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ISSN 1827-8817 80208
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Dai Beatles a oggi: storia delle culture che ancora segnano le società occidentali
di e h c a n cro
I Sessantotto sono due
di Ferdinando Adornato
Mentre nel Partito Democratico torna in auge il bluff dell’accordo tecnico con la sinistra antagonista, la Casa delle libertà discute come evitare l’ammucchiata di quattordici partiti Francesco Alberoni
pagina 12
veltronismo LA NUOVA STRATEGIA: SOLO IMMAGINE NIENTE PROGRAMMA pagina 6
Angelo Mellone
america 2008 COSA C’È DIETRO LE PIÙ BELLE PRIMARIE DELLA STORIA USA pagina 9
Michael Novak
Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma
esclusivo
Parla l’avvocato di Khodorkovsky
Allora, in quanti giochiamo? alle pagine 2, 3, 4 VENERDÌ 8
FEBBRAIO
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
21 •
WWW.LIBERAL.IT
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«L’Italia ha venduto l’anima a Putin, la Merkel no» Maria Maggiore
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sport UN VIAGGIO NEL FOOTBALL DI ALLAH Giancristiano Desiderio pagina 21
IN REDAZIONE ALLE ORE
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Altero Matteoli chiede agli alleati di non disperdere il lavoro fatto in questi anni per la creazione di una casa comune
«Chi ha detto che Mastella sta con noi?» di Riccardo Paradisi ROMA. Nella testa del Cavaliere la tentazione del coupe de theatre lavora da giorni: solo l’idea che la palma del nuovo sia nelle mani di Veltroni e del suo partito democratico non lo rende tranquillo. Gli alleati della Cdl tendono l’orecchio: vogliono capire come si presenterà alle elezioni il centrodestra. Si va con la squadra a quattro della vittoria del 2001 o con una composizione più vasta? Altero Matteoli, capogruppo di Alleanza nazionale al Senato e componente dell’ufficio politico del partito, invita alla calma: «Stiamo attenti a non subire la provocazione di Veltroni». Perchè senatore dice che il centrodestra rischia di fare il gioco del Partito democratico? Perchè mi sembra chiaro che Veltroni tenti di dettare l’agenda al centrodestra. Fa il suo gioco, ma noi dobbiamo fare il nostro. Intendiamoci, con questo non voglio dire che Berlusconi non avverta un problema reale sentendo l’esigenza di un guizzo innovatore. È un’esigenza che sentiamo tutti. Abbiamo cambiato tutte le sigle dei vecchi partiti ma l’organizzazione di queste strutture è
rimasta novecentesca. Io ho fatto il tifo perchè nel centrosinistra ci fosse un partito democratico auspicando che questo avvenisse anche nel centrodestra. Sono anni che c’è chi sta lavorando a questo obiettivo. L’occasione di queste elezioni potrebbe essere un’accelerazione verso quel progetto. Lei dice che il partito unitario del centrodestra potrebbe essere la risposta della Cdl al partito democratico di Veltroni?
do governi che non hanno retto al primo serio urto. Il centrodestra ha una storia diversa: ha una coalizione ideologicamente coesa che non si divide sulle questioni fondamentali, che fa un governo che dura cinque anni malgrado una situazione economica disastrosa. Detto questo resta fermo che per non depotenziare questo capitale politico accumulato la Cdl deve darsi una scossa. Se non riusciamo a fare subito il partito unico facciamo la federazione, acceleriamo. An vorrebbe andare alle urne con i quattro partiti storici della Cdl.Tra le altre c’è anche la variabile di Storace. An porrebbe dei veti alla presenza della Destra nella coalizione? Nessun veto ci mancherebbe. Però c’è un programma di coalizione che va sottoscritto, su cui si deve trovare un accordo. L’unica pregiudiziale è questa. Lei è tranquillo sull’omogeneità e la tenuta politica del centrodestra però anche da questa parte non manca una sottile vena di preoccupazione: se il differenziale al Sena-
L’esponente di An non vuole «farsi dettare l’agenda da Veltroni». E all’Udeur dice: «Prima di venire nella Cdl, esca dalle giunte di sinistra» Si, ma per una decisione del genere si devono riunire i vertici della coalizione. Alleanza nazionale avrebbe l’obbligo di esserci, di lavorare perchè questo progetto si avveri. Intanto il partito democratico però è già nato. Il Pd è nato perchè l’Unione e il prodismo che la teneva in piedi hanno fallito crean-
to tra i due schieramenti dovesse essere ancora di misura quei partiti a vocazione fluida come l’Udeur di Mastella non potrebbero costituire un rischio? Ma chi lo dice che Mastella ci sarà nella coalizione? Lo si presume. Ci sarà se sottoscrive un accordo e un progetto, ma prima Mastella deve sciogliere un nodo: l’Udeur mica può stare nelle regioni di centrosinsitra con i suoi assessori e poi venire nel centrodestra a livello nazionale. Tutto ci possiamo permettere ma non questa confusione. Veltroni userà contro il centrodestra questo argomento: non avete voluto fare un governo d’intesa per riformare la legge elettorale. Come risponderete? Che il Paese non poteva star fermo tre mesi per rifare la legge elettorale mentre ci sono problemi a cui dare risposta immediata come il rifinanziamento delle missioni. E che i tre mesi la sinistra li avrebbe utilizzati più che per la riforma elettorale per operazioni clientelari con il tesoretto. Ingenui va bene ma mica siamo scemi.
Su un programma chiaro e vincolante
Sentiamoci liberi di scegliere di Gaetano Quagliariello a politica oggi ha un rapporto obbligato con la comunicazione. Bisogna evitare però che, operando un’inversione logica, il problema della comunicazione venga addirittura anteposto a quello politico. Nel caso in specie, vale la pena di ricordare che la scelta di Veltroni di correre da solo è poco più di un obbligo, vista come è finita la legislatura e viste le previsioni dei rapporti di forza consolidati negli ultimi tre mesi di sondaggi. Al cospetto di una sconfitta sicura, il segretario del Partito democratico non aveva altra scelta.
traddizioni non sono per questo sparite. Nei prossimi giorni vedremo esplodere la guerra delle candidature tra le diverse correnti interne. E, se sapremo incalzare, su politica estera, giustizia, temi
Tornare di fronte agli elettori con la stessa alleanza che ha dato vita al peggior governo della Repubblica sarebbe servito solo a farsi del male. Del resto, pur restringendo la coalizione al Pd e poco più (Di Pietro e socialisti) le con-
etici, all’interno del Pd scopriremo che esistono a volte distanze anche maggiori rispetto a quelle che solcano i differenti partiti del centro-destra. Queste circostanze fanno della competizione elettorale appena aperta qualcosa
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Il maquillage non può coprire vuoti politici, nè a destra nè a sinistra, dove ben presto scopriremo le distanze dentro il Pd
di radicalmente diverso rispetto a quella di due anni fa, anche se a governarla è lo stesso sistema di voto. Nel 2006 si correva per il premio di maggioranza. E vi era per questo la necessità di raccattare tutto e comunque da una parte e dall’altra.
Oggi la vittoria (almeno quella numerica) non sembra in discussione, né alla Camera né al Senato. Per questo, anche chi vince ha la libertà di scegliere con chi vincere. In questa situazione, personalmente ritengo che al centro
delle scelte del centrodestra bisognerebbe mettere il programma: dieci punti assolutamente obbliganti, tradotti in altrettante proposte di legge da far approvare nei primi cento giorni, e altrettante proposizioni di politica internazionale. Determinerei su questa base i confini dell’alleanza. E solo una volta risolto il problema politico mi dedicherei al maquillage. Che certamente ha la sua importanza ma che non può coprire vuoti politici, qualora questi si venissero a formare, né a sinistra né a destra.
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Per una legislatura ecologista
Quattro bastano (e avanzano) di Carlo Ripa di Meana uattro partiti bastano e avanzano per dare forza a quello che mi sta a cuore: una stagione legislativa che salvi il paesaggio italiano, regoli severamente il consumo del territorio oggi attaccato con ferocia da puri calcoli di speculazione edilizia, che decida grandi opere applicando sempre la valutazione di compatibilità ambientale europea, esaminando progetto dopo progetto, caso per caso, abbandonando la regola del no pregiudiziale così come quella del sì pregiudiziale. Che rialzi lo scudo protettivo scolpito con l’art.9 della Co-
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Non dobbiamo diventare un’Arca di Noè
Ripartiamo dai «fondatori» di Michele Vietti a crisi del centrosinistra, al di là degli ultimi effetti scatenanti, trova la sua causa più profonda nelle contraddizioni che opponevano i tantissimi partiti di quello schieramento su tutti i temi, dalla politica estera, al fisco, alla sicurezza… Prodi anziché governare ha passato il suo tempo a rimettere in riga i troppi alleati riottosi, tanto più petulanti quanto più insignificanti numericamente. Occorre fare tesoro di
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Occorre perciò fare un gesto di coraggio, rinunciare ad imbarcare tutti sull’arca di Noè così da consentire di tenere la barra dritta durante la navigazione e non costringere il nostromo ad abbandonare il timone per sedare le continue risse tra gli eterogenei occupanti.
Abbiamo capito che l’omogeneità di programmi, di culture politiche e di azione di governo sono non soltanto un forte elemento di attrazione per un elettorato stufo delle compagnie carnevalesche ma anche la condizione stessa per la sopravvivenza di una coalizione che voglia candidarsi davvero alla guida del Paese, non per fare una passerella ma per risolvere i drammatici problemi che affliggono l’Italia. Dunque il centrodestra che si presenterà alle elezioni dovrà annoverare le quattro componenti storiche (FI, An, Udc e Lega), sforzandosi di raggiungere preventivamente fra queste il massimo di unità di intenti programmatico-politica e dovrà evitare la tentazione di far salire sul carro del presunto vincitore (che in realtà deve ancora combattere e vincere) le tante micro formazioni che non rappresentano vere alternative politiche ma spesso capricci o personalismi. Sono certo che una scelta di questo genere sarà capita e apprezzata dagli elettori.
L’omogeneità di programmi e di culture politiche è un appeal per l’elettore e un fattore di coesione per l’alleanza quanto è successo ed evitare accuratamente di ripetere lo stesso errore da parte del centrodestra.
È vero che il premio di maggioranza esercita una forte attrazione ad inseguire componenti aggiuntive o addirittura singole individualità a cui il meccanismo attribuisce un valore aggiunto che gli interessati fanno balenare come determinante per vincere. Ma è altrettanto vero che questi aggregati dell’ultima ora, dal giorno dopo l’auspicata vittoria, diventano palle al piede della nuova maggioranza, elementi di ricatto permanente dell’azione di governo e cause di contraddizione interna alla compagine di cui paralizzano ogni iniziativa.
L’importante è che chi vota sappia che il centrodestra è aperto e disponibile ad un esame non bigotto dei prorompenti problemi ambientali stituzione per il patrimonio monumentale, archeologico, storico che rimotivi culturalmente la tutela delle città storiche. E infine una legislazione di qualità affidabile e aggiornata nel suo impianto scientifico, che metta al sicuro il patrimonio delle acque, dei suoli e della atmosfera nel nostro lungo paese e nelle sue isole. Una stagione legislativa senza condoni edilizi e senza tabù energetici, scegliendo nella complessa panoplia delle energie rinnovabili, valutandone anche la vocazione per l’Italia. Ancora una volta abbiamo visto in Campania che le questioni energetiche si collegano anche alla legislazione vigente relativa al ciclo per lo smaltimento dei rifiuti, per la loro raccolta differenziata, per il riciclo e il recupero e, infine, anche per il non trascurabile apporto energetico da rifiuti.
Il problema è dunque quello di fare finalmente quanto non è stato più fatto dalla fine degli anni sessanta. Chiudere un mezzo secolo di confusa, contraddittoria, scadente produzione legislativa italiana relativa alla tutela, alla conservazione e alle questioni ecologiche nuove imposte dalle società industriale. Esce di scena, nel discredito, il Partito dei Verdi, ormai spento nella tradizione comunista dei suoi tre partners, che per di più lo vivono come un imbaraz-
zante quarto incomodo, una zavorra di piombo nelle ali della cosa rossa verso il suo tradizionale elettorato.
Riassumendo lo spazio per esprimere questi propositi, dibatterli liberamente e lavorare per una loro versione in leggi e regolamenti e poi in concreta applicazione, mi pare che possa essere previsto in tutte le quattro formazioni, senza dover aggiungere simboli e liste, considerando, per di più, che uno dei quattro si dichiara partito in evoluzione e in ampliamento. È importante che gli elettori italiani sappiano, in particolare i giovani elettori, che nel centrodestra batte un cuore aperto e disponibile a un serio e concreto lavoro per la tutela, per la conservazione e per l’esame, non bigotto, della prorompente problematica ecologica.
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La scelta politica di Veltroni mi è del tutto indifferente
Ci voleva il partito unitario, ma non facciamoci problemi di Maurizio Gasparri ersonalmente sono sempre stato favorevole al partito unitario del centrodestra. Ero, sono e sarò sempre per questa soluzione politica. Mi rendo conto che la semplificazione del quadro complessivo dei partiti italiani è una necessità, ma l’accelerazione del percorso elettorale ci costringe a valutare la convergenza sui programmi. Ed allora non possiamo avere un pregiudizio di esclusione nei confronti di nessuno. Naturalmente, sono contrario alla moltiplicazione delle liste, e sono a favore di un loro accorpamento, per quanto possibile. Ma credo anche che i quattro soci fondatori non saranno sufficienti ad esaurire l’arco delle forze che si
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riconoscono nel progetto politico del centrodestra. Per questo non mi scandalizzerei se invece di 4 le liste coalizzate fossero 5 o 6. Ciò che fa la differenza tra una coalizione puramente elettorale ed una capace di governare e di farlo bene è la sua compattezza in ragione di valori e programmi condivisi. A me non interessa minimamente cosa deciderà di fare il Partito democratico. Mi è del tutto indifferente perché la nostra proposta politica prescinde dalle scelte di Walter Veltroni. Il punto essenziale è proprio questo. Può darsi anche che il leader del Pd decida di correre da solo, senza accordi alla Camera o al Senato con la sinistra radicale, ma la sua è una non scelta per-
ché vi si ritrova costretto a causa delle profonde contraddizioni in seno ad una coalizione, quella di centrosinistra, che per ben due volte, a dieci anni di distanza l’una dall’altra, ha portato il proprio governo ad una precoce morte politica nel giro di pochi mesi. Mentre il centrosinistra giustamente si vergogna del proprio fallimentare bilancio al governo, viceversa noi del centrodestra, seppur con tutta l’autocritica di cui siamo capaci, abbiamo governato per cinque anni consecutivi, traducendo la nostra unità politica in decine di riforme strutturali della nazione. Questa è la realtà e queste sono le ragioni per cui ci presentiamo uniti per il governo dell’Italia.
Il centrodestra non ha di fronte lo stesso problema di frammentazione del centosinistra
Non imitiamoli, loro sanno di perdere di Giuliano Cazzola vero: l’alleanza di centro destra non è obbligata ad organizzare e a schierare il caravanserraglio del 2006 anche se si andrà a votare, il 13 aprile, con la medesima legge. Ma la selezione dei “compagni di strada” non può esserci soltanto perché bisogna “fare come Veltroni” se si vuole essere moderni. Ammesso e non concesso che tenga duro fino in fondo sulla scelta di “correre da soli”, il leader del Pd persegue un preciso disegno politico che prende le mosse da una lucida analisi: il centrosinistra non potrebbe vincere le elezioni anche se fosse in grado di rimettere in pista l’Unione del 2006. Anzi, a quella coalizione gli italiani non perdonerebbero nulla di quanto potrebbero, invece, risparmiare al Pd, il cui ruolo, nell’eclissi del prodismo, non è stato né inutile né indifferente. Così, se è inevitabile perdere le elezioni per il governo del Paese, Veltroni cerca almeno di vincere la sfida all’interno della sinistra, ridimensionando il peso elettorale di quelle componenti con le quali avverte un’assoluta inconciliabilità culturale e programmatica. Ovviamente il segretario del Pd mette in conto una “traversata del deserto” che potrebbe durare qualche anno, ma
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dalla quale potrebbe uscire finalmente un partito rinnovato “a vocazione maggioritaria”, ma disposto e pronto anche ad intessere nuove alleanze. Il prossimo di centro-destra, infatti, si troverà, tra i primi impegni, a dover affrontare la questione della legge elettorale, visto che l’appuntamento referendario è stato solo rinviato e che sarebbe opportuno (grazie al varo di una nuova legge) non effettuare mai la consultazione, in quanto, ad avviso di chi scrive, niente sarebbe peggio del sistema emendato dal voto positivo per i quesiti referendari. La legge elettorale non deve servire soltanto a dare, come si dice in queste ore, stabilità all’ordinamento istituzionale, ma a disegnare anche il quadro politico. La reintroduzione di elementi di proporzionalismo, infatti, metterebbe in moto delle forti spinte centripete che farebbero un gran bene ad un sistema, martoriato da un quindicennio di bipolarismo sciagurato (in quanto latore di sciagure). C’è da augurarsi, in-
fatti, che in un breve lasso di tempo la direzione del Paese finisca per essere affidata dagli elettori ad un centro-sinistra vero, imperniato sull’alleanza tra Forza Italia e Pd. Nessun altra coalizione sarebbe, nei fatti, più omogenea e più riformista di questa. Se fosse tale la strategia di medio periodo di Walter Veltroni, bisognerebbe augurarsi che avesse successo, nell’interesse del Paese. Ma la lotta politica non è mai una passeggiata sui “prati verdi” del Salmo; e il potere non è un premio da consegnare ai migliori, ma un’arma da brandire per portare avanti il proprio progetto politico. Se la strategia di medio periodo di Veltroni punta ad obiettivi di grande cambiamento, nel breve ha in mente un risultato più modesto. Mutatis mutandis, il medesimo di Berlusconi nel 2006: determinare una condizione di instabilità al Senato, a parti invertite. Se il Pd fosse, infatti, in grado di vincere (come è probabile) da solo - le elezioni nelle regioni rosse, conquistandosi - sempre da solo - il
L’analisi del leader del Pd è lucida: non potrebbe vincere neppure con tutta l’Unione del 2006. Per questo insegue una strategia diversa
premio di maggioranza in ciascuna di esse, il gioco sarebbe fatto. Ecco perché la CdL deve fare molta attenzione alle alleanze da compiere, senza cadere nella trappola di Veltroni (a cui sta andando in soccorso un coro massmediatico impressionante). Il Pd è consapevole di perdere; ha scelto una strada che gli consente di fare chiarezza e di regolare i conti nella sconfitta. Per ripartire da una condizione nuova quando verrà il momento. La CdL vuole e può vincere; dal 2006 ad oggi non ha mai avuto una strategia diversa che non fosse il ritorno in tempi brevi alle urne. Se si vogliono tirare dei confini, vanno addotte delle motivazioni politiche. A Storace (che pure è stato ministro della Repubblica) e alla Mussolini si può dire di no a causa delle loro propensioni politiche e dei loro programmi. È credibile dopo che Berlusconi ha tenuto a battesimo La Destra? Ma diventa difficile avere lo stesso atteggiamento con Dini e Mastella, sia per ragioni programmatiche, sia, soprattutto, per il ruolo svolto nella caduta di Prodi. Si dirà che i due – ed è vero – non sono alieni ai salti della quaglia. Ma, dice il proverbio, a nemico che fugge ponti d’oro.
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Viaggio tra gli azzurri: «L’idea della corsa solitaria non esiste». Ma non si esclude il restyling
”Berlusconi presidente”, il simbolo che può mandare in soffitta FI di Errico Novi
ROMA. Non si può liquidare l’idea della lista unitaria come un improvviso sussulto di fantasia. A due mesi dal voto Silvio Berlusconi non ragiona di queste cose tanto per fare accademia. Lo sollecitano almeno due fattori. Innanzitutto «la sfida lanciata da Veltroni», per dirla con Isabella Bertolini, deputata azzurra fedelissima alle scelte del leader. E poi la voglia di andare oltre Forza Italia, di costruire subito qualcosa che allarghi i confini, comprenda altre forze, magari anche An, e si allei con Udc e Lega. Berlusconi ci pensa da quasi due anni, dal giorno successivo alla pseudo-sconfitta dell’aprile 2006. È per questo che ha messo in campo i Circoli della libertà e si è spinto fino alla svolta di piazza San Babila. Adesso è fortemente tentato di accelerare i tempi, di approfittare della campagna elettorale e del suo ritmo incalzante per lanciare subito la nuova creatura. Senza per questo svincolarla dalla coalizione, come spiega ancora la Bertolini: «L’ipotesi di separarsi dagli alleati è lontanissima dalla testa del presidente. È vero invece che ragiona su una lista unica, questo sì, in cui includere altri. Ma di questo, Silvio discuterà in ogni caso con gli altri partiti del centrodestra. La rottura è una necessità a cui è obbligato Veltroni, che ovviamente cerca di stanarci. Ma noi non possiamo cadere in una trappola del genere». Gli alleati maggiori non prenderebbero bene la ”tentazione maggioritaria”. «Se ciascuno va da solo, andremo da soli anche noi», ha commentato ieri Pier Ferdinando Casini. Ma l’unica ipotesi che sta in piedi è un cartello che sia l’evoluzione di Forza Italia, comunque alleato con gli altri. Non si chiamerebbe ”Popolo della libertà”, in ogni caso. Secondo Isabella Bertolini quello su
cui si lavora a Palazzo Grazioli «è in realtà un simbolo con la dicitura ”Berlusconi presidente”». Magari con il riferimento al Pdl in basso, come annunciava ieri Michela Brambilla.
Va detto che in questa fase l’ex presidente del Consiglio studia le possibilità anche per una questione di scrupolo metodologico. Molti suoi consiglieri sono convinti che «il nome Forza Italia» abbia una «riconoscibilità che non si può buttare via». Alla fine la ban-
leva per esempio sull’adesione che Roberto Formigoni ha dato fin dall’inizio al Popolo della libertà. Ieri il governatore ha confermato che la soluzione tecnica per l’immediato è ancora allo studio («sulla forma della coalizione sta valutando Berlusconi, che sta parlando poco proprio perché lavora sul problema»). In Lombardia c’è chi, come il coordinatore regionale Maristella Gelmini, alza anche un po’ il tiro: «Questa volta non si può chiedere al presidente di essere ”meno Berlusconi”, come nel quinquennio 20012006. Serve un patto su un programma di 5 o 6 punti, chi ci sta ci sta, altrimenti Silvio tirerà dritto da solo». Ma in fondo è un’eccezione. Prevalgono analisi meno estreme, come quella svolta con liberal da Raffaele Fitto: «La valutazione di queste ore mira a una cosa: evitare che la coalizione si presenti in modo frammentato. I partiti fondatori della Cdl sono una garanzia programmatica, seppure con alti e bassi hanno consentito alla precedente legislatura di durare cinque anni. Si punta natural-
Tutti sono convinti che la coalizione è intoccabile e non mancano suggestioni per un rassemblement da allargare subito a Fini. Resta il problema di Mastella e di Dini. Tensioni in Piemonte tra brambilliani e forzisti dierina tricolore dovrebbe restare sulla scheda. Di sicuro affiancata agli altri simboli dell’ex Cdl: An, Udc e Lega. «Non intendiamo abboccare alla provocazione di Veltroni», dice Renato Schifani, «il Pd è costretto ad adottare questa strategia dopo il fallimento del governo, noi casomai lavoriamo per semplificare la coalizione del centrodestra». C’è chi tira perché Berlusconi cambi immediatamente marchio, certo. Tra questi sicuramente Gianfranco Rotondi, che continua a insistere sul grande rassemblement da allargare subito a Gianfranco Fini. È molto probabile però che il laboratorio cominci a funzionare dopo l’eventuale vittoria. Le premesse per il progetto che superi Forza Italia ci sono, fanno
mente a superare anche quelle oscillazioni», dice il responsabile di FI in Puglia, «ed è per questo che Berlusconi cerca di dare la giusta dimensione ai piccoli partiti. È evidente che presentarsi con troppe liste sarebbe sbagliato, bisogna semplificare». E il riferimento al Pdl? «La soluzione potrebbe servire a non interrompere un ragionamento che è stato avviato», prosegue Fitto, «che non può essere portato avanti in questa fase ma che si potrà riproporre subito dopo le elezioni».
A piccole formazioni come la Dc di Rotondi o il Nuovo Psi di Stefano Caldoro farebbe assai comodo un contenitore evoluto rispetto a Forza Italia. Deve aver messo a fuoco proprio questo, Berlusconi, che in fondo preferirebbe tenere fuori i micro alleati e lasciare che cerchino i voti da soli sotto uno stesso cartello. Soluzione complicatissima: c’è il rischio che
Dini, Mastella e gli altri non riescano nemmeno a garantirsi l’ingresso personale in Parlamento. E allora l’accoglienza sotto le insegne azzurre sarà inevitabile, a prescindere dal restyling del simbolo forzista. L’ex Guardasigilli ha già incontrato Berlusconi, come Mauro Fabris ha involontariamente confessato ieri davanti alle telecamere di Sky, e ha messo in conto una perdita di consensi che fino al 50 per cento. In Campania la metà dei consiglieri regionali dell’Udeur si è dissociata dall’adesione al centrodestra. In Basilicata c’è già la scissione: i fuoriusciti dal Campanile si sono ribattezzati Popolari uniti. L’ex ministro della Giustizia non ha alternative, d’altronde: con il Pd la porta è chiusa, correre fuori dalle coalizioni significa rinunciare a essere eletto, resta solo il patto con Forza Italia. Il simbolo dell’Udeur in Campania può essere decisivo per prendere il premio di maggioranza regionale al Senato. A essere sicuramente accolti sotto le insegne azzurre saranno Michela Brambilla e i suoi più stretti collaboratori. La rossa presidente dei Circoli aspira a una rappresentanza a doppia cifra, ma è più probabile che il suo drappello alle Camere sia di poco sotto le 10 unità. Eppure nelle regioni la tensione tra i forzisti puri e i Circoli è già altissima. In Piemonte i rappresentanti della Brambilla rendono pubblica una diagnosi del genere: «Se si sono sviluppati nuovi movimenti nel centrodestra significa che FI non ha saputo esercitare il ruolo di partito di raccolta dei moderati». Una campagna elettorale parallela e fatta in casa, che promette ulteriori scintille.
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politica
In attesa che il segretario del Pd dica: «Se saremo al governo faremo...»
Solo immagine, senza programma di Angelo Mellone e dovrà essere, quella che viene, la campagna elettorale dei programmi, della concretezza, delle risposte attendibili e delle proposte affidabili, se dovrà cioè essere, nella sua bruciante durata, nella sua promettente brevità, l’esatto opposto delle campagne elettorali chiassose, confusionarie e testardamente personalizzatici a cui siamo orami avvezzi, segnali in questa direzione se ne vedono pochi. Pochissimi. Spieghiamo subito la voluta e inappellabile forzatura del giudizio: è il frutto del disincanto di fronte alle dichiarazioni di intenti o, che è lo stesso, la consapevolezza che lo scarto, lo iato, tra le dichiarazioni dei leader politici e la loro condotta reale, in special modo in un frangente decisivo e dirimente come una campagna elettorale.
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L’esempio di Walter Veltroni, a questo proposito, è illuminante (nella sua opacità, vien da aggiungere). La letteratura più in voga sulla comunicazione politica insegna e mostra che, nelle competizioni politiche che hanno luogo in democrazie mediatizzate come le nostre, l’“immagine del leader” è una delle variabili principali da tenere in conto quando si analizzano le dinamiche della scelta elettorale. Sempre più sovente, in democrazia, l’elettore utilizza il leader, le caratteristiche della sua persona (persino quelle più direttamente legate al carattere), la sua forza carismatica, come “scorciatoia decisionale”: detto in altri termini, il fare affidamento su un leader diventa un sostituto più agile e meno dispendioso della scelta razionale tra i programmi. Il leader piace a impatto, a sensazione, il programma politico va letto, metabolizzato e messo a confronto prima di divenire un oggetto di decisione. Ecco, Veltroni è già diventato utilizzo il passato prossimo perché abbiamo a che fare con un politico due volte confermato alla carica di sindaco di Roma, non con un alieno delle cariche pubbliche – un esempio di scuola di come una strategia di pura immagine, almeno fino a ora, possa diventare un efficacissimo surrogato di ciò che invece costituisce la
politica come fare, come prassi, come costruzione programmatica. È qualche giorno che si discute - anche giustamente, per carità – della scelta veltroniana, finora confinata al campo delle opzioni possibili, di far correre da solo il Partito democratico alle prossime elezioni. Non sappiamo se questo avverrà davvero, se con la scusa di arginare il “diluvio” del centrodestra si organizzeranno accordi di desistenza al Senato e così via, sappiamo solo che sulla base di una promes-
Sul leader si vedrà, è sufficiente osservare di qui al 13 aprile la condotta di Veltroni. Sui programmi la faccenda si fa un po’ più complessa, perché finora non è dato sapere dell’esistenza nemmeno di un embrione del programma con cui il Pd si presenterà alle elezioni. Sì, sappiamo che – con poca originalità – Veltroni vuole fare l’Obama italiano. Ma non è una scelta programmatica, al massimo è l’ennesima immagine che il segretario del Pd aggiunge nella sua già sterminata galleria fotografica.
teorie e di idee-guida. Sappiamo che ambizione dello staff veltroniano è rappresentare qualcosa di diverso dall’Unione. Ma non è dato sapere cosa. Sappiamo soltanto che il Pd non intende trattare su quello che sarà il suo programma. E quando ci sarà il programma? Non è ancora chiaro, e a pochi francamente sembra interessare. L’importante è sfruttare la doppia opzione “leader coraggioso – programma non negoziabile” come strumento di comunicazione politica. Di promozione dell’immagine. Di
Il centro-destra sbaglierebbe a inseguire questa strategia di marketing elettorale. Meglio presentarsi con propositi chiari ed evitare di lasciarsi risucchiare negli eccessi spettacolari del veltronismo sa, o meglio dell’evocazione di un impegno, Walter Veltroni e la sua squadra hanno messo su un’enorme operazione di immagine fondata sulla valorizzazione di due presupposti: il leader coraggioso che non ha paura di affrontare il rischio di una competizione solitaria, il partito coraggioso che sfida la sorte in nome della propria coerenza programmatica.
Sappiamo che il suo “ma-anchismo” è il nuovo volto della sinistra cerchiobottista. Ma non è una scelta programmatica, tutt’al più è l’ambizione di diluire i vecchi riferimenti ideologici nella bacinella del buon senso. Sappiamo che una commissione del Pd, tra cento problemi e mille critiche, sta partorendo una “carta dei valori”. Ma non è un programma, al limite è una dichiarazione di
marketing del prodotto.
Per tutto il resto, ci tocca stare incollati alla televisione e sperare che, in prima o in seconda serata, casomai per sbaglio, esca fuori dalla bocca di qualche maggiorente del Pd un’idea, una proposta, un dire: «Quando saremo al governo faremo…». Per non essere accusati di strabismo, va aggiunta una consi-
derazione sotto forma di monito gentile: a un’operazione-immagine, il centrodestra non può opporre un’azione di taglio analogo. In primo luogo perché, così agendo, si rischierebbe di non affrontare i nodi post-elettorali di una possibile (e probabile) vittoria ad aprile.
Meglio sarebbe contrapporre da subito la coerenza e la solidità programmatica di una coalizione che si presenta con le idee chiare su cosa fare, e quando farlo, una volta ottenuta la legittimazione popolare alle urne. In secondo luogo, inseguire il veltronismo, che è l’eterna copia di se stesso, sul terreno della spettacolarizzazione dell’immagine, è il favore più grande che si possa fare al segretario del Pd, che a disposizione come arma ha solo quella di essere per la prima volta candidato alla premiership contro le cinque prove di Silvio Berlusconi. Sarebbe la più grande cortesia che si possa servire sul piatto mediatico a Veltroni. Che può far piacere ai sostenitori del veltrusconismo, meno a chi vuole vincere la campagna elettorale e dare un governo di centrodestra all’Italia.
politica
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Mafia: 90 arresti a Palermo e New York Un’imponente operazione antimafia, condotta dalla Dda di Palermo in collaborazione con l’Fbi e coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia, è stata eseguita ieri contro le cosche mafiose in America e in Sicilia portando a 90 arresti, di cui 19 a Palermo. Nell’operazione denominata “Old Bridge”, sono stati catturati esponenti di vecchie e nuove famiglie già coinvolte in inchieste sul traffico internazionale di stupefacenti tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Friuli, Illy si dimette per favorire l’election day Il presidente della Regione, Riccardo Illy si è dimesso da presidente della giunta del Friuli-Venezia Giulia per favorire, il 13 e 14 aprile, l’accorpamento delle elezioni politiche con le amministrative. Senza le dimissioni di Illy, le elezioni regionali in Friuli si sarebbero dovute svolgere a maggio.
Marini è spaesato
Il Pd balla da solo? D’Alema non concorda, Marini non capisce
Partita a poker nel Loft di Susanna Turco ROMA. La scelta del Pd di correre da solo è folle». È prima mattina quando Gavino Angius, ex diessino ora nel Partito socialista, dice a La7 quel che gli ex compagni di scuola di Walter Veltroni van ripetendogli da giorni. Una scelta folle, suicida, capace di regalare l’Italia a Berlusconi ancor prima che si aprano le urne. I ben informati che un paio di giorni fa, proprio su questo punto, il faccia a faccia tra Veltroni e D’Alema sia stato particolarmente duro. Già perché, con una estrema semplificazione, si potrebbe dire che gli attuali leader dei due costituendi partiti, Pd e Sinistra arcobaleno, su questo punto marciano uniti a dispetto dei rispettivi apparati. Una contrapposizione più netta nel caso di Veltroni, dove alle facce storte dei vari maggiorenti corrisponde anche una certa irritazione per il probabile ripulisti che il segretario del Pd si appresta a fare per mettere in lista i suoi. In ogni caso il disappunto è palpabile. «Sono spaesato, dopo tanto tempo che non partecipo a una riunione di partito faccio fatica a comprendere», ha detto ieri polemico Franco Marini lasciando il vertice nel Loft , poco prima che ironia della sorte - proprio Romano Prodi annunciasse ai giornalisti: «Abbiamo sciolto il nodo delle alleanze, il Pd andrà solo». Per il momento la volontà autonomista di Veltroni pare destinata ad avere la meglio: non a caso, una parziale apertura fatta ieri mattina da Anna Finocchiaro
sulla possibilità di una desistenza unilaterale da parte della Sinistra arcobaleno al Senato è stata accolta con una certa freddezza dalla Cosa rossa. «La desistenza si fa su base nazionale, altrimenti di cosa stiamo parlando?», si domandava scettico Oliviero Diliberto. Il ragionamento che nella sinistra va per la maggiore è infatti questo: un accordo puramente tecnico, sul modello di quello descritto dalla Finocchiaro, sarebbe difficilmente fattibile, difficilmente spiegabile e anche di scarso guadagno. «Senza patto al Senato, non sarà la sinistra a perderci, numeri alla mano», assicurava ieri la Velina rossissima vicina a Folena.
Oggi il sindaco di Roma ne parla con i leader della Sinistra arcobaleno, ma per l’accordo al Senato ci sono pochi margini Del resto, lusingata dai sondaggi che la vedono tutti sopra il 10 per cento, la Cosa rossa - alla vigilia del vertice con Veltroni sul tema alleanze - comincia ad accarezzare quell’idea su cui da tempo - assai prima della discesa in campo di Veltroni - lavora Fausto Bertinotti. Con una sinistra «a due gambe», infatti, il compito dei massimalisti diventa infi-
nitamente più semplice, e la possibilità di guadagnare voti si moltiplica. Anche per questo, all’incontro di oggi ci leader della Sinistra arcobaleno vanno serenamente con la proposta di un «accordo tecnico» tutto da immaginare. Con la quasi certezza che mister «yes we can» dirà di no, lasciando loro la possibilità di fantasticare sugli argomenti coi quali contendergli gli elettori. «Per dire solo il più facile: sulle coppie di fatto il Pd che posizione ha?», ragionava ieri il verde Paolo Cento, peraltro uno dei più convinti assertori dell’opportunità di un accordo.
Ma anch e i pi ù volen terosi cominciano ormai davvero a pensare che, almeno per il momento, margini per una alleanza tecnicopolitica non ce ne siano. E qui sta la ragione del contrasto più sfumato tra Bertinotti e i maggiorenti della Cosa rossa. Perché, spiegano nella Sinistra arcobaleno, «se Veltroni continua a dire no, a noi non resta che mettere in chiaro che è lui a non volere accordi». Insomma: col cerino in mano non ci rimaniamo. Perché «se poi per caso va a finire che, separati, Pd e Sd prendono più voti della Cdl, nei guai ci finisce soprattutto Veltroni». Scenari foschi, insomma, che potrebbero essere azzerati da una decisione a sorpresa; oppure da una improvvisa impennata del Pd nei sondaggi. Se la vittoria diventa possibile, sarà difficile per Veltroni continuare a dire no. Anzitutto ai suoi.
«Sono spaesato, dopo tanto tempo che non partecipo a una riunione di partito faccio fatica a comprendere». Lasciando il vertice di ieri, a Roma, del Partito Democratico, il presidente del Senato, Franco Marini ha risposto in questo modo ai cronisti che gli chiedevano un commento sulla riunione appena conclusa. E’ soltanto la mancanza d’abitudine, o la frase di Marini nasconde un malessere più profondo?
Stefania Craxi visita Bruno Contrada «Questa mattina ho fatto visita, nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, a Bruno Contrada». Lo ha detto Stefania Craxi, presidente di Giovane Italia e componente della segreteria politica di Forza Italia. «In tanti, forse alle prese con i problemi di rielezione e di alleanze, continuano a dimenticare, o meglio ignorare, l’odissea che da ormai troppo tempo vive quest’uomo. L’ultima perizia medica è di appena due giorni fa; vengono confermate tutte le gravissime patologie che stanno lentamente portando un servitore dello Stato a morire in carcere, abbandonato a se stesso ed anzi sbeffeggiato da quelle Istituzioni che per lunghi anni ha anteposto alla sua stessa vita». «Prima di far partire il motore della macchina elettorale - ha concluso Stefania Craxi - bisognerebbe fermarsi a riflettere su questa triste storia di ingiustizia. La morte di Contrada peserebbe come un macigno sulla coscienza dei pochi che lo hanno condannato e dei tanti che non hanno mosso un dito per salvarlo».
Istat: Italia sempre più vecchia Aumentano gli immigrati. Diminuiscono i matrimoni, cresce il numero dei bambini procreati dalle coppie di fatto. Sono queste le indicazioni più importanti che emergono dagli ultimi indicatori demografici dell’Istat che confermano anche le tendenze più recenti sull’invecchiamento della popolazione.
Rutelli, ritorno al futuro? Francesco Rutelli scioglie le ultime riserve e scende in campo, seppure con una “fase esplorativa” per un ritorno in Campidoglio. «Negli ultimi giorni - ha dichiarato ieri il vicepremier uscente - ho ricevuto una valanga di inviti, incoraggiamenti, dichiarazioni di sostegno perché accetti di candidarmi a sindaco nelle prossime elezioni». Magnificando le sue amministrazioni comunali (e quelle di Walter Veltroni), Rutelli ha deciso di prendersi dieci giorni per «ascoltare la città» e gli alleati del centrosinistra, prima di prendere una decisione definitiva.
Lettera aperta a Napolitano La professoressa Bruna Ingrao, con il sostegno di molti intellettuali - tra cui Magdi Allam, Pierluigi Battista, Ernesto Galli della Loggia, Fiamma Nirenstein, Piero Ostellino, Giorgio Israel e Michele Salvati - ha scritto una lettera aperta al presidente della Repubblica per chiedergli di «esprimersi fermamente contro ogni discriminazione e cieca intolleranza verso i cittadini e la cultura dello stato d’Israele» e di «voler onorare con la sua presenza la prossima edizione della Fiera del Libro a Torino, per incontrare gli scrittori israeliani a testimonianza dell’amicizia e dell’accoglienza che la nazione italiana offre agli autori che si sono distinti per la loro opera».
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economia
Le fiammate di un tempo sono già un ricordo, ma i produttori e il mercato sono troppo ottimisti sul caro greggio
Petrolio:il picco dei cento dollari s’allontana,ma il calo non sarà eccessivo di Carlo Stagnaro opo la vampata di inizio anno, i prezzi del petrolio sembrano aver imboccato un sentiero ribassista. In questa direzione, del resto, puntavano le opinioni degli analisti a fine 2007, salvo poi essere smentite, forse solo temporaneamente, dalla straordinaria crescita che ha portato il barile a sfondare la barriera psicologica dei 100 dollari. E così è stato bruciato un record dietro l’altro. Quotazioni così alte, però, sono difficilmente sostenibili. Ed è naturale che, già oggi, si inizino a vedere gli effetti di aggiustamenti strutturali, che si sovrappongono alle variabili congiunturali. E tra le incertezze del momento c’è soprattutto quella che ormai viene apertamente definita come una fase di recessione negli Stati Uniti.
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La crisi di liquidità – nonostante le massicce iniezioni di moneta della Fed, che forse hanno alimentato il male anzichè risolverlo – nasce soprattutto dalla sfiducia reciproca delle banche, che determina
una maggiore difficoltà nell’accesso al credito. Questa si riflette in una minore propensione ai consumi e finisce per condurre a una riduzione della domanda, che contrasta le conseguenze della debolezza del dollaro. Assieme con i comportamenti speculativi degli investitori, il crollo della valuta americana è stato, infatti, uno dei driver del caro greggio. Anche perché prezzo del barile è denominato in dollari. Ma questo è solo un fenomeno transitorio: alcuni ritengono il raffreddamento dell’economia americana già concluso. E se non manca chi pensa il contrario, vi è più in generale un certo consenso sulla convinzione che il peggio sia passato. Né, d’altro canto, bisogna dimenticare che le recessioni fanno parte del ciclo economico. Basta ricordare il rapporto tra ricchezza creata durante la crescita e quella distrutta in fase successiva: normalmente la prima prevale, segno che l’economia di mercato funziona. In tutto questo l’andamento strutturale della domanda di
A influenzare i prezzi sono il livello delle scorte, la minore domanda di consumi e gli investimenti tecnologici per sfruttare nuovi giacimenti petrolio sembra puntare verso un rallentamento o addirittura una riduzione. A influenzare i mercati, insomma, non sono soltanto le buone notizie sullo stato delle scorte Usa. Si tratta della naturale reazione a una fase prolungata di prezzi molto alti, che dura dalla fine degli anni Novanta, un decennio durante il quale il petrolio veniva scambiato stabilmente sotto i 20 dollari, con punte negative attorno ai 10. I sistemi energetici sono molto rigidi, perché ogni aggiustamento richiede ingenti investimenti. Questo però non significa che siano insensibili ai segnali di prezzo: e infatti la ben-
zina alle stelle ha spinto gli automobilisti (soprattutto americani) a sostituire le macchine di grande cilindrata con vetture più piccole ed efficienti, le imprese a ottimizzare i loro consumi, le utilities a valutare fonti energetiche alternative al petrolio e al gas (dalle rinnovabili al carbone, passando per la rinascita del nucleare).
Allo stesso modo, le compagnie petrolifere – ingolosite dalla prospettiva di margini molto alti – si sono spinte alla ricerca ed estrazione di petrolio da nuovi giacimenti o da riserve prima ritenute non economiche, così come a sfruttare fonti non convenzionali (quali gli oli pesanti e le sabbie bituminose). Tanto che la discesa del barile, come ha notato Vittorio D’Ermo nella sua analisi su Quotidiano Energia, non ha neppure risentito della sospensione delle attività estrattive in un campo nel mare del Nord da 280mila barili al giorno, quantità relativamente importante per i consumi britannici. Se questo è lo scenario, si os-
serva la sostanziale assenza dell’Opec. Se l’Arabia Saudita si è confermata nel suo tradizionale ruolo di stabilizzatore del mercato, l’organizzazione nel suo complesso si dimostra ancora una volta incapace di influenzare le dinamiche di lungo termine. Il Paese islamico, infatti, ha ridotto i prezzi praticati all’America, e i falchi dell’Opec hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco. Il gettito delle vendite petrolifere è, per essi, assai più determinante di quanto non sia, oggi, il prezzo del petrolio per i consumatori: tanto che gli aumenti vertiginosi dal 1999 a oggi non hanno sensibilmente impattato e la crescita economica mondiale e, pur avendo forse contribuito alla crisi attuale, di certo non l’hanno causata. Con le posizioni più radicali dei Paesi produttori, l’andamento dei prezzi miete un’altra vittima: le richieste di indipendenza energetica. Se mai abbandoneremo il petrolio, sarà soltanto perchè avremo trovato di meglio: non per il nazionalismo delle risorse.
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a quando ho raggiunto l’età adulta, mi sono sempre piaciute le primarie presidenziali, che negli Stati Uniti si tengono puntualmente ogni quattro anni. Di settimana in settimana, la suspense resta alta. C’è entusiasmo ed elettricità nell’aria. Seguo molto da vicino le primarie fin dalla corsa alla Presidenza del 1960, giocata sul filo di lana dai Senatori Kennedy ed Humphrey. Quelle del 2008, quindi, sono le trentesime cui assisto con interesse. Dal 1968, mi sposto in aereo di città in città e percorro chilometri a piedi insieme ai candidati e al il loro seguito, in qualità di analista per la stampa o collaboratore alla campagna elettorale (solitamente nel ruolo di ghost writer). Però, le elezioni primarie del 2008 - ed in particolar modo il “Super Martedì” del 5 febbraio - sono state le migliori di tutte. Fino al 1972, le primarie si tenevano in 12-15 Stati. Allora, erano essenzialmente i dirigenti di partito a scegliere i candidati. Ma con le riforme del 1972, il potere di scelta reale è stato conferito al popolo americano. Oggi, la gran parte dei delegati che partecipano alla convention (che solitamente ha luogo a fine agosto) viene scelta dai cittadini. Il risultato, quindi, è molto meno prevedibile di quanto lo fosse in passato. In un solo giorno, il “Super Martedì”appunto, per la prima volta si sono svolte le elezioni primarie in 24 Stati (o si sono tenuti caucus, in occasione delle quali gli attivisti dei diversi partiti scelgono il proprio candidato in sale congressuali locali o regionali). Non si erano mai tenute tante primarie nello stesso giorno. Il 5 febbraio, ci sono state elezioni dall’Alaska a New York, dalla Georgia all’Oklahoma, alla California. Quasi la metà dei delegati alla convention di fine estate è stata scelta in un solo giorno.
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A scrutinio concluso, i risultati si sono rivelati molto meno definitivi di quanto ci si aspettasse. Sia Hillary Clinton che John McCain hanno fatto la parte del leone, ciascuno nell’ambito del proprio partito, ma non con margini decisivi. La senatrice Clinton, il candidato più celebre, ha vinto in 8 stati, ma il senatore Barack Obama, un giovane sconosciuto fino all’anno scorso, ne ha sorprendentemente conquistati 13. La competizione tra gli esponenti Democratici per la scelta del candidato finale del partito alla presidenza è, dunque, ben lungi dall’essersi conclusa. Il 50 per cento circa degli Stati non ha ancora votato. La campagna elettorale condotta dal Senatore John McCain per la nomination repubblicana, invece, era quasi naufragata l’estate scorsa, a causa dello scarso sostegno degli elettori e della carenza di fondi. Il 5 febbraio, tuttavia, l’incredibile rimonta iniziata nel mese di gennaio ha continuato ad acquisire slancio. Il Governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha ottenuto un numero di delegati sufficiente a caricare d’incertezza il risultato finale. Il Governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, ha registrato un notevole successo, conquistando cinque stati. Primarie dopo primarie, le elezioni di quest’anno ingene-
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Obama contro Clinton, McCain contro il partito. Cosa c’è dietro le PRIMARIE più belle della storia di Michael Novak
La corsa democratica è ancora lontano dalla fine, mentre al senatore repubblicano mancano pochi delegati per assicurarsi la nomination. Ma deve vincere le resistenze dei conservatori
Un altro fatto che deve essere tenuto in considerazione è il significativo disprezzo nei confronti di McCain che diventa sempre più visibile tra molti elettori della maggioranza conservatrice del partito repubblicano.
rano più entusiasmo e suspense di quanto sia mai successo in passato. Quella delle primarie è sempre stata una fase caratterizzata da incertezza, ma mai a questi livelli.
Anche se il senatore vincesse la nomination, non è affatto chiaro se potrebbe godere del pieno sostegno di un Gop unito. La base è conservatrice, ma con McCain l’ala “moderata” (o meglio, “liberal”) potrebbe conquistare il controllo del partito a spese di una maggioranza molto recalcitrante. Comunque andrà a finire questa vicenda, dopo otto anni di stabile presidenza repubblicana è ancora probabile che alla Casa Bianca tornino i democratici. Ma qualsiasi teoria basata sui precedenti storici perde ogni fondamento nel momento del confronto tra i due candidati finali di fronte al popolo americano. Molto dipenderà dalla situazione contingente. Un nuovo attentato di al-Qaeda o una grave crisi economica, per esempio, potrebbero cambiare la dinamica della campagna elettorale e l’esito del voto. Persone, questioni politiche ed eventi possono sempre rivelarsi decisivi.
C’è molta confusione, per esempio, nel conteggio esatto dei delegati. Parzialmente perché molte delle primarie del 5 febbraio utilizzano una distribuzione proporzionale dei delegati, ma il metodo è diverso da stato a stato. I primi calcoli, dunque, hanno bisogno di essere corretti nei giorni successivi. L’ampiezza della vittoria di McCain. per esempio, è diventata più chiara negli ultimi conteggi. Secondo l’Associated Press, McCain dovrebbe poter contare, ad oggi, su 723 delegati (la campagna di McCain porta questo totale a 775). In parole povere, a McCain potrebbero bastare solo altri 500, o addirittura 400, delegati per conquistare la
nomination repubblicana. In proporzione, il totale dei delegati di Romney (269) e Huckabee (190) è molto più distante di quanto appariva subito dopo il voto: McCain ha vinto molti più delegati della somma dei suoi due avversari. I calcoli più recenti hanno un forte impatto anche in campo democratico. Secondo l’AP, la senatrice Clinton può contare su 1000 delegati e il senatore Obama su 902. Per vincere la nomination repubblicana, c’è bisogno di 1191 delegati. Per il partito democratico, il vincitore ha bisogno di almeno 2025 delegati. Esiste la concreta possibilità che i numeri di Obama possano sorpassare quelli della Clinton prima della fine della stagione delle primarie, prevista per il 3 giugno. Ma le maggiori chance di vittoria, naturalmente, devono ancora essere assegnate alla più stagionata senatrice di New York.
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mondo
Esclusivo. Parla l’avvocato di Michail Khodorkovsky e accusa Prodi
«L’Italia ha venduto l’anima a Putin, la Merkel no» di Maria Maggiore
BRUXELLES. «L’Italia, il governo Prodi hanno venduto l’anima al diavolo comprandosi le azioni della Yukos rubate da Putin al mio cliente Khodorkovsky». Parole durissime sferzate da Bob Amsterdam al governo uscente. Da cinque anni quest’avvocato canadese gira il mondo per sensibilizzare i potenti della terra sul caso del suo cliente, l’ex patron della compagnia petrolifera russa Yukos, Mikhail Khodorkovsky, arrestato nell’ottobre del 2003 per frode fiscale e spedito in una prigione siberiana con una condanna a nove anni di reclusione. La sua vera colpa: aver finanziato l’opposizione democratico-liberale al regime di Putin e aver annunciato una sua imminente discesa in campo contro lo zar di Mosca. Sono passati cinque anni. La Yukos è stata smembrata e venduta a pezzetti, in parte acquistati anche dall’Italia. Il mondo si è dimenticato di una vittima di un processo politico e rischia di rimanere ancora chissà quanto in prigione, con nuovi capi d’imputazione appena aperti. Ieri, dopo quasi 5 anni, dalla sua prigione incastrata tra la Mongolia e la Cina, a 6.500 chilometri da Mosca, Khodorkovsky ha potuto rilasciare la sua prima intervista al Financial Times, che segue l’appello dello scorso 30 gennaio in difesa del suo amico, ex vicepresidente e a capo dei legali della Yukos, Vasily Aleksanyan, malato di cancro (e di Aids) e ricattato dalle autorità russe che gli rifiutano la chemioterapia se non testimonia contro Khodorkovsky. Lui, l’ex-uomo più ricco della Russia, ha cominciato uno sciopero della fame, che intende portare avanti finchè non saranno date le cure necessarie al suo amico. Cure che proprio ieri il servizio penitenziario federale russo ha promesso di dare annunciando un immi-
nente trasferimento in una clinica specializzata di Mosca. Finché non accadrà, però, Khodorkovsky continuerà lo sciopero. Avvocato Amsterdam, quando ha incontrato il suo cliente? Non me lo fanno incontrare dal 2005, ma so che continuerà lo sciopero della fame perchè il procuratore russo sta uccidendo il suo amico e Mikhail non lo può accettare. In questo processo si è raggiunto un livello di oscenità indescrivibile. Non si fermano. La Corte europea dei Diritti umani ha emesso tre sentenze contro gli abusi per il caso Khodorkovsky. Mi viene
con le autorità russe. In Europa c’è una malattia dilagante che io chiamo «Schroederismo» (dal nome dell’ex cancelliere tedesco passato alla compagnia russa Gazprom, ndr): i politici chiudono gli occhi e credono che mentendo ai loro elettori possono ottenere vantaggi, per esempio nell’energia. Ma il vantaggio c’è, guardi gli investimenti di Enel e Eni in Russia. Non direi. Ogni volta che qualcuno negozia con una compagnia russa, alla fine perde. Guardi quello che è successo all’Eni in Kazakistan, dove il gruppo italiano si è visto ritirare le licenze all’improvviso. In Russia non c’è alcuna garanzia, nessun rispetto della legge e Putin gestisce le corporation di Stato a favore degli amici come fece Caterina la Grande con i possidenti terrieri. Quando il processo di crescita del management e del know how russo sarà terminato, non ci sarà più tanto spazio per gli stranieri nel nuovo “impero sovietico”. È molto duro con le scelte del governo Prodi. Come posso non esserlo? Un politico che si definisce democratico si è prestato ad aiutare il progetto autoritario di Putin. Come posso stimarlo?.
«L’ex patron della compagnia petrolifera russa Yukos: era il solo ad opporsi al nuovo zar russo: o si aiuta lui o i suoi oppositori» in mente solo il sistema nazista per descrivere quanto sta succedendo in Russia. Nessuno critica apertamente il regime. È il trionfo della realpolitik? È la fine della democrazia. L’Italia di Prodi ha messo da parte la morale per fare affari con la Russia. La liquidazione della Yukos è illegale, l’hanno detto a più riprese il Tribunale svizzero e quello olandese che si sono rifiutati di collaborare
prigionia
Il 12 febbraio il Parlamento europeo inaugurerà un doppio count down vicino all’Emiciclo: un conto alla rovescia che scende per i giorni che ci separano dalle elezioni presidenziali russe, accanto a uno che sale per i giorni di prigionia di Khodorkovsky. Poche settimane prima del suo arresto nell’ottobre del 2003, il patron della Yukos era a Davos e conquistava le copertine di Forbes e Fortune come simbolo di una nuova classe imprenditoriale nata nel marasma della corruzione post sovietica. Il suo tentativo di consolidare il controllo sul mercato del petrolio e la sua denuncia contro i nuovi legami di Putin con l’Arabia Saudita, gli costarono l’arresto con l’accusa di frode fiscale. Robert Amsterdam è il suo avvocato fin dal principio. Il suo blog è: www.robertamsterdam.com
L’Italia va al voto e il centro destra potrebbe tornare al potere. I rapporti tra Berlusconi e Putin potrebbero aiutare il suo cliente? Non credo. Non si ricordano prese di posizione di Berlusconi nel suo precedente governo, sulla questione dei diritti umani in Russia o sulla necessità di un fronte europeo compatto in materia di politica energetica. Ma adesso non potrà sottrarsi a tali questioni quando in campagna elettorale si parlerà di politica estera. Gli altri Stati europei non mi sembra si siano comportati meglio... La cancelliera Merkel è stata l’unica a spendersi realmente per la difesa dei diritti umani in Russia. Merkel è un politico coerente. Il governo britannico è più duro da quando è scoppiato il caso Litvinenko. Dalla Francia ancora nulla. Aspettiamo di vedere quale sarà la posizione di Sarkozy. Per la difesa dei diritti umani, come per l’energia, non esiste una voce comune e quindi è come se l’Europa non esistesse. Il clima elettorale che si respira a Mosca? Ormai è difficile capire chi è il diavolo. Ci sono stati così tanti arresti e assassini politici. L’aria è terribile. Prodi non ha capito nulla appoggiando un dittatore come Putin. Ha sostenuto un sistema instabile che funziona solo perchè si regge su una sola persona. Ma l’Italia
non ha alcuna protezione istituzionale sugli investimenti che ha fatto. Gazprom non è una compagnia, è una sorta di “struttura politica” che produce meno gas ogni anno che passa. In Europa compriamo azioni russe in violazione delle nostre regole di concorrenza. Facciamo la guerra a Microsoft e non apriamo bocca sul comportamento della Gazprom che opera da monopolista apre o chiude i rubinetti quando fa comodo al Cremlino. Quando uscirà Khodorkovsky dalla prigione? Se fosse per le autorità russe, mai. La sua pena termina tra quattro anni ma poteva uscire alla fine del 2007 per buona condotta. Permesso negato perchè l’hanno trovato con il cappotto sbottonato. Ora aggiungono nuovi capi d’imputazione. Senza prove». Non le restano speranze. La sola speranza è che scenda il prezzo del petrolio e chi comanda a Mosca cominci a sentire che questo sistema d’impunità può finire. Ma finchè rimane la debolezza dei leader occidentali non ho molte speranze per il futuro di Mikhail. Le elezioni con Medveded aprono nuovi scenari? Anna Politkovskaïa mi diceva di fare attenzione, in Russia, all’uso delle parole. Queste non sono elezioni, è un’incoronazione, non si parli di voto. Khodorkovsky tornerà un giorno a far politica? Spero che torni alla vita.
mondo
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Erdogan e la strategia cerchiobottista della cancelleria tedesca
La difficile alleanza fra Germania e Turchia di Katrin Schirner
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Romney sospende la campagna? Il candidato repubblicano Mitt Romney avrebbe deciso, secondo alcune fonti interne al partito, di sospendere la sua corsa alla nominatiion. I quasi 300 delegati conquistati finora dall’ex governatore del Massachussets potrebbero, comunque, partecipare alla convention repubblicana in programma il prossimo settembre in Minnesota.
Soldati inglesi “extra” in Afghanistan I vertici militari britannici potrebbero inviare centinaia di soldati extra nel sud dell’Afghanistan per l’attuale situazione di instabilità nella regione di Helmand. A Londra intanto il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice ed il premier britannico Gordon Brown, dopo il loro incontro hanno discusso la possibilità di nominare il norvegese Kay Eide come nuovo inviato dell’Onu in Afghanistan.
Raid aereo a Gaza: 7 morti L’aviazione israeliana ha effettuato due raid ieri mattina contro la striscia di Gaza, uccidendo sei militanti palestinesi, di cui cinque membri delle Brigate Ezzeddin al Qassam, l’ala militare di Hamas, e uno della Jihad Islamica. Nel frattempo, la cittadina israeliana di Sderot è stata colpita dai razzi Qassam sparati da miliziani palestinesi dal nord della Striscia di Gaza. .
Blair: sulla road map ora tocca a Israele L’Autorita’ nazionale palestinese (Anp) sta rispettando i suoi obblighi previsti dalla Road map riportando l’ordine e la sicurezza nella città di Nablus, ed è giunto il momento che anche Israele assolva ai propri: lo ha detto ieri l’inviato del Quartetto in Medio Oriente, Tony Blair, visitando la città cisgiordana di Nablus.
BERLINO. Alcuni studenti berlinesi discuteranno oggi con il Cancelliere tedesco Angela Merkel e il Primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan. L’incontro verrà trasmesso in diretta Tv. La speranza è che questo evento “culturale” possa contribuire ad alleggerire il vertice tra i due che si preannuncia non solo abbastanza faticoso, ma anche improntato alla sfiducia. Erdogan, nel tragitto che lo porterà a Berlino e poi a Monaco per partecipare alla Conferenza sulla sicurezza, ha ieri fatto tappa nella città di Ludwigshafen, dove il recente incendio di un palazzo è costato la vita a nove persone di origine turca. La polizia sta ancora indagando; ove trovasse conferma l’ipotesi del dolo, quest’attentato sarebbe ancora più grave di quello avvenuto a Solingen 15 anni fa. La Turchia ha inviato una sua squadra di polizia: non proprio un segno di fiducia verso l’amministrazione tedesca ed è determinata a fare luce sulla vicenda che da giorni campeggia sulle prime pagine della sua stampa. Ma è su temi centrali che il rapporto fra la Germania e la Turchia, sopprattutto quello fra la Merkel ed Erdogan, vive tutte le sue difficoltà. I due Paesi sono strettamente legati. Nella Repubblica federale vivono 1,8 milioni di turchi, solo nella città di Berlino sono circa 150 mila. Nel corso degli anni circa 400 mila turchi hanno acquisito la cittadinanza tedesca. La Germania rappresenta per la Turchia il principale partner commerciale nell’intera Unione Europea; nel frattempo anche decine di migliaia di tedeschi si sono spostati nella costa turca, attirati dal bel clima e dal basso costo della vita. Ma con il cambio di governo avvenuto a Berlino nel 2005,
Cesello diplomatico della Merkel che deve garantire al premier turco la continuazione dei negoziati per l’ingresso nella Ue e alla Cdu di rallentarli il più possibile per i turchi i tempi sono diventati duri. Nessuno dimentica che l’ex Cancelliere Schroeder si spese con veemenza a favore dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Sua la tesi che ogni Paese in grado di soddisfare i cosiddetti criteri di Copenhagen dovesse essere accolto all’interno della Ue. Con Angela Merkel e la Cdu al governo la situazione è radicalmente mutata e la maggioranza dei conservatori sono contro l’ingresso in Europa della Turchia. La Merkel si trova dunque a dover camminare sui carboni ardenti. Da Cancelliere federale deve mantenere l’impegno a suo tempo assunto dal governo tedesco a favore dell’avvio - nell’ottobre del 2005 - dei negoziati di adesione della Turchia: come leader della Cdu deve invece cercare di frenare tali negoziati. È realmente impossibile continuare a barcamenarsi fra le due posizioni senza fare prima o poi un passo falso. Al congresso della Cdu dello scorso dicembre era evidente quanto il partito cercasse pretesti, pur senza dichiaralo apertamente, per porre ogni possibile ostacolo alle prospettive di adesione. E i delegati strappavano applausi a scena aperta ogni qualvolta prendevano il microfono per rintuzzare ogni possibile apertura
pro Turchia. Detto questo, solo la Csu di Baviera (il piccolo partito fratello della Cdu), ha finora avuto il coraggio di inserire nel proprio programma un “no” esplicito all’ingresso turco nella Ue. Per Erdogan, comunque, la chiusura dei conservatori tedeschi non è certo un segreto. Tanto da aver declinato da tempo l’offerta fatta dalla Merkel di una partnership “privilegiata” in luogo della piena adesione. Il premier, inoltre, non ha mai nascosto il suo disappunto per essere stato così poco sostenuto dai tedeschi e non perde mai occasione di appellarsi alla Cancelliera e alla sua responsabilità di statista. Alla Conferenza sull’Islam tenutasi a Madrid in gennaio, Erdogan ha dichiarato che l’ingresso della Turchia nella Ue dimostrerebbe un’alleanza tra le civilità e rappresenterebbe un segnale di distensione internazionale. Ma per molti cittadini, e non solo quelli della Cdu, è più forte il timore di trovarsi dentro casa un Paese islamico. Non solo: in Germania il rifiuto verso i musulmani cresce di giorno in giorno. Lo si è toccato con mano durante le numerose proteste contro la paventata costruzione di nuove moschee. Lo slogan di un’Unione europea confederata come “club di cristiani”che circola in Germania alza il tono del confronto, nonostante i politici si sforzino di assicurare che l’Europa rappresenta un’unione di valori. Angela Merkel continua dunque a camminare sui tizzoni ardenti: tentando da un lato di non “imbrogliare” la Turchia - così importante per l’economia e la stabilità sociale tedesca - e dall’altro rassicurando il suo elettorato che un’eventuale adesione avrebbe davanti a se’ ancora molti ostacoli.
Francia, ok a reclusione a vita È passata ieri al parlamento francese la controversa legge sulla possibile reclusione a vita in centri di sicurezza dei criminali considerati a rischio di recidiva anche dopo aver scontato la pena. Previsti inizialmente per soli criminali pedofili, questi centri “socio-medico-giudiziari” accoglieranno tutti gli autori di reati multipli commessi con circostanze aggravanti anche su maggiorenni. Il provvedimento era stato promesso da Nicolas Sarkozy dopo diversi fatti di cronaca, fra i quali l’affaire Enis, dal nome del bambino rapito e violentato nell’agosto scorso da un pedofilo recidivo. Il primo di questi centri aprirà probabilmente a Fresne, nella regione parigina.
Il contratto di integrazione di Rajoy l leader del Partito popolare spagnolo, Mariano Rajoy, ha annunciato che, in caso di vittoria alle prossime elezioni di marzo, obbligherà gli immigrati che desiderino rinnovare il loro permesso di soggiorno a firmare un «contratto di integrazione». Il documento prevede che gli stranieri si impegnino a «rispettare le leggi e i costumi spagnoli, apprendere la lingua, pagare le tasse e tornare in patria se non trovano lavoro in un determinato periodo di tempo».
Allarme Libano dei servizi segreti Usa Secondo i servizi di intelligence degli Stati Uniti, la crisi politica libanese continuerà anche se si eleggesse un nuovo presidente della Repubblica: in questo scenario, le milizie disciolte dopo la guerra civile degli anni ’70-’80 potrebbero riformarsi e riarmarsi, ed è concreto il rischio che in Libano scoppi una nuova guerra civile. I servizi segreti Usa inoltre sono preoccupati per la presenza nel Paese dei Cedri di ramificazioni di al-Qaeda.
Omicidio Bhutto: due arresti Due persone sono state arrestate in Pakistan perché sospettate di aver partecipato all’organizzazione dell’attentato in cui morì l’ex premier Benazir Bhutto. Fonti della sicurezza li hanno definiti «presunti terroristi molto importanti».
Deep Purple in concerto per Medvedev? La rock band britannica ”Deep Purple” suonerà per l’erede alla presidenza russa Dmitry Medvedev in occasione del 15esimo anniversario della nascita del colosso Gazprom. La compagnia del gas vuole rendere omaggio al suo presidente uscente, Medvedev appunto, con un concerto della sua band preferita.
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APPROFONDIMENTI
Carte Dai Beatles ai nostri giorni: storia delle culture che ancora segnano le società occidentali
I DUE SESSANTOTTO di Francesco Alberoni ome siamo finiti a questo punto? Il Paese non si sviluppa più economicamente, tutti gli investimenti in infrastrutture, autostrade, ponti, alta velocità sono fermi o per mancanza di finanziamenti o perché dei manifestanti bloccano i lavori. La nostra compagnia di bandiera l’Alitalia viene venduta alla Francia perché nessuno se la sente di farla fallire e costruirne un altra efficiente, come ha fatto la Svizzera. La Campania annega nei rifiuti perché non sono state fatte nè le discariche, nè i termovalorizzatori. La scuola e l’Università diventano ogni giorno più scadenti, le multinazionali farmaceutiche spostano i loro laboratori dall’Italia con la perdita di migliaia di posti di ricercatori. Un
C
gruppo di professori e di studenti impedisce al Papa di parlare all’Università di Roma. Nella sanità pubblica occorrono sei
dell’opposizione incriminato per l’ennesima volta nella speranza che si ritiri dalla politica. Un quarto delle famiglie italiane non
Dopo Prodi la sinistra parla di crisi del sistema, ma le cause vengono da lontano mesi per avere un’ecografia, il ministro della giustizia è stato incriminato e metà dei dirigenti del suo partito arrestati. Gli italiani hanno l’impressione di essere tutti spiati, il presidente della Regione Sicilia è stato condannato a cinque anni, il capo
ha i soldi per arrivare alla fine del mese. Accanto a gente arricchita ci sono persone in fila per avere il pane. Come siamo finiti a questo punto? In questo breve saggio metterò in evidenza alcuni fattori politico-culturali che hanno contribuito a creare il pre-
sente stato di cose. Oggi la sinistra, sconfitta con l’ultimo governo Prodi ha incominciato a parlare di crisi di sistema politico per indicare che la malattia non dipende solo dalla vittoria di uno o dell’altro schieramento politico, la malattia è più profonda, riguarda la natura dello Stato, dell’amministrazione pubblica.
In realtà io penso che la malattia affondi la sua radice in concezioni del mondo incompatibili, progetti sociali contradditori che nel nostro paese si sono stratificati e fusi generando dei veri mostri politico culturali. E per iniziare un opera di bonifica e di ricostruzione occorre ricostruirne l’origine e la storia delle loro ibridazioni. La maggior parte dei politologi da qualche tempo dà la
colpa di tutto al ’68, un’espressione italiana che sta a indicare un complesso di movimenti che si sono succeduti ed accavallati fra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Ma poiché la nostra sociologia e la nostra scienza politica non sono abituate a studiare i movimenti collettivi, mettono tutto insieme e indicano il loro succedersi, incrociarsi, contaminarsi e i loro sbocchi istituzionali con un’unica espressione: il ’68. In realtà se vogliamo analizzare gli antecedenti di quanto sta accadendo ora dobbiamo tornare all’inizio del secolo scorso, quando il marxismo rivoluzionario, ad opera di Lenin, è riuscito a conquistare il potere in Russia e a diventare l’ideologia dominante dei primi tre quarti del XX secolo. La rivoluzione marxista è
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Carte
iniziata alla fine di quella che oggi chiamiamo la Belle Epoque. Grazie ai movimenti nazionalistici interventisti che hanno portato alla guerra mondiale, in Russia è esplosa la rivoluzione, sono andati al potere i leninisti che hanno creato lo Stato Sovietico totalitario e il terrore staliniano. Il successo della rivoluzione sovietica ha generato, per contraccolpo, prima il fascismo e poi il nazismo. Ma, con la seconda guerra mondiale, entrambi i nuovi nati sono usciti sconfitti ed è rimasto vincitore, rafforzato e osannato, il comunismo sovietico che, verso la meta degli anni sessanta, è arrivato a dominare una meta del pianeta e ha lasciato un’impronta
governato col terrore e, una volta abbattuto, ha lasciato una vera devastazione morale. Al marxismo si applica quanto Nietzsche ha detto della morte di Dio, e cioè che Dio (ovvero la credenza in una verità assoluta) è morto e il suo cadavere continuerà a decomporsi per molti decenni, appestando il mondo con il suo puzzo. Negli anni Sessanta In Italia il marxismo era molto forte grazie al Partito Comunista di Togliatti, alla graduale attuazione del programma di Gramsci sull’ egemonia culturale e a una perfetta macchina di attivisti e di scuole del partito. Ma il Fronte Popolare non era riuscito ad andare al potere nel 1948 e il prestigio del marxismo stava lentamente regredendo di fronte al successo dello stato democratico e al miracolo economico italiano.
A metà anni Sessanta Joan Baez e Bob Dylan contavano più di Marx duratura sulla mentalità e sulle coscienze. In particolare in Italia, dove avevamo il più importante Partito Comunista dell’occidente e dove il marxismo era fortissimo nel partito socialista, nei sindacati e negli ambienti culturali. Ora, il marxismo non ha nè una teoria dello Stato nè della morale. Lo Stato è qualcosa che deve sparire e la morale si identifica con la prassi politica rivoluzionaria. Dovunque è andato al potere perciò ha prodotto uno stato dispotico
Il grande cambiamento è stato messo in moto negli Stati Uniti d’America durante gli anni Sessanta quando era enormemente aumentata la scolarità e il benessere, mentre continuavano a esistere vecchie differenze razziali e nei giovani si diffondeva il rifiuto della guerra del Viet Nam. C’è stato allora un succedersi di movimenti collettivi che hanno avuto notevoli effetti politici e hanno dato origine ad una vera e propria rivoluzione culturale e del costume. Il primo movimento nasce a San Francisco con evergreen e per semplicità lo chiameremo hippy. Poi con l’inizio della guerra del Viet Nam e la coscrizione obbligatoria, nel 1964 esplode il free speach movement di Berkeley. Quasi a ridosso abbiamo il movimento di emancipa-
zione nera di Martin Luther King e il movimento Student for a democratic society. Poco dopo il black muslim e il primo femminismo. È un periodo di rivolta contro l’autorità, di straordinaria creatività poetica e musicale con un rinnovamento radicale del costume. Nel corso di pochi anni viene distrutta la morale sessuale tradizionale. Le giovani donne hanno, per la prima volta nella storia, la stessa liberta sessuale degli uomini.
Questa ondata di rinnovamento culturale è arrivata in Italia nel 1966-67 con la musica dei Beatles, di Joan Baez, Bob Dylan, le poesie di Ferlinghetti, Ginsberg e Kerouac, la libertà sessuale, generando un’atmosfera di fermento creativo, di gioia, di entusiasmo, di speranza quale non si era mai vista prima. La metà degli anni ’60 ha visto nascere le più belle canzoni italiane, i più famosi locali notturni, stupendi film. Giovani e meno giovani hanno avuto una vera e propria esperienza di rinnovamento, di rinascita. Questa fase dei movimenti giovanili in Italia ha assunto il nome di beat generation e di capelloni. I giovani nello stato nascente del loro movimento provano l’esperienza tipica di questa fase dei movimenti, il senso di un rinnovamento radicale in cui trionferà la verità, la sincerità, la giustizia, la felicità. Nei primi tempi il pensiero marxista non è dominante. Nell’autunno del 1967 all’occupazione della Cattolica di Milano si cantavano ancora inni religiosi come We shall overcome. Sorge dovunque un desiderio di pulizia, di onestà, di valori, di farla finita con l’ipocrisia. E un desiderio di sapere che scopre la sociologia di Weber e Durkheim, la psicoanalisi con Fornari, Lacan, l’antropologia con Levi Strauss, la semiotica con Eco. Greimas, Barthes, la musica del Beatles, dei Pink Floyd, dei Rolling Stones, i fumetti, in particolare Linus.
L’esperienza dello stato nascente deve trasformarsi poi in progetto, in schema di azione, in programma. Ed è qui che interviene l’ideologia. In Italia dato il forte substrato marxista balzano alla ribalta alcuni autori marxisti americani: Chomsky, Norman Brown ed Herbert Marcuse. che attribuiscono ogni male al capitalismo e promettono un’epoca felice quando esso verrà distrutto. Ma in Italia c’è anche il più grande Partito Comunista d’Europa, con proprie scuole, propri giornali, attivisti combattivi e preparati. E vi è un ampio settore socialista marxista (il Psiup). Sono costoro che spiegano ai giovani come realizzare il regno di felicità, fratellanza e pace che sentono possibile e vicino. Non vivendo in comuni fraterne e tolleranti come fanno gli hippy, non attraverso una crescita della cultura come molti avrebbero voluto, ma preparando la grande rivoluzione proletaria marxista. La marxistizzazione del movimento avviene nelle università di Milano, Roma, Torino, Padova, Trento nei primi mesi del 1968. Nasce cosi un nuovo movimento, il Movimento Studentesco.
Prima c’erano i beatnick, i capelloni. Il movimento studentesco irrompe con le immagini di Che Guevara, Fidel Castro, Marx, Lenin e Mao Tze Tung. In
subentrano gli inni anarchici e bandiera rossa e fa subito la sua comparsa la violenza con la battaglia di Valle Giulia, i katanga alla Statale di Milano a cui segue l’assalto a Valdagno.
direi Woodstock. È Woodstock la “presa della pastiglia” dove, espulsi gli adulti, i giovani hanno fatto una grande orgia di fratellanza, musica, sesso e droga. È a Woodstock che si afferma quella che ho chiamato “l’internazionale giovanile”, centrata sulle quattro componenti: fratellanza, musica, sesso e droga che ancora oggi la caratterizzano. I suoi membri, a undici, dodici anni, si staccano dal mondo adulto, dalla scuola, fanno sesso precoce, stanno fra di loro, seguono il principio del piacere
zare la felicità subito, qui ed ora. Quello marxista invece voleva rovesciare il potere costituito, distruggere il capitalismo, instaurare la dittatura del proletariato (cioè del partito) e rinviava la realizzazione della felicità a dopo la presa del potere rivoluzionario. E perciò metteva al primo posto l’organizzazione, il rigore e l’uso della violenza. Ma fra i due filoni esisteva anche qualche convergenza. Prima di tutto l’idea che l’uomo fosse spontaneamente buono (alla Rousseau per intenderci) e rovinato dalla società.
Woodstock, hippy e “presa della pastiglia”
Alla fine degli anni ’70 i movimenti sono finiti. Subentra quello che viene chiamato “il riflusso“. Il movimento cioè diventa istituzione, quotidianità. Ma il maxismo ha vinto la sua battaglia politica. Si è affermato nei sindacati, nel parlamento dove nel 1976 il Partito Comunista raggiunge il 34,6 per cento dei voti. Inoltre si è installato nelle istituzioni culturali conquistando università, giornali, cinema, magistratura. Poi succede qualcosa che nessuno in Italia immaginava. Il marxismo trionfante viene sconfitto dalla storia. Negli anni ottanta, con la crisi dell’Unione Sovietica, la fine del mito cubano, la tragedia della Cambogia e infine il collasso economico dell’Urss la grande epopea marxista finisce. Chi ha più il coraggio di proporre la statalizzazione dei mezzi di produzione per creare la felicità in terra e l’uomo nuovo? Ormai è considerata una idea assurda, ridicola. Eppure, la maggior parte della attuale classe politica, dei professori universitari, degli insegnanti, dei magistrati, degli scrittori, dei giornalisti, dei cineasti italiani ha avuto questa formazione, ha creduto fino all’ultimo in questo mito. Alla fine degli anni ottanta sono tutti dei delusi, dei disillusi, degli orfani, degli sconfitti.
A questo punto sorge un altro movimento di cui sono protagonisti gli operai delle industrie del nord, soprattutto i nuovi operai immigrati, verrà chiamato l’Autunno caldo. Il movimento studentesco ne è affascinato, diventa operaista e produce piccoli partiti leninisti come L’unione de
marxisti leninisti, Lavoratori per il socialismo, Il manifesto, Lotta Continua. Il grande movimento sindacale, passato alla storia come Autunno caldo, non ha leader studenteschi, ma sindacalisti come Trentin, Carniti e Benvenuto. La sua forza intimidisce il governo che si piega a ogni sua richiesta. In poco tempo la lea-
L’effetto della ribellione è devastante e mette in crisi tutti i modelli educativi pochi mesi le componenti hippy, ludica, situazionista vengono sconfitte e il movimento viene totalmente egemonizzato dal marxismo rivoluzionario. Al posto dei Beatles e di Jaon Baez
dership dei metalmeccanici prende il sopravvento su tutti i sindacati e in questo modo si produce una istituzione completamente nuova: la Triplice, il potentissimo sindacato che dominerà
la scena politica per tutti gli anni ’70 e ’80 e da cui vengono moltissimi leader politici di oggi.Alcuni studenti non capendo che il movimento operaio avrebbe prodotto solo un sindacato più forte, credono sia arrivato il momento della agognata rivoluzione e passano alla lotta armata. È così che nascono i gruppi terroristi Brigate Rosse e Prima Linea. Nello stesso periodo esplode anche in Italia il movimento femminista che, dopo una fase marxisteggiante, rompe col marxismo nel congresso di Lotta conti-
nua a Rimini del 1975. Beatnik, capelloni, hippy, movimento studentesco, movimento sindacale (Autunno caldo), movimento femminista non sono perciò lo stesso movimento, sono movimenti subentranti fra le quali è avvenuto un effetto di trascinamento. E ciascuno di essi produce le sue istituzioni. Il movimento studentesco, i partitini e i gruppi terroristi, il movimento sindacale la Triplice, le femministe modificano soprattutto il costume.
Torniamo ora ai movimenti giovanili americani. In questi dominava la corrente politicamente moderata e pacifista, e accanto ad essa la componente hippy, anarchica, permissiva e in cui si diffonde la droga. A distanza di quarant’anni, se dovessi dire quale deve essere considerato l’accadimento che caratterizza il filone hippy e permissivo della rivoluzione giovanile americana
immediato, rifiutano il pensiero lineare, si esprimono attraverso la musica e le immagini, usano precocemente droghe (sempre marjiuana ma, al posto della eroina, la cocaina) ed hanno come proprie guide, profeti e maestri i cantanti rock. L’unica differenza rispetto ad allora è che oggi usano, per comunicare, internet e You tube. Questo assetto può essere considerato stabile. Non c’è e non ci sarà più nessuna rivolta contro la repressione perchè non c’è più repressione. L’internazionale giovanile non si occupa di politica, è vagamente pacifista, ecologista, animalista, buonista. Ma è soprattutto edonista, cerca il divertimento, lo svago. Fra questo filone anarchico, permissivo hippy ed il filone marxista vi erano delle immense differenze. Il primo cercava il piacere immediato, il sesso, la pace, la musica e la droga, voleva realiz-
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Carte Crollato il mito, il sogno, la maggioranza si è aggrappata al Partito, al primato della politica, ma senza più la fede nella società senza classi e nell’uomo nuovo. I rivoluzionari che hanno sempre disprezzato, deriso i socialisti riformisti fanno fatica a diventare socialisti. E infatti non lo diventano. Non pochi di loro non rinunciano però alla conquista del potere globale. Quello politico con la macchina organizzativa, quello economico con le cooperative, le banche e la finanza. La cultura politica postmarxista tende a generare società di mutuo soccorso ed associazioni a scopo di lucro che utilizzano tutti i mezzi legali e qualche volta anche quelli meno legali per diventare più potenti ed arricchirsi. Un po’come è successo ad alcuni sindacati americani che, nati per proteggere i lavoratori dai soprusi dei proprietari, sono diventati potentati autoriproducentesi.
Alcuni dei delusi si sono invece rivolti proprio verso i valori della corrente hippy anarchica, libertaria, ecologista che non credeva nella organizzazione, nella politica, nella rivoluzione, ma si cullava nell’idea di Rousseau che l’uomo è per natura buono ma incattivito, rovinata dalla società, dal capitalismo, dallo Stato borghese, dalla modernità. Aggrappati a questa idea hanno sposato lo slogan“è proibito proibire”. Ne è uscita una concezione secondo cui l’autorità dei genitori, degli insegnanti è dannosa. Ma è dannosa perfino l’autorità della grammatica, la letteratura italiana, la storia con le sue date, la geografia con i suoi confini. Non ci devono più essere poliziotti, carceri, perchè anche i criminali, anche i terroristi in fondo sono dei buoni traviati, sono delle vittime. E non ci devono essere freni ad ogni manifestazione sessuale sia essa etero, bisessuale, omosessuale, promiscua, alla pornografia, al divorzio, all’aborto, alla eutanasia, alle droghe di qualsia-
idee che si agitano nella galassia in cui troviamo Pecoraro Scanio, Beppe Grillo, i No Global, i Centri Sociali ed i Radical-Chic, ma anche nelle università, fra i professori di scuola media, nelle redazioni dei giornali, nel mondo dello spettacolo e del cinema. Veniamo ora alle vicende di un altro protagonista della vita economico politica italiana. Il mondo cattolico. Questo è stato un importante artefice della prima repubblica che ha governato con la Democrazia Cristiana. L’effetto della rivoluzione giovanile su questo mondo è stato devastante. Sul piano del costume la rivoluzione sessuale ha messo in crisi i seminari, le parrocchie, l’intero sistema cattolico.I educativo giovani non hanno semplicemente smesso di seguire i precetti della chiesa, li hanno contestati apertamente. Ma ne sono uscite disfatte anche le organizzazioni cattoliche giovanili, prima di tutto l’Azione cattolica e la
Stop con i Rolling Stones Arriva Bandiera Rossa Fuci, da cui uscivano le elites politiche democristiane. Molti cattolici sono stati attratti dal marxismo, Pensiamo a Don Milani considerato un padre spirituale della sinistra e a Don Mazzi che all’Isolotto di Firenze aveva costituito una specie di repubblica dove il vangelo era illustrato con fotografie del Viet Nam, di operai e di poveri del
Indottrinato dal Pci, il movimento studentesco adotta il Che e Castro si tipo. E, lungo questa linea di pensiero, c’è chi arriva a sostenere che non si devono produrre armi perchè non si devono fare guerre, non si devono fare centrali nucleari perchè inquinano, non si devono fare discariche perchè sporcano, non si deve fare l’alta velocità perchè modifica il paesaggio, non si deve fare nulla perchè ogni intervento dell’autorità (per alcuni addirittura dell’uomo) è dannoso. Sono le
Sopra Mao Tze Tung A sinistra un’immagine della guerra in Vietnam A lato la cantante Joan Baez
terzo mondo. Il Cristianesimo è stato ridotto ad attività sindacale e di volontariato. Hanno resistito solo pochi gruppi, in particolare il movimento guidato da Don Giussani, Comunione e Liberazione. Ma il risultato complessivo è stata la marxistizzazione delle nuove elites della democrazia cristiana, prologo al crollo degli anni ‘90 sotto i colpi di Mani Pulite e all’accordo con i postcomunisti. In sostanza ha prevalso
la componente del mondo cattolico che, proprio come i marxisti, aveva meno il senso dello Stato liberale. Solo con il pontificato di Giovanni Paolo II e ancor più con quello di Benedetto XVI è incominciata una opera di ricostruzione dei fondamenti religiosi cristiani, liberando la chiesa dalle contaminazioni marxiste.
Prima di concludere dobbiamo parlare anche di un altro protagonista sempre presente nella vita economico–politico italiana: il meridione. Avrete sentito tutti in televisione dire da qualche disoccupato, occupato, commerciante, imprenditore meridionale la frase “lo Stato è assente”. In realtà se nel meridione è presente qualcuno, è proprio lo Stato in tutte le sue forme centrale, regionale, locale, di enti o di fondazioni pubbliche. Quello che manca è l’iniziativa privata, il capitalismo, l’imprenditorialità, la meritocrazia. Lo Stato che è presente. Ma, per la precisione, è quel che resta dello Stato piemontese dopo che è stato parassitato, rielaborato e imbastardito dai legulei meridionali che, venendo da una società preindustriale, ne hanno fatto uno Stato preindu-
striale. L’apparato dello Stato italiano, col suo coacervo di leggi, i suoi regolamenti tortuosi ed ambigui, l’incredibile inefficienza e parzialità della magistratura, la corruzione dei concorsi pubblici, l’incapacità di combattere Mafia, Camorra e Sacra Corona Unita, è un peso insopportabile per una società che vuol essere efficiente, dinamica. Ma questo Stato è ormai una mentalità, come la mafia, e la sua inefficienza e la sua corruzione non vengono certo contrastati nè dal buonismo hippy, né dal primato della politica dei marxisti, né dalla miglior cultura meridionale che ha il senso dello Stato, ma resta fondamentalmente una cultura giuridica a cui interessa la norma, la perfezione dell’impianto normativo e non il risultato pratico, l’efficienza, il successo, il benessere reale della gente. A conclusione di questo breve excursus sugli sbocchi dei movimenti degli anni 60 e 70, possiamo dire che i suoi protagonisti non si sono mai posti il problema dello Stato liberale moderno, il cui scopo è di assicurare sicurezza ed ordine per tutti - con leggi imparziali, con un sistema giudiziario non contaminato da inte-
ressi politici o economici - e di promuovere lo sviluppo economico e la crescita culturale nella assoluta libertà. Per gli hippy e la “internazionale giovanile”lo Stato non ci dovrebbe semplicemente essere o se c’è dovrebbe solo nutrirli e non intervenire. Per i marxisti lo Stato è sempre stato un nemico da abbattere o uno strumento da usare contro i propri nemici politici. Per i postmarxisti è uno strumento con cui prelevare risorse da distribuire secondo convenienza e un mezzo con cui distruggere legalmente i propri avversari. Per i cattolici di sinistra è un erogatore di risorse per i poveri e i dannati. Per la cultura assistenzialista meridionale una mucca da mungere. È questo vuoto culturale nei riguardi della Stato che ha portato tutti i governi degli anni ‘70 e ‘80 a pagare la pace sindacale aumentando smisuratamente il debito pubblico. E, accanto alla perdita del senso dello Stato, in quegli anni si è indebolito anche l’etica pubblica, il senso del dovere nell’animo di ogni cittadino e, prima di tutto, nei politici. È questa la malattia che ha minato la salute dell’Italia dopo il ‘68. Non a causa della rivoluzione giovanile, ma delle forze che l’hanno utilizzata qui in Italia e che ne sono uscite rafforzate. Ed è stata questa mancanza del senso dello Stato e della morale civica che ha minato il governo socialista, lo ha esposto all’attacco della magistratura, il tallone d’Achille che ha consentito la bufera di Mani Pulite.
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Carte Negli anni ’90 con Mani Pulite vengono distrutti per via giudiziaria La Democrazia Cristiana, Partito Socialista, i il Socialdemocratici ed i Repubblicani, cioè la classe politica che ha governato l’Italia negli ultimi trent’anni. Al suo posto stava per andare al potere una classe politica formata: 1) dai postcomunisti reduci del marxismo che miravano alla conquista del potere politico 2) dai reduci del marxismo sconfitto convertiti all’anarchismo permissivo (estrema sinistra) 3) dai cattolici che identificano la morale del vangelo con il volontariato 4) dai continuatori della tradizione giuridica e burocratica meridionale che occupano l’apparato dello Stato. Tutto il grande elettorato cattolico, socialista, liberale e moderato si è trovato senza più partiti che lo rappresentavano e per cui votare.
È a questo punto che entra in scena Berlusconi con il movimento di Forza Italia. Se Bossi, Segni, o Di Pietro fossero stati più abili, sarebbero riusciti ad ottenere lo stesso successo. Dovevano solo presentarsi come campioni del mondo moderato, come barriera contro il predominio comunista. Forza Italia è stata un vero movimento collettivo politico. Berlusconi lo ha messo in moto perché le condizioni predisponenti erano favorevoli. Una immensa massa di elettori moderati si aspettava impotente e spaventata che la sinistra andasse al potere perchè non avevano più nessun partito per cui votare. Il movimento si è in gran parte, auto-organizzato per conto proprio, con la formazione spontanea di 12.000 club. Le poche centinaia di funzionari con la valigetta, che Berlusconi aveva messo in campo non sarebbero riusciti ad organizzarne nemmeno un decimo. Ed anche il sostegno propagandistico delle sue reti sarebbe stato insufficiente. Lui stesso, nei primi tempi, non
un pò la struttura dei club spontanei da cui Forza Italia è nata. Berlusconi è uno dei pochi politici italiani che non viene dalla esperienza marxista o dalla Azione Cattolica dominata dalla sinistra democristiana. È cresciuto in una famiglia cattolica di orientamento moderato. Per vocazione liberale, è creativo, intelligente, edonista, ma legato al senso della famiglia. Sembra il prototipo del maschio italiano. Canta, ha successo con le donne, crea la televisione privata che vince la concorrenza con la Rai proprio perchè è più spregiudicata, più ammiccante, più scollacciata. La trasmissione simbolo del suo successo è Drive In a cui segue Striscia la Notizia, entrambe ironiche irriverenti, pieni di belle donne in costumi succinti. Poi, negli anni novanta, abbiamo Amici, vero e proprio cult per adolescenti in rivolta contro i genitori e il piccante Zelig. Dal punto di vista culturale Berlusconi è colui che, più di ogni altro, ha affermato la società dello spettacolo, la cultura
Seconda Repubblica fondata sulla tivvù dello svago, del divertimento, dell’erotismo, della risata, del pettegolezzo divistico. Per questo è sempre stato guardato con qualche diffidenza del mondo cattolico. Almeno fino ad epoca recentissima. Un altro limite di Berlusconi è di aver fatto la sua fortuna televisiva grazie agli appoggi e gli
Berlusconi rinnova il progetto di Stato liberale ha capito cosa fosse realmente accaduto. Non sapeva che cosa fosse un movimento. Ha lanciato la parola d’ordine che una massa di italiani si aspettava, questi sono accorsi al suo richiamo e l’hanno riconosciuto come proprio leader. Dopo le lezioni europee in cui ha ottenuto il 30 per cento dei voti ha incominciato a dare al suo movimento un minimo di struttura partitica e a pensare che avrebbe dovuto radicarsi sul territorio. Solo recentemente ha rimesso di nuovo in moto il reclutamento di base attraverso i Circoli (di Dell’Utri o della Brambilla non importa) che ripetono
a pensare che egli non abbia mai distinto nettamente la politica dagli affari. Inoltre il suo modo di fare disinibito, le sue battute, se mandano in delirio i suoi seguaci, spesso irritano gli altri e danno l’impressione che egli non sia un vero uomo di stato come, per esempio, De Gaulle.
se parole usate in precedenza - è assicurare sicurezza ed ordine per tutti - con leggi imparziali, con un sistema giudiziario non contaminato da interessi politici o economici - e promuovere lo sviluppo economico e la crescita culturale nella assoluta libertà? Non ne sono sicuro perchè uno Stato esiste solo se ha a suo fondamento una cultura politica, un etica civile. Pierre Chiartano nel sul libro“La difesa dell’occidente” (edizioni Liberal 2007) ha ricostruito con grande fedeltà e cura un nostro colloquio in cui io sostenevo che bisogna reintro-
aiuti del governo Craxi. Sia ben chiaro che tutti i grandi gruppi industriali, in primo luogo la Fiat, hanno goduto di particolari appoggi governativi, ma Berlusconi lo ha avuto dai socialisti che, dopo Mani pulite, sono stati spazzati via dalla scena politica. A differenza della Fiat o di altri gruppi, egli perciò è sempre stato attaccato dagli avversari con una ossessionante campagna mediatica e giudiziaria che lo accusa di irregolarità e, quando è stato al potere, di conflitto di interessi. Questo non gli ha impedito di creare il più grande partito italiano, ma molte persone continuano
D’altra parte Berlusconi è certamente l’unico grande leader carismatico in Italia, l’unico capace di suscitare simpatia, consenso, entusiasmo. Un leader che ha effettivamente ridotto le tasse, avviato un enorme programma di opere pubbliche, battuto il primato di durata di un governo restando a Palazzo Chigi cinque anni. Egli ha anche dimostrato di saper condurre una campagna elettorale da solo e, negli ultimi tempi, si dedica totalmente alla mobilitazione politica. La sua statura come capo di partito è enormemente cresciuta. Lo dimostra, se non altro, il rispetto con cui lo tratta il capo del Partito Democratico, Veltroni. Nelle disastrose condizioni in cui il governo impotente di Prodi ha condotto il paese, egli sta lentamente diventando il punto di riferimento di moltissimi italiani spaventati e alla ricerca di una guida sicura. Ha perciò una elevata probabilità di vincere le elezioni con una maggioranza che diventerebbe plebiscitaria se dovesse passare il referendum di Segni che da un premio al partito che prende più voti. Ma basterà questa vittoria politica a ricostruire uno Stato liberale il cui scopo- ripetiamo qui le stes-
durre il concetto di virtù, perchè una società democratica funziona solo se nella popolazione c’è un solido fondamento morale. Dalla cultura anglosassone abbiamo preso l’dea che vizi privati come l’avidità, l’ambizione e perfino l’invidia, possano diventare pubbliche virtù perchè stimolano la competizione economica e politica. Ma questo avviene solo in società in cui il Movimento Riformatore ha generato nei suoi partecipanti non solo uno immenso slancio di fede e di speranza, ma anche una rigorosa etica personale a civile. È quanto accade nelle comunità puritane del New England, matrici della indipendenza americana, della costituzione degli Stati Uniti e del suo Ethos.
Un Ethos che costituisce la gabbia entro cui può scatenarsi la competizione capitalistica, in cui possono operare i robber barons, in cui può avvenire persino una guerra civile senza che il sistema vada in pezzi o si imputridisca. Nel “sogno americano“ c’è anche l’idea che l’onestà, la verità, la giustizia, il merito vincono sempre, premiano sempre e perciò la stragrande maggioranza dei cit-
tadini agisce realmente in modo virtuoso. È per questo che i vizi privati possono diventare pubbliche virtù, perchè non si trasformano immediatamente in azioni pubbliche, ma vengono esaminati, filtrati, frenati, indirizzati. Puoi guadagnare quanto vuoi, ma poi devi pagare le tasse, puoi esser potente quanto vuoi ma, se vieni condannato, in galera ci vai veramente. E in forza di questa etica che i grandi capitalisti hanno lasciato fondazioni che hanno finanziato stupende università, meravigliosi istituti di ricerca scientifica, opere benefiche. Ed è in forza di questo ethos che la rivoluzione giovanile iniziata nel 1964 a Berkeley e terminata con la fine della guerra del Viet Nam, non ha lasciato le devastazioni che ha lasciato in Italia, ma la emancipazione completa dei neri, la parità delle donne, la libertà sessuale ed una straordinaria fioritura culturale. L’evoluzione della cultura politica italiana è andata in direzione opposta perchè l’incontro delle correnti libertarie, di quella marxiste e di quelle cattoliche di sinistra, agendo su un apparato dello Stato pletorico e corrotto hanno prodotto un vero e proprio sfacelo della cosa pubblica anche a livello comunale e provinciale come non era mai accaduto prima. Ne deriva che i mali della nostra società non si possono curare con semplice cambiamento di maggioranza. Lo abbiamo visto nella scorsa legislatura che, ammirevole nel campo della attività economica, delle opere pubbliche e della pressione fiscale, non ha mai posto al primo piano un riesame radicale del concetto di Stato e di etica pubblica. Non ha rimesso in discussione la parzialità e spesso l’assurdità dei libri di testo delle scuole elementari e medie concepiti sotto l’influenza marxista e permissiva. Mentre alla televisione - e questo vale tanto per la Rai quanto per Mediaset - sono continuati i dibattiti politici unilaterali, dogmatici, dove tutti si limitano ad accusare gli altri di ogni infamia senza mai una analisi obbiettiva, senza mai un “mea culpa“. Dove sono continuati gli spettacoli di divertimento superficiali, chiassosi, i circenses romani, il vero oppio del popolo, senza che ci fosse un segno di ravvedimento salvo qualche fiction Rai e qualche programma di Rai Education. Mentre è continuata la pretesa di alcuni magistrati di moralizzare loro il paese, di sostituire la morale con la legge, di diventare cioè santa inquisizione, come hanno fatto all’epoca di Mani Pulite, con risultati devastanti. No, il fondamento della società non è né la politica, né la legge, è quella che gli anglosassoni hanno chiamato civic religion, la filosofia che sta alla base della loro concezione della vita.
k c i d y b o m A C I EP DEI A G MAN
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Domani con liberal sedici pagine di arte e cultura
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il supplemento del sabato di
• chiedilo al tuo edicolante •
pagina 18 • 8 febbraio 2008
economia
Le fiammate di un tempo sono già un ricordo, ma i produttori e il mercato sono troppo ottimisti sul caro greggio
Petrolio:il picco dei cento dollari s’allontana,ma il calo non sarà eccessivo di Carlo Stagnaro opo la vampata di inizio anno, i prezzi del petrolio sembrano aver imboccato un sentiero ribassista. In questa direzione, del resto, puntavano le opinioni degli analisti a fine 2007, salvo poi essere smentite, forse solo temporaneamente, dalla straordinaria crescita che ha portato il barile a sfondare la barriera psicologica dei 100 dollari. E così è stato bruciato un record dietro l’altro. Quotazioni così alte, però, sono difficilmente sostenibili. Ed è naturale che, già oggi, si inizino a vedere gli effetti di aggiustamenti strutturali, che si sovrappongono alle variabili congiunturali. E tra le incertezze del momento c’è soprattutto quella che ormai viene apertamente definita come una fase di recessione negli Stati Uniti.
D
La crisi di liquidità – nonostante le massicce iniezioni di moneta della Fed, che forse hanno alimentato il male anzichè risolverlo – nasce soprattutto dalla sfiducia reciproca delle banche, che determina
una maggiore difficoltà nell’accesso al credito. Questa si riflette in una minore propensione ai consumi e finisce per condurre a una riduzione della domanda, che contrasta le conseguenze della debolezza del dollaro. Assieme con i comportamenti speculativi degli investitori, il crollo della valuta americana è stato, infatti, uno dei driver del caro greggio. Anche perché prezzo del barile è denominato in dollari. Ma questo è solo un fenomeno transitorio: alcuni ritengono il raffreddamento dell’economia americana già concluso. E se non manca chi pensa il contrario, vi è più in generale un certo consenso sulla convinzione che il peggio sia passato. Né, d’altro canto, bisogna dimenticare che le recessioni fanno parte del ciclo economico. Basta ricordare il rapporto tra ricchezza creata durante la crescita e quella distrutta in fase successiva: normalmente la prima prevale, segno che l’economia di mercato funziona. In tutto questo l’andamento strutturale della domanda di
A influenzare i prezzi sono il livello delle scorte, la minore domanda di consumi e gli investimenti tecnologici per sfruttare nuovi giacimenti petrolio sembra puntare verso un rallentamento o addirittura una riduzione. A influenzare i mercati, insomma, non sono soltanto le buone notizie sullo stato delle scorte Usa. Si tratta della naturale reazione a una fase prolungata di prezzi molto alti, che dura dalla fine degli anni Novanta, un decennio durante il quale il petrolio veniva scambiato stabilmente sotto i 20 dollari, con punte negative attorno ai 10. I sistemi energetici sono molto rigidi, perché ogni aggiustamento richiede ingenti investimenti. Questo però non significa che siano insensibili ai segnali di prezzo: e infatti la ben-
zina alle stelle ha spinto gli automobilisti (soprattutto americani) a sostituire le macchine di grande cilindrata con vetture più piccole ed efficienti, le imprese a ottimizzare i loro consumi, le utilities a valutare fonti energetiche alternative al petrolio e al gas (dalle rinnovabili al carbone, passando per la rinascita del nucleare).
Allo stesso modo, le compagnie petrolifere – ingolosite dalla prospettiva di margini molto alti – si sono spinte alla ricerca ed estrazione di petrolio da nuovi giacimenti o da riserve prima ritenute non economiche, così come a sfruttare fonti non convenzionali (quali gli oli pesanti e le sabbie bituminose). Tanto che la discesa del barile, come ha notato Vittorio D’Ermo nella sua analisi su Quotidiano Energia, non ha neppure risentito della sospensione delle attività estrattive in un campo nel mare del Nord da 280mila barili al giorno, quantità relativamente importante per i consumi britannici. Se questo è lo scenario, si os-
serva la sostanziale assenza dell’Opec. Se l’Arabia Saudita si è confermata nel suo tradizionale ruolo di stabilizzatore del mercato, l’organizzazione nel suo complesso si dimostra ancora una volta incapace di influenzare le dinamiche di lungo termine. Il Paese islamico, infatti, ha ridotto i prezzi praticati all’America, e i falchi dell’Opec hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco. Il gettito delle vendite petrolifere è, per essi, assai più determinante di quanto non sia, oggi, il prezzo del petrolio per i consumatori: tanto che gli aumenti vertiginosi dal 1999 a oggi non hanno sensibilmente impattato e la crescita economica mondiale e, pur avendo forse contribuito alla crisi attuale, di certo non l’hanno causata. Con le posizioni più radicali dei Paesi produttori, l’andamento dei prezzi miete un’altra vittima: le richieste di indipendenza energetica. Se mai abbandoneremo il petrolio, sarà soltanto perchè avremo trovato di meglio: non per il nazionalismo delle risorse.
economia
8 febbraio 2008 • pagina 19
Stime impazzite sull’extragettito: da 12 potrebbero ridursi a 2 miliardi
Tra Prodi e il Pd guerra di nervi sul tesoretto di Giuseppe Latour
ROMA. È, insieme con quella delle nomine, la grande partita lasciata in sospeso dopo alla caduta del governo Prodi. Il tesoretto dato dall’extragettito fa gola tutti, e al momento poco importa che valga 12 o 2 miliardi di euro. A sparigliare le carte ci ha pensato Sinistra democratica, che ha annunciato un emendamento al decreto Milleproroghe, in discussione alla Camera. Obiettivo: destinare l’extragettito, stimato in sei miliardi, ai salari dei lavoratori dipendenti. Lo ha annunciato Titti Di Salvo, capogruppo di Sd alla Camera, auspicando la creazione di una maggioranza trasversale attorno al provvedimento. E c’è già l’appoggio della Cgil verso questa linea. Molto meno quello la Cisl, che guarda agli sgravi per gli aumenti di secondo livello, e degli altri due protagonisti della partita: Partito democratico e Forza Italia. Proprio Veltroni, in queste ore, sta giocando una partita molto complessa: da un lato c’è la possibilità di farsi campagna elettorale a costo zero, dall’altro approfittare della situazione per mettere le basi a un governissimo ”Veltrusconi”. Infatti vuole evitare che le risorse siano gestite da Romano Prodi. Per questo cerca un’intesa con il centrodestra, con il quale negoziare un intervento più articolato del semplice aumento ai salari. Il suo timore è che questi aiuti vengano gestiti in maniera irrazionale, regalan-
Veltroni lancia un amo alla Cdl per gestire assieme i fondi. La sinistra risponde con un maxi intervento sui salari do troppo ai dipendenti per far piacere alla sinistra radicale, senza destinare nulla alle categorie più lontane dal Pd, come gli autonomi, o affrontare la contrattazione di secondo livello. Problema che, come auspicato dal leader di Cisl, Raffae-
le Bonanni, necessita di una detassazione degli aumenti aziendali legati alla produttività, e da finanziare proprio con il tesoretto. Gli sherpa di Forza Italia, senza il cui assenso difficilmente si produrrà qualcosa, per ora chiudono a entrambe le ipotesi. Impossibile quella auspicata da Sd; realizzabile quella disegnata da Veltroni, ma comunque ritenuta inopportuna. Guido Crosetto, sul punto, non vuole sentire ragioni: «Non si può pensare di accelerare adesso». Anche nel programma del centrodestra ci saranno misure a sostegno dei salari, come interventi sulla contrattazione di secondo livello e detassazione degli straordinari, «ma distribuire il tesoretto adesso non è altro che uno spot elettorale per Veltroni». Al segretario del Pd si contesta di essersi ricordato della questione salariale soltanto a comizi elettorali già convocati. Mentre tutti se lo contendono, comunque, il tesoretto potrebbe dissolversi. Secondo le ultime stime, infatti, l’extra-gettito 2008, che qualche giorno fa era stato valutato addirittura 12 miliardi di euro, sarebbe molto dimagrito. E si sarebbe ridotto alla misera cifra di due miliardi di euro, che consentirebbero di distribuire poco più di cento euro mensili. Cifra peraltro continuamente rivista al ribasso. Per arrivare ai 5-6 miliardi chiesti dai sindacati c’è soltanto una strada: i tanto invocati tagli alla spesa.
d i a r i o
d e l
g i o r n o
Euro, la Bce rinvia il tagli dei tassi La Bce resiste alle pressioni dei mercati e dei governi, e per ora non abbassa i tassi di interessi ancora al 4 per cento. Ma ieri all’Eurotower, durante il consiglio direttivo, il board della Banca centrale europea ha ammorbidito i toni sull’inflazione, non escludendo tagli nei prossimi mesi. Che si ipotizzano entro giugno. Il presidente Jean-Claude Trichet ha confermato rischi sulla stabilità dei prezzi, ma si è anche soffermato sulla «straordinaria incertezza» che circonda le prospettive di crescita dell’area euro.
Alitalia: Toto rilancia, ma mancano i soci Carlo Toto non vuole recedere dai suoi propositi di conquistare la Magliana. Ieri, davanti alla business community milanese, ha spiegato che «Air One e Alitalia insieme formeranno «la quarta compagnia europea». Quindi, illustrando il suo piano, ha garantito che Malpensa resterà un hub internazionale, forte di «25-27 destinazioni intercontinentali contro le 3 previste dal piano di Prato». Il sistema economico del Nord ha plaudito ai suoi progetti, ma non ha fatto promesse su un possibile aiuto finanziario alla cordata Toto-Intesa. Intanto la Camera di Commercio, a nome di tutto il sistema lombardo, ha lanciato un manifesto per chiedere al governo, tra le altre precondizioni di vendita, una moratoria per salvaguardare i voli a Malpensa, l’apertura di tavoli di concertazione con il territorio e garanzie sui posti di lavoro.
Montezemolo: «Confronto con tutti» Dopo aver ribadito di non voler scendere in politica, Luca Cordero di Montezemolo ha promesso un atteggiamento ecumenico della Confindustria in campagna elettorale: «Aspettiamo che si materializzino i programmi e poi ci sarà un confronto con tutti».
Luxottica non convince i mercati Dopo l’acquisizione di Oakley, Luxottica ha presentato alla comunità finanziaria le nuove prospettive di business. Attraverso un integrazione verticale si prevede un fatturato nel 2009 di 6,1 miliardi di euro in crescita del 27 per cento rispetto al 2007.Tra un anno l’utile per azione dovrebbe toccare gli 1,31 euro. «C’è un grande senso di fiducia», ha spiegato l’amministratore delegato Andrea Guerra. Il mercato si aspettava numeri diversi tanto che il titolo è crollato del 9,8 per cento.
Utili record (+38 per cento) per Indesit Performance positive per Indesit nel 2007. L’azienda ha chiuso l’anno con l’utile netto è cresciuto del 38 per cento e l’Ebit del 20.
Borsa in calo (-1,86 per cento) Anche ieri Piazza Affari non ha contravvenuto all’effetto fisarmonica, che la contraddistingue da tempo. Ieri, complici la decisione della Bce di lasciare inalterati i tassi d’interessi e le vendite a Wall Street, l’indice S&P Mib ha perso l’1,86 per centoi. Male soprattutto Fiat (-3,77 per cento) e Impregilo (-6,56).
Rischiano l’insolvenza i prodotti con cui le banche assicurano le emissioni di bond. I timori della Fed, che chiede coperture straordinarie
Dopo i Subprime il nuovo allarme per gli Usa si chiama monolines di Alessandro D’Amato Non ancora chiarito l’impatto della crisi dei subprime, l’America deve aggiornare il glossario della crisi finanziaria: infatti, come in una reazione a catena, a far tremare il sistema ora sono le monolines. Nel mirino sono finiti quei prodotti che assicurano contro l’insolvenza di intere emissioni obbligazionarie. Negli ultimi 5 anni le realtà finanziarie hanno investito in una serie di veicoli di finanza strutturata simili, se non uguali, a quelli di cui garantivano la solvibilità. Un sistema autoreferenziale, che garantiva se stesso attraverso se stesso. E che regge, pardon reggeva, un giro di emissioni che ammonta oggi a quasi mille miliardi di dollari. Non appena i tassi di insolvenza dei mutui subprime hanno cominciato la loro corsa, l’allarme è passato
subito a chi quei debiti li garantiva, perché le assicurazioni che avevano coperto gli investitori dall’insolvibilità si sarebbero trovate in difficoltà. Ora il ”buco” è difficilmente computabile, proprio a causa del ”gioco” di garanzie contrapposte tra le parti. Ma soprattutto, se una di queste fallisce, il legame passa direttamente alle banche a cui è collegata. Il mercato ha compreso appieno il meccanismo quando, due giorni fa, Fitch e S&P hanno annunciato tagli ai rating dei bond delle monoline, e hanno anche dichiarato che questo potrebbe mettere in difficoltà le banche, al punto da perdere la tripla A, vitale per il loro business. Così sta circolando tra le compagnie interessate l’ipotesi di mettersi in runoff mode, cioè di bloccare i
nuovi contratti e continuare soltanto con le operazioni per le quali già esistono garanzie, cancellando i loro CDS (credit default swap) sulle collateralized debt obligations. Le prime due candidate sarebbero FGIC e Ambac. Ben Bernanke si è detto preoccupato che un downgrade delle monolines possa mettere in difficoltà le banche e «costringerle a re-iscrivere a bilancio le perdite, e a fornire garanzie di copertura». La Fed seguirà gli sviluppi e nel caso interverrà di fronte a uno scenario che, ipotesi peggiore, potrebbe a causare l’insolvenza di una grande banca. Una minaccia in più in un’America, che deve fare i conti anche con la crisi delle carte di credito: dopo che alcune società hanno chiesto più garanzie, le nuove emissioni sono passate dal 40 al 32 per cento.
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cultura
Gli omissis nel manifesto del Pd hanno risollevato le polemiche sul’uso politico della storia
Prima del Risorgimento? Niente di Angela Pellicciari l manifesto del Partito democratico aveva inizialmente omesso ogni riferimento alla Resistenza. Rimediato l’errore, Emilio Gentile sul Sole 24 ore di domenica esorta a non dimenticare il Risorgimento: «il momento fondante dell’unità nazionale italiana fu il Risorgimento, che pose, con la creazione dello Stato unitario, le condizioni per una convivenza civile e democratica». Per motivare la propria tesi Gentile rispolvera le parole d’ordine del mito risorgimentale. Peccato che la concreta realtà economica e sociale, culturale e religiosa dell’Italia sabauda, sia anni luce distante dalla vulgata liberale.
I
Gli uomini del Risorgimento erano convinti che l’Italia dovesse risorgere dai quindici secoli di “schiavitù” (così si era espresso Napoleone), caratterizzati dalla capillare diffusione della religione cattolica. Per giustificare l’urgenza di questa ripartenza, gli uomini del Risorgimento dovevano dimostrare che la presenza della cattedra di Pietro sul suolo italiano fosse una sciagura. Dovevano cioè riscrivere la storia a partire dai propri desiderata ignorando i fatti. Ecco cosa scrive Leone XIII nel 1883 nella Saepenumero consi-
derantes: «La scienza storica sembra essere una congiura degli uomini contro la verità […] la menzogna si snoda audacemente tra i ponderosi volumi e negli agili libri, fra i fogli volanti dei giornali e nei seducenti apparati del teatri. Troppi vogliono che il ricordo stesso degli avvenimenti passati sia complice delle loro offese». Sia Pio IX che Leone XIII non si stancano di far riferimento ai fatti: la presenza del papato in Italia è all’origine di una lunga serie di primati. Nel 1887, rivolgendosi al neoeletto Segretario di stato, cardinal Mariano
certo le favorì, le aiutò e diede ad esse incremento. Per le pubbliche franchigie parlano i suoi Comuni; per le glorie militari parlano tante imprese memorande contro nemici dichiarati del nome cristiano; per le scienze parlano le Università che fondate, favorite, privilegiate dalla Chiesa, ne furono l’asilo e il teatro; per le arti parlano infiniti monumenti d’ogni genere, di cui è seminata a profusione tutta Italia; per le opere a vantaggio dei miseri, dei diseredati, degli operai parlano tante fondazioni della carità cristiana, tanti asili aperti ad ogni sorta d’indigenza e
metà dell’Ottocento per avere coscienza della propria esistenza. Di più: l’unità culturale e linguistica italiana ha preceduto, e di molto, quella delle nazioni europee. Dalla Scuola siciliana in poi «l’italiano gode di una continuità unica fra le lingue letterarie d’Europa», scrive Piero Boitani sul Sole di qualche tempo fa. E prosegue: «La continuità linguistica dell’italiano è un fatto culturale e politico di prima grandezza». L’Italia non era, come diceva un’espressione Metternich, geografica, ma «un’espressione culturale, e soprattutto letteraria. Qualunque europeo di
La perdita della memoria finisce per avere nefaste conseguenze sulla definizione dell’identità italiana. Così la Regione Emilia, nel suo Statuto, può dimenticare che Ravenna fu splendida capitale e che Bologna fu sede della prima università di giurisprudenza al mondo... Rampolla, Leone XIII scrive: «Questa guerra [contro la chiesa] al presente si combatte più che altrove in Italia, dove la religione cattolica ha gittato più profonde radici […] Per l’Italia la perdita sarebbe altresì più sensibile. Le sue maggiori glorie e grandezze, per cui tra le più colte nazioni ebbe per lungo tempo il primato, sono inseparabili dalla religione; la quale o le produsse, o le ispirò, o
d’infortunio, e le associazioni, e corporazioni cresciute sotto l’egida della religione». Gentile pensa anche che il Risorgimento «diede alle popolazioni che abitavano nella penisola, per la prima volta nella loro storia, la coscienza di formare una nazione». Le cose non stanno così: la stessa lingua italiana mostra con inconfutabile chiarezza che la nazione italiana non ha atteso la
buona cultura sapeva benissimo che la pittura, la scultura, la musica provenivano dall’Italia». Per secoli la letteratura italiana «ha rappresentato l’avanguardia culturale del mondo occidentale».
L ’ e s a l t a z i o n e del Risorgimento (che ha comportato, vale la pena di ricordarlo, la trasformazione degli italiani in un popolo di emigranti), ha avuto
come conseguenza la perdita della nostra memoria storica. Persa questa, non siamo più stati in grado di conoscere, e difendere, la nostra identità. Sta di fatto che la regione rossa per eccellenza, l’Emilia Romagna, si è data uno Statuto il cui preambolo specifica che la regione «si fonda sui valori della Resistenza al nazismo e al fascismo e sugli ideali di libertà e unità nazionale del Risorgimento». Della Ravenna, splendida capitale dell’Impero Romano d’Oriente, è scomparsa ogni traccia così come della cattolica Bologna, prima università di giurisprudenza al mondo. Un filo rosso lega la mitizzazione dell’evento risorgimentale alla smemorata e folle pratica di governo di un’altra regione passata alla sinistra da molti anni. Nel 2004 la Regione Campania ha finanziato con cinquantamila euro la pubblicazione di una Agenda della Pace dalla quale è scomparso ogni riferimento alle festività cristiane. No a Pasqua, Pentecoste e Natale. Sì all’egira ed al capodanno cinese. La Campania è finita sotto una montagna di rifiuti. Chissà se la mancata specificazione del Risorgimento e della Resistenza nel manifesto del Pd non sia stata segno di un’iniziale di resipiscenza.
sport
8 febbraio 2008 • pagina 21
L’incredibile editto islamico che riscrive le regole del gioco
Il football secondo Allah di Giancristiano Desiderio ohammed Atta, il capo del commando suicida che dirottò il volo American Airlines 11, guidandolo contro la Torre Nord del World Tarde Center nella mattinata dell’11 settembre 2001, usò più volte l’espressione “partita di calcio”. Proprio così: andava a morire, uccideva alcune migliaia di persone e ripeteva “partita di calcio”. Una sorta di parola d’ordine. Strana parola d’ordine. Perché proprio “partita di calcio”? Dall’abitazione in Marienstrasse 54, ad Amburgo, coordinò i lavori della cellula terroristica con Marwan Al-Shehhi, Ramzi Binalshibh e Ziad Jarrah. Erano appassionati di calcio e frequentavano il Volksparkstadion per vedere l’Hsv Hamburger? Non si può escludere. Ma ciò che si può escludere è che il calcio abbia qualcosa a che fare con il terrorismo. Il calcio è l’antitesi del terrorismo e dei regimi totalitari. E’ espressione di libertà e diversità. Sarà per questo che lo sceicco Abdallah Al Najdi ha deciso di cambiare le regola del gioco più famoso del mondo con una fatwa. Sembra quasi incredibile. Quasi.
del pallone. Quella maledetta palla gli aveva sempre fatto brutti scherzi. Accadde anche il 20 settembre del 1942 a Berlino in una partita contro la Svezia. Nonostante la legge sul divieto di perdere e il controllo assoluto che il dittatore nazionalsocialista volle e credette di poter avere. Quel giorno il Fuhrer non si divertì per nulla. Sedeva in tribuna allo stadio olimpico di Berlino e la Germania era sotto di due gol a zero contro la Svezia. Non c’era più molto tempo da giocare. E pensare che il Fuhrer, previdente come sempre, aveva abolito il calcio come sport professionistico: come sport era troppo giudeo. Chi giocava a calcio non doveva essere ebreo. Le società di calcio furono affidate a gerarchi del regime. La Germania non poteva perdere. Il Fuhrer non poteva perdere. Invece, la prima volta che Hitler si presentò allo stadio per assistere a una partita dei soldati del Fuhrer la Germania perse. Accadde ai Giochi olimpici del 1936 a Berlino. Da tutti il Fuhrer era stato rassicurato che la Germania aveva delle buone possibilità, ma la formazione dell’allenatore Otto Nerz perse per 2-0 contro la Norvegia. A peggiorare le cose entrambe le reti furono segnate da un giocatore dal nome ebreo, Isaaksen.
M
Luigi Guelpa nel suo informato libro “Da Marrakech a Baghdad. Viaggio nel calcio di Allah”, edito da Limina, riporta la traduzione integrale dell’editto islamico promulgato dallo sceicco Al Najdi e pubblicato sul quotidiano saudita Al Watan il 25 agosto 2005. Questa storia incredibile inizia così: “Nel nome di Allah benevolo e misericordioso: 1- Non giocate a calcio con le quattro linee che formano il rettangolo perché sono state inventate dalle regole internazionali degli infedeli”. Ed è solo la follia del fischio d’avvio di una partita ancora più folle. Regola numero due: “Non si devono usare termini stabiliti dai politeisti come fallo, rigore, corner, goal, fuorigioco. Chi pronuncia queste parole deve essere punito ed espulso con questa pubblica dichiarazione: tu hai imitato gli eretici e i politeisti e ciò è proibito”. Guardate che è tutto vero. E solo per ragioni di spazio (ma, confesso, anche di noia) non si riportano qui tutti i quindici sconclusionati articoli che hanno di mira il calcio degli infedeli. Secondo lo
Luigi Guelpa nel suo ”Da Marrakech a Baghdad” riporta i dieci punti sul calcio codificati dallo sceicco Al Najdi. Anche Stalin e Hitler sono arrivati a teorizzare ”il controllo assoluto” del pallone e la ”vittoria necessaria”. Entrambi hanno perso sceicco le regole della partita di calcio devono essere sostituite dalla shari’a ed è il Corano che deve ispirare il nuovo regolamento del calcio dell’Islam.Tanto per dare ancora un saggio. Regola dieci: “Quando giocate, non incaricate qualcuno, chiamato arbitro, di seguire la partita, perché sarebbe inutile la sua presenza nel momento in cui sono state abolite le regole internazionali quali fallo, rigore, corner, eccetera. La presenza di questa persona non sarebbe altro che imitazione degli eretici, ebrei, cri-
stiani, e seguirebbe le regole internazionali”.
P o s s i a m o a n c h e fermarci qui e porre la domanda: perché gli integralisti sognano di mettere le mani sul pallone? La questione non è nuova. Nella storia del Novecento i regimi totalitari hanno tentato di impadronirsi del gioco del calcio a scopo di propaganda. Hitler e Stalin sono arrivati a teorizzare il “controllo assoluto” del pallone e la “vittoria necessaria”. Entrambi hanno perso. Perché la palla non si lascia controllare
in maniera assoluta. Proprio come la vita. Come non ci può essere il padrone del pallone, pena il non poter giocare, così non ci può essere un padrone della vita, pena il non poter vivere. Alla lunga l’illibertà - come ben sapeva quel fuoriclasse di Croce - cade in fuorigioco.
Hitler non amava il calcio. Preferiva il pugilato e il motociclismo. Quando Goebbels gli consigliò di usare il calcio per influenzare le masse, lui per mettersi al sicuro istituì il divieto alla sconfitta. Non si fidava
Anche Stalin leggeva nello stesso libro. Anche Stalin voleva vincere a tutti i costi. In un discorso prima delle Olimpiadi del 1948 disse: “Prendete parte ai Giochi solamente se siete sicuri che la nostra squadra finirà tra i vincitori. Se così non fosse ci saranno persone chiamate a risponderne”. Così fu, i responsabili pagarono personalmente. La logica di Stalin era semplice: ai giocatori migliori erano riconosciuti dei privilegi, ma uscire dalle grazie del dittatore era facile e i calciatori caduti in disgrazia erano relegati in un kolchoz o spediti in Siberia. Guai a dire offside e non une igry. Si rischiava la galera. Negli anni Trenta furono condannati a morte cinque presidenti della commissione sovietica per l’Educazione fisica e lo Sport: questi dirigenti, secondo Stalin, non lavoravano abbastanza bene e lui come noto era un perfezionista.Il calcio è antitotalitario. Lo sceicco ripete la brutta storia di Hitler e Stalin.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog LA DOMANDA DEL GIORNO
Soltanto i fondatori nella Casa delle libertà? Bisogna includere anche Mastella quando si parla di leader Felicissimo che Napolitano sia stato costretto a indire nuove elezioni. Felicissimo che queste si svolgano con la legge elettorale vigente. Felicissimo che i ”soci fondatori” della CdL abbiano ritrovato l’accordo dei tempi passati. Speriamo che abbiano anche lo stesso entusiasmo di allora. E quando si parla di soci fondatori va considerato anche Mastella, perché nel 1994 faceva parte della CdL e con un certo rilievo anche lui. Vogliamo solo sperare che questa volta sia meno volubile e coerente anche nelle scelte negli Enti Locali.
Ermete Galloni - Padova
La Cdl torni pure al completo, ma stavolta niente tecnici per piacere Bene, torni il centrodestra. Torni e lo faccia con un governo forte. E poiché per legge non dovrebbero esserci più di 12 ministri, che questi siano scelti con la massima oculatezza. Per esempio ne facciano parte i massimi calibri politici. Il governo deve essere politico. Che si facciano le riforme, prima fra tutte quella sulla Giustizia che ora giusta non è. Infine niente tecnici: Padoa Schioppa docet.
Antonella Mariani - Pisa
Il centrodestra indichi già da subito quali potrebbero essere i futuri ministri Tutte le previsioni danno vincente alla prossima tornata elettorale la CdL. Io non ne sono tanto sicuro, intanto perché - Napolitano in testa - assisteremo alla ”carica di seicento” dei Media tutti, degli Scalfari, dei Santoro, dei Mieli, Riotta, Anselmi e compagnia, e poi non dimentico i distinguo, le diatribe e i ricatti nell’ambito della stessa CdL durante gli anni 2001-2006. Per evitare, o almeno moderare
tale pericolo, non sarebbe male che il centrodestra già da subito indicasse quali saranno i futuri ministri, e in ogni caso impegnasse i leader dei quattro partiti maggiori a partecipare direttamente al governo. Cordialita’.
Giovanni Ciullo - Cagliari
I fondatori della Cdl facciano un passo indietro, c’è bisogno di volti nuovi Naturalmente spero che il centrodestra torni al governo, ma che ci torni con nuova determinazione e soprattutto con volti nuovi. Vada per il settantenne Berlusconi, dato il suo indiscutibile carisma, ma basta con Fini, Casini, Maroni eccetera. Ci vogliono volti nuovi e idee nuove. I fondatori della CdL facciano il cosiddetto passo indietro. Consideriamo che in questi due ultimi e tristi anni ci siamo sorbiti Prodi, Bertinotti, Marini, l’ultraottantenne Napolitano, nonché i quasi centenari Senatori a vita.
Lorenzo Diberti - Roma
Ci vogliono i giovani, le ”quote rosa” e il coraggio di abbandonare ideali fuori moda Sono un’elettrice del centrodestra, per anni più vicina ad Alleanza nazionale che alle altre anime della Cdl. Eppure da un paio di anni, più precisamente dalle ultime elezioni Politiche del 2006, ho capito di abbracciare le idee liberali espresse da Forza italia piuttosto che quelle ”incomprensibili” e ”impazzite”di An o Lega, o quelle ”stantìe”centriste. Come vedo io la CdL? Con Silvio Berlusconi (assieme ai suoi Frattini e Formigoni), Gianni Alemanno e Andrea Augello in An (più qualche quota rosa come Giorgia Meloni e Adriana Poli Bortone), Maroni per la Lega. Tutti gli altri, possono già contare su un corposo vitalizio a vita.
Gaia Ceprani - Ancona
LA DOMANDA DI DOMANI
Quali le cinque priorità di un programma di governo?
Accordo Pd-Fi? Pura fantapolitica A proposito del montante verbo ”veltroniano” mi sembra che sia una specie rovesciata di uno slogan, ”degasperiano”, noto per aver asserito che quello dei cattolici era un partito ”in marcia dal centro verso sinistra”. In termini di sigle, questa marcia degli ex-comunisti sembra plausibile: dai Democratici di Sinistra al Partito Democratico. Nel merito, tuttavia, mi viene in mente un particolare curioso. Sul finire degli anni Sessanta, militando nelle file del Movimento operaio cristiano, mi capitò di scontrarmi duramente con chi all’epoca si stava inventando il socialismo ”aclista”. Per spiegare l’equivoco in cui si stavano cacciando i miei amici, ricordavo una famosa frase di Lenin (che è anche il titolo di un libro dello stesso Lenin) che suonava autocritica delle difficoltà incontrate nel traghettare la ”dittatura” del proletariato verso la cosiddetta democrazia ”popolare”: un passo avanti, due indietro. Il risultato furono, storicamente, i regimi totalitari del Paesi del socialismo ”reale”. Si può dire che la marcia dei cattolici dal centro verso la sinistra, con l’ultima avventura ”prodiana”, sia arrivata al suo capolinea. Quella di Veltroni è appena iniziata ma, stante il costante ricatto della sinistra, terrà fede alla profezia di Lenin: sulla via ”democratica”, farà un passo avanti e due indietro. Ancora ”prigionero” di vecchie e false idee? Dopo Marini, si vedrà. Intanto sciogliamo il dilemma tra fantapolitica e accordo. Possibile l’accordo Pd-Fi? Certo: ma come andrebbe a finire? Stante il falso bonismo veltroniano venato di criptoleninismo, la grande coalizione finirebbe in una palude ”prodiana”. Per non correre rischi, accantoniamola.
dai circoli liberal
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COSTUMI E MALCOSTUMI IN BASILICATA Come ha opportunamente segnalato il presidente del Club Liberal di Matera Giuseppe Panio, è bene che il quotidiano “Le cronache di Liberal” dia spazio anche a ciò che realmente accade nelle singole Regioni d’Italia; in tal modo si tocca per mano - per così dire – la realtà socio-politica nei suoi aspetti più concreti. Circa tali aspetti, sempre un fatto, e tanto meglio una serie di fatti, illuminano più di tanti pur brillanti dissertazioni dottrinali, anche se queste sono certamente utili sul piano delle valutazioni politiche generali. Gli esponenti sia politici sia culturali del centrosinistra frequentemente lodano la Basilicata per come è governata e per come è rappresentata ai livelli più alti della cultura. In realtà la popolazione lucana è pacifica, laboriosa, sobria, legata ai più alti valori etico-religiosi; in sostanza è ammirevole, ma purtroppo tanti suoi governanti e rappresentanti culturali non sono degni di essa. Quanto ai reggitori dei poteri della Regione Basilicata, basta considerare le vicende di cui è sta-
to vittima protagonista proprio il presidente Panio, ma ad esse si aggiungono ciò che ha motivato il rinvio a giudizio di un ex Presidente della Giunta regionale, poi divenuto Sottosegretario di Stato, che per le imputazioni ascrittegli avrebbe dovuto, forse, dimettersi (ha provveduto in verità l’attuale crisi di governo!) e ciò che ha motivato, recentissimamente, il rinvio a giudizio dell’intera Giunta provinciale di Matera precedente l’attuale in carica. Il sottogoverno clientelare imperversa tanto cinicamente quanto disinvoltamente: basti considerare che in una Regione meno di 600.000 abitanti vi sono circa 100 organi sub-regionali che comportano migliaia di stipendiati. Il fatto più eclatante, però, è quello di cui è stata protagonista la massima (?) autorità culturale della Regione, fatto che risale ad appena qualche giorno fa. Il Rettore dell’Università di Basilicata nel discorso inaugurale del corrente anno accademico, lungi dall’affrontare problemi seri e scottanti della Regione (ad esempio lo spopolamento, che fatalmente coinvolge anche i giovani universitari, e lo stato della ricerca, la quale a giudizio de-
Giuseppe Valli
Per fortuna Prodi è sparito, mancava poco al collasso Quando Prodi è andato per l’ultima volta a chiedere la fiducia alla Camera ha avuto il coraggio di dire che aveva rimesso in piedi l’italia. L’Istat ha dichiarato che l’inflazione nel mese di gennaio è salita al 2,9%. Il valore più alto dal 2001. La Corte dei conti parla di aumento incontrollato della spesa corrente con diffuso malessere e incertezza degli italiani. E per fortuna Prodi è sparito anche fisicamente (non si vede più in giro), altrimenti l’Italia sarebbe andata incontro al collasso e avrebbe dichiarato totale bancarotta.
Marisa Maffei - Firenze
Forse è convenuto tirare l’affaire-rifiuti per le lunghe Finalmente. Confermato da due pm di Napoli il rinvio a giudizio, tra gli altri, anche di Bassolino e del suo vice per
cattiva gestione, per circa 14 anni, del commissariato straordinario per la gestione dei rifiuti in Campania con stipendi iperbolici. Tutto ciò porterebbe a pensare che non conveniva risolvere il problema spazzatura, ma certamente conveniva portarlo per le lunghe. Ora mi chiedo: anche questa volta la magistratura grazierà un esponente della sinistra? Grazie per l’ospitalità e in bocca al lupo per questa nuova e brillante iniziativa editoriale.
Stefania Mei - Siena
gli osservatori più attenti è carente e non collegata con il mondo imprenditoriale) ha pensato bene di grogiolarsi nell’ironizzare su Berlusconi come un guitto da palcoscenico ed ha ritenuto di bacchettare Papa Benedetto XVI, imponendosi a superlaicista (questo rettore è veramente magnifico!?). De hoc satis. Antonio Gallitelli CLUB LIBERAL MATERA
APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 22 FEBBRAIO 2008 Ore 11, presso l’Università Gregoriana, in piazza della Pilotta 4 Riunione mensile nazionale di tutti i Presidenti dei Circoli Liberal.
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La gioia del pensiero è sempre nuova Cara Hannah, per il tuo sessantesimo compleanno ti saluto affettuosamente e ti auguro, per l’incipiente autunno della tua esistenza, di essere all’altezza dei compiti che tu stessa ti sei proposta, e di quelli che ti attendono anche se ancora non lo sai. La gioia del pensiero continuerà a manifestarsi spontaneamente sempre nuova e sarà accompagnata dalla consapevolezza di ciò che oggi, in questo mondo confuso, il pensiero è ancora in grado di fare. Ma è già abbastanza se gli è in qualche modo consentita una trasmissione sotterranea. Nel prossimo semestre invernale parteciperò a un seminario di Fink su Eraclito e Pamenide. Nel frattempo tre soggiorni in Grecia compiuti con Elfride mi hanno manifestato una cosa, ancora non abbastanza pensata, cioè che la A-Letheia non è affatto una semplice parola, e neppure l’oggetto di una riflessione etimologica, ma piuttosto la potenza ancora dominante della presenza di tutte le essenze e le cose. E nessun im-pianto può occultarla. Martin Heidegger ad Hannah Arendt
Non si chieda aiuto ad altre regioni se Roma avrà difficoltà Pare che a Roma non esistano altri candidati di sinistra oltre Rutelli o Veltroni. Due legislature il primo, due il secondo, ed ora si prospetta un ritorno al primo per la terza volta. Padronissimi di ricandidare e rivotare chi vogliono, a sinistra. Non si venga a chiedere però solidarietà ad altre città o regioni, se Roma dovesse scoprire di essere in difficoltà per qualsiasi motivo o finire come Napoli. Lo stesso vale per Bologna. Problemi di immigrati, di clandestini, di nomadi, di pulizia, di traffico, di sicurezza, di disoccupazione, di assistenzialismo gratuito, di inquinamento, di periferia immersa nel degrado, di sperpero di danaro pubblico, di anulare in continua emergenza per la circolazione, di viabilità improvvisata e senza segnaletica, di taxi, di metropolitana ridicola (tre-quattro segmenti di linee) ed altro che ometto per amor di ...Capitale. Tralascio la prostituzione che invade le strade, i parcheggi inesistenti, l’abusivismo, eccetera. Il tutto sotto amministrazioni di sinistra per oltre quindici anni. Non si poteva avere qualcosa di meglio? Ne sia-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
mo proprio convinti? E come faranno, non dico all’estero, ma città come Milano e Torino? Sarà un problema di uomini e non di coalizione? Se così fosse non è difficile trarre le conclusioni, per un elettore romano. Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
sudditanza, tra nomenclatura e popolo è ormai troppo profondo per essere colmato e chiunque tenta di attraversare il suo alveo deve costruire un ponte solido. Queste elezioni sono l’ultima occasione per risorgere perché è ora di lasciare che i morti seppelliscano i loro morti e che i vivi riprendano il loro cammino verso una la terra promessa, seguendo le guide che li rappresentano, non si prostituiscono e non ricercano impossibili convergenze parallele tra le varie corporazioni mafiose, ma scelgono nella libertà democratica linee programmatiche da attuare alla luce del sole con coraggio: è questa la volontà di tutti coloro che hanno rifondato il Partito del Popolo delle Libertà, volontà che non può più essere delusa da una casta, che non può essere riciclata per la ricostruzione in sicurezza della nuova “casa”, ma deve essere mandata a casa, prima di fare altri danni. Le sette cariatidi devono rassegnarsi perché non sono più grado di puntellare un tetto che ormai scotta troppo, e bisogna smontare subito perché non è adeguato al rischio sismico.
Renato Domenico Orsini
Leopoldo Chiappini Guerrieri - Teramo
Queste elezioni sono l’ultima e vera occasione per risorgere Le incredibili vicende che nel giro di pochi giorni hanno determinato la fine anticipata della legislatura dimostrano ancora una volta che il fossato melmoso che si è formato in Italia tra democrazia ed oligarchia, tra giustizia ed inquisizione, tra cittadinanza e
“
PUNTURE Il motto della Cdl sembra essere quello del grande Gruppo Tnt: tutti per uno e uno per tutti.
Giancristiano Desiderio
Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta ARTHUR C. CLARKE
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di SUPER TUESDAY: NIENTE KO PER HILLARY E MCCAIN Le primarie del 2008 non finiscono mai di stupire. La notte più importante della campagna elettorale sta finendo e nessuno sembra aver ancora capito come andrà a finire. Nonostante le centinaia di esperti che analizzano ossessivamente ogni dato a loro disposizione, la gara, sia tra i Democratici che nel GOP, continua a rimanere ostinatamente aperta ad ogni risultato. I giornali, che in qualche modo devono comunque creare titoli accattivanti, hanno assegnato la vittoria a John McCain e Hillary Rodham Clinton, ma la vera notizia sta nella inaspettata tenuta degli altri candidati, che tutti in coro hanno ribadito la loro intenzione di andare avanti “fino in fondo”. Dal nostro piccolo punto di vista di appassionati della politica vera, niente da eccepire, lo spettacolo sarà ancora più appassionante. Ma la permanenza in campo di così tanti candidati significativi rischia di complicare maledettamente le cose all’interno dei due partiti. La gara a sinistra, che la stampa mondiale ha trasformato in uno scontro epico tra campioni di purezza e virtù, rischia di diventare una guerra di trincea destinata a protrarsi per chissà quanto tempo. Quello stesso elettorato che è stato definito, non si sa quanto obiettivamente, ”elettrizzato come non mai”, alla lunga potrebbe stancarsi di questa telenovela politica e molti, specialmente tra i più giovani, potrebbero pensare ad altro (lo spring break, la primavera, i finals all’università...) togliendo ossigeno alla campagna di Barack Obama.
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WEST OF THE MISSISSIPI Hillary si aggiudica la California ma lo spoglio sarà lungo e complesso. I delegati sono assegnati proporzionalmente e ogni distretto dovrà essere passato al setaccio per attribuire i delegati a ciascun candidato. McCain procede sicuro verso la nomination aggiudicandosi la California, adoro le rimonte e mi piace il suo discorso. Con il proseguire della serata appare chiaro che la corsa per i democratici andrà oltre questo martedì e quella che doveva essere l’incoronazione di Hillary Clinton è soltanto un respiro di sollievo che si leva qui da Manhattan. Per Obama che si aggiudica anche il Colorado e lo Utah i toni sono lirici e il suo discorso dall’Illinois evoca i toni di Martin Luther King. Il suo discorso unisce ancora una volta in una corsa che invece spacca il paese, stato dopo stato esattamente a metà. La forza di Obama che ha rimontato in ogni angolo del paese, giorno dopo è questa, trascinare oltre le avversità e rovesciare i pronostici. Staremo a vedere. Mi sposto (fisicamente) al quartier generale di Obama qui a New York per incontrare supporters e amici e raccogliere gli umori di una notte ancora lunga e dopo tanto caffè e poco sonno, all’alba per me i commenti e i risultati finali. E le emozioni dei protagonisti. Intanto Huckabee avanza lentamente sicuro dei miracoli nei quali crede lui e basta.
Stelle a Strisce s t e l l e a s t r i s c e . s p l i n d e r . c om
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edizioni
NOVITÀ IN LIBRERIA
RIPA DI MEANA • MECUCCI L’ORDINE DI MOSCA FERMATE
LE BIENNALE DEL DISSENSO
osca fece di tutto per bloccare la Biennale del Dissenso che si svolse nel 1977 a Venezia e che rappresentò il primo vero atto di sostegno politico e culturale, compiuto in Italia, nei confronti di coloro che resistevano in Urss e nei Paesi comunisti. Ci fu un braccio di ferro politico e diplomatico. Da un lato il Cremlino – come risulta da documenti segreti e inediti sovietici, americani e tedeschi – esercitò ogni forma di pressione e di ricatto sul governo di Roma, sulle forze politiche e sul Pci, che cambiò il suo atteggiamento iniziale: prima disse sì alla manifestazione, poi sotto l’incalzare di Mosca la osteggiò duramente. Dall’altro lato, soprattutto il sostegno di Bettino Craxi e dei socialisti consentì a Ripa di Meana di portare a compimento l’operazione e di superare gli ostacoli eretti dal mondo culturale italiano e dalle grandi imprese automobilistiche, tessili ed elettroniche del tempo impegnate nella sterminata Urss. Una brutta pagina quella scritta da molti intellettuali, con significative defezioni anche da parte di alcuni consiglieri e dei direttori della Biennale. Ma per la prima volta il sostegno al Dissenso non venne sacrificato sull’altare della coesistenza con l’Est.
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