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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

NordSud L’era della stretta

e di h c a n o cr di Ferdinando Adornato

Giuliano Cazzola Enrico Cisnetto Angelo De Mattia Donato Masciandaro pagina 12 Gianfranco Polillo

classi dirigenti FEDERICO VECCHIONI: «C’È BISOGNO DELLA TERZA REPUBBLICA» pagina 9

Enrico Cisnetto

russia

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

LE PRIMARIE DELLA VERITA Oggi il voto in Texas e Ohio, che può essere decisivo. Con McCain già al sicuro, per il mondo è meglio che il candidato democratico sia Obama. Perché, come dicono in America, Hillary è…

I meriti? di Putin Gli errori? di Medvedev pagina 10

Enrico Singer

internauti

L’uomo sbagliato

LA RETE DICHIARA GUERRA A SCIENTOLOGY pagina 11

Maria Maggiore

memorie QUEL GIORNO CON WALTER CHIARI, IL BOXEUR pagina 20

Italo Cucci

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alle pagine 2, 3, 4 e 5 9 771827 881004

MARTEDÌ 4 MARZO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

38 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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on le elezioni primarie di oggi, soprattutto quelle in Texas e Ohio, gli elettori americani potrebbero chiudere definitivamente la lunga storia delle aspirazioni presidenziali di Hillary Rodham Clinton. Dopo l’ultima, interminabile, serie di vittorie di Barack Obama, l’ex First Lady avrebbe l’assoluta necessità di invertire il momentum che sta spingendo il senatore junior dell’Illinois verso la nomination democratica. Texas e Ohio, nei piani dei suoi strateghi, erano due must-win. E il fatto che, sull’onda dei sondaggi più recenti, Hillary possa essere costretta ad accontentarsi di un risicato successo in Ohio, la dice lunga sullo stato ormai comatoso - della sua campagna presidenziale. Eppure, fino a qualche mese fa, nessun analista avrebbe scommesso sulla sconfitta della Clinton. Merito delle messianiche capacità di Obama? O forse il nodo del problema va ricercato proprio in Hillary e nel suo flawed character? Tra le tonnellate di letteratura disponibile su questa controversa figura della politica americana contemporanea, sono almeno due i libri recenti – scritti entrambi nel 2005, dopo la pubblicazione dell’autobiografia “Living History” - che possono venirci in soccorso per comprendere il carattere e la psicologia di Hillary. Il primo, scritto da di Dick Morris, l’uomo che fu chiamato da Bill Clinton (dopo la sconfitta dei democratici alle elezioni di mid-term del 1994) a salvare le sorti della sua presidenza, è significativamente intitolato “Rewriting History”. E insiste con puntiglio nel descrivere la caratteristica principale della vita pubblica (e privata) di Hillary: fare qualsiasi cosa pur di raggiungere i propri obiettivi. Nessuno, meglio di Morris, riesce a tratteggiare l’essenza stessa di Mrs. Clinton: «Tutte le figure pubbliche usano un po’ di makeup per nascondere una ruga o due, ma soltanto Hillary indossa così tante maschere da farci dimenticare quale sia la sua vera faccia». Chi è davvero Hillary? La giovanotta zelante che, per compiacere il padre repubblicano, fa campagna elettorale per Barry Goldwater nel 1964? O la radical che divora tutti i numeri della rivista “Motive”, bibbia del femminismo più estremo durante gli anni della contestazione? L’assistente che alla fine degli anni Sessanta lavora per il moderato repubblicano Charles Goodell (e la campagna alle primarie Gop di Nelson Rockfeller del 1968)? O l’attivista per i diritti civili che, rimasta sconvolta dalla morte di Martin Luther King, decide di appoggiare la campagna per le primarie democratiche di Euge-

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Ascesa e tramonto di una vincitrice annunciata sconfitta dal suo carattere prima che da Obama

Hillary l’antipatica di Andrea Mancia ne McCarthy (sempre nel 1968)? Una cosa, per Morris, è certa. Dall’alto della sua spietata intelligenza, Hillary è totalmente priva di alcune delle caratteristiche che hanno garantito a suo marito Bill il doppio mandato alla Casa Bianca: il carisma e la capacità (almeno apparente) di confrontarsi con i problemi reali dei cittadini americani. Il libro di Morris si concentra molto sul profilo psicologico di

mente in carica, per evitare le rigide regole del Senato americano in materia.

A ripercorrere, spietatamente, i primi disgraziatissimi anni della First Lady alla Casa Bianca, è invece Edward Klein (ex giornalista di Newsweek, New York Times Magazine e Vanity Fair) nella sua biografia “The Truth About Hillary”. Prima di affrontare gli anni della gioventù di Hillary, che tanto hanno influito nella formazione

l’amante di Bill. Lui, in un primo momento, nega tutto. Poi, dopo la diffusione di alcuni nastri registrati in cui la relazione tra i due risulta, per usare un eufemismo, palese, il candidato democratico si precipita negli studi televisivi di “60 Minutes” (gli stessi che, dodici anni più tardi, avrebbero organizzato ai danni di George W. Bush il più gigantesco tentativo di truffa nella storia delle elezioni presidenziali) per salvare la propria carriera politica. Al suo fianco, a

Dal flop della riforma sanitaria ai continui tentativi di nascondere la verità per non danneggiare la carriera politica di Bill e soprattutto la sua: storia di una donna capace di tutto (forse di troppo) per arrivare alla Casa Bianca Hillary Clinton e affronta, solo superficialmente, tutti gli scandali e scandaletti che hanno costellato la sua vita pubblica, limitandosi a qualche “frecciatina”velenosa, come quella relativa alla miriade di regali ricevuti da Hillary dopo la sua elezione al Senato nel 2000. Regali accettati prima di entrare ufficial-

del suo carattere, Klein elenca tutte le storie «poco chiare» che l’hanno vista coinvolta nei primi anni Novanta. Ma andiamo con ordine. Nel 1992, in piena campagna per le primarie in New Hampshire, la cantante lounge Gennifer Flowers rivela di essere stata, per una dozzina d’anni,

garantirgli il proprio incondizionato appoggio, c’è la fedele mogliettina. Nel 1993, il presidente appena eletto lancia il suo più ambizioso piano di riforma per la politica interna: la radicale rivisitazione del sistema sanitario nazionale. A capo della task force incaricata di portare a termine

Anche Michelle Obama ha avuto un inizio di campagna difficile

L’altra First Lady delle gaffe Dopo aver rivelato: «Non sono mai stata veramente fiera del mio Paese», Michelle Obama bolla le imprese, definendole «l’industria del profitto», mentre dice degli Obama di far parte dell’«industria di chi aiuta». Cattivo presagio! Visitando una scuola materna a Zanesville, Ohio, la possibile futura First Lady americana ha consigliato alle donne ivi riunite di: «non scegliere di voler far parte dell’America delle grandi aziende». «Diventate insegnanti - ha suggerito - scegliete di lavorare per la comunità, di diventare assistenti sociali, infermiere. Sono queste le professioni di cui abbiamo bisogno e stiamo incoraggiando i giovani ad optare per questo tipo di lavori. Ma se fate la scelta, che abbiamo fatto noi, di allontanarvi dall’industria del profitto per far parte di quella sociale, allora siate pronte a stipendi più modesti». Michelle sta parlando di due categorie di persone, non di pochi individui, come se coloro che sono ben pagati in ogni sorta di ambito la-

vorativo redditizio fossero, nella visione del mondo degli Obama, gente oziosa e attaccata al centesimo che aiuta solo se stessa. Il lavoro reale e produttivo del settore privato aiuta la gente in modi e maniere che non sarebbero possibili per il governo. Un presidente che non lo capisce finirà per uccidere le galline dalle uova d’oro, soffocandole con un’elevata tassazione e normative onerose ed infine creando per loro condizioni economiche avverse. In secondo luogo, è proprio vero che gli Obama hanno fatto la difficile scelta di rinunciare a incarichi ben remunerati per lavorare a servizio della comunità? Pare che il Medical Center dell’Università di Chicago corrisponda a Michelle oltre 300mila dollari all’anno per i suoi servigi di «vicepresidente agli affari esterni e della comunità locale».

la “rivoluzione” c’è la First Lady. Con l’arroganza che la contraddistingue da sempre, Hillary procede come un carro armato, organizzando meeting segreti con i suoi fedelissimi e tenendo totalmente all’oscuro i deputati e i senatori che si occupano di sanità da decenni. Dopo qualche mese, vede la luce uno dei più patetici e costosi progetti di legge che abbiano mai attraversato i corridoi dei palazzi di Washington. Il piano, che la stampa battezza subito “Hillarycare”, naufraga quasi subito, malgrado i democratici abbiano il controllo di entrambi i rami del Congresso. Controllo che i democratici perdono, dopo decenni di dominio incontrastato, alle elezioni di mid-term dell’anno dopo. Secondo tutti gli analisti, il vero motivo del trionfo repubblicano non è il “Contract with America” di Newt Gingrich, ma proprio l’Hillarycare.

Sempre nel 1993, Hillary ordina il licenziamento dell’intero staff del White House Travel Office. A suo avviso, l’ufficio è male organizzato e troppo dispendioso per l’amministrazione. Secondo i testimoni intervistati da Klein, invece, Hillary vuole semplicemente trasferire tutti gli “affari”ai suoi amici Harry Thomason e Linda Bloodworth, che gestiscono un’agenzia di viaggi. Hillary nega ogni rapporto con i due, ma un memo scritto da David Watkins (direttore amministrativo della Casa Bianca) inchioda la Clinton alle sue responsabilità. Ancora nel 1993, Craig Livingstone, ex truffatore e in quegli anni responsabile della sicurezza alla Casa Bianca, inizia a collezionare molte centinaia di rapporti Fbi sugli avversari politici (repubblicani) di Bill Clinton. Molti sospettano l’intervento di Hillary, che però nega addirittura di conoscere Livingstone. Anche se, quando lo incontra nei corridoi di Pennsylvania Avenue, baci e abbracci si sprecano. Nei primi anni della presidenza Clinton (ma anche nei successivi), Hillary trasforma la Casa Bianca nel più costoso bed&breakfast degli Stati Uniti. I ricchi finanziatori di Bill - Steven Spielberg, Steve Jobs, David Geffen e molti altri - pagano letteralmente milioni di dollari per dormire nella Lincoln Bedroom o nella Queen’s Bedroom. Tutto denaro ben speso nella campagna presidenziale del 1996.


l’uomo Come avrà notato anche il lettore più disattento, questo breve - ma impressionante - excursus sulle vicende “oscure” che hanno coinvolto Hillary Rodham Clinton copre un arco brevissismo della sua carriere “politica”. In particolare, i due anni (1992-1994) che vanno dalla candidatura di Bill per la nomination democratica all’estromissione di fatto, dopo il flop sulla sanità, di Hillary dalla parte più visibile dell’amministrazione democratica. Lo scandalo Lewinsky non viene neppure sfiorato, anche se ci sarebbe molto da scrivere (e moltissimo è stato scritto) in merito a quel patetico «I never had sex with that woman», vidimato e controfirmato dalla First Lady in diretta televisiva. E non ci sono accenni neppure a vicende ancora più oscure, come il “caso Whitewater” che hanno prodotto un’enorme mole di letteratura - a volte al limite del complottismo - da parte delle frange più estreme della destra americana, arrivando perfino ad ipotizzare il coinvolgimento indiretto di Hillary in un duplice omicidio. Ma l’elenco potrebbe continuare a lungo, per cose più o meno serie: dall’ossessivo riposizionamento politico in vista di ogni appuntamento elettorale al cambio studiato di pettinatura per distogliere dai problemi, non solo d’immagine; dal giudizio negativo espresso dal “papà” dei senatori democratici, Patrick Moynihan al ruolo di Hillary nella Nel numero 13 del 29 gennaio, liberal aveva già previsto la possibile sconfitta di Hillary Clinton “notte del perdono” con cui, prima di lasciare la Casa Bianca, Bill Clinton azzerò i debiti con la giustizia di amici, conoscenti e finanziatori. Raramente, nella storia politica degli Stati Uniti, il pubblico è stato così polarizzato come nei confronti di Hillary. E i molti, non solo nel partito repubblicano, che rifiutano totalmente l’ipotesi di una sua candidatura, il più delle volte non sono spinti da motivazioni di ordine politico ma da un giudizio fortemente negativo sul suo carattere. Quel carattere che oggi potrebbe impedirle di coronare il suo sogno di bambina: diventare la prima donna Presidente degli Stati Uniti d’America.

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Perché si è inceppata la temibile macchina politica dei Clinton

Tutti gli errori della “predestinata“ di Michael Novak ubito che gli europei possano facilmente comprendere la complessità dei sentimenti negativi che gli americani di centrodestra nutrono per il senatore Hillary Clinton. Appena sei mesi fa, un autorevole leader politico costernato affermava a denti stretti, in privato, di essere certo al 70 per cento che Hillary Clinton avrebbe vinto sia la nomination per il Partito Democratico che la Presidenza del Paese. Era piuttosto scoraggiato. Chi o che cosa avrebbero potuto fermarla? È senza dubbio intelligente e “tosta”, ben nota e ben finanziata, con a disposizione la macchina politica di Clinton così a lungo temuta. Sembrava non avere seri rivali in seno al partito democratico. Tuttavia, ciò che mi piace di più della politica americana è che la stagione delle primarie è piena di sorprese e di svolte inattese. È sconvolgente come i candidati favoriti perdano e quelli in sordina vengano su dal nulla. Ciò vale come non mai in questo 2008.

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Da sabato 1 marzo, quasi tutti stanno scrivendo necrologi e decretando il de profundis della campagna della senatrice Hillary Clinton.Tuttavia i sondaggi pre-elettorali sia in Texas che in Ohio danno ancora oggi, martedì 4 marzo, come possibile una sua vittoria in entrambi gli Stati. Due vittorie che potrebbero comunque non bastarle per scongiurare il pericolo di

La verità è che una cappa di tristezza e una coltre di tetraggine aleggiano sulla sua campagna. Che cosa è andato storto?

mercoledì abbozza un tentativo per essere gentile, tenera ed affettuosa ed il giovedì si dimostra campionessa di rettitudine e virtù («Vergogna, senatore Obama!»). Non riesce a trovare le giuste misure, la giusta posizione; non riesce a trovare le corde giuste. Per lo meno non di fronte al calmo e tranquillo Senatore Obama, così brillante e sicuro di sè.

perdere la nomination per il partito democratico. E che renderebbero tutti gli osservatori molto più cauti nel prevedere la sua sconfitta. La verità è che una cappa di tristezza e una coltre di tetraggine aleggiano sulla sua campagna. Che cosa è andato storto? Il giovane, vitale ed entusiasmante senatore Barack Obama dell’Illinois l’ha già sconfitta in 11 primarie. I suoi notevoli punti di forza hanno messo brutalmente in evidenza la terribile debolezza di Hillary quale candidato allapPresidenza. Il senatore Obama è sicurò di se, mutevole eppure solido, geniale, avvincente e realmente coinvolgente.

Eppure è da quando era ancora una studentessa universitaria che lei ed i suoi amici pensavano che Hillary Rodham sarebbe diventata un giorno presidente degli Stati Uniti. Molti la consideravano una predestinata. La sorprendente ascesa di suo marito Bill Clinton dalla povertà in Arkansas alla casa Bianca sembrò confermare questo destino. Ora, dopo la presidenza del marito, Hillary avrebbe dovuto avere la sua presidenza. Comunque vada, Hillary Clinton è determinata ed instancabile nel suo lavoro. Che vinca o perda, nessuno dovrebbe comunque sottovalutarla. Editorialisti, analisti e persino reporter scrivono con certezza che oggi perderà. Dei “brindisi”alla sconfitta che hanno il potere di innervosirmi. Le opinioni largamente condivise e costruite su un mood generale si rivelano spesso errate. Se le cose andassero nella direzione in cui Hillary sta spingendo da almeno 24 ore, potrebbe addirittura vincere sia in Texas che in Ohio. Analisti e scrittori dicono che Obama ha il momentum. Ma questo stato di grazia può cambiare direzione senza alcun preavviso. Oppure calare un pochino. Se Hillary dovesse farcela, non ne sarei così sorpreso.

Al contrario, la senatrice Clinton, nonostante i suoi indiscutibili punti di forza, appare fredda, legnosa, fossilizzata nelle abitudini inveterate, nelle consuetudini e nel solco degli anni Novanta del secolo passato, così certa della sua superiorità da non aver mai effettivamente ben riflettuto sui pericoli potenziali della stagione delle primarie. In questa dura campagna che non conosce soste, sembra cambiare personalità ogni giorno, proprio come il tempo atmosferico: sarcastica e poco incline a considerare i meriti dell’avversario un giorno, conciliante il giorno successivo, il


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Giovedì scorso una “strana“conferenza, testimonianza insieme di forza e disperazione

Tramonto ad Hanging Rock l fatto di essersi fermata durante la sua campagna in Ohio in una cittadina chiamata Hanging Rock è una metafora, il simbolo di una sfida o un’ostinata provocazione? Il governatore dell’Ohio Ted Strickland stava raccontando alla base della sua circoscrizione che la Clinton ha una profonda conoscenza, anche emotiva, di valori e vicissitudini dell’Appalachia. «Capisce», ha dichiarato, «che la vita è dura, che la gente lotta ... che, sebbene le persone lavorino veramente sodo e facciano del loro meglio, sentono che la vita non li ha trattati e non li tratta con giustizia». Inavvertitamente, le parole del Governatore sono sembrate rivolte alla senatrice di New York che si prepara ad affrontare la resa dei conti nelle primarie. Infatti, anche la senatrice Clinton ha lavorato veramente sodo e ha occasionalmente espresso la sua frustazione. Tutte le campagne coronate da vittoria sono simili, ogni campagna perdente è di per sè un evento spiacevole ed infelice. Tolstoj, ovviamente, non si è mai interessato di primarie, ma avrebbe ben compreso la situazione di quei candidati che alle presidenziali concorrevano da favoriti e si ritrovano poi a intravedere lo spettro della sconfitta. Alcuni candidati sull’orlo della sconfitta sono adirati, altri sono catatonici, altri si auto-commiserano e altri ancora sono allegramente privi di inibizioni e provano quasi un senso di liberazione perché in fondo ormai non ha più importanza. Tuttavia, nella sua ultima prova di carattere, Hillary Clinton ha scelto un’altra strada: andare avanti come se fosse lei, e non Barack Obama, a essere ancora favorita. Nel sottolineare le difficoltà economiche della Rust Belt e dell’Ohio rurale, la Clinton ha sfruttato al meglio i suoi punti di forza, primo fra tutti quello di essere abile nella padronanza delle sfumature della politica. La Clinton ha definito spesso la buona politica con un solo aggettivo, ma molto efficace: «intelligente». Ma forse la parola più emblematica per Hillary è stata pronunciata mercoledì durante una serissi-

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di Walter Shapiro ma tavola rotonda economica a Zanesville. A parlare non era lei, ma un partecipante, Florine Mark, Ad della Weight Watchers: «Quando penso alla senatrice Clinton, penso alla parola ”sicuro”». «Mi sentirò sempre al sicuro con questa donna alla Presidenza degli Stati Uniti», ha affermato Mark, «Se, Dio non voglia, nel cuore della notte squillasse il telefono rosso alla Casa Bianca, vorrei che fosse lei a rispondere». Ovviamente la linea diretta con Mosca è un retaggio, passato, della Guerra Fredda. Quest’anno gli elettori sembrano essere disposti ad assumersi dei rischi. Quale altro messaggio trarre dall’ascesa di Obama, un candidato che incarna la speranza? Anche gli elettori repubblicani alle primarie hanno fatto una strana scommessa su un candidato repubblicano non tradizionale come McCain, che fino a poco tempo fa aveva più nemici nel suo partito di quanti ne avesse Obama nel suo. Questa fuga dalla sicurezza ha portato la Clinton a un passo dall’elimi-

of Pauline”, vacillante sull’orlo dell’abisso o aggrappata alla parete di una roccia con le unghie e coi denti. La convinzione, nella terra di Hillary, è che se la Clinton sopravvivesse vincendo in Ohio e in Texas, la nuova piega degli eventi porterebbe a una notevole revisione della storia di questa campagna. Improvvisamente la domanda del giorno diventerebbe: «perchè Obama non riesce a vincere negli Stati più grandi?». Con l’attuale vantaggio di Obama in termini di delegati, questo scenario sembra una forzatura. Ma dal fin troppo pubblicizzato Giuliani (ve lo ricordate?) alla presunta invincibile Clinton (ve li ricordate quei giorni?), questa non è stata certo una grande stagione presidenziale per i sapientoni e i presunti esperti in materia. Ecco perché è folle cercare di prevedere troppo in anticipo i comportamenti degli elettori in questa Hanging Rock di un anno di campagna elettorale. Se la fine è vicina per il sogno di un’amministrazione Clinton II, essa segnerà la prima sconfitta politica della famiglia da quando Bill, che aveva allora 34 anni, non fu rieletto governatore dell’Arkansas nel 1980. (Se vi foste persi gli anni successivi, il sunto della storia è che si è ben ripreso). Ma ciò che affascina è che, in questi ultimi giorni Hillary è stata coerente, e non è certo stata quella “banderuola”politica che i suoi detrattori dipingono. Sta uscendo (se questo sarà il suo destino) allo stesso modo nel quale è entrata in politica trent’anni fa, rivelandosi un’esperta politica brillante, seria e solida che lascia agli altri la sublime retorica e le elettrizzanti emozioni.

Hillary Clinton ha scelto un’altra strada: una determinazione indomita, incrollabile e fredda ad andare avanti come se fosse lei, e non Barack Obama, ad essere ancora favorita. nazione. Con Obama in testa nei sondaggi alle primarie di Texas e Ohio, forte dei suoi 11 successi consecutivi, la Clinton ha disperatamente bisogno di vittorie in termini di voti e delegati, non di abili manipolatori che le indorino la pillola. Ma visto che il suo vantaggio nei sondaggi si va via via riducendo la Clinton sembra fare un viaggio in fondo alla notte. Ecco perché c’era qualcosa di coraggioso – o di avventato e temerario – nel fatto che la Clinton avesse programmato un evento in campagna elettorale in una cittadina chiamata Hanging Rock. Con una popolazione di 279 abitanti, non era certo tappa obbligata e foriera di molti voti. Con questa strategia, è facile prevedere una Hillary Clinton sullo stile del vecchio serial ”Perils

Direttore da Washington di Salon.com © Salon.com


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Nessuno odia Elizabeth Dole o Condy Rice, nessuno divide come Hillary

Ha dimostrato di essere un uomo. Ora ci convinca che è anche una donna ome vanno le cose per Hillary Clinton? A che punto siamo, a quasi un anno da quando si è capito che si sarebbe candidata alle presidenziali? Ho già detto che non deve provare di essere un uomo, ma piuttosto dimostrare di essere una donna. Il suo non è un problema di genere, come lei e la sua campagna cercano di dimostrare. Il fatto che sia una donna è per lei un vantaggio, una fonte di potere latente, ma perché funzioni deve sembrare una donna. Nessuno nutre dubbi sulla capacità della signora Clinton di fare la guerra. Nessun osservatore di lunga data o a lei vicino è stato mai citato per aver detto che forse è troppo tenera per questo tipo di carica. Al contrario, a preoccupare è piuttosto il suo carattere bellicoso. È lei che ha inventato la war room di cui si è sentito parlare nelle intercettazioni telefoniche e ha portato alla Casa Bianca l’uomo che aveva ottenuto i dossier privati dell’Fbi contenenti i nomi di tutti i possibili nemici dei Clinton. Non deve dunque provare di essere abbastanza dura e meschina; ma piuttosto saper dimostrare di essere un bullodozer in grado di non spianare subito tutto e tutti. In privato - dicono gli amici e io personalmente ho constatato che è vero - ha senso dell’umorismo, è intelligente, si interessa alla vita degli altri ma, come temperamento politico e forma mentis, non è né paziente né lungimirante né indulgente. Coloro che la conoscono bene – e io ne sono praticamente circondata – non nutrono dubbi sulla sua durezza: anzi la temono. Detto questo, sta facendo progressi. Ogni giorno cerca di cambiare la sua immagine e sospetto che stia funzionando. L’impressione non è che stia diventando più autentica, ma che abbia superato il disagio che lei stessa aveva per la sua mancanza di autenticità. Non dico che abbia im-

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di Peggy Noonan parato a essere se stessa, ma penso che dopo essere stata un anno in pista abbia imparato come non essere se stessa, come mettersi comodamente addosso una maschera e recitare una parte. Citando il Boston Globe, «Hillary Clinton si sta ponendo sempre più come materna e tradizionale piuttosto che pionieristica e femminista». Eppoi ha sempre un largo sorriso stampato sulle labbra, come quello della zucca di Halloween, e poco ci manca che ci metta dentro anche la luce. Questa settimana a New York, in occasione di un pranzo “al femminile” ha dichiarato: «Siamo di fronte ad un nuovo interrogativo: molti si chiedono se l’America è pronta a eleggere una

Non deve provare di essere dura e meschina; ma piuttosto dimostrare di non essere un bullodozer pronto a spianare subito tutto e tutti donna alla carica pubblica più importante del Paese. Lo è». E citando Eleanor Roosevelt ha aggiunto: «Le donne sono come le bustine da tè, non sai mai quanto sono forti fino a quando non le immergi nell’acqua bollente». La Signora Clinton è la bustina del tè e anche la teiera con l’acqua bollente. Dove c’è lei c’è sempre un film in atto, un calderone pronto a scoppiare: siti web segreti gestiti da persone non meglio identificate per infangare Barack Obama usando I toni di Tokyo Rose; imprenditori cinesi che rimangono bloccati sui treni quando si cerca di capire da dove provengono i fondi della campagna; accordi segreti ed altro. Ce n’è sempre una.Verrebbe da chiedersi: Perché? Cosa c’è? In effetti, la domanda non è se l’America sia “pronta” per una donna alla presidenza, quanto se sia pronta ad avere Hillary. E la Signora Clinton lo sa bene. Chi, fra tutte le donne potenti della politica americana di oggi, ha ispirato il senso di disagio, di disorientamento e di vera e propria antipa-

tia che suscita lei? Condy Rice, Nancy Pelosi, Dianne Feinstein? Queste sono donne serie che ogni giorno assumono decisioni cruciali per la vita della nazione. Suscitano consensi o dissensi, lottano e sono avversate, ma non ispirano repulsione. Nessuno odia Barbara Mikulski, Elizabeth Dole o Kay Bailey Hutchison; tutti rispettano la Rice e la Feinstein. Il problema di Hillary non è che è una donna, ma che a differenza di queste altre donne ha una storia che si presta al tipo di dubbi che finiscono per sfociare in timori. È vero che il 54 per cento dell’elettorato è composto da donne e che quel che rimane in loro delle simpatie femministe potrebbe essere ravvivato quest’anno da un forte appello a farvi leva. Non è vero che in genere le donne votino in blocco, ma probabilmente è vero - e io ritengo che lo sia - che in generale le donne siano caratterizzate da un grosso spirito di corpo. Bisogna fare i conti con quello che significa essere una donna nel mondo. Essere attiva a qualunque livello nella vita della nazione significa far parte di una grande controversia. Se si è una donna, tutte le attività e le battaglie in cui si è impegnate saranno per certi versi caratterizzate o rese più acute da quello che un tempo soleva chiamarsi sessismo. Non vi è una donna in America che non sia stata trattata con aria di superiorità. E mi riferisco a tutte le donne, non solo ad alcune (...). Il punto è che vi sono molte donne che per certi versi saranno portate a vedere la candidatura della Signora Clinton attraverso le lenti della propria esperienza, di qui la loro latente e reale solidarietà con lei, sempre che sia in grado di sfruttarla, cosa che pare stia tentando di fare. Ma prima di tutto, e forse di importanza ben maggiore, è che sia in grado di risolvere in maniera credibile e persuasiva quegli elementi che fanno parte della sua storia, e ripeto della sua storia, e che suscitano tanta viscerale opposizione nei suoi confronti. Sarebbe già qualcosa se si concentrasse su questo, o se almeno tentasse. Editorialista del Wall Street Journal © Wall Street Journal


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politica d i a r i o

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g i o r n o

Governo, il decalogo di Confindustria Niente «pagelle ai programmi» elettorali, né indicazioni di voto, ma dieci grandi temi per il governo che verrà. Così Confindustria presenta in un decalogo il suo modo di fare politica fuori dai partiti, con un obiettivo di fondo: la crescita economica, «vero bene comune» del Paese. Luca Cordero di Montezemolo chiede innanzitutto «governabilità, riforme, liberalizzazioni e privatizzazioni»: vale a dire riforme istituzionali, una nuova legge elettorale, federalismo fiscale, privatizzazione del patrimonio immobiliare degli enti locali. Tra gli altri punti: risanamento dei conti pubblici, riduzione delle imposte, detassazione dei premi di risultato e degli straordinari, la revisione delle quote per i lavoratori stranieri, semplificazione della burocrazia, rigassificatori e nucleare di nuova generazione.

Lavoro, strage a Molfetta: quattro morti Incidente alla Truck Center, nella zona industriale. Stavano lavando un’autocisterna per il trasporto di zolfo: il primo operaio si è sentito male per le esalazioni di acido solforico, gli altri si sono calati per aiutarlo. Un quinto in gravi condizioni. Napolitano: «Reagire a questa tragica catena». Prodi assicura «tempi rapidissimi» per il via libera alla normativa sulla sicurezza nel lavoro.

Berlusconi: «Nel Pdl no a candidati spot»

Per il Campidoglio il Pd ricostruisce l’alleanza dell’Unione

«Vecchio conio» Rutelli di Arturo Gismondi n un primo momento, l’election day decisa dal governo in carica aveva suscitato opposizioni fierissime, legittimate dal Quirinale per la quale il governo non avrebbe potuto procedere senza accordo con l’opposizione. Fu poi questa a cedere, un po’ il patriottismo delle buone ragioni, risparmiamo un po’ di soldi ed evitiamo qualche giorno di chiusura delle scuola. In più, e visto l’avvio della campagna elettorale, evitiamo l’impressione di un litigio fuori luogo. E così, alla fine, tutti d’accordo, vada per l’election day, ci giochiamo tutto in un giorno, le Camere, due regioni, la Sicilia e il Friuli-Venezia Giulia, 565 comuni, fra i quali nove capoluoghi, e fra questi Roma con annessa Provincia.

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Tutte insieme, le poste inserite dall’election day costituiscono tante piccole e grandi interferenze, e qualche incognita in più, rispetto al quadro sempre meno allineato dei due partiti maggiori autori di una riforma di fatto come risultato di una rinnovata offerta politica. Dalle provincie arrivano al centro, e soprattutto al Pdl, ma anche al Pd, molte lamentele. Laddove al voto politico si aggiunge quello amministrativo, gli schieramenti ne sono in qualche modo contagiati. Le alleanze cittadine, e peggio ancora nei piccoli centri, occupano l’attenzione dei dirigenti e degli attivisti locali, ne sono rivoluzionati, il Comune è lì, è la posta più appetibile, fra assessorati e aziende

comunali, fa dimenticare la politica quella in grande. Nelle regioni rosse, torna in auge l’Unione, vengono tessuti di nuovo quei rapporti che Veltroni si vanta di avere abbandonato. Ed è difficile polemizzare, o tenere le distanze, coi vecchi e nuovi compagni di ieri e di oggi. E a Roma Rutelli, il primo a scandalizzare con «gli alleati di nuovo conio» torna al vecchio rimettendo su l’alleanza con Bertinotti e Diliberto e col motto «patti chiari amicizia lunga», cinque anni e migliaia fra consulenti, esperti, Festa del Cinema e Auditorium di Renzo Piano, una manna lunga un anno. E può accadere che lo

L’impegno nazionale al «correre da soli» non vale per le amministrative, soprattutto a sinistra, cominciando dalla capitale sguardo limitato al particulare finisca per perdere di vista gli orizzonti nazionali. Lo stesso succede laddove il germe della divisione dovrebbe calare fra Partito o Popolo della Libertà e Udc, che tornano a mescolarsi. Il caso più importante è quello della Sicilia dalla quale dipende il controllo di una delle regioni più importanti ma anche, per la bizzarria del calcolo dei resti regionali una incerta maggioranza in Senato. E

c’è anche il Friuli, e ci sono tante realtà più piccole, difficili da cancellare. Nel loro libro Il Costo della politica, già un paio d’anni prima de La Casta, i senatori Salvi e Villone avevano dedicato all’argomento della politica che si fa professione e mestiere una congrua parte del saggio, soffermandosi in più su un fenomeno poco osservato, la evoluzione professionale delle attività politiche fino ai «livelli più bassi», piccoli consigli comunali, circoscrizioni nelle città più grandi, i vecchi «comitati di quartiere» fattisi municipi. L’estensione di emolumenti, sia pure limitati come possono essere nei comuni più piccoli, o nelle circoscrizioni, rappresenta un primo passo per l’avvio alla politica come mestiere, ed è proprio qui che nascono vocazioni e si muovono i primi passi che consentono di partecipare di attività più estese, la provincia, la regione, di gettare gli occhi, e di mettere un piede, nelle istituzioni intermedie.

È l’ingresso in politica di un ceto che una volta, per esempio nel vecchio Pci, costituiva l’attivo di partito, l’esercito degli agit prop capaci di penetrare negli anfratti più remoti della società. È quel che ha consentito al vecchio Pci di abbandonare il comunismo con tutte le sue pompe e di conservare una salda presenza nel territorio. Con quel che resta del dossettismo e della sinistra dc, è la base dell’attuale Pd, uno dei due partiti unificatori e padroni.

Intervenendo alla manifestazione del Partito dei Pensionati di Carlo Fatuzzo (determinante per la vittoria di Prodi nel 2006), il Cavaliere ha annunciato un nuovo contratto con gli italiani, «come nel 2001», e assicurato che nel Pdl non ci saranno «candidature spot» come quelle «tirate fuori dal Pd per blandire la borghesia»: «Queste candidature per la sinistra sono come il bikini: lasciano scoperto molto ma coprono le parti essenziali». Intanto nelle prossime elezioni politiche il Pdl presenterà all’estero solo il proprio simbolo e scompare il simbolo della lista Tremaglia.

Casini: «Il Cavaliere attacca perché stiamo crescendo» «Io non sono impegnato a polemizzare con Berlusconi. Lo faccio perché tirato per i capelli. Evidentemente ha una sua ossessione», dice il candidato premier dell’Unione di centro, spiegando che gli attacchi «mi confermano che il nostro progetto sta decollando. Parla di noi perché dai sondaggi veri che lui ha si accorge che stiamo crescendo»

Pd, Veltroni chiude le liste in anticipo Come si era impegnato a fare, il candidato premier del Pd chiude le liste elettorali con una settimana di anticipo. Ieri dal coordinamento nazionale il via libera alle candidature.

Bertinotti contro Calearo: «È un falco» L’annuncio che il leader di Federmeccanica correrà col Pd fa infuriare il leader della Sinistra Arcobaleno: «Con la candidatura di Massimo Calearo non indica un esponente dell’imprenditoria, ma della Confindustria. Di più: dei falchi della Confindustria, come si è visto nella vicenda del contratto dei metalmeccanici».

Udeur, fuga da Mastella Dopo l’annuncio di Mastella di far correre il partito in solitaria in tutta Italia, i maggiorenti dell’Udeur ufficializzano la rottura con il segretario del partito. Il primo a rendere pubblico il suo addio è il senatore Tommaso Barbato che, con una nota, informa: «Questo Udeur non è più casa mia». Il vicesegretario nazionale del partito, Antonio Satta, si è dimesso ieri mattina, con una lettera a Mastella. Stessa decisione l’ha presa Angelo Picano, segretario organizzativo del Campanile, e i deputati Gino Capotosti e Paolo Del Mese.

«La Dca nel Pdl con pari dignità» Giovedì, il segretario Dca Gianfranco Rotondi avrà a colazione Berlusconi e Fini. Il Cavaliere assicura: «Rotondi è stato tra coloro che hanno più creduto al Pdl, la sua presenza all’interno di questo nuovo, grande schieramento sarà di pari dignità».


politica

4 marzo 2008 • pagina 7

Il voto amministrativo ripropone lo schema Casa delle libertà In Lombardia Forza Italia e An tengono aperte le porte a Casini

La periferia resiste allo strappo del Pdl con l’Udc di Errico Novi

ROMA. Basta stringere il focus e cam- temi etici si fa sentire molto», dice ancobia tutto. In periferia il terremoto del ra Ciccanti: i registri per le coppie di fatcentrodestra arriva assai attenuato. Il to istituiti dalle amministrazioni di sinidivorzio romano è sconfessato in mezza stra sono insomma un fattore di coesioItalia, non solo in Sicilia. Anche nelle re- ne per l’ex Cdl. gioni del Nord, a cominciare dalla Lom- D’altra parte il voto amministrativo, abbardia, la vecchia alleanza tiene. Sarà binato alle Politiche con l’election day, si confermata nella maggior celebra in 3 regioni (oltre a parte delle città dove il 13 e Sicilia e Friuli c’è la Valle 14 aprile si vota per le eled’Aosta, che però va alle zioni comunali e provinurne il 25 maggio), in 16 ciali, oltre che per le politiprovince e in oltre 600 coche. Paradosso che ha immuni. «In Lombardia c’è plicazioni generali non irsolo una sfida che il Pdl rilevanti, soprattutto sulla può affrontare senza di noi propaganda. Sarà difficile con la certezza di vincere, che tra il Popolo della liquella per la Provincia di Varese», dice il segretario bertà e il partito di Pier Ferdinando Casini possa L’udc Ciccanti: «Un ve- regionale dell’Udc Luigi sopravvivere un livello di to dell’ultimo momen- Baruffi, «negli altri casi tensione così alto, quando to sul nostro simbolo siamo decisivi e i coordinatori di Forza Italia, An e Lesarà chiaro a tutti che il sarebbe un harakiri» ga lo sanno bene. Qualche candidato sindaco di Brescia o quello della Provincia di Udine giorno fa ho posto la questione con hanno alle loro spalle il centrodestra di chiarezza, ho spiegato che il nostro parsempre. A meno che non arrivi un contrordine all’ultimo minuto che faccia saltare tutto e vieti l’apparentamento locale con l’Udc. Definito «improbabile» dal senatore centrista Amedeo Ciccanti: «Una scelta del genere porterebbe alla sconfitta nel 70 per cento delle amministrazioni in cui si vota. È vero, Silvio Berlusconi ha sollevato un caso sul nostro appoggio a Renzo Tondo, il candi- tito non può permettersi di arrivare alla dato governatore del Pdl in Friuli. Gli è scadenza per la presentazione delle libastato un chiarimento con Fini per an- ste e scoprire all’ultimo momento che c’è un veto sulla presentazione del nonullare il veto». stro simbolo. Ecco perché ho detto ai Poi c’è il paradosso della Sicilia, dove miei colleghi che sono già pronte per il patto tra azzurri, finiani e Udc sembra tutte le città dove si vota, compre Breprefigurare una nuova vittoria alle Re- scia e Sondrio, candidati sindaci autonomi dell’Udc». Di gionali, grazie alla sintesi di fronte alla manovra Raffaele Lombardo e del suo cautelativa di Baruffi i Mpa, ma dove c’è anche la dissegretari di FI, An e sonante corsa solitaria della Lega non hanno certo Rosa Bianca di Baccini, Tabacgridato allo scandalo: ci e Pezzotta: «La nostra sarà «Altro che. L’azzurra una lista pulita, composta da Maristella Gelmini, il laici e cattolici», ha annunciato finiano Massimo Corieri il leader della formazione saro e il leghista Giandi centro alleata con Casini alcarlo Giorgetti hanno le Politiche. Stranezze che testimoniano quanto sia compli- Gelmini, coordinatrice tenuto a ribadirmi», cato metabolizzare le decisioni azzurra in Lombardia, racconta il coordinatoromane sul piano locale. E co- ha chiesto ai centristi di re centrista, «che l’Udc è gradita nelle alleanme sia difficile sradicare im- restare nell’alleanza ze locali, che è fondaprovvisamente la tradizionale alleanza tra Forza Italia, An e Udc. «An- mentale per lavorare in periferia. E che che perché nelle città la vicinanza sui non avrebbe senso far saltare il patto

con cui si governano tra l’altro la Regione e il Comune di Milano».

Che speranze potrebbe coltivare per esempio Adriano Paroli, il forzista candidato sindaco a Brescia, se venisse meno il simbolo di Casini? Poche, se si considera che il secondo capoluogo lombardo per numero d’abitanti ha un primo cittadino uscente molto forte, Paolo Corsini, pronto a fare da sponsor a un volto giovane del Pd. Eppure le fibrillazioni si registrano, Baruffi lamenta «l’esercizio polemico di quadri intermedi del Pdl che anche in contraddizione con i loro vertici regionali ci attaccano un giorno sì e uno no. È per questo che abbiamo comunque preparato le nostre liste e i nostri candidati sindaci: non vorremmo nella confusione dell’ultimo momento gli impegni debbano essere revocati. Non siamo nati ieri, né noi né loro». Considerazioni che nascondono il dubbio: possibile che Berlusconi e Fini decidano di uniformare la campagna eletto-

Friuli ha una situazione più tranquilla: «C’è il sostegno di Casini non solo alle Regionali, ma anche a Udine, sia per il presidente della Provincia che per il sindaco. L’indicazione arrivata da Roma finora è di confermare le alleanze di centrodestra, pur nel rispetto dell’autonomia delle singole comunità locali».

In qualche caso l’imbarazzo è difficile da gestire. Si pensi a Pescara, dove c’è un sindaco che è anche segretario regionale del Pd, Luciano D’Alfonso, pronto a ricandidarsi. E uno sfidante, Carlo Masci, che nella precedente tornata elettorale gli diede filo da torcere, finendo staccato per pochi voti al ballottaggio. Si dà il caso che Masci abbia aderito nel frattempo al partito di Casini. E che sarebbe ancora oggi l’unico in grado di battere D’Alfonso.Tanto è vero che i coordinatori regionali di An e Forza Italia, Fabrizio Di Stefano e Andrea Pastore, avevano inizialmente ipotizzato il sostegno del Pdl a Masci. «Poi l’intesa è saltata perché ci hanno posto condizioni difficili da accettare», dice il coordinatore abruzzese dei centristi, Antonio Menna, «alla fine il nostro Masci è in corsa, e mantiene l’accordo con la Destra di Storace oltre che con due liste civiche. Il Popolo della libertà ha deciso di schierare un proprio candidato sindaco, Luigi Albore Mascia, finiremo probabilmente al ballottaggio e gli altri conrale per le Politiche a quelfluiranno sul nostro nome». la per Comuni e Province e Soluzione problematica richiudano le porte a Casicondizionata evidentemenni? L’ipotesi sembra lontate dalle scelte nazionali. na ma escluderla del tutto Tutto questo mentre il censarebbe da imprudenti. Già trosinistra si ritrova unito ora il travaglio nazionale nella versione prodiana in produce conseguenze pemolte città, e ovviamente in santi, basti pensare al caso Sicilia. Con eccezioni che delle Comunali di Roma: fino a poche settimane fa Spiega il responsabile ricorrono soprattutto nelle Gianni Alemanno predica- Enti locali di An, Colli- regioni rosse, dove la Siniva la pacificazione con la no: «Le intese sono a stra arcobaleno è troppo forte per potersi nascondeDestra di Francesco Stora- macchia di leopardo» re dietro il candidato democe almeno per la sfida del Campidoglio, intuendo forse che sareb- cratico. C’è per esempio il caso di Pisa, be toccato a lui sventolare il drappo del con un post-fassiniano come Marco FiPdl. Adesso l’ex ministro alle Politiche lippeschi schierato dal ,Pd, un avversario agricole si trova ad affrontare Rutelli in bertinottiano e uno dei Comunisti italiaconcorrenza con l’ex collega del gover- ni, intenzionati ad andare da soli. Ma sono Berlusconi, oltre che con l’udc Lucia- no divisioni che difficilmente possono no Ciocchetti. E non fa certo salti di precludere la vittoria delle sinistre al balgioia. «È indubbiamente uno scenario lottaggio. Nell’ex Cdl invece si è ancora un po’ a macchia di leopardo», dice il re- sospesi tra il sopraggiunto tabù dell’alsponsabile Enti locali di Alleanza nazio- leanza con Casini e apparentamenti nale, Giovanni Collino, che però nel suo troppo timidi per essere seduttivi.

Paradosso in Sicilia, dove l’alleanza del centrodestra tradizionale resiste ma la Rosa Bianca annuncia di voler correre da sola. E in casi come quello di Pescara finiani e berlusconiani devono rinunciare a malincuore a sostenere il candidato centrista


pagina 8 • 4 marzo 2008

L’ITALIA AL VOTO lessico e nuvole

Tremate, Masaniello è tornato di Giancristiano Desiderio

La comunicazione politica sotto esame

A noi della Lega ci ”Basta Roma” di Arcangelo Pezza Se c’è un tratto distintivo delle campagne elettorali della Lega è la coerenza. Fin dalla sua nascita, il movimento padano ha preferito slogan chiari, semplici, talvolta rozzi, ma sempre efficaci. Con una tautologia rimasta famosa, Umberto Bossi sulla rive del Po intento a separare, nel nome del Dio Eridanio, l’Italia in due, raucamente urlò: «Perché la Lega è qualla roba là. Mica altro». La Lega è quella roba là, non c’è bisogno di spiegarla agli elettori incazzati del Nord che nel segreto dell’urna crociano l’Alberto da Giussano. E così, senza troppe raffinatezze da copyright, anche i manifesti rispecchiano quella roba là. Un tempo blu e gialli, adesso soprattutto rosso e blu, caratteri cubitali e poche parole tanto per non menare il torrone. In questi giorni, nel profondo del profondo nord alle porte della Betlemme della Lega, cioè Cassano Magnago paese avito del Bossi, le poche affiches in giro sintetizzano il Legapensiero: “Basta tasse. Basta Roma”.

Qusta volta però il claim è equivoco, soprattutto alla luce delle dimissioni del giovane due volte presidente della provincia di Varese, Marco Reguzzoni, che a meno di un anno dalla seconda elezione, ha lasciato per tentare la strada di onorevole. Abbandono anticipato che anche all’interno del suo partito ha generato non pochi malumori. Insomma, non vorremmo che quel “Basta Roma” debba essere inteso come “Ci basta Roma”. Visto che le torme leghiste come tutte le precedenti invasioni barbare da un paio di millenni, sono arrivate a Roma con l’estro di abbatterla e poi sono cadute preda dal suo fascino eterno: chi vitellonando, chi facendo seconda famiglia, chi ingrassando con pajata e rigatoni. “Graecia capta, ferum victorem cepit” dicevano un tempo i latini,“la Grecia conquistata, conquistò il feroce vincitore”. Così la Capitale ha conquistato i padani, che fanno a botte per andarci al grido di “Basta Roma”. Il resto (Jerago, Cavaria, perfino Premezzo) ve lo lasciamo volentieri.

L’imprenditore Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica, candidato nuovo di zecca del Pd del Walter, si è ambientato subito. «Non ho mai votato per il centrosinistra», ha detto, «ma ho scelto il Pd perché questo partito non rappresenta il centrosinistra ma è un partito moderno che può effettivamente cambiare il Paese». Ben detto: una frase generica che non significa un cavolo ma che va bene in ogni occasione e in ogni partito. Se avesse scelto il Pdl di Silvio avrebbe potuto dire: «È un partito moderno che può effettivamente cambiare il Paese». Non tutti, però, sono contenti della candidatura Calearo. Per Fausto Bertinotti il signor Federmeccanica «è un falco» e Giovanni Russo Spena agita Il Capitale contro il capitalista: «Il Pd lo deve raccontare ai lavoratori che il conflitto di classe non c’è più, non è moderno. Con la candidatura di Calearo, Veltroni ha raggiunto il massimo e personalmente credo che molti che a sinistra pensavano di dargli una chance ci stiano ripensando». Che bella la Sinistra Arcobaleno: ha classe per il conflitto. Poi c’è Mastella: «Ci considerano e ci trattano come terroni, ma con la nostra munnezza questa volta ci terremo anche i nostri voti e non li daremo né a Roma né a Milano». Tremate, Masaniello è tornato.

Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda

Il sondaggio dei sondaggi di Andrea Mancia

Pdl+Lega

la media di oggi Digis Ipr Swg Demop. Demosk. Crespi Ipsos 02 marzo

29 febbraio

27 febbraio

27 febbraio

26 febbraio

25 febbraio

25 febbraio

44,3

Udc+Rb

Pd+Idv

Sin-Arc

Destra

Socialisti

6,8

37,1

7,2

2,1

1,0 1,1 1,5 0,6 0,5 1,8 0,9

(-0,1)

(-0,1)

(-0,1)

(+0,3)

(+0,3)

45,2 43,0 42,7 45,0 44,0 44,3 45,9

6,9 7,0 7,4 6,0 7,0 7,5 6,2

37,9 36,0 37,2 37,0 36,5 35,5 39,4

6,5 7,5 7,2 8,0 8,5 7,0 6,2

1,3 2,5 1,7 2,0 2,0 3,6 1,7

(=)

La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.

Due nuovi sondaggi si aggiungono oggi alla nostra tabella. Il primo è quello di Ipr Marketing per Repubblica relativo alle intenzioni di voto del 28-29 febbraio. Rispetto al vecchio sondaggio Ipr (19 febbraio), la coalizione guidata dal PdL perde l’1,5% (colpa dell’arretramento di Lega e MpA), mentre quella guidata dal Pd guadagna altrettanto (+1% per il Pd e +0,5 per Idv). La distanza tra i due schieramenti, dunque, passa dal 10% al 7%, mentre arretrano leggermente Sinistra Arcobaleno (-0,5%), Udc+Rb (-1%) e Destra (-0,5%). Stabili i Socialisti all’1,5%. Una nota a parte la merita la scelta giornalistica di Repubblica.it che, nel pubblicare i dati relativi al sondaggio, titola: «Pdl ancora il testa: Pd a

meno sette. Ma il 13 aprile il pareggio è possibile», anche se utilizzando il pur controverso concetto di «massimo potenziale elettorale», il distacco tra i due schieramenti resta inchiodato al 7%. Il secondo sondaggio è quello di Digis relativo alle intenzioni di voto del 2 marzo. La sorpresa, rispetto alle analisi degli altri istituti di ricerca, è che la coalizione guidata dal PdL cresce (dell’1,8%) rispetto al sondaggio del 20 febbraio, mentre quella guidata dal Pd è in leggero calo (-0,4%). Il distacco tra le due coalizioni, dunque, passa dal 5,1% al 7,3% in una decina di giorni. Mentre Sinistra Arcobaleno, Destra e Socialisti sono - più o meno stabili, Udc+Rb perdono lo 0,8%.


L’ITALIA AL VOTO osa pensano gli operatori economici italiani delle prossime elezioni? Guardano a quanto è avvenuto e sta avvenendo nel mondo politico con la speranza che si tratti realmente di un passaggio significativo verso il superamento di quel bipolarismo imperfetto che in questi anni essi, a loro spese, hanno fin troppo ben conosciuto, o coltivano la pratica della disillusione, magari pensando che anche questo sarà un voto inutile? Sono preoccupati che al bipolarismo coatto segua un bipartitismo ancora peggiore, che ha di fronte a se l’alternativa di essere o “armato” – visto che i leader che lo incarnano hanno fino a ieri partecipato alla guerra bipolare – o “consociativo”? Oppure finiranno per farsi attrarre dal facile schema del “voto utile”in nome di una semplificazione tanto necessaria quanto pericolosa se tende ad escludere tutti?

C

Per capirlo liberal mi ha affidato il compito di un piccolo “viaggio”dentro le diverse realtà del nostro mondo economico. Viaggio del quale la prima tappa non poteva che essere il primario, l’agricoltura. Oggi rappresentata al meglio dall’associazione che raggruppa gli imprenditori agricoli e della filiera agroalimentare, la Confagricoltura, e in particolare dal suo presidente, il quarantenne Federico Vecchioni. Un uomo “nuovo” – brutta ma necessaria definizione in questa Italia affamata di leader che sappiano guardare al futuro - su cui si appuntano le speranze di coloro, e sono molti, che ne hanno le tasche piene di un sistema politico, quello della Seconda Repubblica, che ci consegna 15 anni dopo un’Italia nel pieno di un declino e di un degrado spaventosi. Incontro Vecchioni in una sede, quella storica di Confagricoltura, che parla da sola: contenitore old style, quasi a certificare i fasti di un tempo, ma struttura smart, consapevole che oggi un sindacato d’interessi deve guardare alla politica con il rispetto che si deve alla sua primazia ma anche con il sano desiderio di indurla a fare i cambiamenti necessari. «E che si debba cambiare non c’è dubbio», esordisce Vecchioni. «Io non so quante delle nostre attese verranno corrisposte, è ancora troppo presto per dirlo, ma so che se rimarremo delusi non ci sarà più alcuna delega in bianco. A nessuno». Vecchioni si domanda se siamo di fronte ad una semplice riformulazione della proposta partitica che fin qui abbiamo conosciuto – del tipo “mutando l’ordine dei fattori il risultato non cambia” – o se il superamento della frammentazione esistente è davvero la premessa per costruire un sistema politico più moderno, trasparente ed efficiente. La risposta la lascia aperta, ma è sicuro che se dovessimo assistere non ad uno sforzo sincero della cosiddetta “casta”di emendare i suoi vizi, ma all’ennesima rappresentazione dell’italico trasformismo, allora la legislatura sarà breve e queste che stiamo per affrontare saran-

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La classe dirigente. Viaggio tra gli operatori economici/Federico Vecchioni

«È ora di fondare la Terza Repubblica» di Enrico Cisnetto

Federico Vecchioni (nella foto a sinistra), presidente della Confagricoltura dice che: «Le organizzazioni imprenditoriali devono farsi trovare pronte per riformare gli assetti istituzionali». Sopra Giuliano Amato e Luca di Montezemolo

Il presidente di Confagricoltura ha invitato le undici confederazioni di impresa che avevano sottoscritto il manifesto della governabilità perché, subito dopo il voto, uniscano le forze no le ultime elezioni della Seconda Repubblica. «Quello che è certo», dice il presidente della Confagricoltura, sottolineando che ritiene che l’intero mondo produttivo nazionale condivida i suoi giudizi, «è che siamo arrivati a questo ennesimo appuntamento elettorale sfiduciati per un passato prossimo e un presente a dir poco deludenti, e preoccupati per un futuro che nessuno si sforza minimamente di delineare, come dimostrano i programmi dei partiti, specie dei due maggiori, e una campagna elettorale che sembra astrale, tanto non entra nel merito delle grandi questioni di fondo».

Gli chiedo se prevede un incremento dell’astensionismo. Risponde così.: «le ”non scelte” degli ultimi anni, l’appesantimento dell’apparato pubblico, la cronicità delle emergenze, hanno generato una pericolosa sfiducia nelle istituzioni elettive. Ma nel mondo produttivo non c’è qualunquismo. Certo, le attese sono tutte perchè si archivi definitivamente questa fallimentare stagione politica e se apra una nuova, una Terza Repubbli-

ca caratterizzata da una generale assunzione di responsabilità, che sappia abbinare stabilità e governabilità, ingredienti indispensabili per produrre il non più rinviabile progetto di modernizzazione del Paese, pena un declino davvero inesorabile». Ma cosa occorre fare, in concreto, per far uscire l’Italia dalle secche? Vecchioni fa riferimento al “manifesto per la governabilità” firmato da undici Confederazioni di impresa nel pieno della crisi del governo Prodi, «nel quale si sollecitava una precisa assunzione di responsabilità da parte della classe politica al fine di garantire, alle imprese ed ai cittadini, un’inversione profonda nelle modalità di confronto tra maggioranza ed opposizione sulle tematiche di interesse generale, dalla legge elettorale agli assetti istituzionali, passando da scelte strategiche per lo sviluppo dell’economia». E aggiunge: «credo che nel firmare quel ”manifesto” le organizzazioni degli imprenditori abbiano offerto anche un chiaro esempio di come poter superare con la buona volontà i particolarismi, gli egoismi settoriali, nell’interesse di obiettivi la cui rile-

vanza per il mondo della produzione costituisce fattore unificante».

Come dire: noi siamo uniti anche quando gli interessi divaricano, vediamo se la politica ci darà risposte dello stesso tipo e tono. Ed è per questo che il leader degli imprenditori agricoli ha scritto una lettera ai suoi colleghi perchè, subito dopo il voto, quelle 11 confederazioni uniscano le loro forze: «Una rappresentanza che voglia suggerire idee, proporre progetti e svolgere un’efficace azione di lobby non può presentarsi a Palazzo Chigi con più di 56 sigle, con 130 partecipanti ed altrettanti interventi dalla incisività non sempre significativa. Dunque occorre far sì che il ”manifesto per la governabilità” sia la prima tappa di un percorso di riforma strutturale dei corpi intermedi per meglio incalzare il Governo, le istituzioni, i partiti, per dar voce a chi in questo Paese ogni giorno produce ricchezza a favore di tutta la società». Vecchioni ha le idee chiare: «La prossima legislatura potrebbe essere Costituente, personalmente me lo auguro e credo sarebbe importante, che sulla riforma degli assetti istituzionali del Paese, le organizzazioni imprenditoriali non si facessero trovare impreparate o, peggio ancora, divise». Chiaro, no? (www.enricocisnetto.it)


pagina 10 • 4 marzo 2008

mondo

Patto di ferro fra il “delfino” di Russia e il suo mentore. Ma la strategia del presidente uscente reggerà?

Un successo e il merito sarà di Putin, un errore e la colpa sarà di Medvedev di Enrico Singer l day after delle elezioni presidenziali russe ha seguito una sceneggiatura in tre atti. Il primo è stato l’annuncio della percentuale definitiva della vittoria di Dmitrij Medvedev e ha confermato l’abilità degli strateghi del Cremlino nel dosare gli ingredienti di un successo scontato: il 70,2 per cento dei voti è un plebiscito, sì, ma è pur sempre un risultato di un punto inferiore al record che stabilì Vladimir Putin quattro anni fa. Ed è il trionfo del politicamente corretto in salsa moscovita: il delfino non poteva superare il suo padre-padrone. Sarebbe stato un imperdonabile peccato di lesa maestà e, naturalmente, non è stato consumato. Quel 70,2 per cento, tuttavia, travolge di quasi quattro punti il risultato ottenuto nelle elezioni politiche del 2 dicembre scorso da Russia Unita, il partito di Putin, e anche questo è un segnale preciso della forza dell’investitura con la quale il nuovo Presidente si presenta sulla scena. Poi c’è stato il secondo atto del day after: Andreas Gross, l’osservatore spedito a Mosca dal Consiglio

I

d’Europa, ha dichiarato che «il voto non è stato equo», ma la sua voce è stata immediatamente coperta da quella di tutti i leader di ogni angolo del globo che si sono congratulati con Medvedev, a partire da George W. Bush. E, ancora una volta, tra gli europei, sono stati Nicolas Sarkozy e Angela Merkel a battere tutti sul tempo aggiungendo alle felicitazioni l’invito a fare una visita in Francia e in Germania. Il terzo atto di questa giornata è segnato dai commenti che s’intrecciano tra le diverse capitali. Anche qui con denominatore comune: ci si chiede quanto potrà essere diversa la Russia di Medvedev da quella di Putin.

chi spera in una possibile svolta: non tanto perché lo stesso Dmitrij Mevdedev ha promesso una politica di liberalizzazioni, quanto perché il suo dna postcomunista lo rende oggettivamente diverso da qualsiasi altro dei suoi predecessori, Putin compreso, e col tempo potrebbe addirittura metterlo in rotta di

C’è chi scommette che nulla cambierà, che il “reggente” del Cremlino sarà il campione della continuità e seguirà alla lettera le direttive che Putin, nei suoi nuovi panni di primo ministro, gli farà avere esattamente come avveniva quando era capo del suo staff o era alla testa di Gazprom, il principale braccio economico del potere russo. E c’è

collisione con lui. Ma, attenzione: queste due ipotesi sono soltanto apparentemente antitetiche. È molto probabile che in Russia ci saranno davvero delle novità: ma saranno quelle che Vladimir Putin vorrà sperimentare attraverso il suo clone che s’insedierà il prossimo 7 maggio al Cremlino. Trovandosi, per di più, in una posizione di privile-

Sono molte le patate bollenti che si troverà in mano il neo presidente: dalla Nato al Kosovo, dall’economia all’energia

gio. Se le modifiche di rotta dovessero rivelarsi un errore le colpe ricadrebbero su Medvedev. Se fossero un successo Putin riuscirebbe agevolmente ad attribuirsene il merito. La Russia ha bisogno di modernizzare la sua economia: di ricostruire le infrastrutture del settore energetico che non sfrutta ancora tutte le sue potenzialità, di recuperare un’agricoltura uccisa dai piani quinquennali e di dare credibilità a un sistema finanziario mai decollato oltre i confini di una accettabile trasparenza.

Dal suo nuovo ufficio nella Casa Bianca di Mosca - la sede del governo russo - Vladimir Putin potrà sperimentare attraverso Medvedev quei cambiamenti che, dal Cremlino, in prima persona, lo avrebbero esposto più a pericoli che a vantaggi. Anche in politica estera. Nei confronti della Nato, per esempio. Dalla crisi innescata dalla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, allo scontro con gli Stati Uniti sul progetto di scudo antimissile lanciato da Bush, Mosca ha molte partite aperte in que-

sto momento che Putin ha volutamente lasciato in sospeso. Aspettando il risultato delle elezioni presidenziali americane, certo, ma anche aspettando di avere in casa una “spalla” sulla quale poter contare nel gioco di aperture e di irrigidimenti che sta per cominciare su tutti i capitoli che sono sul tavolo. La strategia di Vladimir Putin, del resto, è stata chiara sin dall’inizio: da quando ha scelto proprio il ”tecnocrate” Medvedev come suo successore designato scartando l’altro pretendente, il falco Sergheij Ivanov, ex ministro della Difesa. L’investitura di Dmitrij Medvedev è stata, già allora, un segnale preciso. Nella ”Russia della Reggenza”che sta per cominciare le parti sembrano decise: al futuro inquilino del Cremlino il compito di gestire il nuovo, a Vladimir Putin quello di indicarne la sostanza e i limiti fino, eventualmente, a bloccare tutto. Se questo disegno si realizzerà sarà soltanto il tempo a dirlo. I primi segnali - Gazprom ha di nuovo tagliato i rifornimenti all’Ucraina - non sono incoraggianti.


mondo

4 marzo 2008 • pagina 11

Gli «hattivisti» di Anonymous contro la setta di Hubbard e Cruise

La rete ha dichiarato guerra a Scientology di Maria Maggiore

BRUXELLES. Il prossimo appuntamento è fissato per il 15 marzo. In un luogo ancora non precisato di Bruxelles si riuniranno gli aderenti belgi di «Anonymous», il movimento di internauti contro Scientology. L’ultima volta, il 10 febbraio scorso, si sono visti nel Parco Royale, in pieno centro della città. Non una folla, ancora, ma tutti sotto i trent’anni, vestiti di nero con maschere e foulard, distribuivano volantini contro la setta e spiegavano che «ora basta, bisogna uscire dal silenzio in cui i seguaci di Ron Hubbard costringono il mondo, attaccando chiunque voglia parlare dei loro metodi e delle loro idee». Fine della manifestazione in rue de la Loi, arteria del quartiere europeo, dove si trova la sede di Scientology. Ma il Belgio è solo una costola del movimento mondiale che si sta scatenando intorno alla setta. Internet aiuta. In gennaio un video del 2004 con Tom Cruise che decanta i pregi della Chiesa di Scientology, è stato inviato a You-Tube. In pochi gioni due milioni di naviganti l’hanno visto: elogi della setta, riconoscimento di Cruise come il numero due della Chiesa, critica feroce agli psicofarmaci. Insomma, sul video c’era tutto il condensato dei “valori” di Scientology. La setta l’ha fatto riti-

rare, minacciando di aprire un processo. Allora la resistenza è partita. Il 16 gennaio, un gruppo di «hattivisti» (hacker + attivisti), con lo pseudonomo di «Anonymous», ha messo in rete un comunicato in cui si dichiara «guerra totale alla setta». Nome in codice dell’operazione: «Progetto Chanology». Obiettivo: «Vogliamo difendere il diritto alla libertà d’espressione, un diritto sistematicamente violato da Scientology per la sua volontà di far tacere gli avversari». Migliaia di internauti si sono scatenati. Hanno mandato in tilt il sito ufficiale di Scientology collegandosi tutti nello stesso momento. Hanno manipolato google per fare in modo che alla

AIRBUS BATTE BOEING

È scontro Usa-Europa per gli aerei cisterna Il colpo messo a segno negli Stati Uniti da Eads - il consorzio europeo che produce gli Airbus - è davvero grosso: la fornitura al Pentagono di 179 aerei da rifornimento in volo. Un contratto da 35 miliardi di dollari in dieci anni che è in grado, da solo, di raddrizzare le sorti del gruppo franco-tedesco in difficoltà per i ritardi del super-Airbus a due piani da trecento passeggeri, presentato lo scorso anno, che non è ancora in linea di produzione. Ma la scelta compiuta dalla US Air Force ha mandato su tutte le furie l’americana Boeing che era l’altra concorrente nella gara. Naturalmente anche Eads per ottenere la maxi-commessa si è associata con un produttore statunitense: la Northrop Grumman, specializzata in velivoli militari, che assemblerà gli aerei - del tipo A330 cargo - nei suoi stabilimenti in Alabama. Tanto che il ge-

ricerca di «culti pericolosi» appaia subito il sito della setta e quando, al contrario, si cerca di entrare nel sito, vengano fuori informazioni critiche con testimonianze da brivido di ex-affiliati. L’hanno chiamata google war o google bombing. Una frode virtuale che sembra funzionare. Gli iscritti all’Anonymous dovrebbero essere circa 9 mila. Ma anche la potente Chiesa/setta di Tom Cruise si organizza usando la Rete. Negli ultimi anni sono stati aperti migliaia di siti, on line viene venduto uno «start kit» per cominciare il cammino con dentro dvd e un programma informatico che blocca la visione di programmi pericolosi per i bambini. E a Bruxelles Scientology ha comprato vari palazzi (10 mila metri quadri di superficie) per trasferire il suo quartier generale europeo dalla mite Copenaghen al cuore dell’Europa. I palazzi si trovano infatti a pochi chilometri dalle istituzioni europee, obiettivo della loro potente lobby, e solo a qualche centinaio di metri dal tribunale dove, tra pochi mesi, dobrebbe cominciare un vasto processo contro le pratiche di Scientology in Belgio. Truffa, esercizio illegale della medicina, minacce e ricatti, i capi d’imputazione. L’accusa è di funzionare come un’organizzazione criminale.

d i a r i o

g i o r n o

Carri armati a Yerevan L’Armenia è improvvisamente precipitata nel caos e a Yerevan carri armati e forze armate presidiano tutte le vie di accesso al centro della città. Il presidente Robert Kocharian ha proclamato lo stato di emergenza e fino al 20 marzo non sarà permesso nessun assembramento nelle strade. La crisi è scoppiata dopo le elezioni presidenziali del 19 febbraio scorso, vinte col 53 per cento dei voti da Serge Sarkisyan, un alleato del presidente Kocharian. Ma il candidato perdente, Levon Ter-Petrosian, si è proclamato a sua volta vincitore, accusando gli avversari di aver truccato i risultati. Otto persone sono già rimaste uccise negli scontri.

Lula media in America Latina Le truppe di Venezuela e di Equador si sono disposte nei pressi del confine con la Colombia, a dimostrazione dell’aggravarsi della crisi diplomatica tra questi tre Paesi dopo l’uccisione, da parte delle forze colombiane, di un leader della guerriglia, operazione avvenuta in territorio ecuadoregno. Il presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva ha telefonato a Chavez, a Correa e al presidente colombiano Alvaro Uribe per evitare lo scoppio di un conflitto.

Yushchenko contro Tymoshenko Il presidente ucraino Viktor Yushchenko ha lanciato un appello perchè il governo di Kiev intensifichi i negoziati con il gigante del gas russo Gazprom, al fine di evitare lo scoppio di una nuova “guerra del gas” con Mosca. Il presidente - nel corso di un faccia a faccia con il primo ministro Yulia Tymoshenko - ha sottolineato che l’obiettivo principale ora è quello «di mantenere negoziati dinamici» con Gazprom, che da ieri mattina ha tagliato le forniture di metano verso l’Ucraina del 25 per cento, a causa del mancato pagamento dei debiti regressi - così come minacciato nei giorni scorsi.

Rimpasto nel governo Sarkozy? Il divario tra la popolarità in calo del presidente francese, Nicolas Sarkozy, e quella in salita del premier, François Fillon, è confermato anche nell’ultimo di una serie di sondaggi. La situazione ha creato un raffreddamento dei loro rapporti: non al punto da evocare un divorzio politico, ma più probabilmente un ripensamento della composizione del governo o della squadra dell’Eliseo.

Kenya, sangue nella Rift Valley A pochi giorni dall’accordo di pace, almeno 15 persone sono rimaste uccise in un attacco lanciato in un villaggio nella provincia occidentale della Rift Valley. Secondo fonti locali sei persone sono state bruciate vive nella loro casa, altre sei uccise con il machete e altre tre a colpi di arma da fuoco.

vi si dirà di Enrico Singer

nerale Arthur Lichte, capo dell’Air Mobility Command che gestisce la flotta degli aerei-cisterna, ha detto che «è scorretto sollevare una questione nazionale» e che i nuovi jet da rifornimento «sono americani al cento per cento». La Boeing, tuttavia, è decisa a presentare ricorso e ha l’appoggio di una parte del Congresso. Duncan Hunter, il rappresentante repubblicano nel Comitato per le forze armate, ha contestato la scelta del Pentagono che - ha detto - «favorisce proprio quei Paesi europei che sono più freddi nella guerra al terrorismo e che danneggia l’industria aerospaziale anericana e i contribuenti». Nel partito repubblicano le uniche voci fovorevoli al contratto sono state quelle dei due senatori dell’Alabama, Richard Shelby e Jeff Ses-

d e l

sions. Tra i democratici, per ora, prevale una linea d’attesa. Ma sembra inevitabile che anche questa vicenda finirà per pesare nella campagna presidenziale. E che il risultato della corsa alla Casa Bianca influrà poi sulla sorte del contratto. GRAN BRETAGNA

I terroristi in carcere fanno nuove reclute L’allarme lo hanno lanciato i direttori delle carceri britanniche in una lettera comune inviata al ministro dell’Interno, signora Jacqui Smith: i terroristi cercano di fare proseliti per la lotta armata tra i detenuti comuni. Soprattutto tra quelli che stanno per tornare in li-

bertà. Che le prigioni, più che luoghi di recupero sociale, diventano in molti casi una specie di ”scuola del crimine” era noto da tempo. E non soltanto in Gran Bretagna. Ma quello segnalato nella lettera è un pericolo nuovo che interessa in particolare i cinque istituti di massima sicurezza del Paese: i penitenziari di Frankland a Durham, di Full Sutton vicino York, di Long Lartin nel Worcestershire, di Wakefield nello Yorkshire e di Whitemoor nel Cambridgeshire. In queste prigioni ci sono già 130 terroristi condannati o in attesa di giudizio che convivono con altri detenuti e che - secondo la denuncia dei direttori - avrebbero stabilito dei contatti con le vere e proprie bande interne che, in qualche modo, hanno il controllo della popolazione carceraria. Attraverso questi contatti i detenuti-terroristi vorrebbero reclutare nuovi ”combattenti”. E il personale di vigilanza non è in grado di fronteggiare questa emergenza che si aggrava ogni giorno.


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speciale

economia

NordSud

Nel 2008 si scommette su una stretta bancaria E l’Europa si mostra più rigida sui prestiti

L’ERA DEL CREDIT CRUNCH di Enrico Cisnetto ufficiale: nel 2008 l’economia mondiale dovrà affrontare – e in alcuni casi lo sta già facendo – un credit crunch, una stretta del credito. Gli elementi di spiegazione per quanto sta accadendo sono molteplici. Intanto, su scala globale, bisogna mettere in conto la mancanza di liquidità internazionale dovuta alla vicenda dei mutui subprime – e le ultime stime parlano di perdite nell’ordine dei 300 miliardi di dollari –, l’incapacità di valutazione del rischio e la conseguente crisi di fiducia, che condiziona il trasferimento tra banche delle risorse finanziarie, aumentando così per gli istituti di credito il costo della provvista sui mercati internazionali. Sul piano continentale, invece, si devono fare i conti con la politica della Banca centrale europea, che mantiene i tassi europei più alti di quelli americani (con gli effetti che tutti conosciamo sul costo del denaro per le aziende) e le nuove regole contabili introdotte con Basilea 2.

È

In ogni caso, quella della difficoltà a reperire crediti è una realtà che le aziende americane stanno già vivendo sulla propria pelle. Ben Bernanke ha lanciato l’allarme a metà febbraio, dopo che un sondaggio della Fed ha rivelato che l’80 per cento delle banche ha reso più severi i requisiti per concedere un mutuo per edilizia commerciale. Lo stesso è avvenuto nei mutui residenziali non tradizionali nell’85 per cento delle banche. Nel Vecchio Continente, dalla consueta inchiesta condotta dalla Banca centrale europea, la Bank lending survey, è emer-

Il combinato disposto tra crisi dei subprime e rigidità della Bce so che gli istituti che riferiscono di un irrigidimento degli standard per l’approvazione dei prestiti alle imprese sono arrivate al 41 per cento nel quarto trimestre del 2007, contro il 31 registrato nel trimestre precedente. Eppure, in uno scenario del genere, in l’Italia il credit crunch sta avendo a oggi effetti meno dirompenti rispetto al resto del mondo. Secondo l’Abi, gli impieghi complessivi delle banche italiane in gennaio sono aumentati, su base annua, del

9,4 per cento, con una crescita inferiore al +9,9 di dicembre 2007. Questa dinamica è sostenuta dai prestiti a lungo termine (+11,4 per cento) più che da quelli a breve (+6,2).

Il dato è interessante, perché la fetta di questi prestiti, che compete al comparto produttivo, testimonia una maggiore tendenza all’investimento da parte delle aziende, rispetto all’indebitamento ”di copertura” contratto per far fronte ai pagamenti. Ma prova anche che ci

sono forti segnali di rallentamento nell’economia italiana, soprattutto sul fronte delle piccole e medie imprese. In più, c’è il problema dello spread in crescita: il tasso medio ponderato sul totale dei prestiti a famiglie e società non finanziarie ha toccato nel primo mese dell’anno il suo massimo storico (6,22 per cento contro il 6,17 di dicembre). Nel gennaio del 2007 era al 5,52 per cento. E di conseguenza, rispetto a due anni fa, il rialzo è stato di 150 punti base.

Ma veniamo al credit crunch all’italiana. Primo: è certamente vero che il combinato disposto dell’entrata in vigore delle norme di Basilea 2 – l’accordo internazionale per la gestione del rischio di credito che prevede anche un severo giudizio di

merito sulle aziende che vogliono accedere ai finanziamenti – e della tensione nei mercati finanziari scoppiata con la crisi dei mutui subprime, ha ingenerato un atteggiamento più prudente da parte delle banche del nostro Paese nel concedere finanziamenti alle imprese. Secondo: in ogni caso, la tendenza, in verità già visibile dall’autunno scorso, non ha assunto finora – né è probabile, ceteris paribus, che lo faccia in seguito – le dimensioni di una stretta vera e propria: per la Banca d’Italia la restrizione dei criteri adottati per l’erogazione dei prestiti è stata addirittura meno intensa in Italia rispetto al resto dell’area euro. Terzo: i tassi di crescita del credito bancario alle società non finanziarie restano ancora molto alti. Nel 2007 sono aumenta-


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MERCATO GLOBALE

Nei forzieri del Cremlino di Gianfranco Polillo a vittoria di Medvedev come vice-re della Russia era scontata. Il delfino di Putin più che partecipare a una normale elezione democratica è stato protagonista di un referendum pro o contro il vero zar – lo stesso Putin – che governa il Paese da circa un decennio. Operazione ben congegnata quella appena conclusa. Nello stesso giorno, le differenti etnie di quel grande Paese hanno scelto il loro presidente e il loro primo ministro. Cambio dei ruoli e delle facce, ma la sostanza rimarrà la stessa. Mutare tutto perché ogni cosa resti la stessa: la vecchia regola del Gattopardo ha avuto ulteriore conferma. Putin doveva abbandonare il Cremlino, dopo la sua lunga permanenza, per motivi di carattere costituzionale. Ed ecco allora lo scambio di poltrone. Un suo fedelissimo ne prenderà il posto, ma sempre a lui resterà lo scettro del comando. Il tutto legittimato da un bagno elettorale che mai, come questa volta, ha assolto a una funzione puramente decorativa. Gli altri possibili candidati avevano abbandonato la partita ancor prima di cominciarla. L’aveva abbandonata Vasily Aleksanyan, grande boiardo di Stato, costretto ad appellarsi alla Suprema Corte per curarsi contro l’Aids. La sua colpa? Aver osato sostenere la difesa di Mikhail Khodorkovsky, altro oligarca, da tempo in carcere. A contrastare l’ascesa di Medvedev rimanevano sono due estremisti: il nazionalista Vladimir Zhirinovsky e Gennady Zyuganov il nostalgico del vecchio Pcus. Roba da poco: una volta eliminato Mikhail Kasyanov, ex primo ministro dello stesso Putin, colpevole, secondo la Commissione elettorale centrale, di irregolarità nella raccolta delle firme per la propria candida-

L

In Italia iniziano a temere le piccole e medie imprese: finanziamenti a rischio? ti del 14,4 per cento (a fronte di un +13,7 registrato nella media di Eurolandia) e le previsioni per questo anno segnano un rispettabilissimo incremento del 9,5. Certo, siamo di fronte a un dato minore rispetto all’anno scorso, ma alla fin fine è sostanzialmente in linea con il generale rallentamento della congiuntura internazionale.

Però, basta grattare un pochino la superficie per notare che non è tutt’oro quel che luccica. O meglio ancora, che l’oro non luccica per tutti. Una parte del buon andamento del credito bancario è spiegabile, infatti, con il venir meno di altre forme di finanziamento come le obbligazioni, sia a livello europeo sia italiano. E i dati di previsione, soprattutto, ci dicono che la richiesta di denaro in prestito verrà soprattutto dalle imprese grandi (in Eu-

ropa) e dalle medie (in Italia), le quali continueranno a correre grazie ai mercati di sbocco extraeuropei. Ma certo non potranno approfittare del cambio favorevole euro-dollaro – da quel punto di vista – per effettuare acquisizioni, visto che comunque il denaro continuerà a essere troppo caro.

Si stima invece che le piccole (ovvero la stragrande maggioranza, soprattutto da noi) reagiranno alla stretta riducendo la domanda di credito dal 6 al 4,5 per cento. Un decremento sostenibile nel breve periodo: così, probabilmente, riusciranno a ”rimanere a galla”un altro po’. Ma il prezzo da pagare sarà comunque molto caro, visto che dovranno rinunciare a investire nel campo dell’innovazione e per crescere. Insomma, da qualunque parte la si guardi, in Italia la situazio-

ne rimane sempre la stessa: l’imprenditoria, storicamente carente di capitale privato e di rischio, è iperdipendente dal sistema bancario. Fioccano rapporti e studi sull’evoluzione che il sistema produttivo avrebbe registrato grazie a una riorganizzazione, che ha già toccato molti settori (manifatturiero, moda, agricoltura). Il che è vero, ma come andiamo ripetendo (inascoltati), questo è appannaggio di una estrema minoranza, significativa sotto il profilo qualitativo, ma che è pur sempre il prodotto residuale di una depauperazione andata avanti per scremature, senza effettivo ricambio.

Per questo, il processo di transizione, per andare a compimento, necessiterebbe ancora di ingenti finanziamenti. Eppure, oggi la rarefazione del credito per le ”piccole”può generare al massimo un effetto selettivo, non certo aiutare la riconversione di un apparato produttivo nella maggior parte dei casi ancora bolso e obsoleto. Con il rischio di lasciare incompiuta una transizione che sembra infinita. (www.enricocisnetto.it)

tura. Il tutto accompagnato da una ciliegina sulla torta: vale a dire l’ammissione di Andrei Bogdanov, lo sconosciuto leader del partito democratico, che nelle elezioni per il Parlamento aveva preso meno di 90mila voti. Chi potrà dire che le elezioni sono state pilotate dagli apparati di governo? Putin ha quindi vinto su tutta la linea, mentre l’Europa si interroga sulla validità complessiva di quelle elezioni. Ha vinto grazie all’uso spregiudicato del proprio potere, al pugno di ferro esercitato nell’eliminare ogni suo possibile avversario, alla furbizia mostrata nel candidare un giovane avvocato, che sebbene suo fedele collaboratore da tempo immemorabile, non è tuttavia un silovki. Un vecchio quadro del Kgb. Ha vinto per tutto questo, ma non solo. Ancora nel 1998 la Russia sembrava finita. Il rublo era divenuto carta straccia. L’inflazione era galoppante. Le finanze allo stremo. Nel Paese mancava tutto: cibo, beni di consumo, energia per ripararsi dai freddi polari. Nonostante le immense riserve di gas naturale, il rischio di default era imminente. Putin ha invece realizzato un miracolo. Dal 2000 la Russia si è sviluppata a un ritmo del 7 per cento annuo. Il suo reddito complessivo è aumentato del 50 per cento. Le riserve valutarie ammontano oggi a 500 miliardi di dollari. E a 45 i soli investimenti esteri. Certo Putin è stato fortunato: la crescita dei prezzi del petrolio ha spinto verso l’alto quelli del gas – il suo Eldorado – consentendo a Mosca di entrare nel club esclusivo dei maggiori 10 Paesi della Terra. Se oggi Putin vince le elezioni, gran parte del suo successo si deve a questi risultati. I difetti del suo dispotismo sono evidenti. Ma sull’altro piatto della bilancia ha pesato ben altro.


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speciale economia

NordSud

libri e riviste

L’analisi (fiduciosa) dell’economista Donato Masciandaro

«Ma gli States pesano sempre meno»

M

colloquio con Donato Masciandaro di Alessandro D’Amato a crisi di fiducia è un problema soprattutto americano. La recessione Usa non può rallentare più di tanto la crescita mondiale. L’Italia non soffre per il credit crunch ma una riforma del sistema di vigilanza è imprescindibile. Donato Masciandaro, direttore del centro Paolo Baffi sulle Banche centrali e sulla regolamentazione finanziaria dell’università Bocconi, si distacca dal pessimismo imperante. E disegna un panorama non catastrofico per l’economia globale, nel quale l’Italia potrebbe superare senza grandi intoppi la restrizione del credito. Ma guai a dimenticare i problemi del nostro sistema bancario. Da risolvere ce ne sono molti, «soprattutto sul piano della regolamentazione». Nouriel Roubini parla di 12 tappe verso una crisi mondiale del sistema finanziario. Il presidente

L

cente per la Bce seguire questa strada. Nella teoria economica, quello a cui stiamo assistendo è un tipico esempio di “trappola della liquidità”, con la Fed impegnata alla stregua di un medico pietoso a drogare il suo paziente, senza però curarlo. E lui a sua volta ne chiede sempre di più. Allora è crisi profonda? Qualche segnale positivo, per la congiuntura mondiale, c’è. L’economia americana, pur rappresentandone una larga parte, è sempre meno importante nel computo totale. Penso all’Asia, a Cina e India: sono loro che possono tenerci fuori da una virata negativa. E in ogni caso il settore “reale” dell’economia non sembra interessato più di tanto agli scricchiolii finanziari. Insomma, ce ne sono di motivi per vedere il bicchiere mezzo pieno. Il sistema creditizio vive una crisi di fiducia?

La crescita di Cina e India può tenerci fuori da una virata negativa della Fed, Ben Bernanke, non esclude il fallimento di alcune banche. Che cosa ci riserva il futuro? Nelle sue previsioni il mio amico Nouriel tende ad avere uno sguardo pessimista. Bernanke fa una fotografia che conferma le difficoltà del sistema bancario, le quali nascono da una crescita aggressiva perseguita assumendo rischi eccessivi. E auspica un ritorno del sistema stesso a un profilo “fisiologico”. In più, la preoccupazione sulla crescita economica spinge la Fed ad abbassare i tassi. È una strategia efficace? Sinceramente, penso che sia inutile. E sarebbe controprodu-

In America sicuramente sì. E mi permetto di aggiungere che questa è stata causata da authority largamente inefficiente. Negli Stati Uniti convivono un centinaio di regolatori, il sistema dei controlli è catturato dalla politica a livello locale e federale, perché ovviamente si trasforma in un bacino di voti. Nel Vecchio Continente, paradossalmente, abbiamo meno problemi di turbolenza finanziaria proprio perché sulle regole si è ragionato meglio. C’è stata, però, una crisi di liquidità nel tasso interbancario. Ma è rientrata abbastanza rapidamente e il termometro oggi

sull’asse entre Milano Brescia volano parole grosse tra gli azionisti – cioè gli enti pubblici – di A2A, l’Istituto Bruno Leoni consiglia agli storici partner di Asm Brescia di fare un passo in più. Abbandonare ogni personalismo per fare una reale privatizzazione sul mercato, anche senza i soci milanesi, per diventare la seconda utility italiana sul modello della Rwe. I benefici che i ricercatori dell’Ibl (Erik Longo, Alan Patarga, Sara e Serena Sileoni, Stefano Verde) riscontrano: velocizzare i processi di aggregazione, garantire maggiori utili e migliori servizi per l’utenza. Privatizzare Asm. Perché Brescia può star meglio senza A2A Il paper si può scaricare da www.brunoleoni.it

segnala temperature più basse. Qual è stata la ricetta? Questo perché i mercati regolamentati come le Borse hanno reagito meglio, svolgendo la loro funzione e permettendo a chi ne aveva bisogno di rientrare in liquidità. E vorrei far notare che questo dovrebbe far riflettere sulla moda di deregolamentare al massimo i mercati: tra quelli regolamentati e quelli spezzettati in nome della competizione, preferisco di gran lunga i primi. Soprattutto, dobbiamo cercare di imparare dagli errori degli Stati Uniti. Intanto a gennaio gli impieghi complessivi delle banche italiane sono aumentati del 9,4 per cento, con una dinamica sostenuta dai prestiti a lungo termine più che da quelli a breve. E in primo luogo vuol dire che in Italia non ci sono rischi veri di credit crunch. Il rallentamento dei prestiti a breve è spiegabile soprattutto con il comportamento delle famiglie, e con il fatto che il credito al consumo, da noi, è ancora molto sottile. Il che è un bene perché ci mette al riparo da eccessi come quelli che vediamo Oltreoceano. Eppoi il credito subprime, cioè quello dato a clienti non solvibili, da noi è illegale. E questo non può che essere positivo. Più delicata sembra la posizione delle aziende. Per quanto riguarda le imprese, contrarre debito a lungo è un buon segno. E comunque, a parte le schermaglie dialettiche, sono convinto che le aziende abbiano contezza del fatto che la struttura dei tassi resta ancora bassa. A breve saranno presentati i bilanci degli istituti. Cosa dobbiamo aspettarci in termini di perdite e accantonamenti? Nessuna brutta sorpresa, secondo me. Il sistema è solido. Certo, le banche nel futuro prossimo dovranno rivedere il

loro sistema di business, puntando meno su quella “innovazione finanziaria” che prima sembrava un must imprescindibile, e oggi sembra quasi una parolaccia. Le nostre banche hanno capito che stare sul territorio conta. Non a caso il messaggio pubblicitario dei nostri due maggiori istituti – e che suona ”siamo un insieme di banche che operano sul territorio” – è pregno di significato. Basterà alla clientela? Le aziende di credito devono comunicare meglio con l’utente: il legislatore pretende che il cliente sia inondato di tomi chilometrici che poi, giustamente, non ha nemmeno il tempo di leggere. Ecco, le banche devono impegnarsi per farsi comprendere e semplificare. Riorganizzazione delle Authority, riforma delle popolari, paletti ai conflitti d’interessi tra banche e intermediari, nuova tassazione per i fondi. È lunga la lista di urgenze per il prossimo governo? Sono tasselli fondamentali, ma più urgente è semplificare il sistema delle Authority. Lei guarda a un’Authority europea che vigili sui grandi istituti e a una italiana per quelli più piccoli. Sì, e le possibilità che venga accolta non sono molte: non c’è alcun interesse a razionalizzare le funzioni di vigilanza. Eppure, sarebbe positivo che l’Europa, così come ha creato l’autorità monetaria, faccia lo stesso con la vigilanza creando due livelli: uno federale e uno nazionale. I nostri due istituti principali si rapporteranno ai loro competitor europei, i “piccoli” sarebbero spinti verso un percorso di razionalizzazione. Dobbiamo imparare dagli errori degli Usa di cui parlavo prima. Ma serve un Deus ex Machina, Bruxelles, che lo imponga dall’alto, visto che gli Stati membri non avranno mai la forza per farlo.

tefania Peveraro prova a spazzare via tutti i luoghi comuni sui fondi, aggressivi o meno che siano, del private equity. Un comparto molto attivo in Italia se il 75 per cento degli investimenti compiuti nel primo semestre 2007 hanno riguardato Pmi. Attraverso dieci casi la Peveraro racconta della trasformazione di un’imprenditoria, soprattutto se familiare, che dopo essersi fatta da sé, è pronta a trovare nella finanza il partner per fare il grande salto. Soprattutto questo libro smentisce i tanti che sono convinti che la crisi scoppiata per il default dei subprime possa segnare la fine del private equity, in un Paese che non ha la cultura del rischio tipica dei mercati anglosassoni. Stefania Peveraro Private Equity e aziende familiari, dieci storie raccontate dai protagonisti, Egea editori pagine 168, euro 25

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Angelo De Mattia suggerisce un sistema di controlli a più livelli: nazionale, europeo e internazionale

«Vigilanza a tre teste per evitare le crisi» colloquio con Angelo De Mattia di Alessandro D’Amato n nuovo sistema di vigilanza a più livelli (italiano, europeo, internazionale) per evitare il ripetersi della crisi dei mutui subprime, è possibile. Angelo De Mattia, ex direttore centrale della Banca d’Italia, ne disegna i tratti fondamentali e segnala le criticità dei sistemi attuali. Concorda con quelli che hanno definito la crisi in corso «totalmente nuova» rispetto a quelle già vissute dalla finanza mondiale? È una crisi ”a ondate”, che dura ormai dall’agosto del 2007, e che ha fatto saltare tutte le previsioni e le analisi. C’è un polimorfismo delle crisi. Quando si dice che non sono mai uguali, da un lato, si intende sostenere che l’esperienza del passato non vale molto e, dall’altro, che è difficile prevenirle. Non dovrebbe essere così. Un grado di prevenzione, innanzitutto con la diffusione degli ”anticorpi”nel sistema bancario e finanziario, è possibile. Del resto, della crisi dei subprime i sintomi erano leggibili da tempo, anche se era difficile prevedere caratteri e portata di quel che sarebbe accaduto. È immaginabile una vigilanza mondiale che, in futuro, preservi il sistema finanziario da sé stesso? Fa parte degli anticorpi l’azione, ancorchè non risolutiva, degli organismi finanziari internazionali: Fondo monetario, Banca mondiale, Forum per la stabilità finanziaria, riunioni presso la Bri dei governatori delle Banche centrali del G10 e, da ultimo ma non certo per importanza, G7, G10, G20. Sono almeno cinque anni che si parla di riforma

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quella che stiamo attraversando, sulle esposizioni ”fuori bilancio” delle banche, sui rischi di instabilità a livello aziendale e di sistema. Oggi occorrerebbe, a livello internazionale, dettare un indirizzo per la riconduzione al bilancio delle aziende di credito delle entità che ne fuoriescono, non necessariamente consolidarle. Ma si dovrebbe anche pensare a rafforzare i poteri dello Stability Forum per dare alle proposte di questo organismo uno sbocco operativo e applicativo. Insomma, è venuto il tempo per una riforma del sistema monetario internazionale. Naturalmente, vi sono poi gli equilibri macroeconomici dei singoli Paesi e aree che esigono specifiche terapie. In Italia è ancora sospesa la revisione della Vigilanza nazionale. Il disegno di legge sulle authority non ha iniziato neppure il suo cammino. Esso, tra l’altro, prevede la soppressione di Isvap e Covip e il trasferimento delle relative attribuzioni alla Banca d’Italia (che non è authority, ma ne ha le funzioni) per la tutela della stabilità, e alla Consob, per la trasparenza e la correttezza negoziale. E un testo sul quale occorrerà ritornare, apportandovi una serie di aggiustamenti. E in ambito Ue? Sono maturi i tempi perché il coordinamento a livello europeo delle funzioni

Il Fondo monetario deve specializzarsi nella prevenzione del Fondo monetario e della Banca mondiale, e per ora non si è concluso nulla. A oltre 60 anni da Bretton Woods è una revisione ineludibile. Con quali obiettivi? Il Fondo deve specializzarsi nella prevenzione delle crisi e nella sorveglianza degli equilibri macroeconomici e finanziari degli Stati membri. Certo, non ci si può illudere di ”mettere le braghe” ai mercati e non sarebbe opportuno neppure tentare di farlo. Sarebbe un ritorno al dirigismo, allo statalismo, a un’improbabile autarchia. Si può immaginare un intervento normativo o comunque un indirizzo di massima? Si può pensare alla previsione della possibilità di fare chiarezza tempestivamente sugli effetti di una crisi, come

In Italia è necessario ripartire con la riforma di tutte le authority

di controllo sia allocato in un organismo con poteri in materia normativa e nell’operatività transfrontaliera degli intermediari. Non significa la sottovalutazione delle vigilanze nazionali, le quali, incardinate come sono negli ordinamenti giuridici nazionali per le diverse branche del diritto che le regolano e che non sono di competenza europea, non potrebbero essere intaccate. Si tratta, però di prevedere un sistema a due livelli, nazionale ed europeo, che mimi la relazione tra Bce e Banche centrali nazionali, con l’avvertenza che, per la vigilanza, i poteri nazionali sono molto più numerosi e densi. È urgente muoversi in questa direzione. A proposito di Bankitalia, la riforma del risparmio del 2005 prevede che entro 3 anni debba essere emanato un regolamento governativo per trasferire allo Stato le quote di partecipazione di via Nazionale ora detenute dalle banche. Si rischia la nazionalizzazione? È una norma chiaramente incostituzionale, configurando un’espropriazione senza equo indennizzo.Viola, soprattutto, l’autonomia e l’indipendenza della Banca d’Italia sancita dal Trattato Ue che ha rango di norma costituzionale e può confliggere con il divieto del finanziamento monetario del Tesoro (ugualmente fissato dal Trattato) se si pensas-

se di acquisire l’istituto con le risorse dello stesso istituto. Un pasticcio? Di tutto ha bisogno il Paese, meno che di tenere in piedi una norma che, pur sprovvista di sanzione, costituisce un singolare anacronismo. Del resto, se si volesse evitare di incorrere in censure di illegittimità occorrerebbe riconoscere agli ”espropriati” un prezzo che potrebbe oscillare tra i 10 e gli oltre 20 miliardi di euro. Non basterebbe una Finanziaria. La soluzione? Abrogare la norma in questione e prevedere un assetto del capitale ispirato al pluralismo e alla separatezza dai ”partecipanti” nelle materie istituzionali. Già oggi gli organi espressione del capitale non hanno poteri sulla politica monetaria, nella funzione di vigilanza, in quella della circolazione monetaria, nel sistema dei pagamenti, per non dire di funzioni come la ricerca economica. Si può adottare un modello in stile Federal System che vede l’intero sistema bancario partecipare alla banca centrale con quote assai limitate per ciascuna banca. Una sorta di public company.


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speciale economia

NordSud

Le difficoltà di accesso al credito acuiscono la distanza tra il Sud e il resto del Paese

i convegni

Tra questione meridionale e spettro di una grande banca Q

MILANO martedì 4 marzo 2008 Sala Camerana Assolombarda fa il punto sul rapporto tra ”Spesa Pubblica e competitività del Paese” e sui vincoli alla crescita del Sistema Italia. Partecipano al seminario Umberto Quadrino, ammininistratore delegato di Edison, e gli economisti Franco Reviglio, Alberto Quadrio Curzio e Michele Salvati.

di Giuliano Cazzola

ualche contributo può venire dal sistema bancario (ormai padrone di un pezzo dell’apparato produttivo e di ampi settori della politica) allo sviluppo del Sud? Del Mezzogiorno si parla nei programmi elettorali. Le proposte del Pd e del Pdl si somigliano, quanto meno nei titoli delle terapie da adottare. Ma è il «taglio» a fare la differenza. Il documento del Pd mantiene un’impronta interventista (sostanzialmente statalista) che fa il verso, nella misura del possibile e del consentito dalle regole Ue, alle glorie della Cassa del Mezzogiorno, unico esempio di cultura keynesiana di matrice italica, in cui si riconoscono le due anime del partito di Veltroni. La mission meridionalistica del Pdl non ha sicuramente accantonato la pratica dell’intervento pubblico (le opere pubbliche, le infrastrutture, i progetti obiettivo) ma non tralascia il tentativo di rendere più dinamica la società (creazione di zone e porti franchi) anche a costo di destrutturare gli assetti consolidati di quel sistema di potere. Vi sono però nel programma del centro destra alcuni aspetti da approfondire. Che cosa significa, per esempio, la proposta di realizzare «un piano strategico di riconversione dell’industria chimica pesante (impianti petrolchimici e centrali termoelettriche) ispirato alle nuove tecnologie»? E chi dovrebbe cimentarsi con questa operazione? C’è forse nostalgia delle Partecipazioni statali? La risposta potrebbe venire dalla Banca per il Sud, un’idea non nuova, che torna a far capolino nel programma del Pdl.

Che il Mezzogiorno abbia fame di iniziative e investimenti è sotto gli occhi di tutti. Gli indicatori continuano a mandare segnali negativi sulle prospettive del Mezzogiorno. Sono quattro anni consecutivi che il Sud – ha scritto il Rapporto Svimez – è cresciuto meno del Centronord. Se si considera il periodo 2003-2006, il Pil è aumentato in quest’ultima macroarea del 3,7 per cento cumulativamente, mentre al Sud la crescita del periodo è stata appena dell’1,4. Non si era mai registrata – ha continuato la Svimez – un’interruzione così intensa dei processi di convergenza. Non è stato un problema di accumulazione di capitale, in quanto nello stesso quadriennio 2003-2006 gli investimenti fissi lordi sono cresciuti del 7,5 per cento, a fronte di una stagnazione registrata altrove. Quello che è mancato è stato da un lato, per la domanda interna, l’apporto dei consumi, il cui tasso di crescita cumulato nello stesso periodo è stato pari al 2,9 per cento (4,2 nel Centronord) e, dall’altro, la capacità dell’economia meridionale di competere con i produttori residenti all’estero o nel resto del Paese, che si è riflessa in un continuo aumento, rispetto al Pil, delle im-

Atenei. A un anno dalla laurea risulta occupato il 53 per cento degli interessati; dopo cinque anni la quota si alza all’85 (il 7 continua ad essere in formazione; l’8 è in cerca di lavoro). Più critici i dati del lavoro stabile: dopo cinque anni riguarda il 70 per cento dei laureati. Anche le retribuzioni hanno subito un certo logoramento: fatto 100 il guadagno del 2001, quello del 2007 è pari a 92,9 (1.342 euro mensili). Ma il divario fa capolino anche qui: 23 punti percentuali a un anno dalla laurea, 12 punti a cinque anni. In termini occupazionali, dunque, le differenze Nord-Sud sono rimaste immutate negli ultimi sette anni, superiori ai 21 punti percentuali. Tra i laureati del 2006 lavora il 66 per cento dei residenti al Nord e il 43 di quelli al Sud (+23 punti percentuali). Più elevati, sempre a cinque anni dal titolo, i guadagni mensili netti dei laureati che lavorano al Nord (1.382 euro) rispetto ai loro colleghi occupati nelle regioni centrali (1.288 euro) e soprattutto al Sud (1.195 euro).

Un istituto che faccia da volano per i fondi indispensabili per l’area portazioni nette, la cui quota è passata dal 18,7 per cento del 2002 al 23,6 del 2006. Sul piano dell’andamento produttivo, il 2006 è stato un anno di crescita del valore aggiunto per entrambe le macroaree del Paese, che hanno iniziato a risentire positivamente dell’aumento della domanda internazionale e dello sviluppo dell’economia europea. L’aumento del valore aggiunto, ai prezzi base, è stato nel Mezzogiorno dell’1,1 per cento, con un’inversione rispetto alla flessione registrata l’anno precedente (-0,3). Lo sviluppo è stato maggiore nelle regioni del Centronord, con un aumento dell’1,9 per cento, che si confronta con la modesta crescita dello 0,4 del 2005.

Ma vi sono altri gravi divari. Nel secondo trimestre 2007 il tasso di disoccupazione è diminuito rispetto a un anno prima di 0,7 punti percentuali per gli uomini e di 1,1 per le donne, portandosi rispettivamente al 4,6 e al 7,4 per cento. Il calo, territorialmente diffuso, è risultato relativamente contenuto nel Nord (-0,3 punti percentuali) e più sensibile nel Centro (-1) dove ha riguardato in misura più accentuata la componente femminile. Nel Mezzogiorno la discesa è stata più forte (-1,4 punti percentuali) e ha interessato sia gli uomini sia maggiormente le donne. Peraltro, il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno (10,6 per cento) risulta essere oltre il triplo di quello del Nord (3,2) e più del doppio in confronto a quello del Centro (4,8). In questi ultimi giorni è stato presentato – non a caso a Catania – il Rapporto 2008 di AlmaLaurea, la banca dati che contiene i curricula di un milione di laureati di 51

Sul versante della popolazione, invece, il Sud si avvicina al resto del Paese. Nel Mezzogiorno – sono considerazioni dello Svimez – la natalità continua a calare ed è ormai prossima a eguagliare i livelli medi del Paese nel suo insieme, mentre la mortalità risulta ancora un po’ più bassa della media nazionale a causa del minore invecchiamento della popolazione. Come è possibile invertire questi trend nel momento in cui l’appartenenza alla Ue non consente più una politica di aiuti di Stato alle imprese e quando anche l’utilizzazione dei fondi strutturali andrà riducendosi nel contesto della Ue a 27 (tra pochi anni, tra le Regioni italiane, solo la Calabria resterà potrà concorrere alla ripartizione dei fondi di riequilibrio)? Sarà in grado, allora, la Banca per il Sud di fare da volano agli investimenti necessari? Va da sé che non servirà allo scopo un piccolo istituto. L’operazione richiederà la scomposizione e la ricomposizione dei processi di integrazione bancaria che hanno inghiottito le grandi banche del Sud (spesso, purtroppo, per evitarne il crack). Ma il governo di centro destra dovrà giocare questa partita tutta in partibus infidelium, essendo i manager e gli azionisti di riferimento delle banche italiane legati a settori del centro sinistra (in pratica al Pd). È stato proprio il disinteresse dei grandi gruppi bancari nei confronti del Mezzogiorno a determinare la caduta della questione meridionale durante i venti mesi della legislatura appena abortita.

ROMA mercoledì 5 marzo 2008 Tempio di Adriano La fondazione Cotec presenta ”Il libro verde sull’Innovazione”. Ne discutono il presidente Unioncamere, Andrea Mondello, il ministro degli Affari Regionali, Linda Lanzillotta e il direttore generale Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni. ROMA giovedì 6 marzo 2008 Auditorium della Tecnica Confindustria organizza la ”Giornata della Tecnica”. Dopo il saluto del presidente Giorgio Napolitano, interverranno i vicepresidenti di Confindustria Pasquale Pistorio e Emma Marcegaglia, i ministri Pier Luigi Bersani e Luigi Nicolais, Nicholas Negroponte, e il leader degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo. CALTANISSETTA venerdì 7 marzo 2008 Teatro Comunale Nel capoluogo nisseno giornata dedicata alle ”Riflessioni sul mercato del lavoro che cambia: proposte per il futuro”. Se ne discute con il ministro del Lavoro, Cesare Damiano. VENEZIA domenica 9 marzo 2008 Scuola Grande San Giovanni Evangelista Aiscat e Asecap, associazione dei concessionari italiani ed europei, fanno il punto sulla creazione di ”una rete autostradale per l’Europa: il mercato e le condizioni”. Intervengono il numero uno di Aiscat, Fabrizio Palenzona, il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, il vicepresidente della Ue, Franco Frattini, e l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo.


Le idee migliori sono proprietà di tutti. Seneca

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DELLE IDEE


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economia

Domani le parti si ritrovano per discutere di riforma del contratto. Ma la Cgil non ha ancora sciolto la sua riserva

Tra salario minino e Calearo, Epifani finisce nella morsa di Veltroni di Vincenzo Bacarani

ROMA. Cgil sempre più nell’angolo – pressata da Cisl, Uil e Confindustria e ora anche dal Partito democratico – e sempre più costretta a fare i conti al suo interno. Da più parti, infatti, si chiede a Corso d’Italia di uscire definitivamente allo scoperto e dire chiaramente qual è la sua posizione sulla riforma dei contratti. Domani è in programma un altro incontro tra Confindustria e sindacati sul secondo livello che probabilmente si tradurrà in un nuovo, piccolo, passo in avanti di un cammino che certamente non si preannuncia rapido e spedito. Ma le pressioni esterne – soprattutto in questo prologo di campagna elettorale – si fanno sentire, eccome. E sono pressioni insistenti che vogliono indicare in maniera chiara la strada che la Cgil deve intraprendere. Il Pd accelera lanciando messaggi inequivocabili verso una riforma vera e propria del modello di contrattazione: basti pensare ai segnali forti costituiti dalle candidature del giuslavorista Pietro Ichino, convinto assertore della flessibilità legata alla produttività e fautore dell’applicazione della legge Biagi, e del presidente di Federmeccanica, Massimo Calea-

ro, non certo una ”colomba” nella trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Se non bastasse, c’è da fare i conti con l’idea di Walter Veltroni di un salario minimo di mille euro per i precari dei call-center, una proposta che i sindacati finora non hanno mai avuto il coraggio e la forza di fare. Uno scavalcamento che ha irritato non poco alcuni sindacalisti. Ma la Cgil ha molte anime che Epifani cerca di far convivere e con grandissime difficoltà non avendo il carisma dei Lama, dei Trentin o dei Cofferati. Tra una settimana, mercoledì

nente Cgil della sinistra radicale ”Rete 28 aprile” che fa capo al segretario nazionale Fiom, Giorgio Cremaschi, presenterà una controrelazione che respinge al mittente l’ipotesi dei due livelli di contrattazione (nazionale con un minimo antiinflattivo e aziendale con salario legato alla produttività e anche alla flessibilità) e che potrebbe trovare l’approvazione anche di dirigenti sindacali non propriamente schierati politicamente, ma infastiditi dalla crescente ingerenza del Pd.

Un’ingerenza che tuttavia ha affascinato quasi tutta la se-

derale dalle evidenti e crescenti ingerenze del Partito democratico. La Cgil deve respingere ogni collateralismo rispetto alla cultura e alle scelte di questo partito. Alla luce di tutto questo, il confronto sul sistema contrattuale e sullo sviluppo economico richiederà un sovrappiù di vigilanza contro le ingerenze partitiche». In altre parole, nella trattativa sulla contrattazione si gioca il ruolo e l’autonomia del sindacato. Insomma, siamo quasi alla resa dei conti e dal direttivo di mercoledì prossimo potrebbe anche uscire una sorta di documento di compromesso con

Corso d’Italia è divisa tra le sue tante anime. I riformisti rilanciano sulla riduzione delle intese e sulle deroghe. Per Cremaschi non è sufficiente e denuncia il «rischio di colletaralismo con il Pd». Cisl e Uil non fanno sconti 12, il direttivo nazionale dovrà dare l’imprimatur alla bozza di riforma del modello contrattuale che – ha spiegato il segretario confederale, Mauro Guzzonato – si baserà su tre punti: «Riduzione del numero dei contratti, attenuazione della pressione fiscale e inserimento di parametri antinflattivi». Deroghe per alcune, poche categorie? Ufficialmente no. Ma nel corso del direttivo la compo-

greteria nazionale: oltre ai segretari confederali Marigia Maulucci, Achille Passoni, Nicoletta Rocchi e lo stesso Guzzonato, anche Paolo Nerozzi che si candida addirittura nel partito di Veltroni, senza contare Epifani. E proprio Cremaschi fa capire che aria tira all’interno della Cgil: «È indispensabile», dice il leader Fiom, « la difesa dell’autonomia del sindacato confe-

un’accettazione generica del contratto nazionale unico e di quello di secondo livello, ma con alcune deroghe per categorie ”sensibili”: chimici, metalmeccanici per esempio. Sarebbe questo anche un modo per aggirare l’ipotesi prospettata dalla Cisl che parla di un’eventuale contrattazione a livello territoriale, nel caso di impossibilità di una contrattazione a livello aziendale. Una strada

che però – secondo molti in Cgil – si tradurrebbe nell’applicazione delle ”famigerate”gabbie salariali.

«Ma quali gabbie salariali, non è assolutamente vero», afferma il segretario nazionale Cisl, Gianni Baratta, «Anzi, possiamo dire che il contratto territoriale contiene un forte valenza di natura sociale, perché permette ai lavoratori delle piccole e medie aziende di non perdere il passo con i colleghi delle grandi». Tuttavia la Cisl – contraria ad eventuali deroghe per alcune categorie – attende le decisioni della Cgil previste per mercoledì prossimo. «Dieci anni fa la Cgil era contraria alla contrattazione integrativa, poi ha cambiato parere». Perplessa sulla questione del secondo livello è però anche l’Ugl. Dice il segretario, Renata Polverini: «Il contratto territoriale non ci convince perché rischia di andare a scapito dei più deboli, penso ai lavoratori del Mezzogiorno. Noi saremo propensi piuttosto per un contratto di filiera o di consorzio». Risolverebbe il problema? «In parte sì, comunque sarebbe meglio dell’accordo territoriale che rischia invece di creare scompensi».


economia

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Il supereuro ha aperto possibilità che l’Italia non ha saputo sfruttare

Dollaro debole, che occasione persa di Giuseppe Latour

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Benzina, previsti nuovi rincari Ancora rincari su benzina e gasolio. Spinti dal caro-petrolio, nell’ultimo fine settimana i prezzi dei carburanti sono stati rivisti al rialzo sia presso i distributori dell’Agip che della Esso. Il marchio del gruppo Eni ha portato la verde a quota 1,404 euro al litro (+0,005) e il gasolio sui livelli record di 1,336 euro al litro (+0,005). Rialzi anche per il gasolio della Esso che e’ salito a 1,335 euro al litro (+0,002 euro). Nell’ultima settimana la verde e’ aumentata di 1 centesimo al litro, il diesel fino a 1,2 centesimi.

Mosca taglia le forniture di gas a Kiev Scaduto l’ultimatum, il colosso energetico russo Gazprom, guidato da Alexei Miller, ha subito tagliato le forniture di gas all’Ucraina. Da oggi, ogni giorno, a Kiev arriveranno 30 milioni di metri cubi in meno, cioe’ circa il 25 per cento della fornitura. La decisione è stata presa perché il governo di Kiev non ha rispettato l’accordo sul debito pattuito con Gazprom per gli approvigionamenti degli anni scorsi. Mosca ha comunque assicurato che non ci saranno conseguenze sulle forniture dirette in Europa.

Volano Euro e petrolio Raffica di nuovi record per il prezzo del petrolio che si avvicina a quota 104 dollari al barile. Il Light crude a New York sale più di 2 dollari a 103,75 dollari. Il precedente massimo storico era di 103,05 dollari. Anche l’euro registra una raffica di nuovi record storici e si avvicina a quota 1,53 dollari. La moneta europea ha toccato il massimo storico di 1,5275 dollari e poi è sceso a 1,5253 dollari, sopra il precedente record di 1,5239 dollari.

Alitalia convoca per giovedì i sindacati

ROMA. Dollaro in picchiata stabile. Ormai in depressione costante, la valuta Usa macina record negativi. E così il cambio con l’euro viaggia pericolosamente attorno all’1,52, l’oro buca quota mille dollari l’oncia e tutte le valute guadagnano sul biglietto verde, yen compreso, nonostante l’economia giapponese navighi anch’essa in acque poco tranquille. Più che di una tempesta si tratta di una crisi strutturale, scoppiata ormai circa un anno fa. Crisi, e debolezza conseguente del sistema Usa, della quale l’Italia non è riuscita ad approfittare. Almeno non come avrebbe dovuto. E se il colosso statunitense dovesse rialzarsi, il colpo per la nostra economia potrebbe essere durissimo.

Lo dicono i dati delle acquisizioni italiane Oltreoceano. Premesso che l’Italia sta comprando negli Stati Uniti più che in passato, non c’è stata l’esplosione che era auspicabile in presenza di una congiuntura così favorevole. I nostri imprenditori, secondo i dati Kpmg, hanno concluso 23 operazioni nel 2007, per un valore di circa 7,7 miliardi di euro. Poche, visto che complessivamente sono state chiuse 121 acquisizioni, molte delle quali ancora ostinatamente concentrate nel Vecchio Continente: 10 in Gran Bretagna, 9 in Francia e Spagna, 13 in Germania. Tra l’’altro sono soltanto i grandissimi a investire dall’altra parte dell’Atlantico. Circa 6,7 miliardi (sui 7,7 totali) sono stati spesi in sole tre operazioni: Eni nel Golfo del Messico, Tenaris Dalmine su Hydril e Luxottica su Oakley. E le altre sono dei soliti Atlantia, Autogrill, Pirelli.

La forza della divisa europea consentirebbe di fare acquisizioni negli Usa a prezzi di saldo e di risparmiare sul petrolio In termini numerici la crescita rispetto al 2006 è stata di circa un miliardo e mezzo di euro in più, non moltissimo se consideriamo quanto hanno pesato soltanto le tre maxioperazioni sopra citate. Ancora meno se prendiamo in esame il volume complessivo delle operazioni degli italiani all’estero. Nel 2006 in acquisizioni sono stati spesi 15 miliardi, nel 2007 quasi 60 miliardi di euro. L’aumento di un miliardo e mezzo va quindi ponderato alla luce della crescita delle M/A all’estero, che in dodici mesi sono addirittura quadruplicate. Anche il prezzo della benzina parla di un’occasione mancata. Nell’ultimo weekend sono ancora aumentati gasolio e benzina. Sia Agip sia Esso, ultime in ordine di tempo, hanno ritoccato i loro listini e nell’ultima settimana è schizzato di un centesimo il prezzo della verde e di 1,2 centesimi quello della diesel. Non una novità, ma la conferma di un trend consolidato. Secondo Adusbef e Federconsumatori, dalle tasche degli automobilisti escono in media 920 euro all’anno in più. Questo, nonostante tutti gli analisti spieghino che l’Europa in questa fase è molto protetta dalla funzione di cuscinetto del dollaro. È, infatti, con la divisa Usa che av-

vengono le transazioni sui mercati internazionali per acquistare petrolio.Transazioni che per l’Europa sono oggettivamente più convenienti, vista l’attuale forze della sua moneta. Come mai, allora, i prezzi continuano a salire? Da un lato le responsabilità sono delle nostre pesantissime accise, dall’altro delle dinamiche distributive. Rimasta ferma al Senato la terza lenzuolata di Bersani, è anche naufragata la possibilità di rivedere gli assurdi meccanismi che regolano l’apertura di pompe di benzina, favorendo la formazione di cartelli e tenendo alto il livello dei prezzi. Non a caso la Ue se ne è lamentata.

Vale per il livello medio dei prezzi quanto detto per la benzina. L’inflazione reale è stata strisciante, nonostante le possibilità aperte dalla crisi Usa. Anche prima della recente, e ampiamente pronosticabile, rapida salita dei prezzi, gli italiani non si erano quasi per nulla, con poche eccezioni, giovati delle opportunità dischiuse dalla forza dell’euro. Tante occasioni perse per sfruttare il dollaro debole e in arrivo un grande conto da pagare, quello delle esportazioni. L’euro forte sta rendendo le nostre merci meno appetibili sul mercato Usa. E nel 2007 questo ha portato un calo dell’export oltreoceano di circa mezzo miliardo di euro, non compensato da un equivalente aumento delle importazioni. Un trend con il quale dovremo purtroppo fare i conti. Soprattutto se, come sembra, la caduta del biglietto verde proseguirà in quel che resta del 2008.

Dopo tanto traccheggiare è stato convocato per il pomeriggio di giovedì prossimo un incontro tra il presidente di Alitalia, Maurizio Prato, e i rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali presenti in azienda (Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl, Sdl, Anpac, Anpav e Avia). All’ordine del giorno, riferiscono i sindacati, ci sono gli aggiornamenti sulla trattativa con Air France. A detta di molti osservatori questa convocazione potrebbe significare il superamento di alcuni stalli (su tutti il futuro di Az Servizi) sul quale si era arenata la trattativa tra la Magliana e la compagnia francese. Non si esclude, poi, un prossimo vertice tra i sindacati e Jean-Cyrill Spinetta, che deve presentare un’offerta entro il 14 marzo. Sempre meno le chance per Carlo Toto.

Borsa in calo. Mibtel: - 1.19 per cento Sotto la pressione dei timori internazionali riguardo alla principale economia mondiale, la Borsa apre la settimana con un nuovo ribasso: l’indice Mibtel scende dell’1,19 per cento a causa di vendite prevalenti su tutti i principali titoli del listino, con pochissime eccezioni e ribassi particolarmente significativi sui titoli finanziari, quelli delle costruzioni e i telefonici. Gli scambi si mantengono su livelli inferiori rispetto a quelli di venerdi’ scorso, e non superano i 4 miliardi di controvalore ben distribuiti fra quelli a maggiore capitalizzazione. Anche ieri il titolo più trattato è stato Fiat.

Scontro sulle tasse fra Visco e Istat Il viceministro alle Finanze, respinge i calcoli dell’Istat sulla pressione fiscale. Nel 2007, questa, se si tiene conto di alcuni aggiustamenti, è stata pari al 42,5 per cento, inferiore rispetto al 43,3 rilevato dall’Istat per il quale invece si erano toccati i massimi degli ultimi 10 anni. Lo rende noto il ministero dell’Economia, spiegando che «l’Istat ha considerato tra i contributi anche la quota di trattamento di fine rapporto versata all’Inps dalle imprese con oltre 50 dipendenti (somme che sono e restano di proprietà degli stessi dipendenti). Al netto di questa somma (circa 5,5 miliardi di euro) la pressione contributiva si ferma al 12,9 per cento, lo 0,4 in meno». L’Istat quindi è di nuovo nel mirino dopo l’introduzione di un’indice sulla spesa.

Almunia: cambi riflettano le economie Lo ha ricordato il commissario Ue agli Affari economici e monetari Joaquin Almunia entrando alla riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles. «I tassi di cambio dovrebbero riflettere i fondamentali delle economie», ha detto il commissario Almunia, che ha poi aggiunto, «nel caso del dollaro il Tesoro Usa ha detto diverse volte di essere interessato ad avere un dollaro forte».


memorie Quel giorno a Riccione con Walter il boxeur

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A 84 anni dalla nascita del popolare attore un ricordo “dimenticato” della sua vita spericolata

di Italo Cucci i diceva – e scriveva – Ferdinando Camon tutto il suo disprezzo per la boxe, per lui orgia di violenza. Non ero d’accordo, anche se le sue argomentazioni eleganti e profonde qualche dubbio lo sollevavano. A me la boxe è sempre piaciuta. Sempre: bugìa. Da quando è sceso dal ring Carlos Monzon, che a sua volta aveva abbattuto a Montecarlo il 9 maggio del ’71 Nino Benvenuti (c’ero, e fui vicino a lui fino a notte fonda dopo il getto della spugna) la mia passione è andata spegnendosi; e oggi, mentre s’organizzano match circensi per far quattrini, senza dignità, penso che sarebbe stata fine meno ingloriosa, per la Noble Art, l’abolizione chiesta da Camon piuttosto che esser travolta dal ridicolo. Il mio viaggio nella boxe – non solo in Italia – era cominciato proprio con Nino, medaglia d’oro all’Olimpiade di Roma nel ‘60. Senza passione. Reduce dalle disfide sportive di Coppi e Bartali (ero bartaliano) mi mancava l’alternativa. Poi arrivò Mazzinghi, e finalmente l’Italia si divise. E il loro scontro a San Siro – definito dalla stampa “fratricida” – mi fece definitivamente “benvenutiano”. Mazzinghi era più forte – non lo nego – anche più violento: Nino lo contrò con intelligenza e scherma raffinata finchè al sesto round un montante al fegato mise kappaò Sandro, aprendo una polemica mai più spenta.

M

Era stato campione dei piuma e diceva: «Mi piace Mazzinghi, ha un pugno pesante e un talento naturale da combattente. Amo Mario D’Agata»

Era il 18 giugno del ’65. In un vecchio taccuino un appunto volante dice che nei parlai, poco tempo dopo, con Walter Chiari. Un appunto breve dal quale potrei trarre una storia infinita. Erano fortissime, le emozioni di quel tempo: lo dico forse per nostalgia della gioventù, fin realtà stavo convincendomi a fare il giornalista sportivo, specialità che avevo affrontato con riluttanza, cogliendo giorno dopo giorno gli insegnamenti di grandi maestri. A metà dei Sessanta, dunque, cercavo ancora di allontanare da me l’amaro calice dello sport. Provavo altri fremiti. Sulle pagine di Stadio, cui ero approdato dopo un paio d’anni al Carlino, avevo aperto una finestra sul mondo dello spettacolo e sport, rubrica battezzata con il titolo di una fortunata trasmissione tivù, “Leggerissimo”. Di lì erano passati

attori cinematografici e televisivi famosissimi, donne bellissime (l’incontro più felice con Monica Vitti che a Ravenna girava con Antonioni Deserto Rosso). Così incontrai Walter Chiari. A Riccione. Un’estate violenta, vorrei dire citando Valerio Zurlini: ma violenta di passioni e di felicità nell’Italia miracolata d’allora che offriva a vil-

leggianti e indigeni vacanze goderecce degne di Miami. Walter mi fu presentato da Bepi Savioli nel suo elegante omonimo night club in cui Don Marino Barreto cantava Io sono un povero negro. Era elegantissimo: smoking bianco e fiocco nero, un’abbronzatura da divo, il ciuffo (si dice: ribelle) segnalava come un radar le possibili conquiste. Le donne gli cadevano ai piedi per sua virtù e per quel fascino innato ch’era stato potenziato dal chiassoso flirt con Ava Gardner, finito a pugni e schiaffi alla fine dei Cinquanta dopo il tempestoso amore nato mentre giravano insieme La capannina. Mi accolse con simpatia e lo agganciai definitivamente chiedendogli di parlare di boxe. Non di donne, di film e di tivù che avevano esaltato il suo 1965. Scherzava su tutto, Walter, non banalmente, perché era dotato di una classe sfuggita a molti critici, ma non a milioni di spettatori. E ad Ava Gardner, la divina capricciosa ch’era riuscita a demolire Artie Shaw e Frank Sinatra. La storia di Walter Annichiarico, veronese di Puglia, non comincia con lo spettacolo, ma con lo sport: a quindici anni, nel ’39, si era laureato

Walter Chiari fu uno dei protagonisti della dolce vita: sopra insegue il fotografo Tazio Secchiaroli nel 1960; in basso nel ’57 con Ava Gardner: a sinistra nel 1953 in due scene del film ”Dinamite” e nella foto piccola Sandro Mazzinghi

campione lombardo dei pesi piuma: «Quanti sacrifici – diceva – per studiare e combattere insieme, con pochi mezzi e una voglia matta di emergere. Lo sport era la mia vita e in quell’Italia che lo proteggeva pensavo di farcela». Ma quell’Italia doveva durare poco. Nel ’43, a diciannove anni, Walter era corso a Salò, nella Repubblica Sociale, come


memorie

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quei giorni li avevo vissuti, quei drammi li conoscevo bene, ma ormai la mia faccia e il mio genere m’avevano spinto verso altri ruoli. Toccò a Jacques Charrier, quello che aveva sposato Brigitte Bardot. Io, intanto, partivo per Broadway...».

molti altri futuri personaggi dello spettacolo, da Giorgio Albertazzi a Ugo Tognazzi, da Dario Fo a Marcello Mastroianni, a Piero Vivarelli l’ultimo castrista. Walter non era pentito. Mentre il barman ci serviva rhum & cola – Cuba Libre - e il grande affabulatore aveva già abbandonato la boxe per altri drammatici ricordi, mi venne in mente un in-

contro romano, nella redazione dello Specchio, con Giose Rimanelli, autore di uno sfortunato libro (Einaudi l’aveva pubblicato eppoi abbandonato) sui ragazzi di Salò, Tiro al piccione, diventato poi film per buona volontà del regista Montaldo, comunista intelligente. «Mi sarebbe piaciuto interpretare la parte del protagonista – diceva Walter – io

E gli amori, gli amori? L’atmosfera del night pareva favorevole a pettegolezzi sentimentali, e invece no: gran signore, Walter, non accoglieva le punzecchiature del cronista, neanche un accenno al rivale (si fa per dire) Frank Sinatra che in quei giorni era in pieno flirt con una bella ragazza di Bellaria aspirante attrice, Raffaella Pelloni detta Carrà. Neanche un sorriso, anzi nello sguardo la tentazione di interrompere l’intervista. E allora, rieccoci a bordo ring. «Mi piace Mazzinghi, è un generoso, ha un pugno pesante e un talento naturale da combattente. Sì, forse troppo generoso...Amo Mario D’Agata. L’ho seguito in più d’un match, ero a Roma quando è diventato campione del mondo dei pesi gallo, nel ’56, battendo Cohen. È un atleta che ha fatto onore all’Italia, un uomo meraviglioso». Quel ’56 andrebbe raccontato nei minimi dettagli a chi ama ancora la boxe e la sta vivendo nel suo drammatico declino. Boxe Ring ricorda con nostalgia il magico giugno in cui a Grosseto Polidori batteva il grande Ray Famechon, al Palaghiaccio di Milano si registravano le imprese di Scortichini, Festucci e Pozzali, a Trieste Pravisani batteva Hernandez; a Bologna Checco Cavicchi – che ho conosciuto dopo il suo ritiro, gigante buono, troppo buono – si faceva invece battere da Friedrich, ma riempiva il Palazzo dello Sport. Eppoi, quel D’AgataCohen a Roma pochi giorni dopo che a Milano Duilio Loi aveva steso Fred Galiana al sesto round con un potente montante sinistro al fegato esaltando i diecimila del Vigorelli e bruciando i cri-

tici increduli. Ed ecco il 29 sul ring romano Mario D’Agata, interprete di una vicenda che giustamente Chiari definiva “da film”. Perché Mario, nato ad Arezzo nel ’26, sordomuto, è l’idea stessa della boxe: umiltà, sacrificio, lavoro, forza morale, fisico integro che recupera per il grande appuntamento col Mondiale dei pesi gallo, nonostante un folle l’abbia affrontato in casa sparandogli una fucilata al petto. Sul ring, un avversario temibile, Cohen, a sua volta reduce da un incidente stradale che tuttavia ha cancellato con le stesse virtù di Mario. (Erano vecchi fusti, quelli, altro che gli odierni fenomeni da baraccone, il Tyson mozzaorecchi che vuole rifarsi un conto in banca proprio con l’Holyfield che gli ha lasciato l’orecchio fra i denti). Stadio pieno, a Roma, e la gente a casa stipata davanti al televisore dei pochi che ancora possono concederselo sintonizzato sulla diretta Rai. E ancora al fatidico sesto round D’Agata diventa campione del mondo con una sequenza irripetibile: montante destro allo stomaco, sinistro al fegato e destro al mento. Cohen crolla mentre suona il gong ma non riesce a riprendersi. Il piccolo grande Mario sale al vertice del mondo come il gigante Carnera, i romani gli dedicano un tionfo e lui, felice, dedica la vittoria alla donna sposata da poco, Luana Bacci, sordomuta come lui... Da Arezzo, dove vive da tutti riverito, Mario D’Agata continua a raccontare la sua boxe di sogno e a ricordarne gli interpreti che uno dopo l’altro se ne vanno nel cielo degli eroi sportivi. Ultimo, Duilio Loi, un grande del ring, un campione della sofferenza.

Ho trascorso più d’un’ora, con Walter Chiari, quella sera, tormentato dagli occhi delle ammiratrici cui l’avevo sottratto, fino a quando rulli di tamburi e luci folgoranti l’hanno trascinato al centro della pista a lanciar baci, a raccogliere fiori, a salutare con quella mano che ogni tanto portava al ciuffo (ribelle). M’è rimasto impresso così, con il suo sorriso sereno e contagioso. E ho sofferto con lui – senza poterglielo dire – quando nell’estate del Settanta (ero tornato al Carlino con Biagi) fu arrestato per droga. E qualcuno scrisse su di lui parole terribili. Di cui dovette pentirsi. Ma questa è un’altra storia. Parce sepulto.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

C’era una canzone di Sanremo da salvare? I vincitori sono saliti sul podio solo per mancanza di concorrenza Non ne ho salvata neanche una. Premetto che negli ultimi cinque anni ho smesso di vedere Sanremo per noia. Quest’anno ho voluto tentare di nuovo, ma nulla, ancora una volta mi sono trovato a pensare che forse sarebbe meglio interrompere il Festival. Le canzoni sono banali e nella maggior parte delle volte interpretate senza passione, senza slancio. Gli arrangiamenti triti e ritriti, perfino l’orchestra sembrava addormentata. E, tanto per cambiare, i vincitori sono saliti sul podio più per mancanza di concorrenza che per effettiva bravura. Per piacere, lasciamo Sanremo al più lontano dei ricordi.

Andrea Mincio - Roma

Aveva ragione Aldo Grasso: ”Campane a morto per Sanremo” 2008 Non solo non ho trovato neanche una canzone da salvare, ma mi piacerebbe vedere a casa sia Pippo Baudo (pensione posticipata) sia Piero Chiambretti (pensione anticipata). Sono stati fiacchi e a tratti addirittura imbarazzanti. Ha ragione Aldo Grasso: ”Campane a morto per Sanremo”. Cordialmente ringrazio, distinti saluti.

Pino Lo Cascio - Enna

LA DOMANDA DI DOMANI

Gravina: ha fatto bene il Pm a non scarcerare il papà dei fratellini? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Ingiusti sia le critiche che i nervosismi, Anna Tatangelo è brava e meritava la vittoria Andrò un po’ controcorrente, ma a me Sanremo quest’anno è piaciuto perché ho visto esibirsi anche giovani e talentuosi artisti. Sono sinceramente dispiaciuta di tutte le critiche che ci sono state, del calo degli ascolti e dei nervosismi sparsi qui e lì. Non è giusto scagliarsi in questo modo contro il Festival, che non cede nonostante i cambiamenti e al contempo non cambia nonostante i rischi. Proprio per questo ho apprezzato la canzone scritta da Gigi D’Alessio e interpretata da Anna Tatangelo, ”Il mio amico”: decisamente meritava il primo posto per dolcezza, orecchiabilità e contenuti, visto che oggi, a cantare un amore omosessuale, ci vuole davvero coraggio. Cordialmente.

Alessia Soru - Cagliari

Cutugno è un interprete straordinario, era davvero ”un falco chiuso in gabbia” Toto Cutugno. Sopra tutto e sopra tutti, Toto Cutugno. La canzone ”Un falco chiuso in gabbia” è bellissima, dolce, ma soprattutto struggente. E lui, sarà che l’ho sempre amato sin dai tempi di ”Figli”, è un interprete davvero straordinario. Persino mia figlia, che è nata appena nel 1987, ha confessato di averlo apprezzato. Avrebbe dovuto vincere lui. In quel caso sì che ci sarebbe stata davvero una piccola ma significativa rivoluzione. A presto.

Mario Cataldo - Bari

Le canzoni di oggi non hanno mordente, i conduttori sono nervosi e sempre meno seri Sono una ragazza di 29 anni e non guardo il Festival di Sanremo da almeno dieci. O meglio, lo guardo, ma solo se si tratta di spezzoni di video d’epoca. Li trovo non soltanto rappresentativi dell’evoluzione della canzone italiana, ma più poetici e meno patetici. Le canzoni di oggi non solo non hanno mordente, ma come contorno si ritrovano due conduttori molto nervosi e sempre meno seri, due vallette inespressive pescate ogni anno chissà dove, una scenografia piatta e monocolore. Grazie.

AMBIENTE E... ROSPI Questo è il periodo giusto per occuparci di ambiente. Il nostro Club Liberal ha scelto di tralasciare per un momento la discussione politica, per aiutare gli amici che aderiscono all’Associazione di tutela ambientale denominata Ekoclub International. Li vorremmo aiutare cercando di far conoscere anche ai nostri lettori, ai nostri aderenti, a chi si occupa di politica, che l’agire per l’ambiente non è solo una questione di programmi e soprattutto non è esclusiva attività dei soliti catastrofisti che nulla hanno a che vedere con una analisi seria ed un serio impegno per l’ambiente che pone al centro delle scelte l’uomo. Questi nostri amici che operano in provincia di Torino, per il secondo anno consecutivo, hanno installato delle protezioni, denominate rospodotto, per evitare l’attraversamento dei rospi sulla strada e favorirlo con passaggi ricavati al di sotto del manto stradale. In questo periodo, infatti, si recano presso ogni tipo di specchio d’acqua per riprodursi. Ciò comporta in moltissimi casi, l’attraversamento di strade con conseguente strage di batra-

IL RIFUGIO DEI SEMI 25/02/2008 - Progettato da Magnus Bredeli-Pveiten, è stato costruito all’interno della montagna dell’Artico, a 100 km dal polo Nord, e proteggerà milioni di semi agricoli da terremoti o attacchi nucleari. Se Casini e Berlusconi si riappacificassero Devo dire che mi rattrista l’aspra contrapposizione tra Berlusconi e Casini che caratterizza sul versante moderato questa campagna elettorale. Non ho elementi diretti per giudicare le cause, i torti e le ragioni di questa rottura, apparentemente incomponibile. Con piglio anticonformista, mi iscriverei, se ci fosse, alla corrente dei ”pontieri”, ritenendo naturale e necessario un dialogo tra le forze politiche italiane appartenenti al Ppe. Penso che il contributo di Casini e degli amici democristiani e centristi dell’Udc, a chiare condizioni di reciproca lealtà e collaborazione, avrebbe rafforzato il Centrodestra. Capisco tuttavia come, in questo momento, la competizione elettorale possa prevalere sul

dai circoli liberal Chiara Marcelli - Milano

ci, che vogliamo ricordare, sono preziosi alleati dell’uomo nel difendere i prodotti agricoli dall’assalto di insetti molesti. I volontari di Ekoclub guidati dal loro Presidente Provinciale Danilo Severini, hanno perfezionato un sistema di salvaguardia mobile, che permette di salvare la quasi totalità della popolazione dei bufo bufo, e hanno progettato un rospodotto che può essere installato in modo permanente a fianco delle strade. Questo permetterebbe di salvaguardare anche altre specie minori. Ekoclub ha presentato il progetto alla Provincia di Torino e noi per aiutarli abbiamo voluto descrivere il loro lavoro. Inoltre, avendo giorni addietro scoperto che i vari “verdi fuori e rossi dentro” cercano d’impedire la costruzione della ormai famosa “variante di valico”, ci permettiamo come Club Liberal di sponsorizzare verso il prossimo Ministro competente in materia, l’aggiunta del progetto di rospodotto nel piano più complesso della realizzazione della variante. Il progresso non può dipendere da una concezione luddistica e nichilista, ma dal saper dare corrette indicazioni politiche che permettano

”buon senso” dell’armistizio e del dialogo. Forse ci saranno tempi migliori... soprattutto dopo l’auspicabile vittoria di Silvio Berlusconi. E’ un dato di fatto che anche Casini, pur con qualche distinguo, si riconosca nei valori e nei programmi di governo del Popolo della Libertà. Per come si son messe le cose, vedrei utile nel futuro un’iniziativa ”pacificatrice” di Gianfranco Fini, che, portando An nel Popolo della Libertà, ha mostrato di credere con coraggio all’unità del centrodestra e alla prospettiva di un grande partito italiano del Ppe. L’attività di Think-tank come Liberal e Farefuturo potrebbe essere il luogo per eccellenza di un ritrovato rapporto umano e politico, nell’interesse di tutti i moderati italiani.

Matteo Prandi

l’utilizzo delle risorse tecniche che la scienza ci mette a disposizione. In altre parole, il progresso dell’uomo non può essere in discussione, anzi proprio il progresso stesso, fornirà i mezzi per risolvere i problemi che si creano per i più svariati motivi. In conclusione che dire... Liberal, anche per l’ambiente! Ezio Lorenzetti

CIRCOLO LIBERAL DEL CANAVESE

APPUNTAMENTI ROMA - MARTEDÌ 8 MARZO 2008 Ore 11, presso il Teatro Valle, in via del Teatro Valle 21 (piazza Navona) Assemblea nazionale dei Club Liberal. Interverranno Pier Ferdinando Casini, Ferdinando Adornato, Angelo Sanza.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog do nel mio minuscolo appartamento e non frequento i salotti.

Carmelo Sapienza Roma

Eri la bocca dell’Amore che guarisce In questa notte nera, la corona delle tue braccia m’è come una costellazione indelebile. Perché oggi, in quei pochi attimi di sogno, ho avuto dalle tue giovani braccia una sensazione luminosa, come se tu avessi cinto d’un fuoco bianco la mia tenerezza e la mia tristezza? Esiste un fuoco fresco? Non saprò mai dirti quel che provo, quel che tu mi dai.Tu hai ascoltato, con l’indulgenza più delicata, le mie confessioni. La grazia del tuo volto attento sembrava modellarsi sulla mia sofferenza. Poco a poco, credevo di sentire la sostanza del tuo corpo cambiarsi in una specie d’amore caritatevole. Credevo di assistere a un miracolo inaudito: il frutto voluttuoso che si muta in fiore sensibile! Puoi capire? Eri una dolce piccola anima con delle labbra. Eri la bocca stessa dell’Amore che guarisce. Tenterò di farti giungere questa lettera notturna. Sarai forse contenta di stringerla sul petto o di farne il tuo guanciale. Le tue braccia chiare e tenere sono l’unica aureola della martire Notte. Gabriele D’Annunzio a Jouvence

Il ministero dell’Ambiente sta aiutando Lampedusa La notizia del rifinanziamento della struttura che solo alcuni giorni addietro presumibilmente è stata incendiata da ignoti, Il Chiosco dell’Isola dei Conigli di Lampedusa, è arrivata direttamente dal ministero dell’Ambiente. Il direttore generale Aldo Cosentino ha finalmente messo a disposizione della riserva marina e del Comune la somma necessaria per ricostruire il chioschetto. Si tratta di un evento eccezionale, e noi abitanti di Lampedusa non possiamo che essere felici davanti al rifinanziamento di una struttura che, per come è stata progettata, riqualifica l’intera area dando, inoltre, un servizio per quanti fruiscono di una delle più belle spiagge del mondo. Lampedusa è cambiata, la gente è cambiata e gli amministratori intendono far rispettare le regole e le leggi. Anche la direttrice di Legambiente Giusi Nicolini è rimasta favorevolmente colpita dalla disponibilità dimostrata dal ministero. Bisognerà iniziare i lavori al più presto per ricostruire un’opera unica nel suo genere,

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

che rispetta l’ambiente grazie anche all’utilizzo di materiali ecocompatibili e a tecnologie all’avanguardia. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale.

La Destra è l’unica alternativa alla sinistra L’altro giorno Fabio Sabbatani Schiuma, candidato alla Camera con la Destra, ha detto una cosa sacrosanta, e cioè che ”le carte migliori di Rutelli le abbiamo già viste e si chiamano tagli di nastro e finte inaugurazioni, oltre alle dissennate politiche del suo vecchio assessore al traffico Walter Tocci: i romani ne hanno avuto già abbastanza quando negli ultimi tempi del suo mandato a sindaco nessuno sembrava averlo mai votato. L’unica effettiva nuova carta su cui Rutelli può contare è un Pdl che si appresta ancora una volta a rinunciare a vincere a Roma e che, invece di conquistare voti agli indecisi e di esprimere candidature nuove, si preoccupa più di ostacolare i concorrenti, infastidita visibilmente della crescita cittadina e nazionale de la Destra, l’unico partito davvero alternativo alla sinistra.

Alfredo Berté - Roma

Salvo Moro - Agrigento

Tabacci non ha nulla da spiegarci, piuttosto ci ascolti Secondo l’onorevole Tabacci in Italia c’è bisogno di lui che spieghi agli italiani ciò di cui gli italiani hanno bisogno. Io pensavo che in politica avvenisse il contrario: farsi carico delle esigenze dei cittadini che ti votano e realizzare quelle esigenze. Ma forse sbaglio, sono un semplice pensionato, vivo fuori del mon-

PUNTURE Il consigliere numero 1 di Walter Veltroni è Goffredo Bettini. Ecco la difficoltà storica della sinistra italiana: dietro Veltroni non c’è Bettino, bensì Bettini

Giancristiano Desiderio

Se l’atto di libertà assoluta è scrivere un libro, l’atto di alienazione assoluta è pubblicarlo JEAN CAU

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di SE McCAIN VOTA PER OBAMA A poche ore dal “secondo supermartedì” che domani avrà luogo in Texas e in Ohio, il celebre intellettuale di sinistra Stanley Fish (una specie di Umberto Eco d’oltreoceano) se ne esce oggi sul New York Times con un corsivo intitolato “Perché McCain voterebbe per Obama”. Il titolo allude al voto delle primarie, nel senso che secondo Fish non è vero che McCain avrebbe preferito avere come antagonista la Clinton, ed anzi se votasse alle primarie democratiche darebbe il suo voto ad Obama, perché, nonostante nei sondaggi appaia lo sfidante più pericoloso, è anche quello che esce più acciaccato dal conflitto interno delle primarie. (…) Teoria affascinante, anche se forse un tantino semplicistica. Di certo c’è che McCain oltre a guardare nel campo del vicino ha da occuparsi anche del suo, perché pur essendo per lui sostanzialmente già vinte queste primarie hanno ancora un senso: aggiudicata la candidatura, resta ancora da costruire la leadership, e il voto in Texas è quanto di meglio, come scrivevamo venerdì scorso. È una sfida all’ala conservatrice del partito che Old John sta portando avanti cercando di non svendersi: oltre al sostegno dei “local heroes” Bush padre e figlio, e a quello dell’attuale governatore Bushiano Rick Perry, il senatore dell’Arizona può contare anche su quello di Kay Hutchison, che è la prima senatrice donna nella storia del Texas ed anche l’unica donna a rivestire un ruolo di primo piano nel gruppo senatoriale del GOP, ed è al contempo la detentrice del record assoluto di voti elettorali ottenuti in

una elezione in quello Stato (in questo senso viene definita ”il politico più popolare” dello stato). Non si tratta di un’ultraconservatrice: ad esempio, è (come McCain) tra i pochi esponenti repubblicani favorevoli alla ricerca sulle cellule staminali. Il sostegno della Hutchinson a McCain è stato ritenuto talmente significativo da far girare voci di una sua ambizione a entrare nel ticket come candidata alla vicepresidenza (…). Da non perdere d’occhio anche il voto in Ohio, non tanto perché il popoloso Stato del Midwest assegna molti delegati, ma piuttosto perché se McCain vuole vincere le elezioni deve necessariamente coltivare la sua popolarità e la sua leadership in quello stato. L’Ohio infatti conta moltissimo nell’elezione generale: fu determinate assieme alla Florida nell’assegnare la risicatissima vittoria di Bush su Gore nel 2000, e lo fu ancora di più nel garantirgli la rielezione contro John Kerry nel 2004. Non solo: nella storia non c’è mai stato un presidente repubblicano che sia stato sconfitto in Ohio. Scaramanticamente, ricordiamo che in occasione delle elezioni di medio-termine del novembre 2006, David Brooks sul New York Times scelse il seggio senatoriale dell’Ohio come campione da analizzare per preconizzare le nuove tendenze politiche in arrivo. Il repubblicano uscente era Mike DeWine, il classico R.I.N.O., centrista e liberale, e non a caso grande amico di McCain; lo sfidante democratico era il populista noglobal Sherrod Brown. Vinse quest’ultimo.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO La mania per il gioco si trasforma in beneficenza: storia di un un torneo per sovvenzionare la ricerca oncologica

Napoli salvata dal di Adriana Dragoni embra sia nato in Uruguay e che il suo nome significhi ”setaccio”. Che si chiami così non si capisce perché. È il gioco del burraco. Ho imparato a giocarlo da poco. E da subito vi ho notato qualcosa di strano. L’amica che me l’insegnava, mentre contava i punti delle sue carte, ne aumentava il valore. Guardavo attenta e rimanevo basita: stava imbrogliando. In un gioco innocente, non puntavamo neanche un centesimo. «Ma che guardi? Ora devi contare le carte tue», diceva, con aria professorale, a me novellina. E io lasciavo che vincesse sempre lei, per non doverla mortificare. Però mi seccava dover perdere a forza. «Si, c’è gente che, se perde, si sente male, come se il proprio valore fosse deciso da una partita.

S

E allora imbr ogl ia. E sono soprattutto le donne a imbrogliare, mentre gli uomini sono esageratamente intransigenti sulle regole», mi dice un amico psicologo, appassionato del burraco e forse anche un po’ maschilista. Perché non dice che ci sono più giocatrici che giocatori. Sono soprattutto signore borghesi, spesso non più giovanissime; sono quelle che frequentano i convegni letterari e vanno ai cineforum, che hanno più tempo a disposizione. «Tantissimi hanno cambiato il loro modus vivendi per aderire a questa trascinante passione» afferma il sito della F.I.Bur, Federazione Italiana Burraco, l’associazione dilettantistica che, nata nel 1997, ha 15.000 iscritti (la tessera annuale costa solo 27 euro). Ha uno statuto, un Consiglio direttivo, un Collegio di Probiviri e organizza e dà il suo placet a tornei regionali e nazionali. L’ultimo c’è stato il 22 e 23 febbraio a Montegrotto Terme, in pro-

La federazione Italiana Burraco, nata nel 1997, ha 15mila iscritti, ma gli appassionati sono molti di più. Tra loro esiste una nutrita pattuglia di vip che si sono fatti prendere dal gioco di origini uruguaiane

BURRACO? ha sempre studiato le lingue con poco profitto, è riuscita a relazionare con stranieri all’estero appunto giocando a burraco. Ci sono tornei di burraco, come di tanti altri giochi, anche su internet. Ed esiste anche Il libro del burraco. Oltre le regole di Giorgio Vitale. Da cui si ricava che questo è un gioco più intelligente di quanto si pensi, che è talmente divertente che ci si appassiona anche se la posta in gioco sono solo pochi euro, che fa bene alla mente e allo spirito, perché esercita la memoria e il ragionamento meglio delle parole crociate e dei quiz televisivi, e, richiedendo attenzione, impedisce di pensare ai guai. Vi si dice dell’enorme diffusione di questo gioco, diventato un importante fenomeno sociale. Ma il burraco - vi è scritto - è anche uno spiritello ambiguo, che si insinua in noi e, mentre si presenta come single, ci porta a desiderare la coppia, che stuzzica oltremodo la competizione e a volte è talmente attraente che esige un amore assoluto. E allora diventa un’ossessione, una mania. Ho conosciuto i maniaci del burraco.

Da tempo è una vera mania che ha contagiato intere famiglie. Un fenomeno sociale. Esercita la memoria, meglio delle parole crociate e dei quiz televisivi. Anche su internet stanno prendendo piede i numerosi tornei vincia di Padova. La F.I.Bur organizza anche tornei per beneficenza, oltre a quelli delle associazioni. Il 2 marzo, nella sede napoletana dell’Humaniter, Margherita Guarino, campionessa di bridge, ha organizzato un maxiburraco con cento giocatori, il cui ricavato sarà devoluto alla Casa del Sorriso, un centro di accoglienza per familiari di degenti oncologici e per ammalati in day hospital economicamente disagiati. «Certo il burraco non è il bridge» - dice, con un po’ di snobismo, la signora Guarino; ma poi confessa che lei, che

Ho frequentato chi, pur avendo una magnifica casa nella deliziosa Positano, a quel mare e a quella magica atmosfera, preferiva, per passarvi l’estate, un luogo molto meno ameno, dove però c’era una comitiva che ogni giorno, la mattina in spiaggia, spesso il pomeriggio, quasi sempre la sera, giocava a burraco.

Il burraco era l’argomento principe delle conversazioni: la mattina si accordavano per le partite della serata e raccontavano di quelle della sera precedente. Le chiacchiere riguardavano soprattutto chi aveva vinto, oggetto di ammirazione, spesso d’invidia e d’ingiuriose accuse di scorrettezze e di accordi presi sottobanco. In effetti, il gioco del burraco ripete, in certo modo, una sorta di schema della vita. Perché, se non si ha fortuna, si può essere bravi quanto si vuole, si perde comunque. Perché esige impegno e una sorta di sottile cattiveria. E perché punisce i distratti e chi si ostina ad aspettare quella carta che non viene, invece di cambiar rapidamente gioco e adeguarsi alla realtà. Bisogna essere realisti, non sognatori. E alla fine lo confesso: è anche per questo che a burraco io sarò sempre una schiappa.


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