Costozero Luglio-Agosto n.2/2013

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EDITORIALE

CONCORDATO PREVENTIVO: BENEFICI E CONTROINDICAZIONI DI UNA TERAPIA ANTI-CRISI

MAURO MACCAURO PRESIDENTE CONFINDUSTRIA SALERNO

La norma nasce da un presupposto condivisibile, ma nella prassi sta prestando il fianco a condotte fraudolente

«U

na via per scaricare i debiti sulla catena produttiva e continuare, indisturbati, l’attività. Questo comportamento immorale sta provocando crisi aziendali a catena, generando un effetto esattamente opposto a quanto desiderava il Legislatore». I toni di questo stralcio della relazione del presidente Squinzi, tenuta in occasione dell’Assemblea pubblica di Confindustria dello scorso maggio, rendono ben chiara la dimensione distorsiva che hanno assunto alcune parti della legge fallimentare all’indomani della mini-riforma prevista dal Decreto Sviluppo n.83 del 2012. Tale provvedimento ha riconosciuto all’imprenditore in crisi la possibilità di presentare la domanda di concordato, posticipando ad un momento successivo - fino a 6 mesi - la preselezione del piano di risanamento. Stiamo parlando del cosiddetto concordato preventivo in bianco che consente, al debitore, di beneficiare da subito della sospensione dei pagamenti e delle azioni esecutive e cautelari sul proprio patrimonio. La norma, dunque, nasce da un presupposto condivisibile, ma nella prassi sta prestando il fianco a condotte fraudolente. L’abuso infatti del concordato preventivo ci fa assistere inermi a situazioni a dir poco “alterate” che sfociano nella più becera concorrenza sleale. Altro che cinesi! Una domanda semplice ci si pone allora: quale tutela viene offerta al creditore? Il nuovo concordato, infatti, potrebbe rivelarsi - se utilizzato strumentalmente - un’arma impropria, più che l’ennesima opportunità data alle aziende in difficoltà per addivenire ad una transazione con i propri creditori. Oggi si assiste a richieste di dilazioni di pagamento e di riduzione della quota capitale dovuta, ponendo - quale effetto di un eventuale diniego - il deposito di un concordato preventivo in bianco che penalizzarebbe il creditore per circa un anno. Nelle more della procedura, i creditori soffrono la carenza di liquidità accentuata dagli istituti di credito che non concedono finanziamenti, finendo per essere essi stessi insolventi e fallibili. Grazie anche alle segnalazioni di tante imprese e all’azione costante di Confindustria, il Governo - constatando che il numero dei concordati depositati a far data dall’entrata in vigore della nuova normativa è sì aumentato del 120% rispetto all’anno precedente, ma che solo il 30% è stato poi approvato - ha cercato di porre rimedio lo scorso 22 giugno apportando delle modifiche attraverso il Decreto del Fare. Tale provvedimento impone, infatti, ai debitori di mettere nero su bianco, e fin da subito, la lista dei creditori e degli importi loro dovuti. Il Decreto prevede inoltre la nomina di un commissario giudiziale che deve smascherare le frodi, rendere obbligatorie e trasparenti le informazioni sulla situazione finanziaria dell’impresa e sui passi compiuti per mettere a punto la proposta e il piano. Con queste azioni, a mio parere non risolutive, il Governo intende vigilare sul concordato in bianco correggendone i possibili esiti insani. Credo si debba ancora lavorare ad ulteriori modifiche che vadano nella direzione di: reintrodurre una percentuale minima di soddisfazione di crediti quale condizione di ammissibilità dei concordati; intervenire sulle modalità di formazione della maggioranza per l’approvazione delle proposte di concordato, ripensando l’attuale meccanismo di convalida per crediti e non per teste; prevedere strumenti che incentivino l’imprenditore a far emergere prima la crisi; adoperare regole chiare (nelle disposizioni che disciplinano il concordato esistono ancora dubbi interpretativi circa – ad esempio - il ruolo dei tribunali e quello dei creditori); adottare misure di aiuto per le tante aziende creditrici che, per l’effetto distorsivo dell’uso del concordato, si trovano esse stesse avvolte nel vortice delle precarietà finanziarie. Se la legge blocca l’azione esecutiva di queste ultime per escutere i propri crediti, il Legislatore dovrebbe - per contrappasso - prevedere forme di agevolazioni finanziarie sostenere il circolante delle aziende sane minacciate da numerosi concordati. 1


SOMMARIO

EDITORIALE

FOCUS ON

di M. Maccauro

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Concordato preventivo: benefici e controindicazioni di una terapia anti-crisi

PRIMO PIANO > DECRETO DEL FARE F. Daveri e A. Sacrestano

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Decreto del fare: 80 provvedimenti, pochi cambiamenti Daveri: «La crescita non si fa certo per decreto» Riscossione: cosa cambia con il decreto del fare I chiarimenti di Equitalia in un decreto attuativo

PRIMO PIANO > FONDI UE di R. Venerando e A. Sacrestano

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Check-up Mezzogiorno, Confindustria a Trigilia: «Fondi Ue non utilizzati vanno concentrati su industria e lavoro» Fondi Ue, Campania fanalino di coda nella spesa

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di O. Ferrara, R. Venerando, F. Senesi, A. Cardinaletti, L. Pignataro

Agroalimentare, leva di sviluppo Agro-Industria, storie e stili di successo Senesi: «L’eccellenza del fare come garanzia di riuscita anche all’estero» Moda, la Kiton di Ciro Paone emblema di successo Taylor made Pignataro: «La buona cucina serve il territorio in tavola»

GREEN ECONOMY R. Ercolini e M. Buonomo

28 30

Ambiente, il Nobel dei Rifiuti Zero: «Un Paese è tanto più inquinato, quanto più i suoi apparati politici sono corrotti» Ecomafie e Mare Mostrum, la Campania prima per illeciti

LOBBYING di L. Ciccarelli

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Nuova direttiva Ue sulle conciliazioni, ritorna nel nostro Paese la mediazione

L'OPINIONE

di R. Venerando e A. Giannola

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Svimez: al Sud confidi più piccoli, costosi e meno efficienti

CONFIDUSTRIA SALERNO

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NORME E TRUBUTI

di L. M. D'Angiolella, M. Marinaro, A. Piluso

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L'America chiede il made in Salerno Sempre più imprese finiscono nella "rete"

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STRATEGIE D'IMPRESA

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di R. Venerando

di R. Venerando

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Palazzo Murat, accoglienza e ospitalità prima ancora che turismo Consorzio Aeolia, energia potente dal vento Termotech Eco, a Salerno un'autentica cittadella della ricerca

SOCIETÀ

di G. M. Nunziante, A. Sacrestano, G. Leo e M. Galardo

ENERGIA

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Il decreto del fare e l'energia

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di V. Pellecchia

Abusi edilizi: la novità nascosta nella legge finanziaria regionale La nuova direttiva europea in materia di Adr nei rapporti con i consumatori Il decreto del fare e le norme per una giustizia civile efficiente Il rilancio degli investimenti previsto dal decreto del fare

Novità in tema di Start-up innovative Agevolazioni per le start-up Il nuovo regime di aiuto per le imprese del Sud La costituzione di società in Romania, profili societari e fiscali


SOMMARIO

FISCO

di B. M. Criscuolo, M. De Giorgis, M. Fiorentino e A. Sacrestano

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Una inutile corsa in avanti: la Tobin Tax all’italiana Gli strumenti a tutela del patrimonio Imu sui beni strumentali: la confusione regna sovrana Al via il fisco semplice

CREDITO

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di R. Venerando

PMI e ABI, nuovo accordo per il credito

TEKNÈ

di R. Venerando

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Sviluppo banda larga e ultra larga

UNIVERSITÀ

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di P. Parascandola

Le fermentazioni HCDC

SICUREZZA di S. Stabile

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Rassegna concorso Inform@zione 2012

BON TON

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di N. Santini

L'arte di ricevere en plein air

SALUTE

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di G. Fatati e A. Di Pietro

Obesità e comportamenti Alimentari/2 Sole sí, macchie no

ARTE

di A. Tolve

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Gli spazi della critica. Il dibattito teorico attraverso le mostre 1980-2010

IL SEGNALIBRO

A cura di Vito Salerno e Raffaella Venerando

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Orazio Boccia si racconta in un libro ed è la “storia di uno scugnizzo” Il Casale

HOME CINEMA A cura di Vito Salerno

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Il lato positivo

COSTOZERO N.2 LUGLIO > AGOSTO 2013 REG. TRIB. DI SALERNO N. 677 DEL 22/10/1987 ISCRIZIONE AL ROC N. 23241/2013 DIRETTORE EDITORIALE MAURO MACCAURO DIRETTORE RESPONSABILE ALESSANDRO SACRESTANO SEGRETERIA DI REDAZIONE RAFFAELLA VENERANDO SEGRETERIA ORGANIZZATIVA VITO SALERNO SOCIETÀ EDITRICE DIREZIONE E REDAZIONE ASSINDUSTRIA SALERNO SERVICE SRL VIA MADONNA DI FATIMA, 194 84129 SALERNO TEL. 089 335408 FAX 089 5223007 PARTITA IVA 03971170653 REDAZIONE@COSTOZERO.IT WWW.COSTOZERO.IT STAMPA ARTI GRAFICHE BOCCIA FOTO ARCHIVIO COSTOZERO MASSIMO PICA - AG. FOTOGRAFICA GRAFICA E IMPAGINAZIONE MOREPLUS > WWW.MOREPLUS.IT GRAFICO EMANUELA MARIA RAGO LE OPINIONI ESPRESSE NEGLI ARTICOLI APPARTENGONO AI SINGOLI AUTORI DEI QUALI SI INTENDE RISPETTARE LA PIENA LIBERTÀ DI GIUDIZIO


PRIMO PIANO

DECRETO DEL FARE: 80 PROVVEDIMENTI, POCHI CAMBIAMENTI

DI RAFFAELLA VENERANDO

L’articolato prevede diverse misure volte a sostenere il flusso del credito alle imprese, semplificazioni burocratiche, durata dei processi civili, wi-fi libero , azionariato diffuso e un diverso regime di incompatibilità tra la carica di parlamentare o ministro e sindaco. Abolit a, invece, la norma che eliminava il tetto egli stipendi ai manager pubblici

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C

i si aspettava un piano di ricostruzione efficace per rimettere in moto l’economia italiana e, invece, il Governo Letta, a giugno (provvedimento su cui la Camera ha posto la fiducia a fine luglio) ha licenziato un elenco di 80 provvedimenti di cui solo alcuni sono nuovi; altri invece sono vecchie prescrizioni di precedenti governi in qualche modo riattivate. Al piano è stato simbolicamente attribuito un nome (e un obiettivo) importante: decreto del fare, anche se - a ben vedere - i cambiamenti che sarebbe capace di innescare sarebbero assai modesti. Tra le misure più significative per ridare impulso ad un’economia in affanno e a famiglie sempre più vessate da tributi e balzelli, spiccano quelle riguardanti: • EQUITALIA: il decreto stabilisce che l’Agenzia non potrà sequestrare il macchinario se l’azienda dimostra che esso è "strumentale" alla propria attività. L’unica casa di abitazione non può essere pignorata. Per le partite Iva comunicazioni telematiche semplificate. I cittadini potranno poi rateizzare i propri debiti in 120 rate e non più solo in 72, con la possibilità di saltare fino a 8 rate (dalle 2 attuali), anche non consecutive, prima che decada il beneficio della rateizzazione. • BOLLETTE ELETTRICHE: sulle bollette meno 135 milioni che saranno spostati a carico delle società che operano nelle rinnovabili e che hanno un imponibile maggiore di 40mila euro e ricavi superiori a 200mila euro. • TASSI AGEVOLATI ALLE PICCOLE IMPRESE: banche e Cassa depositi e prestiti potranno firmare convenzioni per dare alle imprese fino a 5 miliardi di finanziamenti a tasso agevolato per l’acquisto di attrezzature nuove a uso produttivo. I prestiti - concessi entro il 2016, con durata massima di 5 anni – avranno un valore massimo di 2 milioni di euro per ciascuna impresa. Per coprire il gap tra i tassi di mercato e quelli applicati alle PMI lo Stato stanzia quasi 400 milioni di euro. Possono accedere al Fondo di Garanzia anche i professionisti e le imprese sociali. • AGEVOLAZIONI ALL’EDILIZIA: 3 miliardi di euro per le opere già avviate con un cantiere (Metro di Milano, Roma, Napoli, ad esempio). Novità anche per il Durc allungato a sei mesi, consentendo alle imprese di compensare i debiti contributivi con i crediti derivanti dallo sblocco da parte della PA. Stop, poi, alla responsabilità solidale dell’appaltatore per i versamenti Iva del sub-appaltatore: rimane quella per i versamenti delle ritenute sui redditi dei dipendenti. Le imprese invece che ottengono un appalto da una PA potranno avere un anticipo del 10% delle somme dovute. • INNOVAZIONE E RICERCA: previsto un nuovo fondo per “i grandi progetti per l’innovazione e la ricerca” con 50 milioni di euro per il 2013 e altri 50 per il 2014. Per l’Agenda Digitale, invece, attivata la “governance” sia della Cabina di Regia che dell’Agenzia. • FISCO PIÙ FACILE: saranno solo due i giorni in cui il cittadino dovrà fare i conti con l’erario, il 1 gennaio e il 1 luglio. • MULTE: sconto del 30% sulle sanzioni pagate entro 5 giorni. • SEMPLIFICAZIONI: partono le "zone a burocrazia zero" per le aziende; in più indennizzo in caso di ritardo da parte delle PA nel concludere la pratica. • WI-FI: finalmente libero. Gli esercizi commerciali che lo offrono gratis, non dovranno più identificare il cliente che si connette.


DECRETO DEL FARE

DAVERI: «LA CRESCITA NON SI FA CERTO PER DECRETO»

FRANCESCO DAVERI DOCENTE DI POLITICA ECONOMICA > UNIVERSITÀ DI PARMA

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rofessor Daveri, dopo quasi due mesi dal suo insediamento, il Governo Letta ha licenziato il Decreto del fare.Ci sono scelte coraggiose o si poteva fare di più? Come noto, la crescita e l'occupazione non si fanno certo per decreto. In realtà, il decreto per il fare è un milleproroghe, che non contempla alcuna misura per il lavoro. Un decreto milleproroghe è una fotografia piuttosto precisa di questo Governo: al di là delle chiacchiere, le risorse sono zero ma – a dirla tutta - anche zero le priorità. Si raccoglie quel che c'è, sia a livello di consenso politico che di fondi disponibili. C’è da dire però che “il poco che si può fare” non è da disprezzare data la gravissima crisi del Paese. Partiamo dagli aspetti positivi allora… La prima cosa positiva è una cosa che non c'è: non ci sono più "i 100 miliardi in infrastrutture" che poi erano 100 milioni se andava bene, la tipica promessa dei vari decreti Cresci Italia o Sviluppo dell'anno scorso. Ci sono poi risorse per l'università e per la scuola. Se scuole e atenei fanno sul serio con la valutazione e cercano di promuovere concorsi più trasparenti e meritocratici, è giusto accompagnare il processo di riforma con risorse aggiuntive, sia per l'edilizia scolastica che per fare nuove assunzioni secondo criteri migliori di quelli clientelari del passato. Anche la riduzione della bolletta energetica è una cosa utile. Si tratta del 15% del paniere di consumo delle famiglie ed è una voce di costo non indifferente nei conti delle aziende manifatturiere. Il finanziamento proviene credo da un allargamento della base imponibile della Tobin Tax alle rinnovabili che negli ultimi anni hanno beneficiato di generosi sussidi. L'effetto netto sui prezzi dell'energia mira ad essere positivo per gli utenti. In passato non è mai stato così. Se con le liberalizzazioni non si riesce a scalfire i monopoli, bisogna quanto meno provare a regolamentarli perchè ridiano indietro una parte dei loro profitti. Nel decreto del fare ci sono anche 5 miliardi per favorire investimenti in macchinari in forma di prestiti agevolati. Di questi tempi sono tanti soldi. Si tratta di aiuti, però, gli stessi che bisognava abolire per ridurre le tasse. Infine, 2-3 miliardi in piccole, medie e grandi opere che però a ben vedere sono “aiutini” per le piccole e medie imprese locali alla canna del gas. Stesso discorso: se poi i soldi non ci sono mai per tagliare le tasse è perchè ogni aumento di spesa trova sempre almeno un papà (e una mamma e altri parenti).

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PRIMO PIANO

RISCOSSIONE, COSA CAMBIA CON IL DECRETO DEL FARE

ALESSANDRO SACRESTANO TAX CONSULTANT PROGETTO ARCADIA SRL

A conti fatti, le misure che sembrano più incisive sono quelle che, più che restringerlo, razionalizzano l'ambito operativo di Equitalia

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uello varato dal Governo il 15 giugno scorso è un provvedimento sintomatico della volontà “del fare”; tuttavia appare evidente come le buone intenzioni dell’Esecutivo siano azzoppate da una scarsità di risorse che limita fortemente l’impatto dei provvedimenti proposti. A conti fatti, le misure che sembrano più incisive sono quelle che, più che restringerlo, razionalizzano l’ambito operativo di Equitalia. Sottrarre alle pretese del fisco l’unica casa di abitazione è una misura di equilibrio civile che servirà a rendere più “umano” l’intervento del Concessionario, così come l’ampliamento temporale dei piani di rateizzo che, in sostanza, consente ai contribuenti di spalmare su di un periodo più ampio il debito iscritto a ruolo. Anche in questo caso, però, manca un intervento più sistematico che, ad esempio, individui non solo nella prima casa di abitazione ma in uno specifico paniere di beni, da definirsi essenziale, l’ambito oggettivo “inattaccabile” dal Concessionario. Parimenti iniqua appare la discriminazione operata a sfavore delle imprese; non è, forse, altrettanto iniquo privare le imprese di mezzi essenziali alla produzione, tanto da giustificare l’esclusione dall’ipoteca per gli impianti strettamente propedeutici all’attività d’impresa?

I CHIARIMENTI DI EQUITALIA IN UN DECRETO ATTUATIVO

I

criteri per ottenere l’allungamento della rateazione fino a 120 rate saranno spiegati in un apposito provvedimento previsto entro trenta giorni dalla conversione del decreto del Fare. Equitalia detta le indicazioni per fruire delle agevolazioni sulla riscossione previste nel decreto “del Fare” (D.L. 69/2013). Con apposita nota del 1° luglio scorso, l’Agente per la riscossione ha spiegato che i criteri per ottenere l’allungamento della rateazione fino a 120 rate saranno spiegati in un apposito decreto attuativo previsto entro trenta giorni dalla conversione del suddetto decreto. É, invece, già operativa la decadenza dalla rateazione solo dopo il mancato pagamento di otto rate complessive. Sul tema del pignoramento della casa di abitazione, Equitalia ha chiarito che il divieto di pignoramento si estende anche alle sue pertinenze. Ovviamente, ribadisce il Concessionario, ciò non incide sulle ipoteche, che possono essere ancora iscritte, anche sull’abitazione principale, alla sola condizione che il debito a ruolo superi i 20.000 euro. L’espropriazione è ammessa, per gli immobili diversi, se l’ importo a ruolo è di almeno 120.000 euro quando sono decorsi sei mesi dall'iscrizione di ipoteca. Quanto al pignoramento dei beni indispensabili all’impresa o alla professione, la nota ha ribadito l’espropriazione è consentita nei limiti del quinto del loro valore ed è possibile solo se gli altri beni non sono sufficienti a coprire l’esposizione debitoria. Per rispettare lo spirito della norma e comunque in attesa di chiarimenti ufficiali, Equitalia si è impegnata ad astenersi dal proseguire le attività di recupero coattivo qualora siano rispettate le attuali condizioni di legge, anche in presenza di pignoramenti già eseguiti, senza che sia stata ancora effettuata la vendita all’incanto.

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FONDI UE

CHECK-UP MEZZOGIORNO, CONFINDUSTRIA A TRIGILIA: «FONDI UE NON UTILIZZATI VANNO CONCENTRATI SU INDUSTRIA E LAVORO» DI RAFFAELLA VENERANDO

Nel periodo tra la metà del 2013 e la fine del 2015, vanno spese risorse per circa 30 miliardi di euro, senza contare che dal primo gennaio 2014 prenderà il via anche il nuovo periodo di programmazione 2014-2020, nel corso del quale il nostro Paese potrà contare su oltre 28 miliardi di euro di fondi strutturali, di cui oltre 20 per le sole Regioni meridionali, maggiormente in ritardo

L’

economia del Mezzogiorno soffre pesantemente il perdurare della crisi e rischia di non cogliere i primi segnali di ripresa. Secondo i dati del Check-Up Mezzogiorno, pubblicati da Confindustria e SRM presentati lo scorso 18 luglio al Ministro per la Coesione Territoriale Carlo Trigilia, al Sud solo nei primi 3 mesi del 2013, hanno chiuso i battenti quasi 50mila imprese, 552 cessazioni al giorno. In totale, dal 2007 al 2012, nel Mezzogiorno si sono registrate 131mila cessazioni con un saldo netto negativo di 15mila imprese perse. Quelle che ce la fanno, e si rafforzano anche durante la crisi, sono quelle di medie dimensioni, mentre le piccole fanno più fatica. Nel 2011 il fatturato delle PMI è stato del 6,2% inferiore a quello del 2007, mentre le imprese medie hanno registrato l’andamento migliore, specie nel Mezzogiorno, con un aumento del fatturato dell’11% rispetto al 2007. La ripresa dell’export spiega parte importante di questi risultati differenziati. Dopo il calo del 2009, nel Sud le esportazioni hanno ripreso a crescere raggiungendo nel 2012 il valore più alto degli ultimi 6 anni (46,4 miliardi +8,1%). Ma sono soprattutto le imprese più strutturate a cogliere meglio questa opportunità. Le dinamiche creditizie restano negative: gli impieghi nel Mezzogiorno continuano a scendere (8 miliardi in meno nel corso del 2012) mentre i crediti in sofferenza sono arrivati a 30 miliardi, pari al 10,4% del totale. La crisi si riflette sulla società meridionale: la disoccupazione nel Mezzogiorno nel primo trimestre 2013 ha raggiunto il 20% e cresce l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta (l’8% del totale). Anche nel Sud come nel resto del Paese, i dati mostrano che è stato probabilmente raggiunto l’apice della crisi. Mentre si iniziano a registrare i primi, timidi, segnali di fiducia, è importante mettere in campo misure immediate e di lungo termine per non perdere la fase del rimbalzo economico che potrebbe arrivare a fine anno. I fondi strutturali europei sono una fonte finanziaria cruciale che rischia di andare sprecata a causa dei gravissimi ritardi nell’utilizzo. È necessario proseguire con vigore sulla strada dell’accelerazione e della riprogrammazione intrapresa dall’ex Ministro Barca, e oggi sostenuta dal Ministro Trigilia. Nel periodo tra la metà del 2013 e la fine del 2015, vanno infatti spese risorse per circa 30 miliardi di euro, senza contare che dal primo gennaio 2014 prenderà il via anche il nuovo periodo di programmazione 2014-2020, nel corso del quale il nostro Paese potrà contare su oltre 28 miliardi di euro di fondi strutturali, di cui oltre 20 per le sole Regioni meridionali, maggiormente in ritardo. È prioritario difendere la base produttiva. Questo deve essere il punto fermo dell’azione del Governo sul Mezzogiorno: un utilizzo pieno ed efficace dei fondi strutturali, concentrato in particolare su impresa e lavoro. Il loro utilizzo però deve essere mirato: rifinanziamento del Fondo di Garanzia e ricapitalizzazione dei Confidi; sostegno agli investimenti delle imprese e agli acquisti di macchinari; riapertura dei cantieri di piccole e grandi opere; realizzazione dei Grandi Progetti infrastrutturali. Sono queste le quattro priorità su cui concentrare le risorse. Dati della Banca d’Italia dimostrano che per ogni 100 euro spesi nel Sud, 40 alimentano la domanda verso le imprese del Centro-Nord: si tratta di un’opportunità fondamentale per ridurre il divario meridionale, ma anche per dare slancio all’efficienza dell’intero sistema-paese. 7


FONDI UE, CAMPANIA FANALINO DI CODA NELLA SPESA

DI ALESSANDRO SACRESTANO TAX CONSULTANT PROGETTO ARCADIA SRL

Quale soluzione propone la commissione che monitora l'utilizzo delle risorse nella nostra regione?

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iene da chiedersi: perché? La Campania è fanalino di coda nella spesa dei Fondi UE (così dicono i dati OpenCoesione allo scorso 30/04, così come elaborati dall’Ifel), avendo realizzato appena il 25,3% dei programmi regionali con essi finanziati (per intenderci, l’Abruzzo è a quota 76,9%!). La domanda non ha il senso di individuare colpe e responsabilità (motivazioni plausibili sarebbero certamente addotte) ma, piuttosto, quello di evidenziare gli ostacoli effettivi così da lavorare congiuntamente alla loro rimozione. Come noto, l’Unione Europea predispone finanziamenti e sovvenzioni per diversi progetti e programmi che vanno a interessare un’ampia gamma di settori: dall’istruzione alla salute, dalla tutela dei consumatori alla protezione dell’ambiente, fino agli aiuti umanitari. Ad esempio, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale FESR ha come obiettivo quello di consolidare la coesione economica e sociale dell’Unione Europea, correggendo gli squilibri fra le regioni. Per il periodo 2007–2013, l’Unione Europea ha stanziato per l’Italia 59,4 miliardi di euro, di cui 47 per le regioni del meridione. Alla fine del 2009, però, solo 5,9 miliardi di euro erano stati utilizzati, circa il 9% dell’intera somma. La situazione, ad oggi, è un po’ migliorata (siamo ad un utilizzo medio del 40,04%), ma rimane terribilmente preoccupante. Che dire dei nostri competitors comunitari? La media europea di utilizzo dei Fondi è del 51,82%, e l’Italia è davanti solo a Paesi in evidente ritardo di sviluppo come la Repubblica Ceca, la Bulgaria e la Romania. Fanno, invece, meglio di noi Estonia (in cima alla classifica), Irlanda e Portogallo. La Germania, dal canto suo, ha già speso il 60,10% dei fondi disponibili, la Spagna il 58,69%, l’Olanda il 53,69%, la Gran Bretagna il 52,57% e la Francia il 51,44%. L’obiettivo dell’Italia è arrivare al 66% entro il 2015, ma la Campania sembra andare in controtendenza! Restano da spendere per la nostra regione ben 3,3 miliardi di euro e – come riferisce Il Sole 24 Ore di martedì 23 luglio – i progetti non avviati valgono da soli il 46,3% dello stanziamento complessivo. Sarebbe necessario evitare la soluzione – pure paventata da qualche interlocutore – che la Campania ceda le sue quote di finanziamenti comunitari al livello nazionale per redistribuirle in tutte le Regioni, caricando la futura programmazione delle opere che oggi non vengono realizzate. Quali soluzioni alla vicenda? Mi convince quanto dichiarato da Johannes Hahn, Commissario europeo per le Politiche Regionali, secondo cui «le priorità sono e devono essere: il sostegno alle piccole e medie imprese, l’imprenditoria giovanile, il collegamento dei centri di ricerca alle imprese e i progetti di efficienza energetica. Sappiamo che questa è la strada per creare una crescita sostenibile e un’occupazione stabile. Ma niente di tutto questo è facile; significa prendere decisioni, pensare con fantasia e soprattutto incrementare i settori di forza e attività. Tutto ciò è anche sinonimo di duro lavoro per portare la capacità amministrativa, su più livelli, all’altezza della situazione». Per far questo, il Commissario – subito seguito dalle autorità nostrane – ha suggerito l’istituzione di una task force per monitorare l’utilizzo dei fondi: ne abbiamo una anche in Campania. Sarebbe utile avere qualche feedback sull’attività della commissione per valutarne pubblicamente l’efficacia delle azioni proposte.


L'OPINIONE

SVIMEZ: AL SUD CONFIDI PIÙ PICCOLI, COSTOSI E MENO EFFICIENTI

DI RAFFAELLA VENERANDO

Secondo il Rapporto sui Confidi del Mezzogiorno, è necessaria una riorganizzazione strutturale per il settore

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iccoli, poveri e cari: questo il ritratto dei consorzi intermediari tra banche e imprese al Sud emerso dal “Rapporto SVIMEZ su relazioni banca-impresa e ruolo dei Confidi nel Mezzogiorno. Mercato, regole e prospettive di sviluppo”, presentato a Roma 8 luglio 2013 alla Camera dei Deputati. Condotto su dati Banca d’Italia, UniCredit, Fedart Fidi e Unioncamere, lo studio analizza negli anni 2006-2011 l’andamento economico e le prospettive di sviluppo dei Confidi, impegnati nel garantire finanziamenti a tasso agevolato alle aziende e garanzie alle banche che erogano il finanziamento. I Confidi quindi assolvono a una duplice funzione: da un lato soddisfano le esigenze delle aziende di avere quantità, costo e durata del finanziamento a condizioni molto vantaggiose, e dall’altro, oltre a prestare garanzie materiali agli istituti di credito, acquisiscono informazioni puntuali sull’azienda e i progetti di sviluppo collegati tramite screening e percorsi di conoscenza dell’impresa. Lo studio si focalizza negli anni precrisi 2006-2007 su di un campione di 440 Confidi, di cui 270 al Centro-Nord e 170 al Sud, divisi tra piccoli (garanzie inferiori a 3 milioni di euro), medi (da 3 a 20) e grandi (oltre 20). Il quadro che ne deriva è alquanto sconfortante: al Sud i Confidi sono relativamente più piccoli; su 100 Confidi, al Sud il 37% è piccolo, più del doppio del Centro-Nord (17,8), e solo il 16% può definirsi grande (contro il 42% dell’altra ripartizione). A parità di grandezza, i Confidi del Centro-Nord erogano più garanzie, 27

milioni di euro in media contro 22 milioni. Differenze anche sul fronte del risultato di gestione: se questo è simile tra le due ripartizioni per i Confidi grandi, (159mila euro del Centro-Nord contro 144mila del Sud) a soffrire di più sono i Confidi piccoli e medi. Un Confidi piccolo del Centro-Nord nel periodo in questione dichiara un risultato reddituale di quasi 4mila euro, mentre il suo omologo meridionale lamenta una perdita di quasi 5500 euro. E ancora: un Confidi medio del Centro-Nord ricava oltre 66mila euro contro una perdita del suo omologo meridionale di 11mila euro. Ovviamente, a cascata questa situazione si ripercuote in negativo sulle imprese del Mezzogiorno: se è vero, infatti, che i Confidi più sono grandi, più hanno la capacità di offrire alle aziende servizi a prezzi più conte-nuti dei piccoli, lo è altrettanto il contrario e specie al Sud. Per un’impresa rivolgersi a un Confidi meridionale vuol dire spendere quasi il doppio (5,5% contro il 3%) di quanto spende un’impresa che si rivolga a un Confidi operante nel Centro-Nord. Anche i dati sui bilanci confermano questo trend al ribasso per i Confidi del Mezzogiorno: da un’analisi sui bilanci di 13 grandi Confidi meridionali, di cui 7 siciliani (Confeserfidi, Commerfidi, Confidi Fideo, Credimpresa, Unifidi imprese, Fidimpresa Confidi, Interconfidi med), 3 sardi (Confidi Sardegna, Consorzio Fidi Fin, Sardafidi), 2 abruzzesi (Confidi mutualcredito, Intecredit Confidi Imprese), 1 pugliese > 9


INTERVISTA ADRIANO GIANNOLA > PRESIDENTE SVIMEZ

GIANNOLA: «LA PRIORITÀ PER TUTTO IL PAESE, E NON SOLO PER IL SUD, É UNA STRATEGIA MACROECONOMICA DI AMPIO RESPIRO»

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residente Giannola, partiamo dal Rapporto della Svimez sulla relazione banca e impresa, presentato lo scorso 8 luglio a Roma: secondo la vostra analisi i Confidi al Sud sono più piccoli, a parità di grandezza erogano meno garanzie, e offrono alle imprese finanziamenti a un tasso quasi doppio rispetto ai Confidi del Centro-Nord. Un costo non da poco per le imprese del Mezzogiorno che non vivono di certo un buon momento… L’imprenditoria al Sud, come al Nord, attraversa un momento delicato a causa dell’incertezza che contraddistingue il Paese e che, insieme ad altri fattori, rallenta l’espansione dell’impresa. Al Mezzogiorno poi si aggiungono le difficoltà legate alla maggiore debolezza che le imprese hanno nella relazione con le banche perché sono, generalmente, meno patrimonializzate. Di rimando, un sistema di garanzia collettivo poco efficiente non serve a molto. L’urgenza quindi, peri i confidi, è di mettere mano a una radicale ristrutturazione. Riorganizzazione, pertanto, ma secondo quali direttrici? Bisognerebbe innanzitutto cominciare da quanto è previsto dalla relativa normativa, che impone agli intermediari finanziari di crescere dimensionalmente, aggregarsi per raggiungere quanto meno la media scala, ridurre i costi essere per una maggiore efficienza e avere più mezzi propri. Un processo che è già in atto al Sud anche se lento. I confidi dovranno presto avere una visione e una strategia di azione più complessiva, di più ampio respiro. Secondo quanto emerso poi dagli ultimi bollettini di Abi, Banca d‘Italia e sempre dal Rapporto Svimez, le

(Cofidi Puglia) relativa agli anni 2009-2011, le cui performances sono state confrontate con un Confidi maggiore particolarmente virtuoso a livello nazionale (Eurofidi, ossia il più grande Confidi italiano con sede legale in Piemonte e uno dei più rilevanti soggetti di garanzia fidi a livello mondiale), emerge che nel periodo in questione i Confidi sono cresciuti circa del 6%, a fronte del +13% di Eurofidi. A livello di garanzie rilasciate, dal 2009 al 2011 i Confidi del Mezzogiorno sembrano crescere più del benchmark, essendo la media meridionale superiore a quella di Eurofidi (+11,2% contro +10%). L’ammontare delle garanzie rilasciate equivale in media a 4,6 volte il capitale investito, un terzo di Eurofidi (18,6). In crescita anche il numero delle imprese associate, +6,6%, per un valore medio nel 2011 di oltre 6mila unità, meno della metà di Eurofidi (+17%), attestandosi a quasi 48mila unità. In risalita anche il capitale sociale, +35% in media contro il

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37% di Eurofidi, che arriva nel 2011 a 9,8 milioni di euro. Si deteriora nel periodo in questione il grado di copertura, in media dimezzandosi (da 108% a 44%). Discorso a parte per il tasso di sofferenza, nel 2011 al Sud dieci volte più pesante rispetto ad Eurofidi (11,8% di media contro 1,6%). Quanto alla solidità patrimoniale, le garanzie erogate per ogni euro disponibile restano al Sud un quarto rispetto ad Eurofidi (6 contro 26). Una misura importante della gravità della crisi viene anche dal rilevamento dei crediti per escussioni, cioè i crediti delle aziende insolventi che le banche hanno recuperato dai Confidi. Qui i Confidi meridionali e il benchmark seguono dinamiche parallele, per Eurofidi ancora più pesanti. Se infatti al Sud la media del 2011 del 5% è aumentata in due anni del 46%, in Eurofidi la media 2011 del 13% è risultato di un


L'OPINIONE

sofferenze non fanno altro che aumentare a causa del persistere dalla crisi economica...Un dato non certo incoraggiante. Le prospettive lasciano presagire ulteriori peggioramenti? La Svimez prevede un 2013 tutto in forte frenata, con un’ulteriore flessione del Prodotto Interno Lordo sia a Nord, sia al Sud. Altri ipotizzano una ripresa per il prossimo anno, ma – al momento – noi, se l’atteggiamento della finanza pubblica anche a livello europeo resta così restrittivo, non crediamo affatto ci possano essere margini reali per risalire la china. Al più potrebbe esserci una battuta di arresto di questa che è una vera e propria caduta libera del nostro Paese ormai da cinque anni. Le politiche di rigidità imposte dall’Europa non aiutano di certo. Questa considerazione sembra faccia breccia dappertutto ma non al punto tale da indurre poi un’azione che sia coerente con questa saggia conclusione. Ci auguriamo che questo momento di cambio di comportamento delle politiche macroeconomiche sia prossimo, e che si realizzi a livello europeo perché il Paese da solo – con buona evidenza - ha poca autonomia di scelta. Per quanto attiene invece la dinamica dei prestiti alle imprese, è negativa pure questa con una riduzione degli affidamenti e una sostanziale disparità di trattamento banca-impresa tra Nord e Sud. Come si esce da questo divario ormai storico? Dice bene, è una forbice di iniquità che ci trasciniamo da lungo tempo. Anche in tempi di crisi, però, qualcosa si potrebbe fare a partire dal costo del credito. A parità di dimensione e di classi di rischio – solo per citare due parametri oggettivi – l’impresa del Sud, infatti, paga di più il denaro. Questo è senza dubbio un fattore di riduzione di competitività sui mercati non indifferente. È come se, alla clientela migliore nel Mezzogiorno, si facesse pagare il fatto che essendo il Sud più rischioso, le sofferenze sono più alte che al Nord. Questo vuol dire creare deliberatamente condizioni di debolezza. La clientela simile andrebbe trattata in modo paritario su tutto il territorio. Quali le richieste della Svimez al Governo Letta? Chiediamo all’attuale Esecutivo di impegnarsi su di un discorso strategico. Ben vengano le soluzioni fin qui adottate per affrontare l’emergenza, ma il Paese necessita di interventi da inquadrare in un discorso più omogeneo e di più ampio respiro che, ora come ora, pare mancare completamente. Le questioni dell’Imu, dell’Iva, ad esempio, sono ben poca cosa rispetto al riposizionamento dell’Italia prima e del Mezzogiorno, poi. Se si aprisse un confronto anche solo su questo aspetto, saremmo a buon punto.

aumento del 388% rispetto ai due anni precedenti. Altro segnale della crisi viene dall’analisi del margine d’intermediazione, che ha coperto i costi, nel 2011, solo per quattro Confidi su 13. LE CURE: COSA È NECESSARIO E URGENTE FARE Rinnovare, riorganizzare, efficientare: l’analisi condotta sugli statuti dei 13 Confidi maggiori e su un campione di 18 Confidi minori meridionali ha messo in luce la necessità di un rinnovamento, con l’obiettivo di essere maggiormente in linea con la nuova normativa in materia di chiarezza e trasparenza, e di migliorare l’efficienza gestionale. In particolare, secondo gli autori, meritano approfondimenti l’esigenza di esplicitare in modo più chiaro le regole di funzionamento e la composizione degli organi sociali, con attenzione ai requisiti di onorabilità, indipendenza e professionalità degli am-

ministratori e agli esponenti aziendali. Sempre in un’ottica di maggiore trasparenza andrebbe precisato nei Cda e negli organi di controllo il peso e i poteri degli Enti sostenitori. Da segnalare anche l’esigenza di una maggiore partecipazione dei vari organi sociali allo svolgimento delle numerose attività e le possibilità di offrire servizi anche a terzi. Inoltre, il maggior assorbimento di risorse per i Confidi meridionali è ascrivibile a una minor efficienza gestionale o a più avverse condizioni di contesto e non invece a una più intensa attività di erogazione delle garanzie. Al momento, quindi, si rileva che i Confidi meridionali non sembrano in grado di supportare efficacemente le piccole e medie imprese, che continuano a lamentare le difficoltà di accesso al credito. Serve quindi con urgenza una riorganizzazione del settore, che con l’aiuto anche di contributi pubblici agisca sul miglioramento strutturale dei Confidi e sulla loro efficienza gestionale. 11


L’AMERICA CHIEDE IL MADE IN SALERNO DI RAFFAELLA VENERANDO

Il 22 e il 23 giugno scorsi, 12 tra i più importanti importatori statunitensi hanno incontrato 30 aziende salernitane dei settori enogastronomico e turistico al Complesso di Santa Sofia

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on la conferenza stampa del 21 giugno presso il Salone dei Marmi del Palazzo di Città – ha preso il via operativo l'iniziativa, partita lo scorso marzo, "Salerno-New York: un'occasione di sviluppo". Organizzata da Comune di Salerno e Camera di Commercio Italoamericana di New York, in collaborazione con Confindustria Salerno, la due giorni ha visto 30 aziende salernitane afferenti al comparto alimentare (food and wine) e a quello turistico presentarsi a 12 accreditati buyers americani che ne hanno valutato il concreto inserimento commerciale nel proprio mercato. Oltre agli incontri d’affari, la delegazione di buyers è stata coinvolta anche in altre attività collaterali – in primis la visita guidata della città e delle bellezze della Divina Costiera - utili per promuovere ulteriormente la cultura del territorio

salernitano. Al tavolo istituzionale per l’avvio dell’evento erano presenti il Sindaco di Salerno e Viceministro alle Infrastrutture e Trasporti Vincenzo De Luca, il Console italiano negli Stati Uniti Sabato Francesco Sorrentino, il Segretario Generale della Camera di Commercio Italoamericana Federico Tozzi e il Vicepresidente di Confindustria Salerno delegato all'internazionalizzazione Nicola Scafuro. «Sono notevoli – ha dichiarato Tozzi - le prospettive di sviluppo in termini di volumi e margini che il mercato americano, molto ambito, può offrire alle aziende salernitane, a patto che le stesse sappiano prepararsi in maniera adeguata alle eventuali collaborazioni commerciali che ne deriveranno, mettendo in mostra doti di competenza e credibilità». Sulla affidabilità e la necessità di attrezzarsi per affrontare il più

INPS E IMPRESE: L'INTESA SI FA SEMPLICE

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enerdì 12 luglio il Presidente di Confindustria Salerno, Mauro Maccauro e il Direttore Provinciale INPS Salerno, Gabriella Zaccaria, hanno sottoscritto un Protocollo d’Intesa per semplificare la comunicazione tra le aziende salernitane e l’Istituto di Previdenza sociale. L’accordo prevede la creazione di un indirizzo di posta elettronica dedicato esclusivamente alla corrispondenza tra l’Ente previdenziale e Confindustria Salerno. Attraverso questo canale di comunicazione privilegiato, le aziende associate potranno inoltrare, per il tramite degli uffici confindustriali, quesiti di carattere operativo o normativo riguardante l’attività di competenza della Direzione Provinciale INPS Salerno, che garantisce risposte in tempi rapidi. Le aziende, inoltre, potranno richiedere appuntamenti diretti per sottoporre problematiche aziendali GABRIELLA ZACCARIA particolarmente complesse. «Con la firma del Protocollo – ha dichiarato il Direttore E MAURO MACCAURO Zaccaria - si mira ad ottimizzare il dialogo tra l'Istituto e il mondo aziendale contribuendo, così, a semplificare il quadro amministrativo e a liberare risorse che il mondo aziendale potrà impegnare in azioni di crescita e aumento di occupazione». «Confindustria Salerno - ha affermato il Presidente Maccauro – rafforza la sinergia con gli Enti e le Istituzioni che, a vario titolo, le imprese incrociano sul loro cammino. Questo accordo, primo nel Mezzogiorno tra un’Associazione industriali e l’Istituto previdenziale, risponde alle attuali esigenze delle aziende che, in un momento di crisi dei mercati, ritengono fondamentale azioni concrete volte allo snellimento delle procedure amministrative».

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CONFINDUSTRIA SALERNO

IL COMMENTO DELLE AZIENDE ESPOSITRICI

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iudizi quasi unanimi da parte delle aziende espositrici nel concordare che l’iniziativa Salerno-New York ha risposto brillantemente alle aspettative: la stragrande maggioranza, infatti, si dichiara soddisfatto o molto soddisfatto (barrando la casella “buono”, seconda voce positiva dopo ottimo nel questionario di gradimento loro inviato, ndr) per i contatti stabiliti con i potenziali clienti stranieri – anch’essi giudicati di buon livello - con cui avviare nuovi rapporti commerciali. In media si stima che diverranno contratti un contatto su 3. Ottimo, invece, il giudizio relativo all’organizzazione dell’evento e al supporto ricevuto. Per il futuro, gli espositori che rappreUN MOMENTO DEL B to B sentavano l’offerta dell’ampio comprensorio salernitano hanno però richiesto l’opportunità di presentarsi ancor più personalmente a nuovi possibili clienti a loro dichiaratamente già interessati attraverso visite presso le proprie aziende e/o strutture ricettive. IL GIUDIZIO DEI BUYER

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ositivo il giudizio dei buyer che hanno preso parte all’iniziativa, soddisfatti in particolare per l’elevata qualità delle aziende incontrate che rispondevano perfettamente alle richieste. Ottimo il commento sul layout della manifestazione, sul percorso che coniugava insieme affari e turismo offrendo la possibilità di visitare Salerno e la sua splendida e “divina” Costa d’Amalfi. Unico neo evidenziato, la possibilità di una proposta ancora più ampia di aziende per le edizioni future, che consenta di apprezzare anche meglio sul piano commerciale, e non solo, il territorio salernitano giudicato ad alto potenziale.

grande e ricco mercato mondiale, dotato di una cultura manageriale estremamente avanzata, ha battuto l’accento anche il Console Sorrentino, rimarcando quanto «quello statunitense sia un contesto altamente professionale ed efficiente, in cui nulla è lasciato al caso. Le aziende, pertanto, devono avere dalla loro una strategia chiara e ben definita, curata con attenzione fin nei dettagli. Dato l’impegno in prima persona del Sindaco De Luca, sono certo che queste operazioni non solo andranno a buon fine, ma saranno l’inizio per nuove future collaborazioni anche con altri settori di eccellenza made in Salerno». Il Vicepresidente Scafuro, poi, da uomo di azienda ha insistito sull’importanza dell’immagine e della reputazione di un’impresa, presupposto fondamentale per accrescere la penetrazione sul mercato Usa. «In Confindustria Salerno da qualche anno abbiamo dato vita a un “Club delle Imprese Etiche”, consapevoli che trasparenza ed eticità siano due voci di primaria importanza per il

successo di un’azienda che vuole affrontare le sfide dell’internazionalizzazione. Quello statunitense è un mercato difficile perché fortemente selettivo, che non fa sconti. Se si commettono errori, se si manca di serietà e puntualità nell’osserUNO SCATTO DELLA CONFERENZA STAMPA vanza delle regole, si è fuori». A chiudere i lavori il Sindaco e Viceministro De Luca: «Con questa iniziativa è messa in vetrina la città di Salerno e con essa l’intero territorio e il suo invidiabile patrimonio. L'export, oggi, deve comporre almeno il 60% dei fatturati di un’azienda se la stessa ha realmente intenzione di competere, visto che la domanda domestica è quasi azzerata e pure quella europea latita, offrendo non solo prodotti di elevata qualità del prodotto ma soprattutto impostando rapporti di totale serietà e rigore. Sono certo che con l’impegno giusto saremo capaci di creare una preziosa alleanza non solo commerciale tra Salerno e gli Stati Uniti». 13


SEMPRE PIÙ IMPRESE FINISCONO NELLA “RETE”

DI RAFFAELLA VENERANDO

Attualmente sono 820 i contratti sottoscritti e già attivi che coinvolgono 4300 imprese dislocate su tutto il territorio nazionale, di cui il 76% afferenti alla tipologia uniregionale e il restante 24% a quella multiregionale

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na intera mattinata dedicata agli imprenditori che intendono cogliere le opportunità dell'aggregazione in Rete per fare innovazione ed essere più competitivi sul mercato quella svoltasi in Confindustria Salerno il 2 luglio scorso, organizzato in collaborazione con Sistemi Formativi Confindustria, RetImpresa e Fondimpresa. Nel corso dell’incontro, animato dalle testimonianze aziendali di tre casi concreti di contratto di rete d’impresa nel settore agroalimentare, efficacemente raccontati da Aldo Savarese, Referente Rete Packaging Sostenibile 100% Campania; da Debora Franceschini, Responsabile Rete Mondo Bio e da Paolo Mastrantoni, Referente Rete Agroindustria Pontina – sono state dispensate utili indicazioni circa le metodologie e le azioni che possono agevolare e accompagnare i processi di networking, oltre a nozioni di natura legale circa il contratto di rete e sulla normativa che lo regola sapientemente esposti dall’avvocato Eva Bredariol. A fornire tutti gli aggiornamenti sullo strumento della rete, attivo anche normativamente dal 2010, è stato il Direttore di RetImpresa - l’Agenzia confederale di Confindustria che si interessa di monitorare, sostenere e promuovere questi nuovi modelli di aggregazione - Fulvio D’Alvia che ha ricordato, come specie in ragione della crisi economica imperante, si sia imposta la necessità per le imprese di crescere anche dimensionalmente, di aggregarsi, senza per questo perdere in autonomia e acquisendo, anzi, maggiore forza contrattuale nei confronti di terzi soggetti quali ad esempio, banche, fornitori, committenti. L’aggregazione in rete infatti permette alle aziende di “mettersi insieme” esclusivamente su alcuni programmi o progetti, restando al tempo stesso totalmente indipendenti su altri, superando il localismo tipico dei distretti e puntando a un miglioramento complessivo delle performance in diversi ambiti quali – ad esempio – l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo, la qualità, l’internazionalizzazione.

CONTRATTI DI RETE, NOVITÀ FISCALI

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uovo intervento di prassi dell’Agenzia delle Entrate a proposito dei contratti di Rete. Con la pubblicazione della circolare n. 20/E/13 il Fisco ha ribadito la facoltà per le aziende organizzate in Rete di costituire un autonomo soggetto di diritto, procedendo all’iscrizione nel registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della Rete, assumendo anche la soggettività tributaria.Proprio in relazione a questo ultimo aspetto, le Reti saranno soggette all’IRES, ai sensi dell’articolo 73, comma 2, del Tuir e all’IRAP in relazione all’attività esercitata (articoli 2 e 3 del Decreto Legislativo n. 446/1997). Ovviamente, qualora i sottoscrittori del contratto di Rete decidessero di non iscriversi nel registro delle imprese del luogo ove ha sede la rete stessa, non vi sarebbe alcuna soggettività tributaria.

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CONFINDUSTRIA SALERNO

100% CAMPANIA, LA RETE PER IL PACKAGING SOSTENIBILE È NATA A SALERNO

SETTE AZIENDE - TUTTE CAMPANE, OPERANTI PRINCIPALMENTE NELLA FILIERA DELLA CARTA – HANNO DECISO DI METTERE A FATTORE COMUNE LE PROPRIE SPECIALIZZAZIONI INDIVIDUALI PER SVILUPPARE PRODOTTI SEMPRE PIÙ SOSTENIBILI E INNOVATIVI

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er volontà, intuito e lungimiranza di Sabox - azienda di Nocera Superiore specializzata nella progettazione e produzione di imballaggi in cartone ondulato, attiva da diversi anni nella produzione di packaging sostenibile - è nata lo scorso 8 luglio - con la firma in Confindustria Salerno delle parti contraenti - la rete per il packaging sostenibile 100% Campania. Da anni, infatti, nelle mire di Sabox c’era la creazione di un Distretto Verde capace di riunire la filiera della Carta impegnata in produzioni ad impatto ridotto. La rete si basa sul principio della sostenibilità quale fattore di competitività che genera valore economico, ma anche sociale. Al fine di incentivare e valorizzare l'utilizzo dei materiali differenziati proprio lungo una catena del valore locale, il network vuole unire competenze e risorse per sviluppare prodotti sempre più sostenibili e innovativi. I 7 SOCI FONDATORI Le aziende fondatrici della rete - tutte campane, operanti principalmente nella filiera della carta - rappresentano circa 250 milioni di fatturato e danno occupazione a oltre 300 dipendenti. Tutte, nessuna esclusa, sono realtà in cui l’elevata specializzazione e le qualificate competenze manageriali si coniugano con l'etica alla ricerca continua di nuove alternative da esplorare che arricchiscano il percorso già delineato dalla visione strategica originaria. Le sette aziende già da tempo operavano in sinergia, in una sorta di rete di fatto, ma ora con la stipula del contratto - avvenuta alla presenza dei soci e del notaio in Confindustria Salerno - l’unione operativa per nuovi prodotti è più che mai ufficiale. Le aziende nel dettaglio sono: · Carteria Partenope è una piattaforma specializzata nella raccolta e selezione del macero locale e nella produzione di carta per imballaggi flessibili e tissue; · Cartesar di Salerno, oltre ad essere anch'essa piattaforma di raccolta, è altamente qualificata nella produzione di carte per ondulatori; · A. Sada & Figli e Sada Packaging, invece, producono packaging e prodotti cartotecnici per le principali aziende italiane e multinazionali; · Sabox è specializzata nel packaging sostenibile greenboxX©; · Formaperta progetta e realizza secondo i principi dell’eco-design packaging, espositori, promostand e allestimenti fieristici in cartone ondulato certificato per la sua sostenibilità; · Greener Italia srl è leader nell’implementazione di progetti di sostenibilità e di product carbon footprinting con particolare riferimento al settore del packaging. Ma quali risultati ci si attende da questo progetto a più forze ed energie? Qualche numero per capire meglio dimensioni, portata e obiettivi della rete: in Campania, ogni anno vengono raccolte 150.000 tonnellate di macero di carta, di cui una buona parte non è né utilizzata, né lavorata nella nostra regione. Un ciclo di trasformazione di prossimità, invece, consentirebbe di creare proprio sul nostro territorio le condizioni per nuova occupazione e nuovi posti di lavoro. Basti considerare che 100.000 tonnellate di carta della raccolta differenziata trasformate nel territorio corrispondono a 300 posti di lavoro, senza considerare l'indotto, e oltre 80 milioni di valore aggiunto. Se si riuscisse quindi a organizzare un ciclo completo e potremmo dire a kilometro zero di trasformazione, senz’altro si innescherebbe un circuito virtuoso in grado di creare valore dal territorio per il territorio. Auguriamo, quindi, lunga vita alla prima rete nata in Confindustria Salerno, prova tangibile di come imprenditori etici e non miopi siano una ricchezza autentica per il loro modo positivo di rapportarsi al territorio e per la capacità elevata di fare da traino per lo sviluppo e la crescita dello stesso.

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PALAZZO MURAT, ACCOGLIENZA È OSPITALITÀ PRIMA ANCORA CHE TURISMO

DI RAFFAELLA VENERANDO

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Vito Attanasio, titolare del miglior albergo d’Italia: «Vedi Positano e poi torni»

VITO ATTANASIO INSIEME AL SUO STAFF

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ottor Attanasio, Palazzo Murat di Positano è stato votato come migliore hotel d’Italia nella classifica mondiale di Expedia, popolare portale di viaggi on line ed è al 14esimo posto nel ranking mondiale. Come si fa a mantenere standard di qualità così elevati? Il riconoscimento ottenuto ci inorgoglisce non poco perché è frutto del giudizio dei vacanzieri e, quindi, del tutto autentico. La classifica Expedia è, infatti, realizzata attraverso l’incrocio di oltre un milione di opinioni emerse dalle recensioni di veri viaggiatori, i giudizi espressi da market manager locali di Expedia e un sistema di rating che compara il punteggio medio ottenuto quotidianamente dalle singole strutture con quello di alberghi simili. La valutazione positiva arriva pertanto da chi ha provato con mano la qualità della nostra offerta, certificando così la cura minuziosa e l’attenzione scrupolosa che riserviamo alla nostra clientela. Per me e la mia famiglia (Vito Attanasio è il titolare della struttura insieme alla sua famiglia) accoglienza è culto e cultura, è ospitalità prima ancora che turismo. Ovviamente, il merito non è esclusivamente nostro: il riconoscimento va condiviso con “Positano” stessa, un luogo dall’intramontabile fascino che non conosce – fortunatamente - crisi di domanda. In cosa, per la sua comprovata esperienza, dovrebbe migliorare l’offerta turistica del nostro Paese e in particolare della Campania? La nostra regione ormai da anni non sfrutta a pieno il proprio potenziale turistico a causa di storture che riguardano in particolare le infrastrutture materiali che non consentono collegamenti efficienti né via mare, né via terra. È difficile “vendere” anche la Costiera Amalfitana e le sue perle ricettive se sono poi nei fatti difficilmente raggiungibili. Occorrerebbe inoltre – e purtroppo anche questa è una questione da tempo sospesa – lavorare per favorire una corretta destagionalizzazione turistica, valorizzando meglio le tante risorse artistiche e le attrazioni culturali della nostra regione. Esiste, infine, una responsabilità delle istituzioni circa la confusione normativa sulle varie strutture ricettive che insistono sui nostri territori. Le alternative di ospitalità – penso ad esempio alle case vacanze che spesso applicano prezzi con bassa marginalità – nate per sviluppare un turismo diverso hanno invece creato oggi un vero e proprio mercato parallelo incontrollabile, sfuggendo troppo spesso ad ogni forma di controllo imposto dalla legislazione vigente. Il fenomeno andrebbe una volta e per tutte affrontato e risolto, anche nell’interesse dei turisti. Chi è il turista tipo che sceglie Positano come propria destinazione vacanziera? Positano è da tempo il buen retiro preferito dal mercato americano, con una percentuale di arrivi pari al 55%. È una clientela facoltosa, ma esigente al tempo stesso. Acquirenti emergenti sono poi i brasiliani, sempre più numerosi in Costiera. In generale comunque chi sceglie Positano e il Palazzo Murat lo fa essenzialmente per ragioni romantiche, le stesse che spesso rappresentano un buon motivo anche per ritornarci.


STRATEGIE D'IMPRESA

CONSORZIO AEOLIA, ENERGIA POTENTE DAL VENTO

DI RAFFAELLA VENERANDO

Quattro imprese campane - De Iuliis Macchine, Cuomo Macchine Industriali, De Iuliis C. & A. e Friendly Power, tutte afferenti al comparto metalmeccanico – hanno deciso di affiancare alla propria attività tradizionale il segmento della produzione di energia eolica avviando la fabbricazione dell’aerogeneratore D2CF200 della potenza di 200 KW

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egli ultimi anni l’avanzata dell’eolico sembra non conoscere sosta nei grandi centri di produzione italiani come Puglia, Sicilia, Sardegna, Campania e Basilicata, tanto che molti imprenditori lungimiranti e coraggiosi hanno deciso di provarci, investendo in questo settore. Tra questi, un progetto particolarmente innovativo è quello dell’aerogeneratore D2CF200 della potenza di 200 KW messo a punto da una mini cordata di imprese campane - De Iuliis Macchine, Cuomo Macchine Industriali, De Iuliis C. & A. (salernitane, ndr) e Friendly Power, tutte afferenti al comparto metalmeccanico – che, riunite in un accordo di partenariato, hanno deciso di affiancare alla propria attività tradizionale il segmento della produzione di energia eolica, dando vita al Consorzio Aeolia. L’avventura è partita nel 2009 a vele spiegate quando i quattro capitani d’azienda decidono di progettare una macchina interamente italiana, che nulla avesse da invidiare alle apparecchiature leader di mercato dei marchi esteri. Inizialmente l’idea era di mettere a punto un aerogeneratore della potenza di 1 Mw, ma poi – dalle analisi di mercato effettuate – ci si rese conto che il dominio tedesco, danese e spagnolo era tale da lasciare pochissimi margini di intrapresa. A quel punto, la scelta fu riorientata verso la progettazione di un impianto da 200 kw e gli sforzi concentrati tutti verso il raggiungimento di questo obiettivo. A gennaio 2010 il primo start del progetto, grazie ad un accordo con una società tedesca detentrice della tecnologia necessaria che mancava al “gruppo meccanico”: i tecnici forniti dalle 4 aziende campane cominciano così a lavorare gomito a gomito con l’engineering tedesco e, pezzo dopo pezzo, l’aerogeneratore D2CF200 prende forma. Il prototipo finito doveva essere ultimato entro il 30 dicembre di quello stesso anno, ma a causa di ostacoli di natura tecnica e normativa, vede la luce solo nell’estate del 2011, per poi essere presentato alla Zero Emission di Roma a settembre con un ottimo riscontro. A questo punto, superate brillantemente tutte le prove di banco, restava l’atto finale: la scelta del sito ambientale in cui localizzare e far funzionare l’impianto. Fu individuato il Beneventano come territorio di elezione ma anche qui, regolamenti discutibili e ballerini della Regione Campania, indussero il Consorzio Aeolia a dirottare le proprie energie e risorse in Basilicata - precisamente a Brindisi di Montagna in provincia di Potenza - dove nel maggio 2012 l’avvio del cantieramento dell’impianto fu possibile grazie a un contatto con un proprietario di un sito munito di autorizzazione. La macchina, operativa dal maggio 2013 e inaugurata il 29 luglio - attualmente - controllata da remoto - lavora 24 ore al giorno, rispettando la propria curva di potenza. Tante le ricadute positive che l’attività dell’aerogeneratore dovrebbe portare con sé: soddisfazione del fabbisogno energetico, ma anche una forte riduzione delle emissioni di CO2 e, soprattutto, un incremento dei livelli occupazionali con la creazione di nuovi posti di lavoro. Si sa che le scelte di chi fa impresa comportano sempre un margine d'imponderabilità simile al vento, ma la spinta motivazionale deve essere credere – e non sperare – che anche le incertezze possano essere gestite, messe a frutto, superate. Gianfilippo Bottone, titolare della De Iuliis Macchine e presidente del Gruppo Metalmeccanico di Confindustria Salerno, ci crede e senza aspettare che il vento gonfiasse la vela della sua fortuna ha provato, con una passione e un impegno tutt’altro che volatili, a soffiarci lui stesso dentro. Buon vento! 17


STRATEGIE D'IMPRESA

TERMOTECH ECO, A SALERNO UN'AUTENTICA CITTADELLA DELLA RICERCA DI RAFFAELLA VENERANDO

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IMPIANTO BIODIESEL

ESTRUSORE

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risi, crisi e ancora crisi. Da più parti si invoca il binomio ricerca e innovazione come una delle poche vie di uscita per il rilancio dell’economia e delle imprese. A Salerno, le aziende nell’avanzamento tecnologico posso fare affidamento su di un partner fortemente specializzato: per essere coadiuvate nella ricerca industriale e nello sviluppo sperimentale, possono rivolgersi con fiducia infatti al Termotech Eco, un centro specializzato in analisi e test su nuovi manufatti, specie se polimeri, compound, fibre plastiche, che mette a disposizione la perizia della sua équipe di tecnici dal curriculum formativo di tutto riguardo. La Termotech Eco, centro di trasferimento tecnologico sito nella zona industriale di Salerno in via Icace, possiede infatti macchinari di ultima generazione, tra cui un impianto pilota unico nel suo genere per e un forno fusorio all’avanguardia. Nello specifico, per i laboratori privati ma anche per gli enti pubblici che studiano soluzioni energetiche legate all’assenza (o diminuzione) di emissioni inquinanti, l’impianto pilota di Termotech Eco offre la possibilità di eseguire qualsiasi operazione necessaria alla produzione di biocarburanti dalla conversione di biomasse non edibili, dall’esterificazione alla transesterificazione, fino al lavaggio e recupero del metanolo grazie alle apparecchiature studiate per la caratterizzazione e sperimentazione chimico-fisica. La Termotech Eco, che si candida a diventare il primo centro di trasferimento tecnologico del Mezzogiorno, mette inoltre a disposizione delle aziende tutta la propria competenza sulla fibra di basalto che, grazie anche alle sue intrinseche caratteristiche fisico-chimiche ed un elevato grado di biocompatibilità, in alcuni Paesi ha con successo sostituito l’acciaio come componente nella realizzazione della struttura degli edifici. Non solo l’edilizia, però, potrebbe essere interessata agli sviluppi di questo particolare filone: anche la nautica o l’automotive potrebbero avvantaggiarsi dell’impiego di fibre di basalto come rinforzo strutturale di elevata resistenza meccanica, ma anche come isolante termico e acustico, il tutto senza alcun risvolto dannoso per l’ambiente, visto che il basalto – contrariamente all’acciaio - una volta dismesso non crea problemi di smaltimento pericoloso. La Termotech Eco è ancora – inspiegabilmente - un’eccellenza poco nota proprio nel territorio in cui insiste, un vero paradosso visto che alcuni grandi gruppi - Carpisa, Enea e la salernitana Italcrom, solo per citarne alcuni – hanno già stabilito con il Centro proficue collaborazioni. Per innovare bene e innovare meglio una risorsa – anzi più di una – le imprese non solo campane ce l’hanno e si chiama Termotech Eco. Aziende avvisate, aziende salvate. LA SEDE DELLA TERMOTECH ECO


ENERGIA

IL DECRETO DEL FARE E L’ENERGIA

DI VINCENZO PELLECCHIA SUSTAINABLE MANAGER

Nei prossimi mesi, occorrerà operar e sulla efficienza della rete di distribuzione, e cercare, il più possibile, di ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e dai combustibili fossili in genere, puntando decisamente sull’efficienza energetica, e alle Rinnovabili che finora sono rimaste al palo come il Biogas, il geotermico, la cogenerazione e il solare termico

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stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013, il cosiddetto Decreto del Fare, approvato in CdM sabato 15 giugno. Sono 86 articoli dedicati a misure per la crescita e per la semplificazione che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbero aiutare a far ripartire la nostra Nazione; il Decreto Legge è in vigore dal giorno successivo la data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: cioè, è in vigore dal 22 giugno 2013. Esso prevede il taglio di 550 milioni di euro, che si tradurrà per una famiglia-tipo, che consuma circa 2700 kWh, in una riduzione di circa 1 o 2 centesimi di euro a kWh, che su base annuale vuol dire solo circa 5 euro di risparmi a famiglia su una spesa media di 550 euro annuali. Per le imprese, e in particolare per quelle “energivore” che consumano molto, si tratta di un risparmio più consistente, che a seconda dei consumi può essere anche di 10mila euro: ben poco se si pensa agli aumenti registrati negli ultimi anni. Insomma è un buon punto di partenza per le aziende: bisogna nei prossimi mesi realizzare una armonizzazione del comparto degli incentivi alle Fonti di energia rinnovabili, agire quindi sulle basi della politica energetica nazionale. Bisogna operare sulla efficienza della rete di distribuzione, e cercare, il più possibile, di ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e dai combustibili fossili in genere, puntando decisamente sull’efficienza energetica, ed alle Rinnovabili che finora sono rimaste al palo come il Biogas, il geotermico, la cogenerazione ed il solare termico. Ci sono due novità importanti per quel che riguarda l'energia: la previsione della Robin Tax che colpirà anche piccole e medie aziende che operano nelle rinnovabili, mentre spuntano delle agevolazioni per gli inceneritori costruiti negli ultimi 8 anni. La Robin Tax opera anche nei confronti di aziende “rinnovabili” con “volume di ricavi superiore a 3 milioni (prima10 milioni di euro) e un reddito imponibile superiore a 300.000 (prima 1 milione di euro)”. Negativi i commenti da parte degli operatori del settore: per il presidente di Assosolare Giovanni Simoni l’abbassare le soglie di applicazione della Robin Tax, significa trasformarla in una sorta di "Solar Tax" perché, sotto quel tetto rientrano gran parte degli impianti fotovoltaici a partire dai 300 kW di potenza circa. Altro commento dello stesso segno si riceve da Simone Togni, presidente di ANEV, l'associazione dell'eolico italiano: «Il Governo Letta ha recentemente dichiarato che le rinnovabili sono una priorità del programma e ha confermato gli obiettivi della SEN che prevedono al 2020 una crescita significativa delle stesse. Oggi invece di spingere su questo settore con politiche di semplificazione, è stata estesa la Robin Tax anche agli impianti eolici di piccole e medie dimensioni. Questo provvedimento rischia di creare gravi ripercussioni sui modelli finanziari di questi impianti con danno occupazionale ed industriale. Ricordo che gli imprenditori dell'eolico si sono visti escludere dalla possibilità di effettuare investimenti privati per 850 milioni di euro nell'asta appena conclusa per una limitazione del contingente, che non ha senso, vista la necessità di sviluppo che oggi il nostro Paese cerca disperatamente. La ulteriore tassa decisa in questi giorni rischia seriamente di far saltare le iniziative in corso e di affossare definitivamente un comparto industriale nazionale come l'eolico che oggi da lavoro a 37.000 occupati in Italia». 19


AGROALIMENTARE, LEVA DI SVILUPPO

DI OLIMPIA FERRARA ECONOMIA DELLE IMPRESE E TERZO SETTORE, SRM

Non solo record negativi ma anche eccellenze per la Campania. Con 370 prodotti agroalimentari tradizionali, pari al 8% totale dell’Italia, la regione si posiziona al primo posto nella classifica dei paesi meridionali e al quarto in quella nazionale

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n Sud che innova e produce. La filiera agroalimentare” è l’ultimo lavoro, presentato il 26 giugno 2013 presso il Banco di Napoli, svolto dal Centro Studi Srm sul settore con l’obiettivo di delineare il suo possibile contributo allo sviluppo economico del territorio, mediante un’analisi attenta di quelli che sono i principali fattori di competitività, partendo dallo scenario competitivo attuale ed evidenziando i punti di forza e le debolezze, soprattutto in riferimento al Mezzogiorno. Il settore agroalimentare italiano si presenta ricco di opportunità ed economicamente significativo; l’Agricoltura presenta un valore aggiunto di 28,1mld di euro pari al 2% della ricchezza complessiva ma che interagendo con tutti i settori ad essa collegati - industria alimentare, distribuzione, servizi e quindi l’indotto - raggiunge un valore complessivo di 267 miliardi di euro pari al 17% del PIL, in crescita di oltre il 10% , a partire dagli anni ’90. Circa il 20% della filiera (53,8 mld) è da attribuire alla produzione agroindustriale (agricoltura e industria alimentare) che presenta un valore riconosciuto nel mondo per l’elevata qualità della materia prima e la capacità di trasformarla in prodotti di eccellenza. Dal punto di vista geografico, una fetta consistente della ricchezza agroindustriale (agricoltura e industria alimentare), circa il 30%, è rappresentata dal Mezzogiorno che vanta una importante tradizione nel settore: l’ortofrutta, il lattiero-caseario, il comparto del vino, quello dell’olio e quello

della carne rappresentano i settori più importanti nel meridione. Diverse sono le regioni del Sud che apportano un contributo rilevante alla produzione agroalimentare nazionale e la Campania è sicuramente una di queste. La Campania, con 370 prodotti agroalimentari tradizionali, pari al 8% totale dell’Italia, si posiziona al primo posto nella classifica dei paesi meridionali e al quarto in quella nazionale. I prodotti agroalimentari DOP e IGP certificati sono 21 (252 è il dato nazionale), mentre i vini Dop campani sono 19 (403 in Italia), di cui 15 Doc (in Italia sono 330) e 4 Docg (in Italia sono 73). Le Igt, ossia le indicazioni geografiche protette, sono 10 (in Italia sono 118). Il valore aggiunto del settore agroalimentare della regione è di oltre 3,61 miliardi di euro, fattore che fa posizionare la Campania al sesto posto nella classifica nazionale e al secondo in quella del Mezzogiorno. In particolare conta 2,3 miliardi di euro di Valore Aggiunto agricolo (pari al 20,7% del Mezzogiorno e 2,7% del Valore Aggiunto totale della regione) e 1,3 miliardi di euro di Valore Aggiunto Alimentare (pari al 28,4% del Mezzogiorno ed all’1,6% del Valore Aggiunto totale della regione). Le imprese agricole attive in Campania sono (al 2012) 66.906 e rappresentano il 18,5% delle imprese agricole del meridione e l’8,3% del totale nazionale. Le imprese attive nel settore alimentare sono invece 7.164 pari al 25,3% delle imprese del Mezzogiorno e al 12% delle aziende alimentari italiane. Per entrambi i


FOCUS ON comparti, il peso delle imprese di capitale è maggiore della media meridionale e nazionale. Passando al commercio estero, esiste per la Campania una dipendenza dall’estero per le materie prime (saldo commerciale negativo di -482,5 milioni di euro nel 2012) ma un rapporto più che positivo per ciò che riguarda i prodotti trasformati: saldo di 891,7 milioni di euro. In particolare, le esportazioni alimentari rappresentano il 169,9% delle importazioni alimentari (migliore sia della media nazionale 95,7% che del Mezzogiorno pari a 123,6%), nonostante si registri un -5,2% sugli export dell’anno precedente (-3,5% per il Mezzogiorno e -0,9% per l’Italia) e pesano sull’agroalimentare l’ 85,7% contro il 71,9% del Mezzogiorno e l’81,9% dell’Italia. Il settore Alimentare in Campania riveste quindi un ruolo centrale, il cui peso sulle esportazioni totali della regione è del 23,1%, quattro volte il dato nazionale (6,7%) e il triplo della media meridionale (8,8%). Rilevante è anche il peso sul valore aggiunto alimentare, 152% pari al doppio del contributo rispetto al meridione (76,4%) e superando di oltre 60 punti percentuali il dato italiano (90,7%). I principali prodotti per l’export in Campania sono frutta e ortaggi che rappresentano il 54% delle esportazioni campa-

ne (-1% rispetto al 2009) seguiti dai prodotti da forno e farinacei che pesano per il 19% (+8% nel periodo 2009/2012) e dalle esportazioni di prodotti delle industrie lattiero-casearie che pesano per il 9% (+8% nel periodo 2009/2012). Nonostante la qualità e l’importanza della produzione agroalimentare si riscontra in Campana e in generale nel Mezzogiorno un minor peso competitivo ricondotto all’amplificarsi, in quest’area del paese, delle problematiche specifiche dell’Italia: polverizzazione del sistema produttivo, bassa propensione all’internazionalizzazione e all’innovazione e da una scarsa efficacia delle certificazioni. Si evidenzia inoltre un divario rispetto al resto d’Italia nella capacità delle imprese di mettersi a sistema per aumentare la propria visibilità e il proprio potere contrattuale rispetto alla distribuzione italiana ed estera. In un contesto sempre più globalizzato, il Mezzogiorno deve porre le basi per un rafforzamento del proprio vantaggio competitivo puntando sulle propri vocazioni tradizionali e non, coniugandole con le tecnologie più avanzate, anche in riferimento ai processi logistici e soprattutto sulla loro capacità di attivare sviluppo anche negli altri settori. Infine, occorre sfruttare la leva dell’export che nell’attuale contesto è diventata driver fondamentale di sviluppo economico.

ELABORAZIONE SRM SU DATI ISTAT

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AGRO-INDUSTRIA, STORIE E STILI DI SUCCESSO

DI RAFFAELLA VENERANDO

L’internazionalizzazione è un processo che non si improvvisa. Per questa ragione non è più sufficiente per l’imprenditore pensare a un buon prodotto, quanto ad uno che sia esperienziale, irripetibile, inimitabile

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na mattinata ricca di spunti interessanti quella tenutasi lo scorso venerdì 14 giugno, presso la Sala Convegni di Confindustria Salerno, sul tema "Agro-industria, storie e stili di successo - Modi e mode che hanno conquistato il mondo", workshop inserito nel Progetto “Animazione territoriale e settoriale comparto Agroalimentare” Promosso da Confindustria Salerno – Gruppo Alimentare, finanziato dalla CCIAA di Salerno e attuato da POLARIS - Azienda speciale della stessa CCIAA. L'incontro si proponeva di fornire ad imprenditori, uomini di marketing ed export managers elementi per sviluppare con successo il marketing internazionale delle Aziende agro-alimentari, sia attraverso tecniche e strumenti avvalorati dall'analisi di casi aziendali; sia attraverso le testimonianze di protagonisti dell'Italian Style, nei settori, come la ristorazione e la moda, nei quali prosegue la tradizione dell'affermazione del Made in Italy nel mondo. L’obiettivo è stato senz’altro centrato perché l’incontro è stato connotato da contributi inno-

vativi e insoliti di Carmen Gallucci (DISTRA - Università degli Studi di Salerno), Gennaro Esposito (Chef – Torre del Saracino) e Andrea Cardinaletti (Vice Presidente Ciro Paone spa – Kiton), efficacemente moderati da Luciano Pignataro, giornalista e food blogger salernitano. L’avvio alla discussione è stato dato dal presidente del Gruppo Alimentare di Confindustria Salerno, Francesco Senesi, il quale si è fatto portavoce dell’esigenza di presentarsi sui mercati in maniera compatta, «valorizzando sia le aggregazioni che si è in grado di mettere in campo, ma anche - se non soprattutto - il “brand produttivo” del territorio di appartenenza, attraverso proposte accomunate dal filo rosso dell’eccellenza qualitativa» (cfr. intervista – rubrica Focus on, ndr). La prima a fornire poi valide indicazioni per migliorare il processo di internazionalizzazione delle imprese è stata la professoressa Carmen Gallucci che ha ben chiarito quanto sia fondamentale un approccio pianificato se si decide di esportare all’estero. «L’internazionalizzazio-

CARMEN GALLUCCI, GENNARO ESPOSITO, LUCIANO PIGNATARO, FRANCESCO SENESI, ANDREA CARDINALETTI


FOCUS ON ne – ha precisato la Gallucci - è un processo che non si improvvisa, anzi. Per complessità un’azienda che sceglie la via dell’internazionalizzazione è come se scegliesse di aprire un’altra impresa, di avviare una seconda attività. Per questa ragione non è più sufficiente per l’imprenditore pensare a un buon prodotto, quanto ad un prodotto che sia esperienziale e in quanto tale unico, irripetibile, inimitabile. Così come va pianificata la scelta del Paese. Nulla va lasciato al caso se l’obiettivo è ottenere dei risultati durevoli e di successo». Curiosa e coinvolgente la testimonianza del pluristellato chef della penisola sorrentina, Gennaro Esposito che ha snocciolato criticità e punti di forza per creare un circuito virtuoso tra cucina, enogastronomia e turismo, sia nel nostro Paese, sia oltre confine. Per Esposito «bisogna far sì che cucina, agro-industria e territorio si parlino, collaborino, si rinforzino a vicenda, spezzando la catena di isolamento che svilisce l’uno o l’altro elemento e soprattutto che ci si muova in squadra, seguendo progetti corali, come un sistema compatto e coeso non come singole realtà

seppur di successo». Esposito ha poi rimarcato come spesso all’estero «non si esporti il vero italian style, quanto piuttosto una sua volgare imitazione. Fenomeno assolutamente da contrastare». A mancare del tutto sarebbe quindi una sorta di country strategy dal punto di vista organizzativo e comunicativo, senza la quale non può esistere un coordinamento efficace e foriero di risultati positivi. Interessante e coinvolgente anche la testimonianza di Andrea Cardinaletti – cfr. intervista – rubrica Focus on – che, in tema di italian sounding, ha precisato come «il Made in Italy sia una definizione che ingloba in sé concetti come territorio, radici e tradizioni. Di rimando, difendere oggi il Made in Italy equivale a dare spessore e coerenza ai talenti che lo rendono unico e irripetibile, senza entrare in competizione con chi sviluppa inclinazioni che non ci sono proprie. In una parola, senza “svendersi” pur di entrare nel compromesso della globalizzazione o della crescita ad ogni costo, custodendo la propria nostra autenticità e con essa, pertanto, il vero valore di un’azienda».

SENESI: «L’ECCELLENZA DEL FARE COME GARANZIA DI RIUSCITA ANCHE ALL’ESTERO» FRANCESCO SENESI PRESIDENTE DEL GRUPPO ALIMENTARE CONFINDUSTRIA SALERNO

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residente, la concorrenza sui mercati è ogni giorno più robusta e agguerrita. Per vincere la sfida dell’export qual è la strada giusta da seguire, specie per le imprese del settore agroindustria così forte al Sud? Innanzitutto, è indispensabile mettersi in movimento. É il momento, cioè, di avere uno scatto di “fantasia” a partire, però, dagli strumenti disponibili. É ovviamente chiaro che presentarsi insieme, uniti, sui mercati internazionali attivi maggiori potenzialità commerciali. Le aziende che hanno deciso di fare rete – in alcuni casi sperimentando la formula che supera

la frontiera dell’appartenenza a segmenti produttivi omogenei – sono le uniche che oggi possono guardare al futuro con fondato ottimismo. L’idea vincente resta quella di presentarsi compatti, valorizzando sia le aggregazioni che si è in grado di mettere in campo, ma anche se non soprattutto - il “brand produttivo” del territorio di appartenenza, attraverso proposte accomunate dal filo rosso dell’eccellenza qualitativa. Nelle regioni meridionali è indispensabile, però, scavalcare le gelosie e i ritardi storici che continuano, purtroppo, a registrarsi nella costruzione delle filiere più tradizionali, che, > 23


PER IL PRESIDENTE DEL GRUPPO ALIMENTARE DI CONFINDUSTRIA SALERNO, L’IDEA VINCENTE RESTA QUELLA DI PRESENTARSI COMPATTI, VALORIZZANDO SIA LE AGGREGAZIONI CHE SI È IN GRADO DI METTERE IN CAMPO, MA ANCHE - SE NON SOPRATTUTTO - IL “BRAND PRODUTTIVO” DEL TERRITORIO DI APPARTENENZA, ATTRAVERSO PROPOSTE ACCOMUNATE DAL FILO ROSSO DELL’ECCELLENZA QUALITATIVA

pure, esprimono il valore aggiunto di tipicità settoriali uniche al mondo. Basti pensare al pomodoro, alla mozzarella, al caffè, all’olio, alla pasta, solo per fare qualche esempio lampante. Se si riuscisse a lavorare per la realizzazione di “marchi del territorio”, si potrebbe consentire anche agli altri - quelli che non si ritrovano direttamente in queste filiere così concorrenziali all’estero (ma che esprimono, comunque, alta qualità) - di arrivare dove da soli non arriverebbero mai.

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La rete, quindi, specie quella di tipo settoriale, è lo strumento per meglio affrontare l’internazionalizzazione? I contratti di rete settoriali sono una realtà e iniziano ad essere presi in considerazione con discreta visione anche al Sud e in

Campania. Ma non sono stati avviati – se non in minima parte e per iniziativa di grandi aziende – esperimenti incentrati sulla qualità “diffusa” al di là degli specifici segmenti nei quali le imprese operano. Manca ancora – come si diceva prima – quello scatto di “fantasia” e di “rischio” imprenditoriale che può trasformare una criticità importante (la dimensionalità eccessivamente fragile e la scarsità di risorse finanziarie tipica del capitale asfittico delle piccole imprese) in un’opportunità a largo raggio. L’eccellenza del fare può diventare, quindi, il riferimento centrale di nuovi programmi di internazionalizzazione - ma anche (e non secondariamente) di espansione sul mercato interno - che devono mirare alla creazione di “distretti intersettoriali di qualità” che potrebbero avere la loro “certificazione” nell’area geografica che li esprime.

MODA, LA KITON DI CIRO PAONE EMBLEMA DI SUCCESSO TAYLOR MADE ANDREA CARDINALETTI VICE PRESIDENTE CIRO PAONE SPA > KITON

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ottor Cardinaletti, la filiera italiana del lusso - di cui Kiton è sicuramente uno dei player più accreditati - che momento attraversa? Le aziende del settore resistono

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sui mercati o anch’esse cominciano a vedere ridotti i propri fatturati? La Kiton - azienda di cui sono attualmente vice presidente, fondata nel 1968 da Ciro


FOCUS ON Paone - rientra merceologicamente parlando nel segmento del lusso che comprende un portafoglio di prodotti molto diversificato, dai gioielli agli orologi, dall’abbigliamento agli accessori, fino ai ristoranti e ai resort. Questa catalogazione stereotipata però ci sta un po’ stretta, perché oltre ad agire sulle leve della differenziazione, dell’innovazione, della qualità del prodotto e della forza del marchio, la Kiton può vantare su di un ingrediente anch’esso di pregio ma non così comune: la forza della tradizione. Tornando al settore del lusso, se in Italia vive un momento di grande contrazione, il segmento del luxyury in controtendenza è in una fase di crescita nel resto del mondo.La nostra azienda pertanto continua a riscuotere ottimi risultati sui mercati di oltre confine. Cosa vuol dire oggi Made in Italy? In maniera sintetica, il Made in Italy è una definizione che ingloba in sé concetti come territorio, radici e tradizioni. Di rimando, difendere oggi il Made in Italy equivale a dare spessore e coerenza ai talenti che lo rendono unico e irripetibile, senza entrare in competizione con chi sviluppa inclinazioni che non ci sono proprie. Tornando proprio alla scena competitiva, però, di recente il presidente della Camera della Moda Italiana Mario Boselli ha lanciato un vero e proprio allarme rimarcando che «nei prossimi 5 anni ci saranno 400 milioni di nuovi consumatori cinesi che dalle campagne arriveranno nelle città», pronti a consumare prodotti cinesi – e non italiani – considerato che il loro Paese va sempre più attrezzandosi per migliorare la propria

qualità produttiva verso il lusso. Il nostro Made in Italy è quindi davvero in pericolo? Sarà in pericolo se accetteremo il compromesso, ovvero se sceglieremo di disperdere la nostra identità e le nostre peculiarità. Duemila anni di storia non si inventano, né si copiano, né – ancora – si replicano così facilmente. Noi italiani abbiamo nel nostro DNA un processo, un vissuto per meglio dire, inimitabile. Ed è questo corredo genetico a rendere i nostri prodotti sì realizzabili ovunque, ma di certo non copiabili. Un prodotto come il nostro non è solo un oggetto materiale, ma una vera e propria esperienza. Personalmente non temo l’invasione dei nuovi mercati quanto piuttosto l’incapacità da parte delle aziende italiane di tenere fermi i nostri valori distintivi. Potrebbero essere quindi gli italiani stessi in qualche misura a “svendersi”? Il timore è fondato. Pur di entrare nel compromesso della glo- >

LA CRISI MORDE ANCORA, MA IL SETTORE DEL LUXURY – SPECIE ALL’ESTERO – RESISTE E BENE. A CONFERMARCI QUESTA TESI ANDREA CARDINALETTI, VICE PRESIDENTE DELLA CIRO PAONE SPA KITON, INTERVISTATO A MARGINE DEL WORKSHOP "AGRO-INDUSTRIA, STORIE E STILI DI SUCCESSO", PARTE DEL PROGETTO “ANIMAZIONE TERRITORIALE E SETTORIALE COMPARTO AGROALIMENTARE” PROMOSSO DAL GRUPPO ALIMENTARE DI CONFINDUSTRIA SALERNO, FINANZIATO DALLA CCIAA SALERNO E ATTUATO DA POLARIS

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balizzazione o della crescita ad ogni costo, potremmo rischiare di perdere la nostra autenticità e con essa, pertanto, il nostro vero valore. Visto che sulle grandi quantità non siamo mai stati forti, allora saranno ancora una volta le produzioni di nicchia a salvarci? Ancora una volta per vincere sarà necessario oggi più di ieri investire su noi stessi, valorizzare le relazioni con i clienti e puntare al miglioramento continuo. Lei alla Kiton sta curando il passaggio generazionale, un momento solitamente delicato nella vita di un’azienda. Come procede? Il momento della successione alla Kiton ha tutte le carte in re-

gola per rivelarsi un’importante occasione di evoluzione, rinnovamento e crescita dell’impresa proprio perché si è pensato opportunamente di gestirlo. I problemi sorgono infatti quando tale processo non viene governato. Nel caso della Kiton la seconda generazione sta dimostrando grande passione e senso di responsabilità nel proseguire il progetto avviato dal fondatore Ciro Paone nel 1968. È pur vero che il successo non si trasmette geneticamente, ma i successori del cavaliere Paone stanno dimostrando con forza di avere nel sangue questo progetto lasciando ben sperare nel futuro dell’impresa stessa.

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PIGNATARO: «LA BUONA CUCINA SERVE IL TERRITORIO IN TAVOLA»

LUCIANO PIGNATARO GIORNALISTA, SCRITTORE E FOOD BLOGGER

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ra i tanti ormai on line, il suo blog www.lucianopignataro.it è senz’altro uno dei più seguiti. Cosa ha di diverso la sua vetrina rispetto a quella di altri blogger? Il blog ormai si appresta a compiere i dieci anni di attività. Nel 2004, quando decisi di aprirlo, non aveva ovviamente la forma e le funzionalità di un blog, quanto piuttosto quelle di archivio e di vetrina per le guide e i libri di cui ero autore. Successivamente, con l’aumentare del numero delle visite è diventato quasi un giornale, senza alcuna commistione pubblicitaria, ricco di notizie tratte da fonti certe e, soprattutto, utili. È questo che fa la differenza. Nel web la reputazione è fondamentale. Perchè secondo la sua esperienza il cibo va così forte sui social e sui blog di settore? Si tratta di una moda destinata a fare

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il suo corso o di qualcosa di più profondo? La cultura del cibo è molto radicata nella mentalità italiana. Dopo i sentimenti e lo sport, la gastronomia è il terzo argomento di conversazione tra le persone. Tra l’altro, parlare di cibo a tavola è un costume squisitamente italiano, a riprova dell’importanza che riveste il tema nella nostra vita quotidiana. Naturalmente i social amplificano questa lettura della realtà e, in quanto tali, possono essere molto indicativi e funzionare da ottimi misuratori delle mode e tendenze sociali e psicologiche più in voga in un determinato momento storico. Un esempio semplice per chiarire meglio ciò che intendo dire: se sul mio blog posto la foto di un piatto di paccheri, sicuramente risveglio molto più interesse rispetto a uno scatto di una ricetta esotica; in quest’ultimo caso, infatti, richiamerei l’attenzione solo di appassionati ed esperti. La conclu-


FOCUS ON sione che si può facilmente trarre a questo punto è che siamo – in ambito culinario - un paese conservatore, decisamente poco innovativo. Passiamo alla tavola non raccontata: quali caratteristiche irrinunciabili deve avere un piatto? Un piatto deve essere un po’ come la musica: deve somigliare a una tradizione molto bene eseguita, oppure, deve essere una creazione del tutto originale e geniale. Nel mezzo, purtroppo, ci rientrano solo delle banali caricature. Quanto è importante il "territorio" nella cucina di oggi? Direi che è fondamentale. Il passaggio dalla cultura rurale a quella industriale e commerciale negli anni 60-70 ha influito negativamente anche sulle nostre abitudini di consumo alimentare: per dimostrare infatti di aver raggiunto un certo status symbol, si diffuse nel nostro Paese la moda di mangiare cibi che provenivano da posti geograficamente lontani da noi. Quelli furono gli anni del boom dei salmoni, delle carni argentine, dei kiwi, tanto per citare alcuni dei cibi che in quel periodo arrivarono sulle nostre tavole. Quel tipo di cultura non più contadina, però, slegava il cibo dalla stagionalità e dalla territorialità; un discorso che valse per moltissimi cibi, fatta eccezione per il pesce, alimento che da sempre per il consumatore deve essere di prossimità, forse perché intorno al pescato gravitano paure ancestrali legate al mare. Oggi, dopo i numerosi scandali alimentari, chi fa la spesa è sempre più attento a ciò che compra, privilegiando alimenti, se non di prossimità, quanto meno di rintracciabile provenienza, al punto tale che la grande industria – quella responsabile e di qualità – si sta rapidamente adeguando. Da esperto di pizza, come commenta la "new wave" dei pizzaioli napoletani che stanno spopolando in tutta Italia? Penso a Franco Pepe, Sorbillo e a molti altri... I pizzaioli erano l’ultimo gradino della scala sociale napole-

tana, ma grazie al web 2.0 hanno recuperato anni di svantaggio vedendo notevolmente accresciuta la propria popolarità. Questo discorso vale specie per quelli che hanno virato verso scelte di qualità massima degli ingredienti. In particolare, i napoletani che hanno scelto questa strada si stanno imponendo sugli altri, grazie alla solida tradizione che hanno alle spalle. Una domanda un po’ irriverente: per fare un buon vino meglio una buona uva o una buona penna? È necessaria innanzitutto una buona idea di progetto di vino. Oggi pare che tutto il vino italiano sia buono, anzi - come amano dire i sommelier - “privo di difetti”. Per fare un grande vino, però, occorre avere molto chiaro il progetto verso cui si vuole tendere, occorre fare un prodotto che sia una sintesi riuscita tra l’espressione del territorio e le acquisizioni delle più moderne tecniche enologiche. Una battuta cinica che circola nell’ambiente a mio avviso rende perfettamente l’idea: si dice che per capire quali siano le zone vocate alla coltura dell’amarone, basti vedere le aree che non sono state soggette ad alluvioni. Nessuno studio da fare, insomma…è sufficiente fare una foto aerea. Un’ultima curiosità: nella nostra regione ai fornelli vincono per bravura gli uomini o le donne? Mio padre avrebbe detto che “i grandi cuochi sono tutti uomini”. Oggi questa massima ha però perso smalto, visto che sulla scena si avvicendano bravissime cuoche professioniste che, alla pari dei colleghi uomini, dimostrano di avere stoffa e grandi competenze, anche se buone capacità da sole non sono sufficienti a garantire successo. La cucina, infatti, resta un ambiente molto maschile, di brigata e disciplina, per cui una brava cuoca per affermarsi deve obbligatoriamente essere anche una donna super.

«OGGI, DOPO I NUMEROSI SCANDALI ALIMENTARI, CHI FA LA SPESA È SEMPRE PIÙ ATTENTO A CIÒ CHE COMPRA, PRIVILEGIANDO ALIMENTI SE NON DI PROSSIMITÀ QUANTO MENO DI RINTRACCIABILE PROVENIENZA, AL PUNTO TALE CHE LA GRANDE INDUSTRIA – QUELLA RESPONSABILE E DI QUALITÀ – SI STA RAPIDAMENTE ADEGUANDO». È QUANTO DICHIARATO - IN OCCASIONE DELL'INCONTRO SULL'AGRO-INDUSTRIA DEL 14 GIUGNO SCORSO, TENUTOSI IN CONFINDUSTRIA SALERNO DA LUCIANO PIGNATARO, GIORNALISTA, SCRITTORE E BLOGGER, RISPONDENDO ALLE NOSTRE CURIOSITÀ SULLE ABITUDINI DI CONSUMO ALIMENTARE DEGLI ITALIANI

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AMBIENTE, IL NOBEL DEI RIFIUTI ZERO: «UN PAESE È TANTO PIÙ INQUINATO, QUANTO PIÙ I SUOI APPARATI POLITICI SONO CORROTTI» ROSSANO ERCOLINI PRESIDENTE DI ZERO WASTE EUROPE E DI AMBIENTE FUTURO COORDINATORE DEL CENTRO RICERCA DI CAPANNORI

di Raffaella Venerando

A Rossano Ercolini, vincitore del Goldman Environmental Prize 2013 - premio che non veniva assegnato a un italiano dal 1998 abbiamo chiesto di illustrarci come funziona la Strategia "Rifiuti Zero"

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rofessor Ercolini il suo impegno per l’ambiente, che di recente le è valso anche il premio Goldman in America, è cominciato verso la metà degli anni Settanta, quando fu chiara la sua resistenza alla costruzione di un inceneritore nei pressi dell’edif icio scolastico in cui ai tempi insegnava. Fu allora che ebbe inizio la sua battaglia per una gestione sostenibile dei rif iuti, fu allora che ebbe inizio la strategia Rif iuti Zero. Vorrebbe riprendere per i nostri lettori i punti fondamentali e gli obiettivi che si pone questa sf ida di cui si fa promotore? Più che conseguire degli obiettivi, la strategia Zero Rif iuti vuole indicare una corretta direzione da seguire in merito alla questione rif iuti. Sono dieci i passi fondamentali; innanzitutto, occorre organizzare in modo eff iciente la raccolta differenziata, coinvolgendo e responsabilizzando la comunità; la raccolta, poi, deve essere “porta a porta”, unico metodo che consente di raggiungere gli obiettivi minimi, con quote percentuali superiori al 70 % ; vanno quindi realizzati impianti di compostaggio e riciclaggio per il recupero dei materiali, f inalizzati al reinserimento degli stessi nella f iliera produttiva. Il quinto passo, invece, riguarda iniziative di tipo comunale tese alla riduzione dei rif iuti, come la diffusione del compostaggio domestico, l’utilizzo dei pannolini lavabili in luogo di quelli usa e getta, l’acquisto alla spina di latte, bevande, detergenti, e altri espedienti similari. Un punto importante concerne inoltre il

riuso e la riparazione: vanno creati veri e propri centri per la riparazione e il riuso di beni durevoli, mobili, vestiti, centri in cui tali prodotti vengano riparati, riutilizzati e venduti. L’assunto di base è che nel cassonetto esiste una vera e propria miniera urbana in cui l’industria deve investire perché può rivelarsi una buona via per uscire dalla crisi, come già accaduto in altre parti del mondo, ad esempio in Nord America. Per i cittadini virtuosi va poi pensato – e qui arriviamo al punto 7 – un sistema di tariffazione puntuale che premi chi produce meno rif iuti non riciclabili esortando i cittadini quindi a comportamenti ed acquisti più consapevoli e responsabili. L’ottavo passo, più di altri, ha una sua centralità specif ica: il residuo, piuttosto che andare in discarica, va studiato per migliorare ancora la percentuale di scarto. Tutto ciò che non è riciclabile è un errore di progettazione e, come tale, va ripensato perché il prodotto diventi in futuro completamente biodegradabile. Bisogna coinvolgere i produttori e collaborare con loro perché riprogettino i materiali in modo sostenibile. Proprio per questa f inalità, vanno creati dei centri di ricerca e riprogettazione, come quello di Capannori, in cui studiare con attenzione “la pietra di scarto” e arrivare così all’obiettivo f inale dell’azzeramento totale dei rif iuti nel 2020. Obiettivo ambizioso, certo, ma possibile. Ci crediamo ogni giorno di più. Ciò che non può essere riciclato, quindi,


GREEN ECONOMY non dovrebbe essere affatto prodotto. Come convinciamo il mondo degli industriali della bontà di questo messaggio? I primi sette passi della Strategia Zero Rif iuti dipendono strettamente dall’impegno dei cittadini, gli ultimi tre invece coinvolgono fortemente i produttori, cui si chiede di superare quegli errori di progettazione che impediscono il totale azzeramento dei rif iuti. Oggi, ad esempio, grazie a dei moderni impianti a freddo, siamo in grado di recuperare dalla discarica residui plastici eterogenei e, sottoponendoli ad una linea di estrusione e stampaggio, ricavarne cassette per l’ortofrutta. Potremo dirci soddisfatti solo quando non avremo più alcuna necessità di discarica. È nell’interesse di tutti riuscire in questo intento. Quanti Comuni hanno aderito alla Strategia e con quali risultati? Ad oggi (24 giugno 2013, ndr) sono 135 Comuni per 3 milioni e 520mila abitanti. Esiste la solita forbice nord-sud? A Napoli quale è il trend? No, non ci sono differenze smaccatamente territoriali. A Napoli si è deciso di estendere il porta a porta ad altri 150mila abitanti, ma già i risultati conseguiti da quartieri come Scampia o i Colli Aminei - dove la raccolta si attesta

sul 70 % - sono incoraggianti, segno che se il servizio viene offerto la cittadinanza risponde. E anche con solerzia. Paul Connett, ideatore della strategia Rif iuti Zero, ha più volte dichiarato che esiste un rapporto direttamente proporzionale tra livello di corruzione di un Paese ed inquinamento. Concorda? Impossibile asserire il contrario. Un Paese è tanto più inquinato, quanto più apparati politici - per insipienza o malaffare – risultano corrotti e insensibili al problema ecologico. Più, invece, entra in gioco la comunità, più la cittadinanza è attiva, più l’eff icacia della raccolta differenziata diventa la regola e non l’eccezione. Lo scorso 27 marzo è stata depositata in Corte di Cassazione la Legge d’iniziativa popolare sui Rif iuti Zero, che ha come obiettivo la riforma organica del sistema di raccolta e smaltimento dei rif iuti. Come è articolata questa proposta e a che punto è l’iter di approvazione? Proseguono le giornate nazionali per raccogliere le f irme. Al momento sono oltre 60.000 quelle già depositate. Conf idiamo nella collaborazione di politici attenti, ma a prescindere dal buon esito della proposta, la sola raccolta delle f irme è stato un momento di notevole importanza per diffondere, coinvolgere e sensibilizzare i cittadini sull’urgenza di cambiare totalmente registro in materia di rif iuti.

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ECOMAFIE E MARE MOSTRUM, LA CAMPANIA PRIMA PER ILLECITI

MICHELE BUONOMO PRESIDENTE LEGAMBIENTE CAMPANIA

di Raffaella Venerando

La provincia di Salerno è addirittura prima in Italia per numero di reati con 1809 infrazioni, seguita a ruota da Napoli con 1501 illeciti, anche se la provincia del capoluogo si colloca al primo posto tra tutte le altre italiane per l’illegalità nel ciclo dei rifiuti, con 303 infrazioni e 180 sequestri. Seconda Salerno con 143 infrazioni e 58 sequestri effettuati

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ono cifre da capogiro quelle contenute nei due Rapporti di Legambiente. In quello sulle Ecomafie 2013 salgono a 4.777 i reati, con 3428 tra persone denunciate e arrestate e 1153 sequestri. Sconcertante poi il volume di affari: 4,5 miliardi di euro gestiti da ben 83 clan numeri che raccontano le storie di veri e propri assalti mafiosi all'ambiente, specie in Campania anche quest’anno maglia nera assoluta sia per il ciclo illegale del cemento che per quello dei rifiuti con 758 infrazioni accertate, 17 persone arrestate, 746 quelle denunciate e 340 sequestri effettuati. Ma c’è di più: la provincia di Salerno è addirittura prima in Italia per numero di reati con 1809 infrazioni, seguita a ruota da Napoli con 1501 illeciti, anche se la provincia del capoluogo si colloca al primo posto tra tutte le altre italiane per l’illegalità nel ciclo dei rifiuti, con 303 infrazioni e 180 sequestri. Seconda Salerno con 143 infrazioni e 58 sequestri effettuati. Sale al terzo posto la provincia di Benevento con 114 infrazioni e 107 persone denunciate. Chiudono Caserta e Avellino con 99 infrazioni accertate. Una bomba ad orologeria che ha subito attirato l’attenzione del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando il quale, tra le priorità legislative del suo ministero, ha scelto proprio i temi della difesa del suolo, dell’acqua come bene comune e della revisione delle sanzioni per i reati contro l’ambiente. A Michele Buonomo, Presidente di Le-

gambiente Campania abbiamo chiesto quali sono le principali responsabilità e cause della sempre crescente aggressione ambientale, un vero e proprio scempio che da vent’anni si perpetua nei nostri territori. Presidente, due rapporti di Legambiente – quello sulle Ecomafie e Mare Mostrum – danno inizio all’estate fotografando un mare di illegalità di cui i nostri territori sono vittime… Non a caso, infatti, i due rapporti sono pubblicati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Mare Mostrum, nello specifico, è un po’ una costola del più generale rapporto sulle Ecomafie poiché ne approfondisce un aspetto particolare: quello relativo alla aggressione alla costa Italiana. Si tratta infatti di un fenomeno in costante crescita, nonostante le azioni di contrasto messe in campo da Forze dell’Ordine, Magistratura e, naturalmente, forze sociali e cittadini. Nella categoria eterogenea di reati e attentati alla bellezza e alla salubrità dei nostri mari si va dalla pesca di frodo, alle violazioni del codice di navigazione, dall’abusivismo edilizio al deficit di depurazione di scarichi fognari. Negli ultimi due anni si è assistito ad un aumento costante, per un numero totale di reati che supera i 13000, vale a dire quasi due reati per km di costa. La Campania – come per il Rapporto Ecomafie – si conferma tristemente leader, con 2.101 infrazioni, ovvero il 15,2% del totale nazionale, pari a 4, 5 infrazioni per ogni km di costa, con 2.423 persone


GREEN ECONOMY

denunciate e arrestate e 753 sequestri effettuati. Seguono a ruota le altre regioni interessate dai fenomeni di presenza mafiosa: nell’ordine Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna e Lazio. Può farci un esempio di delitto contro il nostro patrimonio paesaggistico? Le riporto uno spiacevole episodio verificatosi nelle scorse settimane e che riguarda la spiaggia di Eboli, dove si era messo in moto uno sbancamento selvaggio dell’area dunale per fare posto a un parcheggio. Fortunatamente la tempestiva denuncia di cittadini e di Legambiente ha impedito che fosse portata a compimento. Una testimonianza tangibile di come la mano lunga della criminalità organizzata si sia spostata dalla terraferma al mare. Ma le responsabilità di questi reati a chi sono ascrivibili? A una non efficiente azione di contrasto o ad una ottima organizzazione criminale? Guardi, le Forze dell’Ordine si scontrano con difficoltà spicciole, come mettere il carburante nei mezzi…

Fondamentale sarebbe che ciascun soggetto a vario titolo coinvolto facesse responsabilmente la propria parte. Lo Stato centrale dovrebbe dare maggiori risorse alle Capitanerie di porto per le azioni di prevenzione, la Regione dovrebbe vigilare di più sui sistemi di raccolta differenziata e i Comuni non ricordarsi del mare solo due mesi all’anno. Quali le prossime iniziative di Legambiente Campania? Nei mesi di luglio e agosto parte Riciclaestate, la campagna di sensibilizzazione e raccolta differenziata giunta al suo ottavo anno nelle località costiere del salernitano, della provincia di Napoli e del casertano realizzata con il contributo del Conai, e si prosegue con l’arrivo della Goletta Verde di Legambiente, la campagna itinerante di analisi e di informazione sullo stato salute delle acque di balneazione con tappe a Sapri, Marina di Camerota, Acciaroli e Castellammare di Stabia. Quest’anno poi abbiamo esportato Riciclaestate anche in Liguria come esempio di buona pratica, a testimonianza che qualcosa di pulito, trasparente e positivo siamo capaci di farlo anche in Campania. 31


NUOVA DIRETTIVA UE SULLE CONCILIAZIONI, RITORNA NEL NOSTRO PAESE LA MEDIAZIONE LILIANA CICCARELLI AVVOCATO > DIREZIONE NAZIONALE CITTADINANZATTIVA

Basta con la politica del rinvio che danneggia l'economia e la certezza dei diritti

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E

ra nell’aria e ora è diventato realtà: il Paese ha scelto di fare ritorno alla mediazione obbligatoria. Lo avevano chiesto, infatti, a gran voce i Saggi di Napolitano, il Governatore della Banca D’Italia, la Commissione Europea, Confindustria, e naturalmente i 900 e oltre organismi di mediazione, giuristi e magistrati e altri. Quattro milioni di cause civili (nei diversi gradi) pendenti non sono certo un dato trascurabile, così l “decreto del fare” ha preso atto della necessità di tornare a valorizzare strumenti di risoluzione alternativa delle controversie al fine di rimuovere alcuni tra i tanti ostacoli alla ripresa economica. Oltre alle soluzione già previste nella mediazione “prima maniera”, ci saranno 400 giudici non togati per lo smaltimento del contenzioso pendente presso le Corti di Appello. Anche i cittadini /utenti del servizio giustizia si erano fatti sentire in occasione della consultazione sul libro verde della qualità degli organismi di mediazione. La richiesta di un incontro preliminare informativo per la verifica di spazi di effettiva negoziazione, ad esempio, era tra le proposte di Cittadinanzattiva ; tuttavia nel momento in cui l’incontro assolve al tentativo obbligatorio cambia natura e non serve più a misurare preliminarmente gli spazi di negoziazione possibile. Se l’incontro fosse invece di effettiva sola programmazione e informazione, forse si faciliterebbe il percorso di incontro tra le parti. Tra le modifiche alla mediazione così come era stata concepita all’origine, si rintracciano anche una attenuazione dei costi e una

maggiore valorizzazione della mediazione delegata dal giudice. Si riducono, inoltre, i tempi per lo svolgimento della stessa - da quattro a tre mesi - in linea con la tempistica prevista dalla nuova Direttiva Europea. La questione focale da monitorare con attenzione, però, adesso è un’altra: al di là delle valutazioni sui piccoli aggiustamenti voluti e attuati, è chiaro che a questo punto un secondo fallimento dello strumento non sarebbe sostenibile non solo per gli organismi di mediazione ma per il sistema giustizia e per il Paese. Il testo del decreto potrebbe essere rivisto in fase di conversione, ma ciò che conta davvero è non ricadere nella spirale delle battaglie già viste in questo momento storico davvero superflue e deleterie. La garanzia del “non si torna più indietro” questa volta sembra essere, per l’intero decreto, il testo della lettera con la quale l’Europa ha notificato lo scorso maggio la fuori uscita dalla procedura di infrazione a condizione però di implementare sei raccomandazioni tra le quali appunto la riforma per una importante riduzione delle controversie giudiziarie (nel complessivo miglioramento dell’efficienza della Pubblica amministrazione, anche con una semplificazione del quadro regolamentare nei confronti di cittadini e imprese, si indica la necessità di accelerare i tempi della giustizia civile, di rinforzare le norme anticorruzione e di migliorare l'uso dei fondi europei nelle regioni del Sud, ndr). Cosa accade invece per le conciliazioni paritetiche? Ci auguriamo pertanto che la reintroduzione della mediazione con i “correttivi” previsti di


LOBBYING natura economica e tecnica trovino oggi ascolto e piena accettazione. Nel frattempo arriverà il 2015 anno entro il quale saremo obbligati a recepire una nuova direttiva comunitaria pubblicata oggi in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europee http://eur-lex. europa.eu sulle controversie di consumo, e magari saremo tutti un po’ più maturi e consapevoli della “posta in gioco”. La tutela del consumatore da oltre 20 anni ruota attorno alla sperimentazione delle conciliazioni e forse questo è proprio uno dei settori rispetto al quale le Associazioni di consumatori hanno giocato un ruolo d’avanguardia che però deve adesso trovare nuovo slancio proprio a partire dalla Direttiva ADR che all’art 6 dedicato alla descrizione del principio di indipendenza e imparzialità chiarisce che “Il presente paragrafo non si applica qualora le persone fisiche interessate facciano parte di un organismo collegiale composto da un numero uguale di rappresentanti dell’organizzazione professionale e dell’associazione di imprese da cui sono assunte o retribuite e delle organizzazioni dei consumatori”. É una conferma quindi che il requisito di indipendenza è rispettato

anche dal modello della conciliazioni paritetica in cui sono rappresentati gli interessi delle parti proprio da persone fisiche dipendenti di aziende e/o associazioni di consumatori. Ad assicurare indipendenza ed imparzialità, collegialità e rappresentanza paritaria degli interessi azienda/consumatori. In un contesto che vede il proliferare di forme e modelli di ADR (vedi ad esempio l’arbitro bancario e finanziario, servizio conciliazione settore energia) anche il modello consolidato delle conciliazioni paritetiche potrebbe trovare un ruolo “codificato” nella direzione di un accesso alla giustizia alternativa di prima istanza prevedendo un ancoraggio a istituti di ADR gestiti da Autorità di settore che potrebbero svolgere una seconda istanza in caso di esito negativo della conciliazione paritetica e divenire così gli organismi descritti dalla nuova direttiva. Muovendosi bene lungo questa direttrice, potremmo recepire la nuova direttiva comunitaria in maniera organica e coerente con l’esperienza maturata da anni in Italia nel settore delle controversie di consumo.

LA MEDIAZIONE CIVILE CAMBIA ANCORA

É

una storia infinita quella della mediazione civile e commerciale che aiuta anche a capire perché secondo il rapporto Doing Business 2013 della Banca Mondiale, «’Italia è al 73° posto su 185 Paesi nella classifica riguardante la facilità di fare impresa. Tra i Paesi dell’Area Euro, solo Grecia e Malta occupano una posizione peggiore». L’indicatore Easy of Doing Business è la sintesi di dieci variabili che insieme determinano la facilità di fare impresa in un sistema economico. Una delle dieci variabili è la gestione delle controversie commerciali che per l’Italia contribuisce in maniera significativa a far precipitare il Paese nei posti bassi della classifica. Dal 2010 in Italia si sta cercando di introdurre in maniera organica un sistema di giustizia alternativa che ha le sue radici in oltre 20 anni di attività di risoluzione extragiudiziale delle controversie di consumo da parte di diversi attori (associazioni di consumatori, camere di commercio) ma non c’è niente da fare! Non riusciamo proprio ad immaginare una giustizia civile efficiente, come se il fatto che all’improvviso i tribunali civili inizino a funzionare ci facesse sentire persi. Sembra quasi una specie di Made in Italy al quale proprio non riusciamo a rinunciare. Eppure si può. Peraltro lo richiede con insistenza l’Europa con una martellante iniziativa legislativa in particolare in tema di controversie di consumo. Entro il 2015 dovremo recepire una nuova direttiva europea in materia di ADR di consumo, sarà di nuovo battaglia? La mediazione, allo stato attuale e dopo la protesta/sciopero degli avvocati, diventa nei fatti una sperimentazione essendo stata prevista l’obbligatorietà per quattro anni, che potrebbero anche essere di meno in caso di monitoraggio negativo dell’istituto svolto dal Ministero della Giustizia. Un altro dei “risultati” ottenuti dalle ultime modifiche apportate è l’obbligatorietà della presenza dell’avvocato in mediazione nei casi di prevista obbligatorietà della stessa. La previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza tecnica degli avvocati in sedi stragiudiziali era stata segnalata con preoccupazione dall’Antitrust al Governo già nel settembre 2009, in ragione “dell’incidenza significativa sui costi delle procedure amministrative, conciliative e stragiudiziali, con ripercussioni negative sui cittadini e sulle imprese”. Nel mondo reale, quello dove vivono i consumatori, alcuni problemi si risolvono brillantemente anche senza l’assistenza di un avvocato. Basti pensare alle conciliazioni paritetiche, all’Arbitro Bancario e Finanziario, al sistema di conciliazione delle Camere di Commercio, al tentativo obbligatorio di conciliazione presso i Corecom nel settore delle telecomunicazioni o al ricorso al Servizio di conciliazione nel settore dell’energia dell’Autorità dell’energia elettrica e del gas. Impossibile ad oggi non trarre da questa vicenda l’amara constatazione di un Paese che, investito da una crisi economica pazzesca, riesce a partorire mezze soluzioni e compromessi anacronistici. La politica del rinvio (vedi Imu e IVA) e delle ritirate strategiche (vedi mediazione) è davvero l’emblema dell’incertezza e del tergiversare che danneggiano l’economia e la certezza dei diritti più di ogni altra cosa.

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ABUSI EDILIZI: LA NOVITÀ NASCOSTA NELLA LEGGE FINANZIARIA REGIONALE LUIGI M. D’ANGIOLELLA AVVOCATO AMMINISTRATIVISTA studiodangiolella@tin.it

Non solo abbattimento: i vantaggi anche sociali della nuova norma saranno possibili per quei Comuni che approveranno un regolamento entro 90 giorni dalla entrata in vigore della legge, e cioè entro il 6 agosto 2013

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L

a legge f inanziaria regionale (L.R. 5 del 6 maggio 2013, in BURC n° 24 del 7 maggio 2013), al comma 65 dell’art. 1, senza clamori, introduce importanti novità sul tema della abusivismo edilizio. Si tratta di materia molto sensibile per molti comuni campani, che si trovano molto spesso di fronte ad abusi di necessità, talvolta dovuti anche ad una confusa e frammentaria legislazione urbanistica. La questione si è poi di recente aggravata, visto la recrudescenza di abbattimenti dovute a sentenze penali passate in giudicato che recano come pena accessoria la demolizione dell’abuso. L’intervento delle Procure in questi anni, accanto a meritorie opere di bonif ica verso costruttori senza scrupoli, ha portato anche ad eseguire sentenze relative a case modeste lasciando inerme cittadini spesso poco attenti a difendersi, o senza le necessarie risorse per poter accedere a procedure di condono. Dopo alcuni tentennamenti nella prima versione della legge regionale sul Piano Casa (L.R.19/09, poi modif icata con la L.R.1/11), ora la L.R. n° 5 del 2013 introduce una norma che sicuramente offre una soluzione, mantenendo sostanzialmente inalterata la sanzione, ma permettendo ai Comuni uno spazio politico, utilizzando correttamente le risorse. E infatti, in base alla legge ordinaria statale, l’abuso, una volta acquisito al patrimonio del Comune, deve essere abbattuto a spese del cittadino che lo ha commesso. L’art. 31 del Testo Unico edilizia (DPr

380 (2001), al comma V, già prevedeva che l’opera acquisita poteva essere conservata al patrimonio solo se con delibera consiliare si fosse dichiarato l’esistenza di prevalenti interessi pubblici. Tale norma ha portato talvolta i Consigli Comunali a conservare l’abuso, per adibirlo ad esempio, a scuola o a biblioteca. Il comma 65° dell’art. 1 della legge regionale 5 del 2013, partendo da questo presupposto di legittimità della legge nazionale, introduce una forte novità. Esso dispone che «per favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all ’articolo 7 della legge regionale 28 dicembre 2009, n. 19 (Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa), gli immobili acquisiti al patrimonio dei Comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell ’ edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell ’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), nonché dei programmi di valorizzazione immobiliare anche con l ’assegnazione in locazione degli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, o a programmi di dismissione immobiliare. In tal caso il prezzo di vendita di detti immobili, stimato in euro per metro


NORME E TRIBUTI quadrato, non può essere inferiore al doppio del prezzo fissato per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. I Comuni stabiliscono, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e nel rispetto delle norme vigenti in materia di housing sociale di edilizia pubblica riguardanti i criteri di assegnazione degli alloggi, i criteri di assegnazione degli immobili in questione, riconoscendo precedenza a coloro che, al tempo dell ’acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non dispongono di altra idonea soluzione abitativa, nonché procedure di un piano di dismissione degli stessi». La norma permette dunque: · di non abbattere tutti gli abusi, distinguendo gli alloggi funzionalmente completi, per lo più di necessità, conservandoli per f ini degni e per una causa pubblica, che è quella di assicurare un alloggio a persone bisognose; · di locare o vendere l’immobile per le f inalità f issate dal

Piano Casa per l’edilizia residenziale sociale, a persone bisognose, con precedenza a coloro che, a parità di condizioni, occupino l’immobile; · rende legittimi degli immobili presenti sul territorio, guadagnando in f iscalità; · ottimizza le risorse pubbliche, perché il Comune vende o f itta, guadagnando, e nel contempo risparmia aree libere per realizzare edilizia residenziale sociale utilizzando un patrimonio edilizio esistente per le stesse f inalità; · non “sana” alcunché, lasciando inalterata la sanzione sociale oltre che giuridica, visto l’alto prezzo che l’eventuale occupante dovrà pagare (il doppio del valore dell’immobile secondo i parametri dell’edilizia sociale). Si segnala, inf ine, che i Comuni interessati devono approvare un regolamento entro 90 giorni dalla entrata in vigore della legge, e cioè entro il 6 agosto 2013.

LA NUOVA DIRETTIVA EUROPEA IN MATERIA DI ADR NEI RAPPORTI CON I CONSUMATORI

MARCO MARINARO AVVOCATO CASSAZIONISTA MEMBRO ABF ROMA

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el mentre si attende la conferma della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del cosiddetto Decreto “del fare” (approvato dal Governo il 15 giugno 2013) che contiene una serie di misure straordinarie volte a migliorare l’efficienza della giustizia civile, in particolare reintroducendo la mediazione obbligatoria alla quale vengono apportate talune modifiche ad aspetti procedurali, giunge in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 18 giugno 2013 dopo un lungo e complesso iter l’attesa Direttiva “sulla risoluzione alternative delle controversie dei consumatori” (n. 11/2013) e il Regolamento “sulla risoluzione

delle controversie online dei consumatori” (n. 524/2013). LA DIRETTIVA UE SULLA MEDIAZIONE DELLE CONTROVERSIE CIVILI E COMMERCIALI Sarà utile ricordare che la prima Direttiva UE in materia di ADR - e più precisamente in tema di mediazione - era stata adottata il 21 maggio 2008 (n. 52/2008) e in attuazione della stessa era stato introdotto nell’ordinamento italiano per la prima volta un esteso sistema di mediazione finalizzato alla conciliazione delle liti civili e commerciali (D.lgs. 4 marzo 2010, > 35


SI APRE COSÌ UN NUOVO E INTENSO PERCORSO CULTURALE CHE NEI PROSSIMI DUE ANNI È DESTINATO RISCRIVERE IN ITALIA ED IN EUROPA IL RAPPORTO TRA SISTEMI DI ADR E SISTEMA GIURISDIZIONALE IN UNA LOGICA DI COMPLEMENTARIETÀ PER UN MIGLIORE ACCESSO ALLA GIUSTIZIA

n. 28) che proprio con il recente Decreto “del fare” è stato oggetto di ulteriori modifiche con l’obiettivo di ottenerne una sua ampia utilizzazione quale filtro all’azione giudiziale.

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LA DIRETTIVA UE SULL’ADR NEI RAPPORTI CON I CONSUMATORI Esattamente cinque anni dopo, il 21 maggio 2013, è stata adottata la seconda Direttiva (n. 11/2013) questa volta in materia di ADR (e, quindi, non solo in tema di mediazione), ma esclusivamente per i consumatori. Quindi se da un lato si amplia l’approccio alle tematiche relative alla composizione delle controversie mediante procedimenti “alternativi” alla giurisdizione ordinaria allargandone notevolmente le prospettive, dall’altro si limita l’ambito di applicazione degli stessi ai rapporti con i consumatori operando una scelta che da sempre caratterizza la normazione europea nella materia che riguarda la semplificazione dell’accesso alla giustizia nei Paesi dell’Unione. La nuova Direttiva dunque mira ad introdurre «procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, nazionali e transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi tra professionisti stabiliti nell’Unione e consumatori residenti nell’Unione» e ciò attraverso organismi ADR che propongano o impongano o riuniscano le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole. Si tratta perciò di un sistema destinato ai rapporti tra imprese e consumatori che offre un ampio ventaglio di opportunità extragiudiziali che comprendono procedure di tipo propriamente aggiudicativo, misto e specificamente facilitativo. Si pensi ad istituti già presenti nell’ordinamento quali, ad esempio, l’arbitrato rituale, da un lato, e la mediazione, dall’altro, e ad esperienze intermedie che costituiscono vere e proprie best practice internazionali quali le negoziazioni paritetiche (per le controversie dei consumatori) e l’Arbitro Bancario Finanziario (per le liti tra consumatori ed intermediari in relazione alle problematiche attinenti ai rapporti bancari). Un sentiero già percorso i cui dati statistici rassicurano consumatori e imprese collocandosi in quel percorso culturale volto a risolvere le controversie in una prospettiva condivisa, utile 36

a migliorare i rapporti tra le parti piuttosto che a reciderli. Appare evidente che l’attuazione della Direttiva (il cui termine è fissato per il 9 luglio 2015) richiederà al legislatore la creazione di un vero e proprio sistema di ADR nel quale far confluire gli strumenti già esistenti e primo tra tutti la mediazione, oltre a dare un deciso impulso anche alla creazione di nuove forme di ADR in altri settori nevralgici per i consumatori. Si pensi, per tutte, alle liti in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli che costituisce una materia sottratta alla mediazione obbligatoria, ma per la quale l’IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni), a seguito di un incontro con le associazioni dei consumatori, ha ribadito l’importanza di introdurre un sistema di ADR per offrire agli assicurati un'alternativa più rapida ed economica rispetto al ricorso al giudice e per realizzare un effetto deflattivo del contenzioso e dei relativi costi. Al riguardo le associazioni hanno vivamente auspicato la creazione di un organismo analogo all’Arbitro Bancario Finanziario che si è rivelato efficace e largamente utilizzato. Quindi modelli di ADR destinati a circolare adeguandosi alle specifiche esigenze settoriali delle controversie alle quali sono destinati. Peraltro, proprio l’organizzazione burocratica posta a presidio della mediazione costituirà sicuramente un utile punto di partenza per la riorganizzazione del sistema. È inevitabile ad esempio che la creazione degli “organismi ADR” previsti dalla nuova Direttiva debba coordinarsi e anche avvalersi del preesistente sistema degli “organismi di mediazione” raccogliendo le norme e le esperienze positive maturate e avviando un percorso di riordino ripensato proprio alla luce delle nuove norme europee. L’ampia gamma dei sistemi di ADR attualmente in essere nell’UE (ne sono stati rilevati almeno 750) e di quelli che potenzialmente potranno essere creati anche sulla spinta delle nuove norme, ha impegnato il legislatore europeo nell’articolare la Direttiva fissando princìpi che potessero essere validi con un ampio spettro non soltanto geo-culturale, ma anche procedimentale. È ben chiaro che adottare regole che potessero codificare le competenze, l’indipendenza e l’imparzialità per le “persone fisiche incaricate dell’ADR” (considerata la profonda diversità ad es. tra mediazione e arbitrato) ha richiesto un notevole sforzo che è pervenuto a risultati di notevole interesse e che adesso si apriranno al confronto tecnico-culturale in sede di attuazione nazionale. Vengono ribaditi e fissati i princìpi cardine dei procedimenti di ADR: trasparenza, efficacia ed equità, ma anche libertà e legalità. Si apre così un nuovo e intenso percorso culturale che nei prossimi due anni è destinato riscrivere in Italia ed in Europa il rapporto tra sistemi di ADR e sistema giurisdizionale in una logica di complementarietà per una migliore accesso alla giustizia. IL REGOLAMENTO UE SULL’ODR NEI RAPPORTI CON I CONSUMATORI A tal fine riveste un indubbio interesse il Regolamento UE n. 524/2013 sull’ODR (Online Dispute Resolution) per i consu-


NORME E TRIBUTI matori, approvato il medesimo giorno della Direttiva (21 maggio 2013) e pubblicato nella GUCE il 18 giugno 2013, che disciplina le modalità operative della piattaforma online istituita dalla Commissione UE quale unico punto di accesso per consumatori e professionisti allo scopo della risoluzione stragiudiziale delle controversie tra loro insorte e relative ad obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi online. Rapidità, efficacia ed economicità sono le chiavi degli strumenti di ODR e con il Regolamento n. 524/2013 si crea un sistema che diverrà il punto di riferimento unico in Europa per la soluzione delle liti derivanti dall’acquisto di beni o servizi online anche (e soprattutto) nei casi in cui il fornitore sia stabilito in uno Stato diverso da quello di residenza del consumatore. Si prevede infatti con questo strumento anche il superamento delle barriere linguistiche che spesso costituiscono un serio ostacolo alla soluzione delle controversie transfrontaliere (la piattaforma ODR sarà dotata dei necessarie funzioni di traduzione). Per attivare la procedura sarà sufficiente presentare un reclamo alla piattaforma ODR compilando un modulo di reclamo elettronico. Le sole informazioni contenute nel reclamo consentiranno di

determinare automaticamente l’organismo ADR competente. Il procedimento non potrà superare la durata di 30 giorni e, in caso di mancato accordo, il ricorrente sarà contattato da un assistente ODR per ottenere informazioni generali su altre forme di tutela. LE PROSPETTIVE DEI SISTEMI DI ADR IN ITALIA Prosegue così incessante l’evoluzione e la diffusione a livello normativo e culturale dei metodi stragiudiziali di soluzione delle controversie in ambito civile in virtù della forza propulsiva espressa senza sosta dall’UE. Un percorso che ormai arriva da lontano e che gradualmente sta penetrando nel tessuto socio-culturale e tecnico-giuridico in Europa e anche in Italia. La giurisdizione dello Stato assume sempre più il ruolo di ineludibile argine per la soluzione dei conflitti, assume sempre più i contenuti di una giurisdizione minima che interviene per risolvere soltanto in via di extrema ratio le controversie, le quali potranno trovare soluzioni più rapide, durature, efficaci, economiche, condivise, mediante sistemi “alternativi” (ma che sono in vero “complementari” alla giurisdizione) che meglio si adeguano agli interessi delle parti in contesa.

IL DECRETO DEL FARE E LE NORME PER UNA GIUSTIZIA CIVILE EFFICIENTE

Approvate dal Governo nuove misure straordinarie per accelerare i processi e smaltire l ’arret rato accumulato

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ella conferenza stampa che ha fatto seguito alla riunione del Consiglio dei Ministri che il 15 giugno 2013 ha approvato il decreto-legge “del fare”, il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha chiarito che la grave situazione nella quale versa la giustizia civile italiana in relazione alla lentezza dei processi e all’arretrato accumulato costituisce la ragione dell’urgenza con la quale si è inteso intervenire con una “terapia d’urto”. LA TERAPIA D’URTO La terapia adottata dal Governo - che peraltro è intervenuta anche a sorpresa su alcuni istituti, come ad esempio la mediazione - si muove

principalmente lungo quattro direttrici. La prima riguarda l’azzeramento dell’arretrato dei processi civili concentrato presso le Corti di Appello (c.d. output); la seconda attiene all’adozione di un filtro preliminare ai processi che dovrebbe consentire il deflazionamento dovendo incidere sulla riduzione dei futuri e potenziali processi (c.d. input); la terza introduce modifiche al sistema processuale finalizzate a rendere più rapido ed efficiente il giudizio civile; la quarta, infine, mira a creare un habitat d’impresa più accogliente per gli investitori nazionali e internazionali fondato sulla certezza del credito. L’intero pacchetto mira nel quinquennio 2013-2017 ad una complessi- > 37


va riduzione delle pendenze complessive di almeno un milione di processi civili oltre che ad un progressivo e fisiologico riequilibrio del rapporto tra domanda e offerta di giustizia.

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1. LE MISURE PER LA RIDUZIONE DELL’ARRETRATO In relazione allo sfoltimento del notevole arretrato accumulato dei processi civili – inclusi quelli in materia di lavoro e previdenza – la misura adottata dal Governo prevede la nomina di 400 giudici ausiliari (non togati) che con un mandato quinquennale (rinnovabile per un altro quinquennio) saranno chiamati a comporre i collegi delle Corti di Appello e a contribuire alla definizione più rapida del contenzioso. I giudici onorari saranno selezionati tra magistrati a riposo, professori universitari e ricercatori in materie giuridiche, avvocati e notai anche a riposo. Accanto a questo provvedimento e sempre nella logica di smaltire il contenzioso pregresso, ma anche per rendere più efficiente tout court il processo, viene costituito una sorta di “ufficio del giudice” mediante l’attivazione di stage formativi di giovani laureati in giurisprudenza presso gli uffici giudiziari. La norma prevede una serie di requisiti di merito, di onorabilità, di età, per poter accedere ad uno stage della durata di diciotto mesi. Ogni magistrato potrà essere affiancato da un massimo di due stagisti per assisterlo e coadiuvarlo nel compimento delle attività ordinarie. Lo stage è gratuito anche se l’esito positivo dello stesso comporta per lo stagista una serie di opportunità (ad es. costituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario, ed è valutato per il periodo di un anno quale periodo sostitutivo del tirocinio per la professione forense o notarile ed anche per la frequenza della scuola di specializzazione per le professioni legali, etc.). Un ulteriore supporto per lo smaltimento dell’arretrato viene introdotto anche per la Corte di Cassazione ove è prevista la nomina di magistrati assistenti di studio mediante il temporaneo inserimento di trenta magistrati ordinari nella pianta organica della Suprema Corte. 2. IL FILTRO DELLA MEDIAZIONE STRAGIUDIZIALE Con riguardo al deflazionamento in fase di accesso al sistema della giustizia ordinaria, il decreto “del fare” ripropone la mediazione finalizzata alla conciliazione delle liti civili e commerciali quale condizione di procedibilità delle azioni giudiziali. È noto che alcuni mesi or sono - con la sentenza n. 272/2012 - la Corte costituzionale aveva decretato la illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria a causa di un eccesso di delega legislativa (era stata introdotta con un decreto legislativo privo della necessaria copertura parlamentare in quanto la legge delega non l’aveva prevista in maniera espressa), ma con una chiara raccomandazione del 29 maggio 2013 il Consiglio dell’Unione Europea aveva poi precisato che “per migliorare il contesto in cui operano le imprese occorre completare la riforma della giustizia civile dando rapidamente attuazione alla riorganizzazione dei tribunali, abbreviando la durata eccessiva dei procedimenti e ridu38

cendo il volume dell’arretrato e il livello di contenzioso. A seguito della sentenza della Corte costituzionale dell’ottobre 2012 sulla mediazione, è necessario intervenire per promuovere il ricorso a meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie”. Per tale ragione l’Italia è chiamata a dare seguito alla raccomandazione in base alla quale siano adottati provvedimenti nel periodo 2013-2014 al fine di: “abbreviare la durata dei procedimenti civili e ridurre l’alto livello di contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie”. In questa direzione si muove il nuovo provvedimento normativo che ripristina la mediazione obbligatoria (escludendo dalle materia già originariamente previste soltanto le controversie relative alla responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti) e introduce una serie di correttivi e innovazioni di peculiare rilievo. Si segnalano in particolare la riduzione della durata massima del procedimento di mediazione (che da 4 mesi passa a 3 mesi) e la previsione – per i processi civili già in corso o per quelli che saranno instaurati – in capo al giudice del potere di disporre l’esperimento del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità nel corso del processo (in precedenza il giudice poteva soltanto limitarsi ad invitare le parti a tentare la mediazione in sede stragiudiziale, ma occorreva sempre la disponibilità delle stesse per l’espletamento del procedimento). 3. LA SEMPLIFICAZIONE DELLE NORME PROCESSUALI Lungo la terza direttrice, si segnalano alcune norme particolarmente interessanti che incidono sul codice di procedura civile. La prima è quella che disciplina la “divisione a domanda congiunta” (introducendo l’art. 791-bis c.p.c.). Si tratta di un procedimento semplificato (e quindi più rapido) che può essere attivato qualora vi sia una divisione da effettuare e non sussista controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali. La domanda può essere proposta non solo dai comproprietari, ma anche dagli eventuali creditori e aventi causa che hanno notificato o trascritto l’opposizione alla divisione. Il giudice, con decreto, nomina il notaio eventualmente indicato dalle parti e, su richiesta di quest’ultimo, nomina un esperto estimatore. Altre importanti modifiche sono quelle che prevedono la semplificazione della motivazione della sentenza civile (che è finalizzata a rendere più snella l’attività decisionale dei magistrati e quindi a velocizzare il deposito delle sentenze) e la previsione (con l’inserimento dell’art. 185-bis c.p.c.) che dispone che il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, è chiamato a formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Si introduce per la prima volta nell’ordinamento una norma che obbliga il giudice non a tentare la conciliazione, ma a formulare una vera e propria proposta che consenta la composizione della controversia. Peraltro, il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, è destinato ad avere conseguenze negative nell’esito del giudizio in quanto costituisce comportamento valutabile a tal fine.


NORME E TRIBUTI 4. LA TUTELA DEI CREDITI DELLE IMPRESE In relazione alla quarta linea di intervento, il Governo ha introdotto modifiche indirizzate a rendere maggiormente accogliente l’habitat giudiziario per le imprese che intendono investire in Italia. Viene così istituito un foro speciale per le società con sede all’estero. Infatti, tutte le cause civili nelle quali è parte, una società con sede all’estero e priva nel territorio italiano di sedi secondarie con rappresentanza stabile, dovranno essere trattate presso gli uffici giudiziari di Milano, Roma e Napoli (con distribuzione territoriale corrispondente al nord, centro e sud). L’obiettivo è chiaramente quello di garantire una maggiore prevedibilità delle decisioni e ridotti costi logicistici. Vengono poi apportate modifiche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, prevedendo che il giudice quando vi è opposizione debba fissare la prima udienza non oltre trenta giorni, decidendo in quella sede sulla provvisoria esecuzione. E infine, il decreto incide anche sul cosiddetto concordato in bianco. L’istituto era stato introdotto nel 2012 per consentire alle imprese in crisi di evitare il fallimento salvando il patrimonio dalle azioni dei creditori. Al fine di evitare condotte abusive registrate nella prassi (mediante la presentazio-

ne di domande strumentali e cioè finalizzate solo a dilazionare il fallimento ormai inevitabile), si è stabilito che l’impresa non potrà più limitarsi a presentare in tribunale una semplice domanda in bianco, ma dovrà depositare l’elenco dei suoi creditori. Il tribunale potrà poi nominare un commissario giudiziale, che controllerà se l’impresa in crisi si è davvero attivata per predisporre una seria proposta di pagamento ai creditori. Eventuali atti in frode ai creditori comporteranno la chiusura della procedura. LE REAZIONI Di segno opposto sono state le reazioni a caldo dei vari operatori e utenti del sistema giustizia in ordine alle nuove norme che tuttavia entreranno in vigore soltanto decorsi trenta giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del decreto. I tempi previsti per la conversione dovrebbero essere brevi al fine di adempiere ad uno specifico obbligo posto dall’UE, ma non possono escludersi modifiche alcune delle quali appaiono opportune per migliorare la chiarezza del dettato normativo allo scopo di evitare quanto meno complesse problematiche interpretative che rischiano di creare autonome ragioni di contenzioso.

IL RILANCIO DEGLI INVESTIMENTI PREVISTO DAL DECRETO DEL FARE

ANTONIO PILUSO > DOTTORE COMMERCIALISTA PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DI SALERNO

I l primo passo per riportare il Paese su un sentiero di crescita

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abato 15 giugno, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto del “Fare”, un lungo documento che contiene più di 80 interventi di semplificazione e stimolo per l’economia. Tali misure, secondo il Governo, dovrebbero restituire fiducia all’economia creando le condizioni per riportare il Paese su un sentiero di crescita. Sul fronte imprese, il principale obiettivo perseguito dal provvedimento in esame è quello di

rilanciare gli investimenti. D’altronde, il primo step da implementare per migliorare la competitività del nostro sistema imprenditoriale è senza dubbio quello di creare le condizioni favorevoli perché le imprese, soprattutto le PMI di cui il panorama industriale italiano è costellato, tornino ad investire. Alla luce delle considerazioni appena esposte, il Decreto prevede lo stanziamento di un plafond di 5 miliardi di euro (2 miliardi quest’an- > 39


no, 1,5 miliardi nel 2014 e un ulteriore miliardo e mezzo del 2015) che la Cassa Depositi e Prestiti metterà a disposizione delle banche convenzionate per l’erogazione, a favore delle PMI, entro il 31 dicembre 2016, di finanziamenti a tasso agevolato per l’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo. I prestiti avranno una durata massima di 5 anni e non potranno eccedere il valore di 2 milioni di euro per ciascuna impresa, anche frazionato in diversi acquisti, senza un limite minimo di spesa. Sempre con l’intento di dare nuova linfa agli investimenti, il Decreto prevede la riattivazione del circuito del credito attraverso il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia. Tale potenziamento si sostanzia in una revisione dei criteri di accesso per il rilascio della garanzia, volta a consentire l’accesso a una platea molto più ampia di PMI, in vista di un successivo provvedimento governativo che dovrebbe alzare anche il livello massimo

di copertura del Fondo fino all’80% dell’operazione nel caso di anticipazioni verso imprese che vantano crediti nei confronti della Pubblica amministrazione e nel caso di prestiti a medio e lungo termine. Con la Legge di stabilità, invece, dovrebbe essere disposto il rifinanziamento del Fondo (3 miliardi in tre anni) che dovrebbe creare un effetto leva di 50 miliardi sui finanziamenti. Infine, è stata prevista l’estensione dei Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia anche alle regioni del Centro–Nord, con l’obiettivo di avviare in tempi rapidi almeno 20 grandi progetti di investimento ed è stato anche istituito un “Fondo di garanzia per i grandi progetti” con una dotazione di 50 milioni per il 2013 e altrettanti per il 2014. Nonostante i “nobili” intenti, il provvedimento non è esente da critiche: nessuna delle decisioni ha un impatto particolarmente significativo rispetto ai temi più dibattuti nelle ultime settimane.

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NOVITÀ IN TEMA DI START-UP INNOVATIVE

GIANMATTEO NUNZIANTE STUDIO LEGALE ASSOCIATO NUNZIANTE MAGRONE

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a figura della “start-up innovativa” è stata introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Sviluppo bis, prevedendo con l’occasione agevolazioni fiscali e semplificazioni che toccano tutte le fasi del ciclo di vita di una impresa innovativa, dalla nascita alla fase di sviluppo, fino alla sua eventuale estinzione. A distanza di poco più di 6 mesi il Governo è intervenuto sul tema, allargando di fatto le maglie per accedere alla disciplina – più favorevole – delle start-up innovative (Decreto Legge n. 76 del 28 giugno 2013, contenente “Primi interventi urgenti per la promozione

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dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto e altre misure finanziarie urgenti”, in attesa di conversione in legge). Le modifiche introdotte rientrano tra gli “interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile”: e come tali sono state accolte per lo più favorevolmente. LA DISCIPLINA GENERALE Per start-up innovative si intendono, ai sensi del Decreto Sviluppo bis, quelle società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, di diritto italiano o Societas Europee,


SOCIETÀ non quotate ad alta vocazione tecnologica e innovative, in possesso di taluni requisiti e più specificamente: · maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria detenuta, al momento della costituzione e per i successivi 2 anni, da persone fisiche; · costituita da non più di 4 anni; · sede principale in Italia; · valore della produzione annua risultante dall’ultimo bilancio, approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, a partire dal secondo anno di attività non superiore ai 5 milioni di euro; · non distribuisce utili e non li deve aver distribuiti neppure in passato; · oggetto sociale consistente esclusivamente o prevalentemente nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; · non è stata costituita attraverso una fusione o a seguito di una cessione d’azienda o di ramo d’azienda. Per qualificarsi come start-up innovativa, la società deve altresì soddisfare almeno uno dei seguenti criteri: · deve sostenere spese in ricerca e in sviluppo in misura pari o superiore al 20% del maggiore tra il costo e il valore della produzione, risultanti dall’ultimo bilancio approvato e descritte in nota integrativa; · deve impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro; · deve essere titolare o depositaria o licenziataria di una privativa industriale connessa alla propria attività. Anche una società già esistente alla data del 19 dicembre 2012, può rientrare quindi nella categoria delle start-up innovative, purché il legale rappresentante abbia provveduto a depositare presso il Registro delle Imprese, entro 60 giorni

QUALCHE PERPLESSITÀ INTERESSA LE MODIFICHE INTRODOTTE IN TEMA DI SPESE PER RICERCA E SVILUPPO E DI QUALIFICHE DEL PERSONALE IMPIEGATO: INVESTIRE MENO NELLA RICERCA E SVILUPPO, COSÌ COME ABBASSARE IL LIVELLO SCIENTIFICO DELLA COMPAGINE, POTREBBE FINIRE PER IMPOVERIRE LA SOCIETÀ

dalla data di entrata in vigore della legge di conversione e, quindi, entro il 17 febbraio 2013, una dichiarazione attestante il possesso dei suddetti requisiti. In questo caso la disciplina sulle start-up innovative trova applicazione per un periodo di tempo di quattro anni, se la società è stata costituita nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore del Decreto Sviluppo bis; tre anni, se è stata costituita nei tre anni precedenti; e due anni, se è stata costituita nei i quattro anni precedenti. Quanto al regime pubblicitario, le start-up innovative devono iscriversi in un’apposita sezione del Registro delle Imprese istituita dalle Camere di Commercio, mediante una dichiarazione del legale rappresentante che va firmata digitalmente e periodicamente (entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio o comunque entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale) vanno aggiornati i dati depositati. In caso di perdita dei requisiti, invece, le start-up innovative e gli incubatori sono cancellati d’ufficio dalla sezione speciale del Registro delle Imprese entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti, permanendo l’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese. LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DL 76/2013 Come si diceva, il DL 76/2013 è intervenuto sull’originaria disciplina allentando le “barriere all’ingresso” e, per l’effetto, ampliando la platea dei possibili destinatari delle agevolazioni. Anzitutto viene abrogato il requisito della detenzione, da parte di persone fisiche, della maggioranza del capitale sociale – e dei diritti di voto - della start-up innovativa. La legge di conversione aveva già attenuato la portata di quanto inizialmente previsto dal Decreto Sviluppo bis, stabilendo che tale requisito dovesse essere rispettato soltanto nei primi due anni di vita della start-up innovativa: il DL 76/2013, sopprimendo l’art. 25, comma 2, lettera a) del Decreto Sviluppo bis, consente ora alle persone giuridiche di detenere, sin dalle prime battute, la maggioranza del - o addirittura l’intero capitale sociale di una start-up innovativa. Vengono quindi attenuati i requisiti relativi alla spesa in ricerca e sviluppo e all’impiego di personale qualificato. Nel primo caso, la spesa dovrà essere pari o superiore al 15% del maggiore tra il costo e il valore della produzione, a fronte del 20% inizialmente stabilito dal Decreto Sviluppo bis. Nel secondo caso, sarà sufficiente alla start-up innovativa, per essere qualificata come tale, assumere personale in possesso di laurea magistrale, purché in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva: mentre inizialmente era richiesto l’ impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero. Il DL > 41


76/2013 allarga, infine, lo spettro delle privative la cui titolarità è richiesta al fine di accedere al regime speciale riservato alle start-up innovative. Al riguardo il Decreto Sviluppo bis richiedeva che la società fosse titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, purché direttamente afferenti all’oggetto sociale ed all’attività d’impresa: a queste si aggiungono ora i diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore. CONSIDERAZIONI Le innovazioni introdotte dal DL 76/2013 sono state accolte con benevolenza perché si ritiene che possano contribuire a risolvere il problema – urgente – dell’occupazione giovanile (obiettivo cui è rivolto, nello specifico, l’intervento del Governo). L’apertura del capitale sociale alle persone giuridiche, senza limiti, potrebbe di fatto avere delle positive ricadute – seppure indirettamente – sull’occupazione se e nella misura in cui consentirà di risolvere il problema legato alla penuria di capitali a disposizione delle start-up: deficienza accentuata, certamente, dall’attuale sfavorevole congiuntura economica, ma dovuta anzitutto all’assenza, nel nostro Paese, di una vera cultura del Venture Capital. Grazie alla rimozione del limite partecipativo si amplierà giocoforza lo spettro dei possibili investitori (che non dovranno più essere in prevalenza persone fisiche) e si affermeranno, forse, forme di cooperazione più integrata tra imprese di diversa dimensione. Penso alle reti d’impresa e, più in generale, alle filiere produttive: potrà accadere, ad esempio, che le imprese in pool - o anche la sola capofila - decidano di investire in una particolare tecnologia innovativa entrando nel capitale sociale di una start-up titolare della relativa privativa. Da un lato verrà così assicurata stabilità economico-finanziaria al proprio fornitore e, indirettamente, continuità nell’attività di sviluppo e ricerca: dall’altro lato, con un investimento iniziale relativamente contenuto, si parteciperà all’eventuale successo dell’iniziativa imprenditoriale. Questo ed altro verrà favorito dall’eliminazione dei limiti partecipativi al capitale sociale delle start-up. Non per forza positive sono, invece, le modifiche introdotte in tema di spese per ricerca e sviluppo e di qualifiche del personale impiegato. Di fatto i requisiti sono ora meno stringenti, e quindi alla portata di un maggior numero di soggetti: ma siamo sicuri che questo sia davvero un bene? A fronte di una minor spesa nella ricerca e sviluppo le start-up potranno forse investire qualcosa in più nell’occupazione di giovani: ma, come si è visto, con minori costrizioni in termini di qualificazione professionale. 42

Personalmente ritengo che le modifiche introdotte non vadano nella direzione giusta, per non dire che sono addirittura controproducenti. Il patrimonio delle start-up innovative è infatti costituito prevalentemente dalla preparazione tecnica di chi, a vario titolo, vi lavora e dal frutto della ricerca: investire meno nella ricerca e sviluppo, così come abbassare il livello scientifico della compagine, finisce per impoverire la società. Del resto basta solo ascoltare i Venture Capitalist per capire quanto la decisione del Governo sia stata miope: questi, infatti, nel valutare un possibile investimento guardano anzitutto ai brevetti di cui la società target sia titolare e al background − inteso come preparazione scientifica ed esperienza − dei suoi componenti. Maggiore la propensione alla ricerca, quindi, maggiori le possibilità che qualcuno investa nella start-up e che questa riesca a sviluppare la propria iniziativa imprenditoriale con successo e in tempi ragionevoli: una minore spesa nella ricerca, specie se accompagnata ad un livello di preparazione tecnico-scientifico men che eccellente, ritarderà invece gli investimenti e, con questi, tutto il resto. Nulla quaestio sull’ultima modifica introdotta dal DL 76/2013 qui in commento, grazie alla quale anche la titolarità di privative relative ai programmi per elaboratori (software) rileva ai fini del riconoscimento della qualifica di start-up: sola condizione è che questi siano stati depositati presso il Registro pubblico per il software. Con ciò si è posto rimedio ad una lacuna, tanto più grave ove si consideri che le start-up operano tradizionalmente con preferenza nel settore dell’Information and Communications Technology (ICT).

MAGGIORE LA PROPENSIONE ALLA RICERCA, QUINDI, MAGGIORI LE POSSIBILITÀ CHE QUALCUNO INVESTA NELLA START-UP E CHE QUESTA RIESCA A SVILUPPARE LA PROPRIA INIZIATIVA IMPRENDITORIALE CON SUCCESSO E IN TEMPI RAGIONEVOLI: UNA MINORE SPESA NELLA RICERCA, SPECIE SE ACCOMPAGNATA AD UN LIVELLO DI PREPARAZIONE TECNICO-SCIENTIFICO MEN CHE ECCELLENTE, RITARDERÀ INVECE GLI INVESTIMENTI E, CON QUESTI, TUTTO IL RESTO

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SOCIETÀ

AGEVOLAZIONI PER LE START UP

DI ALESSANDRO SACRESTANO TAX CONSULTANT PROGETTO ARCADIA SRL

Il Decreto Lavoro allarga la partecipazione a queste società innovative anche alle persone giuridiche

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l comma 16 dell’articolo 9 del DL n. 76/2013 introduce alcune sostanziali modifiche al regime premiale per le cosiddette start up innovative. Si discorre, in particolare, delle imprese di cui all’articolo 25 del DL n. 179/2012 (convertito con la l. n. 221/2012), per le quali la norma di riferimento dispone – al rispetto di alcune specifiche condizioni – la concessione di apposite agevolazioni a carattere fiscale, contributivo e contrattuali. Si ricorda che le imprese in argomento sono quelle costituite in forma di società di capitali, cooperative, purché di diritto italiano, oppure Societas Europea, le cui azioni o quote non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione. La normativa, nella versione originaria, prescriveva che a partecipare dette imprese dovessero essere, per la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, esclusivamente persone fisiche, almeno dal momento della costituzione e per i successivi 24 mesi. Con l’intervento previsto dal DL Lavoro, invece, il predetto vincolo decade – attraverso l’espressa abrogazione della lettera a) del comma 2 dell’articolo 25. In sostanza, quindi, la partecipazione alle start up può occorrere in maggioranza anche da persone giuridiche sin dall’inizio. La disciplina originaria delle start up innovative, inoltre, prescriveva che queste soddisfacessero almeno uno dei seguenti requisiti: 1. spesa in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 20% del maggiore importo

tra il costo e il valore della produzione; 2. impiego di personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro; 3. titolare, depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografica di prodotto a semiconduttori o a una varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa. Anche i precedenti tre requisiti, tuttavia, sono stati oggetto di una specifica attività di revisione. Allo stato, infatti, con le modifiche introdotte, la spesa in ricerca e sviluppo sostenuta dalla start up dovrà corrispondere almeno al 15% (non più il 20) del maggiore importo tra il costo e il valore della produzione. Quanto all’impiego di personale altamente qualificato, si ricorda che la normativa originaria disponeva che perlomeno un terzo di dipendenti o collaboratori dovesse essere in possesso di un dottorato di ricerca o avesse in corso un dottorato o, se in possesso di laurea, che avesse svolto almeno tre anni di ricerca. Tale requisito, al momento, può essere sostituito anche con l’impiego di dipendenti o collaboratori (sempre in misura pari ad almeno due terzi del personale complessivo) che siano in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale 270/2004. Infine, per ciò che attiene al requisito della privativa industriale relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, a una > 43


topografica di prodotto a semiconduttori o a una varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa, il DL n. 76/2013 ha espressamente incluso fra queste i diritti relativi a un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro Pubblico speciale per i programmi per elaboratore. A ben vedere, le modifiche in commento sembrano raggiun-

gere l’obiettivo di rendere “più accessibile” il modello delle start up innovative. Questo non può che contribuire ad accrescerne l’appetibilità, anche considerando che alle persone fisiche e giuridiche è, rispettivamente, consentito di detrarre o dedurre dal proprio reddito imponibile una parte delle somme investite in tali imprese, sia direttamente che attraverso fondi specializzati.

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IL NUOVO REGIME DI AIUTO PER LE IMPRESE DEL SUD

GINA LEO FINANCIAL CONSULTANT > PROGETTO ARCADIA SRL

Le istanze possono essere presentate anche da società costituende, utilizzando esclus ivamente la procedura telematica messa a disposizione sul sito del soggetto gestore Invitalia (www.smartstart. invitalia.it) e fino ad esaurimento delle risorse stanziate, pari a complessivi 190 milioni di euro

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arà operativo dal 4 settembre il nuovo regime di aiuto per le imprese del Sud Italia, introdotto dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 6 marzo 2013, meglio conosciuto come “Smart&Start”. Le domande potranno essere presentate utilizzando esclusivamente la procedura telematica messa a disposizione sul sito del soggetto gestore Invitalia (www.smartstart.invitalia. it) e fino ad esaurimento delle risorse stanziate, pari a complessivi 190 milioni di euro. I soggetti beneficiari sono rappresentati dalle imprese di piccola dimensione, con sede legale ed operativa nelle Regioni meridionali (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna e Basilicata), costituite da meno di sei mesi all’atto della presentazione delle domanda, in forma societaria con compagine composta, in maggioranza assoluta numerica e di partecipazione, da persone fisiche. L’accesso agli aiuti è consentito anche alle imprese non ancora costituite, purché vi provvedano entro e non oltre 30 giorni dal-

la data di comunicazione di ammissione ai benefici. Le agevolazioni consistono, per la prima linea di intervento (Smart), in contributi in conto gestione a fronte delle spese sostenute nei primi quattro anni di attività (costi per interessi, per l’affitto o leasing di macchinari e attrezzature, per l’ammortamento dei beni strumentali, per salari). Il contributo potrà essere concesso per un valore massimo annuo di euro 50.000. I soggetti richiedenti devono proporre un piano di impresa che preveda l’introduzione di nuove soluzioni organizzative o produttive e/o che sono orientate a nuovi mercati. Relativamente alla seconda linea di intervento (Start), sono erogati contributi in conto impianti a sostegno dei programmi di investimento connessi all’avvio dell’attività di impresa e intrapresi nel settore dell’economia digitale o consistenti in progetti a “contenuto tecnologico”, finalizzati a valorizzare economicamente i risultati del sistema della ricerca pubblica e privata. L’agevolazione è concessa in misura pari al


SOCIETÀ 65% delle spese ammissibili, elevabile al 75% in presenza di compagine societaria interamente costituita da giovani o da donne. Rientrano nelle spese finanziabili l’acquisto di impianti, macchinari e attrezzature tecnologici o tecnico-scientifici,

hardware e software, brevetti e licenze, consulenze specialistiche. Saranno, inoltre, erogati anche servizi di tutoring tecnico-gestionale. Gli aiuti sono, in questo caso, soggetti alla normativa de minimis.

LA COSTITUZIONE DI SOCIETÀ IN ROMANIA, PROFILI SOCIETARI E FISCALI

MAURIZIO GALARDO AVVOCATO > STUDIO LEGALE GALARDO & VENTURIELLO info@galardoventuriello.it

Nel 2005 l ’aliquota di i mposta sul reddito delle societ à è stata ridotta al 16% al fine di attrarre i nvest imenti esteri. É prevista inoltre un’agevolazione consistente nell’applicazione di un’aliquota ulteriormente ridotta al 3% al ricorrere di determinati requisiti

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e società commerciali in Romania sono disciplinate dalla Legge n. 31790 integrata con le Leggi n. 41/91 e n. 44/91 modificata e completata con l’ordinanza d’urgenza n. 32/97 sulle società commerciali. La Legge 441/2006 ha modificato e integrato la disciplina delle società commerciali contenuta nella Legge 31/1990, che vide la luce nel corso del processo di transizione dal regime postcomunista a quello democratico-liberale. Altre modifiche importanti sono state successivamente apportate con la Legge n. 515/2006 e le Ordinanze di emergenza n. 52/2007 e n. 82/2008. Analogamente a quanto previsto dalla disciplina italiana, il diritto rumeno prevede la possibilità di costituire le seguenti tipologie societarie: 1) società in nome collettivo; 2) società in accomandita semplice; 3) società in accomandita per azioni; 4) società a responsabilità limitata; 5) società per azioni. Per svolgere una qualsiasi attività produttiva e/o commerciale in Romania è necessaria la costituzione e registrazione di una società in loco, quindi di diritto romeno, anche con capitale al 100% estero, oppure l’acquisizio-

ne di quote di una società già attiva; non è obbligatoria, invece, la presenza di un socio rumeno, né sono previste agevolazioni particolari all’investitore straniero che entri in società con un partner locale. Per le S.n.c e le S.a.s vigono le stesse regole in merito alla responsabilità per le obbligazioni sociali previste nella legislazione italiana: responsabilità solidale e illimitata in capo a tutti i soci per la S.n.c. e in capo ai soli accomandatari per la S.a.s., e responsabilità limitata al valore del conferimento per gli accomandanti. La responsabilità nella S.a.p.a. segue le stesse regole previste per la S.a.s. con riferimento alle azioni possedute da ogni singolo socio. Per quanto riguarda la S.p.A. e la S.r.l. i soci sono responsabili fino al valore delle azioni, o rispettivamente, delle quote possedute. La società a responsabilità limitata è la forma societaria più diffusa in Romania. Può essere costituita da uno o piò soci, sia persone fisiche che giuridiche, tuttavia il numero di soci non può eccedere i cinquanta. Il capitale sociale di una srl non può essere inferiore a 200 RON, circa 60 Euro, mentre > 45


il capitale sociale minimo di una Spa è di 90.000 RON circa 25.000 Euro. Il sistema fiscale rumeno è articolato in imposte dirette, quali l’imposta sul reddito delle società e l’imposta sul reddito delle persone fisiche, e in imposte indirette, come l’Iva e le accise. Sono soggetti passivi all’imposta sul reddito delle società: · le società residenti per i redditi ovunque prodotti, in base al principio del worldwide principle; · le società non residenti per i redditi prodotti in Romania, direttamente e attraverso una stabile organizzazione. Per stabile organizzazione si intende una sede di affari permanente attraverso la quale la società esercita in tutto o in parte la propria attività. Nel 2005 l’aliquota di imposta sul reddito delle società è stata ridotta al 16% al fine di attrarre investimenti esteri. É prevista inoltre un’agevolazione consistente nell’applicazione di un’aliquota ulteriormente ridotta al 3% al ricorrere di determinati requisiti. Non è consentito il trasferimento delle perdite fiscali tra società facenti parte dello stesso

gruppo. Anche i dividendi percepiti da una società di diritto rumeno e provenienti da altri paesi comunitari beneficiano, a determinate condizioni, della cosiddetta partecipation exemption. In Romania non è prevista alcuna normativa sulle Controlled Foreign Companies (CFC), e quindi non viene limitato il ricorso a società situate nei cosiddetti paradisi fiscali. Dal breve quadro tracciato emergono con evidenza i vantaggi che un imprenditore italiano può conseguire allocando una società in Romania: bassissimi costi di costituzione; una legislazione di diritto societario molto simile a quella italiana e un’imposta sul reddito che nella sua aliquota normale è praticamente la metà di quella italiana. Il fatto poi che la Romania non sia considerato un paese a fiscalità privilegiata - pertanto non è incluso né nella black list, né nella white list - consente, in mancanza di una normativa CFC, l’allocazione di una partecipata estera in un paradiso fiscale vero e proprio. Inoltre il Paese è al centro dell’Europa e i costi di gestione e della manodopera sono ancora molto bassi.

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UNA INUTILE CORSA IN AVANTI: LA TOBIN TAX ALL’ITALIANA

BRUNO MARIA CRISCUOLO MASTER OF SCIENCE CANDIDATE ESCP EUROPE

Imporre la tassa unilateralmente - senza un reale Accordo internazionale rischia di aumentare le criticità di un sistema finanziario già molto volatile

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a Tobin Tax è la tassa sulle transazioni finanziarie ideata nel 1972 dal mentore dell'ex premier Mario Monti, l’economista James Tobin, il quale immaginò l’applicazione di un’aliquota tra lo 0,1% e l’1% sulle transazioni in valuta straniera. Secondo i calcoli della Commissione Europea, porterebbe nelle casse dell’Unione introiti per almeno cinquantacinque miliardi di euro, arginando gli effetti della speculazione e garantendo liquidità ai Paesi soggetti alla crisi del debito sovrano. Ma è davvero tutto così semplice? Che cos’è e cosa comporta dav-

vero la Tobin Tax? Il professor James Tobin è stato uno dei più rigorosi oppositori della dottrina Thatcher-Reagan e di tutte le scelte derivanti dal dogma liberista degli ultimi vent’anni; Nobel per l’Economia nel 1981, la sua proposta di tassazione sulle operazioni finanziare in valuta straniera si presenta come estremamente semplice da un lato, e incredibilmente efficace dall’altro. Essa andrebbe a penalizzare quei soggetti e operatori (grossi gruppi bancari d’investimento, hedge funds) che riescono a generare ampi margini dalle attività di trading a breve ter-


FISCO mine, destabilizzando l’intero sistema del debito sovrano. Le crisi moderne, oltre ad essere drammaticamente vicine l’una all’altra in termini di tempo, presentano dei tratti economici strutturali comuni: disavanzo permanente nella bilancia corrente dei pagamenti o nel bilancio dello Stato, inflazione, sopravvalutazione del tasso di cambio. La teoria e la politica economica dominanti sono fondate sull’assunto che la liberalizzazione dei movimenti di capitale apporti effetti benefici al sistema economico globale, poiché una maggiore concorrenza produce maggiore efficienza. Tuttavia, i fondamentali reali dell’economia sono costantemente messi alla prova dalle dinamiche monetarie e finanziarie che, in un’economia particolarmente interconnessa come quella attuale, rischiano di essere amplificatori di disordine in situazioni di panico. Le ondate di pessimismo che colpiscono i mercati, infatti, si diffondo quasi immediatamente al tessuto del settore produttivo, rendendo complicate le operazioni di finanziamento e l’accesso al credito, innescando pericolose dinamiche recessive e, nel peggiore dei casi, spirali deflazionistiche (come nel caso del Giappone anni ’90). Come può, allora, la Tobin Tax arginare simili problematiche? Supponiamo che un operatore disponga di 1 milione di euro e preveda per il giorno successivo un deprezzamento della moneta rispetto al dollaro. Supponendo un cambio 1:1, vendendo il milione di euro e riacquistando l’equivalente in dollari, se la previsione sul deprezzamento si rivela esatta, e 1 dollaro viene quindi scambiato per 1,005 euro, questo consentirebbe all’operatore di portare a casa 5000 euro, aumentando il capitale dello 0,5%. Il numero di tali operazioni speculative aumenta significativamente in presenza di bassi tassi d’interesse imposti dalle Banche Centrali, come quelle della BCE e della FED (la banca centrale americana). Ma cosa accadrebbe se l’operatore fosse costretto a pagare una tassa sul valore di ogni scambio, diciamo dello 0,25%? Egli sborserebbe 5012,5 euro (2500 euro nella prima conversione; 2512,5 nella seconda) per un’operazione che gliene frutterebbe solo 5000. Molto più realisticamente, la transazione non avrebbe luogo. Per evitare che ciò avvenga, in quanto in assenza di transazioni non vi sarebbe alcun prelievo, Tobin calcolò che l’imposta sarebbe dovuta essere minima e non progressiva, su ogni compravendita di valuta estera, distinguendo le transazioni speculative da quelle commerciali attraverso l’identificazione dell’orizzonte “corto” e delle elevate rotazioni di capitale che caratterizzano le prime. I LIMITI DELLA TOBIN TAX Nel caso tale tassazione venga imposta soltanto in alcune aree o su un limitato numero di mercati borsistici, dal momento che la tassazione è basata sul principio di residenza, nel medio

termine, tutta l’industria finanziaria rischierebbe di migrare nei paesi dove la Tobin Tax non è introdotta. Da queste piazze, attraverso le piattaforme elettroniche di scambio, gli operatori riuscirebbero comunque a compiere operazioni sulle borse dei paesi dove invece essa vige, senza doverne pagare il costo. Si creerebbero così le premesse per opportunità di arbitraggio che produrrebbero incentivi all’attività speculativa, anziché ridurla. La misura della Tobin Tax sarebbe di carattere preventivo e avrebbe lo scopo di arginare le fluttuazioni eccessive dei tassi di cambio, ritardando così lo scoppio di una “crisi”, ma risulterebbe essere una misura scarsamente efficace di fronte alla crescente instabilità economica e valutaria internazionale, derivanti da questioni di profondo squilibrio nel trasferimento delle risorse dal capitale “produttivo” a quello “finanziario”. In presenza di una degenerazione dei mercati speculativi, dovuta al prevalere di comportamenti mimetici e destabilizzanti degli operatori, la Tobin Tax risulterebbe essere irrilevante, soprattutto in assenza di convincenti politiche monetarie da parte delle Banche Centrali, che dovrebbero essere in grado di operare sul mercato come acquirenti o offerenti di valuta. La finanziarizzazione delle economie mondiali non è soltanto la causa della crisi dei flussi monetari mondiali che si trasmettono alle variabili reali, deprimendole, ma ne rappresenta anche l’effetto nella misura in cui dai conflitti sulla creazione e sulla distribuzione del valore si sono originate le forze e le scosse da cui la speculazione ha preso slancio. Pensare che la Tobin tax possa porre rimedio a problemi di fondo, “strutturali” del sistema, è illusorio. Il futuro: guerra alla Finanza malata, mercato della trasparenza delle informazioni. Quando persino un economista neoclassico come Jagdish Bhagwati, fermamente schierato a favore della liberalizzazione del commercio, si scaglia con parole di fuoco contro il complesso “Tesoro-Wall Street”, reo di sottovalutare la ricorrenza delle crisi finanziare e i costi reali delle recessioni indotte e di tacere colpevolmente sui profitti che i gruppi finanziari ottengono nell’acquisizione delle industrie migliori, è chiaro che l’intero sistema finanziario è malato. La Tobin tax è soltanto uno dei vaccini a disposizione: lo stesso Trattato di Maastricht consente di imporre restrizioni amministrative sui capitali importati o esportati per un periodo di 6 mesi. James Tobin si era reso conto delle reali difficoltà nella realizzazione pratica dell’imposta. Per ridurre la speculazione è opportuno diffondere anche logiche di incentivo alla trasparenza delle negoziazioni. Non a caso, i problemi degli ultimi mesi non vengono tanto dai mercati regolamentati, che ne sono piuttosto la vittima, quanto dai mercati paralleli non regolamentati. Imporre la tassa unilateralmente - senza un reale accordo internazionale - rischia di aumentare le criticità di un sistema finanziario già molto volatile. 47


GLI STRUMENTI A TUTELA DEL PATRIMONIO

MARCO DE GIORGIS CONSULENTE PATRIMONIALE INDIPENDENTE > LIFE PLANNER info@studiodegiorgis.it

Il vinc olo di destinazione consente di aggredire il patrimonio del soggetto debitore, ma non i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore

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l vincolo di destinazione, ex art. 2645 ter c.c., serve a sottrarre i beni dalle eventuali azioni dei creditori. Infatti li “isola” dal patrimonio “generale” del soggetto titolare, destinandoli al “perseguimento del fine”, per il quale l’atto di destinazione è istituito. Questa è una rilevante eccezione all'articolo 2740 cc, secondo cui ciascun soggetto “risponde delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri”. Il vincolo di destinazione consente di aggredire il patrimonio del soggetto-debitore, ma non i beni oggetto del vincolo, non ponendo limiti sulla natura del beneficiario, che può essere “chiunque”; i beni, che possono formarne l’oggetto, devono essere “immobili o mobili registrati”; infine, i “vincoli di scopo” non hanno indicazioni particolari, dovendo solo realizzare “interessi meritevoli di tutela”. In sintesi, l’unico limite di applicazione del “vincolo di destinazione” è l’interpretazione dell’interesse meritevole di tutela. L’interpretazione più restrittiva considera il fine di pubblica utilità come unico motivo valido per costituire un vincolo di destinazione, mentre quella meno restrittiva e più applicata ritiene che sia sufficiente che lo scopo perseguito sia lecito. Altro limite è il vincolo di durata, 90 anni al massimo. I fondi pensione e le polizze vita che garanzie danno? Le pensioni sono pignorabili per un quinto, pertanto anche i fondi pensione seguono la stessa sorte. Il discorso sulle polizze è più complicato. Esse possono essere caso vita, morte o miste. Quelle caso vita, a scadenza, possono prevedere la restituzione del capitale più gli interessi oppure una rendita; quelle caso morte invece possono essere temporanee o a vita intera, infine le polizze miste possono avere entrambi gli elementi, caso vita e caso morte. Quindi ci

sono numerose variabili possibili. Ripararsi dai creditori con le polizze vita non dà garanzie: la prima sezione della Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva all’articolo 1923, proprio con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico in tal senso. La sentenza riguarda i riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato. Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato o di chi risulta legittimato a riceverle possono dunque essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento. In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato, si presuppone che siano stati sottoscritti solo con l'intenzione di eludere i creditori. Anche un’altra sentenza della Cassazione 2008 stabilisce che solo il fine previdenziale impedisce sequestro e pignoramento della polizza. Il problema è capire cosa si intende con fine previdenziale. Ad esempio, le polizze caso vita hanno fine previdenziale? Nessuno lo ha detto chiaramente, lasciando spazio ad interpretazioni e dubbi. E i prodotti di capitalizzazione, come index e unit? Il tribunale di Parma nel 2010, a proposito delle polizze unit e index, ha stabilito che le polizze di tipo finanziario non hanno nessun fine previdenziale e quindi sono pignorabili. Tuttavia, per avere un minimo di certezza giuridica, sarà necessario attendere una nuova sentenza chiarificatrice della Cassazione. Con il contratto fiduciario, la società


FISCO fiduciaria assume l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni (L. n. 1966 del 23 11 1939). In pratica, nel negozio fiduciario, il fiduciante trasferisce al fiduciario la titolarità di un diritto, limitandone l’uso con accordo tra le parti, per realizzare uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, per trasferire poi il diritto allo stesso fiduciario o a terzi. Ad esempio, si può acquistare un’azienda, ma l’acquisto sarà siglato dalla fiduciaria. É uno strumento che serve a mantenere la privacy, utilizzando una struttura riconosciuta e qualificata, nonché monitorata dall’autorità pubblica. É un filtro, ma non serve ad occultare nulla, perché se l’autorità chiede alla fiduciaria il nome del fiduciante, questa è obbligata a riferirlo, e inoltre le fiduciarie sono obbligate a rispettare la normativa antiriciclaggio. A cosa servono allora? A molte cose: sono un filtro, come già detto, e possono assumere funzione di trustee e protector, possono essere sia contraenti che beneficiari di polizze vita, possono gestire passaggi generazionali, possono intestarsi quote di società, di fondi, di obbligazioni, di titoli, di patrimoni. Inoltre, la società fiduciaria è l’unico intermediario “abilitato alla compensazione delle plusvalenze e le minusvalenze di quote di società non azionarie” (per esempio le Srl) “e di redditi diversi derivanti da contratti di natura finanziaria” (come per esempio i finanziamenti e le polizze assicurative) “con le plusvalenze e le minusvalenze generate da altri strumenti finanziari trattati in regime di risparmio amministrato” (art. 6 D.lgs. n. 461/1997). Il fondo patrimoniale è strettamente connesso alla famiglia: infatti, deve essere costituito per far fronte ai bisogni della famiglia e perde efficacia se la famiglia cessa di esistere (divorzio, morte di uno dei coniugi...). Deve essere costituito per atto pubblico da uno o entrambi i coniugi (o anche da un terzo, ma dev’essere accettato dai coniugi) e deve destinare uno o più beni, mobili o immobili (anche i diritti reali sugli stessi, come l’usufrutto o la nuda proprietà) e iscritti in pubblici registri, o titoli di credito e destinare i medesimi appunto ai bisogni della famiglia. Quindi non si può costituire se esiste una famiglia di fatto, in caso di separazione dei coniugi, se celibi o nubili o vedovi. I beni conferiti nel fondo patrimoniale divengono inattaccabili dai creditori, sia per quanto riguarda un debito contratti dai coniugi esercitando l’attività d’impresa, sia per azioni di responsabilità civile e professionale riguardanti liberi professionisti, amministratori, sindaci e revisori. La Corte di Cassazione, nel 1984, ha precisato che: “i bisogni familiari tutelati dal fondo patrimoniale non sono rappresentati esclusivamente dalle esigenze di prima necessità, ma ricomprendono anche quelle esigenze volte al mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”. Come sempre, c’è spazio ad interpretazioni diverse su ciò che è voluttuario o speculativo. Non è possibile vendere i beni del fondo, a meno che non sia previsto nell’atto costitutivo, e se vi sono figli minori, è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice. L’aggredibilità da parte del fisco non è ammessa, secondo

la Cassazione, perché il debito fiscale è considerato non in relazione con le necessità famigliari, quindi in base all'articolo 170 c.c., il fondo appunto non è aggredibile. Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia, ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita di un’obbligazione tributaria. Ovviamente valgono le regole generali sulla revocatoria ordinaria e su quella fallimentare (atti che arrecano pregiudizio ai creditori nei due anni precedenti il fallimento e quindi privi di effetto), così come le regole sulla fraudolenza (è reato costituire il fondo per sottrarsi al pagamento di imposte o sanzioni). Il trust è uno strumento che non esiste nel nostro ordinamento, ma è stato accettato. In pratica, un trust italiano è regolato dalla legge estera cui si riferisce (sono diverse le legislazioni cui si può fare riferimento, ma bisogna sceglierne una sola, che regola interamente il trust). Come funziona un trust? Il proprietario (disponente) di alcuni beni decide di proteggerli con un trust. Nomina un gestore (può essere anche se stesso), che amministri questi beni, e un beneficiario, che gode dei profitti come deciso nell’atto costitutivo. Può anche nominare un guardiano (protector), che sorvegli che il gestore esegua correttamente le volontà del disponente (se il gestore è lo stesso disponente, il guardiano non serve). In pratica, c’è uno sdoppiamento della proprietà, che è in capo al gestore per ciò che riguarda l’amministrazione e in capo al beneficiario per ciò che riguarda il godimento. Questo concetto è sconosciuto nel nostro diritto, per questo si utilizza il diritto estero (anglosassone in primis), quindi il trust è un’anomalia giuridica. Cosa caratterizza un trust? I beni conferiti sono indistinti e non sono parte del patrimonio del gestore (trustee), ma sono a lui intestati (o ad altro soggetto definito dal gestore) ed è obbligato a gestire il trust secondo legge e secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo. I beni conferiti, quindi, costituiscono un patrimonio separato dal patrimonio del gestore, ma anche da quello del disponente (settlor) e dei beneficiari (beneficary). Possono essere conferiti beni mobili o immobili e diritti reali di persone fisiche e/o società, ad esempio azioni, quote di società, denaro, opere d’arte, autoveicoli, arredi, sia con piena che con nuda proprietà. Tuttavia il trust non può essere esente da azioni revocatorie fallimentari, nè ledere la legittima in caso di eredità di successione e violare le norme che regolano le garanzie reali e il diritto di proprietà. Perché allora costituire un trust? Ad esempio può essere utilizzato quando non esiste una famiglia (famiglie di fatto, coppie divorziate, conviventi, scapoli o nubili) oppure quando si vogliono tutelare terze persone. Vanno seguite alcune regole, per evitare il disconoscimento da parte dell’autorità fiscale: ad esempio il disponente non può designare se stesso come beneficiario e nemmeno può essere previsto in atto, così come non può modificare i beneficiari durante la vita del trust. Sempre l’utilizzo di uno o più di questi strumenti deve essere fatto comprendendo quali sono le motivazioni reali che ci spingono a porre queste tutele e, sempre, avendo la visione d’insieme del patrimonio proprio e della famiglia, con l’ausilio di un consulente che non abbia niente da vendervi se non la propria professionalità. 49


IMU SUI BENI STRUMENTALI LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

MARCO FIORENTINO FIORENTINO ASSOCIATI > SYNERGIA CONSULTING GROUP

Quando si intende introdurre una patrimoniale sugli immobili occorre, innanzitutto, partire dal seguente semplice assioma: cosa voglio tassare e a chi. Inoltre, è necessario distinguere le soluzioni in base alla tipologia di bene (strumentale o non strumentale per natura), perché differenti sono gli utilizzi e quindi i vantaggi che se ne possono trarre

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a dialettica che si è scatenata sull’IMU sta assumendo sempre più i contorni della commedia, in un guazzabuglio scenico dove il numero degli attori aumenta ogni giorno a colpi di dichiarazioni roboanti, meglio ancora se contraddittorie. Il risultato è l’immobilismo decisionale, che, come al solito, verrà risolto - e male all’ultimo secondo utile. Non entro nel merito del fatto se l’abolizione dell’IMU sulla prima casa sia (o non sia) un accordo di Governo da rispettare, perché è evidente che tale eliminazione avrebbe natura prettamente politico-sociale e ben nulla invece di economico-industriale. Sottolineo, di contro, che sull’IMU si sta facendo un’enorme confusione, poiché è mancata del tutto l’analisi della capacità contributiva da colpire. Con la conseguenza che oggi essa è una tassa che colpisce ogni cespite (salvo rare eccezioni), da chiunque posseduto, con aliquote svedesi e a prescindere dal tipo di utilizzo, venendo così ad essere solo un modo veloce per far arrivare quattrini allo Stato e ai Comuni. Quando si intende introdurre una patrimoniale sugli immobili occorre, innanzitutto, partire dal seguente semplice assioma: cosa voglio tassare e a chi. Inoltre, è necessario distinguere le soluzioni in base alla tipologia di bene (strumentale o non strumentale per natura), perché differenti sono gli utilizzi e quindi i vantaggi che se ne possono trarre. Questa ultima rilevante precisazione mi consente, peraltro, di limitarmi alla vera tematica IMU rappresentata dai beni immobili a destinazione non abitativa. Per quelli

residenziali infatti, a parte la questione della “prima casa”, una tassazione generalizzata appare ragionevole, in virtù della circostanza che essi appaiono sempre autonomamente in grado di produrre ricchezza. Magari, per le imprese di costruzione andranno identificate delle mitigazioni, per il periodo di tempo tra la fine del lavori ed il godimento a terzi, onde evitare che si tassi appieno ciò che non viene utilizzato. Entrando nel merito dei beni strumentali, non appare ragionevole che possano essere tassati tout court tutti i tipi di immobili, senza analizzarne natura ed utilizzo; così operando infatti si effettua una generalizzazione dell’obbligo tributario, che non tiene in alcun conto il principio della contribuzione alle spese in base a manifestazioni di ricchezze. Occorre invece, tassare solo quei beni che, per elementi fattuali oltre che urbanistici, siano in grado, anche in via potenziale, di generare, ex sé, un diritto di godimento da parte di chi ne abbia la proprietà. Diritto di godimento da valutarsi considerando il bene in quanto tale, stand alone, e non in quanto asservito strumentalmente ad una attività di impresa od agricola. Diversamente ragionando, si finirebbe col confondere clamorosamente la manifestazione di ricchezza derivante dal possesso di un bene con quella dell’impresa di cui esso è componente, con conseguente duplicazione di imposta. È evidente infatti che il valore di un capannone industriale intanto è misurabile, in quanto in tale cespite sia esercitabile una attività industriale. Non solo, ma se guar-


FISCO diamo il punto di vista dell’impresa in funzionamento, tale capannone produce (rectius: partecipa alla produzione della) ricchezza, non per effetto del fatto di averne la mera proprietà (presupposto dell’IMU), bensì grazie all’esercizio dell’attività d’impresa. È quindi una questione di differenti presupposti impositivi, i fattori della produzione (capannone – magazzino – ecc.) concorrono alla formazione del reddito e su di esso si calcolano le imposte (IRES). Tassare con l’IMU detti cespiti, di fatto è una doppia tassazione economica. Ne deve necessariamente discendere che tali cespiti, qualora utilizzati direttamente

nelle attività aziendali, devono essere esenti da IMU. Si potrà dire che l’IMU sui cespiti è tutto sommato simile nella normativa ICI, ma è anche il caso di ricordare che le aliquote ICI erano del tutto ragionevoli, per cui essa poteva definirsi non particolarmente penalizzante. Ma poi a guardar indietro mai serve: prima dell’ICI, c’era la famigerata INVIM, che invece considerava non tassabile il possesso degli immobili strumentali utilizzati direttamente dalle imprese. Quale delle due prevale? Speriamo si metta rimedio entro agosto.

AL VIA IL “FISCO SEMPLICE”

ALESSANDRO SACRESTANO TAX CONSULTANT PROGETTO ARCADIA SRL

Tante facilitazioni. Una su tutte: per la generalità dei contribuenti, l’invito rivolto a pres entare il modello di comunicazione dei dati rilevanti viene inserito direttamente nella ricevuta telematica che attesta l’avvenuta trasmissione della dichiarazione dei redditi Unico 2013

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stato illustrato il 3 luglio scorso il “Pacchetto semplificazioni fiscali e amministrative” nell’ambito della conferenza stampa tenutasi a Roma, dal viceministro dell’Economia e delle Finanze, Luigi Casero, dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, e dal vicedirettore vicario, Marco Di Capua. In ossequio a tale indirizzo, la conferenza ha, ad esempio, ricordato che la “Dichiarazione di successione” sarà obbligatoria – per eredità trasmesse al coniuge e ai parenti in linea retta - solo con attivo dichiarabile superiore ai 75mila euro. A partire dal 2014, poi, sparisce l’obbligo di comunicazione dei dati contenuti nelle lettere d’intento a carico del fornitore, restando obbligato il solo esportatore abituale. Quanto alla comunicazione per le operazioni con paesi black list, la stessa avrà cadenza annuale e sarà indispensabile per le sole transazioni superiori ai 1.000 euro. Numerose anche le semplificazioni amministrative. Le imprese sottoposte a procedure concorsuali non sono più obbligate alla trasmissione dei dati rilevanti ai fini degli studi di settore. Inoltre, per la generalità dei contribuenti, l’invito rivolto a presentare il modello di comunicazione dei dati rilevanti viene inserito direttamente nella ricevuta telematica che attesta l’avvenuta trasmissione della dichiarazione dei redditi Unico 2013. A partire da Unico 2013, il quadro RU della dichiarazione, dedicata ai crediti d’imposta, diventa un’unica sezione “multimodulo” che raggruppa la quasi totalità dei crediti agevolativi. In Unico 2014, poi, andranno indicati i dati e le notizie relativi alle minusvalenze di ammontare complessivo superiore a 5 milioni di euro e le minusvalenze di importo superiore a 50.000, non essendo più necessario trasmettere i documenti alla Direzione Regionale competente. 51


CREDITO

PMI E ABI, NUOVO ACCORDO PER IL CREDITO

DI RAFFAELLA VENERANDO

Una boccata di ossigeno per le imprese: allungati fino a quattro anni i termini per i pagamenti dei mutui e dei finanziamenti

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inalmente un po’ di respiro per le imprese. In attesa di altri provvedimenti capaci di riavviare l’economia, una buona notizia è la nuova intesa per il credito alle PMI siglata tra Abi, Confindustria, Rete Imprese Italia (che riunisce Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti), Alleanza Cooperative Italiane (che riunisce Agci, Confcooperative, Legacoop), Cia, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confedilizia e Confetra, grazie alla quale le misure di sospensione e allungamento dei mutui sono state prorogate al 30 settembre 2013. Possono godere di questo beneficio anche quelle operazioni che già avevano usufruito di un periodo precedente di sospensione, tanto da far allungare la dilazione sui finanziamenti fino a quattro anni. L’intesa, nello specifico, prevede: - la sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale dei mutui e delle operazioni di leasing immobiliare (6 mesi per il leasing mobiliare). Sono ammessi alla sospensione anche i mutui già sospesi con l’Avviso comune del 2009 e relativi rinnovi (proroga dell’Avviso comune e Accordo credito del 2011). Inoltre, secondo con quanto richiesto da ANCE, sono ammesse anche le operazioni di apertura di conto corrente ipotecario, assimilabili ai mutui. In linea con i precedenti accordi, sono ammessi alla richiesta di sospensione anche i mutui e le operazioni di leasing assistiti da contributo pubblico, qualora l’ente erogante abbia deliberato l’ammissibilità dell’operazione (Regione Campania inclusa); - allungamento della durata dei mutui per un periodo pari al 100% della durata residua, ma in ogni caso non oltre 3 anni per i mutui chirografari e 4 per quelli ipotecari (nel precedente Accordo i termini massimi erano rispettivamente 2 e 3 anni). È esclusa la possibilità di allungare mutui che abbiano già beneficiato dell’allungamento. È, invece, possibile allungare mutui già sospesi. Per quanto attiene alle condizioni contrattuali, se la sospensione richiesta è accompagnata da un rafforzamento patrimoniale o da processi aggregativi restano invariate. Diversamente, l’eventuale variazione del tasso d’interesse originario non potrà essere superiore all’incremento del costo di raccolta della banca rispetto al momento dell’erogazione originaria del finanziamento e si terrà conto della presenza di eventuali garanzie aggiuntive. L’Accordo prevede inoltre: · l’impegno delle banche a non ridurre i fidi in essere alle imprese ammesse alle operazioni dell’Accordo qualora queste mantengano prospettive di continuità aziendale; · la proroga al 30 giugno 2014 dei Protocolli “Investimenti” e “Smobilizzo Crediti PA”, di cui abbiamo dato notizia con nostre precedenti comunicazioni. Le domande per l’attivazione degli strumenti previsti dall’Accordo potranno essere presentate dalle imprese fino al 30 giugno 2014, utilizzando il modulo predisposto dalle singole banche sulla base del modello che sarà elaborato dall’ABI. Sarà possibile richiedere l’allungamento dei mutui che a tale data siano ancora sospesi fino al 31 dicembre 2014. Inoltre, nell’attesa della piena operatività del nuovo Accordo (subordinata all’adesione delle banche), le imprese potranno continuare a beneficiare fino al 30 settembre 2013 delle misure previste dall’Accordo del 2012.


TEKNÈ

SVILUPPO BANDA LARGA E ULTRA LARGA

DI RAFFAELLA VENERANDO

La Campania prima ad avviare il bando del Piano Strategico Nazionale

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on la firma della convenzione tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la Regione, la Campania è la prima regione ad avviare il bando del Piano strategico nazionale per la banda ultra larga, con il Grande progetto “Allargare la rete banda larga e sviluppo digitale in Campania”, pari a 122 milioni. Il piano strategico banda ultra larga sul territorio prevede la copertura del servizio ad almeno 2 Mbps in tutte le aree della nostra regione grazie ad infrastrutture di rete di nuova generazione. Si stima di azzerare così nel giro di due anni il deficit di copertura di servizi in banda larga in Campania, pari oggi a 200mila cittadini. Con i nuovi investimenti in banda larga, invece, si otterrà una copertura del 99% della popolazione residente in aree a digital divide. Gli investimenti avranno positive ricadute in termini di occupazione diretta: saranno 180 le persone (progettisti, tecnici, operai) impegnate in 90 cantieri mobili per la realizzazione di reti in fibra ottica e invece circa 300 i cantieri per l’installazione di apparati elettronici di varie tipologie. Le risorse per questi interventi da realizzare sono pari a 35 milioni. Grazie all’implementazione del Piano, inoltre, saranno collegati ad oltre 30 mega 60 comuni e 700mila unità immobiliari. Il beneficio occupazionale derivante dall’intervento vedrà l’impiego diretto di circa 1.000 occupati per quasi 3 anni nei settori impiantistico, civile, elettronico e telecomunicazioni, oltre l’indot-

to a lungo termine che le infrastrutture di rete sono in grado di creare, a partire dai produttori di apparati, dagli operatori di TLC e ai lavori con competenze ICT. Nel medio periodo, ovvero entro il 2015, il 32% del totale delle unità immobiliari campane viaggerà in banda ultra larga, cifra che sale ancora aggiungendo anche i piani degli operatori privati tali da rendere la Campania finalmente “europea” con una copertura infrastrutturale pari al 53% dei cittadini. Nello specifico, il piano banda larga e ultra larga prevede 3 interventi: 1. Intervento sul backhaul: realizzazione di infrastruttura pubblica in fibra ottica nelle aree territoriali a maggiore densità di popolazione attraverso l’attuazione di 94 interventi tra aree comunali e sub comunali (per un totale di 460 km di dorsali in fibra ottica) e l’abilitazione di ulteriori 17.635 utenze a fronte di un investimento complessivo di 21 milioni circa del POR FESR Campania 2007-2013; 2. Sviluppo di servizi di accesso in larga ban- > 53


TEKNÈ > VIA AGLI INTERVENTI. INVESTIMENTI PER ULTERIORI 160 MILIONI. PREVISTI L’IMPIEGO DIRETTO DI CIRCA 1.000 OCCUPATI PER QUASI 3 ANNI NEI SETTORI IMPIANTISTICO, CIVILE, ELETTRONICO E TELECOMUNICAZIONI, OLTRE L’INDOTTO A LUNGO TERMINE CHE LE INFRASTRUTTURE DI RETE SONO IN GRADO DI CREARE, A PARTIRE DAI PRODUTTORI DI APPARATI, DAGLI OPERATORI DI TLC E AI LAVORI CON COMPETENZE ICT

da: cofinanziamento pubblico (per una quota massima del 70%) di un progetto di investimento, presentato dagli operatori di telecomunicazioni, teso alla fornitura di servizi di accesso a banda larga in tutte le aree bianche, anche sfruttando le infrastrutture pubbliche in fibra ottica realizzate con l’ intervento sul backhaul e con gli investimenti già effettuati dal MISE e da Regione Campania in attuazione del Piano Nazionale della Banda Larga nelle Aree Rurali; le aree comunali e sub comunali (identificabili attraverso un codice identificativo ISTAT) oggetto dell’intervento saranno 724 ed è previsto un cofinanziamento pubblico dell’intervento pari a 12 milioni del POR FESR Campania 2007-2013, con un investimento globale di almeno 16,6 milioni. 3. Sviluppo di servizi di accesso in banda ultra larga: cofinanziamento pubblico (per una quota massima del 70%) di un progetto di investimento, presentato dagli operatori di telecomunicazioni, finalizzato alla realizzazione di una rete di accesso passiva per la fornitura di servizi a banda ultra larga (30 e 100 Megabit/sec) sul territorio a fronte di un investimento complessivo di 122 milioni circa del POR FESR Campania 2007-2013. L’individuazione delle aree oggetto dell’intervento è stata fatta attraverso una consultazione pubblica nazionale dal MISE; in Campania sono aree candidabili (aree bianche) tutti i comuni ad esclusione dei 5 capoluoghi di provincia e di Casoria (Na), Giugliano (Na), Pozzuoli (Na), Torre del Greco (Na) e Volla (Na).

IL COMMENTO

CESARE AVENIA PRESIDENTE DI ASSOTELECOMUNICAZIONI-ASSTEL ASSOCIAZIONE CONFINDUSTRIALE DI RAPPRESENTANZA DELLA FILIERA DELLE TELECOMUNICAZIONI

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residente Avenia, la Campania è la prima regione italiana ad av viare il bando del Piano strategico nazionale per la connessione senza limiti di velocità. Finalmente un primato in positivo per la nostra regione… L’infrastrutturazione a banda ultra larga potrà diventare per le regioni del Sud una formidabile piattaforma per un grande balzo in avanti sulla via dello sviluppo, saltando tante tappe intermedie, ma a condizione che possano essere stimolate le capacità imprenditoriali e creative locali. Per assicurare la crescita di un tessuto produttivo e dei servizi legato all’economia digitale è opportuno che la Regione Campania si doti di un’agenda digitale che, in coordinamento con il programma di Governo nazionale, rappresenti un piano di iniziative, obiettivi e tempi ben def initi, per lo switch off digitale della Pubblica Amministrazione, il lancio di servizi pubblici on line, il coinvolgimento di scuole e università e la creazione di un quadro favorevole agli investimenti privati in innovazione.

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UNIVERSITÀ

LE FERMENTAZIONI HCDC

PALMA PARASCANDOLA RESPONSABILE SCIENTIFICO LAB. BIOTECHINMICRO E MICROBIOLOGIA INDUSTRIALE > DIIN UNIVERSITÀ DI SALERNO

Presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIn) dell’Università degli Studi di Salerno è attivo il laboratorio di “BiotechInMicro” dove una parte molto significativa dell’attività di ricerca è tesa a proporre, sviluppare e ottimizzare nuovi processi biotecnologici

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a biotecnologia - definita genericamente come l’applicazione di tecnologie avanzate ai processi biologici, e dagli addetti ai lavori, più esaurientemente, come «l’uso integrato di discipline diverse quali biochimica, microbiologia, ingegneria genetica, ingegneria chimica, per l’ottenimento di sostanze di interesse per l’uomo» - ha consentito, a partire dalla metà degli anni '70 del secolo scorso, con l'avvento della biologia molecolare e la messa a punto delle tecniche dell’ingegneria genetica, la produzione di proteine eterologhe (proteine da specie diversa) in cellule, spesso di origine microbica. Tra i primi risultati tangibili, veri e propri successi a livello industriale, si annoverano prodotti di interesse in campo terapeutico (red biotechnology) come insulina, interferone, vaccino contro l’epatite B e numerosi enzimi utilizzati nell’industria alimentare, in quella dei mangimi, dei detergenti, della carta, o più ampiamente nei settori della green (agro-alimentare) e white (industriale) biotechnology. Nonostante tali risultati, spesso accade che gli alti livelli di produzione ottenuti in laboratorio non trovino rispondenza nel processo allestito in fermentatore, il reattore in cui avviene la produzione vera e propria. I motivi possono essere diversi, attribuibili soprattutto alla scelta di un microrganismo produttore non sempre sufficientemente robusto, incapace di far fronte a condizioni ambientali “stressanti” tipiche dei processi industriali. Comunemente, infatti, le proteine eterologhe sono prodotte in fermentatori a

perfetta miscelazione, funzionanti in modalità semicontinua (fed-batch), nei quali, per effetto dell’accumulo si raggiungono elevate densità cellulari (High Cell Density Cultivation o sistemi HCDC) ma si generano anche condizioni ambientali avverse accompagnate da stress (ossidativo, osmotico, etc.), tali da ridurre la capacità di proliferazione del microrganismo produttore. É ormai riconosciuto che per esprimere una proteina eterologa, ottimizzare il sistema scelto quale ospite e sviluppare il bioprocesso rendendolo economicamente sostenibile, è necessaria una visione più ampia, strutturata e multidisciplinare, che contempli un approccio globale alla produzione di un singolo prodotto. Presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIn) dell’Università degli Studi di Salerno è attivo il laboratorio di “BiotechInMicro” (Biotechnology Industrial Microbiology) dove una parte molto significativa dell’attività di ricerca è tesa a proporre, sviluppare e ottimizzare nuovi processi biotecnologici, nonché a mettere a punto sistemi HCDC usando, come ospite dell’informazione eterologa, il lievito Saccharomyces cerevisiae ancora oggi, unico ospite eucariote approvato da FDA (Food and Drug Administration) ed EMEA (European Medicines Agency) per la produzione di sostanze di interesse per l’uomo. La strategia di espressione utilizzata, messa a punto in collaborazione con un gruppo di ricerca dell’Università di Valencia, consente sia di secernere la proteina eterologa nel mezzo di coltura (con conseguente riduzione dei costi di processo a valle) che di > 55


UNIVERSITÀ

tenerla ancorata alla parete cellulare del lievito. Con questa metodica sono stati messi a punto e realizzati processi per la produzione di proteine eterologhe da impiegare in diversi settori come in terapia medica (interleuchina 1) ed enzimi che trovano impiego nel comparto agroalimentare quali xilanasi, lipasi, endoglucanasi etc.. La realizzazione di tali processi ha fatto seguito ad uno studio sistematico mirato sia alla scelta del ceppo più idoneo che delle migliori condizioni operative per raggiungere elevati valori di produttività volumetrica e di resa in prodotto. Pertanto volendo conseguire risultati che abbiano ricadute nel settore dell’industria fermentativa (ad es. allestimento di protocolli di ottimizzazione riguardanti i diversi aspetti del bioprocesso), ma anche porre l’accento su aspetti dei sistemi

HCDC non ancora sufficientemente considerati e approfonditi, è chiaro che lo studio del bioprocesso va affrontato considerando il sistema “fermentatore-microrganismo produttore” nella sua totalità cioè come il risultato dall’interazione tra determinanti biologici e ambientali. Questo approccio, di tipo olistico, si basa, oltre che sulla sperimentazione, sulla modellazione del bioprocesso con lo sviluppo, attualmente, di un modello matematico ispirato ai principi della System Dynamics che, guardando alle dinamiche metaboliche interne alla cellula come il risultato di condizioni multifattoriali, meglio descrive il bioprocesso. Nel laboratorio BiotechInMicro dell’Università di Salerno sono stati messi a punto oltre a fermentazioni in coltura sommersa, processi con enzimi e cellule microbiche immobilizzate da impiegare in reattori continui, sia a miscelazione che a letto fluidizzato. Il gruppo di Biotecnologia e Microbiologia Industriale si occupa, inoltre, di bioluminescenza sfruttandone le potenzialità a supporto dello studio di base del processo fermentativo e ai fini del rilevamento di fenomeni di contaminazione microbica ambientale. In questa realtà multidisciplinare, l'ingegnere chimico, disponendo di un solido background scientifico è in grado di appropriarsi, attraverso lo studio e la sperimentazione "sul campo", degli aspetti biochimici e fisiologici del processo fermentativo configurandosi come un soggetto nuovo nell'odierno panorama delle biotecnologie, in quanto capace di pervenire alla soluzione di problemi e all'ottimizzazione di un processo attraverso una visione olistica dei fenomeni che si sviluppano all'interno del fermentatore.

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IL GRUPPO DI BIOTECNOLOGIA E MICROBIOLOGIA INDUSTRIALE SI OCCUPA, INOLTRE, DI BIOLUMINESCENZA SFRUTTANDONE LE POTENZIALITÀ A SUPPORTO DELLO STUDIO DI BASE DEL PROCESSO FERMENTATIVO E AI FINI DEL RILEVAMENTO DI FENOMENI DI CONTAMINAZIONE MICROBICA AMBIENTALE. IN QUESTA REALTÀ MULTIDISCIPLINARE, L'INGEGNERE CHIMICO, DISPONENDO DI UN SOLIDO BACKGROUND SCIENTIFICO È IN GRADO DI APPROPRIARSI, ATTRAVERSO LO STUDIO E LA SPERIMENTAZIONE "SUL CAMPO", DEGLI ASPETTI BIOCHIMICI E FISIOLOGICI DEL PROCESSO FERMENTATIVO CONFIGURANDOSI COME UN SOGGETTO NUOVO NELL'ODIERNO PANORAMA DELLE BIOTECNOLOGIE, IN QUANTO CAPACE DI PERVENIRE ALLA SOLUZIONE DI PROBLEMI E ALL'OTTIMIZZAZIONE DI UN PROCESSO ATTRAVERSO UNA VISIONE OLISTICA DEI FENOMENI CHE SI SVILUPPANO ALL'INTERNO DEL FERMENTATORE

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SICUREZZA

S e tto re r i c er c a , c e r tific a z i on e e v er i f i c a os s e rva t or i o d el l a si c u r ez z a a c u ra d el l ' u r p d ipa r tim en t o p r oc es s i or g a n izz a t i v i

RASSEGNA CONCORSO INFORM@ZIONE 2012

DI SARA STABILE INAIL SETTORE RICERCA CERTIFICAZIONE E VERIFICA DIPARTIMENTO PROCESSI ORGANIZZATIVI

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o scorso ottobre si è conclusa a Modena, nell’ambito della Convention Nazionale dei Responsabili dell'Igiene e Sicurezza in Ambiente di Lavoro, l’edizione 2012 della Rassegna Inform@zione - Concorso a premi e banca dati nazionale dei prodotti per l’informazione e la formazione alla salute e alla sicurezza sul lavoro. Tale iniziativa viene realizzata, con cadenza biennale, in collaborazione tra l’Assessorato alla Sanità Regione Emilia Romagna, l’AUSL di Modena e l’INAIL Direzione Regionale Emilia Romagna e l’INAIL Settore Ricerca Certificazione e Verifica e, da quest’anno, anche in collaborazione con l’INAIL Direzione Centrale Prevenzione. La Rassegna, giunta alla sua ottava edizione, ha raccolto e selezionato in questi anni oltre 800 materiali per l’informazione e la formazione alla salute e sicurezza sul lavoro, realizzati da soggetti pubblici e privati. La partecipazione è aperta alla presentazione di manuali, libri, opuscoli, depliant, poster, video, cd rom, dvd e ogni altro prodotto utile alla informazione e alla formazione di tutti i soggetti coinvolti nella gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (Aziende Sanitarie, Enti pubblici e privati, Istituzioni, Editori, Associazioni di categoria, Organizzazioni sindacali, le Società/ Enti di formazione, imprese, consulenti, ecc.). Il progetto si inserisce nel contesto della normativa in materia di informazione e formazione alla salute e sicurezza sul lavoro. Tale ambito si è notevolmente modificato nell’ultimo ventennio. Infatti, con l’emanazione del D.Lgs. 81/08 e s.m.i., e degli Accordi Stato–Regioni del 21 dicembre 2011 - che disciplinano, la durata i contenuti e le modalità della formazione e dell’aggiornamento dei

lavoratori, dei preposti e dei dirigenti e dei datori di lavoro con compiti propri del servizio di prevenzione e protezione - e dalle successive Linee applicative pubblicate sulla GU n. 192 del 18 agosto 2012, è stato potenziato il ruolo attribuito alla informazione, formazione e addestramento, quali processi fondamentali che, garantendo piena attuazione del principio di partecipazione attiva di tutti i soggetti operanti nel sistema di prevenzione aziendale, costituiscono la più efficace leva per una effettiva prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro. Inoltre, alla luce delle disposizioni dell’art. 30 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. le attività di informazione e formazione, effettivamente attuate, rappresentano uno dei requisiti centrali per la costruzione efficace di un sistema di gestione della salute e sicurezza alla base del modello di organizzazione e di gestione previsto dal D.Lgs. 231/2001, che di fatto si realizzano grazie alla circolazione delle informazioni e dei dati, alla diffusione della conoscenza e consapevolezza dei rischi, al confronto e al dialogo tra tutti gli attori coinvolti e al controllo dei risultati sull’applicazione del lavoro. Per quanto attiene nello specifico agli obblighi informativi, i concetti di efficacia ed efficienza sono strettamente correlati ai corretti mezzi utilizzati per l’informazione e la comunicazione così come al controllo e alla verifica dell’apprendimento delle nozioni trasmesse. Anche la formazione, per essere efficace, deve essere progettata e realizzata con criteri di qualità, che richiedono: un’analisi della domanda e dei bisogni formativi dei partecipanti; la definizione di obiettivi chiari, realistici e misurabili; l’adozione di metodi didattici efficaci e adeguati agli obiettivi, alle persone e alle risorse > 57


SICUREZZA disponibili e la presenza di formatori qualificati; una valutazione dei risultati raggiunti in termini di acquisizione di conoscenze e competenze da parte dei discenti. Ciò, è quanto risulta dai percorsi formativi delineati dagli Accordi Stato-Regioni progettati e strutturati, in termini contenutistici, metodologici, organizzativi e procedurali, con rispondenza a criteri qualitativi di adeguatezza, specificità e comprensibilità, strettamente funzionali e tarati sulle peculiarità delle figure aziendali cui sono rivolti, sulle mansioni cui le stesse sono adibite, sul rischio cui sono esposte, così come sulla tipologia di rischio. Inoltre l’evoluzione delle nuove tecnologie, i cambiamenti dei ritmi di vita e della stessa concezione della formazione, hanno reso possibile l’affermazione di un nuova modalità di formazione a distanza, l’e-learning. Secondo i citati Accordi, tale metodologia per essere considerata legittima deve rispettare criteri, requisiti e condizioni che ne garantiscano l’efficacia e quindi la qualità. L'ottimizzazione e la valorizzazione dell’ informazione e della formazione alla salute e sicurezza sul lavoro è lo scopo principale della Rassegna Concorso Inform@zione che ha mantenuto nel susseguirsi delle diverse edizioni degli obiettivi di carattere generale che, di volta in volta, gli enti promotori hanno implementato in risposta ai cambiamenti normativi e alle esigenze degli utenti. Tali obiettivi sono sintetizzabili in 3 punti: 1. implementare e aggiornare il catalogo e la banca dati, per fornire una gamma sempre più ampia di informazioni utili, per scegliere, acquisire ed utilizzare materiali informativi e didattici per la salute e la sicurezza sul lavoro, nell'ottica di facilitare la ricerca di prodotti mirati alle esigenze specifiche; 2. offrire un servizio alle aziende, ai tecnici, ai lavoratori, ottimizzando le energie e valorizzando le esperienze già disponibili, anche con una particolare attenzione all'implementazione e alla trasferibilità di esperienze validate e risultate efficaci ai fini della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali; 3. enfatizzare gli aspetti qualitativi dei materiali, al fine di promuovere e condividere momenti di supporto alla crescita culturale dei soggetti coinvolti nei processi di informazione e formazione. Nell’ottica di facilitare la ricerca di prodotti mirati alle esigenze specifiche degli utenti, i prodotti ammessi al

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Concorso vengono inseriti in una banca dati accessibile dai siti degli enti promotori e inseriti in un catalogo che riporta per ogni materiale le principali informazioni che descrivono il tipo di materiale, i destinatari, i riferimenti per la richiesta, un breve abstract e la foto del materiale stesso. Inoltre in ogni edizione della Convention Ambiente Lavoro di Modena, viene allestito uno spazio espositivo che permettere la consultazione di tutti i prodotti in particolare di quelli disponibili in rete o su supporto informatico in una sala multimediale attrezzata. L’attenzione dedicata alla qualità dei materiali rappresenta e ha rappresentato nella storia della Rassegna una delle azioni chiave per migliorare le attività finalizzate alla tutela della salute e sicurezza. Per valutare i prodotti, la Commissione costituta da esperti si avvale di criteri elaborati dagli enti promotori e derivanti dall’attività di ricerca condotta da anni nel settore della informazione e formazione alla SSL, che sono riconducibili a: qualità tecnica (specificità del materiale rispetto ai destinatari, adeguatezza dei contenuti rispetto ai destinatari, correttezza dei contenuti tecnici, completezza dei contenuti rispetto alle finalità, ecc.); qualità comunicativa (efficacia della veste grafica, facilità di utilizzo e consultazione, capacità di risultare gradito e/o piacevole, interattività, ecc.); • rilevanza e originalità del tema. Le tematiche in concorso, premiate nell’edizione 2012 sono state: • gli ambienti confinati; • la prevenzione nelle PMI, oggetto della Campagna Europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro indetta per l'anno 2012-2013; • l’edilizia e l’agricoltura. Ogni edizione si conclude con il momento della premiazione che rappresenta non solo l’occasione per divulgare i materiali vincenti, presentati dai rispettivi produttori, ma anche l’opportunità di condividere momenti di scambio e riflessione su tematiche nuove di particolare spicco nell’ambito dell’informazione e della formazione alla SSL, per le quali ci si è avvalsi nel corso degli anni di collaborazioni con esperti e personalità. Esiste indubbiamente sul mercato una vasta gamma di prodotti informativi e formativi, ma non sempre tali strumenti, costituiscono una reale risposta ai bisogni informativi e formativi in termini di adeguatezza, specificità e comprensibilità, indispensabili per far scaturire dalle risorse impiegate una ricaduta reale sul miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro. Al fine di rispondere alla continua domanda da parte delle imprese di poter disporre di materiali e strumenti di qualità per far fronte alle proprie necessità formative e informative, gli enti promotori hanno riproposto negli anni la Rassegna Inform@zione, che si è tenuta al passo con i cambiamenti normativi a volte anche precorrendo i tempi, orientando l’interesse su tematiche riconosciute a posteriori dalla normativa come fondamentali. Ulteriori informazioni sono reperibili sui siti Internet degli Enti promotori: Azienda USL di Modena (www.ausl.mo.it/ dsp), INAIL Emilia-Romagna (www.inail.it/emilia-romagna), INAIL Settore Ricerca e Certificazione e Direzione Centrale Prevenzione (www.inail.it), dove verrà pubblicato a breve il bando per partecipare all’edizione della Rassegna 2014.(www.inail.it),


BON TON

L’ARTE DI RICEVERE EN PLEIN AIR

NICOLA SANTINI www.ttimestyle.com

Sbaglia chi ritiene che organizzare un pranzo o un cocktail all’aperto sia un via libera alle regole di serie b perché in realtà le cose sono ben diverse. Un invito fatto come si deve su un terrazzo deve lasciare la sensazione di aver trascorso qualche ora in un salotto all’aperto ed è questo che i bravi padroni di casa devono poter organizzare

L’

arte del ricevere, con l’estate, dà la possibilità di sbizzarrirsi in una serie infinita di combinazioni: si può fare un invito al mare, sotto l’ombrellone, in un giardino, organizzare un pic nic nel parco al fresco sotto una pianta, o, per chi ne ha una, ricevere in terrazza. Quest’ultima soluzione, di stampo più urbano, una soluzione estremamente piacevole per coloro che sognano di abbandonare le pareti al chiuso pur non potendo scappare in vacanza quando vorrebbero. Ricevere ospiti in terrazza significa combinare aria, buon cibo, divertimento e suggestione, ingredienti che non possono prescindere gli uni dagli altri. Sbaglia chi ritiene che organizzare un pranzo o un cocktail all’aperto sia un via libera alle regole di serie b perché in realtà le cose sono ben diverse. Un invito fatto come si deve su un terrazzo deve lasciare la sensazione di aver trascorso qualche ora in un salotto all’aperto ed è questo che i bravi padroni di casa devono poter organizzare. Andiamo per ordine, organizzando il tutto come se fosse un piatto da cucinare. Gli ingredienti li abbiamo visti. Partiamo con l’aria. Si ritiene adatto il terrazzo per ricevere quello che consente di godere dell’aria aperta. Scordatevi di utilizzarlo se vivete a un primo piano troppo vicino ai rumori, odori e smog della strada, a meno che non sia sufficientemente grande da esser popolato da piante verdi che purificano e isolano. Una bella tenda, un ombrellone, un gazebo possono proteggere dagli sguardi indiscreti dei piani alti e dalla discesa dell’umidità. Qualche candela aromatizzata anti zanzara sarà di sicuro aiuto per le zone un po’ più a rischio, ma guai ad esagerare con profumi troppo prepotenti. Veniamo al cibo: l’esperienza insegna che in terrazza un pranzo a buffet rende di più di un pranzo seduti, sempre se lo spazio lo consente. Se il terrazzo è un piccolo affaccio, allora il numero degli ospiti sarà ben preciso e le sedute assegnate. Se le dimensioni sono tali da garantire movimento e dislocazione di vari angoli, si può organizzare il tavolo dei piatti e bicchieri da una parte, quello del bere separato e quello del mangiare da un’altra parte. Sul cibo c’è da dire che spesso, se possibile sarebbe meglio disporlo in un angolo riparato o meglio coperto, magari il salotto adiacente al terrazzo, per evitare che attiri insetti o che la temperatura sia di disturbo alla qualità dei piatti. L’ideale sarebbe scegliere delle pietanze che non richiedono l’uso del coltello, in modo da poter garantire facilità di movimento anche a quanti siedono appoggiando il piatto sulle ginocchia. Ricchi e vari antipasti, se volete un primo caldo da assaggio o un secondo, tanta frutta, verdura e un bel dolce, scegliendo ciò su cui siete veramente forti. Il divertimento lo fanno le persone: selezionare tra gli amici quelli che vanno d’accordo e qualche new entry per far sì che le persone facciano nuove conoscenze, nascano amicizie e si consolidino i rapporti. I padroni di casa devono trattare tutti allo stesso modo, distribuire la loro presenza equamente e far sentire tutti a casa propria. La suggestione è l’ultimo ingrediente: tutto ciò che fa atmosfera. Al bando le decorazioni fini a se stesse, e viva la luce, la musica e la semplicità di un vaso di fiori. Luci soffuse, più basse possibile, usando candele in posizioni strategiche e qualche faretto dietro i vasi di piante già contribuiscono alla buona riuscita visiva. La musica farà il resto: una colonna sonora soft, che accompagna conversazione e libagioni, per godere anche acusticamente una serata speciale. 59


OBESITÀ E COMPORTAMENTI ALIMENTARI (2° PARTE) GIUSEPPE FATATI PRESIDENTE FONDAZIONE ADI (ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIETETICA E NUTRIZIONE CLINICA)

Il Ministero della Salute britannico ha recentemente stimato che, se continueranno le attuali curve di crescita dell’obesità, entro il 2050 ci sarà un’aspettativa di vita media inferiore di 5 anni per gli uomini

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INRAN ha pubblicato, recentemente, i dati di un’indagine nazionale sui consumi alimentari in Italia: INRAN-SCAI 2005-06. É importante sottolineare come la rilevazione dei dati sia stata effettuata mediante registrazione dei consumi di tre giorni consecutivi su diario alimentare, a livello individuale. La rilevazione ha coperto un anno solare (escludendo i periodi di Natale e Pasqua) per includere la variabilità stagionale. I dati sono stati raccolti nelle quattro ripartizioni geografiche principali (nord-ovest, nord-est, centro, sud e isole). Le famiglie sono state selezionate in proporzione all’ampiezza dei comuni di residenza e alla numerosità del nucleo coabitante. Il campione finale è risultato costituito da 3323 individui (1501 maschi e 1822 femmine) con età compresa tra 0,1 e 97,7 anni, appartenenti a 1329 famiglie: 52 bambini piccoli (0-2 anni), 193 bambini (3-9 anni), 247 adolescenti (10-17 anni), 2313 adulti (18-64 anni) e 518 anziani (65-97 anni). L’elaborazione dei dati ottenuti ha permesso di stabilire che circa l’11% dell’energia giornaliera media deriva dalla colazione, il 43% dal pranzo, il 38% dalla cena e l’8% dagli spuntini. I pasti principali della giornata (colazione, pranzo e cena) risultano, per la maggior parte, essere consumati a casa. Il consumo medio giornaliero di cereali e prodotti da forno è stato di 258 g/die (233 g/die nelle femmine e 290 g/die nei maschi). Il consumo medio giornaliero di legumi, freschi e conservati è stato solo 11 g/die nel campione totale. Per quanto riguarda frutta e verdura, il consumo medio è risultato di 418 g/die pro capite, appena al di sopra del minimo raccomandato (400 g). Il consumo medio giornaliero di carne, insaccati e sostituti della carne è stato di 110 g/ die, quello di pesce e frutti di mare di 45 g/die e quello di latte, derivati e sostituti del latte di 198 g/die. Dati interessanti sono emersi per il gruppo oli e grassi: gli Italiani ne consumano 40 g/die ma, fortunatamente, danno la preferenza all’olio di oliva (33 g/die) che rappresenta l’81% degli oli e grassi totali (ed il 93% degli oli vegetali), superando addirittura l’85% nei bambini piccoli e negli anziani. Il consumo di grassi da condimento di origine animale è risultato basso. Buone notizie relative alle bevande alcoliche e ai dolci: il consumo medio giornaliero delle prime è di circa 90 g/die con una preferenza per il sottogruppo “Vino e sostituti” (64 g/die), mentre quello dei secondi è di 33 g/die. All’interno di questo gruppo alimentare il maggior consumo è derivato dal sottogruppo “Zucchero, fruttosio e miele” (17 g/die) seguito da “Gelati e ghiaccioli” (10 g/die). Infine è interessante notare che il consumo medio giornaliero di acqua e altre bevande non alcoliche è stato di 837 g/ die nei soli consumatori e di 836 g/die nel campione totale. All’interno di questo gruppo alimentare il maggior è derivato dal sottogruppo “Acqua minerale” (452 g/die) seguito da “Acqua di rubinetto” (196 g/die). Escludendo l’acqua, il campione totale ha consumato giornalmente, in media, 81 g/die di caffè, 27 g/die di tè, 19 g/die di bevande a base di cola, 16 g/die di succhi di frutta (pera, pesca, mela e albicocche) e 11 g/die di succhi di frutta di altri tipi.


SALUTE

SOLE SÌ, MACCHIE NO

ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO www.antoninodipietro.it

Per evitare i danni causati da una scorretta esposizione solare, occorre una giusta prevenzione fin dalla più tenera età, utilizzando le apposite creme protettive e quelle doposole, idratanti

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raggi solari sono amici della nostra salute per moltissime ragioni. Senza le opportune precauzioni in difesa della pelle, però, possono rivelarsi dannosi e, nel caso particolare, provocare le cheratosi. Si tratta di macchie che compaiono sulla pelle, di colore grigio o bruno, di forma irregolare e ruvide al tatto. Come suggerisce il nome, cheratosi, sono formate per lo più da una sostanza, la cheratina, che costituisce gran parte delle unghie e dei capelli. La cheratina è normalmente presente anche sulla pelle per proteggerla come un sottile strato difensivo, ma in questo caso si verificano veri e propri accumuli. Come suggerisce l’aggettivo “solari”, queste lesioni compaiono a causa dell’azione di invecchiamento precoce provocata dai raggi del sole su una pelle non adeguatamente protetta. Le cheratosi solari non sono dolorose, ma in alcuni casi possono causare prurito. In questo caso attenzione perché se si tenta in qualche modo di eliminarle con le unghie, magari in preda al prurito, possono sanguinare e provocare infezioni. Devono sempre essere tenute sotto controllo, quindi, perché con il tempo si potrebbero trasformare in un problema più serio. Una volta formatesi, vanno fatte esaminare annualmente dallo specialista per verificare se c’è stata una crescita o una trasformazione della cheratosi stessa. Per evitare la loro comparsa non bisogna prendere l’abitudine di esporsi al sole senza una crema protettiva adeguata al tipo di pelle. Coloro che vengono colpiti da cheratosi solari hanno infatti spesso la pelle molto chiara, i capelli biondi o rossi e gli occhi chiari. A mano a mano che la carnagione e il colorito scuriscono, anche la tendenza alla cheratosi diminuisce. In genere il problema è più frequente dopo i quarant’anni e sulle zone del corpo più esposte al sole, come le mani, il viso e il décolleté e sul cuoio capelluto nei soggetti che hanno perso i capelli. Certo non basta una sola esposizione scorretta al sole per fare venire una cheratosi, ma è il frutto di anni di esposizioni scorrette. Quindi, proprio perché questo problema della pelle deriva dall’accumulo dei danni derivati dalle esposizioni al sole, una corretta prevenzione deve iniziare fin dalla più tenera età, utilizzando le apposite creme protettive e quelle doposole, idratanti, già da bambini. Quando le lesioni sono ancora piccole e non sono posizionate su parti troppo delicate, una terapia con pomate a base di acido acetilsalicilico o diclofenac addizionato con acido ialuronico, può eliminarle. Si tratta comunque di terapie che richiedono tempi lunghi per risultare efficaci e, allo stesso tempo, è necessario che la parte di pelle sottoposta alle cure sia costantemente riparata dall’azione dei raggi solari. Più rapide, invece, sono le cure di tipo ambulatoriale, che si possono eseguire in uno studio dermatologico, con l’uso dell’azoto liquido, del laser e con speciali bisturi definiti “a radiofrequenza”. La prima cura sfrutta le proprietà di una sostanza, l’azoto che a -147°, in minime quantità e direttamente sulla cheratosi, consente di disgregarla e di eliminarla rapidamente. Il laser, contrariamente all’azoto liquido, secca la parte e la sbriciola letteralmente. Anche in questo caso basta una sola seduta per lesione. Infine abbiamo la cura con bisturi a radiofrequenza che sfrutta fasci potentissimi di onde radio. Queste, a contatto con la cheratosi, fanno sì che le minuscole goccioline d’acqua contenute nelle singole cellule della cheratosi inizino ad agitarsi fino a distruggere dall’interno ogni cellula malata, che poi può essere rimossa con facilità. Dopo queste cure si forma uno strato di pelle nuova, molto sensibile, che va adeguatamente protetto. 61


ARTE

GLI SPAZI DELLA CRITICA. IL DIBATTITO TEORICO ATTRAVERSO LE MOSTRE 1980-2010 ANNI NOVANTA # 7 ANTONELLO TOLVE ART CRITIC > INDEPENDENT CURATOR PROFESSOR AT THE ACADEMY OF FINE ARTS IN MACERATA

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ACHILLE BONITO OLIVA CON UMBERTO SCROCCA

ANTONELLO TOLVE ACHILLE BONITO OLIVA EUGENIO VIOLA BOLOGNA 2013

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modellare il paesaggio degli anni Novanta del XX secolo, una costellazione di mostre – legate dal filo riflessivo di un titolo cartografico, Punti cardinali dell'arte, più precisamente – rappresenta un progetto teorico che, sulla via lattea dell'interdisciplinarità, mira a coniugare le forze più vitali del circuito internazionale dell'arte attraverso alcune parole d'ordine (multiculturalismo, transnazionalità e multimedialità) volte a costruire una mostra diffusa, «rivolta ad un pubblico che ricerca un contatto contraddittorio e complesso con l'opera d'arte, un confronto serrato sul piano delle relazioni multiple tra l'opera e l'orizzonte entro cui si colloca». Si tratta della 45° Esposizione Internazionale di Venezia, una Biennale che, sotto la direzione di Achille Bonito Oliva, pone l'accento su una espansione geografica radicale, su una idea che trasforma il pulsante presente in disegno franco dell'arte, in volto plurale che mostra il progressivo sfibrarsi delle frontiere, dei confini, degli isolamenti. Fino a creare uno slittamento necessario, un transito, un impulso dinamico di cultura e civiltà. Sfondando dall'interno il sistema allestitivo delle precedenti esposizioni veneziane (elaborate secondo schemi chiusi, atolli, vicoli ciechi, aree circoscritte), Bonito Oliva crea una esplosione, una breccia, un programma relazionale mediante il quale alcuni padiglioni – abbandonato il modello strettamente nazionale dell'Expo di Parigi – presentano «nei loro spazi anche artisti di altri paesi, come riflesso di un aggiornamento del concetto di nazionalità, sottoposto a massicce migrazioni di popoli da un territorio a un altro». Già ideatore e curatore di due indimenticabili esposizioni che hanno segnato il secondo Novecento – Vitalità de negativo nell'arte italiana. 1960/1970 (1970) e Contemporanea (1973) – e, assieme ad Harald Szeemann, di Aperto, Achille Bonito Oliva, il cui sguardo si pone all'ascolto del presente e delle presenze, dei dati e delle date attuali, sottopone lo spettatore ad un viaggio multietnico in cui il meticciaggio culturale ridisegna il mondo mediante gemellaggi, rapporti di partecipazione, dialoghi costruttivi, confermando i valori della coesistenza (non c'è esistenza senza coesistenza, ha avvertito Nancy), della differenza dei popoli e dei linguaggi. Bonito Oliva aziona, in questo modo, un programma polifonico (unico nel suo genere) che, se da una parte smonta il sistema allestitivo delle precedenti esposizioni veneziane per ritrovare nell'arte («in un momento di frantumazione e di grandi tensioni sociali e politiche») il mezzo ideale dell'aggregazione, dall'altro pone al centro del dibattito internazionale la propria volontà «di superare l'autarchia e la settorialità di certa cultura che porta all'isolamento e all'impoverimento dell'espressione e della comunicazione» (Marucci-Novelli), recependo «in maniera sempre più diretta le problematiche legate al tema della globalizzazione e del post-colonialismo» (Cagol).


IL SEGNALIBRO

ORAZIO BOCCIA SI RACCONTA IN UN LIBRO ED È LA “STORIA DI UNO SCUGNIZZO” a c ura di Vito Salerno

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ORAZIO BOCCIA

da poco tempo sugli scaffali delle librerie italiane “Storia di uno scugnizzo”: il percorso di vita di Orazio Boccia, uno dei pionieri dell’imprenditoria italiana delle arti grafiche. Il volume, edito da Guida e curato dai giornalisti Bruno Bisogni e Roberto Race, si apre con le prefazioni del Presidente dei Cavalieri del Lavoro, Benito Benedini, e del Vice Ministro alle Infrastrutture e Sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca. Orazio Boccia ha fondato a Salerno Arti Grafiche Boccia, un'azienda che opera attualmente per i principali editori europei e che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito come «l'immagine di un Mezzogiorno capace di far emergere e valorizzare le sue migliori energie, concorrendo con il proprio fattivo apporto allo sviluppo dell'Italia intera». E “Storia di uno scugnizzo” è molto più di un’autobiografia del Cavaliere del Lavoro Orazio Boccia. È il racconto di un'epoca, quella del dopoguerra e degli anni del boom, in cui si poteva passare dalla miseria e dalla fame, quella vera, alla costruzione, tra mille difficoltà, di un'impresa prima artigianale e poi sempre più attrezzata con tecnologie innovative. Nato a Salerno da una famiglia di origini modeste e abituato a lottare quotidianamente per la sopravvivenza, Boccia crea poi un piccolo impero nel mondo dell'industria grafica: la Arti Grafiche Boccia, che nel 2012 ha celebrato i suoi cinquant’anni + 1. «Il personaggio Orazio Boccia - scrive nella sua prefazione Benito Benedini - è davvero fuori del comune. È il classico self made man, ma, come tutti coloro che “nascono dal nulla”, ha una vita alle spalle fatta di battaglie quotidiane per l’esistenza, aneddoti dove affiorano spesso elementi tra il comico e il drammatico, “sliding doors” dove una scelta, a volte anche il caso, determina il successo o l’insuccesso di una persona, per quanto valorosa. È l’insegnamento dello stesso Orazio: “La mia sfortuna è stata anche la mia fortuna”. L’amore per il rischio nasce dalla sperimentazione sulla propria pelle, negli anni del conflitto e immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, di quanto sia difficile barcamenarsi tra strade e vicoli del destino, scugnizzo tra scugnizzi, orfano di padre, poi chiuso in un orfanotrofio dal regime così duro da essere etichettato come “serraglio”. È quest’uomo, Orazio, più ancora che il futuro imprenditore, ad avercela fatta. Personaggi, come Orazio, hanno contribuito a creare quell’industria italiana che, con alterne vicende e con difficoltà e criticità maggiori o minori nelle diverse aree della Penisola, ha fatto del Paese una delle principali potenze economiche del mondo». «Il genio innovativo - scrive nella prefazione Vincenzo De Luca - le intuizioni di investire su nuovi macchinari e nuove tecnologie valorizzando la professionalità, hanno portato la sua azienda, anche con la valida cooperazione dei familiari, ai vertici nazionali per l’apprezzata qualità. La vicenda umana ed imprenditoriale dell’Autore si snoda attraverso i decenni, i grandi fatti epocali e le minute storie locali, i movimenti d’opinione e le ideologie. Sullo sfondo anche la trasformazione della nostra comunità che diventa, nel corso degli anni, una città simbolo del rinnovamento civile, urbano e produttivo, grazie anche al lavoro di uomini come Orazio Boccia». «In Orazio Boccia - scrivono i curatori Bruno Bisogni e Roberto Race - emerge quella determinazione di uomini e donne che, ripartendo da un territorio pieno di macerie, hanno saputo, grazie al duro lavoro, agli impegni e ai sacrifici, ricostruire la grande Italia e la sua vocazione manifatturiera. Un messaggio attuale per i tempi che viviamo, che aiuta a riscoprire il nostro futuro attraverso il nostro passato. Una vicenda profonda, intensa, di passione, sofferenza e senso della responsabilità, raccontata con le parole e gli "occhi" di Orazio: quegli occhi di chi ha nostalgia di avvenire e viene da una grande ed emozionante lezione di vita. Ripercorrerla è stata per noi un’esperienza unica». Soprattutto in un momento così difficile per il nostro Paese, una lettura da non perdere, il Cavalier Orazio ci dona una lezione di coraggio, sacrificio e impegno da cui ripartire per ritrovare la speranza di un futuro migliore. 63


IL SEGNALIBRO

IL CASALE > FRANCESCO FORMAGGI a c u ra di Raffaella Venerando

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pp. 3 0 4 euro 17,00 N e ri Pozz a Editore I N U S C ITA A SE TTE M B R E

estate è asfissiante nel Sud Italia, Francesco è pigro e vorrebbe restare in città, ma Giulia non sente ragioni e lo costringe a partire, per una settimana di vacanza, verso il casale di campagna della zia Ester. Stanno insieme solo da qualche mese e il loro rapporto è ancora pieno di slancio, ma quando Giulia allunga i piedi nudi sul cruscotto e Francesco si accorge che gli alluci orribili, quasi deformi, è come se il mondo gli crollasse addosso: prova una tale repulsione che perfino il pensiero di far sesso con lei gli diventa impossibile. Da quel momento in poi, come un sassolino che rotola a valle fino a diventare una valanga, tutto ciò che a Francesco accade nel casale sembra la conseguenza disastrosa di quella deformità. Come quando scopre che qualcuno si è messo a sterminare le galline, o che la zia Ester ha una vita notturna segreta, o che dietro il dito mozzo di Mario, il custode, si nasconde forse un misfatto inconfessabile e, ancora, dietro i modi timorosi della domestica Clara, insieme alle aure di una donna schiavizzata, si nasconde un insospettabile animo poetico. Francesco intuisce che al casale, celata da comportamenti rigorosi e aristocratici, si sta preparando una sciagura. Quando si renderà conto di trovarsi al centro della scena in cui si scateneranno gli eventi, sarà già troppo tardi per tornare indietro: dovrà guardare dentro se stesso, riconoscendo l’abisso che si apre tra ciò che ha creduto di essere e ciò che è realmente. Col suo stile che sa mescolare sapientemente i generi all’unico scopo di piegarli a soluzioni del tutto originali e inattese, Il casale ci racconta la deformità nascosta dietro le apparenze più abbaglianti. Entriamo con l’autore e i suoi personaggi nella zona opaca dell’essere umano in cui le fantasie si fondono con le paure più recondite, e le passioni opposte – l’amore e l’odio, la violenza e la tenerezza – si mescolano come gli ingredienti di una zuppa, rivelandoci quanto siano incontrollabili.

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IL LATO POSITIVO > DAVID O. RUSSELL a c u ra di Vito Salerno

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l “lato positivo” è una vera gemma, un film affascinante e spiritoso, vincitore con merito di numerosi premi cinematografici. Scritta e diretta da David O. Russell, la storia è un dramma familiare, ma anche una commedia romantica e divertente. Pat Solatano (Bradley Cooper), ex insegnante di storia delle superiori, ha perso tutto: casa, lavoro, compagna. Dopo aver trascorso un lungo periodo di tempo in un istituto psichiatrico perché affetto da disturbo bipolare, si ritrova, in seguito ad un patteggiamento della pena che avrebbe dovuto scontare, ad abitare nuovamente con sua madre (Jacki Weaver) e suo padre (Robert De Niro, in gran forma nei panni di un padre ossessionato da superstizioni e scommesse). Pat, però, non ha perso il suo naturale ottimismo: è deciso a ricostruire la propria vita e a riconciliarsi con la sua ex-moglie, nonostante le problematiche circostanze della loro separazione. I suoi genitori, invece, vorrebbero solo che si rimettesse in piedi e che condividesse la passione/ ossessione di famiglia per la squadra di football locale: i Philadelphia Eagles. Pat fatica a trovare un suo equilibrio sia all'interno del nucleo familiare che nella società e la situazione si complica ulteriormente quando conosce Tiffany (Jennifer Lawrence, vincitrice dell’Oscar per la sua interpretazione), una misteriosa ragazza che soffre a sua volta di problemi psichiatrici. Tiffany si offre di aiutarlo a riconquistare la sua donna, in cambio, lui dovrà fare una cosa molto importante per lei. Ma nel mettere in atto il loro piano, il loro rapporto prende una piega inaspettata e nelle vite di entrambi sembra aprirsi uno spiraglio di luce.

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