NUMERO 04
LUGLIO/AGOSTO 2014
L’innovazione solleva l’economia
EDIT OR IA L E / L UGL IO A GOST O 2014
Fisco, le tasse per cittadini e imprese non vanno in vacanza Se un sistema di tributi più chiaro, trasparente e semplificato può essere la leva giusta per ridare fiato a un’economia in tremendo affanno, che si riformi allora e in modo profondo, partendo anche da misure semplici come rimborsi Iva più veloci per le aziende virtuose
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o perso un pomeriggio per capire come pagare con l'Imu di casa mia». Questa battuta, non certo di spirito, non è di un semplice cittadino alle prese con la tassa da corrispondere sulla propria abitazione ma della neodirettrice dell'Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, pochi giorni fa alla sua prima uscita pubblica. Se un’esperta di fisco dichiara di avere incontrato più di una difficoltà nell’adempiere a uno dei doveri da contribuente, figuriamoci allora se non sono quanto meno giustificabili dubbi e perplessità di noi comuni mortali al cospetto di un surplus di norme e di una giungla di imposte che nel nostro Paese raggiunge vette elevatissime. In Italia, infatti, il livello di prelievo fiscale è a dir poco oneroso - il 68,5% secondo la Banca mondiale (“total tax rate”, Rapporto Paying Taxes 2013) – e appare ancor più eccessivo e incongruente se paragonato al livello dei servizi resi dallo Stato. Ci si aspettava che le cose cambiassero all’indomani dell’approvazione – avvenuta nel marzo scorso dopo due anni di attesa– del DDL delega fiscale, di cui ora si avviano i primi decreti attuativi. L’inversione di tendenza però tarda ad arrivare e la delusione, specie delle imprese che la attendevano con grande interesse per recuperare in investimenti e internazionalizzazione, cresce, considerato che – come sottolineato anche da Andrea Bolla, presidente del Comitato tecnico per il fisco di Confindustria, nella recente audizione in commissione Finanze e Tesoro del Senato sul primo decreto di attuazione della delega fiscale - «per essere compliant con il sistema fiscale l'impresa media italiana deve impiegare 269 ore di lavoro. Risultato: siamo al 138° posto su 189 economie», quando sette anni fa, nello stesso rapporto, il nostro Paese si classificava al 117° posto su 175 economie. In questa top ten al contrario, poi, l’imprenditoria meridionale paga un prezzo ancora più alto come denuncia la Svimez in uno dei suoi ultimi studi sulle entrate tributarie dei Comuni italiani dal 2007 al 2012: nel 2012, a fronte di un reddito di 29.477 euro pro capite, in media ogni cittadino del Veneto ha versato al proprio comune di residenza 532 euro, contro gli oltre 550 di un campano che però ha un reddito di oltre 13mila euro più basso. Tra le tasse più famigerate, ricordavamo in apertura l’Imu: bene – anzi male – anche su questo fronte, visto che dal 2007 al 2012 l’ICI/IMU al Nord è precipitata del 39% mentre al Mezzogiorno è scesa appena dell’1,1%. E al crescere del PIL, per ogni 1.000 euro pro capite in più, il prelievo nei Comuni del Nord si riduce di 28 euro e 30 centesimi, mentre al Sud aumenta di 15 euro e 50 centesimi. Questa disarmonia tributaria, pare evidente, non fa altro che acuire la già compromessa situazione economica del nostro Mezzogiorno, un’area in cui nei primi mesi del 2014 hanno chiuso i battenti – secondo le rilevazioni della Svimez - 573 imprese al giorno, con i fallimenti in crescita del 5,7% rispetto allo stesso periodo del 2013. Se un fisco più chiaro, trasparente e semplificato può essere la leva giusta per ridare fiato a un’economia in tremendo affanno, che si riformi allora, e in modo profondo, partendo anche da misure semplici come rimborsi Iva più veloci per le imprese virtuose. Il gioco poco edificante di rinvii, proroghe, slittamenti e condoni, non diverte nessuno e, oltre a distruggere completamente quel poco di fedeltà fiscale che ci rimane, non risolve l’ingorgo di tributi in cui tutto il Paese si è perso.
Mauro Maccauro Presidente Confindustria Salerno
S O M M A R IO STRATEGIE D’IMPRESA
EDITORIALE 1
Fisco, le tasse per cittadini e imprese non vanno in vacanza di M. Maccauro PRIMO PIANO / BEST PRACTICES
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Premio Best Practices per l’Innovazione: i talenti che sollevano l'economia di R. Venerando
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De Nicola, ideatore Premio BP per l'Innovazione: «La condivisione delle idee aiuta a crescere» di R. Venerando, intervista a G. De Nicola
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Produttori e inventori di sistemi costruttivi “ad alta efficienza” di R. Venerando, intervista a P. Bazzica
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L’energia alla terza (generazione) di R. Venerando, intervista a R. Corrao L'OPINIONE
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Tasse ed evasione fiscale: pagare meno, pagare tutti di A. Sacrestano
Monti, Luiss: «Nella nostra società il problema 14 è ridistribuire le opportunità» di R. Venerando, intervista a L. Monti Palumbo, GI Salerno: «Il talento giovane 16 per sfidare la crisi, a partire dal Sud» di R. Venerando, intervista a F. Palumbo
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28 Il successo targato Mecar di R. Venerando 30 Torrefazione Castorino, la quintessenza del caffè ora è certificata di R. Venerando EDILIZIA INDUSTRIALE 31 Il “turismo accessibile”, una risorsa da potenziare di R. Fatigati NORME E SOCIETÀ 33
Attività d’impresa e riforma della giustizia civile di M. Marinaro
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Passaggio generazionale/2 di A. Calabrese
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Primo Rapporto Giorgio Rota su Napoli: la città delle sfide da vincere A cura di SRM
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CONFINDUSTRIA SALERNO
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Enel, il piano di interventi prosegue con energia di R. Venerando
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Rete Destinazione Sud: parte da Salerno il primo network del comparto turistico A cura della Redazione Costozero
24 Bacino idrografico del Sarno, meno oneri per le imprese di A. Barretta PARLIAMO DI... 25
Rischi e opportunità del WEB 3.0 e delle tecnologie che lo compongono di V. Salerno
D.L. n. 90/2014, dalla riforma della P.A. all'attacco ai TT.AA.RR. di L. D'Angiolella LAVORO
Agricoltura e sviluppo economico: ritorno al futuro 22 di G. Sica 23
Accordi di ristrutturazione dei debiti e blocco delle azioni esecutive e cautelari di M. Galardo
40 Tempo di ferie e talvolta… di danno da vacanza rovinata di L. De Valeri
FOCUS 18
Un mondo di sogni con Rinaldi Group di R. Venerando
Licenziamento in corsia: quando una parola di troppo costa cara di M. Ambron Lavoro, cosa e come cambia con la Riforma Poletti di R. Venerando Jobs act: Riforma del contratto a termine, somministrazione e apprendistato di G. Baselice
FISCO La Cassazione assolve un contribuente 47 per gli omessi versamenti di M. Villani 48
Fatturazione Elettronica: un anno per la conservazione a norma di N. Savino
49 Bonus Investimenti: bersaglio mancato? di M. Fiorentino
NUMER O 4 / L UGL IO A GOST O 2 0 1 4 CREDITO 51 Rendite finanziarie, che fare? di M. De Giorgis 53 Pagamento debiti PA: firmato Protocollo di impegni per lo smaltimento dei debiti pregressi di M. Villano SICUREZZA 56
Le verifiche dei sistemi fotovoltaici di F. Campanella e M. De Luigi RICERCA
56 Il dottorato di ricerca si rinnova. Un’opportunità per le aziende di P. Ciambelli INTERNAZIONALIZZAZIONE 57
Cooperazione allo sviluppo e imprese: inizia una nuova era? di E. Szajkowicz SALUTE
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Zucchero, sovrappeso, obesità e diabete di G. Fatati
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Una difesa…da difendere di A. Di Pietro BON TON
60 Un brindisi alle buone maniere di N. Santini ARTE 61 L’ego cum di Elena Bellantoni di A. Tolve
Costozero Magazine di Economia, Finanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg . Trib. di Salerno N. 677 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Mauro Maccauro Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Segreteria di Redazione Raffaella Venerando Project Management Vito Salerno Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Salerno Service Srl Via Madonna Di Fatima, 194 84129 Saler no Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 03971170653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Arti Grafiche Boccia/Salerno Foto Archivio Costozero Vito Salerno Massimo Pica/Ag. Fotografica Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it Grafico/Emanuela Maria Rago L e opi ni oni espr esse negl i a r ti c ol i a ppa r tengono ai si ngol i a utor i dei qua l i si i ntende r i spetta r e l a pi ena l i ber tà di gi udi z io
FINISTERRE 62
Omaggio a Carmelo Bene, maestro della “sovrapposizione” di A. Amendola RENDEZ-VOUS 2.0
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Flipback o del libro roteato di R. Bisogno LIBRI/HOMECINEMA
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Storie scritte sulla sabbia a cura di R. Venerando
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Grand Budapest Hotel a cura di V. Salerno
www.costozero.it
P R I M O P IA NO / PRE MI O B EST P RACT I CES P ER L 'I N NOVA ZIONE 2 0 1 4
Premio Best Practices per l’Innovazione: i talenti che sollevano l’economia Il concorso dell'Associazione Industriali salernitana ormai da otto anni guarda al meglio dell’Italia, facendo scoprire tante piccole e grandi realtà eccellenti A cura di Raffaella Venerando
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rmai da otto anni esiste un concorso divenuto nel tempo, non solo per l’Associazione Industriali di Salerno che lo organizza ed ospita, sempre più imponente e coinvolgente: il Premio Best Practices per l’Innovazione, ideato dal Gruppo Servizi Innovativi e Tecnologici di Confindustria Salerno, rivolto alle aziende del manifatturiero e dei servizi che abbiano realizzato un progetto innovativo (tecnologico, di prodotto, di processo, sociale, etc.) con risultati dimostrabili e misurabili. Tutto nasce dalla curiosità, dalla competenza e dal volenteroso ingegno di Giuseppe De Nicola, ideatore del Premio, che nel 2007 decide di ricercare quei prodotti e quei progetti che potessero dare una spinta all’incremento di conoscenze
tecnologiche delle imprese del territorio non solo salernitano. Via via, poi, il Premio da “locale” è andato sempre più allargando la sua sfera di azione e di interesse, tanto da assumere oggi – ad esempio per le partnership che è capace di animare – aspetti internazionali. Il lavoro dietro il Premio BP è notevole: mesi e mesi di presentazioni e promozioni in giro per l’Italia portano ogni anno ad una selezione accurata di progetti di vera eccellenza. All’edizione di quest’anno hanno partecipato 113 progetti (47 aziende e 66 startup, al suo interno infatti il Premio contiene la sezione uP sTart “Paolo Traci” dedicata ai giovani aspiranti imprenditori e alle aziende neo costituite) provenienti da tutta Italia. A consentirne la realizza-
zione, vari contributi tra cui quello della Camera di Commercio di Salerno, di Banca Sella, Banca della Campania, BCC Monte Pruno di Roscigno e Laurino, di Unicasim, intermediario finanziario tra i primissimi a richiedere alla Consob l’iscrizione all’ Albo dei gestori di portali di crowdfunding, di Legalitax, studio legale e tributario con consolidata esperienza in campo internazionale, di Econocom, fornitore di servizi digitali, di Telecom Italia, Trelleborg, Cross, Conai, Ecoem e Ga. fi. Sud. Di particolare rilievo anche le partnership con la Fondazione Bridges to Italy e M31USA, soggetti con i quali sono state avviate attività di internazionalizzazione in Silicon Valley e Silicon Beach.
La Grande Bellezza, quando l’innovazione solleva anche la cultura Il Premio Best Practices per l'Innovazione di Confindustria Salerno quest’anno ha promosso anche due iniziative di donation destinate al recupero storico/artistico di preziosi testi antichi
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ell’ambito dell’edizione 2014 del Premio Best Practices per l’Innovazione sono state avviate due operazioni di crowdfunding/donation dirette a finanziare il restauro di 5 testi storici di assoluto prestigio della Certosa di
San Lorenzo a Padula e del manoscritto codice membranaceo palinsesto Pluteo 87.21, della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Le donazioni possono essere fatte mediante la piattaforma “Derev” collegandosi al sito
www.derev.com/it/premiobp oppure mediante bonifico bancario, intestato a Confindustria Salerno, con causale “Certosa di Padula e Biblioteca Medicea di Firenze” IBAN IT91D0103015 201000000104825.
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De Nicola, ideatore Premio BP per l’Innovazione: «La condivisione delle idee aiuta a crescere»
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residente ci può fare un quadro delle aziende che hanno preso parte all’edizione 2014 del Premio Best Practices per l'innovazione? Che tipo di impresa ha scelto e sceglie il Premio salernitano e perché? Abbiamo ospitato aziende piccole, medie, grandi e startup italiane appartenenti a 7 settori (Green Economy, ICT, Cultural Heritage, Wellness and Healthcare, Innovazione di prodotto, Innovazione organizzativa e Web e social media), oltre 100 progetti da 18 regioni, il 65% extraCampania. Il tipo di partecipante medio, più che appartenere ad una categoria merceologica, appartiene ad una categoria di imprenditore (o aspirante tale) che crede nell’innovazione, nel networking e nella condivisione delle idee per crescere. Quest’anno la manifestazione era “doppiamente” legata al crowdfunding: quali erano i progetti (ancora in fieri) e quali i numeri?
Giuseppe De Nicola Presidente Gruppo Servizi Innovativi e Tecnologici di Confindustria Salerno
Abbiamo lanciato 2 progetti di crowdfunding soprattutto per far conoscere lo strumento, ancora poco noto ai più in Italia. “La Grande Bellezza” è un progetto di donation volto a raccogliere fondi per il restauro di libri nella Certosa di Padula e nella Basilica di San Lorenzo a Firenze. L’obiettivo del progetto è anche quello di unire l’Italia sotto la bandiera della cultura e dell’innovazione (da qui il titolo). Attualmente la raccolta dei fondi è in corso ed è possibile effettuare le donazioni a questo link: www.derev.com/it/premiobp. Entro l’autunno invece sosterremo il programma di equity crowdfunding per raccogliere risparmio gestito da destinare al finanziamento di startup del Premio sulla piattaforma Unicaseed, il portale di equity autorizzato Consob di Unicasim, nostro partner. È mia intenzione sensibilizzare la grande rete di relazioni del Premio BP (quasi 3 milioni di contatti nel corso dell’ultima edizione) per valorizzare la credibilità dell’evento verso il sostegno concreto dell’innovazione. Anche per far meglio conoscere il Premio BP di Confindustria Salerno lei ha girato lo stivale in largo e lungo, valicando anche i confini nazionali: che idea si è fatto delle aziende italiane e cosa devono fare per essere considerate oggi un’eccellenza? Le aziende italiane, anzi le innovazioni “think in Italy” sono già considerate delle eccellenze all’estero. Il gap da colmare ora è sia interno (occorre stimolare le aziende “tradizionali” ad investire in innovazione, l’Italia ad esempio è ultima in Europa per l’e-commerce), sia esterno, nel senso di internazionalizzazione. Le imprese che valorizzano le proprie innovazioni anche all’estero, in modo stabile, non conoscono crisi, nè criticità geografiche: abbiamo esempi di piccole imprese salernitane che competono in Europa e nel mondo in diversi settori. Dobbiamo valorizzare questi esempi e stimolare altri imprenditori a seguire gli stessi passi.
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Produttori e inventori di sistemi costruttivi “ad alta efficienza” La parola a Paolo Bazzica, patron dell'azienda vincitrice del Premio Best Practices per l'Innovazione 2014
L’
azienda Bazzica Engineering si è aggiudicata il primo posto del premio Best Practices 2014 con il progetto di una macchina per stampare blocchi di polistirolo espanso, da usare in edilizia per costruire pareti che, rivestite di cemento armato, offrono diversi vantaggi: sono antisismiche e tagliano fino all’80% i costi in bolletta di riscaldamento e di condizionamento. La casa del futuro anche grazie alla vostra azienda è più vicina…come siete arrivati a questo traguardo? La casa del futuro con il nostro sistema costruttivo è…il presente! É ormai da un ventennio infatti che in Italia si parla della necessità di costruire edifici ad alta efficienza energetica, antisismici ed economicamente accessibili a tutti, come dimostrato dalle normative che già dalla fine degli anni ’90 regolamentano queste importanti tematiche e che, purtroppo, sono rimaste in gran parte disattese. Noi siamo arrivati a questo importante risultato di efficienza
del polistirolo, dell’“uso” ovvero del risparmio energetico che dal materiale isolante deriva durante il ciclo di vita dello stesso e del “fine vita”. Ebbene, tali analisi dimostrano che è molto più ecologico il polistirolo rispetto al sughero o al laterizio, materiali che richiedono costi energetici Il polistirolo espanso però da alcuni complessivi superiori a fronte di viene ancora tacciato di essere “rendimenti” inferiori. un materiale poco friendly per Mentre alcuni anni fa queste l’ambiente a causa delle difficoltà argomentazioni erano ignote alla di smaltimento come rifiuto e maggior parte degli operatori, biodegradabilità. Come contrastate oggi la cultura dell’isolamento questo aspetto che potrebbe essere un razionale ha portato a diffonderle deterrente per lo sviluppo del vostro e a farne un punto di forza per il progetto? nostro settore. La biocompatibilità Gli studi condotti da AIPE del polistirene rappresenta (Associazione Italiana Polistirene un punto di forza del nostro Espanso) dimostrano l’esatto sistema costruttivo, anche se contrario. Si tratta di un siamo consapevoli che c’è ancora argomento complesso e articolato molto da lavorare in termini di che deve essere impostato in diffusione della conoscenza delle termini di “analisi del ciclo di caratteristiche del polistirene vita” del materiale, “dalla culla espanso. alla tomba”. Occorre quindi Purtroppo riscontriamo prendere in esame le specificità quotidianamente che la mentalità del “costo energetico” necessario degli operatori è ancora fortemente per la produzione e per il trasporto radicata alla cultura del laterizio, con un lavoro attento e lungimirante di studio che ci ha consentito di mettere a punto con largo anticipo una tecnologia innovativa che offre oggi tutte le risposte alle esigenze del mercato edilizio: sicurezza, benessere, risparmio!
6/ 7 ma siamo fiduciosi che, grazie al lavoro costante e continuo di tutta la nostra filiera, si possa rapidamente diffondere la conoscenza del polistirene espanso. Rispetto al vostro progetto qual è attualmente la risposta del mercato di riferimento? Il mercato delle costruzioni è molto attento alla tecnologia ICF ITALIA. Stiamo riscontrando che il livello di attenzione è, paradossalmente, aumentato in senso assoluto negli ultimi anni, nonostante la crisi che interessa il settore a livello mondiale. Questo apparente paradosso trova a nostro avviso risposta nel fatto che oggi, chiunque si appresti a realizzare un fabbricato, ha necessità di valutare attentamente le economie e le prestazioni che vuole ottenere, per differenziarsi in un mercato in cui l’offerta edilizia in termini di “invenduto” è ai massimi storici. Ma da che cosa è costituita questa massiccia offerta? Si tratta al 90% di edifici con mediocri prestazioni dal punto di vista
Costruzione Scuola di Poggio Renatico
Il Team del Gruppo Bazzica energetico, obsoleti sotto il profilo impiantistico e magari nemmeno antisismici. Al contrario, chiunque intenda acquistare un immobile, grazie ad internet, oggi possiede piena cognizione di ciò che deve pretendere da una nuova costruzione (classe A, certificazione energetica, isolamento acustico, etc.). Si è creato quindi un circolo vizioso che rende sempre più obsolete e incommerciabili le
costruzioni realizzate fino a 5-6 anni fa e che offre un appeal irresistibile per quelle realizzate con sistemi costruttivi “ad alta efficienza”. Riteniamo che questo sia il binomio vincente, che spiega la rapida diffusione del sistema costruttivo ICF ITALIA prodotto con tecnologia Bazzica Engineering. A livello tecnico in cosa vi distinguete nettamente dalla concorrenza? Riteniamo di essere particolarmente preparati sotto il profilo tecnico e ingegneristico. Noi abbiamo un prodotto collaudato nel tempo, siamo “produttori” e – orgogliosamente - “inventori” sia della tecnologia produttiva, sia del know-how. Arrivare primi alla competizione salernitana del Premio Best Practices 2014 quali vantaggi vi sta offrendo? Indubbiamente il Premio Best Practices 2014 ha offerto a Bazzica Engineering una vetrina di assoluto prestigio.
P R I M O P IA NO / I V INC I T O RI 2014
L’energia alla terza (generazione) La parola a Rossella Corrao, Team Leader dell'azienda palermitana prima nella sezione uP-sTart “Paolo Traci”
L’
azienda SBskin si è aggiudicata il primo posto del premio Best Practices - sezione uP sTart - con il progetto di pannelli multifunzionali in vetromattone per facciate solari. Al di là dei tecnicismi, vorrebbe descrivere in modo semplice la bontà del vostro progetto e il percorso che vi ha portati fino al Premio?
Il team di SBskin
SBskin - Smart Building Skin s.r.l. è frutto della ricerca universitaria condotta da anni da tre dei soci fondatori e intende fornire risposte alle necessità sempre più pressanti di indirizzare il settore edilizio verso modelli di sviluppo sostenibili, attraverso lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti
innovativi e di elevata qualità estetica e tecnologica, per ridurre le richieste energetiche degli edifici e per trasformarli in produttori di energia. I prodotti di SBskin consistono in pannelli di vetromattone innovativo, ottimizzato dal punto di vista delle performance energetiche, in grado di produrre energia pulita grazie all’integrazione con celle solari di terza generazione. Questi pannelli possono essere installati a formare essi stessi le facciate e le coperture degli edifici, nonché l’impianto fotovoltaico, al contempo. Un grande punto di forza dei pannelli di SBskin è che sono disponibili in un vasto range di colori, trasparenze e design e possono essere usati, quindi, per realizzare edifici colorati e personalizzati, belli e sostenibili allo stesso tempo. Sono, inoltre, facili da assemblare e manutenere contribuendo, perciò, alla riduzione dei costi di costruzione e di gestione degli edifici. Ma la bioedilizia nel nostro Paese è ancora considerata una velleità da ambientalisti o una realtà ormai in via di affermazione? Come si coniugano,
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secondo lei, innovazione e criteri “ambientali”? Siamo convinti che fare innovazione corrisponda ad una volontà di cambiare lo stato delle cose con atteggiamento critico e creativo al tempo stesso, in un’ottica di sostenibilità e rispetto del nostro pianeta. Ed è in questa direzione che si muove SBskin, la cui vision guarda a principi di responsabilità sociale e ambientale, indirizzandosi verso gli standard di sostenibilità stabiliti dalla comunità internazionale per la protezione dell’ambiente. I prodotti di SBskin, infatti, contribuiscono in maniera attiva al contenimento dei consumi di energia da fonte non rinnovabile negli edifici e alla riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Inoltre, la ricerca e il business sviluppati da SBskin ambiscono a generare nuove opportunità di crescita e di green jobs, contribuendo anche a sensibilizzare e a creare nuove consapevolezze nella società civile sui temi del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale. Rispetto al vostro progetto qual è attualmente la risposta del mercato di riferimento? Il mercato target per SBskin è quello dei prodotti innovativi per l'edilizia con elevate prestazioni energetiche e tecnologiche, e in particolare si colloca a metà tra il mercato del Fotovoltaico integrato (BIPV) e del Vetromattone. Il settore BIPV - seppur ancora relativamente di nicchia - secondo molti oggi rappresenta il futuro per il fotovoltaico con un mercato di circa 2 miliardi di euro nel 2011 e le cui entrate nel 2016 toccheranno gli 8,7 miliardi di euro, grazie a una crescita media annua pari
al 16,9% (NanoMarkets, 2011). Il vetromattone ha un mercato mondiale, seppur in contrazione a causa della attuale crisi economica, che si aggira sui 114 milioni di pezzi l’anno di cui 29,5 sono prodotti in Europa. Di questi, 16,2 milioni di pezzi sono utilizzati per la realizzazione delle chiusure degli edifici per le quali si assiste, comunque e malgrado la crisi, ad una migrazione verso l’utilizzo di vetromattoni energeticamente ottimizzati e altamente customizzati, al fine di soddisfare specifiche esigenze di natura tecnologica ed estetica (Seves s.p.a., 2011). I prodotti SBskin risultano perfettamente in linea con questi trend di mercato. È lecito, quindi, pensare che un vetromattone che integra le tecnologie FV di 3° generazione, come quello prodotto da SBskin, possa trovare una buona risposta sul mercato internazionale, anche alla luce degli apprezzamenti già registrati nel corso della partecipazione a fiere di settore. A livello tecnico in cosa vi distinguete nettamente dalla concorrenza? I prodotti di SBskin ottimizzano le prestazioni del vetromattone, sia dal punto di vista delle performance energetiche connesse all’isolamento termo-acustico (attraverso l’introduzione di una “cintura termica”) e alla trasmissione luminosa (attraverso l’introduzione delle celle fotovoltaiche semitrasparenti) che in relazione alla resistenza meccanica dei pannelli traslucidi realizzati attraverso l’assemblaggio a secco dei vetromattoni. Inoltre, l’integrazione del vetromattone con le DSSC contribuisce a dotare questo prodotto di una performance innovativa che lo differenzia
significativamente da quanto esistente sul mercato mondiale: la capacità di produrre energia dal sole. L’integrazione di celle fotovoltaiche di terza generazione (DSSC) - non ancora diffusamente presenti sul mercato - con il vetromattone prodotto edilizio, invece, già ben collocato nell’ambito del mercato mondiale connesso ai prodotti edilizi - consentirà a SBskin di immettere sul mercato un nuovo prodotto altamente performante dal punto di vista energetico e, al contempo, di ampliare la fascia di mercato di riferimento per una tecnologia fotovoltaica ancora poco nota che offre grandi potenzialità di sviluppo nell’ottica della sostenibilità energetica e ambientale e dell’integrazione negli edifici. Arrivare primi alla competizione salernitana del Premio Best Practices 2014 quali vantaggi vi sta offrendo? Si sono attivate sinergie con altre aziende per futuri nuovi progetti? Il Premio Best Practices 2014 ci ha permesso di avere una certa visibilità nel contesto nazionale. Siamo, tuttavia, ancora in attesa di ricevere un riscontro concreto da chi, in questa occasione, ha mostrato interesse verso la nostra start up.
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I Premiati e i Menzionati dell'edizione 2014
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Spoleto (PG), con il progetto di Applicazione della scansione 3D robotizzata per fusioni ad alto valore – premiati per la capacità creativa di utilizzare tecnologie esistenti, integrandole molto efficacemente ai fini della qualità del prodotto finito ma soprattutto con risultati convincenti in tema di capacità di conseguire forti contrazioni dei costi processo senza incidere sul prodotto finale – e inPoste.it Srl di Roma, con il progetto Tnotice, idea che dimostra la capacità di pensare in grande e di concepire un prodotto d'uso comune con un potenziale di mercato enorme e ipotetici vantaggi ambientali. Nella Sezione uP sTart "Paolo Traci" si sono distinte poi la Optosensing Srl di Napoli, con il progetto relativo a Sistemi innovativi in fibra ottica per il monitoraggio delle infrastrutture e del territorio, che garantisce un controllo continuo e preventivo Massimo Di Filippo (gruppo di lavoro premio) ed Eleonora Pasqualini delle condizioni (Cross Srl, sponsor) premiano il 3 posto exaequo di inPoste e Qfp critiche con un conseguente risparmio economico dei relativi interventi manutentivi e la Imperial Europe di Roma, con il progetto Scappatopo, un Franco Marano (Trelleborg Spa, sponsor) e Massimo di Filippo bio repellente premiano l'ITC Focaccia, vincitore della sezione voto platea uP sTart ltre alle due aziende Bazzica Engineering e SBSkin alla competizione di idee salernitana il genio italiano è stato brillantemente rappresentato anche dai progetti brillanti di numerose altre realtà industriali. Da Benevento arrivava l'innovazione proposta da Beta 8.0 Technology Srl che con il progetto Socialmatic Photo Network è stata premiata per la capacità di creare un ponte tra il mondo virtuale e quello fisico, per la forte canalizzazione sul mercato e per la capacità di un'impresa locale di integrarsi autorevolmente con una multinazionale. Efficace e convincente la strategia di protezione adottata. Terzi ex aequo QFP Srl di
Giuseppe De Nicola e Mauro Maccauro premiamo i vincitori della sezione Premio 2014 Bazzica Engeenering Srl
Doris Messina (dir. Marketing Banca Sella, sponsor) premia Rossella Corrao di SBskin vincitrice della sezione uP sTart
Angela Peduto (gruppo lavoro premio) premia Alessio Romeo di Face4job, vincitore voto web sezione uP sTart
naturale “costruito” sulla scorta di un approfondito studio sulle relazioni sensoriali dei repellenti animali. Il Premio Giuria Stampa è andato invece a IS Tech - Innovation in Sciences &Technologies
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Gianni Potti (presidente CNCT di Confindustria Servizi) e Leonardo Frigiolini (Ad Unicasim, sponsor) premiano IsTech Srl, menzione speciale stampa
Giuseppe De Nicola e Fabio Fasolino (Ecoem, sponsor) premiano la Onlus Mai più Soli, vincitori del voto web
Angela Gargani (direzione comunicazione Telecom, sponsor) con Stefania Rinaldi e Alessandra Pedone (Imood, sponsor) premiano Card Project, azienda selezionata per albo fornitori Telecom
di Roma, con il progetto Apas Air Pollution abatement system - purificazione dell'aria ambiente dall'inquinamento atmosferico. Quello Platea a SIP & T Spa Salerno, con il progetto ROBO ST M2M, macchina perforatrice elettro-idraulica. Nella sezione delle start up invece la Platea ha scelto di premiare l’ITT "Basilio Focaccia" di Salerno, con il progetto Pen drive intelligente (SONGQUI).
Prima per il web l’Organizzazione di Volontariato Mai più Soli di Battipaglia (SA), con il progetto di agricoltura sociale Capovolti, che opera per l'inserimento lavorativo di persone con disabilità e, per le start up, Face4Job Srl di Terni, con il progetto Face4job, la nuova faccia del lavoro una innovativa piattaforma telematica per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Gli sponsor hanno poi tributato
particolari riconoscimenti a Card Project Srl di Fisciano, con il progetto I/O Pass, soluzione per il riconoscimento dell'identità di una persona fisica e/o giuridica (Riconoscimento Telecom Italia), la start up Viaggiart - Montalto Uffugo di Cosenza, con il progetto Viaggiart, sviluppo e diffusione di un nuovo modello di fruizione dei luoghi della cultura e degli itinerari (sempre Telecom) e infine Banca Sella ha premiato la Fmb Tubes Srl di Reggio Calabria, con il progetto Share Your Transport, market place per il trasporto merci, riconoscendole la possibilità di usufruire di tre mesi di accelerazione gratuita in SELLALAB e del suo network, con l’obiettivo di velocizzarne la crescita.
Gennaro Lodato premia Optosensing Srl, 2° posto sezione uP sTart
Edoardo Gisolfi (gruppo lavoro) e il rappresentante di Banca della Campania (sponsor) premiano il 2° posto di Beta 8.0 Technology Srl
L ' O P I N I ONE
Tasse ed evasione fiscale: pagare meno, pagare tutti Per riallineare nel medio periodo i risultati dell’economia di un Paese che appare sempre di più spaccato in due perché non provare a ridurre subito drasticamente le imposte e il prelievo previdenziale, in modo che non superino il 35%, e a riposizionare la spesa nei limiti di tale taglio e vedere l’effetto che fa?
Alessandro Sacrestano Tax Consultant Progetto Arcadia Srl alessandro.sacrestano@progettoarcadia.com
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ono in giro per Milano e ascolto, con quasi nessuno stupore, gli ultimi dati SVIMEZ sulla diminuzione del PIL nazionale nell’ultimo anno: la decrescita registrata nel Mezzogiorno è quasi doppia rispetto a quella segnata dal Nord. Le stime per il 2014, tra l’altro, confermano che il trend si invertirà nel Nord, registrando una variazione positiva (seppure lieve); previsioni ancora col segno meno per il Sud. Non mi stupisco, dicevo. L’impressione, passeggiando per il capoluogo meneghino, è quella di una città in movimento, fatta a misura dell’uomo che lavora. Il parametro di confronto è quello di una città a dimensione nord europea. Tornando verso Napoli, rifletto sulle difficoltà della nostra terra: ubicazione logistica disagiata, minori opportunità di lavoro e, per questo, una platea di consumatori più dediti al risparmio che al consumo e all’investimento. Il parametro di riferimento è quello di una città dell’Europa del Mediterraneo, che arranca sotto i colpi della crisi. Mi interrogo sulle ragioni di un tale squilibrio e finisco per ricadere nel circolo vizioso di una crescita rallentata da un peso del Fisco che, seppure ai limiti della
tolleranza nelle aree non in ritardo di sviluppo, paralizza ogni prospettiva di crescita nel Mezzogiorno. Gli ultimi dati forniti da Eurostat evidenziano, infatti, che il peso del fisco sul Pil è aumentato nel 2012 al 44%, collocando il Bel Paese al secondo posto in Europa dopo l’Ungheria. Andando a guardare più a fondo nei dati forniti dall’Osservatorio, si nota come la tassazione più elevata sul lavoro si registri in Svezia (58,6%), Olanda (57,5%), Austria (57,4%) e Germania (56,6%). In Italia, sempre nel 2012, era al 51,1%. Al di sotto del 40% il Regno Unito (38,9%). Insomma, la pressione fiscale italiana è cresciuta di quasi quattro punti negli ultimi dieci anni, arrivando al livello dei paesi scandinavi. Tuttavia, il confronto – avvenuto tutto in un giorno – fra il capoluogo lombardo e quello campano accentuano nel mio immaginario l’enorme divario esistente nel livello dei salari, nella qualità della vita e dei servizi offerti dal Pubblico rispetto ai Paesi del Nord Europa. La Spagna negli ultimi dieci anni è addirittura riuscita ad abbattere la pressione fiscale. La Germania è al 39,1%,
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La pressione fiscale italiana è cresciuta di quasi quattro punti negli ultimi dieci anni, arrivando al livello dei paesi scandinavi
agli stessi livelli del 2002. L’Olanda è al 39%, la Polonia al 32,5% e la Gran Bretagna al 35,4%. I dati sembrano confermare la mia impressione: troppe imposte aumentano il divario nei livelli di crescita fra i territori. Qual è la ricetta del Governo per contrastare tale fenomeno? Pier Carlo Padoan ha dichiarato che «l’idea del Governo è duplice: semplificare la vita del contribuente onesto, spostare il carico fiscale in modo che ci sia più crescita e lavoro». Sulla ripartizione del carico tributario, Padoan aggiunge che «la strategia è tassare molto meno lavoro e impresa e di più la ricchezza finanziaria». Mi sembra una buona strada; vale la pena di ragionare, tuttavia, sulla strategia per percorrerla. Leggo sui giornali di oggi (31 luglio 2014, ndr) della polemica fra Cottarelli e Renzi sugli utilizzi degli effetti della spending review. L’idea del primo è quella di indirizzarne gli effetti proprio su una brusca diminuzione dei livelli di tassazione per stimolare la crescita. Sembra, invece, che la direzione seguita dal Governo sia quella di utilizzare i tagli di spesa per coprire alcune falle del nostro sistema (ad esempio quelle create dalla sciagurata vicenda degli esodati). É difficile dire chi abbia ragione.
Nel frattempo, un altro cavallo di battaglia degli ultimi Esecutivi, quello della lotta all’evasione, sembra smorzarsi giorno dopo giorno. Equitalia pare non stare più simpatica nemmeno al Governo e le intuizioni di Befera sul Redditometro, tanto osannate in precedenza, dopo nemmeno un anno di applicazione, sono già state bollate come fallimentari. É complicato dire dove sia la verità. Mi viene in mente uno (dei tanti) slogan di uno (dei tanti) Governi Berlusconi a proposito di tasse ed evasione fiscale: «pagare tutti, pagare meno». La mia insegnante di Lettere al Liceo ne avrebbe riso, come amava fare, bollandolo con il suo intercalare «Ma è lapalissiano!», e forse avrebbe avuto ragione, proprio per l’ovvietà del proclama. Provo, però, a partire proprio dalla banalità di tale affermazione per fare alcune riflessioni. Un’altra reminiscenza scolastica mi ricorda che invertire l’ordine dei fattori non modifica il risultato; insomma il motto lapalissiano di Berlusconi potrebbe anche scriversi «pagare meno, pagare tutti». Sembra un sofisma, ma non lo è. L’inversione prelude ad una inversione anche nelle priorità da perseguire: non bisogna costringere tutti a pagare per conseguire l’effetto di pagare meno ma, piuttosto, far
pagare meno per costringere tutti a pagare. Mi spiego. I dati Eurostat mi dicono (ma me lo aveva suggerito, per l’ennesima volta, già la lettura della mia dichiarazione dei redditi) che in Italia il peso delle tasse è insostenibile prelevando, in alcuni casi, fino ai due terzi (fra imposte e previdenza) del reddito netto. In uno scenario del genere la tentazione di evadere – peraltro mai condivisibile in uno Stato di diritto - è forte, perché lo sdegno sociale per gli sprechi le ruberie e, diciamoci la verità, l ‘ingiustizia di fondo del dover lavorare fino a settembre per lo Stato hanno un peso specifico nell’immaginario collettivo molto forte. Ma se il livello di tassazione e il prelievo previdenziale non superassero il 35% la tentazione sarebbe ancora così forte? Varrebbe ancora la pena di rischiare di cadere sotto la scure di un controllo? Credo, onestamente, di no! Insomma, perché non provare a ridurre subito drasticamente le imposte e a riposizionare la spesa nei limiti di tale taglio e vedere l’effetto che fa? Forse il risultato potrebbe essere proprio quello di invogliare tutti a pagare, cercando di riallineare nel medio periodo i risultati dell’economia di un Paese che appare sempre di più spaccato in due.
L ' O PI N I O NE
Monti, Luiss: «Nella nostra società il problema è ridistribuire le opportunità» A margine del convegno del Gruppo GI salernitano dello scorso 13 giugno - giornata che ha visto tra l’altro anche il passaggio di consegne tra il presidente uscente Gennaro Lodato e il nuovo Francesco Giuseppe Palumbo - abbiamo conversato con il professore di Politica Economica Europea alla Luiss Luciano Monti del suo libro “Ladri di futuro. La rivoluzione dei giovani contro i modelli economici ingiusti” Di Raffaella Venerando
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rofessore, chi sono i ladri di futuro che lei denuncia nel suo ultimo libro? I ladri di futuro non sono una particolare categoria di persone o una determinata generazione, anche se è innegabile che i cosiddetti baby boomer - cioè i nati tra l’immediato dopoguerra e l’inizio degli anni sessanta - hanno indubbiamente una forte responsabilità sullo stato attuale delle cose. Il furto del futuro alle più giovani generazioni è
Luciano Monti Docente di Politica Economica Europea LUISS Guido Carli
compiuto giornalmente da quanti si arroccano nelle loro prerogative e diritti, non rendendosi conto che questi ultimi sono stati spesso conseguiti a spese anche dei loro figli. Ma è furto di futuro anche l’atteggiamento diffuso di molti giovani che rimanendo inattivi e sperando che qualcuno decida per loro, condannano tutta la loro generazione a non poter progettare il proprio avvenire. Ladri di futuro sono anche quanti spingono i giovani verso una realtà virtuale come quella dei social nel nome di una nuova possibile democrazia e coloro che vogliono “costruire” il futuro ai giovani, secondo propri canoni. La diseguaglianza economica è uno dei mali, se non il principale, del pianeta. Ma una ridistribuzione della ricchezza accumulata da pochissimi a svantaggio di molti sarebbe possibile? In che modo? La diseguaglianza economica è un fenomeno insito in qualsiasi sistema economico non rigorosamente collettivistico o mutualistico ma diventa un problema e quindi un male quando assume proporzioni elevate e spinge ampie fasce di popolazione verso la povertà. Povertà e diseguaglianza vanno infatti di pari passo, così come entrambe tendono ad elevarsi nel momenti di recessione o di depressione come quello attuale, che finisce per colpire gli strati più deboli della società: i giovani senza esperienza e gli adulti con una bassa scolarità. Il problema tuttavia non è tanto quello della ridistribuzione della ricchezza mediante una
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semplice perequazione, che avrebbe un effetto positivo nel breve periodo ma riporterebbe l0 stato delle cose al punto di partenza nel medio lungo periodo. Il problema è ridistribuire le opportunità. Mi spiego con un esempio: se io mi limito a effettuare un prelievo ai più abbienti trasferendo questa ricchezza ai meno abbienti in equivalenti servizi sociali, certamente nel breve periodo avrò contribuito a ridurre il disagio sociale, ma nel lungo periodo continuerò ad avere dei ricchi un po’ meno ricchi e degli assistiti un po’ più assistiti. Di questo passo anche la mobilità sociale sarà sempre più limitata e i figli dei più abbienti continueranno ad esserlo così come i figli degli assistiti probabilmente erediteranno il disagio dai loro genitori. Se, invece io destino il prelievo a misure strutturali che puntino a creare una piattaforma di opportunità realmente disponibile per tutte le nuove generazioni, nel medio lungo periodo potrò veramente parlare di redistribuzione di ricchezza. Lei propone una possibile rivoluzione per sovvertire l’ordine delle cose, rivoluzione che si fonda sul concetto di sostenibilità integrata: cosa può ragionevolmente e cosa necessariamente deve cambiare? Per attuare questo piano, bisogna necessariamente procedere ad una vera e propria rivoluzione che prima ancora che economica sia culturale. In realtà molti giovani già si sono indirizzati in questa direzione: si pensi alla mutata attitudine verso il lavoro, non più concepito come posto fisso, verso la mobilità (la generazione Erasmus) e al rispetto dell’ambiente. Questa attitudine anticipa e accompagna un vero e proprio cambio di paradigma sia economico (non si tornerà mai ai livelli pre-crisi), sia sociale (con i processi di adattamento ai mutamenti climatici e di resilienza in atto). Un modello economico che voglia accompagnarci in questa evoluzione storica a mio parere deve quindi poggiare sul principio della sostenibilità integrata, cioè non solo attenta alla impronta ecologica che oggi ci fa consumare le risorse del pianeta intorno alla metà di agosto di ciascun anno, ma anche la equità generazionale, che ci impone di non pregiudicare il benessere delle generazioni future.
Quali sono i pilastri di una efficace politica economica intergenerazionale. La definizione di questi pilastri sconta ovviamente tutte le difficoltà attorno alla ricerca di risposte univoche alle domande di fondo sulla definizione di benessere, sui modi di rilevarlo e ottenerlo. Le rilevazioni degli ultimi quarant’anni ci dicono che l’aumento della ricchezza non è stato accompagnato da un proporzionale aumento del benessere. I grandi interrogativi circa la giustizia globale e la lettura dinamica dell’equità intergenerazionale conducono, inoltre, a ricercare pilastri che possano reggere ad una evoluzione di lungo periodo, idealmente atemporali. Pilastri che, proprio in considerazione dell’orizzonte temporale con il quale si devono confrontare, presuppongono solide fondamenta che prescindano dalle urgenze e dagli orientamenti dettati dalla attuale congiuntura. Per questo preferisco politiche economiche ad ampio raggio, che vadano cioè a considerare non solo le dinamiche strettamente economiche, ma anche quelle sociali e di qualità della vita in una visione non esclusivamente antropocentrica. Provando ora a enucleare i principali pilastri bisogna esplorare tre ambiti differenti: a) l’evoluzione dell’immaginario collettivo e i percorsi educativi che dovrebbero accompagnarla; b) il rapporto tra l’uomo e la natura e dunque le politiche energetiche e a difesa dell’ambiente da porre in atto per ricostruire il capitale naturale; c) l’ambito della equità intergenerazionale e una coerente politica fiscale perequativa per la sostenibilità integrata. Questi ambiti sono dunque il terreno sul quale una politica reale e sostenibile deve confrontarsi. Sono dunque e specularmente tre i pilastri che la devono sostenere e attorno ai quali sviluppare un movimento di opinione che riunisca le forze espresse dalle giovani generazioni oltre che da ogni cittadino animato da uno spirito di solidarietà generazionale: una nuova politica educativa che accompagni, al paradigma emergente, una politica energetica e ambientale con grande attenzione al profilo occupazionale e una politica fiscale che possa sorreggere le altre due grazie ad una redistribuzione delle opportunità e non solo della ricchezza.
L ' O P I N I ONE
Palumbo, GI Salerno: «Il talento giovane per sfidare la crisi, a partire dal Sud» In questa intervista il nuovo leader dei Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno racconta, con dovizia di particolari, la sua personale trasformazione da imprenditore di seconda generazione a capitano di più di un’avventura in solitaria, passando per i buoni propositi legati alla sua nuova importante carica associativa Di Raffaella Venerando
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residente, lei già a 18 anni ha cominciato a muovere i primi passi nell’azienda di famiglia. Di cosa si è occupato e come ricorda il Francesco di allora? Sì, sono diventato “adulto” facendo il mio ingresso nel mondo del lavoro abbastanza presto, animato dall'amore e dalla passione che traspariva, evidente e forte, negli occhi di mio padre. Una passione che ritengo possa essere considerata alla pari di un gene ereditario. Nei primi anni degli studi superiori, come spesso
Francesco Giuseppe Palumbo Presidente GI Confindustria Salerno
succede per tanti ragazzi, il mio più grande desiderio era quello di poter andare a studiare fuori regione, ma l'aver “respirato” fin da piccolissimo la fabbrica, mi hanno fatto scegliere di restare e optare per un ateneo che fosse a pochi km dall'azienda di famiglia, così da dividere equamente la giornata tra studio e lavoro. Sentivo in realtà un bisogno "forte" di voler essere presente, utile, ero tremendamente affascinato dall'idea di dare il mio contributo, di diventare indipendente anche da un punto di vista economico. Mi piaceva studiare, ma più che altro mi piaceva mettere in pratica quello che studiavo direttamente in azienda con l’obiettivo di migliorarne le performance. Sebbene avessi capito fin da subito di avere una naturale attitudine per responsabilità di tipo commerciale, ricordo con grande piacere di aver iniziato “dal basso” e di essermi provato un po’ in tutti i ruoli. “Prima di esigere dagli altri, avrei dovuto saper eseguire io stesso”, diceva mio padre. Non l’ho mai dimenticato, anzi per me questa filosofia è valsa un po’ da mantra. Nella vita più e nel lavoro – sono certo - conta cosa vuoi e i sacrifici che sei disposto a fare per ottenerlo e la mia vita è un po' lo specchio di questo credo. Avere un’azienda di famiglia alle spalle secondo lei è un’agevolazione o può essere anche un limite? Può sicuramente essere una facilitazione sotto differenti punti di vista, il più importante è sicuramente l'esperienza che si matura "vivendo l'azienda". Tuttavia, devo riconoscere che se poi decidi di diversificare, come ho fatto io, ti ritrovi a dover sfidare la diffidenza degli altri che spesso
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Trentaquattro anni, laureato in Economia Aziendale, sposato e papà di due gemelle di 2 anni, Francesco Giuseppe Palumbo è presidente della Medis srl, azienda attiva nel settore della sorveglianza sanitaria e della sicurezza sul lavoro
credono che tanti giovani imprenditori lo siano solo per diletto, comodità e non per fiera convinzione. Basta non curarsi troppo delle reticenze altrui e andare dritti per la propria strada. Può sembrare singolare, ma ad oggi nella mia attività principale - la Medis srl - non ho, per scelta personale, un solo cliente relativo all'azienda di famiglia. Nel suo approccio alla professione ha avuto modelli di riferimento cui ispirarsi Sono affascinato da quanti a partire da un’idea semplice eppur geniale hanno dato vita a progetti di successo, ma continuo ad ispirarmi a mio padre perché ho visto in lui l'amore e la passione per questo lavoro e il "mai arrendersi" nella buona e nella cattiva sorte. Quale dote è indispensabile oggi per riuscire ad emergere nella sempre più intricata competizione imprenditoriale? Umiltà, e sacrificio e spirito d'avventura. Chi fa impresa oggi deve essere disposto al sacrificio, non deve mai pensare alla resa perché in un momento storico, quale quello che stiamo vivendo, potranno essere più le notizie cattive che quelle buone ad arrivare. Guardare avanti senza mai dimenticare la strada percorsa e, per usare un tema strettamente "imprenditoriale", oggi bisogna avere la capacità di saper diversificare e cavalcare il cambiamento. Forse è in parte anche per questo che tante aziende, non essendo state capaci di "rivoluzionarsi", si sono trovate fuori mercato e sono state costrette a chiudere i battenti. Quale idea – invenzione e/o brevetto – avrebbe voluto fosse sua? Per la logica dei numeri e del successo conclamato le dovrei rispondere la "Coca cola" o la "nutella" ma le rispondo "al futuro" dicendole piuttosto che
mi piacerebbe pensare ad un’idea/brevetto. Anzi, in tutta onestà le dico che qualcosa mi frulla per la testa da tempo. Chissà… Al di fuori dell’azienda, molto del suo tempo è dedicato al Sistema Confindustria, autentica passione. Qual è il primo traguardo che si augura di raggiungere da presidente dei GI salernitani? Chi decide di fare vita associativa deve essere consapevole che dovrà dedicare notevoli risorse in termini di tempo a questo, sostenendo un costo/ opportunità molto elevato. Alle passioni, però, non c'è prezzo e per me è un onore fare parte e rappresentare il Sistema Confindustria. Ho tante idee in cantiere per il Movimento Giovani, molte delle quali ampiamente già condivise con la mia squadra. Mi limito a dire che tenteremo con tutta la volontà e la passione che ci contraddistingue di costruire qualcosa di concreto e di esempio per i giovani del nostro territorio. Sono un convinto sostenitore della diffusione della cultura d'impresa, indispensabile per promuovere l'autoimprenditorialità. La sua più grande aspettativa per il futuro di Salerno e del Paese? Attendo con fiducia che parta finalmente la stagione delle riforme per il bene del nostro Paese e, di conseguenza, per il nostro amato territorio. Ne abbiamo bisogno per far ripartire l'economia e incrementare l'occupazione. Viviamo in un territorio di eccellenze, di brevetti, di esclusività invidiate in tutto il mondo, abbiamo enormi potenzialità ancora tutte da esprimere. Ed è per questo che ritengo si debba ripartire proprio dal Sud, dalla salvaguardia e dal rilancio del nostro prezioso territorio perché il Paese tutto torni a essere competitivo.
F O CU S
Primo Rapporto Giorgio Rota su Napoli: la città delle sfide da vincere Secondo lo studio di SRM, Centro Einaudi e Unione Industriali di Napoli dal titolo “Ci vuole una terra per vedere il mare” il capoluogo campano ha bisogno di un riposizionamento competitivo, riqualificando il tessuto urbano e quello suburbano, dalle aree dismesse ad Ovest a quelle a Est della città, valorizzando, ad esempio, il grosso patrimonio storico e culturale di cui tutta l’area dispone A cura di SRM Studi e Ricerche per il Mezzogiorno www.sr-m.it
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RM (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo), Centro Einaudi e Unione Industriali di Napoli hanno presentato in un seminario il Primo Rapporto Giorgio Rota su Napoli dal titolo “Ci vuole una terra per vedere il mare” realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo. Di seguito alcune evidenze. Nel mondo oltre la metà della popolazione vive nelle città e quelle vicino al mare o sul delta dei fiumi tendono ad essere le più grandi del mondo (17 sulle prime 23). Le 23 mega-città (con oltre 10 milioni di abitanti) coprono oltre la metà della ricchezza globale e se si amplia l’analisi alle grandi conurbazioni (le mega Regioni) esse rappresentano il 18% della popolazione mondiale, ma coprono il 66% delle attività economiche e l’85% dell’innovazione tecnologica. L’area metropolitana di Napoli con oltre 3,5 milioni di abitanti è l’8° città europea per dimensione ed è paragonabile a città quali Barcellona e Atene. Napoli è la 3°
città italiana per Pil dopo Milano e Roma e 26° (su 115) città europea. Il Pil napoletano - pari a 61,8 Miliardi di dollari - è superiore a quello di uno Stato come la Slovenia, ed è paragonabile a città come Praga, Helsinki, Copenaghen e Zurigo. Ma è anche la 5° città europea per crescita del tasso di disoccupazione durante la crisi. Conta oltre 233mila disoccupati, pari alla metà di Londra ma con un quarto dei residenti (il tasso di disoccupazione è del 25,8%), registrando quindi indubbie problematiche di inclusione sociale. A Napoli, il numero di brevetti (10,8 brevetti per 1 milione di abitanti) è tra i più bassi dell’UE ed è molto al di sotto della media italiana (70). Napoli concentra soltanto l’1% dell’attività brevettuale italiana. L’evoluzione urbanistica dell’area di Napoli è strettamente correlata alla sua evoluzione demografica; un’area con più di 3 milioni di abitanti (il 53% della popolazione regionale)
che ha visto infatti nel tempo variare profondamente il rapporto tra la città e la sua provincia. Nel periodo intercensuario tra il 1951 e il 2011 la popolazione urbana cala del 39,4% mentre quella della provincia mostra una crescita del 9,6%. Nell’ultimo decennio (dal 2001 al 2011) si assiste ad un calo complessivo della popolazione dell’intera area metropolitana (-0,1%, che deriva da un calo del -4,2% della città non compensata dalla crescita dell’1,9% della provincia). Quindi cresce il peso della provincia, il flusso di persone e merci si distribuisce al di fuori della cinta urbana, si popola l’area Nord Ovest dopo aver visto nel tempo accrescere il peso della zona costiera da Est a Ovest. Il consistente peso demografico della provincia di Napoli è confermato dalla presenza di ben 10 comuni su 92 con più di 50.000 abitanti, ormai saldati tra di loro in un’unica, enorme, periferia
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Le prospettive 2014-2020 sono rivolte a dare una grande attenzione allo sviluppo urbano. Almeno il 5% delle risorse FESR a livello nazionale sarà destinato a questo scopo mediante le «azioni integrate» gestite dalle città stesse
indifferenziata che circonda tutta Napoli e che definisce ormai “un’altra città”. Allo sviluppo demografico si deve poi associare in uno stretto rapporto di interdipendenza, ovviamente, anche quello economico e produttivo che determina e condiziona i flussi delle persone e delle merci. Lo sviluppo produttivo dell’area di Napoli ha avuto molti alti e bassi, e ha condotto ad una struttura economica che in linea generale è così delineata: in città: servizi terziari, commercio e ricerca, artigianato di qualità; provincia interna: industria manifatturiera (ad esempio automotive, aerospazio, agroalimentare), grandi centri commerciali; provincia costiera: turismo, costruzioni ed economia marittima. La pur consistente «armatura» infrastrutturale di connessione presente nell’area napoletana (e più in generale in Campania) appare squilibrata verso l’asse Nord-Nord Est (porta tradizionale di accesso alla città). Questo determina ad esempio anche un alto livello dei costi di congestione per l’area urbana. Questi squilibri strutturali generano spesso un errore interpretativo, cioè che tali fenomeni di congestione derivino
solo dall’eccesso di domanda di mobilità sul territorio. Nella realtà metropolitana napoletana esistono invece aree urbane esterne al territorio di Napoli «dormienti» a causa della inadeguatezza del sistema di interconnessione, concepito quasi sempre in funzione dell’accessibilità al centro urbano. É quindi necessario migliorare la capacità e la qualità delle interconnessioni esistenti e al contempo riequilibrare meglio sul territorio le connessioni tra centri esterni e appartenenti alle aree suburbane. Al riguardo, qualunque ipotesi di intervento deve comunque essere inserita nel più ampio modello di sviluppo urbano di tipo «intelligente» (smart city) di tipo urbanistico, funzionale e ovviamente logistico (city logistic). Dal punto di vista «Smart» c’è ancora molto da fare a Napoli e nel Mezzogiorno. Nella graduatoria dello Smart City Index 2014 Napoli è 9° rispetto alle 15 città metropolitane, recuperando una posizione rispetto al 2013 (33° nella graduatoria complessiva, era 50 esima nel 2013). Napoli ha bisogno dunque di un riposizionamento competitivo, riqualificando il tessuto urbano e quello suburbano, dalle aree
dismesse ad Ovest a quelle a Est della città e valorizzando, ad esempio, il grosso patrimonio storico e culturale di cui tutta l’area dispone. Queste iniziative sono tutte inserite nella programmazione comunitaria 2007-2013 che le denomina Grandi Progetti, con una dotazione complessiva di quasi 550 milioni di euro e hanno tutte scontato ritardi nell’attuazione. É da sottolineare che la città di Napoli è stata interessata dal 64% della progettualità (in valore) dell’intero POR Campania 20072013. Le prospettive 2014-2020 sono rivolte a dare una grande attenzione allo sviluppo urbano. Almeno il 5% delle risorse FESR a livello nazionale sarà destinato proprio allo sviluppo urbano sostenibile mediante le «azioni integrate» gestite dalle città stesse. In Italia è in fase di definizione un PON Metro con una dotazione di 1 miliardo di euro e destinato allo sviluppo di 14 città metropolitane - tra cui Napoli - che riceveranno una dotazione finanziaria pari a 80100 milioni di Euro. In sintesi possiamo dire che la città metropolitana di Napoli nel prossimo decennio ha davanti a sé una serie di sfide che possono e devono essere vinte.
C O N F I N DUS TRIA
Enel, il piano di interventi prosegue con energia Di Raffaella Venerando
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ll’indomani di alcuni disservizi nella distribuzione di energia elettrica che per alcuni giorni avevano bloccato le normali attività di produzione di molte aziende della provincia di Salerno, lo scorso settembre l’Enel aveva promesso un piano di interventi che si concluderà a marzo 2015 per migliorare la qualità del servizio alle aziende del territorio. Ad oggi, giugno 2014, gli interventi già realizzati e lo stato di avanzamento del piano annunciato lo scorso settembre sono pari a quattro nuovi centri satellite (Camerelle, Roccapiemonte, Battipaglia e PIP Sarno), sette cabine primarie potenziate, nuovi raccordi tra linee di media tensione e interventi mirati sulla rete per rendere sempre più efficiente e affidabile il servizio elettrico nel salernitano. Alla presentazione degli obiettivi raggiunti – avvenuta a Cava de’ Tirreni – erano presenti Mauro Maccauro,
Presidente Confindustria Salerno; Gerardo Gambardella, Vice Presidente Confindustria Salerno con delega all'Energia; Gianluigi Fioriti, Responsabile Macro Area Centro Enel Distribuzione e Giuseppe Santino, Responsabile Enel Distribuzione Campania. In particolare, il Piano prevedeva la realizzazione di un nuovo Centro Satellite in località Camerelle operativo entro giugno 2014. Lo snodo, fondamentale nella rete di distribuzione alimentato da tre nuove linee di media tensione per un totale di 15 km in cavo interrato, era pronto e operativo già da maggio scorso. Il Centro Satellite di Camerelle garantirà maggiore potenza disponibile sul territorio e, in caso di guasto, permetterà di isolare i tratti di rete interessati eseguendo manovre a distanza: in questo modo sarà possibile in breve tempo rialimentare la maggior parte della clientela ancora prima di effettuare l’intervento sul posto.
Gambardella: «Teniamo alta la tensione sul tema della fornitura elettrica alle aziende» Gerardo Gambardella Vice Presidente Confindustria Salerno
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residente, Enel ha mantenuto le promesse di investimento fatte lo scorso settembre. Soddisfatto? É giusto ricordare che Confindustria Salerno negli ultimi anni ha tenuto, con Enel Distribuzione e gli imprenditori, vari incontri per risolvere i disservizi sulla rete di distribuzione dell’energia elettrica,
disservizi che hanno creato non pochi disagi, in termini economici e di immagine alle aziende, nonostante Enel Distribuzione rappresentasse, nel corso delle discussioni, dati alla mano, i segnali di miglioramento in fieri su tutta la rete. Ma torniamo indietro e proviamo a ricostruire cosa è accaduto lo scorso anno.
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I protagonisti dell'incontro Enel - Confindustria Salerno
Da luglio fino alla prima metà di settembre 2013 l’AgroNocerino Sarnese e la Valle dell'Irno sono stati vittime di ripetute interruzioni di energia, che hanno messo in forte crisi la produzione delle aziende lì ubicate che - proprio nel momento per loro di massima attività - hanno subito disagi notevolissimi. In risposta a questa preoccupante situazione, Confindustria con tempestività ha convocato nella propria sede le parti interessate per denunciare l’entità del problema, verificarne la causa e per valutare quali interventi fosse necessario avviare nell’immediato affinché l’evento disastroso non si ripetesse. Su questo punto possiamo affermare che gli impegni assunti nel settembre scorso dall’amministratore delegato di Enel Distribuzione, il cronoprogramma stilato e realizzato anche con l’apporto di Confindustria - pronta a rispondere alle richieste da parte di Enel - sono stati soddisfacenti a partire dal primo step avutosi con la presentazione del Centro
Satellite realizzato in località Camerelle, inaugurato in data 20 giugno 2014. Nello specifico, quanto è importante per l’attività di un’azienda l'affidabilità della fornitura elettrica? Si tratta di un bene primario per un’azienda. Fondamentale è che essa venga erogata senza disservizi e che sia di qualità per l’efficienza delle tecnologie sulle quali le aziende hanno investito al proprio interno per ottimizzare la produzione. Ma cosa accade in azienda quando si verifica un guasto? Che tipo di danni si possono registrare? Innanzitutto c’è l’immediato blocco della produzione: l’utente, non venendo a capo dell’origine del guasto, ferma le attività. Peggio ancora è quando l’alimentazione diventa a intermittenza poiché questa comporta danni notevoli alle diverse strumentazioni a disposizioni delle aziende. Nonostante i macchinari abbiano strumenti di protezione anche
per gli abbassamenti di tensione improvvisi, molte volte neanche questi sono sufficienti e il danno “improvviso” resta. In tema di energia, specie elettrica, le politiche nazionali sono spesso ritenute inefficaci e costose. Quali misure correttive sarebbero secondo lei urgenti? In generale oggi si fa un gran parlare di energia efficiente ed ecosostenibile, in contrasto però con una burocrazia che spesso rallenta o addirittura ferma interventi. Più in dettaglio, ritengo auspicabile che la Regione Campania nella sua programmazione 2014/2020 adotti una misura dedicata agli interventi da farsi sulla rete e sulle cabine delle piccole-medie imprese affinché esse possano mettersi in regola, in ossequio alle ultime normative, adeguare gli impianti all’interno delle aziende, mettendole così - in caso di guasto improvviso - in condizione di intervenire ciascuna sul proprio impianto senza danneggiare l’intera rete.
C O N F I N DUS TRIA
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Agricoltura e sviluppo economico: ritorno al futuro Nonostante le problematiche, il comparto vasto legato alla terra di anno in anno cresce sempre più, rinnovandosi a suon di idee e di nuove tecnologie Gerry Sica Consigliere Confindustria Salerno
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li ultimi anni, come ben sappiamo, sono stati caratterizzati da un diffuso ritorno verso il settore agricolo. Uno dei dati più sorprendenti, insieme a quello occupazionale, riguarda anche l'aspetto generazionale perchè oggi sono i più giovani a raccogliere autonomamente la sfida di ricredere nell'agricoltura. Si tratta di una rivoluzione culturale: una staffetta che riscopre un patrimonio immenso. Il settore agricolo, nonostante le problematiche, cresce e si innova a suon di idee e di nuove tecnologie. In tal senso, all’interno della filiera ortofrutticola, c’è un mercato giovane, ma consolidato, con fatturati imponenti, che si definisce "quarta gamma" e propone da qualche anno un servizio di eccellenza: prodotti freschi e di qualità, raccolti, selezionati, lavati e imbustati per essere consumati direttamente. È un settore che si adatta alla richiesta e viene incontro a ogni tipo di esigenza con soluzioni pratiche e a costi contenuti. L’auspicio è che il suo ciclo di vita sia infinito, ma c’è l’obbligo della specializzazione. Stare al passo coi tempi è fondamentale per continuare a garantire risposte al mercato interno e, forse ancor di più, a quello esterno che si sta sempre più affinando. Dalla campagna all’industria il passo, oramai, non è solo breve, ma rappresenta una grande soluzione di continuità. Il paesaggio agricolo, dove un tempo sussistevano distese di terreni, oggi si caratterizza per la presenza di aziende moderne, ma intrise di storia e lavoro. La
politica, in tutto questo, ha una grande responsabilità. Deve non solo sostenere l’imprenditore ed essere autentica interprete della promozione territoriale, ma soprattutto garantire le migliori condizioni possibili. In un mercato globalizzato e in espansione, le attenzioni verso la produzione sono elevate. Ne deriva che anche una strada pubblica ben tenuta possa determinare benefici evidenti. Indispensabile è, allo stesso tempo, operare nel pieno rispetto dell’ambiente: per un settore che fa della natura il suo punto di forza, non potrebbe essere diversamente. A livello territoriale, inoltre, è indispensabile creare punti di riferimento istituzionali con deleghe amministrative ad hoc e appositi uffici di coordinamento e supporto. Unitamente alla politica e nello stesso ordine di importanza figura, a mio avviso, anche la responsabilità dei sindacati e delle associazioni di categoria. Oltre all’azione di tutela, è indispensabile implementare nuovi momenti di confronto. Insieme ai giovani, infatti, vi sono anche industriali di altri settori che guardano con rinnovato interesse all’agricoltura. Di pari passo vi è la ricerca di una sana competitività: imprenditore guarda imprenditore con positività. Immagino anche nella nostra provincia un grande polo produttivo in rete. Lo stesso passaggio generazionale, che spesso sfocia in conflitto, deve in questo caso essere foriero di speranza perché il self-made man di un tempo possa accompagnare i giovani eredi in un percorso di ampia realizzazione e soddisfazione.
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Rete Destinazione Sud: parte da Salerno il primo network del comparto turistico Un portale per la vendita on line di servizi turistici attraverso un sistema di Dynamic Packaging consentirà al cliente di verificare la disponibilità dei prodotti e di procedere direttamente all'acquisto A cura della Redazione Costozero
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alle promesse ai fatti: è nato il 3 luglio 2014 il primo network turistico voluto dal Gruppo Alberghi Turismo e Tempo libero di Confindustria Salerno, che conta l’adesione anche di Confindustria Basilicata, Cosenza, Taranto e Vibo Valentia. Destinazione Sud - questo il nome dato alla rete di imprese turistiche - parte già con 20 aziende provenienti da Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, con l'obiettivo di potenziare la competitività delle aziende coinvolte, sviluppando azioni comuni di promo-commercializzazione on line, avvalendosi delle tecnologie più innovative. Il valore della dimensione interregionale sarà indispensabile anche per sviluppare iniziative volte ad elevare, oltre che gli standard qualitativi dei beni e dei servizi proposti, anche la visibilità commerciale dell'intero sistema dell'offerta. La rete intende infatti mettere a fattor comune il patrimonio di esperienze e competenze
degli operatori e la loro conoscenza dei territori per offrire un prodotto esperienziale nel solco della migliore Italia. Offerta turistica, risorse artistiche, culturali ed enogastronomiche del territorio saranno così finalmente messe a sistema per aggredire nuovi mercati e favorire la destagionalizzazione. La rete opererà attraverso un portale per la vendita on line di servizi turistici con un sistema di Dynamic Packaging, che consentirà al cliente di verificare la disponibilità del servizio, del prodotto, del biglietto aereo, del pacchetto e di procedere direttamente all'acquisto. «Nella situazione economica attuale - ha affermato Michelangelo Lurgi, Presidente Comitato di Gestione Rete Destinazione Sud e Vice Presidente del Gruppo Alberghi Turismo e Tempo libero di Confindustria Salerno - la rete che abbiamo costituito rappresenta un’opportunità per le aziende del Mezzogiorno d’Italia.
Il Sud Italia si organizza per competere sui mercati internazionali, per ottimizzare i costi, per tracciare linee comuni di intervento, per costruire un prodotto turistico Sud "unico" ed univoco di cui si avverte la mancanza sul mercato turistico mondiale. Rete Destinazione Sud è una rete pronta ad allargarsi per consentire maggiori sinergie tra le imprese del Sud che intendono promuoversi sui mercati esteri». «Rete Destinazione Sud ha dichiarato Lucia Scapolatiello, Presidente del Gruppo Alberghi Turismo e Tempo libero di Confindustria Salerno - è un segnale importante della capacità del sistema confindustriale di essere concretamente a fianco delle imprese. In questo quadro il contratto di rete è uno strumento prezioso che aiuta a superare le parcellizzazione del nostro settore, valorizzando identità e differenze».
Un momento della presentazione della Rete Destinazione Sud presso la sede di Confindustria in Roma
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C O N F I N DUS TRIA
Bacino idrografico del Sarno, meno oneri per le imprese Con D.D. n. 796 del 09/06/2014, la Regione Campania ha approvato le Linee Guida per l’esecuzione di indagini preliminari, predisposte da ARPAC su richiesta della Regione stessa e obbligatoria per tutti i siti ricadenti negli ex SIN non ancora sottoposti ad indagini o caratterizzazione di Antonello Barretta Dirigente UOD Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Salerno Giunta Regionale della Campania
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o scorso 2 luglio, presso la sede di Confindustria Salerno, si è tenuto un incontro di aggiornamento, indirizzato alle aziende, in merito agli adempimenti da realizzare nell’area ex SIN Bacino idrografico del Sarno, a seguito della pubblicazione del Decreto ministeriale 11/01/2013, avente ad oggetto “Approvazione dell'elenco dei siti che non soddisfano i requisiti di cui ai commi 2 e 2-bis dell'art. 252 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e che non sono più ricompresi tra i siti di bonifica di interesse nazionale” e del decreto dirigenziale della Regione Campania, di approvazione delle linee guida, redatte da ARPAC, per l'esecuzione delle indagini preliminari, previste dall'art. 242 del D.Lgs. n. 152/06”. Nel corso dell’iniziativa è stato illustrato il quadro normativo di riferimento, chiarendo le criticità applicative della norma che, sino ad oggi, non hanno permesso di avere la certezza dell’adempimento e di approfondire i contenuti dei richiamati provvedimenti. Come noto il bacino idrografico del Sarno è attenzionato dalle istituzioni in ragione della presenza di corsi d’acqua inquinati, che hanno pre-
giudicato la vivibilità del territorio, richiedendo il ripristino ambientale e la bonifica dei siti contaminati. Le imprese del territorio, da sempre chiamate a prestare il loro contributo, sono state obbligate a specifici adempimenti a seguito della pubblicazione del D.M. 11/08/2006, che approvava il perimetro provvisorio del SIN, coincidente con il territorio di 39 Comuni, ricadenti nelle province di Avellino, Napoli e Salerno. 950 sono stati i siti censiti, sui quali ricadeva l’obbligo di realizzare il piano di caratterizzazione. Successivamente, l’art. 36 bis della L. 134/2012 ha stabilito che, con decreto del Ministero dell’Ambiente, fosse effettuata la ricognizione dei siti attualmente classificati di interesse nazionale che non presentavano i requisiti di cui all’art. 252, comma 2, del D.Lgs. 152/06. In attuazione della richiamata norma il Ministero ha emanato il DM 7 dell’11 gennaio 2013 recante l’elenco dei siti che non sono più ricompresi tra i siti di bonifica di interesse nazionale in attuazione dell’articolo 36-bis della Legge 134/2012”, tra cui quello del Bacino Idrografico del fiume Sarno, ridisegnando lo scenario normati-
vo, unitamente agli adempimenti delle imprese. La competenza per le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica all'interno dei siti di cui all'elenco dell'allegato 1 al DM 7/2013 viene trasferita alle Regioni territorialmente interessate, che subentrano nella titolarità dei relativi procedimenti. Difatti, con D.D. n. 796 del 09/06/2014, la Regione Campania ha approvato le Linee Guida per l’esecuzione di indagini preliminari, predisposte da ARPAC su richiesta della Regione stessa. Il Decreto stabilisce che l’esecuzione delle indagini preliminari è obbligatoria per tutti i siti ricadenti negli ex SIN non ancora sottoposti ad indagini o caratterizzazione. La finalità delle indagini preliminari è di accertare l’inquinamento delle matrici ambientali a seguito di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito o per la rilevazione di una situazione storica di inquinamento. Questo provvedimento ha semplificato gli oneri ricadenti sulle imprese, assicurando la possibilità di monitorare un territorio che chiede ancora attenzione e cura da parte di tutti.
PA RLI A M O D I. . .
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Rischi e opportunità del WEB 3.0 e delle tecnologie che lo compongono Il libro di Rudy Bandiera, fra i maggiori esperti in Italia di web, online marketing e social media, esplora gli effetti delle grandi trasformazioni che hanno cambiato le nostre vite
di Vito Salerno
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e visioni e le intuizioni che tentano di interpretare le grandi trasformazioni del nostro tempo sono assolutamente preziose. Il libro di Rudy Bandiera, fra i maggiori esperti in Italia di web, online marketing e social media, "Rischi e opportunità del web 3.0 e delle tecnologie che lo compongono" rientra alla perfezione in questa categoria di pensiero. Uno sguardo sul futuro prossimo della nostra società, attraverso l’analisi delle sue evoluzioni tecnologiche e del ruolo sempre più centrale della Rete. Un libro che non si rivolge solo agli addetti ai lavori, bensì a quanti vogliono provare a gestire il cambiamento invece di subirlo passivamente. La tecnologia corre più velocemente della legislazione, che non riesce a tenere il passo. Pensiamo ad esempio alla protesta dei tassisti contro Uber o alle questioni legate alla privacy nella gestione dei dati personali. Alcune innovazioni, in effetti, hanno mutato radicalmente le nostre abitudini, il nostro modo di socializzare e dialogare, cambiando il modo di relazionarci con gli altri e anche di fare business. Ciò che il libro, edito da Dario Flaccovio Editore, ci restituisce è la conoscenza delle incredibili prospettive insite nelle tecnologie che già usiamo
nella vita di tutti i giorni e che diventano sempre più trasparenti. Il lavoro di Bandiera è arricchito da originali contributi di diversi esperti in materia di innovazione che hanno fornito, liberi da condizionamenti, la loro prospettiva personale e professionale sui temi di volta in volta affrontati. Rudy Bandiera ci accompagna per mano nelle aziende che stanno costruendo il nostro futuro, svelando i segreti del loro successo e le loro strategie: Amazon e la sua teoria della coda lunga, Apple, Microsoft, Facebook e Google con i suoi google glass ma anche con il suo smartphone interamente personalizzabile. Cinque big players che cambiano ogni giorno il nostro modo di percepire la realtà, modificando addirittura il senso delle parole del nostro vocabolario e monitorando i nostri rapporti sociali. L’autore vaglia ad una ad una le tecnologie che queste aziende integrano e sfruttano per costruire il web 3.0, ma allo stesso tempo invita il lettore a riflettere sul pericolo di una tecnocrazia governata dalle multinazionali. Sono, in particolare, otto le tecnologie che cambieranno il mondo: mobile internet, intelligenza artificiale, internet
delle cose con oggetti in grado di interagire tra loro e accedere alla Rete e ai dati in essa contenuti, cloud, robotica, nanotecnologie, big data, social network. Queste tecnologie, fuse in misura consona, porteranno alla nascita di una nuova generazione di macchine e di persone. Altro passaggio cruciale del libro è il racconto dell’evoluzione del Web 2.0, che ha la sua massima espressione nei social network, in Web 3.0, cioè un mondo di tecnologie interconnesse con al centro la persona e la sua reputazione, un insieme più o meno fluido di web semantico, web 3D, realtà aumentata e web potenziato. Se è inutile, dunque, opporsi ai cambiamenti in atto, conviene pertanto farne parte, per essere consapevoli degli eventuali rischi ma soprattutto per comprendere le opportunità da cogliere.
S TRA TE GIE D ’ IM PRE S A
Un mondo di sogni con Rinaldi Group L’azienda di Giffoni Valle Piana ha ottenuto il prestigioso riconoscimento “Company to watch” per l’anno 2014, assegnato da “Databank” (divisione gruppo Cerved) per essersi distinta – nel settore materassi – come la più virtuosa e performante sul territorio nazionale
di Raffaella Venerando
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rriva un’altra importante conferma a suggellare la crescita costante e il valore del Gruppo Rinaldi che, dal 1965, progetta e realizza materassi da sogno in Italia – l’headquarter e la factory sono a Giffoni Valle Piana, Salerno - con materiali di qualità assoluta, controllati e garantiti, in grado di coniugare solidità e morbidezza, resistenza e benessere, freschezza e traspirabilità e capaci di assicurare ai clienti un riposo corretto e salutare ispirato ai principi dell’ergonomia e del comfort. L’impresa familiare, infatti, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento “Company to watch” per l’anno 2014, assegnato da “Databank” (divisione gruppo Cerved) per le performance di elevata competitività del rapporto prezzo/qualità/ innovazione dell'offerta; per la sua struttura produttiva efficiente; per la capillare penetrazione soprattutto nelle regioni meridionali della Penisola, sfruttando i vantaggi logistici rispetto ai concorrenti del Centro-Nord e, infine, per la presenza in tutti i principali canali
Headquarter e factory del Rinaldi Group a Giffoni Valle Piana, Salerno
di vendita del mercato nazionale. Ma non solo sul mercato domestico l’azienda di Giffoni è leader: sono 13 i Paesi in cui il Gruppo esporta e in cui nel tempo ha conquistato una posizione di primissimo piano, specie sui mercati emergenti BRIC e MAGREB, offrendo prodotti ad elevato contenuto di personalizzazione. Da oggi quindi scegliere un
materasso di una delle diverse collezioni del Gruppo Rinaldi - sono tantissime e tutte belle e originali - significa ancor di più avere la certezza di acquistare un prodotto che si differenzia per qualità estetica e funzionale, garanzia, certificazione e assoluto rispetto per l’ambiente. Perché i materassi Valflex sono belli e fatti bene! L’azienda, forte dei
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La consegna del Premio Company to watch alla famiglia Rinaldi
risultati ottenuti grazie a progetti d’innovazione di processo e di prodotto condotti in collaborazione con un team di esperti delle Università di Salerno e di Napoli, mirati al miglioramento del comfort del riposo e all’individuazione di nuove funzioni d’uso del materasso, è riuscita nel tempo a cogliere nella crisi un’opportunità superando le sfide del mercato globale e mettendo in campo una strategia flessibile, poliedrica e fortemente internazionalizzata. Il premio non è altro che il risultato di un lavoro di squadra consapevole, accurato e meticoloso e di una filosofia condivisa da tutti i livelli aziendali: “Se puoi sognarlo puoi farlo”.
S TRA TE GIE D ’ IM PRE S A
Il successo targato Mecar In cinque anni, la storica azienda salernitana ha scalato le posizioni, e oggi detiene il 15% del traffico pesante in Italia
di Raffaella Venerando
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entiquattro mesi per ristrutturare la squadra, per poi rivedere le procedure ed infine gli investimenti tecnologici. In cinque anni la Mecar, branca veicoli industriali del gruppo F.Ferrajoli & C., con sessantadue anni di storia e bilanci in attivo, ha completamente rivisto il proprio modello di business ed oggi si presenta come un player in crescita con un 20% di vendite generate all'estero. Un'operazione non solo di maquillage, ma di autentico rinnovamento, che ha allineato la forza e lo slancio del gruppo a quella di altri competitor europei. Non è stato semplice ma, veloci come un tir, i Ferrajoli hanno creduto e investito nel cambiamento e, ad oggi, detengono il 15% del mercato Iveco, con una distribuzione che interessa tutto il Sud, con l'eccezione di alcune aree della Sicilia e della Puglia. Una storia di tradizione e ingegno quella di Mecar, che ha il suo punto di forza in una visione sempre in mutamento e nel coinvol-
Gianandrea, Francesco e Luigi Ferrajoli gimento strutturale delle risorse umane, veri driver di crescita ed evoluzione positiva del Gruppo. Quando la crisi è arrivata, il settore dell'automotive era fortemente focalizzato sulla mera vendita del veicolo. L’esigenza di un cambio radicale è stata avvertita in maniera repentina, portando l’azienda ad invertire
la rotta e a mettere in discussione molte delle practices quotidiane consolidate nel settore. Nel 2009, infatti, l'80% della redditività aziendale derivava dalla vendita dei veicoli, al contrario di oggi dove la vendita di servizi ad alto valore aggiunto apporta sostenibilità, soddisfazione ma soprattutto differenziazione al
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Gianandrea Ferrajoli insieme al Brand President CNH, Dino Maggioni
conto economico aziendale. Passi da gigante anche per la vendita sul web che ha visto la nascita di mecarparts.com, il primo e-commerce del settore che offre ai clienti di tutta Europa la reperibilità istantanea dei pezzi di ricambio e la consegna entro 48h dall’ordine. Un mondo nuovo, fatto di scelte pionieristiche, talvolta anche coraggiose che continua a consegnare risultati incoraggianti su tutte le nuove linee di business. Il portabandiera del cambiamento è Gianandrea Ferrajoli, Managing Director Mecar che dai suoi primi passi in azienda – siamo nel 2009 – ha subito avuto la chiara intuizione che per resistere su di un mercato sempre più maturo ma
ancora profondamente strategico come quello dei trasporti occorreva puntare in modo deciso sull’innovazione. «Salerno rimane un nodo cruciale per il trasporto grazie allo snodo intermodale che offrono i porti, intercettando il flusso di grossi player diretti all’estero ai quali Mecar offre servizi, anche telematici, su misura. É lì che si gioca la nuova frontiera del trasporto: riducendo il downtime (tempi morti) dei veicoli e aumentando la produttività dei clienti». L’ultimo tassello di ricambio, non solo generazionale, è quello relativo al rilancio del comparto auto, di cui si interessano più da vicino
gli altri due giovani componenti del management, Luigi e Francesco che, dopo anni di esperienza maturati lontano dalle aziende di famiglia, guidano oggi la ristrutturazione dell’azienda fondata nel 1952 dal nonno Francesco, a cui va il merito di aver portato per primo il marchio FIAT nel salernitano. Se è vero quindi che il futuro si legge nelle strade e nelle fabbriche molto più chiaramente che sulle pagine dei giornali, allora è altrettanto vero che il domani della Mecar, grazie soprattutto alle “nuove leve di cambio”, non potrà che essere fatto di veloci ripartenze, accelerazioni e traguardi ambiziosi da raggiungere.
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Torrefazione Castorino, la quintessenza del caffè ora è certificata L’azienda salernitana potrà esibire sulle proprie miscele il marchio “Espresso Italiano Certificato”, la prestigiosa certificazione rilasciata dall’INEI, Istituto Nazionale Espresso Italiano, che dal 1998 opera per tutelare, valorizzare e diffondere la qualità dell’espresso di Raffaella Venerando
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a Torrefazione salernitana Antonio Castorino è una delle poche realtà italiane (24 su un totale di circa 750) che potrà esibire sulle proprie miscele di caffè il marchio “Espresso Italiano Certificato”, la prestigiosa certificazione rilasciata dall’INEI, Istituto Nazionale Espresso Italiano, che dal 1998 opera per tutelare, valorizzare e diffondere la qualità dell’espresso italiano nel nostro Paese e nel resto del mondo. Un riconoscimento che premia non solo la qualità delle miscele di caffè Castorino, ma l’intero percorso di un’azienda che, in oltre 60 anni di storia, ha sempre ricercato l’equilibrio tra i valori della tradizione, legati all’espresso italiano, e le esigenze di innovazione dettate dalle nuove aspettative di consumo. Infatti, in un mercato sempre più saturo e appiattito da dinamiche commerciali in cui il fattore competitivo si gioca quasi esclusivamente su politiche di "prezzo", la vera innovazione consiste nel rimettere al centro la qualità del prodotto. Attraverso la continua ricerca e la sperimentazione, l’utilizzo delle più moderne tecnologie di produzione, rispettose dell’ambiente, che salvaguardano le proprietà organolettiche e aromatiche del caffè, nascono cinque diverse varietà di miscele, destinate a soddisfare le differenti esigenze di gu-
sto. Parte da qui il processo di modernizzazione della politica aziendale che investe inizialmente il “bar” Castorino, dove la formazione del personale, l’inserimento di moduli espositivi che raccontano il mondo del caffè - dalla sua provenienza alle caratteristiche di ogni singola miscela - l’accoglienza e la qualità del servizio, rendono la tazzina di caffè espresso non un semplice rito quotidiano, quasi abitudinario, ma un’esperienza multisensoriale appagante. Un percorso all’insegna dell’innovazione consolidato dall’apertura, a Salerno, di due punti vendita della Torrefazione Castorino, veri e propri “traits d’union” tra la torrefazione e il consumatore, concept stores ideati e allestiti per guidare i clienti nell’esplorazione e
nella scoperta del mondo del caffè: dal barattolo al macinato fresco, dalle cialde all’angolo di somministrazione creato per la degustazione delle diverse qualità di miscele, fino alla novità dell’angolo “beauty”, la proposta di cosmetici per la pelle a base di caffè. Personalizzazione, servizio, informazione, cultura: il nuovo concetto di qualità non può prescindere, oltre che dalla bontà delle miscele di caffè, dalla coesistenza di questi quattro fattori. E la certificazione dell’INEI, rappresenta per la torrefazione Castorino il sigillo di garanzia della propria filosofia aziendale, un ulteriore stimolo a proseguire sulla strada dell’innovazione, per esportare oltre i confini salernitani una nuova visione del caffè espresso italiano.
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Il “turismo accessibile”, una risorsa da potenziare Diventa sempre più necessario promuovere e diffondere una cultura dell’ospitalità in condizioni di pari opportunità, attenta ai bisogni delle diverse tipologie di utilizzatori
Rosalba Fatigati Consigliere Ordine degli Architetti P.P.e C. della Provincia di Salerno Funzionario Responsabile dell'Ufficio Eliminazione Barriere Architettoniche del Comune di Salerno
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accesso all’esperienza turistica deve essere garantito a tutti, indipendentemente dalle condizioni personali, sociali ed economiche. Le persone con esigenze speciali, ovvero quelle che necessitano di particolari comodità e agevolazioni per viaggiare, possono essere tanto gli anziani, quanto le persone con disabilità fisiche o sensoriali, con difficoltà cognitive, con esigenze dietetiche o con problemi di allergie. Per raggiungere questo obiettivo che è innanzitutto una spia sensibile di civiltà bisogna fare riferimento ad uno standard di qualità elevata e cioè ai principi dell’Universal Design, un modello di progettazione e di organizzazione dei servizi, attento ai bisogni delle diverse tipologie di utilizzatori. Il turismo accessibile è una risorsa perché comprende un segmento particolare di turisti, con una domanda potenziale, che, solo in Italia, può essere quantificata in circa 4 milioni di
cittadini con limitazioni più o meno importanti all’autonomia personale (cfr.: rapporto ISTAT 2012 sull’inclusione sociale delle persone con disabilità). A questi vanno aggiunti familiari, accompagnatori, guide specializzate, etc. oltre a considerare il notevole flusso di turisti provenienti dall’estero. Il turismo accessibile attualmente è riconosciuto dal mercato e dai grandi tour operator come turismo attento ai bisogni di tutti. Rispondere ai requisiti di accessibilità produce una crescita significativa nel turismo che studi di settore, riferiscono almeno del 20%. Tale richiesta sinora ha ricevuto risposte parziali e spesso limitate all’accessibilità fisica di singole attrazioni turistiche. Il concetto di “barriera architettonica” è molto più esteso rispetto al semplicistico “ostacolo fisico” (solitamente indicato con l’omino su sedia a ruote); esso comprende tutti gli elementi che possono essere causa di limitazioni percettive, di
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Utile sarà la creazione di un portale "Turismo per tutti" contenente informazioni dettagliate su strutture e servizi
disorientamento, di affaticamento e risultare in generale fonti di disagio o di pericolo per “chiunque”. Sarà necessario quindi promuovere e diffondere una cultura dell’ospitalità in condizioni di pari opportunità. L’impresa turistica dovrà avere la facoltò di rispondere ad una domanda di “ospitalità ampia” con una offerta di “qualità dell’accoglienza”. Per permettere al potenziale cliente con esigenze speciali questa diversa offerta turistica/ culturale bisognerà che anche i sistemi di trasporto e il sistema turistico locale, o meglio l’insieme di servizi e di offerte ricettive che riguardano l’accessibilità urbana e la disponibilità di informazioni in tutte le sue forme (multimediale, tattile, braille, L.I.S., ecc…), rispondano a requisiti di fruibilità estesa. Bisognerà quindi mettere in campo azioni finalizzate a raggiungere questi obiettivi facendo sistema con tutti i responsabili delle Autonomie Locali, delle Infrastrutture, Operatori Turistici ed Enti Pubblici. Un’opportunità anche per Salerno è offerta dal recente Decreto Legge 31 maggio 2014 n.83, divenuto Legge approvata al Senato il 28 luglio (Disegno di Legge n. 1563) Tit.II. Misure
urgenti a supporto dell’accessibilità del settore culturale e turistico, che all’articolo 10 recita: «Disposizioni urgenti per l’introduzione del credito di imposta per favorire la riqualificazione e l’accessibilità delle strutture ricettive. Al fine di migliorare la qualità dell’offerta ricettiva, per accrescere la competitività delle destinazioni turistiche, per il periodo d’imposta in corso all’entrata in vigore del decreto e per i due successivi, alle strutture ricettive esistenti alla data del 1° gennaio 2012, è riconosciuto un credito di imposta nella misura del 30% delle spese sostenute fino ad un massimo di 200.000,00 euro per gli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche in conformità alla L. n.13/89 e al D. M.LL.PP. n.236/89». Altra opportunità di grande valenza turistica e sociale potrà essere la realizzazione di un portale “Turismo per tutti” per fornire informazioni riguardo l’offerta di accoglienza e servizi alle persone con esigenze speciali, una banca dati che contenga la mappatura dettagliata delle diverse attività turistiche, classificate in base all’accessibilità delle strutture, in tutto il territorio locale e che raccolga informazioni riguardanti le attrazioni turistico-culturali, le bellezze naturali, compresa
la fruibilità dei percorsi di collegamento e dei mezzi di trasporto, oltre a contemplare recensioni delle strutture pubbliche e private attrezzate. Bisognerà attivare, inoltre, azioni di sensibilizzazione degli operatori del settore affinché le informazioni sulle strutture e sui percorsi siano affidabili e atte a garantire dati certi ed efficaci, per consentire a ciascuna persona di valutare autonomamente il livello di rispondenza della struttura ricettiva alle proprie specifiche esigenze. Per migliorare l’accessibilità delle destinazioni turistiche è necessaria, quindi, l’integrazione nella strategia di sviluppo turistico locale e il coinvolgimento dei vari attori, mediante campagne di informazione e di sensibilizzazione, partenariati nella gestione della destinazione, valorizzazione e commercializzazione delle risorse turistiche, integrazione degli aspetti sociali e ambientali nell’offerta turistica e promozione di strategie di comunicazione. Il turismo accessibile è una risorsa e un'opportunità enorme perché completa l'offerta turistica con la proposizione di un nuovo modello, aumenta la competitività e rappresenta soprattutto una risposta di responsabilità sociale dall'elevato valore.
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Attività d’impresa e riforma della giustizia civile La inefficienza del sistema giudiziario civile riduce la propensione ad investire, disincentiva la crescita delle imprese e ostacola lo sviluppo dei mercati finanziari. In questa prospettiva assumono particolare interesse le idee di cambiamento che il Presidente del Consiglio Renzi e il Ministro della Giustizia Orlando hanno presentato in conferenza stampa: 12 punti rispetto ai quali si è aperta una consultazione pubblica Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Roma info@studiolegalemarinaro.it
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a giustizia civile è ormai da alcuni anni uno dei temi centrali nell’analisi dei fattori che incidono sulla crescita economica. Più volte Confindustria ha posto in evidenza come i tempi dei processi sono irragionevolmente lunghi e che migliorare la giustizia civile significa migliorare il sistema economico. Una illogica durata dei giudizi civili quindi non soltanto incide sui diritti fondamentali della persona, ma segna negativamente la fiducia dei cittadini e delle imprese rendendo eccessivamente rischiosa l’attività d’impresa. La inefficienza del sistema giudiziario civile riduce così la propensione ad investire, disincentiva la crescita delle imprese e ostacola lo sviluppo dei mercati finanziari. Le scelte di finanziamento vengono distorte e frenano gli investimenti dall’estero. In questi ultimi decenni si sono susseguite una serie di riforme per lo più orientate dal legislatore verso la ricerca di rimedi processuali, mentre le proposte provenienti dagli studiosi e dal mondo delle imprese hanno posto in rilievo l’importanza dell’efficienza organizzativa ritenendo che la cause
delle inefficienze siano da rinvenire proprio nei meccanismi ormai logori di un sistema organizzativo assolutamente inadeguato. E proprio l’esigenza di strumenti più efficienti utili anche a deflazionare l’imponente contenzioso arretrato ha consentito l’avvio di un percorso culturale innovativo per la soluzione stragiudiziale delle controversie. Anche secondo Confindustria infatti per migliorare l’efficienza del sistema della giustizia civile e, quindi del sistema economico, occorre diffondere e promuovere una nuova cultura dell’accesso alla giustizia civile. Insomma accanto ad un processo giurisdizionale rapido ed efficiente bisogna sviluppare gli strumenti di ADR (alternative dispute resolution) e cioè quei procedimenti che riaffermano la centralità della autonomia privata anche nella fase della gestione della lite. Economicità, rapidità, volontarietà costituiscono le premesse di un nuovo modo di intendere l’accesso alla giustizia civile attraverso gli ADR che corre parallelo all’indispensabile strumento giudiziale statale. E l’efficienza di quest’ultimo
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Dimezzare l'arretrato dei giudizi pendenti attraverso l'intervento degli arbitri: questo uno dei possibili cambiamenti
diviene il presupposto necessario per lo sviluppo degli altri. Mediazione e arbitrato quindi in prima fila non tanto e non soltanto per la deflazione del contenzioso civile (quale obiettivo immediato), ma quali procedimenti alternativi ad una giustizia statale efficiente in grado di garantire anche l’accesso a più idonei metodi utili anche al fisiologico riequilibrio di domanda e offerta di giustizia. In questa prospettiva assumono particolare interesse le idee di riforma che il 30 giugno il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Ministro della Giustizia Andrea Orlando hanno presentato in conferenza stampa: sono 12 punti rispetto ai quali si è aperta una consultazione pubblica. I primi tre sono quelli che riguardano la giustizia civile e alcune delle proposte mirano a rendere più efficiente il sistema con specifica attenzione alla posizione delle imprese. In primo luogo, si pone l’obiettivo della riduzione della durata del processo di primo grado. Tra le misure previste si intende inserire la conciliazione con l’assistenza degli avvocati (cosiddetta negoziazione assistita). Si tratta di una procedura gestita dagli avvocati delle parti per il raggiungimento di un accordo prima che la lite venga portata davanti al giudice; l’accordo
costituisce un titolo esecutivo in forza del quale è possibile aggredire i beni del debitore che rifiuti di pagare. Secondo le stime del Ministero della Giustizia tale procedura consentirà di ridurre il flusso delle cause in entrata dei tribunali e dei giudici di pace di circa 60.000 cause per anno. Altra misura di interesse e che incide sul processo esecutivo è quella che ha quale obiettivo di consentire al creditore di poter conoscere tutti i beni del suo debitore. A tal fine si prevede di conferire all’ufficiale giudiziario il potere di accedere on-line alle banche dati pubbliche che contengono le informazioni patrimoniali che il creditore può utilizzare per i suoi pignoramenti. Al secondo punto, il Governo Renzi pone poi l’obiettivo di dimezzare l’arretrato dei giudizi pendenti. Qui lo strumento proposto è quello delle decisioni brevi delle cause pendenti mediante l’intervento degli arbitri. Si prevede il trasferimento innanzi all’arbitro, su accordo delle parti, delle cause pendenti davanti al giudice. Secondo il Ministero della Giustizia tale misura consentirà un significativo abbattimento dell’arretrato. Questo intervento unitamente a quelli relativi al punto 1, assicureranno il dimezzamento dell’arretrato perché consentiranno
al giudice di decidere velocemente le cause residue pendenti innanzi a lui. Al terzo punto si prevede poi l’obiettivo di creare una corsia preferenziale per le famiglie e per le imprese. La proposta è quella di rafforzare il tribunale delle imprese che ha dato buona prova di sé in termini di efficienza e specializzazione, con estensione della sua competenza anche ad altre cause di particolare importanza per la competitività del sistema imprenditoriale italiano (ad esempio concorrenza sleale, pubblicità ingannevole, azioni di classe a tutela dei consumatori). L’effetto voluto è quello della ulteriore specializzazione nelle materie che interessano le imprese, in funzione di incentivazione degli investimenti anche esteri. Le proposte sono molteplici e sicuramente potranno contribuire a migliorare il sistema giustizia. Tuttavia gli obiettivi posti sono molto ambiziosi e richiederebbero ulteriori interventi in grado di incidere non tanto sugli effetti, quanto sulle cause delle inefficienze lamentate. In questa prospettiva i procedimenti di ADR pur presenti - seppur in maniera ancora marginale – costituiscono un valore aggiunto in quanto contribuiscono ad un rinnovamento culturale nella gestione della lite.
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Passaggio generazionale/2 Un profilo rilevante per ogni ipotesi di gestione della successione in azienda può essere l'ingresso in società di fondi comuni di investimento, cosiddetti di private equity
Aniello Calabrese Presidente Consiglio Notarile di Salerno
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assiamo ora alla seconda ipotesi (tutti gli eredi subentrano in società, ma solo alcuni soci si interessano attivamente della gestione, mentre gli altri sono soci per così dire di capitale). In questa é più probabile che i soci che attivamente partecipano alla vita aziendale abbiano interessi contrastanti con quelli dei soci cosiddetti di capitale. In tal caso penso che la migliore soluzione sia data dalla costituzione di una Holding di famiglia. La società Holding é una struttura distinta dall'impresa operativa nella quale si concentra la proprietà (cioè, sia soci operativi che soci passivi o comunque estranei alla gestione) e che consente una separazione tra la gestione della proprietà e quella della impresa operativa. La realizzazione di tale soluzione implica la costituzione di una nuova società (SpA - Srl) che ha come scopo la acquisizione della partecipazione nella o nelle società operative esercitandone il controllo strategico. In pratica accade questo: a) si costituisce una società (la holding) dove i soci sono tutti i futuri successori dell'imprenditore. Anche qui si dovrà
prestare particolare attenzione ai quorum assembleari, alla durata, alle clausole di prelazione, come innanzi detto; b) l'imprenditore (il disponente) cede la partecipazione nella società operativa alla Holding, la quale pertanto diventa unico socio o socio di maggioranza della società operativa; c) la gestione della società operativa viene data ai soci attivi, cioé quelli che lavorano per la società. La conseguenza sarà che la creazione di una struttura (la Holding) indipendente dalla impresa consentirà alla società operativa di proseguire nella loro attività con relativa tranquillità non essendo direttamente coinvolta nell'eventuale conflitto riguardante l'assetto proprietario, e ciò in quanto gli eventuali contrasti tra i successori si limiteranno alla gestione delle partecipazioni nella Holding, mentre le pressioni sulla società operativa saranno limitate. Volendo approfondire e perfezionare il discorso sulla Holding, essa potrebbe assumere la forma della Società in accomandita per azioni (famosa é la Giovanni Agnelli & C S.a.p.a). Questo tipo di società accentua la
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N O RM E E S OCIE TÀ differenziazione tra soci operativi e soci di capitale, nel senso che i soci operativi assumono la veste di soci accomandatari, soci cioé cui é devoluta la gestione della Holding e quindi anche delle partecipazioni da essa possedute, mentre i soci non operativi assumono la qualifica di soci accomandanti cui non é devoluta la gestione sociale e ai quali pertanto spettano solo gli utili ed il diritto di voto solo per le modifiche statutarie (es. modifica oggetto sociale, aumento del capitale). In questo modo, in definitiva, si può andare a determinare anche per più generazioni, chi sono i soci e loro successori che devono gestire la Holding e conseguentemente le società operative ed i soci (di capitale) che non devono partecipare alla gestione della società, ai quali quindi deve essere assicurato solo il diritto agli utili ed il diritto di voto per le modifiche statutarie. La costituzione della Holding porta con sé anche vantaggi di natura strategica e fiscale, tra cui spiccano la razionalizzazione delle risorse finanziarie attraverso l'accentramento della funzione di tesoreria e la possibilità di operare scelte strategiche a un livello superiore della catena societaria, soprattutto quando le società operative sono più di una. Fiscalmente sono ben note le opportunità e le insidie elusive legate alla scelta di controllare il proprio patrimonio aziendale non frazionatamente ma per mezzo di un collettore che funge da raccordo tra soci di controllo e le aziende operative. Ai fini di una più accentuata separazione tra gestione della proprietà (attraverso la Holding) e gestione della società operativa, alla Holding potrebbe accompagnarsi un
ripensamento circa la composizione della “governance” della società operativa, nel senso che questa potrebbe essere aperta anche ad elementi tecnici esterni. Una recente ricerca ha individuato anche in imprese italiane di medie dimensioni, Consigli di Amministrazione aperti a non familiari ben funzionanti ed in grado di svolgere ruoli differenti: un ruolo partecipativo atto a compensare il possibile scollamento tra soci proprietari gestori e soci non gestori; un ruolo di controllo dell'Amministratore delegato (espressione della famiglia) atto a ridurre le eventuali sue incapacità e la propensione a raggiungere benefici personali a danno dei soci; un ruolo di mediazione dei rapporti familiari coinvolti in situazioni di tensione interpersonale e di disagio; un ruolo di governo strategico. Con una governance fatta di amministratori della famiglia e amministratori tecnici esterni si potrà poi scegliere tra sue soluzioni: a) quella dove gli esterni sono solo parte del Consiglio di Amministrazione il quale controlla l'Amministratore Delegato (che è pertanto espressione della famiglia); quindi l'operatività (il c.d. "day by day duty" - cioè l'operatività giornaliera) resta ad un familiare; b) quella - propria della cultura del Common Law - dove la proprietà si limita a scegliere i membri facenti parte del Consiglio di Amministrazione, mixando i membri della famiglia ed i membri tecnici esterni, ma devolve l'operatività ad un membro tecnico esterno alla famiglia che viene nominato, appunto, Amministratore Delegato. Con il passare del tempo, poi, uno strumento per fidelizzare i membri
esterni dalla “governance” e quindi per rendere più stringente il rapporto tra “management team" e proprietà, è quello della “Stock options”, della attribuzione cioè di partecipazioni societarie agli Amministratori esterni. Le “stock options” riservate agli amministratori esterni e ai dirigenti in genere, sono da considerarsi uno strumento ottimale di allineamento degli interessi del management con gli interessi degli azionisti. Alla fine di questo percorso si prospetterà uno scenario relativo alla successione generazionale di impresa molto simile a quello delle società anglosassoni e cioè: poichè si è realizzata una scissione abbastanza netta tra la gestione della proprietà e quella dell'impresa operativa anche attraverso una governance in parte esterna, la successione nella proprietà produrrà ripercussioni molto modeste sulla impresa operativa. Ma lo scenario prospettato potrà porre, paradossalmente, problematiche opposte a quelle di cui ci stiamo occupando, cioè uno squilibrio tra potere della governance e potere della proprietà a favore della prima, nel senso che, la governance sia pure estranea alla proprietà, diventerà la vera proprietaria dei destini dell'impresa (il caso Enron è emblematico) e quindi si proporrà un problema di riequilibri dei poteri nel senso però di dare maggior rilevanza alla proprietà. Un profilo rilevante infine per ogni ipotesi di gestione dei passaggi generazionali può essere l'ingresso in società di fondi comuni di investimento, cosiddetti di “private equity”. Dopo l'iniziale diffidenza manifestata dalla classe imprenditoriale, allo stato attuale sempre più aziende si avvicinano
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Il fine che persegue il “patto di famiglia” è realizzare “un effetto di stabilità”, di definitività sul trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni sociali
al mondo del “private equity”. L'operatività tipica di tali investitori finanziari consiste nell'affiancare un imprenditore, entrando in società in quota normalmente di minoranza mediante sottoscrizione di un aumento di capitale, apportando quindi danaro fresco; indi si concorda tra il fondo e l'imprenditore un “business playn” (cioé una nuova iniziativa da perseguire) e si concorda, infine, tra imprenditore e fondo un acquisto da parte del primo delle partecipazioni che il fondo ha acquisito in società, decorso normalmente un periodo di almeno cinque anni ad un prezzo concordato sulla base dell'E.B.D. moltiplicato per un determinato coefficiente. Quali sono i fini di questa operazione? - creare un generale accrescimento di valore dell'azienda attraverso le sinergie che fondo e imprenditore sono in grado di generare uno a fianco all'altro, per l'accrescimento della patrimonializzazione delle aziende, in alternativa alle modalità di finanziamento classico. Tale circostanza potrebbe favorire il compimento di operazioni particolarmente rilevanti ed onerose, quali a titolo esemplificativo, lo sviluppo del commercio verso mercati esteri ovvero la delocalizzazione della produzione; - grazie alla maggior visibilità e
credibilità assunta dall'azienda sul mercato, appare favorito un accesso al credito semplificato e agevolato, fatto questo di non secondaria importanza; - un'ulteriore motivazione può essere poi legata proprio alla gestione dei passaggi generazionali all'interno delle società familiari. In questo caso, l'investitore istituzionale può essere chiamato tanto ad affiancare la seconda generazione, mettendo a disposizione di quest'ultima le proprie conoscenze e consentendo a questa seconda generazione un ingresso "graduale" nell'azienda, quanto a sostenere finanziariamente il precedente imprenditore al fine di compensare anche gli eredi che eventualmente non fossero interessati alla prosecuzione dell'impresa, ipotesi che andremo ad analizzare da qui ad un momento. E ciò perché essendo la società stata patrimonializzata dal fondo l'imprenditore potrà utilizzare il proprio danaro non più per l'impresa ma appunto per la liquidazione degli altri eredi. L'ultima ipotesi da analizzare è quella in cui solo alcuni successori intendono continuare nell'impresa, mentre altri successori scelgono vie esterne all'attività di impresa e, quindi, devono essere liquidati. Per raggiungere questo obiettivo è stata recentemente emanata una legge sul “patto di famiglia” (Legge
14 febbraio 2006 n.55). Che cos'è il “patto di famiglia” e quali obiettivi si prefigge? Il “patto di famiglia” è un contratto, dove devono partecipare l'imprenditore, il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se al momento del contratto si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore; con il quale contratto l'imprenditore trasferisce in tutto o in parte l'azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti, e può assegnare ai successori non interessati all'impresa altri beni. Il fine che persegue il “patto di famiglia” è realizzare “un effetto di stabilità”, di definitività sul trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni sociali. Infatti si è detto che la “stabilità” e non “l'aleatorietà” del trasferimento di una azienda o di quote sociali è funzionale ad agevolare il passaggio generazionale delle piccole-medie imprese, considerato quale obiettivo importante nel contesto del più generale fine della “competitività del sistema imprenditoriale italiano”, allo scopo di assicurare “continuità all'impresa” e funzionalità futura all'azienda e di evitare la successiva “frammentazione del controllo” che frequentemente si riverbera sull'efficienza della gestione imprenditoriale.
NO R M E E S OCIE TÀ
Accordi di ristrutturazione dei debiti e blocco delle azioni esecutive e cautelari Il testo finale sul quale viene raggiunto l’accordo con le maggioranze potrebbe avere un contenuto in parte diverso rispetto alla proposta inizialmente presentata
Maurizio Galardo Avvocato / Studio Legale Galardo & Venturiello info@galardoventuriello.it
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a Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 08/2/2013, ha stabilito che la facoltà riconosciuta dal sesto comma dell’art. 182 bis della legge fallimentare, di ottenere l’inibitoria delle azioni cautelari o esecutive per il tempo necessario allo svolgimento delle trattive e prima della formalizzazione dell’accordo, presuppone l’esistenza di trattative che devono essere in fase avanzata e dotate di un apprezzabile grado di serietà, ma non esclude la possibilità che possano essere apportate modifiche o integrazioni all’accordo. Il testo della norma non pone infatti alcun vincolo all’imprenditore in ordine al contenuto della proposta di accordo rispetto all’accordo definitivo raggiunto con le maggioranze previste nel termine assegnato dal tribunale. Con ricorso ex artt. 182 bis co 5 e 7 e 183 l fall. una società aveva proposto reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale di Varese aveva respinto l’istanza volta ad ottenere ai sensi dell’art. 182 bis comma 6) l. fall. il blocco delle azioni esecutive e cautelari
sul patrimonio della società debitrice per il termine di 60 giorni, al fine di consentire il deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, in ordine alla cui conclusione erano in corso trattative con i creditori rappresentanti il 60% dei crediti. La reclamante lamentava tra l’altro la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 182 bis l. fall., in quanto il Tribunale anziché limitarsi a verificare la sussistenza dei presupposti di cui ai commi 6 e 7 della norma citata - e cioè che la proposta di accordo fosse corredata da una dichiarazione dell’imprenditore avente valore di autocertificazione attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, e da una dichiarazione del professionista circa l’idoneità della proposta se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non erano in corso trattative o che avessero comunque negato la propria disponibilità a trattare - avrebbe invece effettuato una valutazione non consentita sul merito della proposta e del
3 8/ 39 futuro accordo di ristrutturazione motivando il rigetto dell’istanza, peraltro in assenza di opposizioni da parte dei creditori, non già appunto sulla insussistenza di trattative con la percentuale di creditori sopra indicata, ovvero sull’idoneità della proposta a soddisfare i creditori estranei alle trattative alla luce della dichiarazione resa dai professionisti, ma sul rilievo che l’accordo proposto non sarebbe stato suscettibile di essere omologato in quanto parte integrante dello stesso era rappresentato da una transazione fiscale che per il suo contenuto doveva ritenersi inammissibile. La Corte d’Appello di Milano nell’accogliere il reclamo proposto evidenzia che la circostanza di essere nella fase delle trattative e quindi non in presenza di un accordo definitivo nel suo contenuto non giustificava il rigetto dell’istanza. La norma infatti individua quale oggetto della cognizione del Tribunale in questa fase l’esistenza di una proposta di accordo accompagnata dalla dichiarazione dell’imprenditore della pendenza di trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e dalla dichiarazione del professionista che attesti l’idoneità della proposta a soddisfare i creditori estranei all’accordo. Il testo della proposta può anche subire modificazioni e integrazioni nel termine di 60 giorni di cui alla norma citata, pertanto in questa fase eventuali aspetti problematici della proposta di accordo, ove tali da non incidere sull’intero contenuto e comprometterne quindi
in maniera radicale e irrimediabile l’omologabilità, non precludono l’accoglimento dell’istanza inibitoria. La norma richiamata, secondo la condivisibile interpretazione della Corte d’Appello di Milano, non porrebbe quindi alcun vincolo all’imprenditore in ordine al contenuto della proposta di accordo rispetto all’accordo definitivo per cui il testo finale sul quale viene raggiunto l’accordo con le maggioranze previste dalla norma nel termine assegnato dal Tribunale potrebbe avere un contenuto in parte diverso rispetto alla proposta inizialmente presentata ai sensi dell’art. 182 bis comma 6) l.fall. al fine di ottenere la cristallizzazione delle azioni esecutive e cautelari. La Corte d’Appello evidenzia come il legislatore non abbia indicato il grado di corrispondenza tra la proposta iniziale rispetto all’accordo definitivo, depositato successivamente, e in particolare non ha disposto che il contenuto della proposta di accordo debba senz’altro coincidere con l’accordo definitivo che sarà poi oggetto del giudizio di omologazione. Invero la fase più delicata è proprio quella delle trattative che precedono la domanda di omologa in quanto in questa fase il patrimonio dell’imprenditore è esposto all’azione dei creditori che con le loro iniziative possono compromettere la riuscita del tentativo di risoluzione della crisi. Pertanto il presupposto richiesto dalla norma per procedere all’inibitoria è che siano in corso
trattative con i creditori al fine di pervenire al superamento della crisi mediante un accordo di ristrutturazione dei debiti. Tali trattative pur dovendo essere in fase avanzata e caratterizzate da un elevato livello di serietà, proprio perché ancora in corso, non possono escludere a priori l’eventualità di modifiche o integrazioni se rese necessarie ai fini del raggiungimento delle adesioni necessarie all’omologazione dell’accordo. Invero in caso contrario, l’utilità dell’istituto risulterebbe modesta, in quanto il ricorso al blocco delle azioni esecutive e cautelari, sarebbe praticabile soltanto nel caso in cui l’imprenditore abbia già raggiunto l’adesione dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. L’opinione della Corte d’Appello troverebbe ulteriore conferma laddove si consideri che la modifica legislativa dell’art. 182 bis che ha consentito all’imprenditore di depositare, nel termine assegnato dal tribunale, anziché un accordo di ristrutturazione anche una domanda di concordato preventivo. Pertanto così facendo è stato consentito di mantenere l’effetto del blocco delle azioni esecutive e cautelari, passando però addirittura da un procedimento all’altro. Pertanto conseguenza di questo impianto normativo è la possibilità di presentare al Tribunale, al fine di ottenere l’automatic stay, una proposta che non necessariamente dev’essere esattamente corrispondente al contenuto definitivo dell’accordo di ristrutturazione.
N O RM E E S OCIE TÀ
Tempo di ferie e talvolta… di danno da vacanza rovinata Come cautelarsi per evitare spiacevoli sorprese, colpa del tour operator, dell'albergatore o del vettore cui ci siamo rivolti, attirati da cataloghi o da siti web che promettono veri e propri paradisi in terra?
Luigi De Valeri Ordine Avvocati di Roma studiolegaledevaleri@gmail.com
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on una decisione del 13 febbraio 2013 il Tribunale di Reggio Emilia, applicando gli artt. 2059 del codice civile e 32 della Costituzione, ha condannato un tour operator e il vettore aereo a risarcire il danno patrimoniale da vacanza rovinata a due giovani sposi, che avevano acquistato un pacchetto turistico, il cui bagaglio era stato smarrito dovendo quindi acquistare all’arrivo a destinazione altri generi di necessità. In generale, come cautelarsi per evitare una vacanza poco rilassante per colpa del tour operator, dell'albergatore o del vettore al quale ci siamo rivolti attirati da cataloghi o da siti web che promettono veri e propri paradisi in terra? Ecco alcune cautele preventive quando si prenota un viaggio presso una agenzia di viaggi o sul web: - l'agenzia viaggi e il tour operator devono essere abilitati alla vendita dei pacchetti turistici; presso le Regioni esistono gli uffici licenze dove verificare la regolarità di questi soggetti anche ai fini della loro solvibilità successiva qualora debbano rispondere di eventuali inadempimenti; - il contratto di acquisto va letto con
attenzione perchè deve fare riferimento con precisione alla destinazione e ai servizi che si sono acquistati sul catalogo e il venditore ne deve consegnare copia con la sua sottoscrizione; - se viene proposta e si sottoscrive una polizza di assicurazione per tutelarsi da mancate partenze o altre vicissitudini verificare l'esistenza di eventuali franchigie per le spese rimborsabili; - se si decide di andare all'estero l'agente o il tour operator dovranno informarvi sulla necessità di ottenere i documenti di espatrio, il visto ed eventuali vaccinazioni richieste per l'ingresso nello Stato prescelto ma certamente non potranno essere ritenuti responsabili qualora non riusciate in tempo utile per la partenza ad ottenerli oppure non vogliate sottoporvi alle vaccinazioni prescritte. In alcuni casi indicati dal Codice del consumo, tra cui l'aumento del prezzo del carburante, fino a venti giorni prima della partenza potranno essere richiesti aumenti del prezzo iniziale, qualora però l'aumento superi il 10% del costo complessivo del pacchetto è possibile recedere dal contratto senza penalità e le
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Attenzione ai tempi di contestazione: entro dieci giorni dal rientro dalle vacanze è possibile chiedere il risarcimento a mezzo raccomandata A/R
somme in acconto dovranno essere restituite entro 48 ore. Quando si è arrivati sul posto e quanto è stato scelto e prenotato si rivela nei fatti inesistente o di qualità inferiore a quanto esposto sul catalogo o sul web, o se si verificano modifiche sul programma o della sistemazione alberghiera, è necessario contestarle in forma scritta al rappresentante del tour operator o dell'agenzia o all'albergatore chiedendone ricevuta su copia predisposta, poi scattare fotografie con data che rappresentino le contestazioni e raccogliere le dichiarazioni sottoscritte da altri turisti, conservare le ricevute di spese sostenute inerenti i disagi sopportati, ad esempio l'aver dovuto noleggiare un pulmino per andare al mare che doveva essere vicino alla struttura alberghiera. Il Codice del turismo prevede il “danno da vacanza rovinata” e all'art. 47 dispone «nel caso in cui l'inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso
ed all'irripetibilità dell'occasione perduta». Il consumatore che avrà patito un pregiudizio morale potrà richiedere il danno derivante dallo stress causato dal non aver goduto interamente del relax tipico della vacanza ma anzi averne sopportato il disagio e, a seconda dei casi, il rimborso integrale o parziale del prezzo pagato all'agenzia o al tour operator con il quale è stato concluso il contratto di acquisto del pacchetto turistico che può comprendere anche il viaggio, fonte anch'esso di potenziali contrattempi. Il tour operator e l'agenzia risponderanno anche dell'operato dei loro eventuali delegati a fornire il servizio. I giudici italiani hanno qualificato il danno da vacanza rovinata come danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale e il risarcimento del danno morale è stato accordato in riferimento all'art. 2059 del codice civile unitamente all'art. 92 comma 2 del Codice del consumo che riconosce al consumatore il diritto ad essere risarcito di «ogni ulteriore danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto». Occorre far attenzione ai tempi di contestazione: entro dieci giorni dal rientro il turista dovrà chiedere il
risarcimento dei danni inviando una raccomandata A.R. con cui contesta i fatti e le inadempienze riscontrate al tour operator, al venditore - agenzia di viaggi, all'albergatore, al vettore aereo o navale, allegando in copia la documentazione probatoria tra cui il contratto, le foto, ricevute pagamento e quant'altro opportuno riservandosi anche di chiamare in giudizio se necessario i testimoni a conferma delle contestazioni. Per la spedizione vale la data del timbro postale, quindi la richiesta può essere inviata anche il decimo giorno utile. É necessario scrivere entro questo termine riservandosi poi di integrare la richiesta raccogliendo la documentazione che potrà essere spedita anche successivamente qualora occorra tempo per reperirla. Va ricordato che sono solidalmente responsabili l'agenzia di viaggio che ha venduto il pacchetto turistico, il vettore con cui si è viaggiato e il tour operator, il villaggio, l'albergo o altra struttura, ad es. un bed and breakfast. Qualora non si arrivi ad un accordo bonario per il risarcimento, il turista danneggiato potrà citare in giudizio dinanzi il Giudice di Pace o il Tribunale competente i responsabili, chiedendo la loro condanna al risarcimento dei danni oltre alle spese legali.
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D.L. n. 90/2014, dalla riforma della P.A. all'attacco ai TT.AA.RR. É auspicabile sul tema un confronto serio che possa portare a modifiche attente all'interesse collettivo, non dimenticando che la giustizia amministrativa è il vero e unico baluardo per non lasciare nudo il cittadino di fronte al potere Luigi D’Angiolella Avvocato e Presidente della Camera Amministrativa Comunitaria della Campania studiodangiolella@tin.it
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on il D.L. 90/2013 pubblicato il 24 giugno scorso il Governo, nell'ambito della più complessiva riforma della P.A., ha inserito alcune norme rilevanti che riguardano la Giustizia Amministrativa. Ha disposto, innanzitutto, la soppressione delle sedi distaccate dei TT.AA.RR., e tra queste alcune decisamente rilevanti come Salerno, Catania e Lecce - al momento in cui scrivo alcune di esse sembrerebbero essere state salvate in sede di conversione - e ha introdotto norme processuali nel settore degli appalti, tra cui forme di vera e propria "desistenza" dal contenzioso amministrativo, quale l'obbligo di una fideiussione se si ottiene la cosiddetta "sospensiva". Lo spazio di questa rubrica è tale da non poter approfondire il tema come si dovrebbe, ma va detto che questo tipo di iniziative sono l'ennesimo attacco al sistema. Si pensi alla Commissione Bicamerale, presieduta da D'Alema, che già prevedeva l'eliminazione della Giustizia Amministrativa; le recenti interviste del Presidente Prodi e quelle del Presidente Renzi che considerano i TAR come un "rallentamento" al PIL del nostro Paese. Niente di più sbagliato. Il ricorso alla Giustizia Amministrativa intanto si è già ridotto di molto con l'applicazione "folle" dei contributi unificati (e cioè della marca che bisogna apporre per ogni ricorso) che, in materia di appalti, arriva non di rado, tra primo e secondo grado, a costare anche 25.000 euro! Ammontare del tutto incostituzionale perchè ci si chiede chi possa permettersi di pagare un tale tributo per proporre un ricorso. La realtà è molto diversa, invece. É errato considerare la Giustizia Amministrativa come un freno al PIL visto che i tempi sono velocissimi (per gli appalti meno di 1 anno tra il primo e il secondo grado e se vi è sospensiva anche di meno) nonostante il numero ridotto dei magistrati. Si deve invece discutere dell'effettività delle pronunce dei giudici amministrativi che talvolta sono meno "afflittive" di quelle del giudice ordinario. Si deve finalmente ridiscutere della funzione consultiva del Consiglio di Stato, figlia di una visione ottocentesca. Si deve, infine, accentuare una forma di deflazione del contenzioso non aumentando i costi per il cittadino, ma attraverso una pre-fase conciliativa. Gli avvocati amministrativisti su questo tema sono decisamente aperti. É auspicabile allora un confronto serio che porti a riforme attente all'interesse della gente, non dimenticando che la giustizia amministrativa è il vero e unico baluardo per non lasciare nudo il cittadino di fronte al potere. Una miope politica non farà altro che comprimere le giuste istanze dei cittadini che però troveranno sfogo, inevitabilmente, in altre forme più rozze e anche gratuite, che sono gli esposti alla Procura della Repubblica, e questo non è certo un vantaggio né per i cittadini, né più in generale per il sistema.
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LAVORO
Licenziamento in corsia: quando una parola di troppo costa cara La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16381 del 17 luglio 2014 ha sollevato dal suo incarico un Dirigente medico per mancata partecipazione alle riunioni di équipe e per critica all’operato di un collega, rigettandone il ricorso per addebiti inconfutabili Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it
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a recente sentenza della Corte di Cassazione n. 16381 del 17 luglio 2014 ha stabilito, per mancata partecipazione alle riunioni di équipe e per critica all’operato di un collega, il licenziamento di un Dirigente medico confermando così le precedenti sentenze emesse sia in primo grado, sia in Corte di Appello, e rigettando il ricorso presentato da un dirigente medico dell’Azienda ospedaliera-universitaria. Nei tre gradi di giudizio la posizione dei magistrati è apparsa, quindi, concorde e senz’altro unitaria. Gli addebiti contestati dall’Azienda ospedaliera risultavano comprovati e inconfutabili; le sentenze sono state di conseguenza coerenti dimostrando che, quando vi è attenta gestione e capacità manageriale di portare avanti legittimi procedimenti disciplinari, i risultati si ottengono e assumono importanti significati soprattutto in settori delicati ed essenziali al vivere civile, come quello della salute. Il dirigente in questione aveva inveito contro un collega, non aveva partecipato alle visite collegiali della squadra di lavoro e aveva fornito ad un utente informazioni scorrette e offensive circa la esecuzione di un intervento chirurgico da parte di un suo collega. Siamo quindi in presenza di plurimi gravi inadempimenti contrattuali che vanno ad inficiare e incrinare irreparabilmente il rapporto di fiducia che è alla base del contratto di lavoro, oltre che a violare i doveri di correttezza e buona fede e gli specifici obblighi contrattuali di diligenza, collaborazione e rispetto degli utenti e dei colleghi, essenziali in un settore di particolare rilevanza sociale come quello sanitario. In Cassazione, il dirigente si era difeso proponendo ricorso con motivi che però la Corte ha ritenuto del tutti infondati e/o inammissibili. Il dirigente, infatti, aveva sostenuto che gli addebiti contestati non erano inseriti nel codice disciplinare. La Cassazione ha censurato tale motivo, spiegando che nella fattispecie non vi era tale necessità in quanto il dirigente aveva messo in atto violazioni gravi, avvertite dalla coscienza sociale quale minimo etico. Aveva, infatti, inveito violentemente contro un collega di lavoro, fornito informazioni denigratorie sull’operato di un collega e non aveva osservato le direttive di lavoro. Inoltre, il dirigente aveva sostenuto che il licenziamento non doveva essere comminato dal Direttore Generale, ma dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. La Corte ha ritenuto tale motivo inammissibile, perché non proposto negli altri giudizi. Da ultimo la Corte ha osservato in relazione alle restanti censure sulla gravità degli episodi, sulla proporzione delle sanzioni, sulla valutazione del materiale probatorio che le stesse erano inammissibili perché già adeguatamente valutate nei gradi precedenti con giudizio immune da vizi di carattere logico-giuridico.
LA V O R O
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Lavoro, cosa e come cambia con la Riforma Poletti
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a cosiddetta Riforma Poletti – Decreto Legge 20 marzo 2014 n.34, convertito in Legge il 16 maggio 2014 n.78 – è stata al centro di un dibattito tecnico lo scorso 15 luglio, presso la sede di Confindustria Salerno. A organizzarlo, insieme all’Associazione datoriale, l’Agi – Avvocati Giuslavoristi Ita-
liani Sezione Campania efficacemente rappresentata dall’Avvocato Giovanni Ambrosio che ha curato anche l’avvio della discussione molto partecipata, ponendo l’accento in particolare sulle modifiche più salienti introdotte dal Jobs Act e sul mutato rapporto tra contrattazione collettiva e legge. Hanno
relazionato, poi, nello specifico, sul contratto a termine il professor Giuseppe Ferraro, Ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e sull’apprendistato il dottor Francesco Capaccio, Esperto della Fondazione Studi Consulenti del lavoro di Roma.
Jobs act: Riforma del contratto a termine, somministrazione e apprendistato Giuseppe Baselice Relazioni Industriali Confindustria Salerno
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n un precedente articolo, focalizzato sul contratto a termine, avevamo evidenziato come negli ultimi anni l’istituto sia stato oggetto di susseguenti
e incisivi interventi riformatori. Con il recente DL 20 marzo 2014 n. 34, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78 tale assunto assume un carattere ancora
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La sola facilitazione delle regole del mercato del lavoro non è di per sé sufficiente a determinare l’aumento dell’occupazione ma senz’altro un buon inizio che garantisce quanto meno quel sistema di flessibilità regolata proficua per imprese e lavoratori
più attuale. La Riforma “Poletti”, dopo quella “Giovannini” del 2013 e “Fornero” del 2012 interviene infatti nuovamente sulla disciplina del contratto a tempo determinato di cui al D.Lgs. 368/2001, oltreché sulla somministrazione di lavoro e sull’apprendistato. Per quanto concerne il contratto a termine il recente provvedimento di riforma elimina la necessità di indicare le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo per la stipula del contratto, potenziando il percorso avviato nel 2012 dalla Riforma Fornero che prevedeva tale possibilità solo per i primi 12 mesi. Acausalità per 36 mesi e - altra novità - possibilità di effettuare 5 proroghe in detto arco temporale. La previgente disciplina consentiva una sola proroga (il DL, nella prima stesura, le aveva portate ad otto, la legge di conversione le ha ridotte a cinque). Nulla cambia in tema di reiterazione del contratto a termine e di intervalli temporali intercorrenti tra un contratto e l’altro (c.d. stop and go). A contraltare di tale flessibilizzazione, il legislatore ha introdotto un limite quantitativo del 20% alla stipula di contratti
a termine, calcolato rispetto al numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Tale limite può essere derogato solo dalla contrattazione di livello nazionale, con la precisazione che se il CCNL individua dei limiti quantitativi collegati a determinate causali, questi ultimi non operano e si applica il limite legale. Per essere valide, le limitazioni contrattuali devono essere riferite alla generalità dei contratti a termine. Su quest’ultimo punto attendiamo con interesse l’evoluzione dei CCNL per capire come regolamenteranno tale fattispecie e in particolare se delegheranno il livello aziendale (come da noi auspicato) e in che misura. La norma esclude dal limite quantitativo una serie di ipotesi tra le quali le attività stagionali (ai sensi dell’art. 5, comma 4 ter del D.Lgs. 368/2001), le fasi di avvio di nuove attività (come individuate dai CCNL) e i contratti sottoscritti per ragioni sostitutive. In caso di superamento della soglia, il legislatore introduce una sanzione amministrativa che si ritiene sostitutiva della conversione a tempo indeterminato. I datori di lavoro
che occupano fino a cinque dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine. La riforma introduce nuove disposizioni in merito al diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato di cui all’art. 5, comma 4 quater, D.Lgs. 368/2001. In particolare, ai fini del raggiungimento dei sei mesi di attività lavorativa con uno o più contratti a termine presso la stessa azienda utili alla maturazione del diritto, si prevede che entri nel computo anche il periodo di congedo di maternità. Si specifica altresì che nel contratto individuale con il lavoratore venga espressamente richiamata la disposizione che regola il diritto di precedenza. Oltre che il contratto a termine, la Riforma passa in rassegna altri istituti contrattuali tra cui la somministrazione a tempo determinato e l’apprendistato. Per quanto concerne la prima, come per il contratto a termine viene eliminato il requisito della causale nel contratto commerciale stipulato tra l’utilizzatore e Agenzia per il lavoro. Diversamente dal tempo determinato, il legislatore non introduce limiti quantitativi all’istituto, demandando tale
LAVORO facoltà esclusivamente alla contrattazione collettiva nazionale. Emerge quindi una differenza di approccio alla riforma dei due istituti: acausalità per termine e somministrazione, limitazione quantitativa legale solo per il tempo determinato. Pertanto, se gli accordi collettivi nazionali contengono clausole di contingentamento alla somministrazione, le imprese saranno tenute all’osservanza, in caso contrario, i datori non avranno limiti quantitativi al riscorso all’istituto. É evidente come tutte le variabili legislative fino ad adesso evidenziate debbano essere incastrate come pezzi di un “puzzle” ad opera di chi effettua la pianificazione degli ingressi di personale in azienda per gestire al meglio i flussi produttivi (spesso altalenanti) imposti dal mercato. Come ogni riforma del mercato del lavoro emanata negli ultimi
La riforma introduce nuove disposizioni in merito al diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato di cui all’art. 5, comma 4 quater, D.Lgs. 368/2001. In particolare, ai fini del raggiungimento dei sei mesi di attività lavorativa con uno o più contratti a termine presso la stessa azienda utili alla maturazione del diritto, si prevede che entri nel computo anche il periodo di congedo di maternità
46 anni, il legislatore interviene anche sul contratto di apprendistato al fine di semplificarlo e renderlo maggiormente fruibile alle imprese. Sulla base di tale prospettiva il Decreto Legge aveva inizialmente eliminato l’obbligo di redigere il piano formativo individuale in forma scritta ma la legge di conversione ha ripristinato tale adempimento prevedendo che lo stesso possa essere redatto anche in forma sintetica ed in base a moduli o formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali. Chi scrive condivide l’impostazione della legge di conversione non per amore di complicazione ma per esigenza di certezza e definizione ab initio di un percorso formativo che rappresenta l’elemento qualificante del contratto di apprendistato e che lo distingue dalle altre forme contrattuali. Si prevede poi per i datori di lavoro che occupino almeno cinquanta dipendenti una percentuale di conferma per l’assunzione di nuovi apprendisti pari al 20% di quelli avviati nei 36 mesi precedenti, salvo diverse previsioni contrattuali (il decreto legge ante conversione aveva eliminato tout court le percentuali di conferma). Tra le altre novità introdotte dalla Riforma riteniamo meritevole di approfondimento quella sulla formazione di base e trasversale nell’apprendistato professionalizzante. Come noto, le Regioni sono tenute ad integrare il piano formativo definito dall’Azienda con l’offerta della formazione
di base e trasversale. Prima dell’entrata in vigore del Decreto si riteneva (con qualche punto interrogativo) che la formazione di base fosse meramente eventuale e il primo provvedimento ne aveva chiarito la facoltatività. La legge di conversione ha invece introdotto un nuovo sistema, ovvero ha previsto un termine di 45 giorni a decorrere dall’inizio del contratto entro cui la Regione è tenuta a comunicare al datore di lavoro le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste. Decorso tale termine, si ritiene che il datore possa limitarsi ad applicare le sole disposizioni contrattuali vigenti. Nel complesso giudichiamo sicuramente positivo lo spirito di semplificazione che sembra aver animato l’estensore del provvedimento. Siamo convinti che la sola facilitazione delle regole del mercato del lavoro non determini di per sé l’aumento dell’occupazione ma riteniamo che in ogni caso sia una partita da giocare fino all’ultimo minuto, per evitare che fattori quali il quadro normativo farraginoso, le incertezze interpretative e i connessi contenziosi giudiziari si aggiungano alle variabili strategiche che influenzano (in negativo) le scelte di investimento. In questa stessa ottica siamo persuasi dal concetto che le forme contrattuali che abbiamo analizzato, seppur non a tempo indeterminato, siano atte a garantire quel sistema di flessibilità regolata proficua per imprese e lavoratori.
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La Cassazione assolve un contribuente per gli omessi versamenti L’irregolarità era dovuta a una semplice dimenticanza e non a un tentativo di dolo, nemmeno generico, del ricorrente
Maurizio Villani Avvocato Tributarista in Lecce avvocato@studiotributariovillani.it
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a Sezione Terza Penale – con la sentenza n. 30574 dell’11 luglio 2014 - ha assolto un contribuente per le omesse ritenute ex art. 10-bis D.Lgs. n. 74/2000 per assoluta assenza dell’elemento psicologico del reato. In sostanza, il ricorrente, a seguito di contestazione dell’Agenzia delle Entrate con cui gli si chiedevano chiarimenti in relazione al modello 770/2005, essendosi accertato il mancato versamento delle ritenute relativo all’anno d’imposta 2004, non appena appresa l’irregolarità aveva provveduto al versamento, comprensivo di sanzioni e di interessi. Quindi, si sarebbe semplicemente trattato di una dimenticanza non potendo parlarsi di dolo, nemmeno generico, del ricorrente. Infatti, il ritardo sarebbe dipeso dal fatto che la condotta omissiva contestatagli era stata commessa qualche mese dopo l’entrata in vigore della legge finanziaria 2005, che aveva posticipato il termine per eseguire i versamenti fino al termine per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, comminando una sanzione penale. Quindi, è plausibile, in applicazione dell’art. 5 del codice penale, stante il breve periodo temporale intercorso tra l’entrata in vigore della predetta legge ed il tempus commissi delicti, che il ricorrente non fosse ancora a conoscenza delle innovazioni legislative o che non si fosse tempestivamente informato dal suo consulente fiscale, non commettendo con dolo il fatto ascrittogli. La Cassazione, con la succitata sentenza, ha ribadito che per il reato di omesso versamento delle ritenute di cui all’art. 10-bis citato l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, che richiede la mera consapevolezza della condotta omissiva (Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010, depositata il 07/07/2010). Non si tratta, tuttavia, di un dolo in “re ipsa”, in quanto lo stesso deve essere sempre provato e, quando di tale prova manca un’adeguata e logica motivazione, il contribuente deve essere mandato assolto. Questi principi sono importanti per contestare le relative imputazioni di reato.
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Fatturazione Elettronica: un anno per la conservazione a norma Con il Decreto ministeriale del 17 giugno 2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 26 giugno 2014, entrato in vigore dal 27 giugno 2014, è stato soppresso – tra le altre modifiche – anche l’obbligo di comunicazione alle agenzie fiscali dell’impronta dell’archivio informatico
Nicola Savino Presidente, Digital and Information Manager e CEO della Seen Solution Srl nicola.savino@seensolution.com
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al 27 giugno sono entrate in vigore le nuove regole per la conservazione elettronica dei documenti fiscali, grazie al decreto ministeriale datato 17 giugno 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 26 giugno 2014 che sostituisce le disposizioni contenute nel previgente decreto ministeriale del 23 gennaio 2004 di cui, da tempo, si chiedeva la modifica. Il primo importante risultato è che è possibile da questa data dire addio ai quindici giorni per la conservazione delle fatture elettroniche. I cambiamenti non finiscono qui però, perchè finalmente, nel decreto nuovo, sono state apportate importantissime e vitali semplificazioni nell’assolvimento dell’imposta di bollo e l’eliminazione dell’obbligo di comunicazione dell’impronta dell’archivio digitale. In ultimo poi, a chiudere in bellezza la questione che tanto a cuore stava al mondo dell’impresa, anche una ciliegina sulla torta certamente molto gradita al mercato: dal 27 giugno infatti per i documenti inerenti il settore doganale valgono le medesime regole applicate ai documenti fiscali. Il processo di conservazione va, quindi completato anche per le fatture elettroniche, entro il termine di tre mesi dalla scadenza prevista per la presentazione della dichiarazione annuale. Dell’invio dell’impronta, invece, sarà semplicemente richiesta - in dichiarazione dei redditi - l’indicazione di avere optato per la conservazione elettronica dei documenti fiscali e tributari. Rientrano inoltre nella “sezione ricordi” anche le fastidiosissime comunicazioni preventive e consuntive per il pagamento dell’imposta di bollo, perchè con le nuove norme ora è previsto il versamento in un'unica soluzione entro centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio. Insomma, ora andate e digitalizzate il mondo, perchè ora il mondo non ha più scuse per non scegliere questa moderna e più veloce via.
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Bonus Investimenti: bersaglio mancato? Riflessioni di merito e di principio su di una norma che rispetto agli aspetti tecnici più controversi delle precedenti edizioni dello strumento non è stata, di certo, migliorata
Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it
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on l’art. 18 del Decreto Competitività il Governo ha introdotto una vecchia conoscenza per le imprese: il bonus fiscale sugli investimenti. Tale agevolazione si muove nel solco delle tante Leggi Tremonti emanate a far data dal 1994, allo scopo di rilanciare gli acquisti di beni strumentali. La particolarità è che, stavolta, il beneficio non consiste in una detassazione degli investimenti, ma fa maturare direttamente un credito d’imposta pari al 15% dell’ammontare dei sovrainvestimenti. Il credito d’imposta riguarda tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa, che effettueranno investimenti in beni strumentali nuovi, compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007, con esclusione dei beni rientranti nelle altre categorie e dei beni immateriali e degli immobili. Godranno del bonus fiscale tutti i beni acquistati a partire dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto) fino al 30 giugno 2015, il cui costo unitario non sia inferiore ad euro 10.000. Trattandosi di una agevolazione del tutto sovrapponibile alle Leggi Tremonti, devono ritenersi valide, ove applicabili, tutte le istruzioni fornite dall’AGE al riguardo. In particolare, si ritiene che possano essere confermati i chiarimenti contenuti nella circolare n. 44/2009 e quindi ai fini del bonus, rilevano i beni compresi nella divisione 28 (macchinari e apparecchiature
che intervengono meccanicamente o termicamente sui materiali e sui processi produttivi), indipendentemente dal fatto che l’impresa abbia o meno un codice attività appartenente a tale divisione. Inoltre sono agevolabili anche quegli acquisti che, sebbene siano singolarmente classificabili in altre categorie, siano al contempo asserviti o di supporto indispensabile ad un bene categoria 28. Venendo alle differenziazioni, il credito d’imposta riconosciuto è pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati negli ultimi 5 anni, ma, allo scopo di rafforzarne l’incisività, viene concesso di escludere dal calcolo della media il periodo pregresso in cui l’investimento sia stato maggiore. Per le imprese con meno di cinque anni, la media aritmetica ovviamente dovrà tener conto dei soli anni disponibili, sempre con la facoltà di escludere il periodo (che può essere anche l’unico periodo precedente) in cui l’investimento sia stato maggiore. Ne consegue che, per le imprese che sorgeranno dopo il 25 giugno 2014, l’ammontare agevolato sarà esattamente pari all’importo degli investimenti effettuati. Sembrerebbe inoltre, da una prima lettura, che, a differenza delle versioni “Tremonti”, dall’ammontare degli investimenti non debbano essere sottratti i disinvestimenti del periodo, ma sul
F I SCO tema appare prudente attendere una presa di posizione ufficiale dell’AGE. Il credito d’imposta può essere usato solo in compensazione, ma in tre quote annuali di pari importo e la prima quota sarà utilizzabile solo dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento. Ciò significa che il credito maturato nel 2014 potrà essere compensato in tre tranches annuali a partire dal 1° gennaio 2016. Il beneficio fiscale non concorre alla formazione del reddito d’impresa, né della base imponibile Irap, e deve essere inserito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta del suo riconoscimento ed in quelle dei periodi nei quali è utilizzato in compensazione. Infine, per le solite esigenze antielusive, l’incentivo viene revocato, con l’obbligo della conseguente restituzione maggiorato di interessi e sanzioni qualora i beni siano ceduti o destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa prima del secondo periodo d’imposta successivo all’acquisto, o collocati in strutture produttive estere prima dello spirare degli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice dell’AGE. La norma è abbastanza semplice e, soprattutto, ben conosciuta e non si può dire certo che non sia finalizzata alla crescita. Tuttavia essa impone due gruppi di riflessioni, di merito e di principio. Nel merito del meccanismo di utilizzo, il passaggio da detassazione a credito d’imposta non è neutrale. Innanzitutto, perché in questo passaggio, il vantaggio fiscale scende dal 27.5% (IRES risparmiata nel caso di detassazione) al 15%. Oltre 12 punti in meno. Detta in altri termini, quasi il 50% in meno. Inoltre, la detassazione consentiva di beneficiare del risparmio fiscale con un
50 anno di anticipo rispetto al momento nel quale il credito d’imposta in specie diviene compensabile. Infine, con le vecchie “Tremonti” si poteva abbattere il reddito per l’intero ammontare del beneficio maturato nell’anno, mentre l’utilizzo del credito d’imposta deve avvenire necessariamente in tre esercizi, allontanando pericolosamente il momento di incasso del bonus dalla decisione di investire. E questa circostanza, per chi conosce bene gli imprenditori, non è assolutamente irrilevante, anzi. Non solo, con il meccanismo della detassazione, l’eventuale perdita fiscale inutilizzata, in ambito consolidato fiscale, poteva essere utilizzata da altra società consolidata, ottimizzando quindi la fiscalità di gruppo, mentre, almeno allo stato attuale delle interpretazioni, uguale possibilità non è prevista per il credito d’imposta. Di contro, l’unico vantaggio vero del credito d’imposta è solo ed esclusivamente la compensabilità con altre imposte, ma occorrerà attendere prudentemente le istruzioni per capirne l’effettività. Basterà? Nel merito invece degli investimenti agevolabili, non si comprende perché si è ritenuto di escludere i beni di valore unitario inferiore ad euro 10.000. Credo non sia sfuggito che, così facendo, ad essere penalizzate saranno le micro e le piccole imprese. E poi già mi immagino quanta confusione si genererà per definire il concetto di valore unitario, dinanzi soprattutto a beni compositi od assemblati. Non ha senso e provocherà contenzioso. E pensare che, data la tanta esperienza fatta con le vecchie “Tremonti”, con la nuova norma sarebbe stato lecito attendersi addirittura dei miglioramenti sugli aspetti tecnici più controversi delle precedenti edizioni del bonus. Mi riferisco innanzitutto al famigerato
codice ATECO 28. Non si capisce perché si continui a limitare la fruizione del bonus solo a tale categoria merceologica. L’effetto di tale scelta si era già constatato: penalizzazione degli altri codici di investimento e grandi complicazioni amministrative nelle attività di separazione delle tipologie di beni, senza parlare delle incertezze sui beni composti da altri beni di altra categoria. Sarebbe stato meglio ragionare al contrario, secondo regole “anglosassoni”: tutti gli investimenti sono ammessi tranne quelli espressamente esclusi. Appare pure sbagliato riproporre lo schema dell’agevolazione sul solo sovrainvestimento. Paradossalmente, si favorisce chi finora non ha avuto il coraggio di rischiare a danno di chi, nonostante la crisi e tutto il resto, ha ritenuto di dover continuare a migliorarsi. Qualche considerazione finale di principio. Il comma 9 dell’articolo 18 prevede per il bonus in oggetto un onere per lo Stato di circa 200milioni di euro annui per i prossimi 4 anni. Ma veramente pensiamo di far ripartire gli investimenti delle imprese con stanziamenti pari allo 0.01% del PIL? Un gruppo consiliare costa di più. E poi, è giunto anche il momento di dire che norme agevolative che durano poco più di 12 mesi appaiono ricomprese tra il velleitario e l’inutile, perché così non si riesce a radicare un ciclo di crescita, una domanda costante. Il ciclo di rinnovo degli investimenti si consolida certo anche con altri interventi, ma questa agevolazione, se migliorata e introdotta stabilmente con stanziamenti non figurativi, potrebbe recitare una parte veramente rilevante in tale progetto. Ma questa considerazione per quanto ovvia, sembra difficile da far comprendere.
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Rendite finanziarie, che fare? Per ottimizzare la posizione fiscale quale scelta conviene al risparmiatore: fare affrancamento, giro titoli o coefficientamento? Vediamo nel dettaglio come si configura ciascuna di queste operazioni
Marco De Giorgis Dottore Patrimonialista marco@studiodegiorgis.it
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ome già saprete, dal 1 Luglio, la tassazione sui guadagni è aumentata dal 20% al 26%, su: conti correnti e conti postali, azioni, obbligazioni, conti deposito, fondi di investimento. Saranno invece esclusi: titoli di Stato (Bot e Btp), che manterranno l’aliquota del 12,5% e fondi pensione (11%). I risparmiatori in regime di risparmio amministrato o dichiarativo probabilmente si chiedono che fare di fronte a questo nuovo appesantimento fiscale sulle posizioni detenute in azioni, obbligazioni, fondi o Etf, per ottimizzare la posizione fiscale. Non esiste una risposta univoca e buona “per tutte le stagioni”. Si tratta di valutare la situazione e fare la scelta migliore, tenendo conto del tipo di perdite da recuperare e della loro entità, del tipo di investimenti effettuati (azioni, obbligazioni, titoli di Stato, derivati, certificati), del capitale a disposizione e della propensione al rischio. Se per recuperare una minusvalenza è necessario un capitale che eccede le proprie disponibilità oppure un investimento che supera la soglia del rischio ammissibile, è
evidente che non sarà possibile scegliere quella strada. E soprattutto, il recupero fiscale non può e non deve essere l’unica ragione per fare le scelte di investimento più opportune, rischiando di ottenere più danni che benefici. Ora entriamo nel dettaglio e iniziamo dall’affrancamento. Con l’affrancamento è possibile assoggettare alla vecchia aliquota (il 20%) tutte le plusvalenze maturate fino al 30 giugno e poi vedersi applicata la nuova aliquota (il 26%) dal 1° luglio in poi. Per fare questa operazione, c’è tempo fino al 30 settembre. Quindi non bisogna correre ma è comunque necessario sbrigarsi a capire e decidere. Quali sono le controindicazioni dell’affrancamento? Le alternative sono: non fare nulla o vendere, operazione che andava fatta però entro il 30 giugno. Rispetto all’affrancamento, queste scelte possono essere fatte anche solo parzialmente, ad esempio vendere solo i titoli in utile. L’affrancamento, invece, vale per tutta la
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Il recupero fiscale non può e non deve essere l’unica ragione per fare le scelte di investimento più opportune, rischiando di ottenere più danni che benefici
posizione del deposito titoli, quindi utili ma anche perdite. Si ottiene una “cessione figurativa”, cioè è come se si vendessero tutti i titoli al 30 giugno, pagando il 20% di imposta in via anticipata, perché i titoli non sono realmente venduti. Quale rischio si corre è evidente: se le perdite sono maggiori degli utili, si ottiene un danno e non un vantaggio, e badate che i prezzi calcolati saranno quelli medi di carico. Un esempio per chiarire: le plusvalenze nette (plusvalenze meno minusvalenze) sono pari a 5.000 euro? Pagate 1.000 euro di imposta al 30 giugno. Se, dopo, i prezzi dei titoli scendono e addirittura diventano inferiori ai prezzi medi di carico, e voi vendete il titolo, alla perdite di valore dovrete sommare il 20% già pagato e che lo Stato non vi restituirà (chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato... vi ricorda qualcosa?). Se salgono oltre il prezzo medio, quando vendete il titolo pagherete il 26% solo sulla differenza (prezzo di vendita- prezzo medio). Se invece non ci si avvale dell’affrancamento, il rischio è che si paghi una tassa retroattiva sui guadagni (il 26% si paga anche se l’utile è maturato precedentemente), non essendo previsti meccanismi correttivi, ad esempio, dell’inflazione. Morale, la tassa potrebbe annullare
l’utile realizzato. Come vedete, si tratta di un paradosso, da cui non se ne esce. É necessario fare calcoli precisi, ma non è possibile sapere il prezzo futuro dei titoli. In qualità di consulente e analista indipendente posso solo fare delle previsioni. Se decidete di procedere con l’affrancamento dovete rivolgervi alla vostra banca o intermediario dove avete depositato il dossier titoli. Le banche stanno predisponendo la documentazione e le procedure per aderire, entro il 30 settembre. Se nella vostra posizione detenete fondi e sicav (e anche ETF), per le quote dei fondi comuni italiani ed esteri non è più prevista la procedura dell'affrancamento. Si tratta invece di uno specifico regime transitorio in base al quale, in sede di rimborso, cessione o liquidazione delle quote, si applica l'aliquota nella misura del 26% sui proventi realizzati a decorrere dal 1° luglio 2014, mentre sui proventi realizzati dopo questa data, ma riferibili a valori maturati fino al 30 giugno 2014, continua a applicarsi l'aliquota nella misura del 20%. Se liquidate un fondo dopo il 30 giugno sulla plusvalenza, infatti, pagherete la vecchia aliquota per il valore fino al 30 giugno e poi il 26% solo per il capital gain successivo. A proposito di zainetto fiscale, c’è
di nuovo un meccanismo diabolico, ovvero le minus pregresse si recuperano “di meno”. Vi spiego perché: dato che la tassazione passa dal 20% al 26%, sarà utilizzato il “coefficientamento” (vengono usati sempre termini semplici e trasparenti, come notate!). Cos’è? In pratica, lo zainetto fiscale si riduce del rapporto tra 20 e 26, cioè del 23,08%. Se però la posizione fiscale risale a prima del 31/12/2011, quando la tassazione era al 12,50% (e siccome ci sono 4 anni successivi per recuperare le perdite, fino al 2015 ci saranno probabilmente questi casi), il coefficientamento riduce le posizioni del rapporto tra 12,50 e 26, cioè del 51,92%. In pratica, se avete 1000 euro di minusvalenze da recuperare, sono ridotte a 769,2 euro compensabili, se invece erano ante 2011 si riducono a 480,8 euro. Lo Stato si è abbuonato una parte del debito che aveva con gli investitori, cancellandolo con un colpo di spugna! Badate che questa non è una opinione, ma un dato di fatto, basato su quanto pubblicato in Gazzetta Ufficiale (art 13 del provvedimento) e sull’esperienza passata, perché nel 2011, con il governo Monti, è accaduta la stessa cosa, passando alla tassazione dal 12,50 al 20%. Non ci resta che piangere?
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Pagamento debiti PA: firmato Protocollo di impegni per lo smaltimento dei debiti pregressi Novità per le imprese in tema di smobilizzo dei crediti certificati verso il sistema bancario e finanziario di Marcella Villano Servizi alle imprese Confindustria Salerno
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l 21 luglio scorso, Confindustria, MEF, CDP, ABI, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ANCI, UPI e altre associazioni di imprese, hanno sottoscritto il Protocollo di impegni “Pagamento debiti PA” con l’obiettivo di accelerare il pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione, attraverso il pieno utilizzo delle risorse stanziate dal DL 35/2013 e dal DL 102/2013 e la pronta attuazione delle misure previste dal recente DL 66/2014, che ha rifinanziato il DL 35 e introdotto un meccanismo di favore per lo smobilizzo pro soluto, presso il sistema finanziario, dei crediti certificati di parte corrente. Sinora, attraverso questi provvedimenti sono stati messi a disposizione 56,8 miliardi e, secondo quanto reso noto dal MEF, sono stati pagati 26,1 miliardi di debiti. Banca d’Italia, nell’ultima Relazione annuale presentata lo scorso 30 maggio, ha infatti stimato che l’ammontare dei debiti commerciali delle PA è sceso dai 90 miliardi del 2012 a circa 75. Secondo l’indagine qualitativa Banca d’Italia–Il Sole 24 Ore, nella seconda metà del 2013 le imprese di industria e servizi hanno impiegato i pagamenti ricevuti per accrescere le riserve di liquidità (6,2%) e ridurre i debiti verso banche (41,5%), Stato (6,1%) e fornitori
(29,2%); una quota significativa è andata a finanziare nuovi investimenti privati (6,7%). Questi primi incoraggianti dati sottolineano la necessità che le risorse stanziate dal DL 35/2013 e dal DL 66/2014 per l’anno in corso siano utilizzate nel minor tempo possibile, così come dovranno essere attuate senza ritardi le recenti misure normative varate dal Governo. In tal senso, il Protocollo rappresenta un importante tassello del quadro legislativo di riferimento, attraverso cui le parti assumono precisi obblighi. In particolare, il MEF si impegna: ad attuare tempestivamente tutte le misure di legge necessarie per accelerare il pagamento dei debiti pregressi della PA; ad assicurare il pieno ed efficiente funzionamento della Piattaforma per la certificazione dei crediti, anche rafforzando l’attività di help desk; ad attivare idonei strumenti informativi, attraverso la predisposizione e diffusione di un apposito vademecum semplificato con istruzioni operative per i soggetti interessati. All’indirizzo http://certificazionecrediti.mef.gov. it/, è disponibile un video-guida in cui sono fornite puntuali istruzioni per presentare istanza di certificazione; a potenziare l’attività di monitoraggio del processo di smaltimento dei debiti
scaduti della PA; a garantire, in caso di mancata certificazione da parte delle PA locali, la nomina tempestiva dei commissari ad acta; ad attuare le azioni necessarie per lo smaltimento dei debiti di parte capitale. Significativo e strategico anche il ruolo di Confindustria e delle altre associazioni firmatarie, che dovranno: sollecitare i propri associati a presentare istanza di certificazione dei crediti, anche diffondendo informazioni relative all’accesso e all’utilizzo della Piattaforma per la certificazione; ad attivare adeguate iniziative di supporto e di assistenza ai propri associati. Al riguardo, ricordiamo che durante l’esame al Senato del DL 91/2014 (DL Competitività) è stata introdotta una disposizione che proroga al 31 agosto prossimo il termine entro cui le imprese dovranno chiedere la certificazione per beneficiare della garanzia dello Stato nelle operazioni di cessione dei crediti presso il sistema finanziario e, conseguentemente, del tasso massimo di sconto fissato con decreto MEF, pari all’1,90% per importi entro i 50.000 euro e 1,60% per quelli oltre i 50.000 euro. Il DL è passato ora alla Camera che, stando a quanto al momento di andare in macchina è noto, dovrebbe convertirlo in legge in tempi brevi e senza ulteriori modifiche.
SICUREZZA Settore ricerca, certificazione e verifica osservatorio della sicurezza a cura della Direzione Centrale Programmazione, Organizzazione e Controllo
Le verifiche dei sistemi fotovoltaici Mai affidarsi a personale non qualificato e competente. Ne va della sicurezza dell'impianto stesso e di chi lo utilizza Di Francesco Campanella e Massimiliano Di Luigi Laboratorio Radiazioni Ionizzanti, Settore per le Verifiche Autorizzative ed Ispettive in Radiazioni Ionizzanti e Risonanza Magnetica (INAIL, Area Ricerca Certificazione Verifica)
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a verifica è un insieme di operazioni con cui si accerta la rispondenza dell’impianto alle prescrizioni delle norme che rappresentano lo stato dell’arte realizzativo e di sicurezza. Essa comprende due momenti: l’esame a vista e l’esecuzione delle prove. Al termine, sulla base dell’esito dell’esame a vista e dei dati raccolti con le prove, si redige il rapporto di verifica. Le verifiche si dividono in verifica iniziale e verifiche periodiche. La verifica di un sistema fotovoltaico collegato alla rete va effettuata secondo la norma CEI 64-8/6, che vale per qualsiasi impianto elettrico, con, in aggiunta, le prescrizioni specifiche per i sistemi fotovoltaici che si trovano nella norma CEI 82-38. Durante la verifica si devono prendere precauzioni per garantire la sicurezza e per evitare danni ai beni e ai componenti dell’impian-
to, anche quando una parte dello stesso potrebbe essere difettosa. Quando un impianto elettrico preesistente è modificato o vi è aggiunta una parte, la modifica o l’aggiunta devono essere conformi alle norme applicabili e non devono compromettere la sicurezza dell’impianto. Le verifiche devono essere effettuate da persone qualificate e competenti nei lavori di verifica. Chi effettua le verifiche deve avere a disposizione tutta la documentazione riguardante l’impianto, anche per impianti non soggetti ad obblighi di progettazione. In tal caso deve esistere almeno l’elenco dei componenti. Quando si hanno informazioni più dettagliate i documenti di interesse sono: il tipo e la composizione dei circuiti (schemi; tipo e sezione dei conduttori; lunghezza dei circuiti; tipo di canalizzazioni; utilizzatori serviti; posizione dei dispositivi di protezione, isolamento e commu-
tazione, inclusi quelli nascosti); le caratteristiche dei dispositivi che svolgono le funzioni di protezione, isolamento e commutazione (natura e tipo dei dispositivi; corrente nominale o regolazione; correnti di cortocircuito e potere di interruzione); per i componenti elettrici riutilizzati, informazioni sul costruttore e sui risultati dell’esame a vista e delle prove eseguite. La verifica iniziale, effettuata dopo la realizzazione dell’impianto, serve ad accertare che le opere siano rispondenti al Progetto Esecutivo e a quanto prescritto dalla normativa vigente e dalle specifiche del GSE e dell’Ente Distributore. Consiste in una verifica dei requisiti di sicurezza e di funzionalità, e in un controllo di rispondenza dei materiali e dei componenti a quanto previsto nel capitolato, per quantità e qualità. Il rapporto relativo può definire la durata dell’intervallo di tempo tra le verifiche periodiche, ove tale
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Le verifiche periodiche sono volte a determinare la permanenza nel tempo dei requisiti di funzionalità e sicurezza dell’impianto e di tutte le apparecchiature che lo costituiscono
durata non sia stata stabilita in fase di progetto o da regole nazionali, tenendo conto del tipo di installazione, del suo uso e del suo funzionamento, della frequenza e della qualità della manutenzione e delle influenze esterne cui può essere soggetto l’impianto. Nel rapporto sono indicati i responsabili del progetto, della costruzione e della verifica. Le verifiche periodiche sono volte a determinare la permanenza nel tempo dei requisiti di funzionalità e sicurezza dell’impianto e di tutte le apparecchiature che lo costituiscono. Durante le verifiche periodiche è opportuno considerare i risultati e le raccomandazioni delle verifiche precedenti. Il rapporto include un elenco dei guasti e le raccomandazioni relative alle riparazioni o alle migliorie. Chi effettua la verifica periodica, sulla base dei risultati dell’esame a vista e delle prove effettuate, può raccomandare di variare la frequenza delle verifiche periodiche o della manutenzione. L’esame a vista ha lo scopo di accertare che l’impianto sia stato realizzato secondo i requisiti di sicurezza e funzionalità previsti, che i componenti siano conformi alle prescrizioni delle relative norme, che siano stati scelti e messi in opera correttamente e che non sia-
no danneggiati visibilmente. Serve anche ad identificare, senza l’uso di attrezzi o di mezzi di accesso, eventuali caratteristiche (quali i dati di targa) o difetti (quali mancanza di ancoraggi, connessioni interrotte o involucri rotti) dei componenti dell’impianto. L’esame a vista va effettuato secondo quanto prescrive la norma CEI 64-8/6. Esso precede le prove e va effettuato possibilmente con l’impianto fuori tensione. Naturalmente tale condizione può non essere possibile con alcune parti dell’impianto fotovoltaico, che rimangono in tensione finché l’irraggiamento solare è sufficiente. In tal caso, dopo aver messo fuori tensione le parti dell’impianto che possono esserlo, è necessario che l’operatore segua le procedure indicate nella Norma CEI 11-27, quando debba lavorare in prossimità o in contatto con parti sotto tensione. Le prove dell’installazione elettrica devono essere effettuate secondo la norma CEI 64-8/6. Gli strumenti e i metodi di misura devono essere scelti in conformità alle parti corrispondenti della IEC 61557 (norme CEI da 85-22 a 8531 e da 85-36 a 85-38). Strumenti di misura diversi devono fornire livelli equivalenti di prestazioni e sicurezza, e metodi di prova diversi
devono dare risultati parimenti affidabili. Quando una prova indica la presenza di un guasto, una volta risolto, se questo può aver alterato i risultati di prove precedenti, tali prove vanno ripetute. Le prove dovrebbero essere eseguite secondo la sequenza che segue (norma CEI 82-38): prove sui circuiti (prima le prove sui circuiti in c.a., secondo la norma CEI 64-8/6, e poi le prove che seguono sui circuiti in c.c.); prova di continuità dei conduttori di collegamento a terra e/o di collegamento equipotenziale di protezione, dove forniti; prova di polarità; prova della tensione a vuoto della stringa di moduli; prova della corrente di cortocircuito della stringa di moduli; prove funzionali; resistenza di isolamento dei circuiti in c.c.. Il rapporto della verifica è emesso al termine del processo di verifica. Include le informazioni sintetiche relative alla descrizione dell’impianto (indirizzo dell’impianto, nome e indirizzo del proprietario, nome della persona designata alla conduzione); la Lista dei circuiti che sono stati verificati; la Registrazione dell’esame a vista e quella dei risultati di prova per ciascun circuito sottoposto a prova; l’intervallo di tempo raccomandato prima della verifica successiva; generalità e firma della persona che ha effettuato la verifica.
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R I C E RCA
Il dottorato di ricerca si rinnova. Un’opportunità per le aziende Un’importante, seppur tardiva, modifica per un titolo che – in controtendenza con quanto accade in Europa - mostra poco appeal nel nostro Paese
di Paolo Ciambelli Professore Ordinario di Chimica Industriale e Tecnologica Dipartimento di Ingegneria Industriale / Università di Salerno
I
l dottorato di ricerca in Italia viene introdotto nel 1980 con la riforma dell’Università, ma il titolo nasce con una sorta di peccato originale: «É istituito il dottorato di ricerca quale titolo accademico valutabile unicamente nell'ambito della ricerca scientifica». Dopo appena 30 anni si prende atto di questo limite (DM 45/2013): «Il dottorato di ricerca fornisce le competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione presso soggetti pubblici e privati, nonché qualificanti anche nell'esercizio delle libere professioni». Il DM prescrive che i dottorati siano soggetti a valutazione ANVUR per la loro certificazione. La nuova regolamentazione crea nuove opportunità per le aziende? Questo il tema del Workshop che ho organizzato con Federchimica, Confindustria Salerno e AIDIC durante il recente evento Borsa della ricerca ForSUD. Con particolare riferimento ai settori chimico, farmaceutico, biotecnologico, il dibattito ha messo a confronto Università, aziende (grandi, piccole, start-up), ANVUR, strumenti finanziari europei, società di consulenza, gli attori che potranno rendere concrete le nuove opportunità. Il DM recita: «Corsi di dottorato possono essere istituiti in collaborazione con imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo». L’ANVUR verificherà i requisiti (possesso di brevetti, partecipazione a progetti di ricerca, eventuale presenza di una sezione aziendale specifica per attività di ricerca). Il dottorato deve prevedere il finanziamento di almeno 4 borse. Questi aspetti
richiedono una seria riflessione nel caso delle PMI. Ancora dal DM: «Le università possono altresì attivare corsi di dottorato industriale con la possibilità di destinare una quota dei posti disponibili…ai dipendenti di imprese impegnati in attività di elevata qualificazione, …ammessi al dottorato a seguito del superamento della relativa selezione». Sarà possibile concordare lo svolgimento della ricerca presso l’impresa, l’impegno complessivo per i dottorandi/dipendenti, la durata del corso di dottorato. L’attivazione di contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca (equivalenti ad una borsa di studio di dottorato) potrebbe essere un interessante strumento. Un esempio concreto: l’Università di Padova ha stipulato un accordo con le aziende di Confindustria Veneto che assumano un dottorando con tali contratti per il conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca e che concordino con l’Università un progetto formativo e di ricerca di proprio interesse. Il workshop si è concluso con l’impegno comune dell’Università, di Federchimica, di Confindustria a progettare proposte di dottorato che realizzino le nuove opportunità, per contribuire così allo sviluppo del territorio e di un Paese che sembra non credere nel dottorato: terz’ultimi tra i Paesi europei per numero di dottorandi/1000 abitanti, riduzione del numero di borse di dottorato dal 2008, specie nel Sud, scarsa richiesta di dottori di ricerca dalle aziende, in una Europa che punta verso una società della conoscenza.
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I N TE RN AZ IONALIZ Z AZ ION E
Cooperazione allo sviluppo e imprese: inizia una nuova era? Il Disegno di Legge, approvato alla Camera il 17 luglio scorso, si fonda sul principio che il vero progresso economico si crea solo attraverso partenariati solidi con i Paesi in ritardo di sviluppo Ely Szajkowicz Responsabile Informazione e Comunicazione Confindustria Assafrica & Mediterraneo news@assafrica.it
I
l 17 luglio di trentotto anni fa iniziarono in Italia le prime trasmissioni sperimentali della televisione a colori. Iniziò così la grande trasformazione del mezzo televisivo che c’era già, ma trasmetteva in bianco e nero, specchio di una società tecnologicamente molto più semplice rispetto ad oggi. Qualcosa del genere è avvenuto il 17 luglio 2014, quando la Camera dei Deputati ha approvato il Disegno di Legge di riforma della Cooperazione italiana allo sviluppo. Il nuovo testo si fonda su due pilastri: la Cooperazione allo Sviluppo diventa «parte integrante e qualificante della politica estera» e abbandona il precedente schema paternalistico di solidarietà verticale donatori-beneficiari, per adottare invece il concetto “orizzontale” di partnership. L’architettura è semplice: non possiamo creare sviluppo economico che porti fuori dalla crisi se non costruiamo partenariati con i Paesi in ritardo di sviluppo. Ne deriva l’incentivazione allo sviluppo anche del partenariato pubblico-privato che, sia pure in un‘ottica di impatto di cooperazione, vale a dire di progetti che aiutino lo sviluppo dei Paesi destinatari, portano la Cooperazione a sollecitare una maggiore presenza delle imprese -cui viene finalmente riconosciuto un ruolo di traino nella crescita delle economie nazionali dei PVS- attraverso una strumentazione finanziaria “attraente”, consultabile sul sito della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri. Tra i vari strumenti è importante sottolineare la nuova formulazione dell’art.7 della L. 49/87 che incentiva le imprese miste, erogando all’impresa italiana un credito agevolato fino al 70% del capitale sociale versato, ad un tasso di interesse molto vantaggioso, per un importo massimo del credito fino a 10 milioni di euro. Si tratta
di un cambiamento che, per quanto epocale, è armonico con quello, analogo, della Commissione Europea. Una briciola di merito, per una volta, ce la prendiamo anche noi di Confindustria Assafrica & Mediterraneo. Che sin dai tempi della Convenzione di Lomé nel lontano 1975 abbiamo lavorato a Bruxelles, insieme alle nostre consorelle dei Paesi europei perché, accanto agli aiuti di Stato, la politica della Commissione in tema di aiuto pubblico allo sviluppo riconoscesse il ruolo trainante del settore privato per lo sviluppo durevole dei PVS. E quest’anno abbiamo fornito l’unico contributo italiano del settore privato alla Consultazione pubblica della Commissione Europea in preparazione del Comunicazione UE del maggio scorso su come promuovere il ruolo delle imprese nella Cooperazione allo sviluppo, articolata in tre Proposte, una delle quali recepita dalla Comunicazione stessa. Adesso anche l’impresa italiana può offrire all’interlocutore di un PVS uno strumento finanziario importante per la costituzione di una joint venture (purché non ci sia delocalizzazione). L’African Economic Outlook dell’African Development Bank sostiene che nel Continente c’è stato un aumento complessivo senza precedenti degli investimenti stranieri. Dal 7% nel 2007 al 18% nel 2012. Ed è per questo che gli occhi del mondo sono puntati sul potenziale africano. Ora però tocca alle nostre imprese utilizzare l’art.7, finora assai poco gettonato, pena lo “spiazzamento strategico” nel medio periodo rispetto ai nostri competitors, che usano gli strumenti della loro Cooperazione allo sviluppo per farsi conoscere e lavorare in Paesi, specie dell’Africa subsahariana, che vogliono crescere fortemente e in tempi rapidi.
S A LU TE
Zucchero, sovrappeso, obesità e diabete Nessun alimento va demonizzato, né da solo è responsabile di un peso sovrabbondante. L’eccesso calorico è la vera causa
Giuseppe Fatati Presidente Fondazione Adi (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica)
L’
obesità è ormai una patologia epidemica rispetto alla quale gli interventi di prevenzione si sono dimostrati inefficaci. Gli esperti concordano sul fatto che è una condizione complessa che deriva dall’interazione di fattori genetici, psicologici e ambientali. La genetica e la debolezza psicologica non possono spiegare, da sole, l’aumento dell’incidenza osservato negli ultimi anni; per poterla gestire in modo adeguato è necessario concentrarsi sugli stili di vita che lo sviluppo industriale ha creato. Gli zuccheri semplici sono spesso considerati tra i nutrienti più specificamente responsabili dell’elevata frequenza di sovrappeso e di obesità. L'OMS sottolinea che una riduzione al di sotto del 5% delle calorie totali giornaliere avrebbe benefici aggiuntivi sulla salute dell’individuo rispetto al tetto attuale del 10%. Tuttavia, il dibattito su questi temi, nella Comunità Scientifica, rimane aperto. Dare la colpa ad un singolo componente dell’alimentazione sembrerebbe anacronistico. Un ruolo specifico dei carboidrati sul sovrappeso è stato recentemente escluso da una metanalisi commissionata dal WHO (Te Morenga, 2013); questo ampio e sistematico lavoro di review mostra con chiarezza come un aumento del consumo di zuccheri si associ ad una maggiore probabilità di sviluppo del sovrappeso se gli zuccheri stessi sono aggiunti alla dieta, ma non se sono invece sostituiti isocaloricamente ad altri nutrienti, confermando quindi
come sia l’eccesso calorico la causa del sovrappeso stesso. In un recentissimo studio controllato, l’aggiunta di saccarosio alla dieta (pari a circa 430 Kcal/die per 4 settimane, in donne obese) non ha significativamente modificato il peso corporeo, indicando una compensazione quasi completa dello zucchero consumato (Reid, 2014). Va considerata ragionevole l’ipotesi che un elevato consumo di zuccheri sia in realtà solamente un marker di un’alimentazione non equilibrata. Siamo abituati, purtroppo, a vedere l’obesità come un fallimento individuale. L’obeso è il malato, l’obeso va curato. Per evitare gli errori di pianificazione sanitaria conseguenti, è importante studiare a fondo il comportamento alimentare della popolazione e averne quanto più possibile un’immagine critica a 360 gradi. Alla base di tutto deve esserci un atteggiamento decisionale scevro da preconcetti. Per quanto riguarda la patologia diabetica penso sia interessante rileggere quanto sottolineato dal Prof. McGarry in un articolo su Science del 1992 dal titolo What if Minkowski had been ageusic? An alternative angle on diabetes che, con grande schiettezza, affermava: “L’insulino-resistenza e l’iperglicemia potrebbero essere più facilmente comprensibili se visti nel contesto di anomalie alla base del metabolismo lipidico”. Traducendo: spostare l’attenzione dagli zuccheri ai grassi ci potrebbe far capire meglio il fenomeno.
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Una difesa…da difendere Prima barriera dell’organismo contro gli agenti esterni nocivi, la pelle però va aiutata nella sua azione protettiva partendo da una corretta igiene
Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it / www.istitutodermoclinico.com
É
l’organo più esteso del corpo, visto che in un adulto può raggiungere 1,5 mq di superficie. Ma al di là delle curiosità anatomiche, la pelle è un elemento fondamentale per la salute dell’organismo, risultando di fatto la prima e più importante barriera naturale contro l’aggressione degli agenti esterni. Non solo un rivestimento estetico, insomma, ma anche e soprattutto uno scudo protettivo che va aiutato nel suo compito evitando di sottoporlo a stress eccessivi e curandone la pulizia in modo adeguato. Vediamo di “ripassare” la complessa composizione della nostra cute. Strato per strato, è fatta così. Elasticità e resistenza sono le prime, tangibili caratteristiche della nostra pelle, costituita approssimativamente per il 70% da acqua, per il 25% da proteine, per il 2% da grassi, per lo 0,5% da minerali e per il rimanente 25% da altre sostanze. Quanto allo spessore, varia a seconda della zona del corpo, passando dal mezzo mm delle palpebre ai 5 della pianta del piede. A non variare, invece, è la composizione a tratti di questo prezioso organo: chi lo analizzasse in dettaglio, ne scoprirebbe un numero davvero sorprendente, riconducibile però a tre livelli principali. Dall’interno all’esterno: ipoderma, derma ed epidermide. Ipoderma. É lo strato più profondo, detto anche “pannicolo adiposo sottocutaneo”. Semplificando all’estremo, è questa la “base grassa” della pelle, la cui densità e il cui spessore dipendono da fattori costituzionali quali il sesso (nella donna l’ipoderma è maggiore che
nell’uomo) e lo stato ormonale, nonché naturalmente dall’alimentazione e da uno stile di vita più o meno sedentario. Derma. É lo strato intermedio. Molto vascolarizzato per ricevere il nutrimento necessario al continuo rinnovamento delle cellule del tessuto sovrastante, è anche attraversato da una buona rete linfatica e da una fitta rete di terminazioni nervose coinvolte con il senso del tatto. Inoltre, è nel derma che si trovano il collagene e le fibre elastiche indispensabili alla salute e alla bellezza della pelle: il primo, infatti, è una proteina fibrosa e resistente che favorisce la coesione delle cellule e dunque i tessuti; le seconde, invece, sono intuitivamente chiamate ad assicurare la capacità elastica della pelle continuamente oggetto di tensioni e rilasciamenti. Epidermide. É lo strato più superficiale, formato da cellule piatte che al microscopio appaiono come tante piastrelle di una pavimentazione. Istologicamente, questo strato è suddivisibile a sua volta in altri sovrapposti, il più esterno dei quali è quello “corneo”, costituito da cellule epiteliali morte che vengono gradualmente eliminate con la desquamazione e sostituite da nuove, prodotte per moltiplicazione diretta di cellule vive che si trovano nella parte sottostante della stessa epidermide (“strato di Malpighi”). La maggior parte delle cellule dell’epidermide è specializzata nella produzione di cheratina, proteina fibrosa che rappresenta il principale costituente dello strato esterno di pelle, unghie, peli e capelli, perché sostanza dura e resistente, capace dunque di resistere all’aggressione degli agenti naturali e chimici esterni.
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BO N TO N
Un brindisi alle buone maniere Il galateo del vino prescrive chiare regole da osservare, partendo in primis dalla scelta dei giusti bicchieri
Nicola Santini Esperto di galateo, costume e società ph/Christian Ciardella
É
vero che conta il cibo, che è importante come si apparecchia una tavola. É vero che la compagnia fa la differenza e che la conversazione è un’arte. É vero, però, che basta un vino scelto male per vanificare tutti questi buoni precetti messi insieme. Io che non sono un grande intenditore, dimentico di comprarlo al supermercato, e, quando lo faccio è solo perché ho la certezza di fare un acquisto coscienzioso: ho già sperimentato prima un abbinamento vincente e lo ripeto. In tutte le altre occasioni, mi affido ai consigli sapienti di amici sommelier e di chi gestisce o lavora in un’enoteca, dove il rapporto umano consente di scambiare due chiacchiere e spesso è proprio la passione a fare da motore nell’attività. Posto che la scelta, quindi, merita un capitolo a parte e appartiene ad altri mestieri, riconosco che il galateo del vino è uno dei passaggi più affascinanti dell’arte del ricevere e preferisco concentrarmi sull’etichetta che nel mio caso non è quella che indica una provenienza, ma le regole di bon ton indispensabili quando si vuole bere o brindare in compagnia. Iniziamo dalle idee in tavola: il bicchiere dovrebbe essere incolore, inodore e possibilmente di cristallo. Questa regola non è un attentato alla fantasia, ma un atto di buon senso e cultura del vino: chi beve può cogliere e godere meglio le sfumature del vino. Se avete voglia di colore, riservatelo ai vini da dessert. I bicchieri a gambo lungo sono preferibili per evitare che le dita tocchino il gambo del calice, ma per scegliere bene bisogna sapere qualcosa in più sulle caratteristiche del vino che andiamo a servire. Per i vini bianchi non servono bicchieri troppo grandi perché non hanno bisogno di molta ossigenazione. La bocca non troppo ampia fa sì che si esaltino caratteristiche come freschezza e profumi di frutta a polpa bianca, incanalandosi più facilmente. Molto simili ma un po’ più grandi sono quelli per i rossi non invecchiati
che hanno il calice sempre lungo ma più svasato perché il bicchiere racchiuda il profumo di questi vini giovani e leggeri. Diverso è quando si tratta di vini rossi molto invecchiati, i cui profumi arrivano dal soggiorno di anni e anni in bottiglia: bicchieri “panciuti”, base ampia che consenta una buona ossigenazione e uno sviluppo del profumo per meglio assaporare il bouquet. Si chiamano Balloon e vanno usati anche per i vini molto pregiati quelli con il piede largo e lo stelo medio, belli da vedere, con la loro coppa generosa, quasi una mezza palla. Il dilemma arriva anche per il brindisi con champagne o spumante: il flûte per i secchi, slanciato che fa salire bene le bollicine in superficie, è ottimo per gli aperitivi, mentre per gli spumanti dolci è meglio il bicchiere a coppa: ricordate che questi bicchieri arrivano in tavola insieme allo spumante su un vassoio e non sono parte della mise en place iniziale. Questo perché l’etichetta tende a bandire lo schema confusionale dei troppi bicchieri a tavola. Il numero perfetto è il tre: acqua, vino bianco e vino rosso da sistemare in alto a destra e in ordine decrescente dal piatto verso l’esterno. Se il menu prevede più vini, gli altri bicchieri staranno in vista su un tavolino di servizio e verranno messi al loro posto una volta tolti gli altri. Chiudiamo con un brindisi: non è obbligatorio alzarsi se non da parte di chi vuole intitolare il brindisi a qualcuno, si alzano i calici, impugnando lo stelo e non la coppa, ci si guarda negli occhi senza toccare l’uno il bicchiere dell’altro e senza dire “cin cin”. Gli astemi faranno il gesto e si bagneranno leggermente le labbra senza bere. Ultima regola, al femminile: le signore non si versano mai il vino da sole e se i loro cavalieri non si accorgono che è il momento di farlo, non è maleducato chiederlo. Un brindisi alle buone maniere.
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A RTE
L’ego cum di Elena Bellantoni L'esposizione “Dunque siamo”, visitabile fino al 6 settembre 2014 negli spazi del Museo Archeologico Provinciale di Salerno, si presenta come un percorso luminoso che attraversa Salerno per costruire dialoghi e chiare emersioni del pensiero di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata
E
ssere con, vivere come «singolari singolarmente insieme», concepire la terza persona del singolare come prima persona. Attorno a queste problematiche di non facile decifrazione, Elena Bellantoni tesse, da tempo, progetti luminosi e altrettanto luminose avventure. È il caso, oggi, di un nuovo lavoro, DUNQUE SIAMO, terza mostra del ciclo Tempo Imperfetto realizzato dalla Fondazione Filiberto Menna - Centro Studi d'Arte Contemporanea a Salerno, in collaborazione con la Provincia di Salerno e con il Comune di Salerno, in cui l'artista mette in gioco ancora una volta il suo corpo e il suo sguardo per creare un incendio estetico che, tra processualità del conoscere e percezione delle cose nel tempo, organizza un tutto insieme all'interno e oltre i bordi del vivere. L'esposizione, inaugurata negli spazi del Museo Archeologico Provinciale di Salerno (in via San Benedetto, 28) - visitabile fino al 06 settembre 2014 (tutti i giorni dalle 09.00 alle 19.30, lunedì escluso) - si presenta come un percorso luminoso che attraversa Salerno per costruire dialoghi, vertigini, chiare emersioni del pensiero. Di un pensiero che è estroflessione mentale, sentimento del tempo, brano d'un racconto umido, infinito, dolcemente spigoloso, aperto a modalità conoscitive che si formulano in praesentia. Legata ad un principio performativo che si formalizza secondo modalità linguistiche di differente natura, DUNQUE SIAMO, il nuovo site project di Elena Bellantoni realizzato per gli spazi del Museo Archeologico Provinciale di Salerno, si presenta dunque come un viaggio alla riscoperta dei luoghi, degli orizzonti storici e culturologici del paesaggio salernitano. Ad aprire la mostra è il neon mi rivolto, dunque siamo la cui dicitura – coniata da Albert Camus in un saggio del 1951 (L'homme révolté) – indica una prassi espressiva che rappresenta per l'artista il bisogno di solidarietà, il momento in cui «l'io si apre all'altro, e in lui scopre qualcosa di cui pensa valga la pena prendersi cura». Sulla stessa scia riflessiva è anche il solitario solidale, due specchi collocati frontalmente dove un colpo d'essere rappresenta sempre anche un colpo di «con» (Nancy), una singolarità plurale, un nos sumus, una comunità che vuole
Elena Bellantoni, La città sale, 2014, installazione, proiettore DIA e sale, dimensioni variabili, exhibition view, terzo progetto del ciclo Tempo Imperfetto della Fondazione Filiberto Menna (Salerno) organizzato nel Museo Archeologico Provinciale di Salerno, courtesy dell'Artista /Photo di Ciro Fundarò dimenticare a memoria la storia di un luogo per prendersene cura. Ambientato nell'area archeologica etrusco-sannitica di Fratte, I giocatori è un video che, se da una parte punta l'indice sui reperti custoditi nel Museo Archeologico, dall'altra si pone come una partita tra l'artista e il critico d'arte, tra due pensieri, tra due differenti modalità riflessive. La città sale, una installazione luminosa che riporta (attraverso un proiettore DIA) alcune immagini significative su un mucchio di sale grosso, è un ulteriore cenno alla città di Salerno al cui etimo (Salernum) sono associati il mare alto (salum, sostantivo maschile – II declinazione) e il fiume Irno (Irnum, forse all'origine Irnthi), quasi ad indicare un luogo situato tra due acque differenti, o salis (sale) ed ernum (fabbrica), da antiche, plausibili fabbriche di sale. Di un sale che non è soltanto sostanza marina, ma anche elemento alchemico che trasporta e trasforma, che – tra prima e dopo – fora lo sguardo dello spettatore per spingerlo in uno spazio metateorico, tra le materie della mente e di quello che mente non è.
F I N I S TE RRE
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Omaggio a Carmelo Bene, maestro della “sovrapposizione” Ovunque vada, la “macchina attoriale” chiamata Bene mostra una “consapevolezza” degli strumenti di comunicazione che scorrerà parallela al suo “stare in scena”. Ancora oggi resta un caso unico nella storia della comunicazione creativa Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università degli Studi di Salerno
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ai anno (1968) fu più emblematico, tra fratture e rinascite, per Carmelo Bene. E non mi riferisco al tempo della contestazione nella società ma a quel 1968 in cui Carmelo Bene mette in scena (complice Leo de Berardinis) uno straordinario e unico Don Chisciotte. Opus scenica che, come dire, diviene “soglia” oltre la quale davvero sarà difficile per i due maestri dell'italica avanguardia continuare a “fare teatro”, per questo Leo sposterà il suo abitare la scena alla volta di Marigliano dove andrà a scomporre il teatro verso una pratica “crudele” e senza mediazione mentre Carmelo virerà verso una vertigine cinematografica. Infatti tra il 1968 e il 1973 l'autore-attore-scrittore-regista salentino firma 5 lungometraggi, che “sfasciano il presepe italiano”: “Nostra signora dei Turchi”, “Capricci”, “Don Giovanni”, “Salomè” e “Un Amleto di meno”, oltre a tre potenti mediometraggi: “A proposito di Arden of Feversham”, “Hermitage”, “Ventriloquio”. Opere totali che ancora oggi sono un'indiscussa perla d'originalità e una vorticosa sfida al senso dell'immagine in movimento. Un cinema che avrà differenti adesioni e rifiuti. Film dove l'estetica barocca e il catastrofismo saranno alternati: ora come giudizi positivi, ora come categoria del negativo. Insomma un cinema totalizzate e niccianamente “inattuale”. Tutto ha inizio con le convulsioni di “Nostra signora dei Turchi” (1968) della cui origine letteraria (il film è prima ancora un romanzo autobiografico del 1966) resta ben poco divenendo un'esplosione del visivo. Un circumnavigare l'immagine nelle sue ridondanti derive e approdi. Il discorso sul disfacimento del filmico, Carmelo Bene lo continuerà con i successivi lavori che oltrepassando la dinamica del teatrale guardano con innovativa passione al pittorico (pop
art, optical, neobarocco, kitsch, manierismo...), riecheggiano di esplosive sonorità (il melodramma, il classico, la musica leggera). E poi citazioni, rimandi, nuove traiettorie, scompaginamenti e un'infinita miriade di “schiaffi al gusto del pubblico”. Un cinema che sopravanza se stesso e che nel nutrirsi di “sensibilità pellicolare” (citando Jean Vigo) ha un solo obiettivo: l'autodistruzione. Infatti dopo quest'arco di anni, Bene non farà più cinema, ma il cinema tornerà irriverente nel suo teatro a-venire. Un teatro che comincia a guardare alla concezione del montaggio, alle scritture di luce e alle sempre più necessarie amplificazioni magicamente tecnologiche della phoné. Succedanei all'esperienza cinematografica, altri media di massa: la radio (a partire dalla ricchezza manganelliana delle “Interviste impossibili” del 1973 fino a giungere al 2000 di “In-vulnerabilità d'Achille” dove riscrive su un unico nastro espressivo Stazio, Omero e Kleist) e la televisione (dal 1974 con l'omaggio alla poesia russa di “Bene! Quattro modi di morire in versi”, al 2002 del “Lorenzaccio”. Senza dimenticare la sua presenza nelle ospitate televisive, alle volte volutamente “clownesche” ma sempre magistralmente provocatorie. Ovunque vada, Carmelo Bene mostra sempre una “consapevolezza” degli strumenti che scorrerà parallela al suo “stare in scena”: cinema, radio, televisione, spettacoli teatrali, “letture” poetiche per Dante, Leopardi, Campana. Carmelo Bene resta ancor oggi (il 2002 è l'anno dalla sua scomparsa) un caso unico nella storia della comunicazione creativa. Un Maestro della “sovrapposizione” e costruttore di “un nuovo divenire della coscienza” come dirà di lui un assoluto magister della filosofia contemporanea di nome Gilles Deleuze.
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R EN D E Z -V OUS 2 . 0
Flipback o del libro roteato Con l’invenzione verticale della Mondadori la carta ritorna al centro dell’esperienza di lettura
Roberta Bisogno Collaboratrice c/o laboratorio di Editoria Elettronica Università di Salerno
L
o scorso maggio in occasione del Salone del Libro di Torino prima, e durante un altro evento milanese poi, la casa editrice Mondadori ha lanciato sul mercato un nuovo progetto, anzi, un “concept” di libro, tutt’altro che digitale: il flipback, nato da un accordo con l'editore olandese Jongbloed. Per portata rivoluzionaria la casa editrice lo ha accostato ai suoi grandi successi editoriali: dai Gialli, al progetto Medusa, Urania, a quello degli Oscar e infine al più recente, quello dei Numeri Primi. Flipback è comodità, accessibilità, praticità. È letteralmente a portata di mano. A scanso di equivoci, volendo dissentire dalla trovata pubblicitaria dello spot televisivo, tutto giocato su ambiguità e facili doppi sensi (rimando allo spot tv), il flipback è senza dubbio un libro che si legge in verticale anche con una sola mano. Pressappoco ha le dimensioni di un tascabile, e può contenere anche edizioni integrali di libri e tuttavia occupare il minimo spazio. Proprio in un momento in cui si tende a smaterializzare il libro (e la Mondadori è stata fra le prime in Italia a proporre l’idea dell’e-book) si vuole riproporre la carta e le sue ancora non finite possibilità. Forse una cosa va detta il flipback può tornare utile a chi ha bisogno di dispositivi di lettura specifici, a quel mondo di lettori con alcune disabilità motorie, per esempio. “Rivoluzionario nella forma”, “compatto nel formato”. infatti si tratta del libro appena roteato, quindi da leggere in verticale, cosicché lo si possa leggere con una mano e sfogliare con un dito. Il suo formato è circa 12x8 cm e rifinito con cuciture. L’attenzione cui ci rimanda la Mondadori è verso l’oggetto concreto del libro. Ad ora
i titoli pubblicati in formato flipback sono stati quelli di maggiore successo mondadoriano: si tratta di scrittori come Mazzantini, Giordano, Gamberale, Robert, Volo, D’Avenia, Brown… Qui si legge: «abbiamo voluto riportare la carta al centro dell’esperienza di lettura: prendere in mano un Flipback, osservare come le pagine si distendono all’apertura, sfiorare la consistenza della carta e apprezzare la robustezza della legatura cucita sono esperienze percettive di autentico piacere per chi ama i libri». E che l’esperienza della lettura di un libro abbia effetti tutti positivo, è un fatto verificabile e di cui molto si è detto. Tuttavia, il flipback cos’ha di davvero rivoluzionario (a parte il passaggio da orizzontale a verticale, quello lo trovo letteralmente rivoluzionario)? Si continua a percepire, in fondo, un’attenzione troppo diretta all’oggetto e poco al contenuto. Sarà anche questa una ragione di tanto disordine intorno alle questioni di sempre, libro concreto/libro virtuale?
LI B R I / H OME CINE MA
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a cura di Raffaella Venerando
a cura di Vito Salerno
Storie scritte sulla sabbia di Gaetano Cappelli
Grand Budapest Hotel di Wes Anderson
I
Marsilio Editore
l destino degli uomini è nel loro carattere, e quello dei protagonisti di queste storie teneri sognatori, candide canaglie, adorabili perdenti - sembrerebbe segnato. E invece, grazie a una delle inaspettate svolte che la vita dispensa, eccoli là dove si erano prefissati di arrivare...
o almeno nelle vicinanze. Così c’è chi sognava di affermarsi come un grande attore e ha poi dovuto accontentarsi d’un posto da custode a Castellaneta, nel museo del divino Rodolfo Valentino; chi ha tradito gli amici e gli amori d’un tempo rivelandone, nel romanzo d’esordio, i più imbarazzanti segreti e ora, a distanza di anni, è costretto a rincontrarli; poi, ancora, ci sono autori di uno di quei programmi farlocchi, sempre a caccia di nuovi finti misteri; posati archeologi e farmacisti viveur nel momento in cui scoprono le loro bellissime e finora fedeli mogli, di colpo, fedifraghe; vaccari dalle ambizioni artistiche, cacciatori di vedove a loro volta cacciati, malinconici frequentatori di paradisi tropicali e ambigui winemaker che, insieme a decine di altri personaggi, costituiscono l’affollato vivacissimo cast di questa ulteriore puntata della commedia umana che Gaetano Cappelli va, da anni, raccontando con quella scrittura scintillante e la pirotecnica, inarrivabile abilità narrativa che hanno fatto di lui uno dei maestri riconosciuti e più amati della scena letteraria italiana.
I
l regista Wes Anderson ci regala ancora una magia con lo splendido “Grand Budapest Hotel”, premiato meritatamente con l’Orso d'Argento, il gran premio della giuria al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il Nastro d’Argento e il premio David di Donatello come miglior film straniero. Ambientato in una località termale di fantasia nell'immaginario stato alpino di Zubrowka, Grand Budapest Hotel è un racconto senza tempo di amicizia, onore e promesse mantenute. Ispirato alle memorie dello scrittore viennese Stefan Zweig, il film narra le avventure di Gustave, leggendario concierge di un lussuoso e famoso albergo europeo, e del giovane "Lobby Boy" Zero Moustafa che diviene il suo più fidato amico. Sullo sfondo il furto e il recupero di un celebre dipinto rinascimentale, la violenta battaglia per impadronirsi di un'enorme fortuna di famiglia e una dolce storia d'amore. Il tutto si svolge nel periodo tra le due guerre, mentre il continente è in rapida e radicale trasformazione. In perfetta sintonia con lo stile di Wes Anderson, Grand Budapest Hotel combina in modo armonioso eleganza e contenuto per un risultato eccezionale. La spettacolarità del film nasce da un'estetica visiva straordinaria che contribuisce a rendere ancora più surreale e fiabesca l'intera vicenda dei protagonisti. All'ottava pellicola, Wes Anderson conferma la sua originale abilità nel creare mondi incantevoli in un susseguirsi di fotogrammi coloratissimi, sui quali costruisce le storie di personaggi fortemente caratterizzati, interpretati da un cast stellare: Ralph Fiennes, Tony Revolori, F. Murray Abraham, Adrien Brody, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Tilda Swinton, Tom Wilkinson e Owen Wilson.