DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Socrate e di h c a n cro di Ferdinando Adornato
NAPOLITANO CHIEDE CHIAREZZA: MA
PRODI
INVECE
DI DIMETTERSI SEMINA CONFUSIONE NELLE ISTITUZIONI.
E
SFIDA IL
SENATO...
OTTO PAGINE SPECIALI
Una riforma da rilanciare Valentina Aprea, Emerenzio Barbieri, Nicola D’Amico, Claudio Gentili, Vincenzo Silvano, Bruno Stenco, Giuseppe Valditara
a pagina 9
intervista BINETTI: «LARGHE INTESE O DECLINO» pagina 3
di Riccardo Paradisi
senatori a vita NON POSSONO ESSERE UN PARTITO di Gaetano Quagliariello Altero Matteoli pagina 4
costituente È IL TEMPO DELLA GRANDE RIFORMA di Rocco Buttiglione
pagina 5
fallimenti Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma
L’AMBIENTALISMO UCCISO DALLA SINISTRA di Carlo Ripa di Meana
Niente pasticci! 24 9 771827 881004
esodi FUGA IN MASSA DA GAZA ALL’EGITTO di Emanuele Ottolenghi pagina 19
cultura GRANDE NOSTRO MARE, TI UCCIDIAMO L’ANIMA
di Renzo Foa • pagina 2
80124
GENNAIO
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
10 •
WWW.LIBERAL.IT
pagina 8
di Gennaro Malgieri • CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
pagina 21 19.30
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Una giornata di confusione, tra voci di dimissioni, tensioni sotterranee e prove di forza
L’OSTINAZIONE DI PRODI, LA CHIAREZZA DI NAPOLITANO di Renzo Foa entre questo giornale va in macchina, non si è ancora conclusa una giornata che ha avuto il suo momento alto nel discorso di Giorgio Napolitano alle Camere e il suo momento più basso nell’ostinata resistenza di Romano Prodi, che non riesce a rassegnarsi alla fine del suo governo. Prodi convinto di riuscire a raccogliere in Senato la maggioranza per resistere e di poter sostituire l’Udeur con il partito dei senatori a vita. Prodi che ha continuato fino all’ultimo a pensare che il risultato del 2006 gli avesse dato un’investitura piena, per tutta la legislatura. Prodi che ha interpretato il mandato ricevuto come una sorta di “variabile indipendente” dai rapporti di forza sia all’interno della sua coalizione sia nei rapporti con le opposizioni. Su tutto ciò da alcuni giorni stanno scorrendo i titoli di coda. E nel modo più confuso. Peggiore. L’alleanza dell’Unione, nata con l’ambizione dichiarata di traghettare l’Italia in una fase più moderna, non lascia dietro di sé segni positivi. In questo anno e mezzo, è stata costantemente dilaniata da grandi conflitti. È stata più volte sull’orlo di implodere. Ed è caduta sul vecchio e irrisolto conflitto tra magistratura e politica, come se l’orologio fosse tornato indietro di quindici anni. Con un ultimo atto avvolto nell’opacità. All’uscita dell’Udeur dalla maggioranza, si è risposto rischiando un tortuoso passaggio parlamentare, confidando in non si sa chi e scommettendo non si sa su cosa. Davanti ad un’opinione pubblica alla cui disillusione occorre rispondere con trasparenza e chiarezza, è stata tentata una strana manovra. E, come nel 1998, Prodi si è dichiarato “ottimista” fino all’ultimo.
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In una condizione di normalità si sarebbe potuto parlare di confusione. In questo caso c’è stato qualcosa di più. Il Professore è stato trascinato dalla sua tenacia in un pantano. Un passaggio parlamentare, invocato nel nome della chiarezza, è diventato opaco.
Eppure ieri mattina abbiamo vissuto un momento di fortunata eccezione. Celebrando il sessantesimo anniversario della Costituzione repubblicana, il presidente Giorgio Napolitano ha pronunciato da-
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fin dall’inizio segnato da equivoci, da non detti, da tentativi di fughe in avanti, tra Vassallum, bozze Bianco, modelli di varia etnìa. Al punto da diventare un ulteriore fattore di instabilità. E da lasciar intravedere un epilogo nella palude. Durante il discorso di Napolitano, era istintivo un confronto tra la chiarezza del capo dello Stato e l’opacità dei comportamenti politici, in questo caso essenzialmente nel centrosinistra. Nel panorama di un presidente del Consiglio che non si rassegnava alla sconfitta, di giochi pesanti all’interno del Pd, di rinnovate compe-
Ieri mentre
il capo dello Stato parlava della Costituzione,
era istintivo il confronto
tra una domanda di innovazione e l’opacità dei comportamenti politici di un presidente del Consiglio che non si rassegna alla sconfitta vanti alle Camere riunite un discorso esemplare per la sua chiarezza. Pur nella sobrietà dello stile che conosciamo, c’è stato un invito alle forze politiche ad assumersi la responsabilità dell’innovazione istituzionale. Parole serie. Parole di un garante consapevole della necessità di aggiornare le regole fondamentali e quanto mai deciso – pur rispettando la diversità dei ruoli – a stimolare questi cambiamenti. Soprattutto parole chiare. Parole a cui tutti sono tenuti a rispondere indicando le strade delle riforme e anche le sue sedi, a cominciare dalla possibile Assemblea costituente, che liberal ha riproposto e ripropone anche oggi. Parole che sono suonate come un’eccezione in una stagione di grande confusione e di incertezza. Una stagione in cui se è vero che si è aperto un dialogo, quello sulla legge elettorale, è anche vero che questo dialogo è stato
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tizioni tra sinistra massimalista e sinistra moderata. E, dopo il discorso di Napolitano, è stato ugualmente istintivo cogliere un ulteriore motivo di chiarezza nella convocazione di Prodi al Colle, alla luce delle dissociazioni pubbliche di senatori eletti nel 2006 nell’Unione. Probabilmente un invito al presidente del Consiglio a prendere atto della crisi e dell’impossibilità di ricomporla.
Ora le domande riguardano il futuro. La prima è sull’epilogo di questa storia. C’è una domanda piccola, anche se inquietante: riguarda l’uscita definitiva del Professore da Palazzo Chigi. Ce n’è una più grande. Per un anno e mezzo, tutti si sono chiesti cosa potesse essere il dopo-Prodi. Il dibattito, le scelte e quindi la paralisi sono state segnate da questo interrogativo. Oggi
il problema è ben diverso. È in primo luogo il problema di chiudere con il passato. Di avviare fin da subito un’opera di ricostruzione del Paese. Di porre chi esercita le responsabilità proprie della politica in condizione di farlo. Di fissare un calendario trasparente, capace di ridare immediatamente un segnale di fiducia al Paese. C’è bisogno di un itinerario chiaro. Non sarebbe chiaro, ad esempio, se a gestire il conto alla rovescia verso nuove elezioni dovesse essere di nuovo Prodi. E non sarebbe chiaro se fin d’ora non si prospettasse quel disegno di unità nazionale, che non è nostalgia del passato, ma che sta diventando sempre più un’urgenza di fronte all’emergenza in cui è immersa l’Italia. Questo disegno non è una chimera di minoranze “centriste”. È un problema sentito in modo diffuso, dopo il fallimento di un bipolarismo che ha quasi svuotato di significato anche la parola alternanza. Attardati a discutere di schemi elettorali, si è infatti smarrito il senso che, nella politica, hanno i programmi e le scelte. Per uscire dal pantano, serietà e chiarezza richiedono oggi un confronto non tattico, ma strategico e una visione in cui ci sia anche posto per l’incontro tra forze diverse, disposte ad operare insieme. La storia d’Italia è segnata positivamente da fecondi fasi di incontro. Prendere sul serio il messaggio di ieri del presidente Napolitano significa cambiare subito passo per aprire il dossier delle riforme, non solo istituzionali. Elezioni subito o no – l’atteggiamento e la disponibilità delle forze politiche sono decisivi – il problema è quello di chiudere non solo con Prodi ma con tutto il passato che egli rappresenta. E di aprire la stagione dell’innovazione.
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pasticci
24 gennaio 2008 • pagina 3 Con il discorso di Napolitano a Montecitorio è stato celebrato ieri il 60esimo anniversario della Costituzione
I l C o l l e a s s e d i a t o d a l l a c o n f u s i o n e : i l p r e m i e r f a i l g i a p p o n e s e , M a r i n i e D ’ A l e m a c e r c a n o d i f e r m a rl o
La guerra intorno al Quirinale di Errico Novi
La senatrice teodem lancia un appello per un governo di unità nazionale ROMA – Sono passate le 6 del pomeriggio e Franco Marini ancora non ne sa nulla. Incredibile a dirsi, giacché il presidente del Senato è uno dei principali protagonisti del thriller. Il suo è uno dei nomi più ricorrenti nei contatti tra i leader dell’Unione e il Capo dello Stato. È a lui che si pensa come alla più ragionevole alternativa per un governo istituzionale. Ma tutto è sospeso nell’irreale e rarefatta attesa che Romano Prodi ci ripensi, e rinunci a sfidare Palazzo Madama per il voto di fiducia. Non ci rinuncerà, e la sfida è chiaramente rivolta alla sua maggioranza, più che al centrodestra. Cronaca di una giornata difficilissima per la Repubblica. Iniziata ieri mattina con il discorso a Montecitorio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, passata per l’incontro tra lo stesso Napolitano e Romano Prodi, per il sì della Camera sulla fiducia al governo e proseguita in una estenuante partita di risiko, con il Colle più alto al centro del conflitto. Il Capo dello Stato invita il Professore a verificare se non sia il caso di rinunciare alla prova di Palazzo Madama, visto che nella mattinata Domenico Fisichella ha annunciato il suo voto contrario. Che va aggiunto ai tre dell’Udeur e a quello di Turigliatto. Ma Prodi lascia il Quirinale con la determinazione a non arrendersi. E costringe gli altri protagonisti a una partita virtuale, bloccata dall’incertezza sulle sue dimissioni. A cercare una strada, più di altri, è Massimo D’Alema. I contatti tra lui e Napolitano ci sono. Dal Quirinale mettono un punto fermo: un reincarico a Prodi è possibile, ma gli verrebbe conferito solo per portare subito il Paese a nuove elezioni. D’Alema, Rutelli e gli altri vertici del Pd hanno la soluzione alternativa: se c’è da assegnare l’incarico per un nuovo esecutivo sarebbe meglio Franco Marini, in modo da aprire una fase di riforme istituzionali. Che coinvolga il centrodestra, naturalmente, salvi la legislatura e assicuri il risultato che il Colle auspica dal 2006: una nuova legge elettorale. È un pressing rispettoso ma serrato. Al quale Napolitano oppone un ragionamento anch’esso insu-
perabile: la seconda carica dello Stato può essere coinvolta solo dopo le consultazioni. E solo se da queste risulterà una disponibilità dell’opposizione. Ecco perché anche la via d’uscita dalla crisi è pesantemente condizionata dalla scelta di Romano Prodi. Che dopo aver ottenuto il via libera dai deputati con 326 voti a favore e 275 contrari riunisce molti suoi ministri nella sala del governo a Montecitorio. Espone a tutti la novità venuta fuori dal voto nell’aula: la decisione dell’Udeur di limitarsi a non essere presente anziché pronunciare un definitivo no. Certo, il capogruppo del Campanile Mauro Fabris giura e rigiura che oggi Clemente Mastella voterà contro. E con lui gli altri due senatori del partito. Ma al premier basta il segnale dell’assenza dall’emiciclo di Montecitorio. «Questo gli dà la forza per andare avanti», assicura per esempio Rosy Bindi. È una roulette ad altissimo grado di rischio. Perché con l’eventuale caduta al Senato sarebbe assai più complicato, forse impossibile, ottenere il sostegno del centrodestra a un governo Marini. La rinuncia alla prova di Palazzo Madama è quello che nel centrosinistra molti si aspettano. Che il Quirinale sembrerebbe aver indirettamente suggerito al presidente del Consiglio. Ma lui conosce solo la tecnica dell’ostinazione, in momenti del genere. E scolpisce una volta del tutto la debolezza di una maggioranza così sbrindellata da non saper fermare il premier. Walter Veltroni non partecipa alla riunione di Montecitorio. Resta nel loft del Pd. Dal centrodestra invece arriva un altro colpo. Lo scaglia l’Udc, che con Lorenzo Cesa assicura: «Siamo aperti all’ipotesi di un governo per le riforme ma solo a condizione che vi siano coinvolti anche gli altri partiti del centrodestra, a cominciare da Forza Italia. Da soli no, non siamo la ruota di scorta di nessuno». Gianfranco Fini non riesce a credere alla temeraria sfida di Prodi. Umberto Bossi invece la intuisce e forse per questo da Milano spara alto: rivoluzione armata se il premier non si dimette. Ci pensi bene. Le cannonate, probabilmente, non bastano.
«Larghe intese, o perdiamo colloquio con Paola Binetti di Riccardo Paradisi Ma davvero l’unica soluzione alla crisi di governo sono le elezioni anticipate? Al di là delle dichiarazioni di guerra di queste ore sembra che a prendere sempre più corpo sia piuttosto l’ipotesi di un governo di transizione o di unità nazionale. La senatrice Paola Binetti, teo-dem del Partito Democratico, su questa prospettiva investe molte speranze. Dunque senatrice lei auspica un governo di unità nazionale. Ma Prodi sembra solo volere durare. Ma guardi è legittimo e giusto che il presidente del Consiglio cerchi di garantire continuità al suo esecutivo. Resta il fatto che ci si continua a muovere sul filo del rasoio, in una situazione di precarietà acutissima che richiede da parte di tutti, nella maggioranza, un enorme sforzo politico. Precarietà che questo esecutivo ha sempre avuto, il ricorso alla fiducia è stato continuo. Adesso questa precarietà è aggravata dall’uscita dal governo dell’Udeur. Prodi dunque non ha solo il problema di durare deve cercare un più ampio consenso in parlamento. Che cosa intende dire senatrice, che Prodi dovrebbe aprire alla coalizione di centrodestra? Intendo dire che la priorità per il Paese oggi non sono le elezioni, ma i problemi che riguardano cose fondamentali come le regole del gioco democratico e il benessere degli italiani, minacciato da una recessione in arrivo che rischia di mettere in difficoltà le famiglie e i ceti meno agiati. E quale potrebbe essere secondo lei il percorso politico concreto per poter costruire le basi di un esecutivo di unità nazionale?
Una base è il dialogo sulla legge elettorale che si è stabilito per esempio tra Veltroni e Berlusconi. D’altra parte, comunque vada a finire il voto al Senato, questo discorso sulle regole del gioco da ridefinire dovrà essere ripreso. Ma perchè l’opposizione dovrebbe garantire un appoggio esterno al governo nel suo momento di massima crisi? Perchè chiunque vada oggi al governo, con queste regole e questa composizione politica del Paese si troverà le stesse patate bollenti nelle mani. Settori del centrodestra interni anche a Forza Italia non sono ostili a questa ipotesi. È vero che il gruppo dei moderati cattolici trasversali ai due schieramenti sta lavorando a questa soluzione? Non c’è nessuna strategia preordinata: i cattolici impegnati in politica si vedono, si frequentano concordano che in questa fase lo stress da urne non serve, che le elezioni non sono la soluzione, che anzi sarebbero la soluzione peggiore. Però scusi Binetti, questa idea del governo dei migliori il centrodestra la propose alla maggioranza subito dopo il precarissimo esito delle elezioni del 2006. Prodi rifiutò. Allora c’era Mastella nella maggioranza, oggi non c’è più. Si ma era prevedibile che all’interno da quella maggioranza così variegata un coniglio da qualche cilindro sarebbe spuntato Prodi è un politico molto ottimista. Però quel discorso di due anni è di nuovo aperto.
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pasticci Prodi va al Senato contando solo sui loro voti
Schiaffo al Parlamento
Due gravi vulnus istituzionali di Gaetano Quagliariello omunque vada a finire, la sfida di Prodi ha evidenziato due vulnus istituzionali: uno di carattere storico, l’altro di cultura politica. Il fatto che Prodi abbia anche solo immaginato di farsi dare la fiducia del Senato sottolinea, ancor di più di quanto finora è stato, l’anacronistica posizione dei senatori a vita. Non sono in discussione i loro diritti e, quindi, la possibilità formale che possano essere determinanti per la fiducia di un governo. E’ assai dubbia, invece, la legittimità della loro funzione da un punto di vista storico-istituzionale.
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I senatori a vita di nomina presidenziale, infatti, sono stati immaginati quando il nostro assetto costituzionale era di tipo proporzionalistico e un’eventuale egemonia culturale che si fosse rispecchiata nelle nomine non avrebbe potuto modificare l’espressione della sovranità popolare. Oggi, invece, la Costituzionale materiale ha un assetto bipolare, mentre i senatori a vita sono rimasti di una sola parte. Per questo possono fare ciò che prima era per loro impossibile: modificare gli esiti di una elezione democratica. Se si considera il ruolo che essi hanno giocato nel corso di questa legislatura, si comprende perché la sfida di Prodi, dietro l’inchino formale al Parlamento e alla sua centralità, nasconde un’arroganza del potere che, invece, evidenzia incomprensione e disprezzo sostanziale per la democrazia rappresentativa. Il parlamentarismo, infatti, non si esaurisce nel solo rispetto della Costituzione e dei regolamenti. E’ anche costume, stile, misura. Proprio ciò gli concede un grado di elasticità, a patto che questa venga utilizzata cum iudicio dai suoi interpreti. Prodi quei margini di elasticità li aveva già tutti sfruttati. Il suo governo è stato in piedi grazie ai senatori a vita e agli eletti all’estero, nonostante al Senato la parte a lui avversa avesse conquistato alle elezioni 250mila voti in più. In questa situazione, visto che non sono tre Follini ad averlo abbandonato ma una forza politica che, seppur piccola, aveva firmato il programma di coalizione e le aveva dato oltre 300mila voti, chiunque abbia comprensione dell’essenza del parlamentarismo liberale, capirebbe che il segno è stato superato. Per amore del proprio Paese e della pacifica convivenza civile, sarebbe subito dovuto salire al Quirinale senza nemmeno annunziare una sfida impossibile.
I SENATORI A VITA SONO UN PARTITO? Cossiga: «Semplicemente aboliamoci!» Presidente Cossiga, converrà che il problema per i senatori a vita rimane. «Non c’è dubbio» Nel senso che le vicende delle ultime ore vi trasformano in ogni caso in una specie di nuovo partito. «Certo, sicuramente è così. Tanto è vero che qualche mese fa ho personalmente presentato una legge per abolire l’istituto dei senatori a vita. Un solo articolo, non ci vuol nulla ad approvarla». Soluzione drastica, problema cancellato per sempre. «Vorrei citarle quello che diceva Palmiro Togliatti durante i lavori della Costituente. Ecco, il leader del Pci ebbe parole durissime su questa figura costituzionale. La paragonò a quella di un semplice impiegato che aspira a diventare sovrano, mentre sovrani dovrebbero essere solo gli eletti». Scusi, presidente, ma allora perché ha annunciato il suo sì a Prodi?… «Be’, sa: il mio amico Romano ci teneva tanto a restare a Palazzo Chigi. E a sua volta anche Berlusconi preferiva così. Non si può negare una cortesia a un amico, non le pare?» Mi faccia capire: lei sta dicendo che il problema esiste, che è un paradosso costituzionale, ma che non lo possono risolvere i senatori a vita ogni volta che si presenta. Con questa Costituzione, insomma, il paradosso del partito dei non eletti è sempre dietro l’angolo. «E infatti ho presentato quella legge che le dicevo prima». In questa crisi c’è anche un altro risvolto. C’è il conflit-
Sarebbe una sfida al Capo dello Stato
Napolitano è stato chiaro: la maggioranza conti su se stessa di Altero Matteoli No, i senatori a vita non possono sostituirsi a un partito che esce dalla maggioranza. Chi scrive non ha mai partecipato, dentro e fuori dell’Aula di Palazzo Madama, alla polemica sui diritti dei senatori a vita. Che al pari dei loro doveri, sono identici sul piano costituzionale e, quindi, formale a quelli dei senatori eletti che rappresentano il popolo di cui sono espressione parlamentare. La polemica è nata perché i senatori a vita, a parte qualche singola eccezione, hanno in più occasioni sopperito alle defaillance dell’Unione, su provvedimenti anche di spessore – la legge finanziaria o ancora quella sull’ordinamento della giustizia – su cui è
to che si è aperto tra il centrosinistra e il mondo cattolico, a cominciare dalle gerarchie ecclesiastiche. È una situazione nuova, inedita per il Paese. E cominciano a vedersi conseguenze inimmaginabili fino a pochi giorni fa. Come la manifestazione annunciata dai giovani cattolici al Quirinale. «Attenti con le parole. Si tratta di manifestare come è successo liberamente domenica scorsa a piazza San Pietro. Non è che siamo di fronte a un corteo. E poi sa com’è, in Italia c’è uella famosa divisione, all’interno dei cattolici». Ce la ricordi lei. «Ci sono i cattolici adulti e i cattolici non semplicemente giovani ma addirittura infanti. Ognuno si iscrive alla schiera che preferisce». Con Romano Prodi in questo caso lei dimostra tutta la sua insuperabile ironia, se ci consente. «Ma no, ma che insuperabile». D’accordo, presidente, ma lei a quale delle due tipologie si considera iscritto? «Ah, guardi. Io sono un cattolico infante. Glielo posso as(E. N.) sicurare».
stata posta la fiducia. Nel caso che ci interessa oggi, la situazione è ben diversa, comparabile a quella del febbraio 2007 quando l’Assemblea di Palazzo Madama fu chiamata a votare la fiducia al Governo Prodi, rinviato alle Camere dal Capo dello Stato dopo le dimissioni scaturite da un voto negativo sulla politica estera. L’analogia non è però completa. C’è una questione politica che riguarda solo i senatori eletti, il cui voto - come ebbe a sostenere il presidente Napolitano - forma o meno la maggioranza politica che è qualcosa di diverso rispetto a quella formale e costituzionale. È avvenuto che un partito, i PopolariUdeur, ha deciso di uscire dalla maggioranza che sosteneva il Governo Prodi. Si tratta di una forza politica che ha partecipato alla stesura del programma dell’Unione, che ha partecipato alla campagna elettorale nel 2006 col proprio simbolo nella coalizione di centrosinistra. Ora quel vincolo si è rotto per libera determinazione di un partito presente nell’esecutivo con un ministro di alto rango qual è quello della Giustizia. Non mi soffermo sui
precedenti che pure nella prassi costituzionale un valore hanno avuto, mi riferisco alle cadute dei Governi (sia nella Prima che nella Seconda Repubblica) dovute all’uscita dalla maggioranza di una forza politica, anche non determinante sul piano dei numeri parlamentari. Nella fattispecie, si è andati oltre. Prodi non solo non si è dimesso ma spera di rimanere in carica con l’appoggio decisivo, anche politico, dei senatori a vita. Ciò non è possibile per la semplice ragione che i senatori a vita non rappresentano i cittadini, non hanno ricevuto un mandato popolare e quindi politicamente rilevante. Sono solo nominati per alti meriti sociali, scientifici, artistici e letterari. Il dettato costituzionale non elenca tra i meriti per cui si può ricevere il laticlavio, quelli politici. Bene ha fatto il Presidente Napolitano, a febbraio scorso,a sostenere che in caso di fiducia il Governo deve poter contare sulla maggioranza politica, la metà più uno dei senatori eletti. Siamo certi che anche in questa analoga circostanza tale suo monito, sarà osservato, pena il rischio di uno scontro con la più alta Istituzione della Repubblica, dagli esiti inimmaginabili.
proposte
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La vera scommessa sulla quale misurare il coraggio di Veltroni
Lavorare insieme all’Assemblea di Rocco Buttiglione a Costituzione ha sessanta anni. Non tanti, se la paragoniamo a quella degli Stati Uniti, che di anni ne ha più di duecento, ma neanche tanto pochi. Per di più quella americana è una Costituzione breve, quasi una dichiarazione di principio. È più facile da adattare alle nuove circostanze ed alla sfide dei tempi. La Costituzione italiana è più pesante, entra su di un sacco di temi dai quali quella americana si tiene lontana. Come è ovvio ha bisogno di più manutenzione, e di fatto è un sacco di tempo che ci si prova a metterci mano. Fino ad ora con scarso successo. Dissipiamo subito ogni possibile equivoco. Noi amiamo la nostra Costituzione. La amiamo perché è una buona Costituzione, ma la ameremmo anche se fosse meno buona. Le Costituzioni, come gli inni nazionali, si amano a “prescindere”. È un pezzo della nostra storia. È il documento che ha regolato la nostra vita per sessanta anni e ci ha
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accompagnati fuori dal sottosviluppo dentro la modernità. È negli anni segnati da questa Costituzione che per la prima volta nella storia (quasi) tutti gli italiani hanno avuto abbastanza da mangiare e la possibilità di abitare in modo decente. Ancora di più: con questa Costituzione abbiamo evitato la guerra civile e ricomposto una “concordia discorde”degli italiani che invece di dilaniarsi fra loro hanno impegnato le loro energie nel compito di ricostruire il paese dopo le rovine della II Guerra Mondiale.
Un grande popolo non cresce ripudian-
do la propria storia passata ma confrontandosi con essa e costruendo su di essa. Anzi, noi crediamo che bisogni rivalutare nella nostra società la tradizione, la consegna dei valori e della memoria storica da una generazione all’altra. La tradizione, però, è un processo vivente: ogni generazione ha il diritto ed il dovere di sottoporre ad una revisione critica i valori e la memoria storica che le vengono consegnati. Solo in questo modo la tradizione rimane una tradizione Favorevoli e contrari dopo l’apertura riformista di Napolitano vivente. Profondo è il nostro rispetto per la Costituzione ma quando è anche la libertà che sentiamo di rileggerla nel contesto dei tempi nuovi del mondo di oggi e davanti alle sfide Celebrando alla Camera i sessanta anni ricorda il moderato Gerardo Bianco, che esso ci propone. della Costituzione, il presidente della Re- «però fino ad ora non c’è stato il clima Sessanta anni fa il mondo e l’Italia pubblica Giorgio Napolitano si si è schier- adatto: non c’è dubbio, tuttavia, che la rilerano divisi in due: da un lato le ato con decisione per i riformisti. Ha posto evanza degli interventi da introdurre neldemocrazie occidentali, dall’altro il cioè al centro delle sue diciannove cartelle la Carta porti alla necessità di una Coscomunismo. Il comunismo era nel di riflessione non solo l’allarme per «il mo- tituente. E, anzi, sarebbe opportuno che mondo la grande minaccia per la mento di acuta crisi e incertezza politica», ciò entrasse nel programma di chi si conlibertà ma in Italia i comunisti avema soprattutto l’importanza di avviare le tenderà la guida del Paese, nel malauguvano partecipato alla lotta di liberriforme istituzionali necessarie al Paese. rato caso di elezioni immediate». Già, proazione. La Costituzione inevitabilRiforme che devono seguire un percorso prio l’ipotesi di una imminente corsa al mente doveva coinvolgere i comudiverso «rispetto a quello parallelo e dis- voto fa dire a molti che «oggi non ci sono nisti nella nuova Italia democratica tinto della riforma elettorale» e che vanno le condizioni» (il ministro dell’Istruzione pagando anche i prezzi ragionevolaffrontate con spirito ”costituente”. «Ogni Beppe Fioroni), che alla gallina di domani mente necessari per questo fine. discorso sulla Costituzione deve pre- è preferibile «l’uovo oggi», ossia la riforCosì hanno fatto i Padri Costituenscindere da calcoli contingenti», ha detto ma elettorale (il veltroniano Ermete Reti, e bene hanno fatto. infatti il capo dello Stato, sottolineando alacci) e che è comunque il caso che alle L’Unione Europea, le cui regole fonche serve un «concorso di volontà» che sia necessarie modifiche pensi «direttamente damentali di funzionamento sono il Parlamento», come precisa Silvio «più forte» delle «divisioni». di fatto costituzionalizzate (come Berlusconi. Ma in prospettiva la proposta Parole, queste, che vanno a convergere di una Costituente trova fan in entrambi i ha ben ricordato il Presidente Napolitano nel suo discorso comcon l’idea, sostenuta ieri anche da questo poli. «Dopo le elezioni si deve certamente memorativo di ieri), ha già imposto giornale, che per aprire una nuova fase si dar vita a un organismo del genere», spieun riconoscimento dei valori della debba prendere atto che occorre convo- ga il segretario centrista Lorenzo Cesa, impresa e della concorrenza più care una vera e propria Assemblea Cos- «composto anche da personalità di rilievo ampio di quello contenuto nella tituente. Ne è convinto il presidente della nel Paese, che metta mano alla Carta cosCostituzione. Commissione Giustizia della Camera, tituzionale». Ancora più convinto pare il Sessanta anni fa tutti i democratici Pino Pisicchio: «Napolitano ha messo al veltronian-dalemiano Peppino Caldarola: temevano che una eventuale vittosituazione attuale, centro il tema della riforma, ha posto il «Analizzando la ria elettorale fosse usata dai comugrande tema dei ”check and balance” e ha Napolitano ha tratteggiato una scena nelnisti per imporre una dittatura tofatto un richiamo al necessario patto costi- la quale si proceda per parti separate, a talitaria, come nei paesi dell’Est. I tuzionale. Mi domando se non sia il caso, foglie di carciofo per così dire. Ma in comunisti invece temevano che una raccogliendo l’invito, di pensare ad una as- prospettiva avrebbe assolutamente senso vittoria democristiana fosse usata semblea costituente eletta dal popolo», andare verso una Costituente. Tre anni in per instaurare una dittatura cleridice. «Sul punto noi presentammo una cui l’Italia raggiunga finalmente la sua co/fascista, come in Spagna. Tutti proposta di legge nella scorsa legislatura», fase adulta». convergevano nel volere un gover-
Una idea giusta, perché no?
no strettamente controllato dal Parlamento e dalla Magistratura indipendente e limitato dalle autonomie locali. Oggi il mondo è cambiato. Il comunismo è finito. E’ finita una grande minaccia per la libertà ma anche una grande speranza di giustizia sociale. Certo, non finisce l’esigenza di coniugare fra loro libertà e giustizia sociale ma la giustizia sociale va ripensata nel contesto del mondo globalizzato di oggi in cui il comunismo è stato definitivamente sconfitto.
L a C o s t i t u z i o n e va adeguata più ampiamente al contesto europeo. Non è possibile che la Costituzione si occupi solo della liceità della proprietà privata e non dei valori dell’impresa intrecciati inscindibilmente con quelli del lavoro oltre che della concorrenza (spesso tuttora sentita da una parte della pubblica opinione come un disvalore). La esigenza fondamentale che oggi emerge dal paese è quella di un governo che decide e decide rapidamente affrontando e risolvendo i problemi. La Costituzione, negli anni ’70 e ’80, è stata letta in modo estremista, quasi del senso di una democrazia diretta o democrazia dei Consigli con una proliferazione di poteri di veto che tendono ad immobilizzare il potere esecutivo. La Costituzione ha bisogno di essere aggiornata e ringiovanita. Adesso è tempo. Si tratta di una grande operazione politico/culturale che difficilmente può essere costruita secondo le procedure ordinarie previste dall’art. 18. La procedura dell’art. 18 è stata pensata per modifiche puntuali, non per una revisione generale. Per affrontare invece il compito di un grande confronto culturale e politico per far riscoprire alla comunità nazionale i valori fondanti della Costituzione e per aggiornarla contemporaneamente davanti alle sfide dei tempi nuovi serve uno strumento diverso, una Assemblea Costituente per la Grande Riforma. Il tempo è maturo. Fino ad ora il grande ostacolo è stata la cultura azionista e dossettiana di cui Prodi è stato la massima espressione. Per gli azionisti e per i dossettiani la Costituzione repubblicana era un punto di arrivo della storia mondiale, una sintesi di cattolicesimo, comunismo e democrazia liberale insuperabile o almeno insuperata. Proprio per questo l’Italia non poteva e non doveva omologarsi alle altre democrazie occidentali (più) avanzate. Questa cultura, con il governo Prodi, è definitivamente fallita. Cade non tanto per la nostra opposizione quanto per la sua costitutiva insufficienza culturale e politica. Con Veltroni affiora (sembra affiorare) anche a sinistra un’altra cultura, con la quale un dialogo per modernizzare il paese e rafforzarne l’identità è (forse) possibile.
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pensieri
Italia è senz’altro ad un bivio, dovrà scegliere tra il declino e la ripresa, tra l’identità morale e il nichilismo culturale, tra coesione e disfacimento della comunità. Ferdinando Adornato, da queste colonne, ha posto tre punti nell’agenda della politica italiana: un Patto nazionale contro il declino, un’Assemblea costituente per la Terza repubblica e la costruzione di un nuovo centrodestra. Alla base di questa analisi c’è fondamentalmente la consapevolezza che il Paese non ha saputo interpretare i cambiamenti dell’ultimo decennio e non ha riformulato gli strumenti per costruire un nuovo potere, fatto per incidere sulla realtà a favore dei cittadini. Abbiamo subito molti passaggi di carattere economico che, anche a causa della rigidità della struttura comunitaria, ci hanno visto subire la concorrenza asiatica, ma non solo. In campo etico e culturale non abbiamo colto il ritorno all’uomo multidimensionale, fede e ragione - per chi crede - oppure ragione e trascendenza per le posizioni agnostiche, assistiamo invece ai rigurgiti del vecchio ateismo anticlericale, che leggeva la modernità come rifiuto della religione. Un pensiero d’avanguardia – non condivisibile - sì, ma nel XIX secolo. In Italia ci siamo arrivati con un secolo e mezzo di ritardo e con lo zelo dei parvenue. La lettera dei 67 contro Benedetto XVI mi è parsa proprio come il tentativo di un’idea che non ha più figli - in realtà un cadavere ideologico - di occupare uno spazio che non c’è più, quello del dispotismo intellettuale
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L’INTERVENTO La costruzione di un nuovo centrodestra
Dobbiamo temere soltanto le nostre paure di Angelo Sanza
figlio, prima del fascismo e poi del comunismo. Si teme un Papa che ragiona. Che il passaggio sia epocale lo dimostra anche la battaglia elettorale in America, dove la parola «nichilismo» viene citata indifferentemente dai
leader democratici e repubblicani. Il nichilismo è figlio del passato, della negazione del sistema di valori cristiani e del presente, della non accettazione della vittoria delle democrazie liberali. Occorre poi fare autocritica, che serva ripensare alle regole della globalizzazione, lo riferisce un bushiano come Rudolph Giuliani, quando ammette che qualcosa nell’accordo Nafta non ha funzionato, troppi disoccupati in giro. Serve dunque «una cosa seria» per affrontare un’architettura che vede politica ed economia su piani differenti e sfalsati e occorre una classe dirigente ancora più seria. Ma come fare? Liberal, con la nuova iniziativa editoriale e con le proposte che farà con il movimento politico, ha intenzione di tracciare una strada. La via maestra dell’Assemblea Costituente per una terza Repubblica, proposta da Adornato è l’unica soluzione per uscire dal pantano. E’ lo strumento per riannodare il rapporto col paese e con i cittadini. Andiamo verso elezioni anticipate con la vecchia legge. Non è un quadro rassicurante. Ci sono gli uomini per vincere, ma forse non per governare. Allora per superare l’indecisionismo e fermare il degrado del Paese dobbiamo avere coraggio. Capire che non è più il tempo della moderazione sui principi, che serve difendere la tradizione agostiniana che ha regalato all’Occidente la grande chanche per vincere la sfida con la modernità, il connubio armonico tra fede e ragione. Non dobbiamo temere di avere ragione per poter governare, dobbiamo temere solo le nostre paure.
SE PRODI CREDE DI ESSERE WILL SMITH di Roberto Genovesi ono andato a vedere il film “Io sono Leggenda”, ma fin dalle prime battute mi sono accorto che c’era qualcosa che non andava. Intanto lo scenario postapocalittico di contorno non mostrava grattacieli in rovina, McDonald’s in fiamme o Dodge cappottate con gli pneumatici squartati. Ma, soprattutto, il protagonista non era il grande Will Smith. Per un attimo mi sono fermato a riprendere fiato, mi sono guardato attorno con circospezione ma nessuno in sala mostrava di essere assalito dalle mie stesse perplessità. Allora mi sono calmato e ho ripreso a guardare il film. Ed è proprio grazie alla maggiore lucidità della mia nuova attenzione verso la pellicola che ho riconosciuto i riferimenti architettonici della scenografia: la sede dell’Università di Roma, Palazzo Chigi, le strade di Napoli. E lo stesso protagonista mi ricordava qualcuno che avevo già visto da qualche parte ma non riuscivo a capire dove. Sapete quando l’inconscio automaticamente rimuove un episodio cruento della vita, magari dell’infanzia, oppure una persona che vi ha fatto del male o vi ha traumatizzato senza che voi ne siate consapevoli? Ecco, mi stava succedendo la stessa cosa di fronte alla faccia di quel tizio. Comunque la storia andava avanti seguendo i canoni classici dei film di fantascienza di taglio postapocalittico. Il protagonista era rimasto solo, ultimo uomo sulla Terra, a causa di una serie di accadimenti devastanti verificatisi a catena. Le stade di una delle più belle città del pianeta erano state invase dall’immondizia che ben presto aveva favorito la diffusione di gas venefici mortali che avevano fatto strage della popolazione. E questo a causa di un virus che aveva colpito la classe dirigente locale trasformando
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tutti, dal presidente della regione al sindaco della città, in vampiri succhiasangue ormai disinteressati ai bisogni della gente normale. Il virus si era poi diffuso a livello nazionale e aveva colpito anche i rappresentanti del Governo che così avevano cominciato ad alzare le tasse dando vita ad una nuova variante di vampiri, non più solo succhiasangue ma anche succhiasoldi. Alla fine il debito pubblico aveva sfondato ogni record e in uno scenario ormai totalmente contaminato da zombie, all’ultimo uomo sano di corpo e di mente, era stato impedito di parlare nella sede dell’Università che, ormai contaminata, distribuiva lauree a cantanti e motociclisti. Ma si sa. I vampiri hanno paura dell’acqua santa e delle croci e per il povero Benedetto la battaglia si era rivelata improba. Così, alla fine, in un mondo completamente devastato, era rimasto solo lui, il protagonista. Un tizio dalla faccia quadrata e gli occhietti perennemente semichiusi, che parlava sempre come se in bocca gli fosse rimasto l’ultimo filo di voce. E sorrideva, sorrideva sempre, di fronte a qualunque cosa, a qualunque disastro. E rassicurava, rassicurava sempre. I cani randagi che si aggiravano tra l’immondizia imperante, gli zombie che lo seguivano, i topi che ballavano agli angoli delle strade. Lui, causa del disastro, portatore primigenio del germe contaminatore e dunque immune e ultimo rimasto di una stirpe gloriosa spazzata via in poche settimane, rideva guardando uno degli ultimi manifesti strappati, memento della campagna elettorale che lo aveva portato a Palazzo Chigi. Eppure dovevo averlo già visto da qualche parte… ma nonostante sfilassero già i titoli di coda, non riuscivo a ricordare dove.
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parole
ggi è il 24 gennaio 2008. Sono passati 4295 giorni dal 21 aprile del 1996, quando i Verdi italiani vinsero le elezioni politiche partecipando nell’alleanza di centrosinistra dell’Ulivo. I Verdi italiani entrarono, quel giorno, primi nella storia d’Europa, nel governo di uno dei grandi paesi del continente. Ho il ricordo preciso e forte di quel giorno, perché ero il leader dei Verdi italiani. Oggi la lunga alleanza tra la sinistra e la cultura e l’azione degli ecologisti italiani è fallita. Rovinosamente. Sul quadrante costituzionale della conservazione della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione; su quello delle città storiche; su quello del territorio; su quello dell’inquinamento dell’aria e delle acque e, infine, sui dossier vitali dell’energia e dei rifiuti. Con i Verdi al governo i nostri maggiori problemi ambientali non solo risultano irrisolti, ma si sono aggravati.
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Nell’alleanza con la sinistra il pensiero ecologista si è rapidamente trasformato in enunciazione dogmatica, abbandonando il metodo problematico degli albori, ricco di ipotesi e di verifiche. Dalla fine degli anni Settanta si è via via mutato in certezze apodittiche e pregiudizi manichei. Ne sono conferma due crisi in corso: l’agonia della regione Campania per i rifiuti bloccati, e la sterile predicazione ansiogena-ribellistica sulle questioni climatiche ed energetiche. Tutta intrisa, quest’ultima, dalle torbide attese di illimitati finanziamenti, il più delle volte calata con calcolo sull’opinione pubblica evocando scenari cancerogeni per le terrorizzate popolazioni, abusando cinicamente della credulità dei più. Così come si è potuta ritrovare la stessa intenzione nella Conferenza climatica internazionale, convocata in settembre a Roma dal governo italiano, aperta dal ministro dell’ambiente con informazioni scientifiche false sull’aumento di temperature medie in Italia. Falsità immediatamente smentite dalla comunità scientifica. A partire dal 2007 si è rotto l’incanto: quando in Toscana prima, poi in Umbria, poi a Mantova, poi nell’Agro romano, poi a Roma, poi in Campania, poi in Puglia, è partito l’assalto al territorio di massimo pregio, nei luoghi più integri fino a tempi recentissimi. Molti hanno scoperto l’anno scorso che il potere regionale, provinciale e comunale del centrosinistra si trovava sempre dall’altra parte, con le imprese, con il business immobiliare, contro la tutela e la conservazione del paesaggio e delle città storiche. Da Fiesole al Pincio, da Perugia a Spoleto fino a Ravello, nella divina costiera. Così nel 2007 sono nati in pochi mesi centinaia di comitati spontanei di cittadini, per lo più elettori di centrosinistra, ferocemente contrapposti ai poteri locali di centrosinistra percepiti come prova del tradimento esercitato dai propri eletti,“Templari del solo Pil”. Altro che “modello Roma”. Contraccolpi, abbandoni, in questi ultimi due mesi, tra i Verdi in Toscana e in Piemonte, per esempio, nel desiderio primario di sottrarsi alla contiguità con i Centri sociali e i partiti neocomunisti. Tentazioni, in Piemonte, Toscana e altrove, di rifondare i Verdi veri. Sgomen-
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Vi spiego perché LA SINISTRA HA UCCISO l’ambientalismo. Così adesso in Italia siamo di nuovo all’anno zero di Carlo Ripa di Meana
Dopo averlo disarmato, invecchiato, imbolsito con la ripetizione acritica e gli arcaismi, i Verdi hanno rovinato l’ecologismo to tra le associazioni, in particolare le più sensibili alle aree protette e al paesaggio, Italia Nostra, Wwf, Fai, Civita, Comitato per la Bellezza e Associazione Bianchi Bandinelli. Sono uscite dieci giorni fa con un pubblico appello al presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, su una intera pagina di La Repubblica: «Sdegnati dall’inarrestabile e avido assalto al territorio del quale siamo impotenti spettatori in ogni regione d’Italia». Contando, loro, insieme a Salvatore Settis, su «un suo segnale forte, caro presidente».
Santa ingenuità. E se il mondo ambientalista meno partitizzato, genericamente e pigramente di sinistra, comincia a interrogarsi se sia il caso di continuare a riservare in esclusiva la propria interlocuzione ai soli legislatori di centrosinistra, affidando loro le
proprie antiche speranze, Legambiente, con il suo stile spregiudicato, ha pensato di preparare una posizione più flessibile: ha saltato a piè pari il fosso della autonomia formale dai partiti ed è entrata, in diretta, con gli ultimi suoi due “presidenti nazionali”nella Casamatta del ristrettissimo Esecutivo del Partito democratico. Decisi a realizzare lì, all’interno del partito maggiore del centrosinistra, un approccio duttile, sostituendo di fatto i Verdi in materia, per esempio, di revisione energetica, forse spingendosi fino al nucleare. Abbandonando in questo modo le pratiche patetiche dei tavoli dell’Associazionismo, che loro sanno essere ormai inascoltato.
La sinistra in Italia ha ucciso l’ambientalismo, dopo averlo disarmato, invecchiato, imbolsito con la ripetizione acritica e gli arcaismi. Almeno in due regioni dove la sinistra governa ormai da lungo tempo senza saggezza, si è arrivati con i rifiuti all’antivigilia della rovina che inghiotte Napoli e la Campania. Intendo il Lazio con Roma e in Umbria Terni e Perugia. Si è dunque all’anno zero. Mai la questione ambientale è stata così presente e insieme così negletta. Mai prima la Repubblica si è trovata senza tutela,
senza conservazione, con le Sovrintendenze disperse, mortificate, degradate. Mai prima l’Italia è stata così sfigurata, neppure nella concitazione dell’immediato dopoguerra.
Finisce dunque, nel disonore, l’Alleanza innaturale. La sinistra comunista al potere ha provocato il maggior collasso ambientale della storia europea, a cominciare per lunghi decenni con le piogge acide che hanno scortecciato le foreste della Mitteleuropa. I comunisti al potere in Cina, Corea, Vietnam, Cuba, hanno prodotto la maggiore sofferenza ambientale di questi nostri anni contemporanei. Che fare in Italia? Prima di tutto uscire dalla rassegnazione e dare forza e idee nei luoghi nuovi della elaborazione, lì dove da qualche tempo si studia, si ricerca, ci si confronta, a cominciare dalle fondazioni Liberal e Farefuturo. Poi collegare tutte le persone che scrivono e studiano, e che da sole hanno cominciato a controinformare, smascherando le parole malate, le informazioni fraudolente. Infine, non lasciando isolata la recente mobilitazione del cattolici sul tema, come loro lo definiscono, della difesa del Creato. Gli ecologisti liberi da una parte. I professionisti dei raggiri dall’altra.
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EDUCAZIONE E FORMAZIONE
Socrate
PIÙ FAMIGLIA MENO STATO di Riccardo Paradisi n settore strategico, un comparto chiave del sistema Italia, l’embrione di ogni futuro sviluppo del Paese. A parole scuola e formazione in Italia sono indicate come priorità politiche da tutte le parti sociali, ambiti su cui investire energie particolari per far fronte alle sfide della globalizzazione e della società della conoscenza. Peccato siano solo parole. Cui non segue mai il momento della
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decisione politica. E così le riforme della scuola in Italia assomigliano a sentieri interrotti, incompiute politiche sospese nell’aria delle buone intenzioni. Luigi Berlinguer che aveva immaginato alla fine degli anni Novanta una riforma (discutibile ma reale) della scuola italiana ha visto mobilitarsi contro di lui per settimane i sindacati di categoria agguerriti a tenere ben stretto il nodo decisivo di quella riforma (e di
ogni possibile riforma sulla scuola): la valutazione del corpo docente. Del resto a toccare quel nodo in Italia si rischia di farsi politicamente molto male: troppo forte è la pressione corporativa e sindacale, troppo timida o debolmente coperta l’iniziativa di chi vuole scioglierlo. Letizia Moratti, cui dopo Berlinguer si deve riconoscere il secondo reale tentativo di mettere mano all’istruzione, rendendola più funzionale e moderna e dando senso al principio dell’autonomia, ha conosciuto i rigori dei sindacati della scuola nella legislatura 2001-2006. Anche per lei barricate sulla valutazione, su un’idea di formazione più libera e aperta al mercato e alla società, accuse di classi-
smo per il riordino del canale professionale, di privatizzazione dell’istruzione pubblica, guerra preventiva a ogni idea di buono scuola. Fronte quest’ultimo su cui il ministro Moratti, che pure aveva trovato alleati in ampi settori della società italiana, compreso parte del sindacato, non se la sentì di aprire un conflitto ideologico per cui invece i tempi erano più che maturi. Oltre un certo livello del resto – riassetti di cicli, prolungamento dell’obbligo scolastico, minime apertura della scuola alla società – in Italia sembra impossibile spingersi quando si tenta di metter mano al comparto dell’istruzione. Concetti come competizione tra istituti sulla qualità formativa, valuta-
zione delle scuole e dei docenti, libertà di scelta da parte delle famiglie, creazione di uno stato giuridico degli insegnanti e un loro specifico percorso di carriera sono in Italia autentici tabù, idee a cui si impedisce di l’agibilità politica. fatto Figurarsi il buono scuola o l’abolizione del valore legale del titolo di studio (questo poi…). Il massimo che si è riusciti a fare è stata l’introduzione del principio di leadership responsabile con la creazione della dirigenza dei capi d’istituto. Estendere lo stesso principio ai docenti sembra impossibile, malgrado associazioni per la formazione del personale della scuola come l’Apef insistano
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Una riforma bloccata. Un impegno da riprendere
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Socrate segue da pagina 9 da anni su questo punto considerandolo decisivo insieme a quello della realizzazione per legge di un’area di contrattazione specifica per gli insegnanti. Ad aver capito che la prudenza a Viale Trastevere paga è l’attuale ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni che dopo mesi di generici appelli per il ritorno all’ordine e specifici provvedimenti sugli esami di riparazione è arrivato a dire che più di una riforma alla scuola italiana serve il buon senso. Saranno le vecchie zie di Longanesi a salvare dunque la scuola italiana? Nell’ultimo anno si è agito comunque per sottrazione, lavorando di cacciavite per smontare quello che bene o male si era fatto con la riforma Moratti, compreso l’articolo 5 della legge 53 che prevedeva un percorso universitario per gli insegnanti a numero chiuso col tirocinio e l’iscrizione a un albo regionale professionale. Tutto resta come prima nella selezione del corpo docente, anzi peggio di prima, nell’aleatorietà delle scuole di specializzazione post-universitarie, nei doppi canali di arruolamento, nel caos delle graduatorie di merito e permanenti. Programma minimo appunto, gestione dell’esistente. Ma se navigare in rada conviene ai ministri della Pubblica Istruzione questo atteggiamento sulla scuola italiana produce effetti disastrosi. Perchè l’esistente senza spinte evolutive peggiora per entropia. E basta dare un’occhiata ai dati Ocse per farsene un’idea, per capire che i ritardi della formazione italiana sono sistemici e strutturali. Siamo in fondo alla classifica dei diplomati (appena 48 su 100) con una media Ocse che si attesta sui 67 ogni 100 abitanti di età compresa fra i 25 e i 64 anni. L’Italia è anche al penultimo posto per numero di laureati: appena 11 su cento persone di età compresa fra 25 e 64 anni. Dopo di noi c’è solo la Turchia, prima di noi anche Cile e Messico mentre ci sopravanzano paurosamente paesi asiatici come il Giappone e occidentali come Stati Uniti e Australia. Il divario poi fra l’Italia e la media dei paesi dell’Unione europea si amplia per numero di laureati nelle facoltà scientifiche: 1.227 ogni 100 mila giovani fra i 25 e i 34 anni contro i 2.128 della media Ocse. Eppure l’Italia per la scuola spende moltissimo: la spesa per studente è la più alta d’Europa mentre il rapporto studentidocenti è tra i più bassi d’Europa. Non solo: anche il numero di ore di insegnamento annuo per docente è nettamen-
Istruzione: i dati della catastrofe italiana. Ultimi e penultimi in Europa per numero di diplomati e laureati. Ma spendiamo più di tutti
Il ministro Fioroni e la sua ricerca di un metodo di finanziamento della scuola non statale diverso dal buono scuola Primo giorno di scuola: la madre accompagna i due figli alle lezioni. Alle famiglie deve essere dato il diritto di scegliere il tipo di istruzione che preferiscono
te inferiore alla media europea. Negativo anche il dato dell’età media del corpo docente: l’8,8% degli insegnanti della scuola secondaria ha un’età sotto i quarant’anni, e solo 1 su mille ha meno di 30 anni. Infine il dato che da solo contiene la spiegazione della caduta di prestigio sociale della professione docente: lo stipendio di un insegnante italiano è più basso di circa il 20 per cento rispetto alla media europea a fronte di una spesa per il personale della scuola che è il più alto del pubblico impiego: circa 40 milioni di euro. Dati come questi avrebbero dovuto suscitare nel Paese una profonda, impietosa e decisiva riflessione sul disastro formativo, sui ritardi dell’istruzione pubblica, sulla crisi dell’intelligenza in Italia. Invece l’allarme Ocse sulla scuola italiana è durato nei media lo spazio di un mattino. In Germania quando nel 2003 i dati Ocse presentarono un quadro critico sul sistema dell’istruzione nazionale all’allarme immediato seguì una copertura mediatica intensa e massiccia, un’analisi seria della situazione da parte delle classi dirigenti del Paese. Col risultato che in questi anni la Germania ha recuperato moltissimo in qualità della formazione mentre in Italia le cose peggiorano nell’indifferenza generale con tranquilla e indisturbata progressione. Manca la volontà e il coraggio politico di fare sul serio con la scuola, di aprire una stagione di riforme strutturali del sistema dell’istruzione, di riattivare una dinamica sociale bloccata garantendo anche ai ceti meno agiati una formazione d’eccellenza. Erano questioni che Liberal agitava nei suoi convegni e nei suoi documenti già all’inizio degli anni Duemila.
Promemoria Come venne costruito lo schieramento a favore della scuola libera
Le tappe di una battaglia Nel 2000 la rivista Liberal promuove il documento “Scuola libera” con cui avanza la proposta di una nuova riforma della scuola italiana. Si ha in mente un’istruzione che non sia più monopolio dello Stato, dove viga la pari dignità tra i diversi istituti e quindi l’assoluta irrilevanza del fattore economico nella scelta da parte dei cittadini. L’obiettivo finale indicato è l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Quello intermedio l’introduzione del buono scuola. Sottoscrivono il documento, tra gli altri, Dario Antiseri, Innocenzo Cipolletta, Letizia Moratti, Angelo Panebianco, Sergio Romano, Cesare Romiti. Tra le associazioni la Compagnia delle Opere, la Federazione Scuole R.Steiner, la Fondazione delle Associazioni Familiari. Nel 2002 la fondazione Liberal organizza a Milano il meeting internazionale dedicato all’educazione e all’istruzione nel XXI secolo. Partecipano tra gli altri Monsignor Camillo Ruini, Francesco Alberoni Susanna Agnelli, Letizia Moratti. Dal convegno vengono ribaditi gli indirizzi per una scuola libera. Intanto la riforma Moratti modifica i cicli, apre maggiormente la scuola alla società rendendo concreto il concetto di autonomia. Ma non riesce a introdurre a livello nazionale il buono scuola, né la riforma dello stato giuridico degli insegnanti.
Un secolo e mezzo di storia della scuola non statale, sempre mal sopportata
Come sbagliarono i padri della patria
Sopra Francesco De Sanctis In alto un’immagine della Costituente
di Nicola D’Amico* a scuola libera si chiama libera perché nasce dalla libertà del cittadino (estensibile in certi casi allo straniero) di aprire scuole. Libertà sancita in Italia dalla Costituzione che, se vogliamo mettere i puntini sulle i, assegna allo Stato il dovere di istituire scuole (art. 33 §1), mentre al privato riconosce il diritto di aprire scuole (art. 33 § 2, e connesso 34) , che è qualcosa di più. Ma la scuola libera in Italia è stata sempre sostanzialmente “sopportata” più che supportata. Quando non fu persecuzione, fu quasi sempre fu (è ancora) indifferenza. In base alla legge di Gabrio Casati (1859), trasferita poi al Regno d’Italia, accanto all’insegnamento pubblico “può” (come dire: se vuole, sono fatti suoi…) coesistere l’insegnamento privato (artt. 3,5,3553, 356), ma sotto la “sopravveglianza” del Ministro della Pubblica Istruzione e “dei suoi ufficiali”. Si sancisce così, con la Legge Casati, la diffidenza per l’insegnamento non statale, senza considerare che l’ Italia unita – non è stato mai un mistero per nessuno - non fu creata da impetuosi movimenti di massa, ma soprattutto, anche se non esclusivamente - dagli aneliti di libertà e di indipendenza di uomini formatisi nelle scuole private (Cavour, Mamiani, Manzoni, Settembrini, De Sanctis...). La “questione della libertà dell’insegnamento”, checché se ne dica, si è sempre convenzionalmente identificata nella “questione della scuola
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la curiosità DUE “GRANDI” CONTRO L’ISTRUZIONE DI STATO L’istruzione di Stato ha avuto storicamente parecchi grandi critici che non rinunciarono a lanciare invettive e provocazioni sull’argomento. Eccone un esempio. “I principi dell’istruzione pubblica non coincidono che incidentalmente con quelli del buon senso. Mi limiterò a questo, rinunciando per questa volta a dimostrare, cosa che sarebbe facile, come essi costituiscano una sistematica inversione di tutte le leggi divine e umane. D’altra parte è semplice vedere che tutti questi principi discendono necessariamente dal fatto che la scuola è pubblica, obbligatoria e sottomessa al controllo dello Stato”. DENIS DE ROUGEMONT I misfatti dell’istruzione pubblica La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto che si è ingozzato in queu forzati banchetti. E ricominciare daccapo. GIOVANNI PAPINI, Chiudiamo le scuole
libera” e quasi completamente, era implicito, con la “questione della scuola confessionale”. Il primo ministro della P.I. del Regno d’Italia fu un padre del Risorgimento, Francesco de Sanctis. Aveva promesso di rafforzare il prestigio delle scuole, trascurate da Casati. Ma a cominciare da lui ebbe inizio la distruzione della rete delle scuole non statali, prima attraverso la confisca degli immobili, poi con la sottrazione dei migliori insegnanti e, conseguentemente, di allievi. Da allora un gran numero di istituti “confessionali” furono semplicemente soppressi. E siamo al secolo XX. Il fascismo, con la riforma di Giovanni Gentile (1922-24), nel 1923 estese alle scuole statali quel “catenaccio” (più che altro una mannaia) dell’esame di Stato, esame prima imposto solo alle private. Ma non ci si faccia illusioni: il governo intese allora prendere due piccioni con una fava: accontentare, sì, don Luigi Sturzo e il suo neonato Partito Popolare, ma anche“sfoltire”(era l’idea fissa di Croce e Gentile) le scuole statali (e infatti nella prima sessione, anno 1924- 1925, i bocciati nelle scuole statali toccarono punte del 70 per cento dei candidati: le famiglie chiesero la “grazia” in occasione del 25° anniversario della salita al trono di Vittorio Emanuele III, ma il Re…la rifiutò). Poi, nello stesso anno, quando Gentile era stato sostituito da Alessandro Casati, venne il riconoscimento giuridico del-l’Università Cattolica di
Milano e, nel 1929, il Concordato. Ma in compenso furono presto perseguitate le associazioni giovanili cattoliche, sostanzialmente formate da studenti, fino al loro scioglimento (1928). Dopo la caduta del fascismo, nel dibattito costituzionale dominò la logica del compromesso, che si sublimò nell’art. 7, che recepiva i Patti Lateranensi del ‘29 (poi “aggiornati” nell’84). Degli articoli specifici sulla scuola (33,34) abbiamo detto,ma fondamentale in materia resta un articolo poco citato, l’articolo 30, là dove si sancisce che il dovere e il diritto di istruire ed educare i figli spetta in linea primaria ai genitori. Da tale proposizione deriva anche la legittimazione e il diritto della famiglia di scegliere il tipo di istruzione per i propri figli, e di intervenire nella fase di integrazione di istruzione e di educazione fornita dallo Stato. Ma il punto più caldo, alla Costituente fu quello dell’eventuale sostegno finanziario alle scuole di servizio pubblico non statali. Fu scritto alla fine nella Costituzione: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. I padri costituenti spensero con questa frase il fuoco in assemblea, ma lo aprirono nella storia della scuola italiana. Giuseppe Dossetti, Giovanni Gronchi, Aldo Moro avevano tentato in tutti i modi di bloccare quella frase. Giovanni Gronchi (Dc), futuro presidente della Repubblica, si scatenò, ma Concetto Marchesi (PCI),
machiavellicamente lo bloccò sostenendo che “l’intervento e il favore dello Stato (…) aprirebbe le porte ad una ingerenza statale gravissima per la stessa libertà dell’insegnamento privato”. Bontà sua. L’onorevole Epicarmo Corbino, del Gruppo Misto suggerì di interpretare la norma all’italiana: “Noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degl’istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato”. Altro “candore” quello di Ernesto Codignola (Gruppo Autonomista): “Con quell’aggiunta [senza oneri per lo Stato nda]; si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto”. Patetici, li giudicò la sinistra. Il resto è storia recente: la Legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione,), preparata e varata proprio nel corso dei Governi di centrosinistra D’Alema I e II, essendo ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Berlinguer (Pci). Parità a parole, dicono i gestori delle scuole non statali. Parità, ancora una volta, solo di uniformarsi a ordinamenti, programmi, orari, esami, diplomi di modello statale. Si è provato mai a esibire questa legge al Parlamento europeo? Posso immaginare il finale del resoconto stenografico: “Risate in aula”. *Giornalista e saggista
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Socrate
«I NOSTRI NEMICI SONO DINOSAURI E MAMMUT» di Francesco Lo Dico responsabili dell’abbandono del progetto di una scuola libera hanno due nomi: corporativismo e burocrazia. Il ministro Claude Allègre, ministro dell’Education in Francia alla fine degli anni Novanta, li ha identificati con due nomi: mammut e dinosauri». Claudio Gentili, Direttore del nucleo Education di Confindustria da più di un ventennio, a proposito delle ragioni che hanno ostacolato una formazione plurale nel nostro Paese, ha le idee molto chiare. Perché tante resistenze, di fronte a quello che, per rubare un’espressione a Mario Pirani, si presenta ormai come un evidente disastro pedagogico? L’alleanza fra i mammut del corporativismo sindacale, e i dinosauri della burocrazia, soffoca ogni forma di liberalizzazione. Se ci guardiamo indietro, dopo la legge sulla parità scolastica che non garantiva però nessun finanziamento, non è stato realizzato nessun intervento a favore della scuola libera. Non è soltanto un problema dell’attuale governo, ma una resistenza contro cui si infrangono le forze politiche del centrodestra e centrosinistra, che per motivi elettorali spesso sono attente ad alcune richieste corporative. Quindi i tempi per un’istru-
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zione più libera, secondo lei non sono ancora maturi. Sono stramaturi, e lo dimostra il fatto che di recente è stato rotto un tabù legato alla questione dei docenti. Da poco, Panorama ha pubblicato un’interessante indagine sul tema della qualità dell’insegnamento. Sottoposti allo stesso test che avevano affrontato i nostri ragazzi, che avevano raggiunto un non lusinghiero trentaseiesimo posto, anche i professori non hanno brillato. Una cosa che la dice lunga sul grave problema che affligge il nostro Paese, e che si chiama mal di merito. Una questione che rende sempre più lontani mondo delle imprese e formazione. Nonostante tutto, formazione e imprese non sono affatto lontani. Le do alcuni dati: le imprese hanno coinvolto fino-
ra 3400 scuole, abbiamo coinvolto in stage 150mila giovani, e 60mila in alternanza scuola-lavoro. Abbiamo fatto molto ma è possibile fare ancora di più, soprattutto al Sud. Occorre però rinnovare gli istituti tecnici e professionali. Pensi che le imprese hanno un fabbisogno di duecentomila diplomati tecnici, ma sono riuscite a trovarne soltanto 130mila, perché gli iscritti ai licei hanno superato da qualche tempo quelli che scelgono scuole professionali. Un sorpasso dovuto alla “cultura del dottore”. Eppure al Sud c ‘è stata una partecipazione straordinaria ai corsi Ifts (Istruzione e formazione tecnica superiore, ndr) perché danno grandi opportunità e forniscono maggiori possibilità occupazionali. È significativo che li abbiano frequentati
Intervista a Claudio Gentili, responsabile Education di Confindustria: «Burocrazia e corporazioni soffocano ogni liberalizzazione»
anche numerosi neolaureati, che trovatisi di fronte a poche chance nel mondo del lavoro, hanno investito nel canale professionale. Una questione legata a un’altra mancanza, ovvero una seria attività di orientamento. In un recente sondaggio, 89 giovani su 100 hanno dichiarato che la scelta del corso di laurea è stata influenzata dalla famiglia. Da molto tempo si parla di padre assente, e così succede che spesso questa scelta viene indirizzata dalle madri. Molte hanno ancora l’idea che le fabbriche siano simili a quelle raccontate da Chaplin in Tempi Moderni, e così consigliano ai loro figli altri tipi di studi. Una delle principali paure delle famiglie italiane, è però che quando si parla di scuole private, si teme possano frequentarle soltanto “i ricchi”. Quella delle scuole per ricchi è una grande menzogna. Finanziare gli istituti paritari è qualcosa di molto simile a quello che lo Stato fa in ambito sanitario. In presenza di determinati requisiti di qualità e di standard di efficienza, possono essere stipulate delle convenzioni. L’equità, ossia il diritto allo studio per tutti, non è mai stato in discussione né mai lo sarebbe. In un progetto di scuola libera, si garantisce alle famiglie la
libertà di scegliere per i propri figli il tipo di formazione che più ritengono adatta al loro sentire.La scuola libera resterebbe comunque una scuola pubblica. Basti pensare che in Gran Bretagna, per Public-school si intende in buona sostanza quella affidata all’iniziativa privata. Qui da noi, questo crea però un piccolo problema con la Costituzione. Quando a maggio il ministro Giuseppe Fioroni ha assegnato risorse aggiuntive alle scuole private, alcune associazioni hanno fatto ricorso al Tar, perché ritengono violato l’articolo 33. Nessuna violazione. Nel 2000, la legge 62 ha già provveduto a chiarire che, fermo restando quanto recita la Costituzione, il sistema nazionale di istruzione è fatto di scuole statali e di scuole paritarie private e degli enti locali. Non c’è niente che impedisca allo Stato di istituire convenzioni con istituti di grande qualità. Ripeto: è proprio ciò che avviene nel sistema sanitario. È convenzionato con numerose strutture private di qualità, che fanno parte del sistema sanitario nazionale a pieno titolo. La verità è che non c’è nessun impedimento reale. Il vero ostacolo è semmai lo statalismo a tutti i costi, un pregiudizio vecchio quanto i mammut e i dinosauri.
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Socrate
rivisteria
Manuali di libertà educativa
l dibattito sulla libertà educativa in Italia e sul concetto di servizio pubblico è sempre stato caratterizzato da una forte carica ideologica e da tesi sovente estreme. È, soprattutto, un dibattito soffocato nelle vicende italiane, senza alcun riferimento alle esperienze di altri Paesi europei con i quali siamo quotidianamente chiamati a confrontarci e rapportarci. Il testo curato da Rescalli, La scuola privata nell’Unione europea, rappresenta uno dei migliori testi di base uscito sul tema della parità scolastica, perché fornisce esperienze e contenuti, chiavi di lettura e di comparazione internazionale, evitando ogni contrapposizione ideologica e mostrando come in Europa il concetto di servizio pubblico di istruzione prescinde dalla natura del soggetto erogatore. Il testo passa in rassegna e descrive l’evoluzione della scuola privata nei principali Paesi europei e offre l’occasione di sprovincializzare il dibattito italiano. G. Rescalli (a cura di) La scuola privata nell’Unione europea Le Monnier, Firenze, 1999
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Lo Stato spende di meno – lo dimostrano i dati – se finanzia la scuola libera
«Ma gli odiati privati vi faranno risparmiare» di Vincenzo Silvano* artiamo da un dato di fatto: la legge di parità del 2000 non ha risolto i problemi. Contiene ottimi principi, confermati anche da recenti provvedimenti legislativi, come il riconoscimento di servizio pubblico svolto dalle scuole riconosciute come paritarie. Purtroppo non sono state tratte le dovute conseguenze, soprattutto sotto l’aspetto economico. Senza la parità economica, la legge 62/2000 è pericolosamente monca, in quanto impone obblighi onerosi senza un adeguato sostegno finanziario. Qualche piccolo passo, in questa direzione, è stato fatto, ma è ancora assolutamente al di sotto delle necessità minime. Anche per questo molte scuole non statali hanno chiuso in questi ultimi anni. Le scuole libere, infatti, e non solo quelle cattoliche, sono in diminuzione. Se scomparissero, ci sarebbe meno libertà per tutti, perché meno possibilità di scelta tra modelli e tradizioni educative diverse. L’Italia perderebbe un patrimonio secolare. È interesse di tutti non far morire queste scuole, preziosa risorsa educativa per la società e le famiglie. Certo, anche la scuola statale svolge un compito importante. Ma non è compito dello Stato stabilire un unico modello educativo. I genitori sono i titolari dell’educazione dei figli, per diritto naturale e costituzionale; spetta a loro dire qual è il miglior modello educati-
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vo. Ed è un interesse anche economico: un recente dossier dell’Agesc, presentato a più riprese anche su diversi quotidiani nazionali, ha mostrato nuovamente, conti alla mano, quanto possa essere conveniente per lo Stato realizzare una piena parità economica: le scuole libere fanno risparmiare allo Stato mediamente quasi 8.000 euro all’anno per alunno. In Italia, invece, nei confronti della scuola sprezzantemente definita “privata”, persiste una ostilità tutta ideologica. Lo dimostra, una volta di più, l’uso strumentale e scorretto che è stato fatto dei dati dell’indagine Ocse-Pisa 2006, i cui risultati, pur non avendo alcuna validità sotto il profilo statistico e generati da un campione di scuole non statali assolutamente discutibile sotto tutti i profili, sono stati utilizzati da certi giornali come scure contro la scuola libera. La conseguenza di questa ostilità preconcetta è che lo Stato continua a negarsi la possibilità di avere a disposizione più risorse per le proprie scuole, mentre le famiglie che scelgono la scuola paritaria pagano con la retta il servizio (pubblico, come da L. 62/2000!) che utilizzano, e pagano con le imposte la scuola statale che non utilizzano e che invece è gratuita per chi la frequenta. Che cosa occorre? Occorre una coraggiosa azione politica, perché anche nel nostro paese siano finalmente introdotti mecca-
nismi fiscali di detraibilità e deducibilità simili a quelli di altri paesi, in linea con quanto riconosciuto anche da importanti sentenze della Corte Europea. Tutto questo, oltre a garantire l’attuazione di principi e valori riconosciuti per legge anche nel nostro paese ma non adeguatamente applicati, contribuirebbe a ridare slancio e vigore all’intera società civile, interrompendo una fase di involuzione sociale e di crisi educativa le cui conseguenze sono drammaticamente visibili a tutti. I paesi in cui l’istruzione dà risultati migliori, quelli in cima alla classifica Ocse, sono proprio quelli che hanno attuato politiche di destatalizzazione dell’istruzione e di sostegno economico alla scuole libere. Esistono dati, anche in Italia, che lo confermano: le scuole paritarie aderenti alla Federazione Opere Educative che sono state valutate dall’Invalsi, raggiungono risultati di eccellenza! Dobbiamo, dunque, andare anche noi in quella direzione; non solo per l’attuazione di un valore sacrosanto come la libertà di educazione, ma anche perché solo così la scuola italiana può uscire dalla palude in cui si trova. Ed è una palude nella quale rischiamo di affondare, se invece di condannarci a vicenda non ci diamo tutti una mano. *Presidente del Foe (Federazione opere educative)
ia i governi liberali che quelli fascisti che guidarono l’Italia unita identificavano la società civile con lo stato, e i governi del dopoguerra hanno ereditato questa tendenza a concepire l’istruzione pubblica come “apparato ideologico dello Stato” piuttosto che come l’espressione di una società civile indipendente». È quanto si legge nel capitolo dedicato all’Italia del libro di Glenn, Il mito della Scuola unica. Secondo Glenn il mito consiste nella identificazione della scuola pubblica con un unico modello educativo gestito dallo Stato. Un modello che veicola un ben definita visione della realtà al punto da assumere tutte le connotazioni di una “religione” ufficiale che non ammette visioni alternative. Glenn non si limita a superare l’identificazione di “pubblico” come “statale”, ma concepisce il sistema educativo come un sistema diversificato e pluralistico. Uno studio che offre utili spunti a quanti condividono l’importanza del problema educativo per la società. Charles L. Glenn Il mito della scuola unica Marietti, Genova-Milano, 2004
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BUONO SCUOLA
Erogato dalle Regioni di Valentina Aprea* i recente l’allarme dell’Ocse che fotografa una scuola in sofferenza rispetto alla sua mìssion principale (gli apprendimenti di base degli studenti) e le Indicazioni europee per una scuola più flessibile e più autonoma dovrebbero spingerci a superare la presenza monopolistica dello Stato ed il primato della cultura burocratica sull’educazione. Che sia urgente discutere della questione della libertà di scelta educativa e di una governance legata ad una sussidiarietà orizzontale è altresì confermato dalla domanda di più libertà e di più istruzione di qualità che proviene dalle famiglie, come testimoniano i dati delle ricerche di settore, tra cui quella promossa nel 2006 dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Al contrario, il paradigma centralistico e burocratico che sostiene il nostro impianto educativo sopravvive e si rafforza attraverso rigurgiti normativi di chiaro stampo statalista approvati in questa Legislatura. E tutto ciò in palese controtendenza con le modifiche istituzionali e costituzionali che prefigurerebbero uno Stato con funzioni di guida e di controllo, e non più di gestione, rispetto all’istruzione pubblica. Non si vuole qui mettere in discussione effetti positivi come la scolarizzazione di massa resa possibile dall’istruzione statale nel secolo scorso, ma è pur vero che l’istruzione divenuta una funzione propria dello Stato si è trasformata in una “gabbia” che limita la libertà di scelta educativa e le opportunità da offrire ai nostri giovani con rigidità e costi divenuti indicatori negativi del sistema. Il processo di destatalizzazione non è né facile né scontato, si scontra con interessi corporativi consolidati e richiede azioni interistituzionali complesse. Ma soprattutto, deve essere sostenuto da una rivoluzione culturale capace di abbattere i tanti pregiudizi che ancora accompagnano una governance dell’istruzione pubblica non solo statale e non più uniforme, per uno Stato, per dirla alla Blair, “from provider to commissioner”. Dentro questo cambiamento, che può agevolmente trovare attuazio-
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ne nel Titolo V della Costituzione, resta la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all’istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie, secondo il principio che le risorse governative seguono l’alunno (“fair funding follows the pupils”). La Proposta di legge (A.C. n. 2292) di Forza Italia sulle norme di autogoverno delle scuole e sulla libertà educativa, presentata in questa Legislatura, introduce nel dibattito nazionale elementi di un sano pluralismo educativo correlato ad una moderna concorrenzialità tra le scuole e basato su un modello organizzativo “a rete” che prevede accanto agli attori tradizionali dell’istruzione (Stato, Regioni, Comuni) la presenza di altri soggetti della società civile, coniugando competizione con responsabilità e competenza. Nella proposta la persona è posta al centro del processo educativo e di transizione alla vita attiva, libera di scegliere i percorsi educativi attraverso una pluralità di offerte e di soggetti formativi. La famiglia è libera di scegliere la scuola che preferisce per i propri figli (statale, paritaria, regionale, etc.) in base ad un finanziamento pubblico con governance regionale. Le scuole possono scegliere a loro volta di trasformarsi in Fondazioni e prevedere la partecipazione privata al finanziamento e ai progetti di miglioramento della didattica. Ai sistemi di valutazione, interno (di Istituto) ed esterno (Servizio Nazionale), è assegnata nel progetto una rilevanza strategica per promuovere competizione e scelte consapevoli di tutti gli attori del processo educativo, anche al fine di differenziare i finanziamenti. In particolare, l’attribuzione alle scuole della responsabilità del reclutamento di docenti ed esperti, garantiti da un nuovo stato giuridico e da percorsi di valorizzazione professionale, costituiscono nella proposta, che rilanciamo con forza nel dibattito politico, l’innovazione centrale per superare lo statalismo e il centralismo burocratico e collocare l’istruzione italiana in una dimensione più liberale ed europea. *Parlamentare, responsabile scuola di FI
Il principio da applicare è quello che i finanziamenti seguono l’alunno, non vicersa
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Socrate Contraddette le affermazioni di principio della legge
LA PARITÀ
bugiarda MENO TASSE
Se paghi una retta di Giuseppe Valditara* a Costituzione all’articolo 29 considera la famiglia una società naturale. In quanto società naturale la famiglia non ha bisogno di riconoscimento, esiste infatti prima dello stato. Questa impostazione è coerente con la natura stessa dello stato nella tradizione occidentale, che, pur nell’arco di una vicenda plurimillenaria, trae origine dalla libera scelta e dalla libera aggregazione di famiglie che hanno rinunciato a quote della loro originaria sovranità, devolvendola a un ente superiore (civitas, polis, lo “stato” insomma), per meglio organizzare la cura dei propri interessi. Da qui deriva anche il principio di sussidiarietà che è stato esplicitamente riconosciuto nell’art.118 della costituzione. Si è così ribadito che lo stato ha una funzione servente nei confronti dei singoli e verso le famiglie. Lo stato e i servizi che esso eroga sono funzionali all’interesse delle famiglie, che sono le comunità alla base stessa dello stato. Da ciò discende, quanto afferma l’articolo 30 cost. laddove riconosce come diritto dei genitori l’istruzione e l’educazione dei figli. È dunque diritto dei genitori scegliere il modello educativo dei propri figli, lo stato, essendo al servizio della famiglia, e non la famiglia al servizio dello stato, deve assicurare le condizioni affinché i genitori possano scegliere il modello a loro più confacente. Non può essere imposta pertanto una “educazione di stato”, che partirebbe da presupposti opposti rispetto a quelli accolti nella nostra costituzione, per cui tutto sarebbe in funzione e nell’interesse dello stato. Deve esistere piuttosto un pluralismo educativo pur all’interno di alcuni valori cardinali, riconosciuti e accettati dalla grande maggioranza degli italiani, che sono poi i valori espressi nella nostra costituzione, e che ogni modello educativo deve tener presente. È d’altro canto in questo limite la rinuncia a quote di sovranità che le famiglie hanno originariamente fatto. Non potrebbe essere dunque consentito alcun modello educativo che insegni l’odio, la discriminazione, la violenza.
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Se è dovere dello stato garantire la possibilità per ogni famiglia di scegliere modelli educativi diversi, ancorché non in contrasto con i valori costituzionali, ne discende l’obbligo di assicurare la esistenza di centri di istruzione che soddisfino le particolari istanze educative delle famiglie secondo una logica pluralista. In altre parole lo stato deve favorire la nascita, e il rafforzamento di scuole non statali. È coerente con questa impostazione il fatto che le norme sulla educazione scolastica siano contenute nel titolo II della costituzione, che prende avvio proprio dalla presa d’atto che la famiglia è una comunità naturale, che viene prima dello stato. Da qui anche il senso delle norme di garanzia delle scuole non statali: “parità”, “libertà”,“equipollenza di trattamento”sono le parole significative. Non contrasta con questa impostazione l’espressione “senza oneri per lo Stato” di cui al comma 3 dell’articolo 33, che riguarda il problema del finanziamento delle scuole non statali. Come emerge dai lavori preparatori, alcuni costituenti chiedevano che lo stato fosse obbligato a farsi carico del finanziamento delle scuole non statali. Opponendosi una minoranza, si arrivò ad una formulazione attenuata,che secondo i suoi proponenti va intesa nel senso che “lo stato può finanziare, ma non ne ha l’obbligo”. Peraltro proprio la riformulazione dell’articolo 118 impone una lettura dell’art.33.3 che renda effettivo l’obbligo di favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini”, ad esempio nel campo educativo. L’art.118.4 stimola dunque un intervento finanziario dello stato a sostegno della libertà scolastica. Una soluzione, che ho trasformato in disegno di legge, il 1266 del 24.1.07, potrebbe consistere nella possibilità di detrarre le rette versate alle scuole. Il diritto di istruire ed educare i propri figli non può essere discriminato finanziariamente a seconda del modello –statale o non statale- offerto, ne va della esistenza di una reale libertà educativa. *Senatore, responsabile scuola di An
di Emerenzio Barbieri* n profilo di scuola sta meno emergendo: statalista, meno autoreferenziale, meno scollegata dalla società; più autonoma, più responsabilizzata, più indirizzata alla qualità, finalizzata alla crescita e valorizzazione della persona umana e, in forza del principio di sussidiarietà, più rispettosa dei diritti delle famiglie». Correva il 20 febbraio 2001 quando il cardinale C. M. Martini, allora arcivescovo di Milano, aprendo l’anno accademico della Facoltà teologica settentrionale, trattando il tema «La riforma della scuola, cosa resta da pensare», sosteneva una tesi (quella riferita) tanto suggestiva quanto irreale. Se egli formulava un auspicio non si può non essere d’accordo. Se si trattava invece, come sembra, di una constatazione, allora sono legittime alcune perplessità. Non solo perché non si intravede, adesso, quell’alba radiosa recata da una legislazione illuminata, seria e condivisa, ma soprattutto perché nelle disposizioni e nelle direttive di ieri e di oggi non sono considerate le ragioni molteplici per cui molti cittadini intendono difendere e sviluppare la scuola non statale, anche in Italia. Infatti, sono tanti i motivi e tanti i perché i quali possono essere così sintetizzati: perché si crede nel pluralismo nelle scuole e delle scuole; perché si aderisce al principio di sussidiarietà in base al quale lo Stato non deve sostituirsi all’iniziativa delle persone e delle comunità; perché si afferma il diritto-dovere della famiglia all’educazione, che si esplica nella libertà di scelta; perché si vuole conformarsi alle norme del diritto internazionale e del dettato costituzionale sia nella parte generale sia nella parte specifica, e delle direttive europee, puntualmente sottoscritte dai Governi del nostro Paese. «Resta da pensare», comunque, al ritrovamento di una adeguata intitolazione per la «scuola non statale». L’intestazione «scuola libera», con riferimento a una porzione molto esigua del sistema educativo, può lasciare intendere che la restante percentuale, molto vasta (la scuola statale) sia una scuola vincolata, e che la formulazione non sia rispettosa della realtà in quanto ambedue le tipologie sono
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parzialmente affrancate e parzialmente obbligate. «Non si può esaltare l’idea della scuola di Stato senza descriverne la realtà, così come non si può denigrare la realtà della scuola dei preti senza citarne l’idea» (don Lorenzo Milani). Peraltro, intralci preoccupanti all’affermazione della libertà (indottrinamento, dequalificazione, egualitarismo) si riscontrano in tutti i settori del servizio di istruzione e di formazione. Per non suscitare equivoci è necessario chiarire subito che l’aggettivo «libera» è attribuibile eventualmente alla nascita di una scuola e non alla gestione del titolare; che la libertà viene offesa anche quando lo Stato rafforza il suo monopolio arrogandosi il compito di educatore; che la contrapposizione tra scuola statale e scuola non statale è deleteria e improponibile; che la scuola non statale è «privata» in origine, in quanto allestita da un soggetto con personalità giuridica di diritto privato, ma non nell’«interesse», che è pubblico al pari della scuola statale; che la denominazione «non statale» solleva delle perplessità avendo una declinazione negativa; che si preferisce la dicitura scuola paritaria e scuola riconosciuta. I nodi non ancora dipanati e che stringono il collo delle istituzioni scolastiche paritarie sono la salvaguardia, per il futuro, della libertà di reclutamento del personale docente; la distribuzione più equa dei diritti e dei doveri; l’erogazione dei sostentamenti economici mediante uno strumento congruo (credito d’imposta o buono scuola). Adesso è conveniente prendere atto che, dopo le affermazioni di principio (tante buone intenzioni) riportate all’inizio della legge sulla parità, interviene una brusca frenata e lo slancio di partenza si eclissa tra l’apprestamento spasmodico dei vincoli e l’avvento del rumoroso silenzio sugli strumenti giuridici ed economici capaci di rendere effettiva la parità. Una parità (come tentativo) c’è, ma è una parità disparata, frutto della logica metastasiana di questo Governo di centrosinistra, dell’«or che vorria, non puote», anche qui con i suoi interpreti pavidi e tentennanti. *Udc, vicepresidente commissione Cultura del Senato
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Socrate Intervista a Bruno Stenco, responsabile della Cei per la scuola, che spiega come dare a tutti questa possibilità
«Anche i poveri hanno diritto di scelta» appuntamenti
di Francesco Lo Dico l diritto all’istruzione si esercita attraverso la libertà di scelta, che nasce dal basso e viene dalle famiglie. Se questo diritto non viene sostenuto economicamente, molte famiglie, specie quelle non abbienti, non possono esprimerlo». Monsignor Bruno Stenco, responsabile Cei per la scuola e l’università, rivendica subito l’enorme impegno profuso dalla Chiesa e dell’associazionismo cattolico in tema di formazione. Un impegno, mirato a costruire una scuola a misura d’uomo, che non è stato ancora riconosciuto, a causa delle forti pregiudiziali che hanno reso impervio il cammino della scuola libera. Allora Monsignore, perché costruire questa scuola a misura d’uomo è tanto difficile? Perché innanzitutto bisogna chiarire la questione che riguarda il rapporto fra equità e sussidiarietà. La difficoltà è data dal trovare una giusta composizione fra questi due principi. Molti pensano che un’apertura a una scuola non gestita dallo Stato che svolge servizio pubblico, comporti una frammentazione del sistema, una liberalizzazione mercantile. Il vero problema è che in questo contesto lo Stato è gestore di un monopolio, quando basterebbe che si facesse garante di una gestione più ampia di scuole pubbliche, certo incanalate in norme generali ,ma capaci di esprimere la soggettività di famiglie e docenti. Il nodo è questo. Conciliare l’esigenza di offrire a tutti, specie alle parti sociali più deboli, il diritto d’istruzione – quindi l’equità – con l’esigenza di sussidiarietà che lo Stato deve garantire alle famiglie. In tema di sussidiarietà, molti considerano la Costituzione un grave ostacolo. Il Titolo quinto della nostra Costituzione, più che un compito di gestione assegna allo Stato un compito di definizione delle norme generali dell’istruzione e dei livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Se lo Stato gestisce la
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Con le idee donna Prassede si regola come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata
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Alessandro Manzoni
scuola in collaborazione con un privato che ottempera le norme e garantisce prestazioni conformi ai programmi, questo non fa che assicurare libertà pedagogica. Qualcosa che è ben diverso dalla frantumazione. Un tentativo si era già fatto nel 2000 con la legge sulla parità scolastica. Quella legge afferma il principio di parità fra scuole statali e non statali, ma a questa affermazione di riconoscimento non è seguito però un corrispondente sostegno economico. Succede così che ancora oggi, si possono permettere l’esercizio del principio di sussidiarietà soltanto le persone facoltose, in grado di pagare una retta. Un diritto per tutti, che continua a essere offerto soltanto a pochi. E questo legittima le remore delle famiglie italiane sulle scuole private. Non solo quelle delle famiglie. Il più grosso impedimento è dato da una certa linea interpretativa dell’articolo 33 della Costituzione, secondo il quale la scuola libera può esistere, ma senza oneri per lo Stato. Per superare questo ostacolo, il ministro Moratti individuò una possibile soluzione nel buono scuola: la Costituzione prevede il diritto educativo delle famiglie, allora si provò a erogare i fondi direttamente a chi paga le rette, invece che destinarli agli istituti. Un’idea che ebbe il riconoscimento dalla Corte costituzionale. I ricorsi al Tar furono infatti respinti, ma ci fu un sommovimento generale perché molti ritenevano che queste risorse sarebbero state tolte alla scuola pubblica. Non si trattava di impoverirla, semmai di arricchirla e articolarla. Il ministro Fioroni, ritiene il buono scuola inadatto. Lo considera rischioso, perché verrebbe percepito come l’inizio di una frammentazione mercantile della scuola. Fioroni ha preferito puntare sui fondi per le scuole primarie, e per le secondarie di primo e secondo grado. In totale
sette milioni di euro. Una cifra simbolica. A livello costituzionale, non è una strada ancora più pericolosa di quella del buono? Buona parte dei contributi è stata assegnata alle scuole d’infanzia, che essendo istituti prescolastici possono ricevere fondi pubblici. Attualmente ricevono qualcosa come dodicimila euro a sezione, una cifra che non esaudisce certo il loro fabbisogno, ma che rappresenta un contributo importante. Il ministero dell’Istruzione aveva previsto di accrescere la cifra di anno in anno, ma a oggi siamo fermi agli importi fissati nel 2001 dal ministro Berlinguer. Ma il decreto Fioroni non prevede fondi, molto contestati, anche per le scuole private primarie e secondarie? Molte delle scuole primarie paritarie esistevano ancor prima di quelle dello Stato. Erano esentate dagli oneri fiscali, e così continuavano a ricevere contributi per circa 170 milioni di euro. Un problema potrebbe sorgere, invece, per le risorse destinate alle scuole medie paritarie di primo e secondo grado. La Cgil ha fatto ricorso al Tar, e la Cei segue con attenzione l’evolversi della vicenda. Qualcuno potrebbe accusarvi di un interesse di parte. La Chiesa difende il principio di sussidiarietà di tutte le famiglie. La possibilità di estendere a quante più famiglie il diritto di educare i propri figli. Ci aspettiamo che dal centrosinistra, come dal centrodestra, arrivi una soluzione per garantire, non solo ai ricchi ma soprattutto ai poveri, la libertà di scelta. Negli ultimi dieci anni sono state chiuse oltre 500 scuole cattoliche. Di questo passo, la scuola del terzo settore – il privato sociale – crollerà, lasciando campo aperto alla scuola mercantile. Cioè a prezzi altissimi, e scuole per ricchissimi. Le famiglie meno abbienti, e i loro figli, non avranno alternative alla scuola pubblica.
LA FORZA
BOLOGNA sabato 1 marzo 2008 Adi, Associazione dei docenti italiani Seminario internazionale “Perché l’acqua bolle? Educazione scientifica in cerca di risposte” organizzato dall’Adi a presso la Sala della biblioteca di San Domenico, piazza San Domenico 13, Bologna. Per informazioni:ospitiweb.indire.it/adi /SemFebMar2008/Sf8_fra me.htm
DELLE IDEE
C A M P A G N A
❏ semestrale
ROMA giovedì 7 febbraio 2008 Ministero della Pubblica Istruzione Il 7 febbraio si terrà a Roma (sede da definire) la presentazione del Documento finale della commissione di esperti nominata dal ministro Fioroni lo scorso dicembre per tracciare la nuova fisionomia dell’istruzione tecnica e professionale. L’appuntamento è di particolare rilevanza sia perché l’argomento è oggetto di un’intensa discussione politica sia perché il ministro ha fatto molte promesse.
A B B O N A M E N T I
❏ annuale
2 0 0 8
❏ annuale sostenitore
65,00 euro
130,00 euro
200,00 euro
invece di 127,00 euro
invece di 254,00 euro
invece di 254,00 euro
Modalità di sottoscrizione dell’abbonamento - CONTO CORRENTE POSTALE: occorre versare l’importo sul c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl”. - BONIFICO BANCARIO: è necessario versare la somma al seguente riferimento bancario: “Banca Carim - Filiale di Roma - Via Po n.160 - c/c n° 7473344, intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” IBAN: IT 31 I 06285 03200 009007473344
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mondo
Al via una campagna avvelenata per le elezioni a sindaco di Londra del prossimo maggio
Tutti gli scandali di Ken Livingston di Joan Melbrooke meno di 5 mesi dalle elezioni per il sindaco di Londra la campagna elettorale sembrava sotto tono, almeno fino a domenica sera. Quando il canale tv Channel 4 ha messo in onda un documentario di fuoco contro Ken Livingston, attuale e controverso primo cittadino della capitale pronto a ricandidarsi. Le accuse sono pesanti: uso improprio di fondi pubblici, favoreggiamento di amici ed appartenenza ”segreta” ad una fazione trotskista che mirerebbe a fare di Londra una sorta di città stato socialista. Bocconi indigesti che Livingston ha tentato con ogni mezzo di fermare prima che andassero in onda. Con il risultato di infiammare ancor di più la polemica, tanto che il quotidiano londinese Evening Standard ha affidato ad una delle sue penne più autorevoli, Martin Bright, di fare un taglia e cuci ad personam. Al vetriolo: «Livingston è una disgrazia per questa città - scrive Bright ed è mio dovere avvisare l’elettorato di non votarlo perché è un prepotente e un vigliacco». Ma andiamo per ordine e vediamo in dettaglio quali sono le accuse di Channel 4 che potrebbero definitivamente compromettere una rielezione di Ken Livingston, in carica dal Duemila.
menti sarebbero illeciti e presupporrebero un reato di frode. Le indagini sono in corso, e seppur non tocchino direttamente Livingston, è chiaro che gettino una luce di discredito sul suo modo di gestire e controllare fondi e persone.
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Il quotidiano: non è la prima volta che l’Evening Standard scende in campo contro il primo cittadino, già crollato ai minimi di gradimento dopo un paio d’anni dalla sua nomina. Nel 2002 lo aveva accusato di aver partecipato ad una rissa nel corso di una festa privata e di avere spinto una persona giù dalle scale. La denuncia aveva attivato una speciale commissione di vigilanza che lo accusò di aver screditato l’immagine della sua città. Nel 2005 le pagine dei giornali - e non solo lo Standard - riportarono ”paro paro” il suo disprezzo
Il canale tv Channel 4 manda in onda un servizio al vetriolo contro il primo cittadino della capitale. Ed è subito rissa. L’accusa? Frode, favoreggiamento, complotto socialista per il giornalista ebreo della testata, Oliver Finegold, paragonato «ad una guardia dei campi di concentramento nazista» e accusato di lavorare per «un ricettacolo di bigotti reazionari ben noti per il loro sostegno al fascismo». Livingston rifiutò di scusarsi e venne sospeso dal suo incarico per un mese. Per evitare il collasso, in una conferenza stampa fece ammenda per avere offeso
la comunità ebraica e la sentenza venne annullata. Lee Jasper: a finire nell’occhio del ciclone è questo consulente del sindaco per le questioni razziali. L’inchiesta racconta di 12 organizzazioni gestite da amici di Jasper che avrebbero ricevuto in questi anni finanziamenti per oltre 2 milioni di sterline. Secondo il giornalista molti di questi finanzia-
La lobby trotzkista: il reportage giornalistico taccia il sindaco di essersi circondato di consiglieri e consulenti legati ad un gruppo scissionista trotskista: il Socialist Action, una fazione nata dopo lo smembramento del Gruppo Marxista Internazionale. L’accusa non è nuova ed era già circolata molti anni fa, ma adesso ha ripreso vigore. E sostiene che la lobby mira a creare una sinergia fra il suo programma rivoluzionario e quello dei Labour. Il come è presto detto: piazzando uomini chiave in posizioni di potere. Come Simon Fletcher, capo di gabinetto di Livingston e ”adepto” - secondo l’inchiesta - del Socialist Action. Sotto accusa anche il fatto che sia Fletcher a svolgere la funzione di vicesindaco e non Nicky Gavron, che quel titolo lo ha di fatto. Altra figura chiave è John Ross, consigliere economico del primo cittadino e altra figura importante del Socialist Action, che nel 1974 - in anni decisamente caldi - da candidato del partito comunista quale era disse che «la classe dirigente al potere avrebbe dovuto essere soppiantata dai lavoratori e che il bagno di sangue poteva essere imminente». Ma ce ne è anche un terzo: Redmond O’Neill, attuale assessore ai Trasporti di Londra e anche lui legato al Socialist Action. Dall’ufficio stampa del sindaco al momento su quest’ultimo punto tutto tace. Ma le risposte arriveranno. Comunque sia le accuse sono pesanti e la campagna elettorale - dove corrono sia il conservatore Boris Johnson che un ex poliziotto gay liberal democratico, Brian Paddick, si preannuncia avvelenata.
Per l’ex senatore del Tennessee, molto amico di John McCain, potrebbe aprirsi la strada della vicepresidenza
Fred Thompson si ritira, corsa repubblicana sempre più nel lla fine ha mollato. Fred R. Thompson, ex senatore del Tennessee, avvocato, attore televisivo multimilionario nella serie “Law & Order”, campione duro e puro della migliore tradizione conservatrice (non quella di Mike Huckabee, insomma), ha deciso di abbandonare la corsa per la nomination repubblicana dopo il deludente risultato delle primarie in South Carolina, su cui aveva puntato ogni residua chance di vittoria. Molto apprezzato dai commentatori conservatori, soprattutto nella miriade di blog politici che fiancheggiano il partito repubblicano su Internet, Thompson era considerato da alcuni analisti come uno dei possibili front-runner del GOP in vista dello sprint finale verso la convention di Minneapolis del prossimo settembre.Tanto che per lunghi mesi, soprattutto prima della sua decisione di scendere in campo, aveva raggiunto un solido secondo posto – alle spalle di Rudy Giuliani – in tutti i sondaggi nazionali. I problemi, però, sono arrivati quando si è trattato di fare sul serio. Un carattere troppo pigro per soppor-
A
di Andrea Mancia tare il tour di force massacrante della campagna elettorale americana, qualche scelta poco felice tra i collaboratori, la decisione di aspettare troppo a lungo prima di rendere ufficiale la sua candidatura: è sembrato chiaro, fin dall’inizio, che molto difficilmente Thompson avrebbe potuto soddisfare le enormi aspettative che si erano create intorno al suo nome. I risultati zoppicanti in Iowa, New Hampshire, Wyoming e South Carolina hanno fatto il resto, spingendo l’ex senatore verso la rinuncia.
Paradossalmente, con Fred fuori da i giochi la situazione in campo repubblicano rischia di complicarsi, proprio alla vigilia della Florida (29 gennaio) e del Super Tuesday (5 febbraio). Thompson è molto amico di John McCain, tanto che qualcuno già comincia ad ipotizzare una sua possibile vicepresidenza in caso di vittoria del senatore dell’Arizona, ma un endorsement immediato, per ora, è escluso. Il bacino
elettorale in cui pescava Thompson, però, è molto diverso da quello a cui punta il “senatore ribelle” del partito repubblicano. E sia Mitt Romney che, in misura minore, Mike Huckabee potrebbero avvantaggiarsi dal suo ritiro. Se, poi, Rudy Giuliani riuscisse a superare indenne l’ultima spiaggia della Florida, non è escluso che una parte dei voti di Thompson potrebbe prendere la strada dell’America’s Mayor nel Super Tuesday. Nessuno scenario, insomma, può ancora essere escluso nella corsa alla nomination per il Grand Old Party, neppure nel momento in cui la sfida sembrerebbe avviarsi verso una semplificazione. L’incubo, per l’establishment del partito e per tutti i suoi simpatizzanti, è quello di ritrovarsi – dopo le sfide nei grandi stati del 5 febbraio – senza nessun candidato in grado di contare sulla maggioranza assoluta dei delegati. In questo caso, l’ipotesi di una brokered convention (e di un probabile trionfo democratico alle elezioni di novembre) diventerebbe sempre più concreta.
mondo
24 gennaio 2008 • pagina 19
Karamanlis va da Erdogan
I perché della tragica fuga in Egitto
Grecia e Turchia, è l’ora del disgelo di Rodolfo Bastianelli una visita storica quella che il premier greco Costas Caramanlis ha cominciato ieri in Turchia a distanza di quasi 50 anni da quella effettuata da suo zio Konstantinos nel 1959. Già programmato tre anni fa, ma poi annullato per le polemiche sorte tra Ankara e l’Europa riguardo al rallentamento dei negoziati per l’ingresso della Turchia nella Ue, il viaggio dimostra quanto sia migliorato il clima tra i due Paesi, da lungo tempo quasi “nemici” benché entrambi membri della Nato. Non che la visita di Caramanlis possa condurre alla normalizzazione dei rapporti, visto che lo stesso premier greco parlando recentemente al Parlamento, ha sottolineato i punti di attrito nelle relazioni bilaterali. A cominciare dallo status di Cipro. Il raggiungimento di un’intesa per arrivare alla riunificazione e definire il futuro assetto istituzionale dell’isola appare difficile e le posizioni delle due comunità rimangono distanti, ma questo non sembra impedire un nuovo corso nei rapporti bilaterali. Dopo aver sfiorato lo scontro nel 1996 per la sovranità sull’isola di Imia/Kardak, una questione rientrante nella complessa disputa sulle acque territoriali del Mar Egeo, i due Paesi hanno scelto la via del dialogo, come dimostra l’appoggio dato da Atene alla richiesta turca di avviare i negoziati per l’adesione di Ankara alla Ue e la recente inaugurazione del progetto per la costruzione di un oleodotto per il trasporto del gas naturale dall’Azerbaigian. Resta da vedere quali risultati politici produrrà il viaggio di Caramanlis sui due temi più caldi: la questione di Cipro ed i rapporti tra la Grecia e la Macedonia. Erdogan ha infatti bollato come errore l’accettazione Ue dell’adesione di Nicosia, mentre nel suo recente viaggio a Skopje ha appoggiato il governo macedone nella disputa con la Grecia sulla denominazione del Paese, tuttora riconosciuto da Atene sotto la sigla di Fyrom invece che con il nome di Repubblica di Macedonia. Le incognite rimangono, ma senza imminenti scadenze elettorali i due leader potrebbero raggiungere un compromesso.
È
Exodus di Emanuele Ottolenghi li spagnoli dicono: A rio revuelto, ganancia de pescadores (fiume in piena, pescatori felici). E a guardare la massa umana che ieri si riversava in Egitto da Gaza veniva da pensare a quel proverbio. In tale caos di sicuro qualcuno approffitterà per far entrare nella Striscia ogni genere di materiale. Che non contribuirà ad affievolire le sofferenze dei civili, ma ad aumentare il potenziale offensivo di Hamas nella sua guerra contro Israele, visto che la leadership di Gaza sta già sfruttando la massa dei civili che ritornano con cibo, medicinali e combustibile, per introdurre altri tipi di rifornimenti. Del resto, la decisione israeliana di chiudere il confine con Gaza, per quanto condivisibile, non ha prodotto altro che una valanga di nuove critiche contro Gerusalemme. Ma cosa dovrebbe fare Israele? Dal suo ritiro da Gaza, sono piovuti più di 4 mila razzi sul sud del Paese. Nessun governo che si rispetti può tollerare a lungo una simile situazione. I commenti del ministro degli Esteri D’Alema alla crisi - «la reazione
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d’Israele è incomprensibile» - come le accuse di imporre una punizione collettiva sono assurde. Gaza confina anche con l’Egitto. Perchè gli aiuti devono giungere da Israele, che Hamas attacca ogni giorno da Gaza? Perchè non fare passare i convogli umanitari e le forniture di combustibile dall’Egitto? Se Il Cairo
Basta con le accuse ad Israele. Se continua così l’unica soluzione sarà un intervento militare contro Hamas fosse davvero solidale con i fratelli palestinesi questo meccanismo si sarebbe già instaurato senza il bisogno di ricorrere all’assalto al confine con la complicità dei genieri di Hamas. Condannare Israele è la reazione istintiva di chi lo fa sempre, per partito preso, senza considerare i fatti: Gaza non è più sot-
to occupazione israeliana. Israele non ha obblighi nei confronti dei residenti di Gaza, soprattutto se da due anni, giornalmente, da Gaza arrivano atti ostili. Nessun Paese terrebbe i confini aperti e anzi Israele avrebbe dovuto chiuderli già da tempo. Il problema è l’efficacia delle azioni di Israele. Quest’ultima mossa si è rivelata controproducente. Invece che interrompere il lancio di missili, Hamas sta cinicamente sfruttando la crisi a suo vantaggio, mettendo la sofferenza umana davanti alle telecamere. Israele avrebbe dovuto considerare che la pressione dei media avrebbe ridotto l’efficacia dell’embargo, cui ha già fatto eccezioni sotto pressione internazionale. È stato un errore non considerare questa conseguenza. E la conclusione che se ne deve trarre è forse che, tra la pioggia di missili giornaliera e le misure economiche, Israele presto dovrà optare per la terza via - l’azione militare su larga scala - per chiudere la partita una volta per tutte e mettere a tacere la macchina da guerra di Hamas.
Moubarak fa passare i profughi perché non ha alternative. La sua mossa è una richiesta di aiuto
Europa, Onu e Stati Uniti devono intervenire n via vai continuo di persone, mezzi, animali e merci, sotto lo sguardo impotente dei duemila soldati egiziani schierati al confine con la Striscia di Gaza. Quello che rimane della fragile barriera di Rafah, divelta dalle cariche esplosive che nella notte fra martedì e mercoledì sono state fatte saltare dai guerriglieri di Hamas, è calpestato da migliaia di gazawi, alla ricerca di beni di sussistenza nella vicina città di El Arich, nel nord del Sinai. Commenta Amr Hashem Rabie, analista politico del Centro studi politici e strategici Al-Ahram del Cairo: «Hanno un bel da dire, le autorità egiziane, che il presi-
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di Federica Zoja dente Moubarak in persona ha autorizzato il passaggio dei palestinesi per ragioni umanitarie. In realtà, non c’era alternativa. Era impossibile pensare di resistere». Impietosa la descrizione che Rabie fa delle forze egiziane, «mal equipaggiate, meno attrezzate dei servizi di Hamas, impotenti di fronte alla rabbia e alla disperazione di centinaia di migliaia di persone». Che la situazione fosse incandescente era noto da tempo, a tal punto che dal Cairo erano partite numerose richieste agli alleati occidentali «per avere un supporto al confine con la Striscia». L’assedio totale decretato da
Tel Aviv alla fine della scorsa settimana ha poi fatto precipitare gli eventi: «Il cedimento del confine di Rafah - spiega l’analista - deve essere interpretato come un messaggio egiziano rivolto a tutto l’Occidente: Onu, europei, americani. Bisogna trovare una soluzione concordata al conflitto israelo-palestinese, perché il rischio è che la crisi travalichi i confini oltre le previsioni». Non si stupisce, Rabie, del silenzio dell’alleato storico dell’Egitto, gli Stati Uniti, in queste ore di gravi difficoltà: «È l’Europa che di solito si muove sull’onda della difesa dei diritti umani», com-
menta con malcelata ironia. Anche per Israele, però, «deve essere chiara la portata simbolica del crollo della barriera». Alla pressione “incondizionata” esercitata per settimane su un milione e mezzo di persone «deve essere trovata una soluzione alternativa», se non altro perché «non produce risultati positivi per Israele». Per il momento, il regime del presidente egiziano Hosni Mubarak sembra aver scongiurato un rischio sul fronte interno: la strumentalizzazione, da parte della potente Fratellanza musulmana, dell’emergenza umanitaria a Gaza per accendere gli animi dell’opinione pubblica.
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economia
Il nesso tra maxi pressione fiscale e crisi della domanda interna
TARTASSATA LA VOGLIA DI SPENDERE di Gianfranco Polillo e tasse? Un salasso. Lo sviluppo? Poco. Ha poco da rivendicare Romano Prodi, perché c’è soprattutto questo nella bisaccia di un governo in agonia, che soffoca nei miasmi della spazzatura e nello sconcerto internazionale. Questo, ma non solo. Avrà anche ragione Giulio Tremonti, quando dice che non sono i governi a fare lo sviluppo, eppure Prodi poteva fare qualcosa di più. Poteva approfittare delle occasioni che manda il buon Dio, senza sprecarle per mantenere unita una maggioranza instabile. Poteva, per esempio, guardare con maggior disincanto ai dati della congiuntura e fare scelte che ne favorissero l’andamento, invece, di gelarne le prospettive.
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Finora i buoni risultati dei conti hanno fugato queste preoccupazioni. La grande messa di entrate ha ridotto il deficit ben oltre le previsioni. Poi l’Istat ha reso noto gli ultimi dati, e quando Bankitalia li ha inseriti nel suo modello di previsione c’è stato un brusco risveglio: non cresceremo più dell’1 per cento. Quest’anno il tasso di sviluppo sarà dell’1,9 per cento come nel 2007, ma soltanto grazie a un numero maggiore di giorni lavorativi. Altrimenti la flessione sarebbe dello 0,2. Scherzi del calendario, ma anche un’indicazione prospettica per porre fine alla lunga fase di deca-
denza che il Paese sta vivendo. Un declino che non si può superare affidandosi alla semplice “redistribuzione sociale”. Che deve avvenire, ma in un contesto generale orientato alla crescita e allo sviluppo complessivo. È stato un errore paventare, come ha fatto Tommaso Padoa-Schioppa nel suo primo Dpef, un ritorno al 1992. Da un lato, quella cupa prospettiva deprimeva. Dall’altro, la situazione era radicalmente diversa, perché in grado di produrre, fin da allora, quei “tesoretti” che hanno allietato que-
e aveva raggiunto il suo culmine nel primo trimestre del 2007. Trainata dalle esportazioni, aveva bisogno di consolidarsi favorendo consumi e investimenti. Invece si sono messe le mani nelle tasche degli italiani, scelta costata ai contribuenti qualcosa come 45 miliardi di euro, 3 punti di Pil stando ai dati relativi all’aumento della pressione fiscale. Era necessario tanto zelo? TPS e Vincenzo Visco dicono di sì. Sostengono che la lotta all’evasione fiscale – giusta e sacrosanta – ha portato nelle casse dello
Negli anni del centrodestra la crescita risentiva per il basso livello delle esportazioni. Ora l’alleggerimento dei salari, dovuto all’aumento delle tasse, rallenta il Pil. È questa l’eredità di Prodi, che non ha sfruttato la ripresa sto primo anno e mezzo della legislatura. L’altro errore è stato quello di non restituire l’eccesso fiscale, ma di disperderlo in mille rivoli. A partire dal provvedimento scellerato – 40 miliardi in 10 anni – che ha ridotto l’età per il pensionamento. Ne è derivato uno choc che ha depresso l’economia proprio nel momento in cui c’era bisogno di sostenerla. La bella stagione dell’economia italiana era iniziata nella seconda metà del 2005
Stato quasi 20 miliardi di euro. Se fosse così, invece di un prelievo generalizzato, le conseguenze sugli andamenti congiunturali non sarebbero stati devastanti. Avrebbero, infatti, pagato i contribuenti disonesti, mentre la maggioranza dei cittadini italiani, che con le tasse sono in regola, non avrebbero contratto i consumi mentre si abbatteva la crisi mondiale dei subprime. Come se ne esce? Occorre ridare fiducia, riconoscendo onestamente gli erro-
ri commessi e voltare pagina. Far comprendere che la crescita, ossia la sua ripresa, è la chiave di volta che risolve i problemi. Essa può essere soltanto la conseguenza dei comportamenti individuali, su cui la politica economica può incidere, incentivando le azioni più virtuose. Occorre dire ai contribuenti che la pressione fiscale ha raggiunto ormai un limite invalicabile e che si farà del tutto per abbatterla.
La stessa lotta contro l’evasione deve portare a una progressiva riduzione delle aliquote e non scrivere un ulteriore capitolo del dirigismo sociale. Occorre poi incentivare lavoro e produttività, detassando straordinari e incrementi salariali dovuti alla maggior produttività. Provvedimenti che non possono essere uno spot, ma solo il primo passo verso la riduzione generalizzata del carico fiscale. Aumento della produzione, quindi del reddito, e taglio delle spese: non si esce da questo dilemma. Ogni tentativo diverso allunga solo l’agonia, in attesa di un’inevitabile prossima crisi, i cui allarmanti segnali si colgono nella caduta delle Borse. E con la crisi riemergeranno, nel 2008, i problemi della finanza pubblica: fragilità, che un risanamento, tutto basato sulla politica del “tassa e spendi”, non è riuscito a debellare.
Gazprom conquista la maggioranza della serba Nis e apre la strada al gasdotto South Stream. Cresce il peso della Russia in Europa
Energia, lo scacco di Mosca a Belgrado frena i piani di Usa Con l’acquisizione da parte di Gazprom del 51 per cento dell’azienda gaspetrolifera serba Nis, il Cremlino rafforza la sua strategia energetica in Europa. Il suo obiettivo è aumentare il livello d’interdipendenza con i Paesi europei, tutelando i propri interessi. E lo fa dando; da un lato, alla Ue un “forte” contentino in termini di approvvigionamento e finanziari; dall’altro, aumentandone la dipendenza dall’energia russa. Mosca però non può tirare troppo la corda. Visti i prezzi del greggio e le oscillazioni del mercato, non può permettersi di perdere l’Europa, primo mercato energetico al mondo. La fusione Gazprom-Nis profila una mezza sconfitta per la
Altalene Aprendo con un calo del 5 per cento, Wall Street ha dimostrato che la volatilità dei mercati andrà avanti per molto tempo. E soprattutto che non hanno avuto effetti sull’altalena delle Borse il taglio di 75 punti base ai tassi da parte della Fed o il piano di intervento di Bush da un punto di Pil. I mercati si aspettono da Bernake tassi vicini al 2,25 per cento e dalla Casa Bianca misure, leggi aiuti, pari al doppio. Troppo per un’economia, quella americana, che già da prima dei subprime sta facendo pagare all’estero il suo deficit di domanda con il dollaro debole. Un altro elemento di incertezza che non ci voleva.
Ue e un rischio di isolamento per gli Usa nei Balcani. L’accordo Mosca-Belgrado rappresenta una tappa fondamentale per la costruzione del gasdotto russo South Stream. Esso, attraversato il Mar Nero e la Bulgaria, sarà diviso nel ramo Sud (Grecia-Italia) e in quello Nord (Romania-Ungheria-SerbiaAustria), convogliando in Europa 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno. La Ue acquisterà più sicurezza negli approvvigionamenti, ma così non ridurrà la propria dipendenza da Mosca. Da ciò era nato il suo interesse verso il Mar Caspio (Iran incluso) e Africa Settentrionale. Inoltre lo slittamento del rinnovo dell’accordo di cooperazione e parte-
nariato Ue-Russia ha favorito Mosca, che si è assicurata nuovi contratti bilaterali di fornitura di energia con Paesi europei. E nel medio-lungo periodo, in un’ottica di isteresi dei prezzi, il fallimento della Ue potrebbe anche causare recessioni economiche. Per gli Stati Uniti si deve parlare di mezzo isolamento regionalistico. L’arrivo del gas russo in Austria porterebbe al quasi congiungimento con il ramo anseatico del gasdotto baltico (russo-tedesco) North Stream, con il quale Gazprom aumenterà dal 25 al 30 per cento la sua quota in Europa. Nella visione geoenergetica del Cremlino il South Stream si oppone ai progetti americani – princi-
palmente il Nabucco – di trasportare idrocarburi da Kazakhstan e Turkmenistan via Turchia-Mediterraneo, aggirando il territorio russo. Senza dimenticare che in questo scenario l’Eni, che ha osteggiato il Nabucco, ha da poco dato origine con Gazprom a una società paritetica per definire la fattibilità del South Stream. Il Cremlino usa l’energia come “arma”politica, come bastone e carota. E alle preoccupazioni degli Usa si unisce il fatto che Mosca considera l’Europa una mera espressione geografica, disegnata come una scacchiera geoenergetica con rotte favorevoli ai suoi interessi. Nel mezzo fallimento di Bruxelles c’è anche questo. (D.U.)
cultura
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Luoghi della memoria: il Mediterraneo
Grande Nostro Mare, ti stiamo uccidendo l’anima di Gennaro Malgieri o cercato di guardare al Mediterraneo sempre con gli occhi dell’uomo del passato. E mi sono finto – dallo scoglio di Malta, alle rive del Peloponneso, dalle nere spiagge siciliane, dalle isole egee, dalle insenature turche, dai golfi africani – viaggiatore nello spazio liquido alla ricerca di rotte antiche sulle quali indirizzare il mio percorso sentimentale, convinto che è il Mediterraneo il grembo nel quale sono stato concepito. Perciò è mare dell’amore, sacro come ciò che dà la vita e la vita si riprende alla fine. Che poi io sia occidentale, europeo, greco, romano e cristiano poco importa. Potrei essere orientale, asiatico, politeista o islamico. Oppure scuro di carnagione, dionisiaco d’indole, levantino di costumi. Resterei sempre mediterraneo: l’identità indiscutibile di culture e civiltà che l’uomo del passato percepiva non conflittuali guardando il suo mare, come vorrei percepirle io quando mi affaccio sullo stesso mare, anzi mi
H
getto in esso e da esso mi faccio possedere. E vorrei perdermi, con l’antico osservatore, tra i flutti o nelle burrasche; riemergere con lui tra nuove avventure sacrificando all’unico Dio senza dimenticare le divinità ancestrali dei padri che indirizzarono le vele verso porti sicuri. E poi vorrei ritrovarmi tra rovine amate come dentro casa mia, in compagnia di cantastorie egizi, fenici, anatolici, africani, ispanici, greci, dove le pietre scaldano come le religioni che custodiscono. Da Creta alla Sicilia alle Baleari vorrei navigare in linea retta come i fenici, raccogliendo le inquietudini del Mediterraneo, ma senza soffermarmi, con il rischio di perdermi e congedarmi dalla mia stessa anima, come Ulisse nei porti della virtù e del vizio. Per quanto, da antico abitante marino, dovrei rendere omaggio all’eroe che l’ha solcato, primo ed ultimo danzatore sulle onde tra guerre ed amori. Nessuno di noi, dopo di lui, tramontata l’età dell’oro, è stato una cosa sola con il Mediterraneo. L’alba è durata millenni e non s’è mai visto un altro veleggiare sostenuto da venti e da Dèi. Soltanto nel 1571 l’Unico spinse la Verità alla vittoria, mettendo fine alla più cruenta guerra civile mediterranea, quella tra le religioni, le civiltà, le culture figlie dello stesso mare. Sei anni prima, gli usurpatori del cuore e della ragione, si erano arenati davanti a Malta, difesa da un manipolo di cavalieri con la croce sul petto. Oggi si raccolgono frantumi sulla superficie liquida della nostra storia. E le parole di Fernand Braudel acuiscono la nostalgia per ciò che non c’è più o che non riconosco più: “Che cos’è il Mediterraneo?
Mille cose al tempo stesso. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma una successione di mari. Non una civiltà ma più ci-
del ferro che l’hanno attraversato. Ma a differenza del passato, oggi non riesce a trovare un “centro ordinatore” in grado di indirizzare la convivenza tra i popoli nel senso della pace “non indifferente”, ma consapevole, fondata cioè sulla conNel 1540 Carlo V giunse davanti ad vivenza nella quale le culture abbiano Algeri, il mare in tempesta fece scontra- riconoscimento e la vitalità di ogni etnia re due delle sue navi: l’imperatore ab- si armonizzi in un contesto di tolleranbandonò, presago di un disastro più za. Difficile, naturalmente. Ma da uomo grande se si fosse ostinato nel tenere la del passato che ne ha viste tante, so che rotta che si era prefisso. Oggi mi affac- se l’Unione europea si sviluppa senza cio sulle alture che dominano la baia tener conto della sua “culla” mediterrad’Algeri: abbagliato dal sole, scosso im- nea diventa perfino impossibile immaprovvisamente da una fragorosa esplo- ginare un destino diverso per il nostro sione nel cuore della città, nelle strade mare, considerato come una vera e proeuropee, tra passanti musulmani, cri- pria “linea di faglia” da abbattere per stiani o non so cosa. Il sangue lo vedo omologare genti, costumi, tradizioni, linguaggi - la sua ricchezza seducente – scorrere come torrenti secondo stereotipi culturali e prepolitici d’acqua sporca dove si estranei al modo d’essere dei popoli mecalpestavano gioie e diterranei. Manca, insomma, un princidolori nel sogno di una pio ordinatore in graliberazione che è stata do di far diventare il l’anticamera della traMediterraneo un “progedia: meglio i popoli Era il mare sacro getto”. Per quanto ben vivi che quelli uccisi dell’amore, crocevia ispirate, le numerose dall’odio. convenzioni stipulate Dalla baia d’Algeri a di culture, negli ultimi anni non Beirut, da un capo alhanno sortito gli effetl’altro del Mediterrareligioni e civiltà. ti sperati. Per il semneo, lambendo le coste plice fatto che nessun italiche ed ispaniche, Oggi la sua identità governo ha consideral’inquietudine si tocca to il Mediterraneo per con mano, sfiorando il è indecifrabile, quello che è, vale a dipelo dell’acqua. Le ciforse addirittura re il “luogo”dell’inconviltà non si riconoscotro dove Oriente e Ocno più. Anzi si detestanon c’è più cidente, Cristianità e no. Ed i popoli si offroIslam, Sud e Nord del no alla considerazione mondo, avventure deldell’uomo antico che li lo spirito e disavvenosserva come soggetti insoddisfatti. Nel ture dell’intelligenza Mediterraneo si addensano parole e criincrociano le loro difmini: i fiori dell’amore e della musica e della poesia che pure ingentilivano le ferenze e le loro speranze. crudeltà imperiali, papali o musulmane e lo Stupore del mondo benediceva l’ar- Si può dire che soltanto Roma abbia te come Adriano il conquistatore, sono compreso la “crucialità” del Mediterrascomparsi perfino nei recessi della me- neo. Ma Roma non è più da molto temmoria. L’identità del Mare Nostro è in- po “principio ordinatore”. Da essa non decifrabile, forse non c’è più. Al suo po- passa la Storia. E all’ombra delle immasto rileviamo un lungo lamento che ci fa gini del passato non sboccia neppure capire come la storia sia finita da un’idea che sia in grado di esercitare atun pezzo; la storia di un porto trazione per quanti cercano occasione senz’anima dove s’incrociano traf- di pacificazione. Chi può dispiegare fici indifferenti ai popoli che sulle quel “potere che trattiene”, come diceva sue rive s’affacciano e vivono nel San Paolo, il potere che impedisce il didisinteresse dei padroni del mon- sordine totale? do. E’ stato detto che oggi i Paesi Torno sui miei scogli. Inquieto. Come i del Mediterraneo non hanno altro miei contemporanei. Si sta male nel in comune che l’insoddisfazione di chi cuore di un mare che non si può solcale popola. Forse si dovrebbe aggiungere re. Ascolto Bach, talvolta, interpretato che esso è il contenitore di conflitti i cui da una grandissima pianista turca scorumori con difficoltà la vecchia Europa, perta in una freddissima notte ad Ankarassicurata dal fatuo e pericolante be- ra. Le “Fughe” sono europee, lo spirito è nessere che produce, percepisce in ma- orientale. Come gli strumenti che l’acniera non adeguata. Eppure dalle sue compagnano. L’effetto è sublime. Si sponde risuonano grida che il Mediter- chiama Anjelika Akbar. L’incontro è raneo ha già conosciuto nelle molte età possibile, allora. viltà ammassate l’una sull’altra. Il Mediterraneo è un antico crocevia. Da millenni tutto è confluito verso questo mare, scompigliando e arricchendo la sua storia”.
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opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog LA DOMANDA DEL GIORNO
Cris i di maggioran za, si an drà o no al voto? Prodi stia tranquillo. Unipol è pronta a garantirgli assistenza psicologica post-traumatica Pare che l’Unipol, l’assicurazione preferita di D’Alema, abbia ideato un programma di garanzia di assistenza psicologica post-trauma da incidenti stradali. Il progetto si chiama ”Ti vogliamo bene”, ed è il primo nel panorama assicurativo europeo. Pare che il primo ad aderire sia stato Romano Prodi. Impegnato nel percorso accidentato di Palazzo Madama, non sa se riuscirà a riprendersi dal posttrauma del voto di fiducia. Sabrina Fantauzzi Per il bene della democrazia serve il coraggio di correre verso il referendum Spero davvero il presidente Berlusconi resista alla tentazione delle urne. L’unica soluzione per il nostro disastrato paese è il referendum: il partito che prende più voti ha la maggioranza anche in Parlamento. Basta con i ricatti di cespugli e cespuglietti vari. Per fare le riforme serve un partito coeso, come è Forza Italia, che abbia i numeri per portarle avanti anche contro tutto e tutti. Il presidente Berlusconi deve anche ricordarsi come è andata la campagna elettorale nel 2006. La sconfitta della Casa delle Libertà è colpa di Fini e Casini. Con il referendum i due “servi sciocchi” saranno spazzati via dal gioco politico e finalmente la nostra democrazia comincerà a funzionare come mai ha fatto in questi sessant’anni: chi prende più voti governa. Per farlo, però, serve coraggio. Il coraggio di dire no a un immediato ricorso alla urne. Il coraggio di formare un governo di transizione con l’odiata sinistra. Il coraggio di non andare gioiosi verso una vittoria di Pirro che porterebbe il Cavaliere ad avere gli stessi problemi di Prodi. Sotto scacco non di Rifondazione e Verdi ma dei democristiani di Casi-
ni e degli ex-fascisti di Fini. Presidente mi ascolti e per il bene del nostro Paese, che lei ama quanto me, corra verso il referendum! Marco Valensise Prima pazientare, poi godersi la precipitosa ritirata di Romano Prodi Gentile direttore, chi scrive è un pensionato ”ricco”punito da Prodi e compagni per redistribuire 40 centesimi al giorno ai pensionati poveri. Immagini quanto lo ami. Però non sono favorevole all’immediato sfratto; aspettiamo ancora un poco e vedrà che la ritirata sarà precipitosa. A suon di calci. Metaforici s’intende. Jean Jacque Non si andrà al voto fin quando non ci sarà una legge elettorale comoda al Pd Spero si possa andare a votare, ma se guardo il comportamento di Prodi che chiede la fiducia alle Camere rifiutandosi di dare le proprie dimissioni negando l’evidenza dei fatti, e sproloquiando su quanto fatto da questo governo di inetti, allora mi deprimo quanto basta per credere che non andremo a votare in tempi brevi. Innanzitutto perché non c’è una nuova legge elettorale che possa fare comodo al neonato Pd, fondamentale allo stato odierno dei fatti politici, e poi perché non sono ancora passati due anni sei mesi e un giorno, tempo occorrente ai governanti per assicurarsi la pensione, e quando si tocca il portafoglio, non si scherza più. Ma poiché le cose cambiano di ora in ora e la speranza è l’ultima a morire, prima o poi , sono certa che ci libereremo dell’attuale governo e speriamo definitivamente. Gloria Pellacani
LA DOMANDA DI DOMANI
I p o l i t i c i l i t i g a n o , g l i i t a l i a n i su b i s c on o . C ’ è a n c o r a s p e r a n za ? Rispondete con una email a redazione@liberal.it
TRA SOGNO E REALTA’ L’IDEA DI UN PAESE NUOVO C’è solo un modo per uscire dal pantano della vita politica ed istituzionale cui sembra relegata la nostra attuale fase storica: realizzare un sogno. Il sogno di una maniera nuova di vivere con impegno e partecipazione il nostro essere uomini sociali; il sogno di un nuovo soggetto politico, che vuol dire un soggetto pensante, inclusivo, trasversale, di pressione sulla coscienza sociale e collettiva. In un periodo in cui tutti parlano di antipolitica e spesso “scimmiottano” l’antipolitica si avverte sempre più il bisogno di politica con la “P”maiuscola. Ancor più c’è bisogno di riscoprire la cultura della politica ed insieme quella del lavoro e della meritrocazia. C’è bisogno di buona politica, di serietà, di coerenza e qualità che, rispettivamente, declinano in dialettica interna, formazione e meritocrazia. Il nostro appare un Paese vecchio non solo dal punto di vista anagrafico. Vecchio di idee, incerto sul futuro, incapace di far sognare! E’ necessario, invece, tornare a sognare e a far sognare. Uscire dai luoghi comuni di una politica ed un’informazione che ci vuo-
Il vero problema in Italia è la magistratura Direttore, il vero grande malato della Repubblica è la nostra magistratura. È politicizzata e tutti i magistrati che sono entrati in politica sono situati a sinistra. Ignoranti: basti sentire parlare Di Pietro. Esibizionisti: basti accendere la Tivù per vedere un qualsiasi magistratucolo sentenziare su tutto. Infine deresponsabilitati dalla Costituzione: sono soggetti solo alla legge: sic! Neppure un referendum straperso (dai magistrati) è servito a renderli responsabili dei loro errori. Le chiedo: perché il suo giornale non apre un dibattito in proposito? Grazie dell’ospitalità. Filippo Arcesi L’ignoranza dei nostri giovani? Figlia del ’68 Nel 1970 mi sono laureata in medicina all’Università “La Sapienza” di Roma. Ho vissuto quindi il famoso Sessantotto nell’Ateneo. Sono stata avvicinata un giorno da un subdolo studente che proponeva a noi, attraverso me, il voto ”politico”. Ho risposto che darci una pistola in mano sarebbe stata la stessa cosa. Ma so per certo che allora, in altre facoltà, il voto politico fu accettato. Ora ne paghiamo le conseguenze. Lettera firmata Le attrazioni semantiche di Ciber Mastella Caro direttore, ma secondo lei Clemente Mastella, una volta sfuggito alla muta di lapidatori ex governativi (e in quanto tali piuttosto nervosi), potrà raggiungere il pianeta Marte e stringere un’alleanza ciber-elettorale con il robottino Spirit? In caso di buca potrebbe ripiegare sul gemello Opportunity. Nina Ghigliottina Chi vuole rappresentare il popolo ci metta la faccia, ma solo per due mandati Giuro: non voglio essere disfattista; e non voglio nemmeno fare del
dai circoli liberal
le “sudditi”di un pensiero dominante, che vuole imbrigliare la libera formazione delle nostre coscienze. Dobbiamo porci come coscienza critica all’interno del nostro stesso raggruppamento perché solo così potremo essere seri contraddittori dei nostri antagonisti. C’è bisogno, quindi, di politica e di passione; ma soprattutto di una nuova classe dirigente e di chi si assuma il compito di formarla. C’è bisogno di qualità e questa non ha età. I giovani devono pretendere spazio, ma soprattutto formazione, travasi di esperienze e di consigli. Di un patto tra generazioni, di una riscoperta del senso vero del bene comune. Di realizzare una democrazia sostanziale, sociale, partecipata; di una giustizia che non legittima il potere perché c’è, guardando al passato, ma che si basi sul consenso ad un potere democratico dato in base al futuro, in base a programmi da realizzare ed a bisogni da soddisfare. Un potere, quindi,“revocabile” poiché “senso dello Stato” vuol dire “senso dell’uomo” non senso del potere. Tra sogno e realtà credo che questi possano essere i frammenti con i quali costruire un Paese nuovo, nel quale chiedere alla nostra attuale classe di-
QUI LO DICO In risposta a quanti ne criticavano l’abitudine di generare tonnellate di inquinamento ad ogni viaggio in aereo, il principe Carlo ha presenziato al summit mondiale sull’ambiente sotto forma di ologramma. Nonostante le nobili intenzioni, la sagoma parlante del reale ha prodotto sbuffi di ilarità e feroci sberleffi. Ovunque tranne che in Italia, dove il ministro degli Interni Giuliano Amato ha manifestato la ferma intenzione di adottare la nuova tecnica. ”L’ologramma ci farà risparmiare migliaia di euro – fanno sapere – Pensate, il ministro Pecoraro Scanio potrà tornare in Campania tutte le volte che vuole, senza bisogno di una scorta”.
sarcasmo fine a se stesso. La mia ipotesi al contrario è assolutamente seria.Vogliamo farla finita con questa classe politica? Benissimo. Vietiamo per legge i partiti. Quelli presenti e quelli futuri, con tutti i loro apparati di carrieristi grandi e piccoli (e minuscoli), con le loro legioni di deputati, senatori, consiglieri regionali, provinciali, comunali e, financo, municipali. Chi vuole rappresentare il popolo si deve presentare a titolo personale e, se eletto, deve votare solo ed esclusivamente a scrutinio palese. In altre parole, ci deve mettere la faccia. Quanto ai reati contro la pubblica amministrazione ci vuole un iter giudiziario semplificato e draconiano: un solo grado di giudizio, direttamente in Cassazione, e sanzioni esemplari che comportino, anche per la più lieve condanna penale, l’immediata e definitiva perdita dei diritti politici. Come si dice, il medico pietoso fa la piaga purulenta. Dimenticavo: due mandati e a casa. Al massimo, il danno si esaurisce in dieci anni. Vittorio Franchetti
rigente di essere coraggiosa e lungimirante aprendo le porte a nuove energie e realizzando quel definitivo incontro liberale tra laici e cattolici: il solo capace di comporre il mosaico espressivo della democrazia del futuro. Occorre far presto. Perché se le diverse identità ed eccellenze non si ricongiungono, a cadere non sarà solo l’ennesimo Governo ma tutto il Paese. Avvocato Ignazio Lagrotta PRESIDENTE CLUB LIBERAL BARI
APPUNTAMENTI BARI - 28 GENNAIO 2008 Aula Aldo Moro - Facoltà di Giurisprudenza piazza Cesare Battisti 1 Presentazione del libro ”Fede e Libertà”, di Ferdinando Adornato e Rino Fisichella ROMA - 31 GENNAIO-1-2 FEBBRAIO 2008 Università Lateranense, Tempio di Adriano, Palazzo dei Congressi Meeting internazionale ”Cambio di stagione: 1968-2008, quarant’anni dopo”
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”Lucilio caro, m eglio stare soli con se stessi. C hi è dappe rt ut to non è da nes s una part e” Lucilio caro, da quanto mi scrivi e da quanto sento, nutro per te buone speranze: non corri qua e là e non ti agiti in continui spostamenti. Questa agitazione indica un’infermità interiore: per me, invece, primo segno di un animo equilibrato è la capacità di starsene tranquilli in un posto e in compagnia di se stessi. Bada poi che il fatto di leggere una massa di autori e libri di ogni genere non sia un po’ segno di incostanza e di volubilità. Chi è dappertutto, non è da nessuna parte. Procurati ogni giorno un aiuto contro la povertà, contro la morte e contro le altre calamità; e quando avrai fatto passare tante cose, estrai un concetto da assimilare in quel giorno. Povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più. Cosa importa quanto c’è nel forziere o nei granaî, quanti sono i capi di bestiame o i redditi da usura, se ha gli occhi sulla roba altrui e fa il conto non di quanto ha, ma di quanto vorrebbe procurarsi? Mi domandi quale sia la giusta misura della ricchezza? Primo avere il necessario, secondo quanto basta. Stammi bene. Seneca a Lucilio
Gli italiani percepiscono il potere come estraneo Vi chiedete se “C’è ancora l’Italia”. Io mi domando se c’è mai stata. Nel senso che forse una capacità degli italiani di sentirsi parte di uno Stato, responsabili delle sue scelte, manca da sempre. Diciamo pure da secoli. Se gli italiani di oggi fossero davvero in grado di sviluppare un senso civico la casta sarebbe già sconfitta. Non ci sarebbe stato bisogno di rivoluzioni sanguinarie ma di un moto d’indignazione organizzato politicamente. E invece il massimo che abbiamo saputo esprimere è il popolo di Beppe Grillo. E credo che sia andata così non per un caso ma perché è questa la vocazione del nostro Paese. Arrabbiarsi, esprimere distacco e rabbia contro le istituzioni senza decidere di fare alcunché per cambiarle. Mi chiedo se questo non dipenda dal fatto che per anni in Italia hanno dominato sovrani stranieri. E se dunque nella psicologia dell’Italia non si sia consolidata appunto l’idea di non poter influire in alcun modo sulle scelte del potere. L’Italia, intesa come nazione di un popolo sovrano, è di fatto solo un vago ologramma. Giada Mottarelli
di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
La sinistra fa risorgere il nostro cinema: ai prossimi Oscar neanche un film italiano Caro direttore, non ricordo in quale giornale di ieri, ma in verità su tutta la stampa allineata, si legge continuamente come il nostro cinema sia risorto, quanto sia divenuto vivace da quando la sinistra è al potere. In effetti i risultati sono evidenti: ai prossimi Oscar nella cinquina che premierà il miglior film straniero non c’è alcun film italiano. Marcello Siniscalchi Stadi vuoti, colpa degli ultras La sudditanza nel calcio continua. Abbiamo mandato giù la Juventus, l’abbiamo fatta pagare alla squadra del Cav, abbiamo azzerato
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la classe arbitrale chiamando il salvatore Collina, e oggi cosa succede? L’Inter fa come gli pare e gli arbitri continuano ad essere schiavi dei poteri forti. Almeno una partita all’Inter gliela potevano far perdere. E poi dicono che la colpa degli stadi vuoti è dei tifosi violenti. Cordialità. Leale Opposto Quando ci si occuperà anche dei mendicanti bambini? Come al solito in Italia si perde tempo nelle polemiche inutili e nelle chiacchiere politiche. Intanto le cose importanti passano in secondo piano. Esiste infatti un esercito invisibile di bambini e bambine che ogni giorno “invadono” le nostre città e vengono sfruttati per l’accattonaggio, il lavoro nero, la prostituzione. Ma sembra che non esistano. Nessuno se ne occupa. Quando ci vengono a chiedere la moneta neanche li guardiamo più negli occhi. E chi gli dà i soldi mantiene questi piccoli bimbi nella schiavitù della catena dell’elemosina. Ma la politica non se ne occupa. Anzi, l’esercito degli invisibili è sempre in marcia come se nulla fosse, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Il buonismo di sinistra non fa nulla, poche persone del centrodestra cercano di fare qualcosa contro tutti. Forse però tutta questa gente e tutto il popolo italiano non ha mai guardato negli occhi questi bimbi. Proviamo a farlo, vedremmo sguardi spenti, angoscia e disperazione. Forse solo allora le parole potrebbero diventare fatti e tutti riusciremmo a capire quanto sia fondamentale combattere per i diritti dei minori. Salvaguardare i piccoli significa combattere anche per il futuro dei nostri figli e dei figli dell’Europa. Vittorio Romano
Qualunque cosa tu possa fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia JOHANN WOLFGANG GOETHE
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
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Giancristiano Desiderio, Alex De Gregorio,Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Angelo Mellone, Assuntina Morrese, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di L’ITALIA CHE SOGNIAMO Un’Italia diversa, moderata, unita. Un’Italia capace di raccogliere la sfida della transizione senza isterismi, un’Italia capace di coniugare la dialettica politica e l’interesse generale, un’Italia capace di essere protagonista del suo futuro, un’Italia forte e coesa che sa di essere in difficoltà ma che sa anche di potercela fare. È l’Italia tratteggiata oggi nel coraggioso editoriale di Ferdinando Adornato per il primo numero di Liberal Quotidiano.“C’è ancora l’Italia?”si chiede in apertura la nuova creatura della Fondazione Liberal. Sembrerebbe di si, ma è un’Italia che non vogliono raccontarci, che non vogliono farci intravedere. Quello che sognano Adornato e Foa, e noi con loro, è un paese capace di prendere coscienza del fatto che ci sono alcune cose da fare, indipendentemente da chi le propone, per il bene comune di quella che ci ostiniamo a chiamare Nazione. E allora serve davvero un nuovo patto costituente. Se la Carta del 1948 è stata il documento fondante della nostra Patria, adesso serve uno sforzo ulteriore. Questa nazione così giovane e già così vecchia ha bisogno di consacrarsi all’altare dei protagonisti del nostro tempo:per farlo serve una classe dirigente nuova, in grado di capire che il Muro di Berlino è crollato, che le ideologie sono mutate e che c’è bisogno di idee nuove, prima di tutto sul centrodestra. Una coalizione che dovrà essere capace non solo di vincere le elezioni sfruttando la logica dell’alternanza ma anche di vincere la sfida del Governo. Promettere non basta più, occorre realizzare riforme strutturali che richiedono sacrifici e grande capacità di sintesi politica e che, proprio per questo, non possono essere fatte da uomini soli al comando contro tutti. Questo Centrodestra, come questo Paese, non ha più bi-
Società Editrice Edizione dell’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio La Grotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio di segreteria: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Poligrafico Europa s.r.l. Paderno Dugnano (Milano) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania
sogno di Leader.Ha bisogno di Leadership,che è cosa ben diversa. Serve uno sforzo comune perchè i guizzi di un grande campione come Berlusconi si inverino in una classe dirigente capace di guidare il cambiamento e di guardare con orgoglio al futuro. Freedomland www.freedom-land.it INTRIGHI DA BASSO IMPERO Benchè gli intrighi da basso impero di Prodi mi faccian temere di doverlo sopportare ancora mi riconsolo ascoltando i discorsi da campagna elettorale dei membri del PD. Discorsi che mostrano, oltre alla consapevolezza di non riuscire a mantener in piedi la baracca, una svergognata faccia tosta nel mentire agli italiani. L’esempio più eclatante si è avuto ieri sera ascoltando la Bindi a Ballarò. I mantra ripetuti sono: 1) Abbiamo ridotto il deficit. Balla colossale. Tremonti, come certificato dall’Europa, ha lasciato un deficit al 2,4%. Il falso contabile relativo all’Iva automobili, ha finto di gonfiarlo al 4,4%; 2) Abbiamo diminuito la disoccupazione, grazie però ad un certa legge Biagi che parte dell’Unione ha tentato di affossare; 3) Abbiamo diminuito la pressione fiscale. Non comment per la spudoratezza. Grazie all’imbroglio del punto 1, sono state saccheggiati i ceti produttivi, la maggior parte degli italiani, per finanziare le riserve clientelari di voti dell’Unione; 4) Abbiamo fatto crescere l’Italia. Con il collasso della domanda interna abbiamo sprecato la congiuntura favorevole dell’economia mondiale. Se sarà campagna elettorale, bisognerà lottare contro questi venditori di fumo. Fortuna o meglio purtroppo gli italiani han provato la verità sulla loro pelle. The Brugnols brugnols.splinder.com
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1968-2008 quarant’anni dopo
L’APERTURA 31 GENNAIO • ORE 15,00 UNIVERSITÀ LATERANENSE • PIAZZA S.GIOVANNI IN LATERANO, 4 SALUTO
INTRODUTTIVO
Monsignor Rino Fisichella
Siamo ancora prigionieri di vecchie e false idee È arrivato il momento di voltare pagina
INTERVENTI André Glucksmann Michael Novak Lorenzo Ornaghi Krzysztof Zanussi presiede Renato Cristin IL DIBATTITO
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FEBBRAIO • ORE 09,30 TEMPIO DI ADRIANO • PIAZZA DI PIETRA
RELAZIONI/L’IDEOLOGIA Renzo Foa Gennaro Malgieri Monsignor Luigi Negri DISCUSSANT Renato Brunetta, Enrico Cisnetto, Lucetta Scaraffia FORUM/MEDIA E CULTURA Ferruccio de Bortoli Mauro Mazza Roberto Napoletano Gianni Riotta presiede Andrea Mancia
MEETING INTERNAZIONALE
CAMBIO DI STAGIONE ROMA • 31 GENNAIO 1 e 2 FEBBRAIO 2008
IL DIBATTITO FEBBRAIO • ORE 15,00 TEMPIO DI ADRIANO • PIAZZA DI PIETRA 1
RELAZIONI/LA VITA Francesco Alberoni Sergio Belardinelli Eugenia Roccella DISCUSSANT Giuliano Cazzola Assuntina Morresi Marcello Veneziani FORUM/I RAGAZZI DEL 2008 Mara Carfagna Giorgia Meloni Paolo Messa Gian Luigi Paragone presiede Angelo Crespi LE CONCLUSIONI 2 FEBBRAIO • ORE 10,00 PALAZZO DEI CONGRESSI VIA DELLA PITTURA Ferdinando Adornato José María Aznar Pier Ferdinando Casini Gianfranco Fini introduce Giuseppe Gargani presiede Angelo Sanza
fondazione