportunità alle startup in cui individueranno un potenziale. L’imprenditore fornirà un sostegno operativo in termini di esperienza, cultura di impresa, relazioni con il mercato, eventuali forme di investimento; la startup, invece, fornirà all’imprenditore stimoli e nuove idee riguardo a processi e/o prodotti innovativi.
Lo scambio sarà quindi improntato al reciproco vantaggio. Da parte dell’azienda mentore, inoltre, c’è quello slancio autentico di chi vuole restituire al proprio territorio, alla propria comunità, una capacità non comune ma necessaria oggi per dirsi impresa di successo. Le categorie in concorso restano due? Sì, così come due restano le giornate in cui si svilupperà l’evento finale del Premio Best Practices per l'Innovazione di Confindustria Salerno, nel corso delle quali i partecipanti avranno la possibilità di presentare la propria case history a imprenditori, influenzatori, investitori, e sviluppare relazioni all’interno del networking del Premio. Punto di forza indiscusso del Premio è, infatti, l’essersi accreditato nel tempo come luogo concreto di incontro tra domanda e offerta di innovazione, uno spazio di dialogo in cui le idee si fanno strada, prendono maggiore forma e magari si amplificano e sviluppano anche grazie all’interazione diretta tra i diversi attori dell’ecosistema. Per essere ammessa a partecipare quali caratteristiche irrinunciabili deve avere l’idea progetto? I progetti ammissibili non sono solo quelli tecnologici: innovazione, per il Premio, è ogni comportamento nuovo, che porta a cambiamenti significativi in termini di prodotto, processo, organizzazione, metodologie, approccio sociale. Per aderire, il progetto dovrà essere redatto utilizzando il formulario disponibile sul sito www.premiobestpractices.it, e inviato entro il 14 ottobre 2016. La partecipazione è vincolata alla visione dei Regolamenti. Per info: www.premiobestpractices.it
C O N F I N D US TRIA S ALE RN O
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Garanzia Giovani, un’occasione da non perdere Occorrono maggiori certezze circa i tempi e i modi di gestione perché le misure per incrementare l'occupazione funzionino davvero
Francesco Giuseppe Palumbo presidente Giovani Imprenditori Confindustria Salerno
A
due anni dall’implementazione anche nella nostra regione, insieme con Aidda, Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda, abbiamo voluto riflettere sui risultati raggiunti dal piano europeo Garanzia Giovani. E abbiamo voluto farlo dando voce all’assessore al lavoro della Regione Campania Sonia Palmeri, che di recente ha rimodulato il programma con il placet del ministero competente, e all’esperienza positiva di un’azienda - la Autuori di Salerno - che ha beneficiato delle possibilità offerte da questa misura per incrementare l’occupazione giovanile. Con piacere abbiamo appreso che, a seguito di impegnative attività di razionalizzazione e controllo di ciascuna misura del programma europeo, la Campania ha recuperato risorse economiche – talvolta revocando tirocini già concessi ma mai partiti che hanno consentito di poter autorizzare 6.386 nuovi tirocini per i nostri giovani. Una buona occasione per tutti – giovani e imprese - specie in considerazione del fenomeno dei Neet oggi a livelli emergenziali, nella nostra regione come in nessun’altra d’Italia. Ben vengano, quindi, misure e progetti che avvicinino in tempo utile aziende
e giovani, puntando su quelle competenze che effettivamente il mercato richiederà nel prossimo futuro. Sempre per far fronte alla creazione di un mercato del lavoro più efficiente, ma che sia al tempo stesso maggiormente equo, dinamico e inclusivo, dopo Garanzia Giovani, la Regione Campania ha attivato, ad aprile scorso, i programmi Ricollocami e Garanzia Over che hanno il precipuo scopo di favorire il reinserimento dei lavoratori espulsi dai cicli produttivi. Ne potranno beneficiare, quindi, quanti non sono più percettori di ammortizzatori sociali in deroga, né destinatari di altri sostegno al reddito. Per il miglior funzionamento di tutte queste misure nel loro complesso, auspichiamo che la Regione garantisca l'attivazione di procedure snelle per facilitare l'incrocio tra domanda, offerta e opportunità lavorative, come in una prima fase non è avvenuto per Garanzia Giovani. Perché misure, seppur lodevoli come queste, funzionino davvero, occorrono infatti maggiori certezze circa i tempi e i modi di gestione. Vero è che, al di là della bontà degli strumenti e degli sforzi regionali e ministeriali apprezzabili, tanto c’è da fare a livello strutturale per migliorare
l’intero contesto lavorativo e incrementare così l’occupazione. Un’impresa prende un giovane se ne ha bisogno e se può assicurargli un futuro. E prende un giovane se il panorama economico è in grado di generare fiducia e speranza. È importante, quindi, che la politica a tutti livelli lavori non solo per migliorare l’occupabilità, ma l’occupazione, creando i presupposti – incidendo su fisco, burocrazia, costi energetici perché le aziende creino nuovi posti di lavoro. Le istituzioni devono essere da sprone non solo per gli imprenditori, incentivandoli a proseguire a investire tempo e denaro, ma soprattutto per i giovani mettendo in campo politiche e investimenti per sviluppare in questi l'auto-imprenditorialità, per potenziare la formazione continua, la cultura d'impresa, per migliorare il rapporto tra scuola e azienda. Prima di ogni altro obiettivo, però, le buone istituzioni hanno il compito di far sentire i nostri giovani – il nostro vero capitale - sostenuti e tutelati. La vera, grande sfida è quella di ricostruire in maniera non più balbettante ma convinta e convincente il lavoro nel nostro Paese, restituendo il senso di futuro ai troppi che lo hanno perso.
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Young Factory Design, fuori le idee Undici aziende del Gruppo Legno–Sistema Casa di Confindustria Salerno hanno lanciato un contest di progetto rivolto ad architetti, designer e progettisti under 40 per la creazione di soluzioni innovative per l’arredo
a cura della Redazione Costozero
I
l Gruppo Legno-Sistema Casa di Confindustria Salerno ha organizzato la prima edizione del Young Factory Design, contest di progetto rivolto ad architetti, designer e progettisti under 40. Il concorso, patrocinato dall’Ordine degli Architetti di Salerno, l’Associazione per il disegno industriale Campania, Napoli Creativa, Fondazione Ordine degli Architetti P.P.C. di Napoli e Provincia e Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori di Napoli e Provincia prevede l'ideazione e la proposta di linee di arredo e/o oggetti di design e/o prodotti tessili per la casa e/o espositori: soluzioni che valorizzino i materiali di una o più delle aziende partecipanti. Young Factory Design è il primo contest di design dove 11 aziende manifatturiere del settore arredo ricercano e creano network con professionisti del mondo del design. Lo scopo del contest è quello di mettere in moto la creatività di giovani progettisti nel ricercare soluzioni innovative per l'arredo, dando vita anche a nuove possibilità di integrazione tra i materiali delle diverse
realtà produttive che partecipano al contest in qualità di promotrici. Il tema su cui si richiede di proporre delle soluzioni progettuali riguarda la creazione di una linea di arredo o un singolo prodotto di design o tessile. I progetti candidati dovranno essere, quindi, concreti e fattibili. «Le aziende manifatturiere – afferma Valeria Prete, presidente del Gruppo Legno – Sistema Casa di Confindustria Salerno - hanno sete di innovazione nel design dei prodotti, degli ambienti, della comunicazione. Con questo concorso intendiamo creare un link tra aziende e professionisti, valorizzando talenti che sappiano mettere in evidenza le potenzialità della manifattura creando prodotti unici e commercializzabili», perché, come sosteneva Glaser: «Ci sono tre possibili risposte per un prodotto di design: Si, No e Wow! Wow è l’unico scopo per me!». Le aziende promotrici appartengono a diversi settori: A4 Design, Basile Interiors, Lamberti Design, Pandora Group (settore Componenti di arredo); Cianciullo marmi, Fornace De Martino, Opus mosaici (Ceramiche e marmi); Tekla,
R.I.A.G., Garone Habitat (Settore Infissi – Porte); Manifatture tessile Prete (Tessile per la casa). Il concorso è rivolto a studenti, laureandi, giovani laureati e professionisti architetti ingegneri designer che non abbiano compiuto 40 anni al momento dell'apertura del bando (15 giugno) e che abbiano maturato esperienza in progetti di design da almeno 3 anni. Ciascun partecipante dovrà inviare obbligatoriamente propria candidatura entro il 15 luglio registrandosi sul sito del contest, il progetto dovrà essere inviato entro la data di chiusura del bando 15 ottobre 2016 ore 12:00 a yfdesign@confindustria.sa.it. Il bando e tutte le informazioni sull’iniziativa sono disponibili online http://contestsalerno.wix.com/youngfactorydesign1.
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DESIGN
Crisi e crescita: dal prodotto al sistema prodotto Discipline e professionisti esperti in settori diversi – dal design alla comunicazione - lavorando in sinergia possono dar vita a nuovi prodotti per nuovi mercati da promuovere oltre i canali commerciali praticati abitualmente
Sarah Adinolfi Architetto, designer e dottore di ricerca in disegno industriale, ambientale e urbano sarahadi@libero.it
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n generale si può affermare che in tutti gli ambiti, quando il normale corso delle cose subisce una battuta di arresto, le strade da percorrere sono due: interrompere il processo o cambiarne qualcosa, modificarlo. Tra le due possibilità è certamente da auspicare la modifica, il cambiamento, perché, se ben guidato, può implicare un'evoluzione, finanche una crescita. Anzi spesso sono proprio queste fasi, questi momenti di discontinuità, che, mettendo in discussione pratiche consolidate, aiutano a esaminarle in modo diverso e a migliorarle. Il settore design e le aziende produttrici sono state vittime della crisi che ha colpito (e colpisce tuttora) l'economia italiana, e il più delle volte, i produttori maggiormente in difficoltà hanno dovuto optare per la chiusura degli stabilimenti. Le aziende design oriented già affermate sul mercato, dovendosi confrontare con realtà produttive emergenti altamente competitive dal punto di vista economico, hanno investito nella ricerca proget-
tuale e nel marketing. Per ricollocare i loro prodotti sul panorama mondiale, hanno infatti messo a sistema le loro competenze consolidate e la loro storia con le nuove esigenze di mercato, con l'obiettivo di offrire nuove esperienze di consumo. Non essendo in grado di competere riducendo i costi di produzione hanno, quindi, puntato sulla qualità e l'innovazione. Le piccole e medie imprese, dedite invece alla produzione di componenti o prodotti finiti conto terzi con macchinari e operai specializzati e, pertanto, portatrici di un forte know how ma prive di una reale identità aziendale, non potendo competere con prezzi di produzione molto più bassi hanno chiuso i loro battenti. Al sud Italia sono moltissime le aziende di questo tipo, non conosciute dai più ma in grado di produrre, grazie alle competenze delle maestranze e ai macchinari di cui dispongono, qualsiasi cosa. E sono queste, forse, le aziende che, se superano il momento di crisi dandosi una nuova occasione, hanno le maggiori possibilità di crescita.
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«Solo capendo l'utilità di discipline come il design, il design strategico, il marketing, piuttosto che la comunicazione coordinata e la grafica, è possibile creare dei dialoghi virtuosi in cui, sulla base di un rapporto di fiducia, si instaurino momenti di scambio e crescita reciproca tra azienda e professionista»
Il motivo è che, dovendosi riconfigurare sul mercato con dei prodotti propri, a differenza delle grandi aziende, partono da zero non avendo mai prodotto direttamente, e sono quindi meno legate a idee ancestrali di progetto. Mettere a sistema, quindi, far dialogare competenze diverse, creare sinergie. Obiettivi ben delineati, ma non così facili da raggiungere per una serie di motivi, sia di ordine pratico (quali problemi finanziari da parte di imprenditori che vivono un momento di crisi economica), sia legati a problematiche di tipo culturale, soprattutto al Sud. Per colmare, infatti, il gap e ricollocarsi sul mercato, le aziende devono ricorrere a figure professionali esterne molto diverse tra di loro, ma che non possono prescindere le une dalle altre per raggiungere gli obiettivi prefissati, il cui apporto richiede l'investimento in primis di danaro, ma anche e soprattutto di una aperta e illuminata mentalità della classe imprenditoriale necessaria per intuire il valore e la imprescindibilità del loro apporto. Solo capendo l'utilità di discipline come il design, il design strategico, il marketing piuttosto che la comunicazione coordinata e la grafica è possibile creare dei dialoghi virtuosi in cui, sulla base di un rapporto di fiducia, si instaurino momenti di scambio e crescita reciproca. Discipline e professionisti
esperti in vari settori che lavorando in sinergia possono raggiungere il risultato: nuovi prodotti per nuovi mercati da promuovere oltre i canali commerciali praticati abitualmente. Lo scopo ultimo è, partendo dagli operai e dai macchinari stessi, innovare la tradizione grazie alla cultura del progetto, una progettazione che si contestualizza e trae ispirazione dalla ricchezza delle preesistenze, generando prodotti diversi e unici. Il fattore vincente di questo tipo di processo dovrebbe essere abbandonare la produzione meccanica in favore di una produzione più consapevole e meditata prestando l’abilità delle maestranze al pensiero del progetto contemporaneo per sperimentare nuove strade espressive e nuove modalità di produzione. In sintesi: tradurre la quotidianità della fabbrica, la familiarità con il gusto europeo. In questo modo le imprese diventerebbero portatrici di una forte identità aziendale che genera una coerenza nella produzione. Un'identità e un'immagine aziendale ben definita sono fondamentali per imporre la propria presenza in rete grazie a una comunicazione ben studiata. La rete costituisce un mezzo fondamentale perché funge da acceleratore delle dinamiche legate alla diffusione di nuovi prodotti e, soprattutto, di nuove realtà produttive annullando le distanze. La presenza sul web, come stru-
mento attraverso il quale costruire una nuova proposta di valore, un rinnovato modo di rapportarsi alla domanda e delineare la propria presenza internazionale, è possibile. Integrare, quindi, a diversi livelli e in modi differenti, l’utilizzo del web all’interno del processo produttivo o delle proprie strategie commerciali rappresenta un passaggio indispensabile per le imprese. Le aziende per affrontare questo momento difficile innescato dalla globalizzazione dei mercati devono trarre vantaggio dalla globalizzazione stessa. Grazie al contributo di un team multidisciplinare e, quindi, di un'identità aziendale coerente, esse devono portare avanti un processo di innovazione e diversificazione di prodotto basato sul rilancio del rapporto tra alto artigianato, design e politiche di brand. Soprattutto al Sud, dove le piccole aziende sono numerosissime e la crisi incombe maggiormente, è indispensabile per i piccoli imprenditori mettersi in discussione, aprirsi al dialogo e, in primis, avere fiducia nei consulenti e negli esperti. Nel momento in cui si decide di “ricollocarsi” sul mercato bisogna gestire e coordinare più ambiti di intervento senza tralasciare nulla, perché anche il miglior prodotto senza una collocazione nella giusta fascia di prezzo, una buona comunicazione e un'adeguata rete commerciale non riuscirà ad avere successo.
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Il caso Dolce & Gabbana: società estera controllata e luogo della direzione effettiva ai fini fiscali La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso proposto e ribaltando l’impostazione dei giudici di merito, ha evidenziato che il criterio della «direzione effettiva» quale luogo di individuazione del domicilio fiscale può non essere sufficiente e, comunque, comportare evidenti storture applicative nel caso di società controllate, soprattutto in quelle in cui il capitale sociale della controllata è interamente di proprietà della controllante
Maurizio Galardo Avvocato, Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it
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a Corte di Cassazione Sez. III Penale con la recentissima sentenza numero 43809/2015 ha stabilito, tra l’altro, un principio fondamentale in materia di diritto tributario internazionale con riguardo all’individuazione della sede effettiva ai fini fiscali di una società estera controllata ai sensi dell’art. 2359 cod. civ. da una società italiana. Per comprendere meglio il significato della pronuncia è necessario descrivere brevemente i fatti contestati e il complessivo iter processuale. Ai ricorrenti era stato contestato di aver in concorso tra loro, e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, omesso di dichiarare, ai fini dell’imposizione diretta e indiretta, gli elementi positivi di reddito conseguiti attraverso lo sfruttamento dei marchi «Dolce & Gabbana» e «D&G Dolce & Gabbana», dalla «GADO S.a.r.l.» società con sede nel Principato di Lussemburgo ma che l’imputazione contestava essere stata di fatto gestita in Milano. Se-
condo la ricostruzione dei giudici di merito, l’evasione d’imposta era stata conseguenza di una complessa operazione di ristrutturazione degli assetti societari facenti capo alla holding «D&G s.r.l.», quest’ultima interamente controllata dai due stilisti, per effetto della quale i signori Domenico Dolce e Stefano Gabbana avrebbero, secondo quanto asserito nell’imputazione, sottratto all’Erario le imposte derivanti dallo sfruttamento dei marchi «Dolce & Gabbana» di cui erano stati titolari fino al marzo del 2004 nella misura del 50% ciascuno. L’operazione in particolare sarebbe stata realizzata, secondo l’ipotesi accusatoria, mediante le seguenti operazioni: a) la costituzione in Lussemburgo di due nuove società, la «Dolce & Gabbana Luxemburg S.a.r.l.» controllata interamente dalla holding italiana «D&G S.r.l.» e la «GADO S.a.r.l.» interamente partecipata dalla «Dolce & Gabbana Luxemburg S.a.r.l.»; b) il trasferimento avvenuto in data
27 29/03/2004 alla «GADO S.r.l.» dei marchi di proprietà di Domenico Dolce e Stefano Gabbana, tra i quali appunto «Dolce & Gabbana» e «D&G Dolce & Gabbana»; c) la concessione del diritto allo sfruttamento dei marchi, con facoltà di concedere sub-licenza ad altri soggetti da parte della «GADO S.a.r.l.» alla «Dolce e Gabbana S.r.l.» società controllata dalla «Dolce & Gabbana Luxemburg S.a.r.l.», con contratto di licenza del 31/7/2004 e dietro corrispettivo del pagamento delle relative royalties. In questo modo le royalties che in precedenza venivano direttamente percepite dai due stilisti, così concorrendo a formare la base imponibile dei loro redditi, venivano adesso percepite dalla «GADO S.a.r.l.» società di diritto lussemburghese, soggetta a tassazione di maggior favore. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 19/06/2013, aveva considerato fraudolenta la natura dell’intera operazione, perché ritenuta finalizzata a sottrarre all’imposizione erariale i consistenti flussi reddituali derivanti dallo sfruttamento dei marchi «Dolce & Gabbana» e «D&G Dolce & Gabbana», dichiarando i ricorrenti colpevoli del reato di cui agli articoli 110, 81 cpv, 61 n. 7 cod. pen. , 5 d.lgs. 10/3/2000 n. 74, commesso dal 28/02/2006 al 01/5/2007. Successivamente la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 30/4/2014, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli appellanti in ordine ai reati loro ascritti concernenti l’evasione dell’IVA per l’anno 2004 e l’evasione dell’IRES per l’anno 2004/2005 perché estinti per prescrizione,
rideterminando la pena loro inflitta e confermando nel resto la sentenza di primo grado. Secondo i giudici di merito, la «GADO S.a.r.l.» era una società priva di una propria struttura operativa e di una reale autonomia decisionale in ragione, tra l’altro, delle seguenti circostanze principali: a) la contabilità era tenuta da una società di domiciliazione lussemburghese che forniva ai clienti anche servizi di natura tecnico/ pratica e/o logistica, oltre che di natura amministrativa e contabile; b) la «GADO S.a.r.l.» non disponeva di un’autonoma organizzazione preposta alla tenuta della contabilità e all’amministrazione; c) dal marzo 2004 al febbraio 2005 non disponeva neanche di dipendenti, soltanto successivamente era stata assunta una dipendente che si occupava dell’attività relativa alla tutela dei marchi, anticontraffazione, prevenzione abusi, registrazione ecc.; d) il fatto che numerose direttive venissero impartite via email dall’Italia. In buona sostanza i Giudici del merito, da un lato non negavano che la complessiva operazione di ristrutturazione societaria del gruppo fosse realmente funzionale all’esigenza di rafforzare di marchi, fornire maggiori garanzie, attrarre investimenti, quotare la società in borsa, riequilibrare gli assetti societari, dall’altro avevano rinvenuto, nella costituzione in Lussemburgo della sede della neocostituita società titolare dei marchi, un elemento di anomalia che, a loro avviso, avrebbe compromesso la trasparenza e la regolarità dell’intera operazione evidenziando la “esterovestizione” della
“GADO S.a.r.l.” trattandosi di società allocata in Lussemburgo al solo “presunto” fine di consentire la sottrazione di un’ingente porzione di reddito imponibile relativo alle royalties prodotte in Italia dalle licenziatarie e dalle sub-licenziatarie, trasferendole in Lussemburgo dove le stesse venivano tassate applicando l’aliquota del 4%, così sottraendo base imponibile alla tassazione italiana e realizzando una condotta di evasione e non una legittima ottimizzazione del carico fiscale. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso proposto e ribaltando l’impostazione dei giudici di merito, ha evidenziato che il criterio della «direzione effettiva» quale luogo di individuazione del domicilio fiscale può non essere sufficiente e, comunque, comportare evidenti storture applicative nel caso di società controllate ai sensi dell’art. 2359 comma 1) cod. civ., soprattutto nei casi in cui il capitale sociale della società controllata è interamente di proprietà della controllante. Sottolinea la Corte di Cassazione che indentificare “tout court” la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi decisionali può in questi casi comportare conseguenze aberranti ove esso dovesse identificarsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo. La Corte di Cassazione evidenzia come l’interpretazione dei giudici di merito si ponga addirittura in contrasto con la presunzione di “etero-direzione” della società
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«Il Tribunale di Milano, con sentenza del 19/06/2013, aveva considerato fraudolenta la natura dell’intera operazione, perché ritenuta finalizzata a sottrarre all’imposizione erariale i consistenti flussi reddituali derivanti dallo sfruttamento dei marchi «Dolce & Gabbana» e «D&G Dolce & Gabbana», dichiarando i ricorrenti colpevoli del reato di cui agli articoli 110, 81 cpv, 61 n. 7 cod. pen., 5 d.lgs. 10/3/2000 n. 74, commesso dal 28/02/2006 al 01/5/2007»
controllata che costituisce la “ratio” della disciplina di cui agli artt. 2497 e segg. cod. civ. di cui al Capo IX del titolo V del libro V come sostituito dall’art. 5 del d.lgs. 17/01/2003 n. 6 e in particolare con quanto previsto dall’art. 2497 – sexies cod. civ. secondo il quale «si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359 cod. civ.».Sotto altro profilo, il legislatore fiscale in caso di imprese estere controllate privilegia il dato dell’esercizio effettivo dell’attività quale elemento selettivo della riconducibilità o meno in Italia dei redditi prodotti all’estero. Orbene sottolinea la Suprema Corte che, se la società controllata esercita (effettivamente) la propria attività anche solo utilizzando un ufficio in Lussemburgo, il rapporto di controllo societario impedisce di ritenere detto ufficio stabile organizzazione dell’impresa italiana. La Suprema Corte è giunta così attraverso un esame interdisciplinare della normativa societaria, tributaria e penale, nonché della
Giurisprudenza anche comunitaria, all’elaborazione del seguente principio di diritto: a) la sede amministrativa dei soggetti diversi dalle persone fisiche rilevante ai fini dell’individuazione del “domicilio fiscale” ai sensi dell’art. 59 comma 1 del D.P.R. n. 600/1973 si identifica nel centro effettivo di direzione e svolgimento della sua attività, ove cioè risiedono gli amministratori, viene convocata e si riunisce l’assemblea, si trovano coloro che hanno il potere di rappresentare la società, il luogo destinato a essere stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente e nel quale dunque hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dello stesso e dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti; b) in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359 comma 1) cod. civ. non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli
impulsi gestionali o le direttive amministrative ove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana; c) in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponda ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo e statuto; d) per accertare la natura artificiosa o meno della società estera si può fare affidamento ai criteri indicati dall’art. 162 del D.P.R. 917 del 1986 per definire la «stabile organizzazione» o a quelli elaborati dalla giurisprudenza comunitaria per identificare le società cosidette “casella postale” o “schermo”; e) si tratta in ogni caso di accertamenti che appartengono alla ricostruzione del fatto-reato e che, in quanto tali, devono essere condotti dal giudice in modo autonomo, secondo regole di giudizio proprie del processo penale che non tollerano inammissibili inversioni dell’onere della prova frutto del ricorso alle presunzioni fiscali.
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Il nuovo Arbitrato per le controversie finanziarie presso la Consob L'accesso sarà completamente gratuito per l'investitore ed è indicato un termine molto breve per giungere alla decisione che dirime la controversia. Potranno essere sottoposte all'ACF le controversie - fino ad un importo richiesto di 500.000 euro - relative alla violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza cui sono tenuti gli intermediari nei loro rapporti con gli investitori nella prestazione dei servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio
Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Roma www.studiolegalemarinaro.it |
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@marco_marinaro
nizia un nuovo percorso di ADR (Alternative Dispute Resolution) presso la Consob che recentemente ha approvato il regolamento dell’ACF e cioè, dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie (delibera n. 19602 del 4 maggio 2016). La Consob avvia così un nuovo sistema di risoluzione extragiudiziale delle controversie caratterizzato dall’adesione obbligatoria degli intermediari e dalla natura decisoria della procedura, seguendo lo schema – ritenuto di successo - dell’ABF Arbitro Bancario Finanziario della Banca d’Italia. L’obiettivo è quello di fornire un efficace strumento di tutela diretta degli interessi degli investitori. Al riguardo appare utile ricordare che questa novità trae origine da una modifica legislativa adottata con il D.lgs. 130/2015 di recepimento della Direttiva 2013/11/UE relativa agli «ADR per i consumatori». Con le nuove norme era stata infatti prevista la possibilità per la Consob - nelle materie di competenza - di avviare un sistema ADR similare a quello ABF della Banca
d’Italia. La norma era stata inserita su richiesta convergente delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato proprio per consentire l’allineamento della disciplina primaria relativa alla Consob con quella della Banca d’Italia. Più precisamente il legislatore ha stabilito che i soggetti nei cui confronti la Consob esercita l’attività di vigilanza debbono aderire a sistemi ADR quando la lite sorge con investitori diversi dai clienti professionali; a tal fine si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di mancata adesione (analogamente a quanto previsto per la materia bancaria con il sistema ABF). È stato quindi attribuito alla Consob un potere di regolamentazione della procedura e della composizione dell’organo decidente in modo che sia assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati. Le procedure ADR originariamente previste e tuttora operative di conciliazione e di arbitrato, amministrate dalla Camera costituita presso la Consob cesseranno la loro at-
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N O R M E E S OCIE TÀ tività nei prossimi mesi non appena sarà operativa la nuova procedura. E la differenza sostanziale, che dovrebbe consentire il successo del nuovo sistema di Arbitrato, è costituita proprio dall’obbligo di adesione posto a carico dei soggetti vigilati (sinora non prevista). L'accesso all'Arbitro sarà completamente gratuito per l'investitore ed è indicato un termine molto breve per giungere alla decisione che dirime la controversia (90 giorni dal completamento del fascicolo contenente il ricorso, le deduzioni e la documentazione prodotta dalle parti). Potranno essere sottoposte all'ACF presso la Consob le controversie (fino ad un importo richiesto di 500.000 euro) relative alla violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza cui sono tenuti gli intermediari nei loro rapporti con gli investitori nella prestazione dei servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio; potranno essere presentate anche controversie che riguardano i gestori dei portali di equity crowdfunding. Al riguardo occorre ricordare che nella materia dei contratti finanziari è previsto l’obbligo di esperire la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale e in alternativa alla procedura conciliativa il ricorso all’Arbitro istituito presso la Consob. Per la presentazione e la gestione del ricorso è stata prevista una procedura telematica che dovrebbe garantire l'efficace e tempestivo funzionamento del sistema. Ciò consentirà all'investitore di essere guidato nella fase di predisposizione del ricorso, evitando il possibile invio di istanze incomplete o incoerenti. Il sistema consentirà la condivisione in tempo reale di tutti
i documenti prodotti dalle parti nel corso della procedura, garantendo rapidità ed economia degli adempimenti. Tuttavia, nella fase di avvio e per semplificare l’accesso a chi non è particolarmente avvezzo agli strumenti informatici (e che non intende avvalersi dell’ausilio di procuratori o associazioni dei consumatori), per i primi due anni sarà possibile inviare i ricorsi in formato cartaceo. La procedura consentirà sia all'investitore, sia all'intermediario di rappresentare le proprie ragioni, assicurando quindi il pieno contraddittorio tra le parti e si concluderà con una decisione dell'Arbitro il quale, nel caso accolga in tutto o in parte il ricorso dell'investitore, potrà stabilire a carico dell'intermediario l'obbligo di risarcire i danni subìti ovvero le spese sostenute per il compimento degli atti ritenuti necessari. Appare utile rimarcare che il Collegio ACF accoglierà la domanda proposta dal ricorrente quando, sulla base delle allegazioni e dei documenti prodotti dalle parti, ne riterrà sussistenti i fatti costitutivi, tenuto conto che spetterà all’intermediario la prova di avere assolto agli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza nei confronti degli investitori. La decisione del Collegio non sarà vincolante per l'investitore che potrà comunque ricorrere all'autorità giudiziaria. Nel caso in cui l'intermediario non dovesse dare esecuzione alla decisione assunta, è prevista a suo carico la sanzione reputazionale della pubblicazione di tale inadempimento sul sito web dell’Arbitro e, a cura e spese dell’intermediario inadempiente, su due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico, e sulla pagina iniziale del sito web dell’intermediario per una durata di
sei mesi. L'Arbitro avrà una organizzazione che si articola in un Collegio decidente e in una Segreteria tecnica della Consob avente compiti di supporto. La composizione del Collegio arbitrale riflette l'esigenza di rappresentare al suo interno i diversi interessi coinvolti. Pertanto, oltre al presidente e due membri che sono nominati direttamente dalla Consob, gli altri due membri sono nominati sempre dalla Consob su designazione, rispettivamente, del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu) e delle associazioni di categoria degli intermediari maggiormente rappresentative. Si consolida, quindi, nell’ordinamento italiano il ruolo delle Autorità amministrative indipendenti nell’ambito della fornitura di servizi di ADR particolarmente qualificati secondo quanto espressamente stabilito dal legislatore con il recepimento della Direttiva 2013/11/UE che assegna alle stesse anche il ruolo di Autorità competenti sui medesimi sistemi di risoluzione alternative delle controversie. Tale scelta legislativa sancisce indirettamente il successo dell’Arbitro Bancario Finanziario (che si appresta ad aggiornare il suo procedimento e ad allargare il numero dei Collegi territoriali) che diviene così – dopo oltre sei anni di attività - un modello di ADR pronto a circolare anche in altri settori vigilati ove il ruolo dell’Autorità costituisce il cardine per la sua efficienza ed efficacia. Altre Autorità indipendenti potranno istituire sistemi conciliativi (sul modello Agcom o Aeegsi) o aggiudicativi e in particolare l’Ivass per il settore assicurativo ove un sistema adeguato di ADR potrebbe consentire esiti rapidi ed efficaci, contribuendo a consolidare buone prassi.
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Unit Linked, quando il termine polizza può essere fuorviante Pregi, limiti, costi e caratteristiche di un prodotto poco noto ma molto venduto
Marco Degiorgis Consulente patrimoniale indipendente www.studiodegiorgis.it |
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studiodegiorgis |
a un paio di anni le polizze unit linked stanno vivendo un successo travolgente, spinte dai bassi tassi di interesse - che hanno falcidiato i rendimenti delle gestioni classiche - e dalle nuove regole di solvibilità, sul patrimonio di vigilanza delle assicurazioni che ha reso le unit linked molto più convenienti per le compagnie, in termini di minore assorbimento di capitale. Ma sono anche sicure per chi le sottoscrive? «I consumatori spesso hanno difficoltà a capire i rischi, i livelli delle garanzie, i costi/carichi e le altre caratteristiche di questi prodotti. Le assicurazioni si spostano dalle polizze vita tradizionali, con garanzia di rendimento minimo, verso prodotti privi di quella garanzia, che non appesantiscono il conto economico e inoltre assorbono meno capitale». In pratica si sta parlando delle unit linked. Queste perplessità sono state espresse dagli organismi di vigilanza sulle assicurazioni, nazionali ed europei. Vediamo allora cosa sono le unit linked. Si tratta di prodotti assicurativi, che non
@MarcoDegiorgis
hanno garanzia di restituzione del capitale e di rendimento minimo. Investono in fondi, spesso interni, cioè della stessa assicurazione o dello stesso gruppo. Sono prodotti finanziari a tutti gli effetti. Se i mercati vanno male, si può perdere il capitale. Hanno quindi un rischio finanziario identico a qualunque investimento finanziario, anche la definizione di polizze può essere fuorviante e portare a pensare che invece siano garantite, ma non è così. Come funzionano: il contraente versa il premio (in un’unica soluzione o periodicamente), la compagnia deduce i suoi costi e investe il capitale rimanente, in fondi interni, con ulteriori costi di gestione, i quali a loro volta investono in fondi (spesso dello stesso gruppo), che hanno ancora altri costi. Spesso quindi sono in conflitto di interesse, poiché tra collocatore e gestore non c’è separazione. Si comprende che hanno costi elevati, circa il doppio rispetto ad un investimento diretto in fondi. L’assicurazione
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«Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato, o di chi risulta legittimato a riceverle, possono essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento»
poi si impegna a versare ai beneficiari nominati in polizza il capitale risultante a scadenza. La scadenza può essere o una data (polizze a termine) o la morte dell’assicurato (polizze caso morte). Assicurato e contraente possono coincidere, ma non il beneficiario. C’è quindi un rischio emittente, perché se la compagnia fallisce, chi restituirà le somme? Certo, ci sono sistemi di garanzia a livello interassicurativo, ma il problema potrebbe essere di difficile soluzione. Tecnicamente sono definite polizze di ramo III, disinvestibili in qualunque momento e non collegate solo alla vita dell’assicurato (quelle sono definite polizze vita di ramo I). Sono anche vendute come impignorabili e insequestrabili, ma non è proprio così. Le polizze di ramo I lo sono sicuramente, le unit dipende. «Con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico per porsi al riparo dei creditori la Corte di Cassazione ha sentenziato riguardo ai riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato. Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato, o di chi risulta legittimato a riceverle, possono essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento». In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e
unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato si presuppone che siano stati sottoscritti solamente con la chiara intenzione di eludere i creditori. Nelle sentenze spesso si cita la finalità previdenziale come parametro per la non pignorabilità delle somme: in pratica, le somme tutelate sono solo quelle che l’assicurazione eroga al verificarsi dell’evento (morte dell’assicurato o termine della polizza). Nell’ipotesi di riscatto anticipato, le somme sono pignorabili. I motivi sono semplici: > le unit linked sono considerate investimenti finanziari speculativi e non forme assicurative o integrative pensionistiche; > l’azione revocatoria dei creditori dell’assicurato deve essere comunque garantita. È possibile che queste polizze unit linked vengano abbinate a una controassicurazione accessoria, oppure siano ibridate con altre polizze o che abbiano copertura caso morte (ramo primo), quindi fornendo parziali garanzie e rendendo più forte la loro opponibilità a terzi e quindi la tutela del patrimonio. ma ad oggi sono poco diffuse. Finora ho parlato più dei lati negativi ma hanno anche alcuni vantaggi: > consentono la compensazione automatica tra plus e minus valenze,
anche se generate da fondi comuni, mentre questo non è possibile se si opta per il regime amministrato (la maggior parte degli investitori lo utilizza); > nessuna tassa viene pagata fino alla liquidazione delle somme, consentendo quindi di continuare a cumulare la tassazione dovuta al capitale, generandone quindi un interesse; > le polizze unit linked sono escluse dall’asse ereditario, non subiscono tasse di successione e consentono di designare come beneficiario chiunque, anche chi non è erede legittimo. Ovviamente gli eredi legittimi possono appellarsi ai loro diritti se questi fossero in qualche modo lesi, ma in ogni caso una quota dell’eredità può essere comunque destinata ad altri per volontà del de cuius. Per concludere, le polizze unit linked spesso vengono vendute senza spiegare bene cosa sono e come funzionano, senza evidenziarne i difetti e i costi. Possono essere utili ad alcune persone, in ambito di una corretta pianificazione patrimoniale e successoria, per destinare parte del patrimonio a scopi precisi e per evitare che i beneficiari possono subire attacchi dai creditori del contraente o dell’assicurato. É necessario valutarne attentamente i costi e che le caratteristiche siano esattamente rispondenti alla necessità e agli obiettivi di vita. Se vengono acquistate senza valutare attentamente questi elementi, rischiano di essere un boomerang.
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La responsabilità del medico e il consenso informato del paziente Se il medico non informa a dovere sul trattamento sanitario che propone può esserne ritenuto responsabile
Luigi De Valeri Ordine Avvocati di Roma studiolegaledevaleri@gmail.com
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in fase di approvazione, come noto, il ddl Gelli in materia di responsabilità in ambito medico e sanitario e, in attesa di commentare la legge, su questa spinosa materia di recente è stata pubblicata la sentenza n. 10414 del 20 maggio 2016, terza sezione civile della Cassazione, che merita di essere brevemente esaminata. La controversia traeva origine dai postumi derivati dall’intervento chirurgico cui si era sottoposta una paziente che, sin da bambina, soffriva di crisi di cefalee e che si era rivolta a uno specialista che le aveva consigliato un intervento chirurgico di settoetmoidosfenectomia decompressiva neurovascolare entronasale radicale di terzo grado con l’obiettivo di risolvere, a suo dire, con altissima probabilità la sua patologia. L’intervento, eseguito presso una casa di cura, non aveva guarito la paziente ma aveva aggravato la situazione, creando problemi di respirazione, diminuzione di olfatto, sintomi depressivi, inesistenti in precedenza,
che non erano stati risolti a seguito di lunghe cure cui costei si era sottoposta su indicazione dello specialista. Reputando errata la scelta del trattamento chirurgico posto in essere dal sanitario, la paziente lo aveva citato in giudizio, unitamente alla casa di cura, adducendo anche la lesione del diritto alla completa e adeguata informazione sui rischi dell’intervento chiedendo la condanna dei convenuti in solido fra loro al risarcimento di tutti danni non patrimoniali patiti da lei e dai propri congiunti, ricondotti a svariate tipologie quali danno biologico, morale, esistenziale, estetico, alla vita di relazione, alla libertà personale, alla salute. Il Tribunale civile aveva accolto la domanda ritenendo che, seppure l’intervento era stato eseguito senza errori, la terapia chirurgica non era adeguata rispetto alle concrete condizioni patologiche in cui versava la paziente che, tra l’altro, non era stata adeguatamente informata dei rischi cui sarebbe andata incontro. Erano stati rite-
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«Il consenso informato impone che il medico fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili»
nuti responsabili in solido sia il medico che la casa di cura riconoscendo sussistenti i danni accertati dalla consulenza tecnica, 18% di danno biologico, oltre sei mesi di invalidità temporanea al 50% e sei mesi di invalidità temporanea al 25%, tuttavia giudicandoli esaustivi e comprensivi della sofferenza morale patita dalla danneggiata e di ogni altro profilo di danno non patrimoniale richiesto, la domanda dai congiunti veniva respinta. La Corte d’Appello confermava tale decisione per cui la paziente e i suoi congiunti ricorrevano in Cassazione. Per quanto concerne la responsabilità derivante dal consenso informato da richiedersi al paziente, i giudici della terza sezione civile hanno richiamato il principio consolidato per cui in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, anche qualora l’intervento sia ritenuto necessario "ex ante" sul piano terapeutico e sia pure risultato "ex post", integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente
circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento (Cass. n. 12205/2015). Infatti il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’"id quod plerumque accidit", in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque a interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo (Cass. n. 27751/2013). L’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce pertanto una prestazione diversa rispetto a quella avente a oggetto
l’intervento terapeutico per cui l’esecuzione errata di quest’ultimo dà luogo a un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche e all’integrità psicofisica che possono essere lesi nelle due ipotesi (Cass. n. 2854/2015).Nel caso in commento i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’appello aveva violato i principi indicati in precedenza: prima veniva affermato che la paziente non era stata debitamente informata e poi la sentenza arrivava alla contraddittoria conclusione che, sebbene l’inadempimento del sanitario fosse caratterizzato nel caso specifico per negligenza, imprudenza o imperizia, sia nella scelta della terapia chirurgica effettuata che nell’omissione della necessaria preventiva informazione della paziente sui rischi del trattamento, non sussistevano profili di danno non patrimoniale che l’attrice avesse patito non ricompresi e valutati nella quantificazione in misura percentuale del 18% del danno permanente riscontrato in sede di c.t.u. come valutato dal giudice di primo grado.
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L A VO R O
Licenziamento del dipendente pubblico, la Cassazione cambia parere La responsabilità è degli Organi Giudicanti oppure delle normative non chiare? Si attendono ulteriori sviluppi, in particolare la riforma del pubblico impiego
Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it
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on sentenza n.11868/16 del 9.6.2016 la Corte di Cassazione ha affermato che le norme sui licenziamenti contenute nella legge Fornero e nel Jobs Act non si applicano ai dipendenti pubblici ma che per questi continuano a valere le "vecchie" norme contenute nell’art. 18 della L. 300/1970. Di conseguenza, per gli statali in caso di licenziamento illegittimo scatta la reintegrazione nel posto di lavoro e non già la tutela risarcitoria, come nel caso dei privati. Nel novembre 2015 si era espressa in maniera contraria la S.C. con sentenza n. 24157, considerano invece applicabile anche per gli statali la Fornero, che limita la reintegrazione ai soli casi di manifesta insussistenza dei motivi che hanno portato al licenziamento. Soddisfatte le OO.SS., confermata la linea del governo che ha sempre sostenuto, salvo alcune eccezioni, che le nuove norme riguardavano solo il privato. Vanno così a delinearsi tre posizioni in tema di licenziamento: la prima, più vantaggiosa, dei lavoratori del pubblico impiego cui continuerebbe ad essere applicato l’art. 18; la seconda quella dei lavoratori privati cui si applica la Fornero, che sancisce di norma il risarcimen-
to; la terza dei lavoratori assunti a tutele crescenti previste nel Jobs Act. Il fatto. Il Ministero della Infrastrutture e Trasporti, dopo gli accertamenti necessari, aveva prima sospeso e poi licenziato un suo dipendente per giusta causa senza preavviso, perché aveva reso documentalmente e sottoscritto dichiarazioni di tale gravità e falsità da giustificare la sanzione espulsiva adottata. La Corte di Appello, ritenendo che nel caso di specie potesse essere applicato l'art.18, così come modificato dal rito Fornero, nel confermare la legittimità del licenziamento, aveva condannato il Ministero al pagamento di 6 mensilità a titolo risarcitorio. Tale sentenza non risultava soddisfacente per nessuna delle due parti, che hanno presentato ricorso e controricorso in Cassazione. La S.C., con sentenza sopra richiamata, ha cassato la sentenza della Corte di Appello rinviando alla stessa per il riesame di tutta la controversia, attendendosi, in particolare, al principio secondo cui «ai rapporti di lavoro disciplinati dal d.lgs. 30/3/2001 n. 165 art.2 non si applicano le modifiche apportate dalla 28/6/2012 n. 92 e all'art.18 della L. 20/5/1970 n. 300, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso
di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla entrata in vigore della richiamata L. n. 92 del 2012 resta quella prevista dall'art.18 nel testo antecedente alla riforma». Ciò significa che se la Corte di Appello dovesse ritenere il licenziamento illegittimo, il lavoratore potrebbe essere reintegrato nel posto di lavoro. A mio avviso sarebbe ingeneroso attribuire alla magistratura la responsabilità dell’incoerenza delle due sentenze. La normativa non è chiara ed è soggetta quindi a interpretazioni. La riforma del pubblico impiego dovrebbe dare risposta cui poi i giudici dovranno attenersi. Da un lato vi è esigenza di armonizzare i rapporti di lavoro, dall'altra si sottolinea la differenza della natura dei due rapporti, uno caratterizzato dalla sua specialità essendo l'ingresso per concorso, la corresponsione dello stipendio con denaro pubblico e il suo obiettivo la tutela del buon andamento e imparzialità della pa; l'altro, invece, teso a tutelare il rapporto di lavoro del singolo dipendente, che però pure entra in azienda di norma tramite selezione. Attendiamo gli sviluppi da parte sia eventualmente della Cassazione a sezione riunita, sia, soprattutto, del governo.
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F I SCO
L’Italia e il sostegno debole alle start up innovative Poche, ancora troppo poche, le realtà destinatarie di finanziamenti bancari facilitati dall’intervento del Fondo di Garanzia per le PMI rispetto a quelle iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese
Alessandro Sacrestano Tax Consultant Progetto Arcadia Srl alessandro.sacrestano@progettoarcadia.com
L’
Italia stenta ancora nel sostegno finanziario alle start up innovative. Il dato emerge dalla recente Relazione annuale della Banca d’Italia, in cui il Governatore ha stigmatizzato il fatto che nel nostro Paese i finanziamenti destinati a tali imprese si attestino su valori ancora molto distanti da quelli fruiti dai competitors internazionali. «È inevitabile, conclude l’Ente, che il perdurare di una tale situazione incida profondamente sul ritardo di crescita dell’intero comparto industriale, soprattutto in considerazione del fatto che le start up rappresentano il segmento imprenditoriale con la maggiore vocazione tecnologica». Eppure, negli scorsi anni, il Legislatore non è stato per nulla inerte sul tema, delineando un pacchetto di incentivi di certo non trascurabili, sia per chi costituisce una start up che per quelli che la finanziano. Appare, quindi, del tutto appropriato richiamare alcuni fra i più importanti benef it in tal senso, ribaditi nel Decreto Interministeriale del 25 febbraio 2016
e recentemente illustrati dal Ministero per lo Sviluppo Economico nella Scheda di sintesi della policy a sostegno delle startup innovative (vedi figura), e disponibile nell’apposita sezione del sito ministeriale. Sotto il profilo del sostegno finanziario, il nostro ordinamento contempla il riconoscimento di un incentivo fiscale, valido sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche, per quanti investano in start up. In particolare, le persone fisiche che apportano capitali in tali imprese, godono di una deduzione dall’imponibile Irpef pari al 19% dell’investimento eseguito, fino a un massimo investito di cinquecentomila euro. Più appeal, invece, per le persone giuridiche, cui viene garantita una deduzione dall’imponibile Ires pari al 20% dell’investimento, entro il tetto massimo di apporto di 1,8 milioni di euro. Le predette deduzioni sono state assicurate anche per il 2016. Va ricordato che il beneficio è fruibile anche nel caso in cui gli investimenti siano effettuati per
37 il tramite di OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) e altre società che investono prevalentemente in start up. Qualora l’investimento riguardi le cosiddette start up a vocazione sociale e quelle che sviluppano e commercializzano prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico, tanto la detrazione Irpef che quella Ires spettano in misura
maggiorata e, rispettivamente, in misura pari al 25% e al 27%. Insomma, per intenderci, una società di capitali che investa centomila euro nel capitale di una start up, potrà dedurre dal suo imponibile fiscale un importo annuale di ventimila euro, con un beneficio fiscale pari a 5.500 euro annui, tenendo conto della vigente aliquota Ires; un rendimento tutt’altro
che trascurabile. Ma sembra che anche questo non basti. Appare quindi evidente che, al di là degli incentivi fiscali, si debba puntare sulla semplificazione del rapporto di finanziamento con gli istituti di credito. Allo stato, con le disposizioni del Decreto Interministeriale del 26 aprile 2013, è previsto un intervento semplificato, gratuito e diretto al Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese, allo scopo di facilitare l’accesso al credito attraverso la concessione di garanzie sui prestiti bancari. In pratica, la garanzia copre fino allo 80% del credito erogato dalla banca alle start up, fino a un massimo di 2,5 milioni di euro, ed è concessa sulla base di criteri di accesso estremamente semplificati, con un’istruttoria che beneficia di un canale prioritario. Si tratta, anche questo, di un intervento apprezzabile. Le statistiche messe a disposizione dal Mise, infatti, segnalano, al 30 aprile scorso, che sono ben 937 le start up destinatarie di finanziamenti bancari facilitati dall’intervento del Fondo di Garanzia per le PMI, per un totale di 362.180.956 euro (di cui l’importo garantito è pari a 282.973.610 euro), con una media di 253.806 euro a prestito, per un totale di 1.427 operazioni. È forse proprio questa la chiave di lettura critica. Le 937 imprese finanziate rappresentano meno di un quinto di quelle che dal 2012 si sono iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese. Poche, troppo poche per sperare in un effetto propulsivo del fenomeno.
04 febbraio 2016, scheda di sintesi agevolazioni_MISE
FI S CO
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Le Sezioni Unite riportano le valutazioni nel falso in bilancio L’incertezza interpretativa della legge è preoccupante in ambito penale, poiché in discussione non vi sono rapporti economici ma la libertà delle persone
Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it
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articolo 2621 del codice civile - come riscritto dall’articolo 9 della Legge n. 27 maggio 2015 n.69 - stabilisce che sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti i sindaci e i liquidatori, che, per far conseguire a sé o ad altri un ingiusto profitto, espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti sullo stato della società, in grado nel concreto di indurre altri in errore. Questa norma - che riguarda le società non quotate - ha provocato sin dalle prime letture, una discussione molto accesa in Dottrina, in quanto, rispetto alla precedente versione non presenta, con riferimento ai fatti non corrispondenti al vero, l’inciso “ancorché oggetto di valutazione” e tale espunzione è stata interpretata da alcuni autori - sulla base del principio della specialità della norma penale come espressa volontà del Legislatore
di escludere dalla rilevanza penale la falsità delle valutazioni. Altri invece hanno ritenuto la suddetta eliminazione del tutto ininfluente per lo spirito della norma. In questo filone dicotomico si è inserita anche la Giurisprudenza di legittimità, che, in alcune sentenze (Cass. 33774/2015 la famosa sentenza Crespi) ha cancellato il rilievo penale alle valutazioni e con altre (Cass. 890/2016) invece lo ha confermato. In buona sostanza, per alcune sezioni il reato c’era ancora, per altre non più. Il tutto con dovizia di motivazioni e analisi esegetiche. Ora l’incertezza interpretativa della legge è questione ben nota in Italia ed è sempre problematica da risolvere, ma diventa agghiacciante quando si è in ambito penale, poiché in discussione non vi sono rapporti economici ma la libertà o meno delle persone. Per tali ragioni, da più parti, a prescindere dalle posizioni sul tema, si è con forza richiesta una chiarificazione
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«Secondo la Suprema Corte ogni atto valutativo comporta necessariamente un apprezzamento discrezionale del valutatore per sua natura sindacabile, ma tale discrezionalità è prettamente tecnica, in quanto nell’ambito delle scienze cosiddette “contabilistiche”, gran parte dei parametri di stima sono fissati dalla legge o dai principi e dalle prassi contabili e valutative»
giurisprudenziale da parte delle Sezioni Unite e l’Assonime, con la nota 1/2016, è arrivata persino a sollevare la questione del conflitto tra potere legislativo e potere giudiziario. Finalmente è arrivata la sentenza n.22474/2016 depositata il 27 maggio, che ha definitivamente dipanato la matassa, stabilendo che il falso valutativo in bilancio permane anche dopo la riforma dell’art.2621 codice civile. L’esito era onestamente prevedibile, il bilancio è un documento valutativo in “re ipsa” e mandare fuori dal penale le valutazioni significava di fatto eliminare di nuovo il falso in bilancio. Sono invece molto interessanti le motivazioni addotte dalla Corte, perché questa, partendo dall’assunto che ogni valutazione per sua natura è soggetta ad una serie di condizioni e non ha come obiettivo quello di provare la verità, cerca di stabilire il confine tra giudizio opinabile e giudizio falso, tra fattispecie fisiologica e ipotesi di reato. Secondo la Suprema Corte, quindi, ogni atto valutativo comporta necessariamente un apprezzamento discrezionale del valutatore per sua
natura sindacabile, ma tale discrezionalità è prettamente tecnica, in quanto nell’ambito delle scienze cosiddette “contabilistiche”, gran parte dei parametri di stima sono fissati dalla legge o dai principi e dalle prassi contabili e valutative. Volendo sintetizzare al massimo, le “regole tecniche” determinano i binari entro i quali il valutatore deve muoversi nelle sue stime: se l’opinabilità del suo giudizio rimanere rinchiusa al loro interno, siamo nell’ambito della discrezionalità soggettiva; diversamente, si corre il rischio di falsa rappresentazione. È evidente che la Cassazione nel fissare i paletti interpretativi, dà anche la “via d’uscita” alle imprese, per ridurre il rischio di contestazioni in sede penale. Facciamo un esempio: se la valutazione del valore recuperabile di una partecipazione è fatta attraverso un metodo valutativo palesemente sbagliato per il tipo di realtà da valutare, oppure utilizzando parametri finanziari del tutto inverosimili, siamo dinanzi ad una stima oggettivamente errata e quindi in grado di esporre fatti non corrispondenti al vero. Occorre che le imprese prendano
coscienza di questa “opportunità” offerta dal Giudice e si organizzino adeguatamente in sede di chiusura dei bilanci, tenendo presente che giustificare il valore di asset senza il supporto di dati adeguati, potrebbe determinare falso. Con riferimento alle poste di bilancio più soggette ad opinabilità (quali avviamento, partecipazioni, rimanenze, immobilizzazioni immateriali, e così via), è opportuno che il processo di stima avvenga: (i) secondo regole tecniche riconosciute; (ii) facendo ricorso per valori particolarmente significativi, all’ausilio di esperti indipendenti; (iii) dandone esteso riscontro in nota integrativa. È consigliabile poi che le analisi tecnicamente più complesse (impairment su avviamenti o impianti industriali) vengano effettuate, utilizzando procedure aziendali organizzate, documentabili e controllabili a posteriori. Così operando si ritiene che la valutazione sia pienamente in linea coi parametri fissati dalla Cassazione e quindi, pur rimanendo per sua natura opinabile, non potrà mai far configurare reato di falsa rappresentazione.
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L’accertamento catastale deve essere motivato L’atto con cui l'Agenzia del Territorio attribuisce d'ufficio un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria deve chiaramente specificare a cosa sia dovuto il mutamento
di Maurizio Villani e Alessandra Rizzelli Studio Villani | Avvocati tributaristi in Lecce www.studiotributariovillani.it - avvocato@studiotributariovillani.it
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ome noto, l’art. 7 della Legge n. 212/2000, rubricato “Chiarezza e motivazione degli atti”, al comma 1 espressamente prevede: «Gli atti dell'amministrazione f inanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione». Detto articolo, pertanto, ha inteso assecondare e fare propria una nozione di motivazione, comprendente non solo le ragioni di diritto, ma anche i presupposti di fatto, e soprattutto, i passaggi logici che conducono dalle acquisizioni istruttorie alla decisione finale dell’Amministrazione. In particolare, giova sottolineare che il Legislatore, con l’approvazione della legge 27 luglio, n. 212 del 2000, contenente le disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente, ha inteso mettere or-
dine e venire incontro alle difficoltà interpretative in cui si imbatteva chiunque avesse a che fare con il complesso apparato normativo fiscale, composto da una molteplicità di fonti legislative e regolamentari. Secondo quanto affermato, al primo comma, dell’articolo 1, le disposizioni dello Statuto, emanate in attuazione degli articoli 3, 23, 53, e 97 della Costituzione, «costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali». In quanto norme a valenza costituzionale, perché attuative di principi costituzionali, le norme dello Statuto dei diritti del contribuente devono trovare, quindi, diretta e immediata applicazione in materia tributaria. Tanto premesso, è evidente che la motivazione dell’avviso di accertamento si rende necessaria anche nel caso di accertamento di variazione della rendita catastale da parte dell’Agenzia del Territorio.
Al riguardo, la Corte di Cassazione con sentenza n. 11370 del 6 luglio 2012 ha stabilito che: «è illegittimo l’atto di attribuzione di nuova rendita catastale se l’Agenzia del Territorio nel motivarlo utilizza formule “generiche e stereotipate” adattabili a qualsivoglia immobile». Con altra recente pronuncia, la Suprema Corte (sentenza n. 7056 del 25 marzo 2014) ha avuto modo di affermare: «In realtà, l'obbligo di motivazione dell'atto impositivo "persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all'interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza e intelligibilità che permetta al medesimo
41 un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa" (Cass. 12 luglio 2006, n. 15842; v. in senso conforme Cass. 27 novembre 2006, n. 25064; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23009)». Del pari, con sentenza del 31 ottobre 2014, n. 23247, la Corte di Cassazione, dopo aver premesso che l'atto tributario del classamento delle unità immobiliari a destinazione ordinaria consiste nel collocare ogni singola unità in una data categoria e in una data classe in base alle quali attribuire la rendita (Decreto del Presidente della Repubblica n. 1142 del 1949, articolo 61, ed Decreto del Presidente della Repubblica n. 138 del 1998, articolo 8), di tal che categoria e classe costituiscono distinti segmenti dell'unitaria operazione del classamento, ha osservato che «secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte (Cass. n. 9626 del 2012; ord. 19814 del 2012; n. 21532 del 2013; n. 17335 del 2014; n. 16887 del 2014), l'atto con cui l'Agenzia del territorio attribuisce d'uff icio un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, deve chiaramente specif icare a cosa sia dovuto il mutamento. Tale principio, f issato in considerazione delle incertezze proprie del sistema catastale italiano che non detta una specif ica def inizione normativa delle categorie e classi catastali, è stato affermato proprio per consentire al contribuente di individuare agevolmente il presupposto dell'operata riclassif icazione e approntare le consequenziali difese, e per delimitare, in riferimento a dette ragioni, l'oggetto dell'eventuale successivo contenzioso, essendo precluso all'Uff icio di addurre, in giudizio, cause
diverse rispetto a quelle enunciate». (principio da ultimo ribadito, Cassazione sentenza 6 febbraio 2015, n. 2191). E ancora, con sentenza del 20-09-2013, n. 21532, la Corte di Cassazione ha così statuito: «In tema di revisione del classamento catastale di immobili urbani, la motivazione dell'atto non può, in conformità all'art. 3, comma 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, limitarsi a contenere l'indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall'agenzia del territorio, ma deve specif icare, ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, a quale presupposto - il non aggiornamento del classamento ovvero la palese incongruità rispetto a fabbricati similari - la modif ica debba essere associata, rispondendo alla funzione di delimitare l'ambito delle ragioni deducibili dall'uff icio nella successiva fase contenziosa, nella quale il contribuente, nell'esercizio del proprio diritto di difesa, può chiedere la verif ica dell'effettiva correttezza della riclassif icazione». In sostanza, gli atti di classamento non possono avere come motivazione la sola enunciazione degli elementi oggettivi della categoria catastale, della classe e della rendita, calcolata in base alle consistenze ricavate dagli elaborati, in quanto gli atti stessi sono incontestabilmente provvedimenti di natura valutativa e come tali devono essere adeguatamente motivati. Infine, si è da ultimo pronunciata la Suprema Corte con sentenza n. 3394 del 13 febbraio 2014, che utile a dipanare qualsiasi dubbio ha così statuito: «il classamento di un’unità immobiliare a seguito della presentazione di un Docfa non deve essere solo comunicato, ma occorre anche
fornire gli elementi che spieghino perché la proposta del contribuente è stata rifiutata. Del resto, l'atto con cui l'amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato deve contenere una adeguata - ancorché sommaria – motivazione, che delimiti l'oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria. Il classamento, infatti, non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere la elaborazione di un reticolo di categorie e classi catastali e demanda la elaborazione di tali gruppi, categorie e classi all'Ufficio tecnico erariale (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9)». Peraltro, già con ordinanza del 2 dicembre 2013, n. 27008, sempre in procedura Docfa, gli Ermellini esprimono un principio di diritto che mette in risalto «l’obbligo della Amministrazione di sorreggere con adeguata motivazione ogni atto con cui “accerti” un quid di fiscalmente rilevante. E non occorre alcuna motivazione solo ove la Amministrazione operi su dati forniti dal contribuente o comunque già definiti fra le parti. Nel caso di attribuzione di una rendita catastale per “stima diretta” l’ammontare della rendita stessa discende dal valore attribuito al bene. La mera indicazione di una diversa valutazione rispetto a quella proposta dal contribuente costituisce quindi il dispositivo dell’atto e non la motivazione, che deve (a somiglianza di quanto accade in caso di applicazione dell’imposta di registro) invece enunciare i criteri e gli elementi che determinano la mancata accettazione delle indicazioni del contribuente».
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Privacy, cambio di prospettiva con il nuovo Regolamento UE Aumentano le sanzioni per le imprese che non si adeguano. L’avvocato Paolo Balboni avverte: «Errori nella gestione della protezione dei dati personali potrebbero in un sol colpo mettere in ginocchio un’azienda»
di Raffaella Venerando
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vvocato, il nuovo Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali implica innanzitutto un cambio di orizzonte per le aziende? È così? Si, decisamente. Occorre, infatti, un cambio di mentalità da parte delle aziende con riferimento all’approccio all’allineamento con la normativa in materia di protezione dei dati personali (per brevità: “privacy compliance”). Si passa da una privacy compliance fatta di policy (“carta”) a una privacy compliance basata su metodologie di valutazione del rischio, che deve essere integrata nei processi aziendali. In altre parole, le aziende sono chiamate a un esercizio rigoroso e sistematico di analisi e disegno di processi, che si può riassumere nei seguenti step: (i) analisi dei trattamenti, (ii) identificazione delle tipologie di dati trattati e dei soggetti coinvolti, (iii) mappatura dei flussi di dati, con particolare attenzione a quelli transfrontalieri; (iv) valutazione del
rischio privacy e di sicurezza sui dati e identificazione delle contromisure per mitigare i rischi identificati; (v) disegno dei processi privacy aziendali
Paolo Balboni presidente della European Privacy Association (EPA) e Founding Partner di ICT Legal Consulting @balbonipaolo
corretti, allineati alla normativa e efficaci in termini di valorizzazione della basi dati aziendali. Infatti occorre ricordarsi che un database (per esempio di clienti e potenziali clienti) ben costituito – ossia formato da dati raccolti in conformità alla normativa – che abiliti lecitamente l’azienda a inviare comunicazioni promozionali e a profilare i soggetti interessati rappresenta un “asset” (valore) estremamente rilevante e chiaramente valorizzabile anche in sede di possibili acquisizioni da parte di altre società. Ci sono novità in tema di principi che riguardano le condizioni applicabili al consenso? Varie sono le novità in tema di presupposti del trattamento, in questa sede mi pare rilevante menzionare un’interessante apertura in materia di trattamento per finalità di marketing, che potrà infatti essere basato sull’interesse legittimo in alternativa - per esempio - al “consenso” del soggetto interessato.
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«Soprattutto grandi aziende non potranno fare a meno di un Data Protection Officer, anche se non rientrano nei casi stabiliti dalla normativa, in quanto l’allineamento alla normativa europea richiede un costante, rigoroso e sistematico esercizio di analisi e disegno di processi. Sul punto, è importante capire che per un allineamento alle nuove regole non bastano solo competenze giuridiche ma è necessaria anche una solida preparazione in materia di IT e IT security»
Nuova è anche la f igura del responsabile della protezione dei dati. Sì, il responsabile della protezione dei dati personali (Data Protection Officer – per brevità: “DPO”) diventerà una figura chiave per le aziende al fine di assicurare un allineamento alla normativa in materia di protezione dei dati personali. Il Regolamento identifica casistiche specifiche in cui è obbligatorio la nomina del DPO, ossia quanto: (i) il trattamento è effettuato da un'autorità pubblica o da un organismo pubblico, (ii) le attività principali del titolare o del responsabile consistono in trattamenti che richiedono il monitoraggio regolare e sistematico degli interessati su larga scala; (iii) le attività principali del titolare o del responsabile consistono nel trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati personali. Tuttavia, soprattutto grandi aziende non potranno fare a meno di un DPO, anche se non rientrano nei casi stabiliti dalla normativa, in quanto, come descritto in precedenza, l’allineamento alla normativa richiede un costante, rigoroso e sistematico esercizio di analisi e disegno di processi.
Sul punto, è importante capire che per un allineamento alla nuova normativa non bastano solo competenze giuridiche ma sono necessarie competenze anche in materia di IT e IT security. Quindi più che a un Data Protection Officer sarebbe più corretto pensare a un Data Protection Office, ossia a un ufficio privacy che raccoglie competenze multidisciplinari (legali e IT/security), sotto il coordinamento del DPO. Dal momento che tali competenze specifiche e multidisciplinari non sono sempre presenti in una azienda, queste possono anche essere reperite all’esterno attraverso contratti continuativi di consulenza specializzata in materia di protezione dei dati personali. Lo schema infatti potrebbe essere di nominare un DPO interno all’azienda e di strutturare un supporto specializzato e multidisciplinare dall’esterno (ufficio privacy esternalizzato) per coadiuvare le attività del DPO. Cambia anche il regime sanzionatorio per chi non si adegua? Le sanzioni raggiungono degli ordini di grandezza mai immaginati prima. Si può infatti arrivare a
sanzioni amministrative pecuniarie fino a euro 10.000.000, o fino al 2% del fatturato mondiale totale annuo dell'esercizio precedente, se superiore, in casi di violazione per esempio degli obblighi del titolare e del responsabile con riferimento alle condizioni applicabili al consenso dei minori; della protezione dei dati fin dalla progettazione e protezione per impostazione predefinita; delle misure di sicurezza; della valutazione d'impatto sulla protezione dei dati. O addirittura si configurano sanzioni amministrative pecuniarie fino a euro 20.000.000, o fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell'esercizio precedente, se superiore, in casi di violazioni per esempio dei principi di base del trattamento, comprese le condizioni relative al consenso; dei diritti degli interessati; dei presupposti del trasferimenti di dati personali a un destinatario in un paese extra europeo. Insomma la privacy, con sanzioni di questo calibro, entrerà inevitabilmente nel perimetro di attenzione dei livelli dirigenziali e dei consigli di amministrazioni, in quanto errori nella gestione della medesima potrebbero in un sol colpo mettere in ginocchio un’azienda.
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IN TE RN AZ IONA LIZ Z A Z I O NE
Cara Europa, torniamo al Partenariato Euromediterraneo La policy comunitaria va rifinanziata e rilanciata, con la Tunisia come punta avanzata a Sud. È una questione di politica e di economia
di Ely Szajkowicz Responsabile Informazione e Comunicazione | Confindustria Assafrica & Mediterraneo news@assafrica.it | @ASSAFRICA
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ell'immaginario collettivo, un evento astronomico di rilievo viene spesso interpretato come un annuncio di cambiamenti. Il 9 maggio 2016 c’è stato l’allineamento di Sole, Mercurio e Terra, che avviene 13 o 14 volte in un secolo. E quest’anno si è verificato proprio nel giorno della festa dell’Europa: il 9 maggio infatti è anche l’Europa Day, in ricordo della (storica) dichiarazione di Robert Schuman in cui formulava l'idea di una nuova forma di cooperazione politica che avrebbe reso impensabile una nuova guerra tra le nazioni europee, regalando all’Europa un lungo periodo di prosperità. Quest’anno poi, sempre il 9 maggio scorso, si è svolto a Tunisi presso la sede dell’UTICA, la “Confindustria” tunisina, anche il Business Forum Tuniso-Italiano, nell'ambito della prima Missione di Sistema in Tunisia dopo la “Primavera araba” guidata dal Ministro degli Affari Esteri Gentiloni. Appare allora
singolare questo allineamento di uomini e pianeti, quasi a sottolineare la necessità di riprendere la strada delle interconnessioni mediterranee, comunitarie e imprenditoriali. Un’area in cui, secondo SACE, dal 2011 l’export italiano è cresciuto del 18%. Ma al di là dei numeri, colpisce come negli interventi dei rappresentanti tunisini al Forum, siano emersi alcuni elementi: la sottolineatura, nelle parole
della presidente dell'UTICA Bouchmaoui, di legami non solo economici ma anche politici e culturali tra Italia e Tunisia e la scelta di puntare sul Partenariato Pubblico - Privato (PPP) e sulle infrastrutture come assi portanti dello sviluppo tunisino. «La nuova Legge in approvazione sul PPP si baserà soprattutto sulle proposte dei privati, supportate da studi specifici, e darà luogo a contratti
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«Senza l’Unione europea non ci sarebbe stata la Dichiarazione di Barcellona, né i programmi comunitari che hanno generato il networking dell’Associazionismo imprenditoriale sudmediterraneo e poi la nascita di BusinessMed, l’organizzazione delle Confindustrie mediterranee di cui oggi è vice presidente Alberto Baban, presidente della Piccola Industria di Confindustria. E non ci sarebbero stati neanche i Business Forum tuniso-italiani»
di partenariato che stabiliranno obblighi e finanziamenti» ha infatti sottolineato Atef Majdoub, Direttore Generale Partenariato PubblicoPrivato presso la Presidenza del Consiglio della Tunisia. E colpisce anche come le espressioni più ricorrenti, negli interventi italiani e tunisini, siano state “pace” e “prosperità condivisa". A ben vedere sono due dei tre pilastri, insieme alla cultura, dello Spazio Euromediterraneo, la policy scaturita dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995 con cui Ue e Paesi sudmediterranei si impegnavano a costruire entro il 2010 una Zona di libero scambio euromediterranea, una delle azioni ideate per rendere l’area euromediterranea (espressione che non esisteva) una regione di prosperità condivisa, creando occupazione e ricchezza e arginando le spinte già allora fuggiasche dei giovani della Sponda Sud verso quella Nord del Mediterraneo. All’epoca non c’erano ancora Internet, i telefonini e i social media. Ma c’erano visione e ideali. Senza l’Unione europea non ci sarebbe stata la Dichiarazione di Barcellona, né i programmi comunitari che hanno generato il
networking dell’Associazionismo imprenditoriale sudmediterraneo e poi la nascita di BusinessMed, l’organizzazione delle Confindustrie mediterranee di cui oggi è vice presidente Alberto Baban, presidente della Piccola Industria di Confindustria. E non ci sarebbero stati neanche i Business Forum tuniso-italiani. Allora la domanda è: perché è stata trascurata o non abbastanza valorizzata quella policy comunitaria euromediterranea, che aveva anche una dotazione finanziaria con i Fondi MEDA e che aveva come fondamento un processo virtuoso di creazione di ricchezza prodotta nell’area e di cui era destinataria? Facciamo un passo indietro. La Tunisia, vero e proprio laboratorio del Mediterraneo, che insieme all’Iran sta diventando uno dei paesi di punta dei processi di modernizzazione delle società mediterranee e mediorientali, con una popolazione giovane, cui dare occupazione e quindi creare mercato anche in prospettiva con forte crescita dei consumi, è stato il primo Paese sudmediterraneo a firmare l’Accordo di associazione con l’Unione europea nell'ambito del Partenariato Euromediterraneo e il
primo ad entrare nella Zona di libero scambio dei prodotti industriali con l’Ue (1 gennaio 2008). Ecco allora che la Missione italiana del 9 maggio in Tunisia riporta alla ribalta anche il valore e il senso stesso dell’Unione europea (e dell'Euromediterraneo) e cioè di grande catalizzatore di pace con tutte le ricadute positive che questo comporta, anche in termini industriali. «I miei obiettivi sono politici, le mie spiegazioni sono economiche» diceva Jean Monnet. Una frase che il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha ricordato spesso nei suoi interventi, sin da quando nel 2003 era presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo. E c'è anche molta Europa nel suo discorso di insediamento quale presidente di Confindustria il 26 maggio 2016. Forse allora sarebbe il caso di rifinanziare e rilanciare il Partenariato Euromediterraneo, che può avere nella Tunisia la punta avanzata a Sud di tale processo. Di sicuro sarebbe una misura più efficiente per il futuro dell’Europa rispetto alla costruzione dei tanti muri annunciati, e a volte, anche realizzati dentro e intorno ai suoi confini.
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Certificazione Halal, avvicinarsi ai mercati di fede islamica «Un mezzo di accesso etico in un mercato nuovo, grande, che conta 1.600 milioni di persone», una delle ragioni per cui - secondo il direttore commerciale Fabio Spilotros – conviene scegliere il percorso proposto dalla HIA di Raffaella Venerando
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l 19 maggio, in Confindustria Salerno, si è tenuto il seminario dal titolo “La Certificazione etica Halal e le opportunità dei mercati di fede islamica”, organizzato con Halal International Authority (HIA), Ente di certificazione Halal in Italia. Oltre all’agroalimentare, comparto maggiormente interessato dalla certificazione Halal, l’evento è stato di interesse anche per altri settori, considerata la necessità imminente di certificarsi Halal per tutte le aziende che intrattengono rapporti commerciali con i mercati dei paesi islamici. Il seminario si è rivelato anche un’utile occasione di aggiornamento anche per quanti operano all’estero attraverso l’ e-commerce: alle imprese che hanno rapporti commerciali con i mercati dei paesi di fede islamica sarà infatti necessariamente imposto a breve l’obbligo di conformarsi allo standard di certificazione Halal. Una piattaforma e-commerce progettata e certificata per gli standard Halal potrà, pertanto, consentire un canale commerciale di accesso preferenziale ad alcuni tra i mercati oggi più interessanti dello scenario globale (oltre all’area del Golfo, anche i Paesi del Sud est asiatico, quale Indonesia,
milioni di persone di religione islamica. Le aziende italiane che si certificano Halal - standard non ancora ben noto e diffuso nel nostro Paese - potrebbero più facilmente promuovere i propri prodotti presso questo nuovo pubblico.
Fabio Spilotros Direttore commerciale HIA Malesia, Filippine, etc.). A margine dell’incontro abbiamo chiesto di più sul tema al direttore commerciale di HIA, Fabio Spilotros. Certif icarsi Halal: perché un’azienda dovrebbe scegliere di farlo? Innanzitutto perché essere certificati Halal equivale ad attestare che si operare in conformità delle leggi di religiosità islamiche. Ma non solo. La certificazione Halal può essere il mezzo di accesso in un mercato nuovo, grande, che conta 1.600 milioni di persone. Il potenziale economico è quindi facilmente desumibile se si tiene conto che solo in Europa ci sono circa 40
Più che pensare a un Paese di riferimento in cui internazionalizzare, l’attenzione si sposta e concentra quindi sul cliente? Esattamente. Il cliente che acquista Halal è ovunque, anche in Italia, sebbene il musulmano presente nel nostro Paese ad oggi non ha una grande capacità di acquisto. È anche vero però che la situazione sta evolvendo, grazie alla contaminazione positiva di quanto avviene in altri settori – emblematico quello del calcio – in cui investitori che credono nel nostro Paese portano qui capitali per lo sviluppo e per la crescita delle aziende, valorizzando e promuovendo così il sistema Italia e l’italianità in tutte le sue declinazioni. La certificazione Halal potrebbe essere pertanto un’occasione di rivitalizzazione del Sud Italia, della dieta mediterranea e, più in generale, di un territorio dalla straordinaria cultura.
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Nanomedicina e Nanotecnologie: le nuove frontiere La ricerca scientifica rappresenta uno dei settori trainanti dell’economia mondiale, e l’università è il vivaio più importante da cui nascono spesso le idee migliori. Attualmente, grande attenzione della comunità scientifica, ma anche delle aziende, è rivolta all’ambito della nanotecnologia e della nanomedicina
Ernesto Reverchon Gruppo di Fluidi Supercritici | Dipartimento di Ingegneria Industriale Area di Ingegneria Chimica | Università degli Studi di Salerno ereverchon@unisa.it
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a nanomedicina è la branca della medicina che vuole utilizzare le nanotecnologie a scopi terapeutici, perfezionando terapie tradizionali e sviluppandone di nuove, più potenti e selettive. L’originalità nell’approccio scientifico alle problematiche affrontate è costituita dall’utilizzo dei fluidi supercritici, quali l’anidride carbonica. Il gruppo di ricerca di Fluidi Supercritici (FSC Group) che coordino presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIN) dell’Università di Salerno è specializzato nell’affrontare problemi industriali nel settore delle nanotecnologie, utilizzando approcci estremamente innovativi. È costituito da giovani e validi ricercatori, e ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti. In particolare, nell’ultima classifica rilasciata dalla Top Italian Scientists (novembre 2015) mi è stato attribuito l’ottavo posto nella sezione Materials and Nano Sciences (quinto posto tra
gli scienziati del settore che lavorano in Italia). Un fluido supercritico è una sostanza impiegata a valori di temperatura e pressione superiori al suo punto critico, con proprietà ibride tra un liquido e un gas. Ad esempio, si comporta come i liquidi per quanto riguarda gli alti valori di densità, e come i gas per gli alti valori di diffusività e la bassa viscosità. Abbiamo sviluppato vari processi innovativi. Ad esempio, sono state ottenute nanoparticelle di prodotti farmaceutici, tra cui antibiotici ad accresciuta attività biologica rispetto alle normali particelle a livello micrometrico. Inoltre, sono stati messi a punto sistemi “polimero+principio attivo” in cui il polimero veicola e protegge il farmaco (in esso disperso a livello nanometrico) da fenomeni degradativi durante la somministrazione, consentendo anche un aumento della biodisponibilità nel corpo umano. È stato inoltre sviluppato un nuovo
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48 gocce d’acqua e poi consentendo ai lipidi di ricoprirle. L’idea alla base è estremamente innovativa ed efficace: abbiamo incapsulato composti idrofili fino al 98%, in liposomi di dimensioni dai 100 ai 300 nm, adatti alla veicolazione nei tessuti.
Figura 1 - Esempio di nanoparticelle prodotte con fluidi supercritici: immagine ottenuta al microscopio elettronico a scansione processo per la produzione di liposomi, ovvero vescicole costituite da un nucleo acquoso interno e da un doppio strato di fosfolipidi esterno, in cui è possibile incapsulare farmaci di natura idrofila o lipofila. I liposomi di dimensioni nanometriche (nanosomi) sono molto simili alle membrane cellulari, motivo per cui la veicolazione dei principi attivi avviene con un meccanismo naturale, che li rende capaci di trasportare il farmaco direttamente all’interno delle cellule bersaglio. Fra l’altro, è anche possibile ingegnerizzare la superficie dei nanosomi, programmandola biochimicamente per far sì che riconoscano il tessuto specifico da trattare. I metodi tradizionali di produzione dei liposomi presentano molte problematiche, quali la bassa riproducibilità, basse efficienze di incapsulamento di composti idrofili, difficile controllo della granulometria e difficile separazione del solvente. Il processo da noi sviluppato, invece, propone di invertire le fasi di produzione tradizionalmente seguite, producendo dapprima le
Figura 2 - Esempio di nano-liposomi prodotti con fluidi supercritici: immagine ottenuta al microscopio elettronico a scansione Una parte del gruppo di ricerca di Fluidi Supercritici ha anche sviluppato strutture polimeriche (dette scaffold) nanostrutturate, perché formate da un reticolo di nanofilamenti del tutto simile alla morfologia dei tessuti umani. Quando in queste strutture vengono caricate cellule staminali umane, queste utilizzano i
nanofilamenti sottostanti per orientarsi, riprodursi e differenziarsi secondo quanto richiesto per creare il tessuto da rigenerare. Questi materiali degradano lentamente, mentre le cellule staminali producono exnovo un tessuto vivente. Il risultato finale sarà la formazione di parti di organi come ossa, tendini e vasi sanguigni identici a quelli del paziente, che sarà anche donatore delle cellule stesse. Questi sistemi non daranno problemi di rigetto e/o usura, come avviene con le normali protesi sintetiche. L’Università degli Studi di Salerno, in particolare il professor Nicola Maffulli, Direttore del Dipartimento dell’Apparato Locomotore dell’Azienda Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona, si sta attrezzando per sviluppare le metodiche cliniche per l’utilizzo degli scaffold in applicazioni terapeutiche, nell’ambito dello sviluppo di studi combinati in medicina traslazionale. Per ulteriori informazioni: www.supercriticalfluidgroup.unisa.it
oppure la nostra pagina Facebook: Supercritical Fluid Group – UNISA.
Figura 3 - Esempio di scaffold polimerico ottenuto mediante tecniche supercritiche, colonizzato da cellule staminali (in rosso)
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Borsa della Ricerca 2016, la necessità di sistemi aperti per avanzare Tommaso Aiello, direttore generale della Fondazione Emblema, traccia il bilancio della manifestazione: «Dopo sette anni, l’impegno a creare un ambiente aperto tra ricercatori e imprese continua ad essere la carta vincente»
di Raffaella Venerando abbiamo voluto dedicare la sessione plenaria di apertura ed è apparso evidente come, anche in Italia, stia emergendo la consapevolezza che la creazione di sistemi aperti, fatti di condivisione e sinergie, sia oggi una necessità più che un mero desiderio. Dopo sette anni di Borsa della Ricerca ritengo sia proprio l’impegno a costruire reti tematiche o territoriali la principale novità rispetto alle edizioni precedenti. Dal nostro punto di vista, il Forum è stato pensato sin dall’inizio come un connubio tra open innovation e proprietà intellettuale: un ambiente in cui tutti possono parlare con tutti direttamente e senza intermediazioni, ma con la certezza che ogni singolo delegato ha firmato un accordo di riservatezza sulle idee di cui verrà a conoscenza. Nel nostro piccolo, crediamo che questo possa essere un modello da replicare negli altri contesti in cui ricerca e impresa si confrontano.
Tommaso Aiello direttore generale Fondazione Emblema
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rasferimento tecnologico: dall ’edizione di quest’anno cosa è emerso? Il Paese Italia ha fatto passi in avanti? La Borsa della Ricerca è nata per fare una sintesi dei fabbisogni di tutti gli attori che sono coinvolti: imprese, ricercatori, istituzioni, spin off. Credo che, nel mondo del trasferimento tecnologico, la sfida più appassionante di questi tempi sia la coesistenza tra un contesto globale, e per definizione “open”, e la proprietà intellettuale che per molti è il bene più prezioso nell’attività di ricerca. A questo tema
L’edizione della Borsa quest’anno si è spostata a Sud, a Salerno per l ’esattezza. Cosa ha indotto questo cambio di contesto? La collaborazione con l’Università di Salerno è nata due anni fa con l’organizzazione di un evento all’interno della Borsa della Ricerca che abbiamo denominato “forSUD”. In questo biennio la Campania, e Salerno in particolare, sono diventati per Emblema il fulcro di numerose iniziative. Il rapporto con l’Università è stato più che positivo e stiamo collaborando attivamente allo start up di Ebris, il centro di ricerca su alimentazione e salute costituito da Scuola Medica Salernitana e Harvard University, in cui ci occupiamo dello sviluppo di
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RI CE RCA tutte le attività. In questo contesto, la decisione di organizzare a Salerno il VII Forum della Borsa della Ricerca è stata quasi naturale e, col senno di poi, si è rivelata una scelta vincente. Innanzitutto, va dato atto all’Università di Salerno di aver contribuito a fare della Borsa un evento inclusivo, in cui tutti gli atenei partecipanti non si sono mai sentiti ospiti di una singola Università, ma realmente compartecipi dell’iniziativa con pari dignità. Al di là di questo aspetto, nell’Ateneo salernitano abbiamo sempre avuto un interlocutore attento e interessato, dal Rettore Aurelio Tommasetti, al professor Pietro Campiglia, alla struttura amministrativa. La Borsa della Ricerca 2016 è stata anche l’occasione per instaurare nuove collaborazioni con tante realtà campane, a cominciare dalla Regione e da Sviluppo Campania che ci hanno sostenuto in maniera importante e hanno deciso di realizzare all’interno del Forum i tavoli tecnici sulla RIS3, ovvero i momenti in cui si definiscono le linee strategiche della Campania per la gestione delle risorse comunitarie. Hanno avuto un ruolo attivo nella Borsa anche Città della Scienza, Confindustria e la Camera di Commercio di Salerno, nonché l’ADISU Salerno che è da tre anni partner delle nostre iniziative. Sono tutte relazioni che ci impegniamo a coltivare in vista dell’edizione 2017 che contiamo di realizzare nuovamente a Fisciano. Circa 1000 appuntamenti in cui vengono presentati i progetti. Fermo restando la segretezza di questi ultimi, ci sono state idee più richieste di altre? Vi siete anche dati una spiegazione per il maggior appeal? 934. Non correggo il numero per pignoleria, ma perché credo che dietro ognuno di questi appuntamenti ci sia una storia particolarissima. Il format della Borsa punta tutto sulle relazioni dirette e personali tra ricercatori e innovatori ed è per questo che abbiamo creato la Preview, l’ambiente virtuale in cui i delegati, nelle settimane precedenti l’evento, possono vedere chi partecipa e quali attività porta avanti, decidendo quali realtà incontrare. Grazie a questo accorgimento, la “compatibilità scientifica” è valutata a priori e gli appuntamenti possono essere incentrati sulla “compatibilità personale”, sulla volontà di collaborare, visto che sono assolutamente convinto che la componente umana sia l’aspetto più
importante del trasferimento tecnologico. Riguardo ad ambiti o temi più richiesti, che non ce ne siano, perché la trasversalità della Borsa è una delle peculiarità del Forum. Al contrario, credo che l’aspetto più interessante della nostra manifestazione sia quello che definisco il “trasferimento non lineare”, ovvero quelle collaborazioni che nascono tra due realtà che si occupano di ambiti completamente diversi e che si possono incontrare solo in un ambiente così eterogeneo.
Novità di quest’anno la Borsa della Ricerca Awards. Chi ha superato gli altri in questa particolare competizione di idee? Nove premiati di regioni e cluster differenti. Credo non ci siano stati dei vincitori assoluti, ma 58 pitch in una sola giornata sono stati un’occasione di crescita per tutti quelli che hanno partecipato. Molti dei potenziali finanziatori non avevano mai assistito a dei pitch e sono rimasti impressionati da questa modalità di presentazione abbastanza sconosciuta fuori dagli eventi riservati agli startupper. Dall’altra parte, gli Awards sono stati importanti per tutti gli spin off per capire le criticità dei loro progetti e gli ambiti di miglioramento, nella forma e nei contenuti. Per noi era una prima assoluta, ma siamo stati i primi a divertirci e imparare. Non vediamo l’ora quindi di metterci al lavoro per la prossima edizione!
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Borsa della Ricerca Awards 2016: favorire il passaggio dalla ricerca all’innovazione Per la prima volta la Borsa della Ricerca ha indetto dei premi per sostenere concretamente le realtà partecipanti e trasformare le idee in progetti innovativi: i Borsa della Ricerca Awards sono stati conferiti ai progetti più interessanti presentati nella sessione di pitch del 19 maggio. Partner di questa prima edizione sono stati il Banco di Napoli – Gruppo Intesa Sanpaolo, che ha scelto tre progetti da inserire nel proprio Tech Marketplace (piattaforma B2B che agevola e facilita l'incontro tra domanda ed offerta di innovazione), l’azienda Electrolux, alla ricerca di un’idea innovativa da integrare nell’Open Innovation Services e la Business Association Italy America (BAIA), che ha offerto a un progetto la possibilità di partecipare alla missione esplorativa della durata di una settimana a San Francisco e Silicon Valley. Sono stati assegnati anche quattro premi per il miglior pitch, uno per ciascuno dei cluster proposti.
3DNextech
EggPlant
SmartVase
3DNextech è uno spin off della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, specializzata nello sviluppo di prodotti e tecnologie connesse al mondo della manifattura additiva e della stampa 3D. Le soluzioni 3DNextech non sono legate ad un singolo settore produttivo, ma sono trasversali e possono essere impiegate in qualsiasi settore: dal biomedicale all’architettura, dall’aeronautica al design.
EggPlant è un’azienda spin off dell’Università di Bari Aldo Moro specializzata nell’utilizzo di acque reflue per produrre bioplastiche ad alte prestazioni tramite un processo a rifiuti zero. EggPlant risolve in questo modo due grandi problemi ambientali e sociali: lo smaltimento delle acque reflue e l’inquinamento derivante dalle plastiche tradizionali. EggPlant produce plastiche completamente bioderivate e biodegradabili adatte a diversi settori e applicazioni.
SmartVase è uno spin off dell’Università di Salerno focalizzato sulla produzione di nuovi vasi biodegradabili a degradazione programmata, che vengono resi stabili grazie ad un sottile strato isolante (nanocoating) e la cui degradazione può essere iniziata a piacere dell’utente. Il prodotto finale, oltre ad avere caratteristiche meccaniche simili ai vasi tradizionali, ha basso costo, degradabilità, tossicità nulla, effetto fertilizzante e, soprattutto, azione antiparassitaria.
Categoria BAIA Silicon Valley roadshow
Categoria Electrolux Open Innovation Services
Categoria Best Pitch Green Economy
RI CE RCA
Res.Gea S.r.l.
Categoria Best Pitch Smart Cities
Res.Gea S.r.l. è un’azienda spin-off dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti che si occupa di Monitoraggio Ambientale, Gestione di Sistemi Informativi Territoriali (GIS), Archeologia Preventiva e Fotogrammetria. Nel panorama delle prestazioni ad alto contenuto tecnologico e scientifico che RES.GEA S.r.l offre, la più innovativa è rappresentata dal Censimento e Mappatura delle coperture in Materiali Contenenti Amianto (MCA).
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PDmir Family Fondazione Ebris Categoria Best Pitch E-Health
Il PDmir Family test è un progetto finalizzato allo sviluppo di un test diagnostico innovativo per la Malattia di Parkinson. Il test si basa sull’analisi di molecole di RNA molto stabili e si configura come un’alternativa rivoluzionaria rispetto agli strumenti diagnostici tradizionali: non è invasivo, poco costoso e quantificabile, a differenza dei metodi correntemente in uso come PET e DAT SCAN.
Exeura
Categoria Best Pitch ICT
Exeura è uno spin-off dell’Università della Calabria che realizza soluzioni all’avanguardia nel campo della Business Analytics. Exeura offre soluzioni innovative per la gestione di grandi quantità di dati e la loro analisi. Le attività di RI sono alla base dei processi di rinnovamento e di sviluppo di Exeura e sono la base per lo sviluppo di soluzioni di Business Analytics.
Nano Active Film
Snapback
Rulex
Nano Active Film s.r.l. è uno spin off dell'Università degli Studi di Salerno che si occupa di progettazione, realizzazione e commercializzazione di materiali funzionali a base polimerica, destinati ai settori agro alimentare ed ambientali. Le principali applicazioni del materiale sviluppato da Nano Active Film sono produzione di imballaggi attivi in grado di prolungare la shelf-life dei prodotti ortofrutticoli e di filtri per la purificazione delle acque.
Snapback è una startup che progetta e sviluppa interfacce software che rendono possibile un’interazione multimodale con smartphone, indossabili e dispostivi connessi. Il tool di sviluppo software proprietario integra algoritmi di riconoscimento di voce, suoni e gesti e permette di interagire in modalità innovative con i dispositivi.
Rulex ha realizzato una piattaforma cognitive machine learning per la monetizzazione dei dati delle imprese e dell’Internet delle Cose, fondendo la facilità d’uso di strumenti di business intelligence con tecnologie di frontiera come il cognitive machine learning. Da un algoritmo (Logic Learning Machine) inventato e brevettato da Rulex Inc., è nata la tecnologia Rulex dedicata all'analisi avanzata di big data.
Categoria Banco di Napoli Tech Marketplace
Categoria Banco di Napoli Tech Marketplace
Categoria Banco di Napoli Tech Marketplace
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Campiglia, Università di Salerno: «Il lungo viaggio di una buona idea»
Da sola una intuizione giusta non basta. Come sostengono gli esperti del business, è necessario realizzarla ma, prima ancora, che si crei quel network di collegamento tra chi partorisce l’idea e chi è in grado di sostenerla, non solo economicamente
di Raffaella Venerando
Pietro Campiglia delegato al fundraising Università degli Studi di Salerno
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rofessore, quali sono le chiavi di successo di una startup/spinoff nata da un percorso di trasferimento tecnologico? La collaborazione tra il mondo dell’Università e le Imprese è una delle chiavi di volta dell’attuale sviluppo socio-economico dei territori. Questa sinergia, infatti, da un lato, consente all’Università di sbarazzarsi della storica etichetta di “cattedrale dei saperi” e di qualificarsi come un ecosistema aperto in grado di scambiare conoscenza vitale con l’esterno; dall’altro essa permette alle Imprese di compiere il proprio
viaggio verso un’innovazione di prodotto e di processo che le metta in grado di competere a livello globale. La collaborazione Università-Impresa si esplicita principalmente in due modalità: la ricerca applicata, ovvero l’esecuzione di ricerche d’interesse aziendale in Università, con successivo trasferimento dei risultati all’Impresa committente e il trasferimento tecnologico, in altre parole la cessione della proprietà intellettuale da un’entità all’altra allo scopo di commercializzazione e impiego innovativo delle stesse. Le università e i centri di ricerca possono divenire dunque partner efficaci nel supportare la competitività del sistema industriale. Solo negli ultimi anni è iniziata, infatti, una nuova considerazione del ruolo dell’università nello sviluppo economico e si è assistito a un progressivo interesse di quest’ultima alle attività di innovazione tecnologica affiancando, ai tradizionali interventi nel campo sia della formazione professionale sia della ricerca, un intervento centrato sulla collaborazione stretta tra università e industrie, nonché sullo sviluppo economico. Questo ruolo imprenditoriale dell’università si è manifestato chiaramente con la rapida crescita di startup/spinoff derivati da un processo di trasferimento tecnologico. Startup, spinoff e nuove imprese sono delle caratteristiche della moderna università e rappresentano un vero motore di sviluppo economico basato su una nuova modalità di trasferimento tecnologico. Si tratta, a mio parere, di un processo di trasferimento tecnologico dall’Università alle Imprese, quale insieme di azioni che portano dalla produzione di ricerca, alla sua divulgazione agli organi competenti dell’Ateneo, alla sua valutazione, all’individuazione di partner interessati al trasferimento, alla stipula di accordi di collaborazione, alla brevet-
RI CE RCA tazione e alla difesa della proprietà intellettuale e al successivo follow-up. Un modello esemplare d'impresa innovativa che nasce e si sviluppa a partire proprio dall’Università di Salerno è quella di Gianfranco Rizzo, docente del Dipartimento di Ingegneria Industriale, che con un gruppo di accademici ha pensato a un kit di pannelli solari applicabili sulle auto per convertire un veicolo convenzionale in ibrido solare, riducendone i consumi e migliorando le prestazioni. La società di eProInn, nata come Spin-off dell'Università di Salerno nel 2014, ha depositato un brevetto di ibridizzazione solare e ha poi dato vita al progetto sui pannelli solari per automobili, HySolarKit con il supporto di Enea e Enterprise Europe Network. Attualmente HySolarKit è riuscito tra le prime aziende del Sud Italia a superare la prima fase di finanziamenti per lo strumento Pmi, schema di finanziamento inserito in Horizon 2020. E le differenze con una startup convenzionale? Una startup, per definizione, è un’azienda di nuova costituzione. Essa si basa principalmente su un’idea innovativa di business, ossia la creazione di un nuovo prodotto o di un nuovo modo di “fare impresa” che sia vendibile e riproducibile. La maggior parte delle startup convenzionali nasce proprio da un’idea in grado di portare novità al mercato. In genere sono i giovani che a partire da un’idea innovativa elaborano un progetto cercando di puntare su sentieri non ancora battuti dal mercato. Non basta soltanto una buona idea, ma come dicono gli esperti del business, è necessario realizzarla. Per dar vita al progetto vero e proprio occorre che questo venga alimentato da linfa vivificante sotto forma di investimenti. Ma prima è necessario che si crei quel network di collegamento tra chi partorisce l’idea e chi è in grado di sostenerla, non solo economicamente. Il vantaggio di una startup supportata da tutti gli attori che intervengono nel processo di trasferimento tecnologico risiede proprio nella “sinergia” che supporta la gestione dell’idea innovativa, nel corso del suo sviluppo imprenditoriale. Il termine innovazione è multidimensionale, ma lei come lo def inirebbe proprio in merito al trasferimento tecnologico? L’innovazione viene spesso definita come l’elaborazione o l’adozione di nuovi concetti o idee oppure come il proficuo sfruttamento di tali idee. La creatività è avere delle idee, l’innovazione ne è l’applicazione.
54 La creatività emerge unicamente quando l’innovatore prende l’idea e se ne serve per farne qualcosa. Un proficuo sfruttamento delle nuove idee può portare a qualsiasi forma di incremento di benefici organizzativi o sociali. In riferimento al trasferimento tecnologico, esso comprende una pluralità di attività che coinvolgono le strutture accademiche e che spaziano dalle ricerche finalizzate, al sostegno al trasferimento tecnologico, alla valorizzazione dei brevetti generati dalla ricerca, alla nascita di spin-off universitari, fino al più recente coinvolgimento nello sviluppo economico locale. L’edizione della Borsa della Ricerca di quest’anno che idea di territorio - Salerno e Campania- ha restituito? La Borsa della Ricerca di quest’anno ha avuto carattere nazionale, coinvolgendo oltre 30 grandi gruppi aziendali italiani, 27 potenziali finanziatori e 18 delegazioni universitarie provenienti da 11 regioni. 320 le presenze complessive che hanno animato la manifestazione. 930 appuntamenti one-to-one che si sono svolti lungo l'evento e che hanno visto confrontarsi uffici di trasferimento tecnologico, gruppi di ricerca, spin off, responsabili delle imprese e investitori. Il format della manifestazione ha incrociato momenti di approfondimento scientifico ad incontri conoscitivi, con particolare attenzione ai giovani protagonisti della ricerca. Una sezione dell'evento è stata infatti dedicata ai pitch: 58 in totale gli spin off e le start up partecipanti alle presentazioni, che hanno avuto l'opportunità di proporre la propria idea di impresa a finanziatori e aziende presenti. Non solo. Il campus in questi tre giorni, oltre ad ospitare gli attori della ricerca, è stato luogo privilegiato della concertazione pubblica sul documento regionale RIS3 dedicato alla programmazione e ai processi di investimento nel mondo pubblico e privato. La partecipazione alla manifestazione di importanti attori del tessuto economico locale nonché di numerosi assessori regionali ha testimoniato e confermato la capacità del territorio di fare “rete”, creare squadra, incrociare le rispettive competenze. Territorio, Università e Regione per scegliere insieme all'Università i settori e le modalità in cui investire le risorse europee: attraverso questo percorso di consultazione legato alla strategia di specializzazione intelligente (che a Salerno ha trovato grande vivacità nella Borsa della Ricerca) possiamo promuovere le eccellenze del sistema della ricerca scientifica e della produzione campana, in modo sempre più proficuo.
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S I CU R E Z Z A Settore ricerca, certificazione e verifica osservatorio della sicurezza a cura della Direzione Centrale Programmazione, Organizzazione e Controllo
Inail, lo Smau l’ha eletta PA più “social” Premiato, in particolare, il numero di visualizzazioni e video caricati su Youtube che fanno del canale Inail la più grande videoteca dedicata alla sicurezza sul lavoro in Italia
di Michele Troianiello Inail - Direzione Centrale Pianificazione e Comunicazione Uff. Comunicazione Esterna - Processo Pianificazione e Gestione presenza INAIL sui social networks m.troianiello@inail.it | @merisi62
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n questi giorni il canale Youtube Inail sta raggiungendo i 1100 iscritti. Questo significa che 1100 utenti, oltre quelli che giornalmente accedono ai filmati, hanno chiesto di essere puntualmente informati sulla pubblicazione di nuovi video nelle playlist del canale. Nato nel dicembre 2010 dal desiderio di sperimentare nuove strade della comunicazione pubblica, ora anche grazie al Premio Innovazione che gli è stato assegnato dallo Smau Bologna durante la manifestazione il 9 e 10 giugno, è diventato una realtà di riferimento anche per le altre pubbliche amministrazioni che intendano percorrere nuove vie per rapportarsi a una utenza sempre più esigente e qualificata. La sperimentazione “social” era iniziata l’anno prima, quando l’Inail, a quel tempo come Ufficio Stampa dell’Istituto, iniziò a comparire su tutti i social esistenti, e nel tempo l’esperienza è diventata sempre più interessante, con interventi “sul campo” per supportare con i social momenti topici nella vista dell’Istituto. Con il tempo, e il
passaggio della gestione dei social alla nuova Direzione Centrale Pianificazione e Comunicazione, il processo è stato riconosciuto e oggi ha una sua struttura e definizione precisa, che comunque è figlia della sperimentazione e della esperienza fatta precedentemente. E ora ci si sta aprendo ai nuovi “media sociali”: è di questi giorni l’apertura del canale Telegram dell’Istituto telegram.me/inailgov. Per quanto riguarda il canale Youtube, quello che premia particolarmente l’impegno è il numero delle visualizzazioni e il numero dei video caricati. Ad oggi il dato di Inail a confronto con quello di altre pubbliche amministrazioni fra le più attive sui social è questo: Inps 2.640 iscritti 481.044 visualizzazioni Data iscrizione: 02 novembre 2012 lapachesivede 923 iscritti 491.195 visualizzazioni Data iscrizione: 28 giugno 2009 MinisteroSalute 1.424 iscritti
544.167 visualizzazioni Data iscrizione: 25 novembre 2009 Inail 1.098 iscritti 890.442 visualizzazioni Data iscrizione: 10 dicembre 2010 La banca dati conta attualmente 2.736 video. Come pubblicato dal Corriere delle Comunicazioni già due anni fa «… Youtube Inail rappresenta una realtà unica nel campo della PA e dell’informazione istituzionale, e molto probabilmente il canale Inail è la più grande videoteca dedicata alla sicurezza sul lavoro in Italia». Il nostro canale va dai Tg nazionali e locali ai video “educativi”, ai “corti” premiati in manifestazioni nazionali e che affrontano temi affini alla attività dell’Istituto, ai video delle performance degli atleti paralimpici “targati” Inail. Una playlist fra le più interessanti è quella che raccoglie i filmati storici dell’Istituto, che ci parlano di una Italia di tanti anni fa e di mestieri che forse oggi non esistono più. Sono documenti importanti per la storia del lavoro, spesso utilizzati
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56 da ricercatori e tesisti, per studiare attività oggi scomparse, o per ricostruire ambienti di lavoro in relazione al rischio e alla sicurezza. Altra playlist molto visitata è quella di Napo. Appartengono a questa serie, ad oggi, 23 video realizzati in animazione computerizzata. Il personaggio principale – Napo e i suoi compagni comunicano senza utilizzare le parole e affrontano i diversi problemi legati alla sicurezza. Sollevano domande e stimolano il dibattito su aspetti specifici della sicurezza sul luogo di lavoro, dalle sostanze chimiche al rumore, dallo stress all’elettricità. Il Consorzio Napo, formato da HSE (UK), DGUV (Germania), INAIL (Italia), INRS (Francia) SUVA (Svizzera) e AUVA (Austria), è stato creato nel 1992 per arrivare a sviluppare, con il supporto della Commissione europea e dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, una serie di video con un forte impatto comunicativo, adatti a tutte le tipologie di pubblico. In questi anni si è continuato nella ricerca e nel recupero di video, in modo particolare di quelli precedenti la nascita del canale. L’attività giornaliera di monitoraggio ha fatto crescere sia i contatti, sia gli iscritti, e il canale Youtube Inail è sempre più punto di riferimento anche per il reperimento di video storici, che sono stati richiesti anche dalla Rai per i propri programmi. Naturalmente non si vive solo di passato, ma anche di obiettivi e prospettive future. La nuova frontiera che cerchiamo di raggiungere è quella della produzione: audio e video news, utilizzando tutte le possibilità che lo strumento Youtube offre a una PA che vuole essere sempre all’avanguardia nel suo rapporto con la rete.
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Alimentazione sostenibile e sprechi: la cucina autarchica/2 É tempo di rimettere il cibo al proprio posto, vicino ai nostri sensi e alla terra da cui proviene. In questo, la riscoperta delle ricette delle nostre nonne, magari reinterpretate, ci può essere di grande aiuto Giuseppe Fatati presidente Fondazione Adi (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica)
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bbiamo scritto che, in tempi passati, evitare sprechi nell'alimentazione era un esercizio quotidiano che richiedeva l'impiego di cibi avanzati dai pasti precedenti. Elemento principale della cucina del riuso era il pane. Se pensiamo alle donne della Valnerina non possiamo non ricordare comportamenti rituali specifici. Se il pane cadeva in terra, lo si raccoglieva e lo si baciava prima di mangiarlo, o riporlo. Se si era insozzato, lo si dava agli animali, ma in nessun caso lo si gettava via. Vigeva la severa legge dell'autarchia che per garantire la sopravvivenza vietava ogni inutile spreco, rafforzata dallo speciale rapporto che intercorre tra Cristo e il pane. Nelle famiglie povere la cucina del riuso era la cucina del pane raffermo che si esplicitava in tre ricette principali: l’acquacotta, il pancotto e la panzanella. Per preparare l'acqua cotta, l’ingrediente principale era acqua calda assieme al pane sul quale la zuppa era versata appena tolta dal fuoco. Prima che le patate entrassero a far parte dell'alimentazione quotidiana del contado, per preparare l'acqua cotta si usavano le rape. Assieme alle rape, e/o i legumi prodotti dall'orto
domestico, in particolare fagioli e fave. A seconda della stagione, anche piante selvatiche come il ramolaccio (Raphanus sativus), o la cicoria (Taraxacum officinale, o Dente di Leone). In inverno, si usavano le verze (camolle) dell'orto resistenti al freddo e facili da conservare. Oggi possiamo preparare un’acqua cotta più ricca sistemando sul pane, prima di versarvi la zuppa bollente, qualche fettina di formaggio fresco o anche fette di pecorino. Il pancotto veniva preparato facendo bollire in acqua il pane più duro. Per insaporirlo, oltre al sale, si usava l'aglio in dosi spesso generose. Quelli che potevano, lo condivano con olio e formaggio stagionato di pecora. Una ricetta più nutriente prevedeva l'aggiunta di un uovo battuto, versato poco prima di toglierlo dal fuoco rimestando a fondo con la cucchiaia di legno. Questa pietanza era consigliata alle donne durante l'allattamento perché gli si attribuiva il potere di favorire la produzione lattea. Infine la panzanella, servita spesso a colazione, specie d'estate, immancabile pietanza offerta ai mietitori che si componeva anch'essa di pane raffermo rinvenuto in acqua. Una volta ammollato, si eliminava
l'eccesso d'acqua premendo col palmo della mano fino a quando il pane rimaneva bagnato, ma non zuppo. Steso sul fondo del piatto, lo si condiva con sale, aceto, olio, aglio tritato o cipolla. La panzanella poteva essere insaporita con origano, timo o menta silvestre (mentuccia). Una ricetta più ricca utilizzava pomodori dell'orto spezzettati previamente sul tagliere. Nelle merende offerte ai mietitori, il pane ammollato veniva disposto a strati nella grande zuppiera comune (piattellone) condendo, uno alla volta, ognuno degli strati in modo che s'insaporissero adeguatamente. Oltre al valore nutritivo del pane, la presenza d'acqua e d'aceto contribuiva a placare l'arsura. La cucina del riuso non coinvolgeva solo il pane ma anche tanti altri prodotti alimentari: dai residui di carne ai legumi avanzati. Le bucce di patate fritte diventate in pochi anni un must nei ristorantini e nei pub di tutta Italia, ne sono un esempio. In pratica si tratta di friggere e mangiare lo scarto dell'alimento, la parte fino a ieri non edibile, rispolverando una ricetta ben conosciuta in passato dai ceti più poveri.
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S A LU TE
Acne, il disordine della pelle non conosce età Non si tratta solamente di un problema estetico, ma di una vera e propria malattia cutanea che necessita di trattamenti specialistici appropriati
Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it / www.istitutodermoclinico.com
L’
acne è una delle più comuni malattie dermatologiche. Si tratta di un disordine che interessa le ghiandole pilosebacee e dipende dalle variazioni del sebo a livello qualitativo e quantitativo. L’acne colpisce quasi 9 adolescenti su 10 e dal 10 al 20% degli adulti, non risparmiando bambini molto piccoli e neonati. Ma a prescindere dall’età in cui si presenta, l’acne ha importanti risvolti psicologici e il trattamento richiede pazienza per arrivare a vederne i risultati. L’acne non è solamente un problema estetico, ma una vera e propria malattia cutanea che necessita di trattamenti specialistici appropriati. Si può presentare o in forma lieve o in forma moderata, acne comedonica e papulo-pustolosa. È una patologia cronica e recidivante, cioè alterna momenti di malessere ad altri di apparente normalità per questo i medicinali in crema non vanno applicati solo sulle lesioni evidenti, ma su tutto il viso, in piccole quantità. I dermocosmetici, cioè detergente, crema idratante, crema solare, vanno usati sempre: contrastano l’eccesso di sebo, uniformano la grana cutanea, opacizzano le zone untuose e minimizzano le imperfezioni. In più compensano l’effetto disseccante dei farmaci e ripristinano il film protettivo della pelle. I più importanti fattori che influenzano lo sviluppo dell’acne sono l’iperseborrea delle ghiandole sebacee, ipercheratinizzazione e l’infiammazione dei follicoli da parte del Propionibacterium acnes. l primo consiste in una produzione anomala di sebo (una miscela di sostanze grasse che, come una pellicola invisibile, riveste la superficie della pelle mantenendola idratata e protetta) che fuoriesce da piccoli canalini, i follicoli pilosebacei. Si suppone che ciò accada in individui che per natura presentano ghiandole sebacee di quantità e dimensioni maggiori del normale. L’ipercheratosi è una conseguenza; si tratta della formazione di un “tappo” nella
parte superiore del follicolo, che impedisce l'eliminazione del sebo e favorisce la comparsa di un piccolo rilievo biancastro, il comedone, che può essere chiuso (“punto bianco”) o aperto (“punto nero”). Le cause non sono del tutto note: alcuni studi indicano una maggiore sensibilità delle cellule sebacee all’influenza degli ormoni androgeni. Terzo: nei follicoli sebacei è normalmente presente un batterio, il Propionibacterium acnes, che nella pelle sana non crea problemi mentre, quando il sebo è prodotto in eccesso, prolifera liberando sostanze che favoriscono la formazione di comedoni e irritano l’epitelio del follicolo, scatenando la produzione di citochine, i mediatori dell’infiammazione. Il ruolo del dermatologo è fondamentale per una corretta diagnosi e l’impostazione della terapia più adatta e nel supporto al paziente. Il trattamento deve essere personalizzato in base a diversi fattori: non solo età, ma tipo di pelle, stile di vita, forma e stadio dell’acne. Gli antibiotici per il trattamento dell’acne devono essere impiegati con cautela e solo in casi di estrema gravità della patologia. I dati sull’antibiotico resistenza sono infatti preoccupanti: +40% in vent’anni e molti degli antibiotici incriminati sono proprio quelli per il trattamento dell’acne. Ad esempio per il Propionibacterium acnes, batterio responsabile dell’insorgenza di alcuni tipi di acne, la resistenza ai due antibiotici maggiormente impiegati per la cura di questa malattia, quali eritromicina e clindamicina, raggiunge il 50% dei pazienti in Italia. Gli antibiotici per uso orale sono la prima scelta per il trattamento delle forme di acne più severe, tuttavia va evitato l’utilizzo concomitante di antibiotici orali e topici, in particolar modo se chimicamente differenti e l’utilizzo di antibiotici per terapie prolungate. Ottimi risultati si possono ottenere utilizzando creme contenenti argento in microspugne e alukina, soprattutto nella fase iniziale degli adolescenti.
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CRISPR: nuova era per il DNA editing Innovative tecnologie a basso costo per la manipolazione del DNA sono a disposizione di piccoli laboratori e bio hackers. Nuovi traguardi, ma anche nuove sfide etiche e pericoli all’orizzonte Lino Mari Senior Technical Architect at Healthware International www.healthwareinternational.com www.linomari.com
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RISPR è il nome attribuito a segmenti di DNA contenenti brevi sequenze ripetute. Queste vengono utilizzate come strumento di ingegneria genetica, consentendo la modifica di porzioni di DNA. Utilizzando questa tecnica è possibile modificare alcuni geni con estrema precisione, con effetti rivoluzionari nei campi della biologia e della genomica. Questa tecnica permetterà agli scienziati di modificare il genoma con una precisione e una efficienza mai viste prima. Gli esperimenti di alcuni scienziati su embrioni umani non vitali, d’altra parte, stanno scatenando furibonde discussioni in ambito scientifico ed etico. Chi ha inventato questo strumento? La natura. Gli scienziati si sono limitati a scoprirlo solo pochi anni fa. Si tratta di elementi presenti negli organismi unicellulari che costituiscono il più antico sistema di difesa dagli attacchi dei virus. Questo sistema si è evoluto per milioni di anni ed è in grado di individuare una porzione specifica di codice genetico da un genoma, tagliarlo e inserirlo in un altro. Nel 2012 si è avuta la prima prova che CRISPR potesse essere usato in ingegneria genetica e l'editing del genoma in colture cellulari umane.
Da allora è stato impiegato in moltissimi organismi. Questa fantastica soluzione antivirale, efficiente e poco costosa, ora è disponibile per modificare rapidamente il DNA di qualsiasi organismo vivente. Dobbiamo avere paura? Fino a qualche tempo fa, modificare il DNA avrebbe richiesto laboratori molto sofisticati, scienziati con anni di esperienza e molti soldi. L'utilizzo della tecnologia CRISPR sta cambiando tutto. Basta ordinare un frammento di RNA, alcuni prodotti chimici ed enzimi al costo di poche decine di dollari. Il facile accesso a questa tecnologia apre le porte a tantissimi scienziati e anche ai nuovi “Makers” del DNA chiamati “Bio Hacker”, i quali sono già al lavoro su diverse sperimentazioni in tantissime aree, dalla cura delle malattie genetiche fino al potenziamento delle capacità biologiche. Non sono pochi i casi di allarmismo, soprattutto da parte di genetisti, che invocano una presa di posizione a livello mondiale per porre dei limiti sulle possibilità di modificare il genoma umano, almeno finché non ci saranno delle misure di salvaguardia. Rischi e opportunità Senza dubbio CRISPR è la più potente tecnica di editing del DNA oggi a
disposizione di scienziati e bio hacker. Grazie a questi ultimi, oggi è sotto i riflettori per i rischi potenziali da essa derivanti, rischi solo potenziali perché i laboratori scientifici sono controllati ed effettuano esperimenti condivisi con la comunità scientifica. La maggior parte dei bio hackers lavora su progetti che non destano preoccupazione, infatti sul totale di questi solo una piccola percentuale è riuscita con successo a sintetizzare un gene e meno del 3% è riuscito a innestare il gene in un'altra cellula mantenendola viva. La maggior parte di questi bio hackers si concentra nel settore della frutta e verdura. Le opportunità sono tantissime e, con il giusto approccio, si apre una nuova era per la vita così come la conosciamo. Conclusioni Con l’affermarsi di queste tecniche, gli scienziati iniziano a rendersi conto che i rischi reali e potenziali della loro ricerca non possono più essere vincolati a decisioni di istituzioni completamente slegate dalla comunità scientifica. La scienza oggi deve fare i conti con le conseguenze dei propri risultati e inglobare nella metodologia scientifica quella che viene definita “La scienza delle conseguenze”. Probabilmente il momento è arrivato.
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ARTE
Una mostra sospesa nel vuoto Negli spazi della Galleria Paola Verrengia di Salerno il nuovo progetto di Rosy Rox dedicato ai vuoti d'ombra
di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata
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oras non numero nisi serenas (Le ore non conto che non siano serene) è il gioco di parole – la locuzione latina – che accompagna molte meridiane per indicare, grazie all'ambiguità semantica dell'aggettivo serenus, non solo la tranquillità atmosferica, ma anche quella umana dettata dal moto costante del tempo. A questo discorso e a una riflessione più ampia dedicata all'ombra che dice (grazie allo gnomone dell'orologio solare) dove sta la luce, Rosy Rox dedica oggi un nuovo progetto – organizzato negli spazi della Galleria Paola Verrengia di Salerno – che è analisi delle apparenze sensibili e d'una penumbra che es lenta y no duele (Borges). Premessa anteriore ad ogni esistenza, anticipazione del buio o, come suggerisce Athanasius Kircher nell'Ars Magna Lucis et Umbrae (Roma, 1646), «compagna perpetua e indivisibile della luce», l'ombra diventa per Rosy Rox un ambiente fotosofico attraverso il quale riflettere sulle forme e i materiali, catturare il buio e stringerlo in un itinerario estetico che oscilla tra nobiltà del tempo e libertà dello spazio, potenza del desiderio e rivelazione del corpo. Come un sogno ad occhi aperti – i sogni sono le inf inite ombre del vero (Pascoli) – che disegna fughe, sembianze o apparenze paradossalmente tangibili e godibili, il nuovo progetto di Rosy Rox dedicato ai vuoti d'ombra (e non ha forse sempre lavorato con l'ombra l'artista per costruire performance disarmanti, per estendere il suo corpo nello spazio, per lasciar
apparire i brani duri del reale?) è elegante indagine sulle metamorfosi delle cose, sui simboli e sulle metafore che costellano il quotidiano, sui frammenti di una spietata topia che si fa discorso amoroso, leggerezza, lievità, libertà. «Aguzzo l'occhio per vedere meglio, poiché io per natura non sono mai sicuro di quello che vedo e una zona d'incertezza sempre circonda me e ritarda i miei atti», suggerisce Alberto Savinio in un testo, Il compagno di strada, accolto nel volume pubblicato da Bompiani (1945) e dedicato a Tutta la vita; «ma aguzzando l'occhio
61 non vedo egualmente in quei vuoti d'ombra il pallido ovale della faccia sospesa nel vuoto; non vedo l'ombra più ombra che è il corpo vestito di panni; non vedo le bianche foglie di platano che sono le mani abbandonate sui ginocchi». Soff io vitale (2016), l'inedito Credo (2013), alcune foto della performance Frammento archetipo (prodotta dall'Associazione Culturale Dello Scompiglio il 7 maggio 2016), Corpo d'Ombra (2016), alcuni disegni dalla serie Ombre di memoria (2015-2016) e l'installazione Vuoti d'ombra (2016) invitano lo spettatore a percorrere
Rosy Rox, Vuoti d’ombra, 2016, exhibition view, Galleria Paola Verrengia (Salerno), foto di Cirò Fundarò
un nuovo viaggio tra sospensioni saviniane appunto, tra ombre variabili e metalliche - come non ricordare quella capricciosa che sfugge a Peter Pan, il personaggio creato dalla penna di James Matthew Barrie nel 1902,
quella duchampiana che è parte integrante del ready-made o quella dei lamierini a luce mobile pensata da Sante Monachesi - che, se da una parte mostra l'evoluzione d'un'espressione aperta alla babelicità linguistica e il rigore
di un pensiero che combacia con uno stile agile e raffinato, dall'altra ridisegna la realtà per offrire una prospettiva che si perde nella maturità del giorno, nel sommesso ronzio dei sogni, nella scioltezza dell'aria, quella poetica della sera.
F I N I S TE RRE
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Omaggio a William Burroughs, gli esordi Tra il 1948 e il 1950 lo scrittore eversivo compone Junkie, un romanzo di estrema potenza dove, nel raccontare il suo viaggio nella droga, dona al mondo la sua scrittura e la sua capacità descrittiva di profondissimo livello analitico e lacerante verità di Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università degli Studi di Salerno
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ccolo William Burroughs (nella foto a destra - nato a St. Louis nel Missouri il 5 febbraio 1914 e morto a Lawrence il 2 agosto 1997) immediatamente “eversivo”. Già all’età di 8 anni riceve la sua prima pistola. E sempre nel quadro di una movimentata adolescenza comincia a scrivere. Addirittura Autobiografia di un lupo volle intitolare il suo scritto giovanile preannunciando una “personalizzazione” del suo bagliore letterario che sempre lo accompagnerà. Del 1929 è la sua prima pubblicazione Personal Magnetism. Il suo percorso di formazione poliforme si orizzonta prima in New Mexico e poi Harvard lo laurea in Letteratura inglese con una tesi in Antropologia nel 1936 e immediate sono due le sue passioni: la scrittura e la droga. Ma anche la sfida “vis a vis” con la società lo anima subito. Si parla addirittura di un internamento coatto nel 1939 nel manicomio di Bellevue, perché William, da buon antropologo che è dentro le cose, si tagliò la falange del mignolo sinistro e nel mostrare la propria scelta radicale al suo analista, questi - incurante dell’atto da studioso - ben pensò di farlo internare. Il 1942 è un anno importante perché il nostro comincia a lavorare a Chicago come disinfestatore. Ma i tardi anni Quaranta sono anche la New York della Beat Generation, città nella quale tornerà ben presto dopo aver distrutto e al contempo nutrito il suo immaginario tremens di una miriade d’insetti. La New York che lo aspetta è quella di Allan Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Peter Orlovsky, Lucien Carr, David Kammerer e centinaia di altri artisti e losers. Certo il rapporto con la scena della Beat Generation fu fondamentale e duraturo, ma la sua non fu mai un’adesione totale al movimento. Sarà spesso un passo indietro rispetto a qualsiasi soglia movimentista o di gruppo. Lui resterà sempre uno straordinario anarchico e battitore libero. A parte le circumnavigazioni movimentiste e la sopravvivenza (rapinatore, pusher, poliziotto privato, barista, operaio, giornalista) anche l’amore ha una sua decisiva componente
con ben due matrimoni. Uno velocissimo e di pura copertura con Ilse Kappler e un altro sodale e complice con Joan Vollmer. Joan sarà sua musa e vittima. Un uxoricidio, nella sua permanenza messicana, a sfondo tossico mai ben chiarito che sarà feroce trauma per tutta la vita del nostro. In quegli anni è anche il tempo del suo primo vero romanzo. E tutto inizia con una scimmia sulla schiena (modo gergale per indicare la dipendenza dalla droga, in particolare l’eroina)! Tra il 1948 e il 1950 Burroughs scrive Junkie (La scimmia sulla schiena). Un romanzo di estrema potenza dove, nel raccontare il suo viaggio nella droga, dona al mondo la sua capacità descrittiva di profondissimo livello analitico e lacerante verità. Con questo straordinario romanzo l’ordigno Burroughs esplode. Dove “sarcasmo e sadismo, incubi e angosce, ritratti impietosi e esperienze spietate” (a parlare è una grande Fernanda Pivano) sono già il segno di un esordio che è storia della letteratura. La sua scrittura nel tempo avrà radicali punti di variazione e innovazione, certo. Ma con Junkie il terremoto letterario ha preso avvio. Un terremoto che continuerà - tra l’onirico e l’analitico - con tutti gli altri suoi romanzi che realizzerà nel suo continuo viaggiare tra Tangeri, Parigi, Londra, Berlino. Realizzando, nel tempo, una letteratura estrema e piena di “interferenze” politiche e sociali, sogni e visioni, angosce e prospettive di futuro. Magica fonte d’ispirazione per musicisti del calibro di Laurie Anderson, Beatles, Iggy Pop, i Soft Machine, David Bowie e i Nirvana.
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B O N TO N
Il galateo della dieta Conoscere i propri amici e assecondarne, senza impazzire, le abitudini fa di chi riceve il migliore degli ospiti: meno argenteria e più premura è la filosofia del terzo millennio
Nicola Santini Esperto di galateo, costume e società ph/Christian Ciardella
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e previsioni che decretano un avvio a scoppio ritardato dell’estate, quella vera, per molti sono un sedativo per la voglia di rimettersi in forma, rimandando di qualche settimana la prova costume. Per altri, invece, rappresentano un incentivo a impegnarsi ancora di più, forti di qualche giorno di margine prima del debutto sulle passerelle in spiaggia. Nel calderone delle diete ne sentiamo ogni giorno di strane e improponibili: da quelle di chi mangia pasta aglio, olio e peperoncino appena sveglio, a chi dice stop a frutta e verdura dopo le 5; da chi se la cava alla grande con i pasti sostitutivi ad esempio per pranzo per poi godersela comodamente a cena (ma senza strafare), come faccio io, a chi sceglie la più moderna dieta Protiplus, altrimenti detta Bioritmica che mette in relazione i ritmi biologici e la salute, ottimizzando l’assunzione dei macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) e dei micronutrienti (minerali e vitamine) rispettando al tempo stesso la fisiologia umana. Poi ci sono i vegani, i crudisti, i raw, gli amici islamici sotto Ramadan, e tutti coloro quelli che semplicemente non possono. Cosa? Il latte, il lievito, il glutine, il sale...Come essere perfetti padroni di casa durante il conto alla rovescia della prova costume? Lo spunto è prezioso perché in realtà le attenzioni alimentari possono accompagnarci tutto l’anno. Parola d’ordine è organizzarsi: innanzitutto la dieta è ormai un momento ampiamente sdoganato, se ne parla a tavola come si parla da tempo di politica e calcio, argomenti un tempo banditi, quindi un bravo padrone di casa fa bene il suo lavoro quando,
nel formulare un invito, si preoccupa di informarsi sulle preferenze culinarie dei propri ospiti. Ormai le affinità non sono quelle elettive ma quelle di palato. Chi, ormai non ha in casa una confezione di Céreal o simili, considerato che le intolleranze al glutine sono in costante aumento? Chi non tiene a portata di mano del sale iposodico? Io un comparto di cibi “buoni senza”, per ogni emergenza, lo tengo sempre, così come includo sempre un piatto vegetariano fatto di sole verdure, che non sia un semplice contorno, e che faccia contenti tutti. Conoscere i propri amici e assecondarne, senza impazzire, le abitudini fa di chi riceve il migliore degli ospiti: meno argenteria e più premura è la filosofia del terzo millennio. Se poi la dieta serve solo per dimagrire prima della spiaggia, abbiamo una consolazione: tra poche settimane ci potremo rilassare di nuovo!
LI B R I / H OME CINE MA
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a cura di Raffaella Venerando
a cura di Vito Salerno
La femmina nuda di Elena Stancanelli
La Grande Scommessa di Adam McKay
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o subito un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro». Questa è una delle citazioni passate alla storia de Il danno, film anglo francese del 1992. La femmina nuda di Elena Stancanelli Così come nella pellicola Editore: La nave di Teseo del regista Louis Malle, c’è pp. 156 tanto male anche nel racprezzo di copertina euro 17,00 conto che Elena Stancanelli affida ad Anna, personaggio principale de “La femmina nuda”, finalista al Premio Strega. Tanto male, fatto e subito, ma non c’è la stessa consapevolezza del dopo, perché al danno avuto, così come a quello recato, non si guarda ancora con distacco. Nessuno dei protagonisti è ritratto lontano dal pericolo, nessuno può dirsi ancora e del tutto salvo. Una storia d’amore e disamore come mille altre ne sono state scritte e altrettante lette, ma che Elena Stancanelli racconta con la penna intinta in una verità che, per quanto brutale, non solo è credibile ma vicina. Possibile. Sinossi. Anna divide la vita e una casa bellissima con Davide, suo compagno da cinque anni. La loro è una storia come tante, fatta di abitudini e di qualche zona d’ombra. Tutto cambia quasi di improvviso quando Anna scopre che Davide si è innamorato - non l’ha solo tradita - di un’altra donna. Lì ha inizio la fine, non solo della loro storia che, seppur giunta al capolinea, si trascinerà con accanimento, ma anche della serenità mentale di Anna che per più di un anno cade nel “regno dell’idiozia”. Smette di mangiare, di dormire, si ubriaca, ma soprattutto passa il tempo a controllare in maniera ossessiva i social network dell’ex e della sua nuova giovane fiamma…finendo con il diventare inconsapevolmente una vera e propria stalker. Chi la salverà da se stessa?
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asce dal genio sfrenato del regista Adam McKay questo avvincente film interpretato da quattro icone del cinema mondiale: Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt. Basato sul best seller di Michael Lewis (The Blind Side, Moneyball) e ispirato a una storia vera, La Grande Scommessa racconta le vicissitudini di quattro outsider esperti di finanza, che nel 2005 si accorgono di ciò che le grandi banche, i media e le autorità di regolamentazione del governo americano si rifiutano di vedere, l’imminente crisi economica globale. I loro coraggiosi investimenti li condurranno negli oscuri meandri della moderna industria bancaria, portandoli a mettere in discussione tutto e tutti. Uno dei personaggi principali è Michael Burry, eccentrico manager di fondi, che inventa uno strumento finanziario, chiamato credit default swap (derivato di copertura), per mandare in tilt il mercato immobiliare in forte espansione. Il rampante
banchiere Jared Vennett intuisce la strategia di Burry e cerca di convincere l’irascibile manager Mark Baum a investire nei credit default swaps. Nel frattempo, anche l’ex banchiere, Ben Rickert, scommette contro Wall Street rendendosi conto della bolla immobiliare. Nel 2008, quando il mercato alla fine crollerà, questi contro-investitori guadagneranno miliardi di dollari ma resteranno forse per sempre segnati dalla loro esperienza.