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he di cronac
La forza non ha luogo dove c’è bisogno di abilità Erodoto
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 13 GIUGNO 2012
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Christine Lagarde lancia l’ultimatum: «Abbiamo solo novanta giorni, i mercati ci giudicano troppo lenti»
L’Italia alza la voce Il Colle: l’Ue non è solo Berlino e Parigi. L’Fmi: tre mesi per salvare l’Euro Napolitano: «In momenti così difficili, non possono decidere in due». Monti irritato con il governo austriaco che aveva ipotizzato nuovi “aiuti a Roma”. Attacco ai nostri titoli, lo spread vola a 473 Oggi, per tre volte, sul maxi emendamento
Domani un convegno sulla scrittrice: anticipiamo alcuni suoi inediti
Corruzione, il giorno delle fiducie
Non solo femminista, anche femmina
Fini protesta contro il governo per l’ennesimo rinvio: «In questo modo viene mortificato il ruolo della Camera» Marco Palombi • a pagina 6
LA VERA SOLUZIONE
Un saggio del grande analista sulla Grecia
Senza gli Stati Uniti d’Europa non se ne esce
Non lasciamo andar via la terra di Pericle di Robert D. Kaplan
di Giancristiano Desiderio ggi l’Europa è giunta a un bivio importante: o si sfalda o nascono finalmente gli Stati Uniti d’Europa. Le cronache giornaliere confermano questo stato febbrile che attraversa gli Stati europei che al momento fanno parte dell’Unione ma non sono ancora Stati Uniti d’Europa. a pagina 5
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a Grecia è quel luogo dove inizia e finisce l’Occidente. Come ideale umanista, l’Occidente vide la luce nell’antica Atene, quando la compassione per l’individuo sostituì la schiacciante brutalità delle vicine civiltà egiziane e mesopotamiche. La guerra raccontata da Erodoto fra la Grecia e la Persia stabilì un contrasto tra Occidente e Oriente rimasto inalterato per millenni. La Grecia è cristiana, ma anche ortodossa orientale, tanto spiritualmente vicina alla Russia quanto lo è all’Occidente. a pagina 4
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Attaccati anche gli osservatori internazionali. Bombe sulle città ribelli
L’ex tesoriere: «Me lo aspettavo»
La Giunta del Senato: «Sì all’arresto di Lusi» di Gaia Miani
«Bambini come scudi umani» Sconvolgente denuncia Onu inchioda il regime siriano Non più armi all’opposizione
a Giunta per le autorizzazioni del Senato ieri ha dato il via libera all’arresto di Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita. Tredici senatori hanno votato per l’arresto richiesto dalla procura di Roma, quattro i contrari e due non hanno partecipato. Il responso dell’organo parlamentare passa ora al vaglio dell’aula di Palazzo Madama per la decisione finale. «Me l’aspettavo» è stato il commento di Lusi. Che ha aggiunto: «Interverrò in Aula».
on c’è fine all’orrore in Siria: secondo l’Onu, le truppe lealiste hanno torturato bambini anche di solo 8 anni, li hanno uccisi e li hanno usati come scudi umani durante le incursioni militari contro i ribelli. Dopo le stragi di Houla e Koubeir si teme un massacro a Heffa, dove i militari non hanno fatto entrare gli osservatori internazionali.
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EURO 1,00 (10,00
Una raccolta di scritti sulla letteratura e pagine di un diario privato cambiano l’immagine finora più accreditata di Virginia Woolf
di Luisa Arezzo
Contro Assad cambiamo strada
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CON I QUADERNI)
• ANNO XVII •
NUMERO
112 •
di John R. Bolton Mentre in Siria il numero dei morti aumenta di giorno in giorno, non si placa il dibattito su come fermare i massacri. a pagina 10 WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
Dall’Eurogruppo piena fiducia al nostro Paese. Passera: «Fa indignare il comportamento dell’Unione europea»
I muscoli dei capitani
Napolitano: «L’Ue non è solo Berlino e Parigi». Monti al ministro delle Finanze austriaco su una nostra richiesta di aiuti: «Commenti del tutto inappropriati» di Franco Insardà
ROMA. L’Italia non ci sta e reagisce decisa a voci e interpretazioni che ci dipingono sull’orlo di quel precipizio sul quale ci trovavamo a novembre dello scorso anno. Giorgio Napolitano, Mario Monti e Corrado Passera passano al contrattacco in un’altra giornata difficile per la nostra economia con lo spread Btp/Bund a quota 473 punti. Una giornata caratterizzata dall’uscita del ministro delle Finanze austriaco, Maria Fekter: «L’Italia potrebbe richiedere aiuti sui pagamenti». Come l’Irlanda, la Grecia, il Portogallo e adesso la Spagna. Dove non sono riusciti gli attacchi della speculazioni, le copertine irridenti su Calciopoli, Hollande e Sarkozy che si palleggiano l’appoggio di Berlusconi nel faccia a faccia decisivo, ci ha pensato la signora Maria Fekter a risvegliare quello che è rimasto dell’amor patrio. Infatti al ministro delle Finanze austriache, non nuova a gaffe internazionali, sono bastate poche parole per creare l’ennesimo incidente diplomatico e dimostrare quanto la crisi dell’euro sia prima politica che finanziaria. Immediata la reazione del nostro premier. «Siccome consi-
dero del tutto inappropriato che un ministro delle Finanze di uno Stato membro dell’Unione commenti la situazione di un altro Stato membro, mi astengo dal commentare a mia volta le parole di suddetto ministro», è sbottato Mario Monti.
Parker, ha dichiarato all’agenzia Bloomberg: «È improbabile che l’Italia abbia bisogno di un piano di salvataggio. L’Italia ha un deficit di bilancio molto basso, ha anche un basso deficit delle partite correnti e non ha problemi con le banche».
Dopo le dure parole del direttore del Fmi Christine Lagarde secondo cui «un’azione per salvare l’euro è necessaria in meno di tre mesi», Monti ha ribadito l’impegno dell’Italia nell’affrontare la crisi. «Non si può restringere l’area della responsabilità e della decisione a due soli Paesi, pur molto legati e influenti, né compiacerci del fatto che alle consultazioni tradizionali tra Francia e Germania si associ, con rinnovato rispetto e considerazione, il governo italiano, e il suo primo ministro», ha rincarato la dose Giorgio Napolitano. «Quello che fa indignare è il comportamento dell’Europa, che ha aspettato ed è intervenuta solo poco prima del dramma», si è unito al coro degli indignati Corrado Passera. Ha gettato acqua sul fuoco l’Eurogruppo: «Nonostante le tensioni sui mercati, per l’Italia al momento non è necessario fare ricorso agli aiuti Ue come la
Anche se, ha aggiunto, ha «un alto livello di indebitamento governativo, per cui ha poco spazio per assorbire ulteriori shock negativi. Ed è molto dipendente dai tassi di interesse con i quali contrae prestiti, i quali sono alti, più alti del suo tasso di crescita, per cui è nella situazione in cui i tassi di interesse di mercato hanno un impatto auto-avverante sul valore della sua capacità di credito». Forse è stata anche questa dichiarazione a convincere la Fekter a recuperare dopo il pesante scivolone della mattinata e a fare una repentina marcia indietro sminuendo le probabilità di una richiesta di aiuti alla Ue da parte italiana: «Non vediamo alcun segnale che l’Italia farà richieste simili. Io non ne vedo». Spagna, a differenza di quanto ha affermato il ministro delle Finanze austriaco Maria Fekter. È un punto di vista personale della Fekter che non riflette l’o-
pinione del presidente dell’EuJean-Claude rogruppo Juncker», hanno assicurato fonti europee. Anche il direttore dell’agenzia di rating Fitch, Ed
Da Varsava il capo dello Stato italiano ha, invece, invitato tutti i leader europei a stringere in fretta un nuovo patto per met-
prima pagina
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Spread,Fitch e Fmi:tutti in gara contro la Ue Lagarde annuncia che l’Europa ha «meno di 3 mesi per salvarsi» e la speculazione va a nozze di Francesco Pacifico
ROMA. La Spagna si rifinanzia ai livelli precedenti all’ingresso dell’euro. E non soltanto perché Fitch ha declassato tutte le banche del Paese. L’Italia deve lesinare le emissioni (oggi metterà sul mercato titoli per 4,5 miliardi nonostante ne vadano in scadenza bond per il doppio). Le Borse bruciano denaro, con la speculazione pronta ad attaccarsi a ogni pretesto: il ministro della Finanze austriaco Anna Felkter annuncia per Roma un futuro degno di quello di Madrid o il direttore del Fondo Monetario, Christine Lagarde, ribalta l’assunto di Soros, convinta che la Ue non abbia neppure tre mesi di vita. Per la cronaca sia la Felkter sia la Lagarde hanno smentito le loro imbarazzanti (e improvvide) uscite. Ma questo non è bastato a rasserenare i mercati, sempre pronti a scommettere contro le economie dei Piigs. Lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi, si è attestato a 473 punti dopo essere volato un massimo di 490 punti, con il rendimento salito fino al 6,15 per cento. Alto anche il differenziale calcolato sui Bonos spagnoli, a 532 punti, dopo un massimo di giornata di 543 punti e il tasso del decennale schizzato al 6,74 per cento, dopo un massimo record del 6,76. La leggerezza della Felkter e della Lagarde unita ai declassamenti spagnoli ci ha messo poco a portare gli effetti temuti. A fine giornata i titoli bancari – gravati come sono di bond governativi considerati dagli in-
vestitori spazzatura – hanno fatto crollare il listino italiano: Milano, la peggiore, vede l’indice Ftse Mib segnare una perdita del 0,77 per cento. Vanno meglio le cose altrove, visto che in serata gli operatori sono tornati a comprare, sfruttando gli ultimi maxi ribassi: a Francoforte il Dax ha guadagnato lo 0,33 per cento, a Londra il Footsie lo 0,76, mentre a Parigi il Cac registra un flebile +0,14 e a Madrid l’Ibex non va oltre il +0,09 per cento. Il maxiprestito concesso dall’Unione europea alla Spagna non ha avuto il placet dei mercati. Operazione difficile in una fase nella quale ancora non si sa se il plafond stanziato (100 miliardi di euro) sarà sufficiente, quando saranno erogati i fondi (la Germania preme perché lo faccia il futuro Esm) o le forme di vigilanza alle quali
Banco, Cajamar,Confederacion Espanola de Cajas de Ahorros, Banco Cooperativo Espanol e Banco Guipuzcoano.
Tutti istituti con un contatto molto forte al tessuto produttivo e al mondo delle famiglie. Ma in un Paese dove il mondo del credito ha in pancia circa 280 miliardi legati alla corsa immobiliare iniziato negli anni, la bocciatura di Fitch può essere letta soltanto in un modo: le banche pagano un’eccessiva esposizione domestica, si rischia una nuova ondata di ricapitalizzazioni, senza le quali il credit crunch diventerà realtà. Se la Grecia rappresenta soltanto il 2,5 per cento del Pil continentale, il fallimento del quarto motore europeo avrà ripercussioni non soltanto di natura finanziaria. Soprattutto potrebbe interrompere gli sforzi fatti verso la creazione di un’unione fiscale e di un’unione bancaria per superare il gioco di veti incrociati che blocca la Ue. Non a caso Angela Merkel ha mandato un chiaro messaggio a Mariano Rajoy: «È giusto che la Spagna abbia presentato domanda per ricapitalizzare le sue banche, dal momento che i loro problemi non nascondono la mancanza di riforme macroeconomiche, ma sono il risultato della bolla immobiliare negli ultimi dieci anni». Quindi la stoccata che crea ancora più confusione: «Quando la richiesta arriverà, ci saranno delle condizioni. Ma sarà necessaria una ristrutturazione delle banche».
L’agenzia di rating declassa 18 banche iberiche. La Merkel avverte Rajoy: «Gli aiuti agli istituti di Madrid sono legati alla riforma del settore»
tere in sicurezza l’euro: «È una sfida all’intera Europa, ne abbiamo avuto la prova con quello che è successo sui mercati. Al prossimo Consiglio Europeo servono sforzi congiunti perché sia un vertice di svolta nel quale si definisca un impegno solidale per la difesa dell’euro e di sostegno ai Paesi che hanno maggiori problemi e un maggior peso di debito sovrano». Napolitano ha rivolto delle raccomandazioni anche all’Italia: «Ci auguriamo la coerenza e la determinazione necessaria perché vadano avanti le riforme strutturali e le politiche di risanamento intraprese dal governo Monti. Ho parlato di coerenza nei comportamento delle forze sociali e politiche per portare avanti le politiche di risanamento e consolidamento che il governo ha avviato».
dovranno attenersi gli iberici. Spettri che Fitch – la stessa agenzia che la scorsa settimana ha ridotto da A a BBB il giudizio sulla Spagna – ha materializzato annunciando il downgrade di altre 18 banche iberiche. Nel mirino dell’agenzia CaixaBank, Caja de Ahorros y Pensiones de Barcelona (La Caixa), Kutxabank, Caja Rural de Navarra, Sociedad Cooperativa de Credito, Grupo Cooperativo Iberico de Credito, Banco Mare Nostrum, Liberbank, Banco Sabadell, Unicaja
Mentre Monti, nel corso della conferenza stampa seguita all’incontro con il presidente della Confederazione elvetica Evelin Widmer Schlumpf, ha aggiunto: «La Ue ha le capacità di compiete scelte importanti all’altezza delle attese. Mi attendo che nei prossimi giorni la discussione sulle modalità per rilanciare la crescita si ap-
te, noi non possiamo permetterci di farci mettere in crisi dal 3, 4 o anche 10 per cento del Pil e del debito dell’Ue: insieme siamo la forza economica e sociale più importante del mondo, da soli potremmo andare in crisi. Sono convinto che l’Ue prima di disintegrarsi farà quello che serve, ma dobbiamo pretendere di più».
Da Berlino, quindi, fanno capire che il caso spagnolo avrà ripercussioni anche sulle future trattative sui piani per la crescita. In quest’ottica la Cancelliera si è spinta ieri in un pericoloso parallelo, ricordando che «l’austerità imposta ad Atene, alla vigilia delle nuove elezioni politiche in Grecia, considerata necessaria per dare un esempio all’intera zona euro». Ergo, «la questione se la Grecia rispetterà il suo programma non riguarda solo il successo di questo programma, ma piuttosto il rispetto in futuro degli obblighi in tutta Europa». Il crinale tra ripresa e fallimento è sempre più labile. Soprattutto se non si riuscirà a tenere Atene nell’Europa e Madrid (e Roma) lontano dalla speculazione. Ed Parker, numero uno di Fitch, ha ricordato che «gli Stati membri dell’area dell’euro, compresi quelli con la tripla A (Germania, Lussemburgo, Finlandia e Paesi Bassi) sono a rischio declassamento se non riusciranno a risolvere la crisi in corso». Da Francoforte, invece la Bce, aggiunge che «c’è ancora la possibilità di un aggravamento della situazione nei mercati dei debiti sovrani».
attrezzarsi per gestire le crisi». secondo Occorre però, Monti«rafforzare la governance economica dell’Unione europea, in modo che sappia generare strumenti per la crescita non antitetici ma anzi coerenti con la disciplina di bilancio». Intanto da Bruxelles ieri è giunta la notizia che il Parlamento europeo ha fatto propria la pro-
Lo spread Btp/Bund chiude a quota 473 punti, mentre il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, avverte: «Ho la sensazione che la consapevolezza di una situazione molto grave si sia un po’ persa per strada» profondisca in vista delle decisioni operative del prossimo Consiglio europeo». Corrado Passera ha, invece, puntato l’indice sull’Europa: «L’Ue ha agito anche con l’ultimo intervento per la Spagna ma tutto questo non è sufficien-
E il nostro premier, al termine dell’incontro con il primo ministro della Slovenia, Janez Jansa, ha confermato che «l’Unione europea sta dimostrando, sia pure non sempre con la velocità che vorremmo la caratterizzasse, una buona capacità di
posta di Mario Monti di uno scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal calcolo del deficit (la “golden rule”). All’interno del processo di discussione del “two-pack”, il provvedimento per il rafforzamento della governance europea, l’i-
dea del presidente del Consiglio finisce nel rapporto di Elisa Ferreira, relatrice per il testo, che rafforza gli obblighi d’informazione sui bilanci per tutti i governi della zona euro. Nello stesso rapporto si chiede la creazione degli Eurobond, ritenuti «necessari per fermare la speculazione».
Ma sempre ieri il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha ricordato che «le vicende di queste settimane spero portino a tutti un messaggio importante: che la situazione permane difficile, difficilissima. In Europa e quindi nel nostro Paese. A novembre, dicembre la situazione era molto grave e c’era una consapevolezza. La mia sensazione è che questa consapevolezza si sia un po’ persa per strada».
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l’approfondimento
Un saggio del grande analista statunitense getta luce sul futuro (e sulla storia) di un Paese in crisi, che domenica andrà al voto
Salviamo il soldato Pericle Un’Unione europea cieca e ipocrita affibbia alla Grecia molte più colpe di quante ne meriti davvero. Ma alcune delle responsabilità sono da ricercare altrove. E adesso bisogna impedire che Atene esca dall’Euro di Robert D. Kaplan a Grecia è quel luogo dove inizia e finisce l’Occidente. Come ideale umanista, l’Occidente vide la luce nell’antica Atene, quando la compassione per l’individuo cominciò a sostituire la schiacciante brutalità delle vicine civiltà egiziane e mesopotamiche. La guerra raccontata da Erodoto fra la Grecia e la Persia nel V secolo a.C. stabilì un contrasto tra Occidente e Oriente rimasto inalterato per millenni. La Grecia è cristiana, ma è anche ortodossa orientale, tanto spiritualmente vicina alla Russia quanto lo è all’Occidente, e geograficamente equidistante da Bruxelles e Mosca. La Grecia potrebbe aver inventato l’Occidente con le innovazioni democratiche dell’età di Pericle, ma per più di un millennio è stata figlia del dispotismo turco e bizantino. E mentre anticamente la Grecia era il bastione nordoccidentale nel civilizzato Vicino Oriente, dopo che la storia si è spostata più a nord verso i climi più freddi a seguito del crollo di Roma, gli abitanti della penisola greca si sono ritrovati alla povera estremità sudorientale dell’Europa. La Grecia moderna in particolare ha lottato contro un’eredità biforcata. In una riedizione di inizio XX secolo delle guerre greco-persiane, la battaglia militare della Grecia contro la Turchia nel primo dopoguerra ha porta-
L
to ad una clamorosa sconfitta greca cui seguì l’esodo di più di un milione di greci dall’Asia minore proprio in Grecia, impoverendo ulteriormente il paese. (Questa diaspora greca in Asia Minore rappresentò una importante fonte di reddito finché i greci non vennero espulsi). Non fu solo la Prima Guerra Mondiale ad avere una coda epica e sanguinaria in Grecia, ma anche la Seconda Guerra Mondiale, che fu seguita da una guerra civile fra destra e comunisti. L’uscita finale della Grecia dal Patto di Varsavia fu piuttosto un affare di stretta misura: ancora una volta, per l’instabile posizione geografica della Grecia fra Oriente e Occidente. La Grecia ha continuato a combattere.
A metà degli anni Settanta era governata da una dittatura militare particolarmente brutale, che durò per sette anni, mentre il timore di un altro colpo di stato persistette nella prima fase della sua rinascita democratica. Anche se la tradizione olimpica iniziò in Gre-
cia nell’antichità e le prime Olimpiadi moderne si svolsero in Grecia nel 1896, alla Grecia fu negato il diritto di ospitare le Olimpiadi moderne nel loro centenario nel 1996, perché il paese mancava di infrastrutture. La Grecia ospitò le Olimpiadi nel 2004, ma lo sforzo finanziario che i Giochi imposero alla Grecia contribuì alla fragilità economica del paese nel periodo precedente all’attuale crisi del debito. Non è soltanto una casualità che la Grecia sia il Paese più travagliato dal punto di vista economico nell’Unione europea. Il fatto che si trovi sul versante sudorientale dell’Europa ha a che fare con questo, perché lo sviluppo economico e politico della Grecia porta i segni di un’eredità non solo nel moderno Occidente. Circa tre-quarti degli affari greci sono a gestione familiare, rendendo difficile la promozione meritocratica per chi non fa parte della famiglia. L’evasione fiscale è dilagante. L’economia soffre di una profonda mancanza di competitività, proprio perché la Grecia è principalmen-
Che abbandoni l’euro o no, si trova di fronte ad anni di serie difficoltà
te un’economia di servizio, che dipende dal turismo, in cui l’industria è un settore debole. Naturalmente, queste caratteristiche hanno molto a che fare con le politiche errate messe in atto nel corso di anni e decenni, ma sono anche il prodotto di storia e cultura che sono, a loro volta, prodotti della geografia. Infatti la Grecia non ha sufficiente terreni produttivi per essere una potenza agricola. Poi c’è il sottosviluppo politico.
Per lungo tempo nel XX secolo, i partiti politici greci ebbero una qualità paternalistica, centrata su grandi personalità dei veri e propri capitribù - con poco sostegno formale organizzativo. George Papandreou, il padrino del recente primo ministro omonimo, infatti fu a capo di un partito chiamato “Il Partito di George Papandreou”. In Grecia i partiti politici sono stati affari di famiglia molto più che nelle altre democrazie occidentali. Il partito al potere non solo domina i livelli più alti della burocrazia, come sarebbe normale e giusto in democrazia, ma anche i livelli medi e inferiori. Le istituzioni statali dall’alto al basso sono state spesso esageratamente politicizzate. Inoltre, piuttosto che avere un partito della sinistra moderata e un moderno partito conservatore, come succede in tutta l’Euro-
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È il passo più importante da fare per salvarci e riacquistare credibilità internazionale
Prossima (e ultima) chiamata: Stati Uniti d’Europa! È inutile illudersi: solo una vera unità politica può scongiurare il collasso di un Continente che non convince i mercati di Giancristiano Desiderio Europa è stata chiamata in passato “comunità” e oggi è “unione”. Non sempre, però, i nomi tengono fede alle cose che nominano. Oggi l’Europa è giunta a un bivio importante: o si sfalda o nascono finalmente gli Stati Uniti d’Europa. Le cronache giornaliere confermano questo stato febbrile che attraversa gli Stati europei che al momento fanno parte dell’Unione ma non sono ancora Stati Uniti d’Europa come, al di là dell’Atlantico, ci sono gli Stati Uniti d’America. Cosa deve accadere per “completare” la storia del caro vecchio continente europeo? Superare un equivoco: credere che possa nascere l’unione politica degli Stati europei senza il sacrificio economicofinanziario del Paese più ricco.
L’
Fino ad ora la crisi del debito e la crisi finanziaria è stata affrontata con il metodo della toppa. Si mette una toppa alla meno peggio la dove si apre una falla. È accaduto con la Grecia, con la Spagna e c’è chi dice che dovrà accadere anche con l’Italia. La notizia di un “aiuto” all’Italia è stata smentita e ha provocato la reazione giusta e risentita del nostro presidente del Consiglio. Tuttavia, al di là del “caso italiano” - c’è sempre un caso italiano nella storia dell’Europa - è evidente che la strategia della toppa o del “pronto intervento” (anche se il ministro Passera ha fatto notare che l’intervento europeo è sempre in ritardo) è ormai logora: non ce la fa più a stare dietro ai fatti, ai debiti, alle crisi. Del resto, il passaggio dai singoli casi alla crisi del sistema dell’euro - la cosiddetta eurozona - è fin troppo naturale e scontato. Se prima a dare tre mesi di vita all’euro era stato Soros, ora è Lagarde, direttore del Fmi, a dare lo stesso “crono programma” all’Ue dicendo che le cose da fare vanno fatte presto e bene in tre mesi o tutto sarà vano. Dunque, non siamo alla fine dell’euro e dell’Europa unita come l’abbiamo conosciuta a partire dal secondo dopoguerra, ma siamo sicuramente all’inizio della fine che, come in tutte le cose che finiscono, ha davanti il bivio già ricordato: o lo sfascio o gli Stati Uniti d’Europa. La “terza via” è illusoria. Il presidente Napolitano parlando dall’Europa dell’Est, in Polonia, posto di fronte al dramma euro-
peo non si di certo tirato indietro. Ha detto: «Al prossimo consiglio europeo servono sforzi congiunti perché sia un vertice di svolta, un impegno solidale per la difesa dell’euro e di sostegno ai Paesi che hanno problemi e un maggior peso di debito sovrano. Non si può ridurre la responsabilità europea ad una coppia di Paesi, seppur molto legati ed influenti, come Francia e Germania». Questa fase della storia europea appare superata
Fino ad ora la crisi finanziaria è stata affrontata con il “metodo della toppa”. Ma ormai è logoro dai fatti e la prospettiva di continuare con la “strategia della toppa” facendo la colletta tra i vari Stati per soccorrere ora questo ora quello dei suoi membri ci conduce alla fine di euro, eurozona ed Unione europea. Ancora
un passo e, come dimostrano le cronache giornaliere con polemiche tra governo e governo, ministri e ministri, la situazione è pronta a scappare di mano in modo irrimediabile. A quel punto, al di là del falso problema “che cosa accadrà se non ci sarà più l’euro”, ci sarà un fuggi fuggi generale con l’Unione che diventerà materialmente e moralmente Disunione e il risultato sarà un salto indietro di cinquanta o cento anni, quando l’Europa aveva dietro di sé le macerie della distruzione della guerra o davanti a sé due conflitti mondiali. Insomma, come è stato autorevolmente detto, la questione dell’Europa coincide con la questione della pace e non ci vuole molto a capire - lo dovrebbe capire anche un liceale - che la fine dell’euro e dell’Ue sarebbe anche la fine della pace duratura in Europa. Uno scenario apocalittico, un “calice amaro” che allontaniamo da noi come si allontanano i cattivi pensieri che pur ci visitano. Non resta che proseguire sulla strada europea per uscire dall’Europa tutta economia e costruire l’Europa anche politica e istituzionale. È una strada che è nelle cose stesse, nell’idea stessa di Europa. Ed è una strada sulla quale il ruolo della Germania è inevitabilmente determinante. È il Paese più grande, più forte, più ricco. È il cuore stesso dell’Europa, è al centro del vecchio continente anche geograficamente. Pagherà di più? Pagherà di più.
Ma pensare che si possa fare l’Europa politicamente unita senza che il Paese più forte e ricco non paghi i debiti degli altri Paesi più deboli e poveri significa avere un’idea astratta e libresca della storia politica e morale. Credere che per fare l’Europa politicamente unita - gli Stati Uniti d’Europa si debba attendere che tutti gli Stati membri abbiano i conti perfettamente in ordine significa guardare alla storia degli Stati e delle nazioni come si guarda alle bocce di un biliardo o alla geometria euclidea. Se è proprio questa la malattia dell’Europa, ossia la sua unica dimensione economico-finanziaria, come è possibile credere che la soluzione sia nella stessa malattia? La crisi del debito sovrano si supera realmente mettendo mano alla sovranità degli Stati per ridefinirla e far nascere una sovranità più grande: la sovranità europea. È questa la sfida che gli europei hanno davanti, se non vogliono ritornare pericolosamente indietro.
pa occidentale, in Grecia nei primi anni Novanta si aveva un partito di estrema sinistra, il Movimento Socialista Pan-Ellenico (Pasok), che nel corso della Guerra Fredda simpatizzò apertamente con i regimi estremisti arabi come la Siria di Hafez al Assad e la Libia di Moammar Gheddafi, e con un partito di destra in qualche modo reazionario, Nuova Democrazia. La deriva di entrambi questi partiti verso il centro è piuttosto un affare recente. Quindi la creazione dell’ultimo partito di estrema sinistra, Syriza, e di un movimento neo-Nazista di estrema destra, Alba dorata (che ricorda vagamente la giunta militare che governò in Grecia dal 1967 al 1974) ospitano distanti eco del passato della Grecia di metà del XX secolo. Ironicamente, mentre l’estrema crisi economica della Grecia è in primo luogo responsabile della creazione di questi raggruppamenti estremisti, se questi dovessero andare male alle elezioni, vorrebbe dire che il popolo ellenico è pronto a rifiutarel’estremismo ed a svoltare verso il centro, verso una modernità politica. Assurdamente e ipocritamente, l’Europa tende ad affibbiare alla Grecia molte più colpe di quante ne meriti. Quando la Grecia si è unita all’Unione Europea nel 1981, era evidente che la sua economia non fosse pronta: Bruxelles all’epoca prese una vera e propria decisione politica, non economica proprio come fece quando ammise la Grecia nell’Eurozona nel 2002.
In entrambi i casi, la difficile realtà interna dell’economia greca fu spazzata via in favore di una visione astratta semistorica dell’Europa che si estendeva dall’Iberia al Mediterraneo orientale. Naturalmente la Grecia nel corso degli anni Ottanta - quando ci vissi per sette anni avrebbe potuto usare i soldi dell’Unione europea per disciplinare e riformare la sua economia. Invece l’allora primo ministro Andreas Papandreou, del Pasok, usò il denaro per gonfiare i ranghi della burocrazia. Così facendo la Grecia è rimasta sottosviluppata, e il sogno-scommessa di Bruxelles è fallito. Per una strana ironia della storia, le colpe dell’estremista di sinistra Andreas Papandreou ricaddero sul benintenzionato figlio di centro-sinistra, George, il cui breve mandato da primo ministro dal 2009 al 2011 fu avvelenato dall’eredità economica del padre. Ma gli interessi dell’Occidente ora richiedono che se la Grecia dovesse uscire dall’eurozona - e si tratta di un grande “se” - rimanga comunque ancorata nell’Unione Europea e alla Nato. Perché sia che la Grecia abbandoni l’euro o no, si trova di fronte a anni di serie difficoltà economiche. Il che significa - per via della sua posizione geografica - che l’orientamento politico della Grecia non dovrà mai essere dato per scontato. Ad esempio, i cinesi hanno investito pesantemente nello sviluppo di una parte del porto di Pireo, adiacente ad Atene, nonostante i legami economici e di intelligence della Russia con la regione di Cipro siano estremamente vicini. Si sono fatte molte congetture sul fatto che con la Grecia a corto di contanti e la Russia che ne ha in surplus, se i russi venissero espulsi dai porti in Siria a seguito di un cambio di regime, Mosca riuscirebbe alla fine a trovare un modo per utilizzare le strutture navali greche. Non dimenticate che sia la Grecia che Cipro hanno storie europee recenti principalmente per volere dei poteri occidentali. In altre parole, da un punto di vista geografico e geopolitico, la Grecia resterà un crocevia fondamentale per molti anni a venire.
politica
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Confusione, ieri, sulla presentazione del maxi emendamento. A Montecitorio consultazioni alle 12, alle 15 e alle 18
Il giorno delle fiducie Il governo pone tre distinti voti in Aula al ddl anti-corruzione. L’ira di Fini: «Mortificato il ruolo della Camera» di Marco Palombi n pastrocchio, ma senza conseguenze apparenti. Il ddl corruzione continua, alla fine dei conti, la sua marcia e oggi passa al voto dell’Aula della Camera con la bellezza di tre fiducie (il meccanismo delle due “chiame”ripetuto per tre volte, peraltro, farà sì che il tutto si concluderà a sera inoltrata). Perché si dice pastrocchio? Perché, dopo l’impasse della scorsa settimana - e per evitare che i falchi del Pdl continuino a fare ostruzionismo - il governo aveva annunciato che oggi avrebbe tagliato i tempi del dibattito e portato il tutto a conclusione. Poi, ieri mattina, la sorpresa.
U
Il buon Piero Giarda, titolare dei Rapporti col Parlamento, e i ministri interessati alla materia, Paola Severino e Filippo Patroni Griffi, si erano presentati in aula per annunciare la fiducia su un maxiemendamento che raccoglieva alla lettera il testo uscito dalle commissioni della Camera. Problema: non si può fare, si può ricorrere alla fiducia solo se l’esecutivo intende modificare significativamente la legge votata dai parlamentari. Panico. Gianfranco Fini si lasciava andare ad una reprimenda come se a palazzo Chigi ci fosse ancora Silvio Berlusconi: «Il governo ha avuto cinque giorni per sciogliere il nodo e decidere cosa fare, ma oggi - ha lamentato il presidente della Camera - siamo nella stessa, identica condizione di giovedì scorso, quando il governo aveva detto che stamane avrebbe annunciato la fiducia sul ddl anticorruzione o il prosieguo dei lavori, il che mortifica il ruolo della Camera». Giarda non s’è lasciato sfuggire l’occasione per una di quelle battute a cui ormai sta abituando i suoi interlocutori: «Con Fini c’è piena unità d’intenti. E comunque abbiamo ritardato due ore, cosa volete che sia nella vita politica di un Paese che ha una grande tradizione ed esisteva già duemila anni fa?». Il problema è che, in realtà, il governo non ha affatto ritardato e sapeva benissimo cosa fare, tanto è vero che aveva presentato un maxiemendamento con al-
meno una modifica sostanziale al testo delle commissioni: l’estensione dell’interdizione dai pubblici uffici anche all’articolo 319 quater del codice penale (Induzione indebita a dare o promettere utilità, vale a dire il reato imputato al Cavaliere nel processo Ruby). Ovviamente il partito di Berlusconi ne ha chiesto la cancellazione al Guardasigilli. Si è provato anche a scontentare tutti, proponendo al Pd di rinunciare in cambio del mantenimento della modifica del governo ad un suo emendamento approvato in commissione che aumenta le pene per il reato di “Corruzione di atti contrari ai doveri d’ufficio”, ma Franceschini ha detto no. Motivo per cui alla fine si è dovuti tornare all’intero testo della commissione, su cui però non si poteva chiedere la fiducia. Alla fine, dopo una riunione di maggioranza e una capigruppo, la soluzione che definire un po’ farraginosa è poco. Il governo ha deciso di porre la questione di fiducia su tre articoli “delicati”: i deputati si pronun-
pezzo del partito continua a non digerire. L’avvocato Maurizio Paniz, per dire, fin dalla mattina di ieri avvertiva: “Se oggi potrò non votare, non voterò la fiducia perché non credo in alcuni di questi provvedimenti. Io sono aperto al dialogo ma non voterò una norma in cui non credo. Porre la fiducia peraltro - spiega il deputato del PdL - vuol dire stoppare il dialogo e impedire l’approfondimento su alcuni punti come le prospettazioni di nuovi reati, ad esempio il traffico di influenze”. E si veda ancora Giancarlo Lehner: “Non vo-
«Siamo ormai al mercato delle vacche. È un governo amorfo e incapace di prendere una decisione», ha detto ieri il leader Idv, Antonio Di Pietro ceranno dunque separatamente, a partire da mezzogiorno, prima sull’articolo 10, che riguarda le norme sulla incandidabilità dei condannati, poi sull’articolo 13 sulle sanzioni penali e infine sul 14 che disciplina il nuovo reato di traffico di influenze. Il tutto dovrebbe concludersi definitivamente giovedì pomeriggio. «Meglio votare tre fiducie che rimettere il ddl anticorruzione in un cassetto», riassume il deputato dell’Udc Roberto Rao.
“La fiducia è uno strumento per superare l’impasse e andare avanti: il rispetto per il Parlamento c’è stato e il problema col maxiemendamento era solo un fatto formale”, mette a verbale Severino. Tutto finito? Mica tanto. Più d’uno in Transatlantico teme per la tenuta del PdL di fronte ad un testo che un bel
In queste pagine: il presidente della Camera Gianfranco Fini; la Guardasigilli Paola Severino; il ministro Dino Piero Giarda; l’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi; il segretario del Pdl Alfano
terò la fiducia: né una, né trina”. Giarda, in ogni caso, non ha perso il sonno: «Non ho capacità divinatorie, non sono in grado di valutare - premette ma la maggioranza che sostiene il governo è solida e ci appoggia con pieno convincimento». Può darsi che questo valga, con qualche distinguo, per Pd e Udc, ma il fu partito del predellino è in piena fibrillazione. Prendiamo il “montiano” Fabrizio Cicchitto, che dopo un peana all’impegno anti-corruzione del governo Berlusconi, chiarisce: «Votermo la fiducia, ma ci auguriamo che alcune formulazioni vengano cambiate al Senato. Noi abbiamo avanzato alcune richieste allo scopo di combinare insieme la necessità di colpire la corruzione con il rispetto delle garanzie e dello stato di diritto». Giarda è tranquillo? «Giarda è sempre tranquillo». Lo stesso Cavaliere, si dice, avrebbe deciso la linea illustrata dal capogruppo alla Camera. Per stare ancor più sereni, peraltro, la ministro della Giustizia ha pensato bene di fare
politica
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Schermaglia tra Pdl e Pd sull’elezione diretta del capo dello Stato
Presidenzialismo, molto rumore per nulla?
L’unica proposta di riforma elettorale sufficientemente condivisa è il modello ispano-tedesco. Su quello si tornerà a ragionare di Riccardo Paradisi se la proposta del semipresidenzialismo lanciata dal Pdl più che un dirottamento programmato dal percorso delle riforme fosse più semplicemente un diversivo politico? Un espediente retorico per prendere tempo, alzare il prezzo dell’accordo sulla legge elettorale e dare un segnale al proprio elettorato? Sono in molti, anche dentro il Pdl, ad accreditare questa ipotesi minimalista. Non che il Pdl non creda alla sua proposta ma tutti, a cominciare da Alfano, si rendono perfettamente conto che non ci sono né i tempi né le condizioni – in particolare alla Camera – per vedere approvato l’emendamento sul semipresidenzialismo e portare a casa la riforma.
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L’ex tesoriere: «Esito atteso»
Lusi, la giunta del Senato: sì all’arresto
di Gaia Miani La Giunta per le autorizzazioni del Senato ha dato il via libera all’arresto di Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita. Tredici senatori hanno votato per l’arresto richiesto dalla procura di Roma, quattro i contrari e due non hanno partecipato. Il responso dell’organo parlamentare passa ora al vaglio dell’aula di Palazzo Madama per la decisione finale. «Era un esito atteso. Non mi aspettavo che la Giunta votasse contro l’arresto» è stato l’immediato commento di Lusi. Che ha anche aggiunto: «Interverrò in Aula».
qualche piccola apertura sui lavori di palazzo Madama. Il problema è sempre quell’emendamento del Pd che aumenta le pene e su cui il Pdl aveva votato no (ma era passato grazie al sì di Lega e Idv): «Il Senato - ha spiegato Severino - è il luogo dove, se l’idea è condivisa, si può riportare quella pena in armonia con le altre». Certo, questo comporterebbe un nuovo passaggio alla Camera e l’allungamento dei tempi di approvazione, ma «se si modifica solo questa norma non credo che i tempi cambieranno di molto».
D’altronde, sostiene il Guardasigilli, «il testo è rimasto lo stesso che il governo aveva proposto ed era stato discusso con le parti”, anzi “si è arricchito, ad esempio per quanto riguarda il traffico di influenze, che abbiamo meglio precisato». Ovviamente sulle barricate Antonio Di Pietro, in quello che probabilmente ritiene - per motivi biografici e di mercato elettorale - il suo cortile di casa: «Siamo ormai al mercato delle vacche scolpisce l’ex pm - Un governo amorfo e incapace di prendere una decisione e assumersi la responsabilità, chiede ancora tempo affinché nei retrobottega del Parlamento si trovi un accordo al ribasso. Infatti, il ddl che doveva servire per contrastare la corruzione si sta spogliando, ogni giorno che passa sempre di più, di quelle misure che servivano per combatterla e, al loro posto, hanno inserito norme che la legittimeranno ancora di più».
D’altra parte è stato lo stesso Alfano a dire chiaramente che anche se il semipresidenzialismo non dovesse passare ed essere arginato alla Camera il Pdl non si sottrarrebbe a dare il proprio sostegno per le riforme, presumibilmente anche per la riforma elettorale. L’unico a osare una fuga in avanti non concordata, in questo senso, è stato l’ex ministro della funzione pubblica Renato Brunetta che vorrebbe far dipendere l’avallo alla riforma elettorale al si del Pd e dell’Udc alla proposta semipresidenzialista. Del resto chi ragiona in termini politici nel Pdl sa bene che il Pd dirà no alla riforma presidenziale così come il Pd sa bene che il Pdl non avallerà mai il doppio turno senza l’opzione semipresidenziale. Un tacito gioco di reciproche aspettative negative che però tornerà utile come argomentazione polemica in campagna elettorale sia al Pdl che al Pd. I primi rimprovereranno ai secondi di aver bocciato una riforma seria e radicale dell’’assetto istituzionale i secondi ai primi di aver fatto ritardare le riforme vere e di aver messo a rischio una nuova legge elettorale. Certo, non sono schermaglie a costo zero, nel senso che in queste guerre di faglia e di posizione può sempre prodursi l’incidente tecnico che innesca l’escalation. In questo senso Violante ha ragione quando dice che l’uscita di Alfano potrebbe essere la tomba del percorso riformista contenuto nella bozza che porta il suo nome. Ma non è questo il vero obiettivo. Insomma il Pdl non avrebbe nessun reale interesse per i noti motivi a far saltare il tavolo, come paventa il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini. Lo si capisce anche leggendo tra le righe la dichiarazione fatta ieri dal presidente dei senatori azzurri Maurizio Gasparri che pone come prima priorità del Pdl una nuova legge elettorale,
che consenta ai cittadini di scegliere il proprio parlamentare. «Intanto però – aggiunge - al Senato abbiamo adesso l’occasione per votare si al presidenzialismo, che darà agli italiani la possibilità di eleggere direttamente il presidente della Repubblica».
Il gioco dei veti incrociati tra Pd e Pdl e l’inopportunità di tornare a votare con l’ universalmente esecrato Porcellum potrebbe dunque dopo una settimana di passione e fibrillazione far riaprire il tavolo e riprendere la discussione là dove s’era interrotta. Ossia su una legge elettorale che assuma in sé il modello tedesco e quello spagnolo, un semi proporzionale con un ”premio di governabilità” come lo si chiama adesso nel Pdl. A ben vedere infatti l’unica proposta sufficientemente focalizzata e condivisa dalle principali forze politiche resta proprio quella contenuta nella bozza Violante, frutto dell’intesa Alfano Bersani Casini, temporaneamente
Siamo a un gioco dei veti incrociati tra Pd e Pdl consapevoli dell’inopportunità di tornare a votare con l’esecrato Porcellum accantonata dopo l’esito delle amministrative. Una soluzione su cui, come è noto, sarebbe disposto a convergere anche il centro di Casini. Per il resto meglio prepararsi a due settimane di schermaglie e meline, proposte e controproposte. Come quella che sembrerebbe intenzionato ad avanzare il Pd non si voti l’emendamento Pdl e si proceda per introdurre l’istituto del referendum propositivo per poi chiamare i cittadini a decidere sulla forma di governo. Un ipotesi contro la quale monta la guardia l’ex ministro degli esteri La Russa che invita anche i suoi colleghi del Pdl a non farsi tentare dall’affossare il presidenzialismo. Un messaggio più rivolto all’interno che riferito al merito del presidenzialismo: «Io e tanti altri non potremmo restare in un partito in cui artatamente qualcuno voterà contro questo provvedimento che è stato proposto da Angelino Alfano e Silvio Berlusconi». Appunto.
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il paginone
La deriva della Seconda Repubblica e gli scandali di oggi: ecco perché Musil e Calamandrei intuirono già tutto nel ’900 di Giancristiano Desiderio
obert Musil scrisse nel 1916 un “pezzo” sul parlamentarismo e due signori onorevoli: “Il signor Comesideve e il signor Comesivuole”. Rileggerlo oggi, dopo un secolo - che secolo! -, fa inevitabilmente sorridere, ma di un sorriso che induce a pensare. L’inizio dell’articolo è esemplare e - se me lo concedete - lo riporto pari pari perché merita di essere letto: «Un deputato! Ci si aspetta che sia intelligente, abbia vasta cultura, in più sia ferratissimo in un certo campo per potersi distinguere nelle sedute parlamentari. Dev’essere un abile oratore e un buon scrittore, compenetrato dalla salutare idea del parlamentarismo, vale a dire che un deputato collabora alla costruzione dello Stato ed è stato scelto dal popolo per armonizzare l’opera delle autorità con i bisogni dello Stato e del popolo. Si suppone che oltre all’intelligenza gli sia necessario un tatto particolare per subordinare la volontà spesso turbolenta dei suoi elettori, privi per la maggior parte della capacità di giudizio, alle necessità più generali. Non deve guardare in faccia nessuno ed essere abituato ai contatti sia con i potenti sia con gli umili. Non deve scambiare la politica per una professione, così da non rendersene dipendente, ma nemmeno ridurla a uno sport, come capita facilmente a gente troppo importante e ricca che finisce per non sbrigare il molto lavoro anonimo e faticoso che pure deve essere sbrigato».
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Casta away, il film d
deve non è ben visto e - per la verità il signor Comesideve non è ben visto neanche dagli elettori che lo considerano un po’ troppo sostenuto e rigoroso. L’altro, invece, il signor Comesivuole ha meno pretese e fa proprio al caso delle esigenze sia del partito sia degli
Stat e senz’altro sorridendo perché il confronto dal ritratto ideale di Musil e gli esemplari concreti che conoscete è sconfortante. Per tener fede all’ideale di Musil ci vorrebbe la candidatura del signor Comesideve, ma nel partito il signor Comesi-
elettori. Il signor Comesivuole sa come adeguarsi e sa cosa deve dire anche se non ci crede. Una volta eletto il signor Comesivuole impara subito a fare gli interessi della sua parrocchia come gli viene richiesto dagli elettori che lo in
interpellano per ogni tipo di esigenza. Il deputato Comesivuole si trasforma ben presto in avvocato e bada alle faccende che gli premono da vicino e che gli permetteranno di essere ricandidato, rieletto e di continuare a campare anche dopo il suo mandato parlamentare. Il pezzo di Musil ci mostra come il parlamentarismo abbia in sé il principio della sua disgregazione e frammentazione in cose e attività irrilevanti per gli interessi dello Stato. L’articolo sembrerebbe un atto di accusa nei confronti dell’istituzione parlamentare e invece ne vuole essere una difesa, visto che termina così: «Il deputato non può e non deve mai ingerirsi nell’attività amministrativa, per quanto importante e necessario sia il controllo che su di essa la totalità dei deputati, la camera. Deve combattere implacabilmente la corruzione in ogni forma, non deve mai diventare lo strumento per la realizzazione di esigenze particolari. Deve essere al servizio di tutto il popolo e dello Stato, e solo il bene del popolo e l’interesse dello Stato devono guidare le sue parole e le sue azioni». Parole vere, parole vane. Soprattutto,
parole scritte nel 1916 che suonano per noi attuali e “inattuali”, per noi - dico italiani che dai deputati Comesivuole siamo circondati.
Ora lasciamo l’autore de L’uomo senza qualità e prendiamo in considerazione un altro “pezzo” sulla figura del deputato e sulla istituzione parlamentare. L’autore questa volta è un italiano: Piero Calamandrei. L’articolo risale al 1956, Calamadrei lo pubblicò sulla rivista Critica sociale e ora si può rilegge-
Un tempo la carica era un privileigo, e non un mestiere: il politicante era visto come un affarista spregevole re nel libro Lo Stato siamo noi edito da Chiarelettere. Un “pezzo” chiaro e perciò illuminante sul “professionismo parlamentare” che oggi, nel tempo post-ideologico e postmoderno e post e
il paginone
della brutta politica
basta, ha avuto un’ulteriore evoluzione, forse inimmaginabile anche dal previdente fondatore del mensile Il Ponte. L’evoluzione della specie parlamentare la possiamo riassumere così: il rappresentante, l’impiegato, il salumiere (quest’ultima definizione la devo proprio a un deputato). Un tempo - un secolo fa - le Camere si riunivano di rado e i parlamentari non erano dei professionisti del Parlamento: avevano un loro lavoro, una professione, interrompevano l’attività e svolgevano il loro servizio pubblico per poi tornare a casa e vivere del loro lavoro o di rendita. La carica parlamentare era un di più, un prestigio senz’altro, perfino un interesse, ma non era un impiego o un mestiere: l’indennità parlamentare non era stata ancora inventata e il politicante professionale era visto come un affarista spregevole.
Naturalmente, era quello un altro mondo e il mandato parlamentare quasi un privilegio. Ragion per cui l’indennità parlamentare, quando nascerà, sarà il segno di un cambiamento dei tempi, oltre che di una conquista democratica. E con l’avvento della stagione della democrazia ecco che il Parlamento dilata i suoi tempi e allarga i suoi in-
teressi: in modo tale che i deputati che avevano una professione, dalla quale traevano il pane per vivere e dare da campare alla famiglia, si trasformano in deputati a tempo pieno e il pane per sé e per la famiglia è il frutto dell’impiego parlamentare e partitico. Il senatore e il deputato diventano in poco tempo “funzionari stipendiati”. Piero Calamandrei, prevedendo dove si sarebbe andati a finire, scriveva cose che oggi muovono al sorriso proprio come accade leggendo Musil: «Bisognerà arrivare a inibirgli il cumulo coll’esercizio di ogni altra attività retributiva, professionale o impiegatizia, come si vieta agli impiegati dello Stato, la cui attività dev’essere interamente dedicata alla loro funzione, dalla quale essi legittimamente ritraggono quanto basta per vivere». Il tempo dei funzionari di
partito, degli attivisti, degli impiegati, dei “quadri”, dei burocrati e di tutta quella grande attività a metà strada tra Stato e partito ha completamente trasformato la figura e la funzione del rappresentante del popolo. Lo dico senza alcun moralismo ma prestando attenzione al fenomeno storico e politico. Calamandrei, infatti, nel 1956 dico: 1956 - scriveva che «chiamare i deputati e i senatori i ‘rappresentanti del popolo’ non vuol più dire oggi quello che con questa frase si voleva dire in altri tempi: si dovrebbero piuttosto chiamare impiegati del loro partito». Il Partito nella democrazia che abbiamo conosciuto - e per la quale a volte si sente in giro una ingiustificata nostalgia - dominava su tutto, al punto che Calache mandrei, scriveva quando scriveva - che anno quel Cinquantasei! - poteva già dire che «la elezione dipende dalla scelta
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dei candidati: la quale è fatta non dagli elettori, ma dai funzionari di partito». Aggiungeva: «E i candidati, più che per meriti personali di specifica competenza professionale, sono scelti per le loro attitudini a diventare buoni funzionari del loro partito in Parlamento». Il passaggio dal “rappresentante” all’ “impiegato” ha un valore non solo morale - ma sono mondi diversi - ma tecnico: il rappresentante era pur sempre un uomo che sapeva questo e quell’altro della sua professione e in quel settore portava il suo contributo; con l’impiegato le cose cambiano, tanto che Calamadrei scrive che «oggi - l’oggi è il 56, preciso ancora - chi voglia continuare a coltivare gli studi bisogna che rinunci a ogni incarico parlamentare: e chi viceversa vuol dedicarsi alla professione parlamentare, bisogna che si contenti di addestrarsi in una tecnica politica di carattere pratico e superficiale, che forse non si può neanche chiamare cultura, ma soltanto abilità». Ciò che Piero Calamandrei non poteva prevedere era l’ulteriore involuzione della originaria figura e funzione del “rappresentante del popolo”: il salumiere e la velina. Se l’impiegato si dedica al partito e trae il sostentamento dal lavoro che svolge per il partito, il salumiere e la velina si dedicano alla Casta o al leader da cui dipende interamente la loro rielezione e la speranza di continuare ad avere uno stipendio, una ottima pensione, privilegi e benefit vari. Anzi, per dare a Calamandrei ciò che è di Calamandrei, bisogna aggiungere che per certi versi aveva previsto anche questo quando notava che «le degenerazioni prodotte dal ‘culto della personalità’, che nei sistemi totalitari possono assumere gli aspetti terrorizzanti di cui oggi abbiamo un esempio nel regime sovietico, si infiltrano in forme attenuate ma forse più diffuse anche nel sistema parlamentare, tradotte dal linguaggio della tragedia in quello della commedia e magari della farsa». La tragedia, per fortuna, ci è stata risparmiata ma di commedia e farsa ce ne siamo fatti una pancia. La Casta è un fenomeno tipico della Seconda repubblica che ebbe inizio, per un’ironia della Storia, con l’idea della fine del “professionismo politico”o parlamentare, e ha continuato invece con la creazione della Casta che è un’ulteriore degenerazione della figura dell’impiegato di partito. Una commedia, appunto.
L’ultima commedia, prima della nascita del governo presieduto da Mario Monti, è stata quella delle elezioni anticipate: invocate sono state evitate non solo perché il presidente della Repubblica ha svolto un ottimo lavoro mettendo in sella il governo Monti ma anche perché salumieri e veline si sono rapidamente “rassegnati” ad andare avanti fino al 2013 con la sicurezza così di portare a casa la pensione se non la rielezione. Una chiusa, questa, me ne rendo conto, pericolosamente vicina al grillismo e alla contrapposizione, in vero falsa, tra la casta parlamentare e la società civile. Tuttavia, la salumeria parlamentare ha proprio questo di dannoso per lo stesso Parlamento: lo vive come un mondo a parte in cui il senso dei doveri è andato perduto e sono rimasti solo dei diritti diventati ben presto privilegi. Il grillismo ha la sua origine nella salumeria parlamentare e ne rappresenta la sua versione “extra”.
mondo
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L’ex ambasciatore Usa all’Onu (e oggi consigliere di Romney) denuncia tutti gli errori strategici commessi sino adesso. E indica una nuova via
Come battere Assad Per far cadere il dittatore non bisogna armare i ribelli. Ma isolarlo dai suoi amici: Russia e Iran di John R. Bolton entre le ostilità in Siria continuano senza sosta e il numero dei morti aumenta di giorno in giorno, non si placa il dibattito su come fermare i massacri. C’è chi chiede un intervento armato, chi di armare gli oppositori e chi ancora punta sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sull’inviato dell’Onu e della Lega Araba Kofi Annan. È facile farsi coinvolgere dalle immagini piene di dolore che arrivano dalla Siria, ma le decisioni sul da farsi devono essere lucide e non emotive. Quindi la prima cosa da chiedersi è qual sia la mossa giusta da fare e in nome di quali interessi. La famiglia Assad, legata al partito Baath, prima di trasformarsi nel diavolo era relativamente credibile e tranquilla. Oggi però, sta portando il Paese ad essere un satellite di Teheran, la cui influenza regionale è in costante aumento. La Siria rimane una minaccia per Israele; continua ad aspirare di poter controllare il Libano e non ha mai cessato di finanziare ed armare Hezbollah e altri gruppi terroristici; ospita una base operativa russa tesa a controllare il Medioriente e con tutta probabilità è anche un canale privilegiato da cui passano armi nucleari per l’I-
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dafi, prima di far capitolare un regime bisogna avere ben chiaro come (e con chi) rimpiazzarlo. Una chiarezza che purtroppo per quanto riguarda la Siria davvero non c’è. Non per piangere sul latte versato, ma è evidente che sarebbe stato operativamente più semplice far cadere Assad e il partito Baath quando gli Usa avevano una massiccia presenza militare in Iraq, che condivide con la Siria un lungo confine. I giorni successivi alla cattura di Saddam offrivano condizioni ottimali per detronizzare Assad e rimpiazzarlo con qualcuno compatibile con gli interessi occidentali. E non sarebbe nemmeno stato necessario utilizzare delle forze terrestri.
La sola presenza Usa in Iraq all’epoca avrebbe precluso all’Iran di tentare di proteggere il dittatore. Per non parlare dello stesso Iraq, dove oggi la situazione è assai più complicata ed influenzata dalla politica degli ayatollah. Oggi una finestra congiunturale di quel tipo è molto remota, vista anche la grande penetrazione in seno alle forze anti-Assad di cellule di al-qaeda e di altre formazioni terroristiche. In realtà, noi sappiamo molto poco sull’opposizione siriana (che al momento,
È facile lasciarsi coinvolgere dalle notizie sulle stragi, ma le decisioni devono essere lucide. La prima cosa da chiedersi è quale sia la mossa giusta da fare e in nome di quali interessi ran e la Corea del Nord. E questo nonostante il reattore nucleare siriano sia stato distrutto dagli israeliani nel settembre del 2007.
Dopo questa prima analisi. è chiaro che il rovesciamento di Assad interessa particolarmente gli americani, Israele e molti stati arabi, che temono enormemente l’ascesa dell’influenza iraniana. Il motivo per cui al regime di Assad è stato consentito di crescere e fortificarsi in tutti questi anni, è veramente difficile da capire. Fermo restando che, come dimostrato dal rovesciamento di Saddam Hussein e di Muammar Ghed-
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minimo minimo, possiamo definire assai confusa e divisa) per immaginare chi alla fine prevarrà dopo la rimozione di Assad. In simili circostanze, il pericolo di veder rimpiazzato l’attuale regime con una forza islamica radicale è molto alto. Certamente più alto di qualche anno fa. Conoscere il proprio nemico è una cosa, non conoscerlo o trovarsi davanti a delle fazioni in lotta fra loro è tutt’altra. Specialmente quando si corre il rischio che armi biologiche e chimiche (come quelle siriane) possano finire nelle mani sbagliate. Ma c’è un’altra considerazione importante da fare: Assad e suo
padre regolarmente perseguivano i loro oppositori sunnit per proteggere la loro base politica alawita, una ramificazione dell’Islam sciita. Se i corpi dei civili che abbiamo visto in televisione sono dell’opposizione o della base alawita è, triste a dirlo, la stessa cosa. Non ci sono dubbi sul fatto che i sunniti vogliano vendicarsi. Dopo anni di oppressione e brutalità, come potrebbero non desiderarlo? Eppure, noi siamo ciechi davanti alla realtà e ci rifiutiamo di riconoscerlo. Mentre sarebbe utile dirsi che la fuoriuscita di Assad provocherebbe un’escalation di violenza e un bagno di sangue di enormi proporzioni. Come ci sentiremmo se queste stragi fossero commesse con armi fornite dall’Occidente? Senza la presenza di nostre truppe di terra, noi ci troveremo impossibilitati a scongiurare questo pericolo. Molti di quelli che chiedono agli Stati Uniti un intervento sostengono che, se l’America non è in grado di inviare armi all’opposizione, dovrebbe quantomeno dichiarare una no-fly zone sul confine turco e offrire assistenza. Questa opzione si fonda su un noto retro-
Una madre siriana di Homs piange per il suo bambino. In alto, i bombardamenti sulla città, che durano ormai da giorni. Sotto Barack Obama e Valdimir Putin. Ieri Ban Ki-Moon ha condannato la crescente violenza, mentre la Francia si è detta preoccupata del nuovo massacro di civili che si sta profilando scena: ovvero che gli Stati arabi, timorosi della crescita iraniana, stanno già adesso rifornendo di armi i ribelli. Ovviamente, le mandano a delle fazioni che sono a loro congeniali, ma che non necessariamente sono altrettanto congeniali a noi. E questo bisogna averlo ben chiaro se si sceglie di alzare il livello di aiuto. Assad è ancora al potere perché la Russia, l’Iran e la Cina lo
sostengono. Mosca lo rifornisce di armi e soldi, ma influenza anche le sue scelte politiche. Lo stesso fa l’Iran, che però ha inviato sul terreno anche le sue Guardie rivoluzionarie a dirigere l’offensiva.
La Cina è quella meno interessata al destino di Assad, ma il suo supporto alla questione è strategico. Schierandosi al fianco di Mosca, spera che questa
Continuano i bombardamenti: oltre 100 morti. Ban Ki-moon: «Ci vuole un vertice»
Onu shock: «Bimbi usati come scudi umani» La rappresentante delle Nazioni Unite: «Si tratta di episodi orribili. Minori torturati, mutilati e uccisi»
on c’è fine all’orrore in Siria: secondo un rapporto dell’Onu, le truppe lealiste hanno torturato bambini anche di solo 8 anni, li hanno uccisi e li hanno usati come scudi umani durante le incursioni militari contro i ribelli. E intanto si teme un nuovo massacro, dopo quelli ad Houla e Koubeir: le forze di sicurezza siriane da quasi 48 ore stanno bombardando pesantemente con elicotteri e carri armati le posizioni dei ribelli ad al-Heffa, la città sunnita nei dintorni di Latakia, sotto assedio da oltre otto giorni e dove ieri è stato impedito agli osservatori internazionali di entra-
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re, anche ricorrendo alle armi. I ribelli stanno cercando di aprire un corridoio umanitario per far uscire i civili rimasti intrappolati, 400 persone tra cui donne e bambini al momento rinchiusi in una scuola. La denuncia Onu è circostanziata. Il 9 marzo scorso, nella provincia di Idlib, prima dell’attacco al villaggio di Ayn l’Arouz, le forze del governo «hanno razziato» decine di maschietti, tra gli 8 e i 13 anni: ragazzini poi «messi dinanzi ai finestrini degli autobus che trasportavano il personale militare dentro il villaggio per il raid». Un bagno di sangue andato avanti
mondo
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paesi arabi meno spaventati di vedersi sopraffare dall’Iran. Il punto è che a fronte dell’evidente fallimento Onu in questa vicenda (compreso il piano di pace di Kofi Annan) si vada verso una soluzione punto diversa. Lo scambio potrebbe essere: l’Iran fa cadere Assad e in cambio gli si concede l’atomica. Obama è tentato di perseguire questa strada e l’Europa potrebbe accettarla.
potere, perché questo è il loro interesse primario. E nè Mosca nèTeheran si faranno commuovere dalla crudezza degli eventi o coinvolgere in azioni spinte da motivazioni umanitarie e tantomeno spaventare dalla minaccia di isolamento paventata dalla comunità internazionale. Pensate mica che l’espulsione dei diplomatici siriani da molte capitali occidentali abbia impensierito Assad? Piuttosto dovreste sapere già che se Assad dovesse prevalere, quegli stessi ambasciatori potrebbero piano piano fare ritorno ai loro uffici. La verità è che un intervento contro la Siria non resterebbe confinato al solo paese, ma si allargherebbe all’Iran e forse anche alla Russia.
domani gli restituisca il favore su questioni a lei molto più a cuore, come la Corea del Nord e, potenzialmente, la rivendicazione dei territori nel mare cinese. Il primo giugno, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha condanato la violenza contro i civili siriani. Solo tre paesi hanno votato contro: Russia, Cina e Cuba. Russia e Iran hanno già messo in conto il sangue siriano pur di mantenere Assad al
te uccise e arse, tra cui proprio i due ragazzini di 14 e 16 anni».
Il rapporto - che è stato completato prima del massacro di Houla del 25 maggio, dove 49 delle 108 vittime pare fossero proprio bambini, alcuni di due o tre anni, uccisi con colpi alla testa o ritrovati con il cranio spaccato - documenta brutalità di ogni genere. «Molti bambini vittime di tortura hanno raccontato di esser stati picchiati, tenuti con gli occhi bendati, costretti in posizioni innaturali, legati a pesanti cavi elettrici, segnati da bruciature di sigarette e, in un caso documentato, sottoposti a scosse elettriche applicate ai genitali». Almeno una testimone ha raccontato di aver visto un ragazzo di 15 anni morire per le percosse subite. L’Onu punta l’indice anche sul Libero Esercito Siriano, l’opposizione armata che starebbe reclutando bambini da usare come soldati.
Decine di maschietti tra gli 8 e i 13 anni sarebbero stati «messi dinanzi ai finestrini degli autobus che trasportavano il personale militare dentro i villaggi per i raid». Un bagno di sangue per quattro giorni. Tra le 11 vittime, al termine della prima giornata di scontri, tre erano adolescenti tra i 15 e i 17 anni; altre 34 persone, tra cui due maschi di 14 e 16 anni e una ragazzina di 9, sono stati arrestati. «Alla fine, il villaggio venne bruciato e quattro delle persone ferma-
Un’azione degli Stati Uniti farebbe subito saltare il “reset” button premuto da Hillary Clinton un paio di anni fa. Una mossa che sotto elezioni Obama non può assolutamente permettersi. Per quanto riguarda l’Iran, invece, un qualsiasi intervento provocherebbe lo stop di qualsiasi negoziato sul nucleare. Una perdita tutto sommato sostenibile, visto che anni di negoziati non hanno davvero portato a nulla, se non carne al fuoco per l’Iran. La Siria oggi è il cuore dell’antico scontro sun-
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È uno scenario da incubo, ma possibile. Per mandare a casa Assad e tutelare i nostri interessi, dovremmo invece isolare la Siria dai suoi amici. Gli Usa dovrebbero costruire un sistema di difesa anti-missile per proteggersi non dalla Russia ma dagli stati canaglia, come l’Iran e la Corea del Nord. Al contempo, dovrebbero informare russi e cinesi di essere pronti a contrastare le loro capacità missilistiche ed essere pronti a ritirarso dal trattato New Start. Questo li lascerebbe in mezzo ai guai. Guai seri. Ad alcuni tutte queste azioni possono sembrare folli, ma invece rimetterebbero tutto in gioco. Sia la Russia che la Cina pensano che l’America sia sul viale del tramonto. Francamente penso che sarebbe giusto dare una bella sveglia al Cremlino e al Zhongnanhai. Infine, Gli Stati Uniti dovrebbero dire all’Iran che l’era della pazienza è finita e che il loro uso strumentale della mediazione diplomatica - fino ad oggi servita solo a conquistare tempo - è terminato. A quel punto Teheran sarebbe messa all’angolo e noi potremmo smetterci di bere una verità a lungo propagandata: quella del nucleare ad uso civile. Una menzogna colossale agita da un regime che non è credibile.
Il pericolo di veder rimpiazzato l’attuale regime con una forza islamica radicale è molto alto. Conoscere il proprio nemico è una cosa, conoscerlo molto poco è tutt’altra
nita-sciita, un affare che non sta all’Occidente risolvere. Piuttosto che incoraggiare l’opposizione a combattere, dovremmo concentrarci a neutralizzare il programma nucleare iraniano. Questo renderebbe i
”
A quel punto, sarebbe possibile agire in Siria e fare quello che non è stato fatto dieci anni fa: trovare dei leader dell’opposizione realmente secolari e contrari all’islam radicale, capaci di contrastare al-Qaeda, Hezbollah e gli altri gruppi terroristici oltre che l’egemonia russa e iraniana nel loro paese.
Solo a quel punto, e ammesso che esistano, sarebbe utile e necessario aiutarli a prevalere. E l’Europa dovrebbe fare la sua parte e smetterla solo di parlare e fare proclami. Il regime di Assad poteva cadere nel 2003, l’occasione allora è stata persa e molto sangue è stato versato per questa miopia strategica. Fossero stati fatti i giusti passi, oggi il Medioriente sarebbe diverso. Ma, come insegna il detto, meglio agire tardi che mai.
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grandangolo Il grande businessman pensa alle elezioni del 2016
Mike (big apple) Bloomberg, il sindaco che pensa da presidente Fa bene il suo lavoro, snobba Obama, finanzia i sindaci di mezza America e vuole comprarsi il New York Times o il Financial Times per consolidare il suo mega impero giornalistico (2400 giornalisti, 146 redazioni in 72 Paesi diversi) e magari contare ancora di più nel mondo degli affari. Ma il sogno nel cassetto è la Casa Bianca di Anna Camaiti Holstert orse David Letterman può anche fare dell’ironia sulla statura fisica del sindaco di NewYork, come ha fatto ripetutamente nel suo ormai celebre programma notturno. Lo scorso agosto ad esempio ha detto che dopo il terremoto di NewYork lo hanno trovato in piedi sotto il tavolo del suo ufficio in Comune nel tentativo di proteggersi, ma Michael Bloomberg è tutto fuori che piccolo o capace di pensare in “piccolo”. Nato il giorno di S.Valentino del 1942 il sindaco della Big Apple ha studiato alla Johns Hopkins University e ad Harvard dove ha conseguito un master in business. È solito definire se stesso in pubblico e nei suoi profili biografici in internet come (in esatt’ordine) «imprenditore, filantropo e sindaco». E in nessuno di questi ruoli le sue iniziative sono state e sono di poco conto o di piccolo cabotaggio. Come imprenditore infatti ha fatto fortuna creando la Bloomberg L.P., un colosso finanziario basato sul rivoluzionamento, attraverso un sistema di computerizzazione dei dati, del modo in cui vengono conservate e classificate le informazioni di sicurezza.
alle arti. E i suoi interessi non si sono limitati al suo paese. Così ad esempio ha destinato 600 milioni di dollari per una campagna mondiale antifumo, proprio considerando che solo in Cina si concentra un terzo dei fumatori del mondo. Ha speso 125 milioni di dollari per rafforzare la sicurezzza delle strade in Vietnam e in Egitto e ha siglato un programma per migliorare la segnaletica stradale in Brasile. Per quanto riguarda l’ambiente ha donato 100 milioni di dollari all’associa-
L’azienda ha prosperato e si è allargata a tal punto nell’universo dei media che adesso ha più di cento sedi nel mondo e costituisce un vero e proprio impero. Come filantropo, essendo uno degli uomini più ricchi del mondo, la sua attenzione si è rivolta alla ricerca medica, all’ambiente, all’istruzione e
zione ambientalista Sierra Club che ormai da anni sta combattendo una battaglia senza quartiere per lo smantellamento delle centrali di carbone negli Stati Uniti. Paragonato di frequente a Lorenzo il Magnifico per la sua magnanimità e per la sua attenzione nei confronti del mondo artitstico,
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Istruzione, sanità e sicurezza sono i temi su cui ha sempre puntato e per i quali si è speso senza riserve
Bloomberg ha stanziato dal 2002 più di 200 milioni di dollari per sostenere e incoraggiare le arti. Come scrive il New York Times è stato un filantropo anonimo della Carnegie Hall a cui ha donato negli ultimi anni dai 5 ai 20 milioni di dollari. E non è da meno nel campo dell’istruzione. Dopo avere regalato, dall’inzio della sua carriera ad oggi, alla sua alma mater cioè all’università Johns Hopkins circa 800 milioni di dollari e ad Harvard 3 milioni, Bloomberg ha finanziato progetti correlati all’istruzione in svariate città degli Stati Uniti da New York a Baltimora, a New Orleans.
Ma è proprio come sindaco che Bloomberg ha costruito una immagine di sè nuova, originale e inimitabile. Divenuto il 108esimo sindaco di New York e considerato oggi un repubblicano liberal è passato dalle file democratiche a quelle repubblicane per poi divenire un indipendente con vedute spesso in aperto conflitto sia con le posizioni dei repubblicani che con quelle dei democratici, sebbene ambedue continuino a corteggiarlo per avere il suo supporto. Di questi ammiccamenti Bloomberg si compiace molto e spesso gioca con loro come fa il gatto con il topo. «Il suo limite è che è un uomo di centro e non c’è posto di questi tempi per uno di centro in nessun partito» afferma uno dei suoi consiglieri. E d’altra parte sposa anche posizioni assai controverse per ambe-
due i partiti, come dimostra la sua posizione pro-choice relativamente alla scelta individuale della donna in caso di aborto, quella a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso o quella che riguarda una legislazione più restrittiva rispetto alla detenzione di armi da fuoco. D’altro canto è un nemico dell’eccessivo intervento pubblico e governativo nella società civile. Tra i suoi programmi più popolari, come sindaco, quello di avere istituito una linea telefonica diretta che metteva in contatto con il comune tutti i cittadini che volessero riferire di atti di criminalità o di qualsiasi inefficienza di mantenimento presente nella città. Componendo il numero 311 ogni utente aveva la possibilità di parlare direttamente con funzionari del comune a cui riferire quali e dove erano i problemi rilevati. Dopo essere stato rieletto nel 2005 Bloomberg ha deciso di ripresentarsi per un terzo mandato, adducendo sia la crisi finanziaria, sia la sua enorme disponibilità economica e politica a risolvere i problemi della città di New York. Convinto che il mondo della politica e quello degli affari non abbiano regole poi così divergenti, ha investito somme di denaro senza precedenti (circa 90 milioni di dollari) per la sua campagna elettorale ed è stato rieletto nel 2009. «Forse avrebbe voluto diventare presidente, ma sono convinto che alla fine in questo suo ruolo potrebbe essere ancora più influente e
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In pole position Rob Portman, senatore dell’Ohio, uno Stato decisivo
Romney, per vincere cerca un vice dalla faccia pulita di Luisa Arezzo na “faccia pulita”per scongiurare la rielezione di Obama alla Casa Bianca. Ecco cosa sta cercando Mitt Romney, sfidante repubblicano di Barack alle prossime elezioni di novembre 2012. Un uomo dal passato immacolato su cui puntare da subito. Perché questo è quello che l’America conservatrice chiede. Tanto da indurlo ad anticipare la scelta del suo numero due: secondo molte fonti, infatti. il candidato repubblicano alla Casa Bianca romperà una sorta di tradizione della politica americana, indicando il nome del suo vicepresidente ben prima della Convention di Tampa, che si aprirà il 27 agosto. E il nome che circola con maggiora insistenza, e su cui anche la Casa Bianca ha messo gli occhi da tempo, è Rob Portman, un senatore dell’Ohio dalla faccia pulita. Ex avvocato, preparato in economia e stimato anche dai democratici, Portman è un liberista moderato, in grado di raccogliere voti al centro, tra gli indipendenti, una fascia elettorale strategica in vista delle presidenziali. Inoltre, ha un profilo praticamente anonimo, in modo da non oscurare in nessun modo la figura già giudicata poco carismatica di Mitt Romney. E dalla sua gioca anche il fatto che viene dall’Ohio, uno degli “swing state”, quelli che il prossimo 6 novembre faranno la differenza, perché capaci di passare facilmente da una schieramento all’altro. Non solo: Romney intende anticipare i tempi sulla scelta del ticket presidenziale per aiutare le attività di raccolta fondi e agevolare la creazione dello staff definitivo in vista degli ultimi decisivi mesi della campagna elettorale. Secondo Politico.com, dopo la festa nazionale del 4 luglio, l’Independence Day, ogni giorno può essere quello buono per questo passo cosi’ importante.
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più importante del prossimo presidente chiunque esso sia» afferma il suo consigliere politico Doug Schoen, forse esagerando un pò. I risultati però ci sono stati se perfino Letterman che ha anche ironizzato sulla sua eccessiva ricchezza, di cui peraltro Bloomberg va invece molto fiero, incoraggiando chiunque abbia grandi mezzi finanziari a investire nella società civile nei confronti dei meno fortunati, si è complimentato per come la città si è trasformata negli anni della sua amministrazione. Proprio ad alcuni giorni fa risale il divieto, effettivo a marzo del prossimo anno, per i negozi di alimentari, per i ristoranti, per i cinema, per le bancarelle di strada e perfino per gli stadi
Per la sua magnanimità e attenzione verso l’arte, è stato paragonato a Lorenzo il Magnifico che si trovano nel terriorio di New York, di reclamizzare nel loro menù o vendere bottigliette di bevande gassate di più di 16 once (circa mezzo litro).
Lo scopo è combattere obesità, diabete e altri problemi di salute legati all’uso, secondo le stime di dietologi e medici qualificati, di spropositate quantità di questi drink pieni di calorie e di sostanze dannose all’organismo. «L’obesità è un problema nazionale e in tutti gli Stati Uniti i funzionari della sanità pubblica si disperano e dicono: «questo è terribile». New York non è fatta per disperarsi, agisce e le cose le fa. Penso che questo sia quello che l’opinione pubblica si aspetta che il sindaco faccia», ha affermato in una recente intervista Bloomberg, il quale ha fatto del problema sanitario una delle priorità di tutti i suoi mandati. Ha approva-
to infatti anche misure estreme, come quella di proibire il fumo anche nei parchi e l’uso di grassi insaturi nei ristoranti. Ha inoltre ordinato ai ristoratori di esporre nelle loro vetrine, accanto ai menù del giorno in cui devono essere visibili accanto al prezzo anche le calorie di ogni singolo item, le valutazioni delle ispezioni degli ufficiali sanitari.
Ma la sua passione di sindaco si è spinta oltre l’amministrazione della sua città. È di non molto tempo fa il meeting con 20 sindaci delle più importanti città d’America con cui Bloomberg si è incontratto nella sede della sua fondazione per discutere delle possibili innovazioni nella politica del governo locale. Dopo avere chiesto, come riporta Gabriel Sherman del New York, ad alcune icone del giornalismo americano del calibro di Brian Williams e Charlie Rose di partecipare all’incontro, ha fatto volare a sue spese i suddetti sindaci appunto per discutere di una possibile agenda politica e di un suo possibile coinvolgimento in progetti che riguardano città bisognose del suo aiuto. «I sindaci fanno le cose e fanno in modo che le cose accadano. C’è una cosa sulla quale tutti noi sindaci siamo d’accordo sia che siamo Repubblicani, Democratici o indipendenti e io sono una persona che al proposito può parlare a ragion veduta di tutti e tre, ed è che non ci possiamo consentire il lusso di fare solo discorsi e promesse», ha detto alla cena offerta ai suoi ospiti. Bloomberg non è nuovo a questo tipo di progetti; l’anno scorso ha infatti allocato 6 milioni di dollari a Chicago per aiutare il sindaco Rahm Immanuel in due inziative assai importanti per l’economia cittadina: 1) riformare il sistema delle licenze per le piccole imprese e 2) rendere più efficiente e maggiormente coordinato il sistema delle aziende locali. E in precedenza aveva donato 4.2 milioni di dollari al sindaco del comune di New Orleans per un programma di riduzione della criminalità. Nella speranza che entro la chiusura del suo mandato l’anno prossimo sia già iniziata una nuova stagione della politica proprio a partire dai governi locali e sia stato proprio “il sindaco dei sindaci” ad inaugurarla.
Una scelta di questo tipo toglierebbe suspence alla Convention, che comunque rappresenta il momento in cui tutto il Paese segue con fervore gli sviluppi della politica. Normalmente, quando il ticket si forma in quel contesto, il candidato presidente assieme al suo nuovo compagno d’avventura, si recano nella città di nascita del numero due. Ma tutto lascia immaginare che alla fine, l’esigenza di raggranellare più soldi possibile, farà abbandonare questa spe-
cie di rito. Così resta da vedere chi sceglierà Mitt. Con Jeb Bush che si è fatto ufficialmente da parte, lanciando la candidatura di Marco Rubio, il senatore della Florida, la partita sembra ridotta a 4 nomi, con Portman in pole position. Oltre al giovane e promettente senatore ispanico, in lizza ci sono anche Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota ed ex candidato alla Casa Bianca ed il senatore John Thune del South Dakota. Sulla scelta del vice, incombe come un macigno l’attivismo di Rick Santorum, l’ex senatore della Pennsylvania che con le sue crociate ultra-conservatrici è stato l’unico a dare filo da torcere alla nomination di Romney nel corso delle primarie repubblicane. Proprio pochi giorni fa Santorum ha lanciato la sua nuova campagna estremista, promuovendo “Patriot Voices”, una struttura che punta a spostare sempre più a destra l’agenda del partito repubblicano.
È l’ennesima spina nel fianco per l’ex governatore del Massachusetts, costretto a convincere gli elettori più oltranzisti, soprattutto gli evangelici del profondo sud, di essere un conservatore doc, in grado di cambiare radicalmente la politica obamiana. Un senatore che è sopravvissuto al test dello staff di Mitt Romney per diventare vicepresidente definisce l’esame a cui è stato sottoposto come «una colonoscopia senza anestesia». Una metafora decisamente infelice, ma efficace. È la battuta, riportata dalla Cnn, che conferma come il candidato republicano alla Casa Bianca stia intensificando la sua ricerca affannosa di un numero due. Si tratta di assicurarsi la collaborazione di una persona assolutamente limpida, non solo senza scheletri nell’armadio, ma senza nemmeno nessuna piccola macchia, o mancanza o stupidaggine compiuta nel corso della sua vita passata. Si indaga sugli anni universitari, sul lavoro, ma anche sulle amicizie, la famiglia e le parentele più remote, insomma su tutto quanto possa solo lontanamente danneggiare indirettamente la campagna elettorale del loro potenziale capo. Lo stesso Mitt Romney è passato da questo esame/incubo quando venne scrutinato per diventare il vice di John McCain, 4 anni fa.
cultura
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Un incontro domani a Firenze in occasione dell’uscita di un libro di inediti, uno dei quali pubblichiamo in anteprima
Il lato B di Virginia Più femmina che femminista: si rovescia l’immagine più accreditata della Woolf
Il Festival degli scrittori - di cui una delle tappe è il Premio Gregor von Rezzori - (vedi box nella pagina a fianco) -, riserva domani nella Balconata di Palazzo Strozzi a Firenze (alle 17), uno spazio privilegiato a Virginia Woolf, con un incontro (La letteratura non è una proprietà privata, il titolo) organizzato in occasione dell’uscita del libro di inediti della Woolf Consigli a un aspirante scrittore (Bur Rizzoli), curato da Roberto Bertinetti.Vi parteciperanno, oltre al curatore, Chiara Valerio ed Elisabetta Rasy, i quali sveleranno una Virginia “inedita, più snob che militante, e maestra di letture”. Per gentile concessione dell’editore e grazie alla collaborazione del curatore, pubblichiamo alcuni brani tratti dal libro.
di Virginia Woolf er un lettore inglese orgoglioso della narrativa del suo Paese è quasi umiliante il confronto tra una storia come I cosacchi, pubblicata nel 1863, e i romanzi scritti più o meno nello stesso periodo in Inghilterra. Ci sembrano come deliziose ma immature opere infantili accostate a quelle di uomini maturi. Ed è ancora più strano considerare che, mentre parecchie cose di Thackeray e Dickens ci sembrano lontane e obsolete, questi racconti di Tolstoj si leggono come se fossero stati scritti l’altro ieri. […] Nonostante la sua brevità, forse è la ricchezza del genio di Tolstoj che ci colpisce di più qui. Niente sembra sfuggirgli. Il meraviglioso occhio osserva tutto. Il blu o il rosso del vestitino di una bambina. Il modo in cui un cavallo agita la coda. I movimenti di un uomo che cerca di mettersi le mani nelle tasche cucite. Sembra che lui riesca a captare automaticamente ogni gesto e che subito il suo cervello riesca a farlo risalire a una causa rivelatrice dei segreti più nascosti della natura umana. Sentiamo di conoscere i suoi personaggi sia dal modo in cui soffocano o starnutiscono sia da come affrontano l’amore e l’immortalità e le più raffinate questioni etiche. In questa raccolta di racconti, tutte opere giovanili concepite in una terra selvaggia e lontana dalla civiltà cittadina, riesce a trovare più libertà che nei romanzi, per la straordinaria intensità delle sensazioni fisiche. […] E finiamo così per pensare di nuovo alla differenza tra noi e i russi. E per invidiare loro quella straordinaria unione di estrema semplicità ed estrema sottigliezza che sembra contraddistinguere allo stesso modo sia i cittadini istruiti sia i contadini. Non riescono a rivaleggiare con noi nella commedia ma, dopo avere letto Tolstoj, sentia-
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mo sempre che potremmo sacrificare la nostra abilità in quell’ambito in cambio di qualcosa della profonda psicologia e della superba sincerità degli scrittori russi. 1 febbraio 1917
Cattivi scrittori I cattivi libri vengono scritti in uno stato di passione ribollente, nella completa sicurezza dell’ispirazione. Lingua e grammatica sono impedimenti trascurati se creano problemi. È così che nei migliori cattivi scrittori troviamo quella sensazione di stare a inseguire il linguaggio sconnesso proprio de-
regione di luce artificiale dove ogni operaia diventa duchessa e dove, se dobbiamo dirla tutta, la maggior parte delle persone passa ogni giorno qualche momento a vendicarsi della realtà. I libri cattivi non sono lo specchio ma le vaste ombre distorte della vita. Sono un rifugio, una forma di vendetta. 1918
Dickens Forse nessuno più di Dickens ha sofferto dell’entusiasmo dei suoi ammiratori, che ha finito per farlo sembrare più un’intollerabile istituzione che un grande scrittore. Gente che lo
Da sinistra: Tolstoj, Hemingway, Dickens e D.H. Lawrence. Sopra, Virginia Woolf di cui sta per uscire un libro di inediti
gli incubi, che, a seconda dei casi, può diventare eccitante o sconcertante. Il procedimento non si basa sul pensiero ma sull’intuizione, e siccome in questo sembrano seguire il grande esempio di Scott, se non addirittura quello di Shakespeare, vediamo di chiederci le ragioni della loro malvagità. Perché tutti invariabilmente affermano non solo l’incoerenza ma anche l’irrealtà dell’incubo? Il cattivo scrittore sembra avere l’esclusiva del potere di sognare a occhi aperti, vive perennemente in quella
legge e si vanta, a ragione, di non aver letto nient’altro. O che ne parla con quel tono di proprietà che usano gli abitanti delloYorkshire quando si riferiscono alla loro contea. Per queste ragioni, è abbastanza facile credere di aver letto Dickens senza averne riaperto un libro dopo l’infanzia: non solo lo avete letto, ma vi siete decisi a non volerlo rileggere più. Così è come credere di vedere tutto quello che c’è da vedere del Taj Mahal o del golfo di Napoli da fotografie e cartoline a colori. Ma, fortunatamente per la no-
stra sanità mentale, esistono le locande di campagna e le domeniche piovose. Sull’unico scaffale dell’unica stanza di lettura trovate soltanto Edna Lyall e Charles Dickens. Posti di fronte all’alternativa di contare le gocce di pioggia, ci giunge voce che alcuni hanno annunciato che preferivano distruggere Dickens. E, procedendo inflessibili nel loro compito, sono riemersi dopo quattro o cinque ore, stabilendo che prima di loro nessuno l’aveva mai letto veramente. È solo questione di decidere se altri romanzieri
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inglesi, a parte Scott, abbiano il diritto di essere definiti shakespeariani. Come Shakespeare e come Scott, i suoi difetti sono talmente colossali che, fosse stato colpevole solo di quelli, la natura prodigiosa dei suoi pregi si sarebbe potuta intuire. 1919
D.H. Lawrence Forse i verdetti dei critici suonerebbero meno insensati e le loro opinioni avrebbero un peso maggiore se prima di tutto si sforzassero di chiarire lo standard che hanno in mente e, in secondo luogo, confessassero il percorso, per forza di cose discontinuo nel caso di un libro letto per la prima volta, attraverso il quale sono giunti alla loro sentenza. Perciò, il nostro standard nel caso di Lawrence è molto alto. […] Così, anche se il romanzo La ragazza perduta è probabilmente migliore di qualsiasi cosa uscirà nei prossimi sei mesi, siamo delusi e vorremmo liquidare Lawrence come uno di quelli che si sono risolti a scrivere libri passabili, se non fosse per quelle frasi momentanee e per il forte sospetto che sia meglio vedere La ragazza perduta come una tappa nella carriera di uno scrittore. O è un post scriptum o un preludio. 2 dicembre 1920
Ernest Hemingway Di Hemingway sappiamo che è americano e vive in Francia, uno scrittore “d’avanguardia”, sospettiamo, associato a un sedicente movimento, anche se ammettiamo proprio di non sapere quale tra i tanti. Sarà bene dunque informarsi di più sulla questione leggendo innanzitutto il romanzo precedente, Fiesta, per rendersi subito conto che, se Hemingway è “d’avanguardia”, non lo è certo nel sen-
Gli appuntamenti del Festival degli scrittori da oggi al 15 giugno
Michael Ondaatje ospite d’onore Molti gli appuntamenti di questa seconda edizione del Festival degli scrittori che si tiene a Firenze da oggi al 15 giugno, con l’intento di promuovere i talenti più originali della letteratura internazionale (quest’anno: dalla Spagna ai Paesi nordici, alle Indie orientali) e della traduzione. Tra questi, oltre all’incontro dedicato a una inedita Virginia Woolf (domani, vedi distico sotto al titolo), la lectio magistralis che l’ospite d’onore Michael Ondaatje, autore del celebre romanzo Il paziente vincitore del inglese, Booker Prize 1993, terrà oggi. Organizzato dalla Fondazione Santa Maddalena e dal Premio von Rezzori, en-
trambi presieduti da Beatrice Monti della Corte, moglie dello scrittore mitteleuropeo Gregor von Rezzori, si svolgerà a Palazzo Medici Riccardi, Palazzo Vecchio, il Teatro Odeon e Palazzo Strozzi (info: 055 2347273 - davis.franceschini@dada.it - www.davisefranceschini.it). Nel giorno di chiusura del Festival si svolgerà la cerimonia di premiazione della 6a edizione del Premio Gregor von Rezzori - Città di Firenze: presenti i finalisti Emmanuel Carrère, Jenny Erpenbeck, Damon Galgut, Jòn Kalman Stefansson, Enrique Vila- Matas e il vincitore del Premio per la traduzione Bruno Berni.
so che c’interessa di più. Chi critica è un modernista, e questa è una deformazione di cui il lettore farà bene a tenere conto. Sì, la precisazione è perché i moderni ci fanno accorgere di quanto sentiamo inconsciamente. Sono più fedeli a quanto ognuno di noi sente. Lo anticipano perfino, e questo ci dona un’emozione particolare. Ma sui personaggi di questo romanzo non ci viene rivelato niente di nuovo. Li incontriamo formati, proporzionati, soppesati precisamente come quelli di Maupassant. Sono visti dall’angolazione classica. Le antiche reticenze, le vecchie relazioni tra autore e personaggio sono rispettate. 9 ottobre 1927
Pagine di diario 30 settembre 1926 Voglio regolare il problema dei vestiti secondo queste regole: procurarmi dei vestiti a buon
un lago è franto dai remi, dopo che ho scritto. Sono stata così attiva. Abbiamo visto tante persone. Ieri sera abbiamo cenato con Roger, questa sera con Clive; è venuto Lytton; è venuta Vita; c’è stato un ricevimento. Ho portato un vestito a Shaftesbury Avenue. Era caldissimo, mi pare; e ora è davvero freddo, per la prima volta dopo settimane sta piovendo o ha appena piovuto. Scrivo cose qualsiasi, per riposarmi gli occhi dopo due ore di intensa correzione - per quel libro fin troppo corretto, Women & Fiction. Andrà in tipografia domani, lo giuro. E poi potrò davvero crogiolarmi alla luce di qualcosa di narrativo. Ma ho scritto fino all’esaurimento in quel modo, e trovo difficile ritornarci. Quest’ultimo mezzo anno ho guadagnato più di 1800 sterline; quasi al ritmo di 4000 sterline all’anno. È quasi il salario di un ministro; e c’è
Alcune pagine di diario scoprono anche un aspetto vezzoso (comprarsi vestiti eleganti senza limiti di spesa) che la spingeva a “sfornare” articoli per guadagnare di più. Ma poi c’era la narrativa... prezzo per il giorno; poi un vestito elegante preso da Brooke; e mostrarmi meno puntigliosa a proposito dei limiti di spesa, perché basta che scriva e mi dia da fare per avere a disposizione almeno 50 sterline extra all’anno per le spese voluttuarie. Non permetterò più che il pensiero di un cappotto da 3 sterline mi perseguiti nel cuore della notte, e non mi spaventerò più a pranzare fuori perché “non ho niente da mettermi”. Quel che occorre è una maniera di vedere le cose più vasta e più audace. Sabato 18 febbraio 1928 Sono lieta di annunciare che ho ancora qualche sterlina in banca, e un mio libretto d’assegni. Questo grande sovrappiù di dignità mi e stato concesso in autunno. Con le mie 60 sterline ho comprato un letto Heal; una credenza, una pelliccia, e ora una striscia di tappeto per l’ingresso. Questa innovazione finanziaria ha avuto un gran successo. E io sforno articoli in modo da scriverne uno e guadagnare 30 sterline al mese. 21 aprile 1928 Ora che ho 16 sterline da spendere prima del primo luglio mi sento più libera: posso permettermi un vestito o un cappello, e così posso andarmene un poco in giro, se voglio. Eppure la sola vita eccitante è quella immaginaria. Se la testa mi si mette in moto non ho bisogno di molti quattrini, o vestiti, e nemmeno di una credenza, di un letto a Rodmell o di un divano. Domenica 30 giugno 1929 Mi sono interrotta; qualcuno mi ha interrotta, penso. La mia malinconia si è infranta, come
stato un periodo, due anni fa, in cui faticavo per arrivare a 200 sterline. Ora mi pagano più del dovuto per i miei brevi articoli. E penso ancora che il gran piacere della prosperità sia quello di poter entrare in un negozio e comprare un temperino. Bene, dopodomani la smetterò di scrivere articoli e mi darò alla narrativa per sei o sette mesi - forse fino al marzo dell’anno prossimo. E registro qui la mia intenzione di scrivere in modo molto più accurato il mio prossimo libro; di eliminare le ridondanze. Ora che mi pare di essermi guadagnata il libero uso della mia penna, devo cominciare a frenarla. Finora per la mia libertà ho dovuto combattere.
30 maggio 1938 Ma intendo registrare il grafico: le previsioni dell’Observer sono amichevoli: si afferma che Three Guineas (Le tre ghinee in italiano, ndr) è poetico, profondo, in vena saggistica e ricco anche di poesia, meravigliosamente scritto e lucidamente argomentato. Pippa non ha scritto. L. sostiene che mi devo aspettare dei commenti molto irati da parte degli uomini e io aggiungo: anche dalle donne. Poi ci sarà il clero. Ma credo di poter aspettare tranquilla come un rospo in una quercia la fine della tempesta. E mi sto abituando ad abitare quel centro; leggo con calma: Walpole; Johnson; e continuo a ingozzarmi con Roger. Sono in possesso della mia anima - ecco qualcosa che sono in grado di fare. Non mi sento in dovere di comprarmi un vestito nuovo da Murray una gran vittoria per la malvestita cittadina V.
e di cronach
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