UNE GRANDE DAME – Hommage à Claude Pompidou

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La Natura è un tempio dove colonne vive lasciano a volte uscire confuse parole; l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli che l’osservano con sguardi familiari (…)

UNE GRANDE DAME Hommage à Claude Pompidou Luminosa presenza nell’universo dell’arte contemporanea Art&Art è andata a Parigi di Cristiana Coletti

CHARLES BAUDELAIRE


Ad un anno dalla scomparsa di Claude Pompidou, moglie dello storico presidente della repubblica francese, il Centro Pompidou ha allestito un’esposizione importante. La mostra, inaugurata il 2 luglio del 2008 ed aperta sino a fine marzo 2009, è curata da Jean-Pierre Bordaz, conservatore al Museo Nazionale d’Arte Moderna. Perché questo omaggio a Mme Georges Pompidou? La ricerca di una risposta non scontata ci ha spinto fino a Parigi.

DIETRO LE QUINTE Al nome della signora Claude Pompidou si associano da una parte la Francia degli anni ’60-’70, con tutte le vicende storiche che riguardano la presidenza del marito, dall’altra un’importante cambiamento culturale e la nascita di una delle più significative istituzioni internazionali dedicate all’arte contemporanea: il Centro Pompidou. Siamo comunemente portati a leggere l’interesse e l’impegno nell’ambito culturale e sociale della donna che è legata ad una personalità politica di rilievo, in quanto accessori di una consueta e scontata immagine pubblica. Entra nella storia restando un poco in disparte. Dietro la figura del marito che ricoprì una posizione ufficiale ed ufficialmente

prese decisioni. Ma se è così anche in questo caso, perché il Museo Nazionale d’Arte Contemporanea del Centro Pompidou le dedica una mostra? Perché questa pubblica dimostrazione di riconoscimento? Il comunicato stampa dice “Accompagnò e sostenne il Centro sin dall’inizio. Profondamente coinvolta nell’avventura di un’istituzione che amava.” Le commemorazioni sono sempre colme di elogi e ringraziamenti scontati. Tuttavia qui individuiamo una verità che vogliamo dimostrare, cercando. Se Claude Pompidou non ricopriva alcun incarico ufficiale presso il museo, la sua presenza deve aver avuto, comunque, un significato importante. Nell’universo dell’Arte Contemporanea, come, più in generale, in quello della vita culturale di un determinato paese, in un determinato periodo, gli sviluppi essenziali avvengono dietro il palcoscenico. Proprio la Francia, proprio Parigi, con i suoi salotti letterari o i caffè di Montparnasse, ci insegnano che le idee nascono e si sviluppano dall’incontro e dal dialogo fra artisti, poeti, musicisti. Ed è in un contesto simile che bisogna cercare la risposta. Georges e Claude Pompidou sono ricordati dai francesi per la loro grande passione per l’Arte Contemporanea. Frequentatori di gallerie, musei e collezionisti, i Pompidou erano legati da lunga e profonda amicizia con artisti e galleristi,

Fondazione Maeght, 1973 - Claude e Georges Pompidou con Marc Chagall e Aimé Maeght

Claude e Georges Pompidou

con musicisti e poeti. Vivevano a stretto contatto con i protagonisti della scena culturale francese ed internazionale. L’opinione pubblica dell’epoca individuava, probabilmente, nella signora l’origine del forte interesse per l’arte contemporanea dei Pompidou. In un’intervsta rilasciata a Luc Vezin, pubblicata in un volume dedicato al presidente, e nella sua autobiografia Claude Pompidou vuole, infatti, sottolineare lo spessore culturale del marito e l’importanza delle sue idee. Rende “giustizia” alla sua immagine pubblica. “Ma”, chiede Vezin in riferimento a Martial Raysse e Roger de La Fresnaye, “non è innanzitutto Lei, Claude Pompidou, che ha fatto scoprire al Presidente della Repubblica questi artisti?” “Assolutamente no. Ero sua discepola. Il che fu facile. Avevamo gli stessi gusti.” Confrontiamo ora questa risposta con le parole che Claude Pompidou scrive nel suo libro: “L’Arte, tutte le arti, sono il mio nutrimento quotidiano sin dall’infanzia”. La piccola contraddizione fra le due affermazioni ci fa fare una riflessione basilare: il percorso nell’universo dell’Arte Contemporanea, fatto di passione, curiosità, interesse, idee e progetti, fu un percorso condiviso che nella condivisione trovava il suo alimento. Non abbiamo bisogno di individuare altro o fare distinzioni interne relative alla sfera personale della famiglia Pompidou.


Se la moglie del presidente, dunque, aveva la legittima esigenza di sottolineare il ruolo storico del marito, oggi noi cerchiamo di compiere il percorso inverso: rintracciare, proponendo le stesse parole, la personalità, il pensiero di Claude Pompidou e l’importanza della sua presenza, insieme a quella di Georges Pompidou, nel panorama culturale francese ed internazionale. “L’arte è prima di tutto, per me, una testimonianza. Quella di un’esperienza singolare, d’una forza che trasforma il caos del mondo in creazione che porta senso e valore.” Claude Pompidou

CENTRO POMPIDOU: LA STORIA DI UN’AVVENTURA. La costruzione del Centro Pompidou, durata quasi 10 anni, tra critiche e perplessità di politici ed intellettuali, fu sì un risultato del fermento culturale della Parigi del ‘68 da una parte, e dell’esigenza politica di restituire alla Francia un prestigio internazionale, dall’altra, ma resta, fondamentalmente, il frutto del pensiero illuminato di chi l’ha voluto e di quanti hanno contribuito alla realizzazione di questa idea. Claude Pompidou scrive: “ Negli anni ’50 mio marito concepì l’idea del centro che più tardi avrebbe portato il suo nome. Ne parlò al generale de Gaulle ed ad André Malraux che non se ne interessarono. Riprese questo progetto i primi mesi del suo settennato e si adoperò subito per la realizzazione, sapendo che in questo campo bisogna essere veloci”. Nel 1969 il presidente Georges Pompidou prese la decisione di lanciare il progetto. Nel dicembre dello stesso anno scrisse al Ministro dei Beni Culturali, M. Michelet: “Il Centro dovrà comprendere non soltanto un ampio museo di pittura e di scultura, ma anche istallazioni speciali per la musica, il disco, ed eventualmente il cinema e la ricerca teatrale.” Claude aggiunge, nel suo libro: “Un’entità viva, capace di accogliere tutte le forme di cultura contemporanea per metterle sul piano dello sguardo e della prospettiva. Questa vocazione esige una distribuzione degli incarichi fra le sezioni componenti e, soprattutto,

una collaborazione continua fra loro.”. La struttura immaginata doveva essere aperta e fluida, tanto da consentire anche al pubblico una fruizione vitale e partecipata. Un’intuizione importante per l’epoca. Il progetto incontrò subito, però, un’opinione pubblica sfavorevole. Un antico ed ambiguo conflitto ideologico sta alla base delle critiche, a volte aspre, che fecero da sfondo alla costruzione del Centro: il rapporto fra arte e potere. In un’epoca dove per le strade di Parigi si gridava forte la parola “democrazia”, il Presidente della Repubblica scelse di imporre la propria decisione. Ottenuto un numero sufficiente di consensi politici avviò il progetto. “Ci furono resistenze da superare, critiche da affrontare,

mentalità da cambiare.”- scrive Claude Pompidou – “Il progetto era troppo precursore per la sua epoca ed ogni corpo costituito lo rifiutò: urbanisti, conservatori di musei o biblioteche.” Interessante, a questo proposito, è anche la testimonianza del grande compositore Pierre Boulez, cui fu affidata la direzione dell’IRCAM (Istituto di Ricerca e di Creazione Acustico-Musicale): “Quando il presidente prese la decisione, si scontrò con lo scetticismo di molti, che si trasformò, a tratti, in ostilità virulenta. Curiosamente furono certi intellettuali a disprezzare più fortemente il progetto in quanto volgare mercificazione della cultura.” Nel caso del Centro Pompidou ci sembra fondamentale capire un concetto. La determinazione del presidente,

Parigi, Centro Pompidou - foto di Marco Covi


apparentemente poco democratica, fu strumento indispensabile per superare polemiche e discussioni controproducenti. Scrive lo stesso Boulez: “Di pretesti, come la mancanza di budget, l’assenza di urgenza politica, non ne mancavano. Di discussione in discussione, il progetto sarebbe stato respinto.” Nel luglio 1970 Georges Pompidou lanciò l’organizzazione di un concorso internazionale per la costruzione dell’edificio e scelse i membri della giuria. Composta da architetti e personalità del mondo della cultura, eterogenei per percorso professionale ed interessi, sotto la presidenza dell’architetto Jean Prouvé, la giuria visionò 681 progetti. Scelse, sorprendendo ogni aspettativa, il rivoluzionario progetto n. 643 degli allora giovanissimi architetti Renzo Piano e Richard Rogers, sostenuti dalla società Ove Arup & Partners. Il progetto rispondeva

Centro Pompidou - fontana “Sacre du Printemps” (particolare)

perfettamente alle esigenze di flessibilità del Centro che si voleva costruire ed aveva “la forza di un’immagine brutale e decisiva che avrebbe lasciato il segno dell’epoca contemporanea”. Un’immagine che rappresentava i concetti che il Centro avrebbe comunicato: Arte come azione e sperimentazione pluridisciplinare. Arte come apertura. L’edificio sarebbe stato costruito a Beaubourg. Questa zona della città, in forti condizioni di degrado, era caratterizzata da un grande parcheggio per lo scarico delle merci. Ma il mercato generale del quartiere storico Les Halles era stato trasferito altrove e lo spazio aveva perso la sua funzione. Furono molte e legittime le proteste degli abitanti le cui case vennero demolite. Perché abbattere edifici della Parigi storica in favore di una costruzione moderna? La scelta

allora non venne compresa. Ma era ben ponderata. Collocare il nuovo Centro per le arti in una zona storica, centrale, fu una strategia intelligente. Con le parole di Claude Pompidou: “Un luogo quasi magico, tra gli Archivi, la Biblioteca Nazionale e il Louvre”. Lo si capì soltanto successivamente, anche se le polemiche in realtà non cessarono mai, come dimostra la recente pubblicazione di un nostalgico libro di fotografie che illustra il vecchio quartiere ed i suoi abitanti. Dopo la scomparsa di Georges Pompidou, 1974, il progetto proseguì con difficoltà. Claude Pompidou, in veste non ufficiale, a fianco dell’allora Primo Ministro Jacques Chirac, difese con determinazione la costruzione del Centro, che il nuovo Presidente Valéry Giscard d’Estaing voleva interrompere, e si impegnò per realizzare le proprie idee: la bellissima fontana “Sacre du Printemps” (“Fontana Stravinsky”) di Jean Tinguely e Niki de Saint-Phalle, che si trova presso l’IRCAM, fu da lei proposta con successo. “Mi sono battuta, in effetti, perché quest’opera di Tinguely e Niki de Saint-Phalle vedesse la luce, presso l’IRCAM, diretto da Pierre Boulez, grande ammiratore di Stravinsky. Per mesi ho mostrato lo schizzo di questa fontana per convincere i miei visitatori ad appoggiarne la realizzazione”. Il 31 gennaio 1977 il Centro Pompidou fu inaugurato. I rapporti redatti dal Centro citano, oggi, 150 milioni di visitatori in 30 anni: una risposta simbolica alle numerose polemiche iniziali. Una risposta ai Pompidou, alla loro intuizione ed alle personalità di spessore che hanno lavorato e contribuito per la sua realizzazione. Tra questi Claude Pompidou ricorda Robert Bordaz, cui fu assegnata la guida del progetto e che divenne il primo presidente del Centro, “fu perfetto”. Ricorda Pierre Boulez, cui fu affidata la direzione dell’IRCAM: ad una cena coi Pompidou, durante la quale si parlò del Centro, Boulez accettò. “Da questo incontro sarebbe nato l’Istituto di Ricerca e di Creazione Acustico-Musicale”. Ricorda, infine, Karl Gunnar Vougt PontusHultén, direttore del MNAM (Museo Nazionale d’Arte Moderna) dal 1973 al 1981, la cui originalità nella scelta delle opere al Moderna Muset di Stoccoma li


sedusse. “Bisogna dire che, all’epoca, nessuno dei grandi conservatori francesi volle prendersi il rischio di lanciarsi in questa avventura. Ponthus accettò con entusiasmo e creò il primo museo modulabile, così vivo, così nuovo nella sua concezione”. L’idea di realizzare un centro pluridisciplinare si sviluppò, quindi, e conobbe dei risvolti interessanti proprio attraverso il confronto, lo scambio di idee. L’apporto di competenze specifiche e prospettive differenti. Un incontro. È questo il concetto chiave intorno al quale ruota la progettazione del centro. Un incontro con persone esperte ma anche ricche di esperienza interiore e di pensiero. Un incontro con artisti. Nel senso più ampio della parola.

L’ARTISTA E LO SPECCHIO “Amo la compagnia degli artisti. Non mi annoio mai con loro, a dispetto del loro carattere a volte difficile o ombroso. Vedono il mondo in modo differente da noi e ci rendono partecipi di questa differenza. Alain (Emile-Auguste Charter) diceva che “tutte le arti sono come specchi, dove l’uomo conosce qualcosa di se stesso che ignorava”. Se è già chiaro che Claude Pompidou partecipò attivamente al progetto del Centro, sebbene non avesse una diretta responsabilità, emerge, qui, con evidenza un particolare importante: l’interesse per l’arte andava oltre l’aspetto meramente socio-politico. Vi era la capacità di leggerne il significato intrinseco. Capire, amare ed accettare nell’artista la persona e l’eccezionalità sono qualità che denotano una profondità rara. Se il gesto pubblico, quindi, era mosso con intelligenza e logica costruttiva, alle spalle c’era la condivisione di una dimensione meno concreta, anzi, sfuggente. Parlando degli artisti che illuminarono la sua vita, con la loro creazione, col loro modo di essere, Claude Pompidou è affettuosa e piena di gratitudine, sebbene sempre sobria. Elegante. L’incontro con Maurice Béjart, il grande ballerino e coreografo, avvenne nel 1965 in occasione del “Sacre du Printemps” di Stravinsky, al Palais des Sports. “Provammo un’emozione grande. Per motivi di protocollo ci avevano sconsigliato di andarci.

Pierre Soulages - “Peinture”, 1964 - Collezione Pompidou

Non ne tenemmo conto. Il balletto fu una vera rivoluzione, nella musica come nella danza”. Quello che li affascinò immediatamente in Bejart fu “il suo sguardo, penetrante, luminoso. Ci si percepiva tutto: l’intelligenza, la sicurezza di giudizio, la saggezza, ed infine una profonda sensibilità. Se fu un grande creatore è perché ha saputo conservare le grandi tradizioni rinnovandole completamente, forse grazie alla sua cultura”. La danza, la coreografia, la musica, la pittura. Parlando di Claude Pompidou e del suo intendere l’arte non ci può essere la definizione di un confine. È un accadimento che ha luogo altrove. Nella percezione sensibile dell’universo

che l’opera esprime in sintesi. Fra gli altri grandi amici artisti Claude Pompidou cita, infatti, il compositore Pierre Boulez che descrive come “un uomo da un’alchimia costante fra intuizione e riflessione che passa dall’una all’altra con passione e purezza, e le arricchisce l’una attraverso l’altra”. Condivise con lui valori profondi: “il pudore, una grande sensibilità nascosta, il rigore, l’onestà di fronte a se stesso e di fronte agli altri”. Ne ammirò la forza, la determinazione nel lavorare. “Finché non ha ottenuto il risultato che desidera, ricomincia, fin dai dettagli. Preciso, pragmatico, Pierre Boulez è anche lucido fino all’autocritica”.


RICHARD HUTIN Può raccontarci qual’era l’impegno di Claude

sapere cosa accadeva. Era perspicace ed aveva

Pompidou per la fondazione e qualcosa sulla

una grande sensibilità. Mi sorprendeva spesso, e

sua personalità?

credo di non essere il solo, col suo giudizio sicu-

R.H. Mme Pompidou era presidente a vita. Fino

ro, la sua opinione su un fatto o un personaggio.

alla sua morte, lo scorso luglio, fu presente. Veni-

Certo, era riservata. Non diceva qualsiasi cosa a

va quasi tutti i giorni, di pomeriggio, per seguire

qualsiasi persona.

le attività della fondazione e per incontrare alcu-

Niki de Saint-Phalle - “Nana” - Collezione Pompidou

Il noto pittore tachiste Pierre Soulages era, invece, l’amico dei tempi passati e di sempre, “uomo forte e solido come la roccia, paesano nel senso nobile ed altero del termine, volubile come gli uomini del sole”. I Pompidou apprezzarono ben presto la sua pittura. Molto prima che fosse conosciuto dal grande pubblico. Nel 1969, eletto Primo Ministro, Georges Pompidou appese un quadro di Soulages nel suo ufficio Luigi XV e questo causò un piccolo scandalo in ambiente politico. Un universo conformista non poteva accettare la rivoluzione che i Pompidou stavano portando dentro i palazzi ufficiali. Arrivati all’Eliseo vollero modificare l’arredamento degli appartamenti. Fu un vero colpo per l’opinione pubblica. Non s’erano mai visti, prima, in quei luoghi, dipinti di Frantisek Kupka, Robert Delaunay, le bellissime poltrone di Pierre Paulin, le invenzioni caleidoscopiche di Agam. Claude e Georges Pompidou si circondarono delle cose che amavano. Crearono uno spazio secondo il proprio gusto. Secondo la propria esigenza estetica. Uno spazio che andava sempre modificato, sostituendo, periodicamente, i quadri alle pareti. Negli anni l’amore per l’arte li aveva portati, infatti, a costruire una piccola ma bellissima collezione di opere contemporanee e moderne. Opere che non vollero mai vendere. Ma mostrare. Agli amici, agli ospiti ufficiali. Un intuito formidabile: rendevano, finalmente, moderna e vitale l’immagine

ne personalità. Dal mio punto di vista posso dire

I francesi l’amavano?

che Mme Pompidou fu quello che in francese si

R.H. I francesi l’apprezzavano molto. Riceviamo

dice “une grande dame”. Una donna intelligente,

ancora oggi molte lettere, molte testimonianze di

elegante. Una personalità forte che impone il ri-

persone che l’amavano. Perché era autentica e

spetto e l’ammirazione. Una persona molto affa-

semplice. Non era un personaggio pubblico con-

scinante. Era semplice e diretta ma teneva sempre

sueto. Non era una vip. Era spesso presente nei

una distanza. Era riservata. Era molto diretta. Chi

media, perché partecipava alla vita culturale. Ma

usciva dal suo ufficio aveva capito cosa voleva e

era riservata e non andava in un posto qualsiasi

cosa non voleva. Non cercava compromessi. In

per fare qualsiasi cosa. Ha lasciato un’impronta.

relazione agli obiettivi della propria fondazione,

Anche qui, alla Fondazione. Siamo figli del suo

in relazione alle sue convinzioni, alle sue scelte di

spirito: serietà, efficacia, discrezione. Ciò che

vita, aveva un’etica. Le scelte venivano prese nel

vien fatto deve essere fatto bene, senza parlarne

rispetto assoluto delle sue idee, delle sue convin-

troppo.

zioni. Era, poi, una persona curiosa. Usciva sempre. Interessata al cinema, alla moda, alle mostre

Entrando abbiamo visto delle opere. Gli spec-

d’Arte, ovviamente, sia quelle più importanti che

chi. Di che si tratta?

quelle meno importanti. Frequentava le gallerie

R.H. Le opere sono state realizzate da artisti im-

d’Arte. Una persona molto curiosa della vita.

portanti, Combas, Rotella, Rotraut, e vengono

Sempre rivolta al futuro. Sorprendente per una

vendute per raccogliere fondi che verranno inve-

persona di una certa età. Era più giovane nello

stiti nella costruzione di strutture, progettate dalla

spirito della maggior parte delle persone che lo

Fondazione, a Nizza. Il progetto è stato lanciato

sono anagraficamente.

qualche anno fa da alcuni amici della Fondazio-

Era una donna libera perché non si lasciava im-

ne. Daniel Moquay cura il progetto. Qui esponia-

porre delle scelte, ma decideva secondo i propri

mo circa una dozzina di opere. Era un desiderio

criteri. Non accettava compromessi.

di Mme Pomidou: l’Arte Contemporanea in favore delle iniziative della fondazione. Era felice quan-

Come si rapportò al ruolo che ebbe in quanto

do, come in questo caso, l’Arte raggiunge la vita.

moglie del presidente della repubblica? R.H. Quello che posso dire, e lo ritrovate in ogni

C’è un episodio, un ricordo che vorrebbe rac-

intervista che ha rilasciato, è che la vita all’Eliseo

contarci?

non le piaceva affatto. L’ha detto spesso: l’elezio-

R.H. Cinque o sei anni fa il segretario generale

ne del marito fu qualcosa che lei non desiderava.

della Fondazione ed io stavamo parlando di un

Ciò nonostante rispettò il ruolo che questa carica

film da trasmettere per la serata annuale di gala

le imponeva, ma è anche vero che la vita politica

della Fondazione. Stavamo parlando di una bella

non l’interessava. Non voleva essere troppo im-

scena in cui uno dei personaggi recita versi di un

plicata negli affari di palazzo, per questo si lanciò

poeta inspirati ai giardini di Arles. Claude Pompi-

subito nel perseguimento dei suoi obiettivi.

dou ci interruppe e declamò lei stessa il poema

Creò immediatamente la Fondazione. Dopo la

che conosceva a memoria. Si trattava di un testo

morte di Georges Pompidou, che era ancora

di Paul-Jean Toulet, poeta francese (1767-1920)

presidente, la politica, l’Eliseo rappresentavano

molto poco conosciuto.

un ricordo terribile. Lei non ha mai più messo

Restai di ghiaccio per la sua reazione e per la sua

piede all’Eliseo. Mai. Non amava la politica per i

memoria eccezionale. Soltanto sua! Un momento

troppi compromessi. Lei era una persona auten-

magico! Bisogna precisare che suo marito era

tica. Aveva, tuttavia, un giudizio suo. Era attenta

professore di Lettere ed aveva scritto un’Antologia

a quello che succedeva in ambito politico. Non

della Poesia Francese. Spesso amavano leggere e

amava la politica, quindi, ma si interessava di

recitare i versi dei loro autori preferiti.


della Francia colta all’estero. Dicevano, finalmente, che l’arte contemporanea era viva anche in Francia, in Europa. Tra le opere della collezione ci sono lavori di Niki de Saint-Phalle e Jean Tinguely, con cui i Pompidou erano legati da anni. “Niki, che non posso separare da Jean per quanto furono uniti, è una donna d’una sensibilità e di un’immaginazione esuberanti, al limite dell’irrazionale, ma che importa!”.

L’ARTE RAGGIUNGE LA VITA Nel 1970 Claude Pompidou creò una Fondazione per l’aiuto umanitario. Come molte mogli di personaggi politici. Alla base ci sono, però, un’intelligenza ed una sensibilità che distinguono questo progetto da un progetto qualsiasi. Richard Hutin, Direttore generale sin dal

1974, ci ha raccontato l’aspetto professionale ma anche umano e poetico di Claude Pompidou, accanto alla quale ha lavorato per tanti anni. Dall’intervista emerge che Claude Pompidou era curiosa. Aperta. Proiettata verso il futuro. Sapeva viaggiare scoprendo e percependo. Era libera, perché sapeva scegliere. Perché sapeva confrontarsi con la vita, rispettandola ed amandola nella sua essenza. L’incontro col Direttore Generale della Fondazione ci ha dato la possibilità di capire quanto e fino a che punto il rispetto per la vita scaturisse da un intimo, coeso pensare. Questo progetto di aiuto umanitario porta l’impronta indelebile della sua firma. Razionale, pragmatico ma anche profondamente sensibile e discreto. Gli importanti risultati raggiunti nel corso degli anni lo dimostrano. Richard Hutin ha risposto alle nostre domande in modo attento e rispettoso del

ricordo. Ha scelto le parole con gentilezza e tatto. Senza risultare diplomatico.

Yves Klein - “Anthropométrie - sans titre”, 1960

Daniel MoQUAY Rotraut ed io abbiamo conosciuto Georges Pompidou nel 1969. Aveva acquista-

Hundertwasser, ed altri ancora. Potevamo contare sulla sua generosità, si donava

to una grande opera di Günther Uecker alla galleria Denise René a Parigi e noi

senza calcolo. Un lume. Ha cambiato l’ambiente in trent’anni, ha risposto presente

ricevemmo una telefonata della sua segretaria che chiedeva il permesso di incon-

a tutte le sollecitazioni suscitando l’ammirazione di tutti.

trarci nel piccolo appartamento che occupavamo a Montparnasse, invitato anche

Per questo nel 1996 mi sono lanciato in un’avventura che portò nel 1997 ad una

Günther Uecker, il fratello di Rotraut. Nonostante il mio cattivo tedesco, feci da

vendita all’asta di opere d’Arte donate da artisti, mercanti e collezionisti. Dopo

interprete. L’incontro durò circa un paio d’ore in un’atmosfera molto simpatica.

tanto lavoro questa vendita portò alla Fondazione la somma di otto milioni di

Era un appassionato dell’arte e degli artisti. Abbiamo conosciuto Claude Pompi-

Franchi. Dieci anni più tardi abbiamo messo in piedi la collezione degli Specchi

dou poco tempo dopo in occasione di una cena nel loro appartamento a Quai de

d’Artista con la partecipazione di 18 artisti: Adami, Combas, Chu Teh Chun, Erró,

Béthune, nell’Ile de Saint-Louis, di fronte alla cattedrale di Notre Dame. Non l’ab-

Wang Guangyi, Kusama, Klasen Miralda, Othoniel, Pierre & Gilles, Rotella, Rotraut,

biamo più incontrati all’Eliseo, la sua funzione e i nostri viaggi non lo permisero.

Segui, Soto, Uecker, Venet, Bob Wilson, Kimiko Yoshida.

Il direttore del MNAM, Centro Pompidou, Ponthus Hultin, era uno dei nostri amici.

Seguendo il suo esempio cerchiamo di essere degni di lei e doniamo il meglio di

Aveva presentato un’opera di Yves Klein nel 1965 al Moderna Museet a Stockholm.

noi per continuare la sua opera. 1000 volontari, 15 stabilimenti. Un progetto di

Come tanti altri donatori, abbiamo partecipato anche noi alla creazione del Centro

100 letti al CHU di Nizza riservati ai malati colpiti dal morbo di Alzheimer vedrà

di cui siamo soci fondatori. Dalla sua inaugurazione, nel 1977, un vento di follia

la luce nel 2010.

soffiò su Parigi. Un Centro pluridisciplinare con un’architettura all’avanguardia in

Ci sarebbero ben altre cose da raccontare su questa donna straordinaria, ma io,

un quartiere diseredato, era quasi una rivoluzione; tutto era permesso, la speranza

forse, non sono la persona più qualificata per farlo. Posso semplicemente portare

era dalla nostra parte, Parigi aveva finalmente un forum che avrebbe permesso

la testimonianza di un’amicizia rispettosa che è durata più o meno quarant’anni.

agli artisti di dialogare con un pubblico assetato di Arte Contemporanea. Claude Pompidou, presidente, è stata un personaggio chiave. La sua presenza era coscien-

Lei mi chiede di parlare di Yves Klein, anche in questo caso non sono la persona

za, onestà, rettitudine stessa. Sempre presente a tutte le inaugurazioni, disponibile

più qualificata. La mia testimonianza è semplice. Si tratta, ai miei occhi, di un

a tutto, une grande dame sotto ogni punto di vista.

essere fuori dal comune. Non un pittore, ma un artista, un umanista, un genio

Ricordo un pranzo nel 1983, in occasione della prima mostra retrospettiva di Yves

visionario che aveva una missione, un’urgenza. Il suo destino è stato quello di una

Klein al Centro, in un ristorante non molto lontano, alla presenza di due persone

cometa sensibile che attraversò la nostra galassia illuminandola di un colore IKB

d’eccezione: Jean de Ménil, sponsor dell’avvenimento, e Claude Pompidou, che

affascinante, ipnotico, onesto, questo è l’aggettivo più rivoluzionario - onesto - la

ospitava questa manifestazione eccezionale, presenti la madre ed alcuni altri fami-

sua vita e la sua morte ne sono testimonianza.

liari di Yves Klein, in un ambiente che più semplice non poteva essere. Ciò che lei fece in questa occasione non era qualcosa di nuovo o straordinario. Era fatta così,

“Lunga vita all’immateriale” (Yves Klein)

prendeva a cuore la sua missione. Gli artisti che furono suoi amici sono Soulages, Zao Wou Ki, Boulez, Nina Kandinsky, Niki de Saint Phalle, Jean Tinguely, Arman,

Daniel Moquay


Ma generoso ed al contempo riservato. Ci sembra quasi di riuscire a percepire, attraverso il gioco di uno specchio, la figura di Claude Pompidou. Il suo modo di essere. Il suo modo di confrontarsi col mondo. Entrando negli spazi della fondazione, in un bellissimo palazzo non lontano dal Centro Pompidou, si resta immediatamente colpiti dalle opere alle pareti: gli “Specchi”, realizzati da artisti di fama internazionale in favore della fondazione, per un progetto curato da Daniel Moquay. Importante collezionista e referente per l’opera di Yves Klein tra l’Europa e gli Stati Uniti, socio fondatore del Centro Pompidou, Moquay, insieme alla moglie, l’artista Rotraut, condivise con Claude Pompidou un’amicizia lunga 40 anni. L’abbiamo raggiunto per avere una sua testimonianza ed abbiamo ricevuto una generosa lettera nella quale racconta la sua esperienza in seno alla Fondazione e traccia con sensibilità il profilo di Claude Pompidou in relazione al suo impegno per l’Arte Contemporanea. Illuminanti, anche se sintetiche e semplici, le sue parole sull’Arte di Yves Klein, grande artista scomparso precocemente, al cui nome è legato un colore blu forte e puro. Amato da Claude Pompidou, che possedeva alcune sue opere, Klein entrò di diritto nella storia dell’Arte Contemporanea.

Hommage à Mme Georges Pompidou Centro Pompidou - MNAM 2 luglio 2008 - 30 marzo 2009 Dentro le viscere di Parigi s’affretta, svelta e tintinnante, la metropolitana. E s’affretta la gente. Un sincronico saliscendi in equilibrio. Quasi fossero, uomini e convogli, parti di un unico insieme. Un corpo. Cucito sulla frenetica coincidenza dei loro movimenti. Qui sotto, nel buio di un’intuita e silenziosa grandezza, pare ogni giorno accadere la città. Non lontano dal museo del Louvre, adagiato su una piazza che lo accoglie come un lago l’isola, si muove, nei colori, nelle forme che lo compongono e nel fluire delle persone che lo vivono, il Centro Pompidou. Restiamo stupiti per l’armonia incantevole che lega l’immagine forte e brutale del Centro, che sembra una macchina, tanto respira nel ferro e nel vetro che lo costruiscono, e le case, i palazzi antichi di Parigi che si affacciano sulla piazza. Come figli della stessa anima: Parigi. Il MNAM (Museo Nazionale di Arte Moderna) è uno dei dipartimenti del Centro Pompidou. Gli altri dipartimenti sono:

Martial Raysse - “Tableau dans le style français”, 1966 Collezione Pompidou

l’IRCAM (Istituto di Ricerca e di Creazione Acustico-Musicale), la Biblioteca Pubblica Nazionale, il Centro di Design Industriale, il Dipartimento dello Sviluppo Culturale. Il MNAM dispone di uno spazio pari a 15.000 mq per le collezioni e 5.200 mq per le esposizioni temporanee. Conserva 60.000 opere dal 1905 ai nostri giorni. Al V livello è allestita l’esposizione di Arte Moderna, che pone l’accento sui fondi monografici: Matisse, Picasso, Braque, Kandinksy, Mirò, Léger, Giacometti, Pollock. Il IV livello è dedicato all’Arte Contemporanea: minimalismo, l’arte concettuale, l’antiforma, il design e l’architettura. Il nucleo originario del MNAM, fondato già nel 1947 e situato presso il Palais de Tokyo, era costituito da poche centinaia di opere donate da Artisti che frequentavano Parigi, fra i quali Matisse, Bonnard, Braque, Léger. Furono proprio le donazioni che, in seguito, hanno arricchito notevolmente la collezione del MNAM. Le opere lasciate da Georges Braque e Constantin Brancusi, che donò i suoi atelier parigini, ora situati in un edificio progettato da Renzo Piano accanto al Centro, quelle lasciate da Kandinsky e Herni Laurens, da Georges Rouault e i coniugi Delaunay formano un insieme unico ed originale. Non si tratta semplicemente di una ri-

Salotto all’Eliseo - Frantisek Kupka, Pierre Paulin, Robert Delaunay


costruzione rappresentativa delle più importanti correnti dell’Arte Moderna, come avviene comunemente, ma, piuttosto, di una testimonianza della storia del Museo, di chi lo ha diretto e di chi l’ha frequentato. Le opere di Kandinksy, ad esempio, furono donate da Nina Kandinsky, che firmò un testamento a casa di Claude Pompidou, alla quale era legata da grande amicizia. “Ci confidò, in occasione di una cena a casa mia con degli amici, che voleva fortemente che le opere di suo marito restassero in Francia. Prese la decisione al momento e redasse il suo testamento in favore della Francia sulla tavola del mio salone. Fu al contempo imbarazzante e commovente: settanta opere di Kandinsky e tutta la loro collezione, fra cui dipinti di Klee, di Dounanier Rousseau.”

LA MOSTRA: LO SPIRITO DEGLI ANNI ‘60 L’omaggio che il Centro ha pensato in occasione della commemorazione a Claude Pompidou è un’esposizione di opere che hanno fatto parte della sua collezione privata ed altre opere degli anni ‘60. Abbiamo incontrato JeanPierre Bordaz, conservatore presso il MNAM e curatore della mostra, che ci ha spiegato con quale criterio è avvenuta la scelta e l’allestimento delle opere. Con determinazione Bordaz racconta l’originalità dell’idea che muove l’attività del Centro, l’importanza dei Pompidou nella società francese degli anni ‘60-’70 e le difficoltà attuali in seno al museo. Sintetico, ma chiaro il curatore della mostra ci ha illustrato, poi, la forza espressiva ed il significato di alcune delle opere esposte. La collezione dei

JEAN-PIERRE BORDAZ Qual è il Suo ruolo all’interno del MNAM?

di chiedere a Pierre Paulin di fare i divani. Col loro modo di fare, attenti all’avanguardia, da-

J.P. B. Sono conservatore presso il diparti-

vano l’esempio. Certo, il successore, Giscard

mento Collezione Contemporanea. Sono soddi-

d’Estaing, fece subito sgomberare tutto e rein-

sfatto, nonostante le difficoltà di oggi a livello

trodusse il vecchio arredamento.

organizzativo, in relazione alle istituzioni, e, soprattutto, a livello finanziario. C’è, tuttavia,

Con quale criterio è stata allestita la mo-

una qualità di contenuti che è esemplare. L’arte

stra?

ha, poi, bisogno di un luogo. Questo edificio, al centro della città, è un punto di riferimento per

J.P. B. Si tratta di una scelta. Di un’interpreta-

l’artista che crea un’opera originale. Si presen-

zione. Abbiamo voluto rappresentare gli artisti

ta, espone qui e può essere visto da tutti.

che amava, che conosceva. Ma ciò che ci interessava di più era mostrare artisti degli anni

Perché un omaggio a Claude Pompidou?

’60. I primi del Centro Pompidou. Comunicano un’estetica della partecipazione. Non si tratta di

J.P. B. Si tratta di una persona molto impor-

opere formali, come quelle di altri periodi del-

tante per il Centro. Ha avuto un ruolo nello

la storia dell’arte, create nel silenzio dell’ate-

sviluppo dell’istituzione e nella creazione della

lier. Il “Tir” di Niki de Saint-Phalle è veramente

collezione. Rappresentava la dottrina del Cen-

un’azione in pittura. Un’azione violenta, senza

tro. Si è rivolta, negli anni, ai diversi presidenti,

rispetto. Un combattimento. Anche il “Baluba”,

affinché ne fosse sempre rispettata la linea:

piccolo ma straordinario, di Jean Tinguely, è

qualità di contenuti, serietà, pluridisciplinari-

azione, partecipazione. È interessante. Si pas-

tà. È importante, però, capire anche cos’era

sa ad un’altra dimensione. La stessa cosa per

la Francia negli anni ’60. Sotto il Generale De

Martial Raysse e il suo “Tableau dans le style

Gaulle, la moglie del presidente non accettava

français II”. Vediamo una donna emblemati-

donne divorziate all’Eliseo. Il palazzo nazionale

ca. È un’immagine reale. Una fotografia che

era arredato in modo convenzionale, antico. I

è interpretata come tale. Ho visto molto, negli

Pompidou hanno portato un cambiamento di

anni, questo genere di rappresentazione fem-

mentalità, in generale, e sono stati gli unici ad

minile. Ovunque. Anche in Rotella. Sono imma-

avere l’intelligenza di fare il Salone di Agam,

gini che hanno una gran forza.

Jean Tinguely - “Baluba”, 1962

Pompidou è fortemente caratterizzata da opere d’Arte Contemporanea. Ciò non esclude, come dice la stessa Claude Pompidou nelle interviste e nel suo libro, un interesse per l’Arte Moderna e l’Arte Antica. Il loro interesse per il contemporaneo aveva solide basi. Soltanto una forma di cultura metabolizzata e divenuta maturità di pensiero e percezione, infatti, consente di relazionarsi alle opere d’arte contemporanee. Come ci fa capire Claude Pompidou nel suo libro: non si può amare l’opera di Pierre Boulez né quella di Olivier Messiaen se non si conosce e non si ama Mozart, Bach. Chi ha una passione per l’arte desidera vederla nascere. Desidera percepirne il pulsare. Questo desiderio è alla base dell’interesse e del sostegno nei confronti dell’Arte Contemporanea dei Pompidou. A dispetto di tutte le critiche che l’opinione pubblica ha loro rivolto, accusandoli di essere esclusivamente interessati alle avanguardie. Il Centro Pompidou è il simbolo di questo atteg-


giamento attivo, vitale, costruttivo. Come ci racconta Jean-Pierre Bordaz, in merito alle opere di Niki de Saint-Phalle in mostra: “Non è semplicemente pittura. È azione. È quasi un combattimento in pittura.” Questo nuovo modo di porsi nei confronti dell’Arte nasce in quegli anni. Grazie alla forza degli Artisti, grazie alla volontà di chi ha creduto in loro.

manifesti lacerati incolati su tela di zinco, 1961; Jean TINGUELY “Baluba”, assemblaggio, 1962; Pierre PAULIN “Canape”, poltrone d’artista, 1971-72; Niki de SAINT-PHALLE “Tir”, gesso, pittura, oggetti, 1961; Pierre SOULAGES “Peinture”, olio su tela, 1957; Günther UECKER “Spirale III“, 1968; Victor VASARELY “Hô II”, olio su tela, 1948-52.

In mostra opere di Artisti molto noti: Max ERNST “Le trois cyprés”, olio su tela, 1951; Frantisek KUPKA “Ligne animées” dipinto su tela, 1920-33 e “Autour d’un point”, olio su tela, 1953; Robert DELAUNAY “Rhythme sans fin”, dipinto su tela, 1964; Yves KLEIN “SE 71L’albre, grande éponge bleue”, pigmento puro e resina sintetica su spungna, 1962; Martial RAYSSE “Tableau dans le style français II”, tecnica mista su tela, 1966; Raymond HAINS “Panneau d’affichage”, manifesti lacerati incolati su tela di zinco, 1960 e “Les Nymphéas”,

Lo spazio delle sale è strutturato in moduli comunicanti. Le opere in mostra per quest’occasione si inseriscono naturalmente in un percorso più ampio. Quello della collezione permanente del Centro Pompidou. Non tenteremo in questo contesto un’analisi critica specifica per ognuna delle opere. Vogliamo lasciare aperta al visitatore la possibilità di fruire di queste presenze. Le opere, infatti, pur essendo allestite in occasione della mostra, saranno comunque, sempre visibili perché facenti parte, per la maggior parte, della collezione del Centro Pom-

Yaacov Agam - Salon

pidou, cui sono state donate. Folgorante ed entusiasmante è l’impatto della mostra. Unica, nella varietà e nella qualità di linguaggi espressivi. Uno spaccato che è anche storico: l’Arte Contemporanea a Parigi negli anni ’60. Il periodo, quindi, in cui il Centro Pompidou stava nascendo come concetto. Citiamo la bellissima ricostruzione del salotto degli appartamenti all’Eliseo, come l’avevano voluto i Pompidou. I divani di Pierre Paulin, così innovative all’epoca per la linea, il colore, dialogano coi due dipinti di Kupka, ai lati della parete alle spalle, e con il dipinto di Robert Delaunay, disposto al centro. Un magico incrociarsi di linee e colore. Ritmo e musicalità dell’immagine. Una vibrazione ed una forza dinamica che coinvolgono lo spettatore. Non dobbiamo spendere altre parole per convincere della bellezza di questa visione che è la testimonianza del gusto raffinato e colto, dell’immaginazione di chi ha voluto cre-


Max Ernst - “Le Trois cyprés”, 1951

are questo insieme. Il salone di Agam, in mostra permanente al Centro Pompidou, costruito su volontà dei Pompidou per accogliere i loro ospiti all’Eliseo, è uno spazio fuori dallo spazio. Fuori dalla comune percezione degli ambienti interni. Un caleidoscopio di colori cangianti. Mutevole ogni istante. Non lascia alcuna possibilità di scampo al visitatore: si è costretti ad entrare in una dimensione altra. Ad abbandonare l’abito quotidiano del proprio confrontarsi col mondo. Folle e geniale al contempo, fu immediatamente sgomberato dall’Eliseo, quando scomparve il Presidente e con lui la traccia della loro presenza a palazzo. Cosa ci resta di questo viaggio? Abbiamo capito che nell’universo dell’Arte agiscono tre categorie di persone: colui che crea, colui che investe

e chi, pur non avendo un ruolo decisionale, pur non investendo in termini commerciali, stabilisce dei contatti, promuove delle situazioni, fa opinione. In questo ambiente abbiamo incontrato la figura di Claude Pompidou, percependone lo spessore culturale e la sensibilità. Abbiamo, poi, capito che se intuito e lungimiranza sono alla base di una scelta politica intelligente, alla base di un intervento in ambito culturale e artistico deve esserci qualcosa in più: quello scarto che distanzia chi si rapporta all’arte, come pure a tutto il patrimonio culturale, carpendone soltanto l’aspetto sociopolitico da chi invece riesce a coglierne anche il valore intrinseco. È, appunto, il caso di Claude e Georges Pompidou. Non è semplice individuare il confine fra i due territori. Contaminazione di interessi e prolifica loquacità abbondano

in quest’ambito, dove l’essenza è per sua natura sfuggente. Per distinguere bisogna, quindi, guardare più da vicino. Mettere a fuoco il pensiero e le scelte, anche quelle meno ufficiali. Al centro c’è una visione dell’Arte quale nutrimento e sintesi della vita. È notte a Parigi e il vento porta lontano i rumori della città. Resta, sospesa e antichissima, la voce del Poeta. “Come echi lunghi che da lontano si fondono in una tenebrosa e profonda unità vasta quanto la notte e quanto la luce, i profumi, i colori e i suoni si rispondono.” Charles Baudelaire


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