VIVA LA VITA - Frida Kahlo Retrospektive

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VIVA LA VITA FRIDA KAHLO RETROSPETTIVA ART&ART A BERLINO DI

Imogen Cunningham, Frida Kahlo, 1931 © The Imogen Cunningham Trust

CRISTIANA COLETTI


Martin-Gropius-Bau, Berlino © Jirka Jansch, 2007

successo di Frida Kahlo è, come spesso accade, postumo. Cresciuto nell’arco degli ultimi trent’anni, è esploso nel 2002 grazie al film di Julie Taymor “Frida” che ha conquistato gli schermi di tutto il mondo, vincendo anche due premi Oscar. Ma l’amore, anche quello per una star, è un sentimento che non va mai condannato. Più interessante di una denuncia è l’analisi del fenomeno di massa. Le nostre librerie sono, tuttavia, piene di ricerche in questo senso e non siamo certo in grado di superarle in acume. Un paio di cose, però, vanno dette. Il successo di un’immagine nasce

FRIDA KAHLO RETROSPETTIVA MARTIN-GROPIUS-BAU, BERLINO 30 aprile – 9 agosto 2010 KUNSTFORUM WIEN, VIENNA 1 settembre – 5 dicembre 2010

■ Il 30 aprile 2010 è stata inaugurata al Martin-Gropius-Bau di Berlino l’importante mostra retrospettiva di Frida Kahlo che ha richiamato l’attenzione di un pubblico appassionato e vastissimo da tutta Europa. Lunghe code alla biglietteria, entusiasmo, commozione L’opera completa dell’artista messicana conta soltanto circa centocinquanta dipinti, oltre gli acquerelli, i disegni ed il Diario. Tutti tesori gelosamente custoditi in collezioni private e pubbliche in Messico o in America del Nord. È molto raro, quindi, riuscire a vedere le opere di Frida Kahlo dal vero, soprattutto in Europa. Questo fatto, però, non basta a spiegare il successo della mostra di Berlino. Frida Kahlo è amata in tutto il mondo. Il suo grande pubblico di fans scatenati l’adora letteralmente, come si adora la più famosa stella di Hollywood. L’artista ha conquistato i cuori delle masse grazie al mercato che ha saputo gestire, sfruttare in modo astuto la sua immagine e la forza espressiva delle sue opere. Il

dalla forza con cui “buca lo schermo” e dalla capacità che ha di rispondere ad un bisogno assai profondo e antico che ci accomuna tutti: il bisogno di immedesimarsi in qualcosa che sta fuori da noi e nobilita, santifica, o rende immortale, in un certo senso, la nostra piccola storia di uomini. Più vasta è la tipologia di pubblico che l’immagine raggiunge attraverso questo meccanismo, tanto maggiore e più intensa ne è la sua diffusione. Fernando Pessoa scrisse che la letteratura e tutte le arti sono la dimostrazione che la vita non ci basta. Negare la legittimità del bisogno di immedesimarsi. Negare la legittimità del sentimento che ne scaturisce, significherebbe negare l’esistenza di quello scarto fra la vita e la morte che riempiamo attraverso la nostra immaginazione. In tutto ciò va fatta, comunque, una precisazione. Le devianze e le falsificazioni che nascono dalle strategie di mercato più o meno limpide, più o meno legittime, vanno ad inserirsi fra l’uomo e la soddisfazione del suo bisogno di immaginare. Nel nostro

specifico caso c’è da registrare la banalizzazione che viene fatta della persona e dell’artista, per consentire un agevole utilizzo della sua immagine, ed il proliferare di falsi che inquinano il nostro giudizio dell’opera. Tutte cose che fanno parte del gioco a questi livelli di notorietà. È un dovere, tuttavia, ripristinare una relazione diretta fra il pubblico e Frida Kahlo. Attraverso le fonti attendibili, ma, soprattutto, attraverso un confronto con le opere. Questo è il grande pregio della mostra di Berlino.

L’ODISSEA La vita drammatica di Frida Kahlo, parte integrante del mito, è tramandata attraverso una biografia che ha fatto il giro del mondo: “Frida”. Il libro di Hayden Herrera racconta, in modo molto dettagliato, il destino di soff erenza dell’artista. L’amore e il matrimonio con Diego Rivera. Gli amici. Il coinvolgimento politico e culturale del suo tempo. I viaggi, gli incontri e la pittura, che l’autrice analizza, in modo molto sottile, alla luce delle vicende biografiche. Lo stile della narrazione è simile a quello del romanzo ma resta un testo di storia ed è la biografia più attendibile che c’è sul mercato. Hayden Herrera ha raccolto, nel corso della sua lunga ricerca, testimonianze dirette, aneddoti dell’infanzia, pensieri e opinioni di amici e conoscenti e lettere private, guadagnando, così, un punto di osservazione privilegiato. Uno sguardo dall’interno che le ha consentito di tracciare con disinvoltura, attraverso lo snodarsi della “trama”, il profilo del suo “personaggio”. “C o n v e r s a n d o con chi l’ha conosciuta bene” – scrive la Herrera nel prologo del libro – “si è continuamente colpiti dall’aff e tto che la gente aveva per Frida Kahlo. Tutti sanno quanto fosse caustica e, sì, anche impulsiva. Ma, a ricordarla, spesso le persone si commuovono. I loro ricordi danno alla


sua vita i colori e i toni di un racconto di F. Scott Fitzgerald: divertimento e fascino che si concludono in tragedia (…)” Leggendo il libro, quindi, si ha l’impressione di conoscere Frida Kahlo e di riuscire a cogliere gli aspetti del suo carattere, del suo intimo pensare. Ci sembra di entrare nel suo mondo. U n ’ a ffascinante illusione che sicuramente ha contribuito un po’ anche alla nascita del mito. Le tante biografie, pubblicate successivamente da altri autori, seguono il modello proposto da Hayden Juan Guzmán, Frida Kahlo dipinge il busto di gesso sul letto d’ospedale, 1951 © Juan Guzmán, Galería López Quiroga

Herrera, dove ogni fase della vita procede di pari passo con l’interpretazione delle relative opere. I biografi non hanno, tuttavia, la stessa dimestichezza col materiale e si limitano a citare, semplificando, le informazioni e le osservazioni della Herrera. Helga Prignitz-Poda aff e r m a “L’artista ha raggiunto lo status di un santo canonizzato le cui opere vengono paragonate ad icone. Purtroppo, di solito, vengono tramandate, a mo’ di preghiera, soltanto le ben note storie e leggende. Storie che sono longeve come i miti e che

Frida Kahlo, Autoritratto al confine fra Messico e USA, 1932 María Rodriguez de Reyero Collection, New York, © Foto Rafael Doníz


distolgono l’attenzione dall’opera. In questo contesto è passato quasi inosservato il fatto che la ricerca negli ultimi anni ha corretto molti punti della biografia (…).” Grazie all’apertura di un archivio, a lungo chiuso per disposizioni testamentarie di Diego Rivera, è stato possibile, nel corso degli ultimi anni, pubblicazione dopo pubblicazione, correggere ed integrare alcuni aspetti della biografia. Prignitz-Poda scrive, ad esempio, che le famose, tanto citate aff e r m azioni di Pablo Picasso su Frida Kahlo appartengono alle leggende che ha inventato Diego Rivera e che non sono documentate da alcuna fonte certa. Pur non volendo negare il fascino che la leggenda porta con sé, proponiamo una biografia essenziale per conoscere la storia anche attraverso i fatti. Frida Kahlo nasce nel 1907 a Città del Messico. Sua madre è messicana mentre il padre, fotografo, è tedesco. Nel 1910 scoppia la rivoluzione che ribalta il governo messicano. Durante i trentaquattro anni della dit-

tatura di Porfirio Díaz lo stato era governato da avvocati, ragionieri ed intellettuali che avevano stabilito la tendenza economico-culturale del Messico, prendendo a modello l’Europa moderna. In dieci anni la rivoluzione riforma le leggi riguardanti la terra e il lavoro, ridimensiona notevolmente il potere della Chiesa, lancia una crociata contro l’analfabetismo, decreta un ritorno alle risorse naturali e culturali del Messico. Negli anni ’20, sotto la presidenza di Alvaro Obregón, che verrà assassinato dopo la sua seconda elezione nel 1928, alcuni degli obiettivi vengono raggiunti. In questo clima di scontri e riforme politiche e culturali, con l’obiettivo di studiare più tardi medicina, la Kahlo frequenta l’Escuela Nacional Preparatoria dove conosce molti dei futuri protagonisti dell’intelligenza messicana. Nel 1925 inizia le lezioni di disegno presso il grafico Fernando Fernández, amico del padre. Nello stesso anno i suoi studi vengono interrotti improvvisamente da un incidente d’autobus che la costringe a passare molti mesi in convalescen-

Frida Kahlo, Qualche piccola coltellata, 1935 © Museo Dolores Olmedo Patiño, Xochimilco, Città del Messico

Nickolas Muray, Frida Kahlo e Diego Rivera a Tizapán, 1937 © Nickolas Muray Foto Archives, Collección Promotora Cultural Fernando Gamboa A. C.

za e che avrà conseguenze molto più gravi di quello che i medici constatano al momento. A causa dell’incidente la colonna vertebrale è spezzata in tre punti della regione lombare. Sono spezzati anche l’osso del collo e la terza e la quarta costola. La gamba sinistra è fratturata in undici punti e il piede destro è dislocato e schiacciato. La spalla sinistra è uscita dalla sua sede e le pelvi sono rotte in tre punti. Una ringhiera di metallo le ha perforato il corpo all’altezza dell’addome uscendo dalla vagina. Secondo alcune fonti i medici non controllano la condizione della spina dorsale al momento dell’incidente. È un fatto, comunque, che a partire dal 1925 dovrà sottoporsi, a trentadue interventi chirurgici, per lo più alla spina dorsale ed al piede destro. Durante la convalescenza Frida Kahlo inizia a dipingere e abbandona definitivamente il corso di studi. Nel 1927 si ristabilisce parzialmente e riprende a frequentare gli amici. Un ambiente di intellettuali politicamente attivi, fra i quali la fotografa Tina Modotti. Attraverso questa amicizia la Kahlo conosce, nel 1928, il famoso muralista Diego Rivera. Nel 1929 Frida Kahlo e Diego Rivera si sposano. Come è noto Diego Rivera avrà sin dall’inizio molte amanti, fra


Frida Kahlo, Autoritratto da Tehuana o Diego nella mia mente, 1943 © Jacques and Natasha Gelman Collection, © Foto Gerard Suter

le quali nel ’34 la sorella di Frida Kahlo, Cristina. A causa di questa relazione i due si separeranno per qualche mese. In questo periodo Frida smetterà di dipingere. Il loro complesso matrimonio durerà, comunque, fra le diverse separazioni e svariate relazioni extraconiugali, il divorzio e il secondo matrimonio, fino alla scomparsa di Frida Kahlo. Dal 1930 al 1933 si recano per un lungo soggiorno negli Stati Uniti, dove Rivera ha ottenuto delle commissioni importanti e dove Frida espone per la prima volta una sua opera. Il soggiorno negli Stati Uniti è

segnato dalla drammatica perdita di una gravidanza ma anche dai molti incontri ed importanti amicizie. Nel 1937, avendo ottenuto asilo politico, arriva in Messico Leo Trotskij con la moglie Natalia. I due saranno ospiti di Frida Kahlo e Diego Rivera nella Casa Azzurra della famiglia Kahlo, dove resteranno fino al 1939, quando fra il pittore messicano e Trotskij scoppia una lite per motivi politici. Nel primo periodo di convivenza, Frida Kahlo e Leo Trotskij vivono una breve relazione. Nel 1938 arriva in Messico anche lo scrittore André Breton, teorico del

Surrealismo. Dall’incontro fra Rivera, Trotskij e Breton nasce il manifesto “Per un’arte rivoluzionaria e indipendente”. Breton vede i lavori della Kahlo e le promette di organizzarle una mostra a Parigi. Rintraccia nel lavoro dell’artista messicana delle affinità con le opere del movimento che lui rappresenta. Grazie a questo incontro inizia il percorso professionale di Frida Kahlo: nel 1938 viene allestita la sua prima mostra personale presso la galleria Julien Levy di New York e l’anno successivo a Parigi viene inaugurata la mostra “Mexique”, dove i lavori della pittrice vengono esposti accanto ad oggetti della cultura popolare messicana e fotografie di Manuel Álvarez Bravo. Nelle lettere di quel periodo l’artista messicana esprime la sua delusione nei confronti della mostra e dei colleghi europei. Al viaggio seguirà il divorzio da Rivera e la partecipazione alla “Esposizione Internazionale del Surrealismo” a Città del Messico, alla “Golden Gate International Exhib i t i o n” a San Francisco ed alla mostra “Twenty Centuries of Mexican Art” a New York. Il divorzio durerà poco. Nel 1940 i due si risposano a San Francisco, dove Rivera si trova per sfuggire ai sospetti che lo vedono implicato nell’omicidio di Trotskij e dove la Kahlo viene sottoposta ad un ennesimo trattamento medico. Rientrati in Messico inizia per Frida Kahlo un periodo molto intenso e creativo. Arrivano i riconoscimenti pubblici, ma le sue condizioni fisiche peggiorano sensibilmente. Nel corso degli anni ‘40 viene sottoposta a molte operazioni alla colonna vertebrale ed è costretta ad indossare un busto d’acciaio. Partecipa a moltissime mostre collettive fra le quali la “Modern Mexican Painters” a Boston, “Portraits of the 20th Centur y” al Museum of Modern A r t, “Women Artist” alla galleria di Peggy Guggenheim a New York. Ottiene un incarico come docente presso l’Ac-


cademia d’Arte Esmeralda di Città del Messico. I suoi studenti più affezionati formeranno un gruppo chiamato “Los Fridos”. In questi anni aumentano le commissioni e lei dipinge moltissimo. Nel 1944 inizia la stesura del suo famoso D i a r i o. Nel 1946 riceve il Premio Nazionale per la Pittura ed una borsa di studio statale. Nel 1953 viene inaugurata la sua prima mostra personale in Messico. Pochi mesi dopo i medici sono costretti ad amputarle la gamba destra fino al ginocchio in seguito ad una grave infezione. L’ultimo periodo della sua vita è caratterizzato anche da una

forte depressione. Frida Kahlo è costretta ad utilizzare droghe e medicinali contro il forte dolore che la tormenta. Non riesce più a dipingere. Muore il 13 luglio 1954.

UN UNIVERSO CIFRATO La pittura di Frida Kahlo è molto complessa. Il suo linguaggio è criptico e pieno di riferimenti. Dalla mitologia precolombiana al buddismo. Dalla pittura popolare all’arte grafica messicana. Il Rinascimento, l’arte moderna e la letteratura. Tradizionalmente si analizza l’opera alla luce delle vicende biografiche. È

Frida Kahlo, Autoritratto con scimmie, 1943 © Jacques and Natasha Gelman Collection, © Foto Gerard Suter

un’abitudine comprensibile, visto che esiste un legame diretto fra l’arte e la vita di Frida Kahlo, come lei stessa ha sempre sostenuto. In questo senso possiamo leggere ogni opera all’interno del contesto specifico al quale, più o meno evidentemente, si riferisce. Un esempio molto immediato è il piccolo dipinto su metallo “Henry Ford Hospital”, realizzato a Detroit dopo il drammatico aborto spontaneo. Viste le sue condizioni fisiche Frida Kahlo non poteva avere figli. Il fallimento di questa gravidanza le causò un dolore molto profondo che lei espresse attraverso la pittura. Il dipinto mostra in sintesi ciò che è accaduto. Frida rappresenta se stessa stesa sul letto d’ospedale a Detroit. La città americana è dipinta distante sullo sfondo. Al centro dell’opera vediamo il sangue. E poi il feto. L’apparato genitale femminile. E una lacrima che scende dai suoi occhi. La toccante vicenda personale non è, tuttavia, l’aspetto più interessante dell’opera. Frida Kahlo ha cercato ispirazione in una tradizione popolare d’origine europea che era molto d i ffusa in Messico: l’ex-voto. L’ex-voto è un’espressione di ringraziamento. Quando la preghiera rivolta a un santo per una miracolosa guarigione è stata esaudita, si commissiona ad un artista o artigiano locale un ex-voto che potrà essere appeso in chiesa come pubblica testimonianza della propria fede e della gratitudine per il miracolo. Solitamente si tratta di dipinti su tavola o metallo di piccole dimensioni. L’opera illustra, attraverso una scena molto semplice, stilizzata, la malattia o l’incidente, oppure l’operazione subita. I personaggi sulla scena hanno tutti una funzione interna ben specifica. Il malato, i familiari. Il santo invocato, reso riconoscibile attraverso i simboli che lo distinguono, sta sospeso teatralmente in mezzo alla scena.


Frida Kahlo, Henry Ford Hospital, 1932 © Museo Dolores Olmedo Patiño, Xochimilco, Città del Messico

La malattia, il dolore, la pena sono illustrati attraverso un connotato, come una fasciatura, o una macchia rossa che indica il sangue. Mentre i sentimenti vengono comunicati solo se hanno una funzione - ad esempio per mostrare un parente del malato che implora il santo - attraverso un gesto stilizzato, come le mani rivolte al cielo. Fra la realtà e la sua rappresentazione c’è un processo di codificazione che è molto semplice. Le cose della realtà vengono tradotte in immagini che descrivono in modo sintetico una specifica situazione. Diventano, quindi, una sorta di simboli, il cui referente deve essere riconoscibile. Ogni elemento interno alla composizione c’è perché è indispensabile al raggiungimento dello scopo comunicativo dell’opera. Viceversa resta taciuto tutto ciò che non serve. Frida Kahlo aveva un grande interesse per la tradizione popolare messicana, sia quella di origine più antica, la mitologia precolombiana, che quella di origine più recente, legata al periodo post-coloniale. Non

si trattava di un interesse per il folclore, ma per la gente e per la cultura, per le sue radici messicane. Un interesse che andava ben oltre l’ideologia comunista. Nell’ambito di questo processo di recupero ed identificazione è da intendersi anche il confronto con la tradizione degli ex-voto, riconoscibile nell’opera “Henry Ford Hospital”. Basta uno sguardo per individuare la matrice comune: il dipinto illustrata attraverso “oggetti” della realtà, carichi di significato, un episodio doloroso. Una scritta ne fissa la data e il luogo. Mentre l’ex-voto, però, vuole comunicare un ringraziamento per una preghiera esaudita, Frida Kahlo si limita ad esprimere il dolore. Al centro del suo dipinto non c’è il santo fra le nuvole che arriva dall’alto. Non c’è deus ex machina. C’è un feto che galleggia accanto ai suoi “attributi”, il sesso femminile, così come compare nei libri di medicina, la lumaca che simboleggia le fasi lunari, quindi la fertilità, e l’orchidea recisa, che è la sensualità, la passione mutilata.

Quel che resta del “marchingegno miracoloso” ci pare di rintracciarlo nell’oggetto di metallo, un frammento inutile che sta lì a rappresentare il fallimento. Non c’è santo e non c’è, quindi, salvezza al di fuori di ciò che accade. Al di fuori della vita stessa. Da questo confronto emerge con forza non soltanto il dolore per ciò che è accaduto ma anche il disincanto. Frida Kahlo rifiuta l’illusione cristiano-cattolica alla luce di un’intuizione ben più profonda: il miracolo non è il santo, non è il paradiso e non è la salvezza. Il miracolo è la vita in sé. Il dipinto “Henry Ford Hospital” si svolge contemporaneamente su più dimensioni. Una dimensione narrativa ed una simbolica. Soltanto attraverso la percezione dei vari livelli di significato possiamo cogliere la portata dell’opera. I numeri, la parsimonia, la farsa della parola, i nervi sono azzurri. Non so perché - anche rossi, ma pieni di colore. Frida Kahlo, Ritratto Luther Burbank, 1931 © Museo Dolores Olmedo Patiño, Xochimilco, Città del Messico


Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine, 1940 © Nickolas Muray Collection, Harry Ransom Humanities Research Center, University of Texas at Austin

Per i numeri rotondi e i nervi colorati Son fatte le stelle in cielo E i mondi sono suono. Non serberò Neppure la minima speranza Tutto si muove al ritmo Di ciò che racchiude la pancia. Frida Kahlo Le interpretazioni critiche sono spesso divergenti, a dimostrazione del fatto che non c’è una sola lettura, perché non c’è un solo piano di significati. È interessante, quindi, ricercare le fonti da cui ha tratto ispirazione e confrontarsi con la poten-

zialità evocativa dei segni che utilizza. Un esempio più complesso e di più ampio respiro è il dipinto “Autoritratto con collana di spine”. Come è noto autoritratto è un tema molto ricorrente nella pittura dell’artista messicana. I critici riconoscono in questi dipinti l’influenza della pittura sacra e della pittura rinascimentale, dove il ritratto comportava sempre un elemento simbolico ed idealizzato. Oltre agli oggetti che rappresentavano la ricchezza e il prestigio, venivano raffigurati animali, come l’ermellino, che connotavano le qualità spirituali del soggetto. L’influenza di queste fonti è evidente. Sono evidenti anche le differenze e la carica

di significato che portano con sé. Come l’immagine del santo o della Madonna, raffigurati nelle icone, il volto dell’artista è centrato e guarda lo spettatore, senza esprimere sentimento, con dignità e distacco. Qui scompare, però, tutta la dimensione celeste. Non c’è allusione al divino. Lo sfondo dorato è sostituito, infatti, dagli alberi e dalle piante rigogliose alle spalle della figura. È sostituito, quindi, dalla vita. Come nella pittura sacra e in quella rinascimentale ci sono i simboli che connotano la persona ritratta. Ma non vediamo un cagnolino o l’ermellino, che rappresentano la “fedeltà” o “l’incorruttibilità di spirito”, bensì una scimmia, che simbolizza il “desiderio” e la “pericolosità della passione”, ed un gatto nero, che è “l’eresia”, la “magia”. Un gioco di rovesciamenti, dissacrante ed ironico, che suona come una specie di scaramantico sortilegio. L’iconografia della pittura sacra e rinascimentale si riflette all’interno dell’opera come attraverso uno specchio che ne capovolge i significati. Il tema centrale del dipinto, la collana di spine, ricorda, infatti, la passione della Croce ma nega l’essenza del messaggio religioso che porta con sé. Non vediamo Cristo sacrificarsi per la salvezza dell’uomo. Non c’è miracolo. Non c’è speranza. Ma c’è la sublimazione della propria condizione di essere umano. E c’è un pensiero: la farfalla, ovvero il simbolo della rinascita attraverso la trasformazione, nel ciclo naturale della vita e della morte. Ad oltre cento anni dalla sua nascita l’artista messicana è fra le più amate star del mondo. Ciò nonostante la sua pittura è ancora da scoprire. “Oltre al travestimento teatrale, al costume da Tehuana, Kali o Parvati” – scrive Prignitz-Poda – “Frida Kahlo utilizzava l’iconografia cifrata dell’Emblematica. Nelle sue opere ci sono lati non ancora esplorati, raff igurazioni piene d’umorismo, satira e caricature.”


UNA MOSTRA INDIMENTICABILE La retrospettiva di Frida Kahlo allestita a Berlino fa storia. È la più grande mostra dell’artista messicana che sia mai stata organizzata in Germania ed una delle pochissime in Europa. Centocinquanta opere, fra cui più di sessanta dipinti e ottanta disegni. Molti di questi esposti al pubblico per la prima volta. Una cifra enorme, visto che l’opera completa di Frida Kahlo conta soltanto centocinquanta dipinti in tutto.

Frida Kahlo, La mia balia ed io, 1937

A Berlino confluiscono due importanti ed ampie collezioni, che non erano ancora mai state mostrate insieme ed integralmente. La collezione del Museo Dolores Olmedo Patiño e la Jacques e Natasha Gelman Collection. Altri prestiti arrivano, invece, da trenta celebri collezioni private e musei messicani e da quindici nordamericani. Alla chiusura della tappa berlinese il Martin-Gropius-Bau ha registrato un record di presenze: duecentotrentacinquemila visitatori. La mostra, curata da Helga PrignitzPoda, sarà allestita, dopo la tappa

© Museo Dolores Olmedo Patiño, Xochimilco, Città del Messico

berlinese, al Kunstforum di Vienna dal primo settembre 2010. Ad impreziosire l’evento per l’occasione c’è un’esposizione di importanti fotografie che illustrano momenti di vita dell’artista messicana. Questa speciale sezione è a cura della pronipote di Frida Kahlo, la fotografa Cristina Kahlo. Gli organizzatori dello straordinario evento sono il Berliner Festspiele ed il Kunstforum Wien/ Bank Austria. La mostra è divisa in nove sezioni. Ogni sala ha un titolo: Fotografie; Amigos para siempre – Frida e i suoi amici; Sueño e surrealismo – Meta-


INTERVISTA A HELGA PRIGNITZ-PODA Tre anni fa sono stati festeggiati i cento anni dalla nascita di Frida Kahlo. Quale speciale ricorrenza sta dietro la retrospettiva che ha allestito qui a Berlino nel 2010? Helga Prignitz-Poda: I festeggiamenti di tre anni fa sono relativi al vero compleanno di Frida Kahlo. Lei, però, aveva scelto il 1910 come anno della sua nascita, l’anno dello scoppio della rivoluzione messicana ed il centenario dell´indipendenza del Messico. Una ricorrenza a lei cara. Noi festeggiamo, quindi, il suo compleanno ideale, quello legato ad un suo pensiero, un suo desiderio. Il concetto stesso di rivoluzione, il concetto di indipendenza hanno avuto un significato molto importante per lei. Ha sempre desiderato sia la rivoluzione, nel senso di cambiamento, di nuovo inizio, che l’indipendenza. Per questo mi sembra che la mostra che abbiamo allestito quest’anno si riallaccia alle radici profonde del suo lavoro di artista. Nel 2006 fu allestita ad Amburgo un’importante mostra che metteva le opere della Kahlo in relazione ad opere della Pittura Metafisica, del Dadaismo, della nuova Sachlichkeit e del Surrealismo. Cosa ne pensa del taglio di questa mostra? Helga Prignitz-Poda: Il taglio della mostra di allora era straordinario e metteva in luce aspetti significativi. Ma la nostra mostra, purtroppo, è già così ricca di opere di Frida Kahlo e così ampia che non potevamo proporre anche opere per confronti simili. Come é cambiata la ricezione dell’opera di Frida Kahlo attraverso la ricerca? Helga Prignitz-Poda: Quello che é emerso dall’analisi delle opere é che Frida Kahlo era una donna molto colta ed intelligente. Grazie all’analisi si va oltre la bellezza dei colori oppure il narcisismo degli autoritratti, che possono colpire in un primo momento. Analizzan-

Frida Kahlo, Ciò che ho visto nell’acqua o Ciò che l’acqua mi ha dato, 1938 Collezione privata

do una sua opera sino al più piccolo dettaglio, decifrandone il codice, ci si accorge della portata intellettuale di Frida Kahlo. Quando ho studiato con attenzione la sua opera “Ció che l´acqua mi ha dato”, ad esempio, ho riflettuto molto ed ho capito che Frida Kahlo in questo dipinto si confronta con l’Odissea di Omero. Un testo che lei ha letto a lungo ed ha amato. Questi risultati provengono principalmente dalla Sua ricerca? Helga Prignitz-Poda: Si. Sono risultati che scaturiscono dei miei studi relativi

alle fonti che Frida Kahlo ha utilizzato. La maggior parte delle altre ricerche, secondo me, sono troppo biografiche o psicoanalitiche. Basano l’analisi dell´opera soltanto in relazione al suo dolore o alla rappresentazione degli accadimenti nella sua vita. É una prospettiva che mi sembra, a volte, superficiale. É molto difficile reperire le opere per una mostra di Frida Kahlo, per diversi motivi. Ci sono opere in particolare che avrebbe voluto esporre qui a Berlino ma non é stato possibile ottenerne il prestito?


Helga Prignitz-Poda: “Ciò che l’acqua mi ha dato”. M’é dispiaciuto veramente molto non averlo per la mostra. Mi è dispiaciuto più di non avere quest’opera che di non avere l’opera fondamentale del lavoro di Frida Kahlo, “Le due Frida”, dipinto che ha subito dei danni gravi a causa dell’acqua, diverso tempo fa al Museo de Arte Moderno in Messico. La metà é stata ridipinta e per questo motivo hanno dichiarato che l’opera non può viaggiare. Oltre a “Ciò che l´acqua mi ha dato” sono molto dispiaciuta di non aver potuto esporre “Il cervo ferito”. Perché? Helga Prignitz-Poda: Perché avrei mostrato volentieri anche la Kahlo letteraria. Ha letto molto e nelle opere ha messo i singoli libri in relazione con la propria vita. È un tema avvincente che sino ad ora non è stato mostrato e che è documentato in modo evidente da queste due opere. “Il cervo ferito” rimanda alla storia di Didone ed Enea; “Ciò che l’acqua mi ha dato” rimanda all’Odissea di Omero. Ho scritto a proposito un articolo sino ad ora inedito… Frida Kahlo, Il cervo ferito, 1946 Collezione privata

Frida Kahlo, Diario, pagina 40-41 © Banco de Mexico, Museo Diego Rivera e Frida Kahlo, © Bob Schalkwiijk

Nell´analisi dell´opera “Ció che l´acqua mi ha dato”, pubblicata nel testo del catalogo della mostra, lei afferma che la Kahlo voleva rappresentare segretamente suo padre in quanto “tiranno”. Ci sono dei punti d´appoggio specifici che sostengono la sua tesi?

Helga Prignitz-Poda: “Ciò che l’acqua mi ha dato” è un dipinto a più dimensioni. Nel momento in cui Kahlo mette alcuni episodi dell’Odissea in relazione al proprio percorso di vita, giunge, nella storia dell’O d i s s e a della sua vita, anche al tiranno Polifemo, che aveva un solo occhio. Nel suo dipinto lo rintracciamo nell’uccello adagiato sulla schiena (Tirannide). Attraverso il monogramma nel tronco dell’albero su cui poggia, Frida Kahlo identifica questo episodio col padre. Perché ha voluto mostrare le opere dell´ultimo periodo, quando Frida Kahlo non riusciva più a dipingere? Helga Prignitz-Poda: Non direi che non fosse più in grado di dipingere; dipingeva certo in modo diverso. Si è avvicinata all’Espressionismo, i colori mascherano di meno, seguono l’espressione diretta della sua anima. I suoi ultimi dipinti sono sconvolgenti documenti della sua volontà d’espressione in quanto pittrice.


morfosi, Surrealismo e sogni; Yin Yang – Storia d’amore celeste e terrestre; La Gran Ocultadora – Bellezza mascherata, gli Autoritratti; El Diario – il Diario 1946-1954; Sentimientos – Sentimenti astratti; Enfermedad y Doctores – La malattia e le Nature morte per i dottori; Deseos – Immagini votive. L’elegante catalogo della mostra “Frida Kahlo Retrospektive”, edito da Prestel, pubblica ben dieci testi critici, che tematizzano i diversi aspetti della ricerca, le fotografie e bellissime riproduzioni delle opere esposte. Fra i testi critici citiamo “La storia Frida Kahlo, Frutti della terra, 1938 © Collección Banco National de México, © Foto Rafael Doníz

Frida Kahlo, Autoritratto con treccia, 1941 © Jacques and Natasha Gelman Collection, © Foto Gerard Suter

d’amore celeste e le segrete scritture cifrate nell’opera di Frida Kahlo”, di Helga Prignitz-Poda, e “L’immagine in quanto testimonianza: Frida Kahlo e la fotografia”, di Cristina Kahlo. Prignitz-Poda propone una chiave di lettura dei simboli “sole e luna” ricorrenti nelle opere dell’artista messicana. Dalla sua accurata analisi emerge come questi simboli mitologici raccontano, di opera in opera, la storia d’amore e dolore fra Diego Rivera, il sole, e Frida Kahlo, la luna. Il testo propone anche informazioni inedite sulle scritture cifrate, i numeri e l’alfabeto cirillico, che la Kahlo utilizza, soprattutto nel diario, come scrittura segreta. Ed un episodio significativo e molto divertente: in un dipinto, destinato alla sala da pranzo del presidente della Repubblica, Frida Kahlo dipinge una zucca vuota. In spagnolo l’espressione “zucca vuota” significa, come in italiano, “stupido”. Il dipinto le fu ben presto restituito. Il testo di Cristina Kahlo, che accompagna la mostra di fotografie, descrive il ruolo che la fotografia ha avuto nella vita di Frida Kahlo. Il padre dell’artista era fotografo. Il legame fra padre e figlia era molto forte.


INTERVISTA A CRISTINA KAHLO Qual è il pregio di questa mostra di fotografie? Cristina Kahlo: Vista la sua personalità Frida Kahlo era un interessante modello. I fotografi hanno documentato la vita e il milieu dell’artista attraverso il loro stile personale. Le fotografie in mostra sono un buon esempio. È un interessante documento attraverso cui il visitatore può farsi un’idea sulla vita di Frida Kahlo, il periodo storico in cui è vissuta. Chi sono i fotografi che l’hanno ritratta? In quali circostanze sono state scattate le foto? Cristina Kahlo: Non si possono nominare tutti. Fra i fotografi in mostra ci sono Manuel Alvarez Bravo e Lola Lavarez Bravo, che allora era sua moglie. I due erano amici intimi di Frida Kahlo, che Frida chiamava spesso per telefono per lamentarsi dei suoi problemi con Rivera. Spesso andavano a trovarla con la macchinetta fotografica in mano, e mentre lei si sfogava raccontando, loro la ritraevano. Molti artisti e uomini di cultura della scena internazionale si sentivano attratti dal clima eccitante che si respirava in Messico negli anni ‘30 e ’40. I viaggiatori, fra i quali giornalisti e fotografi professionisti, entravano, poi, inevitabilmente in contatto con la coppia Kahlo-Rivera. Fra questi anche il fotografo colombiano Leo Matiz, che arrivò in Messico nel 1940 e ci rimase per sette anni. Gisele Freund, che lavorava per le riviste “Life” e “Paris Match”, documentò molti momenti privati della vita di Frida Kahlo. Nickolas Muray conobbe la Kahlo nel 1931. Si sentiva molto attratto dalla sua forte personalità. I due ebbero una relazione. Nel corso di dieci anni lui ha realizzato alcuni dei più bei ritratti di Frida, in diverse situazioni. Durante la conferenza stampa Lei ha accennato al clima che si respirava in casa Kahlo: letteratura, musica, fotografia, pittura. Vuole dirci qualcosa in più?

Cristina Kahlo: Guillermo Kahlo, il padre, era un uomo molto colto, un appassionato lettore, soprattutto di Schopenhauer, ed aveva una biblioteca enorme. Frida aveva accesso, quindi, ad una letteratura di alto livello. Lui era, inoltre, un buon pittore. Dipingeva acquerelli molto belli. Ma si occupava professionalmente di fotografia e non di pittura. Sicuramente questa relazione col padre ha influenzato Frida Kahlo sin da piccola. Lei ha, ovviamente, un accesso privilegiato alle opere di famiglia. Visto il legame di parentela, ma anche alla luce della Sua esperienza d’artista. Pensa che le opere viste negli anni abbiano in qualche modo influenzato il Suo rapporto con l’Arte? Cristina Kahlo: Certo. Le opere e le fotografie, che ho sempre visto alle pareti di casa sin da piccola, hanno influenzato il mio sguardo. Hanno educato il modo di guardare e di percepire. Sono cresciuta guardando bella pittura e bella fotografia, amandola. È questa la vera grande influenza. Il mio modo di fotografare, però, è del tutto indipendente. I miei soggetti sono diversi. Amo fotografare l’aspetto gioioso della vita. Solo recentemente mi è capitato di dover fare fotografie d’architettura. Non avrei mai pensato di farlo. Guillermo Kahlo faceva fotografie d’architettura e per questo non volevo farne. Pensavo che non si dovesse fare quello che qualcuno famoso della famiglia aveva già fatto. Poi, per una coincidenza di cose, è successo ed oggi credo che non si debba lottare col proprio passato. Bisogna, piuttosto, riconoscere di appartenere a questa famiglia. Qualsiasi cosa sia accaduta nel passato della nostra famiglia, noi ne siamo la conseguenza. Il modo in cui ho scelto di vivere, circondandomi d’Arte, è una conseguenza della storia della mia famiglia.

Antonio Kahlo, Frida Kahlo col telefono, 1950 , particolare © Collezione Cristina Kahlo

Questo passato non è mai stato ingombrante? Ha dovuto “lottare” per trovare la sua personalità artistica? Cristina Kahlo: No. Sono sempre riuscita a fare quello che volevo. E sapevo molto bene cosa. Mi sono sempre sentita libera. Questo grazie a mio padre Antonio, fotografo. La prima volta che sono stata in una camera oscura è stato con lui. Ero molto piccola. Per me era magia. Pensai “mio padre è un mago”. Questo è il mio primo contatto con la fotografia. Tornando alla Sua illustre parente, c’è un aneddoto, un episodio inedito di Frida Kahlo che lei conosce e che vorrebbe raccontare al pubblico italiano? Cristina Kahlo: Si! Ne ho uno molto italiano! Quando mio padre era giovane andava spesso al cinema con Frida. Il modo in cui Frida si vestiva non era usuale in città e all’epoca la gente era molto conservativa. Allora, una volta mio padre e Frida stavano facendo la fila per il biglietto del cinema. Alcune signore conversavano dietro di loro. Una di loro ad un certo punto ha detto: “Oh, guarda quella donna ridicola vestita come un indigeno!” Frida ha sentito, s’è voltata e le ha dato una sberla. Ma una sberla così forte! Poi le ha detto: “Signora, voleva dirmi qualcosa?”


passato e la città ha ricucito le sue ferite, tessendo un monumento al ricordo ammonitore. L’ o c c a s i o n e della mostra di Frida Kahlo, proprio in questo luogo, ci suggerisce un accostamento bizzarro che scorre dentro l’immagine di una ferita profonda. La città e la donna. La rivoluzione è L’armonia di forma e colore. E tutto esiste e Si muove, secondo una sola legge = la vita = nessuno resta lontano

da nessuno – Nessuno lotta Per se stesso. Tutto è tutto e uno La pena E il dolore Il piacere E la morte Sono solo un processo Per esistere. La lotta rivoluzionaria In questo processo È una porta aperta Per l’intelligenza

Nickolas Muray, Frida Kahlo, 1940

Frida Kahlo, La colonna spezzata, 1944

© International Museum of Photography, George Eastman House, Rochester, New York, © Nickolas Muray

© Museo Dolores Olmedo Patiño, Xochimilco, Città del Messico

Condividevano il talento e la passione. Il padre chiamava spesso a rapporto la famiglia per scattare delle fotografie. Lei amava essere fotografata. Il suo interesse per la fotografia fu coltivato anche attraverso gli incontri. Fra le amicizie di Frida Kahlo e Diego Rivera ci sono molti importanti fotografi. Fra questi vanno citati Lola Alvarez Bravo e Nickolas Muray, col quale l’artista ebbe una relazione. Sue sono alcune fra le più belle e note fotografie della Kahlo, esposte anche in questa occasione. Un ultimo aspetto interessante della mostra di Berlino è il luogo. Il museo Martin-Gropius-Bau è situato in una delle zone più significative del centro della città. Una zona drammaticamente segnata dalla storia. Durante il periodo del nazionalsocialismo, a pochi passi dal museo, c'erano la sede del Servizio Segreto della Polizia di Stato e la Centrale di Comando delle SS. Finita la guerra il ricordo di questi edifici rimase muto per decenni. Quasi a ribadire lo sconcertato silenzio, dal 1961 al 1989 davanti alla facciata del museo correva il muro di Berlino. Il tempo è

Frida Kahlo


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