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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Oggi il supplemento

MOBY DICK SEDICI PAGINE DI ARTI E CULTURA

di e h c a n cro

Creato L’altra ecologia

di Ferdinando Adornato

La storia infinita: anche se Israele sceglie la pace da Gaza partono razzi e il terrorismo semina morte. Eppure l’Europa ancora non capisce che questo libro di preghiere siamo noi mons. Pietro Parolin Giannozzo Pucci Rossella Fabiani Riccardo Paradisi Alfonso Piscitelli pagina 12

6 marzo 2008: un testo di preghiere insanguinato, caduto sul pavimento della scuola rabbinica di Gerusalemme dove si è consumata la strage terroristica che ha causato la morte di otto giovani studenti israeliani

solidarietà DALL’INDIA PARTE UNA LUNGA MARCIA PER IL TIBET pagina 7

Aldo Forbice

classi dirigenti EDOARDO GARRONE: «COSTITUENTE SUBITO E SVOLTA SUI SALARI» pagina 9

Enrico Cisnetto

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

spagna

IL SANGUE E IL LIBRO

L’Eta vota uccidendo esponente Ps pagina 10

Davide Mattei

ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 11 80308

allepagine pagine2,23, e 3 alle 4 e5 9 771827 881004

SABATO 8 MARZO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

42 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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erché si continua a sostenere che Gerusalemme è una delle città più belle del mondo? Ci si pensi bene. È una delle poche capitali dove, quando giri per il centro, non puoi fare a meno di notare che in quel McDonald’s si fece esplodere un kamikaze, a quell’angolo saltò un bus, quel bar fu devastato all’ora dell’aperitivo. Non lontane memorie di una guerra di sessant’anni fa, come qui in Europa. Ma ferite aperte. È l’unico posto dove un ragazzo di 25 anni, di nome Ala Hisham Abu Dheim, può uscire da casa, nella zona orientale, la zona araba, e percorrere indisturbato viali e strade per andare a uccidere, poco più in là, otto ragazzini, prima di essere a sua volta ucciso. E dove i suoi genitori, l’indomani, possono esporre alle finestre le bandiere di Hamas, per esibire non tanto il lutto quanto la rivendicazione del gesto del «martirio». È una città dove la parola «pace» non ha alcun particolare significato, nonostante tutti gli sforzi per dargliene uno, per fare in modo che i giorni o i mesi trascorsi senza spargimento di sangue non siano solo una tregua. C’è davvero qualcosa di orribile attorno e dentro le mitiche mura rosa che segnano i confini della Città vecchia.

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Orribile, anche perché quello che è successo in queste ore appartiene ad una storia infinita. La strage nella Merkaz HaRav Yeshiva segue la «piccola guerra» di Gaza, che a sua volta è stata la conseguenza dell’incessante lancio di missili qassam contro Israele, che a sua volta costituisce la strategia politico-militare di Hamas contro l’isolamento della Striscia dopo il colpo di stato interpalestinese, suonato come l’epilogo del fallimento della storia dell’Anp di Yasser Arafat, con i suoi ramoscelli di ulivo, i suoi fucili, le sue cinture esplosive, il suo fondamentalismo (naturalmente laico) e la sua corruzione. È quel che si definisce un’escalation incontrollata, in cui alla fine nessuno dei protagonisti è più padrone delle proprie mosse. La storia infinita, poi, riguarda anche la cornice internazionale. Con il Consiglio di sicurezza dell’Onu bloccato dall’ambasciatore libico e quindi ancora una volta messo in condizione di non pronunciarsi. Con la priorità che viene data alla salvaguardia dei piccoli rivoli che restano del «processo di pace». Con la solita discussione sull’uso della forza da parte di

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Perché Israele resta disarmato di fronte al terrorismo e sul piano politico prigioniero dell’attacco fondamentalista

Conflitto infinito tra il nichilismo e chi gli resiste di Renzo Foa

Israele, su quale possa essere un ricorso proporzionato all’offesa ricevuta. Con uno strabismo inguaribile, per cui tutto ciò che proviene dai palestinesi ha una spiegazione, quasi una giustificazione, mentre tutto ciò che attiene all’altra parte in causa è catalogato come una colpa. Ma l’orribile – insisto sull’aggettivo – consiste nel fatto che questa storia non si trascina da un tempo ragionevole, quello che circoscrive il ciclo naturale di una guerra. Risale piuttosto almeno a tre genera-

Prima Arafat e ora Hamas sono riusciti a trasformare perfino Gerusalemme in una città orribile, una capitale della morte zioni fa. Se capita, ci si vada a leggere quel meraviglioso romanzo di Arthur Koestler che ha per titolo Ladri nella notte. Erano gli Anni Trenta e c’era-

no già tutte le voci, anche se in dimensione diversa, di un conflitto irrisolvibile. Ma perché è irrisolvibile? Perché si stringono accordi che poi non vengono rispettati? Ecco la domanda, aldilà di tutte le analisi strategiche e di tutte le considerazioni di geopolitica, che sono naturalmente importanti, ma che paradossalmente giungono tutte alla medesima conclusione. Questa: Israele, qualunque cosa faccia, qualunque mossa compia, si ritrova sempre con le spalle al muro, senza possi-

bilità di una scelta alternativa alle reazione a cui viene costretta dai suoi nemici. E, per di più, si riscopre in continuazione vulnerabile, esposta a ferite che pesano su una tenuta civile interna. E questo succede sia nel caso che a Gerusalemme ci siano governi forti sia nel caso che i governi, come questo di Olmert, sia debole. Si ritira dal sud del Libano, con un gesto unilaterale, magari sostenuto da qualche tacito accordo segreto. Ma dopo qualche anno ecco che proprio il sud del Libano è una fortezza (come è accaduto nell’estate del 2006) per una guerra di logoramento. Si ritira da Gaza – finalmente – e a prezzo di profonde lacerazioni interne. Ma ecco che, molto più rapidamente ancora, la Striscia si trasforma in un mini «Stato canaglia», sul piano militare base di lancio di missili e su quello politico simbolo di un «blocco» che viene esibito come strumento di propaganda. Propaganda per sostenere che c’è un progetto di «soluzione finale» della questione palestinese, per rilanciare il negazionismo coniato dall’iraniano Ahmadinejad, per riproporre l’inesauribile ideologia totalitaria e nichilista dell’anti-israelismo.

Il tutto è fondato – va aggiunto – anche sulle «casematte» occidentali del nazionalismo pan-arabo e del fondamentalismo islamista. L’elenco è semplice. Le «casematte» del boicottaggio dei festival culturali di cui Israele è ospite, come nel caso di Torino. Le «casematte» delle università europee che non vogliono aver rapporti con quelle di Tel Aviv o di Gerusalemme. Le «casematte» politiche e diplomatiche costruite anche a Bruxelles, in quella Commissione che, ad esempio, accetta che la Turchia entri nel Kurdistan iracheno per smantellare le basi del Pkk (la cui sigla è formalmente nell’elenco delle organizzazioni terroristiche), ma alza subito la voce se il fuoco viene aperto contro Hamas (formalmente iscritta allo stesso elenco). Le «casematte» di un relativismo per il quale ciò che avviene nei territori palestinesi e a Gaza è in ogni modo tollerato, anche se si tratta della pena di morte. Anche se si tratta della pulizia etnica contro le comunità cristiane. Anche se si tratta dell’uso dei fondi europei non allo scopo di aiutare le popolazioni civili, ma per alimentare quella forma di guerra che è il terrorismo. Per non parlare poi di un altro capitolo, quello della debolez-


il za di Israele. Intanto una debolezza strutturale. Una democrazia, per sua natura, nonin grado di vivere costantemente in una condizione diguerra, se non raccoglie dei risultati. Una democrazia, per sua natura, esprime voglia di pace. E poi c’è la debolezza congiunturale, quella espressa dal governo Olmert, forse il peggiore della storia, che è riuscito suo malgrado a sottolineare la profonda contraddittorietà della «condizione israeliana». La difficoltà di mandare avanti un processo di pace. La difficoltà nel fare una guerra, come è successo in Libano, in cui sono mancate sia la volontà politica che la capacità militare. La difficoltà di consolidare i gesti unilaterali compiuti nella direzione della pace: ultimo è stato il ritiro da Gaza, che avrebbe dovuto spianare la strada ad un accordo mentre invece ha portato a un nuovo conflitto a «bassa intensità», carico però del rischio di diventare una guerra vera e propria. Ecco, queste sono tutte le ragioni di una storia che non finisce mai, nonostante il carico di sangue. Ogni tanto vanno ricordate, senza dimenticare da ultimo l’incredibile vocazione suicida delle classi dirigenti palestinesi, di cui la prima e la seconda intifada sono il simbolo. Ora ho letto da qualche parte che ne è in arrivo una terza, per tracciare ancora di più la separazione tra due mondi e ricordarci che l’unica pace possibile – se si esclude quella di una vittoria militare schiacciante di una delle parti sull’altra – è quella decisa dalla costruzione di muri divisori, destinati ad impedire qualunque contatto per almeno una generazione. Per prevenire lo scontro.

Per concludere una nota personale. Ogni volta che vado in Israele sono sorpreso dalla capacità di tenuta di una società che vive quotidianamente nel rischio, che riesce a tenere insieme moderati ed estremisti, che si è abituata a coesistere con «entità nemiche» che si alternano costantemente all’interno del proprio territorio. Sono sorpreso da una normalità della vita quotidiana, che non è certo il risultato di una coesione etnica o religiosa, ma di qualcosa di più profondo, spesso inspiegabile, come del resto difficilmente spiegabile è l’ebraismo. È quel che mi induce a pensare che la ragione per la quale finora Israele ha resistito – oltre alla ragione tecnica del rapporto di forza militare, che viene ovviamente al primo posto – è questa «condizione culturale» che la rende più forte dell’ideologia nichilista di nemici che puntano solo alla sua distruzione.

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L’avvertimento dell’ex ambasciatore israeliano in Italia

«Europei, è sbagliata la vostra equidistanza» di Ehud Gol attacco dell’altra sera alla scuola ebraica non è il primo e non sarà l’ultimo che si compirà contro Israele. È giunta l’ora che la comunità internazionale decida come rispondere al terrorismo globale e a quello di Hamas ed Hezbollah. Un terrorismo che da mesi continua a colpire il sud di Israele e che ieri si è spinto fin dentro Gerusalemme. Il processo di pace non si è interrotto, ma è evidente che ogni Paese deve avere il diritto di difendere i propri cittadini. Israele compreso, e non deve essere lasciato solo né a difendersi né a dialogare. Tre anni fa abbiamo deciso di uscire da Gaza e lo abbiamo fatto in modo unilaterale, con l’idea che questo passo potesse facilitare il dialogo con i palestinesi. La verità è che Israele ha accettato il concetto di costruire due Stati indipendenti. Ma non Hamas, non Hezbollah. Per loro due Paesi, due popoli, non è un tema in agenda. Per loro lo Stato di Israele va distrutto. Spero ancora che la voce della moderazione nel mondo palestinese possa essere più forte di quella terrorista che ha seminato sangue e terrore nel seminario di Gerusalemme. La nostra è una logica semplice: crediamo nella voce araba moderata e con quella vogliamo dialogare. Il punto è che non importa cosa possa dire o fare Israele fintanto che ci saranno ben tre fronti aperti contro di noi: l’Iran, con le continue minaccie di Ahmadinejad di volerci radere al suolo,

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noi, un Paese delle Nazioni Unite; Hezbollah e Hamas. Forse altri Paesi leggono queste esternazioni pericolose come vuota retorica, ma per noi sono minacce continue e concrete. Non possiamo lasciarle cadere nel vuoto. E resto sorpreso nel leggere che la Libia, assieme a un altro piccolo nugolo di Paesi, sia riuscita a bloccare una dichiarazione ufficiale del Palazzo di Vetro di ferma condanna all’attentato di Gerusalemme. Chiedendo, per approvarla, che prevedesse una riprovazione anche verso gli attacchi israe-

Hamas, ma anche Israele se sceglie di difendersi. Sbagliando, in questo modo, l’angolazione del suo sguardo. La nostra è autodifesa. I loro sono attacchi terroristici. Non si può continuare a mettere sullo stesso piano Israele ed Hamas. Non è giusto fare un bilancio fra un gruppo di estremisti e un Paese che pensa alla sicurezza dei propri concittadini. Noi andremo avanti. Tzipi Livni ha detto che la nostra tolleranza agli attentati non continuerà all’infinito. Potrebbe venire un giorno in cui si renderà necessaria un’operazione militare che distrugga le cellule terroristiche a Gaza. La verità è che si deve alzare una voce comune, che comprenda anche i palestinesi moderati e che dica basta. Basta al linguaggio della violenza. Perché il terrorismo rovina anche la vita dei loro figli. Olmert sta cercando di fare il massimo, ma evidentemente non è sufficiente, perché gli attacchi continuano e noi non possiamo reagire in maniera troppo dura. Una posizione morale che stiamo pagando con un alto numero di vittime, militari e civili. Negli ultimi anni anche i palestinesi hanno fatto il massimo, ma per continuare ad uccidere più israeliani possibile. Dobbiamo allora rafforzare le nostre difese, a cominciare dalla barriera di sicurezza che deve essere impenetrabile almeno al 99 percento. Il processo di pace deve continuare, ma anche la ferma lotta al terrorismo. (testo racolto da Luisa Arezzo)

Per Hamas ed Hezbollah non esiste l’idea di due Paesi e due popoli. Per loro Israele deve sparire. La comunità internazionale deve intervenire con forza liani a Gaza. Sono sette anni che subiamo giornalmente attacchi di missili Kassam sulle nostre città e dalla Striscia ci siamo ritirati. La risposta del mondo occidentale deve essere ferma e chiara. Hamas è sulla lista dei terroristi ed è incredibile che un Paese come la Libia, con il suo regime, abbia potuto bloccare una dichiarazione dell’Onu. Ecco perché non posso fare a meno di esimermi dal criticare fortemente le Nazioni Unite, in balia di un voto di maggioranza composto, per il 55 percento, da Paesi con regimi non democratici. Una debolezza che ha dell’incredibile. Anche la Ue ha perso molte occasioni. E commette un errore ogni qualvolta critica


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La sicurezza di Israele è la condizione delle trattative di pace

Il rebus di Olmert. Come e quando disinnescare Gaza di Emanuele Ottolenghi l giorno dopo l’attacco terroristico al seminario rabbinico Mercaz Harav a Gerusalemme, Israele appare debole. Nella stessa giornata, un missile ha centrato una casa a Sderot, ferendo alcuni civili e una pattuglia israeliana è stata colpita da una cellula della Jihad Islamica – un morto e tre feriti il bilancio. Sembra che lo stato ebraico sia di nuovo vulnerabile e le sue azioni militari e le sue misure antiterrorismo non siano sufficienti. Certo, sui tre incidenti si dirà ancora molto – come ha potuto un terrorista armato di kalashnikov penetrare i controlli di sicurezza dell’istituto? Come mai non esistevano avvertimenti e informazioni precise sull’attacco? Ma queste sono questioni di secondo piano rispetto all’orizzonte strategico che l’emozione scatenata dal tragico attentato rischia di offuscare. Il terrorismo palestinese da anni cerca giornalmente di penetrare le difese israeliane. Da un picco di 7.634 attacchi nel 2002, Israele è riuscito – attraverso la costruzione della barriera difensiva, gli arresti, le uccisioni mirate, i posti di blocco e la continua raccolta di intelligence giornaliera – a impedire che questi grandi numeri si traducessero in altrettanti successi dei terroristi.

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ora lo chiuda. Soltanto una sconfitta delle organizzazioni terroristiche – non un cedimento israeliano o l’inclusione dei terroristi nel processo politico – può creare le condizioni per una pace duratura. Promuovere il dialogo con Hamas a cadaveri

di giovedì sia una rappresaglia contro le incursioni israeliane a Gaza finisce con l’ignorare ancora una volta l’orizzonte strategico creatosi nella Striscia governata da Hamas. Hamas investe le proprie energie nel lancio quotidiano di dozzine di missili da Gaza piuttosto che in missioni suicide quasi sempre destinate a fallire perchè Israele ha efficacemente contrastato il terrorismo e Hamas preferisce la violenza alla convivenza. L’Europa non sembra afferrare questo fatto, nella sua prevedibile e moralmente bancarottiera retorica secondo cui Israele ha diritto a difendersi – sempre seguita dal caveat che le attuali misure di difesa adottate sono “eccessive” o “sproporzionate”. L’orizzonte strategico d’Israele oggi vede due organizzazioni – Hamas e Hezbollah – che sono entrambe

Una domanda alla diplomazia europea: perché tanta cautela se Gerusalemme si è ritirata dalla Striscia e se per tutta risposta i palestinesi tirano salve di missili Qassam e tornano al terrorismo suicida?

Tanto da ridurre il numero di attacchi a 2.135 nel 2006 e a garantire che soltanto una loro infinitesima porzione avesse successo. Nel 2007 sono morti 13 israeliani in attacchi terroristici, ma i tentativi sono nell’ordine delle migliaia. Il che significa che ci sono tre tentativi al giorno, che Israele riesce di solito a prevenire o sventare. È il successo d’Israele nel piegare il terrorismo – e non la disponibilità d’Israele a piegarsi al ricatto terrorista – che ha riaperto l’orizzonte diplomatico di Annapolis. Ed è inevitabile che il terrorimo

ancora caldi – specie viste le scene di giubilo a Gaza alla notizia del massacro – significa premiare il metodo terrorista e i suoi risultati e condannare Israele al ricatto del terrore. Similmente, ritenere che l’attacco

equipaggiate, addestrate e finanziate dall’Iran, ai suoi confini. Con l’Iran hanno in comune la retorica genocida contro Israele – che, combinata alle loro azioni dovrebbe bastare a giustificare le risposte israeliane. Entrambe utilizzano i missili non come arma strategica di deterrenza o come arma tattica nello scontro convenzionale tra forze militari. Per loro i missili – proprio perchè imprecisi – servono a terrorizzare la popolazione civile e a renderne la vita quotidiana impossibile. Per questo il bombardamento quotidiano di cittadine israeliane – più di 1000 missili da quando Hamas ha preso il potere manu militari a Gaza il giugno scorso – è un’escalation gravissima, al di là del danno effettivo. Chi condanna Israele e le sue reazioni non si rende conto che Israele ha il dovere di rispondere e mettere a

tacere gli attacchi giornalieri prima che il numero di vittime sia tale da imporre una reazione israeliana molto più dura. Hamas ha scelto la guerra contro Israele anche dopo il ritiro israeliano da Gaza. Questo fatto dovrebbe far meditare chi sostiene che il terrorismo palestinese è la conseguenza dell’occupazione israeliana.

Gaza non è più occupata da due anni, ma la risposta di Hamas al ritiro israeliano non è stata investire risorse nella ricostruzione, nel miglioramento dell’infrastruttura, nell’approvigionamento della popolazione, nella creazione di condizioni che favorissero l’investimento straniero. Hamas non ha fatto nulla per rassicurare Israele e dire ora che l’occupazione è finita e noi siamo al governo ci occuperemo del benessere dei

nostri cittadini. No, Hamas ha preposto la sua guerra contro Israele al benessere dei suoi cittadini ed è pronta a sacrificarne la vita, oltre che la qualità della vita, pur di uccidere altri israeliani. Il deterioramento delle condizioni a Gaza, contrariamente a quanto detto dalle solite e prevedibili denunce di organizzazioni come Amnesty International o Save the Children, è dovuto all’irresponsabile follia di Hamas, che preferisce spendere le proprie risorse per la guerra piuttosto che migliorare la situazione interna. È vero che i confini di Gaza sono chiusi – anche se solo parzialmente – ma cosa ci si aspetta da uno Stato sotto tiro? È grottesco che tocchi a Israele sfamare i cittadini di Gaza – che hanno eletto Hamas democraticamente a loro guida – quando Hamas cerca giornalmente di


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Un’incertezza strategica dietro l’escalation di violenza

“Falchi”e “colombe” dividono Hamas di Andrea Margelletti a frammentazione interna dei blocchi contrapposti non agevola nessuno. Anzi. Gli ostacoli al processo di pace, infatti, non nascono unicamente dai contrasti fra israeliani e palestinesi, ma anche da quelli in seno a ciascuno dei due fronti. E mentre il premier israeliano, Ehud Olmert, ha da gestire il grosso calo di consenso e una maggioranza alla Knesset sempre più ristretta, la sua controparte, il presidente dell’Anp Abu Mazen, sta attraversando una fase di profonda debolezza politica.

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Il confronto fra al-Fatah e Hamas - che ha visto nel colpo di mano a Gaza ormai a giugno dell’anno passato il suo momento più critico - prosegue. Il dialogo aperto ad Annapolis con Olmert ha posto Abu Mazen sul piedistallo del buon interlocutore agli occhi dell’Occidente, ma anche alla gogna come traditore per i palestinesi della Striscia. Il movimento di ispirazione islamica guidato da Ismail Haniyyeh non perdona ad al-Fatah il fatto di concedere così tanto agli israeliani, abbandonando la popolazione di Gaza a una crisi umanitaria che non trova soluzione. A questo va aggiunta l’ennesima escalation di violenza che ha visto la Striscia drammaticamente coinvolta nelle ultime settimane. Infine non si può dimenticare che Hamas si ritiene il legittimo vincitore delle elezioni di gennaio 2006; e che pertanto rivendica di governare. Effettivamente per il presidente dell’Anp il processo di pace è un’arma a doppio taglio. Perché l’obiettivo di creare uno Stato palestinese composto da Cisgiordania e Gaza, con un corridoio che le congiunga, è possibile solo trattando con Israele. Ma questo è proprio ciò di cui Hamas lo accusa: parlare con il nemico, disinteressandosi del proprio popolo. Non è un caso che il 2007 sia stato un anno di forte calo di consenso a livello personale per Abu Mazen. Dall’altra parte anche la compattezza interna ad Hamas è solo apparente e regge soprattutto per fronteggiare Israele e ostacolare il processo di pace. La sua intransigenza è volta ad alzare la posta contro Israele, per guadagnare punti nell’opinione pubblica interna e di fronte agli altri Paesi arabi. Rischio estremo di questa politica è la creazione di un’entità autonoma a Gaza sotto il suo unico controllo. Ma tutto questo cela anche i tentativi di dialogo di alcuni suoi esponenti ad avviare un dialogo con al-Fatah, per ricucire i rapporti politici e tornare all’unicità nella amministrazione dei Territori Palestinesi, oltre che con Israele. Non si può dimenticare infatti che all’inizio di novembre, Ahmed Yousef - esponente dell’ala moderata del movimento e consigliere politico di Haniyyeh - non escludeva a priori la partecipazione di Hamas al vertice di Annapolis, «a patto però che fossero gli Stati Uniti a invitarla». Un caso, questo, che mette in piena evidenza il contrasto che da mesi è in corso all’interno del movimento tra i

moderati, comunque vicini ad Haniyyeh, e la corrente più radicale capeggiata dall’ex Ministro degli Esteri, Mahmud Zahar, colui che per primo spinse per il colpo di mano a Gaza a giugno. Ma anche la posizione di Zahar è ancor più complessa di quanto appaia. Perché se all’inizio dell’anno la sua vera e propria rabbia contro Israele è stata alimentata da motivazioni personali (la morte del figlio nel corso di un raid dell’aviazione israeliana), oggi va ricordato che è stato proprio lui a guidare la delegazione di Hamas e della Jihad islamica inviata in Egitto per giungere a un cessate il fuoco nella Striscia. Inoltre bisogna ricordare che a Damasco Hamas ha un suo ufficio politico, guidato da Khaled Meshal, leader storico del movimento e ritenuto il diretto interlocutore con il governo iraniano. In queste settimane sembra che anche la linea dura di Meshal si sia attenuata e che abbia cercato anch’egli di mettersi in contatto con il Cairo come sta facendo Zahar. A tutto ciò si aggiunge l’incognita Hezbollah, importante alleato di Hamas. L’eliminazione del responsabile dell’apparato di sicurezza, Imad Mughniyeh, a Damasco il 12 febbraio, ha rivitalizzato le frange più oltranziste e violente del“Partito di Dio”. La loro reazione come vendetta a questa grave e per alcuni aspetti incolmabile perdita - non può essere esclusa. La storia ci ricorda che l’uccisione dell’allora segretario generale di Hezbollah Abbas al-Musawi, nel 1992 per mano degli israeliani, fu lavata con il sangue. Nello stesso anno infatti proprio Mughniyeh architettò l’attentato all’ambasciata israeliana di Buenos Aires, che provocò 29 morti e 242 feriti.

C’è chi vuole ricucire con Abu Mazen, c’è chi sperava in un invito ad Annapolis, c’è chi cerca un ponte con Mubarak. C’è paura dell’isolamento

massacrare civili israeliani. La dinamica attuale – razzi da Gaza seguiti da risposte israeliane di vario rigore e intensità – è stata modificata dal pesante tributo di sangue pagato ieri da otto giovani seminaristi la cui unica colpa era di essere ebrei. Israele non potrà tollerare per molto ancora una situazione dove, mentre a Gaza fanno finta di fare la fame, Hamas riceve continui rifornimenti di armi sempre più sofisticate e in grado di tenere sotto tiro più di 250.000 civili israeliani. L’attuale governo israeliano ha certamente un problema di credibilità dopo gli esiti della guerra contro Hezbollah nel 2006 e la recente operazione a Gaza – fermatasi dopo pochi giorni per le pressioni internazionali. Ma è solo una questione di tempo prima che Israele non scelga di far piazza pulita di Hamas – come fece nell’a-

prile 2002 nella Cisgiordania. Quando questo avverrà è difficile da stabilire, ma l’Europa che sempre più insiste nel dialogo con Hamas dovrebbe riconoscere tre dati: primo, che il diritto d’Israele a difendersi non è solo un artificio retorico, ma va sostenuto anche quando Israele lo esercita nei fatti. Secondo, che l’occasione per dimostrare la sua disponibilità al dialogo e alla moderazione, Hamas se l’è abbondantemente giocata preferendo la guerra a oltranza contro Israele piuttosto che un comportamento responsabile verso i propri cittadini e i propri vicini; e terzo, che soltanto una sconfitta dura, chiara e definitiva, dell’infrastruttura militare e terroristica di Hamas può ristabilire la sicurezza d’Israele e aprire quindi la strada a un rinnovo del processo diplomatico.

Non è un caso, quindi, che il recente attentato nella scuola rabbinica di Gerusalemme sia stato rivendicato da uno sconosciuto gruppo denominato “Kataeb Ahrar el-Jalil” (Brigate degli uomini liberi della Galilea - Gruppo del martire Imad Mughniyeh e dei martiri di Gaza). Certo, classificare l’avvenimento come l’effettiva rappresaglia di Hezbollah alla morte di Mughniyeh è troppo semplicistico.Tuttavia che vi sia un fil rouge, peraltro legato anche ai fatti di Gaza, pare essere evidente. A ben vedere quindi il quadro non è così manicheo come possiamo pensare. Certo la distinzione tra “falchi e colombe”non è molto lontana dalla realtà.Tuttavia è anche evidente come tra coloro che classifichiamo come “falchi”si possano intravedere degli spiragli di apertura al dialogo. Perché Hamas non è un blocco monolitico di terroristi, ma un movimento politico guidato anche da leader che potrebbero accettare determinati compromessi. E infine perché Abu Mazen, dal canto suo, pur con la sua debolezza, potrebbe essere il solo cavallo su cui puntare in questo difficile momento del processo di pace. Presidente Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali


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politica d i a r i o

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g i o r n o

D’Alema: stallo colpa di Berlusconi Se l’esito delle prossime elezioni porterà ad una fase di stallo in cui sarà impossibile avere una maggioranza chiara al Senato, «la responsabilita è di Silvio Berlusconi». Lo dice il vice premier Massimo D’Alema, secondo cui Berlusconi «ha la responsabilità grave di aver dato al paese una legge elettorale pessima e inoltre, quando c’era la possibilità di poterla cambiare insieme, ha risposto di no».

D’Amato rifiuta candidatura nel Pdl «No, grazie». Secondo quanto si apprende, l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato ha rifiutato la proposta di Silvio Berlusconi di candidarsi nelle file del Pdl.

Storace contestato a Genova

Presentato il programma Udc: costituente, merito e pax fiscale

Al Centro la famiglia di Susanna Turco

ROMA.

Un programma volutamente sobrio, che mette al centro la famiglia come punto dal quale iniziare «una rivoluzione culturale che faccia ricominciare l’Italia», ma che «non è il libro dei sogni» perché «noi non facciamo promesse impossibili che svaniranno il giorno dopo il voto». Tra affermazione d’orgoglio di partito e polemica esplicita verso i «Golia» delle elezioni (rispetto ai quali «non esiste l’ipotesi di accordi post elettorali»), Pier Ferdinando Casini presenta così il programma dell’Unione di centro, insieme con gli stati generali della neo formazione, disposti plasticamente a destra (gli uddiccini Cesa, Buttiglione e Vietti) e alla sinistra (Pezzotta, Tabacci e Baccini) del candidato premier. Era assai più tesa l’atmosfera l’ultima volta che i centristi si sono visti là, nella sede delle Confcooperative proprio di fronte al Teatro dell’Opera: allora si trattava di sancire la scelta di correre da soli, rompendo un’alleanza con Berlusconi che durava da 14 anni, adesso invece c’è un progetto in costruzione, tra Udc e Rosa bianca si va «verso la nascita di un nuovo partito», e al massimo si avverte qualche ruvidezza di ricasco per le fibrillazioni da chiusura delle liste.

Per le candidature infatti si lavorerà fino all’ultimo minuto utile, spiegano gli uomini di Casini, ma pian piano vengono fuori i nomi: non è ancora risolto il caso di Roma, dove si tratta di capire come gestire quella che oggi è di fatto la doppia candidatura di Baccini e di Ciocchetti, ma dopo l’arruolamento di Alessandra Borghese anche

Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano dei lavoratori e assai vicino alla Cei ha sciolto la riserva: correrà da capolista al Senato in Puglia. E, dopo l’incontro con Lorenzo Cesa, è cosa fatta l’accordo politico con la Democrazia Cristiana di Angelo Sandri, «finalizzato a rompere lo schema bipolare e rafforzare il centro politico alle prossime elezioni».

Del resto, l’obiettivo dichiarato della neo formazione, che in parallelo alla corsa elettorale sta avviando una Costituente di centro per il soggetto politico che verrà, è appunto «rompere lo schema di questo bipolarismo muscolare», spiega Savino Pezzotta: «Non vorrei che sotto sotto, con l’idea del sindaco

Casini: «Non esiste l’ipotesi di accordi post elettorali, non faremo sconti e non faremo i tappabuchi per nessuno» d’Italia, si facesse avanzare il presidenzialismo. Noi siamo contrari e riteniamo che il sistema parlamentare, pur se con qualche correzione, sia ancora il migliore». «Nei prossimi anni ci sarà spazio per un centro riformatore», insomma, per il momento c’è la carta programmatica. «Sancisce», spiega Casini «l’intesa tra Udc e Rosa Bianca che è la novità di questa sfida elettorale» e che punta su una «politica inedita, che consenta la ripresa della natalità» e mette «al centro della cam-

pagna elettorale i temi etici», che «le grandi armate costruite per vincere hanno invece eliminato».

Il «decalogo» dell’Unione di centro presentato ieri, che si traduce sul sito internet di Casini in «cinque impegni coerenti», punta dunque sulla famiglia e propone una detassazione «selettiva», che aiuti in particolare i nuclei modoreddito con figli (dal raddoppio degli assegni familiari alla deduzione delle spese per gli asili nido e la materna fino a un assegno pari al sessanta per cento dello stipendio per i genitori che decidono di stare accanto al figlio nel suo primo anno di vita). Quanto al «merito», tra le proposte c’è il «buono scuola» per la libertà di educazione, ossia il contributo alle spese della retta per i figli che frequentano scuole paritarie e, per quanto riguarda l’Università, l’Udc propone l’aumento dei salari dei ricercatori e professori universitari e l’aumento del finanziamento pubblico alla ricerca fino ad almeno l’1.8% del Pil. Quanto all’energia, si punta al «rilancio della produzione del nucleare», l’aumento dei rigassificatori e la costruzione di termovalorizzatori. Altro tema al centro del programma la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, della dignità della persona umana, della libertà religiosa e della famiglia, intesa come società naturale fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Per quel che riguarda la costituzione, l’Udc riconosce che «necessita di un aggiornamento» e per procedere alle riforme propone una «apposita Assemblea da eleggere con metodo proporzionale».

Una contestazione da parte di una ventina di giovani, bloccati dalla polizia, si è svolta ieri pomeriggio nel centro storico genovese, dove il segretario de La Destra Francesco Storace stava per tenere un comizio. Al grido di «Carlo è vivo e lotta insieme a noi» e «Fascisti carogne», i giovani hanno tentato di confluire in piazza, ma sono stati respinti dalle forze di polizia.

Strage Molfetta: i risarcimenti dello Stato Ad alcuni pagherà solo il funerale. Per gli altri lo Stato italiano spenderà poche migliaia di euro l’anno: precisamente, 6.800 euro subito per i funerali, 34.000 euro l’anno finchè i figli non saranno maggiorenni e 20.000 euro l’anno fino alla morte delle tre vedove. In altri termini, ad ogni famiglia andranno circa 500 euro al mese, esclusi 280 euro a figlio fino al 18esimo anno di età. A tanto ammontano infatti le rendite che - apprende l’Agi - spettano ai familiari delle vittime della strage del Truck Center di Molfetta, in cui hanno perso la vita cinque persone.

Papa contro positivismo e materialismo «Positivismo e materialismo hanno prodotto generazioni di storici ma di fatto hanno ucciso la storia». Lo ha denunciato Benedetto XVI nel discorso rivolto oggi al Pontificio Comitato di Scienze Storiche. «Entrambe queste ideologie - ha spiegato - hanno condotto a uno sfrenato entusiasmo per il progresso che, animato da spettacolari scoperte e successi tecnici, malgrado le disastrose esperienze del secolo scorso, determina la concezione della vita di ampi settori della società».

Operaio Thyssen al posto di Diliberto «I comunisti sono diversi da tutti gli altri, per questo motivo ho deciso di lasciare il Parlamento ed al mio posto ci sarà come capolista Ciro Argentino, operaio della Thyssen. La politica si può fare bene anche fuori dalle istituzioni». Lo ha affermato Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, nel corso di una conferenza stampa. «Non mi candido in Parlamento ma continuerò a fare il segretario del partito. Avevamo deciso di eleggere un operaio e nella trattativa però non c’era posto, io mi chiamo fuori e così sarà garantita l’elezione ad un operaio». «È una scelta - ha proseguito - che non mi pesa assolutamente ed è una risposta alla politica della casta».

La Lega: quella candidatura è un tragico reality show «La strumentalizzazione della tragedia della Thyssen fatta a mezzo candidature è indegna. Poveri lavoratori, da anni usati da certi sindacati che fanno politica - afferma Cota della Lega Nord - ed oggi utilizzati da politici in cerca di personaggi da sfruttare come in un triste e cinico reality show». «Nel frattempo le famiglie delle vittime - conclude - saranno presto dimenticate».

Crac Perugia, carcere per Gaucci Deve essere confermata la misura di custodia cautelare in carcere disposta per Luciano Gaucci nell’ambito dell’inchiesta sul crac del Perugia calcio. Lo ha sollecitato il sostituto procuratore generale della Cassazione Enrico Delehaye nella sua requisitoria davanti ai giudici della quinta sezione penale della Suprema Corte, che stasera decideranno se confermare o meno la custodia cautelare nei confronti dell’ex patron della squadra umbra, che si trova a Santo Domingo.


solidarietà

8 marzo 2008 • pagina 7

Inizia lunedì a Dharamshia in India con migliaia di esuli

IN MARCIA PER IL TIBET di Aldo Forbice

unedi 10 marzo inizierà la grande marcia per il Tibet promossa dalle cinque organizzazioni tibetane che di recente hanno promosso il «Movimento di insurrezione del popolo tibetano». Le cinque associazioni - Tibetan Youth Congress, Tibetan Women’s Association, Gu-Chu-Sum Movement of Tibet, National Democratic Party of Tibet e Student for a Free Tibet - hanno deciso di coinvolgere diverse migliaia di esuli tibetani che partiranno da Dharamshaia (India) verso il Tibet. Nei giorni scorsi alcune centinaia di partecipanti hanno praticato una sorta di training, secondo i principi ghandiani della non violenza. Nelle diverse tappe della lunga marcia si uniranno via via indiani e occidentali. Il sostegno della popolazione indiana (con cibo, bevande, posti per dormire, etc...) sembra assicurato, anche se il governo cinese sta esercitando una forte pressione nei confronti dell’India perché scoraggi e freni l’iniziativa.

L

samente segreti. Su quattro di questi si conosce la vera identità: l’industria Carpet Factory produce tappeti destinati all’esportazione e si trova nel carcere Drapchi (il 12% dei detenuti sono imprigionati perché dissidenti), la Bomi Prison e la Powo Tramo Prison, dove sono stati trasferiti i tibetani condannati per «reati politici»; infine il laogai Nitang Brickyard, nella prigione Chushur. Questo carcere è stato visitato nel dicembre 2005 da Manfred Nowak, rappresentante della Commissione contro la tortura, che ha confermato, in un rapporto del 2006, l’uso diffuso della tortura nelle carceri cinesi. Non è la prima volta che denunce sulle violenze in Tibet, commesse dai «colonizzatori» cinesi, vengono denunciate da dissidenti, giornalisti e religiosi. Ormai vi è un’ampia letteratura sui massacri, le torture, le persecuzioni di suore e monaci. L’ultimo libro di denuncia, tra pochi giorni nelle librerie, è curato dal noto dissidente cinese, Harry Wu, e pubblicato dalla casa editrice Guerini.

Le richieste: il ritorno del Dalai Lama, la fine dell’occupazione e la liberazione dei detenuti rinchiusi in più di venti campi di concentramento

La manifestazione è stata decisa dalle organizzazioni degli esuli tibetani in occasione del 49mo anniversario della rivolta di Lhasa, che ha comportato lutti e rovine (compresa la distruzione di buona parte dei monasteri buddisti), ed ha rappresentato l’inizio della repressione contro i monaci e la popolazione tibetana, che continua ancora oggi. Una repressione, che coinvolge, com’è noto, tutte le minoranze etniche e religiose, come i cristiani, gli uiguri ed i buddisti. Molti vengono internati nei laogai (di gulag cinesi ve ne sono più di mille in tutto il territorio della repubblica) e, di solito, quando sopravvivono ai lavori forzati i dissidenti vengono fucilati o finiscono nelle camere della morte dove viene praticata l’iniezione letale. Spesso i loro organi vengono venduti sul mercato nero cinese e internazionale. In Tibet vi sono almeno 24 laogai, tenuti rigoro-

Il Dalai Lama, guida spirituale e politica del popolo tibetano

Le cinque organizzazioni tibetane hanno chiesto al governo di Pechino, in vista delle prossime Olimpiadi, di consentire il ritorno del Dalai Lama in Tibet, la fine dell’occupazione militare del paese delle nevi e la liberazione di tutti i prigionieri politici. Inoltre, esse si sono rivolte al Cio (Comitato olimpico internazionale) facendo una richiesta che oggi appare utopistica: «la cancellazione dei Giochi Lunedì 10 marzo 2008, in occasione del 49° anniverolimpici di Pechino sario dell’insurrezione di Lhasa, si terranno a Roma, 2008 e la richiesta di alcuni importanti momenti di mobilitazione in fanon considerare più la vore del Tibet. Alle ore 16.00 ci sarà un sit in di fronte Cina come un potenalla sede del Coni in via largo De ziale paese ospite dei Bosis 15, mentre alle 17.30 partirà Giochi, finchè il Tibet una fiaccolata da Piazza Navona dinon sarà libero». Una retta alla sede dell’Onu. Con questa richiesta che oggi nepmanifestazione i promotori chiepure il Dalai Lama fa dono: la liberazione di tutti i reclusi più perché, realisticanelle carceri e nei laogai cinesi e la mente, si rende conto liberazione del Panchen Lama, sedella sua impraticabiquestrato dai cinesi nel 1995. Il lità. Egli, come ha più rispetto dei diritti umani e dell’idenvolte ripetuto (anche tità storica e culturale del popolo tinella sua visita in Itabetano. Un tedoforo tibetano reglia, dove non è stato rigerà la fiaccola per la libertà del Ticevuto dal Papa e da bet, simbolo della speranza e delle alcun rappresentante del governo italiano), aspirazioni del popolo tibetano alla si accontenterebbe giustizia ed alla libertà. della semplice autono-

Una fiaccolata anche a Roma

mia amministrativa del Tibet e della possibilità di salvaguardare quel patrimonio religioso, etnico e culturale che ancora rimane nel Tibet. Ma anche su queste richieste «minime» le autorità cinese non hanno dato alcuna risposta, intensificando l’emigrazione cinese nelle terre dell’Himalaya, dove i tibetani (poco meno di due milioni) sono ormai minoranza.

Una minoranza destinata all’estinzione nell’arco di pochi decenni. Ma la stampa italiana sembra più interessata a glorificare la Repubblica popolare cinese tessendo gli elogi delle grandi opere realizzate a ritmi record («La torre che fa correre la Cina», un grattacielo di 580 metri a Shanghai, «Olimpiadi record: pronto il palazzo più grande del mondo», etc...), oppure a dare un’immagine di efficienza e di modernizzazione di questo paese-continente («La nuova sfida di Pechino: meno ministeri e burocrazia», «La lunga marcia verso la società di mercato», etc...). Tutto questo mentre il gigantesco apparato poliziesco della Cina continua a colpire giornalisti e dissidenti di ogni tipo. Ma, si sa, i diritti umani non hanno mai interessato la grande stampa: imbarazzano e non piacciono agli investitori, agli imprenditori e ai banchieri italiani. E forse oggi neppure al Comitato Olimpico.


pagina 8 • 8 marzo 2008

L’ITALIA AL VOTO

La comunicazione politica sotto esame

lessico e nuvole

Pecoraro: meno carbone più sòle

«Vinceremo!» (e spezzeremo le reni alla Grecia) di Giancristiano Desiderio

di Arcangelo Pezza Della campagna elettorale di Alfonso Pecoraro Scanio, per ora abbiamo potuto apprezzare, prima di spegnere sconfortati, una sola frase televisiva: «meno carbone, più sole». Rimuginandoci sopra, ci è venuto in mente che lo slogan fosse da leggere come «più sòle», cioè più fregature. Solo in Italia una forza d’opposizione e di pressione come sono i Verdi può aspirare al governo, magari proprio al ministero dell’Agricoltura o a quello dell’Ambiente. Che ai più potrebbe sembrare logico, ma che ai più riflessivi non può che apparire un controsenso. D’altronde sotto il sole che ride e l’arcobaleno, comunque i simboli storici verdi, batte un cuore “rosso” che si esalta nel dire sempre “no” e più latamente nella classica utopia comunista: il bene per la società lo decidiamo noi, poi la società si dovrà adeguare. Che è l’esatto contrario di una politica realista e liberale. In soldoni, Pecoraro Scanio parte dal risultato, tralasciando i mezzi. Non capendo che solo una società in crescita e non i crisi, può sensatamente impegnarsi sull’ambiente. Altrimenti prima pensa a sopravvivere. Così da pecoraroscanio.it si rimanda a sinistraarcobaleno.it e da qui vengono alimentate una serie di suggestioni tanto magniloquenti quanto futili del tipo: «Contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici è fondamentale per

garantire una speranza di futuro all’umanità». Che a ben vedere in questi giorni di freddo marzolino, non si capisce se dovremmo contrastare il global warming oppure il global cooling. Oppure semplicemente adeguarsi al «non ci sono più le mezze stagioni». Pecoraro Scanio intanto sorride dall’ovale dell’home page. E’ un sorriso mesto, però. Più che «una scelta di parte», come dice il claim arcobaleno, ha capito chi se ne parte. O forse più prosaicamente anche lui non ha ancora deciso tra warm e cool.

«Invotabile». Così Franco Grillini ha bollato Francesco Rutelli. Per la precisione: «Inaffidabile e invotabile: penso che sia giusto che vada al secondo turno, anche se non vogliamo che vinca la destra». Quindi anche Grillini, con grande linearità, voterà «l’invotabile». Da un invotabile a un incandidabile: Antonio Bassolino. Il governatore (si fa per dire) della Campania ha detto: «Mentre altri in questi anni scappavano a Roma per stare comodamente in Parlamento, io in Parlamento non ci sono andato e non ci vado. E non vado per mia scelta perché ho il dovere di stare qui assieme ai miei cittadini». Per dirla con Grillini: invotabile. Enrico Boselli è andato via da Porta a Porta di Vespa per approdare all’Isola dei famosi di “Simooo”. Secondo il socialista senza socialismo le liste sono come l’Isola dei famosi, «un reality destinato però solo a certe televisioni e non vogliamo vederlo in politica». Boselli è già pronto per la nomination. Massimo Cacciari: «Da Veltroni non ci vado”. Vado anch’io? No, io no. E perché? Perché «non è che si può fare lo spot, venire qui una volta ogni tanto prima delle elezioni e poi ricominciare con gli errori di sempre». Ma il Walter imperterrito: «Vinceremo». E magari spezzerà anche le reni alla Grecia.

Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda

Il sondaggio dei sondaggi la media di oggi Swg Demosk. Crespi Digis Eurom. Ipr Ispo 3 marzo

3 marzo

3 marzo

02 marzo

1 marzo

29 febbraio

28 febbraio

Pdl+Lega

Centro

Pd+Idv

Sin-Arc

Destra

Socialisti

44,5

6,6

36,5

6,9

2,3

0,9

1,7 2,0 4,0 1,3 2,2 2,5 2,5

0,7 0,5 1,5 1,1 1,5 1,5 -

(-0,2)

(+0,1)

(+0,1)

(-0,2)

44,0 45,0 45,1 45,2 45,2 43,0 44,5

6,7 7,5 6,9 6,9 5,7 7,0 5,5

37,2 36,0 35,0 37,9 35,4 36,0 38,0

7,2 7,1 6,5 6,5 7,0 7,5 6,5

(=)

(=)

La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.

di Andrea Mancia Pubblicati i dati dell’ultimo sondaggio Swg relativo alle intenzioni di voto del 3 marzo. Rispetto alla settimana precedente, anche l’istituto di Roberto Weber registra una leggera flessione della coalizione guidata da Veltroni e una risalita piuttosto netta per Berlusconi. Swg fornisce come al solito ”forchette di dati” e, anche questa volta, i nostri numeri rappresentano la media aritmetica tra gli estremi di questa forchetta. PdL e Lega (44%) guadagnano l’1,3%, mentre Pd e Idv (37,2%) perdono lo 0,5%. Stabile la Sinistra Arcobaleno al 7,2%, l’Unione di Centro (6,7%) perde lo 0,7%. Stabili anche Destra e Socialisti, rispettivamente all’1,7% e allo 0,7%.Tra gli altri partiti, segnaliamo la lista prolife di Ferrara

allo 0,2% e il Partito comunista dei lavoratori allo 0,5%. Nella nostra tabella, l’ultimo sondaggio Swg prende il posto di quello Demopolis del 27 febbraio, che aveva numeri più favorevoli al PdL. Per questo motivo, la media del distacco tra PdL e Pd scende leggermente, tornando all’8%. Nelle medie delle altre coalizioni, la Sinistra Arcobaleno perde due punti decimale, mentre il Centro ne guadagna uno. Destra e Socialisti restano sulle loro posizioni. A partire dalla prossima settimana, cercheremo di affrontare anche le stime sulla ripartizione dei seggi al Senato, dove la situazione - vista l’assegnazione dei premi di maggioranza su base regionale - è molto più difficile da affrontare.


L’ITALIA AL VOTO ella quinta tappa del mio viaggio pre-elettorale tra i protagonisti dell’economia italiana voglio sapere cosa si aspetta il patron della Erg, Edoardo Garrone. Classe 1961, genovese, Garrone rappresenta la terza generazione di una dinasty imprenditoriale fondata nel capoluogo ligure nel 1938, quando con regio decreto il podestà concesse al dottor Edoardo Garrone (nonno dell’attuale presidente) la licenza per «il commercio dei prodotti derivati dalla lavorazione del petrolio e del catrame». Oggi Erg rappresenta il secondo gruppo petrolifero italiano, capace di coprire il 22 per cento del fabbisogno nazionale, quotato in borsa dal 1997, una delle poche grandi realtà del capitalismo familiare italiano sopravvissute al passaggio generazionale. Garrone, studi prima in Italia (all’Alfieri di Firenze) e poi negli Stati Uniti e in Francia (al prestigioso Insead di Fontainebleau), ha giustamente una visione internazionale ed è preoccupato soprattutto dal rallentamento italiano nei confronti dei partner europei. «È chiaro infatti che l’Italia continua ad avere un gap di crescita che va allargandosi, e non restringendosi», mi dice. Un gap che preoccupa soprattutto perché i prossimi tempi annunciano una congiuntura non facile. Il numero uno di Erg pensa che in tempi brevissimi debbano essere messe in atto quelle riforme fondamentali per «sbloccare il Paese», per fare in modo che chi governerà – chiunque esso sia – possa effettivamente decidere.

N

A suo giudizio, infatti, non è necessario cambiare soltanto la legge elettorale, ma bisogna rivedere il funzionamento di un sistema decisionale ingessato, che vive di duplicazioni e di rami secchi. Non serve solo tagliare il numero dei parlamentari, questa è la misura più ovvia e scontata: va ridotto l’iter legislativo, va sfrondato quell’eccesso di mediazione che persiste nel nostro sistema, va ridefinito il ruolo delle due Camere, vanno cambiati i regolamenti. Insomma, va rivisto quel monumento al “barocco”, mi dice proprio così, che ormai è il nostro sistema istituzionale. Altro punto sul quale bisogna intervenire con urgenza è secondo Edoardo Garrone quello del federalismo. Rispetto alla materia, il presidente di Erg si trova nel suo ambiente naturale, essendo a capo del “Comitato tecnico per l’impatto del federalismo sulle imprese” di Confindustria (dal 2000 al 2002 è stato anche al vertice dei Giovani di viale dell’Astronomia). È un processo che va portato a termine velocemente, per «rientrare dei costi sostenuti», sostiene. Garrone ritiene infatti che finora le modifiche apportare nel 2001 al Titolo V della Costituzione abbiano portato solo maggiori spese per i contribuenti (a causa dell’ennesima duplicazione dei meccanismi decisionali e di spesa), mentre adesso è arrivata l’ora di tagliare i costi e, appunto, rientrare dell’investimento.

8 marzo 2008 • pagina 9

La classe dirigente. Viaggio tra gli operatori economici/Edoardo Garrone

«Subito la Costituente e una svolta sui salari» di Enrico Cisnetto

Edoardo Garrone (a sinistra) rappresenta la terza generazione di una dinastia imprenditoriale fondata a Genova settant’anni fa: «Bisogna premiare il merito, si cominci dal completamento della legge Biagi»

Il costo del lavoro? «Non è quello il problema di noi imprenditori» - dice il presidente di Erg - «il nuovo Parlamento pensi però a sbloccare il Paese con le riforme e il federalismo» Ma veniamo al passaggio più immediato, alle prossime elezioni. A Garrone pare molto positivo il fatto che questa volta si andrà a votare con un ridotto numero di soggetti politici in campo. Forte delle sue esperienze internazionali, l’imprenditore genovese sogna «un sistema all’anglosassone, con un partito conservatore e uno progressista», e questa novità italiana del 2008 gli sembra buona. Tuttavia, gli faccio notare, i programmi elettorali sembrano un po’ fatti con la fotocopiatrice. Ma per lui questo non è un fattore negativo, anzi. Dimostra che hanno ben chiare le priorità. «Per la prima volta in dieci anni», mi dice, «andrò a votare con la serenità che chiunque vincerà ha ben chiare le cose da fare, sa bene quali sono i problemi reali del Paese». E se dovesse esserci – come molti temono – un sostanziale pareggio? L’idea di una grosse koalition alla tedesca non gli dispiace, ma con un distinguo. Non un governissimo tout court, semmai una coalizione «di programma», con tre-quat-

tro punti predefiniti e un progetto preciso. Non gli dispiace nemmeno l’idea di Mario Monti, di un patto pre-elettorale sulle priorità. Del resto, Garrone si è sempre detto favorevole anche all’idea di una Assemblea costituente per il Paese.

Tra le priorità c’è senz’altro il rilancio industriale. Che passa per le note dolenti degli investimenti in ricerca e sviluppo. È di qualche giorno fa il dato rilasciato dalla stessa Confindustria, secondo cui anche la Cina ci ha ormai battuto per quanto riguarda la percentuale di Pil destinata alla ricerca. Questo è particolarmente sconfortante per il numero uno di Erg: «Soprattutto perché stiamo parlando di una grande potenza industriale specializzata ancora in produzioni ”labour intensive”, non certo in produzioni ad alta intensità di conoscenza». Quella sull’aumento della spesa in ricerca, gli faccio notare, è la tipica promessa elettorale che nessuno mantiene mai. Eppure, secondo lui, i si-

stemi ci sono: «In particolare per le piccole e medie imprese, dato che le grandi sono costrette di default a fare ricerca, per non soccombere, si può agire sulla leva fiscale: con strumenti come il credito di imposta per gli investimenti in ricerca, gli incentivi al consorziamento e alla “messa in rete”: è questa la road map da seguire».

Garrone è anche convinto che per salvare le nostre boccheggianti piccole e medie imprese serva spingere sulla flessibilità: «Bisogna migliorare la legge Biagi, e arrivare a un utilizzo più intensivo degli straordinari e dei premi», mi dice, «e meritocrazia e produttività devono diventare le parole d’ordine». Sarà che stavamo parlando di Cina, sarà che gli imprenditori italiani hanno sempre una gran paura quando si parla di salari – come se fossimo ancora in grado di competere su manifatture a basso costo – ma Garrone mi stupisce: «Quello del costo del lavoro non è il punto fondamentale della questione: altrimenti andremmo tutti a produrre in Albania». Stupore doppio, se penso alle dichiarazioni di certi suoi colleghi confindustriali, e soprattutto considerando che sto parlando con un genovese doc. (www.enricocisnetto.it)


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mondo

Spagna al voto: urne aperte da domani. Ecco cosa hanno detto i due leader agli elettori nell’ultimo faccia a faccia

Zapatero-Rajoy allo scontro finale a cura di Davide Mattei

MADRID. In trent’anni di democrazia è la decima volta che il Paese sceglie attraverso elezioni generali. I due sfidanti maggiori, Rajoy del Partito popolare (Pp) e Zapatero del Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), sono pronti. L’ultimo sondaggio, pubblicato due giorni fa dal Times, (in Spagna sono vietati i sondaggi nei 5 giorni precedenti le elezioni) dava Zapatero vincitore col 3,8 per cento su Rajoy. L’indagine rispecchia quelle dei più importanti giornali spagnoli. Si nota una crescita dei due maggiori partiti a scapito delle forze politiche nazionali o ‘nazionalisti’. La vittoria socialista sarà senza maggioranza assoluta. Le differenze ideologiche tra socialisti e popolari si sono cristallizzate nell’ultimo dibattito pubblico tra i due leader di cui vi proponiamo gli scambi più significativi. Economia Zapatero: Superato il Pil pro capite dell’Italia e accumulato un surplus economico che ci tornerà utile, ecco sei punti per il futuro: 1) anticipare i lavori pubblici per compensare il crollo del settore edile; 2) costruire 150mila case popolari; 3) reinserimento dei disoccupa-

Ucciso un ex consigliere comunale del Psoe a Mondrago’n (Paesi Baschi)

Eta, ancora sangue sulle elezioni Spagna: sangue sul voto A due giorni dalle elezioni politiche in Spagna un ex consigliere comunale del Psoe, il 42enne Isaïas Carrasco, è stato ucciso con da tre colpi di arma da fuoco sull’uscio della sua casa a Mondrago’n-Arrasate (Guipu’zcoa), nei Paesi Baschi. L’uomo è stato colpito davanti agli occhi di moglie e figlia, secondo quanto riferisce un testimone, che si sono piegate sul corpo insanguinato gridando «Assassini, Assassini». Secondo la polizia l’uomo è morto mentre veniva trasportato in ospedale. Il ministro della difesa spagnolo José Antonio Alonso ha esplicitamente accusato «la banda criminale dell’Eta»

ti del settore edile; 4) 400 euro Irpef per ogni contribuente; 5) estendere gratuitamente i mutui alle famiglie più indigenti; 6) accordo con la grande distribuzione per i prezzi alimentari. Sono misure costruttive Signor Rajoy, non il suo solito catastrofismo. Rajoy: Lei dice che abbiamo superato l’Italia, ma per l’Eurostat nella Ue27 siamo tra i cinque Paesi il cui reddito cresce

del «crimine bestiale». Alonso ha dichiarato che è necessaria l’unità di tutto il paese di fronte a questo «nuovo attentato» dell’Eta, e bisogna dare «la massima risposta democratica». L’uccisione di Carrasco ha provocato la sospensione della campagna elettorale, che doveva concludersi ieri sera. Tutte le forze politiche sono state convocate in parlamento per varare una reazione congiunta. Il premier socialista, José Luis Rodriguez Zapatero, è rientrato anticipatamente da Malaga. C’è stato poi un incontro tra delegazioni ad alto livello dei due partiti estesa poi a tutte le forze politiche. Il leader conservatore del Partito Popolare (Pp), Mariano Rajoy, ha «condannato nel modo più chiaro» l’uccisione dell’ ex consigliere del Psoe, assicurando che «sconfiggeremo tutti uniti l’Eta», aggiungendo che l’unica possibilità per la Spagna è «la fine definitiva del terrorismo basco grazie alla forza delle legge e del diritto».

meno. Le ricordo che l’anno scorso il prezzo del latte è salito del 29 per cento. Uova, pollo e pane, sono aumentati oltre il 10 per cento. Le ipoteche crescono e a gennaio ci sono 4.500 disoccupati in più. Se vuole fare qualcosa, mentre vi è la crescita nominale dell’economia riduca la spesa pubblica, stabilisca la competenza nei mercati e faccia un’autentica riforma economica.

Zapatero: Fino a poco tempo fa non mi sembra tenesse a questo argomento. Creeremo 2 milioni di posti di lavoro, di cui 1,2 per le donne, aumenteremo le pensioni minime a 850 euro ai pensionati con coniuge a carico e a 710 per le vedove. Aumentaremo di 30 per cento il salario minimo, fino a 800 euro. Credo nella ricchezza e nella sua distribuzione, voi no. Rajoy: Io ridurrò le tasse. Chi

guadagna meno più di 16mila euro annuali non pagherà l’Irpef. Si tratta dei ceti che hanno sofferto l’aumento dei prezzi dovuto alla sua politica. Abbasserò l’aliquota sulle aziende medie e piccole. Oggi in Spagna lavorano 12 milioni di uomini e 8 di donne. Serve un maggiore equilibrio. Creeremo organismi regolatori senza intrometterci nella vita delle imprese. Faremo una politica economica seria. Politiche sociali Zapatero: Abbiamo due obiettivi principali. Sviluppare la legge sulla dipendenza. Nel 2010 qualsiasi persona non autosufficiente riceverà teleassistenza, cure a domicilio e la possibilità di avere un posto letto in un centro specializzato. Raggiungere la parità uomo-donna, con programmi per le aziende, ampliamento dei permessi di paternità e maternità, creazione di 300mila posti negli asili nido, e di nido nelle aziende se lo chiedono più di sei dipendenti. Rajoy: Per una buona politica sociale e una buona politica economica serve un’immigrazione ordinata. Chi viene da fuori ha diritti, ma gli spagnoli pure. Molti non trovano oggi posto a scuola per i figli, aiuti


mondo per la mensa, un buon servizio nella sanità pubblica o una casa. Lei ha legalizzato più di 2,2 milioni di immigranti. Immigrazione Zapatero: La nostra politica d’immigrazione ha un principio: entra solo chi lavora legalmente. Combattiamo l’immigrazione illegale su tre punti: 1) non permettendo che le persone lascino i loro Paesi per fame o disperazione; 2) controllando le frontiere per impedire l’entrata a chi non ha permesso di lavoro; 3) rimpatriando chi entra illegalmente. Abbiamo firmato una decina di accordi con paesi africani. Bisogna però anche ricordare che la metà della crescita degli ultimi anni è dovuta agli immigranti. Oggi loro pagano le pensioni a un milione di spagnoli. Rajoy: I ministri dell’Interno di Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Polonia l’hanno ricoperta di insulti, scusi l’espressione, per la sanatoria. Io sono favorevole all’immigrazione regolata per contratto. Bisogna espellere tutti gli stranieri che delinquono, anche se sono qua da più di 5 anni. Bisogna proibire le regolarizzazioni massicce, creare un’agenzia d’immigrazione e una politica europea comune dei visti. Non si può tollerare che gli spagnoli perdano dei diritti perché arrivano cittadini più poveri. Zapatero: Quando lei era ministro degli Interni (con Aznar) in Spagna sono entrati più di 1 milione di immigranti illegali. Avete fatto 5 sanatorie. Immigranti che come attività economica possedevano solo lo scontrino di una ruota di bicicletta, sono stati sanati. Rajoy: Voi li avete messi in regola nonostante la sentenza d’espulsione! Avete annunciato la sanatoria con sei mesi d’anticipo. Tutti i clandestini d’Europa sono piombati qui. Ecco cosa è stata la ‘grande valanga’. Politica antiterroristica Zapatero: Voglio fare una promessa a tutti gli spagnoli: qualsiasi sia il risultato delle elezioni di domenica, il Psoe appoggerà incondizionatamente il governo spagnolo nella lotta contro il terrorismo. Questo è un impegno solenne. Mi piacerebbe sentire lo stesso da lei. Sarebbe un’ottima notizia per la Spagna. Rajoy: Appoggerò il governo che lotterà contro l’Eta, ma non quello che vuole trattare politicamente, come è successo in questa legislatura. Lei ha tradito gli spagnoli quando ha lasciato che il Partito comunista basco si presentasse alle elezioni. Quando ha presentato Arnaldo Otegi (il portavoce di Batasuna, braccio politico dell’Eta) come un uomo di pace, o

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quando ha continuato a trattare con l’Eta dopo l’attentato all’aeroporto di Madrid. Zapatero: Che politica antiterroristica preferisce Signor Rajoy? Quella di questa legislatura con 4 vittime o quella della precedente, con 238? Rajoy: Non pensavo che avrebbe utilizzato i morti per vantare i risultati della sua legislatura.

ca che si segue in Catalogna è la stessa degli ultimi vent’anni. Voi siete stati otto anni al governo e non avete fatto niente perché allora non vi interessava. Avete votato i venti articoli delle riforme Psoe degli statuti dell’ Andalusia o della Comunità Valenziana uguali ad i venti che avete combattuto nello statuto catalano ricorrendo alla Corte Suprema.

Infrastrutture Zapatero: In questi 4 anni abbiamo promosso la coesione della Spagna migliorando le comunicazioni. Riguardo l’alta velocità, abbiamo aggiunto 700 chilometri di tracciato al progetto che finirà nel 2020. Lo stesso è successo con le autostrade che collegheranno la Spagna anche senza passare da Madrid nel 2020. Rajoy: Lei fa promesse per il 2020, ma finora ha solo inaugurato lavori progettati dal Pp. In alcuni casi li avete addirittura rallentati, come nel caso della Tav a Valencia, che doveva già essere arrivata.

Educazione Zapatero: Abbiamo raggiunto la piena scolarizzazione dai tre ai sei anni. bisogna Adesso passare a quella da zero a tre anni. Vogliamo che quattro ragazzi su cinque studino fino a sedici anni. Proponiamo che almeno il 15 per cento dell’insegnamento sia in inglese e nei prossimi quattro anni daremo 200mila borse di studio per l’estero. Fin ad ora sono state 50mila.Vogliamo più formazione per gli insegnanti e faremo in modo che le nostre università siano tra le prime dieci al mondo. Rajoy: Siamo sotto il 30° posto al mondo per lettura, i tassi di abbandono scolastico ci mettono al terzultimo posto nella Ue27. Lei non ha credibilità. Bisogna tornare al principio del merito. Per la promozione non basta la sufficienza in quattro materie. Occorre più autorità per i docenti. Loro insegnano gli studenti devono imparare. Inglese e nuove tecnologie, ecco le sfide del futuro.

I sondaggi danno il Psoe in vantaggio del 3,8 per cento sul Pp. Ma per Zapatero la maggioranza assoluta resta una chimera

Regioni autonome Rajoy: Nel suo modello di decentramento ognuno fa quello che vuole. Le comunità autonome sono una contro l’altra, ha favorito uno statuto d’autonomia (quello catalano) che non aveva l’appoggio di tutti i grandi partiti nazionali. Zapatero: Lei si azzarda a parlare del nostro modello di Spagna, ma il Psoe è l’asse centraAmbiente le della democrazia in questo Zapatero: Siamo leader nell’eoPaese. lico e il solare radRajoy: Infatti i Badoppierà presto. Il schi hanno appena nostro obiettivo è salutato l’indipenl’eccellenza nella ridenza del Kosovo cerca per le stamidicendo che è «un nali. Tra quattro anesempio del princini, questi tre settori pio di autodetermisaranno econominazione plasmato camente più impornel diritto internatanti dell’edilizia. Il zionale». Un cittadino catalano mi ha cambio climatico è scritto raccontanuna sfida e un’occadomi che è stato sione di sviluppo. multato di 400 euro Le aree rurali, deperché aveva posto vono godere degli l’insegna del suo stessi servizi e innegozio in castifrastrutture delNella pagina a fianco, gliano. Questo è l’ambito urbano. José Luis Zapatero Rajoy: Le infraquello che fa il e Mariano Rajoy strutture sono fonPsoe. Io proporrò prima dell’ultimo damentali. Lei paruna legge che gadibattito televisivo la di agricoltori e rantisca a tutti i geallevatori. Io ci ho nitori il diritto di parlato. Dopo i negoziati con la poter far studiare i propri figli Ue lei non può più proporsi coin spagnolo se lo vogliono. me un interlocutore. Zapatero: La politica linguisti-

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Accordo in vista tra Ciad e Sudan Il presidente senegalese Abdoulaye Wade ha annunciato oggi a Parigi che Ciad e Sudan il 12 marzo firmeranno un accordo per la “soluzione definitiva” del conflitto che oppone i due Paesi. La notizia prova che l’avvicinamento tra i due Paesi dopo il tentativo di putsch nei confronti del presidente ciadiano Idriss Debry all’inizio di febbraio, che aveva fatto montare la tensione tra i due Stati africani. L’accordo verrà firmato alla vigilia del vertice dell’Organizzazione della conferenza islamica, Oci, a Dakar.

Colombia: ucciso leader delle Farc L’esercito colombiano ha annunciato oggi di avere ucciso Ivan Rios, un leader delle Farc. L’uccisione di Rios, membro del cosiddetto “segretariato delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia”, è stata confermata a Radio Caracol di Bogotà da fonti della Procura della repubblica. Sabato scorso le forze colombiane hanno ucciso il numero due della guerriglia, Raul Reyes, in territorio ecuadoriano.

Power si dimette dallo staff di Obama Aveva definito Hillary Clinton un “mostro” e adesso deve lasciare lo staff di Barack Obama, impegnato a vincere le primarie democratiche con l’ex First Lady. Samantha Power, consulente chiave per la politica estera del senatore dell’Illinois, paga il prezzo di un’offesa lanciata all’avversaria di Obama lunedì scorso. Aveva detto a un quotidiano che Hillary «è un mostro ed è pronta ad abbassarsi a tutto. La guardi e pensi: “Ergh”». Qualche giorno dopo lo staff di Hillary aveva chiesto che Samatha Power venisse cacciata via. E ha ottenuto le dimissioni della fidata consulente: «Ho dato», ha detto quest’ultima, «giudizi lontani dalla mia ammirazione per la senatrice Clinton e da spirito e obiettivi della campagna di Obama. Mi scuso con loro e mi dimetto».

Germania, ferrovie: ci risiamo In un clima già surriscaldato dallo sciopero dei servizi pubblici, il sindacato tedesco dei ferrovieri, Gdl, minaccia di tornare sulle barricate. Onde fronteggiare il sindacato che negli scorsi mesi aveva bloccato il traffico su rotaia con una serie di scioperi a singhiozzo, l’azienda ferroviaria tedesca ha già deciso di trasferire parte del trasporto commerciale su altre aziende.

Nuova ”guerra fredda” Riferendosi al progetto di scudo missilistico in Polonia e nella Repubblica Ceca, il responsabile difesa del ministero degli Esteri statunitense, John Rood, ha parlato negli scorsi giorni d’un ”traguardo ormai prossimo”; gli Stati Uniti sarebbero infatti sul punto di ratificare gli accordi con Varsavia e Praga per il lancio della fase operativa del progetto.

Armenia e democrazia La democrazia che gli armeni hanno tanto sognato durante i decenni del dominio sovietico sta sfuggendo loro di mano. Dopo che l’opposizione ha contestato le elezioni presidenziali del mese scorso, il governo a imposto un brutale stato di emergenza: almeno otto persone sono morte, i media indipendenti sono stati messi a tacere e i contestatori costretti al silenzio.

Ex Urss: effetto domino L’indipendenza del Kosovo esercita un effetto domino sulle province separatiste non riconosciute dell’ex Urss. Mercoledì l’Ossezia del Sud, regione pro-russa a nord della Georgia, ha chiesto a Russia, Onu ed Unione Europea di riconoscere la sua indipendenza. L’Abkazia, l’altra Repubblica autoproclamata della Georgia, ne seguirà le orme, ha avvertito il presidente Serguei Bagapsh. Le stesse rivendicazioni arrivano dall’area contesa del Nagorno-Karabakh.

La Nato guarda a Est I capi di Stato e di governo della Nato all’inizio di aprile dovranno decidere in merito all’ingresso di tre nuovi paesi nell’Alleanza: Croazia, Macedonia e Albania. L’allargamento dell’Alleanza atlantica è però legato alla posizione di Atene e alla disputa sul nome costituzionale della Macedonia: il governo ellenico ha già chiarito infatti che porrà il veto sull’ingresso di questo paese se esso manterrà il suo nome attuale, nel timore che una Macedonia nazionalista possa rivendicare un giorno l’omonima provincia settentrionale della Grecia.


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speciale bioetica

Creato

Esiste un ambientalismo diverso da quello rossoverde a cui siamo abituati Parla Monsignor Pietro Parolin, esperto vaticano, impegnato nella difesa della natura: «La salvaguardia dell’ambiente è un imperativo morale»

L’altra ecologia di Rossella Fabiani a difesa dell’ambiente è “un imperativo morale”, è “il rispetto di un dono che Dio ha fatto all’uomo”. In Italia, come in altri Paesi, ci sono partiti e movimenti che si sono appropriati dell’ambientalismo quasi fosse un loro monopolio. Ma per monsignor Pietro Parolin la salvaguardia della natura “non può essere viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici”. Sottosegretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati, Parolin ha rappresentato il Vaticano nella conferenza che si è tenuta lo scorso 25 settembre al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite: una riunione alla quale hanno partecipato oltre 150 Paesi per gettare le basi di un nuovo accordo salva-clima in vista della scadenza del protocollo di Kyoto, fissata nel 2012. E il messaggio che ha portato a New York è proprio questo: per ottenere dei risultati bisogna recuperare la dimensione di una “ecologia umana”. Perché l’incontro di New York? Le Nazioni Unite si sono attivate per dare una risposta operativa. Il senso dell’incontro è stato quello di non discutere teoricamente, quanto piuttosto di trovare delle indicazioni concrete per superare il problema dei cambiamenti climatici e del degrado dell’ambiente che tutti sentono come molto grave e molto urgente. Sulla scia di quanto ha detto recentemente su questo tema il Papa, il nostro messaggio si può riassumere in tre punti. Primo: la questione dei cambiamenti climatici e la questione del degrado ambientale si collocano nell’ordine degli imperativi morali. Secondo: alla protezione dell’ambiente si può applicare la responsabilità di proteggere che è propria dell’Onu. Infine, è necessario passare veramente dalle parole ai fatti concreti. Qual è il senso della difesa della natura come dono di Dio? Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica “Centesimus annus”scriveva che“non solo la terra è stata data da Dio

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all’uomo, ma l’uomo è stato donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale di cui è stato dotato”e, partendo da qui, invocava “un’ecologia fondata sul primato della persona umana e della sua interiorità, un’ecologia sociale del lavoro attenta alla qualità della vita e a uno sviluppo economico per l’uomo, e non contro, e un’ecologia familiare che veda nella famiglia la prima scuola di umanità e di umanizzazione del mondo”. Anche Benedetto XVI, nel discorso che tenuto in occasione della giornata mondiale della pace, il primo gennaio 2007, ci ha ricordato che “accanto all’ecologia della natura c’è un’ecologia che potrem-

No a pregiudizi ideologici politici ed economici

mo dire umana, la quale a sua volta richiede un’ecologia sociale. L’esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l’ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L’una e l’altra presuppongono la pace con Dio”. È per questo che i cambiamenti climatici, il degrado ambientale, rappresentano una sfida morale? Sì. E’un dovere ineludibile affrontarli. La salvaguardia dell’ambiente è un imperativo morale. Gli studi scientifici più attendibili hanno stabilito un collegamento fra l’attività umana e i cambiamenti climatici. Tuttavia

non si devono esagerare, né minimizzare, i risultati di tali valutazioni scientifiche e le rimanenti incertezze, in nome della politica, delle ideologie o dell’interesse personale. La battaglia per l’ecologia in molti Paesi, in Italia in particolare, è diventata monopolio di forze politiche, addirittura ci sono dei partiti che si dichiarano apertamente ecologisti. Qual è il suo punto di vista al riguardo? È necessario lasciarsi guidare da una visione della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici. Nessun Paese da solo può risolvere i problemi legati all’ambiente. Dobbiamo anteporre l’azione comune all’interesse personale. Da parte della comunità internazionale questo presuppone la necessità di identificare i modi e i mezzi per promuovere uno sviluppo sostenibile e un ambiente sano. Tenendo conto del fatto che i Paesi poveri e determinati settori della società sono particolarmente vulnerabili alle conseguenze avverse dei cambiamenti climatici, a causa delle minori risorse e delle minori capacità di mitigare i loro effetti e di adattarsi ad ambienti alterati. Oggi, però, il problema non si pone soltanto come questione del conflitto tra le visioni riduttive dell’uomo, ossia tra le ideologie. C’è anche dell’indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell’uomo… Il Santo Padre ci ha invitato spesso “a rispettare il creato e a promuovere una cultura ambientale fondata sul rispetto dei valori etici, la tutela della vita, un’economia solidale e lo sviluppo sostenibile. La distruzione dell’ambiente, un suo uso improprio o egoistico e l’accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perché sono frutto di un concetto disumano di sviluppo. Uno sviluppo che si limitasse all’aspetto tecnico-economico,


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libreria a quindici anni la voce del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I continua a parlare con coraggio della tragica distruzione della creazione di Dio che stya avvenendo nella nostra epoca. Il patriarca sostiene la tesi teologica che la protezione della natura è un imperativo fondamentale del cristianesimo. Il libro in questione racconta la visione ecologica di Bartolomeo I ed è arricchito da un’ importante prefazione di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni. Fr. John Chryssavgis (a cura di) Grazia cosmica umile preghiera Libreria Editrice Fiorentina pagine 384, euro 22,00

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n classico del pensiero ecologico, ancora oggi valido nelle sue premesse metodologiche e nelle sue conclusioni. Lorenz inserisce il problema ambientale nella più generale crisi di valori che caratterizza l’uomo contemporaneo: lo sradicamento dal territorio, lo sfilacciarsi dei rapporti educativi e morali tra le generazioni, ma anche la sovrappopolazione e il diffondersi di isterie ideologiche fanno da premessa allo scempio della natura. Lorenz si inserisce - da scienziato - nel grande filone del Kulturpessimismus e della critica della civiltà, che va da Spengler ad Heiddeger. Eppure le sue parole sono chiare, limpide, le pagine del libro prive di tecnicismi. Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, Edizioni Adelphi 1973 pagine 148, euro 8,50

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trascurando la dimensione morale-religiosa, non sarebbe uno sviluppo umano integrale e finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacità distruttive dell’uomo”. Il nucleare, come fonte di energia pulita, è per molti il futuro di uno sviluppo più rispettoso dell’ambiente. Che cosa consiglierebbe di fare di più o di meno. L’energia nucleare è una risorsa molto importante, ma ogni suo utilizzo a fini bellici è da condannare senza appello. Gli Stati sono liberi di adottare trattati e convenzioni internazionali, ma se le nostre parole non si convertono in azioni efficaci e responsabili, non riusciremo a sfuggire a un triste futuro. Soltanto con una reale intesa fra Stati è possibile un’efficace azione a tutela dell’ambiente. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica, (Aiea), che l’anno scorso ha compiuto cinquant’anni, è un punto di riferimento insostituibile per la cooperazione internazionale nell’uso dell’energia nucleare a scopi pacifici e per la promozione della non proliferazione delle armi nucleari, del progressivo disarmo nucleare e dell’uso della tecnologia nucleare sicura per uno sviluppo rispettoso dell’ambiente e sempre attento alle popolazioni più svantaggiate. Una delle minacce più gravi all’ambiente viene dai Paesi di nuova industrializzazione, come la Cina o l’India, che in nome di uno sviluppo rapido non tengono in alcun conto il tema dell’inquinamento. Che cosa si può fare? Ricorro alle parole di sua Santità Benedetto XVI quando ci invita a riflettere sul fatto che“in questi anni nuove nazioni sono entrate con slancio nella produzione industriale, incrementando i bisogni energetici. Ciò sta provocando una corsa alle risorse disponibili che non ha confronti con situazioni precedenti. Nel frattempo, in alcune regioni del pianeta si vivono ancora condizioni di grande arretratezza. Che ne sarà di quelle popolazio-

ni? Quale genere di sviluppo o di non-sviluppo sarà loro imposto dalla scarsità di rifornimenti energetici? Quali ingiustizie e antagonismi provocherà la corsa alle fonti di energia? E come reagiranno gli esclusi da questa corsa? Sono domande che pongono in evidenza come il rispetto della natura sia strettamente legato alla necessità di tessere tra gli uomini e tra le Nazioni rapporti attenti alla dignità della persona e capaci di soddisfare ai suoi autentici bisogni”. Allora il discorso riguarda tutta la società che dovrebbe ripensare le forme del consumo? È proprio così. Per un profondo rinnovamento delle nostre forme di consumo, occorre un nuovo stile di sobrietà, capace di conciliare una buona qualità della vita con la riduzione del consumo, assicurando così un’esistenza dignitosa anche ai più poveri e alle generazioni future. Solo “adottando uno stile di vita sobrio”, come ha esortato a fare il Papa nell’ultima Epifania, “sarà possibile instaurare un ordine giusto e sostenibile”. Anche la solidarietà è necessaria per la tutela dell’ambiente? Tutti siamo responsabili nel promuovere un ambiente sano per le generazioni presenti e future. La solidarietà è dunque l’elemento chiave per tutelare l’ambiente. Soltanto mettendo insieme le risorse è possibile rendere le iniziative di riduzione e di adattamento economicamente accessibili alla maggior parte dei Paesi, aiutando quelli meno attrezzati a perseguire lo sviluppo e salvaguardando allo stesso tempo l’ambiente. Soltanto uno sviluppo sostenibile può essere la chiave per una strategia che tenga armoniosamente conto delle richieste della preservazione dell’ambiente, dei cambiamenti climatici, dello sviluppo economico e dei bisogni umani fondamentali. E una componente importante dello sviluppo sostenibile è anche l’uso di tecnologie pulite che i Paesi altamente industrializzati dovrebbero condividere con i Paesi in via di sviluppo.

osa hanno in comune la nervatura di una foglia, la struttura simmetrica degli arti di un animale, la progressione della corsa agli armamenti, le tecniche del corteggiamento, le regole della grammatica? Seguendo una logica di tipo riduzionista si faticherà a capire il senso stesso di questa domanda, ma Bateson nel suo celebre libro ha illustrato un approccio olistico che abbatte i vecchi confini tra natura e cultura. Conclusione incontestabile: ci sarà equilibrio nella natura, quando ci sarà armonia nella mente dell’uomo. Peccato quei riferimenti a un darwinismo irrimediabilmente d’antan. Gregory Bateson Verso un’ecologia della mente, Edizioni Adelphi 1977 pagine 604, euro 29

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a cura di Alfonso Piscitelli


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speciale bioetica

di Riccardo Paradisi a difesa dell’ambiente e in generale le questioni ecologiche sono temi più naturalmente vicini e cari alla destra che alla sinistra. No, non è un paradosso, o una provocazione, o un refuso. È il pensiero di Roger Scruton, maitre a penser britannico del conservatorismo contemporaneo. I politici e i partiti che si dicono conservatori, e che hanno lasciato la bandiera dell’ecologia in mano alle sinistre, non conoscono Scruton. Per un’antica abitudine all’indifferenza per quanto si muove nel mondo delle idee hanno finora conosciuto e recepito pochissimo del suo pensiero. Al massimo lo hanno orecchiato. Fa in parte eccezione la Gran Brteagna, da un lato perchè è la patria di Scruton, dall’altro perchè i conservatori inglesi capirono, prima della vittoria di Margareth Tatcher, che per conquistare il consenso politico di lunga durata in un Paese moderno e complesso occorre prima persuadere il senso comune della propria cultura e delle proprie idee. Sta di fatto che in Gran Bretagna il messaggio di Scruton sembra avere fatto breccia nell’entourage Tory di David Cameron, anche se è solo una leggenda giornalistica che Scruton sia il consigliere del leader inglese. «Non l’ho mai nemmeno incontrato», ha dichiarato Scruton in un’intervista dell’anno scorso, «e questo spiega», aggiungeva «perchè finora tagliente, Cameron non ha detto nulla di interessante».

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Humor anglosassone. Esagerazioni. Perchè l’ambiente Tory qualcosa di interessante in tema di ecologia lo ha detto e lo ha fatto, attirando tra le sue fila

dei conservatori), scriveva Roger Scruton: «Mi piacerebbe vedere una rivista dal titolo Ecologist che nella sua struttura dia spazio ai vecchi valori tory di lealtà e fedeltà. Mi sembra infatti che il predominio di un processo decisionale internazionale di burocrazie irresponsabili, di irresponsabili Ong e società che rispondono solo ai loro azionisti abbia reso più che necessario per noi seguire la via dei conservatori». Goldsmith non ha aderito evidentemente al partito conservatore per esaudire un desiderio di Scruton.

La ragione di questo impegno è che Goldsmith è convinto che Scruton ha ragione quando dice che solo i conservatori possono governare il mercato senza soffocarlo e salvare il pianeta. Vediamo dunque perchè, non prima però di aver fatto un passo indietro, per scoprire che la questione ecologica non l’ha inventata la sinistra. La sinistra i verdi, si sono appropriati dell’ecologia per l’insipienza e la pigrizia intellettuale della destra politica europea. A impostare il tema ecologico nell’epoca contemporanea e denunciare il rischio fatale per l’equilibrio del pianeta è stato uno dei principali maestri del conservatorismo europeo: Konrad Lorenz, il padre dell’etologia. Quando Lorenz, negli anni Sessanta cominciò a denunciare pubblicamente il pericolo che la civiltà moderna costituiva per l’ecosistema i verdi non esistevano ancora e l’ecologia non incontrava nessun interesse generale: «Agli occhi dell’opinione pubblica e dei politici», scrive Franz Wuketits, biografo di Lorenz, «gli ecologisti erano degli svitati che piangevano la

Per Scruton e Lorenz il peccato capitale della nostra civiltà è l’abbandono della tradizione Zac Goldsmith, direttore del mensile britannico The Ecologist diventato braccio destro nelle politiche ambientali di David Cameron. Nel 2006 in A political Philosophy, (il libro che in Italia grazie a un giovane e intelligente editor come Simone Paliaga verrà tradotto nel 2007 da Raffaello Cortina editore con il titolo Il Manifesto

scomparsa di qualche farfalla e si lagnavano non appena veniva prosciugato uno stagno». Con i suoi interventi, il suo impegno infaticabile Lorenz ha contribuito in modo decisivo al fatto che l’ecologia sia diventato un tema di pubblico dominio e non sia rimasta un’oscura disciplina accademica. Quando agli inizi degli anni

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I veri verdi? I

Settanta si formarono i primi gruppi ecologisti Lorenz fu subito identificato come il loro portabandiera. Per le sinistre aveva smesso di essere un conservatore che col suo pensiero montava la guardia alla tradizione e alla realtà – e che per questo nel 1968 subì dure contestazioni all’università – ora il premio Nobel per la medicina era diventato un verde. La realtà era che Lorenz era un’ecologista e un “verde” perchè era un conservatore. E basta leggersi il capolavoro di Lorenz per capire quale fosse l’orientamento esistenziale del suo pensiero. Die acht Todsunden der zivilisierten menscheut (Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, in Italia tradotto per Adelphi negli anni 70) è un libro piccolo e agile ma densis-

simo che ha un impatto formidabile sul pubblico: vende in 5 anni 400mila copie e scatena un dibattito accesissimo. È un saggio al tempo stesso apocalittico e ottimistico, pessimista e attivo. L’uomo così com’è, dice Lorenz, è destinato al tramonto e all’autodistruzione. Ma ciò che lo ha portato a questo punto, la cultura, l’educazione, la tecnica, è anche ciò che potrà salvarlo.

G l i o t t o p e c c a t i capitali sono otto alterazioni dell’equilibrio che costituiscono altrettante minacce per l’umanità: la sovrappopolazione, la devastazione dello spazio vitale, la competitività sfrenata, l’estinguersi dei sentimenti, il deterioramento del patrimonio genetico, l’abbandono della tradizione, l’indottrinamento e le armi

nucleari. Isolare alcuni di questi punti aiuta a comprendere il tratto conservatore di Lorenz. La competizione tra gli uomini deriva, secondo Lorenz, dalla parossistica crescita esponenziale della tecnologia che rende gli uomini ciechi nei riguardi dei vecchi valori e li priva del tempo per riflettere sulle vere necessità reali e vivere una vita autentica. L’estinguersi dei sentimenti è un sintomo di questa mutilazione culturale e morale. Ma forse il più grave dei peccati capitali della nostra civiltà, secondo Lorenz, era proprio l’abbandono della Tradizione, la rottura generazionale tra vecchi e giovani, il fatto che non ci sia più nessuna intesa tra uomini di età diverse. Caduta la tradizione, la trasmissione in seno alla comunità storica di idee, simboli e


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conservatori

La svolta ambientalista di Cameron l“Blueprint for a Green Economy”è il documento programmatico che ha segnato la svolta verde dei Tory inglesi. 547 fitte pagine che segnalano una serie di passi necessari e concreti per affrontare le questioni ecologiche. Tra questi, prioritari, tasse ambientali e cambiamenti nel settore dei trasporti. Il rapporto dice infatti che da un lato bisogna investire sui treni e potenziare la rete ferroviaria, dall’altro, preso atto del forte impatto ambientale del trasporto aereo, che occorre mettere un tetto all’ampliamento del traffico sugli aeroporti londinesi. E questo malgrado che la capitale inglese aveva fatto dei suoi tre principali scali uno dei principali fattori di crescita. Da qui le critiche delle ali più liberiste della destra inglese che accusa i Tory di voler frenare lo sviluppo con la loro svolta ecologista. Ma John Gummer, ex ministro dell’ambiente, replica: «Non vedo alcuna

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contraddizione tra l’ecologia e il successo economico. La rivoluzione verde può fare per l’Inghilterra quello che fece la rivoluzione industriale duecento anni fa». Ma il Blueprint Tory non è solo pragmatismo verde: c’è dentro molta filosofia conservatrice, si dice mutuata dal pensiero di Roger Scruton. Il documento infatti parte dalla constatazione che i soldi non comprano la felicità e che quindi i Paesi ricchi non sono necessariamente quelli in cui si vive meglio. «Arriva un momento in cui ogni guadagno materiale smette di essere un dono e diventa un peso». Insomma a che serve un’economia che va bene se si abbassa la qualità della vita? David Cameron, il leader dei Tories, sembra convinto di questa svolta: lo scopo del Blueprint, ha detto, è di dare delle indicazioni e degli incentivi alle persone per fare scelte verdi e contribuire a migliorare le condizioni del pianeta. Ric.Par.

principi, si crea un vuoto di appartenenza e di identità che saranno le ideologie a riempire. Da qui l’indottrinamento e la manipolazione mentale, la propaganda a favore della rottura del vecchio ordine in nome dell’uomo nuovo, del nuovo mondo. Operata questa frattura, cancellato il senso della misura e dell’equilibrio compensativo garantito dalla tradizione, si possono affermare i nuovi valori, primo tra tutti la volontà di potenza che è la benzina ideologica della modernità, il mondo dove Dio è morto. E sono gli spiriti animali della volontà di potenza, svincolatisi dalla tradizione e spinti sulla linea del progresso e della costruzione della nuova realtà, a plasmare le forme del mondo, che comincia ad assumere sembianze mostruose: «Basta confrontare il vecchio centro di una qualsiasi città tedesca», scrive Lorenz, «con la sua periferia moderna oppure questa periferia – una lebbra che aggredisce le campagne circostanti – con i piccoli Paesi ancora intatti. Poi si confronti il quadro istologico di un tessuto organico normale con quello di un tumore maligno e si coglierà un’evidente analogia».

Solo i conservatori dunque possono salvare il pianeta anche se non lo sanno, e continuano a regalare alla sinistra, ai verdi, la battaglia per l’ambiente. A quelli cioè che quando Lorenz agitava la questione ecologica guardavano all’Urss e alla Cina come fari luminosi di progresso e civiltà mentre proprio in quei Paesi il socialismo sperimentava la collettivizzazione coatta, l’industrializzazione planetaria, la deportazione per fini produttivi di milioni di uomini e di donne. Non è solo il capitalismo dunque il responsabile della devastazione ambientale. Ma questo argomento non basta a liquidare il problema ecologico, magari negando che esso esista o ritenendolo inevitabile. Perchè “il progresso ha un prezzo”. «Abbiamo bisogno della libera impresa», dice Scruton, «ma anche del principio di legalità che la tenga a freno. D’altra parte quando l’impresa è prerogativa dello Stato l’entità che controlla la legge è la stessa che il motivo maggiore per evaderla: ecco una spiegazione sufficiente della catastrofe ideologica prodotta dalle economie socialiste». Lo scopo del conservatorismo del resto è l’equilibrio: tramandare e se possibile accrescere – l’ordine e l’equilibrio di

cui ogni generazione è anello intermedio per la successiva: «I viventi possono avere un interesse nel consumare le risorse della terra ma non è stato per questo che i defunti hanno faticato e chi non è ancora nato dipenderà dai vincoli che ci poniamo». Questa cura, questa responsabilità e questo rispetto per chi ci ha preceduto e per chi ci seguirà su questa terra è ciò che sostiene il principio di conservazione. Si può chiamare tradizione, ma si può anche, più semplicemente, definire “amore”. Sacrificio di sè. È solo quando abbastanza gente avrà di nuovo appreso l’abitudine al sacrificio, a far vincere la moderazione sul desiderio, che la questione ambientale potrà essere impostata sul serio. E per cosa la gente è disposta a fare sacrifici? Per le persone che ama. Per chi ha già fatto sacrifici per noi. Il problema è che le società contemporanee sono società di estranei, società liquide, dove i vincoli comunitari stanno per essere cancellati. La soluzione a questa anomia però non il ritorno ai localismi o peggio la frammentazione familista e tribale. No, sono le nazioni la risposta conservatrice alla globalizzazione. La nazionalità è una forma di attaccamento al territorio, un’intesa protolegislativa, un sentimento territoriale che ha in sé i semi della sovranità. È con la nazione che i conservatori possono contribuire in maniera determinante al pensiero ecologico. Realismo, ecco un altro tratto conservatore. Invece di tentare di risolvere i problemi ambientali a livello globale i conservatori cercano di intervenire concretamente in ambienti conosciuti e regolati. Mantenere l’ordine locale di fronte a un degrado ormai globale. L’attaccamento al territorio e il desiderio di proteggerlo rimangono motivazioni forti e l’amore per la propria casa resta la motivazione più forte di tutte. «Io rispetto», scrive Scruton, «la concezione illuministica dell’essere umano come agente razionale motivato da principi universali. Da conservatore quale sono devo tuttavia inchinarmi alle evidenze fornite dalla storia che mi dicono che gli esseri umani sono creature dagli affetti limitati e locali, il migliore dei quali è la lealtà territoriale, che le conduce a vivere in pace con gli estranei, a onorare i defunti e a provvedere ai bisogni di chi, un giorno, prenderà il loro posto come usufruttuario della terra».


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speciale bioetica

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L’ideologia verde non nasce in ambienti progressisti: ma nella teologia medievale e nella cultura conservatrice

Come la sinistra ha messo le mani sull’ambientalismo di Giannozzo Pucci almeno in parte le riflessioni più avanzate della cultura ecologista internazionale. I marxisti, educati al materialismo scientifico e provenienti per lo più da ambiti universitari, si dedicano principalmente a elaborare una teoria e una pratica politica che passa sotto il nome di ambientalismo scientifico, secondo il quale con più scienza e con tecniche avanzate si può far fronte in maniera efficace al disastro ecologico. I radicali si oppongono al nucleare per difendere il diritto alla salute degli individui e l’affermazione dei diritti diventa con

l pensiero ecologista nell’ultimo mezzo secolo si sviluppa a partire dalla constatazione scientifica delle conseguenze dell’agricoltura industriale e della rivoluzione chimica. Fino a quel momento i critici della modernità erano stati bollati come reazionari e retrogradi sia da destra che da sinistra. In un regime dove la scienza è religione di stato, solo uno scienziato, possibilmente americano, cioè del paese guida della modernizzazione, poteva trovare il linguaggio, le dimostrazioni e l’autorevolezza sufficiente per mettere in questione la qualità del progresso. È stata questa l’importanza del libro di Rachel Carson Primavera silenziosa, che ha rappresentato nel 1962 lo spartiacque fra l’ecologismo delle origini e quello attuale. Non è il caso di affrontare qui le radici dell’ecologismo che vanno dalle religioni indigene e attraverso la filosofia greca, i padri della Chiesa e la teologia medioevale, arrivano fino a Ruskin, Tolstoi, Chesterton, Gandhi, Bernanos… Interessa solo notare che, a parte Kropotkin e Chayanov, nessuno dei pensatori delle origini è vicino al mondo marxista e dopo Primavera silenziosa si riaccendono i riflettori anche su forme di pensiero che, come le filosofie religiose, prima venivano condannate.

Marxisti e radicali non hanno mai elaborato una critica filosofica coerente ai guasti della modernità

Dopo l’uscita del libro della Carson, la maggior parte dei più importanti pensatori del movimento ecologista internazionale (come Ivan Illich, Arne Naes, Wendell Berry, Edward Goldsmith e Vandana Shiva) non è marxista. Tutta la cultura politica resta però occupata dalle varie tendenze delle ideologie materialistiche ottocentesche, liberali e marxiste, che dal ’68 inizieranno in Italia, le prime nella forma del radicalismo e della crescita illimitata dei diritti civili individuali nelle società tencologiche, le seconde nella forma del controllo burocratico, una lenta confluenza che diventerà vorticosa negli anni ’80 e ’90. L’incontro fra queste due culture che si presenta spesso come scontro, avviene anche nell’ambito dei movimenti nuovi quando entrano in ambito politico. Il movimento ecologista in Italia, prima di affacciarsi agli appuntamenti elettorali, si incontra fisicamente nelle battaglie antinucleari a Montalto di Castro dove già compaiono quelli che saranno poi i principali attori sulla scena: i marxisti, i radicali e un’area di neofiti inesperti di politica nella quale si mescolano gandhiani, ecologisti di cuore e altri nonallineati, fra cui qualcuno conosce

loro un programma che si allarga agli animali e a tutte le forme di libertà individuali da garantire e diffondere. Essendo la società del benessere quella che più di ogni altra ha permesso, specie dopo il ’68, la massima liberalizzazione dei comportamenti individuali e delle comodità, la congiunzione di marxisti e radicali spinge a elaborare un progetto politico verso una società dei consumi ambientalista: una contraddizione assoluta. Questo è l’humus culturale in cui sorgono le liste verdi verso la metà degli anni ’80. L’Italia all’epoca è ancora il paese occidentale col più grande partito comunista, molto presente nel giornalismo e negli ambienti culturali, con una buona capacità di guidare anche indirettamente l’opinione pubblica. “Il Manifesto” si apre alla riflessione degli ecologisti diventando il luogo privilegiato di confronto teorico, sul quale si esercita così una sorta di censura per tutto ciò che non è ritenuto “politicamente corretto”. Nel 1986 un articolo ecologista contro l’aborto viene censurato a riprova che il manifesto eserciterà un’influenza di sinistra sulla riflessione verde in Italia a favore dell’ambientalismo scientifico.

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La filosofia ecologista vera, non allineata, è emarginata dal dibattito pubblico e resta in vita nell’ambito delle Liste Verdi fino alla fine della fase eroica nel 1990. Fra i capi storici dei verdi solo Alex Langer è capace di un’elaborazione indipendente con la conoscenza del dibattito internazionale, come dimostra la sua collaborazione al documento dell’aprile 1987 della Lista Verde fiorentina in appoggio a Ratzinger contro manipolazioni genetiche e nascita in provetta. La filosofia verde, non marxista né radicale, ruota in Italia attorno a personalità come Aldo Sacchetti, uno scienziato convertito al cattolicesimo, Guido Ceronetti, grande scrittore laico aperto alla dimensione spirituale, e Massimo Fini che ha incentrato la sua professione di giornalista e saggista sulla critica alla modernità. Ma bisogna attraversare tutto il processo di degradazione dei verdi nelle istituzioni prima che questa riflessione arrivi con Maurizio Pallante a elaborare una teoria politica italiana, profondamente ecologica, non marxista né radicale, di trasformazione complessiva della società con la “Decrescita Felice”.

Wandervogel gli hippy di destra di Alfonso Piscitelli acquero a Berlino agli inizi del Novecento, ad opera di studenti liceali, e immediatamente si diffusero in tutto il Brandeburgo. I Wandervogel – gli uccelli migratori – partecipavano dello stesso spirito pionieristico ed ecologista che in Inghilterra avrebbe animato i boy scouts. Ma in più avevano alle spalle un secolo di “Naturphilosophie”, ovvero quella sorta di sentimento mistico che Goethe, i romantici e lo stesso Nietzsche avevano coltivato nei confronti della Natura. Essi sentivano profondamente la necessità di ristabilire il contatto tra l’uomo e il“cosmo”dopo che lo sviluppo della società industriale quel contatto rischiava di spezzare. Nel 1904 – ovvero tre anni prima che il generale Baden-Powell organizzasse in Inghilterra il primo campo scout – i Wandervogel erano già un movimento a dimensione nazionale, con migliaia di soci. Nel 1910 venivano inaugurati i primi ostelli della gioventù. I Wandervogel erano i figli di uno dei tanti miracoli economici tedeschi, ma covavano nel loro animo l’insoddisfazione per il perbenismo “guglielmino”. I loro maestri erano spesso giovani professori bohemien, con chiome scapigliate e letture sparpagliate. L’amore per le tradizioni, i simboli, lo stesso culto della Natura come potenza primigenia e rigeneratrice li collocavano a destra. Ma serpeggiavano tra gli inquieti Wandervogel idee repubblicane e socialiste. Il clima non era militaresco – come sarebbe divenuto nelle adunate dei movimenti nazionalisti dopo la guerra – ma abbastanza gaio. Quando infatti il culto per la vita “nature” e l’amicizia si univa alle letture di Platone scattava un curioso corto circuito che spingeva alcuni ad esaltare apertamente l’omosessualità, convinta e praticata. Potevano apparire come antesignani degli hippy, e tuttavia in essi il ritorno alla natura si conciliò sempre con il rispetto delle tradizioni civili. Natura, cultura e storia facevano un tutt’uno quando si accendevano i fuochi nelle notti del solstizio per leggere le ballate dei romantici o i passi dello Zarathustra di Nietzsche. Il gorgo della prima guerra mondiale li travolse. Da allora dei Wandervogel rimangono tracce sparse: per lo più splendide fotografie in bianco e nero di ragazzi che attraversano vallate. Proprio il fotografo Oliviero Toscani in una prefazione al libro di Winfried Mogge I Wandervogel: una generazione perduta ha rievocato i toni di quella esperienza, ricordando il saluto che gli uccelli migratori si scambiavano tra loro: “Gute Licht!”, buona luce. La luce che occorre per fare una buona fotografia, la luce che illumina l’uomo quando riprende contatto con la Natura.

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Le idee migliori sono proprietà di tutti. Seneca

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DELLE IDEE


pagina 18 • 8 marzo 2008

economia

In alto, il ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani

L’inutile sgravio del governo (2 centesimi) di fronte all’ennesimo record del petrolio

Pannicello caldo sul caro benzina di Gianfranco Polillo eri Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco hanno firmato il decreto per la riduzione delle accise sui carburanti e la restituzione. Il taglio è di due centesimi al litro. Quasi contemporaneamente il prezzo del petrolio è oscillato tra i 102,61 (Brent) ed i 105,47 ( Wti) dollari al barile. L’ennesimo record. Bisognerebbe ormai inventare nuove parole e iperboli per descrivere un fenomeno che va oltre l’immaginario. E probabilmente non è ancora finita.

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Nel frattempo l’energia diventa più cara. Nel 2007 il prezzo medio delle importazioni italiane, stando a dati ministeriali, è stato pari a 67,16 dollari al barile. Oggi siamo a un aumento che supera abbondantemente il 50 per cento. Quale sarà l’impatto sull’economia? La forte crescita dell’inflazione è già evidente nei dati forniti dall’Istat. I prezzi a febbraio, rispetto all’anno precedente, sono aumentati del 2,9 per cento. Ma se consideriamo soltanto i trasporti o i prodotti alimentari, si supera il 5 per cento. A

scapito soprattutto dei ceti meno abbienti, che destinano parti maggiori del reddito alla soddisfazione dei bisogni primari. Ancora più allarmanti le notizie che provengono dalle aziende. I prezzi alla produzione sono quasi raddoppiati dal luglio dello scorso anno, raggiungendo quota 3,5 per cento. La differenza con i prezzi al consumo è pertanto dello 0,6. Esiste un potenziale inflazioni-

que positivo. Che succederà con il petrolio che supera i 100 dollari al barile?

La bolletta petrolifera, seppure temperata dalla rivalutazione dell’euro, rischia di avere un effetto depressivo: tanto più che quello che guadagniamo sul fronte delle materie prime lo perdiamo in termini di mercato, a causa dei maggiori prezzi delle nostre esportazio-

centesimi a favore degli automobilisti. Misura evidentemente inadeguata, come mostrano le cifre riportate. Un pannicello caldo sulla pelle dei contribuenti, ustionata dagli eccessi di fiscalismo. Non darà ristoro, e, se alternativa ai processi di liberalizzazione, sarà molto meno di una piccola boccata d’ossigeno. Che fare quindi? Nell’immediato occorre accelerare la ra-

Bersani e Visco hanno congelato il surplus di accise derivanti dal caro greggio, ma l’erario incassa grazie ai carburanti 27 miliardi di euro all’anno. Intanto aumentano le ripercussioni su inflazione e produzione industriale stico, destinato a manifestarsi a breve: quando i maggiori costi si trasferiranno sui prezzi al consumo.

Ma non finiscono qui le incognite. Il 2007 si è chiuso con un incremento modesto (+1,5 per cento) del Pil. L’estero, vale a dire la differenza tra quanto importiamo e quanto esportiamo, ha dato un contributo modesto (circa lo 0,1) ma comun-

ni extraeuropee. Una situazione a dir poco grave. Sui prodotti petroliferi gravano imposte – i dati si riferiscono al 2007 – per un totale di circa 23 miliardi di euro. Con l’Iva il montante cresce a oltre 27. Si tassa tutto: dagli oli minerali, ai gas incondensabili, all’energia elettrica, al metano, fino agli oli lubrificanti. In tutta risposta il governo ha varato un decreto di defiscalizzazione: 2

zionalizzazione della catena di distribuzione. Sono questi i risparmi maggiori che si possono ottenere, in grado di incidere in modo significativo sui prezzi dei prodotti al consumo.

Negli anni passati queste piccole posizione di rendite potevano essere tollerate grazie alla costante erosione del prezzo reale del petrolio. Oggi questi margini non esistono più. Ci

sarà naturalmente un problema di riconversione produttiva, ma non si può continuare a mettere la testa sotto la sabbia, sperando in tempi migliori. Nel medio periodo, invece, esiste solo una soluzione. Ed essa è data dal nucleare. Lo dimostra il caso francese i cui prezzi dell’energia sono quasi la metà di quelli italiani.

Si può discutere all’infinito sulla trasparenza di quei costi, che non tengono conto dello smaltimento delle scorie. Ma bisogna avere fiducia. Il progresso tecnologico ha sempre giocato una partita positiva. Un grande economista come John Maynard Keynes giustificava il suo ottimismo paragonando i progressi compiuti dall’umanità negli ultimi cinquanta anni di storia con i 4mila precedenti. Quella lezione purtroppo è rimasta inascoltata. I Verdi italiani, con quel combinato disposto di fondamentalismo ambientalista e antagonismo sociale, sono riusciti a bloccare ogni barlume di intelligenza. E purtroppo i risultati si vedono.


economia

8 marzo 2008 • pagina 19

Cedere agli enti azionisti di Unicredit la quota nella merchant bank?

Per Mediobanca Profumo si affida alle Fondazioni di Giuseppe Failla

MILANO. La questione governance – dopo che le indicazioni arrivate da Bankitalia fotografano lo status quo di Piazzetta Cuccia – sembra superata. Finalmente si intravede la piattaforma retail da tempo annunciata. Per l’esercizio 20072008 ci si attende un utile netto di 1 miliardo di euro, con ricavi pari al doppio. Sembrano rasserenati gli azionisti di Mediobanca. E lo è soprattutto quello principale, Unicredit, visto che Alessandro Profumo potrà tornare a concentrarsi sul proprio core business. Non è un mistero che il banchiere veda questa partecipazione come un fastidio necessario per non lasciare campo a Intesa. Profumo venderebbe anche subito il suo 8,6 per cento, ma sa che una decisione non concordata in tal senso con i suoi azionisti potrebbe essere fatale anche a un banchiere del suo rango. Nelle banche d’affari già da mesi si dice che l’uovo di colombo sarebbe la cessione della quota alle Fondazioni azioniste della banca. Da un punto di vista formale la soluzione incontrerebbe un limite interno: convincere gli altri azionisti a rinunciare a una porzione della quota. Sia Munich re sia Allianz, per esempio, potrebbero essere interessate a mettere un piede nella controllante delle Generali. E fra le fondazioni azioniste di Unicredit le reazioni non sono univoche. A quanto si apprende, l’ente più entusiasta sarebbe la Fondazione Crt

Il banchiere genovese, girata in mani sicure la partecipazione, potrebbe dedicarsi a consolidare il gruppo di Torino, forte anche dell’expertise del suo ex uomo forte, Fabrizio Palenzona. Alla Fondazione Cariverona sarebbero interessati all’investimento. La riserva, secondo quanto si apprende, è legata ai dubbi del suo potentissimo numero uno Paolo Biasi. Biasi è stato già membro

del patto di sindacato di Mediobanca, esperienza che gli è tutt’altro che dispiaciuta. Se subentrasse a Unicredit nella partecipazione desidererebbe avere un potere di rappresentanza commisurato al peso della partecipazione. Una cosa ovvia ma che cozza con la gestione del potere di Profumo che, anche prima della fusione con Capitalia, ha delegato molto a Cesare Geronzi, pur mantenendo un presidio di suoi uomini all’interno degli organi societari. Diversa la situazione di Carimonte, il più piccolo dei tre azionisti storici di Unicredit. Come accaduto per la Carisbo, che dovrebbe alleggerire il peso di IntesaSanpaolo nel suo portafoglio partecipazioni procedendo alla dismissione di una parte della quota, anche Carimonte potrebbe trovarsi ad avere un’esposizione eccessiva nei confronti dell’investimento Unicredit rispetto al totale. Ma al momento nulla ancora è stato deciso in merito, anche se una diversificazione in Mediobanca potrebbe essere interessante, ma rischierebbe di essere alternativa a Unicredit. La tempistica della risoluzione del nodo Generali da parte di Profumo, complice anche la turbolenza dei mercati e il conseguente deprezzamento delle partecipazioni azionarie, non dovrebbe essere brevissimo. Quasi certamente prima di aprile, quando ci sarà l’assemblea del Leone, il dossier non sarà neppure aperto.

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Telecom: bruciati in Borsa 2 miliardi Nel giorno della presentazione del piano industriale Telecom Italia ha bruciato a Piazza Affari quasi 2 miliardi di capitalizzazione. Il titolo ha perso il 9,06 per cento, chiudendo a 1,445 euro. Gli analisti sono rimasti delusi dai target indicati per il futuro: l’azienda ha infatti abbassato in media di 400-500 milioni le stime di ebitda per il 2009 e 2010 e ha escluso acquisizioni. L’amministratore delegato, Franco Bernabè, ha parlato di «mercato irrazionale. Conosceva la situazione di Telecom, il livello di indebitamento, il portafoglio internazionale. Aveva tutti gli elementi. Abbiamo fatto solo chiarezza sul dividendo, sui numeri, sulle prospettive».

Cicr: nessuna crisi subprime Volti distesi e ottimismo sul futuro durante la riunione del Cicr tenuta ieri a Roma. In una nota il ministero dell’Economia ha fatto sapere che «il quadro per l’Italia, pur nell’ambito di un peggioramento della situazione internazionale, appare nel complesso abbastanza rassicurante. Il coinvolgimento diretto delle istituzioni finanziarie italiane nella vicenda dei subprime appare modesto». Nella riunione – alla quale hanno partecipato, tra gli altri, il ministro Tommaso Padoa-Schioppa, e il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi – è stata decisa la creazione di un comitato permanente di controllo delle crisi internazionali.

Ocse, prospettive negative per l’Italia Per l’Ocse peggiorano le prospettiva di crescita dell’Italia. Il Superindice sull’attività economica, che valuta le previsioni di crescita dell’economia, ha registrato un incremento di 0,4 punti rispetto a dicembre, ma un calo di 3,5 su gennaio 2007. Si ipotizza che la tendenza al rallentamento vada avanti per tutto l’anno. Situazione difficile in tutta l’area Euro.

Generali, Bollorè blinda Bernheim A detta di tutti, le ultime disposizioni di Bankitalia sulla governance hanno indebolito Antoine Bernheim e la sua poltrona di presidente di Generali. Non è d’accordo Vincent Bollorè, socio forte di Mediobanca e amico di Bernheim. «Per quanto mi riguarda la questione non si pone proprio», ha spiegato. «I risultati di Generali sono eccellenti e rispettano i target previsti. Inoltre, il Cda gli ha rinnovato da poco la fiducia».

Berlino e Parigi blindano Eads Grande alleanza tra Germania e Francia per blindare Eads, secondo gruppo aerospaziale al mondo. Per motivi di sicurezza, Berlino e Parigi avrebbero deciso di limitare al 15 per cento le quote detenute da stranieri. La Ue boccia l’ipotesi di golden share. Un portavoce del commissario Charlie McCreevy, ha avvertito: «Nel mercato unico non c’è spazio legale per questi strumenti».

Chiusura in negativo per Piazza Affari Spinta dal tonfo di Telecom e dai calo di Fiat (-2,8 per cento) e Parmalat (-4,8), Milano chiude la settimana con un -1,89 per cento.

A inizio anno il ritardo degli incentivi e gli stop alle produzioni di Pomigliano e in Polonia hanno fatto invertito il trend. Le contromosse di Marchionne

Fiat punta sul MiTo per frenare la crisi che attende il mercato italiano di Vincenzo Bacarani

TORINO. Il 2008 sarà per la Fiat un anno sotto il segno del “MiTo”. E’ il nome della nuova Alfa Romeo, chiamata anche Junior, che in questi giorni sta sfrecciando – opportunamente camuffata – sulla strade piemontesi e del Nord Europa e a cui è affidato il difficilissimo compito di riequilibrare un inizio d’anno pesante per la casa del Lingotto. La debolezza in Borsa (ieri ha perso il 2,8 per cento) e il già consistente calo di vendite accusato dal gruppo torinese a gennaio (-6,57 per cento), si è accentuato in febbraio (-8 per cento). Il trend negativo rischia di far evaporare in pochi mesi il recupero effettuato nell’anno passato. La quota di mercato in Italia è infatti scesa in un anno dal 32,45 per cento al 31,1. Un

dato preoccupante che si può far risalire a tre fattori principali: il primo è – come dicono al Lingotto – il perdurare del fermo dello stabilimento di Pomigliano (riaperto solo nei giorni scorsi) e il blocco di produzione delle vetture equipaggiate con il Multijet 1.3. Il secondo fattore è stato rappresentato dall’incertezza che regnava sovrana fino agli ultimi giorni di dicembre del 2007 sul rinnovo degli incentivi per la rottamazione che ha scoraggiato i consumatori. Ultima causa, la mancanza di nuovi modelli all’orizzonte, a parte l’Alfa MiTo/Junior che – secondo le intenzioni Fiat - dovrebbe raggiungere il tetto delle 60-80mila vetture vendute all’anno. Intanto, in attesa di nuove idee e soprattutto in atte-

sa di un concreto progetto su una citycar torinese, l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, guarda all’America con l’ipotesi di un’Alfa che nasca e venga prodotta oltre Oceano entro il 2010. Progetti che per ora rimangono tali e che – per forza di cose – non troveranno sbocco entro quest’anno. Bisogna tuttavia considerare che il calo di vendite in Italia ha interessato tutte le aziende dei segmenti piccolo-medio: soltanto Volkswagen ha registrato un aumento consistente oltre il 3 per cento, mentre crescono Mercedes e Bmw tra i brand medio-alti. Intanto il gruppo torinese si consola con la crescita di mercato nel settore dei veicoli commerciali leggeri: a febbraio un netto aumento del 12,6 per cento.


pagina 20 • 8 marzo 2008

cultura

A Napoli riciclare i polimeri è un incubo, ma il Plart li mette in mostra

Guardatela bene, la plastica è arte

Le suggestive forme in mostra al Plart, il mondo della plastica aperto nel cuore della Napoli aristocratica, uno sfrontato e vitale elogio della modernità. Nella foto piccola la curatrice Maria Pia Incutti

di Adriana Dragoni ia Martucci 48. Sembra un palazzo borghese come tanti. Ma nella vecchia Napoli spesso i palazzi fanno da cortina a costruzioni più antiche. Infatti qui oltrepasso il portone, attraverso un cortile, vi trovo un ingresso, vi entro e, inopinatamente, mi trovo su una stradina a gradinate (pavimentazione urbana in lucida lava scura del Vesuvio). II muro, grigio, di fronte a me, secoli fa -mi diranno poiera di una caserma, e in quella stradina, che le girava intorno, i soldati facevano la ronda. Scendo le gradinate verso destra, poi finalmente entro in un interno, vasto, bianco, copertura a volta, pausato da archi: un intreccio, largo, di morbide curve, un ambiente straordinariamente piacevole. Mi trovo tra le fondamenta di un palazzo. Qui, dove un tempo vi erano scuderie di cavalli, ora vi è il mondo della plastica: il Plart. Quasi una provocazione, considerata anche l’insuperabile difficoltà che Napoli incontra nello smaltimento e nel riciclo di questi materiali. Oggi d’altronde, nell’opinione della gente comune e dei mass media, che spesso è la medesima, la plastica è una sorta di indistruttibile mostro antiecologico che seppellirà la terra sotto il suo catastrofico peso, e sembra che saranno prescritti, dal 2010, anche i sacchetti di plastica. Invece qui la si esalta. Un film ne racconta la storia, iniziata nel 1838, quando il signor Charles Goodyear scoprì la gomma vulcanizzata. Poi di materie polimeriche se ne inventarono diverse, come la celluloide (1869) che, utiliz-

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zata per la realizzazione delle pellicole fotografiche, rese possibile la nascita della cinematografia, la bakelite (1907), il nylon (1938), impiegato per gli oggetti più diversi, dai paracadute alle calze da donna, il moplen (1954), scoperto da Giulio Natta, premio Nobel per la chimica, l’unico che l’Italia abbia ricevuto.

Al Plart, in bella mostra, in una magnifica grande vetrina a serpentone, vi sono oggetti di tutte queste varie mate-

una radio, si ritrovano forme nuove, nuove creazioni. Aveva ragione Marcel Duchamp, quello che espose in una mostra d’arte oggetti di produzione industriale (un orinatoio, uno scolabottiglia e una ruota di bicicletta), per testimoniare -si dice- che qualsiasi cosa, esposta in un contesto artistico, diventa arte. Ma c’è di più. C’è che anche degli oggetti funzionali, guardati disinteressatamente ovvero contemplati, si rivelano belli. I bambini si incantano a guardare

Una collezione insolita, accompagnata da un film sull’epopea della gomma e del nylon. Diceva Duchamp: ogni cosa, esposta nel giusto contesto, diventa creazione rie. È facile osservare che dapprima la plastica imita i materiali naturali -vetro, tartaruga, avoriopoi diventa autonoma e si tinge di bianco e di nero e infine di colori forti e contrastanti. Si nota come la plastica accompagni la tecnica, anzi si plasmi a suo modo, giacché, lo stesso nome lo rivela, è un materiale plasmabilissimo. Le nuove funzioni necessitano di nuove forme, anzi le suggeriscono, ed è così che in un comune oggetto domestico, un phon, un telefono,

una foglia, o una nuvola. È normale, si dice, gli elementi naturali sono belli. Ma ci si incanta anche a guardare il luccicore del vetro di un bicchiere o la forma perfetta di una bottiglia. Il Plart riesce a stuzzicare questa sensibilità. Ed è anche un bagno nell’ottimismo. Mentre tanta parte della cultura contemporanea denigra questo nomondo stro tecnologizzato, ecco che qui lo si esalta, mostrando di quegli

oggetti che lo connotano la bellezza e l’intelligenza. Quelli esposti sono di uso comune e il loro elegante disegno è dovuto ugualmente ad anonimi autori o ad artisti di vaglia. Fanno parte di una collezione di 1500 pezzi costruita da Maria Pia Incutti, imprenditrice e presidente di diverse istituzioni culturali, che evidentemente ama la tecnica e la modernità. Collezionista di arte contemporanea, ha esposto al Plart opere di pregio, tra cui è notevole la “Regina Isabella” di Anselm Kiefer.

Se collezionisti di oggetti plastici ce ne sono alcuni, anche Renzo Arbore è tra questi, rare sono le collezioni visitabili. Ma il neonato Plart (è nato il 25 gennaio di quest’anno) è unico, perché non consiste solo nell’esposizione di oggetti polimerici ma è anche un laboratorio che, collaborando con università e istituzioni scientifiche, studia le deformazioni e il deterioramento di questi oggetti nel tempo e ricerca i mezzi per la loro conservazione. La plastica è infatti un materiale indistruttibile ma deteriorabile. Proprio al Plart vi sono delle opere firmate, delle eccentriche poltrone, dove non ci si può neanche appoggiare perché si correrebbe il rischio di romperle. Molte opere d’arte contemporanee sono in plastica. Sono costate milioni e certo sono molto cool. Eppure potrebbero diventare con il tempo nient’altro che waste. Solo qualche maligno d’altra parte può dire che molte di esse lo sono già.


televisione

8 marzo 2008 • pagina 21

Le serie tv si adeguano ai cambiamenti della società tra cronaca e costume

Prof, liceali e famiglie allargate. Per fiction di Priscilla Del Ninno a tv, impietoso scrigno dell’anima del nostro acciaccato Paese e specchio di un corpo sociale in progressiva evoluzione, da sempre assolve all’ingrato compito di sviscerare, tra realismo documentario ed edulcorazione filmica, vizi privati e pubbliche virtù che il microcosmo familiare enuclea e che l’universo scolastico amplifica e denuncia. E questo prima ancora che la gaffe del ministro Padoa Schioppa affibbiasse ai l’inopportuna giovani etichetta di “bamboccioni”, e prima che la cronaca raccontasse inquietanti episodi di bullismo. Così, nel solco produttivo scavato in annate di rivisitazioni tv del libro Cuore, fra agiografie montessoriane e tentazioni giovanilistiche - e in cicli di saghe familiari che, dalla Famiglia Benvenuti a quella di Nonno Libero hanno raccontato il rapporto genitori-figli - si inseriscono oggi i nuovi progetti di Rai e Mediaset che, dai banchi di scuola alla cucina di casa, tornano a puntare i riflettori sul sociale.

L

realtà cronachistica e fiction tv Castellitto sarà un insegnante in trincea in un quartiere napoletano che ricorda il degrado di Scampia, mentre la “prof” tutta pepe e velleità investigative interpretata dalla Pivetti, tra piste gialle e battibecchi coniugali, punterà al traguardo del più semplice intrattenimento. Toni lievi ma non disimpegnati

Sergio Castellitto sarà O’ professore su Canale 5, e Raiuno in primavera manderà in onda la sesta serie di Un medico in famiglia

Pronti al ciak o di imminente programmazione primaverile, i palinsesti di viale Mazzini annunciano allora per Raiuno la terza serie di Provaci ancora prof con Veronica Pivetti e Enzo De Caro; il sesto capitolo di Un medico in famiglia; la seconda annata di Raccontami. E da Cologno Monzese rispondono presentando le novità de I Liceali con Claudia Pandolfi e Giorgio Tirabassi (probabilmente in onda a partire da aprile su Canale 5); la miniserie O’ professore, con Sergio Castellitto diretto da Maurizio Zaccaro, in programma per l’autunno del Biscione. Così, tra

invece per I Liceali del Mamiani di Roma, diretti da Lucio Pellegrino, che, tra metodologie didattiche e sfide emotive, mirerà a offrire un realistico spaccato adolescenziale.

In giorni di accesa campagna elettorale in cui la sfida dei programmi, tra bonus scuola e bonus bebè, punta molto su una politica di modernizzazione che intersechi compiutamente la strada dell’istituto familiare e i percorsi dell’istituzione scolastica, profondamente minati dalla classe dirigente di sinistra che da tempo destrutturalizza la centralità della famiglia e attenta alla libertà d’insegnamento, (a partire dalla lotta alla sopravvivenza finanziaria perpetrata a danno della scuola privata cattolica). E mentre rimangono i cocci

della riforma Berlinguer, tra chi sotto il vessillo dell’arcobaleno invoca i Pacs, e chi dal centrodestra inneggia alla difesa dell’identità cristiana dei valori fondanti della nostra società, i nodi da sciogliere sono tanti. E altrettanti gli spunti tv.

Del resto, il piccolo schermo continua da decenni, e visto l’andazzo potrà seguire per secoli, a sviscerare il rapporto tra vita quotidiana e conflitti generazionali. Già nel 1988 un lungimirante Giorgio Capitani lamentava con il film in due parti su Raiuno, E non se ne vogliono andare, la difficoltà ad abbandonare il nido familiare: vittime i coniugi Virna Lisi e Turi Ferro, costretti al ruolo di perenni tutori. A quel modello di famiglia tradizionalmente normale, fanno eco i Cesaroni che oggi, su Canale 5, grazie al prototipo divertito e irriverente di una moderna famiglia allargata, sono chiamati con Claudio Amendola ed Elena Sofia Ricci a coniugare vecchi matrimoni e nuove convivenze, a generare nuovi schemi di aggregazione domestica e di racconto. Ce ne è voluta, insomma, prima di arrivare a stuccare con nuovi

In alto i protagonisti della prima serie di Raccontami che stanno lavorando ai nuovi episodi; a sinistra i Cesaroni; sotto il logo di Un medico in famiglia; in basso Sergio Castellitto

collanti narrativi e speciali smalti formali il racconto familiare aggiornato alle evoluzioni sociali ma, puntuale, è sempre arrivata l’incursione tv tra le mura di casa. Quella rassicurante del Medico in famiglia per esempio, il cui set per la sesta serie si aprirà dopo l’estate. E quella revisionista di Raccontami, che

dopo il successo della prima edizione, sta lavorando ai nuovi tredici capitoli della storia della famiglia Ferrucci, alias Massino Ghini, Lunetta Savino e figli, che in controluce adombra il macro racconto dell’Italia degli anni ‘60, il decennio dei primi frigoriferi e degli ancheggiamenti del twist, del duplex e del Carosello, del boom e del primo uomo nello Spazio.

Gli anni in cui le trasmissioni televisive radunavano intorno al piccolo schermo un Paese in cammino che, a bordo di Fiat 500 e 600, viaggiava verso la stagione di una democrazia tra euforia e emancipazione avviata a diventare adulta, proiettata verso un futuro ipotizzato allora ancora lontano dalle degenerazioni che le trasformazioni civili avrebbero invece portato: bullismo minorile, precariato nel mondo del lavoro e famiglie allargate.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Draghi e Montezemolo premier possibili? È FINITO IL TEMPO DEI TECNICI, ABBIAMO BISOGNO DI UOMINI POLITICI

DRAGHI POTREBBE ANDAR BENE, MA SOLTANTO PER UN PERIODO LIMITATO

Io penso che in questo momento, cioè nelle condizioni in cui versa l’Italia, la nostra Nazione abbia bisogno di una vera guida politica. Non è più tempo di tecnici. Ma poi vada per Draghi, però Montezemolo no, proprio no. Ma cosa possiamo chiedere a ”Montezemolo bella chioma”? Cosa può darci oltre qualche vittoria con la Ferrari? In questi quattro anni di pesidenza alla Confindustria, Luca Cordero ha fatto dichiarazioni pressoché tutti i giorni, più del comunista Rizzo (che per altro non si azzitta mai). Ma cosa diceva? Ogni dichiarazione smentiva quella del giorno precedente. Insomma, di politica secondo me ne capisce poco o niente. Per quel che riguarda Draghi il discorso è diverso. Altra statura, altro spessore. Però è un ottimo tecnico, non un politico. Cosa mai potrebbe dare (e dire) in politica estera ad esempio? Non basta essere contornato da buoni ministri per fare il premier. L’articolo 95 della Costituzione, del resto, così recita: “Il presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo, e ne è responsabile…”. Cordialità.

Sarebbe possibile una leadership di Draghi o Montezemolo solo se il risultato delle prossime elezioni politiche fosse di pareggio, e soltanto per un periodo ben limitato. Sono convinto che il ruolo di premier è troppo politico per essere affidato ad un tecnico. Inoltre non vedo proprio come Luca Cordero possa ricoprirlo, considerando che rappresenta una sola parte sociale e quella privilegiata, cioè gli imprenditori. A parte poi che sarebbe anche il caso di valutare le sue capacità (quali?). Mario Draghi invece potrebbe essere più idoneo. Anche se lo vedrei più come ministro dell’Economia che come primo ministro. In fondo anche Ciampi fece quel percorso. Ribadisco però che sarebbe bene restituire alla politica il suo ruolo guida, quindi va bene Draghi premier, ma come traghettatore verso una riforma elettorale che sappia dare stabilità di governo, visto che quella attualmente in vigore ha comunque portato all’ingovernabilità. Grazie per l’ospitalità sul vostro giornale. Distinti saluti.

Alfredo Marafioti Cosenza

LA DOMANDA DI DOMANI

Figli di, mogli di: posti assicurati in Parlamento?

Domenico Arrighi - Milano

MEGLIO BERLUSCONI, VELTRONI O CASINI E IN CASO DI PAREGGIO, SUBITO LARGHE INTESE E perché mai dovremmo ricorrere a Luca Cordero di Montezemolo o Mario Draghi? Il primo rappresenta solo gli industriali, il padronato dunque, non anche i lavoratori, dipendenti e autonomi che siano, che certamente costituiscono la parte più numerosa della popolazione. Il secondo invece è un tecnico, buono, ottimo, eccezionale, ma pur sempre solo un tecnico. Io sostengo che il premier deve essere un politico e, a norma di Costituzione, deve essere la guida dell’indirizzo politico del Paese. Quindi, o Veltroni o Berlusconi o Casini alla guida del governo. In caso di pareggio, sarebbe il caso di formare un governo di grandi intese e nominare premier un politico - possibilmente di spessore – del partito che ha ottenuto più voti alla Camera dei deputati. Cordialmente ringrazio.

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UN BEL GIORNO QUESTA FESTA NON CI SARÀ PIÙ La Giornata Internazionale della Donna è un giorno di celebrazione per le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne ed è una festività internazionale celebrata in diversi paesi occidentali. Originariamente l’8 Marzo era una giornata di lotta,soprattutto nell’ambito delle associazioni femminista: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli. Con il passare degli anni il vero significato di tale ricorrenza è andato sfumando, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche da connotati di carattere commerciale e politico; l’emancipazione delle donne, anche nei rapporti con l’altro sesso, è possibile solo attraverso il lavoro, conquistando l’indipendenza economica.

Valerio Massimo Guerrera Campo di Giove (Aq)

FAI DA TE Rickey Joe Smith, costretto a tirar fuori dall’acqua la sua macchina con una corda di fortuna dopo la terribile tempesta che nei giorni scorsi ha colpito la zona di Falkville, in Alabama IL PARTITO DI VELTRONI È SEMPRE QUELLO DI PRODI Ho un dubbio e vorrei chiarirlo prima di andare a votare. Leggo su l’Unità una frase pro Veltroni, con tanto di foto, che dice: ”Più posti negli asili nido. Più occupazione femminile. Con noi vincono le donne”. Chiederei al signor Veltroni chi non ha voluto tutte queste belle cose, nel passato governo. Prodi no, era il migliore, come Togliatti; le sinistre alleate no, non erano questi gli impedimenti che ponevano, si trattava di altro e di politica estera; Di Pietro no, fa parte integrante del Pd e del programma di Veltroni; i socialisti di Boselli e Mastella no, nemmeno a pensarlo, amano i bimbi, sono per le pari opportunità, Mastella addirittura ha la moglie presidente del Consiglio regionale campano. Resterebbe

dai circoli liberal

Solo abbattendo il ”monopolio dell’uomo” la donna può aspirare all’uguaglianza. A mio parere la marginalità delle donne in ambito politico non deve esistere, perchè sotto alcuni punti di vista solo loro sanno come poter migliorare quelli che sono i problemi relativi all’educazione, l’istruzione e la formazione. Non si tratta più di negare diritti, come avvaniva negli anni Settanta, ma cercare di migliorare una cultura politica che, ancora oggi, considera l’uomo il leggittimo protagonista dello Stato. Dopo tutte le vicissitudini che le donne hanno dovuto affrontare non bisognerebbe ricordarle solo in questo giorno, ma fare in modo che tutti i 365 giorni dell’anno siano come questo. Allora: abbiamo ancora bisogno di festeggiare? Paola LIBERAL ROMA

ancora un dilemma: o su Prodi ci hanno raccontato un mucchio di bigie o il Pd di Veltroni è sempre quello di prima, ergo due più due fan quattro, non ci piove.

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

DUELLO SANTANCHÈ-D’ANGELI? MEGLIO EVITARE LE QUOTE ROSA Due sere fa mi è capitato di vedere a Porta a Porta un duello tra Daniela Santanchè e Flavia D’Angeli, rispettivamente candidate premier per la Destra e la Sinistra critica. Il loro è stato un battibeccare disordinato e di basso profilo, senza mai centrare i reali problemi del Paese e le relative possibili soluzioni. In questo turno elettorale è meglio evitare quote rosa?

Amelia Giuliani Potenza

ALLE DONNE LIBERAL... Alle donne Liberal e a tutte quelle che vivono con entusiasmo e da protagoniste la vita dei nostri giorni, al di là dell’appartenenza sociale, politica e culturale, va il nostro più affettuoso augurio. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

APPUNTAMENTI ROMA - OGGI SABATO 8 MARZO 2008 ”LIBERALI E CRISTIANI PER RICOSTRUIRE L’ITALIA” Ore 11, presso il Teatro Valle, in via del Teatro Valle 21 (piazza Navona) Assemblea nazionale dei Circoli Liberal. Interverranno Pier Ferdinando CASINI, Ferdinando ADORNATO, Angelo SANZA


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Sempre con te oppure mai più Anche quando sono a letto i miei pensieri si affrettano verso di te, mia eternamente amata, qualche volta con gioia, poi ancora con tristezza. Per affrontare la vita devo vivere sempre con te o non vederti mai più. Sì, ho deciso di essere un vagabondo all’estero fino a quando potrò volare fra le tue braccia e dire che ho trovato la mia vera casa con te e potrò lasciare salire la mia anima al reame degli spiriti benedetti. Oh Dio, perché uno deve vivere separato da colei che gli è cosi cara. Alla mia età ho bisogno di stabilità e di regolarità. Può questo coesistere con la nostra relazione? Stai calma; perché solo considerando con calma le nostre vite possiamo realizzare il nostro proposito di vivere insieme. Sii calma, amami. Oggi, ieri. Che doloroso desiderio di te – di te – te – mia vita – mio tutto – tutto il bene per te. Continua ad amarmi, non sbagliarti a giudicare il cuore del tuo amante, sempre a te fedele. Sempre tuo, sempre mia, sempre nostro. Ludwig Van Beethoven alla Immortale Amata

LETTERA APERTA A CASINI, ADORNATO, CESA E PEZZOTTA In un momento difficile per la democrazia del nostro Paese, s’impone la necessità di lanciare un accorato appello a quanti hanno ancora passione civile, per predisporre le fondamenta per la realizzazione all’indomani del 15 aprile, di un nuovo soggetto politico e costruire insieme la nuova casa dei moderati. Dopo i recenti eventi dei giorni scorsi, che hanno portato all’accorpamento di diverse formazioni nel Pd e Pdl, è stata da noi tutti apprezzata la scelta coraggiosa di presentarci da soli con il candidato premier Casini. Una scelta saggia, quella di riunire intorno ad un simbolo che rappresenta ancora oggi la storia ed un grande patrimonio di valori ed ideali per tutte quelle sane esperienze che vogliono battersi con dignità affinché il centro possa rappresentare un preciso punto di riferimento. Una delle cause che continuano ad inficiare negativamente la Politica, è sicuramente la scarsa partecipazione della gente e la mancanza di una reale democrazia. Del resto, da alcuni anni l’attuale sistema elettorale per l’elezione dei rappresentanti in seno al Parlamento ha finito per demandare alle segreterie l’imposizione dei candidati-eletti, con gli eletto-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ri costretti solo a ratificarne le decisioni. Il nuovo soggetto politico dell’Unione di Centro, dovrà puntare a rinnovare con coraggio e determinazione i metodi della vecchia politica, attraverso una selezione meritocratica di una classe dirigente che oltre al senso di responsabilità ed alla passione civile abbia la capacità di far emergere con la qualità, la serietà dei comportamenti e delle scelte, le ragioni della buona Politica. Hanno pienamente ragione Adornato e Sanza, quando sostengono che la Politica oggi non ha certamente bisogno solo di facce nuove, ma di tutte quelle intelligenze ed esperienze emarginate dal sistema e che sicuramente possono dare un contributo al rilancio del Paese. Purtroppo, in tutti gli attuali partiti le scelte

passano attraverso solo le indicazioni di piccole oligarchie che finiscono per svilire l’impegno di chi vorrebbe dare anche il proprio modesto contributo. Bisognerà avere il coraggio di spalancare le porte, puntando a valorizzare la reale partecipazione dei cittadini e non solo di quei pochi dirigenti “burocrati” che ubbidiscono ad ordini di scuderia. Ha ragione Casini quando afferma che “abbiamo i nostri valori da difendere”, la vita, la famiglia, i centri di formazione, la scuola, l’Università, il lavoro, la meritocrazia, la solidarietà, il rispetto delle regole, la sicurezza dei cittadini, la tutela dei minori, la difesa della Chiesa e dello Stato. Stiamo attenti ad evitare lo spettacolo indecoroso a cui abbiamo assistito anche al nostro interno con le pulcinellate di candidature dapprima annunciate, ripensate, poi ritirate, le frizioni e polemiche tra chi voleva essere a tutti i costi riconfermato o di chi preferiva imporre candidati di comodo, tutti episodi che rischiano di stroncare già in partenza il decollo del progetto. Per evitare questi cattivi esempi, nella costituenda Unione di Centro, dovremmo scrivere ed applicare regole certe e non più derogabili, con la distinzione ben precisa dei ruoli tra chi dovrà essere chiamato a gestire le responsabilità di partito e chi, invece, dovrà rappresentare le istanze degli iscritti all’interno delle Istituzioni. Se ciascuno di noi si convincerà che non è più il tempo del successo personale e del consolidamento di posizioni di potere, ma il tempo della responsabilità e del dovere e se ciascuno di noi farà con umiltà il suo dovere, potremmo ancora ritrovare il senso e le ragioni di un appartenenza ai valori della Politica.

Gianluigi Laguardia

CIRCOLO LIBERAL POTENZA

L’immaginazione delle donne è molto rapida: balza in un attimo dall’ammirazione all’amore, dall’amore al matrimonio JANE AUSTEN

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di ONORE A CLEMENTE MASTELLA La sorte - insieme scelta e subita - di Clemente Mastella merita secondo me una pausa di riflessione, e una levata di cappello. Fino a qualche anno fa sarei stata anch’io tra chi lo considerava una sorta di scoria del processo politico, una di quelle ineliminabili, difficili da smaltire. Non da riciclare: sembrava che questa fosse la sua principale arte, tutta democristiana, che gli aveva consentito di restare a galla - e anzi di dimostrarsi determinante - attraverso gli anni, le legislature, i governi, le alleanze. Era diventato sinonimo di trasformismo, per un’Italia che ama raffigurare i suoi mali così come i ”bestioni”di Giambattista Vico facevano con i propri miti: incarnandoli in una persona che li raccogliesse indistintamente e li significasse a beneficio della comunità. Poi venne il governo Prodi: e con questo il ministero della Giustizia, gli attacchi di Di Pietro, l’indagine di De Magistris, le trasmissioni-processo di Santoro e Travaglio. Sul fatto che l’ex ministro della Giustizia sia stato una vittima non transigo, e non accetto obiezioni: tartassato da una magistratura a comando, meritava più solidarietà di quanta gliene sia stata dimostrata sia nelle parole che nei fatti.. Quanto al riconoscimento del suo contributo alla impagabile caduta del governo Prodi, sarà probabilmente l’unica cosa giusta che Calearo dirà in tutta la sua carriera politica. Ma la ragione per cui oggi lo voterei senza pensarci, persino senza che sia candidato, è un’altra: quel passo indietro, compiuto nelle scorse ore, che fa apparire piccoli e meschini tutti gli

altri passi avanti. Il ritiro di Mastella svela la differenza tra chi, noncurante di una sconfitta annunciata, persiste a volersi accreditare come leader, e chi preferisce conservare la faccia, smentendo clamorosamente le opinioni sul suo attaccamento alle poltrone (italiane o europee che siano). Ecco, sarò pure una romantica: ma il fatto che nel prossimo parlamento potrebbero finirci la Madìa e la Pedoto, ma non Mastella, mi fa tanta, tanta tristezza.

Calamity Jane calamityjane.splinder.com

NAZISTI! Sono nazisti nella forma e nel metodo. Non meritano nessuna comprensione, nessuna pietà. Solo l’odio e il fanatismo religioso muovono le loro azioni. Non “combattono” per dare libertà ai propri figli, (come gli “utili idioti” sostengono) visto che li allevano come carne da cannone. Se si alleva un figlio per mandarlo a farsi saltare in aria, per uccidere il nemico, che senso ha parlare del suo futuro senza l’oppressore? Sono loro stessi i carnefici dei loro figli. (…) Da sempre i nemici del popolo ebraico hanno preso di mira scuole e sinagoghe. Lo fecero anche i nazisti che per prima cosa distrussero quei luoghi di studio e preghiera. E chi colpisce ora, in modo così ignobile è animato dallo stesso odio feroce e razzista che infiammava i criminali nazisti. Infatti Hamas parla di “attacco eroico” e la gente della striscia di Gaza, saputo del massacro è scesa in strada a festeggiare. Peggio dei nazisti.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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