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2 MAGGIO/ GIUGNO 2018

www.costozero.it

magazine bimestrale di economia, finanza, politica imprenditoriale e tempo libero

In questo numero Design | Sicurezza | Cultura | Sviluppo



editoriale

Sicurezza sul lavoro, valore imprescindibile di Andrea Prete, Presidente Confindustria Salerno

L’

articolo 41 della nostra Costituzione, accanto alla libertà di impresa privata, sottolinea che essa «non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana». Una società e un’economia civili non possono, dunque, prescindere da questo diritto. Proprio per questa ragione, il 27 aprile scorso - in collaborazione con l’ASL di Salerno - abbiamo voluto organizzare un incontro sul tema per approfondire novità normative e contribuire, con la corretta informazione, ad ampliare l’attenzione del sistema delle nostre imprese su tale argomento. Lo abbiamo fatto anche in vista della Giornata mondiale per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro (28 aprile) che, quest’anno, l’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro-International labour organization) ha unito a quella contro il lavoro minorile. Un dato su tutti su cui riflettere: l’Ilo ha stimato che, nel mondo, 152 milioni tra bambini e adolescenti, di età compresa tra i 5 e i 17 anni, sono vittime di lavoro minorile. Una cifra sola che racconta come questo disagio sia uno dei peggiori prodotti di una società disuguale, povera di reddito e più spesso di valori. Non è di certo questa la società per cui lavoriamo. Il lavoro non sicuro, e ancor di più quello minorile, rappresentano per le aziende sane una minaccia alla convivenza civile, contro cui - insieme alle Istituzioni e all’intera società - battersi per affermare il significato etico e politico della salvaguardia della vita umana sempre. Alle aziende è chiaro che, senza attenzione ai valori autentici, si può anche migliorare il fatturato ma, nel tempo, comunque si perderà “valore”.

La sicurezza per le imprese, pertanto, non è qualcosa di imposto dall’alto, che distrae dalla normale attività lavorativa. Semmai la aiuta. In questa direzione, la relazione del sistema delle imprese con l’Asl e, in generale, con gli organismi di controllo sarà ancor più improntata ad una logica di leale cooperazione affinché la salute dei lavoratori sia garantita in ogni momento. Siamo pronti. In questi anni la sensibilità del sistema economico italiano verso le norme tecniche, specie per quelle relative alla sicurezza, è aumentata a causa della necessità di innovazione e competitività e delle crescenti esigenze del consumatore in termini di qualità dei prodotti e dei servizi. Le aziende hanno continuato a investire - rinnovando il proprio hardware - soprattutto in sicurezza strutturale di impianti e macchinari, come dimostrato dal successo avuto da misure come ammortamento e iperammortamento. Lo stesso non si può dire di certo di molti nostri competitor stranieri che, pur di conservare un vantaggio competitivo, offrono un basso livello di sicurezza nei luoghi di lavoro, alterando la concorrenza e il funzionamento del mercato. Come spesso accade, quindi, non è solo di pura e semplice norma o necessità che si tratta. Tanto conta la dimensione culturale in cui si opera. La nostra parte dalla convinzione che la sicurezza dentro le fabbriche sia un valore imprescindibile, capace di migliorare la nostra vita di tutti i giorni dentro e fuori il posto di lavoro. Un costo, certo, ma un costo che ripaga e guarda al futuro.

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sommario

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EDITORIALE Sicurezza sul lavoro, valore imprescindibile di A. Prete PRIMO PIANO La strategia della Regione Campania per la ripresa Intervista ad A. Lepore FOCUS La Campania e i beni culturali: peculiarità e strategie di crescita di A. Cozzolino

Convergenze S.p.A., risultati in crescita per la multi-utility salernitana

26 Karoma Caffè, tutto l'aroma della tradizione 27 Revoluce, l'energia come il cellulare è ricaricabile BUSINESS 28 BCC di Monte Pruno, qui il rapporto di fiducia cliente-territorio non ha prezzo di Raffaella Venerando 30 Palazzo Innovazione, per Salerno un passo verso il futuro di Vito Salerno

L'OPINIONE Beni culturali in Campania: 10 un patrimonio immenso Intervista a A. Bottiglieri

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Antonia Autuori: «Il mio impegno nella 12 promozione della cultura del dono» Intervista ad A. Autuori

Sara Bi-Fuel PIR, tutti i benefici fiscali dei piani 33 individuali di risparmio con i vantaggi di una polizza assicurativa a cura della Redazione

Della Porta: «Per le imprese, un lavoratore 14 sano e informato è il miglior investimento» Intervista a D. Della Porta

CONFINDUSTRIA Milano Design Week: 16 il made in Salerno fa bella mostra di sè a cura di R. Venerando 18 Hebanon Fratelli Basile®, una stella del lusso a cura di R. Venerando 19 Un viaggio nell'arte e nei colori a cura di R. Venerando 20 Il pericolo dei falsi sacchetti bio di A. Campitelli NEW ENTRIES 22 Piantagrani, l'innovazione da storie dei semi buoni 23 C.P.M., la meccanica con precisione 24 Tempor SpA, a lavoro dove c'è lavoro

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SSM, il partner per l’impresa del futuro a cura della Redazione

NORME E SOCIETÀ 34 La mediazione italiana alla prova dei dati di M. Marinaro Tensostrutture e capannoni retrattili, come ampliare 36 lo spazio produttivo all’occorrenza e velocemente di L. M. D' Angiolella Intermediazione finanziaria: chi è responsabile 37 per un investimento inadeguato? di M. Galardo FISCO Gli accertamenti bancari sui conti 39 dei professionisti al cessionario di M. Villani, A. Rizzelli Cosa sono le Special Purpose 41 Acquisition Companies di M. Fiorentino Nuova Impresa a Tasso zero, 43 come funziona l’agevolazione di G. Arleo PRIVACY I dati, un patrimonio aziendale da mettere al sicuro 44 di P. Di Stefano


LAVORO Lavoro in somministrazione, legittimo il contratto 46 prorogato per esigenze di produzione di M. Ambron 47

La responsabilità del datore in caso di infortunio del lavoratore di L. De Valeri

MERCATI Internazionalizzazione, la stagione 50 degli incentivi è quasi aperta di A. Sacrestano 53 La logistica vista dall'interno di D. Trimarchi

SICUREZZA Reinserimento sociale e lavorativo dei disabili: 55 le nuove campagne di comunicazione Inail a cura della Redazione

SALUTE 57 Guerra all'odiosa cellulite di A. Di Pietro 58 Urbanizzazione e salute / II parte di G. Fatati

BON TON 60 Influencer, una vita in vetrina di N. Santini

ARTE 61 tuttoPassa, in tre mesi di A. Tolve

FINIST ERRE Antonin Artaud e il teatro della crudeltà 62 di A. Amendola LIBRI/ CINEMA 64 Come un giovane uomo a cura di R. Venerando

NUMERO 2 MAGGIO|GIUGNO 2018 Bimestrale di Economia, Finanza, Politica Imprenditoriale e Tempo Libero di Confindustria Salerno Reg. Trib. di Salerno N. 67 7 del 22/10/1987 Iscrizione al Roc N. 23241/2013 Direttore Editoriale Andrea Prete Direttore Responsabile Alessandro Sacrestano Redazione Raffaella Venerando Project Management Vito Salerno Società Editrice/Direzione e Redazione Assindustria Salerno Ser vice Srl Via Madonna Di Fatima, 194 84129 Salerno Tel. 089 335408/Fax 089 5223007 P. iva 039711 70653 redazione@costozero.it www.costozero.it Stampa Ar ti Grafiche Boccia/Salerno Foto Archivio Costozero/Vito Salerno Massimo Pica/Ag. Fotografica Studio Fotografico Cerzosimo Grafica e Impaginazione Moreplus/www.moreplus.it

L e op inioni esp resse neg l i a r tic ol i a p p a r teng ono a i sing ol i a u tori dei q u a l i si intende risp etta re l a p iena l ib er tà di g iu diz io

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64 Ella & John a cura di V. Salerno Maggio | Giugno 2018

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La strategia della Regione Campania per la ripresa Per l'Assessore regionale alle attività produttive Amedeo Lepore non si può tornare a una vecchia idea di Mezzogiorno: «Abbiamo tutti gli strumenti per farcela, puntando sulle nostre capacità e su una grande forza innovativa» Amedeo Lepore Assessore Attività Produttive | Regione Campania

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egli ultimi 2 anni la Campania non solo ha recuperato terreno, ma ripreso a crescere. Molto è dipeso dalle misure di politica industriale già attivate. Più da vicino, che incidenza hanno avuto sulla ritrovata voglia di impresa gli incentivi per i Contratti di Sviluppo? Secondo gli ultimi dati Istat, la Campania negli ultimi anni è cresciuta fino a dieci volte la Sicilia e il doppio delle aree più avanzate del Nord. Credo che puntare su linee di incentivazione pubblica di carattere nazionale - come i Contratti di Sviluppo, il credito di imposta per gli investimenti, la decontribuzione per i nuovi assunti e gli investimenti per le aree di crisi non complessa, allargandone la portata, sia stata la scelta giusta per la nostra regione soprattutto perchè queste incentivano grandi investimenti, confermando che l'industria è capace di svolgere un ruolo trainante per tutta l'economia regionale. Una decisione lungimirante quella dell’ente regionale, che affronta i nodi strutturali del

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nostro sviluppo, provando a risolverli per uscire dalle secche della crisi e aumentare l’occupazione, specie quella giovanile. Incoraggiati dalla crescita produttiva, che in tre anni progressivamente ci ha visti diventare la prima tra le regioni del nostro Paese per incremento del PIL, non abbiamo che da rafforzare ed estendere tali buoni risultati, lavorando anche sulla necessità di far sì che se ne abbia una maggiore e più diffusa percezione. I Contratti di Sviluppo hanno rappresentato una occasione quasi immediata per realizzare grandi investimenti e immettere un tasso di crescita sempre più elevato all’interno del nostro territorio. Al momento, sono stati 47 quelli approvati e finanziati per la Campania, 850 milioni di euro le agevolazioni concesse, gli investimenti realizzati e quelli in corso fra il 2015 e il 2018 sono pari, invece, a 1 miliardo e mezzo solo con questo strumento, mentre l’occupazione supera le 21mila unità secondo le rilevazioni sia di Invitalia, sia del Mise.

di Raffaella Venerando

Restando in tema di Contratti di Sviluppo, c’è una ulteriore novità determinata dai progetti che, grazie all’accordo con il governo, adesso saranno messi in istruttoria e rapidamente definiti. Sono 21, per un totale di investimenti che supera i 600 milioni e che consente alla nostra regione di fare un ulteriore passo in avanti verso la ripresa. Si potrebbe obiettare che i Contratti di Sviluppo siano pensati per le grandi multinazionali… Non è così perché ad usufruirne non sono solo le grandi e medie imprese, con molte aziende estere che investono in una regione che torna ad essere attrattiva. Stiamo assistendo, infatti, a un nuovo fenomeno che vede le piccole realtà consorziarsi per presentare Contratti di Sviluppo insieme. Vi sono diversi casi di Pmi campane che si uniscono e presentano Contratti e Accordi di Sviluppo. Ne stiamo avendo alcuni molto consistenti, che riguardano anche la provincia di Salerno, con iniziative di carattere strategico nel campo dell’a-


Contratto di sviluppo con Hitachi, 190 nuovi occupati a tempo indeterminato

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n investimento complessivo di oltre 40 milioni di euro in Campania, con un cofinanziamento della Regione e del Ministero dello Sviluppo Economico pari a circa 15 milioni di euro, e l’assunzione, nello stabilimento di via Argine, di 190 nuovi occupati a tempo indeterminato. Questi, in sintesi, i contenuti dell’accordo di sviluppo multiregionale sottoscritto tra il Ministero dello Sviluppo Economico, la Regione Campania, la Regione Toscana, Invitalia, il CNR e alcune Università - tra le quali l’Università Federico II di Napoli e l’Università di Salerno - e la società HITACHI Rail. L’accordo prevede la realizzazione di un contratto di sviluppo che comprende investimenti produttivi e connesse attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Il programma di sviluppo industriale “INSPIRE THE FUTURE” è rivolto, in particolare,

groalimentare, automotive e dell’aerospazio. Piccole e medie imprese che hanno imparato a crescere. Quanto alle multinazionali, poi, vorrei chiarire che non abbiamo aperto le porte ai “colonizzatori”, ma a imprese che porteranno sviluppo e occupazione sul nostro territorio in modo stabile. Nessun contratto mordi e fuggi. La Nestlè e l’Hitachi, ad esempio, hanno assunto impegni da qui ai prossimi 10/15 anni. Su questo ha inciso anche lo snellimento delle procedure? Senz’altro. I fondi già stanziati per l'Accordo di Programma

all’implementazione del processo di trasformazione digitale dello stabilimento produttivo HITACHI di Napoli, prevedendo innovazioni nella piattaforma di treni regionali, una piattaforma tram innovativa e un treno metropolitano con cassa in acciaio. Il progetto di ricerca e sviluppo “REINForce REsearch to INspire the Future”, inoltre, sarà realizzato nello stabilimento di Napoli con la collaborazione delle Università e del CNR.

Quadro tra Regione, Ministero dello Sviluppo e Invitalia (325 milioni di euro, di cui 150 cofinanziati dalla Campania) stavano per essere rapidamente assorbiti dalle numerose richieste di investimento pervenute allo sportello dell'Agenzia nazionale di sviluppo. Con l'approvazione del nuovo stanziamento di 850 milioni da parte del Cipe, di cui l'80% spetta al Sud, si potranno sostenere nuovi accordi di sviluppo immediatamente operativi, senza alcun ulteriore cofinanziamento da parte della Regione Campania, scalando la

graduatoria delle imprese che hanno presentato domande a Invitalia e finanziando una crescita reale di nuovi progetti. Una linea di Contratti di Sviluppo sarà dedicata al finanziamento dei Programmi di investimento localizzati nelle Aree di crisi complessa, tesi alla riconversione e riqualificazione industriale di specifici poli produttivi campani. Un’altra spinta alla crescita… Si tratta di provvedimenti di grande importanza per affrontare le situazioni di crisi industriale più rilevanti della Regione Campania allo scopo di rendere possibile una nuova Maggio | Giugno 2018

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primo piano

fase di ripresa produttiva, di salvaguardia e di incremento dell’occupazione in Campania. Dietro i due decreti di dichiarazione di crisi - complessa e non - c’è stato un lavoro enorme da parte della Regione, i cui esiti però ci rendono soddisfatti. Da un lato per l’area di crisi non complessa abbiamo uno stanziamento di risorse - nell’ambito dell’Accordo di Programma Quadro con il Mise - pari a 113 milioni, con 50 milioni recuperati dalla Regione, che si aggiungono ai 37 milioni circa ottenuti dalle imprese campane direttamente con la partecipazione al bando nazionale. Con questi fondi aggiuntivi dell’APQ si finanzieranno altri interventi a valere sulla graduatoria predisposta da Invitalia. In Campania sono stati presentati 119 progetti per oltre 500 milioni di investimenti. La Regione sarà quindi capace di finanziarli quasi tutti, dando un’ulteriore accelerata a crescita e occupazione. Per le aree di crisi complessa, il protocollo di Intesa varato con il Ministero dello Sviluppo Economico permette di predisporre i piani di riconversione industriale e specifici progetti pilota per le tre aree di Acerra-Airola-Marcianise, Napoli-Torre Annunziata-Castellammare, Salerno-Battipaglia-Solofra. La risposta degli imprenditori è stata in linea con le attese o si aspettava maggiore slancio? Quando indico i risultati positivi, includo nei destinatari del merito da condividere anche gli imprenditori che hanno mostrato una grande proattività. Le

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imprese, soprattutto quelle di eccellenza, dopo la crisi hanno ben compreso che occorre non guardare indietro, ma avanti. La direzione giusta è avere fiducia e consapevolezza dei propri mezzi, avere la capacità di competere. Le imprese campane stanno facendo tanto. E tanto è necessario facciano anche gli altri attori coinvolti. Non si può fare “una rivoluzione”, come le aziende stanno facendo al loro interno con il piano Impresa 4.0, senza una profonda innovazione digitale anche nella macchina amministrativa e questa, senza energie giovani, non è pensabile. Quando il presidente De Luca pone l’obiettivo di un Piano straordinario per il lavoro da realizzare in tempi rapidi, parte proprio da questo presupposto: non si può lasciare senza prospettive una fetta di giovani in attesa che quanto finora realizzato - infrastrutture e investimenti vada a regime. Va creato, invece, subito un ponte che preveda anche l’inserimento di giovani nella pubblica amministrazione. Dobbiamo tutti - istituzioni e imprese - proseguire sul percorso tracciato. I problemi sono tanti, non lo nascondiamo di certo, ma non si può tornare a una vecchia idea di Mezzogiorno. Abbiamo tutti gli strumenti per farcela, puntando sulle nostre capacità e su una grande forza innovativa. È sempre più concreto e vicino l’avvio delle Zone Economiche Speciali in Campania. In cosa consta il piano di sviluppo strategico della Regione, chi potrà investire e con quali agevolazioni?

«Con il credito di imposta fino a 20 milioni, la Campania nel solo 2017 ha ottenuto un miliardo e mezzo circa di investimenti produttivi, con un primo cofinanziamento di appena 25 milioni» È un tema di rilievo, che basa le sue fondamenta sul lavoro fatto in questi anni. Mettere insieme le capacità di sviluppo dei porti principali della Campania - Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia - significa potenziare le già grandi capacità di sbocco industriale verso il mondo. Questa forza dei porti è tanto maggiore se diventa capace di irradiarsi all’interno e di creare nuove connessioni tra le nostre attività produttive e i mercati internazionali, oltre ad attrarre ulteriori consistenti investimenti. Da qui la scelta di inserire le aree logistiche nella Zes, con le rispettive aree retroportuali. È già attivo il credito di imposta per gli investimenti da 20 a 50 milioni, con tempi dimezzati per autorizzazioni e procedure. Con il credito di imposta fino a 20 milioni, la Campania nel solo 2017 ha ottenuto un miliardo e mezzo circa di investimenti produttivi, con un primo cofinanziamento di appena 25 milioni. La Regione, con l’approvazione delle Zes, si impegnerà per operare una profonda semplificazione e rendere fluido questo meccanismo. La Campania è stata la prima regione a idearlo e, poi, a dotarsi del Piano di


Sviluppo Strategico della Zes, che con successivo decreto del Presidente del Consiglio sarà finalmente istituita e immediatamente operativa. È tuttora un work in progress, ma il dato certo è che si tratta di un’occasione di sviluppo per le istituzioni e gli operatori economici interessati.Tra le altre cose, abbiamo proposto al governo di avere una linea di accordi di sviluppo segnatamente dedicata alle Zes. Grandi investimenti per grandi imprese. Per le Pmi, invece, qual è stato l’impegno della Regione? Si è fatto molto. La dotazione per le Pmi, negli anni scorsi, è stata pari a oltre 160 milioni, resi disponibili attraverso diversi strumenti: 100 milioni un per intervento a favore della competitività delle imprese campane di piccole e micro dimensioni. In un solo anno abbiamo recuperato un grave ritardo della precedente amministrazione, avendo il coraggio di attivare una misura che era stata lasciata in un cassetto ed erogando fino all’ultimo euro alle imprese. Abbiamo poi sostenuto le Pmi con il tranched cover, le misure sui confidi, quelle sull’artigianato. Stiamo pensando, inoltre, a ulteriori strumenti sia a carattere incentivante (una grande misura per l’innovazione e le filiere delle Pmi), sia di finanza alternativa (con nuove misure per il credito e le garanzie, attraverso basket bond, equity e una sezione campana del Fondo Centrale di Garanzia).Su questi temi è di centrale importanza il ruolo di Sviluppo Campania e, a livello

«Bisogna connettersi a un sistema e rischiare. L’ecosistema si sta creando. Anche le occasioni di aggregazione stanno aumentando. Penso a settori come la bioeconomia e l’economia circolare che vedono splendidi esempi di imprese, molte anche nella provincia di Salerno, che hanno intuito la forza e le potenzialità di una logica di filiera vasta. Non si cresce da un giorno all’altro, ma insieme è possibile»

nazionale, le collaborazioni con Cassa Depositi e Prestiti e Banca del Mezzogiorno. Rispetto a quest’ultimo punto – la finanza alternativa - gli imprenditori campani secondo lei sono ancora refrattari ad aprirsi ai mercati e magari anche a capitali esterni? La cultura di impresa sta mutando. Rispetto a qualche anno fa, adesso si è avviato un ragionamento di sistema che poggia le basi sulla necessità di una crescita più coraggiosa e autonoma. Certo, la falcidia della crisi fa ancora paura ma non è più possibile arroccarsi. Lo richiede questa fase storica che stiamo attraversando a livello regionale, oltrechè nazionale e internazionale. Bisogna connettersi a un sistema e rischiare. L’ecosistema si sta creando. Anche le occasioni di aggregazione stanno aumentando. Penso a settori come

la bioeconomia e l’economia circolare che vedono splendidi esempi di imprese, molte anche nella provincia di Salerno, che hanno intuito la forza e le potenzialità di una logica di filiera vasta. Non si cresce da un giorno all’altro, ma insieme è possibile. Restando in tema di mercati, ritiene che il vento della propaganda protezionista potrebbe danneggiare l’export campano, in particolare quello del comparto agroalimentare? L’export è una voce fondamentale della nostra economia. La Regione sta attuando - come le ho raccontato - una politica industriale tesa all’attrazione degli investimenti ma è necessario che migliorino anche i volumi relativi alle esportazioni. La crescita dell’export campano è un dato costante negli ultimi anni, ma per migliorare in termini assoluti bisogna far crescere la struttura industriale della Campania. Attrazione degli investimenti e crescita del tessuto produttivo devono andare di pari passo. Per questa ragione stiamo anche lavorando sull’incremento della capacità di internazionalizzazione delle nostre imprese. Gli imprenditori e i lavoratori non sono soli, ma hanno un partner solido al loro fianco. Tra la Regione e chi rende vive le imprese c’è osmosi, non distanza. Del resto non potrebbe essere diversamente perché chi, nonostante la profonda crisi attraversata, si è rimesso in moto va sostenuto e incoraggiato. Ne va del successo dell’intera economia regionale.

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focus

La Campania e i beni culturali: peculiarità e strategie di crescita Se la regione si dotasse di un piano pluriennale per la cultura, che includa tutti i segmenti rilevanti (musei, archivi e biblioteche, beni archeologici, festival e manifestazioni), si avrebbe certezza dei finanziamenti su un arco temporale superiore all’anno, una prospettiva di policy di medio periodo e sarebbero possibili politiche selettive di Autilia Cozzolino Ricercatrice Ufficio Economia delle Imprese e del Territorio - SRM a.cozzolino@sr-m.it

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l settore dei beni culturali che rientra tra le principali economie analizzate da SRM (Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) - si inquadra in un contesto nazionale di vera e propria esplosione della domanda negli ultimi dieci anni, incurante della crisi economica. Nonostante l’incremento dell’offerta (soprattutto di parchi archeologici), la domanda rende sempre più affollate le strutture museali ed espositive di tutto il Paese, grazie ad un elevato consumo culturale dei residenti combinato con la dinamica del turismo internazionale, favorita anche da fattori geopolitici, che spostano il baricentro del turismo mediterraneo verso l’Italia. In questo dinamico contesto nazionale, per la Campania emerge il quadro di una regione di assoluta eccellenza per capacità di attrazione di consumi culturali e per offerta, che si configura come un hub di fruizione culturale per l’intero Mezzogiorno. Infatti, l’offerta culturale e museale campana, che appare piuttosto stabile, negli ultimi anni (+2,3% tra 2011-15), non evidenziando grandi variazioni nel numero delle strutture, è più rile-

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vante rispetto al dato meridionale: in Campania, infatti, esistono 3,7 strutture culturali, archeologiche o monumentali per 100.000 abitanti, a fronte di 1,2 per l’intero Meridione. Tale rilevante capacità di attrazione, però, si concentra in modo diseguale nel territorio regionale, essendo perlopiù focalizzata sull’asse Napoli-Pompei, e in misura minore sull’area di Salerno e sulla città di Caserta, nonostante le rilevanti risorse potenziali, insufficientemente valorizzate, anche delle aree interne della regione. L’offerta esistente appare peraltro da organizzare meglio, se si guarda ad un parametro quale l’integrazione in circuiti, che rappresenta un fattore di leva importante per valorizzare le strutture, perché consente a ciascun istituto che vi partecipa di usufruire, oltre che del potenziale di interesse suo proprio, anche dell’attrattività di tutti gli altri, in un gioco di miglioramento complessivo del sistema culturale territoriale. Su tale aspetto, la Campania deve ancora lavorare per essere all’altezza del dato medio nazionale relativo al numero di strutture collegate da un circuito. Un ulte-

riore parametro di qualità è dato dalla presenza di servizi accessori dentro i musei. Il sistema museale campano offre, in percentuali più alte rispetto alle medie meridionale e nazionale il servizio di archivio, restauro, ricerca, convegnistica. In un certo senso, l’attività scientifica e tecnica che ruota attorno ad un museo è ben rappresentata nelle strutture regionali, mentre manca qualcosa in termini di promozione/fruibilità (la presenza di siti web, sotto il primo aspetto, le strutture per disabili, per il secondo) e di servizi di leisure accessori (ristorazione). Evidentemente, una relativa carenza dei citati servizi incide negativamente sulla capacità attrattiva e sul bacino di mercato delle strutture museali campane. Si tratta, pertanto, di elementi sui quali lavorare, in termini di investimenti, per migliorare la dotazione. Non solo la Campania ha un bacino di mercato culturale consolidato che ne fa, come detto, un hub per tutto il Mezzogiorno (la Campania ha ben sette strutture museali fra le prime trenta d’Italia per visitatori, con gli scavi di Pompei al secondo posto e la


Reggia di Caserta al nono) ma le dinamiche di crescita della domanda sono più rapide sia rispetto al Mezzogiorno sia, anche, in confronto con la media nazionale. Il numero di visitatori degli istituti statali e non, cresce infatti di ben il 35,4% fra 2011 e 2015, una dinamica superiore di quasi sei volte rispetto a quella nazionale. Ciò porta ad una incidenza dei visitatori sulla popolazione sensibilmente più rilevante rispetto al resto del Sud e sostanzialmente allineata al dato italiano. Tali risultati sono il segno, oltre che, ovviamente, di una offerta di grande qualità (il che però è un dato comune a molte altre regioni italiane e meridionali) anche di politiche regionali e locali di promozione dell’offerta culturale particolarmente attive ed efficaci, di una sensibilità particolare da parte del policy maker campano rispetto alla valorizzazione del proprio patrimonio culturale. L’esplosione della domanda culturale campana in questi anni ha radici sia nei residenti, che nel turismo esterno. Sotto il primo profilo, con una spesa media mensile di 113,19 euro, la famiglia media campana spende per cultura più del resto del Mezzogiorno, ma nettamente meno rispetto alla media. Va tuttavia rimarcato che, mentre a livello meridionale e nazionale, a causa della crisi economica, la spesa in attività culturali e spettacolari o ricreative è stata compressa negli ultimi sei anni, essa è invece cresciuta in modo vivace in Campania, recuperando parzialmente il gap con la media nazionale. Il turismo, specie quello internazionale, è sempre più attratto dal patrimonio regionale, come attesta il fatto che Napoli sia la sesta città italiana di interesse storico-culturale, e la prima nel Sud, per presenze nel 2015, supe-

Basilica di Paestum, interno

rando città d’arte conosciute internazionalmente, come Bologna, Verona o Pisa e ovviamente le altre metropoli del Sud che hanno rilevanza culturale specifica. Le aree di ulteriore sviluppo del bacino culturale regionale provengono, oltre che dalle aree interne della regione e dal loro patrimonio spesso poco conosciuto (Sannio, Irpinia, per certi versi Cilento) anche da una migliore valorizzazione degli istituti museali non statali. Se, infatti, nel comparto statale per numero di istituti la Campania è la terza regione italiana (dopo Lazio e Sicilia) e il suo indice specifico di domanda (visitatori per istituto) è pari a più del doppio della media meridionale, in quello non statale, la Campania scivola al tredicesimo posto fra le regioni italiane e il suo indice specifico di domanda, pur rimanendo più alto delle medie del Sud e del Paese, è però a queste più vicino. Per quanto riguarda le politiche possibili per il settore, va rilevato come la Regione ponga già attenzione specifica al patrimonio culturale, utilizzando il PO FESR, con un finanziamento di 118,76 Meuro, al fine di promuovere la valorizzazione culturale. Tale intervento va però, da un lato, reso selettivo e dall’altro organico. Si propone quindi di adottare,

in linea con quanto già fanno alcune Regioni (ad es. la Toscana) un piano regionale pluriennale per la cultura, che includa tutti i segmenti rilevanti (musei, archivi e biblioteche, beni archeologici, festival e manifestazioni). Una simile scelta conferirebbe certezza dei finanziamenti su un arco temporale superiore all’anno, una prospettiva di policy di medio periodo e consentirebbe di rendere selettive le politiche. Va data priorità poi alle aree interne, a beni sottovalorizzati, anche prima del finanziamento diretto all’istituto, mediante opportune politiche di promozione di tali beni, sconosciuti, presso i mercati potenziali, integrandoli dentro itinerari turistici che partano dai beni-attrattori (quelli più rilevanti in termini di presenze) e si diramino verso quelli ancora poco visitati. Va inoltre posto rilievo ai servizi accessori e, in particolare, a quelli che sono risultati essere insufficienti, in termini di dotazione, rispetto alla media nazionale finanziandone la realizzazione. Infine va posto rilievo alla promozione dell’offerta culturale campana con opportuni investimenti di marketing, ma anche con accordi specifici con i tour operator, volti ad inserire nei pacchetti anche l’offerta sottovalorizzata della regione.

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l'opinione

Beni culturali in Campania, un patrimonio immenso Antonio Bottiglieri, da poco più di un anno alla guida della Scabec, tratteggia le caratteristiche dell’offerta culturale regionale, una proposta che «non si finisce mai di scoprire e conoscere completamente» di Raffaella Venerando

Antonio Bottiglieri Presidente SCABEC

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residente, con la sua presidenza la Scabec, nata come società privata e pubblica, ha definitivamente rinunziato all’apporto privato, avendo acquisito tutte le quote il socio (unico) cioè la Regione Campania. Quali sono e saranno le parole chiave della sua presidenza? La Scabec è nata quando con la riforma del titolo V della Costituzione Italiana sono stati affidati ruoli e funzioni alle Regioni, in tema di beni culturali. I beni culturali, infatti, furono individuati dal Parlamento come materia da decentrare: la titolarità dei beni restò allo Stato che deve provvedere soprattutto alla tutela, mentre promozione e valorizzazione sono diventate competenza delle Regioni. In Campania ci fu per l’appunto la fondazione della Scabec, società di cui il 49% delle azioni fu dato - con una scadenza decennale del contratto – a privati e il 51% restò di proprietà della Regione. Trascorsi i dieci anni le possibilità erano due: la quota del 49% veniva messa a gara oppure la Regione stessa poteva acquistarla, diventando

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così socio unico. Questa seconda strada fu la scelta nel 2015 dal nuovo presidente Vincenzo De Luca che, acquisendo l’intero pacchetto di quote, si è proposto di dare, in materia di beni culturali, funzioni primarie alla Regione appunto, attraverso la nostra società. Nei fatti, i dieci anni di gestione pubblico/privato avevano impedito la possibilità di individuare e far crescere nuove professionalità con competenze specifiche nei beni culturali. Per questa ragione, una delle prime iniziative del nuovo corso è stata quella di mettere in piedi un sistema di long list con il quale si raccolgono i profili di giovani bravi e preparati. Vogliamo far sì che i giovani ben formati nel nostro territorio, da Università e Centri di Formazione possano finalmente trovare un’opportunità di lavoro qualificato. Così abbiamo manifestato con bandi pubblici la nostra attenzione all’impegno di tanti giovani che si sono preparati nelle scuole e nelle università proprio per la valorizzazione dei beni culturali. In questo modo siamo ripartiti,

anche se con un po’ di affanno perché con il socio privato non c’è stato nemmeno un formale passaggio di consegne. Oltre alle iniziative di successo come “Un’estate da Re” o le aperture di alcuni siti museali by night riprogrammate, a cosa si sta dedicando? Viviamo in una regione così ricca e varia nella proposta di beni culturali da essere considerata quasi un unicuum. A sua volta la sola città di Napoli ha da offrire un patrimonio immenso: non si finisce di scoprirlo e non lo si conosce mai completamente. All’immenso patrimonio partenopeo è dedicato un progetto voluto dallo stesso presidente De Luca e affidato alla regia di un imprenditore napoletano, l’ingegnere Luigi Iavarone. Il progetto si chiama “Via Duomo - Strada dei musei”: una nuova sinergia di proposte artistiche e culturali tra il museo Filangieri, il Pio Monte della Misericordia, il Madre, il Complesso Donnaregina, la Biblioteca dei Girolamini, l'Archivio storico del Banco di Napoli, il museo Diocesano e del Tesoro di San Gennaro, e altri


ancora. In strade tra loro vicine e tutte vicine a Via Duomo si concentra infatti un’infinità di proposte culturali, artistiche prestigiose tali da poter organizzare un prezioso circuito. La Campania e Napoli, però, non sono solo arte antica o religiosa. Napoli e Campania sono ormai la patria dell’arte contemporanea. Penso a personalità e artisti della nostra terra come Mimmo Palladino, Francesco Clemente, Marcello Rumma o a Lucio Amelio e tanti altri che tanto hanno dato alla nostra regione e al mondo spunti e occasioni artistiche di grande valore. Su questo filone intendiamo creare proposte di pregio - come già fatto con la prima mostra Pompei@MADRE - che possano intercettare flussi di turismo dedicato. Restando in tema, il Museo MADRE, gestito dalla Scabec, è stato appunto teatro della mostra Pompei@MADRE. Materia archeologica cioè la prima grande esposizione che ha portato l’archeologia nei luoghi del contemporaneo. La buona arte di oggi con la buona arte di ieri è un mélange che funziona? Il Madre è il museo di arte contemporanea della Regione, in cui la Scabec non si limita al solo ruolo di promozione. Per esempio, questa di “Pompei@Madre” il ministro Franceschini l’ha definita «la mostra più bella dell’anno» e non a caso. Anche questa mostra, affidata a due bravissimi Direttori, Viliani e Osanna, è stata voluta espressamente dal Presidente De Luca. Si è mostrato come il patrimonio del passato non sia solo “eredità” o insegnamento, ma anche

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“metodo” cui fare riferimento per comprendere il presente e per delineare il futuro. Un esperimento di assoluto successo per il nostro patrimonio. Artecard resta un asset della Scabec. Rispetto a ieri, cosa offre oggi? Artecard è da sempre un piccolo gioiello della Scabec. Oggi va senz’altro migliorato, integrando l’offerta delle visite con proposte di percorsi sui quali viaggiare con biglietti comprensivi nella Card. Ma dalla Card passeremo prestissimo al digitale. Al momento, però, trasformare la Card in una app non è così semplice poiché basterebbero i tornelli della metropolitana a metterci in crisi. La sfida è ardua, ma l’interattività è l’unica strada possibile in una società in cui chi gestisce i beni culturali ha necessità di avere dati aggiornati e completi che funzionino da cartina di tornasole nella costruzione dell’offerta. Nel frattempo, stiamo lavorando anche alla robotica che accom-

pagnerà i visitatori e otterrà da loro - ad esempio - notizie e dati precisi sul gradimento. Qual è il vero nemico della cultura? Il conformismo o cosa altro? Il nemico numero uno resta sempre l’ignoranza. Si legge poco e male, e quando lo si fa su mezzi diversi da quelli tradizionali, non si approfondisce. La storia della cultura artistica è inseparabile da quella dell’umanità. Che identità umana racconta il patrimonio artistico e culturale campano? Mi ritrovo molto nella definizione che di Napoli data dallo scrittore Maurizio De Giovanni: se Milano è una città europea, Venezia e Firenze due bellezze da cartolina, Roma non una ma tante città, la sola vera metropoli italiana è Napoli, un luogo che nei secoli ha assorbito civiltà, costumi, cibo, lingue, musiche. A Napoli nessuno si sente estraneo: è una capitale, da sempre e sempre città internazionale.

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l'opinione

Antonia Autuori: «Il mio impegno nella promozione della cultura del dono» In tre anni la presidente della Fondazione Comunità Salernitana si è spesa per rafforzarne il radicamento sul territorio, sostenendo diversi progetti e bisogni emersi dal basso Antonia Autuori Presidente Fondazione Comunità Salernitana

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residente Autuori, l’ultimo Rapporto sul welfare ha fatto emergere quanto il contributo del terzo settore sia oggi considerevole nel modello sociale italiano. In particolare vivono una stagione da protagoniste le Fondazioni di comunità. Quella da lei presieduta come si è evoluta negli ultimi anni di crisi e quali obiettivi è riuscita a centrare per il territorio salernitano? Proprio a Salerno, sede della prima fondazione di comunità costituita nel Sud, in una iniziativa congiunta del Comitato per l'imprenditoria femminile della CCIAA presieduto da Angela Pisacane e della Fondazione della Comunità Salernitana, è stato presentato il terzo rapporto sul Secondo Welfare in cui si sottolineava l'importanza dell'intervento privato e del volontariato fatto anche di tantissime associazioni e cooperative nel fornire servizi complementari sì, ma indispensabili alle politiche di welfare messe in campo dal nostro Paese. In questo quadro di soggetti non pubblici, negli ultimi anni stanno assumendo un ruolo sempre

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più importante le Fondazioni di Comunità, cui è dedicato un intero capitolo a cura di Lorenzo Bandera. In particolare la Fondazione della Comunità Salernitana ha iniziato ad operare nel 2009 proprio in concomitanza dell'inizio della crisi, sollecitando e sostenendo attività e progetti innovativi sul nostro territorio. Le organizzazioni di terzo settore (beneficiari delle attività della Fondazione) hanno saputo accettare la sfida passando dalla richiesta di un contributo economico tout court alla formulazione di progetti funzionali alla realizzazione di azioni concrete di “secondo welfare”. Non è sempre facile far comprendere che la fondazione non è un “bancomat” ma che è un “motore” della comunità e quindi per funzionare deve essere a sua volta alimentato (di idee, di passione, ma anche di fondi!) e per questo siamo anche concentrati sull'incremento del patrimonio (è grazie alla rendita del patrimonio che possiamo finanziare progetti). Nove anni non sono molti per strutturare l'assetto di un organismo destinato a durare

di Raffaella Venerando

nel tempo, ma sicuramente oggi la Fondazione è meglio nota ed è diventata un riferimento anche per chi, non conoscendo le nostre realtà, vuole mettere in atto iniziative sociali sul nostro territorio e ha bisogno di riferimenti sicuri. La capacità di creare rete è di fondamentale importanza per le fondazioni di comunità. Ha incontrato soggetti e persone disponibili lungo il suo percorso? Personalmente ho sempre creduto che da soli si riesce a fare poco e che l'incontro di persone e realtà diverse non può che aumentare le sinergie e amplificare i risultati. E questo è ancora più vero quando si parla di Fondazioni di comunità, nate per superare il concetto di carità e trasformarlo in sostegno a progetti e bisogni che emergono dal basso in maniera organica. Sicuramente i 63 soggetti fondatori hanno creduto in questo obiettivo, anche se con il passare del tempo e il progredire della crisi non tutti hanno potuto continuare a sostenerci. L'esempio più significativo però


è sicuramente la realizzazione di un centro diurno e residenziale per persone disabili a Sala Consilina.La costruzione (4 piani per un totale 3.200 mq circondata da un oliveto) - dalla posa della prima pietra all'inaugurazione del centro diurno al pian terreno - è durata solo 3 anni. L’iniziativa è stata resa possibile grazie alla determinazione dell'associazione “Una Speranza”, ma anche alle sinergie che grazie alla Fondazione sono state messe in atto con la Fondazione Cariplo, la Fondazione con il Sud e tanti privati. Un peccato che, invece, gli istituti di credito del territorio non abbiano capito l'importanza di un simile progetto. Un lavoro fatto dalla comunità per la comunità in cui fondamentale è stata la componente del dono e della fiducia e che ha anticipato anche il dettato normativo previsto dalla legge 112/2016sul dopo di noi. Dal suo osservatorio quali sono i bisogni sociali più diffusi e complessi? I bisogni del nostro territorio sono numerosi, variegati e diversificati anche a causa dell’estensione territoriale della provincia. Moltissimi dei progetti che ci vengono presentati riguardano i bisogni legati alle disabilità e all'integrazione dell'assistenza fornita dal SSN, l'abbandono scolastico, il sostegno all'autoimprenditorialità (microcredito), l'integrazione di immigrati, ma ci vengono presentati anche progetti di restauro di opere d'arte particolarmente significative. Cosa manca per fare di più? Sul nostro territorio esistono tantissime organizzazioni non

profit che riescono a realizzare grandi progetti con piccole risorse. Spesso però reperire anche quantità di denaro limitate può essere difficilissimo. La Fondazione di Comunità serve proprio a questo, a mettere in contatto le organizzazioni e i singoli donatori permettendo così la realizzazione di sogni. Bisogna diffondere sempre di più e meglio la cultura filantropica tra di noi. Arrivare ad ognuno dei 158 comuni della nostra provincia e ai loro abitanti è la vera sfida. Questo è quello che abbiamo incominciato a fare coinvolgendo i soggetti pubblici, molti dei quali non ci conoscevano e al contempo promuovendo la cultura del dono come percorso ed esperienza di cittadinanza attiva. La strada da fare però è ancora molto lunga. Lei è anche una donna di impresa. In azienda la cultura del welfare è di certo aumentata, forse non del tutto nella percezione dei beneficiari. Quali sono le principali ricadute positive? Oggi è possibile diffondere e realizzare il sogno di Adriano Olivetti di una economia civile? La cultura del welfare sta sicuramente aumentando nelle imprese, sia per le politiche del lavoro che prevedono forme alternative di contrattazione di secondo livello, sia grazie alla importanza del dibattito aperto sul genere e alla presenza di un numero sempre maggiore (anche se esiguo rispetto alle percentuali di altri paesi) di lavoratrici e di donne in posti chiave. Venendo poi dall'esperienza di una impresa storica, per me la differenza tra azienda e famiglia è sempre stata molto sfumata e quindi il welfare nell'impresa è un

«È ancora lunga la strada perché la filantropia sia vissuta come forma di educazione alla cittadinanza attiva» fattore implicito. Adriano Olivetti aveva una visione globale della società e l'impresa era un attore fondamentale e imprescindibile dello sviluppo della comunità nella quale operava, l'azienda per lui non aveva motivo di essere se non legata al benessere del territorio e delle persone che vi abitavano. Oggi ci sono esempi di imprenditori innovatori come Adriano Olivetti in varie parti del mondo, anche in Italia. Certo,la globalizzazione non aiuta troppo perché sempre più imprese vengono gestite da gruppi finanziari disposti a delocalizzare a discapito dei territori e delle comunità che vengono abbandonate. La capacità degli imprenditori e dei manager di essere leader e leader visionari è fondamentale a mio avviso per costruire una società migliore.

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l'opinione

Della Porta: «Per le imprese, un lavoratore sano e informato è il miglior investimento» Per il Direttore del Dipartimento di Prevenzione ASL Salerno «promuovere formazione d’eccellenza in materia di salute e sicurezza è possibile. Meno attestati inutili, più competenze vere» Domenico Della Porta Direttore Dipartimento di Prevenzione ASL Salerno

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l 28 aprile si è celebrata la giornata mondiale per la salute e sicurezza sul lavoro. Statistiche alla mano, com’è la situazione sul nostro territorio? Dal punto di vista statistico, secondo i dati INAIL relativi al 2016, nella provincia di Salerno, su circa 160.000 addetti, si sono registrati 3.136 infortuni definiti positivamente, 646 malattie professionali e 8 infortuni mortali. La situazione di adempimento delle normative di sicurezza da parte delle imprese non presenta particolari difformità rispetto ad analoghe zone della Campania: il territorio è caratterizzato da una grande prevalenza di imprese piccole e di microimprese, nelle quali il datore di lavoro è inserito in prima persona nel ciclo produttivo della propria azienda. L’attività di prevenzione e di vigilanza nei luoghi di lavoro è ripartita in maniera peculiare fra l’Azienda Sanitaria Locale Salerno, tramite i Servizi di Igiene e Medicina del lavoro, il Servizio Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro (il cui organico di tecnici della prevenzione, dopo venticinque anni di stasi, è stato incrementato di 15 unità) e l’Ispettorato Provinciale del

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Lavoro (IL). La bilateralità ha una diffusione sostanzialmente limitata al settore edile; in tutti gli altri comparti, compresi l’artigianato, gli organismi paritetici, pur quasi sempre costituiti, gestiscono prevalentemente fondi di settore e l’attività formativa alla sicurezza è sostanzialmente in mano alle associazioni datoriali. Grazie al radicamento delle organizzazioni datoriali e sindacali tradizionali e all’intervento dell’Ispettorato del Lavoro ha scarsa diffusione la bilateralità di comodo e la relativa formazione alla sicurezza fittizia. È degno di nota l’impegno profuso dalle strutture provinciali di formazione professionale, che non solo offrono un ricco calendario di corsi rivolti all’aggiornamento dei lavoratori, datori di lavoro, Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP), coordinatori ecc., ma cercano anche di implementare nei curricula scolastici la formazione ex articoli 34 e 37 del D.Lgs. 81/2008. Con qualche ritardo sull’approvazione degli accordi 221/2011, 223/2011 e 53/2012, è partito anche il sistema di accreditamento degli enti formatori privati.La reale diffusione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza

di Raffaella Venerando

(RLS) aziendali, in mancanza di statistiche affidabili, non è nota; potrebbe essere significativamente migliorata con un maggiore coinvolgimento delle parti sociali. Infine, le dimensioni aziendali medie, la complessità e i costi di implementazione limitano la diffusione di Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro (SGSL), anche se si sta sviluppando un’attenzione alla certificazione e, in minore misura, ai modelli di organizzazione e gestione. La tutela è “uguale” per tutti i lavoratori? Nell’ambito della tutela di salute e della sicurezza sul lavoro sono ancora molti i fattori di disuguaglianza, alcuni più evidenti e altri più difficili da far emergere. Fermo restando che la normativa italiana è piuttosto avanzata e completa, rivolta a tutelare in maniera uniforme i lavoratori subordinati e assimilati e a richiedere quanto meno ai lavoratori autonomi e ai loro familiari dediti all’attività manuale un impegno anche in favore della propria salute (articolo 21 e norme speciali del D.Lgs. 81/2008), è comunque migliorabile la tutela della salute nelle piccole e microimprese, nelle attività lavorative svolte all’a-


perto e connotate da un rapido mutamento dei luoghi di lavoro (agricoltura, silvicoltura, edilizia) e dei lavoratori autonomi. Per i lavoratori subordinati il grado effettivo di tutela risente, oltre che della dimensione aziendale, anche della tipologia contrattuale (contratti atipici e precari, compresi i voucher, stagionali), dell’autonomia contrattuale o parasubordinazione fittizia (false “partite iva”), della consistente e non sempre evidente prestazione transfrontaliera di lavoro e dall’elevata presenza di migranti nelle attività più a rischio. Prevenzione e formazione sono le risposte al “problema”: è cresciuta la sensibilità verso questo aspetto? Occorrono meno attestati inutili, più formazione vera. Promuovere formazione d’eccellenza in materia di salute e sicurezza è possibile. Mentre fino a qualche anno fa si pensava erroneamente che il lavoratore fosse disinteressato alla formazione, oggi chi lavora pretende il massimo. È essenziale, dunque, abbattere quel muro divisorio tra datore e lavoratore e incentivare i centri di formazione qualificati. Tuttavia, bisogna stare molto attenti perché in giro ci sono molti formatori che millantano competenze che, di fatto, non hanno. Il rischio è che anche gli enti pubblici possano cadere nelle mani di centri di formazione incompetenti. Un ruolo fondamentale per la diffusione della cultura della sicurezza è giocato indubbiamente dalla scuola, considerando che gli studenti di oggi sono i lavoratori e i datori di lavoro di domani. Nello specifico, allora, cosa è possibile fare per migliorare la sicurezza e

la salute dei giovani lavoratori? I giovani sono più esposti ai rischi sul lavoro per diverse ragioni, tra cui la mancanza di esperienza, maturità, consapevolezza dei rischi, competenze e formazione. I giovani, inoltre, possono non essere a conoscenza dei loro diritti e dei doveri del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza; possono essere restii a parlare apertamente dei problemi e più propensi ad accontentare il loro nuovo datore di lavoro. Occorre, pertanto, assegnare ai giovani lavori sicuri e adatti alle loro competenze e capacità psico-fisiche, nonché offrire loro una formazione e una supervisione adeguate. Bisogna promuovere una cultura preventiva fra i neoassunti, ma anche a tutti i livelli dell’istruzione. La prevenzione degli infortuni e dei problemi di salute per i giovani lavoratori comincia a livello politico, attraverso la legislazione nonché programmi e campagne di sostegno. La legislazione nazionale obbliga i datori di lavoro a prestare particolare attenzione ai minorenni e ai giovani lavoratori e sottolinea l’importanza di creare una cultura della sicurezza. È una buona base per ridurre al minimo i rischi legati alla sicurezza e salute sul lavoro per i giovani lavoratori. È altresì importante far capire alle imprese che il loro migliore investimento per il futuro è avere lavoratori sani e ben informati. In concreto, quali azioni è necessario intraprenda un’azienda per dirsi sicura? In primis, come detto, occorre insistere sulla formazione sul luogo di lavoro nell’ambito della gestione generale della sicurezza,

«Un ruolo fondamentale per la diffusione della cultura della sicurezza è giocato indubbiamente dalla scuola, considerando che gli studenti di oggi sono i lavoratori e i datori di lavoro di domani»

onde prevenire i rischi sul luogo di lavoro e garantire che i giovani lavoratori, ad esempio, svolgano solo le mansioni adatte alle loro capacità psico-fisiche sotto un’adeguata supervisione. La formazione da sola, però, non è in grado di ridurre i rischi efficacemente. Sono necessari azioni e interventi basati sulla valutazione del rischio e garanzia che le azioni siano attuate, monitorate e riesaminate. Indispensabile diventa pure la consultazione e partecipazione attiva dei lavoratori; il fissare obiettivi di apprendimento chiari, incentrati sullo sviluppo delle competenze; rendere la SSL parte integrante della formazione durante il periodo di inserimento sul posto di lavoro; utilizzare metodi di apprendimento attivi e partecipativi, possibilmente sul luogo di lavoro effettivo che consentano, ad esempio ai giovani, di imparare a riconoscere i pericoli ed esaminare e risolvere i problemi reali legati al lavoro. Infine, bisogna che formazione e sviluppo delle competenze in materia di SSL parti integranti della formazione continua e dello sviluppo della carriera. Per legge, la SSL non deve essere oggetto di un’unica e sola formazione all’inizio di un lavoro.

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confindustria

Milano Design Week, il made in Salerno fa bella mostra di sé Dodici aziende del Gruppo Design Tessile Sistema Casa di Confindustria Salerno sono state protagoniste al Fuorisalone con l'esposizione Marèe, curata dall'architetto Francesco Giannattasio a cura di Raffaella Venerando

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reatività, ingegno, arte, mestiere. Che si tratti di un tavolo, una sedia, un’automobile o una lampada, da sempre alcuni oggetti di design italiano - ben oltre la propria funzionalità - sono capaci di evocare stili di vita e progetti fatti bene e fatti belli. Un pezzo del made in Salerno, anche quest’anno, è arrivato fino alla Design Week di Milano. Ben 12 sono state infatti le aziende del Gruppo Design Tessile Sistema Casa di Confindustria Salerno che hanno dato mostra di sé esponendo al Fuorisalone del Mobile alcuni dei manufatti creati da giovani designer nel corso della seconda edizione del contest Young Factory Design. Location esclusiva è stato il Brera District, punto di riferimento dell’eccellenza italiana della moda e del design e cuore pulsante del Fuorisalone. «Siamo, insieme, alla nostra seconda esperienza alla Design Week di Milano - afferma Valeria Prete, presidente del Gruppo Design Tessile Sistema Casa di Confindustria Salerno - a riprova che i nostri prodotti hanno i numeri giusti per competere in

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qualità, design e innovazione in uno scenario internazionale come quello del Salone del Mobile. Anche quest’anno protagonisti gli oggetti nati dall’incontro tra le aziende manifatturiere e i giovani designer che hanno partecipato allo Young Factory Design, il concorso di idee indirizzato ad architetti, designer e progettisti under 40 giunto alla sua seconda edizione». L’esposizione - Marèe L’appartenenza è stato il concept principale dell’esposizione, curata dall’architetto Francesco Giannattasio. L’ “essere” una goccia del “nostro” mare, quello della “nostra” terra, è il fil rouge che ha accomunato le dodici aziende, espressione non solo del proprio know-how ma di un più ampio networking d’impresa, fatto di sinergia ed empatia tra azienda e designer. Stesso tema sotteso anche al ciclo di workshop, ideati come un percorso di ricerca della progettualità come crescita e stimolo. Gli argomenti trattati sono stati “Lo sviluppo degli errori come progetti”, con l’architetto Davide Crippa; “Progettare con empatia” con l’ar-

chitetto Francesco Giannattasio; “Innovazione e design” con Marco Baione e “Oggetti e spazi intelligenti” di nuovo con l’architetto Davide Crippa. Insieme ai prodotti di design delle aziende campane del Gruppo, hanno partecipato alla sezione Campania Food & Design 3 aziende che si sono contraddistinte nella forte sensibilità di unire cibo e design. D’Amico con i suoi nuovi "Vasi d’Autore" di Mario Consiglio. La collezione si compone di 4 vasi di design in edizione limitata, che si trasformano in eleganti contenitori da riutilizzare in maniera creativa per arredare la casa con stile e originalità. De Vivo con i suoi Babà e Chips dal packaging ricercato ad esaltare la tradizione e l’eleganza dell'azienda.Italianavera, azienda che racconta i pomodori, con stile e umorismo. Le aziende partecipanti: Tekla srl facciate continue infissi | porte Manifatture Tessili Prete prodotti tessili per la casa in lino


Cianciullo Marmi marmi

Francesco Giannattasio con Valeria Prete

Marmi Sacco marmi Lamberti Design prodotti in acciaio e finiture MGR Group tappezzeria automotive e rivestimenti arredi Hebanon - F.lli Basile arredo di lusso A4 Design contractor Opus Mosaici ceramiche Marine Leather pelli per arredo Dreamness materassi Ciesse Cucine cucine Elenco dei progetti del Contest YFD esposti: > Lampada "Totem" Opus Mosaici > Piastrella "Gold line" Opus Mosaici

La FG Industria Grafica ha curato la Stampa Uv su pannelli per l’allestimento Marèe

> Piatto " play sushi" Opus Mosaici > Vestale Lamberti design Manifatture Tessili Prete > Cube Cianciullo marmi > Doghe Coffe Table Marmi Sacco

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confindustria

Hebanon Fratelli Basile®, una stella del lusso Al Salone del Mobile di Milano è stata l’unica azienda campana ad esporre allo Stand G02 HALL 1

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na sola azienda campana è stata protagonista del padiglione del lusso al Salone del Mobile: stiamo parlando della Hebanon Fratelli Basile®, azienda che da cinque generazioni si dedica all’ebanisteria interpretando in modo autentico e raffinato tutto il bello del legno. L'esposizione di quest'anno, curata dal direttore artistico Giovanna Basile e progettata dagli architetti e designer Maria Basile, Roberto Rago e Noemi Verdoliva e per l’illuminazione dalla John Cullen Lightings®, era incentrata sull'uomo contemporaneo, sul suo legame con la storia e la cultura e sul suo rapporto con la natura. Il

brand Hebanon® rappresenta non solo eleganti mobili di maestria ebanista: Hebanon® è l'amore e la passione che la famiglia Basile mette nelle proprie creazioni da quasi duecento anni. Le migliori creazioni dell’ultima collezione, esposte come in una galleria d'arte, si fondono con gli ambienti più familiari e conviviali della “cucina” dando vita ad uno scenario insolito che rivela il vero volto dell'azienda: 18

Hebanon® è arredo d'ispirazione artistica che trasmette il calore e la passione di chi lo crea. Hebanon® è anche una famiglia e una community dell’eccellenza: intesse connessioni con i propri clienti ma anche con partner che sposano gli stessi valori e standard qualitativi, come Neolith® - Pietra sinterizzata - e i maestri della Real Fabbrica di Porcellana di Capodimonte - istituto ad indirizzo raro della ceramica e porcellana - Giovanni Caselli, presenti in questo progetto per il Salone del Mobile 2018. Hebanon Fratelli Basile® nasce nel 1830; è una famiglia prima ancora di essere azienda, che tramanda i segreti dell’arte ebanista di generazione in generazione. Hebanon racchiude in sé il valor del saper fare “bene”, affianca al patrimonio umano e al suo caveau di tranciati pluricentenari, strumenti tecnologicamente avanzati, materiali preziosi e innovativi, costruisce e personalizza insieme all’interlocutore mobili d’arte e Design, Cucine e Boiseries 100% made in Italy, fatti per resistere al tempo e alle tendenze. Il marchio Neolith® - leader di settore con un fatturato di oltre 400 milioni

di euro - è il risultato di processi di ricerca e sviluppo all'avanguardia. Il prodotto è naturale e riciclabile al 100%, composto da materie prime - argille, feldspato, silice e ossidi minerali naturali. Neolith®, con la sua porosità prossima allo zero, rende il prodotto igienico, antimacchia, facile da pulire e impermeabile ai prodotti chimici.La nuova linea cucine di Hebanon® presentata al Salone del Mobile combina tra loro legni rari e accattivanti intarsi geometrici, riqualificando l'ambiente cucina come uno spazio prezioso da esibire e non da nascondere. Sicuramente l'aggiunta del Neolith®, magistralmente lavorato da Group Marmi Rega e proposto come top, pavimento e rivestimento pareti, ha aggiunto quel tocco di classe che ha reso ancor più uniche le creazioni di Hebanon®.


Un viaggio nell’arte e nei colori Artigianalità, tradizione e design nelle collezioni della Ceramica Francesco De Maio al Salone del Mobile di Milano. Tra queste, trionfa Blu Ponti

trentatrè decori bianco e blu che Gio Ponti realizzò tra il 1960 e il 1962 per pavimentare, con diverse combinazioni, la hall e le cento camere dell’Hotel Parco dei Principi di Sorrento, il primo hotel design al mondo. Tutto questo è il “Blu Ponti” di Ceramica Francesco De Maio: maioliche in formato 20x20cm con spessore 12,5 millimetri, che riproducono fedelmente lo smalto, i colori, i decori e lo spessore degli anni ’60. Rigorosamente decorate a mano con l’antica tecnica di decorazione della stampa a mano. Una mascherina di carta speciale,

della produzione, distribuzione e commercializzazione dei 33 decori che Gio Ponti realizzò nel 1960 per l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento, ha presentato nella città meneghina le sue meravigliose installazioni, con una grande parete dedicata proprio al Decoro Tipo 3 di Gio Ponti. Oltre al mare, c’è il “Verde Verticale” del Sentiero che attraversa la Costiera Amalfitana - per la sua bellezza chiamato “degli Dei” ricco di specie botaniche mediterranee riprodotte nei decori di arbusti, felci e cactus per piastrelle in ceramica, rigorosamente dipinte a mano, che potranno essere

avente la sagoma del disegno da eseguire, viene poggiata sulle piastrelle, pezzo per pezzo, così che il decoratore può distribuire il colore con un pennello che lascia le striature tipiche della pennellata e ne sfuma il colore. La Ceramica Francesco De Maio, licenziataria mondiale ed esclusiva

abbinate agli arredi più moderni per uno stile green chic. E non poteva mancare la luna! A creare armonia tra le fedeli riproduzioni della celebre Collezione “Blu Ponti” e le sfumature del “Verde Verticale” c’è la Collezione “Luna Chiena” in un gioco accattivante di specchi e mosaico.

Blu Ponti di Ceramica Francesco De Maio DECORO TIPO 30

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re collezioni che sanno di arte, bellezza e natura sono state al centro dell’esposizione della Ceramica Francesco De Maio. Il Blu Ponti, Verde Verticale e Luna Chiena, sono frutto di tre poeticità differenti, accomunate però dalla stessa pregevole sapienza artigianale e artistica. C’è tutta la magia della Costa sorrentina nella Collezione Blu Ponti, emblema perfetto di quel made in Italy che rende unico il nostro Paese nel mondo. Un’esplosione di decori dove l’azzurro del cielo e il blu del mare non hanno più fine, in un intreccio infinito di forme e colori. I colori del cielo e del mare nei

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confindustria

Il pericolo dei falsi sacchetti bio Uno su due attualmente in circolazione è irregolare. Per contrastare questo fenomeno, la Re.Ma.Plast, insieme con Legambiente, ha avviato la campagna di sensibilizzazione "Io sono legale"

Alfonso Campitelli Presidente Gruppo Chimica Gomma Plastica Confindustria Salerno

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l 2018 si è inaugurato con la rivolta dei consumatori contro la legge che imponeva loro il pagamento dei sacchetti biodegradabili e compostabili per alimenti sfusi o a contatto diretto con i cibi. Al di là delle polemiche poi sopite, resta in piedi, ma purtroppo ancora sottotraccia, un altro aspetto della questione: contengono davvero materia prima rinnovabile al 40% i sacchetti presenti nei reparti o nei negozi di ortofrutta, macelleria, gastronomia e pescheria? I numeri di Legambiente raccontano un’altra verità: il 50% dei sacchetti per la spesa attualmente in circolazione è illegale, altro che biodegradabile e compostabile! Un sacchetto su 2 contiene una più alta percentuale di plastica tradizionale, rispetto ai limiti consentiti dalle norme, per aumentare i guadagni di chi li produce, di chi li distribuisce e di chi li compra. Un vero e proprio mercato parallelo, una borsa nera che, oltre a procurare danni all’ambiente, lede chi produce correttamente bioplastiche compostabili. Un giro di affari illegale che comporta una perdita per le vere aziende bio di 160 milioni di euro, di cui 30 per evasione fiscale e 50 di aggravio per i costi di smaltimento.

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Occorreva, pertanto, suonare il campanello d’allarme per svegliare le coscienze di tutti e contrastare questo fenomeno. La Re.Ma.Plast lo ha fatto e, in collaborazione con Legambiente e Novamont, ha avviato da qualche mese la campagna di sensibilizzazione "Io sono legale". L’iniziativa vuole combattere il “pizzo” degli shopper illegali informando e istruendo i cittadini sul come si riconosce un falso biosacchetto. Conoscere per capire, per denunciare, per pretendere che quei 2 centesimi spesi a sacchetto siano per uno shopper legale. La mia azienda dal 2005 ha concentrato una notevole parte della produzione nel settore ecosostenibile per la campionatura dei sacchetti biodegradabili-compostabili perché il rispetto dell’ambiente non è una moda e come tale va insegnato. Per questo la campagna concentra le sue attività di informazione nelle principali piazze - abbiamo cominciato con quelle della Campania - per poi proseguire con percorsi didattici nelle scuole, che hanno visto il coinvolgimento di oltre 500 studenti solo negli istituti della nostra regione, venuti in visita presso la Re.Ma.Plast per vedere da vicino come si produce un vero sacchetto biodegradabile e com-

postabile. Bioplastiche o plastiche biodegradabili e compostabili sono solo quelle che rispettano tutti i criteri delle norme scientificamente riconosciute per la biodegradabilità e la compostabilità dei prodotti plastici come quelli su base amido e quei prodotti registrati dall’organismo di certificazione belga Vincotte. Se non c’è il timbro di conformità alla norma UNI EN 13432:2002 il sacchetto non è bio e, pertanto, non sarà nemmeno utilizzabile per la raccolta dei rifiuti organici. Far crescere la coscienza civica, però, richiede tempi lunghi. Nell’immediato è necessario anche un segnale forte da parte delle autorità deputate al controllo, per rimettere ordine in un settore dove c’è chi - spesso paradossalmente isolato - sta facendo del suo meglio per ridurre l’impatto ambientale.


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o.pastore@confindustria.sa.it 21 m.pallotta@confindustria.sa.it Maggio | Giugno 2018


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PiantaGrani, l’innovazione da storie dei semi buoni L’azienda di Loredana Parisi nasce nel 2017 con la creazione e lo sviluppo di un inedito modello per l’innovazione territoriale, la retro-innovazione, il product e il corporate storytelling PiantaGrani, dal gennaio 2017 ha progettato e sviluppato due progetti/marchi proprietari: • Storie di Piantagrani: blog/progetto di comunicazione digitale. • PandeiPani: prodotti da forno con grani tradizionali. Oltre ai marchi, PiantaGrani ha curato anche lo sviluppo e l’inserimento sul mercato dei relativi prodotti, attraverso l’attivazione di una selezionata rete di partner guidata secondo specifici protocolli proprietari.

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iantaGrani si muove attraverso due ambiti di attività: #1 - Lo storytelling e il marketing territoriale PiantaGrani sviluppa progetti di marketing territoriale, propone e cura strategie di valorizzazione e narrazione di prodotti e servizi, soprattutto nei settori agro-alimentare, culturale, turistico e ambientale. Lo fa applicando un proprio modello: individua le specificità di un’azienda, prodotto o servizio (conoscenza); progetta e propone la strategia più adatta a dare loro valore (valorizzazione) e fa sì che diventino correttamente visibili (promozione). PiantaGrani attiva infine le giuste reti per fare in modo che le aziende, i prodotti o i servizi crescano (connessione). L’azienda ha la capacità di imprimere ai progetti “ri-acquisizione” di senso e valore, sia attraverso contenuti e creatività dedicate, sia attraverso lo specifico utilizzo della tecnica e della emozionalità dello storytelling. #2 - I prodotti e i marchi L’idea di base dalla quale nasce PiantaGrani è la creazione concreta di una filiera produttiva di eccellenza per la realizzazione di grani e pani tradizionali. Metaforicamente e dal punto di vista antropologico, il pane è elemento “eletto” di conoscenza, valorizzazione, promozione e connessione. Da questa idea sono nate e cresciute le storie, le reti e le creazioni.

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«Il pane è elemento “eletto” di conoscenza, valorizzazione, promozione e connessione. Da questa idea sono nate e cresciute le storie, le reti e le creazioni»

via Sperlonga 84020 - Palomonte (Sa) Tel. +39 339 4244104 info@piantagrani.com www.piantagrani.com www.storiedipiantagrani.blog www.pandeipani.it


C.P.M., la meccanica con precisione Grazie alla massima qualità ed efficienza dei suoi lavori, l’Officina da più di trent’anni è partner di grandi committenti dei più diversi comparti produttivi, in particolare dell’aeronautico

via Alessandro Manzoni, 76 84018 | Scafati (Sa) Tel./fax: 081 8509596 (ISDN) www.officinecpm.com info@officinecpm.com

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dettagli fanno la perfezione. A sostenerlo, Leonardo da Vinci che attribuiva alla somma dei particolari il risultato di un progetto. Lo sanno bene alla C.P.M. - Officina Meccanica di Precisione, sita a Scafati (SA), scelta per la massima qualità ed efficienza dei suoi lavori come partner da grandi committenti dei più diversi comparti produttivi. Nata nel 1987, l’azienda si è nel tempo specializzata nella realizzazione di particolari meccanici di precisione lavorati come da disegno tecnico fornito dal cliente. Con un attrezzatissimo parco macchine e uomini altamente specializzati, la C.P.M lavora come sub-fornitore per conto terzi, specie nel settore aeronautico in cui vanta una esperienza lunga trenta anni. Al contempo, effettua anche lavorazioni di piccole e medie dimensioni realizzando prodotto verticalizzato, dall’acquisto di materie prime fino alla realizzazione delle parti, compresi i processi speciali (trattamenti termici, galvaniche…). Lo stabilimento, costruito nel pieno rispetto della normativa vigente sulla sicurezza sul lavoro, occupa un’area di 1500mq suddivisi in area produzione (700mq), sala metrologica (50mq), uffici (150 mq), più 600mq adibiti a parcheggio e a movimentazione carico e scarico materiale. Le aree adibite a magazzino consentono la collocazione del materiale secondo le specifiche del cliente, garantendogli lo svolgimento delle attività

di collaudo dalla ricezione fino alla spedizione. Infatti, la CPM è dotata di una sala metrologica in ambiente controllato attrezzata con: • Video microscopio di misura; • Piano di granito; • Altimetro centesimale; • CMM Zeiss a scansione continua, che permette di controllare le parti con tolleranze spinte fino al millesimo di millimetro. Oltre alle attività proprie di un’officina meccanica di precisione, la C.P.M. offre anche formazione qualificata per immettere sul mercato profili professionali specifici del settore Meccanico-Aeronautico. Maggio | Giugno 2018

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Tempor SpA, a lavoro dove c’è lavoro Presente in tutta Italia, è tra le prime dieci società autorizzate nel settore della fornitura di lavoro interinale, svolgendo tutte le attività di interme­diazione

temporcosenza@tempor.it www.tempor.it

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empor Spa - Agenzia per il Lavoro nasce in Italia nel 1995 grazie all’iniziativa di un gruppo di professionisti attivi nel settore della Gestione delle Risorse Umane. Tra le prime dieci società autorizzate nel settore della fornitura di lavoro interinale, Tempor svolge tutte le attività di interme­ diazione. Certificata ISO 9001:15 e SA8000:2014, ha ottenuto dall’Autorità per la Concorrenza e il Mercato il Rating di Legalità con il riconoscimento di “2 stelle +”. Tempor è presente in Italia in tutte le aree strategicamente rilevanti e, grazie alle proprie filiali, offre copertura su tutto il territorio nazionale. Un’efficiente rete di interscambio tra le filiali consente all’agenzia di assicurare una costante cura anche dei territori in cui non è direttamente presente. Tutto questo per essere sempre al lavoro dove c’è lavoro. LE “SOLUZIONI AL LAVORO” somministrazione di lavoro a tempo determinato e indeterminato; ricerca e selezione (permanent); ricollocazione professionale (outplacement); formazione; organizzazione aziendale nel settore Risorse Umane. VALORE ALLA PROFESSIONALITÀ Il valore professionale che l’agenzia ricerca nel personale è il suo stesso valore costituente, fondato essenzialmente su: professionalità: in una logica di assoluta qualità dei servizi offerti, l’attenzione costante alla formazione e alla corretta individuazione dei compiti e delle specifiche competenze richieste fanno delle risorse proposte una risposta sempre all’altezza delle esigenze del 24

mercato; eticità: il puntuale rispetto delle norme e l’assoluta priorità dei diritti dei lavoratori consentono all’agenzia di garantire la qualità del servizio e una reciproca soddisfazione da parte dei clienti e dei lavoratori; problem solving: il modus operandi parte da un’attenta analisi delle problematiche connesse alla gestione delle risorse umane. Questo consente a Tempor di ricercare, individuare e offrire le soluzioni più efficaci dal punto di vista professionale e umano. I PERCORSI DI FORMAZIONE Intelliform Spa, holding di Tempor, è specializzata nella formazione professionale erogata attraverso le numerose opportunità offerte alle Aziende che hanno bisogno di riqualificare il proprio personale interno.


Convergenze S.p.A., risultati in crescita per la multi-utility salernitana La capillarità della presenza a livello europeo ha portato l’azienda di Capaccio Paestum ad essere, con circa 2000 adiacenze, la rete più interconnessa d’Italia e la decima al mondo

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onvergere, muovendo da punti diversi, verso un unico scopo. Il nome scelto per l’azienda Convergenze S.p.A. non poteva avere intenzioni più chiare. Convergenze è una multi-utility di Capaccio Paestum, attiva a livello nazionale con servizi Internet, voce, energia e gas naturale. Nata nel 2005 dall’intuizione di Rosario Pingaro, sua sorella Grazia e di Gianluca Mandetta con l'obiettivo di colmare, attraverso la tecnologia wireless HIPERLAN, il digital divide nel Cilento, l’azienda è riuscita a portare la connettività in zone non ancora servite dalla banda larga. Presto risulta chiaro che la sfida competitiva nei confronti dell'Incumbent può essere affrontata ampliando l’offerta con un bundle Voce + Dati. L’azienda sceglie di richiedere al Mise l'Autorizzazione Generale per l'offerta al pubblico di servizi di fonia fissa come operatore di telecomunicazione, prima locale, poi regionale e dal 2015, nazionale. Convergenze chiude il bilancio 2017 con un fatturato di 12M di euro in crescita del 40%YoY e un ebitda del 10%. Le tecnologie di accesso a Internet oggi disponibili sono: ADSL ATM ed ETH, VDSL2 (FTTC) e FTTH in wholesale TIM, ADSL2+ e VDSL2 negli stadi di linea aperti in ULL (20 Centrali) e FTTH GPON e Wireless Mimo 4x4 su reti proprietarie. I punti di interconnessione verso il mondo esterno sono: Namex (Roma), Mix (Milano), AMSIX (Amsterdam), LINX (Londra) e ANY2 (Los Angeles). La capillarità della presenza, con circa 2000 adiacenze, consente a Convergenze di avere la rete più interconnessa d'Italia e la 10° al mondo. La rete di Convergenze per l'offerta dei servizi di fonia fissa oggi si basa su una doppia architettura: TDM SS7 e ITC-IP, quest'ultima derivata dalla tecnologia voip SIP. I punti di interconnessione con la rete voce di TIM sono in continua espansione (4 nuovi nodi/anno) e annoverano i seguenti OPB: Roma, Pescara, Brescia, Nola, Ancona, Firenze, Perugia, Milano e Bari. La completezza dei servizi, il controllo della filiera e il supporto diretto al cliente finale, fanno di Convergenze un partner affidabile e tecnologicamente all’avanguardia. Nel 2015, l’azienda decide di ampliare ancora la gamma dei servizi, aprendosi al mercato dell'energia e del gas naturale sviluppando una Business Unit che, in brevissimo tempo, è divenuta il motore della crescita aziendale, raggiungendo oggi valori di ricavo prossimi al settore Telco. La sede operativa, il Convergenze Innovation Center, è di fatto un modello di efficienza che, con un data center con spazio attrezzato di 20 Rack, uno disponibile di 60, un UPS ridondato da 400kVA, un doppio circuito refrigerante da 70kwatt, da un gruppo elettrogeno di 450kwatt, connettività da 50gbps, è uno dei più avanzati e potenti del Sud Italia. Sul tetto dell’edificio è stato realizzato il più grande impianto fotovoltaico del Sud Italia con tecnologia vetro - vetro. Convergenze persegue un suo modello di business ispirato alle green practices: non solo l’energia venduta proviene

Rosario Pingaro

esclusivamente da fonti rinnovabili, certificata dalle Garanzie d’Origine , ma ha fortemente investito per realizzare una rete di colonnine di ricarica per auto elettriche e incentivare così la mobilità sostenibile. La colonnina Electric Vehicle Only nasce da una perfetta sintesi tra tecnologia innovativa e stazione di ricarica tradizionale: ha al suo interno una connessione hotspot, che la localizza con immediata facilità e la rende fruibile da chiunque voglia ricaricare il proprio veicolo, senza dover per forza avere un contratto con Convergenze. Proprio questo la rende differente dalle normali stazioni di ricarica. Convergenze ha conseguito quattro Certificazioni di Qualità: la ISO 9001, la ISO 14001, la OHSAS 18001 e infine la ISO 27001 che certifica l'efficienza del sistema di gestione per la sicurezza delle informazioni e assicura l'integraità, la riservatezza e la gestione di tutti i dati sensibili. Per il prossimo futuro, Convergenze è pronta ad aprire il suo capitale per finanziare la sua strategia di M&A. La voglia di crescere non si ferma.

via Seliano 2, Capaccio Paestum 84047 - Salerno Numero Verde: 800 987 787 info@convergenze.it | convergenze.it

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Karoma Caffè, tutto l’aroma della tradizione Nata nel 1986 dall’idea imprenditoriale di Salvatore Ferraioli, oggi la Feio S.r.l. – detentrice del brand diffuso in ambito nazionale e internazionale - è una realtà in costante crescita

«I mercati di principale interesse ad oggi sono Cina, Stati Uniti, Canada, oltre a numerosi Paesi europei»

via Delle Fontane, 45 84012 Angri (SA) tel: 081.513.29.19 info@karoma.it www.karoma.it

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a Feio S.r.l. da più di trent’anni opera nel mondo del caffè. Nata nel 1986 dall’idea imprenditoriale di Salvatore Ferraioli, è oggi una realtà in costante crescita. Da piccola torrefazione operante prevalentemente nel territorio campano, si è poi trasformata in uno stabilimento produttivo in grado di soddisfare le più ampie richieste di mercato. Il passaggio a realtà industriale è stato segnato dalla creazione del marchio Karoma Caffè, oggi diffuso in ambito sia nazionale, sia internazionale. L’accurata selezione delle materie prime e la continua ricerca di soluzioni innovative hanno caratterizzato il percorso evolutivo della Feio S.r.l.. Nel corso degli anni la gamma prodotti si è ampliata e diversificata per far fronte alle mutevoli richieste del mercato, sia interno che estero: dal caffè tostato in grani e macinato, alle cialde e capsule, anche aromatizzate, soddisfacendo così i canali ho.re.ca, vending e retail e specializzandosi altresì nel settore del private label. L’azienda ha dunque nel tempo consolidato la propria posizione sul territorio nazionale e ha al contempo fruttuosamente avviato la fase di internazionalizzazione, giungendo ad esportare circa il 40% della produzione totale. I mercati di principale interesse ad oggi sono Cina, Stati Uniti, Canada, oltre a numerosi

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Paesi europei. L’obiettivo della Feio è, in ogni caso, quello di rafforzare il brand Karoma caffè, esplorando sempre nuove opportunità di business e prestando particolare attenzione all’innovazione dei processi produttivi al fine di recepire i continui cambiamenti attinenti il mondo del caffè. Ed è proprio in vista del raggiungimento di traguardi sempre più ambiziosi che la Società Feio ha qualche anno fa avviato un progetto di ampliamento del sito industriale ad oggi in fase di ultimazione. Tale progetto, oltre a segnare il passaggio generazionale, costituisce una rilevante opportunità di sviluppo anche per il territorio in cui opera.


Revoluce, l’energia come il cellulare è ricaricabile Parte da Salerno il progetto che ha l’ambizione di rivoluzionare il mercato energetico italiano

«Basta la bolletta sempre!», dice fieramente Giuseppe, CEO e fondatore del progetto, con un evidente richiamo a una frasesimbolo degli ideali di libertà e coraggio nel cambiamento. «In quasi due anni di attività già 3.000 clienti sono passati all’energia ricaricabile: non solo per il risparmio sul conto energetico, ma anche per partecipare ad una vera rivoluzione, che sta cambiando radicalmente il modo in cui si acquista energia per la propria utenza» Il team di Revoluce. Secondo da sinistra Giuseppe Dell’Acqua Brunone, CEO e Founder

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a spesa per l’energia elettrica in Italia rappresenta la terza voce del bilancio familiare, subito dopo la casa e l’alimentazione; eppure solo l’1% delle persone sa quanto costa effettivamente 1 kWh e decide di controllare la sua bolletta prima di pagarla. Può esistere un’alternativa di consumo più consapevole, semplice ed economica? Da queste premesse nasce Revoluce, un progetto che parte dal Mezzogiorno con l’ambizione di rivoluzionare il mercato energetico italiano. Guidato dal salernitano Giuseppe Dell’Acqua Brunone, giovane imprenditore con alle spalle un’esperienza decennale da manager in aziende del settore energetico, il nuovo gestore si rivolge ai cosiddetti revolucionari: un target di nativi digitali ma non solo, che stanchi di ricevere la vecchia (e spesso incomprensibile) bolletta cartacea, cercano invece un’alternativa più smart e allo stesso tempo conveniente. A questi Revoluce offre una modalità di acquisto e di consumo innovativa: l’energia ricaricabile. Proprio come per il credito telefonico, con Revoluce anche i kWh possono essere comprati in anticipo, a fronte di un prezzo fisso tutto incluso; e proprio come minuti, messaggi e gigabite, anche in questo caso l’utente può monitorare live il proprio consumo, ricaricando il proprio credito quando si accorge che sta per terminare. In un contesto di libero mercato dove la “fregatura” è dietro l’angolo, la start-up campana ha deciso di puntare tutto su semplicità e trasparenza: con il prezzo dell’energia stabilito a priori, che permette di

pagare solo l’energia effettivamente consumata, il cliente viene messo al riparo da importi nascosti e clausole scritte in piccolo a margine del contratto. Un vantaggio non da poco in un settore come quello energetico, dove le promesse di risparmio e trasparenza per il cliente finale si sprecano, ma poi raramente vengono mantenute.

via Irno 2/4 84135 - Salerno Tel. 089 984 8871 www.revoluce.it info@revoluce.it Maggio | Giugno 2018

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il Vice Direttore Generale Cono Federico, il Direttore Generale Michele Albanese e il Presidente del Cda Anna Miscia

BCC di Monte Pruno, qui il rapporto di fiducia cliente-territorio non ha prezzo Più di cinquant’anni di operatività per l’istituto che dà credito oltre le garanzie reali e restituisce, sotto forma di benessere condiviso, alcuni decimali delle ricchezze accumulate di Raffaella Venerando

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ettembre 1962. Gli Alburni di quegli anni sono una distesa rasata di grano e pascoli. Ogni metro di terra è fertile, utile all’economia che si muove solo grazie alla lena di contadini e artigiani. Il poco di alcuni, a quel tempo, riesce a diventare tanto per molti quando un gruppo di trenta persone lo mette insieme e, guidati dal professor Emilio Pecori, fonda la Cassa Rurale e Artigiana di Roscigno - Società Cooperativa a responsabilità illimitata. La piccola banca per trent’anni opera esclusivamente in quel territorio. Lì si fa amica di agricoltori, famiglie, piccoli imprenditori e pensionati, tutti soci, ascoltandone bisogni ed esigenze e stringendo con questi un

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rapporto personale e fiduciario. Il merito di credito sarebbe venuto anni dopo. Per il momento, a contare di più è il valore della relazione tra le parti, genti di uno stesso luogo, che guardano allo stesso aspetto delle cose, che vivono in posto che vorrebbero, insieme, vedere crescere. Negli anni Novanta qualcosa cambia, anche se non nella sostanza. Il 20 gennaio 1992 viene inaugurata la prima

filiale a Piaggine. A volere guardare oltre il proprio orizzonte geografico è Michele Albanese che, ancora oggi, è il direttore generale dell’istituto di credito di Monte Pruno. Albanese intuisce che è arrivato il momento di uscire dai confini di un territorio così distante e di aprirsi all’esterno. Formandosi e formando i propri uomini per capire le dinamiche di un mercato più ampio, avvia una espansione nei comuni

«Negli anni Novanta qualcosa cambia, anche se non nella sostanza. Il 20 gennaio 1992 viene inaugurata la prima filiale a Piaggine. A volere guardare oltre il proprio orizzonte geografico è Michele Albanese che, ancora oggi, è il direttore generale dell’istituto di credito di Monte Pruno. Albanese intuisce che è arrivato il momento di uscire dai confini di un territorio così distante e di aprirsi all’esterno»


limitrofi e, con l’apertura nel 1998 della filiale di Teggiano, dà inizio al consolidamento della banca. Anno dopo anno aumentano filiali, soci e dipendenti. Nel 2000 sono meno di dieci, nel 2018 ben 130 per 18 filiali. Dal punto di vista finanziario, i servizi sono in gran parte gli stessi di sempre. Diverse sono, invece, le risposte personalizzate offerte ai clienti. Ciascuno ha la sua storia ed è questa che continua a fare la differenza oltre le garanzie reali. La conoscenza, il contatto visivo, l’ascolto restano il modo migliore per capire e sbagliare di meno. Anche l’obiettivo della banca resiste al tempo: restituire sotto forma di benessere condiviso alcuni decimali delle ricchezze accumulate. La strategia di piccoli passi, senza che questo significhi pensare in piccolo, risulta vincente tanto che Banca d’Italia chiede alla BCC di Monte Pruno di acquisire la BCC di Fisciano. Nel febbraio 2017 le Assemblee dei Soci della BCC Monte Pruno di Roscigno e di Laurino deliberano quindi la fusione per incorporazione, eleggendo di fatto la Banca Monte Pruno - Credito Cooperativo di Fisciano, Roscigno e di Laurino a istituto più grande del Sud Italia tra le banche di credito cooperativo. A ottobre il cerchio si allarga ancora con l’apertura della sede di Salerno. Altra intuizione coraggiosa e proficua di Michele Albanese è stata quella di dare fiducia ai giovani, integrandone numerosi nell’or-

ganico dell’istituto e offrendo ai più meritevoli postazione di comando. È il caso di Cono Federico, 40 anni da poco compiuti, e già vice direttore. Le energie nuove portano entusiasmo, rinnovate competenze, prospettive. Anche grazie ai giovani, sempre spinti dall’esperienza del direttore Albanese, piano piano attorno alla banca si costruisce un mondo parallelo, fatto di socialità per lo sviluppo del territorio: un’associazione giovani, cui aderiscono soci e clienti; un circolo sociale; una fondazione e varie associazioni che gravitano intorno alle

attività collaterali della banca. Ciascuna copre un’area di contenuti di interesse, socio-culturale, ciascuna alimenta quel circuito di progresso che vuole, riuscendoci, creare benessere sul territorio. Questo è il vero investimento della Banca Monte Pruno, pronta ad adeguarsi a nuove logiche senza perdere la sua identità cooperativa, un modo di fare che equivale a saper innovare senza snaturarsi. Non è marketing, ma quotidiana pratica ed esercizio aziendale in una banca che, da più di 50 anni, ha scelto di restare umana.

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Business

Palazzo Innovazione, per Salerno un passo verso il futuro In un'atmosfera unica tra storia millenaria e contemporaneità è stato inaugurato a Salerno, il 12 aprile, Palazzo Innovazione

trato sullo sviluppo di innovazioni che generino connessioni e valore, rappresenta una significativa possibilità di crescita sia per le imprese salernitane, che per il mondo accademico e della ricerca. L’apertura di Palazzo Innovazione, nel Complesso Monumentale di Santa Sofia, cuore del centro storico cittadino con il taglio del nastro da parte del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e del Sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, alla presenza del Presidente della CCIAA

di Salerno e di Confindustria Salerno, Andrea Prete e del Rettore dell’Università degli Studi di Salerno, Aurelio Tommasetti - segna per il nostro sistema territoriale un importante passo verso il futuro e una straordinaria occasione di cambiamento. «La Campania è oggi la seconda regione in Italia per numero di imprese innovative - ha affermato il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca -, merito questo non solo di luoghi di formazione d'eccellenza ma anche dell'im-

di Vito Salerno

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alazzo Innovazione rappresenta un nuovo modello di coworking dedicato all’innovazione digitale, aperto ad aziende, startup, acceleratori e investitori con l’obiettivo di favorire il networking e la promozione di sinergie e opportunità di business. Uno spazio di coworking e co-location per aziende, cen-

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Roberto Ascione, Ceo di Healthware Group


pegno e degli investimenti di grandi società internazionali. Salerno in questo scenario si pone come punto di riferimento per la formazione e l'occupazione delle nuove generazioni grazie ai due progetti nati proprio nel cuore del centro storico: la Nuova Fondazione Scuola Medica e ora il Palazzo Innovazione». «La forza di un’idea - ha dichiarato il Sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli - sta nel guardare al futuro, senza dimenticare gli insegnamenti del passato. Questo è lo spirito che muove Palazzo Innovazione, un incubatore di talenti che sarà il punto di riferimento per tutti coloro che vorranno avere occasioni di condivisione di spazi idonei per progettare e sperimentare le loro idee innovative grazie alle tecnologie più avanzate messe a disposizione». Founding partner di Palazzo Innovazione è Healthware Group del Ceo Roberto Ascione. «La nostra volontà - ha precisato Roberto Ascione, CEO di Healthware Group - di

fare di Palazzo Innovazione un polo di attrazione per talenti, start-up e aziende innovative locali, nazionali e internazionali, è strettamente connessa alla straordinaria opportunità di poter generare valore per il mercato globale in tempi di trasformazione radicale, come quelli in cui viviamo. Negli anni abbiamo costruito, come azienda, le condizioni che favoriscono l’innovazione nel mondo della salute e, conoscendone i principi grazie alla nostra esperienza anche internazionale, desideriamo responsabilmente esserne promotori contribuendo, con questa iniziativa, all’ecosistema dell’innovazione». Palazzo Innovazione costituisce uno spazio di ispirazione e di lavoro costruito intorno alle persone e ai loro progetti, in grado di ospitare il singolo freelance, il team di start-up, lo spin-off universitario o il team di innovazione di grandi aziende, favorendo le opportunità di business e lo sviluppo della cultura dell’innovazione, grazie al fitto programma di eventi ed iniziative già in calendario.

Informazioni • Aperto 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 • Si articola su 3 livelli con spazi interni ed esterni per 300 postazioni di coworking • 11 uffici privati • Sale meeting e aree lounge • Un Innovation Cafè e un roof garden vista mare contribuiscono a fare di Palazzo Innovazione un nuovo modello di coworking e co-location che racchiude in sé l’unicità storica proiettata al futuro. • Per la realizzazione del nuovo hub dell’innovazione digitale è stato necessario effettuare un adeguamento tecnologico e funzionale dell’immobile che ha previsto il cablaggio delle reti a banda ultra larga con 200 mbit in up e downstream garantiti e molto altro. Per informazioni è possibile consultare il sito www.palazzoinnovazione.it e seguire i canali social: • Facebook @Palazzoinnovazione • Twitter @PInnovazione • Linkedin Palazzo Innovazione • Instagram @palazzoinnovazione

Inaugurazione Palazzo Innovazione

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Business

SSM, il partner per l’impresa del futuro L’innovativa società di servizi di progettazione industriale, di prodotto e di processo, opera nell’industria e nei trasporti con particolare attenzione su: automotive, aeronautico e ferroviario a cura della Redazione

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assa per l’ottimizzazione dei processi produttivi la sfida della nuova impresa 4.0. È questo il principio che guida le attività di Step Sud Mare (SSM), l’innovativa società di servizi di progettazione industriale, di prodotto e di processo, che opera nel settore dell’industria e dei trasporti con particolare attenzione su: automotive, aeronautico e ferroviario. Nata nel 2012 dall’in-

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contro delle esperienze di Step Sud Srl e di Mare Engineering Spa, due importanti realtà afferenti alle sfere Ricerca&Sviluppo, progettazione industriale e processo manifatturiero, SSM in pochi anni, da Pomigliano d’Arco (NA) ha saputo conquistare la fiducia e l’attenzione di grandi marchi nazionali ed esteri. Dalle grandi case automobilistiche alle società tecnologiche attive nell’ambito del fitness, dalla Fiat a Technogym, l’eterogeneità del portfolio clienti ha permesso a SSM di crescere e ampliare la gamma dei servizi offerti attraverso un confronto continuo e diretto con le attività produttive. La società, guidata da Antonio Maria Zinno, fa dell’innovazione la propria spina dorsale. L’obiettivo è fornire al cliente un servizio tecnologicamente avanzato in ogni settore di intervento. «L’avvento della Quarta Rivoluzione Industriale - spiega Zinno - apre le porte a un nuovo Umanesimo. Antonio Maria Zinno

La digitalizzazione dei processi produttivi, pilastro di questa nuova era, l’approfondimento di temi che spaziano dalla robotica all’intelligenza artificiale, ritagliano per le risorse umane nuovi ambiti di attività. Il vero valore aggiunto di un’impresa torna a essere l’uomo, con le sue competenze e le sue capacità. Per questo offriamo alle aziende una consulenza fondata su questa consapevolezza e puntiamo, anche per la nostra crescita, sull’aggiornamento costante delle competenze interne». Perseguire il miglioramento continuo, grazie a una squadra di professionisti dinamici e flessibili, è nel DNA dell’azienda che vanta come punti di forza la qualità dei servizi erogati e la soddisfazione della clientela. Ogni anno, SSM destina il 3% delle ore lavorate dalle 150 risorse impiegateper dipendente alla formazione, con corsi svolti all’interno dell’azienda o avvalendosi del supporto delle Agenzie per il Lavoro. A oggi, sono state svolte circa 18mila ore di formazione destinate a 80 persone esterne perché anche chi si appresta a entrare in azienda beneficia di percorsi formativi ad hoc. Le attività di formazione si concentrano soprattutto in ambiti relativi all’impresa del futuro, come: smart industry, digital factory, lean production, industria 4.0, advanced manufacturing.


Sara Bi-Fuel PIR, tutti i benefici fiscali dei piani individuali di risparmio con i vantaggi di una polizza assicurativa Una soluzione che azzera il carico fiscale, contribuendo anche a sostenere l’economia del Paese a cura della Redazione

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na innovativa polizza vita multiramo che permette di massimizzare i vantaggi fiscali e investire sulla crescita delle piccole e medie imprese italiane oggi esiste ed è Sara Bi-Fuel PIR.

Questa soluzione d’investimento è molto conveniente, perché unisce i benefici fiscali dei piani individuali di risparmio (Pir) con i vantaggi di una polizza assicurativa. A presentarla è Sara Vita, la Compagnia del Gruppo Sara Assicurazioni specializzata nell’area del risparmio, della previdenza e tutela, con un’offerta articolata anche nell’area degli investimenti. In sostanza Sara Bi-Fuel PIR è una polizza “a doppia alimentazione”. Il 70% del capitale è investito nel Fondo Interno Assicurativo “Sara Pmi Italia” che punta ad accrescere il valore dell’investimento selezionando le realtà imprenditoriali italiane o europee con le migliori opportunità di crescita. Il restante 30%, invece, è investito nella gestione separata di Sara Vita che, grazie a un approccio prudente e diversificato, vanta risultati storicamente superiori alle medie di mercato e offre rendimenti stabili Enrico Giudice

nel tempo insieme alla garanzia sul capitale investito e alla sicurezza di una rivalutazione riconosciuta e consolidata annualmente. Sara BiFuel PIR è una polizza vita a premio unico, con importo investibile da 5.000 fino a 30.000 euro ogni anno e la possibilità di integrare l’investimento iniziale con versamenti aggiuntivi da 2.000 a 30.000 euro. Mantenendo l’investimento per almeno 5 anni, e versando su base annua, si ha diritto all’esenzione dall’imposta sui redditi. Non solo: l’investimento è esente dalla tassa di successione e i premi versati non pagano le imposte sulle assicurazioni. È inoltre possibile designare i beneficiari in caso di morte anche al di fuori dagli aventi diritto alla successione. Parliamo di una soluzione che coglie i vantaggi offerti dalla nuova formula dei piani individuali di risparmio, introdotti dalla Legge di Stabilità 2017, mettendo a disposizione dei clienti uno strumento che consente di valorizzare i propri risparmi, azzerando il carico fiscale e investimento nelle realtà imprenditoriali italiane più dinamiche e promettenti, contribuendo anche a sostenere l’economia del Paese. Per info: Enrico Giudice, Agente Sara Assicurazioni di Salerno e Sarno (ag1336@saraagenzie.it).

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norme e società

La mediazione italiana alla prova dei dati In Italia il ricorso a questa procedura alternativa è sei volte superiore al resto d'Europa ma c’è ancora tanta strada da fare per migliorare l’intero sistema della giustizia civile

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista / Membro Abf Bologna Giudice ausiliario della Corte di Appello di Napoli www.studiolegalemarinaro.it

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a pubblicazione dei dati statistici annuali elaborati dal Ministero della Giustizia sulla mediazione delle liti civili e commerciali costituisce inevitabilmente un momento di riflessione sul percorso compiuto e su quello che resta da compiere. Tuttavia, a distanza di otto anni dall’entrata in vigore della normativa di riferimento e ormai trascorsi anche oltre quattro anni dalla riforma che ne ha segnato l’obbligatorietà preventiva in talune materie affidando altresì ai giudici la possibilità di avviare alla mediazione le liti già pendenti, la prima indicazione emerge da un osservatorio esterno: il ricorso alla procedura di mediazione in Italia è sei volte superiore al resto d'Europa. Non è possibile quindi leggere i dati statistici italiani senza tener conto dello straordinario rilievo che gli stessi assumono

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nel contesto europeo e internazionale, costituendo evidentemente una best practice che, pur tra luci e ombre, sta segnando un percorso evolutivo di rilievo transnazionale. E tale dato si evince dalla risoluzione approvata il 12 settembre 2017 dal Parlamento europeo che, in sede di analisi dell'impatto della direttiva 2008/52/ CE (sulla mediazione civile e commerciale), ha focalizzato l’attenzione su una serie di aspetti positivi e di criticità nella diversificata attuazione da parte degli Stati membri. In particolare, uno degli aspetti critici segnalati attiene proprio alla difficoltà di ottenere dati statistici globali sulla mediazione, inclusi il numero di casi mediati, la durata media e le percentuali di successo delle procedure. Invero, come opportunamente osserva il Parlamento europeo «in assenza di una banca dati affidabile, è molto

difficile promuovere ulteriormente la mediazione e accrescere la fiducia dei cittadini nella sua efficacia». Se si considera che la normativa italiana prevede il rilevamento statistico trimestrale con obblighi di comunicazione per gli organismi di mediazione e l’elaborazione è affidata alla Direzione generale di statistica del Ministero della Giustizia, si coglie l’importanza che tali dati assumono non soltanto nel contesto nazionale, divenendo un indicatore di interesse internazionale. Per cui appare evidente che l’Italia si distingue nell’Unione europea non soltanto per aver avviato il sistema più efficace di mediazione, ma anche per aver previsto l’attività di rilevamento ed elaborazione dei dati relativi al suo funzionamento. Un primo dato di interesse attiene alle diverse modalità di accesso alla mediazione in


quanto, se da un canto vi è l’obbligatorietà ex lege ovvero quella ex officio iudicis, dall’altro vi è quella concordata mediante clausola contrattuale o meramente facoltativa. A tal fine occorre però considerare che le materie per le quali è prevista la mediazione preventiva come condizione di procedibilità della domanda giudiziale costituiscono soltanto circa il 10% del contenzioso civile. Le materie indicate dalla legge sono le seguenti: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Ciò posto, nel 2017 circa il 77% delle procedure avviate proviene proprio dalla condizione di procedibilità nelle materie sopra indicate, oltre il 9% è costituito dalle mediazioni facoltative nelle quali la scelta di attivare la procedura è del tutto volontaria, soltanto lo 0,5% deriva dalle clausole di mediazioni inserite nei contratti, mentre oltre il 13% perviene dalle ordinanze di mediazione demandata dai giudici.Tali dati si riferiscono ad un numero di procedure avviate in leggera flessione (sono state circa 167mila, con una riduzione del 9% rispetto al 2016) registrandosi oltre 20mila accordi conciliativi (con una flessione dell’1% rispetto al 2016). Gli accordi si stipulano nel 43% dei

Durata delle procedure di mediazione (aderente comparso e accordo raggiunto)

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casi in cui le parti sono presenti al tavolo negoziale superando la fase introduttiva e la durata media dei procedimenti si è attestata a 129 giorni (rispetto ai 115 giorni del 2016). I dati mostrano quindi un sistema in via di stabilizzazione in quanto le oscillazioni nel corso degli ultimi anni sono del tutto fisiologiche. Ma si evidenziano anche le buone prassi che vanno diffondendosi e consolidandosi presso molti uffici giudiziari che hanno consentito un costante aumento negli anni delle mediazioni disposte dai tribunali e anche dalle corti di appello se si considera che, nel 2014, le mediazioni ordinate dai giudici costituivano soltanto il 5,6%. Ciò che appare oltremodo significativo è che, sia pur per un numero limitato di materie del

contenzioso, la deflazione delle sopravvenienze supera del doppio la media generale degli altri fattori. Non vi è dubbio alcuno che il percorso da compiere per migliorare la mediazione e l’intero sistema della giustizia civile sia ancora lungo e complesso, ma tanta strada è stata percorsa dal 2010, se si considera che in precedenza i dati dei sistemi compositivi erano privi di ogni rilevanza statistica. Gli spazi per migliorare la normativa e per implementare sistemi virtuosi per la soluzione delle liti civili e commerciali sono ancora ampi e l’esperienza acquista costituisce un importante bagaglio da valorizzare nelle scelte che occorrerà compiere per creare un sistema sempre più efficace e rapido, semplice ed economico, equilibrato e sostenibile.

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norme e società

Tensostrutture e capannoni retrattili, come ampliare lo spazio produttivo all’occorrenza e velocemente Secondo la giurisprudenza, queste strutture non provocando né un aumento di volume, né di superficie coperta, non necessitano di alcun permesso

Luigi Maria D’Angiolella Avvocato | Studio D'Angiolella dangiolella@studiolegaledangiolella.it

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elle aree industriali sono da tempo visibili particolari strutture telonate, che si ritraggono su carrelli e sono utilizzate come spazi temporanei, come sistemi modulari utili soprattutto alle aziende che si occupano di logistica, ma non solo. Si tratta, in genere, di strutture caratterizzate da elementi in metallo, coperte da telo in plastica, prive di opere murarie e di pareti chiuse, che si ritraggono fino a chiudersi completamente carrellate. Esse sono diventate essenziali per permettere - ad esempio - temporanee modifiche delle linee produttive o per allocazioni di prodotti finiti prima della loro movimentazione. Insomma, decisamente utili ed elastiche nella loro funzione. La loro diffusione ha portato a diversi punti di vista sulla loro rilevanza urbanistica, ma ormai va consolidandosi un orientamento secondo cui esse non hanno rilevanza alcuna, non modificandosi il territo-

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rio. Tali strutture secondo la giurisprudenza non provocano né un aumento di volume, né di superficie coperta e non configurano l’alterazione della sagoma dell’edificio. Rientrano, pertanto, nella categoria delle attività di edilizia libera, non necessitano di alcun permesso (né sono necessari altri titoli abilitativi nel momento in cui debba subire interventi manutentivi). Ciò è possibile in quanto le stesse strutture non modificano la destinazione d’uso degli spazi esterni e sono facilmente rimovibili. Questa è la posizione espressa in diverse pronunce giurisprudenziali, anche del Consiglio di Stato Vi sezione n. 306/2017; id: 1619 del 2016, ove si legge che «una struttura in alluminio destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico, non costituisce un intervento definibile come “nuova costruzione”, né come “ristrutturazione edilizia”, pertanto non si può definire attività soggetta al rilascio del permesso di costruire. Rientra,

tra le attività di edilizia libera, così come definita dall’art. 6 del TU Edilizia». Questo orientamento appare in linea con una tendenza anche del Legislatore addirittura per installazioni in zone vincolate paesaggisticamente. È stato emanato il D.P.R. n. 31 del 31 febbraio 2017 rubricato “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata” che prevede un procedimento autorizzatorio semplificato ex articolo 3 anche per l’installazione di tettoie aperte di servizio a capannoni destinati ad attività produttive, o di collegamento tra i capannoni stessi, entro il limite del 10% della superficie coperta preesistente. Si percepisce un deciso favor per le installazioni produttive, essenziali per gli imprenditori che possono così operare in questi casi senza sottoporsi alle forche caudine della burocrazia comunale e della Sovrintendenza. Mi pare un passo in avanti.


Intermediazione finanziaria: chi è responsabile per un investimento inadeguato? La valutazione di adeguatezza di operazioni simili è sempre in capo all’intermediario, sulla cui professionalità il cliente fa affidamento

Maurizio Galardo Avvocato Cassazionista e Dottore di ricerca in diritto commerciale Studio Legale Galardo & Venturiello mgalardo@galardoventuriello.it

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a Banca P.N. veniva citata in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità del contratto di negoziazione, ricezione, trasmissione di ordini di strumenti finanziari, in virtu' del quale aveva effettuato una serie di operazioni di investimento nell'arco temporale tra l'aprile e il dicembre 2000 con effetti negativi sul patrimonio dell’investitore, con conseguente condanna dell'istituto di credito al risarcimento di tutti i danni subiti. Il Tribunale, adito i primo grado, rigettava la domanda. Avverso tale decisione, l’investitore proponeva gravame, che veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello, la quale disattendeva la domanda di nullità del contratto di negoziazione e delle operazioni successivamente poste in essere per violazione degli obblighi comportamentali imposti all'intermediario finanziario dalla normativa di settore, mentre accoglieva la domanda di risarcimento del danno subito dall'investitore, decurtandone, però la liquidazione nella misura dell'80%, pari all'accertato

concorso di colpa dello stesso danneggiato. L’investitore proponeva, pertanto, ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione, Sez. I, con la sentenza n. 9892/2016, ha statuito che, in tema di intermediazione finanziaria, la pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell'inadeguatezza dell'operazione che si va a compiere) previsti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b), art. 28, comma 2, e art. 29 del Reg. CONSOB n. 11522 del 1998 (applicabile "ratione temporis") e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie, assolvono al fine di segnalare all'investitore la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cd. "suitability rule"), in considerazione della sua accertata propensione al rischio. Tale segnalazione deve contenere le seguenti indicazioni: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto;

2) la precisa individuazione del soggetto emittente; 3) il "rating" nel periodo di esecuzione dell'operazione e il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni c.d. di "grey market"); 5) l'avvertimento circa il pericolo di un imminente "default" dell'emittente (Cass. 1376/2016). La banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l'obbligo di fornire all'investitore un'informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente. A fronte di un'operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall'investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (cfr. Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010). Sotto tale profilo, la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui Maggio | Giugno 2018

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sottoscritto in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell'investimento suggerito e sollecitato dalla banca e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d'investitore, non può costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all'affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, tutt’al più, comprovare l'avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull'intermediario, sempre che, però, sia corredata da una, pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell'investitore e alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l'acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015). La Banca inoltre non aveva provato, come era suo onere, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 comma 6) di avere avvertito il cliente, ai sensi dell'art. 29, comma 3, del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, circa l'inadeguatezza di tali operazioni e di averle effettuate solo dopo avere ricevuto dal cliente medesimo un ordine scritto di eseguirle egualmente. Peraltro viene evidenziato che perfino nel caso in cui tale ordine fosse stato, per ipotesi, impartito dal cliente, la responsabilità dell'istituto di credito non avrebbe potuto considerarsi esclusa. É configurabile infatti la responsabilità dell'intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorché

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vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso, poiché la professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone comunque di valutare l'adeguatezza di quell'operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà, peraltro, di recedere dall'incarico per giusta causa, ai sensi dell'art. 1722 c.c., comma 1, n. 3, e art. 1727 c.c., comma 1, qualora non ravvisi tale adeguatezza (Cass. 7922/2015; 1376/2016). La Suprema Corte giunge così a formulare il principio di diritto, secondo cui nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l'intermediario abbia dato corso all'acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente e quest’ultimo non rientri in alcuna delle categorie d'investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno, neppure per

non essersi egli stesso informato della rischiosità dei titoli acquistati, poiché il particolare rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l'intermediario implica un grado di affidamento del primo alla professionalità del secondo che non può essere sostituito dall'onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte (Cass. 29864/2011). Un concorso di colpa dell'investitore, può ravvisarsi, pertanto, nella sola specifica ipotesi in cui questi tenga un contegno significativamente anomalo, ovvero, sebbene a conoscenza (in quanto investitore qualificato) del complesso "iter" funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, ometta di adottare comportamenti conformi alle regole dell'ordinaria diligenza o avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente e alle modalità di affidamento dei capitali da investire, così concorrendo al verificarsi dell'evento dannoso per inosservanza dei più elementari canoni di prudenza e oneri di cooperazione nel compimento dell'attività di investimento (Cass. 13259/2009; 18613/2015).


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Gli accertamenti bancari sui conti dei professionisti al cessionario L’indagine non contrasta con i principi dettati dalla Costituzione in quanto la riservatezza dei dati dei propri risparmi, pur essendo un valore protetto, è subordinata al contributo di ogni cittadino alle spese pubbliche

di Maurizio Villani e Alessandra Rizzelli Studio Tributario Villani avvocato@studiotributariovillani.it www.studiotributariovillani.it

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li accertamenti bancari permettono all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza di intraprendere una verifica fiscale al fine di acquisire documenti, dati e notizie risultanti da un rapporto intrattenuto tra il soggetto verificato e un istituto bancario, Poste Italiane S.p.A. o altri intermediari finanziari. L’accertamento può essere effettuato nei confronti sia dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, sia di qualunque soggetto titolare di altra categoria di reddito imponibile. Come chiarito con ordinanza n. 33 del 26 febbraio 2002 della Consulta, l’indagine bancaria non contrasta con i principi dettati dalla Costituzione in quanto la riservatezza dei dati dei propri risparmi, pur essendo un valore protetto costituzional-

mente, è tuttavia subordinata al contributo di ogni cittadino alle spese pubbliche.Nello specifico, gli accertamenti bancari sono regolati dall’art. 32, comma 1, n. 2 del D.p.r. n. 600 del 1973 e dall’art. 51, comma 2, n. 2 del D.p.r. n. 633 del 1972, nonché dalla Legge 30 dicembre 1991, n. 413 che, nell’ampliare i poteri dell’Amministrazione finanziaria, ha reso più veloce la procedura e facilitato il ricorso a tale strumento istruttorio. In particolare l’art. 32, comma 1, n. 2 del D.p.r. n. 600 del 1973 stabilisce che sono considerati ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito di rapporti finanziari, salvo che il contribuente non indichi il soggetto beneficiario di questi movimenti e che tali movimenti non risultino dalle scritture contabili. Il suddetto articolo, come noto, prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 24 settembre 2014, prevedeva che la presunzione di maggior reddito non dichiarato dovesse valere anche per i “compensi”, ovvero i ricavi percepiti dai lavoratori autonomi. La Consulta, invece, ha chiarito che siffatta presun-

zione fosse «lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito».Proprio a seguito di tale pronuncia, la presunzione legale prevista dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui i prelevamenti sono considerati ricavi, può essere utilizzata soltanto nei confronti degli imprenditori e non anche dei lavoratori autonomi. Viceversa, per quanto attiene ai versamenti gli stessi hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia mediante la dimostrazione che ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Inoltre, sempre con riferimento ai versamenti, la presunzione legale prevista ex lege in favore dell’Amministrazione finanziaria, Maggio | Giugno 2018

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non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 del codice civile per le presunzioni semplici ed è superabile da prova contraria fornita dal contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili mediante una prova analitica e non generica, attraverso l’indicazione specifica della riferibilità di ogni movimento bancario, così da provare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili. Quanto sinora argomentato è stato ampiamente chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2432 del 31 gennaio 2017, che ha sottolineato come la presunzione legale secondo cui i versamenti e i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all'obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo). Mentre l'operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia adempiendo l'onere di dimostra-

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re che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» (in senso conforme Cass. Sez. 5 n. 22514 del 2013 ha ritenuto "priva di qualsivoglia riscontro normativo" la limitazione dell'ambito applicativo degli accertamenti bancari ai soli soggetti esercenti attività di impresa, artistica o professionale). Infine, con sentenza n. 8266 del 04 aprile 2018, la Corte di Cassazione ha precisato che l'Agenzia non ha l'obbligo di motivare la ragione per la quale ricorre alle indagini bancarie, né il loro svolgimento presuppone elementi indiziari gravi, precisi e concordanti di evasione fiscale. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, prevede una presunzione legale in base alla

quale le operazioni su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la dimostrazione contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice. Quest’ultimo è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. Sez. 6 - 5, Ord. n. 11102 del 05/05/2017).


Cosa sono le Special Purpose Acquisition Companies Definibile come una corsia preferenziale per raggiungere l’obiettivo della quotazione in Borsa, per il successo di una SPAC risultano essenziali la qualità e lo standing dei fondatori che ne costituiscono anche il management. L’Agenzia delle Entrate valorizza, anche sotto il profilo della fiscalità, questo strumento finanziario molto utile

Marco Fiorentino Fiorentino Associati / Synergia Consulting Group marcofiorentino@fiorentinoassociati.it

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i recente stanno avendo grande risalto sul mercato dei capitali le cosiddette “Special Purpose Acquisition Companies (SPAC)”. In sintesi, la SPAC è un veicolo societario, appositamente costituito al fine di reperire, attraverso il collocamento sui mercati ufficiali di proprie azioni (ma anche di altri strumenti finanziari), le risorse necessarie per acquisire una società operativa non quotata (la “Target”). Per il tramite della SPAC, quindi, si semplificano e si velocizzano le procedure e i tempi di quotazione di società, che, sebbene meritevoli di accedere all’MTA, non avviano i relativi processi di ammissione perché timorose della complessità e dei costi che tali decisioni generalmente comportano. La SPAC può essere definita, conseguentemente, come una corsia preferenziale per rag-

giungere l’obiettivo della quotazione in Borsa ed essenziali per il suo successo sono la qualità e lo standing dei fondatori (Promoter), che ne costituiscono anche il management. I capitali raccolti con l’IPO possono essere utilizzati esclusivamente per l’acquisto di una Target, che, nello schema - tipo, viene successivamente incorporata nella SPAC realizzando la cosiddetta ”Business Combination”. La SPAC ha 24 mesi dall’IPO per identificare e acquisire la Target, altrimenti essa deve essere sciolta e liquidata, con conseguente restituzione degli apporti agli azionisti. Queste necessarie premesse consentono di inquadrare al meglio la tematica affrontata dall’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n.13 del 2 febbraio 2018, avente ad oggetto una SPAC che, nel perseguimento

delle proprie finalità, aveva acquisito e successivamente incorporato una società industriale non quotata, la Target appunto. La Target era una holding di un gruppo e in tale qualità aveva anche il ruolo di consolidante di un consolidato fiscale che, negli anni precedenti all’acquisizione, aveva realizzato un ingente ammontare di perdite fiscali pregresse. Il quesito posto all’AGE aveva ad oggetto la sorte: (i) del consolidato preesistente della Target e (ii) delle perdite fiscali pregresse post fusione. Il timore era infatti di dover bruciare, proprio a causa della inevitabile fusione, tutto il tesoro fiscale maturato dal Target. Con riferimento al primo tema, l’operazione prospettata era riconducibile ad una fusione per incorporazione di una società Maggio | Giugno 2018

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consolidante con una società non inclusa nel consolidato e l’incertezza nasceva dalla circostanza che l’art. 124 del TUIR prevede l’interruzione del consolidato fiscale, se il requisito del controllo (come definito dall’art. 117 TUIR) cessa per qualsiasi motivo prima del compimento del triennio. A supporto della continuazione del vecchio consolidato fiscale, la SPAC riteneva potessero invocarsi le disposizioni del comma 5 dell’art. 124 TUIR che stabiliscono che, nel caso di fusione della consolidante con società non appartenenti al consolidato, il consolidato può continuare ove la controllante sia in grado di dimostrare, anche dopo la fusione, la permanenza di tutti i requisiti previsti ai fini dell'accesso al regime (controllo - diritto agli utili - holding period). E tale continuazione non avrebbe dovuto determinare nemmeno la riattribuzione delle perdite fiscali pregresse alle vecchie consolidate, atteso che il nuovo soggetto consolidante non avrebbe effettuato una nuova opzione, ma, in forza della fusione, sarebbe subentrato nel complesso delle posizioni giuridiche attive e passive facenti capo alla società incorporata, ivi compresa l’opzione per il consolidato. La procedura adottata, invece risultava essere una operazione di “mercato” con specifiche caratteristiche tecniche che, nello specifico caso, aveva consentito una facilitazione di immissione di risorse finanziarie in favore del “business della Target”.

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Il punto essenziale della risposta positiva dell’AGE al primo quesito si è basato sulla considerazione che l’operazione effettuata (costituzione di una SPAC con quotazione della stessa e fusione per incorporazione della Target) ha gli stessi effetti economici, finanziari e giuridici, seppur con tempi più ristretti e con rischi minori, di un processo di quotazione diretta del Target. Ne consegue, quindi, che qualora vengano rispettate il complesso delle disposizioni di legge relative al regime di tassazione di Gruppo e quelle relative al regime delle fusioni ex art. 172 TUIR, non sussistono preclusioni alla continuazione del consolidato della Target, in testa alla società risultante dalla fusione in qualità di consolidante, con efficacia già nel periodo d’imposta nel quale ha effetto la fusione. Ovviamente l’AGE ha precisato che la società risultante dalla fusione dovrà comunicare la conferma della tassazione di Gruppo da parte delle società coinvolte nell’operazione prospettata, mediante la presentazione di apposito modello telematico. Più complesso si presentava invece il tema della riportabilità delle perdite fiscali pregresse, in considerazione della copiosa prassi AGE, dove nelle fusioni di una consolidante si ammetteva la prosecuzione del regime in capo alla società incorporante, ma si stabiliva che tali perdite non potessero transitare nel nuovo consolidato perché maturate antecedentemente. Con un apprezzato approccio

innovativo invece, l’AGE ha sottolineato che la disciplina generale non sia applicabile alla fattispecie in esame, bensì ai casi dove la perdita dello status di consolidante consegua all’esercizio dell’opzione per una diversa fiscal unit, in veste di soggetto consolidato. Il punto chiave della risposta positiva anche in questo caso è riconducibile alla natura dell’operazione: il nuovo soggetto consolidante (la SPAC) non ha una propria operatività ed è stato costituito al solo fine di individuare la società target e agevolarne la quotazione in borsa. L’AGE aggiunge anche che la fusione, essendo la giusta e necessaria conclusione del procedimento di quotazione e acquisizione, non può determinare un effetto fiscale diverso da quello che si sarebbe generato ove il processo di quotazione fosse stato direttamente iniziato da Alfa. La posizione dell’AGE, semel in anno, è apparsa scevra da manie antielusive e invece improntata a valorizzare, anche sotto il profilo della fiscalità, uno strumento finanziario molto utile quale è appunto la SPAC. È evidente infatti che, laddove l’AGE avesse avuto un approccio opposto, la SPAC avrebbe certamente perso gran parte del suo appeal per quei gruppi, che - passata la crisi e con interessanti tesoretti di perdite fiscali pregresse a disposizione - fossero stati tentati dalla quotazione per il suo tramite. Segniamo un punto a favore dell’AGE stavolta.


Nuova Impresa a Tasso zero, come funziona l’agevolazione Vantaggiosa la convenzione tra il Ministero, Invitalia e Abi che facilita di molto la realizzazione dell’investimento, senza che l'imprenditore anticipi il totale

Giuseppe Arleo Dottore Commercialista giuseppearleo@libero.it

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uova impresa a tasso zero di Invitalia è una agevolazione per quanti vogliono avviare attività imprenditoriali nei settori del commercio, turismo, servizi alle imprese e alle persone, produzione beni nei settori dell’industria, artigianato e trasformazione prodotti agricoli. L’agevolazione ammonta ad un finanziamento a tasso zero pari al 75% con un totale investimento fino a un massimo di 1,5 mln di euro, rimborsabili in 8 anni in rate semestrali. Ha una elevata criticità l’aspetto economico finanziario dei S.A.L (stato avanzamento lavori) la cui rendicontazione può essere effettuata con due modalità. Si può richiedere, entro quattro mesi dalla stipula del contratto di finanziamento con Invitalia, una anticipazione alla prima quota di finanziamento, pari ad un massimo del 25%, indipendentemente dalla realizzazione dell’investimento e dietro presentazione di una fideiussione assicurativa o bancaria a favore di Invitalia. Detta anticipazione comporta

di procedere poi ad una rendicontazione con titoli quietanzati ponendo l’imprenditore nella posizione di dover anticipare finanziariamente i titoli di spesa per poi ricevere il finanziamento. In alternativa, la seconda strada è quella di optare per una rendicontazione sulla base di fatture non quietanzate. La beneficiaria è tenuta ad aprire un conto corrente vincolato presso una delle banche che abbia aderito alla Convenzione Mise - Abi Invitalia e su tale conto far confluire le richieste S.A.L. per un massimo di 3 di cui il primo di almeno il 25% e l’ultimo almeno il 10%. La peculiarità di tale modalità di rendicontazione che, come si intuisce, rinuncia ad avere una anticipazione in aiuto, è che la banca provvede al pagamento delle fatture presentate previo nulla osta da parte di Invitalia che, entro sessanta giorni dalla richiesta dell’erogazione del relativo S.A.L, effettua tutte le verifiche del caso prima di dare il nulla osta al versamento del contributo. Al fine di fare il pagamento la banca,

però, verificherà la presenza sul conto corrente dei mezzi propri da parte dell’imprenditore, consistente nel 25% mancante più il 22% di iva e senza tali fondi la banca non provvede al pagamento. Ad esempio, a fronte di una richiesta di S.A.L. pari a 100.000 euro, Invitalia farà accertamenti al fine di riconoscere il contributo, accreditando in banca 75.000 (il 75%). La banca, a sua volta, provvede a pagare il fornitore direttamente a condizione che sul conto corrente della beneficiaria siano liquidi e disponibili per il pagamento 25.000 (25%) più 22.000 di iva (22%). Si configura subito il grande vantaggio dell’accordo tra il Ministero, Invitalia e Abi che appunto in tal modo facilita di molto la realizzazione dell’investimento, anche rinunciando all’anticipazione, dando la possibilità all’imprenditore di realizzazione l’intero investimento con fatture non quietanzate e, quindi, finanziariamente senza dover anticipare il totale investimento e potendo destinare i fondi ad altre necessità. Maggio | Giugno 2018

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privacy

I dati, un patrimonio aziendale da mettere al sicuro Un’azienda oggi resta competitiva se è capace di avere un “piano d’azione” che garantisca un livello di protezione tale da creare uno scudo sui propri apparati informatici

Piera Di Stefano Avvocato del Web™ T.R.ON® - Tutela della Reputazione ONline www.avvocatodelweb.com info@avvocatodelweb.com

L’

Associazione italiana per la Sicurezza Informatica (Clusit) nel suo Rapporto 2018 ha dichiarato che il 2017 si è caratterizzato come “l’anno del trionfo del Malware”, con un aumento degli attacchi informatici del 240% (1.127 gli attacchi “gravi” registrati a livello mondiale). La Banca d’Italia nel suo dossier ha evidenziato che ben il 30,3% delle aziende italiane ha subito un attacco informatico (al Sud Italia, il 24,4% ne ha subito almeno uno), con danni complessivi che ammontano a circa 9 miliardi di euro, inclusi i costi di ripristino. Molto spesso gli attacchi sono del tipo cd. ransomware: un virus (solitamente contenuto nel rinvio ad un sito web o nell’allegato di una e-mail) che si “impossessa” dei pc aziendali e ne blocca il funzionamento, sino a quando non viene pagato il riscatto dall’azienda, il che non garantisce quasi mai l’effettivo “sblocco” dei computer.

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Oggi le polizze assicurative contro il cosiddetto rischio informatico possono di certo rappresentare utili strumenti per farvi fronte, ma va precisato che esse coprono il rischio residuo, vale a dire quello che non è possibile contenere pur adottando adeguate misure di sicurezza. Ciò presuppone che l’azienda interessata abbia adottato un “piano d’azione” per garantire un livello di sicurezza informatica tale da creare uno scudo sui propri apparati informatici. Gli attacchi informatici non sono soltanto finalizzati a “danneggiare” la rete aziendale per estorcere danaro; nella maggior parte dei casi il controvalore dell’attacco sono i dati stessi che vengono sottratti alle aziende per essere “rivenduti” al miglior offerente. Dati aziendali (diritti di proprietà intellettuale, informazioni riservate, dati finanziari), ma anche e soprattutto dati personali (accesso ai database contenenti

dati sensibili). Il Reg. UE 2016/679, ovverosia il nuovo Regolamento Europeo della Privacy, in breve - GDPR -, la cui applicazione è ormai alle porte (25 maggio 2018), pone al centro la tutela dei dati personali, che non può dirsi pienamente efficace se anche la sicurezza di quei dati non risulta adeguata. Nell’ottica del GDPR, in generale, nel valutare il livello di adeguatezza delle misure tecnico-organizzative occorre considerare i rischi che un determinato trattamento dei dati personali presenta in termini di: 1) distruzione; 2) perdita; 3) modifica; 4) divulgazione non autorizzata; 5) accesso, in modo accidentale o illegale “a dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati” (art. 32, co. II, Reg. UE 2016/679). Questi casi integrano ipotesi di violazione dei dati personali - si parla di cd. data breach - per la cui gestione il GDPR richiede si rispetti una


procedura rigorosa sia nei tempi, che nelle modalità, per evitare o contenere i danni derivanti agli interessati (quali, furto d’identità, danno alla reputazione, compromissione della riservatezza di informazioni sensibili et similia). Il Titolare ha 72 ore a disposizione, dal momento in cui ne viene a conoscenza, per notificare all’Autorità di controllo (il Garante per la Protezione dei Dati Personali) la violazione di dati personali che, si badi bene, egli stesso ha ritenuto essere, in termini probabilistici, rischiosa per i diritti e le libertà degli interessati. In caso contrario, l’obbligo di notifica non scatta e non v’è sanzione pecuniaria (prevista in misura sino a 10 milioni di euro, o per le imprese, fino al 2% del fatturato globale annuo dell’esercizio precedente, se superiore). Anche nei casi in cui il Titolare non è tenuto alla notifica, egli dovrà in ogni caso documentare le violazioni, indicando le relative circostanze, gli effetti e le contromisure adottate per rimediarvi. Tra le misure di sicurezza indicate a titolo esemplificativo come adeguate dal Reg. UE ritroviamo, oltre alla cd. pseudonomizzazione (che permette di ridurre la correlabilità di un insieme di dati all’identità originaria di una persona interessata) e alla cifratura (che permette di inviare un messaggio/documento/informazione ad un destinatario senza che altri possano leggerlo), l’adozione di procedure di backup, le quali permettono la copia di sicurezza dei dati riducendo in maniera notevole il rischio di danneggiamento/distruzione delle informazioni memorizzate,

nonché di procedure di cd. disaster recovery, che permettono di ottenere il ripristino tempestivo della disponibilità dei dati (in caso di dati sensibili o giudiziari il termine è di 7 giorni). Si tratta di procedure che vanno documentate e periodicamente testate nella loro efficacia, almeno una volta all’anno. Rispetto al Codice Privacy, che indica i requisiti minimi di cui un sistema di sicurezza deve dotarsi per definirsi “a norma” (cd. All. B D.Lgs. 2003/196), il GDPR pone a carico del Titolare del trattamento l’individuazione delle misure di sicurezza e la valutazione dell’adeguatezza delle stesse rispetto al tipo di rischio connesso al trattamento dei dati dallo stesso effettuato, rischio che egli è tenuto ad analizzare, valutare e gestire con procedure documentate. Ricordiamo, però, che la maggior parte degli attacchi informatici derivano da un errore umano o da condotte di dipendenti non adeguatamente formati sui rischi, anche cd. cyber. Il Titolare ha pertanto l’obbligo della formazione in materia di protezione dei dati personali per tutte le figure presenti nell’organizzazione, sia dipendenti che collaboratori, formazione la cui

centralità è evidenziata proprio nell’art. 32, al parag. 4, del GDPR ove è previsto che: «il titolare del trattamento ed il responsabile del trattamento fanno sì che chiunque agisca sotto la loro autorità e abbia accesso a dati personali non tratti tali dati se non è istruito in tal senso dal titolare del trattamento, salvo che lo richieda il diritto dell’Unione o degli Stati membri». Le aziende devono individuare un percorso formativo, con prove finali e sessioni di aggiornamento. In mancanza, anche qui scatta la medesima sanzione pecuniaria prevista per l’omessa notifica dei cd. data breach. Non si tratta solo di adempimenti burocratici e obblighi legali: come dichiarato pochi giorni fa dal Garante Privacy, Antonello Soro, «(..) La capacità di protezione è un sinonimo di buona impresa, di competitività e buona reputazione. Un'impresa che non sa proteggere il proprio patrimonio informativo tendenzialmente si troverà emarginata dal mercato perché da una parte sarà vulnerabile ad attacchi informatici e furti di identità, dall'altra avendo indebolito le garanzie offerte su questo terreno ai clienti, sarà meno competitiva».

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Lavoro in somministrazione, legittimo il contratto prorogato per esigenze di produzione Se le ragioni organizzative dell’azienda sono provate, il prolungamento anche ripetuto più volte è ritenuto giustificato secondo la Suprema Corte

Massimo Ambron Avvocato avv.massimoambron@fastwebnet.it

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fatti oggetto dei procedimenti risalgono agli anni 2010 e 2011, durante i quali il lavoratore in questione fu assunto con contratto a tempo determinato e successivamente licenziato da una Società di somministrazione, che lo destinò ad una Impresa utilizzatrice che ne aveva fatto richiesta, con la quale intercorreva un rapporto commerciale. Il contratto a termine, prorogato per sei volte, riportava la seguente motivazione «per esigenze di carattere produttivo legate all’incremento dell’attività lavorativa a seguito dell’ordine n. 3494716». In primo grado il giudice aveva accolto le motivazioni del lavoratore, condannando la Società utilizzatrice al pagamento a titolo risarcitorio di una indennità pari a dieci mensilità. La Corte di Appello, invece, aveva riformato la sentenza di primo grado, ritenendo che le ragioni organizzative e produttive addot-

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te ai fini della proroga risultavano provate e quindi giustificate erano anche le proroghe del contratto, in considerazione del fatto che il lavoratore era stato utilizzato per quello specifico ordine, che per sua natura aveva le caratteristiche della temporaneità. Il lavoratore presentò ricorso in Cassazione deducendo violazione dell’art. 20 quarto comma d.lgs. 276/2003, in quanto a suo avviso la Corte di Appello non aveva effettuato le dovute verifiche e indagini in punto di fatto sulla specificità della causale indicata nei contratti, non esercitando così il dovuto controllo giudiziale. I motivi addotti risultano infondati secondo la Suprema Corte, in quanto risiedono nella contestazione della valutazione probatoria della Corte di Appello con richiesta di una verifica di merito che, però, la Suprema Corte non può effettuare perché insindacabile in sede di legitti-

mità, in quanto le motivazioni erano “congruamente e correttamente motivate”. Il valore della sentenza in commento risiede in molteplici aspetti. Nei confronti delle Società di Somministrazione vi è il riconoscimento del ruolo svolto, in quanto secondo la direttiva 2008/104/CE, richiamata in sentenza, tali società contribuiscono a diffondere una forma di impiego flessibile, concorrendo alla “creazione di posti di lavoro e sviluppo di forme di lavoro flessibile”. Nei confronti delle Società utilizzatrici la conferma che possono ricorrere alla stipula di contratti a tempo determinato, anche prorogati più volte, tramite Società di Somministrazione, purché vengano riportate specifiche e puntuali motivazioni, che devono, però, trovare riscontro in punto di fatto con l’attività svolta effettivamente dal dipendente.


La responsabilità del datore in caso di infortunio del lavoratore Il principio che sottende alla culpa in vigilando in riferimento al cantiere di proprietà del terzo committente

Luigi De Valeri Ordine avvocati di Roma studiolegaledevaleri@hotmail.com

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recente la pubblicazione di una sentenza della Cassazione lavoro che, considerato dall’inizio dell’anno il ripetuto verificarsi di infortuni sul lavoro, vale la pena di proporre ai lettori che svolgono attività imprenditoriale. I principi espressi dalla Corte devono costituire un monito ineludibile per chi deve preoccuparsi della sicurezza dei propri dipendenti sul luogo di lavoro, anche se il cantiere viene messo a disposizione dal proprietario-committente in occasione di un appalto. Il fatto. Un dipendente di una cooperativa si rivolgeva al giudice del lavoro del Tribunale di Udine per ottenere il risarcimento dei danni a seguito di un infortunio subito in occasione di attività lavorativa e precisamente «mentre era intento a praticare dei fori con un macchinario all’interno di una galleria

ferroviaria in costruzione, a causa dell’esplosione di una carica rimasta nascosta». Sia in primo grado, sia in appello però la sua domanda veniva inopinatamente respinta. La tesi dei giudicanti traeva fondamento dagli esiti dell’istruttoria svolta dinanzi il Tribunale, da cui era risultato che il fatto dannoso non era riconducibile ad un comportamento colposo del personale preposto al controllo del sito, il quale aveva provveduto alla preparazione della parete ove si sarebbero dovute posizionare le nuove cariche esplosive, né sarebbe risultata, secondo il Tribunale, una responsabilità del datore di lavoro, non essendovi sul sito segnali di pericolo per l’esistenza di cariche rimaste inesplose. Il lavoratore, pertanto, ricorreva alla Corte di Cassazione e la sezione lavoro ha deciso la controversia con la sentenza n.

5957 pubblicata il 12 marzo 2018 ritenendo fondati i motivi e dunque accogliendo il ricorso. Partendo dalla ricostruzione del fatto effettuato da parte del ricorrente in primo grado la sera dell’infortunio "dopo aver proceduto ad una prima esplosione, aver liberato il campo dai detriti ed aver consolidato la parete rocciosa con un getto di calcestruzzo, venivano segnati con vernice i punti ove dovevano essere praticati i fori per l’inserimento delle nuove cariche esplosive e veniva dato ordine di eseguire gli ulteriori fori. Nel mentre il lavoratore stava praticando un foro ad un’altezza di circa un metro, si verificava un’esplosione ed egli veniva investito da una quantità notevole di detriti...". La descrizione della dinamica degli eventi che avevano portato all’infortunio permetteva di rilevare che la causa del pregiudizio alla salute patito dal ricorrente era costituita dall’eMaggio | Giugno 2018

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splosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all’interno del cantiere di pertinenza, se non di proprietà, del datore di lavoro a seguito dell’appalto concluso con il committente. L’art. 2087 del codice civile sancisce in via generale un obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore e, detto obbligo, si concretizza poi nel rispetto della circostanziata e puntuale disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e le misure di prevenzione. La norma citata impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti “con l’adozione - e il mantenimento perfettamente funzionale - di misure non solo di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente”. La responsabilità del datore di lavoro - ex art. 2087 c.c. - è di carattere contrattuale considerando che il contratto individuale di lavoro risulta integrato ex lege ai sensi dell’art.1374 c.c. dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza a tutela del dipendente e a carico del datore. Quanto alla prova a carico del lavoratore che deduca di aver patito un danno causato da infortunio sul lavoro, la sua difesa dovrà allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno e il nesso

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causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ovvero di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza mettendo in atto ogni misura per evitarlo. L’art. 2051 del c.c., applicabile al datore di lavoro, dispone che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito” e costituisce la cosiddetta culpa in vigilando. Nel caso di specie, si configurava un contratto di appalto in cui la consegna dell’area di proprietà del committente è di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva al datore ed è richiesta, per la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c.., “la sussistenza d’una relazione diretta fra la cosa e l’evento dannoso, e il potere fisico del soggetto sulla cosa, da cui discende l’obbligo di controllarla in modo da impedire che la cosa causi danni”. In tale situazione, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del c.c., nell’ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e inoltre abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare “sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che è nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilità degli artt.2051 e 2087 c.c., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall’ac-

certamento di un comportamento abnorme del lavoratore e, ove non sia in discussione la colpa di quest’ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex art.2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso”. Nel caso in questione il giudice di merito aveva disatteso tali principi previsti dagli art. 2051 e 2018 c.c. e la difesa del lavoratore sin dal ricorso iniziale aveva indicato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti e ricondotto la causa dei danni all’esplosione verificatasi nella galleria. Pertanto, secondo il giudice di legittimità non era ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell’art. 2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilità a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell’evento dannoso. La Corte di piazza Cavour accogliendo il ricorso del lavoratore ha rinviato il giudizio alla Corte di Appello di Trieste in diversa composizione formulando il principio di diritto di seguito riportato cui il Giudice del rinvio dovrà attenersi “nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia - con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa - ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente e i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito".


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Internazionalizzazione, la stagione degli incentivi è quasi aperta A distanza di qualche mese dalla pubblicazione sul BURC del Decreto Dirigenziale n.53, non è ancora operativa la piattaforma web che la Regione Campania ha predisposto per la presentazione delle istanze. Destinatari, risorse e spese ammissibili per il programma che vuole dare una spinta al tessuto imprenditoriale campano

Alessandro Sacrestano Management Consultant Sagit&Associati srl Amministratore Unico Assindustria Salerno Service srl asacrestano@studiosagit.it

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ubblicato sul BURC n. 23 del 19/03/2018, il Decreto Dirigenziale n. 53 della Giunta Regionale della Campania dà il via ad una stagione di incentivi finalizzata all’internazionalizzazione del tessuto imprenditoriale campano. A distanza di qualche mese, comunque, non è ancora definitivamente operativo l’accesso alle risorse e, in particolare, la piattaforma web che la Regione ha predisposto per la presentazione delle istanze. I programmi di spesa potranno contare su una dotazione finanziaria di 15 M euro, a valere sull’Asse III Obiettivo Specifico 3.4 - Azione 3.4.2 del POR Campania FESR 2014-2020. Destinatarie delle risorse sono le Micro, Piccole e Media Imprese, (inclusi i liberi professionisti), in forma singola o associata in Reti di imprese con personalità giuridica (Reti-soggetto), Reti di imprese senza personalità giuridica (Reti-contratto), Consorzi e Società Consortili. Nonostante una generale apertura a tutte le tipologie

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di settori, avranno priorità nell’assegnazione dei fondo, le MPMI che operano nei seguenti settori: 1. Aerospazio (Settore aeronautico; settore spazio; settore difesa e sicurezza); 2. Beni culturali, Turismo, Edilizia sostenibile (Sistema dell’industria della cultura; Turismo; Costruzioni ed edilizia); 3. Biotecnologie, Salute dell’uomo, Agroalimentare (Settore farmaceutico; Settore dei dispositivi medici/biomedicale; Settore del pure biotech; Settore agroindustriale); 4. Energia e Ambiente (Settore produzione energia elettrica; Settore conversione e accumulo energia; Settore dispositivi per la misurazione e l’erogazione di energia elettrica; Settore sicurezza del territorio e gestione delle risorse ambientali; Settore bioplastiche e biochemicals); 5. Materiali avanzati e Nanotecnologie;

6. Trasporti di superficie, Logistica (Settore automotive; Settore delle costruzioni dei veicoli e dei sistemi di trasporto su rotaia; Logistica portuale e aeroportuale); 7. Tessile, Abbigliamento, Calzature. Per poter presentare domanda, comunque, le MPMI devono possedere i seguenti requisiti di ammissibilità: a) avere sede operativa destinataria dell’intervento in Campania; b) essere regolarmente iscritti nel Registro delle Imprese della C.C.I.A.A. competente per territorio ovvero, in caso di liberi professionisti, essere titolari di partita I.V.A.; c) esercitare, in relazione alla sede o unità locale per la quale si presenta la domanda, un’attività economica identificata come prevalente (codice ATECO 2007) rientrante in uno dei settori ammessi dal Regolamento de minimis; d) essere in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi


previdenziali e assistenziali a favore dei lavoratori ovvero essere in regola con la certificazione che attesti la sussistenza e l’importo di crediti certi, liquidi ed esigibili - vantati nei confronti di pubbliche amministrazioni e verificabili attraverso il DURC - di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte del medesimo soggetto; e) essere nel pieno e libero esercizio dei propri diritti, essere attivi e non essere sottoposti né essere stati sottoposti, nei cinque anni antecedenti alla presentazione della domanda, a procedure di liquidazione volontaria, liquidazione coatta, fallimento, concordato preventivo (ad eccezione del concordato preventivo con continuità aziendale) ed ogni altra procedura concorsuale, nè avere in corso un procedimento per la dichiarazione di una delle suddette situazioni; f) possedere capacità di contrarre ovvero non essere stati oggetto di sanzione interdittiva o altra sanzione che comporti il divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione; g) non avere Amministratori e/o Legali Rappresentanti che siano stati condannati con sentenza passata in giudicato ovvero nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio; h) non avere Amministratori e/o Legali Rappresentanti che si siano resi colpevoli di false dichiarazioni nei rapporti con la Pubblica Amministrazione;

i) osservare gli obblighi dei contratti collettivi di lavoro e rispettare le norme in materia di: • prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro e delle malattie professionali; • salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; • inserimento dei disabili; • pari opportunità; • contrasto del lavoro irregolare; • tutela dell’ambiente; j) non rientrare tra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato su un conto corrente bloccato gli aiuti individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione Europea; k) non essere stati destinatari, nei cinque anni antecedenti alla presentazione della domanda, di provvedimenti di revoca di agevolazioni pubbliche, ad eccezione di quelli derivanti da rinuncia; non dover restituire agevolazioni per le quali l’Organismo competente abbia disposto la restituzione; l) non rientrare nella categoria delle imprese in difficoltà, come definite dagli "Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà” (2014/C 249/01); m) non essere beneficiari di altre agevolazioni pubbliche relative alle stesse iniziative e non aver presentato altre domande di agevolazione a valere sulla medesima procedura; n) attestare il rispetto della normativa de minimis, fornendo informazioni esaurienti in merito ad eventuali altri aiuti de minimis ricevuti nei due esercizi finanziari precedenti e nell’esercizio finanziario in corso; o) possedere capacità amministrativa, economico-finanziaria ed operativa adeguata al Programma da realizzare;

I Programmi di Internazionalizzazione devono prevedere la realizzazione di interventi ricompresi nelle tipologie di seguito indicate: • Partecipazione a fiere e saloni internazionali; • Incoming di operatori esteri presso la sede campana dell’impresa; • Incontri bilaterali tra operatori italiani ed operatori esteri, workshop e seminari all’estero o in Italia; • Utilizzo temporaneo (massimo 12 mesi) di uffici e/o sale espositive all’estero; • Azioni di comunicazione; • Supporto specialistico. L’agevolazione, concessa ai sensi del Regolamento de minimis, è differenziata a seconda del soggetto proponente e, in particolare: Progetti presentati da MPMI in forma singola: Sovvenzione pari al 70% delle spese ammesse e comunque nella misura massima di Euro 150.000,00; Progetti presentati da Aggregazioni Temporanee (Reti-contratto): Sovvenzione pari al 70% delle spese ammesse e comunque nella misura massima di Euro 150.000,00 per singola MPMI aderente e di Euro 500.000,00 per l’intero Programma di Internazionalizzazione.mLe spese ammissibili relative a ciascuna tipologia di intervento sono le seguenti: a) Partecipazione a fiere e saloni internazionali. Rientrano in questa tipologia le spese relative a: • affitto di spazi espositivi, compresi eventuali costi di iscrizione, oneri e diritti fissi, in base al regolamento della manifestazione fieristica; • inserimento nel catalogo dell’evento fieristico; • allestimento e manutenzione degli spazi espositivi (compresi

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i servizi di pulizia, di facchinaggio e di allacciamento ai servizi di energia elettrica, internet, acqua ecc.); • servizi di hostess e interpretariato; • realizzazione di materiale promozionale e informativo da utilizzare presso la fiera o il salone internazionale e strettamente riconducibile alla fiera/salone internazionale stessa/o (ad es. cataloghi e/o brochure in lingua straniera, schede tecniche dei prodotti in lingua straniera ecc.); • servizi di trasporto (ivi compresi eventuali oneri assicurativi) di materiali promozionali e informativi; • servizi di trasporto (ivi compresi eventuali oneri assicurativi) di campionari specifici da utilizzare nell’ambito della manifestazione fieristica/salone internazionale, ivi compresi campionari specifici utilizzati ai fini delle dimostrazioni di fasi di lavorazione artigianale con finalità promozionale. b) Incoming di operatori esteri presso la sede campana del beneficiario. Rientrano in questa categoria esclusivamente le spese relative a viaggio e alloggio degli operatori provenienti dal/i Paese/i target. c) Incontri bilaterali tra operatori italiani ed operatori esteri, workshop e seminari all’estero o in Italia. Rientrano in questa tipologia le spese relative a: • Affitto di locali, in Italia o all’estero, destinati alla realizzazione dell’evento; • Noleggio di attrezzature e strumentazioni, per il tempo necessario alla realizzazione dell’evento;

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• Realizzazione di materiali informativi con finalità promozionale (spese relative alla realizzazione, redazione testi, grafica e stampa, di cataloghi, brochure e/o cartelle stampa nella lingua del Paese target ovvero in lingua inglese); • Quota di iscrizione all’evento, se non organizzato dal richiedente. d) Utilizzo temporaneo (massimo 12 mesi) di uffici e/o sale espositive all’estero. Rientrano in questa tipologia le spese relative a: • Affitto di locali all’estero per uffici, spazi di co-working, sale espositive e/o ambienti di meeting point; • Noleggio di attrezzature e strumentazioni per l’allestimento di locali all’estero per uffici, spazi di co-working, sale espositive e/o ambienti di meeting point; • Trasporto (ivi compresi gli oneri assicurativi) di campionari specifici da utilizzare esclusivamente presso le sale espositive all’estero. e) Azioni di comunicazione. Rientrano in questa tipologia le spese relative a: • Creazione di siti web, portali ed altri ambienti web-based nella lingua del/i Paese/i target o in inglese finalizzati esclusivamente ad attività promozionale (non sono ammesse le spese relative alla realizzazione di siti/ piattaforme di e-commerce); • Realizzazione di attività di web marketing rivolte ai mercati target; • Azioni di comunicazione e advertising sui mercati internazionali. f) Supporto specialistico. Rientrano in questa tipologia le spese relative a:

• ricerca operatori/partner esteri finalizzata all’inserimento su nuovi mercati esteri o all’ampliamento della presenza su mercati esteri; • consulenza legale inerente alla contrattualistica internazionale, ivi compresi gli studi contrattuali finalizzati alle alleanze all’estero; • consulenza legale inerente alla registrazione dei diritti industriali (marchi e brevetti) all’estero; • consulenza fiscale su aspetti inerenti alla fiscalità societaria in contesti internazionali; • consulenza doganale su aspetti tecnici, legislativi e procedurali connessi al Programma di Internazionalizzazione; realizzazione di studi di fattibilità per lo sviluppo di reti commerciali all'estero; • consulenza per certificazioni estere di prodotto (con esclusione delle spese inerenti all'Ente Certificatore); elaborazione di Piani di Marketing per l’internazionalizzazione connessi al Programma di internazionalizzazione; ideazione e realizzazione di brand per la penetrazione nei mercati esteri. L’invio delle domande di accesso alle risorse è al momento ancora in attesa del perfezionamento della procedura e dell’individuazione del termine iniziale e finale per trasmetterle. Sul sito della Regione Campania, comunque, è possibile consultare le FAQ sul regime di aiuto, fra le quali è indicato che la modulistica è in fase di preparazione e che appena disponibile sarà pubblicato il Decreto di approvazione, a seguito del quale decorreranno i termini per la presentazione delle domande.


La logistica vista dall'interno Se questo servizio è svolto in modo approssimativo o limitato, è l’immagine dell’azienda “rappresentata” a rimetterci prima di tutto

Daniele Trimarchi Studio Trimarchi daniele@studiotrimarchi.com

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ensare alla logistica unicamente come il trasporto di merci da un punto all’altro di un determinato mercato significa sottostimare una delle principali attività su cui si basa il commercio estero. Basti pensare al fatto che, ogni volta che si spedisce un prodotto, il contatto con il cliente finale è demandato a un terzo che avrà il ruolo di svolgere la consegna e, per questo, anche se indirettamente, di rappresentare l’azienda. Alla base di tutto c’è ovviamente il compito di gestire il trasporto dei prodotti dei clienti in modo efficiente ed efficace. Se questo servizio è svolto in modo approssimativo o limitato, è l’immagine dell’azienda “rappresentata” a rimetterci prima di tutto. La logistica internazionale, pertanto, svolge un ruolo fondamentale nella crescita e nello sviluppo di un’azienda nel mercato mondiale e oggi sta assumendo una valenza strategica specialmente

nella parte finale del percorso, proprio in prossimità del cliente. Vediamo quali sono i tratti salienti percepiti dall’interno. Innanzitutto l’obiettivo principale di un operatore logistico è quello di sviluppare un meccanismo di consegna economicamente efficiente che rispetti i tempi “concordati”. In effetti, però non è sempre così! L’operatore logistico non potrà che offrire i servizi nei tempi e nei modi condizionati dalla tipologia a lui accessibile sul mercato. Non dimentichiamolo: il più delle volte si tratta di veri e propri coordinatori delle attività che organizzano il trasporto delle merci, da monte fino ad un certo punto che potrebbe essere, e spesso lo è, anche intermedio alla destinazione finale. Per questo motivo il livello dei servizi offerto, dipenderà da una serie di fattori e non per forza dalle risorse che un imprenditore è disposto a investire (ad es. un maggior costo).

Strategico risulta poi il tipo di organizzazione che l’operatore logistico mette in piedi e, non ultimo, le relazioni e/o le capacità di negoziare che lo stesso ha con terze parti (piccoli o grandi trasportatori, shipping line, vettori aerei etc.). Concetto non sempre chiaro all’imprenditore che dovrà spedire i sui prodotti all’estero: ad un maggior costo potrebbe non riflettersi un servizio migliore, ma piuttosto un’organizzazione più complessa, con i vantaggi che vedremo in seguito. L’operatore logistico sa bene che l’individuazione del canale di distribuzione adeguato al proprio cliente aumenta notevolmente le possibilità di successo dell’azienda nei mercati internazionali. Ecco allora che risulta importante per l’imprenditore, o per chi valuta gli aspetti logistici per suo conto, comprenderne le logiche sottostanti. Per trarre un reale beneficio, a mio avviso è opporMaggio | Giugno 2018

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tuno tendere a sviluppare una “sana” relazione con il proprio interlocutore. Auspicabile è capire se chi si ha di fronte, possiede le competenza idonee a gestire le spedizioni dei propri prodotti nei propri mercati di sbocco. Da questo si desume che è vincente fare una costante analisi - più che sui costi offerti della concorrenza - sui servizi svolti dagli operatori e/o intermediari con cui ci si sta interfacciando. Certo, bisogna evitare di scadere nella pura intromissione nella gestione del fornitore di servizi, favorendo piuttosto un approccio a fornire feedback, scambiarsi frequenti pareri e opinioni sulle attività in essere e sulla qualità del servizio svolto, magari ponendo quesiti intesi a fornire indicazioni per migliorare eventuali debolezze. Altro punto importante è valutare la capacità dell’operatore di controllare tutto (o quasi) il percorso compiuto dalle merci, preferendo quegli operatori che hanno avuto la capacità di espandersi nei mercati internazionali. In questo modo si è sicuri che l’operatore logistico potrà garantire un adeguato servizio nel mercato di sbocco. Questo, spesso si traduce in servizi che non per forza avranno un extra costo. Il caso Amazon dovrebbe far riflettere come caso d’azienda che punta costantemente alla soddisfazione della clientela finale, studiando come rendere fruibile i prodotti ai consumatori con servizi sempre più innovativi.Di riflesso, per un operatore logistico mettere al primo posto la clientela si traduce anche nel poter garantire ai propri clienti un trasporto intermodale con tecnologie evolute, come

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quella del tracciamento delle proprie merci che favorisce un reale avanzamento nell'efficienza dei servizi alle imprese. L’e-commerce - in primis colossi come Amazon e Alibaba - sta imponendo una radicale trasformazione al settore. Le recenti fusioni nello Shipping, ma non solo, lo sviluppo di alleanze e le strategie di Merger & Acquisition in atto, hanno lo scopo di adeguare i servizi alle rinnovate esigenze della clientela finale. Si sta assistendo a un cambio degli schemi e i grandi player hanno capito da dove deriva la minaccia se non saranno in grado di offrire nel breve tempo un buon servizio. Dal mio personale punto di vista, conoscere dall’interno il settore della logistica vuol dire anche apprezzare quegli operatori che stanno dimostrando di avere le capacità e soprattutto il coraggio

di consolidare le proprie posizioni, magari con investimenti spesso ingenti che gli consentono una presenza in più mercati.

«L’e-commerce - in primis colossi come Amazon e Alibaba - sta imponendo una radicale trasformazione al settore. Le recenti fusioni nello Shipping, ma non solo, lo sviluppo di alleanze e le strategie di Merger & Acquisition in atto, hanno lo scopo di adeguare i servizi alle rinnovate esigenze della clientela finale. Si sta assistendo a un cambio degli schemi e i grandi player hanno capito da dove deriva la minaccia se non saranno in grado di offrire nel breve tempo un buon servizio»


sicurezza

Reinserimento sociale e lavorativo dei disabili: le nuove campagne di comunicazione Inail “Le belle storie Inail” sono video-racconti di vita e rinascita, in cui persone assistite dall’Istituto parlano del percorso seguito per reintegrarsi nella società. Inoltre, l’Istituto ha realizzato la campagna sul reinserimento lavorativo, con un testimonial d’eccezione: l’atleta paralimpico Oney Tapia A cura della Redazione di Costozero

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e belle storie. Un emozionante viaggio da nord a sud per incontrare i protagonisti della rubrica “Le belle storie” che, sulla pagina Facebook e sul portale dell’Inail, si raccontano in reportage di pochi minuti. Si tratta di infortunati sul lavoro che hanno ritrovato la voglia di rimettersi in gioco e convivono serenamente con la propria disabilità, diventata per alcuni un punto di forza. Partendo dal momento dell’incidente, i protagonisti raccontano la propria storia e l’incontro con l’Ente, che li ha accompagnati in un percorso di reinserimento sociale. E anche questo ha permesso loro di ricominciare e reinventarsi una nuova vita. L’Inail, attraverso percorsi mirati e individuali, ha sostenuto queste persone durante la riabilitazione, nel superamento delle barriere architettoniche e nelle attività sportive. Per la pubblica amministrazione i social rappresentano un’opportunità per farsi conoscere, superando la burocrazia e

parlando direttamente ai propri utenti con parole semplici e dirette. Dalla necessità di far conoscere quello che viene realizzato sul territorio è nata l’idea di creare una rubrica fissa sulla pagina Facebook e sul portale dell’Istituto, chiamata “Le belle storie”. Nel tempo, la rubrica ha conquistato un’ottima media di visualizzazioni, click sulla notizia e “mi piace” sui post. Oltre alla rubrica, l’Inail ha realizzato una campagna di comunicazione con l’obiettivo di divulgare la qualità e la varietà delle attività istituzionali nei confronti degli assistiti, attraverso le voci e i volti delle persone coinvolte che, in una video

intervista, raccontano la propria esperienza. Immagini e ricordi che parlano anche dell’impegno dei centri di assistenza protesica e riabilitativa Inail e delle sedi territoriali, del lavoro di medici, operatori e assistenti sociali, dei progetti di reinserimento nella vita sociale e dell’aiuto concreto per affrontare la nuova vita senza barriere. La campagna vuole anche essere un mezzo per inviare un messaggio positivo e offrire uno stimolo a quelle persone che, di fronte alle oggettive difficoltà causate dalla condizione di disabilità, rischiano di cedere alla tentazione di arrendersi. La prima “bella storia” è quella di Alessandra Santandrea, in carrozzina da più di dieci anni. È lei a raccontarci del suo infortunio in itinere, della riabilitazione al Centro Protesi e della sua rinascita, anche grazie alla vicinanza di fisioterapisti, psicologi ed esperti dell’Inail. Alessandra è un’energica quarantenne che racconta la sua amicizia speciale con Lulù, la cagnetta con cui

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vive da dieci anni, grazie alla quale è diventata istruttrice di pet therapy ed è in grado, oggi, di aiutare altri disabili e persone in difficoltà. “Un nuovo obiettivo è sempre possibile. Anche nel mondo del lavoro”. È questo lo slogan scelto per la campagna di comunicazione sul reinserimento delle persone con disabilità da lavoro in una nuova occupazione, che punta a promuovere l’adesione dei datori di lavoro ai nuovi servizi messi a disposizione dall’Inail e a informare le persone con disabilità da lavoro in cerca di nuova occupazione. Testimonial della campagna è Oney Tapia, campione paralimpico con un passato da giardiniere, ritratto mentre lancia il disco nel centro sportivo paralimpico Tre Fontane a Roma. Le attività di promozione si sono svolte durante il mese di aprile e hanno coinvolto tutti i media: stampa, radio e tv nazionali e locali, web. Sono stati realizzati due spot, uno radiofonico e uno video, per diffondere le informazioni relative alle misure destinate ai lavoratori. La circolare Inail n. 30/2017 estende la realizzazione di progetti personalizzati per il reinserimento e l’integrazione nell’attività lavorativa, già previsti dalla circolare 51/2016, anche ai casi di nuova assunzione, ove vi sia incontro tra domanda e offerta di lavoro. L’Istituto mette a disposizione fondi per sostenere questo tipo di progetti che riguardano, sia assunzioni con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato, sia rapporti

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Sandra e Lulù

Oney Tapia

di lavoro flessibili o a tempo determinato. Resta escluso il lavoro di tipo autonomo previsto, invece, per gli interventi di conservazione del posto di lavoro. La circolare illustra, inoltre, le modalità di predisposizione del progetto di reinserimento lavorativo personalizzato da parte delle equipe multidisciplinari territoriali dell’Istituto, con il coinvolgimento del lavoratore e la partecipazione attiva del datore di lavoro. L’Inail eroga contributi per le diverse tipologie di interventi, con un rimborso complessivo massimo pari a 150mila euro a progetto per la realizzazione degli “accomodamenti ragionevoli”. Nel dettaglio, i limiti di spesa, rimborsabili al 100%, sono

rispettivamente di 95 e 40mila euro per l’abbattimento delle barriere architettoniche e per l’adeguamento delle postazioni di lavoro con arredi, ausili e dispositivi tecnologici, informatici e di automazione, e di 15mila euro, con un rimborso massimo del 60%, per la formazione e la riqualificazione professionale. È prevista la possibilità di richiedere un anticipo fino al 75%. Le misure relative ai nuovi impieghi si affiancano a quelle già previste dall’Istituto con la circolare n. 51 del 30 dicembre 2016 per i lavoratori subordinati e autonomi che, a causa di un infortunio o di una malattia professionale, hanno bisogno di interventi mirati per consentire o agevolare la conservazione del posto di lavoro.


salute

Antonino Di Pietro Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.antoninodipietro.it | www.istitutodermoclinico.com

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Guerra all’odiosa cellulite

Oggi esistono trattamenti davvero efficaci e questo è il momento per iniziarli

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iguarda oltre l’80% delle donne italiane. E non fa distinzioni d’età né di peso. Stiamo parlando della cellulite, l’inestetismo più odiato contro cui nulla sembra funzionare. Cosa si intende per cellulite e come si manifesta? Il nome scientifico della cellulite è pannicolopatia edemato - fibrosclerotica (pefs). Questa complessa definizione indica l’evoluzione delle alterazioni patologiche dei tessuti cutaneo e sottocutaneo, che degenerano per colpa di disturbi del microcircolo sanguigno e dell’aumento dei radicali liberi. Gli adipociti, le cellule del grasso sottocutaneo, si gonfiano, si alterano e non comunicano più con il tessuto circostante, che diventa duro e si ritrae, tendendo le fibre.Il cambiamento è visibile anche all’esterno. Quando comincia a formarsi l’edema la pelle perde compattezza ed elasticità, assumendo un aspetto pastoso e granuloso, a buccia d’arancia; a mano a mano che i tessuti adiposi si induriscono, eccola diventare come un materasso. Le gambe si coprono di capillari bluastri, che possono rompersi al minimo urto, dando luogo a ecchimosi. Stadi evoluzione della cellulite. Quattro gli stadi di evoluzione: cellulite edematosa, caratterizzata da ristagno dei liquidi e pelle più pastosa e fredda al tatto; cellulite fibrosa, con formazione di noduli nel tessuto adiposo e tessuto connettivo meno elastico e rigido, pelle che presenta i segni caratteristici della buccia d’arancia, alcuni avvallamenti e discromie; cellulite sclerotica molle, stadio nel quale i noduli aumentano di dimensione, diventano duri e dolenti al tatto e dove possono

iniziare a comparire i primi segni di una insufficienza venosa o linfatica; cellulite sclerotica, l’unica irreversibile, con dolore provocato dalla compressione dei micronoduli sulle terminazioni nervose e con il derma che si presenta con infossamenti profondi e con il classico aspetto a “materasso”. Quali sono le cause? Dipende da diversi fattori, tra cui ormonali, costituzionali, ereditari e di stile di vita (alimentazione troppo ricca di sale, fumo, sedentarietà). Quali sono i trattamenti e i rimedi per contrastarla? Nell’ambito della dermatologia plastica, l’arma più efficace è certamente la Microterapia. Questo trattamento si effettua con il cosiddetto SIT, attraverso cui viene iniettata sottocute una soluzione ipersalina in grado di richiamare i liquidi ristagnanti, che vengono poi espulsi con le urine. Grazie all’eliminazione dei liquidi in eccesso in modo naturale, il grasso può essere più facilmente metabolizzato dall’organismo. Le microiniezioni sono praticate a una distanza di circa un centimetro l’una dall’altra, mediamente in 10 sedute della durata di 10-20 minuti ciascuna. Il trattamento è indolore, non causa la rottura di capillari e non lascia segni visibili. È sempre fondamentale associare il trattamento a una serie di accorgimenti quotidiani, che includono una corretta alimentazione con pochi carboidrati e poco sale, un’adeguata idratazione e un’attività fisica costante. Agendo contemporaneamente su questi fronti, i risultati saranno evidenti e apprezzabili. La Microterapia può essere associata alla radiofrequenza, capace di trasformare energia elettrica in calore che omogeneamente penetra nei tessuti fino al derma, stimolando sia la produzione di nuovo collagene sia la riorganizzazione delle fibre di collagene già presenti. La quadripolarità (ovvero l’utilizzo di quattro elettrodi) della radiofrequenza è in grado di concentrare il calore in modo preciso, senza dispersioni e con risultati visibili sin dalla prima seduta. Maggio | Giugno 2018

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salute

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Giuseppe Fatati Presidente Fondazione ADI Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

Urbanizzazione e salute / II parte

Cities Changing Diabetes è un programma che dovrebbe individuare, in ogni singola realtà cittadina, le azioni da promuovere per evitare disparità e consentire a tutti di godere una vita in salute come bene comune

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e città oggi non sono solo motori economici per i Paesi, ma centri di innovazione chiamati anche a gestire e rispondere alle drammatiche transizioni demografiche ed epidemiologiche in atto. Si sta venendo a creare un nuovo modello di welfare urbano, ovvero si sta passando da un sistema di welfare state a un sistema di welfare local. La sfida principale è quella che vede le autorità sanitarie di tutto il mondo impegnate nel contrastare l’evoluzione delle cosiddette malattie non Trasmissibili (NCDs) e, tra queste, il diabete riveste un ruolo particolare poiché può rivelarsi la più grande epidemia della storia umana. Secondo l’International Diabetes Federation (IDF), nel 2013 più di 382 milioni di persone in tutto il mondo soffrivano di diabete, diagnosticato o meno. Entro il 2035, questo numero salirà a 592 milioni. Nelle grandi città risiedono la gran parte delle persone con diabete Tipo 2 e le stime attuali ci indicano come questo fenomeno interessi oltre due persone con diabete non insulinodipendente (tipo 2) su tre. Secondo i dati dell’International Diabetes Federation (IDF), nel mondo, sono 246 milioni (65%), coloro che hanno ricevuto una diagnosi di Diabete di Tipo 2 e abitano nei centri urbani, rispetto ai 136

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milioni delle aree rurali. Nel 2035 si stima che raggiungeranno il 70% le persone con diabete nelle città: 347 milioni rispetto ai 147 che abiteranno fuori dai grandi centri abitati. Sembra che le città siano catalizzatrici per il diabete: chi si sposta in città ha infatti maggior probabilità di sviluppare la malattia rispetto a chi rimane fuori dai grandi centri. È assolutamente necessario creare una roadmap su urbanizzazione e salute che prenda in esame come l’urbanizzazione porti a una sempre maggiore esposizione dei cittadini a fattori ambientali (ad esempio l’inquinamento dell’aria, acqua, acustico e a difficoltà derivanti da igiene delle strade, smaltimento delle acque reflue e dei rifiuti, ecc.) e, quindi, a differenti fattori di rischio per la salute. Studi recenti dimostrano come vi sia una stretta correlazione tra aspetti bio-genetici, stili di vita individuali e ambiente nel quale viviamo. Sono fattori che debbono essere investigati con metodicità e identificano i motivi delle differenti situazioni tra le città e, all’interno delle stesse, nei singoli quartieri. Da questi presupposti nasce Cities Changing Diabetes, un programma volto a far fronte alla sfida che il diabete pone nei grandi centri abitati. Partito da Città del Messico, Copenaghen, Shanghai, Tianjin, Vancouver, Houston, nel 2017 ha visto coinvolta Roma. La roadmap dovrebbe individuare, in ogni singola realtà cittadina, le azioni da promuovere per evitare disparità e consentire a ogni cittadino di godere una vita in salute come bene comune e motore di sviluppo e ricchezza di tutti. Gli Amministratori, e in particolare i Sindaci, dovranno guardare alla sempre maggiore urbanizzazione in termini nuovi, comprendendo che il carico di disabilità che le malattie croniche portano con sé inciderà sullo sviluppo e sulla sostenibilità delle città da essi governate.


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bon ton

Nicola Santini Esperto di Galateo, Costume e Società ph/Christian Ciardella

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Influencer, una vita in vetrina

Davvero una foto può convincere all’acquisto di un prodotto o servizio?

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onsiderata l'ascesa sociale degli influencer sono mesi e mesi che mi viene chiesto di pronunciarmi sul fenomeno e, magari, inventare un galateo ad hoc per questi personaggi che imperversano in tutti i social a suon di follower veri e comprati e che trovano posto dai front raw delle sfilate ai charity più ambiti. Pagati. Qualsiasi cosa essi facciano, o meglio​, postino. Influencer è una parola facile e gratuita, non punibile, ahimè, di millantato credito. Ci si può svegliare un giorno e decidere di esserlo. Non occorre, pare, essere né belli, né brutti (tanto c'è photoshop), ricchi né poveri (tanto c'è Prada), bravi o cattivi (tanto l'unica parola ammessa è "amazing"). La sola qualità richiesta è quella di saper recitare, pardon, fare finta. Di divertirsi, di rilassarsi, di stare bene, di apprezzare un abito, una crema, una compagnia. Detto questo, non c’è nulla di male, modelli e attori lo fanno da sempre. Ma con un ma: nessuno di loro finge che sia la propria vita.E da questo sovrapporre sogni e (fare) cassetto nascono le mie riflessioni. Quando ho deciso di sporcarmi le mani con i mulini a vento decidendo di rispolverare il culto delle buone

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maniere e di portarle nelle aziende, sapevo che se avessi detto "bevete più latte-il latte fa bene" a quest'ora farei avanti e indietro con le Cayman. Sapevo, però, anche che in molti casi avrei portato cambiamenti ed evoluzione e in vent'anni non ho mai cambiato idea. Sono pure dell'idea che nel mondo ci sia posto per tutti e che, per come stanno messe le cose, un giovane che si inventa una professione, va solo apprezzato. Chiusa parentesi bontà d'animo, aperta la lente d'ingrandimento: le aziende riducono i budget, mettono a casa le persone e sfoderano picche a qualsiasi iniziativa promozionale, ma quando si tratta di sponsorizzare un post di un influencer tirano fuori somme che non stanno né in cielo, né in terra. E a botte di likes provenienti dal Bangladesh o dalle Filippine pensano di aver innovato e rinfrescato le leve del marketing, quando gli unici a fatturare sono i giovani di belle speranze e abiti in prestito. Colpa degli influencer? No: colpa delle aziende. Sì, perché se si pensa di cambiare le sorti di un marchio, di un servizio, di un albergo, di un ristorante, grazie all'intervento di una foto che piace a 6000 persone, di cui 5500 non possono permettersi manco un toast, non è colpa di chi vende, ma di chi compra. Per cui, se c'è un bon ton che possa scomodare è quello che dice che gli sprechi non sono mai eleganti. E foraggiare un sistema che vive sulla fuffa è uno spreco. Portatemi dati concreti dove si vedano svettare in alto i fatturati a botte di like ed entro 48 ore scrivo un galateo ad hoc. Per ora mi limito a pensare che le regole di questa scrocconeria legittimata siano ancora tutte da definire.


arte

tuttoPassa, in tre mesi di Antonello Tolve Art Critic / Independent Curator Professor at the Academy of Fine Arts in Macerata Fino al prossimo luglio la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, nella sua sede romana, dedica un ciclo di tre mostre ad Antonio Passa

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rtista tra i più brillanti del panorama analitico e di quella che è stata definita Nuova Pittura, Antonio Passa (Cava de’ Tirreni, 1939) concepisce sin dal 1970, anno in cui si trasferisce a Roma, un discorso che mira a coniugare materiale manuale e mentale per intraprendere un viaggio metalinguistico, un discorso pratico e teorico - sull’arte intesa come intrattenimento infinito, come luogo delle possibilità. Si tratta di un processo che, se da una parte crea aderenza tra il fare arte e il pensare contestualmente agli elementi dell’arte, dall’altra si articola nell’ambito di una procedura linguistica entro la quale i vari elementi che costituiscono il linguaggio vivono un forte rapporto di concatenamento, di relazione semiotica. All’itinerario intellettuale di questo artista totale, la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, in collaborazione con l’Associazione FigurAzioni e con il Lavatoio Contumaciale di Roma, dedica nella sede romana della Fondazione (già sede dell’Archivio Menna / Binga, in via dei Monti di Pietralata 16) un ciclo di mostre, tre precisamente, che raccontano - fino al prossimo luglio - il profilo creativo di una figura che ha mostrato la volontà di attraversare il campo di una pittura intesa come fati-

ca mentale, come filologica e fisiologica riflessione sullo stato del dipingere («da quando fa pittura Antonio Passa si è dato un compito di sperimentazione e di verifica», ha puntualizzato Argan), come territorio necessario che vi passa per il vedere (Leonardo). tuttoPassa, in tre mesi propone una scansione del lavoro svolto dall’artista a partire dal 1969 per mostrare i territori irrinunciabili di una ricerca che si concentra su un perimetro pittorico primario nel quale la pittura si articola mostrando i propri strumenti e concependosi come elemento stesso della realtà. Sin dal 1970, anno in cui si trasferisce a Roma, Antonio Passa disegna una ricerca pittorica che si configura come riflessione metalinguistica incentrata su un problema di ridefinizione del quadro a partire dai suoi elementi costitutivi di base, quali il telaio, la tela

ed il colore, con esiti e procedimenti riferibili all’ambito della Nuova Pittura. Già docente e direttore in varie Accademie di Belle Arti italiane, dal 2006 fa parte del Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario e dal 2012 è nominato in qualità di esperto presso l’ANVUR. Tripartita e via via triarticolata, la mostra rappresenta un momento di irrinunciabile riflessione sullo spirito di una geometria totale che, dal Quadro quadrato al Quadrato interrotto, dal Tangram alla Trabeazione, da Alhambra a ZEROVENTI o ai recenti cicli pitagorici, evidenzia un discorso serrato sui dati costitutivi della pratica pittorica, su una «catena linguistica interamente aperta e visibile, priva di salti consistenti, che si traduce in una struttura sintatticamente coerente, autosufficiente e autosignificante» (Menna).

Antonio Passa, Quadrato interrotto n. 4, 1977, olio su tela, 140x140cm.

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finisterre

Antonin Artaud e il teatro della crudeltà di Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università di Salerno Tutta l’opera dell’autore marsigliese sembra scavalcare ogni dato culturale, storico, ideologico e politico per arrivare all’uomo totale

A

ntonin Artaud (1896-1948) ci ha insegnato, nella fatica del suo donarsi al mondo e alle cose, che la scena non è uno spazio per eccellenza della mimesi. E, da vero gigante degli assalti frontali dell’avanguardia, ha spinto il teatro verso suggestioni di tipo rigorosamente sinestetico. Artaud presagisce la difficoltà di esprimere un’emozione autentica in un mondo sempre più inautentico, violento, incattivito. La sua insofferenza verso le “costrizioni” del teatro borghese (e, in maniera più estesa, della vita), il suo netto rifiuto del teatro “verista” appesantito da psicologismi, sta alla base del tentativo di radicalizzare le ambiguità che contraddistinguono il legame tra fisicità e sovrastrutture psichiche. Operazione che si agevola sicuramente nel “teatro della crudeltà”, ovvero il desiderio di una pratica vitalissima ed estrema. La crudeltà come cosmico rigore, determinazione irreversibile, applicazione implacabile che tiene nella sua morsa la vittima e l’aguzzino. E tutto questo lo ritroviamo non solo nel suo teatro ma anche nei suoi lavori radiofonici, nelle sue scritture, nella sua sperimenta-

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zione polivocale, nella sua idea di cinema e nel sostanziale recupero di tutte le ritualità (balinesi e tarahumamaras). In Artaud c’è una visione del teatro come mezzo per riordinare l’esistenza umana. “Per il compimento dei più puri desideri” contro un teatro che si frequenta “come si va al bordello”. Il teatro come dimensione per la liberazione delle forze oscure che marciscono nell’animo contro il piacere posticcio (ma anche contro la riflessione deduttiva brechtiana). Il teatro deve rituffarsi nella vita in senso mistico, antinaturalista. Compito degli attori (e degli scenografi) è la creazione di un teatro dove il pubblico partecipi piuttosto che osservare. «Chiediamo insomma al nostro pubblico un’adesione intima e profonda. La discrezione non fa per noi» Per i manifesti artaudiani dal 1926 al 1929, lo spettatore, a fronte delle sue inquietudini, deve essere sottoposto ad una vera ritualità, dove si realizza non solo una dimensione spirituale ma anche “i sensi e la carne” esistono al contempo. Uno spettacolo totale (e si badi bene che non ha nulla a che vedere con l’art pour l’art), una reintegrazione della vita stessa in un teatro che fuoriesce da sé, una visione allucinatoria della realtà (delle sensazioni e delle inquietudini). La richiesta è verso una messinscena che sia solo il segno visibile di un linguaggio segreto e invisibile. A Bali per Artaud sembra realizzarsi ogni cosa: il processo che

«L’illusione che cerchiamo di suscitare non si fonderà sulla maggiore o minore verosimiglianza dell’azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di questa azione. Ogni spettacolo diventerà in questo modo una sorta di avvenimento»

parte dalla concezione e giunge alla realizzazione esiste solo nella maniera in cui il modello è totalmente immerso nella danza. Un teatro che si attua unicamente se si oggettivizza sulla scena, ove grida e gesti degli attori-danzatori, “geroglifici animati”, risvegliano risposte intuitive non traducibili in un linguaggio discorsivo. Ecco anticipato, dunque, il tema della inadeguatezza della parola.L’inutilità del linguaggio realistico e psicologico. E in qualche modo ecco annunciata una visionarietà che troverà condizione realizzativa proprio nel cinema. Il teatro non deve essere più subordinato al testo, così come il corpo non deve esserlo alla mente, grazie al turbinio dell’energia creatrice, la cui legge permanente è il male. L’oscuro principio che porta all’altrettanto oscura verità schopenhaueriana e al nietzchiano spirito dionisiaco. Il compito del teatro e poi quello del cinema è la rivelazione del cuore di tenebra che è dentro la vita di ognuno. La necessità del confronto e la minaccia ad un “equlibrio dato” presenti nella formalizzazione della ricerca artistica postbellica sono preannunciate al volgere degli anni Trenta dall’autore

marsigliese. Tutto raccontato sempre in un continuo lavorio di “antipurgazione”: come la peste, il teatro porta alla luce lo spirito represso, la crudeltà latente. In esso l’attore deve vedere il suo corpo come il doppio di uno spettro, come il Ka delle mummie egiziane. Tutta la sua opera sembra scavalcare ogni dato culturale, storico, ideologico, politico per arrivare all’uomo totale. Artaud non crede nell’efficacia di una rivoluzione sociale. Per Artaud puntare all’individuo totale significa innanzi tutto adottare una pratica teatrale completamente antagonista a quella del teatro convenzionale. Da qui l’individuazione di quegli spazi che permettono il coinvolgimento totale dello spettatore, una definizione degli elementi costitutivi dello spettacolo che rende partecipe allo stesso titolo spazio-attori-spettatori. Una dimensione che supera e rompe definitivamente le barriere imposte della tradizione del teatro ufficiale. Ma anche gli altri elementi: il testo, la musica, le scene, devono essere relativizzati, ridefiniti. E qui appunto torno il teatro Balinese. Perché proprio nello spazio scenico Balinese, Artaud riconosce qualcosa che coincide con il nucleo stesso del suo pensiero. E cioè un’idea fisica e non verbale del teatro. Insomma, con Artaud il teatro del Novecento diventa assolutamente moderno e annuncio di una narrazione di grande rigore e innovazione radicale.

«Le idee che ho le invento soffrendole io stesso, passo passo»

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LIBRI

CINEMA

a cura di Raffaella Venerando

Come un giovane uomo di Carlo Carabba

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Editore Marsilio pagg. 176 euro 17,00

ome un giovane uomo, il memoir di Carlo Carabba candidato al Premio Strega 2018 è un’intensa riflessione sul dolore che accompagna il passaggio all’età adulta. Sono due le coincidenze da cui muove la storia. Quella tra la caduta della neve su Roma, dopo più di vent’anni di attesa, e la scoperta che una giovane donna, Mascia, è in coma. E quella tra il funerale di Mascia, una decina di giorni più tardi, e la firma di un contratto di lavoro. Se la prima neve della vita del protagonista di questa storia, scesa sulla sua città quando era bambino, aveva portato con sé l’incanto, la seconda ha portato un incidente. Mascia, l’amica degli anni del liceo, è scivolata col motorino là dove la neve è caduta e si è sciolta. Questa seconda neve tanto desiderata, come se col bianco potessero tornare i giochi e le meraviglie dell’infanzia, invece di restituire il passato si porta via un pezzo di futuro. Costruito come un labirinto che riproduce lo smarrimento di fronte al dolore, o come un videogioco che muove nello spazio ancora sconosciuto e pericoloso dell’età adulta, il romanzo segue i pensieri del protagonista, e di chi legge, intorno alla perdita di quelli che si amano e si ferma sul limite dell’amore umano che è quello, insopportabile, di non poterne impedire la morte. Con una lingua che analizza, immagina e riflette, Carlo Carabba medita sul caso e il destino, il lutto e la crescita, e racconta quando finisce la giovinezza, perché si diventa adulti, e come restiamo vivi, nonostante il dolore nostro, e soprattutto, nonostante il dolore degli altri.

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a cura di Vito Salerno

Ella & John di Paolo Virzì

I

l titolo originale del film girato negli Stati Uniti dal regista Paolo Virzì è “The Leisure Seeker”, soprannome del vecchio camper con cui Ella e John Spencer andavano in vacanza coi figli negli anni Settanta. Sceneggiatore, regista e produttore, considerato il principale erede e innovatore della commedia italiana, Virzì come al solito infonde il suo umorismo, la sua sottile osservazione dei fenomeni sociali e la sua profonda analisi dei personaggi, in un film che racconta l’ultima avventura, irragionevole e felice di due anziani coniugi. Ella & John esplora il genere americano “on the road”, rinnovato dalla poesia ironica e dallo stile avvincente e umano di Paolo Virzì, reso ancor più straordinario dalla vitalità di due interpreti d’eccezione, Helen Mirren e Donald Sutherland, nei panni appunto di Ella e John. Una mattina d'estate determinati a sottrarsi a un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti e sale a bordo del loro camper per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svagato e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima, insieme sembrano comporre a malapena una persona sola e quel loro viaggio in un'America che non riconoscono più - tra momenti esilaranti e altri di autentico terrore - è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, regalando rivelazioni sorprendenti fino all'ultimo istante.



2 MAGGIO/ GIUGNO 2018

www.costozero.it

magazine bimestrale di economia, finanza, politica imprenditoriale e tempo libero

In questo numero Design | Sicurezza | Cultura | Sviluppo


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