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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

NordSud di e h c a n cro di Ferdinando Adornato

inserto

Marini getta la spugna, ora si vota. È la soluzione migliore. Ma insistiamo: non c’è bisogno solo di un nuovo governo. O rovesciamo i comportamenti ancora diffusi dal tempo del Sessantotto o non ce la faremo

Il Nord del Sud Ettore Artioli Alessandro D’Amato Giuseppe Latour Francesco Pacifico Gianfranco Polillo

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Sayed PRIMA VITTORIA: ESECUZIONE SOSPESA

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

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bioetica IL DIRITTO ALLA VITA DEI PREMATURI a pagina 7

di Carlo Bellieni

educazione

di stagione

LA SERIETÀ DEGLI STUDI SI RAGGIUNGE COSÌ di Giuseppe Bertagna a pagina 8

ritratti DOLCEZZA E RIGORE DI ROSA BERLUSCONI a pagina 9

di Errico Novi

Dall’Italia del ribellismo cronico all’Italia della responsabilità

America 2008 SUPERMARTEDÌ È L’ORA DELLA VERITÀ a pagina 8

di Reginald Dale

alle pagine 2, 3 e 4

ISSN 1827-8817 80205

9 771827 881004

MARTEDÌ 5

FEBBRAIO

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

18 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Cambio

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Come andare al voto

Le idee per aprire la nuova frontiera (non per una restaurazione) di Renzo Foa a discussione sul Sessantotto, aperta da liberal, coincide con la conclusione del tentativo affidato a Franco Marini e con la fine della legislatura. Coincide cioè con l’esaurimento di una fase politica e con la possibilità di aprire una nuova stagione italiana da contrapporre ad un pericoloso declino. Si tratta ora di guardare avanti, di cominciare a fare i conti con le domande di responsabilità e di serietà poste alle classi dirigenti, con il bisogno di riunificare una società frammentata in un nuovo spirito repubblicano, se si preferisce in un nuovo patto di cittadinanza.

L

Non è un salto nel passato, non è una Restaurazione: lo dico innanzitutto a Rina Gagliardi, che ha posto il problema, dalle colonne di Liberazione, giornale che meglio di tanti altri ha l’abitudine di affrontare con spirito aperto, anche se di parte, queste grandi questioni. Quando ci mettiamo a rileggere il passato – anche con spirito revisionista – non lo facciamo certo per cancellarlo, operazione che del resto nessuno può fare. Lo sforzo è semmai di capire quali sono le eredità negative che si trascinano e che hanno contribuito a bloccare la società italiana, sul piano politico e culturale. Non c’è alcuna “normalizzazione” del passato da tentare oggi. Quarant’anni dopo il Sessantotto, non possiamo non accorgerci che semmai è stata la storia a ”normalizzarlo”e a dirci che il mondo, dove è cresciuto, lo ha fatto smentendo le profezie di quella stagione. A dirici che è stata una rivoluzione – perché di questo si è trattato, nessuno lo mette in dubbio – che prese molti abbagli, che confuse le parole (liberazione con libertà, auodeterminazione con responsabilità e così via) e che coniò formule ormai divenute in gran parte obsolete. Un solo esempio. C’era la centralità della classe operaia e ora quella fetta di lavoro dipendente è talmente marginale da richiamare l’attenzione su di sè per l’arretratezza delle sue condizioni, per un’emergenza che i sindacati non riescono neanche più a gestire attraverso i metodi tradizionali della contrattazione. Cosa c’entra la Restaurazione? Possiamo fare tanti altri esempi. Il mondo, il mondo dei ”dannati della terra”di allora, dove è uscito dal sottosviluppo – penso in primo luogo alla Cina e all’India, ma anche al Brasile – l’ha fatto grazie alle “lotte di liberazione nazionale”o ad altro? E, a proposito del sapere, siamo davvero sicuri che la scuola e l’università del 2008 aiutino chi studio a trovare un ruolo nella società meglio di quanto non accadesse prima? Ripeto: cosa c’entra la Restaurazione? Allora guardare avanti non significa cancellare il passato. Significa piuttosto passarlo al setaccio, verificarlo, attraverso gli strumenti della critica, se non altro per accorgersi che John Lennon – se vogliamo restare al Sessantotto – serve ancora e Lenin invece no. Per essere espliciti, questo significa «cambio di stagione», nel momento in cui l’Italia è giunta ad un svolta politica il cui significato va aldilà del ritorno alle urne dopo appena due anni o di una semplice alternanza, cioè della formazione di un nuovo governo. Discutere la rivoluzione di quarant’anni fa, significa in primo luogo battaglia delle idee non nell’arcaico dilemma tra rivoluzione e restaurazione, ma tra le novità del XXI secolo e le nostalgie di un’epoca che non c’è più.

Cosa significa superare il Sessantotto per il governo dell’Italia

Vincere la guerra tra ribellismo e responsabilità di Ferdinando Adornato ambio di stagione: lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Cambio di mentalità, cambio di comportamenti, cambio di paradigmi politici e culturali. Non abbiamo bisogno soltanto di un cambio di governo. Il fatto è che a quaranta anni dal ’68, la società italiana è ancora intossicata dalle droghe ideologiche diffuse allora. La scimmia del 1968 è ancora sulle nostre spalle e blocca la modernizzazione italiana. Il 1968 è morto storicamente, politicamente ma culturalmente ancora cammina: perciò è necessaria un’opera di disintossicazione che liberal ha avviato con il convegno che si è chiuso la settimana scorsa. Ed oggi è felice coincidenza riproporre le nostre tesi mentre l’Italia si appresta a nuove elezioni. Gli anni Sessanta furono l’incubazione di una trasformazione positiva delle società occidentali, questo non va dimenticato; le figure di John Kennedy e di Papa Giovanni furono il simbolo che nuove frontiere potevano aprirsi per l’intero mondo. Si stava insomma preparando la rivoluzione di quelli che furono poi chiamati i baby boomers, che avvenne realmente alla fine degli anni 60, cambiando le professioni, le gerarchie sociali, il costume. Furono i Beatles la colonna sonora di quella rivoluzione. Ma poi

C

essa, ecco il punto, fu tradita dal sentiero ideologico imboccato dalle avanguardie del movimento che trascinò quella generazione non avanti verso il 2000, ma indietro verso uno dei più oscuri fanatismi del XX Secolo. Non

Le droghe ideologiche del ‘68 sono morte storicamente, ma culturalmente ancora resistono: per questo è necessaria la disintossicazione avviata da liberal. A maggior ragione mentre l’Italia si appresta a nuove elezioni

nuove allora ma vecchie frontiere furono attraversate. Un’intera generazione confuse Lennon con Lenin; ma Let it be non c’entrava niente con l’Internazionale. Ora questa genera-

zione occupa rilevanti posizioni di potere nei media e nella politica italiana, a sinistra, e lo fa senza aver sentito il bisogno di alcun ripensamento autocritico. Il caso Sofri è stato il paradigma dell’auto-assoluzione di un’intera generazione. Sarebbe bastato a decenni di distanza saperlo serenamente riconoscere. Invece no: si è scelto il silenzio e l’ omertà. Come se quella generazione dovesse, al pari di un clan, difendere nel silenzio i suoi errori. Così le bugie di allora hanno attraversato il tempo e sono arrivate fino ad oggi, quasi identiche.

Ci hanno raccontato che l’America era il paese del male, che Israele era l’avamposto della crudeltà imperiale, che il mercato era solo oppressione. E ancora ce lo raccontano. Nascondendo questi pensieri dietro lo scudo di un pacifismo unilaterale, un finto pacifismo che difende i dittatori e brucia le bandiere della democrazia. In questo il 68 ‘fu vero figlio del terribile 900, perché anche negli anni Trenta i totalitarismi nacquero avendo America ed Israele ed il capitalismo come totem da abbattere. Perciò il ’68 ideologico fu la prosecuzione della mentalità totalitaria. Non una rottura con i padri ma una continuità rispetto agli incubi da loro immessi nella storia del mondo.


Cambio Ci hanno raccontato che la lotta deve essere continua, fino alla distruzione totale del nemico. E ancora ce lo raccontano, visto che, sia pure sotto altre forme, la demonizzazione del nemico, la sua delegittimazione politica e morale resta il cuore del loro antagonismo. Sbaglia chi pensa che questo riguardi solo il centro-destra di oggi, solo Berlusconi. Si tratta di una lunga storia di paranoia che ha attraversato la Repubblica. Fanfani era fascista, Andreotti era Belzebù, Cossiga si scriveva col K (salvo quando faceva i governi con la sinistra) Craxi era un mutato geneticamente. E queste grida di piazza, questa invettive mediatiche, si sono poi trasferite nelle aule dei tribunali con processi, gestiti da una magistratura cosiddetta democratica, guarda caso, formatasi proprio in quegli anni. Sono diventati drammi, tragedie nazionali.

Ci hanno raccontato che, dietro ogni autorità si nascondeva autoritarismo, che dietro ogni ordine sociale si nascondeva repressione, che dietro il rigore degli studi si nascondeva un piano del capitale per normalizzare le libertà personali, che il professore era come il padrone. Ma questo non lo possono più raccontare: perché è ormai evidente come questa ideologia abbia distrutto la scuola, l’Università, la qualità degli studi. Il principio di autorità, infatti, è elemento essenziale di ogni comunità umana. Lungo questa strada si è smarrita la funzione educativa dell’insegnante e permettetemi di dirlo, la cosa più patetica è vedere alcuni professori sessantottini schiavi di una falsa pedagogia del dialogo, mettersi sullo stesso piano degli studenti in una sorta di fraterno permissivismo. Ecco perché oggi deve esserci una rivolta degli insegnanti rispetto a se stessi, rispetto al ruolo di impiegati pubblici nel quale, con l’aiuto dei sindacati, hanno trasformato il più nobile dei mestieri, quello di educatori. Ma è l’intera società italiana che ha bisogno di recuperare il concetto di autorità, senza il quale non può vivere alcuna nazione ed alcuno stato. Ci hanno poi raccontato che la selezione di merito era una selezione di classe. E ancora ce lo raccontano, considerando il merito una specie di ideologia borghese. Così facendo hanno davvero colpito al cuore il futuro ed il destino dei ceti più deboli, perché l’egualitarismo, che livella verso il basso, è la tomba dell’emancipazione sociale. I ricchi, infatti, possono cavarsela in tanti modi, ma se ai figli dei poveri togli la chance del merito, del talento, li condanni all’inferno. Il destino sociale di emarginazione può essere combattuto dai giovani meno fortunati solo in una società che promuove il merito. L’assistenzialismo è conservatore, la promozione del merito è rivolu-

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La censura al Papa, l’invasione dei rifiuti, il Guardasigilli dimissionato dai Pm. La gravità del paesaggio italiano ci dice che non dobbiamo solo ricostruire la politica, ma anche lo spirito nazionale

zionaria. L’assenza di questa consapevolezza è forse il tributo più alto che l’Italia di oggi paga al ’68. In virtù di questa ideologia siamo diventati un Paese bloccato, un Paese pansindacalizzato, un Paese simil-sovietico, nel quale per eccellere si può solo fuggire all’estero.

Ci hanno raccontato che l’individuo era nulla e che la massa era tutto. Ci hanno raccontato che la piazza era la vera democrazia. E questo non hanno più neanche bisogno di raccontarlo, tanto questo modo di ragionare è ormai radicato nella nostra società nella quale è ormai normale, come ha scritto recentemente Sergio Romano, “interrompere un servizio, bloccare un’autostrada, occupare una scuola, punire un’insegnante per aver cercato di imporre la disciplinare, trattare il teppismo come un malessere sociale, anziché come un reato, imbrattare i muri di una città o inscenare fenomeni di guerriglia urbana”. Da quaranta anni in effetti in Italia opera un Sessantotto continuo. E non fa parte di questo clima il fatto che l’Italia sia un povero paese, nel quale Benedetto XVI non può parlare nell’Università La Sapienza? Ecco perché, se andremo al governo abbiamo il dovere di rovesciare questa Italia rovesciata. Ecco perché non basta un cambio di governo, ci vuole un cambio di stagione. Ci hanno raccontato che la famiglia era da superare, che si trattava di un’”istituzione totale” da abbat-

tere, una fabbrica di repressione. E ancora ce lo raccontano. Su questo punto si sono cominciati a creare in quegli anni dei guasti incommensurabili. Allora si diffuse l’ipocrisia di dover praticare forzosamente rapporti liberi. Il mito di quegli anni era il rapporto tra Jean Paul Sartre e Simon de Beuavoir. Figurarsi! Chi ha avuto modo di leggere le lettere che i due si scambiavano ha scoperto che si trattava di un rapporto infernale, colmo di ipocrisie e tradimenti reciproci, alla fine di grande disprezzo della persona che si era scelta di sposare. Queste suggestioni hanno impedito a diverse generazioni di costruire solidi centri di vita sentimentale, producendo un’algida infelicità diffusa, che è all’origine dell’attuale perdita di speranza per un futuro costruito attraverso i figli. Per questo non ho dubbi nell’affermare che molte delle culture del ’68 sono all’origine del nostro calo demografico e quindi del declino italiano, perché è anche la perdita di speranza a causare il declino di una nazione. Ci hanno raccontato che l’immaginazione doveva andare al potere. Ma gli anni Settanta, figli del 68, produssero militanti arroganti e autoritari, tristi, privi di fantasie, militarizzati. Cinismo, opportunismo e utilitarismo si diffusero a macchia d’olio e ancora oggi dominano la scena pubblica. L’avvento del narcisismo di massa si sposò con l’imposizione di ideologie totalitarie, producendo quello che Sergio Belardinelli ha chia-

mato, con un efficace neologismo, il “narcisismo”, narcisismo e cinismo sposati insieme. Tutto ciò ha finito per espellere dalla nostra cultura diffusa virtù come il dovere, il senso civico, l’umiltà, la pazienza, il rispetto degli altri, l’etica della responsabilità che sono vere virtù repubblicane. Quella del ’68 è stata la generazione del pessimismo e della nevrosi. Queste erano le caratteristiche dei leader di allora che sino arrivate fino a noi e riempiono di sé i nostri attuali media.

Ci hanno infine raccontato che Cristo viveva nella classe e non nella persona. E ancora qualcuno ce lo racconta. Diversi settori del mondo cattolico hanno creduto a questa lettura marxista del Vangelo; viceversa nessuna teologia della liberazione che giustifichi il primato di qualche classe o strato sociale su altri, può pretendere di richiamarsi al messaggio cristiano. La libertà, la dignità, l’inviolabilità della persona umana: ecco su che cosa riposa il messaggio cristiano e su che cosa riposano i valori morali delle democrazie; questo equivoco ha invece ridotto il cristianesimo, per alcuni, ad una teoria della rivoluzione sociale. Al contrario, Cristo e Marx vivono pensieri opposti. Il primo si è sacrificato in nome dell’uomo, il secondo ha proposto il sacrificio dell’uomo in nome della classe. Ebbene, se già solo metà delle cose che qui ho ricordato sono

vere, abbiamo già la misura della ricostruzione culturale da compiere in Italia. Anche perché un’ultima cosa ci hanno raccontato: che queste idee erano quelle “politicamente corrette”e attraverso questa tesi si è finito per creare un conformismo di massa. Ma, dobbiamo saperlo, la maggioranza degli italiani è anticonformista, è politicamente scorretta: crede nell’autorità, nel merito, nel senso del dovere, crede nella persona, nello Stato e in un ordine sociale armonico. Perciò credo che la campagna elettorale che sta per aprirsi i moderati dovranno combatterla su queste parole d’ordine: è ora di cambiare stagione. Dobbiamo assumerci la responsabilità di guidare l’Italia oltre il conformismo della sessantologia. La guerra civile tra fascismo ed anti-fascismo, aperta in Italia alla metà degli anni Quaranta, è stata superata. Con grande difficoltà e fatica ma, alla fine, è stata superata. Viceversa, la guerra civile che si è aperta alla fine degli anni Seassanta tra “società del ribellismo cronico” e la “società della responsabilità quotidiana”è ancora aperta. La vera pacificazione che serve al Paese è questa, la rivoluzione culturale che noi chiediamo alla sinistra è questa. Non più di superare il comunismo che è ormai visibilmente anacronistico (anche se resta veramente anomalo che ci siano ancora partiti che ad esso si richiamano) ma isolare, emarginare, respingere la sinistra del ribellismo e dell’antagonismo. Dobbiamo dire agli italiani che se oggi non vince la “società della responsabilità”il declino del Paese diventerà inarrestabile. Le immagini che abbiamo offerto al mondo, dalla censura al Papa, ai rifiuti della Campania, ad un ministro della Giustizia dimissionato dalla Magistratura, sono immagini che fanno vergogna. Questo è diventata l’Italia? Noi ci rifiutiamo di crederlo. Ma la gravità del paesaggio che abbiamo intorno testimonia che non dobbiamo operare solo una ricostruzione politica. Ma anche dello spirito nazionale. Questo è il cambio di stagione. Il centrodestra ha vinto le elezioni del 2001 puntando su una parola: innovazione. Purtroppo quella parola rimane ancora oggi importante, ma la parola chiave del nostro tempo, è un’altra: responsabilità. È questo che manca all’Italia di oggi, dal basso e dall’alto. Occorre avere coraggio, la società della responsabilità è fatta di moderazione, senso del dovere e dello Stato, cultura del merito e dell’autorità, senso cristiano della vita. Questa società è nei desideri degli italiani, il nostro problema oggi è riuscire a rappresentarla.


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cambio

di stagione d i a r i o

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g i o r n o

Berlusconi: «Subito al voto» Dopo aver incontrato Marini, il Cavaliere auspica che «al termine delle consultazioni il capo dello Stato possa indire subito le elezioni». Il leader di Fi ritiene che «la cosa migliore sia dare al Paese un Governo legittimato dal voto popolare e che possa essere immediatamente operativo». Escluso anche un Governo per poter svolgere i referendum: «Sarebbe una incomprensibile e dannosa perdita di tempo».

Anche An chiede di tornare alle urne Gianfranco Fini: «La nostra Costituzione non prevede governi per fare referendum o leggi elettorali. Per i governi serve un programma politico e non esistono le condizioni per trovare una maggioranza in Parlamento».

Veltroni avverte: «Occasione perduta». Il leader del Pd: «Il Paese vuole la legge elettorale. Una breve collaborazione oggi consentirebbe all’Italia di essere più sicura domani». Sulle future alleanze conferma: «Noi al voto da soli»

Come previsto: «Non c’è maggioranza per la legge elettorale»

La rinuncia di Marini di Susanna Turco o spiraglio forse c’era, ma comunque si è chiuso e ai protagonisti non resta che il notarile compito di registrarlo. Non è certo una giornata particolarmente fantasiosa o sorprendente, quella vissuta ieri da Franco Marini, incaricato dal capo dello Stato di verificare la fattibilità di un governo che avesse come obiettivo quello di licenziare una nuova legge elettorale. All’ultimo giro di consultazioni, infatti, il presidente del Senato ha dovuto constatare che la posizione di Silvio Berlusconi, l’unica ormai a poter fare la differenza, è rimasta invariata: «Serve un governo che sia immediatamente operativo», ha ribadito il leader di Forza Italia dopo l’incontro a Palazzo Giustiniani. Insomma lo spiraglio, se c’era, non s’è allargato: così Marini, dopo aver concluso la giornata sentendo gli ex capi di Stato, è andato in serata a riferire al Quirinale: «Ho rimesso l’incarico nelle mani del presidente della Repubblica, ho preso atto con rammarico che una maggioranza precisa per fare la riforma elettorale non c’è», ha detto poi.

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Cosa farà a questo punto Giorgio Napolitano? Preso atto del risultato delle consultazioni, i più escludono che il capo dello Stato sia intenzionato a fare nuovi tentativi, apparendo consumato già con l’incarico a Marini lo spazio di manovra per evitare di tornare al voto a meno di due anni dalle ultime elezioni. Appare quindi

scontato lo scioglimento delle Camere. Al quale, tuttavia, il capo dello Stato procederebbe mercoledì, per dare modo al Consiglio dei ministri di riunirsi (stamattina alle 10) per decidere la data del referendum approvato dalla Consulta. Un «atto dovuto», ha precisato il portavoce di Palazzo Chigi Silvio Sircana, ricordando che si tratta di una normale procedura nel rispetto del dettato costituzionale. Eppure, l’«atto dovuto» non è certo un atto neutro. Per un verso, infatti, finisce per fare il gioco di chi - leggi Veltroni - sottolinea il peso della volontà popolare proconsultazioni. Per altro verso, come faceva notare ieri Calderoli,

Napolitano potrebbe sciogliere le Camere mercoledì. Al voto entro aprile. Casini: «Una legislatura costituente» garantisce lo slittamento di un anno del voto referendario (è infatti ciò che accade nel caso in cui i comizi elettorali siano indetti prima della data stabilita).

Le elezioni anticipate, in ogni caso, sono ormai una certezza. Già si parla di date: le domeniche in cui chiamare gli italiani al voto potrebbero essere proprio quelle del 6 o del 13 aprile. Comunque non devono passare più di settan-

ta giorni per avere il nuovo Parlamento. Andare al voto così presto mette in difficoltà soprattutto il Partito democratico, che peraltro si era battuto per la soluzione del governo «di scopo»: «Quella di non fare un governo di tre mesi per le riforme è una occasione mancata», ha detto infatti ieri Walter Veltroni, dopo il colloquio con Marini. Ma, prevedendo il risultato delle consultazioni, il segretario del Pd ha anche voluto puntualizzare che ritiene conclusa la fase prodian-ulivista: «Qualunque sia l’esito e la data delle prossime elezioni, il partito democratico, a fronte di uno schieramento avverso composto da 13-14 partiti, si presenterà sulla base della propria identità e del proprio programma». Da soli alla meta, insomma, con buona pace di quanti - Fabio Mussi in testa immaginano un patto elettorale sul modello della vecchia Unione.

Assai meno tempestoso il clima nel centrodestra. Ieri Berlusconi ha ribadito la volontà di dialogo, ma dopo le elezioni, e ha definito «plausibile» l’ipotesi di rispolverare la consuetudine secondo cui la presidenza di una delle due Camere va all’opposizione. Subito derubricata dalla stessa Udc la possibilità di rispolverare l’annosa polemica sulla leadership del centrode stra. «Con un governo politico, il candidato premier sarà il leader del principale partito, cioè Berlusconi», ha precisato ieri il segretario Lorenzo Cesa.

Nessuna alleanza Fi-Pd. L’ipotesi, avanzata da il Giornale, è definita «una utopia» da Berlusconi, mentre Veltroni sospira: «Non riusciamo neppure a riscrivere insieme le regole del gioco...». Oggi la data del referendum Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle 10. In caso di elezioni anticipate, le consultazioni slitterebbero di un anno.

Giovanardi lascia l’Udc e va nel Pdl Carlo Giovanardi e la sua corrente di minoranza dell’Udc lasciano il partito di Pier Ferdinando Casini per aderire al partito del Popolo delle libertà. Lo ha annunciato il leader dei Popolari Liberali, la componente minoritaria che all’ultimo congresso del partito aveva raccolto il 14 per cento dei consenti interni: «Riteniamo coerente aderire al nuovo soggetto, che vuole essere il corrispettivo italiano del Partito popolare europeo». Il segretario Udc Lorenzo Cesa: «Il suo addio non è una novità».

Montezemolo: «Io in politica? Basta» Con questa battuta il presidente di Confindustria taglia corto sull’ipotesi di un suo ingresso in politica, a margine di una conferenza di Assolombarda.

Sandra Mastella non sta con la Cdl Cessato l’obbligo di dimora, la presidente del consiglio Regionale campano torna al lavoro e precisa: «Pensare che stia col centrodestra è fantapolitica. In Campania siamo ancora in maggioranza. Noi non andiamo via, se ci cacciano, ci cacciano gli altri».

Rovati candida Prodi al Quirinale Da Palazzo Chigi al Quirinale, anche se in mezzo dovrà inventarsi qualcosa per far passare l’attesa, vale a dire i cinque anni che ancora mancano alla fine del settennato di Giorgio Napolitano. Romano Prodi non lascerà la politica e, anzi, potrebbe in futuro essere un nome spendibile per la più alta carica dello stato. Ne è convinto Angelo Rovati, trentennale amico del Professore e suo ex consulente a Palazzo Chigi. «Non lascerà la politica e continuerà ad avere persone che si riconoscono in lui. E in futuro - spiega Rovati - potrebbe essere anche un buon presidente della Repubblica». Rovati non ha dubbi: «Chi meglio di lui, dopo Napolitano?» si chiede. L’ex consulente di Prodi ammette che dopo le elezioni del 2006 «facemmo male a non offrire al centro destra la presidenza del Senato: sarebbe stato un gesto distensivo».

Morta la mamma di Ferdinando Adornato Si è spenta ieri mattina, all’età di 93 anni, la signora Antonia Carmela Adornato, mamma di Ferdinando Adornato. I funerali si svolgeranno questa mattina alle ore 10, a Roma, nella chiesa di Cristo Re, in Viale Mazzini. Tutto liberal abbraccia con affetto Ferdinando e i suoi famigliari, in questo momento di dolore.


Sayed

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Anche Fausto Bertinotti ha aderito all’appello di liberal per il giovane afghano

La prima vittoria per Sayed un passo verso la libertà on è una vittoria piccola innanzitutto perché la salvezza di una vita umana vale la pena di molte battaglie, sempre. Ma noi di liberal pensiamo che la storia di Sayed sia così importante da riguardare la vita di molti altri afghani, da rappresentare addirittura un piccolo punto di svolta nei rapporti tra Kabul e l’Occidente. Due giorni dopo il voto di ”conferma della condanna a morte” espresso mercoledì scorso, il Senato dell’Afghanistan ha riconosciuto che il ventitreenne Sayed Parwiz Kambakhsh non ha avuto un giusto processo, una difesa adeguata. I rappresentanti della Camera alta hanno ammesso dunque un «errore tecnico». Anche se orà toccherà battersi perché Sayed esca fuori dal carcere e veda cancellato definitivamente il suo incubo, i media europei che si erano impegnati perché il giovane studente e giornalista venisse restituito alla libertà - e liberal tra questi - possono ben dire di aver dato un contributo importante al cammino di civiltà di quel Paese. Lo hanno sostenuto Ferdinando Adornato, André Glucksmann e Michael Novak nell’appello pubblicato da questo giornale venerdì scorso: «La comunità internazionale non è intervenuta in Afghanistan per permettere questo, per permettere che i di-

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ritti umani fossero così schiettamente brutalizzati». Ecco, è come se Kabul avesse fatto un passo per venire incontro alle Nazioni del mondo libero che la sostengono nella lotta al fondamentalismo. Nel rispondere alle mobilitazioni, le autorità assecondano una doverosa urgenza di reciproco riconoscimento. Sembrano comprendere che l’aiuto a ristabilire l’ordine nel Paese e liberarlo dall’estremismo dei talebani ha delle condizioni. E la più importante di tutte riguarda la libertà delle persone, la possibilità che ciascuna si possa esprimere liberamente senza correre il pericolo di essere addirittura condannata a morte solo perché ha delle opinioni, come ha ricordato nel suo intervento su liberal anche il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini.

Abbiamo ricevuto ieri mattina una importantissima adesione alla nostra campagna: quella del presidente della Camera dei deputati Fausto Bertinotti. Ci conforta il fatto di poter contare sulla sua forza morale, sul suo riconosciuto impegno per la giu-

Revocando il sì alla condanna a morte del giornalista, la Camera alta di Kabul ha compiuto un passo verso i valori del mondo libero stizia ovunque questo si riveli necessario. La Terza carica dello Stato condivide con liberal, con The Indipendent e con tutti gli altri mezzi d’informazione occidentali impegnati in nome di Sayed l’idea che questa affermazione di principio rappresenti per gli afghani una vera, grande lotta di liberazione. Non vedere in pericolo la propria vita per aver semplicemente diffuso un

articolo scaricato da internet - come invece è successo al giovane giornalista - significa aprire il cielo della libertà, della speranza e della civiltà. Alla vittima di questa inaccettabile durezza giudiziaria è capitato appunto di leggere sulla rete degli scritti che ponevano una questione: è ammissibile che un uomo possa avere più mogli mentre questo è invece negato, dal Corano, alle donne? Il semplice fatto che Sayed abbia condiviso quell’interrogativo e abbia diffuso quella pagina gli è valso l’accusa di blasfemia. Il tribunale di Mazar-i-Sharif lo ha giudicato il 22 gennaio senza dargli nemmeno la possibilità di essere assistito da un legale. E non gli ha dunque permesso di spiegare per esempio che il suo bisogno di porre domande, anche imbarazzanti, è tale da averlo spinto a fare il giornalista, come suo fratello. Per quei giudici interrogarsi è di per sé un atto blasfemo: condanna a morte. Il Senato di Kabul l’aveva confermata, e la decisone avrebbe potuto rivelarsi decisiva nell’influenzare la sentenza finale, che spetta al presidente Hamid Karzai.

Ci siamo battuti, con Ferdinando Adornato, André Glucksmann e Michael Novak, e lo abbiamo fatto con la forza dei tanti che hanno aderito all’appello. Rappresentanti delle istituzioni come i presidenti delle commissioni Esteri di Senato e Camera, Lamberto Dini e Umberto Ranieri. Come, ancora, la vicepresidente Giorgia Meloni, l’ex sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver, che si è attivata personalmente con le autorità di Kabul per rappresentare il caso. E ricordiamo anche gli esponenti del mondo della cultura e del giornalismo che ci hanno espresso immediatamente sostegno: da Giampaolo Pansa e Massimo Teodori, a Roberto Mussapi, Gad Lerner, ai direttori di importanti testate: Dino Boffa dell’Avvenire, Giampiero Gramaglia con il comitato di redazione dell’Ansa, Giuseppe Sanzotta del Tempo. Va ricordato l’impegno di Alberto Taliani de Il Giornale, e naturalmente va ricordata la passione con cui hanno sostenuto la stessa battaglia i giornalisti di The Indipendent, dell’Associated press. Sappiamo di non poterci fermare, di dover andare avanti per restituire Sayed alla piena libertà. Ma sappiamo anche di poter gioire per una prima importantissima vittoria.

E-mail da tutta Italia, da associazioni e privati cittadini

Così i lettori hanno aderito alla nostra mobilitazione Maddalena Bernardinis Intendo aderire all’appello lanciato da liberal per la sospensione della pena di morte a Sayed Kambakhsh: mi sembra che già sia contestabile un reato come quello di opinione, ma che venga richiesta la pena di morte per avere espresso il proprio pensiero, anche se divergente dai dogmi ufficiali, ci riporta indietro di secoli ai tempi bui dell’inquisizione ed è assolutamente inaccettabile per qualsiasi popolo civile. on. Lucio Leonardelli da Portogruaro (Venezia) Aderisco al vostro appello alla comunità internazionale per salvare dalla condanna a morte Sayed Parwiz Kambakhsh sia per il diritto alla vita che

sempre e comunque deve essere rispettato (e chi scrive è stato in più circostanze impegnato nella campagna per la moratoria contro la pena di morte) e sia per ribadire a tutti, attraverso questa meritevole battaglia, i livelli il diritto sacrosanto della libertà di informazione a garanzia e a tutela della libertà di ciascuno di noi.

Roberto Lizzi Aderisco convinto al vostro appello per salvare la vita al giornalista Sayed e contemporaneamente per auspicare la nascita della democrazia anche in Afghanistan.

Marco Ferrari Sono un coetaneo di Sayed Parwiz Kambakhsh e aderisco alla vostra petizione per gridare fine a questo orrore della pena di morte. I giovani italiani sono con te.

Ulisse Bertocchi Aderisco formalmente, ma anche e soprattutto con partecipazione emotiva, all’appello lanciato da liberal per salvare la vita a Sayed Parwiz Kambakhsh, nella speranza che, sebbene sia semplicemente una sequenza di caratteri scritti in un sabato pomeriggio piovoso, il mio messaggio possa essere di aiuto al nostro amico afghano.

Avv. Luciano Angelone da Sulmona Aderisco all’appello Salviamo Sayed.

Ricci Massimo Speriamo di farcela.

Mila e Gabriele Rossini da Cava Manara (Pavia) Aderiamo con entusiasmo all’appello per la salvezza di Sayed. Riteniamo si tratti, oltre che di un segno di profonda umanità nei confronti del giovane studente e giornalista, anche di un’iniziativa a sostegno della libertà nel martoriato Paese afghano. Paolo Malagodi Con piena solidarietà a Sayed, sottoscrivo l’appello in difesa della libertà di opinione in ogni luogo del mondo. Associazione Tutela verde da Forlì L’Associazione ”Tutela Verde e Restauro Ambientale - Paola Canziani”di Forlì aderisce all’appello di liberal.


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relativismo

Alcune riflessioni sulle notizie provenienti dalla Gran Bretagna e sulla minaccia alla famiglia che ne consegue

Se il nuovo mondo (dietro l’angolo) è senza mamma e papà di Luisa Santolini necessario prendere atto che la questione antropologica non è più un dibattito interessante ma lontano, argomento arcano per addetti ai lavori e intellettuali, uno slogan che non interessa alla gente, dal momento che ci sono problemi ben più pressanti da risolvere. No, la questione antropologica entra prepotentemente nelle nostre case e nelle scuole e non si potrà più far finta di niente, non si potrà più ignorare la domanda che essa ci pone: dove sta andando l’uomo, anzi l’Uomo (con la maiuscola) dal momento che sono messe in discussione la sua identità più profonda, la sua natura, la sua realtà, l’essenza di cui è fatto? E’ in atto una singolare alleanza tra la scienza e la politica per destrutturare giorno dopo giorno la dignità dell’Uomo e non possiamo non dirci molto preoccupati per quello che sta accadendo. Nello stesso giorno arrivano due notizie: una che riguarda la politica, cioè quello che devono fare un Governo e un Parlamento attraverso gli strumenti che sono di loro competenza e una che riguarda la scienza e quindi le ricerche e le scoperte che sono il lavoro quotidiano degli studiosi e delle Accademie. Il Governo inglese cancellerà le parole padre e madre dal vocabolario per parlare solo ai genitori e di genitori e sempre in Gran Bretagna gli scienziati ci fanno sapere che entro una manciata di anni saranno in grado di far nascere delle bambine senza alcuna necessità dell’uomo in quanto le due cellule necessarie per la fecondazione (uovo e spermatozoo) verranno dalla stessa donna. Una alleanza perversa tra una politica irresponsabile e impazzita e una scienza disumana e senza scrupoli che minano alla base i concetti di coppia, diversità dei sessi, rispetto della vita umana, educazione, bene comune, persona e procreazione responsabile. Segnali inquietanti di una scienza e di una politica (con la minuscola) che hanno perso di vista la verità dell’uomo e che rincorrono chimere di modernità e di progresso, senza capire che la società, che questa alleanza prefigura, è una società senza futuro, destinata a celebrare solo l’egoismo e la tirannia del più forte, a scapito di tutti i soggetti più indifesi a partire dall’embrione umano per finire ai bambini affidati alle cure degli adulti. E la stampa fa la sua parte se i titoli di qualche giornale fanno intravedere “una speranza anti sterilità” e l’autore dell’articolo conclude “ai posteri l’ardua sentenza”, quasi a dire che questo non è un problema dell’oggi, ma viene lasciato ai nostri figli con grande

É

La scienza consentirà che l’uovo e lo spermatozoo vengano entrambi dalla donna. Non ci sarà quindi bisogno del maschio per la fecondazione. Mentre il governo inglese “abolisce” l’idea di coppia tradizionale per affermare quella omosessuale

leggerezza e superficialità. Ecco, mi sembra che sia necessaria una presa di coscienza molto molto seria della posta in gioco, non solo da parte del mondo scientifico ma anche da parte di tutti coloro che sentono il dovere di consegnare alle generazioni future un mondo migliore e non peggiore di quello che abbiamo ricevuto dai nostri padri. Una seconda riflessione sollecitano le notizie dalla Gran Bretagna: è in atto su scala internazionale un attacco senza precedenti ala famigli a ea tutto quello che questa parola evoca. Di questo attacco sono piene le cronache, ma ho l’impressione che anche di questo aspetto del problema non se ne abbia una piena consapevolezza. Un attacco che viene da lontano e che lentamente si fa strada nel sentire comune e nella mentalità corrente. In questi giorni Liberal ha organizzato un dibattito sul 68 e riporta articoli di autorevoli testimoni del nostro tempo. Ebbene il 68 porta anche la responsabilità di avere contribuito a creare un clima ostile alla famiglia, vista come luogo di coercizione e di violenza, di oppressione e di libertà negata soprattutto nei confronti delle donne e dei giovani. Chi non ricorda il “vietato vietare”oppure la profezia della morte del padre? Ora siamo arrivati a negare che la famiglia sia costituita da un uomo e da una donna che stringono tra loro un patto pubblico duraturo e fecondo e che da quel patto nascerà una nuova realtà – cellula fondamentale della società – per cui loro diventeranno padri e madri. Vogliono farci credere che tutto questo non sia più vero e che il nuovo modello di società potrà prescindere da quella prima forma di organizzazione umana che da sempre è la famiglia. Non poter più parlare di padri e di madri, negare i legami profondi che si realizzano tra un uomo e una donna quando uniscono le loro vite e i loro corpi e che sono a fondamento non solo della famiglia ma di ogni persona, significa ridurre gli esseri umani a semplici a strumenti in mano alle ideologie e alla scienza, significa eliminare ogni baluardo contro la barbarie e la prepotenza, significa negare alla radice il senso e il significato dell’essere uomo e donna, complementari e indispensabili in ogni aspetto della vita. Forse chi paga di più è proprio la figura paterna, esclusa violentemente da ogni scelta e da ogni prospettiva e questo scenario non può non atterrire ogni persona buona volontà. Sta anche a noi impedire che la politica e la scienza scivolino lungo un pendio di non ritorno e operare perché all’uomo vengano restituite dignità e verità.


bioetica

5 febbraio 2008 • pagina 7

Rianimare tutte le volte che si può. Il numero dei salvati, tra le 22 e le 25 settimane, cresce continuamente

Il diritto alla vita dei prematuri di Carlo Bellieni strano che del documento dei ginecologi romani si sia preso solo un punto, cioè l’invito a non abbandonare il bambino nato da aborto ad un’età che permette la sopravvivenza (casi che, stando alla legge 194, non dovrebbero avvenire). In realtà il documento dice ben altro e lo fa con molta semplicità: se c’è una possibilità di vita, il medico deve curare. Chiunque. Non è un’idea sconvolgente, ma oggi diventa alla ribalta perché ormai la medicina può assistere tante più persone di pochi anni fa, e sempre più piccole.Vediamo meglio.

È

Un recente studio mostra un dato interessante: dal 1981 al 2000 la sopravvivenza dei prematuri nati tra 22 e 25 settimane all’University College di Londra è passata dal 32% al 71%. E una relatore al recente congresso mondiale di perinatologia riportava che in Giappone le percentuali di sopravvivenza a 22 settimane di gestazione sono del 30% e a 23 del 56%. Non solo, ma lo stesso autore mostra come in questi bambini stiano diminuendo le percentuali di disabilità. Il documento di Roma si innesta proprio in questa scia: la medicina fa passi avanti, può curare bambini che prima era impensabile assistere. Perché non farlo?

Qualcuno obietterà dicendo che questo –in certi casi- va contro i desideri dei genitori, ma in Italia l’idea che la vita del bambino già nato possa essere soggetta al desiderio dei genitori non è accettabile. Pensate infatti: cosa c’è di differente tra un bambino appena nato e uno di sei mesi, o di dieci anni? Chi sa rispondere a questa domanda potrà anche spiegarci perché il padre o la madre potrebbe opporsi alla cura salvavita del primo e non degli altri due (cosa che per ora nessuno chiede). Il diritto alla vita in Italia, così come la cittadinanza, inizia dal primo respiro e non c’è condizione che possa farlo sospendere nemmeno al peggiore criminale. Tanto meno, speriamo, ad un bambino. Non ci sembra poi sostenibile affermare che le cure prestate a questi bambini, con queste possibilità di sopravvivenza, siano cure straordinarie, cioè che siano accanimento terapeutico. Se vedeste un incidente d’auto e capiste che chi è coinvolto ha alte possibilità di morire o di restare disabile, non chiamereste l’ambulanza? Sarebbe accanimento? E cosa ha di diverso un piccolo bambino? Il bambino prematuro non è un marziano: basta andare su internet, per fortuna accessibile a tutti, per vedere bambini di 500-600 gram-

mi e notare molto semplicemente che sono bambini come gli altri, solo che hanno per un po’ di tempo bisogno di cure intensive. Oltretutto, alla nascita non abbiamo strumenti efficaci e sicuri per sapere quale sarà il bambino che ce la farà bene, quale avrà disabilità e quale morirà: proprio per questo vale la regola: dare una chance a tut-

sudafricano senza gambe capace di gesti atletici meravigliosi ci fa capire che la disabilità è un dolore ma non la fine della vita. Il problema vero dei disabili sono “gli altri”che non accettano culturalmente la disabilità, le assurde barriere, i governi che non mettono la disabilità al primo posto nei programmi, così come la cura delle famiglie in diffi-

Il documento dei ginecologi romani significa semplicemente questo: se c’è una possibilità di sopravvivenza il medico deve curare. I confortanti dati provenienti dal Giappone ti. Ovviamente serve criterio: non si può pensare oggi di far sopravvivere bambini di età inferiore a 22 settimane (ma la medicina va avanti, signori!), e non si deve mai banalizzare la prematurità illudendo i genitori che la medicina e i dottori siano onnipotenti. Non si deve insistere con le terapie se queste si mostrano inutili; sempre salvando il fatto che inutile significa che non riesce a procrastinare la morte, non che permette la vita disabile, che ci rifiutiamo di pensare inutile. In questo quadro vale la pena fare tre considerazioni. La prima è sulla disabilità: il caso Petreus, il corridore

coltà. Pensare di non curare per paura che il soggetto sarà disabile significa non affrontare la radice del problema, e decidere al posto di un altro. Anche chi è favorevole all’eutanasia dell’adulto non può non capire che qui non c’è una prospettiva di vita legata ai macchinari, né può accettare che si sospendano le cure non tanto nella previsione di una vita dura per il soggetto, ma per i suoi familiari, come si afferma in alcuni Paesi.

La seconda considerazione è sull’idea di infanzia: ci portiamo ancora dietro l’idea atavica che il bambino sia un “minus” rispetto

all’adulto, cui in certo senso “appartiene”. D’altronde nella società attuale esiste il mito della giovinezza (non di quella anagrafica o di quella che crea e genera, ma di quella che è sinonimo di assenza di responsabilità e legami) e tutto quello che non è “giovinezza” - il neonato, il vecchio e il disabile - deve semplicemente accodarsi per le briciole. Terzo: la scienza progredisce e non sente ragioni politiche o ideologiche. L’unico limite che deve avere è il rispetto per la persona. Mettere limiti - per esempio i limiti su chi rianimare, che siano diversi da quelli delle possibilità realistiche della medicina - è illusorio. Dunque, contrariamente a certa pubblicistica, non è certo la Chiesa che ostacola la scienza, anzi. Insomma: il problema è oggettivo, mentre si vuol farlo soggettivo-sentimentale: un cittadino (e chi nasce lo è) ha diritto alle cure. I genitori devono essere al centro dei processi decisionali che riguardano il futuro dei bambini e questo deve essere un sacrosanto diritto. Ma non possono decidere sulla vita. Neanche i medici possono arbitrariamente decidere su questo. L’unico arbitro deve essere l’oggettività del progresso medico e l’evidenza dell’effettivo stato del soggetto. Non si può decidere a tavolino. E questo a Roma è stato affermato.


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pensieri

L’INTERVENTO

Un tempo era la geometria ora si chiama ”spazio e figure” Ecco la MATEMATICA secondo il ministro Fioroni di Giuseppe Bertagna

iscutere tra opinioni diverse aiuta a superare l’egocentrismo e consente, a chi lo fa in modo onesto, reciproche maturazioni intellettuali. L’importante è non attribuire, per comodità polemica, all’interlocutore idee non sue per poterlo meglio criticare o per impiegarle a conferma delle proprie tesi. Lascio perciò stare l’occhiello con cui il giornale ha riassunto il contenuto dell’articolo di Giorgio Israel (liberal del 2 febbraio), che recita così: «In disaccordo con Bertagna: non si risalirà mai la china senza ripristinare il rigore e il premio al merito e le discipline». Lo lascio perdere perché se l’oggetto del contendere fosse questo non ho mai sostenuto né il lassismo culturale, né il disimpegno o l’egualitarismo, né, tanto meno, un insegnamento vuoto di seri e degni contenuti disciplinari. Mi confronto, invece, con le singole argomentazioni di Israel. Dichiaro subito che condivido tutte quelle che pone a fondamento del suo discorso, mentre non posso che dissentire da quelle finali che mi chiamano in causa. Cascano le braccia anche a me, infatti, davanti ad una distorsione così palese di quanto ho scritto su liberal. Non ho mai sostenuto che «la causa della crisi della scuola sia una didattica centrata sulle discipline». Il discorso era ben diverso. Nel mio intervento del 31 gennaio, cercavo di portare l’attenzione su una contraddizione: come mai il sistema scolastico formalmente più uguale del mondo, il nostro, produce risultati che incrementano invece di diminuire le differenze di apprendimento esistenti tra studenti di aree territoriali, familiari e sociali diverse? Tra i numerosi elementi di uniformità dell’offerta formativa nazionale registravo anche quanto credo che nemmeno il prof. Israel potrà negare: ovvero che

D

Risposta a Giorgio Israel: è questo il nuovo rigore nelle discipline? Ripropongo una domanda: perché una scuola uniforme raggiunge risultati profondamente diversi nelle varie realtà italiane? non esiste liceo, istituto tecnico o istituto professionale che non organizzi l’insegnamento per discipline e per relative cattedre.

Mi pareva una descrizione, non una valutazione.Tanto meno un obliquo auspicio ad insegnare, superando i contenuti e i metodi specifici delle diverse discipline. Anche per la semplice ragione che, poiché nessuno può insegnare ciò che non sa, se non si sanno le discipline di studio per forza di cose non si potranno mai trasmettere con nessuna didattica. Semmai, proprio l’insieme del mio articolo, avrebbe potuto giustificare Israel ad attribuirmi un giudizio che, in verità, lì non esprimevo, ma che adesso non temo di dichiarare: proprio perché da decenni si immettono in ruolo troppi docenti che non

sono stati formati in adeguata profondità ed estensione nelle discipline dei loro insegnamenti (il Centro di Ateneo per la Qualità dell’Insegnamento e dell’Apprendimento che dirigo presso l’università di Bergamo ha accumulato numerose ricerche empiriche sul tema) oggi registriamo ciò che tutte le indagini disponibili ci documentano, cioè la crisi degli apprendimenti dei nostri allievi. Non dipende senz’altro solo da questo fattore. Ma è indubbio che si tratti di un elemento che ha avuto ed ha il suo peso e che sarebbe a mio avviso controproducente trascurare. Israel poi prosegue il suo discorso, lanciandosi, nella parte finale, in una ricostruzione della politica scolastica degli ultimi anni e dei suoi provvedimenti che mi pare molto più ideologica che filologica. O, se-

condo le profonde parole di Benedetto XVI usate da Israel stesso, molto da «ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità astorica». Mi piacerebbe argomentare a dovere questi giudizi, ma non lo posso nemmeno tentare in questa sede.

Mi limiterò, allora, a riprendere il tema della serietà disciplinare, che mi preme molto proprio da pedagogista, e a porre, questa volta all’Israel matematico, non al polemista, membro tra i più autorevoli della commissione del ministro Fioroni per la qualificazione dell’insegnamento della matematica, alcune domande sulle nuove Indicazioni per il curricolo di matematica ora varate dal Ministero in sostituzione di quelle da lui tanto criticate del 2004 (fra l’altro per questioni

che con la matematica non c’entrano e sulle quali sarebbe interessante aprire un dibattito meno sloganistico e sentenzioso). Ritiene che sia un segno di recupero del rigore disciplinare parlare di “misurare gli angoli” soltanto in un contesto manipolativo, con finalità operative di natura pratica senza mai affrontare il problema di che cosa siano? Ritiene che sia un altro segno di recupero del rigore disciplinare insistere sulla scrittura dei numeri e sul calcolo, sia in forma scritta che mentale, senza dire nulla sul ruolo dello zero oppure sulle procedure di approssimazione nel calcolo? Reputa avvio di una svolta per la serietà raccogliere argomenti un tempo di “Geometria” sotto la perifrasi “Spazio e figure”? Si tratta solo di nominalismi? Il termine “geometria”non richiama forse contenuti disciplinari e procedure concettuali che sono proprie di un ramo millenario della matematica mentre la terminologia “Spazio e figure” non si riferisce forse a certi aspetti sensibili e sperimentali della percezione? Deve essere la stessa cosa per ragazzi e docenti? Perché allora quando si parla di “Numeri” non si sostituisce questo titolo con “Quantità e operazioni” o perifrasi analoghe? Ritiene un apprezzabile segno di discontinuità con le a suo avviso infauste Indicazioni del 2004 tacere, tra i contenuti da trasmettere sotto la voce “Spazio e figure”ai nostri giovani, non solo della nozione, ma perfino del nome di “retta”? Perché poi questo termine ricorre invece spesso nel paragrafo “Numeri”, dove la retta è usata come espediente linguistico che serve a supportare i più diversi tipi di numeri? Che la “retta”, ora, con il ritorno della serietà, non differisca da una “scala graduata” il cui ruolo è identificato “in contesti significativi per le scienze e per la tecnica” e non abbia più proprietà tradizionali come l’ordinamento, la separabilità o addirittura la continuità, e che nella famiglia delle rette non si definiscano più relazioni come il parallelismo e la perpendicolarità? Analogamente, ritiene segno di recupero del rigore disciplinare adoperare il piano cartesiano come un espediente grafico per descrivere in modo statico oggetti geometrici oppure funzioni, ignorando il significato concettuale ed epistemologico (e se vogliamo anche storico) collegato con il “metodo delle coordinate”di cui il c.d.“piano cartesiano”è la più semplice e classica realizzazione? Mi fermo qui per motivi di spazio.


& osella chiamava Luigi «il mio Luigi». Con tutta la devozione che una donna classe 1911 poteva rivolgere al proprio marito. Eppure la signora Berlusconi seppe fare in modo che i suoi sentimenti non procurassero dolore, mai. Anche quando a Luigi era già promessa in sposa e provava per lui tutta la dolcezza che l’avrebbe accompagnata per una vita. Rosella rassicurò sua madre sul fatto che sarebbe andata all’altare solo dopo aver tirato su i fratelli. S’impegnò con fermezza, con rigore. E già fu chiaro allora che Rosa Bossi di lì a poco coniugata Berlusconi era tutte e due queste cose insieme. Amore, tenerezza, ma anche senso del dovere e della responsabilità. Silvio non ha potuto dimenticare che l’attenzione ai princìpi non ha mai attenuato nella madre gli slanci d’affetto. E così nel giugno scorso quando lei era già ammalata ha più volte lasciato frettolosamente Palazzo Grazioli a Roma per volare a Milano e assisterla mentre mangiava, fino a imboccarla. Perché Rosa non riusciva più a mandare giù molto e andava un po’ meglio quando aveva il primogenito accanto.

R

Uno che ha conservato immagini nitide è Guido Possa, compagno di classe di Silvio alle medie e al liceo, oggi senatore di Forza Italia. «Gentile e attenta», dice. Attenta, cioè ferma e rigorosa. «Certo, però la signora Rosa sapeva esserlo senza mai diventare pesante. Nell’immediato dopoguerra frequentavo la casa dei Berlusconi spesso, la signora Rosa riusciva sempre a far sentire gli ospiti a proprio agio. Anche perché era serena innanzitutto lei». Sempre in movimento, ecco un’altra cosa che l’ingegner Possa ha bene in mente, «ma senza diventare ossessiva. Mi sembrava insomma una persona piena di equilibrio nonostante si dedicasse alla famiglia con attenzione continua». D’altra parte è da persona capace di grande semplicità l’episodio assai più recente ricordato dai cronisti della nave ”Azzurra”. Nella primavera del 2000 Berlusconi figlio esaurì parte della campagna elettorale salpando da un porto all’altro e volle la madre 89enne a fianco. Una mattina Silvio proprio non ce la faceva a scendere in sala conferenze, per la febbre alta, e chiese alla mamma di presentersi lei ai giornalisti. Gli inviati si trovarono davanti una anziana signora armata di tutta la disinvoltura delle persone semplici e in grado di tenere una specie di mini conferenza per spiegare bene come stesse Silvio. «Mi lasciò impressionato, aveva una vita-

parole

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Così ricordiamo Rosa Bossi Berlusconi, il suo dono di rassicurare gli altri nelle ore difficili

Dolce e rigorosa, Rosella dava forza con un sorriso di Errico Novi

«Il mio Luigi». Così parlava del marito. Quando lui fu costretto a rifugiarsi in Svizzera nel ’43, Silvio capì che negli occhi della madre c’era il grande coraggio delle persone semplici lità incredibile». Parola del deputato azzurro Sestino Giacomoni, testimone dell’episodio perché all’epoca arruolato nello staff di Berlusconi. «Io avevo 33 anni e non credevo ai miei occhi. La signora Rosa era sempre presente. Il figlio glielo aveva chiesto e lei pur di stargli vicino aveva deciso di mettere da parte le naturali ritrosie». In pubblico non si è mai fatta vedere, fino a quegli anni lì. Fin quando Silvio non lo ha insistito in modo che non si potesse rifiutare, Rosella ha partecipato alla sua vita di politico prima e di imprenditore poi solo con affettuosa vigilanza. Tanto che uno come Vittorio Moccagatta, che ha lavorato nell’ufficio stampa di Berlusco-

ni prima della discesa in politica per una decina d’anni, non ricorda di averla mai incontrata. «Qualche volta ho avuto il piacere di stringere la mano al signor Luigi, al papà del Dottore. Ma lei era schiva, non incrociava mai direttamente l’impegnativa vita del Cavaliere. Se è cambiata negli ultimi anni è solo per amore di madre, ne sono certo». Cose che riescono solo se si possiede «una qualche leggerezza che sta insieme al rigore», come dice Guido Possa. Non c’è bisogno di farsi violenza, in fondo, se si hanno tutte e due le virtù. Si può tranquillamente accompagnare con voce tenue a oltre 89 anni un pianista che si esibi-

sce sulla nave delle elezioni e sottrarre, come Rosella ha fatto durante l’ultima guerra, una giovane amica alla ferocia di un soldato nazista.

È difficile sfuggire alla tentazione di raccogliere altre coincidenze. Per esempio la strada di Milano in cui lei, che di cognome fa Bossi, è nata: via del Carroccio 2, non troppo distante da piazza della Lega lombarda. «Come potrei non pensare bene di Umberto Bossi, viste tutte queste coincidenze?», fece notare Rosa un giorno che i cronisti le chiesero del leader leghista. Altro particolare che molti ricordano di lei è l’abitudine a dormire pochissimo. Trasmessa come altre al primogenito. Lo straordinario sentimento tra i due si è consolidato alla fine della Seconda guerra mondiale, quando papà Luigi era stato costretto a rifugiarsi in Svizzera e Silvio si era trovato ancora bambino ad essere la spalla della madre, con

la sorellina Maria Antonietta appena nata – Paolo sarebbe venuto alla luce alla fine del ’49. E lì che Berlusconi figlio ha imparato dagli occhi di Rosa come si sorride nei momenti duri, come si fa a rassicurare gli altri quando sembra impossibile. Lei ha fatto così per tutta la vita, preoccupandosi spesso degli anziani. Racconta l’europarlamentare azzurro Mario Mantovani che Rosella ha continuato a visitare le case di riposo fino agli ultimi mesi: «Abbracciava le persone, portava sempre una parola di conforto. Ho una foto con lei sul comodino, che la ritrae sorridente in mezzo ai suoi anziani. È venuta a trovarli anche in occasione dei dieci anni della Fondazione Mantovani. Infondeva in tutti sicurezza e tranquillità. A Natale scorso proprio io le ho chiesto cosa volesse dire loro. Ha risposto: “Aspettatemi, che quando sarò vecchia verrò qua anch’io”». (ha collaborato Irene Trentin)


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america 2008

Americani al voto in 24 Stati. Il Super Tuesday scopre le carte in mano ai candidati per la corsa alla Casa Bianca

Primarie, l’ora delle verità di Reginald Dale WASHINGTON. La campagna per le elezioni presidenziali americane del 2008 ci ha già riservato molte sorprese, e ne seguiranno certamente molte altre.Tra le previsioni finora disattese troviamo quella secondo cui, per la senatrice Hillary Clinton, la conquista della candidatura democratica alla presidenza sarebbe stata una passeggiata e che l’intera partita sarebbe stata dominata dall’Iraq e dalla condotta bellica di George Bush, se non addirittura dall’intera natura della gestione Bush alla Casa Bianca.Ora invece la Clinton si trova impegnata in una lotta all’ultimo sangue con Barack Obama, giovane senatore dell’Illinois. Il successo del recente “surge” (aumento delle truppe) in Iraq voluto da George Bush, sebbene tuttora osteggiato dai candidati democratici di maggior spicco, ha portato ad un generale disinteresse nei confronti dell’Iraq e i mezzi di informazione si occupano solo marginalmente della guerra, in particolare quelli che preferiscono parlare degli insuccessi militari americani. Adesso è l’economia in crisi, che non aveva mai dato particolari problemi durante la presidenza Bush, ad essere diventata uno degli argomenti più scottanti di questa campagna, soprattutto alla luce della perdurante crisi dei mutui cosiddetti “subprime”. Da parte repubblicana, l’ex-combattente senatore dell’Arizona John McCain, che

sembrava sul punto di svanire dalla gara solo qualche settimana fa’, si è riproposto prepotentemente come ”front runner”davanti al governatore del Massachussetts Mitt Romney e all’eccentrico seppur efficace oratore Mick Huckabee, già governatore dell’Arkansas. La competizione si sta rivelando una delle più entusiasmanti e avvincenti degli ultimi anni. Per la prima volta dal 1928, nessuno dei due partiti ha un presidente o un vice-presidente in carica tra i potenziali candidati, e questo consente ad una vasta

duro ex-sindaco di New York (Rudolph Giuliani) e la star televisiva prestata alla politica (l’ex senatore del Tennessee Fred Thompson). I primi verdetti su chi doveva abbandonare l’isola o uscire dalla casa sono stati emessi e si avvicina la fine del gioco.

Il clima è sempre più quello di un reality show anche grazie all’atteggiamento dei media, che hanno trasformato la gara stessa in notizia, piuttosto che i temi trattati durante la campagna. I giornalisti insistono soprattutto

L’economia interna soppianta la guerra in Iraq, le immagini televisive schiacciano le proposte politiche e l’agonismo licenzia il fair play. La campagna elettorale Usa si fa incandescente gamma di personaggi di entrare nell’agone; e poi, per la prima volta nella storia, esiste la possibilità concreta che una donna o un afroamericano conquisti la presidenza. Il cast di variegati personaggi, all’inizio di queste primarie, sembrava quello di un reality show: l’imprenditore miliardario (Romney), il senescente eroe della Guerra del Vietnam (McCain), il Ministro Battista dalla buona parlantina (Huckabee), l’inossidabile ex-First Lady (Clinton), il giovane afroamericano carismatico (Obama), l’azzimato avvocato abbiente che si batte per i poveri (Edwards), il

sulle strategie, le tattiche e la capacità di raccogliere fondi dei candidati - oltre alle costanti previsioni, talvolta sbagliate, relative alle primarie nei vari stati e ai caucus in cui si scelgono i candidati alla presidenza dei due partiti piu’importanti - dedicando pochissimo spazio al carattere, alla competenza e ai programmi politici dei contendenti. Quindi la reazione un po’ deludente, quasi singhiozzante di Hillary Clinton alla domanda relativa alle fatiche della campagna elettorale durante le primarie in New Hampshire all’inizio del mese ha dominato i notiziari nelle 24 ore precedenti il

voto – e non un’analisi approfondita di quello che la Clinton intende effettivamente fare alla Casa Bianca. Una disamina approfondita dei vari temi viene anche scoraggiata dal modo in cui sono organizzati i frequenti “dibattiti”televisivi, in cui i candidati sono allineati come manichini dietro a podii e rispondono alle domande poste da un moderatore in tempi impossibili. Anche grazie ad Internet, i giornalisti possono verificare molto più facilmente la veridicità delle critiche dei candidati nei confronti degli avversari e di altre affermazioni spesso esagerate. Ma quando vengono alla luce errori o imprecisioni, poche persone vi fanno caso, inclusi i candidati stessi. È stupefacente come, dopo tanti mesi, la gente non abbia ancora idea di cosa pensino i candidati riguardo a temi fondamentali. Per esempio, negli ultimi giorni alcuni elettori sono apparsi in televisione dicendo di non saper scegliere tra Barack Obama e John McCain, evidentemente senza rendersi conto delle differenze di fondo tra i due. Mentre ambedue i candidati si propongono come centristi, Obama è un democratico sinistrorso che vuole il ritiro immediato delle forze americane dall’Iraq e aumentare le tasse; mentre McCain è un repubblicano che vuole mantenere le truppe in Iraq e ridurre le tasse. Molti dei sostenitori di Huckabee sembrano non essersi accorti che una del-

le sue proposte principali è quella di sostituire l’imposta sul reddito con un’imposta nazionale sulle vendite, cosa che li danneggerebbe non poco. Nonostante tutto, sono emerse alcune posizioni comuni riguardo a temi importanti, soprattutto da parte democratica. Sia Obama che la Clinton si sono espressi a favore dell’aborto, vogliono limitare le emissioni di gas serra, auspicano un aumento delle imposte per le classi più abbienti, sostengono la cittadinanza condizionata per gli immigrati clandestini, pensano di introdurre l’assistenza sanitaria gratuita per tutti o qualcosa di simile e vogliono il ritiro delle truppe Usa dall’Iraq – anche se la Clinton vuole realizzarlo più lentamente rispetto a Obama.

I repubblicani sono un gruppo più eterogeneo. e forse per questo nessuno di loro è riuscito a farsi accettare come il candidato naturale da parte della base conservatrice del partito. L’attuale situazione fluida e imprevedebile rispecchia in parte l’abitudine degli elettori americani di scegliere i candidati presidenziali sulla base della personalità, piuttosto che in riferimento a temi specifici. Come ha affermato un docente di psicologia: «Gli elettori tendono a scegliere i loro candidati preferiti a livello emotivo, per poi razionalizzare questa reazione istintiva». Nella pagina seguente vi proponiamo alcune descrizioni sommarie dei protagonisti.


america 2008

5 febbraio 2008 • pagina 11

Il ritratto degli sfidanti a poche ore dall’assegnazione dei delegati

REPUBBLICANI

John McCain. Da sempre conosciuto come un “ribelle” che non si attiene sempre alla linea del partito, è stato spesso definito come “il repubblicano preferito di tutti i democratici.” Ha assunto posizioni da democratico su diversi temi, inclusa la legge McGainFeingold che ha limitato i contributi per finanziare le campagne (i cui detrattori sostengono mini la libertà di parola), i tagli fiscali di Bush e una proposta di amnistia per gli immigrati clandestini. Attribuisce a Bush la colpa di molti errori in Iraq, ma sostiene a spada tratta la lotta al terrorismo e ha coraggiosamente sostenuto il “surge” nel momento in cui era particolarmente inviso all’opinione pubblica. Gode di grandissimo rispetto per esser stato prigioniero dei Nord Vietnamiti per 5 anni e mezzo, e aver sopportato torture spaventose dopo aver rifiutato di essere rilasciato se prima non fossero stati liberati tutti i prigionieri che erano stati catturati prima di lui. Sconfitto da Bush nella gara presidenziale del 2000, ad agosto compirà 72 anni. Se fosse eletto, diventerebbe il Presidente più anziano ad insediarsi alla Casa Bianca, motivo questo di preoccupazione per alcuni. È particolarmente gradito agli elettori indipendenti e alcuni sondaggi indicano che avrebbe maggiori possibilità se dovesse battersi contro la Clinton o Obama. Potrebbe attirare un numero sufficiente di indipendenti e democratici delusi per vincere a novembre. Ma potrebbe perdere, se molti repubblicani conservatori dovessero negargli il loro appoggio. È contro l’aborto, decisamente contrario a qualsiasi forma di tortura, a favore del libero scambio e afferma di aver “recepito il messaggio” riguardo alla necessità di rendere i confini nazionali più sicuri dopo la bocciatura da parte del Congresso del suo disegno di legge sull’immigrazione l’anno scorso. M i t t R o m n e y . Sostiene di essere “eleggibile”a livello nazionale perché è riuscito a diventare governatore del Massachussetts, uno degli stati più democratici e progressisti dell’Unione. Ma uno dei motivi per cui ce l’ha fatta è perché ha sposato alcune politche sociali progressiste su temi come l’aborto, il controllo delle armi e i diritti degli omosessuali; posizioni che ha poi abbandonato per piacere ai conservatori.

I magnifici QUATTRO Quattro candidati ancora in corsa. Quattro letture della società americana. Quattro proposte politiche al giudizio degli elettori. John McCain contro Matt Romney ed Hillary Clinton contro Barack Obama. Oggi è il giorno decisivo. Forse. Molti ritengono che questi cambiamenti gli abbiano nuociuto perché sembrano più frutto del calcolo e dell’opportunismo, che non della sincerità. Vari analisti ritengono che dovrebbe puntare più sul suo ruolo di imprenditore di successo e grande manager in questa campagna, invece che attirare l’attenzione sulle sue posizioni in campo sociale, soprattutto in un momento in cui le previsioni economiche non sono delle più rosee. Quando ha seguito questa strategia in Michigan (il suo stato d’origine), ha vinto le primarie all’inizio del mese. È conosciuto come un abile imprenditore, in grado di salvare i giochi olimpici invernali di Salt Lake City dal disastro finanziario e guidare il Massachussets con successo. Ha sostenuto l’invasione dell’Iraq, è a favore del “surge”, vuole che la spesa militare raggiunga il 4% del PIL e che le forze armate aumentino di almeno 100mila unità. Ha proposto sgravi fiscali per “gli americani con reddito medio”, per i quali auspica l’eliminazione delle imposte patrimoniali e sulle plusvalenze. Si è impegnato a contrastare “qualsiasi tentativo” di aumentare le imposte sul reddito e ha promesso di tenere sotto controllo il Congresso per arginare la spesa pubblica. Il suo obiettivo è quello di promuovere gli investimenti per stimolare la ricerca economica e aumentare i finanziamenti per la ricerca e l’alta tecnologia in modo tale da ridurre la dipendenza dal petrolio e sviluppare i prodotti del futuro. Sostiene che sia giunto il momento che a Washington vada una persona che conosca bene il settore privato, capace di riportare il bilancio in pareggio. Uno svantaggio potenziale per Romney è il fatto che sia un mormone. Alcuni conservatori considerano il mormonismo una “setta”, mentre altri credono che Romney non sia abbastanza religioso, nonostante la sua fede. Ha affermato che la religione non dovrebbe influenzare le scelte politiche della gente.

Hillary Clinton. Viene considerata come il candidato più “polarizzante”, nonostante gli sforzi compiuti nel corso degli anni per spostare la sua posizione verso il centro, soprattutto in tema di sicurezza nazionale. Sa che alcune truppe americane dovranno rimanere in Iraq per l’intera durata della sua presidenza e non si è mai scusata per aver votato la guerra in Senato. Dopo otto anni alla Casa Bianca come first lady, e sette anni al senato americano, afferma di essere il candidato di maggiore esperienza e quello meglio in grado di prendere decisioni da presidente “fin dal primo giorno”. Usa queste argomentazioni per evidenziare la relativa inesperienza di Obama. Ha cercato di definire la gara nei termini di uno scontro tra la sua esperienza e le “false speranze” di Obama.Tuttavia, anche se ha cercato di rendersi attraente a qualsiasi tipo di elettore, le sue politiche sono decisamente di sinistra secondo i canoni americani. Considera il governo come la risposta a quasi tutti i problemi e ha proposto l’introduzione di politiche da finanziarie con i soldi dei contribuenti, come l’assistenza sanitaria universale e l’assistenza all’infanzia. Vuole aumentare le tasse per i ricchi e molti sospettano che, nonostante gli sforzi per mostrarsi credibile in tema di sicurezza nazionale, nel profondo detesti ancora i militari. Il suo svantaggio principale è l’antipatia: non piace ad almeno il 40% degli americani i quali non si fidano di lei e non le darebbero mai il voto. Molte donne la criticano per aver usato il marito nella scalata al successo e per aver accettato umiliazioni da parte di Bill pur di fare carriera. Hillary è ancora alla ricerca del giusto profilo che possa aiutarla a stabilire un rapporto empatico con gli elettori. Per la gioia dei repubblicani, di recente è stata protagonista insieme al marito di uno scontro con Obama, altamente pubblicizzato dai media. Insieme ai suoi sostenitori, sembra indicare che la gente dovrebbe votare per lei in quanto

DEMOCRATICI

donna, una “minoranza” vessata, e contro Obama perché è nero (un’altra minoranza vessata).

B a r a c k O b a m a . La sua trasformazione in un vero candidato presidenziale ha sorpreso tutti coloro che lo ritenevano troppo giovane e inesperto. Ha una presenza brillante, una grande oratoria. Ha cercato di tenere le proprie origini afroamericane fuori dalla campagna e di definirsi come un candidato postrazziale, e persino “post-partisan”. Ma un chiaro messaggio della sua campagna è che aiuterebbe il paese a diventare più unito e a superare i conflitti razziali. Per questo non è gradito ai leader neri di lungo corso che hanno sempre giocato sul senso di colpa dei bianchi e sul falso assunto che tutti i problemi degli afroamericani siano imputabili al razzismo. Nonostante tutto, sembra che la tattica della Clinton lo stia spingendo a basare la propria campagna sulla identità razziale. La Clinton lo sta portando sempre più vicino al politico approccio tradizionale afroamericano, fondato sulla vittimizzazione. Obama frequenta una chiesa “sfacciatamente nera” e presta il fianco ad alcune delle accuse di inesperienza mossegli dalla Clinton. Durante i due anni trascorsi al Senato, ha dedicato più tempo a preparare la propria candidatura alla presidenza che non a costruirsi una solida esperienza come legislatore.Talvolta è sembrato ingenuo in politica estera, per esempio quando ha dichiarato di essere disposto a sedersi al tavolo con i leader di Iran, Siria e Corea del Nord. Non ha mai lavorato alla Casa Bianca, governato uno stato o gestito un’azienda. Obama gioca sugli appelli in favore della speranza e del cambiamento rispetto alla carta dell’esperienza giocata dalla Clinton. Finora è stato apprezzato da elettori più giovani e meglio istruiti ed ha mostrato di essere in sintonia con un ampio spaccato della popolazione conquistandosi il sostegno di molti personaggi famosi della tv e del cinema. Il suo comportamento fino a questo momento non fa pensare che sarebbe poi così “post-partisan”, se dovesse conquistare la Casa Bianca. Secondo i dati, ha votato per la linea ufficiale del partito democratico in oltre il 95% dei casi, dimostrandosi piu’ liberal della Clinton.


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ECONOMIA E SOCIETÀ

NordSud IL NORD DEL SUD «Il successo tra tradizione e innovazione» Colloquio con Ettore Artioli di Francesco Pacifico ttore Artioli stupisce tutti quando racconta «che se un imprenditore del Sud cresce in termini di mercato o di utili, il suo più diretto concorrente si pone come primo problema quello di andare di notte a rigargli l’auto. Se invece un imprenditore sfreccia nel centro del paese con una vettura nuova fiammante, il suo diretto concorrente lavorerà, e farà lavorare i suoi dipendenti, il doppio per potersela comprare anche lui». Esilarante. «Mica tanto. Al Sud si ancora è legati a un modello in cui il mercato è quello locale e la concorrenza non va oltre il proprio dirimpettaio. Ci si chiude per gelosia o per diffidenza, a scapito delle alleanze che altrove si fanno per ridurre gli sforzi e moltiplicare i risultati. L’invidia prevale sull'emulazione». Bisogna partire da qui, con il vicepresidente per il Mezzogiorno di Confindustria e imprenditore palermitano, per comprendere quel Sud – del quale parliamo in queste pagine – che ha imparato ad

E

affrontare la concorrenza, che ha messo al servizio della modernità quella «frenesia, quella la voglia di fare, che di solito si chiama arte di arrangiarsi». Qual è la giornata tipo di un imprenditore del Sud? La stessa di ogni imprenditore italiano con una piccola, significativa variabile: tamponare con molta fantasia il contesto sociale in cui vive, destinare le maggiori energie contro le lentezze, le inefficienze e la consolidata ostilità che s’incontra in ogni procedura burocratica. Si deve persino spiegare perché si ha diritto a un atto. E parliamo di quelli più banali come l’autorizzazione per un passo carraio, mica di una concessione edilizia. Perché non concordate best practices con la Pubblica amministrazione? Si va a macchia di leopardo. Ci sono amministrazioni che hanno sportelli unici perfettamente funzionanti, spesso ospitati nelle nostre distrettuali. Ma da altre la risposta è: non si può fare, non

ho il personale, la fotocopiatrice è rotta. Purtroppo la pubblica amministrazione è stata usata come ammortizzatore sociale: non si pongono obiettivi, i concorsi sono un sogno da almeno vent’anni, ma c’è una pletora di dipendenti che provengono da categorie protette come Lsu o ex tossicodipendenti. I soliti imprenditori del Sud che sanno solo lamentarsi. Il problema della Pubblica amministrazione esiste perché non si capisce che se le imprese crescono, il primo ad avvantaggiarsene è lo Stato che riceve più tasse. Eppoi usciamo da un grande equivoco: è vero che 55 anni di intervento straordinario non hanno risolto il divario nel Pil procapite tra Mezzogiorno e resto del Paese, ma per quest’area la spesa procapite per infrastrutture o per investimenti stessi sono inferiori rispetto alla media nazionale. Si enfatizzano le risorse al Sud, che sembrano mastodontiche perché comprendono anche gli aiuti europei,

interventi straordinari, che sostituiscono le misure ordinarie che vanno altrove. Di fondi, dice Nicola Rossi, ne sono arrivati troppi. Più che altro gli imprenditori non devono aspettare i soldi di mamma Regione o papà Stato per acquistare un capannone. Noi non facciamo più la questua. Non a caso Confindustria non si è turbata per la fine della 488, ma ha sollecitato dei differenziali, uno strumento rapido come il credito d’imposta, per evitare che un imprenditore di medie dimensioni, che opera a Napoli come a Cagliari, scappi via per investire altrove. Intanto pioveranno 120 miliardi di euro in aiuti europei entro il 2013. E la cosa può comportare dei rischi. Se non li utilizziamo, non avremo più l’opportunità di dare lo choc che quest’area necessita. Ma attireremo comportamenti devianti della criminalità. Al riguardo Confindustria ha deciso anche di cacciare

chi paga il pizzo? Noi non abbandoniamo chi paga. Abbandoniamo chi non denuncia in una fase dove i magistrati tutelano gli imprenditori senza sovraesporli. Perché se uno solo denuncia siamo di fronte a un eroe, se lo fanno in 500 creiamo un sistema che nessuno può fermare. Per questo meglio concentrarsi su pochi grandi progetti, soprattutto le infrastrutture. La querelle sul Ponte resta un precedente allarmante. È una vicenda emblematica. All’estero forse si sarebbe fatto o non fatto senza polemiche, perché si guarda soltanto alla convenienza economica. Da noi è diventato un caso politico. Noi imprenditori abbiamo sempre temuto che unisse due deserti: la Salerno-Reggio Calabria da un lato, una terra senza binari dall’altro. Prima di riparlarne completiamo la rete autostradale e creiamo un sistema ferroviario. Al Sud è sempre più difficile l’accesso al credito?


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NordSud MERCATO GLOBALE

Per un pugno di aziende di Gianfranco Polillo

Viaggio controcorrente nelle eccellenze del Mezzogiorno che scommettono sui nuovi mercati Questo è l’ultimo dei nostri problemi. Quando avevamo le grandi banche, queste erano soltanto un serbatoio di opportunità politico-clientelari. Oggi abbiamo alcuni grand player che hanno scelto di fare business al Sud IntesaSanpaolo, con il Banco Napoli, ha una 800 sportelli sul territori, il Banco di Sicilia investe più di quello che raccoglie. Il problema è che non tutti gli imprenditori al Sud hanno compreso che il credito non si fa più con le telefonate e con l’appoggio di qualcuno. Che per ottenere denaro ci vogliono progetti concreti e garanzie. La grande industria ha fallito, il turismo è lontano dall'essere sviluppato, i distretti tecnologici si contano sulle dita delle mani. Allora qual è il modello imprenditoriale che serve al Sud? L’industria e il turismo funzionano se ci sono grandi imprenditori che investono e fanno da volano per l’indotto. Ma avendo battuto tutto il Mezzogiorno da vice-

presidente di Confindustria, mi permetto di dire che anche nelle aree depresse si possono riscontrare modelli positivi. Quali? Al sud troviamo realtà d’avanguardia nell’artigianato, nella filiera dell'agroalimentare come un consolidamento nel settore chimico, in un mondo dove la concorrenza è con le multinazionali. Penso poi al distretto del pescato di Mazara del Vallo, che da una semplice marineria oggi è diventata una filiera che va in Cina a comprare diritti di pesca. L’esperienza Stm, che accusa qualche battuta d'arresto, ha generato a Catania avanguardie mondiali nell’ingegneria oftalmica o nella produzione delle parabole. Eppoi c’è la Basilicata, la Svizzera del Mezzogiorno, dove si sta riprendendo anche il distretto del Salotto: mentre alcuni si lamentano, altri hanno superato la crisi delocalizzando o parcellizzando alcune produzioni, si è investito in innovative coperture. A me poi appassiona

la vicenda di un’azienda del palermitano che fornisce a tutti gli aeroporti i cannoli siciliani. Con il Cnr hanno trovato un meccanismo di congelamento e decongelamento per riportare la crema di ricotta alla temperatura giusta senza inalterare il sapore. Ma manca sempre la rete? Certo, ma le aziende del Sud spesso non fanno il salto di qualità, perché ritengono di aver raggiunto un livello soddisfacente. E questo condanna al nanismo. Ma dirò di più. Prego. Tutti coloro che non hanno un marchio e un approccio con il mercato, tendono a non farsi vedere, vuoi per l'aggressione della criminalità come per la richiesta, imbarazzante e pressante, di assunzioni.Si preferisce quindi non apparire. Ma allora quando si fa il salto di qualità? Si vince quando l’artigianato sa mettere assieme tradizione e innovazione, quando l'artigianato sa diventare industria.

Riuscirà la Fed a esorcizzare il fantasma della recessione? L’interrogativo percorre, come un brivido febbrile, mercati e grandi istituzioni finanziarie. Rimbalza nelle Borse, dove gli alti e bassi, testimoniano delle incertezze future. Si riflette nelle previsioni di crescita, che i principali centri di ricerca, collocati nel cuore dei grandi organismi internazionali – dall’Ocse al Fmi – aggiornano continuamente: verso obiettivi sempre meno ambiziosi. E alle teorie seguono i fatti. Una politica monetaria, negli Usa, sempre più accomodante, che non ha precedenti nell’esperienza più recente. Bisogna risalire al lontano 1974 e 1980 – l’epoca delle due grandi crisi petrolifere – per trovare traccia di un intervento così pesante e determinato, come quello che ha portato a una riduzione dei tassi di interesse: per ben due volte in soli nove giorni. Basterà? Lo vedremo nei prossimi giorni. I dati più recenti mostrano che la crisi ha fatto, per lo meno, capolino. Nel 2007 l’economia americana è cresciuta solo del 2,2 per cento: il risultato peggiore degli ultimi 5 anni. Dati che, visti dall’Italia, potrebbero far sorridere. Magari l’avessimo noi un tasso di sviluppo simile, abituati, come siamo, a fare i conti con valori da prefisso telefonico. Ma per gli Stati Uniti non è la stessa cosa. Hanno ruoli e compiti diversi. E è questa diversità che li obbliga, come una maledizione biblica, a crescere anche oltre il dovuto. Il loro equilibrio finanziario si basa su una capacità di attrazione che deriva da un mix di potenza politica, stabilità istituzionale e prospettive di sviluppo. A loro volta alimentate da una tecnologia che non teme rivali. Se uno solo di questi presupposti viene meno, la macchina rischia di arrestarsi, generando un processo a catena

destinato a riflettersi sul mondo intero. Questo spiega l’apprensione, ma anche il timore, con cui da ogni capitale si guarda a Wall Street. Preoccupazioni che rimbalzano anche nel nostro Paese. Nell’eventualità di una recessione internazionale, l’Italia rischia di subire un duro contraccolpo. Non si dimentichi quel che successe dopo l’11 settembre 2001. Dall’epicentro americano la lunga crisi congiunturale – la più lunga di questo dopoguerra – lambì le coste del vecchio Continente, coinvolgendo, tutti i Paesi: Francia e Germania in testa. In Italia la crisi fu determinata essenzialmente dal crollo delle esportazioni. Il governo reagì con misure fiscali di carattere espansivo, basate sulla crescita della spesa e la riduzione del carico fiscale, che evitarono un crollo maggiore. Se si fossero messe «le mani nelle tasche dei cittadini» – come allora si disse – alla spinta recessiva, proveniente dall’estero, si sarebbe sommata quella di un mercato interno – consumi e investimenti – reso più asfittico. E il tasso di crescita si sarebbe ulteriormente ridotto, rispetto ai pur modesti risultati conseguiti. Storie che sembravano appartenere al passato. In questi ultimi due anni la situazione era migliorata. La maggior crescita era stata ottenuta soprattutto grazie a una ripresa delle esportazioni. Un pugno di aziende – purtroppo troppo poche – che avevano saputo approfittare della maggiore domanda internazionale per ricollocare la loro produzione sui principali mercati. Oggi questo orizzonte sembra divenire più incerto. Quel volano arrestarsi. Con questa nuovo scenario dovrà quindi misurarsi il nuovo governo, qualunque esso sia. Ragione di più per fare in fretta, chiamando, quanto prima, i cittadini alle urne per dare al Paese una prospettiva meno incerta.


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NordSud Leader nella realizzazione di capannoni, ora Ferrarese lavora alla nascita del sistema Salento

Il costruttore di fabbriche di Francesco Pacifico rima di tutto l'azienda, la Prefabbricati pugliesi, che in meno di 30 anni di vita ha raggiunto quasi 40 milioni di euro di fatturato e ha generato un gruppo che spazia dalla costruzione di capannoni, al cemento fino ai servizi ambientali. E dà lavoro a 350 Poi l'opera in persone. Confindustria, presidente della distrettuale di Brindisi e membro del direttivo Mezdi Viale zogiorno dell'Astronomia. Sono sempre piene, a Brindisi, le giornate di Maurizio Ferrarese, uno che a 46 potrebbe godersi i suoi soldi, il successo raggiunto, la soddisfazione di aver svoltato – al Sud per giunta – o la sua squadra di pallacanestro, la New Basket Brindisi, serie B1, 4mila tifosi. «Ma ha una piazza talmente calda che non si vede neanche nei palazzetti di serie A». Perché per Ferrarese, fare l'imprenditore al Sud, vuol dire lanciare sempre nuovi prodotti – come “Ala di gabbiano”, «un solaio che arriva fino a 25 metri, dall'aspetto architettonico molto bello» – oppure fare una battaglia per ottenere la fine dei lavori della Statale 7 tra Brindisi e Taranto. «Quattro anni fa la sbloccammo», ricorda, «minacciando l'Anas con una richiesta di risarcimento da 100 milioni per le aziende. Ci facevano girare per mulattiere di campagna. Hanno ripreso i lavori in venti giorni». E ora funziona.

amministrazioni precedenti?» – o il rinnovo delle convenzioni con l'Enel. «Che di fatto sono già operative e che, se firmate, darebbero tranquillità al tessuto produttivo». Eppoi i ritardi nell'alta velocità, «che si ferma a Napoli. Quella che dovrebbe collegarla con Bari è un qualcosa di diverso, di ibrido. Non a caso si chiama Tac e non Tav. E più in giù di Bari non c'è nulla».

P

La vicenda dell'imprenditore Maurizio Ferrarese ha tutti i crismi delle storie di chi ha avuto successo. «A venti anni ho iniziato a lavorare con mio suocero, che aveva un impianto di calcestruzzo e da poco stava iniziando a costruire prefabbricati. E ho lavorato sodo, non c’erano feste comandate. In meno di trent'anni io e i miei collaboratori abbiamo costruito tre milioni di metri quadri di capannoni, grandi centri commerciali o stabilimenti industriali. Li diamo, di fatto, chiavi in mano». Se nel 1986 il fatturato era di due miliardi di lire, ora si avvicina ai 40 milioni di euro. E sono stati anni passati a «girare in macchina la Puglia e le regioni limitrofe in lungo e in largo», a occuparsi direttamente

«L’impresa non può votare un programma e vederne applicato un altro» di marketing e commerciale, a presentare le mirabolanti caratteristiche del Predan, il pezzo forte in catalogo, un solaio estruso che viene lavorato su quattro piste. Attualmente, se ne producono 700 metri quadrati finiti al giorno. «Credo di avere conosciuto quasi tutti gli imprenditori della zona. E pure di avere costruito i più importanti stabilimenti, penso a quelli della Natuzzi, o i più grandi supermercati. Forse tanto vagare mi è servito, ora che rappresento gli imprenditori, per comprendere i loro umori». Ma come in ogni storia di successo rabbioso e travolgente, c'è un momento in cui bisogna fare delle scelte. In azienda le necessità sono trovare nuovi mercati, dopo che il Sud sembra troppo stretto, e aggredire la concorrenza con prodotti più performanti. «Tanto che il 20 per cento degli utili va in ricerca, soltanto così riusciamo a brevettarne di nuovi. E lo facciamo mettendo assieme il lavoro del nostro laboratorio e le eccellenze del sistema universitario locale, come il Politecnico a Bari». Mentre all'esterno c'è da fare i conti con una Puglia, un Salento, che mozzerà il fiato, ma che nonostante la bassa criminalità «è un posto difficile dove fare impresa. Siamo lontani dal mercato ricco. Così bisogna mettersi d'impegno, scommettere sulle idee, e a volte qualcuno ci rie-

sce». Ma la scommessa per Ferrarese a un certo punto potrebbe apparire un azzardo: dare all'area, che ne è priva, quel sistema di collegamento tra istituzioni e imprese, indispensabile per scambiarsi know how, scegliere le priorità sulle quali investire, avere le strade per raggiungere nuovi mercati.

L’imprenditore, se guarda alla sua esperienza da presidente di Confindustria Brindisi, ricorda soprattutto le battaglie contro la burocrazia che al Sud si confonde troppo spesso con la politica. «Certo, per anni non abbiamo avuto cultura imprenditoriale, ma abbiamo subito una politica che si era appropriata del sistema produttivo. Si doveva andare a bussare anche per ottenere ciò che era dovuto. E io l'ho fatto. Contro questo ho lottato moltissimo, e oggi stiamo inculcando una nuova logica: le imprese fanno da loro, la politica si attiene ai suoi compiti: innanzitutto invogliare le imprese a investire. E ce n’è voluto per aggredire una burocrazia che era un ingranaggio scientemente inceppato». Nonostante i passi avanti, tante sono le battaglie da portare avanti. Intanto per ridurre il costo dell'energia. C'è il rigassificatore di British Petroleum da fare a Brindisi – «Come lo spieghiamo a Bp che in Italia non vale quello che è approvato dalle

Per Ferrarese il problema è sempre lo stesso: i paletti di «una minoranza chiassosa, da prefisso telefonico di rete fissa: ogni mattina c'è qualche consigliere comunale che si alza e spara contro le aziende». Due, invece, le soluzioni: la prima è rendere più diretto il rapporto tra elettore ed eletto, «perché un imprenditore non può votare un programma e vederne applicato un altro». Punto di partenza rifare la legge elettorale, «altrimenti è inutile tornare a votare, perché il prossimo governo sarà schiavo delle minoranze, non potrà fare quello che di impopolare serve per evitare il declino. Che almeno restituiscano alla gente una legge elettorale con le preferenze, altrimenti non riconosceremo parlamentari, che, come oggi, non sono votati ma cooptati in una stanza di una segreteria politica!». L'altra sfida è riformare i rapporti tra le aziende al Sud. Emblematica al riguardo l'esperienza del consorzio Grande Salento, per unire gli imprenditori e tutte le forze produttive di Brindisi, Lecce e Taranto. Ferrarese l'ha lanciato come responsabile marketing di Confindustria Puglia. «Noi abbiamo un territorio con due mari, tanta cultura e una gastronomia eccezionale, ma che senso ha dirselo tra di noi, quando si deve promuoverlo in tutto il mondo? Ho detto a tutti di metterci assieme, di non sparare cartucce a salve, perché non si sa quanti soldi bruciano senza averne la forza comuni e provincie». Risultato? «Una volta non si conoscevano neppure gli amministratori, le aziende si copiavano tra loro e c'era la guerra sulle opere pubbliche. Con Grande Salento intanto abbiamo evitato che si facesse una guerra per costruire tre aeroporti condominiali e invece abbiamo investito a Brindisi per lo scalo internazionale.A Taranto, visto che ha fondali più alti, sono state collocate le navi container, mentre a Brindisi sono state tenute quelle passeggeri». Il tutto senza litigare.

i convegni ROMA martedì 6 febbraio 2008 Villa Lubin Camera dei Deputati Superata la boa del mezzo secolo, il Cnel s’interroga sul suo futuro. Al convegno sul “Ruolo e prospettive del Cnel” partecipano il ministro Giuliano Amato, Luca Cordero di Montezemolo, il leader dei commercianti Carlo Sangalli, i segretari di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. ROMA mercoledì 6 febbraio 2008 Palazzo Rospigliosi L’Istituto Bruno Leoni fa il punto sul livello di libertà economica nel mondo. Un ambito che spesso vede l’Italia in forte arretratezza. L’Ibl presenta oggi a Roma l’Index of economic freedom 2008 – Il declino della libertà. Un’economia che non cresce, un Paese che non vuole cambiare, realizzato dalla Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, in collaborazione con l’Ibl. Intervengono Terry Miller (Heritage Foundation), Roberto Nicastro (UniCredit), Francesco Valli (Bat Italia), il viceministro Roberto Pinza e il senatore Maurizio Sacconi. PALERMO mercoledì 6 febbraio 2008 Confindustria di Palermo Il comitato provinciale della Pmi di Confindustria Palermo organizza il convegno “Piccola Industria e Finanza innovativa”, per parlare di due mondi sempre meno distanti. Ne discutono Ettore Artioli, vice presidente per il Mezzogiorno di Confindustria, e Giuseppe Morandini, vice presidente Confindustria con delega sulle Pmi. ROMA giovedì 7 febbraio 2008 Sala della Protomoteca del Campidoglio Il Kyoto club fa il punto con gli enti locali sulle politiche per la riduzione delle emissioni. Ne discutono, al convegno“Le Regioni e gli Enti locali verso Kyoto”, i ministri Bersani e Pecoraro Scanio, i governatori Formigoni e Marrazzo, il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci.


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NordSud La favola dei Ciccolella: da piccola realtà della Puglia a colosso europeo della florivivaistica

Alla conquista dei tulipani della Regina d’Olanda

di Alessandro D’Amato era una volta una piccola impresa di coltivazione di rose, nata alla fine degli anni Sessanta a Molfetta. E c'è oggi uno dei casi imprenditoriali di maggior successo di cui l’Italia può vantarsi: un’azienda leader in Europa nella florovivaistica, che è anche il primo operatore di grandi dimensioni che affianca alla produzione anche l’intermediazione commerciale, e per di più su scala mondiale. L’azienda florovivaistica Ciccolella viene fondata oltre 40 anni fa nel piccolo comune della provincia di Bari, dall’imprenditore agricolo Paolo Ciccolella e dalla moglie Maria Antonia Del Rosso, i quali trasformano una produzione tradizionale da piccola impresa agricola in coltivazione di fiori. Insieme creano la prima “gemma” del futuro gruppo Ciccolella (“Floricoltura Ciccolella di Ciccolella Paolo e Del Rosso Maria Antonia”), partendo con crisantemi e garofani, e arrivando poi, alla fine degli anni ’90, alle rose e agli anthurium. Una scelta commerciale, compiuta con il contributo dei quattro fratelli Ciccolella, i quali nel frattempo prendono la guida dell’azienda, che si rivela sin da subito azzeccata: la rosa è la “regina”, ancor oggi il fiore più richiesto e venduto sul mercato (dalle decorazioni domestiche fino agli allestimenti per la moda o per i teatri); l’anthurium invece, oltre a essere sempre più apprezzato dai consumatori, è tra i fiori recisi più longevi (vive circa 30 giorni dopo il taglio) e si offre a una varietà quasi illimitata di decorazioni e utilizzi. E cosi, dopo i successi nel core business, non può mancare la fase della la diversificazione. Nel 2004 Ciccolella stipula

C’

con Edison un accordo per la realizzazione di serre che utilizzano l’energia termica prodotta nelle vicinanze delle centrali termoelettriche. Il deal consente notevoli vantaggi in termini di efficienza, risparmio energetico e di rispetto dell’ambiente, in pieno accordo con i dettami del Protocollo di Kyoto. Tanto che permette all’azienda di vincere nel giugno 2007 il premio “Gse e Fondazione Energia”, assegnato a Corrado Ciccolella come imprenditore impegnato a favorire il ricorso alle fonti energetiche alternative. Due anni dopo il gruppo, caso unico nella florovivaistica, sbarca in Borsa, attraverso l’acquisizione della società quotata Coats Cucirini (che dal dicembre 2005 cambia denominazione in Ciccolella S.p.A.).

L’operazione rende stabile, misurabile e duratura la crescita societaria e semplifica il processo di reperimento delle risorse necessarie per uno sviluppo dimensionale e per eventuali acquisizioni strategiche. E infatti arriva il momento dello shopping internazionale: sempre nel 2006 Ciccolella raggiunge un accordo per l’acquisizione del 100 per cento delle azioni di

Zurel Group, uno tra i primi cinque operatori europei nel trading di fiori e piante. Una scelta finalizzata a rafforzare il controllo dell’intera filiera, espandere la struttura distributiva per raggiungere l’intero mercato europeo, e anticiparne le dinamiche commerciali. Ciccolella e Zurel coprono il 4,5 per cento del mercato italiano di rose (1,2 in Europa) e il 18,7 del mercato italiano di anthuria (3,2 in Europa). L’anno dopo, l’azienda acquisisce le olandesi Flower Plant Partners e Leliveld Group, specializzate nella commercializzazione di fiori e piante soprattutto verso la grande distribuzione e il Cash & Carry, che fanno definitivamente di Ciccolella il primo operatore europeo integrato nella produzione e commercializzazione di fiori recisi e piante da vaso. Recentissima, poi, la notizia della firma di un accordo di collaborazione con Enel, in base al quale l’ex monopolista italiano fornirà l’energia termica prodotta dalla centrale di Marita Est per 70 ettari di serre: un modello di gestione già utilizzato in Italia, che comporterà un

Nel 2006 lo sbarco in Borsa. Ora si guarda all’energia

risparmio sui costi e, nei piani del gruppo, e potrà fungere da avamposto per l’entrata nel mercato russo e in quello dei Balcani. Questo tipo di accordi permettono a Ciccolella per tagliare i costi energetici attraverso il ricorso alla “cogenerazione”, ovvero a quel sistema integrato in grado di convertire l’energia primaria nella produzione congiunta di energia elettrica e di energia termica, consentendo così all’azienda di realizzare un importante risparmio economico e di conseguire importanti risultati sul piano della tutela ambientale. In più, il gruppo ha anche sottoscritto a dicembre 2007 un accordo con la Uil Agricoltura e la Fai Cisl, condivisa dal 97 per cento dei dipendenti del gruppo: è la prima intesa sindacale per la filiera florovivaistica e in generale per il comparto agricolo italiano, e immette una serie di benefici e di vantaggi legati alla salvaguardia dei diritti degli operatori, puntando in particolare alla stabilizzazione dei contratti (con il passaggio dal tempo determinato a quello indeterminato, un elemento importantissimo e molto nelle imprese del raro Mezzogiorno), all’introduzione di premi di produttività e alla tutela delle pari opportunità e delle norme sulla sicurezza sul posto di lavoro. Fra i piani di sviluppo futuro c’è l’ipotesi di nuovi insediamenti in Calabria a Simeri Crichi (Cz) nelle vicinanze di una centrale Edison, e possibili investimenti in Svizzera.

Oggi Ciccolella è una realtà industriale di primo livello: nel 2008 arriverà a coltivare circa 88 ettari di serre, per una produzione totale superiore agli 85 milioni di steli, di cui 70 milioni di rose e oltre 15 milioni di anthurium; nel gruppo attualmente sono impiegati oltre 1500 dipendenti tra gli stabilimenti italiani e olan-

desi, e il fatturato arriva a sfiorare il mezzo miliardo di euro. E punta tutto sulla ricerca: è proprietario di numerosi brevetti varietali in campo floricolo e si occupa dello studio di nuove varietà e di soluzioni innovative grazie all’attività svolta dal proprio centro ricerche (il più rilevante nel settore). Alcune varietà messe in coltivazione dal gruppo sono frutto di un accordo di licenza con uno degli ibridatori (i “creatori”di varietà) e i maggiori produttori a livello mondiale.

Attualmente alla guida ci sono gli eredi dei fondatori Paolo e Maria Antonia, i quattro fratelli Ciccolella, ognuno dei quali occupa un ruolo diverso in azienda: Vincenzo, il più grande, classe 1953, segue le relazioni istituzionali, i nuovi progetti e i piani di sviluppo; Corrado, 1956, attivo nel settore finanza è l’attuale amministratore delegato della Ciccolella S.p.A. una sorta di “primus inter pares”; poi c’è Francesco, 1958, laureato in Sociologia e con esperienze di manager internazionale nelle società danesi Lego e Bang & Olufsen, deputato alle acquisizioni e al marketing; e infine, Antonio, nato nel 1962, è addetto alla produzione e alle vendite. Insomma, una bellissima favola imprenditoriale, la cui storia dimostra che non mente il presidente di Confagri, Federico Vecchioni, quando afferma che l’agricoltura italiana ha fatto straordinari passi avanti nel processo di modernizzazione e che nulla la separa più dall’industria propriamente intesa. E dimostra altresì che non è vero che al Sud non ci siano operatori economici “da copertina”, così come non è detto che per sfondare nel nostro Mezzogiorno serva necessariamente costruire cattedrali nel deserto. Ora c’è solo da sperare nelle emulazioni.


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NordSud Il brevetto innovativo di Francesco Guerrasio

Un profilato degno del Guggenheim di Giuseppe Latour on si ferma sempre entro gli angusti confini di casa il viaggio di chi fa impresa da Roma in giù. A volte, quando le idee lo meritano, va oltre, e supera i limiti nazionali.Tanto che da Roccapiemonte, piccolo paese di 9mila anime nell’agro nocerino-sarnese, in provincia di Salerno, è possibile arrivare fino al Guggenheim di Bilbao. E ricevere i complimenti di due tra i

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più grandi architetti del mondo, Renzo Piano e Frank O. Gehry, per la bontà del proprio lavoro. Anche se, per percorrere quella strada le barriere sono state molte. E sono state costruite soprattutto da chi, le amministrazioni locali, avrebbe avuto più interesse a dare una mano, a mostrarsi più attento alle esigenze degli imprenditori. I quali, per stare sul mercato, sono costretti a muoversi con velocità senza restare impantanati nelle pastoie delle autorizzazioni, degli strumenti urbanistici, della burocrazia.

«Stavamo pensando a un prodotto innovativo rispetto alla concorrenza, in grado di darci un vantaggio cospicuo sugli altri». Nasce così Vertebra, «un profilato, un prodotto pensato per rendere più semplice la costruzione di archi in gesso rivestito. Si trattava del primo profilo flessibile al mondo». Vertebra è un lamierino d’acciaio zincato dallo spessore di pochi millimetri, somigliante proprio a una colonna vertebrale, che può essere facilmente piegato per ricavarne curvature altrimenti

impossibili. E anche direttamente in cantiere, senza bisogno di complicate operazioni al momento della produzione. È un prodotto innovativo, che nel 1991 arriva a Parigi in una fiera del settore e subito riscuote grande attenzione. «Abbiamo partecipato a quella manifestazione stando fianco a fianco con grandi realtà del nostro settore, dei veri e propri colossi se confrontati con la nostra dimensione». Si tratta di una gara; Guerrasio non riceve premi ma ottiene il riconoscimento più ambito, quello del mercato. E inizia a vendere all’estero. Tanto che oggi circa un quarto del fatturato complessivo della sua azienda arriva da oltreconfine. Nord-Europa, Spagna, Grecia, Bulgaria, Romania, ma anche l’area mediorientale. Il mercato di Guerrasio ormai abbraccia tutto il globo e lo fa affidandosi alla fama del prodotto, più che a dinamiche di pubblicità o promozione: «Quando un’idea è buona, e Vertebra lo era, si vende da sola, senza bisogno di accompagnarla.Anche perché non abbiamo mai avuto molto da investire in marketing». Da questo progetto ne gemmano molti altri, in un circolo virtuoso che inizia a instaurarsi in azienda e che porta ad altri profili,Variangolo e Superguida. Si investe molto in nuove idee, in ricerca di soluzioni che possano incontrare le esigenze del mercato. Oggi in innovazione se ne vanno circa 400-500mila euro all’anno. Dei cinquanta dipendenti di Guerrasio, ben cinque lavorano nell’ufficio tecnico allo sviluppo di nuovi

Anche Piano e Gehry tra i suoi clienti

La storia di Francesco Guerrasio, padre e padrone di una piccola impresa specializzata nella costruzione di profilati, inizia negli anni settanta. «È stato allora che ho iniziato a lavorare nel settore della carpenteria leggera, continuando l’attività di mio padre che gestiva una piccola azienda artigianale di famiglia». Il testimone passa dal padre al figlio che, a metà degli anni Ottanta, si rende conto che il settore nel quale lavora sta perdendo terreno. Troppa concorrenza, un affollamento che rende difficile ritagliarsi il proprio posto al sole. Nasce, allora, l’esigenza di guardarsi attorno e cercare altre aree nelle quali poter spendere la propria esperienza professionale, alla condizione di trovare più spazio. Il business, allora, inizia a ridirezionarsi verso la finitura di interni, con risultati che, sin dalle prime battute, convincono Guerrasio della bontà della scelta. La svolta, però, arriva all’inizio degli anni Novanta.

prodotti. Come gli ultimi arrivati di casa, una serie di controsoffitti ecologici (chiamata il “Trasformista”) pensati per gli ambienti di impresa più diversi, oltre a aree sterili, come le sale operatorie. Grazie alla forte spinta degli anni Novanta arrivano ottimi risultati commerciali e, con quelli, anche qualche perla. Uno dei clienti spagnoli di Guerrasio lavora a Bilbao per il Guggenheim progettato da Frank O. Gehry. Le curve impossibili pensate dal grande architetto canadese diventano realtà proprio grazie alla Vertebra di Roccapiemonte. «Ci ha addirittura chiamato per farci i complimenti». Intanto, era arrivata anche la soddisfazione di lavorare per una delle glorie nazionali, Renzo Piano. Il suo studio, infatti, ha commissionato a Guerrasio prima alcune sale dello stadio San Nicola di Bari e poi le strutture portanti del controsoffitto di rivestimento della chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Anche questa volta, per l’impresa, ormai non più tanto piccola, ci sono un grande successo e un grande ritorno di immagine tra gli addetti ai lavori.

Alla fine degli anni Novanta, però, arriva qualche problema. L’azienda vorrebbe realizzare una sede più ampia (circa 9mila metri quadri) a Roccapiemonte, ma si perde nei meandri della burocrazia. «Le amministrazioni del Sud non sanno nulla della mentalità di impresa, non sono disposte a seguirne i tempi rapidi». Le autorizzazioni rimangono bloccate a lungo, i costi per Guerrasio salgono, la costruzione dello stabilimento rischia di rimanere bloccata. Per questo, si decide di andare avanti senza autorizzazioni, scontando una dura pena, fatta di molte energie e molti soldi sprecati e, soprattutto, di processi, ricorsi e avvisi di garanzia. Alla fine la costruzione viene completata e la partita legale chiusa nel 2005, sette anni dopo il suo inizio. «Qualche anno fa, durante una fiera a Bologna, un visitatore mi disse: belle le sue idee, peccato che la sua sia un’impresa del Sud”. La vocazione territoriale, comunque, resta prioritaria per Guerrasio, che vende il 75 per cento di quanto fattura in Italia. Buona parte di questo, da Roma in giù. Grazie a una rete di vendita molto radicata soprattutto in Italia meridionale e a un secondo stabilimento collocato a Ceprano. «Se ci trovassimo nel nord Italia, saremmo facilitati. Ma per me le tradizioni e la mia terra sono un principio irrinunciabile». Al momento, sembra che questa filosofia stia premiando la società di Roccapiemonte. Che attualmente fattura circa 13 milioni di euro, con un ritmo di crescita di circa il 10-12 per cento annuo. E che proprio in questi giorni sta cambiando pelle, iniziando a preparare il passaggio di consegne dal “fondatore” ai figli, fase solitamente traumatica per le imprese familiari. Attualmente si tratta di una società individuale, che sta per diventare società di capitali, con l’ingresso, per ora con quote simboliche, dei due figli di Guerrasio, impiegati uno nel settore commerciale, l’altro in quello tecnico. Ma un giorno, come si dice, tutto questo sarà loro. Nel presente, però, c’è ancora Francesco Guerrasio, che parla dei prossimi passi dell’impresa: «Stiamo cercando nuovi mercati di sbocco, in particolare nel settore navale». Una sua delegazione, infatti, sta lavorando in alcuni cantieri napoletani ai controsoffitti delle navi da crociera della Grimaldi. Un’esperienza che, si spera, potrà aprire la strada ad altri clienti del ramo. Sempre, però, mantenendo la propria vocazione “artigianale”. «Siamo ancora legati ai valori del territorio e della famiglia. Non credo che ci metteremo altri soci in casa». Per diventare grandi, quindi, si cercherà di restare piccoli.

libri e riviste

ierluigi Ciocca, economista e già vicedirettore di Bankitalia, propone un viaggio interessante e scritto con prosa scorrevole nelle vicende che hanno portato l'Italia, dalla sua unità, a diventare la settima potenza mondiale del mondo. Un viaggio – una storia economica – che si conclude con un Paese, che alla fine della Prima Repubblica si scopre con un'economia troppo matura per la sua giovane vita. Ma soprattutto un Paese costretto ad affrontare una non facile fase di riconversione, che lo spinge a scegliere scelte dolorose per risolvere la sua crisi, se vuole agganciare le congiunture esterne favorevoli. Anche perché non è più possibile vivere, come oggi, sospesi tra i fasti passati e le paure per il futuro. Pierluigi Ciocca Ricchi per sempre Bollati Boringhieri pagg. 388, 30 euro

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el paper La situazione dei teatri lirici italiani, scritto per il sito dell’Ibl, Arianna Capuani racconta le difficoltà finanziarie di un settore da sempre sospeso tra intervento pubblico e ruolo del privato. Infatti la storia della lirica italiana è travagliata, con normative che non hanno mai affrontato il problema. Compresa l'ultima riforma Veltroni, che reintroduce la partecipazione dei privati rendendo gli enti lirici fondazioni di diritto privato. Non si supera la logica assistenziale, quando sarebbe più utile – suggerisce l’autrice – decentrare poteri alle Regioni e facilitare le donazioni liberali, disincentivate da una fiscalità svantaggiosa. Arianna Capuani La situazione dei teatri lirici italiani (www.brunoleoni.it)

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mondo

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Afghanistan: gli Usa chiedono maggiori impegni. E l’Italia che fa?

Anche i nostri elicotteri sotto custodia cautelare di Stranamore isogna cambiare marcia in Afghanistan, se non si vuole compromettere quanto è stato faticosamente realizzato in questi anni e con la prospettiva di dover intervenire più pesantemente in emergenza per evitare il collasso del fragile status quo nel Paese. Il momento delle decisioni cruciali si avvicina: il vertice Nato di Bucarest in aprile. Gli Stati Uniti, molto gentilmente, hanno concesso agli alleati un po’ di tempo “tappando”i buchi più urgenti con lo schieramento di una Meu, una forza integrata di Marines di circa 2 mila uomini a rinforzo della forza Nato Isaf ed altri 1.200 colli di cuoio per supportare Enduring Freedom. Ma si tratta di una misura tampone che fa guadagnare sei mesi e che soddisfa solo il 50 per cento delle richieste espresse dai comandanti in teatro.

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Non solo, con l’arrivo della stagione primaverile i talebani torneranno in azione, anche se, grazie alla strategia aggressiva voluta del generale McNeill per la prima volta si è mantenuta una forte pressione sui talebani anche durante l’inverno e con buoni risultati, come confermato dall’eliminazione di uno dei pezzi grossi di Al Qaeda, Abu Laith Al-Libi. I talebani poi non sono né imbattibili né così numerosi: le stime intelligence parlano di un massimo di 10 mila uomini, contando sia il primo sia il secondo livello della guerriglia. Un motivo in più per intensificare lo sforzo nel campo della sicurezza, mentre si deve migliorare (e di molto) l’impegno a

KOSOVO

Anche Gazprom contro l’indipendenza Il moderato Boris Tadic ha vinto e adesso tutti sono contenti. La maggioranza dei serbi che lo ha votato respingendo l’avventura ultranazionalista di Tomislav Nikolic. I kosovari che si attendono un atteggiamento più ragionevole di Belgrado di fronte all’imminente prospettiva della loro dichiarazione d’indipendenza. E l’Unione europea che spera di avere scongiurato una nuova crisi nel Balcani. Ma attenzione: chi è convinto che la strada verso l’indipendenza del Kosovo, a questo punto, sia tutta in discesa rischia di rimanere presto deluso. Il presidente Tadic è senz’altro persona più dialogante e filoeuropea di Nikolic, ma la sua conferma per un secondo mandato non modifica la linea politica della Serbia che non vuole rinunciare alla sovranità su una terra che, tra l’altro,

potenziare sia l’esercito sia la scalcinata polizia afgana, senza dimenticare le attività di ricostruzione civile, sociale ed economica. Insomma, occorre rimboccarsi le maniche. Il segretario alla Difesa Usa Robert Gates ha detto chiaramente che gli alleati Nato devono fare di più e ha chiesto esplicitamente alla Germania di mettere a disposizione Isaf una forza di reazione di combattimento da impiegare a sud. E ha ottenuto un diniego. Anche la Francia è stata invitata a fare la sua parte e qualcosa Parigi potrebbe concedere. Poi toccherà ad Italia, Turchia, Spagna. Né si può sperare che le esigenze di truppe addizionali, da impiegare senza caveat di sorta, sia colmata solo dagli Usa. Tanto più che Paesi come Canada e Olanda, impegnati a sud in operazioni di combattimento molto intense senza ricevere reale appoggio, hanno detto chiaramente che la misura è colma.E si che un modo per fare bella figura, dare un contributo concreto senza impegnare troppe

forze terrestri, limitando quindi i rischi, c’è: basterebbe inviare aerei ed elicotteri da combattimento, nonché elicotteri da trasporto. L’Italia ad esempio ha diversi assetti aerei da attacco e ricognizione che in Afganistan non sono mai stati usati solo per pruderie politica. Beh, a parte gli Amx incredibilmente posti sotto sequestro… cautelare, una misura che alla Nato suscita tanta incredulità quanta ilarità.

In effetti, un giudice ha pensato bene di mettere a terra l’intera flotta di cacciabombardieri Amx dell’aeronautica, perché si è convinto che siano pericolosi...ad oltre due anni di distanza da un incidente risoltosi senza vittime. Inutile dire che gli Amx brasiliani, identici ai nostri, volano che è un piacere. Ma in Italia nessuno sa quando avverrà il dissequestro. Roma dovrà presto dare risposte che, per una volta, non dovrebbero essere condizionate dalle miserie dei tatticismi di politica interna.

vi si dirà di Enrico Singer

considera la culla della sua cultura e della sua fede. Non solo. La Russia di Putin non ha alcuna intenzione di mollare il suo storico alleato. Prima di tutto perché Mosca teme che l’autodeterminazione del Kosovo diventi un esempio pericoloso per la Cecenia e per tutti gli altri separatismi che attraversano l’ex impero sovietico. E su questo punto è convinta di trovare alleati anche all’interno della Ue tra Paesi come Spagna, Grecia o Cipro che sono alle prese con i loro separatisti: che siano baschi o turchi. Ma anche perché Gazprom, il gigante russo dell’energia, sta per acquistare Nis: il monopolista petrolifero serbo. L’operazione ha già avuto l’ok dal governo di Belgrado guidato dal premier Vojislav Kostunica ed è strategica perché consentirà di intregrare la Serbia nel grande progetto

”South Stream”: l’oleodotto che dal Mar Nero porterà il greggio in Grecia e in Italia. Così, se l’ultranazionalista Nikolic era considerato il vero ”amico di Mosca”, in realtà anche Putin è ben contento della vittoria di Tadic perché il Cremlino preferisce stringere affari con una Serbia non isolata. UCRAINA

Piano in tre mosse per entrare nella Ue L’Ucraina punta all’ingresso nell’Unione europea. E questo si sa: l’ex pasionaria Yulia Tymoshenko, ora primo ministro del governo di Kiev, lo ha ripetuto apertamente pochi giorni fa.Tra i Ventisette ha anche un nocciolo duro di so-

I terroristi entrati da Gaza, via Egitto

Israele, kamikaze in un centro commerciale di Luisa Arezzo Dopo una pausa di oltre un anno, il terrorismo suicida palestinese è tornato a colpire nel sud di Israele, a una decina di chilometri dalla centrale nucleare. Ieri, alle 10,30 locali (un’ora prima in Italia) due kamikaze si sono presentati nel centro commerciale di Dimona, cittadina nel deserto del Negev. Il primo bilancio delle vittime è di tre morti (una donna israeliana e i due terroristi) e di una quindicina di feriti, di cui uno in condizioni disperate. I due kamikaze, originari della Striscia di Gaza, sono entrati in Israele attraverso l’Egitto. Lo ha confermato un portavoce delle Brigate dei martiri di al-Aqsa. La ripresa, dopo oltre un anno, degli attentati suicidi palestinesi all’interno del territorio israeliano rischia di fermare i negoziati tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il ministro dell’Industria e leader del partito religioso Shas, Eli Yishai, ha chiesto al premier Olmert di sospendere le trattative, riconsiderare la sua politica verso i palestinesi e di costruire una barriera di sicurezza lungo la frontiera con l’Egitto, come proposto anche da Ehud Barak. Olmert, che ha appena superato l’ostacolo del rapporto Winograd sulla guerra in Libano, si ritrova sotto pressione. Anche perché nelle scorse settimane era uscito dall’esecutivo il partito di destra Yisrael Beiteinu, lasciando così al primo ministro una maggioranza limitata di 67 seggi su 120 alla Knesset. E non è un mistero che anche il supporto di Eli Yishai sia appeso a molte variabili.

stenitori che fa perno sulla Polonia e si allarga agli altri Paesi dell’Europa orientale desiderosi di aumentare il loro peso nella Ue. Ma adesso ha anche una nuova strategia messa a punto dal presidente Victor Yushchenko. È un piano in tre mosse: l’ammissione al Wto già il prossimo mese, l’adesione al ”membership action plan” della Nato nel vertice che si terrà a Bucartest il 3 e 4 aprile, la firma di un accordo di libero scambio con Bruxelles al più presto possibile. Per usare una frase che Yushchenko ripete spesso ai suoi collaboratori «l’Europa, un giorno, dovrà chiedersi da sola: ma perché l’Ucraina non è ancora un Paese membro? E a quel punto sarà fatta». Una strategia sostenuta da un dinamismo economico invidiabile: l’anno scorso il 7,3 per cento di crescita. Secondo Yushchenko anche le tensioni degli ultimi due anni hanno avuto una ricaduta positiva: hanno dimostrato che l’Ucraina «sa risolvere in modo democratico anche gli scontri più acuti».


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economia

Oggi l’Istat dovrebbe comunicare dati molto preoccupanti. Ma non basterà il garante dei prezzi per calmierare il caro vita

Tasse e materie prime,riparte il treno dell’inflazione di Gianfranco Polillo i vuole il tempo necessario, ma poi i nodi vengono al pettine. Oggi, alle 11, l’Istat renderà noto i dati sull’inflazione. E sarà baruffa. I segnali sono, da tempo allarmanti. Tanto dall’aver spinto, qualche settimana fa, il buon Bersani all’ultima furbizia dopo le lenzuolate sulle liberalizzazioni che non liberano. A Roma le tariffe dei taxi, dopo la decisione di concedere nuove licenze che avrebbero dovuto calmierare il mercato, sono aumentate del 19 per cento. Ecco, un nuovo coniglio venir fuori dal cilindro: è ”mister prezzi”. Incarico affidato a uno dei suoi più giovani dirigenti. Volto affabile, molto british e un impegno che, a prenderlo sul serio, verrebbe solo da ridere. Uno staff di una decina di persone destinato a correre per i quattro cantoni e rincorrere un nemico inafferrabile, come l’inflazione.

sumatore, per così dire, inerme: il lavoratore dipendente o il pensionato, non protetto da alcun meccanismo di salvaguardia. Sarà quest’ultimo a dover sopportare sia l’aumento del proprio carico fiscale sia quello indotto dal meccanismo di scarica barile.

C

Missione impossibile, ma remunerativa almeno dal punto di vista mediatico, come mostrano le esortazioni lanciate, proprio in vista di questa scadenza, verso le categorie. Per il resto è, invece, allarme rosso. Nel 2007 i prezzi, in Italia, sono aumentati del 2,6 per cento. Un dato apparentemente rassicurante. Meno se si disaggrega. Per i prodotti alimentari e le bevande l’incremento è stato quasi doppio e ancora maggiore quello relativo ai trasporti. Non bastasse, i prezzi della produzione industriale sono cresciuti del 4,6 per cento, qualche decimale in più

rispetto alla media europea. Cosa ci dicono questi dati? A livello internazionale – per grano e petrolio – esiste una carenza di offerta. I consumi sono cresciuti troppo in fretta e la produzione non riesce a sod-

tenere maggiori derrate. L’agflation, come si dice in Usa, è destinata a durare. Più complesso, invece, il discorso sui prezzi della produzione industriale. La loro impennata – visto la debolezza dei consu-

dalle imprese sono aumentate del 28,1 per cento: quasi il doppio del 2006. Era quindi estremamente probabile, se non inevitabile, che quel maggior gravame si scaricasse sui prezzi relativi. Il fenomeno è

La pressione fiscale e i picchi per energia e alimentari spingono le aziende a scaricare sui consumi finali gli aumenti. A rischio soprattutto i meno tutelati: i lavoratori a salario fisso e i pensionati al minimo disfare la domanda. Di conseguenza i prezzi sono aumentati e continueranno la loro corsa fin quando non sarà ripristinato un nuovo equilibrio. Cosa non semplice. Visto che, specie in agricoltura, ci vorrà del tempo prima di ot-

mi – deriva sostanzialmente da due elementi. I maggiori oneri sostenuti per produrli – su cui un’incidenza non marginale ha avuto il costo dell’energia – la politica fiscale seguita dal governo Prodi. Nei primi undici mesi del 2007 le imposte pagate

noto, in economia, con il termine di traslazione. Se le imposte aumentano, ciascun contribuente cercherà di scaricarle sul suo cliente più vicino, che, a sua volta, ripeterà l’operazione all’infinito fino all’ultimo anello della catena. Ossia il con-

Per avere un’idea, si consideri che, nello stesso periodo, le imposte dirette sono aumentate dell’8 per cento, quelle indirette del 4,7, le addizionali regionali del 19,4 e quelle comunali, addirittura, del 42,5 per cento. Ci si può allora meravigliare se i prezzi complessivi salgono solo del 2,6 per cento? Certamente no, anzi ci si deve preoccupare. Il confronto tra questi valori mostra che nelle pieghe dell’economia italiana esiste un potenziale inflazionistico che ancora non si è interamente manifestato. E che emergerà solo nei prossimi mesi. Per non parlare di tariffe, anch’esse destinate ad aumentare. Che fare? Più che lanciare appelli, occorre una svolta. Fare in campo energetico, il più rapidamente possibile, ciò che i ”verdi” hanno finora impedito. Costruire quei rigassificatori che consentono di sfruttare le debolezze improvvise del mercato e spuntare prezzi più bassi. Quindi razionalizzare la distribuzione in tutti i campi, per ottenere economie di scala. E per il resto abbassare il carico fiscale, dopo aver ridotto la spesa pubblica. Più facile a dirsi che a farsi. Ma è questa la vera sfida che attende il successore di Romano Prodi.


economia

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Serra voleva più aggressività, gli inglesi di Templeton prudenza

Generali,gli hedge fund si spaccano su Bernheim di Giuseppe Failla

MILANO. Davide Serra ha fatto scuola. Dopo il Fondo Algebris, un altro investitore anglosassone, Franklin Mutual Advisers che fa capo al gruppo Franklin Templeton, ha scritto alle Generali per lamentarsi della governance e della retribuzione dei vertici. E non mancano timori riguardo a un eventuale sbarco sui mercati anglosassoni. Al contrario di quanto accaduto con la lettera inviata dal Fondo Algebris, titolare al pari di Franklin Mutual di una partecipazione dello 0,3 per cento nel capitale del Leone, la risposta è arrivata a meno di una settimana ad opera dell’amministratore delegato Giovanni Perissinotto. Tanta sollecitudine ha due spiegazioni. La prima è legata al fatto che il comitato govenance delle Generali ha già sancito che non ci saranno modifiche alle regole di governo societario. La seconda è legata alla dimensione (e implicitamente all’importanza) di Franklin Templeton. Al 31 dicembre scorso aveva un patrimonio gestito pari a 640 miliardi di dollari. Ma i due investitori hanno poi un atteggiamento differente rispetto alle politica d’investimento. Alla spregiudicatezza di Serra, che chiedeva nuove acquisizioni, si contrappone la cautela di Franklin Templeton che sconsiglia di avventurarsi in mercati anglofoni. Saranno «efficienti, maturi ed estremamente competitivi», ma non garantirebbero «parti-

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Alitalia, piccolo spiraglio per Toto Tommaso Padoa-Schioppa vorrebbe accelerare per la cessione di Alitalia ad Air France. Eppure Carlo Toto, dato sper spacciato fino a poco tempo fa, ieri si è visto riaprire le porte dell’operazione. Il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, suo fan in tempi non sospetti, ha fatto sapere che «Se su Alitalia sarà presentata un’offerta formale di acquisto da parte di Air One, il governo non potrebbe esimersi dal valutarla». Il costruttore abruzzese aspetta comunque il giudizio del Tar, al quale si è rivolto contro l’esclusiva concessa dal Tesoro ad Air France.

Grandi manovre per la cordata italiana Mentre il governo si divide ancora una volta sull’acquirente per Alitalia, ieri sono arrivate le prime candidature per partecipare alla cordata italiana annunciata dal patron di Air One, Carlo Toto. Nulla di ufficiale e di definitivo, ma Corrado Passera, amministratore delegato di IntesaSanpaolo, parla di «forte interesse da parte degli imprenditori lombardi e di soggetti finanziari». A stretto giro, infatti, ambienti vicini a Marco Tronchetti Provera hanno confermato che il patron di Pirelli sta studiando il dossier, anche per evitare ripercussioni a Malpensa. Sulla stessa linea Diana Bracco, presidente di Assolombarda. Disponibilità arriva anche dalla Camera di Commercio di Milano, attraverso il suo presidente Carlo Sangalli.

Shopping di IntesaSanpaolo in Ucraina

Dal Leone fanno capire che le critiche spaventano meno di un tempo. Si studia il mercato anglosassone colari vantaggi competitivi» al Leone. L’osservazione suona bizzarra. Innanzitutto perché la matutità e l’efficienza dei mercati anglosassoni non hanno evitato lo tsunami subprime che, di fatto, ha aperto la porta alla recessione negli Stati Uniti. Per converso appare curioso leggere un caveat che invita le Generali alla prudenza. Tra i motivi

che hanno portato le assicurazioni (e le banche) italiane a non riempirsi di prodotti strutturati a basi di subprime, vi è proprio l’abitudine a ponderare i rischi con estrema prudenza. È paradossale che in passato questo atteggiamento abbia portato a giudizi severi sulla presunta arretratezza delle imprese finanziarie italiane. Mentre oggi il volersi affacciare ai mercati anglosassoni, da sempre considerati al top, faccia ricevere a Generali inviti alla prudenza. Questa stranezza non è passata inosservata agli addetti ai lavori che hanno notato come, al contrario di quanto accaduto con Algebris, l’iniziativa di Franklin non abbia sortito effetti rilevanti sul mercato e, almeno secondo le prime risultanze, fra i soci.

Continua la penetrazione del nostro sistema finanziario nell’Est Europa. IntesaSanpaolo ieri ha firmato un accordo per l’acquisizione del 100 per cento della banca ucraina Jsc Pravex Bank, operazione che verrà completata nei prossimi mesi, una volta autorizzata dalle locali autorità di controllo. Dopo il closing Ca de’ Sass pagherà’ circa 504 milioni di euro, oltre a una rettifica post perfezionamento basata sui valori di libro della banca alla data di chiusura. Jsc Pravex Bank è una banca al dettaglio con 560 filiali, la sesta rete nel Paese per numero di sportelli.

Di Pietro reclama i fondi per il Ponte Perso il suo bersaglio preferito, Clemente Mastella, Antonio Di Pietro trova un altro bersaglio nel governo: il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Il responsabile delle Infrastrutture ha scritto a Prodi per ottenere i 4 miliardi di euro in dotazione a Stretto di Messina spa, la controllata di Fintecna, che servivano per il Ponte. «Sono passati ormai 17 mesi da quando il governo», denuncia l’ex pm, «decise con apposito decreto legge di destinare le risorse già stanziate per il Ponte alla realizzazione di opere più urgenti in Sicilia e Calabria. Ma a tutt’oggi, incredibilmente, quelle risorse non sono state ancora trasferite e non possono essere utilizzate». Allarme non diversi li aveva lanciati nei mesi scorsi il governatore dimissionario della Sicilia, Salvatore Cuffaro, preoccupato per la destinazione dei fondi in dotazione oggi a Fintecna.

La scalata di Microsoft su Yahoo.it e la risposta di Google fanno da volano per la raccolta nel Belpaese. Investimenti record nel 2007

Pubblicità on line,grandi manovre in Italia per un bottino da un miliardo È un segnale di vitalità, dato al mercato, agli analisti e alla concorrenza, quello dell’Opa di Microsoft su Yahoo. Ma è anche un’operazione per prendersi una fetta della torta degli pubblicità on line, e per andare a portare la guerra al maggiore concorrente (Google) proprio in casa sua. E così, dopo che Steve Ballmer, Ceo di Redmond, ha lamentato «un mercato dominato da un solo giocatore», il vice direttore generale della Big G, David Drummond, ha replicato accusando Microsoft di puntare al «monopolio della rete». Schermaglie dialettiche a parte, se l’Opa riuscirà, si aprirà una competizione senza eguali per accaparrarsi un mercato che in America vale 40 miliardi di dollari. E che dovrebbe raddoppiare entro il 2010. Anche in Italia il settore inizia a muoversi: cresciuto del 39 per cento nel 2007, e con investimenti pari a 680 milioni di euro, l’anno prossimo dovrebbe sfon-

di Alessandro D’Amato dare il miliardo. E se Oltreoceano la sfida è tra due colossi che si vogliono spartire una torta in grande crescita, i benefici si potranno vedere anche nel nostro Paese, dove l’internet advertising non ha ancora un giro d’affari di dimensioni pari agli altri partner europei. Infatti i big spender (Telecom, Barilla o Unicredit) aumentano le dotazioni per questo media ed editoriali come Rcs studiano nuove piattaforme. Gli operatori delle telecomunicazioni avevano puntato molto sulla legge Gentiloni, perché proponeva di spostare risorse pubblicitarie dalla tv agli altri media, attraverso l’introduzione dei ”tetti” tanto contestati dalle aziende televisive. Ma, caduto il governo e con Mediaset impegnatissima a difesa dello status quo, il progetto va rinviato. «Meglio così», dice

Domenico Ioppolo, docente di analisi dei mercati alla Bicocca di Milano, «Non credo sia necessario garantire la crescita dell’advertising on line attraverso i decreti legge. Ma di sicuro, se l’operazione Microsoft-Yahoo riuscirà, non potrà che essere positivo: internet sta crescendo già di suo, con due colossi di tali dimensioni, determinatissimi a farsi concorrenza, la situazione non potrà che migliorare». Ma strategie di Google sono molto più aggressive di quelle di Microsoft: in Usa lavora per entrare nella telefonia mobile, individuando nel web sui telefonini il business futuro. E stringe un accordo con la Publicis, il gruppo che annovera i pionieri dell’advertising come Saatchi&Saatchi e Leo Burnett. Per passare, forse, dal ruolo di intermediatore tra inserzionisti e publisher, a quello di attore. A Mountain View sembrano avere davvero una marcia in più.


pagina 20 • 5 febbraio 2008

storia

Continua la polemica sul Generale nel bicentenario della nascita

Fu vera gloria: Garibaldi è stato un eroe nazionale di Aldo G. Ricci aribaldi come mito fondatore non funziona». Questa la conclusione dell’intervento di Angela Pellicciari apparso su queste pagine il 31 gennaio in risposta all’articolo di Riccardo Paradisi dedicato a un mio recente saggio (Obbedisco. Garibaldi eroe per scelta e per destino, Palombi editore) volto a rivendicare il mito dell’eroe dei due mondi come tassello essenziale dell’identità nazionale e a ragionare sulle cause per cui oggi la sua figura risulta affidata per lo più a commemorazioni ritualistiche, mentre appare fortemente appannata sul piano delle passioni civili, peraltro in buona compagnia con la maggior parte del bagaglio risorgimentale. Le garbate obiezioni mosse da Angela Pellicciari, sono sostanzialmente tre: la spedizione dei Mille sarebbe stata ideata, organizzata, e finanziata da Cavour-La Farina, mentre il Nostro avrebbe avuto un ruolo meramente esecutivo, esercitando tra l’altro in Sicilia una dittatura barbara; Garibaldi non sarebbe stato un liberatore di popoli, ma avrebbe esercitato il commercio di schiavi; infine non era affatto il Cincinnato della leggenda, perché avrebbe accettato centomila lire dal governo italiano.

«G

piano letterario, cronache dalle quali risulta con chiarezza l’apporto essenziale del Nostro eroe in tutti i passaggi cruciali, esattamente come ce li ha restituiti la leggenda. Quanto poi ai siciliani, il ricordo di Garibaldi non doveva essere così malvagio se gli tributarono accoglienze trionfali in occasione del suo viaggio nell’isola, a poche settimane dalla morte, per l’anniversario dei Vespri. Con l’occasione, ai leghisti che lo criticano vorrei ricordare che la maggior parte dei Mille erano bresciani e bergamaschi, animati dall’idea di aiutare il Sud a liberarsi e modernizzarsi, esattamente quanto gli stessi auspicano ancora oggi. Accusare poi Garibaldi di aver esercitato il commercio di

vava a dover far fronte a problemi creati da altri, in particolare i figli. Attribuire la patente dell’opportunista per aver accettato una volta dei soldi a un uomo che avrebbe potuto avere qualsiasi cosa, significa guardare la Storia dal buco della serratura e non en pleine lumière. Detto questo, vorrei però soffermarmi su un punto richiamato dalla Pellicciari che mi sembra essenziale: la contrapposizione tra Risorgimento e tradizione cattolica, che ha giocato un ruolo esiziale nella nostra storia. Sono perfettamente d’accordo. Quella tradizione millenaria è parte essenziale della nostra identità nazionale. Ma il conflitto risorgimentale è un capitolo ormai superato, legato a un potere temporale di cui la Chiesa stessa alla fine si liberò con un respiro di sollievo. Lo stesso Garibaldi, noto come campione dell’anticlericalismo, è in realtà uomo di profondi sentimenti religiosi, e chi ha letto le sue Memorie o le sue lettere sa bene quanto la figura del Cristo vi ricorra come modello dei rapporti tra gli uomini. La Pellicciari, facendo riferimento nell’articolo alla rimozione della tradizione cattolica operata da gran parte del Risorgimento, ricordava le recenti parole del cardinal Caffarra che invitava a non ”sradicarci dalla nostra tradizione”. «Nel nulla, aggiungeva l’alto prelato, si può solo cadere, ma dal nulla non si ha alcun appoggio per risalire».

L’aneddotica nera sul Risorgimento non può cancellare il valore e il ruolo dei suoi protagonisti. Senza i loro miti fondanti l’Italia precipiterebbe in una crisi d’identità molto pericolosa per il Paese

Difficile replicare nel dettaglio in questa sede. I retroscena della Storia sono importanti, ma non tanto quanto la Storia stessa. Che l’impresa dei Mille abbia alle spalle finanziamenti e aiuti non sempre palesi (massoneria, Inghilterra, Regno Sardo, pur tra molte contraddizioni) è un fatto, così come è un fatto che la sua dinamica militare e popolare è sotto gli occhi di infiniti testimoni, italiani e stranieri, che ne hanno fatto cronache preziose, anche sul

schiavi per la testimonianza di un armatore su un viaggio di cui nelle Memorie dell’eroe mancano particolari sul carico trasportato mi sembra francamente arduo. Soprattutto ragionando sulle tante testimonianze relative a episodi di liberazione di schiavi che vedono protagonista Garibaldi, e senza ovviamente soffermarsi sulla sostanza del problema: il suo ruolo, non solo in Italia, ma nell’America del Sud, dal Brasile all’Uruguay, che in questo bicentenario lo hanno celebrato come libertador al pari di Bolivar. Al termine di ogni impresa, in particolare nel caso dei Mille, Garibaldi torna alla sua isola come ne era partito, con qualche ferita in più, e al massimo con un sacco di sementi. Era un uomo parco, modesto e pieno di dignità. Non capiva nulla di finanza e talvolta si tro-

Sono parole da sottoscrivere dalla prima all’ultima e, con un po’ di presunzione, credo che nell’Italia di oggi lo stesso Garibaldi, che anteponeva il bene della Nazione a qualunque altro, le avrebbe sottoscritte senza alcuna esitazione. Il pericolo

è proprio il nulla, il ’buco nero’, il baratro che si apre dinanzi all’Italia di oggi: un Paese uscito dalla seconda guerra mondiale con le ossa a pezzi e con un lacerato senso dell’identità nazionale. Tutti problemi in parte occultati dalla ’guerra fredda’, ma accentuati dalle contrapposizioni interne; problemi che si intrecciano senza soluzione dopo l’implosione della prima repubblica e la crisi del sistema dei partiti, e che ancora attendono una soluzione. Paradossalmente, la rimozione della tradizione cattolica lamentata

giustamente dalla Pellicciari marcia di pari passo con la rimozione della tradizione risorgimentale, e in particolare di Garibaldi, eroe di tutti fino alla seconda guerra mondiale ed eroe di nessuno nella seconda metà del Novecento; un eroe quasi imbarazzante nella sua idealità, buono solo per le commemorazioni. E’ giusto: senza miti e senza radici non si va da nessuna parte. Le nostre sono queste e di fronte ai problemi dell’oggi appaiono a un osservatore obbiettivo entrambe essenziali.


sport

5 febbraio 2008 • pagina 21

La ”questione slovena” specchio sincero dell’inarrestabile declino del calcio

La crisi senza fine del gioco più amato dagli italiani di Bruno Cortona n anno fa, più o meno di questi tempi, tutti a dire: ma che bel dossier, ma che bei progetti. E ancora: il nostro programma è il migliore, c’è serietà, progettualità e poi, c’è sempre il Bel Paese a fare da sottofondo. Questi erano i pensieri e le parole del ministro con delega allo sport Giovanna Meandri alla vigilia della decisione della Uefa – l’organismo che gestisce il calcio nel Vecchio Continente - sull’assegnazione degli Europei del 2012. Sembrava cosa fatta e invece fummo puniti: la Uefa riunita nel suo esecutivo decise: 4 voti all’Italia, 8 voti al tandem Ucraina-Polonia. Sì, finimmo battuti da due realtà che, a livello calcistico, economico e sociale, non possono certo dirsi superiori a noi. Ma la brutta figura non finisce qui. Perché dopo quasi un anno si scopre che Polonia e Ucraina non potranno organizzare gli Europei di calcio tra quattro anni. Con tanti saluti al loro dossier e alla capacità interpretativa dei delegati Uefa. La logica porterebbe a pensare che l’Italia, candidata e «prima dei non eletti», sarebbe lì, pronta a subentrare. Ed invece no. Perché in un anno non è stato fatto nulla per migliorare lo stato degli impianti dove si gioca a pallone nel nostro paese. Al momento solo il Meazza San Siro di Milano e l’Olimpico di Roma sono a norma per le gare internazionali. E l’impianto voluto dal Duce a metà degli anni ’30, di proprietà del Coni, ha bisogno di pesanti lavori di ristrutturazione. Insomma, un quadro pesante. Che ci esclude a automaticamente dalla possibilità di subentrare al consorzio dell’Est per ospitare gli Europei tra quattro anni.

U

Dopo la grande abbuffata di Italia ’90 – stadi ristrutturati malissimo, due cattedrali nel deserto a Torino e Bari, il Delle Alpi e il San Nicola e centinaia di miliardi buttati al vento – in Italia non si è più pensato agli stadi. Li si è lasciati marcire nel vero senso della parola, recuperando solo una parvenza di sicurezza con la vicenda dei tornelli pretesa dalla legge Amato-Melandri dopo l’emergenza violenza a seguito della morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, un anno fa a Catania. Fermo il governo, che pure aveva appoggiato la candidatura, con un decreto ministeriale dell’uscente Ministro Melandri solo di facciata e lontanissimo dalla sostanza; ferma la Federcalcio presieduta da Giancarlo Abete, fratello di Luigi; ferma la Lega calcio, la confindustria del nostro pallone, affidata all’ex dc Antonio Matarrese, capitano di lungo corso del governo calcistico nel

Stadi fatiscenti, crollo degli spettatori, perdita di credibilità delle istituzioni. Il football nostrano si avvita in una crisi senza fine. Ed il campionato europeo è sempre più lontano nostro paese. Proprio i presidenti dei club grandi e piccoli avrebbero dovuto fare da volano alla possibilità di ottenere la candidatura: stadi nuovi, progetti moderni, iniziative capaci di arginare la fuga di presenze dai nostri stadi, una vera e propria emorragia. Ma la Lega, come dice la parola stessa, invece di coagulare le volontà, è afflitta da emofilia.

Tutti vanno per conto proprio, pensando ad interessi specifici. Così, salendo, Federcalcio e governo con l’ineffabile ministra, a fronte di tante parole, non hanno mosso un dito per agire. Peggio. Lo hanno fatto con le intenzioni di un decreto ministeriale fuori tempo massimo, dettato solo dalla necessità di evitare una figura barbina proprio mentre a Largo Chigi, sede del ministero, preparano gli scatoloni per il trasloco. Il Comitato che sta per essere creato ( Ministero, Coni, Figc, Lega col Credito Sportivo) prova a riprendere il lavoro dell’ex commissario straordinario della Federcalcio, Luca Pancalli. Con un ritardo irritante

e destinato alla sconfitta certa. Potrebbe bastare. Ma dato che siamo capaci di farci del male con la precisione di un maniaco masochista, ecco la proposta-”boutade” fatta l’altro giorno dal presidente della Lega Matarrese: da soli non possiamo subentrare al possibile forfait di Polonia-Ucraina, proviamo ad organizzare gli Europei del 2012 con un paese confinante». Ma, fatti i conti, anche politici, la lista si riduce all’osso. La Francia ha Platini presidente della Uefa e non sarebbe opportuno che il suo paese entrasse in ballo per una candidaturaparacadute, senza contare i rapporti tutt’altro che buoni tra i due paesi in fatto di pallone. Svizzera e Austria li organizzano nel prossimo mese di giugno, dunque, a meno di non considerare Malta, o scafisti organizzati per una spola con l’Albania e il Montenegro, ecco rimasta la Slovenia, che sta nel panorama calcistico europeo, come le verdure bollite nel menu di Alain Ducasse e Ferran Adrà. Insomma, altre parole regalate al vento e quasi provocatorie. Un tempo, con Artemio

Franchi, il calcio italiano esportava quell’abilità politica che nel mondo del calcio degli anni ’60 e ’70 fu paragonata perfino ai Medici del Rinascimento.

Oggi un teatrino deprimente rispecchia fedelmente lo stato dell’arte di una industria che, ubriacatasi con i soldi dei diritti televisivi, criptati e non, ha lasciato che i nostri stadi invecchiassero fino a cadere a pezzi. Anche per questo il pubblico cala. Dal Portogallo alla Grecia, passando – ovviamente per Francia, Inghilterra, Olanda, Belgio e Germania – siamo rimasti il fanalino di coda in fatto di stadi moderni, confortevoli, multifunzionali. Qui paghi 100 euro per sedere scomodamente in tribuna, spesso a centinaia di metri da dove avviene l’azione di gioco. In Inghilterra, il tifosi del Bolton, pochi chilometri a Nord di Manchester, squadra della Premiere League che lotta per non retrocedere, possiedono tutti una tessera di abbonamento prepagata: ogni volta che non vanno allo stadio – il Reebok dal nome dello sponsor, 29.000 posti tutti a sedere, un piccolo gioiello – inviano un sms al numero apposito scelto dal club, e si vedono decurtare il prezzo di quella gara. Accade da quasi 10 anni. Da noi, dove la complicatissima vendita nominale per via telematica s’inceppa ogni volta lasciando i tifosi all’asciutto, è ancora fantascienza.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog LA DOMANDA DEL GIORNO

Emergenza rifiuti, basteranno trenta giorni? I reati non si giustificano, ma quali altre armi hanno i campani? Tutti noi benpensanti stigmatizziamo le rivolte dei campani contro la riapertura di vecchie discariche e i fuochi appiccati di notte. E’ giusto. I reati non sono mai giustificabili. Però, però, però... Che armi hanno per mostrare tutto il loro sdegno, la loro disperazione verso le autorità, che da oltre quattordici anni dei rifiuti se ne sono altamente infischiati, e anzi?

Carlo Migliorini - Roma

Il problema è sempre lo stesso: il centrosinistra non fa mai autocritica Su tutto aleggia la presunzione della sinistra di non ammettere mai un errore. Se dicessero: ”Prodi ha sbagliato ad ignorare metà degli italiani, Bassolino ha sbagliato qualcosa in Campania, la Iervolino chiede scusa ai napoletani, Pecoraro fa un passo indietro... Se potesse oggi, Prodi non ripartirebbe fagocitando tutte le cariche d’inizio legislatura”. Invece no, insistono nel ”noi abbiamo avuto ed abbiamo dei problemi non per nostra colpa, per impreparazione, superficialità! La musica è sempre la stessa: quello che non ha funzionato ha responsabilità altrove, noi non chiediamo scusa a nessuno, ci dovete aiutare in nome dell’Italia, del senso di serietà, di maturità”. Sono finiti i tempi dello scaricabarile: avete voluto la bicicletta? A casa o piegate la schiena.

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

Dopo un mese De Gennaro è pronto a chiedere anche i ”tempi supplementari” E Prodi disse: ”In 24 ore sarà risolto il problema dei rifiuti in Campania”. La buona novella finì

con titoloni su tutte le pagine dei nostri giornali. Dopo un mese però, De Gennaro ha ottenuto dall’Unione europea un altro mese e non solo: è già deciso a chiedere i tempi supplementari. Quando si dice che il silenzio è d’oro!

Giulio Penati - Milano

Passata l’emergenza rifiuti, bisogna risolvere l’emergenza Bassolino Sono pronto a scommettere che tra un mese l’emergenza rifiuti non sarà risolta. Ma ammettiamo che invece tutto vada per il meglio. Mi chiedo: finita l’emergenza, è finita anche l’ordinaria amministrazione? Mi spiego. Sento sempre parlare di emergenza e di costruzione di nuove discariche, che però non saranno disponibili prima di qualche anno. E allora sembra già sicuro che dovremo affrontare un’altra ennesima emergenza. Onorevoli Berlusconi, Fini e Casini, nel programma elettorale prevedete un rimedio serio. Certo, prima sarà importante buttar fuori Bassolino e Iervolino, ma voi pensate per tempo.

Sandro Lippi - Siracusa

Non c’è dubbio, in Campania le malattie sono in preoccupante aumento Dalle numerose dichiarazioni televisive, e non solo da quelle degli abitanti ma anche da quelle di medici degli ospedali locali, sembra certo che le malattie di leucemia e di cancro in Campania costituiscano addirittura il doppio della media nazionale. Non c’è dubbio quindi che la relazione causa ed effetto sia palese. Una volta accertate le responsabilità, oltre a quella amministrativa, non si configurerebbe anche una responsabilità penale, che come tale sarebbe perseguibile d’ufficio?

Marco Valensise - Roma

LA DOMANDA DI DOMANI

Patto Fi-Pd: fantapolitica o accordo possibile?

Perché la destra non diserta certe trasmissioni? Tra breve saremo di nuovo in campagna elettorale. I Santoro, i Floris, i Riotta e compagnia saranno già in fibrillazione e staranno già scegliendo i parlamentari (ovviamente di destra) da massacrare. E chi se ne importa degli ammonimenti di Calabrò. Mi chiedo: ma perché i deputati e i senatori del centrodestra non disertano certe trasmissioni? Capisco che sarebbe tutto spazio regalato ai detrattori. Ma l’esperienza insegna che tanto l’ultima parola è sempre dei Travaglio di turno, e poi senza agnelli sacrificali queste trasmissioni perdono di fascino e quindi di audience. Certamente non rivolgendosi alla Magistratura, anch’essa colpevole di questo disatro. Grazie e buon lavoro alla redazione.

OCCORRONO UN GOVERNO E UN PREMIER PIU’ AUTOREVOLI Dopo l’ennesima crisi di Governo, sembra essere tornati alla prima Repubblica, dove tutti barattavano tutto. L’elemento discriminante che molti politici ignorano è che il bipolarismo è oramai radicato nella società Italiana, e con il tempo arriveremo ad un bipartitismo perfetto. E’ dunque urgente una seria rifoma elettorale. Che non consenta ribaltoni, che in caso di sfiducia porti il Paese al voto senza possibilità di un nuovo Governo da prima Repubblica, proprio come si sta facendo in questi giorni. Perché l’Italia ha bisogno di riforme e stabilità. E’ necesaria una legge che dia più potere al presidente del Consiglio, che possa nominare e revoca-

Corrado Sguera Napoli

Berlusconi, si concetri e non butti energie altrove Padellaro,direttore dell’Unità, nel suo fondo di sabato è uscito con dell’ironia nei riguardi di Mieli-Berlusconi (sembra ci sia stata una visita a palazzo Grazioli). Si domanda: vorrà sponsorizzare il Premier con l’appoggio del quotidiano come fece con Prodi? Bravo, direttore Padellaro. Sarà, ma ciò che trovo molto strano è che a suo tempo, mi sembra, non disse nulla, per Prodi an-

Antonio Pesce - Roma

Basta pagare il canone Rai, i canali sono insopportabili Trovo altamente ingiusto dover pagare il canone Rai quando collegarsi ai tre canali è diventato insopportabile. Siamo costretti a vedere Anno zero, Ballarò, In mezz’ora. Trasmissioni con un pubblico inventato e reclutato solo tra le fila dei loro fans politici, che ride e applaude alle loro menzogne.

Angela Perla - Ancona

Affrontiamo il problema dei campi nomadi in Italia Ho sentito in televisione che avrebbero trovato in un campo nomadi del nolano Angela Celentano dodici anni dopo il suo rapimento,accanto ad una donna anziana in una baracca. Il primo esame ha stabilito che il suo dna sarebbe compatibile con quello della madre, Maria Celentano. Non sono ovviamente una persona razzista, ma credo che oc-

dai circoli liberal

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

corra affrontare sul serio e con serietà il problema dei campi nomadi in Italia. Come mai il più delle volte aggrediscono, rubano, scippano, e se ubriachi uccidono quattro giovani, vengono praticamente premiati?

re i ministri quando necessario. Una legge che preveda la decaduta automatica degli eletti che da uno schierramento passino ad un altro. L’Italia chiede chiarezza di posizioni, almeno negli eletti che devono amministrare e legiferare, le giuste alchimie politiche devono porle in essere i partiti. Ed è assolutamente necessario tornare a fare una distinzione fra politica pura e amministrazione della cosa pubblica, perché questo passaggio, assolutamente fondamentale, non viene più fatto. L’Italia ha grandi risorse, necessita di investimenti infrastrutturali al Sud, necessita di una nuova e più giovane classe dirigente politica e necessita di inceneritori. Ha bisogno dell’adeguamento dei salari al costo

dava bene, ora ...mette le mani avanti. Qualcuno saprebbe dirmi se sbaglio a ricordare che la sinistra parla di verità o correttezza solo in un verso? E con costoro si dovrebbe fare anche la grande coalizione, per riparare gli errori della loro protervia! Presidente Berlusconi, pensi al centrodestra e non butti energie altrove. Ho imparato a fare sempre il contrario della sinistra e ”sempre” mi sono trovato dalla parte dei liberal-democratici. E soprattutto sereno ed in pace con me stesso!

Leopoldo Chiappini Guerrieri - Teramo

della vita, di rinnovare il mondo delle professioni, di una strutturazione amministrativa più snella. È giunta l’ora di costruire da entrambi gli schieramenti una Nazione più veloce nel somatizzare i problemi e prendere le opportune, adeguate e necessarie decisioni. Luigi Ruberto CLUB LIBERAL-MONTI DAUNI

Il Segretario organizzativo, unitamente a tutti i Circoli Liberal d’Italia, si stringe in un sentito e profondo cordoglio al Presidente, onorevole Ferdinando Adornato, per l’improvvisa perdita della cara mamma. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog globalizzazione? Così va il mondo. La speculazione economica? Così va il mercato. Il sottinteso è che non c’è mai niente da fare. Noi gente normale, senza grandi patrimoni familiari né santi in paradiso, dobbiamo andare avanti alla meno peggio. Quando va bene, siamo barchette in balia delle onde. Quando va male siamo naufraghi in attesa di crepare. Ma tra un’ondata e l’altra, mi raccomando, battiamo le mani ai potenti.

LETTERA DALLA STORIA

”Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, ragionato e immenso disordine di tutti i sensi” Il primo studio dell’uomo che voglia esser poeta è la sua propria conoscenza, intera; egli cerca la sua anima, l’indaga, la tenta, l’impara. Appena la sa, deve coltivarla: in ogni cervello si compie uno sviluppo naturale; tanti egoisti si proclamano autori; ce ne sono molti altri che si attribuiscono il loro progresso intellettuale! Ma si tratta di fare l’anima mostruosa: come i comprachicos, insomma! Immagini un uomo che si pianti verruche sul viso e le coltivi. Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura nella quale egli ha bisogno di tutta la forza sovrumana, nella quale egli diventa il grande criminale, il grande maledetto, e il sommo Sapiente! Egli giunge infatti all’ignoto! E quand’anche, smarrito, finisse col perdere l’intelligenza delle proprie visioni, le avrà pur viste! Arthur Rimbaud a Paul Demeny

Il cammino di Belgrado verso l’Ue si fa sempre più forte Scampato il pericolo Serbia. Questa è la notizia che rimbalza su tutti i media nazionali ed europei. Vincono gli amici dei poteri forti e delle democrazie occidentali, e così il cammino di Belgrado verso l’Unione europea si fa sempre più veloce. Da oggi in poi il Kosovo ha sempre più speranze di diventare indipendente, con il beneplacito della Nato, degli Usa e dell’Europa. Resta un problema: il primo partito della Serbia è quello dei nazionalisti di Nikolic. Tadic ha vinto con una coalizione improbabile. E il popolo serbo non vuole perdere il ”suo”Kosovo. Tra l’altro le truppe albanesi già minacciano la guerra e la riaccensione della miccia balcanica. Subito dopo, però, il Kosovo potrebbe diventare un modello per tutti. Come si farà in Catalogna, nei Paesi Baschi, in Corsica, in Sardegna, in Irlanda, in Belgio? Daranno l’indipendenza a tutti? Basterebbe lasciare, tra l’altro in maniera del tutto legittima, il Kosovo alla Serbia e non ci sarebbero problemi.

Graziano Palazzi Scandicci (Fi)

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

Carlo Bargellini Campi Bisenzio (Fi)

Noi, ragazzi naufraghi sempre in balia delle onde Mi è capitato per caso uno dei primi numeri di liberal e ho letto la domanda: giovani, precari a vita o disoccupati? Voglio rispondere così: sai che bella alternativa, o non lavori proprio (ma poi come campi?) o ti lasci sfruttare (ma poi come campi?). Quello che mi dà fastidio, per usare un eufemismo, non è nemmeno che oggi ci sia questa situazione. E’ che la si consideri un destino ineluttabile. Come un mucchio d’altre cose, d’altronde. Dagli economisti ai politici, e aggiungiamoci pure una bella (brutta) fetta dei media, è tutto un prendere atto di questo e di quello. La

Almeno il centrodestra torni al fianco dei giovani Il precariato ha tolto le speranze ai giovani e distrutto dalle fondamenta il mondo del lavoro. Per regolamentarlo (almeno) oggi i politici dovrebbero avere il coraggio di prendere una serie di decisioni serie, come il sussidio di disoccupazione per chi tra un lavoro e l’altro fa corsi di formazione, o la possibilità di accendere un mutuo o comprare una macchina anche se non si ha un contratto a tempo indeterminato. La sinistra non ha fatto nulla, ci riuscirà la destra? Grazie per l’attenzione.

Armando Lo Vecchio - Pisa

Se in Italia si parla più degli affari esteri Un altro affondo del Papa sull’aborto. E il dibattito politico si focalizza solo sulle sue parole. Può un capo di stato straniero catalizzare tutte le nostre attenzioni? Forse sì. Lo facciamo con Bush. E tristemente i titoli dei giornali ”urlano” di Sarno e della Bruni. Che tristezza questo Paese.

Annapaola Grisanti - Padova

Il futuro è come il paradiso: tutti lo esaltano ma nessuno ci vuole andare adesso JAMES BALDWIN

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Giancristiano Desiderio, Alex De Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di IL PRESTIGIATORE La forza di Veltroni è nell’essere un fumoso prestigiatore. La sua debolezze, l’illusione che gli italiani sian assai meno intelligenti di lui, incapaci di accorgersi dei suoi trucchi. Gli è andata bene a Roma, ma puoi ingannar una persona per sempre, o tutti per un periodo; non puoi ingannar ognuno per sempre. Per vincere contro un avversario che ha fatto dell’inconsistenza una virtù, il Centro Destra deve stringerlo all’angolo, mostrando le sue bugie. 1) Il governo è caduto per la legge elettorale. Basti ricordare che all’epoca del primo tragicomico Prodi, si dicevano le medesime cose della vecchia legge elettorale. Il problema vero è invece nell’innaturale connubio trasformista che ha generato l’Unione di cui Veltroni è stato uno dei padri. 2) Il senso di responsabilità. Quando invece è soltanto paura di perder le poltrone e soprattutto, eredità del Fascismo, vero padre dell’Unione, invece che la Resistenza, il disprezzo ed il rifiuto di quello che è il momento più alto della Democrazia, le elezioni. 3) Il correre da soli. Sottolineare che i patti di desistenza son la medesima cosa di un’alleanza, con la doppiezza che, mancando accordi per un programma comune di governo, posson esser rinnegati a posteriori, a seconda delle convenienze. 4) Il nuovo che avanza. Balle. Per la sua incapacità, Veltroni ha già fatto troppi danni a Roma.

The Brugnols brugnols.splinder.com

IL REALISMO DI FINI L’esperienza comica del “mandato esplorativo” conferito a Marini, sta per concludersi.

Società Editrice Edizione de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Lagrotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Poligrafico Europa s.r.l. Paderno Dugnano (Milano) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania

(…) Preso atto di ciò, dunque, il Capo dello Stato non potrebbe fare altro che fissare la data delle elezioni. Ci vuole realismo, però: perché il centrodestra dovrà fronteggiare una congiuntura economica che già si preannuncia pessima. E Fini mostra di esserne consapevole: “Servirà un programma basato su 15-20 punti chiari, non un libro dei sogni, sui quali basare la campagna elettorale”. Mentre sulle alleanze avverte: “Le elezioni non saranno una passeggiata”. “Se il Pd correrà da solo alle prossime elezioni, un pensierino lo dovremo fare anche noi della CdL. Non abbiamo bisogno di imbarcare questo o quello sulla nave solo perché ora è vincente”.

Camelot Destra Ideale www.camelotdestraideale.it

È PROPRIO CAMPAGNA ELETTORALE Già si scatenano le trombe del Mondo. Silvio Berlusconi è unfit a guidare l’Italia, e questo già lo sapevamo. Ora che le elezioni si avvicinano inesorabilmente, i corrispondenti anglosassoni recuperano le vecchie teorie sul modello-Italia e le ripropongono ai loro ignari lettori. Certo, perchè Romano Prodi è stato the best. Ma non erano gli inglesi snobboni che lo definirono “il peggior presidente della Commissione europea di tutti i tempi“? Comunque, ecco cosa scrive il solito Ian Fisher dalle colonne del prestigioso (?) The New York Times. Una sottolineatura merita il fatto che, intervistando Eugenio Scalfari, Fisher definisca Repubblica come “a liberal newspaper”.

Richelieu richelieublog.wordpress.com

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PAGINAVENTIQUATTRO L’ambizione Nicolas Sarkozy, fenomenologia di una presidenza di rottura

IL POTERE

L’amore

di Gennaro Malgieri “Costruire ed amare? Potrebbe essere solo una promessa. Per me è la vita. La mia”, si chiedeva e si rispondeva Sarkozy, quando Carla Bruni era soltanto la più affascinante modella italiana in terra francese e cantava Quelqu’un m’a dit

ettersi a nudo. È il massimo della rupture, non soltanto per un capo di Stato. Ed esibire la propria nudità, non è narcisismo, ma amore per la verità. Amore eccessivo, forse. Tutt’altro che volgare, comunque. Come desiderare il piacere, lasciarsi abbagliare dalla bellezza colta nelle praterie selvagge della Camargue, tra le sabbiose piste senza età di Petra o ancora attraversando la Valle dove riposano i faraoni d’Egitto. Se poi queste privatissime scorribande nella bellezza prestano il fianco a scavi nella sua intimità, dove s’insinua l’invadenza voyeristica alla quale pure non intende sottrarsi perché uno come lui è come tutti gli altri, poco male. Anche quando la bellezza svelata è una donna. O più donne, al cui fascino non intende opporre resistenza. La nudità di Nicolas Sarkozy è elementare. Istintuale. Eccitante per chi la scruta da vicino, dal buco della serratura dell’Eliseo o dalle pagine patinate degli hebdomadaires gossippari, tanto indecenti da far risaltare ancora di più la sua prorompente fisicità nell’apparire. Atteggiamenti poco presidenziali? Che “rottura” sarebbe se indossasse le grisaglie di Chirac, se impettito scivolasse nelle parate sugli ChampsElysée come Mitterrand, se si travestisse da monumento di se stesso come Giscard?

M

gliere la diffusa speranza di coloro che nei cassetti delle proprie anime avevano riposto un pezzetto dell’ ansia collettiva dei francesi: il terrore della decadenza. Nessuno interpretò le sue parole in modo tranquillizzante; ma ad ognuno fece intendere che se la Francia fosse stata sua, si fosse abbandonata a lui, l’avrebbe salvata. Spudoratamente, com’è nel suo costume, lanciò la suggestione più improbabile che si potesse immaginare: capovolgere la piramide dei valori, reinventare uno stile di vita, operare una rivoluzione culturale profonda. Il maggio 2007 era lontanissimo. Lui pensava ad un altro maggio, quello del Sessantotto, e a quella fatua rupture intendeva opporre una rupture fattuale, concreta: una sorta di nemesi. L’avrebbero capito i citoyennes? L’avrebbero capito. Quando Jean-Louis Debré, presidente del Consiglio costituzionale, proclamò i risultati del 6

inventarlo e realizzarlo. Il ruolo della politica è di proporre un avvenire e di renderlo possibile. Ecco perché mi sono consacrato ad essa. Ecco perché credo ancora nella forza della volontà; ecco ciò che giustifica, ai miei occhi la volontà di conquistare le più alte responsabilità istituzionali”. Credete che lo scalfiscano le livorose cronache del suo innamoramento, della sua passion foudre? La bellezza di sua moglie non lo distoglie dalla possibile vision du vide, la visione del vuoto che potrebbe precipitare i francesi nella depressione. Perciò otto punti percentuali in meno nei sondaggi di opinione sulla sua popolarità, non possono scalfirlo. E non devono. La sua biografia, del resto, autorizza a ritenere che la china sarà risalita. Indipendentemente da come il suo menage matrimoniale con Carla Bruni evolverà. Che idiozia legare un amore ai destini di un Paese. Il 12 aprile dell’anno scorso, annota Yasmine Reza, a Tours pronunciò un discorso dal quale si comprende come sia incistato nella “sua”Francia al punto di sentirsene parte fisica: “Sì, sono figlio di un immigrato. Sì, sono figlio di un ungherese e nipote di un greco nato a Salonicco… Sì, sono un francese di sangue misto, convinto che si sia francesi in proporzione all’amore che si prova per la Francia, all’attaccamento che si prova per i suoi valori di universalità… La Francia non è una razza, non è un’etnia…Non si è francesi solo per le proprie radici, per i propri avi… Si è francesi perché si vuole esserlo… perché la Francia è un motivo di orgoglio. Perché ci si sente in obbligo nei suoi confronti, perché nei suoi confronti si prova gratitudine, riconoscenza”. Ancora l’amore. E l’ambizione. Il potere resta sullo sfondo, ma non al punto di sacrificare l’anima.

Otto punti percentuali in meno nei sondaggi di opinione sulla sua popolarità, non possono scalfirlo. E non devono. La sua biografia, del resto, autorizza a ritenere che la china sarà risalita

Il “presidenziabile” divenuto presidente, contro ogni ragionevole aspettativa, si capì in una uggiosa domenica di fine novembre del 2004 che non sarebbe stato, semmai avesse raccolto l’eredità del Generale, paragonabile a nessun altro dei suoi predecessori. Lo vidi salire sull’immenso palco al Bourget, il vecchio aeroporto parigino dismesso, accolto da una folla osannante. Nasceva l’Ump, il suo ariete per abbattere la cittadella del conformismo politico. E racco-

maggio, André Glucksman disse a Yasmina Reza, la drammaturga che lo ha seguito, attonita e affascinata, durante la campagna elettorale, “guarda com’è raggiante di fronte a questa Francia che non si aspettava”. Ma non si aspettava neppure il contrario. S’era messo a nudo e s’era fatto giudicare. E continua a farsi giudicare. Non più dal buco della serratura dell’Eliseo. La Francia è in Africa, sanguinosamente; la Francia è nel cuore dell’Europa, ma senza mollare l’America (sarebbe contento Tocqueville); la Francia è alla testa del rinnovamento della politica occidentale, al di là della destra e della sinistra. La Francia è l’amore, ancora una volta, come usava alla corte dei Capetingi, dei Carolingi, dei Borbone, dei Bonaparte (il Grande e il Terzo). Amore esibito. Nudo, finalmente. Dopo amanti celate, figlie nascoste, relazioni impossibili. Sarà la solitudine della politica a rendere gli amori, talvolta, incandescenti. Chi può dirlo? E c’è amore, potere, senso della storia nel cocktail ambizioso di Sarkozy, come si conviene a chi intende rafforzare, senza farne mistero, l’architettura monocratica di uno Stato forte, estremo omaggio non alla grandeur, ma sempre e soltanto al Generale. In Témoignage ha scritto: “Costruire è agire con i tempi giusti della riflessione. E’‘fare’seguendo un pensiero, un progetto.Troppi politici non hanno più sogni, perché non credono più nella loro capacità di cambiare, trasformare il futuro. Confondono il sognare con il profetare generico e utopistico: credono che si chieda loro di predire il futuro quando invece si chiede loro semplicemente di

Una volta, dopo aver incontrato ad Algeri, da ministro dell’Interno, il suo omologo, apparentemente non disse niente di politico, ma si limitò ad osservare che tutto ciò che sapeva di quei posti gli veniva dai libri:“La letteratura è importante, consente di elevarsi rispetto alla propria condizione”. E diventare, magari, quel che si è, nietscheanamente, assecondando un destino. L’alba, la sera o la notte è il ritratto che Yasmine Reza ha fatto di lui. C’è un’annotazione che definisce la sua idea di potere: “Ai prefetti di Francia, durante la riunione a proposito della legge sull’immigrazione, parla con toni duri: ho la sensazione che in una decina di prefetture mi si prenda in giro. Se non volete applicare le misure decise dal Governo, cambiate mestiere. Non è questione di destra o sinistra, è questione di legge”. Decisionista in politica, come il Generale. Decisionista in amore. Non è un peccato. Nello scorso autunno conobbe Carla Bruni a cena dal suo amico Sequèla, magnate della pubblicità. L’accompagnò a casa. La modella chiamò dopo poco il suo ospite e gli domandò che tipo fosse il suo amico. Perché voleva saperlo? Si racconta che la splendida signora manifestò la sua sorpresa poiché erano trascorsi già cinque minuti e Nicolas non l’aveva ancora chiamata. Potere degli sguardi. Potere della seduzione. Tutto è seduzione. E richiamo. A cominciare dalle aspettative delle folle. Lo sa il presidente dei francesi, lo sa sua moglie.“Costruire ed amare? Potrebbe essere solo una promessa. Per me è la vita. La mia”, si chiedeva e si rispondeva Sarkozy, quando Carla Bruni era soltanto la più affascinante modella italiana in terra francese e cantava Quelqu’un m’a dit , canzone nella quale rivelava che qualcuno le aveva detto “che la nostra vita non è una gran cosa”. Era il 2002 e Nicolas non c’era ancora.


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