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Querceto di Castellina
Querceto di Castellina si trova nella parte nord del comune di Castellina in Chianti, al confine con Radda, – due comuni considerati storicamente i più antichi del territorio – e come tutte le terre di “frontiera” rappresenta l’incontro di realtà differenti che arricchiscono il vino di una molteplicità di sfumature conferite da terroir, clima ed esposizione.
giovanna focardi nicita
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L’azienda è stata fondata nel 1945 da Guido Masini, originario di Firenze, che trovò nel cuore del Chianti Classico un angolo di natura inviolata, dalla bellezza unica e pura, ideale per e allentare i ritmi. La tenuta comprendeva anche dei vigneti, dei quali solo una piccola parte delle uve era destinata alla produzione di vino a uso poco più che personale. Negli anni Settanta Guido, accortosi di non aver molto tempo da dedicare all’attività vinicola, decise d’affittare le vigne. Nel 1988 la figlia Laura, con l’aiuto del marito Giorgio Di Battista, architetto, cominciò il restauro degli edifici quattrocenteschi presenti all’interno della proprietà, trasformandoli in uno splendido complesso agrituristico con 9 appartamenti, una suite (per un totale di 40 posti letto) e una splendida piscina dalla quale si gode di un panorama mozzafiato. Alla fine degli anni Novanta il figlio maggiore Jacopo, dopo aver lavorato nel turismo per alcuni anni in giro per il mondo, ha cominciato a dedicarsi all’azienda di famiglia. L’uva che nasceva in questa zona aveva enormi potenzialità e Jacopo ebbe la felice intuizione di riprendersi la totale gestioQuerceto ne dei vigneti, occupandoDI CASTELLINA
si del reimpianto e della ristrutturazione. Nel 1998, con gran soddisfazione, viene inaugurata la cantina e imbottigliata la prima annata. Il presente vede tutta la famiglia coinvolta nella complessa conduzione dell’azienda: Laura, grande esperta di cucina, che oltre a curare un programma culinario, da anni tiene corsi di cucina, creando l’opportunità per trasmettere i valori e le tradizioni toscane. Jacopo si occupa della produzione del vino, dell’ospitalità, del marketing e delle pubbliche relazioni insieme alla moglie Mary, d’origine americana. Il figlio minore Filippo, rientrato da Parigi, si occupa della gestione dell’agriturismo. Giorgio, il padre, architetto di professione, dà un supporto per quanto riguarda la parte burocratica. Arrivando a Querceto di Castellina si ha l’impressione di esser giunti in un luogo remoto e ovattato, incastonato in un paesaggio di gran fascino, ricco di biodiversità. L’azienda, a conduzione familiare e certificata biologica dal 2012, si estende per 50 ettari, di cui 11 vitati e tre ettari a oliveto. La sostenibilità e il basso impatto ambientale sono sempre state priorità, interpretate come una responsabilità indeclinabile al fine di preservare questo microcosmo di rara bellezza, incontaminato e salubre. I vigneti, con un’età che va dai 23 a 12 anni, completamente circondati
da boschi di cipressi, querce, lecci e olivete, sono collocati ad altitudini che variano da 420 a 510 metri slm Il Sangiovese occupa l’80% dei vigneti, il resto è coltivato a Merlot (poco meno di due ettari) poi Cabernet Franc e i vitigni Viognier e Roussanne (2.000 viti in totale in una piccola parcella separata, mille per tipologia). La produzione complessiva è di circa 45mla bottiglie, suddivise in sei etichette: L’aura (Sangiovese) Chianti Classico Docg, Sei (Sangiovese) Chianti Classico Docg Gran Selezione, Podalirio (Merlot) Igt Toscana, Furtivo (Sangiovese) Igt Toscana Rosato, Livia (Viognier e Roussanne) Igt Toscana Bianco, Venti (Sangiovese e Merlot) Igt Toscana. “Vogliamo produrre vini territoriali, riconoscibili, onesti, eleganti, che abbiano una forte personalità, per questo cerchiamo di preservare il frutto originario durante tutto il processo di trasformazione dell’uva, amplificando l’intensa percezione del luogo d’origine, toccandone le corde più intime”. L’accoglienza in azienda è una parte fondamentale del progetto, potente strumento esperienziale attraverso il quale immergersi totalmente in un luogo dalla bellezza emozionante, respirando uno stile di vita sano che rinsalda il forte legame con la natura, le stagioni, i prodotti della terra, enfatizzando le tradizioni del territorio. E ogni estate, ormai da anni, si organizzano suggestive cene in vigna, che sono diventate un appuntamento irrinunciabile per gli amanti del cibo e del vino. Querceto di Castellina, da sempre considerata il rifugio di campagna della famiglia, è il riflesso dello spirito e della passione dei Di Battista per i vini, che esprimono un forte carattere territoriale, la cucina toscana ei valori dell’ospitalità.
Sulla destra, con la bottiglia celebrativa, il presidente de “I Vignaioli di Radda” Roberto Bianchi
Radda in Chianti vanta origini etrusche, infatti tracce di questo misterioso popolo sono state rinvenute in diversi insediamenti del territorio, che portano addirittura toponimi d’origine etrusca.
LA COMUNITÀ DE
andrea cappelli
“I Vignaioli di Radda” CUORE BELLO DEL CHIANTI CLASSICO STORICO COL SUO GIARDINO DI VIGNE
E alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel V secolo d.C., nella zona si erano già formati piccoli agglomerati di carattere rurale. Tra il IX e X secolo la zona di Radda vide poi la nascita della società feudale, che comportò l’incastellamento dei villaggi. “Ratta”, edificata nell’Alto Medioevo su un poggio nel crinale dello spartiacque tra le acque dell’Arbia e della Pesa, viene ricordata per la prima volta con certezza in un diploma dell’imperatore Ottone III del 1003, quando la sua corte e il suo castello risultavano possedimenti della Badia fiorentina – a cui erano stati donati da Willa, contessa di Toscana – e a questa venivano allora confermati dall’autorità imperiale, così come avvenne più volte nei decenni seguenti sia con atti dei successori d’Ottone che con una serie di bolle pontificie. Oggi il castello, autentico esempio, elegante e suggestivo, del più antico stile castellare d’origine probabilmente longobarda, è inglobato nel centro storico, inastonato tra strutture medievali costruite in pietra alberese dal tono biancastro, integrate all’interno di mura e torri difensive. Già nel dodicesimo secolo Radda è il centro più popolato e importante della zona e il 25 maggio 1191 l’imperatore Enrico VI concede il castello e la sua corte in feudo ai Conti Guidi, feudo poi riconfermato dall’imperatore Federico II nel 1220. Ma nel Duecento, per la sua fondamentale importanza strategica, Radda entrò nell’orbita del Comune di Firenze, che già dal 1176 aveva giurisdizione su gran parte del Chianti meridionale, prima appartenuto ai senesi. Radda alla fine del Duecento era così saldamente sotto la giurisdizione di Firenze, che le concesse il Podestà. Infine Firenze impose Radda, insieme a Castellina e Gaiole, come uno dei tre terzieri in cui era divisa amministrativamente la “Lega del Chianti” e, almeno a partire dal 1384, divenne capoluogo della Lega stessa, come risulta dai più antichi statuti conservatisi: le leghe erano giurisdizioni autonome che raggruppavano il contado fiorentino con funzioni amministrative, dotate di precise esigenze di difesa. A metà del Trecento, su disposizione del governo fiorentino, vennero potenziate le strutture murarie del castello e nuove fortificazioni si resero necessarie dopo l’invasione dell’agosto del 1478, quando le truppe aragonesi-pontificie distrussero il Castello di Radda. Altri periodi di mobilitazione dovette vivere nella prima metà del Cinquecento, fino alla caduta della repubblica di Siena. Da allora le sue vicende furono quelle di un attivo centro agricolo, infatti già a partire dal 1444 venne imposta una regolamentazione per la vendemmia che doveva avvenire in termini prestabiliti e comunque non prima della festa di San Michele, il 29 settembre, così da essere sicuri che si ottenesse “quel buon vino che si vende tanto bene”. Nel Seicento, terminati ormai i conflitti, i castelli divennero ville signorili nelle quali i proprietari si dedicavano all’agricoltura con la diffusione dell’insediamento sparso e l’intensificazione delle colture arboree, specialmente viti e ulivi. Radda venne visitata nel 1773 dal Granduca Pietro Leopoldo che la trovò lontana da tutto e, come conseguenza della visita, vennero migliorate le strade, ma comunque il territorio rimase sempre povero e isolato. Radda ha raggiunto l’assetto attuale con le riforme leopoldine nel 1774. E l’affezione alla dinastia asburgo-lorenese rimase comunque forte ancora per molto, se si considera il fatto che al plebiscito del 1860 per l’annessione della Toscana al costituendo Regno d’Italia, Radda votò contro (281 sì su 581 votanti, su 879 aventi diritto). Con la nascita della classe mercantile, si diffonde nel Chianti la pratica della conduzione a mezzadria, alla quale si associò il diffondersi degli insediamenti isolati, i poderi. Quindi c’era la grande proprietà che risiedeva in città, di solito a Firenze o Siena, che era proprietari di enormi fattorie che avevano attorno un reticolo di poderi abitati dalle famiglie mezzadrili che si trovavano a dover lavorare una terra non molto generosa e difficile da gestire e far fruttare. Negli anni Cinquanta il sistema della mezzadria poderale entrò in crisi e la grande proprietà mancò la scommessa della modernizzazione, così il passaggio all’agricoltura in conto diretto fallì e le fattorie iniziarono a disgregarsi. Negli anni Sessanta lo spopolamento delle campagne, fenomeno comune a molte zone rurali del Chianti, toccò l’apice, causando anche una grave crisi sociale con l’abbandono dei poderi – più dell’80% erano ormai vuoti – e delle coltivazioni.
Il gruppo dei Vignaioli di Radda ritratti nel chiostro del convento di Santa Maria al Prato, oggi “Casa del Chianti Classico”
Seguì lentamente l’affermazione del sistema a conduzione con salariati o della proprietà diretto-coltivatrice, ma tante prorpietà erano in vendita. Poi, col passaggio, nel Secondo Dopoguerra, a una più moderna agricoltura, dovuta alla meccanizzazione e alla specializzazione delle produzioni, si ebbe una ripresa e una riconversione economico-agraria, così quasi tutte le antiche case coloniche in pietra alberese, ammirate per la loro scarna bellezza, furono riadattate a residenze. Il borgo è infatti circondato da un mirabile paesaggio toscano antropico, frutto del lento lavorìo d’innumerevoli generazioni d’ingegnosi contadini. Fu infine negli anni Settanta che iniziò la riscoperta di questi luoghi e, seppur più lentamene rispetto ad altri luoghi limitrofi, tanto che il fenomeno del “Rinascimento del Chianti” a Radda continua fino agli anni Novanta, tutti i castelli, le ville e i poderi vengono restaurati e vi vengono organizzati agriturismi e aziende agricole, perlopiù impegnate nella vitivinicoltura, il cui espandersi ha potato nuova linfa. Prima sono stati gli stranieri a farlo – il ripopolamento del Chianti si deve principalmente a famiglie venute da fuori, infatti la proprietà delle aziende agricole è in minima parte di famiglie raddesi – ma seguiti timidamente nel tempo dagli stessi figli e nipoti dei mezzadri di Radda, il cui stile di vita si è evoluto, mantenendo però la secolare operosità, rivolta adesso al turismo, oltre che naturalmente alla coltivazione della vite. Poi, negli anni a
cavallo tra i due millenni, avviene un cambiamento generazionale con una nuova schiera di vignaioli che si avvicenda alla guida delle aziende agricole, sia in proprietà diretta che in gestione e direzione. Questa è una generazione molto più aperta e imprenditoriale, consapevole del valore, della particolarità e del potenziale del “terroir Radda”, supportata da conoscenze sia economiche che tecniche di cantina, aiutata anche dal cambiamento climatico, che pian piano fa salire la viticoltura di quota. Oggi il comune conta 1.700 abitanti circa e il 30% della popolazione si occupa d’agricoltura. Enclave di un’enologia d’alta qualità, Radda è il “borgo delle vigne” con lo sguardo che dall’alto del paese spazia su una trama fittissima e geometricamente ordinata di vigneti, un territorio anche geograficamente al centro del Chianti Classico storico, meraviglioso, integro e delicato, da preservare. E le sue colline svettano sul territorio come le antiche torri di pietra che ne contraddistinguono i profili. Questi vigneti d’altura – feudo dei più eleganti vini del Chianti Classico e ambasciata del Sangiovese più sofisticato – sono contornati da dimore splendidamente restaurate. Ultimo fenomeno del mondo del vino raddese è l’associazionismo, tanto che l’11 settembre 2018, nella splendida cornice del chiostro del convento di Santa Maria al Prato – che ospita la ‘Casa del Chianti Classico’ – si è costituita ufficialmente l’associazione “Vignaioli di Radda”, nel segno di un sano principio di condivisione. I ‘Vignaioli’ – che già da anni rappresentano un gruppo affiatato, coeso e sinergico dalla forte identità – hanno deciso di darsi una forma ufficiale, in modo da poter perseguire con coerenza ed efficacia gli obiettivi che l’associazione si prefigge, al di là delle diverse dimensioni aziendali, origini e storie personali. Sono obiettivi ambiziosi e riguardano in particolar modo la tutela, la valorizzazione e la comunicazione collettiva, in maniera più coesa e partecipata, verso il pubblico degli operatori, della stampa e degli appassionati della cultura vitivinicola di Radda in Chianti e delle eccellenze vitivinicole del territo-
rio, sottolineando le salutari diversità strutturali, ideali e stilistiche dei singoli associati con la consapevolezza che la specificità rappresentano un arricchimento del collettivo. I soci producono vini principalmente con uve proprie e provenienti da vigneti situati nel comune di Radda in Chianti. L’associazione vuol anche essere un atto di responsabilità condivisa in favore della preservazione degli equilibri ambientali e degli ecosistemi locali, forte del fatto che già l’80% della superficie viticola è già coltivata in modalità biologica, quasi un “distretto bio”, tanto che ha posto la condizione della transizione bio tra i fondamenti dello statuto. Così i soci s’impegnano a promuovere l’agricoltura sostenibile in tutte le sue forme – per esempio si fa sovescio praticamente ovunque – adottando programmi di coltivazione biologica e/o biodinamica e utilizzando sostanze e tecniche a minimo impatto ambientale, nel segno della conservazione della più ampia biodiversità possibile, tema sempre più universale. I soci fondatori, tutte aziende d’alto profilo, sono: Borgo La Stella, Borgo Salcetino, Brancaia, Cantina Castelvecchi, Caparsa, Castello di Albola, Castello di Volpaia, Castello di Monterinaldi, Colle Bereto, Fattoria di Montemaggio, Istine, L’Erta di Radda, Monteraponi, Montevertine, Podere Capaccia, Podere l’AJa, Podere Terreno alla Volpaia, Poggerino, Pruneto, Tenuta Carleone di Castiglioni, Terrabianca, Val delle Corti, Vignavecchia. Sono stati eletti presidente Roberto Bianchi (Val delle Corti) e vice presidente Martino Manetti (Montevertine). “Dopo un lungo periodo di gestazione, dovendo preparare le basi per un progetto comune, abbiamo riunito la grande maggioranza delle aziende raddesi, sia grandissime realtà che micro produttori, tutti alla pari: una testa, un voto. Il nostro trend mood è che l’unione fa la forza – commenta il presidente di questa comunità di vignaioli, Roberto Bianchi – per la conservazione del nostro patrimonio culturale, delle nostre tradizioni colturali con un approccio sempre più verso una sana attenzione nei confronti della terra, così sentirsi un vero gruppo è il fondamento per remare insieme in sinergia verso la costruzione e il riconoscimento di Radda come indiscutibile culla di vini di territorio centrati sul vitigno principe, il Sangiovese, che qui raggiunge vette altissime in termini di qualità”. In quello che possiamo definire l’alto Chianti Classico, il clima è molto fresco con temperature basse in inverno (sotto i 4-5°) ed estati siccitose e calde (anche sopra i 35°) con discrete escursioni termiche tra giorno e notte che permettono il continuo avanzamento delle fasi vegetative e di maturazione, mentre le precipitazioni annue si attestano attorno ai 700-800 millimetri di pioggia con una certa prevalenza nel tardo autunno e in primavera. La pietra è protagonista della bellezza paesaggistica di questo lembo di Toscana, testimone umano e caratteriale di questo territorio, nei muretti a secco costruiti a mano che si stagliano sui pendii e disegnano il paesaggio collinare tra strade bianche, boschi selvaggi di macchia mediterranea e vigneti a terrazza. Il terroir Radda è un insieme di colline dai differenti livelli d’altezze, che variano da un minimo 280 a un massimo di 850 metri slm, estremamente variegate per la diversa conformazione ed esposizione, dove il sasso e la roccia calcarea sono protagonisti indiscussi, tutti terreni estremamente poveri e ricchi di scheletro, fattore determinante per la finezza del vini. Senza scordare che qui la vigna convive simbioticamente col bosco, che il vignaiolo di Radda tiene in gran considerazione con una vera forma di rispetto. A nord si trovano macigno e sabbie d’arenaria, mentre scendendo troviamo suoli a base di scisti argillosi e argille galestrose che sfociano in terreni a base d’alberese nelle formazioni del Monte Morello e di Sillano, dove la pietraforte lascia poi riaffiorare il macigno a sud. Da un punto di vista organolettico, il galestro dona ai Chianti Classico potere e consistenza, mentre l’alberese è responsabile della freschezza e complessità aromatica. Qui, dove far il vino e coltivare il Sangiovese è sempre stato un po’ più difficile che in altre zone del Chianti Classico, i vini hanno una gran bevibilità e un’acidità decisa, portatori di un gusto territoriale inconfondibile, rimanendo ancorati a un comun denominatore di distintive espressioni, essenziali, taglienti e raffinate, che solo questo territorio imprime al Sangiovese, in equilibro tra nerbo e spigoli, energia ed eleganza. E Radda è una zona vocata anche alla produzione di vini che non temono lo scorrere del tempo e che, col passare degli anni, sono capaci d’offrire nei calici emozioni uniche. Perché un vino di vignaiolo porta sempre con sé il carattere del suo creatore, specialmente qui a Radda!
La Cantina Produttori di Valdobbiadene rappresenta la storia di un’impresa corale, una vera e propria iniziativa sociale nata nel 1952, grazie alla volontà di 129 soci fondatori, contadini nell’Italia del Dopoguerra, animati dalla voglia di ricostruire il territorio e l’economia locale, segnati dalle ferite devastanti della Seconda Guerra Mondiale.
CANTINA PRODUTTORI DI VALDOBBIADENE VAL D’OCA
andrea cappelli
Quei pionieri decisero insieme d’unire le forze per dar vita all’intuizione geniale che incarnava, allora come adesso, il forte spirito di cooperazione che unisce oggi ben 600 soci viticoltori. La nascita della Cantina, oltre a rappresentare nell’immediato Dopoguerra un’importante opportunità di rinascita per i singoli viticoltori associati, getta anche le basi per lo sviluppo e l’affermarsi della qualità del vino di Valdobbiadene. Lo sviluppo economico è costante, come la continua adesione di nuovi soci, imprenditori della terra che capiscono l’importanza del condividere obiettivi e risorse per una crescita sana e sostenibile, che ripartisce equamente doveri e successi, realizzando un modello virtuoso di business socialmente responsabile, anticipando d’oltre mezzo secolo le tendenze oggi fortemente in atto nel mercato del lavoro e nei modelli del fare impresa. La condivisione delle risorse ha consentito nel tempo un assiduo sforzo teso al miglioramento continuo della qualità dell’uva, valorizzata ulteriormente da un’attenta mentalità imprenditoriale che ha saputo dotare la Cantina negli anni di tecnologie all’avanguardia. Poi il sempre crescente numero d’associati ha permesso alla Cantina, restando fedele al rispetto dell’alta qualità del prodotto e dei rigidi requisiti richiesti dal consumatore, una sempre più elevata produzione di bottiglie. Dall’inizio degli anni Novanta, Val D’Oca – nome di una bellissima collina ricoperta di vigneti a Glera – è diventato il marchio della Cantina specializzato per il canale dei consumi fuori casa. E la sua forza d’impresa sociale le ha permesso inoltre di dotarsi presto, dal 1990, di una rete commerciale strutturata e di moderni criteri di marketing, diventando competitiva e protagonista di alcuni primati sul mercato: è stata la prima, ad esempio, nel 1991 a utilizzare una bottiglia nera satinata, premiata un anno dopo al Vinitaly come miglior packaging e tuttora icona dell’azienda. È anche tra le prime aziende del vino a dotarsi, nel 2010, di un e-commerce a gestione diretta per le vendite online, rimanendo sempre molto attiva sul web con una forte presenza digitale. E lo scorso settembre la Cantina ha celebrato il decimo anniversario dall’inaugurazione del Wine Center situato in frazione San Giovanni di Valdobbiadene, nel cuore del territorio in cui si produce il Prosecco Superiore docg, a pochi passi dai terreni scoscesi e impervi delle Rive di Valdobbiadene e affacciato sul suggestivo paesaggio della collina del Cartizze, una grande eccellenza enoica che si può ammirare dalle vetrate e dalla terrazza panoramica. Nato per proporre a esperti e appassionati, semplici curiosi e turisti un viaggio nel gusto, nella tradizione e nella cultura di un territorio unico, di cui il Prosecco Superiore rappresenta la massima espressione, il Wine Center è diventato negli anni una vera icona del territorio, grazie alla sua particolare facciata in alluminio: disegnata da tre giovani architetti veneti a seguito di un concorso d’idee proposto dalla Cantina a studenti e neolaureati delle Facoltà di Architettura non ancora iscritti all’albo, è un vero e proprio inno spumeggiante al Prosecco, essendo dotata di una pannellatura d‘alluminio forato decorata da una miriade di forellini dal diametro diverso, motivo che simboleggia e ricorda proprio le bollicine del perlage di un calice di Prosecco. Ma la facciata si anima e diventa particolarmente intrigante di notte, quando l’edificio diventa una scatola luminescente, decorata dai fasci di un sistema di luci a led multicolore che attraversano le “bollicine” che decorano i pannelli, trasformandola in un’inconfondibile insegna luminosa non solo della Cantina, ma di tutto il territorio. Così dal 2011 il Wine Center, tra antiche foto storiche e avveniristici totem multimediali, permette di scoprire tutto sul processo produttivo del Prosecco, infatti non è solo punto vendita con store aperto al pubblico ogni giorno, ma soprattutto luogo di celebrazione del territorio, dal 2019 riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, delle colline con le peculiarità dei terroir viticoli d’eccellenza, delle diverse denominazioni in cui la Cantina è presente coi ben 1.000 ettari di vigneto curati da generazioni dai suoi soci,
della storia del territorio e della comunità. Il Wine Center include anche sale attrezzate e un’ampia luminosa cucina pensati per ospitare eventi privati e aperti al pubblico, degustazioni guidate, incontri a tema e food pairing in cui le bollicine della Cantina incontrano i piatti di famosi chef, spesso in abbinamento a specialità gastronomiche d’eccellenza del territorio. Fortemente voluto dai soci della Cantina e realizzato con un investimento di oltre due milioni di euro, il Wine Center rappresenta anche l’attenzione della cooperativa per l’ambiente e il risparmio energetico, così gran parte del fabbisogno della struttura è soddisfatto da energie rinnovabili, attraverso un impianto fotovoltaico di silicio amorfo integrato nella copertura, l’isolamento a cappotto, l’utilizzo di serramenti di vetro selettivo e l’uso di pompe di calore reversibili e sonde geotermiche per il sistema di riscaldamento. E in occasione del decimo anniversario dall’inaugurazione, la Cantina ha affidato allo studio grafico SGA Wine Design la realizzazione di un nuovo logo per il Wine Center, il cui motivo richiama il gioco di bollicine che anima la facciata della costruzione. “Esattamente 10 anni fa vendevamo la prima bottiglia all’interno del nostro Wine Center appena inaugurato – commenta il presidente Franco Varaschin – oggi, celebrando il decimo anniversario, vogliamo ribadire l’impegno che ha spinto la creazione di questo edificio: la volontà di essere un punto d’incontro e riferimento per il territorio circostante e per il mondo del Prosecco. Uno spazio prima di tutto di condivisione di storie, conoscenze e sensazioni, oltre che di promozione e valorizzazione dell’eccellenza del Valdobbiadene Prosecco Superiore in Italia e in tutto il mondo”. La mission dell’azienda, oggi come alle origini, è ancora quella di valorizzare al meglio la materia prima conferita dai soci, preservando la qualità, dal lavoro in vigna alla vendemmia, dal conferimento delle uve alla vinificazione, dall’imbottigliamento al calice. E un sistema d’incentivi premia a ogni vendemmia i viticoltori che hanno raggiunto livelli di qualità delle uve al di sopra dei già rigorosi standard stabiliti dalla Cantina. Così, premiando l’impegno, la competenza e la collaborazione dei soci, prendono vita etichette d’alta qualità, frutto del lavoro sinergico di un’impresa che coniuga da sempre un’anima profondamente agricola con una spiccata visione imprenditoriale e di sviluppo sostenibile. Ma per raggiungere quest’obiettivo, la Cantina garantisce a tutti i soci un supporto tecnico continuo con agronomi e professionisti altamente qualificati, affiancandoli in vigna e intervenendo tempestivamente in ogni fase per arrivare sempre alla vendemmia con una materia prima d’altissima qualità. La vigna rappresenta un patrimonio unico per la Cantina Produttori di Valdobbiadene, in termini d’estensione e varietà dei vigneti la più rappresentativa del Valdobbiadene Superiore, infatti oltre la metà dei quasi 1.000 ettari totali s’estende tra le colline tipiche delle Prealpi Trevigiane nei territori d’eccellenza delle docg Valdobbiadene e Asolo, inclusi i terreni considerati “cru”, cioè il Cartizze e le “Rive”, le cui uve, provenienti da vigneti in forte pendenza, che richiedono un lavoro manuale lungo e faticoso da parte dei viticoltori (più di 600 ore/ettaro contro le 150 ore/ettaro della meccanizzazione in pianura), raggiungono una qualità riconosciuta di livello ancor superiore e per questo indicato in etichetta come unità geografica specifica. Il particolare pregio della materia prima, garantita in primis dalla concentrazione geografica dei vigneti nei suoli più vocati, fa della Cantina Produttori di Valdobbiadene uno dei principali motori della costante spinta dell’intero territorio di produzione verso l’eccellenza. Particolare attenzione è riservata alle pratiche agricole: tutta l’uva Glera è completamente raccolta a mano, non solo quella destinata alla produzione di Cartizze e Rive, come previsto dal disciplinare, ma in generale tutta quella destinata alla produzione del Prosecco Superiore Docg e anche del Prosecco Doc, inclusi i terreni che per conformazione morfologica consentirebbero la raccolta meccanica, tanto che il regolamento della Cantina richiede a tutti i suoi associati d’effettuare la raccolta della Glera a mano, successivamente i viticoltori raggiungono il grande piazzale della cantina coi loro trattori pieni d’uva, dove avviene la selezione con analisi di tutti i carri conferiti. Grande è poi l’impegno concreto in termini di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Tutti i soci produttori sono regolarmente coinvolti in programmi d’aggiornamento e miglioramento nella gestione del vigneto, impegno che ha portato a ottenere diverse certificazioni di qualità. Così la Cantina ha ottenuto nel 2019 la “Certificazione Viva”, standard sviluppato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore OPERA (osservatorio europeo per l’agricoltura sostenibile), che nasce per misurare le prestazioni di sostenibilità della filiera vite-vino. Mentre è iniziata dalla vendemmia 2019, coi primi 80 soci della denominazione Asolo Prosecco, la certificazione d’agricoltura integrata SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata) dei vigneti della Cantina, che si è estesa con la vendemmia 2020 anche alla denominazione Conegliano Valdobbiadene docg, compresi i vigneti situati nelle pregiate zone del Cartizze e delle Rive, portando a circa 320 il numero complessivo dei soci che hanno aderito al protocollo di certificazione, infine con la vendemmia 2021 sono stati coinvolti tutti i soci della Cantina, arrivando alla certificazione della totalità dei complessivi 1.000 ettari di vigneto. Un impegno enorme che consentirà da ora di poter apporre su tutte le etichette prodotte dalla Cantina il simbolo della piccola ape che identifica i prodotti “buoni” per l’ambiente, per gli operatori che li coltivano e per i consumatori. E anche di valorizzare ulteriormente, attraverso lo stesso simbolo, i vigneti dei 600 soci della Cantina che, aderendo al protocollo di certificazione SQNPI, garantiscono al consumatore uve coltivate secondo tecniche agronomiche rispettose della salute dell’uomo. L’obiettivo delle linee guida del protocollo è infatti garantire un sempre minor impatto verso l’uo-
mo e l’ambiente, puntando a creare produzioni economicamente sostenibili. “Un lavoro estremamente impegnativo – commenta il direttore generale Alessandro Vella – che parte da un sistema d’autocontrollo aziendale con verifica dei requisiti di conformità ai disciplinari di produzione per ogni singola attività svolta, in vigna come in ufficio: dalle operazioni colturali al tracciamento dell’acquisto e utilizzo dei prodotti fitosanitari, dall’analisi del suolo alla taratura delle macchine irroratrici fino alla completa digitalizzazione dei quaderni di vigna. E il percorso verso la certificazione ha comportato in ognuna delle aziende agricole socie un travaso di competenze intergenerazionale: i figli ci mettono le competenze tecnologiche, i padri e i nonni l’esperienza in vigna”. Questi importanti risultati sono stati possibili grazie agli investimenti del gruppo, che hanno puntato su processi produttivi efficienti e all’avanguardia e su strutture moderne e integrate, oltre che naturalmente alla formazione e all’innovazione, garantite da centri d’eccellenza come la Scuola Enologica di Conegliano, l’Osservatorio Economico del Centro Interdipartimentale per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia (CIRVE) dell’Università di Padova (operativo di Conegliano) e il centro Studi del Distretto Spumantistico. Sempre nel solco dei tempi etici, la cantina ha presentato nell’autunno 2020 il primo “Bilancio di Sostenibilità”, rinnovando con questo importante strumento la sua mission originaria d’impresa sociale: redatto dal management della Cantina, in collaborazione con Trentino Green Network applicando la metodologia internazionale GRI Standard – Global Reporting Initiative, il Gruppo col suo primo bilancio di sostenibilità scrive e misura in modo preciso le numerose azioni concrete che caratterizzano il suo modus operandi nei confronti dei soci, del territorio, dell’ambiente e di tutti gli stake holders, dai clienti ai fornitori, passando per la collettività in cui è inserito. L’operato della Cantina, prima società cooperativa del settore vitivinicolo del Veneto a essersi dotata di un bilancio di sostenibilità, è stato analizzato prendendo in esame il contributo dato all’attuazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) sanciti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. È così risultato che il Gruppo si è impegnato a garantire sistemi di produzione sostenibili e applicare pratiche agricole resilienti, finalizzate a conservare gli ecosistemi, rafforzare la capacità d’adattamento ai cambiamenti climatici e migliorare progressivamente la qualità del suolo, investendo nel riconoscere incentivi ai soci che applicano tecniche di produzione biologica e integrata. La Cantina è attualmente impegnata nella raccolta dati per la stesura del secondo bilancio, nel rinnovo della certificazione VIVA e nell’ottenimento della certificazione Equalitas, prima certificazione mondiale riconosciuta, attestante la sostenibilità aziendale e di prodotto sotto il profilo ambientale, etico ed economico, un innovativo standard che risponde alle esigenze del settore vitivinicolo di dotarsi di uno schema condiviso, oggettivo e certificabile da un ente terzo. La Cantina
Produttori di Valdobbiadene – Val d’Oca, con ormai settant’anni di storia alle spalle, è una delle realtà più rappresentative di questa zona di produzione nota in tutto il mondo, raccogliendo e trasformando ogni anno circa 165mila quitali d’uva per il 90% di qualità Glera. Da diversi anni la Cantina ha abbandonato completamente il commercio dello sfuso, concentrandosi sulla qualità dei prodotti in bottiglia e sui brand, imbottigliando tutta la produzione delle uve conferite. Protagonista assoluto è il Prosecco, infatti dalla Cantina Produttori di Valdobbiadene nascono tutte e tre le denominazioni: Conegliano Valdobbiadene Docg, Asolo Docg, Prosecco Doc in tutte le tipologie: extra brut, brut, extra dry e dry. Vogliamo parlarvi della versione Dry Uvaggio Storico, che ha già in sé un valore importante di territorio, consentendo di far rivivere un Prosecco che potremmo definire dal gusto antico. Innanzitutto nasce da un progetto di tutela e valorizzazione di vitigni autoctoni, una volta infatti il Prosecco si faceva così, con un uvaggio che combinava più varietà locali, oltre alla Glera, venivano originariamente impiegate Verdiso, Perera e Bianchetta Trevigiana. Coinvolgendo 6 viticoltori, la Cantina ha voluto conservare, valorizzare e coltivare, in piccoli appezzamenti, alcuni vigneti composti da queste varietà originali e valorizzarli con la produzione di un Prosecco “alla maniera antica”. Anche lo stile è quello tradizionale, ovvero di un dry, quindi dal palato più morbido, com’era in uso un tempo. L’uvaggio storico è quindi una rarità enologica che riporta nel bicchiere un tocco del passato e le suggestioni della vita d’un tempo, semplice ma ricca d’emozioni, sprigionando una singolare personalità, che colpisce. Col suo prezioso aroma e il suo dolce, pieno ed equilibrato sapore può esser facilmente proposto come aperitivo o come vino da fine pasto accanto ai dolci, ad esempio gli strudel. Ma la Cantina sta facendo un lavoro enorme anche per le “Rive”, termine con cui in dialetto veneto si chiamano i territori in forte pendenza delle colline del Conegliano Valdobbiadene, che già produceva prima dell’inserimento nel disciplinare. Una volta l’unica viticoltura esistente a Valdobbiadene era proprio nelle Rive perché le uve si coltivavano solo in collina. Le Rive – ognuna prende il nome dalla frazione del comune di Valdobbiadene in cui si trova – sono i terreni più difficili da coltivare perché fortemente scoscesi, infatti il lavoro si può fare solo a mano con gran fatica e ingegno. E la Riva fa talmente parte della vita degli abitanti del luogo che, quando si va in vigna, non si dice “vado in vigna”, ma “vado in Riva”. Oggi le Rive ufficialmente riconosciute sono 43, la Cantina ha vigneti in ben nove di queste e ne produce 6 etichette, di cui tre con il marchio Val d’Oca: il Rive di Santo Stefano, dal color limpido e brillante e perlage fine e duraturo, al naso sprigiona profumi che ricordano i fiori bianchi, la mela e gli agrumi, al palato è armonico con retrogusto persistente, ottimo per gli aperitivi e i brindisi d’inizio pasto, si sposa perfettamente a piatti a base di pesce; il Rive di San Pietro di Barbozza è un brut dal colore raffinato e perlage elegante, dall’aroma delicata-
mente floreale e sapore equilibrato, che incontra i gusti degli appassionati d’enogastronomia per la sua versatilità d’abbinamento in cucina; il Rive di Colbertaldo è un brillante e nobile spumante cru che regala un aroma armonioso di fiori bianchi e mela golden. La Cantina è molto impegnata anche nella valorizzazione del terroir d’eccellenza di Cartizze, il cui nome deriva da una piccolissima area formata da solo 108 ettari di vigneti tra i pendii di San Pietro di Barbozza, Saccol e Santo Stefano di Valdobbiadene, di cui 10,7 proprietà della Cantina. Il pregiato Superiore di Cartizze, anima di questa preziosa collina, è un raro vino d’altissimo livello, orgoglio di tutta la zona. Alla vista si presenta brillante e giallo paglierino. Il perlage risale fine e in modo persistente, così da permettere agli aromi d’arrivare in superficie. È possibile percepire una splendida combinazione tra l’aroma fruttato e il floreale. Questa, unita al gusto, decisamente amabile, rende i brindisi indimenticabili. All’altezza d’ogni evento, si fonde in una deliziosa armonia se stappato a fine pasto con della pasticceria fine. Nell’ultimo esercizio 2020/2021 il fatturato della Cantina è salito di quasi il 20%, da 47 a oltre 56 milioni di euro e la produzione aumentata da 13 a 15,8 milioni di bottiglie, distribuite per il 70% in Italia e il restante 30% all’estero (in 50 Paesi). In Italia la distribuzione è bilanciata tra GDO e Horeca attraverso una rete commerciale di oltre 100 agenti e capi area. Cresciuto a doppia cifra nell’ultimo esercizio anche l’export, soprattutto in Russia, dove la Cantina ha una presenza importante nella grande distribuzione, e nella regione scandinava. E tra le nuove acquisizioni c’è anche il promettente, immenso mercato cinese. Per il futuro la Cantina intende rafforzare anche il proprio e-commerce valdoca.com, che al momento genera poco meno del 2% del fatturato, così un business plan con un importante investimento punta a portarlo in tre anni al 5%. Dal punto di vista della produzione, la volontà è di concentrarsi sempre più nei terroir d’eccellenza: già oggi la Cantina gestisce il 37% dei 494 ettari delle Rive del Conegliano Valdobbiadene e oltre il 10% del Cartizze. Una crescita che si spiega con investimenti costanti che sono il frutto del dialogo tra dirigenza e soci, che ancor oggi caratterizza l’attività: scelte imprenditoriali condivise, coraggiose e lungimiranti hanno generato un forte entusiasmo, traghettando la Cantina verso un futuro da impresa 4.0. La mappatura dei vigneti degli associati permette un flusso costante d’informazioni dalla vigna alla Cantina e viceversa, come a esempio l’elaborazione dei dati forniti dalle centraline meteo sparse sul territorio, che consentono di suggerire al singolo socio il momento migliore per le diverse operazioni in vigna. Corsi di formazione e condivisione in tempo reale d’informazioni e novità utili alla produzione tengono costantemente aggiornati i viticoltori associati anche attraverso la condivisione di chat che utilizzano le moderne piattaforme di comunicazione. Un altro impegno importante ha permesso in quest’ultimi anni di realizzare il completo aggiornamento tecnologico del reparto di rice-
zione delle uve, pressatura, flottazione, vinificazione e presa di spuma ovvero tutte le fasi fondamentali per il mantenimento e la valorizzazione della qualità dell’uva, dalla vigna al bicchiere. Parte di un più ampio e articolato investimento avviato dal Gruppo nel 2012 per un nuovo polo logistico che integra l’imbottigliamento all’automazione di magazzino. Così nel maggio 2018, con un investimento di 13 milioni di euro, è stato inaugurato il nuovo polo logistico d’ultima generazione con un impianto fotovoltaico da circa 450 KW/h installato sul tetto che lavorerà in maniera autosufficiente in termini energetici: un magazzino all’avanguardia totalmente automatizzato, interrato fino a 14 metri di profondità, che alimenta di materie prime la linea d’imbottigliamento e riceve il prodotto finito, che poi fornisce per le spedizioni. Ha una capacità di 7.000 posti pallet ed è dotato di due traslo-elevatori e cinque navette, assolvendo a 720 missioni combinate in-out al giorno. Temperatura e umidità controllate assicurano poi una perfetta conservazione alle bottiglie stoccate pronte per la consegna, che riposano in un ambiente che infonde benessere, cullate da canti gregoriani diffusi a 432 Hz. Un altro aspetto distintivo è la totale integrazione fra i software di produzione e imbottigliamento, quello del magazzino e il gestionale. Grazie all’intelligenza artificiale, il magazzino automatizzato è in grado di lavorare in modo autonomo durante la notte ricompattando le merci in base all’andamento della giornata appena conclusa e ai programmi della giornata di produzione in arrivo. Logistica, magazzino, gestionale, vigna: tutti gli attori del processo produttivo sono in rete per collaborare e dialogare tra loro e con l’uomo, fornendo i dati necessari al raggiungimento di una produzione sempre più integrata, efficiente e di qualità. Tutti questi aspetti fanno del nuovo impianto uno dei più avanzati siti di produzione del settore vinicolo al mondo. Nell’ultimo esercizio la Cantina si è dotata di una figura di operations manager e ha avviato con la società Bonfiglioli Consulting un progetto di lean company per snellire e render sempre più efficienti i processi, verso una drastica riduzione degli sprechi. Tutti gli interventi, di cui alcuni rientrano nel programma OCM vino e nel Piano Industria 4.0 del MISE, sono stati concepiti e realizzati per fare della Cantina un modello completo d’impresa 4.0, di cui innovazione, managerializzazione e sostenibilità sono i pilastri per la crescita. Tradizione e passione per la coltivazione sono elementi ricorrenti in questa zona ricca di fascino, che la Cantina Produttori di Valdobbiadene incarna perfettamente, essendo nata come espressione diretta del lavoro di centinaia di famiglie d’agricoltori che compongono il principale tessuto sociale di queste terre. Ma è anche una zona che vanta d’essere non solo punto di riferimento della viticoltura e della produzione vinicola locale a livello occupazionale, ma anche un bacino economico trainante per l’indotto generato dal settore. E di gran parte di questo territorio, oggi come allora, i viticoltori associati alla Cantina, col loro lavoro quotidiano, continuano a essere custodi.