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La privatizzazione della conoscenza

SPAZIO LIBERO

di pasquale di lena Alla fine del secolo scorso riflettevo molto sull’era della conoscenza per esser rimasto affascinato dalle possibilità che essa poteva dare all’umanità. All’inizio del terzo millennio avevo sensazioni forti di cambiamento e, con la conoscenza, la speranza in un mondo migliore per tutti.

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Ben presto, però, mi son reso conto che il cambiamento che percepivo e vivevo non andava nella direzione della conoscenza e di un mondo migliore, ma in quella diametralmente opposta, con la sua privatizzazione e l’avanzare veloce del neoliberismo. Il sistema, a partire dagli anni Settanta, ci aveva scelti per essere i protagonisti del consumismo esasperato e dello spreco, dopo aver eletto come suo dio onnipotente il denaro, sostenuto fortemente dalla finanza (banche e multinazionali) per una nuova accelerazione del processo di globalizzazione. Prende il via, con la fede nel denaro e nella tecnologia, la corsa che porta alla privatizzazione della stessa conoscenza con un preciso obiettivo, sempre più evidente, quello d’ottenere non solo la finanziarizzazione e privatizzazione dell’economia, anche quella della vita e, in questo modo, avere la possibilità di controllarci. E, ciò che è peggio, per renderci sempre più nemici spietati degli altri esseri viventi (perdita crescente della biodiversità animale e vegetale) e di tutti gli altri elementi che compongono e definiscono la Natura, quali i cambiamenti climatici e il rischio di non ritorno che pende, come spada di Damocle, sulla testa dell’umanità. Si sente, non lontano, il rumore triste dei blindati che stanno entrando a Kiev e, insieme ai passi pesanti di chi scappa alla ricerca di una via di fuga o un rifugio, quello degli spari e delle bombe che cadono sulla terra ucraina. Ed è così che si percepisce ancor più pressante la follia dell’uomo fanatico del potere e del dio denaro, che ci vuole considerare numeri da mettere a disposizione di strani algoritmi. Quando non è follia, è istinto di un essere criminale che, col sistema che rappresenta, depreda e distrugge. E lo fa con tutti i mezzi a sua disposizione, a partire dall’informazione, anche quella di spot pubblicitari, come l’ultimo dell’Eni - il datore di lavoro del ministro del Governo Draghi, non a caso, della transizione ecologica – che, pubblicizzando l’energia, cosiddetta pulita, rinnovabile, non racconta che è un furto di territorio, in particolare di paesaggio, cioè bellezza e cibo, cioè vita. Furto della primaria energia rinnovabile, appunto quella vitale, il cibo, che l’attività agricola, da diecimila anni, mette a disposizione dell’umanità, grazie all’intelligenza, passione e amore dell’uomo coltivatore e alla fertilità del suolo. Un bene fondamentale, che, una volta violentato dal cemento indispensabile per sostenere pali eolici sempre più alti e una volta coperto da estensioni

di pannelli solari, viene ridotto, se non distrutto, per decine e decine di anni e con esso il cibo. Dal 1970 a oggi, solo in Italia sono oltre 10milioni gli ettari di terreno sacrificati a cemento e asfalto e, ultimamente, a pali eolici e pannelli solari. Un processo che ha portato alla riduzione dell’attività agricola e, con essa, alla perdita di cibo e paesaggio agrario, ruralità e biodiversità. In pratica perdita di valori importanti e fondamentali per il domani. La situazione Ucraina, con l’accentuazione della dipendenza del nostro fabbisogno di gas dalla Russia, mi crea ancor più pensiero, visto che non viene messo in discussione il suo consumo/spreco, ma solo il bisogno, che vuol dire continuità di depredazione e distruzione di territori e delle loro risorse vitali, quali aria, acqua, cibo. Penso a questa nostra Italia e la vedo ancor più a rischio per la semplice ragione che nell’unanimità della risposta del Governo e del Parlamento, l’atto di Putin d’invadere il Paese confinante è colta come occasione buona per trasformare in necessità: il ritorno al carbone; il bisogno di migliaia d’ettari di suolo fertile per dar spazio (una vera e propria invasione) a panelli solari a terra e nuovi parchi eolici; la riparazione, per non aver voluto le centrali atomiche, con la realizzazione di quelle che chiamano, per non farle sembrare cattive, di nuova generazione. Nessuna meraviglia, conoscendo la natura e l’indole del sistema che, proprio un anno fa, mentre il mondo discuteva della “sicurezza dell’uomo minacciata da un’impronta idrica sempre più pesante”, con l’80% della popolazione mondiale (circa 6 miliardi di persone) che vive in aree che si trovano ad avere un alto livello di minaccia d’approvvigionamento idrico e un crescente attacco alla biodiversità degli ambienti d’acque dolci, c’è chi ha pensato bene di quotare alla Borsa di New York, in Wall Street, l’acqua. In pratica anche qui, come per la conoscenza, una finanziarizzazione e privatizzazione non solo dell’economia, ma della vita, al pari di quella già in atto, da tempo, con l’acquisizione della gran parte dei semi da parte delle multinazionali. Un sistema, il neoliberismo, che dimostra d’essere, sempre più, espressione della pazzia che sta colpendo l’umanità. La guerra in atto ne è la dimostrazione più chiara, al pari della pazzia dell’uomo che la dichiara e di quelli che la promuovono e la preparano con la costruzione delle armi più sofisticate e dei mezzi più potenti, tutti da trasformare in denaro. Ripensare il sistema è fondamentale per ridare alla conoscenza la retta via e, così, rimettere in campo i valori veri della vita. In primo luogo il rispetto delle risorse che madre Terra continua a mettere a disposizione dell’umanità. Sempre meno, per la verità, visto che – è un dato che ricorre da qualche anno con l’arrivo dei mesi estivi – la terra, grazie al sistema predatorio e distruttivo, privo com’è del senso del limite e del finito, non ha più niente da dare.

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