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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Occidente Il grande Risiko dell’Asia centrale

e di h c a n o cr di Ferdinando Adornato

ESCLUSIVO PARLA EMMAUS LA DONNA CHE MOLTI VORREBBERO ALLA GUIDA DEI FOCOLARINI DOPO LA LUBICH

Giovanni Bensi Francesco Cannatà Fernando Orlandi Enrico Singer

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polemiche «IO TALEBANA DELLA VITA» (RISPOSTA AD ANTINORI E CIARRAPICO) Maria Burani Procaccini pagina 4

tibet

«L’amore è contagioso. Quando lo capirà anche la politica, cambierà la storia del mondo»

Le prove del massacro ma il mondo non si muove pagina 5

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

Andrea Mancia

liberali e cattolici come elezioni Biondi, Gargani e Iannuzzi. MONSIGNOR BETORI: In attesa del Popolo, «I CATTOLICI VOTINO SCEGLIENDO I VALORI» dove sta la Libertà?

Nel nome di Chiara alle pagine 2, 3, 4 e 5

MERCOLEDÌ 19 MARZO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

politica CHE CAMPAGNA ELETTORALE PROVINCIALE!

49 •

pagina 7

Gennaro Malgieri 80319

Nella foto: Emmaus, al secolo, Maria Voce

alle pagine 2, 3, 4 e 5 NUMERO

pagina 6

Susanna Turco

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

9 771827 881004

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


nel nome di

pagina 2 • 19 marzo 2008

Chiara

Parla Emmaus, al secolo Maria Voce, che raccoglie il testimone della Lubich e racconta le finalità dei Focolarini

Addio Chiara, grazie a te tutto il mondo l’ha capito: L’AMORE È CONTAGIOSO colloquio con Emmaus di Nicola Procaccini

ROMA. La voce di Emmaus al telefono, poche ore prima dell’ultimo saluto a Chiara Lubich, trasmette all’intervistatore una dolorosa serenità, difficile da comunicare nel resoconto giornalistico. Le sue parole avvolgono il suo pensiero con sincerità e passione. Quasi, contagiano. Certo, non è questo il momento per parlare dell’organizzazione dei Focolari, e di chi raccoglierà il testimone di Chiara Lubich alla guida del Movimento, ma sono in molti ad avanzare, con tanta circospezione, l’ipotesi di questa donna, della minuta Emmaus. Dunque, prima di dar conto dell’intervista resa in esclusiva a liberal, c’è da porsi questa domanda: chi è Emmaus? Difficile saperlo da lei, riservatissima. Ed allora ci siamo informati all’interno del Movimento. Sappiamo che il suo nome, prima che la Lubich le desse quello con cui è conosciuta tra i focolarini, è Maria Voce, l’età non l’abbiamo chiesta, ma sappiamo che appartiene alla «prima generazione», cioè a quel gruppo di donne che sin dall’inizio ha accompagnato Chiara Lubich nella sua straordinaria avventura. Maria faceva l’avvocato, ed è stata la prima donna in Puglia ad esercitare la professione forense nella storia della sua regione. Insomma, una donna emancipata per davvero. Quando conobbe la Lubich ne fu conquistata al punto da lasciare l’avvocatura e dedicarsi completamente alla missione religiosa. La sua competenza nel diritto è stata posta al servizio della causa, tanto che insieme ad altri giuristi ha fondato Comunione e Di-

ritto, un centro studi che si pone l’obiettivo di innervare le leggi dei popoli della Terra con i valori del cattolicesimo e del diritto naturale. Maria Voce, è stata una delle più strette collaboratrici di Chiara, per lei ha girato tutto il mondo ed è stata per tanti anni responsabile dei focolarini in Turchia, ora, è componente del Consiglio generale del Movimento dei Focolari. L’ultimo saluto a Chiara Lubich, ha consegnato a Dio la fondatrice del vostro Movimento, quali sono i suoi sentimenti in questo momento? Naturalmente, sarà un momento di distacco e quindi di grande sofferenza. Ma sarà anche un momento di speranza, di fiducia che le cose andranno come lei avrebbe voluto.

Tutti uniti in un amore che va al di là della fine della vita terrena. La presenza corale di persone venute dal mondo intero ci sorprende, perché non siamo mai stati quelli delle folle oceaniche nelle nostre manifestazioni. Però ci dice quanto questo messaggio umile e semplice sia penetrato nell’umanità. Saranno presenti persone di tanti popoli e di varie religioni, per dire grazie e per riaffermare l’impegno a portare avanti il suo messaggio, altrimenti, non avrebbe senso fare un lungo viaggio per esserci. Poi, domani si ricomincerà. E’ una pagina nuova per tutti noi, ma solo una pagina perchè il libro resta aperto. Il Movimento a cui Chiara ha dato tutto ciò che riceveva da Dio sopravvivrà perché ha ereditato una grazia speciale, un carisma di unità, di fraternità universa-

le. Giovanni Paolo II vi ha chiamato affettuosamente «un piccolo popolo» perché siete oltre due milioni nel mondo e perché siete presenti in 182 Paesi. Sappiamo che aderiscono al Movimento dei Focolari anche persone di diverse Chiese cristiane, ebrei, musulmani, buddisti, indù. In un’epoca in cui molti ritengono che le religioni siano fattori di divisione, più che di fratellanza universale, come è stato possibile questo piccolo grande miracolo di solidarietà? La dimensione religiosa è innata nell’uomo. La grazia che ha avuto Chiara è stata riconoscere un fratello in ogni uomo senza differenze, trattarlo come uno della stessa famiglia. Quando parlia-

Il cardinale Tarcisio Bertone ha celebrato ieri, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, la messa funebre per Chiara Lubich con altri sedici cardinali, oltre 40 vescovi e centinaia di sacerdoti. Nella foto sopra: Chiara Lubich con Giovanni Paolo II

mo con i cristiani di altre Chiese non cattoliche, ci riferiamo al messaggio di Gesù Cristo: «che tutti siano uno». Quando parliamo con persone di altre religioni o atei, noi con loro troviamo la condivisione dei valori essenziali dell’umanità: solidarietà e pace. Siamo tutti parte della stessa famiglia umana, non affratellata come dovrebbe essere, lo sappiamo bene, purtroppo. Ma noi miriamo a quello, sembra un’utopia, ma si comincia dal primo fratello che incontriamo ogni giorno, dal vicino, dal negoziante, dall’immigrato. Ci sono molti giovani tra i focolarini, e per la verità anche in altri movimenti ecclesiali. Sembra quasi che ci sia una nuova spiritualità di riflusso nelle giovani generazioni. Sì, ce ne sono molti, ma c’è anche una comunione tra le diverse generazioni. Un travaso di ideali da una generazione all’altra nei due sensi, uno scambio continuo tra l’esperienza degli anziani e l’entusiasmo dei giovani. E difatti sono rappresentati nel Consiglio generale. Come avviene questo contagio? Qual è il piccolo segreto di questa diffusione internazionale ed intergenerazionale: l’organizzazione? il messaggio? L’amore reciproco a tutti i costi. Abbiamo voluto testimoniare che è possibile amarsi scambievolmente e riconoscere in qualsiasi sofferenza il volto di Gesù, questo è il nostro segreto. L’unico. Da qui ogni fratello è stato contagiato dall’altro. Come un fuoco, il fuoco dell’amore. Da qui anche il nome di focolarini? Il nome ce l’hanno dato gli altri, per la verità. Non siamo certamente partiti dal nome,


nel nome di

Chiara

L’impressionante partecipazione a Roma ai suoi funerali

Politici e religiosi insieme, oltre cinquantamila da tutto il pianeta ROMA. «Vorrei soprattutto ringraziare Iddio per il servizio che Chiara ha reso alla Chiesa - sono state le parole di Benedetto XVI nel suo messaggio letto in apertura ai funerali di Chiara Lubich - Un servizio silenzioso e incisivo, in sintonia sempre con il magistero della Chiesa: “I Papi - diceva - ci hanno sempre compreso”. Anzi, guardando le iniziative che ha suscitato - ha proseguito il Papa - si potrebbe addirittura affermare che aveva quasi la profetica capacità di intuirlo e di attuarlo in anticipo. La sua eredità passa ora alla sua famiglia spirituale, la Vergine Maria, modello costante di riferimento per Chiara, aiuti ogni focolarino e focolarina a proseguire sullo stesso cammino contribuendo a far sí che, come ebbe a scrivere l’amato Giovanni Paolo II all’indomani del Grande Giubileo dell’Anno 2000, la Chiesa sia sempre più casa e scuola di comunione. Il Dio della speranza accolga l’anima di questa nostra sorella, conforti e sostenga l’impegno di quanti ne raccolgono il testamento spirituale». Un’enorme folla ha accolto ieri, tra gli applausi, l’arrivo del feretro della fondatrice del Movimento dei Focolari, per le solenni esequie che si sono svolte nella basilica di San Paolo fuori le Mura, a Roma. Migliaia e migliaia di fedeli, tra pianti commossi e cartelli con la scritta «Grazie Chiara», hanno accompagnato il corteo funebre che dall’ingresso posteriore della basilica ha attraversato tutto il piazzale per poi affluire dalla porta principale della basilica e posizionare la salma ai piedi dell’altare. Oltre 10mila erano i fedeli presenti all’interno della Basilica, tra gruppi, famiglie e semplici simpatizzanti per dare un ultimo saluto a «mamma Chiara». Tantissimi anche i fedeli che hanno assistito dall’esterno alla celebrazione grazie ad alcuni maxischermi che sono stati allestiti nel piazzale della basilica. Oltre cento i vescovi che hanno concelebrato la messa di suffragio e sedici i cardinali, tra i quali anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, e il vicario di Roma, Camillo Ruini. Sei i focolarini che hanno portato a spalla il feretro, che è stato accompagnato lungo il tragitto dagli applausi e dalle grida ”Chiara, Chiara, Chiara”.

Molti i rappresentanti della politica e delle istituzioni. il premier in carica Romano Prodi, il leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini e il presidente dell’Udc Pier Ferdinando Casini, i candidati a sindaco di Roma Francesco Rutelli e Mario Baccini e tanti altri. Dal mondo cattolico sono giunti i fondatori e rappresentanti di molti dei nuovi movimenti che, come i Focolari, hanno caratterizzato la vita della Chiesa a partire dal secondo dopoguerra: Andrea Riccardi, fondatore della Comunita’di Sant’Egidio, Ernesto Olivero del Sermig, don Julian Carron, successore di don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, Salvatore Martinez del Rinnovamento nello Spirito. Il mondo ecumenico, a cui Chiara Lubich era sempre stata molto attenta, è stato rappresentato dal reverendo Martin Robra del Consiglio Ecumenico delle Chiese, dal metropolita Gennadios Zervos della Chiesa ortodossa, dal vescovo della chiesa Luterana Christian Krause mentre per le altre religioni erano presenti, tra gli altri, Lisa Palmieri, rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’American Jewish Committee, il direttore del Centro Islamico culturale di Roma Dr. Redouane. I buddisti hanno partecipato con il presidente del Consiglio Direttivo della Rissho Kosei Kai, Watanabe Yasutaka. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, che ha celebrato il funerale, in conclusione ha ricordato Chiara Lubich con queste parole: «Donna del cattolicesimo mite, con le sue compagne di giovinezza ha diffuso nel mondo il profumo di Cristo e la gioia del suo servizio. La vita di Chiara è un canto all’amore di Dio, a Dio che è amore. Il secolo XX è costellato di astri lucenti di questo amore divino. E’il secolo in cui Dio ha suscitato innumerevoli ed eroici uomini e donne che, mentre lenivano le piaghe dei malati e dei sofferenti e condividevano la sorte dei piccoli, dei poveri e degli ultimi, dispensavano il pane della carità che sana i cuori. Pionieri della carita come Madre Teresa. Chiara Lubich troverà certamente posto in questa costellazione».

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le prime compagne parlavano spesso del focolare di casa come simbolo d’amore. Ed a noi, comunque, piaceva questo nome perché rendeva bene il senso della nostra missione spirituale. E’ più semplice diffondere l’amore tra le religioni o tra i politici? Sappiamo che i focolarini sono impegnati anche in politica ed in ogni ambito della società in generale per sostenere attivamente il

la politica in questo modo piuttosto che come una mera competizione fine a se stessa. Le presenze al funerale di Chiara lo testimoniano. In conclusione, dal punto di vista organizzativo, Chiara Lubich è stata nello stesso tempo guida spirituale e presidente del Movimento, cosa succederà adesso? In questo momento c’è un copresidente che svolge le funzioni di Chiara, Don Oreste Basso, coadiuvato dal

Abbiamo voluto testimoniare che è possibile amarsi scambievolmente e riconoscere in qualsiasi sofferenza il volto di Gesù, questo è il nostro segreto. L’unico. Da qui ogni fratello è stato contagiato dall’altro. Come un fuoco, il fuoco dell’amore proprio universo valoriale e per creare una solidarietà diffusa. Non sono proprio la persona più adatta per parlarne. Ma ci siamo chiesti: perché questo amore scambievole non può entrare in politica? Ed abbiamo provato a contagiare anche i politici. La sorpresa è stata che questo amore contagia, ovviamente non tutti, ma molti, in ogni gruppo ed in tutte le nazioni. Dai massimi livelli a quelli meno rappresentativi. Amore per il proprio paese, amore verso la propria gente, il desiderio di servire al posto di quello del potere, la possibilità da dare rispetto a quella di prendere dalla politica. Ebbene, questo atteggiamento piace, è gratificante vedere

Consiglio generale composto da 40 persone che si occupano di tutto, salute, preghiera, economia, società. Poi c’è il popolo del Movimento che si costituisce appositamente in assemblea per eleggere il presidente appena possibile. Forse entro l’autunno. Piove a Roma, e fa freddo, ma la gente assiepata all’esterno della Chiesa di San Paolo fuori le mura, quasi non se ne accorge. Malinconia, speranza e coraggio si mescolano all’acqua che viene giù dal cielo della capitale. Emmaus ed il «piccolo popolo» dei focolarini salutano la loro guida, la loro amica. Tra poco si rimetteranno in cammino, sulla strada di Chiara Lubich.


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polemiche

Risposta a Severino Antinori che scommette sull’editore al centro delle polemiche

Io, talebana della vita di Maria Burani Procaccini volte mi chiedo se sia stato veramente giusto partecipare attivamente al concepimento della Legge 40 e lottare per difenderla: magari a quest’ora sarei stata candidata nelle fila del PdL... In questi giorni ho potuto apprendere dalle agenzie e dagli organi di stampa che il dr. Severino Antinori esulta proprio per la mia mancata candidatura nel PdL e per l’ingresso al mio posto dell’editore Giuseppe Ciarrapico. Il 18 marzo, in diversi quotidiani dell’Editoriale Oggi (lascio a voi immaginare chi ne sia il proprietario) vengono riportate a tutta pagina le dichiarazioni del suddetto dr. Antinori in merito alla mia esclusione dalla competizione elettorale. I quotidiani in questione presentano l’intervista a «l’uomo di scienza Severino Antinori, il professore della medicina riproduttiva, “perseguitato” (!) in patria e stimato nel mondo, plaude alla scelta del PdL». Fuori dalla lista «la talebana Maria Burani Procaccini» e dentro «Giuseppe Ciarrapico, campione di libertà, finalmente». E poi «in Parlamento ci vogliono uomini coerenti come Ciarrapico». Antinori prosegue dichiarando che io sarei «la più gran-

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L’attacco del ginecologo dal giornale di Ciarrapico Severino Antinori è un ginecologo italiano, noto alle cronache di tutto il mondo per la sua spregiudicata politica della riproduzione e della clonazione umana. Nella giornata di ieri su tutti i quotidiani regionali del gruppo editoriale di Giuseppe Ciarrapico è comparso un violento attacco alla alla senatrice Maria Burani Procaccini. Ne riportiamo ampi stralci per far capire meglio l’incipit di questa polemica che accoglie nello spazio a sinistra la replica della Burani.

congelati e scongelati alla stregua di bastoncini di pesce a seconda dei gusti, ne farei altre dieci di leggi 40! Gli embrioni sono la scintilla della vita, e questo è un principio assolutamente laico, anzi, naturalistico. E poi non me la sento di avallare la possibilità di fare degli embrioni dei McMenù o, peggio ancora, prodotti cosmetici. Come fa il dottor Antinori a parlare di sacralità della vita quando la intende con la logica di una produzione «fordista»? Tre embrioni non bastano?

Non è un caso che uno dei grandi nemici della legge 40 (nel nome della deregulation degli embrioni) sostenga il “canditato n.11” del Pdl de talebana che si sia mai vista in sessanta anni di democrazia». Andiamo avanti: «Colui che considero l’uomo della libertà è stato messo al posto di chi ha contribuito a fare una legge (la L. 40) iniqua, ignominiosa, e che in questi anni ha fatto soffrire milioni di coppie italiane.... Andate a votare per un uomo della libertà – dice rivolgendosi ai suoi pazienti –, checchè ne dicano i faziosi dei media, Giuseppe Ciarrapico è un uomo che da cinquant’anni si batte perchè ciascuno sia libero di esprimersi nell’imprenditoria e nella ricerca». Il dr. Antinori poi rivendica a sé il merito di «aver fatto nascere un milione di bambini».

Mi sorge un dubbio: che sia stato lui il vero creatore (con la c rigorosamente minuscola, caro Antinori...) del Popolo della Libertà? E perchè poi mi viene in mente l’equazione più embrioni = più milioni (di Euro...) a cui associo determinati volti? Se difendere la vita significa impedire che gli embrioni umani vengano prodotti in serie come le batterie nei pollai e poi

«Basta con i talebani in politica» era il richiamo in prima pagina delle dichiarazioni di Antinori. «Mi sono battuto per la libertà procreativa, di ricerca, di terapia, libertà sacrosante, principi calpestati letteralmente da una legge che si chiama 40, approvata nel marzo 2004, la cui maggiore ispiratrice è la più grande talebana che si sia mai vista in sessant’anni di democrazia: Maria Burani Procaccini». Segue l’endorsement di Antinori: «Per fortuna è avvenuto un miracolo, il posto della talebana nelle liste del Pdl è stato preso da Giuseppe Ciarrapico, colui che considero l’uomo della libertà. Andate a votare un uomo della libertà! Ciarrapico non solo si batterà per la libertà, ma farà in modo che questa legge iniqua, ignominiosa, che contraddice i principi coerenti per cui si batte da quando è nato, venga finalmente cancellata».

Av anti! Ri empi amo

Sopra, Giuseppe Ciarrapico. In mezzo Severino Antinori. In alto Maria Burani Procaccini

le donne di una colonia di embrioni! Qual è il problema! Signora, ne ho scongelato un paio di etti in più, che faccio, lascio? No Antinori, no! La legge 40 è assolutamente perfettibile, ed al suo interno prevede in l’autorevisione conseguenza dei progressi della scienza. Ci sono stati tanti milioni di italiani che hanno boc-

ciato il referendum abrogativo sulla legge 40 due anni fa. E lo hanno fatto lanciando un segnale chiaro ed inequivocabile, preferendo esprimere la propria opinione non recandosi alle urne, affinchè non ci fosse la minima possibilità di cancellare la norma. Ad alcuni piacerebbe che regnasse sovrana l’anarchia nella materia, per avere la possibilità di mercanteggiare sulla vita umana.

Rib a d i s c o : è u n a l e g g e , come tutte d’altra parte, perfettibile, ma ha l’indiscutibile pregio di difendere il sacrosanto principio del rispetto della vita, soprattutto altrui. A proposito poi delle opinioni di Antinori sul «provvidenziale» arrivo in Senato di Ciarrapico in luogo della scrivente «talebana», e sulla coerenza ideologica ed il libertarismo da lui incarnato non spetta a me giudicare. La storia, le storie, sono sotto gli occhi di tutti. E’ però quantomeno singolare che i quotidiani di Ciarrapico diano uno spazio così ampio all’intervista ad Antinori il cui titolo attribuisce a me la colpa (l’onore Antinori, l’onore...) delle restrizioni normative e della «famigerata legge 40»: certo che il termine «famigerata» letto su quella pagina...E perchè poi le sue parole sembrano pronunciate da un ventriloquo... Dottore, mi ha fatto venire voglia di fondare un nuovo partito: il BdL, il Burqa delle Libertà...Saluto lei ed i lettori con una espressione che appartiene alla fede musulmana e che lascia una porta aperta alla speranza: Insciallah.


diritti umani

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Nella foto sopra, il segretario generale Onu, Ban Ki-moon. A destra, una delle foto Asia News/FTC

Unione europea, Usa e soprattutto l’inutile Onu assistono impotenti alla repressione cinese

Le prove del massacro in Tibet: ma il mondo ancora non si muove di Andrea Mancia rrivano in Italia, grazie ad AsiaNews, le prime agghiaccianti fotografie del massacro cinese in Tibet. Sono immagini crude ed inequivocabili, quelle inviate dal monastero di Kirti all’organizzazione Free Tibet Campaign e pubblicate nel nostro Paese dal sito di Padre Bernardo Cervellera. Mentre Pechino si affanna a negare qualsiasi forma di repressione, le foto scattate lo scorso 16 marzo nella provincia settentrionale del Sichuan testimoniano la morte violenta di almeno venti persone, tra monaci e studenti della scuola tibetana locale. Questo è già il passato, però. Perché il presente si annuncia ancora più terribile. Ieri, dopo la scadenza dell’ultimatum imposto dalle autorità cinesi per la resa dei manifestanti, decine di prigionieri tibetani, ammanettati e con la testa fasciata, sono stati fatti sfilare su autocarri militari per le strade di Lhasa, la capitale del Tibet. Secondo i testimoni ascoltati dal quotidiano britannico The Times, si trattava di quattro camion con a bordo almeno una cinquantina di persone, soprattutto giovani e donne, che hanno percorso le principali strade della città accompagnati dal frastuono degli altoparlanti che ripetevano l’ap-

A

pello cinese alla resa. E mentre i prigionieri venivano sventolati dal regime per terrorizzare i tibetani, cifre discordanti si inseguivano in un macabro balletto che cercava di tenere il conto delle vittime: “soltanto” sedici, secondo Pechino; almeno un centinaio, secondo il governo tibetano in esilio, secondo il quale ieri sono stati diciannove i manifestanti uccisi da colpi d’arma da fuoco nelle provincia di Gansu. Intanto continuano le perquisizioni a tappeto, casa per casa,

“versione ufficiale” del regime comunista. Gli unici brandelli di verità filtrano via Internet, ma anche sulla rete Pechino cerca in ogni modo di esercitare tutta la sua feroce censura. Un gran numero di siti è totalmente inaccessibile, tra cui (per i cinesi) quello del quotidiano inglese The Guardian che ieri ha pubblicato immagini di scontri fra monaci e polizia in un monastero del Gansu, nei pressi di Xining. Il corrispondente Jonathan Watts è stato allontanato dalla zona e ora si

petente non risponde neppure più al telefono.In queste condizioni è praticamente impossibile accedere a informazioni dirette su quanto sta avvenendo a Lhasa e dintorni, soprattutto dopo lo scadere dell’ultimatum. Le linee telefoniche disturbate (o del tutto inaccessibili) fanno il resto. Su Internet i siti legati alla dissidenza tibetana sono chiusi. E quelli della stampa straniera si aprono ad intermittenza: oltre al Guardian, da ieri sono oscurati anche Bbc, Cnn e Times. Gli unici

Scade l’ultimatum di Pechino ai manifestanti: ieri almeno 19 morti nella provincia di Gansu, secondo il governo tibetano in esilio. Intanto il regime comunista setaccia le case e costringe i prigionieri in ceppi per le vie della capitale per snidare i «criminali che stanno cercando di sfuggire alla giustizia», come ha dichiarato il governatore-fantoccio del Tibet, Champa Phuntsok.

Se si trattasse davvero di «criminali», però, non si capirebbe il motivo per impedire ai gionalisti stranieri di raggiungere i luoghi dove si svolgono le manifestazioni. Il premier Wen Jiabao promette l’accesso al Tibet per la stampa internazionale, ma sono quando tutto sarà finito. E i giornalisti cinesi sono obbligati ad attenersi alla

trova confinato nella città di Lanzhou. Come lui, altri giornalisti stranieri si sono visti chiudere le strade di accesso ai monasteri delle aree tibetane dell’ovest cinese, con la scusa delle preservazione della «incolumità» degli stranieri. Secondo il Foreign Correspondents Club of China 25 giornalisti stranieri, fra cui 15 di Hong Kong, sono stati espulsi dal Tibet nell’ultima settimana. Dal 12 marzo, poi, il regime nega qualsiasi permesso ai giornalisti per recarsi nella regione e da giorni ormai - l’ufficio com-

forum ancora visibili sono quelli, in lingua cinese, dove gli utenti chiedono la repressione, ancora più dura, dei manifestanti. Soltanto qualche blog isolato riesce a sfuggire alla muraglia digitale eretta da Pechino (e il sito Southasiaanalysis.org riporta qualche frammento di chat scampato alla censura).

Mentre il Tibet brucia, la comunità internazionale assiste al massacro con un misto di impotenza e imbarazzo. L’appoggio incondizionato della Russia

a Pechino si poteva, in qualche modo, mettere in preventivo. Quello che più preoccupa, piuttosto, è la timidezza di Europa, Stati Uniti e, soprattutto, delle sempre più inutili Nazioni Unite. È quello che l’ex sottosegretario agli Esteri, Margherita Boniver, chiama «il blando balbettio della diplomazia internazionale». Ormai sembra chiaro a tutti che l’Onu ha sostanzialmente deciso di voltare la testa dall’altra parte, in nome di una realpolitik che sfiora la complicità nei confronti del regime comunista cinese. L’Unione europea non va oltre una generica e «preoccupata» richiesta di «moderazione», definisce «inadeguata» la minaccia di boicottaggio delle Olimpiadi e si limita a diffondere comunicati all’acqua di rose. Gli Stati Uniti, almeno, chiedono alla Cina di «rispettare la cultura tibetana, il carattere multi-etnico della sua società» e Condoleezza Rice rinnova a Pechino la richiesta di coinvolgere l’autorità spirituale tibetana, annunciando una richiesta diretta in tal senso al ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi. Ma anche il Dipartimento di Stato ha la sue colpe. Era proprio necessario, per esempio, togliere la Cina dalla “top ten” delle violazioni dei diritti umani, proprio alla vigilia del massacro in Tibet?


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politica d i a r i o

d e l

g i o r n o

Santolini: «L’uso della pillola abortiva è contro la 194» «Misurare la civiltà di una regione attraverso l’utilizzo della Ru486 è non solo discutibile, ma anzi grave, fuorviante e non richiede nulla di più che una secca condanna». La responsabile Udc Famiglia e Politiche sociali, Luisa Capitanio Santolini replica così alla senatrice della Sinistra Arcobaleno Manuela Palermi che aveva dichiarato che: «l’utilizzo della Ru486 è un segno della sua civiltà». «Dunque - sottolinea la deputata centrista - è evidente la confusione della senatrice Palermi, che dovrebbe essere in grado di scegliere tra due ipotesi: la 194 o la si rispetta, condannando quindi l’uso della Ru486, o la si viola permettendo e incentivando l’uso di questo farmaco. Occorre inoltre ricordare come la sbandieratissima ’’autodeterminazione delle donne nella maternita’’ debba sempre incontrare un limite sostanziale nella valutazione di quanto le decisioni della donna che abortisce ricadano sulle vite indifese di chi è già concepito e ha quindi il sacrosanto diritto di venire al mondo».

Roccella: «Toscana leader per la Ru 486»

La Cei ai cattolici: «Valutate sia il programma che le persone»

«Scegliete i valori» di Susanna Turco

ROMA. Nuova legge elettorale, attenzione al sistema dei valori, necessità di maggiore spazio ai temi della scuola e della famiglia, aborto, candidature. È a tutto campo l’intervento dei monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, che ieri in conferenza stampa ha illustrato i lavori del Consiglio Permanente della Conferenza episcopale italiana, ribadendo di non volersi schierare con nessun partito e tuttavia toccando molti degli argomenti all’ordine del giorno nella campagna elettorale. In particolare, la constatazione che con l’attuale sistema di voto «occorra soppesare l’insieme dei valori» è secondo molti un riferimento indiretto soprattutto al Partito democratico, verso il quale peraltro le ultime rilevazioni indicano un «raffreddamento» da parte del mondo cattolico, in seguito all’inserimento dei radicali. Preoccupazioni, queste, che la senatrice teodem Paola Binetti minimizza: «i radicali eletti alla fine saranno al massimo sette: un numero troppo esiguo per vincere certe battaglie. Grazie a Dio, alla fine contano i numeri e credo proprio che i radicali non possano proprio imporre niente a nessuno», spiega.

Il filo del ragionamento svolto su questo tema da monsignor Betori parte dalla legge elettorale: «Cambiarla è un dovere del prossimo Parlamento, per ridare più democrazia al Paese e la possibilità ai cittadini di scegliere i loro

rappresentanti», dice. L’attuale sistema di voto, invece, è bollato come «un potere dell’oligarchia» che richiede «un maggiore discernimento» perché non prevedendo il sistema delle preferenze non permette di scegliere direttamente chi sarà eletto. La valutazione dell’elettore cattolico «dovrà quindi riguardare sia il programma che viene proposto, che le persone presenti in lista».

Parole che come si diceva paiono indirizzate soprattutto a Walter Veltroni, anche se il segretario della Cei ribadisce che la Chiesa italiana non si schiera con nessun partito, ma ricorda ai propri fede-

Mosignor Betori sulle preferenze: «Il sistema di voto va cambiato, si deve tornare a dare più democrazia a questo Paese» li di richiamarsi ai «valori irrinunciabili» della dottrina cattolica: la difesa della vita, dal suo inizio al tramonto naturale, la tutela e il sostegno alla famiglia tradizionale basata sul matrimonio, ma anche l’impegno per il «bene comune». Dato l’attuale sistema elettorale, la valutazione dei cattolici particolarmente impegnativa e dovrà riguardare i «valori nel loro insieme» perché «non si possono separare - ha ammonito

- i valori, scegliendone qualcuno e rinunciando ad altri».

E ancora sui valori è tornato a battere il segretario della Cei quando gli è stato chiesto il grado di soddisfazione per la presenza dei cattolici nei vari partiti: «Certo, preferiremmo che i candidati fossero tutti cattolici - ha ironizzato - al momento tuttavia la presenza dei cattolici nelle liste rispecchia quello che le forze politiche danno come spazi ai cattolici». Bisognerà insomma «andare a vedere» dopo il voto per «giudicare sulla coerenza ai valori». Quanto alle convergenza auspicate dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, sui salari e il costo della vita, i vescovi italiani - ha precisato Betori - non vogliono imporre formule di governo ma, nel «rispetto dei ruoli della futura maggioranza e della futura minoranza», auspicano che tra i partiti possa esserci «collaborazione per il bene della nazione»: «Lontano da noi imporre scelte ai partiti. Quello che ci preme è svelenire il clima generale». Le domande della stampa hanno portato Betori a pronunciarsi persino sulla candidatura di Totò Cuffaro: «Ma non è una questione che riguarda la Cei», ha precisato, «Premesso che ogni persona ha il diritto di essere considerata innocente fino al giudizio definitivo, il problema se metterla o no in lista è una valutazione politica e non certo di nostra competenza».

Eugenia Roccella, portavoce del Family Day e candidata per il PdL alle prossime elezioni politiche, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Firenze ha detto: «La Toscana è la regione leader nell’importazione diretta della RU 486 e con la diffusione della pillola abortiva, come è accaduto in Francia, si svuota dall’interno la legge 194. In Toscana - ha detto la Roccella - la pratica dell’importazione diretta è iniziata nel 2005 all’ospedale di Pontedera e poi si è estesa ad altre Asl. Fino al marzo 2007 le interruzioni volontarie di gravidanza sono state in totale 428, con 66 Ivg chirurgiche successive all’uso».

Formigoni in Israele: «Omaggio alla memoria» «Ogni uomo e in particolare ogni uomo europeo ha il dovere di questa memoria. La storia del popolo ebraico è parte di ognuno di noi. Dimenticare sarebbe come dimenticare parte di noi stessi». Lo ha detto il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni rendendo omaggio a Yad Vashem, il luogo più importante ed emozionante della memoria ebraica. Formigoni ha incontrato il rabbino capo Yona Mezgher, massima autorità religiosa di Israele, a conclusione dei quattro giorni in Israele e Palestina. La missione ha avuto un rilievo politico importante negli incontri con i vertici dell’autorità palestinese e dello stato israeliano, che hanno dato un ulteriore impulso alla collaborazione in campo economico, sociale e culturale e portato alla sottoscrizione di un importante accordo in campo sanitario tra il ministero dello stato di Israele e la Regione Lombardia.

Regione Campania, dopo Pasqua dibattito sul nuovo esecutivo La conferenza dei capigruppo ha fissato per il 27 e il 28 marzo prossimi, due sedute dell’Assemblea regionale campana. Il dibattito proseguirà sulle comunicazioni del presidente della Giunta Regionale in merito al nuovo esecutivo. I Socialisti hanno presentato una risoluzione di sfiducia nei confronti dello stesso esecutivo. Le ultime circostanze hanno reso più difficile il contesto politico: il rinvio a giudizio di Bassolino, in qualità di ex commissario, nel processo sugli illeciti nella gestione dei rifiuti; la crescente crisi del turismo in regione ed in particolare a Napoli, la candidatura dell’assessore ai lavori pubblici Enzo De Luca nelle liste del Pd al Senato con la prospettiva di un ulteriore cambio nell’esecutivo.

Marini e la prevenzione per il cuore Il Presidente del Senato, Franco Marini ha incontrato, ieri mattina a Palazzo Madama, i promotori dell’iniziativa ’’Cuori & motori’’, campagna di prevenzione delle malattie cardiovascolari. All’incontro, durante il quale sono stati illustrati a Marini i contenuti della campagna, hanno preso parte il presidente della Società italiana di cardiologia, Francesco Fedele, il presidente della Takeda Italia Farmaceutici, Maurizio Castorina, il responsabile del progetto Francesco Arcieri e Filippo Berselli. Questa mattina alle ore 12, lo stesso Marini si recherà alla struttura mobile in via degli Staderari, per i test.


politica

marzo 2008 • pagina 7

Sconsolate riflessioni su una campagna elettorale lontana dal mondo

Provincia Italia di Gennaro Malgieri l mondo è una polveriera. Le tensioni geopolitiche tengono in apprensione aree cruciali del pianeta, ma non smuovono le oligarchie internazionali prigioniere di una fiacchezza prossima all’ignavia. Con il disastro ambientale, lo sfaldamento della sovranità dei popoli e delle nazioni è l’emergenza più grave che si sia manifestata dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma pochi sembrano averne consapevolezza. Non certo le grandi organizzazioni internazionali, dall’Onu all’Unione europea, che sembrano giocare a scacchi con i destini di una consistente porzione di umanità dolente il cui grido potrebbe trasformarsi in rivolta“necessaria”contro un Occidente che dimostra di non saper governare i conflitti internazionali o, quantomeno, intervenire per contribuire a limitarli.

I

Quel che sta accadendo in Tibet in questi giorni, sotto i nostri occhi increduli, è la esemplificazione di una politica che ha sacrificato se

bile. Non tanto, o non soltanto, perché i diritti umani sono finalmente diventati acquisizione comune, ma soprattutto per il fatto che le offese arrecate alla dignità dei popoli, alle loro culture, tradizioni, fedi hanno effetti dirompenti, certamente più del soddisfacimento dei cosiddetti bisogni elementari. A riprova che il mondo è un puzzle di identità che non possono essere compresse senza conseguenze e che la cultura delle diversità è un bene primario che nessuna ragione economica può sopraffare.

Immaginare di risolvere le molte questioni africane sul tappeto, per esempio, esclusivamente affidandosi agli aiuti cosiddetti umanitari è stupido, oltre che lesivo della dignità delle popolazioni cui si destina la pietà occidentale. Il Darfur o il Ghana, come anni fa il Burundi ed il Ruanda, ed ancora oggi lo Zimbabwe, a tacere della Sierra Leone, della Nigeria o del Ciad, sono “materiali” incandescenti che per maneggiarli occor-

Eppure il grande disordine globale - di cui quel che accade in Tibet è un simbolo - è ormai penetrato nelle fibre del nostro come di altri Paesi europei e decide molte cose della vita dei cittadini stessa e l’ordine mondiale sull’altare del mercato. I genocidi culturali fanno più male delle invasioni militari. Quando queste si combinano con quelli la catastrofe è assicurata e nessuno può prevederne gli sbocchi. Il Tibet non è lontano, come non è lontana la Birmania. Sarà perché la globalizzazione del terrore ci ha abituato ad assimilare nuove tirannie nel breve spazio di un telegiornale. Resta il fatto che i monaci che si danno fuoco o vengono massacrati per le strade di Lhasa e di Rangoon sono più vicini ai nostri interessi (se non alla nostra sensibilità) di quanto si possa immaginare. Poiché la terra è un villaggio e noi, a qualsiasi latitudine ci troviamo, ne siamo abitanti coinvolti nostro malgrado. Se le fiamme si propagano, insomma, non si può dire che l’incendio non ci riguardi. E che la geopolitica, dopo una lunghissima rimozione, oggi sia al centro della vita della comunità internazionale, è un fatto incontesta-

re intelligenza politica e cultura umanistica, oltre che scientifica, nel senso che le aspettative di queste, come di altre, nazioni non sono soltanto economiche e sanitarie, ma legate ad un’idea di reale indipendenza che non coincide con la carità pelosa che ogni tanto viene fatta cadere nel loro piccolo cappello proteso da braccia sempre più magre. Del resto, che ci si trovi, più o meno inconsapevolmente, sul ciglio di una catastrofe dovuta all’esplodere di una guerra asimmetrica, che non è soltanto quella innescata dal terrorismo islamista, soltanto i ciechi possono negarlo. Nel cuore dell’Europa, tanto per non andare troppo lontano, credete che la questione kosovara verrà risolta come sperano le cancellerie del Vecchio Continente? I Balcani sono da secoli il cuore dove nascono le guerre civili continentali. E la Serbia di oggi è molto più legata alla Russia di quanto non

lo fosse la Jugoslavia di un tempo all’Unione Sovietica. Così come le ex-repubbliche dell’Impero del Male, reclamando un’indipendenza impossibile da accettare da parte di Mosca, finiranno per fare dell’area Centroasiatica un campo di battaglia sterminato nel quale avranno ruoli decisvi l’Iran, l’Afghanistan, il Pakistan ed il nuovo Iraq. E nessuno si illuda che l’India e la Cina resteranno a guardare. L’assaggio tibetano e gli antipasti nepalesi indicano che in un futuro non molto lontano si leveranno da Oriente bagliori terrificanti.

Non è che da quest’altra parte dell’emisfero la situazione sia può rassicurante. Chi crede in un’America latina pacificata s’illude. O non conosce quella realtà. Ha destato scalpore l’assassinio da parte delle Farc di una spia del presidente colombiano Uribe. Ma questa organizzazione criminale, nata quasi mezzo secolo fa con intenti politico-rivoluzionari, è oggi una combriccola di narcotrafficanti che terrorizza un Paese dalle grandi potenzialità, e certamente tra i più belli ed affascinanti del mondo, raccattando ostaggi come capita e tenendoli in cattività per anni. Che ne è davvero, al di là, di improvvisi ritorni di memoria, di Ingrid Betancourt? Il conflitto tra il governo di Bogotà, che non brilla certo per intelligenza strategico-.politica, e le Farc è sempre più condizionato dai rapporti tesi tra il presidente Chavez ed i paesi confinanti con il Venezuela, mentre gli Stati Uniti non hanno rinunciato al loro progetto di mettere le mani sul petrolio venezuelano e di influenzare, attraverso Paesi amici, la politica del Mercosur. Gli avamposti della“resistenza”, oltre a Caracas, sono Brasilia e, più su L’Avana dove, uscito di scena Fidel Castro, l’aria non è cambiata. Come non è cambiata e non cambierà in Medio Oriente finchè i governi occidentali non si affrancheranno dal ricatto islamista dell’Iran, della Siria, di Hamas e di Al Qaeda che pretendono la cancellazione di Israele in cambio della“pace”in Europa e in America. Inaccettabile. L’aria da queste parti è irrespirabile. Dovunque si vive come in attesa: del suicidio dell’Occidente? Del-

l’abdicazione dell’Europa? Del neo-isolazionismo americano? Della vittoria del terrorismo? Dell’esplosione dei conflitti etnici che nessuno potrà controllare?

Da quando la sovranità è stata declassata ad inutile orpello di una pace disarmata è cresciuta nei popoli l’insofferenza. Ed il conto che paghiamo s’intitola al disordine mondiale alimentato da un globalismo economico-finanziario che ha fatto precipitare la politica nei bassifondi delle attività umane. Inessenziale quando non dannosa. Credevamo, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, di doverci emendare per aver sottovalutato la forza delle ideologie totalizzanti. Oggi siamo alle prese con altre ideologie connesse anche se all’apparenza opposte: il mercatismo e l’intolleranza laicista. Su entrambe si fonda, magari in maniera indiretta, l’espropriazione del diritto dei popoli ad essere se stessi. E a vivere secondo modelli non cancellabili ad uso e consumo dei finanziatori della felicità confezionata dai maestri del pensiero unico. Che la politica abbia scarse risorse lo conferma la campagna elettorale in corso di svolgimento in Italia. Come è possibile, ci chiediamo, che in essa non abbia fatto irruzione nes-

suna di queste riflessioni di politica internazionale come se il nostro Paese fosse staccato dalle questioni che agitano il mondo? Riscontriamo, con rammarico, una povertà di idee al riguardo a dir poco sconcertante. Sembra che nessuno sia convinto che le questioni di principio, come la salvaguardia della sovranità dei popoli e dei diritti umani, impattino fortemente sulla tenuta di società come la nostra dove i riverberi delle tensioni internazionali, tanto economico-finanziarie che geostrategiche, agiscono da attori di primo piano nel condizionare le scelte dei governi.Vogliamo credere che sia soltanto distrazione. Ordinaria distrazione dovuta alla particolarissima situazione nella quale si svolge la competizione. Eppure i cittadini dovrebbero sapere. E gli si dovrebbe dire che se i mutui stanno distruggendo le loro famiglie, se la recessione sta per abbattersi sulle loro speranze già fragili, se il potere d’acquisto dell’euro va indebolendosi giorno dopo giorno, se l’incertezza dei mercati come delle loro privatissime e domestiche economie sta diventando insopportabile è perché il disordine mondiale è penetrato nelle fibre dell’Italia come di altri Paesi europei. Perché in una campagna elettorale non se ne dovrebbe parlare?


pagina 8 • 19 marzo 2008

L’ITALIA AL VOTO La comunicazione politica sotto esame

lessico e nuvole

L’avatar di Di Pietro? Di Pietro

Walter scivola sulla corazzata Potemkin

di Arcangelo Pezza Sarà che Antonio Di Pietro ha ricoperto il ruolo di ministro delle Infrastrutture, fatto gli è che si esalta come uno dei pochi politici italiani ad aver investito davvero sull’innovazione in vista della campagna elettorale. Il sito personale (www.antoniodipietro.com) è un inno alla tecnologia in cui si mischiano blog, video in youtube, newsletter, sondaggi, link e amenità varie. C’è perfino una sezione in inglese grammaticalmente incontestabile (assai meglio del DiPietroPensiero espresso talora in vernacolo) in cui spiega che «My Electoral Programme aims to take Italy to a level of competitiveness, of employment and of quality of life that it deserves in the world. The application of these points is guaranteed by my personal history». La cosa più incredibile è che Di Pietro abbia pure investito, forse unico dei nostri parlamentari, su Second Life il celebre (e oggi un po’ in declino) mondo virtuale dove centinaia di migliaia di adepti nel mondo spendono giorni veri, immaginando vite false. L’Italia dei Valori ha acquistato un’isola denominandola Never Land (“L’isola che non c’è”di peterpaniana memoria), piantandovi sopra la bandiera del partito, attrezzandola con uffici, sale conferenze, punti informativi, in un edificio che ricorda le geometrie dei templi greci. Ovviamente, Di Pietro ha dovuto scegliere un avatar per muoversi nel mondo di Second Life. E mentre i frequentatori assidui giocano a una seconda vita, usando come doppi i

di Giancristiano Desiderio

modelli più incredibili e lontani dalla propria persona, Di Pietro ha preferito un alias che assomiglia proprio a Di Pietro. Solo con un po’ più di capelli, quasi che in Rete fosse possibile mimare gli eserci tricologici del Cavaliere, senza esporsi al pubblico ludibrio. O a limite, esponendosi solo al virtuale ludibrio. Giuriamo di essere stati tentati per buoni cinque secondi di iscriverci a Second Life per incontrare l’avatar di Di Pietro. Ma abbiamo subito desisitito, pensando che quello vero già ci basta.

Poi dice che il Walter non copia. Fu Silvio a inventare «un altro miracolo italiano». Adesso, invece, è il Walter a dire: «Ormai non escludo il miracolo». Attenti, che con tutti questi miracoli non si sa più che pesci e pani prendere. Esempio: in questo miracolo ci sarà anche il voto di Romano Prodi? La domanda è necessaria visto e considerato ciò che dice Walter che ogni due frasi ha una citazione da cinematografaro. L’altro giorno alla bella insegnante precaria ha detto: «Sei come Sharon Stone» (e poi dice che non copia da Berlusconi). Galante. Ma non con il papà dell’Ulivo. La citazione dalla saga fantozziana di Paolo Villaggio non è mica piaciuta al Professore in pensione: «Ho semplicemente detto quello che tutti pensano: è finito il tempo della coalizione che andava da Mastella a Caruso, un po’ come Fantozzi con la Corazzata Potemkin». Ricordate lo sfogo del ragionier Ugo? «Per me la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca». Silenzio. Poi applausi. Così con il Walter. Silenzio. Poi applausi. Ma, passata l’occasione, la battuta è un autogol. Il Walter, gran comunicatore, per l’ansia di comunicare, di piacere, di rendersi simpatico e scivolato su una buccia di banana o, per continuare la metafora fantozziana, ha pestato la cacca.

Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda

Il sondaggio dei sondaggi la media di oggi Digis Ipr Crespi Quaeris Lorien Gipieffe Demopolis 16 marzo

14 marzo

14 marzo

13 marzo

13 marzo

13 marzo

13 marzo

Pdl+Lega

Centro

Pd+Idv

Sin-Arc

Destra

Socialisti

44,1

7,0

36,3

7,0

2,5 (=)

1,3

(+0,1)

1,6 2,5 4,0 3,5 1,9 1,9 2,5

1,5 1,5 2,0 1,5 0,9 1,0

(+0,1)

(+0,2)

(-0,2)

(+0,1)

44,7 43,5 43,0 44,0 44,0 46,0 44,0

6,9 6,5 7,4 7,0 7,3 6,8 7,0

38,2 36,5 35,0 36,0 35,9 35,6 37,0

6,7 7,0 7,2 6,5 7,3 7,4 7,5

La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.

di Andrea Mancia Nuovo sondaggio Ipr Marketing per Repubblica, relativo alle intenzioni di voto del 1214 marzo. Rispetto al sondaggio Ipr del 5-6 marzo, le coalizioni guidate da Berlusconi (43,5%) e Veltroni (36,5%) restano immobili, con il vantaggio di PdL+Lega su Pd+Idv che resta immutato al 7%. In dettaglio, PdL (38,5%), Lega Nord (4,5%) e Mpa (0,5%) sono stabili rispetto a una settimana fa, mentre il mezzo punto percentuale guadagnato dal Pd (33%) è perso dai suoi alleati dell’Italia dei valori (3,5%). Tra le coalizioni e i partiti minori, invece, perdono qualcosa sia la Sinistra Arcobaleno (0,5%) che l’Unione di Centro (0,5%). Stabili i Socialisti all’1,5%, mentre la Destra passa dal 2% al 2,5%.

Nella nostra tabella, il sondaggio Ipr prende il posto di quello Swg dell’11 marzo, che era particolarmente favorevole al Pd. Per questo motivo, la media del Popolo della Libertà cresce leggermente (+0,1%), mentre il Partito democratico perde lo 0,2%. Il vantaggio medio sale dunque al 7,8%. Crescono anche le medie di Sinistra Arcobaleno (+0,1%) e Udc (+0,2%), che da oggi sono appaiate al 7%. Stabile la Destra al 2,5%, i Socialisti salgono all’1,3%. Il sondaggio è stato effettuato su un campione piuttosto ampio (duemila cittadini) e registra un panorama politico in sostanziale stallo, a un mese esatto dalle elezioni. L’unico dato a muoversi è quello degli indecisi, scesi dal 17% al 15%.


L’ITALIA AL VOTO

19 marzo 2008 • pagina 9

I saggi della Repubblica. Viaggio tra passato e presente/Vincenzo Scotti

«Le larghe intese? Un pericolo Piuttosto rilanciamo il Parlamento» di Errico Novi

ROMA. È a tutti gli effetti un alleato di Berlusconi. Enzo Scotti torna sulla scena in una veste inedita, di ambasciatore dell’autonomismo meridionale, ma con una chiara aspettativa bipolare. Certo non si schiera per poi ritrovarsi schiacciato in una grande coalizione «che sarebbe pericolosissima, perché creerebbe confusione e finirebbe per disincentivare la spinta a fare le riforme». Quelle sì che sono una responsabilità da condividere, dice l’ex ministro dell’Interno, «ma bisogna distinguere tra valori e regole fondamentali, che devono essere comuni, e il governo del Paese, che è compito di una parte». Regole fondamentali da riscrivere: sono quasi tre lustri che il bipolarismo si dà quest’obiettivo e lo fallisce sistematicamente. «È andata male, non c’è dubbio. Il bipolarismo avrebbe dovuto assicurare anche stabilità e governabilità, non ci è riuscito proprio perché mancavano le regole istituzionali necessarie. Ora ci sono condizioni nuove, con due Poli aperti a formazioni territoriali come il Movimento per l’autonomia di cui faccio parte. Non c’è più spazio per le rendite di posizione marginali, anche se è giusto che in Parlamento ci siano espressioni di destra e di sinistra più radicali. In tutti i Paesi avviene così, è molto meglio che queste forze siano rappresentate in Parlamento anziché in modo incontrollato». Lei sembra ignorare volutamente il centro. Forse perché immagina un bipolarismo centripeto. Ma fondato così, senza presupposti istituzionali e una maturazione culturale, il bipartitismo non rischia di risolversi in un sorta di partito unico o di grande coalizione che blocca il Paese? «Si rischia la dittatura della maggioranza, certo. Ripeto: la grande coalizione sarebbe pericolosissima. Non si capisce una cosa: un partito che persegue la strada della stabilità politica non può invocare regole diverse prima che la partita cominci. Vediamo prima come va, quando si arriva a un governo di larghe intese è perché il bipolarismo è andato in crisi. Sarebbe la confusione totale, bisogna cercare di evitarla, non si può evocare un simile scenario ancor prima di giocare l’incontro».

Ci spieghi in dettaglio qual è il rischio che si corre. «Il pericolo è che si blocchi tutto e la classe dirigente continui a essere scelta dalle oligarchie dei partiti, anziché dai cittadini. Si può tranquillamente avere una parte che governa e un cambiamento delle regole basato su principi condivisi, non cadiamo nell’equivoco. Sulla legge elettorale ci sono soluzioni chiare: si deve scegliere tra primarie istituite per legge, il doppio turno o il ripristino della preferenza. Così si sottrae il potere alle segreterie dei partiti e si evita il partito unico diviso in due». Ma insomma: questo bipartitismo nato nel giro di poche settimane funzionerà o no? «Funziona a certe condizioni.

compresa l’occupazione del potere». Manca un percorso di preparazione. Un po’ come nel ’94, quando lo schema bipolare irruppe in modo così improvviso da lasciarsi dietro tante fragilità, poi emerse col tempo fino alla paralisi di questi ultimi anni. «Un deterrente? Ripristinare la vera funzione del Parlamento, progressivamente assunta dall’esecutivo. In Italia la legge ha perso il valore di generalità e

La grande coalizione? Per l’ex ministro dell’Interno «è il fallimento del bipolarismo e allarga la distanza tra politica e cittadini. Basta con l’esecutivo che esautora le Camere»

Ministro dell’Interno tra il ’90 e il ’92, Vincenzo Scotti ha istituito la Direzione investigativa antimafia. A fianco, con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi Prima di tutto se si riconosce un sottofondo di valori comuni, di principi e interessi nazionali condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini». La storia di questo Paese non aiuta. «Ma è il presupposto essenziale. In tutto l’Occidente il bipolarismo si fonda sull’idea che quando una parte va al governo non si rivolge solo ai propri elettori ma all’intera comunità nazionale. E c’è un secondo principio decisivo: bisogna smetterla con lo spoil system permanente, con l’idea che si vince per distruggere la controparte con ogni arma,

universalità perché il più delle volte non è affidata al dibattito parlamentare ma all’iniziativa del governo, con i decreti e le deleghe». Lei dice che l’obiettivo di distruggere la controparte è stato perseguito anche con l’esautorazione delle Camere. «Con il risultato di arrivare a una legislazione abnorme, contraddittoria, scritta male. All’esecutivo dev’essere affidata la regolamentazione, la legge universale e generale torni al Parlamento. Altrimenti si arriva a esiti come quello

della riforma del Titolo V, fatta da una sola parte e portatrice di un’incredibile confusione, di conflitti tra Stato e autonomie locali». Lei è un cattolico che ha preferito non aderire alla riproposizione della rappresentanza diretta dei cattolici in politica. «Bisogna guardare la storia. Per una lunga fase tra Chiesa e vita pubblica c’è stata la mediazione di partiti di ispirazione cristiana, non solo in Italia. Si trattava di partiti laici, orientati certo nei principi dalla dottrina della Chiesa, ma pur sempre attenti a confrontare laicamente le indicazioni con quelle che provenivano dalla maggioranza dei cittadini. Pensate a De Gasperi e alla sua protesta formale con la Santa Sede dopo la richiesta di udienza rifiutatagli dal Papa nel 1952. Questo assetto ha retto finché non c’è stata una sorta di bombardamento, e si è stabilito di liberalizzare le scelte politiche dei cattolici. A quel punto la Chiesa stessa ha iniziato a intervenire più direttamente nelle scelte politiche. Trovo insensato che uno come De Mita punti a tornare al vecchio modello dopo aver distrutto la Dc, con la creazione della Margherita». È stato giusto chiudere a Casini le porte della coalizione di centrodestra? «È una vicenda determinata dallo stato di necessità piuttosto che da una scelta politica. Certo, se Berlusconi avesse consentito l’apparentamento non vedo quale problema ci sarebbe stato. Ma a sua volta Casini non avrebbe mai pensato alla ricostruzione del centro cattolico se non si fosse trovato in questa condizione. Credo che sarebbe stato più coerente, per l’Udc, prevenire il problema e sostenere il tentativo di Marini per una riforma elettorale alla tedesca. Quella sì avrebbe consentito la nascita di un centro. Con l’attuale sistema era prevedibile che Berlusconi e Veltroni avrebbero provato ad anticipare l’esito del referendum elettorale». Senza il centro però sarebbe più forte il rischio di una diarchia bloccata. «Il pericolo c’è, l’ho detto. Ma questo non può diventare l’alibi per eludere ancora il nodo delle riforme. La transizione non può durare all’infinito».


pagina 10 • 19 marzo 2008

mondo

Fahmida Mirza, esponente del partito popolare, è la prima donna a capo dell’Assemblea

“Rosa” il parlamento pakistano di Vincenzo Faccioli Pintozzi

Manifestanti innalzano un cartello con su scritto: «La nostra battaglia continuerà fintanto che i giudici allontanati da Musharraf non torneranno in carica». In particolare, si chiede il reintegro del giudice della Corte Suprema Iftikhar Chaudry che, assieme a Nawaz Sharif (segretario della Lega musulmana N e nemico personale dell’ex generale), mira alle dimissioni anticipate del presidente alvo clamorose sorprese dell’ultimo minuto, per la prima volta in oltre 60 anni di storia, il Pakistan avrà come presidente del Parlamento una donna. Si tratta di Fahmida Mirza, esponente del Partito popolare pakistano, che entra in carica oggi dopo il raggiunto accordo fra il suo Partito, la Lega musulmana N ed i nazionalisti dell’Awami. I tre schieramenti, usciti vincenti dalle urne del 18 febbraio scorso, hanno deciso infatti di cooperare per la creazione del prossimo governo, mettendo così in netta minoranza la fazione del presidente Musharraf. La Mirza, rieletta per la terza volta, è nativa di Karachi: subito dopo l’investitura politica ha dichiarato: «Lavorerò con sincerità, prescindendo da ogni affiliazione politica, per garantire parità di trattamento a tutti i deputati». Nel succedere a Chaudry Amir Hussain, non ha fatto alcun accenno a Benazir Bhutto, da molti considerata la sua madrina politica, ma ha segnalato con orgoglio «la sparizione del burqa dalle aule della politica», in riferimento alle dodici deputate islamiche da lei convinte a vestirsi all’occidentale per le sedute parlamentari. Un riconoscimento alla leader popolare, assassinata il 27 dicembre scorso, è stato invece tributato dal nuovo Parlamento, che si è riunito per la prima volta in sessione plenaria lo scorso 17 marzo. I 342 membri della Camera si

S

sono alzati in piedi prima dell’inizio dei lavori ed hanno applaudito «in memoria della Bhutto» per un minuto. Stesso tributo anche per Makhdoom Amin Fahim, anch’egli popolare, considerato da molti il prossimo primo ministro del Pakistan.

All’ordine del giorno della prima seduta sono stati affrontati i problemi nazionali più scottanti: la sicurezza della nazione, il restauro dell’ordinamento giudiziario “decimato” dal presidente Musharraf e la lotta al terrorismo internazionale, principale punto di incontro

per la presenza di stranieri sul territorio. Senza l’appoggio del presidente, che controlla l’esercito in maniera capillare, il nuovo esecutivo potrebbe aver diversi problemi a fermare l’escalation di attentati suicidi dall’effetto sempre più devastante. Questo appoggio è però condizionato da diversi fattori. Primo fra tutti, il minacciato ritorno dei giudici esautorati da Musharraf durante il colpo di Stato dello scorso novembre. Questi, guidati dal giudice della Corte Suprema Iftikhar Chaudry ed istigati da Nawaz Sharif (segretario della Lega musulma-

I giudici, istigati da Nawaz Sharif, sono pronti a mettere in stato di accusa il presidente Musharraf con centinaia di imputazioni, per allontanarlo prima della fine del mandato con il grande alleato statunitense. Javed Cheema, portavoce del ministero dell’Interno, spiega che «al momento, il nostro principale interesse è quello di rendere l’incontro e l’intero Pakistan il più sicuro possibile. Non sarà lasciato nulla al caso». Infatti, la sicurezza sembra essere la grande incognita, la vera sfida a cui sono chiamati i nuovi moderati di governo. Non è sfuggito infatti agli analisti internazionali l’aumento della violenza in tutto il Paese, considerata un’espressione di disappunto da parte delle frange estremiste per i risultati elettorali e

na N e nemico personale dell’ex generale), sono pronti a mettere in stato di accusa il presidente con centinaia di imputazioni, che mirano de facto ad allontanarlo dalla carica prima della fine del mandato. Con questa prospettiva, fanno sapere dall’ufficio presidenziale, è «difficile» che si voglia collaborare con il governo, che «assume un atteggiamento persecutorio per meri motivi personali». Inoltre, scottato dal deludente risultato elettorale, Musharraf vorrebbe avere più potere decisionale per l’assegnazione dei ministeri del prossimo governo:

ruoli chiave sono l’Interno e la Difesa, che l’ex generale non intende vedere assegnati a ministri troppo vicini alla Lega musulmana.

Nel nuovo Parlamento hanno trovato posto anche le minoranze: fra i 329 nuovi membri che compongono la Camera bassa vi sono anche tre cristiani e sette indù. Il numero è molto esiguo rispetto alle aspettative perché, come spiegato ad AsiaNews il direttore del Centro studi cristiani Meboob Sada «i cristiani sono andati al voto senza preparazione, ed hanno disperso le loro preferenze». Secondo il complicato sistema elettorale attualmente in vigore, infatti, dieci seggi parlamentari sono riservati alle minoranze: dopo il voto del 2002, i deputati cristiani erano cinque. Secondo Sada, «i partiti pakistani non sono pronti per dare un posto ai cristiani, quindi chi vuole si deve candidare come indipendente. Questo significa che gli sforzi sono limitati, e che la minoranza cristiana spesso non conosce il nome di chi potrebbe rappresentarla. Inoltre, un musulmano non voterebbe mai un non islamico». Questa, conclude l’analista cattolico, «è una delle grandi sfide per il nostro futuro: la mancanza di unità “politica” fra i cristiani. Insieme, potremmo divenire una realtà importante, forse decisiva in alcune zone: così, invece, i nostri deputati sono soltanto marionette rappresentative».


mondo

19 marzo 2008 • pagina 11

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Kosovo, morto il soldato Onu l’Unmik (la missione Onu in Kosovo) ha reso noto che un suo poliziotto ucraino è deceduto in seguito alle ferite riportate durante le violenze di lunedì nella città divisa tra serbi e albanesi, le piú gravi dalla dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina da Belgrado. Ieri, intanto, nella parte nord (serba) di Kosovska Mitrovica, un gruppo di ragazzi ha lanciato sassi contro un convoglio di auto del contingente francese della Kfor. Per disperderli, i militari hanno sparato colpi di avvertimento in aria.

Belgio, si insedia Leterme

Angela Merkel a Gerusalemme riconosciuta come un interlocutore privilegiato

Alleanza «eterna» tra Germania e Israele di Katrin Schirner BERLINO. Johannes Rau, ex presidente della Repubblica federale tedesca, è stato il primo uomo politico tedesco, otto anni fa, a pronunziare un discorso nella propria lingua di fronte al Parlamento israeliano. Non mancarono allora le polemiche: la lingua dell’olocausto. Per molti questo era difficile da accettare. Il fatto che ieri la Merkel abbia parlato in tedesco alla Knesset – senza che si sia levata alcuna protesta – la dice lunga sulla normalizzazione tra i due Paesi. Ma non solo: Angela Merkel è anche il primo capo di governo ad avere il privilegio di parlare in Parlamento, prerogativa riservata finora solo ai capi di Stato.

La Merkel nel suo intervento ha ribadito le responsabilità della Germania di fronte allo Stato ebraico. Riferendosi al pericolo rappresentato da Iran e Hamas, il Cancelliere ha affermato anche che «la sicurezza di Israele è parte della ragion di Stato tedesca». Alla vigilia della partenza la Merkel aveva definito l’amicizia tra i due Paesi «un miracolo della storia». «Chi minaccia Israele minaccia noi». I tedeschi si ripromettono di impegnarsi di più nello scacchiere mediorientale. Per giugno è prevista a Berlino una Conferenza sul Medio Oriente, evento finalizzato a sostenere i palestinesi nella costruzione di uno Stato con proprie forze di polizia e sistema giudiziario.Queste azioni sono quelle pri-

Il ruolo tedesco in Medio Oriente è diventato ormai decisivo. A giugno conferenza internazionale a Berlino vilegiate dalla diplomazia tedesca. Sostegno efficiente ma discreto. I diplomatici tedeschi, del resto, sono richiesti per mediare questioni delicate, nelle quali occorre un alto grado di savoir faire. I buoni rapporti di Berlino col Libano sono stati assai utili quattro anni fa allorchè si trattò di organizzare, anche sul territorio tedesco, uno scambio di prigionieri tra militari israeliani ed Hezbollah. Gli israeliani hanno apprezzato molto questa gestione e la scorsa settimana il ministro israeliano della Difesa, Eduh Barak, si è spinto a dire che «la Germania è il nostro alleato più stretto all’interno dell’Unione Europea». In linea con tale auspicio hanno avuto luogo ieri per la prima volta consultazioni a livello di governo tra Israele a Germania. La delegazione tedesca era composta da sette ministri. Finora, consultazioni annuali di questo genere erano previste solo con Francia, Italia, Spagna, Polonia e Federazione Russa. Ulteriore segnale della notevole importanza che la Germania conferisce ai suoi rapporti con Israele.

Prima della partenza della Merkel per Israele esponenti politici tedeschi di diversi partiti avevano chiesto al Cancelliere di avvalersi degli ottimi rapporti con Gerusalemme per non far mancare nel dialogo anche elementi critici, in particolare sui continui insediamenti dei coloni e le drammatiche condizioni di vita all’interno della striscia di Gaza.

Consiglio superfluo. Il Cancelliere è noto, infatti, per non avere peli sulla lingua in politica estera, anche nei confronti dei Paesi amici. All’Auswaertiges Amt (la Farnesina tedesca), del resto, la Merkel la conoscono e la temono. Come conoscono la sua idiosincrasia al compromesso formale e il rischio dello strappo diplomatico che questo comporta. Così è successo con la Cina, dopo il ricevimento offerto dalla Merkel al Dalai Lama. Pechino ha scelto la strada della difficile normalizzazione solo dopo l’insistenza della Germania. Ieri, comunque, questo pericolo non c’è stato. Il Cancelliere ha indubbiamente invitato Israele a concessioni dolorose. «La storia europea insegna» ha ammonito Angela Merkel «che anche dopo secoli di violenza, la pace è possibile» Di nuovo in patria, il capo del governo tedesco potrà dire di aver aggiunto un altro capitolo di successo a questo «miracolo della storia».

Ci sono voluti nove mesi perché il Belgio uscisse dall’impasse politica fra francofoni e fiamminghi e riuscisse a darsi un governo stabile. Giovedì mattina Yves Leterme, leader del cristiano-democratici fiamminghi che hanno vinto le elezioni del 10 giugno dell’anno scorso, giurerà nella mani del re Alberto II, ma la strada è tutt’altro che in discesa per il neo primo ministro.All’accordo per formare il nuovo esecutivo e dichiarare chiuso il governo ad interim di Guy Verhofstadt, che per tre mesi ha tentato di spianare il terreno al suo successore, ci è voluta l’ennesima notte di negoziati fra i cinque rappresentati dei partiti, tre francofoni e due fiamminghi, dai liberali a socialisti, che andranno a formare la coalizione di governo. Ma sui contenuti la linea scelta è stata quella di rinviare tutte le patate bollenti, proprio per evitare che il governo si impantanasse nuovamente nella disputa fra francofoni e fiamminghi sulle riforme istituzionali.

Gb: Forze armate superstar Le Forze armate britanniche hanno lanciato una nuova campagna di reclutamento del costo di 2 milioni di sterline, in seguito ai risultati di recenti sondaggi secondo i quali i soldati non sono mai stati così popolari tra la popolazione d’oltremanica.

McCain: Gerusalemme capitale Il candidato alla nomination repubblicana, John McCain, ha affermato di essere a a favore della proclamazione di Gerusalemme come capitale di Israele. Lo città è contesa da israeliani e palestinesi dal giugno 1967, quando lo Stato ebraico occupò la parte est di Gerusalemme. Entrambi i popoli vorrebbero che fosse la capitale del loro Stato. L’annessione israeliana non è mai stata riconosciuta a livello internazionale e gli Stati Uniti mantengono per questo la loro ambasciata a Tel Aviv.

Mugabe e i morti chiamati al voto L’opposizione accusa il Presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe di ”resuscitare i morti” nelle liste elettori, per assicurarsi la rielezione alle consultazioni del 29 marzo. Sfogliando i registri elettorali, scrive oggi il Times, ci si imbatte in Fodias Kunyepa, nato nel 1901, in Rebecca Armstrong, nata nel 1900, o anche nel ministro della Giustizia del governo dell’ex Rhodesia, Desmond Lardner-Burke, nato nel 1909. Tutte persone morte da tempo. Secondo l’opposizione, i registri elettorali sarebbero pieni di nomi di persone defunte o mai esistite, oppure di falsi numeri di identità e nomi ripetuti piú volte in diverse circoscrizioni. In questo modo, i sostenitori di Mugabe avrebbero la possibilità di votare piú volte. Per la carica di Presidente corrono, oltre a Mugabe, il leader del Movimento per il Cambiamente democratico, Morgan Tsvangirai, e l’ex ministro delle Finanze di Mugabe, Simba Makoni.

Arabia Saudita, baby sposi di 11 anni Sono ormai prossimi alle nozze, ma hanno appena 11 anni (lui) e 10 anni (lei): un bambino e una bambina originari della regione saudita di Hael, nel nord del Paese, si sposeranno la prossima estate. Lo si apprende dalle pagine del quotidiano locale Al-Chams che ha intervistato Muraizak Al-Rachidi, padre del futuro sposo. Al Rachidi, che si occuperà di mantenere economicamente la coppia, ha già iniziato a distribuire le partecipazioni per le nozze del figlio, Mohammad, con la cugina di un anno più giovane di lui, promessa in sposa dallo zio fin dalla nascita. «Sono in quarta elementare e mi sento pronto per questo passo che mi stimolerà a studiare meglio» ha dichiarato Mohammad al quotidiano, aggiungendo di voler «coronare la mia storia d’amore con il matrimonio». Ma il giovane sposo non si è fermato qui e ha invitato i suoi compagni di scuola a fare la sua stessa scelta.


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Kazakhstan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Turkmenistan: da polvere dell’impero a terre di conquista internazionale. Russia e Cina in primis

IL GRANDE RISIKO DELL’ASIA CENTRALE di Enrico Singer ladimir Putin e il suo reggente, Dmitrij Medvedev, hanno un piano: ricostruire la potenza imperiale della Russia in Asia. Recuperando l’influenza su Paesi strategici - e ricchi di materie prime - come il Kazakhstan, l’Uzbekistan, il Tagikistan, il Kirghizistan o il Turkmenistan, tutte ex Repubbliche socialiste sovietiche, e riannodan-

V

montabile dittatore Aleksandr Lukashenko, che governa Minsk dal 1994, è rimasta fedele al Cremlino da questa parte della ex “cortina di ferro”.Tutte le altre Repubbliche, una dopo l’altra, dalla Lituania alla Polonia, dall’Ungheria alla Romania, dall’Estonia alla Bulgaria, dalla Lettonia alla Repubblica ceca e alla Slovacchia sono entrate nell’Unione Europea.

Il Cremlino è convinto di poter ricostruire i rapporti economici di un tempo do i legami con il grande amiconemico di sempre: la Cina. Non più in nome dell’ideologia marxista-leninista, naturalmente. Ma di interessi economici e di potenza. In parte è una scelta obbligata perché quelle che erano le “Repubbliche sorelle” a occidente della frontiera sono ormai tutte perdute per Mosca. Anzi, il crollo dell’impero sovietico cominciò proprio con la rivolta del Baltico, subito dopo la caduta del muro di Berlino, nel dicembre del 1989. Soltanto la Bielorussia dell’intra-

I russi sanno benissimo che in questi Paesi è impossibile un ritorno al passato. Proprio per il peso della storia di cinquant’anni di dominazione che ha lasciato ferite profonde cicatrizzate in rancori e sospetti difficili da cancellare.

Per la verità, anche la parte orientale dell’ex impero comunista, così come quella meridionale costituita dai Paesi del Caucaso e del Caspio (dalla Georgia all’Azebaijan, all’Armenia), ha tentato una strada alternativa d’indipen-

denza. Guardando agli Stati Uniti, come ha fatto l’Uzbekistan, per esempio, che ha concesso agli Usa la base aerea di Karshi-Khanabad - quella che al Pentagono chiamavano semplicemente “2K”per le operazioni militari in Afghanistan. O bussando alla porta della Nato, come la Georgia. Ma Putin e Medvedev sono convinti che la Russia in Asia ha buoni margini per fare di nuovo breccia. Prima di tutto perché i legami che le ex Repubbliche sovietiche orientali hanno stabilito con l’Occidente sono ancora incerti. E adesso sono, addirittura, fragilizzati dalla tempesta del dollaro. Non bisogna mai dimenticare che il passaggio di questi Paesi dall’area del rublo a quella della moneta americana li ha proiettati nella competizione del mercato globale da una realtà che era assolutamente virtuale di una valuta tenuta artificialmente alla parità col dollaro (e scambiata nelle strade a cento volte di meno), ma comunque garantita dalle scorte d’oro di Mosca. Oggi, con la svalutazione del dollaro che ha perso il 50 per cento del suo valore dal momento dell’ingresso in circolazione dell’euro, nel 2002, i Paesi che hanno costituito le riserve in dollari si ritrovano con la loro ricchezza nazionale di fatto decurta-

ta senza nemmeno avere i vantaggi che gli Stati Uniti hanno nel saldo tra import ed export grazie alla debolezza della loro moneta.

Non è un caso se Dmitrij Medvedev, ancora prima di vincere la poltrona di reggente del Cremlino (che diventerà formalmente sua dal 7 maggio col passaggio dei poteri di Putin), ha lanciato l’idea di riproporre una rinnovata“area del rublo” ai Paesi delusi dal passaggio al dollaro. Un’arma in più, secondo Mosca, per convincere - o per costringere - gli ex sudditi asiatici a rientrare nell’orbita del nuovo impero russo post-comunista. Il progetto di creare un terzo polo monetario che sia in grado di competere in qualche modo con quelli del dollaro e dell’euro, secondo il disegno di Medvedev, potrebbe comprendere anche la Cina. Anzi, Mosca sarebbe disposta ad accettare perfino lo yuan come moneta di riferimento se Pechino si unisse davvero a questa avventura. Il ragionamento, in fondo, è semplice: due economie in sviluppo come quella, travolgente, cinese e quella russa che cresce, comunque, a un tasso dell’8 per cen-

to annuo, dovrebbero affrancarsi dai rischi della svalutazione del dollaro. Anche perché il Cremlino è convinto che la politica monetaria di Washington è uno degli strumenti che l’amministrazione americana - almeno quella di George W. Bush - utilizza per dominare il confronto complessivo con la Russia e con la Cina. Ma per saldare l’alleanza con Pechino, a Mosca si sta preparando un’altra mossa clamorosa. Quella che è stata per decenni la frontiera della guerra, lungo i fiumi Amur e Ussuri, ai tempi della competizione tra il comunismo di scuola sovietica e maoista, sarà attraversata dalla prima pipeline che porterà il gas dalla Siberia alla Cina. Un affare, già deciso da Putin e da Hu Jintao, che serve gli interessi di entrambi. L’impetuoso sviluppo dell’industria cinese, si sa, richiede ogni giorno più energia e il gas russo costa meno del petrolio arabo. Ma anche per la Russia c’è un rilevante vantaggio. Per ora l’unico cliente di Gazprom è l’Europa occidentale che è servita da due gasdotti: quello che attraversa la Bielorussia e che arriva in Germania e quello che, passando per l’U-


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Stati inventati, padrini veri, con il culto della personalità

I cinque dittatori di Fernando Orlandi l crollo dell’impero sovietico la regione dell’Asia centrale è stata indubbiamente il luogo in cui più si è venuta a sentire la mancanza di Mosca, essendo i Paesi della regione fortemente dipendenti dall’Unione Sovietica per la loro stessa esistenza. I gruppi al potere si sono comunque adattati rapidamente alla nuova situazione. Già nell’agosto 1991, al fallimento del putch moscovita, in modo gattopardesco avevano denunciato il partito comunista, cambiandogli semplicemente il nome. Nelle cinque repubbliche tutto sembrava essere cambiato, ma le persone e le strutture del potere erano rimaste immutate. Letteralmente costrette a fondare la loro nuova esistenza, le repubbliche dell’Asia centrale inizialmente intrapresero delle riforme politico-istituzionali che ben presto abbandonarono il cammino inizialmente dichiarato: il modello occidentale. A oltre sedici anni di distanza, se volgiamo lo sguardo all’indietro, della trasformazione dei sistemi politici centroasiatici secondo i principi dello stato di diritto non troviamo proprio nulla. Il panorama regionale resta sconsolatamente caratterizzato dall’autoritarismo, da regimi arbitrari entro i cui confini hanno preso piede le pratiche più bizzarre. Pensiamo solo al Turkmenistan dove lo scomparso Sapurmurad Niyazov aveva dato vita a uno sfrenato culto della sua personalità, giungendo fino al cambio dei nomi dei mesi, e cosi aprile era divenuto Gurbansoltan (ovvero la madre di Niyazov) e gennaio Turkmenbashi (“duce dei turkmeni”, lo stesso Niyazov). Negli ultimi anni è poi stato importato da Mosca il concetto di “democrazia guidata”, che tende a tradursi nelle lingue locali in “democrazia limitata”, foglia di fico che permette a regimi non

A

I legami con l’Occidente sono incerti e indeboliti dalla tempesta del dollaro craina, raggiunge il grande snodo di Baumgarten, in Austria, e da lì arriva anche in Italia. Proprio l’Italia e la Germania sono i due più importanti clienti di Gazprom. Vista dall’Europa, la dipendenza dal gas russo è un problema: c’è sempre il ricatto di chiudere i rubinetti. Soprattutto nel caso della pipeline che passa per l’Ucraina che, a sua volta, è cliente - moroso - di Gazprom che negli ultimi tre inverni, per ritorsione, ha ridotto le forniture colpendo anche gli altri Paesi. Vista da Mosca, però, la dipendenza energetica dell’Europa occidentale è anche un rischio: avere un solo cliente è altrettanto pericoloso come avere un solo fornitore. Anche gli europei - se davvero riuscissero a diversificare le fonti di approvvigionamento o a dare finalmente impulso al nucleare - potrebbero a loro volta

chiudere i rubinetti. Degli euro, in questo caso, che affluiscono nelle casse di Gazprom.

L’unica reale competenza del prossimo “reggente” del Cremlino è proprio questa: Dmitrij Medvedev è stato presidente di Gazprom e conosce le regole e i trabocchetti del mercato dell’energia. Sa bene che il progetto europeo di costruire il gasdotto Nabucco (3.300 chilometri dal Caspio all’Austria attraverso la Turchia, la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria) potrebbe togliere a Gazprom una bella fetta delle forniture sostituendole con il gas dell’Azerbaijan e, magari, anche dell’Iran. Anche per questo Mosca ha deciso di costruire il gasdotto verso la Cina che, tra l’altro, ha il vantaggio di sfruttare una frontiera diretta superando i

problemi di passaggio in Stati terzi come quelli scoppiati con l’Ucraina. Se Medvedev è il regista di tutta la parte tecnico-commerciale dell’operazione Asia, il grande burattinaio del rilancio imperiale della Russia è, ovviamente Putin. Per ragioni di politica interna: la quota innegabile di consenso che - al di là dei risultati elettorali ancora manipolati - raccoglie tra la gente è motivata proprio dalla sua capacità di assecondare il profondo e orgoglioso nazionalismo dei russi. Ma, soprattutto, per ragioni di politica internazionale, perché Putin vuole riconquistare e non accettare per gentile concessione - un posto di prima fila tra i Grandi. Nell’ottica di Mosca, essere “aggiunti” al G7 che diventa G8 soltanto quando non si discutono temi cruciali per l’economia mondiale, o essere sotto eterno esame al Wto, oppure essere ospiti nella Nato è la prova che Usa ed Europa considerano la Russia una sub-potenza. E la tentazione di creare il super-blocco asiatico ha il gusto di una rivincita. Certo, per adesso è un soltanto un progetto. Ma Putin e Medvedev ci credono.

del tutto dittatoriali di mantenere un dialogo con l’Occidente. Dialogo importante, perché nel sottosuolo si trovano appettibili risorse naturali e soprattutto idrocarburi. Le cinque repubbliche dell’Asia centrale avevano grosso modo delle caratteristiche simili in epoca sovietica e ancora oggi sono un blocco piuttosto omogeneo. Dal punto di vista dei sistemi politici, nel corso degli anni si è assistito ad un crescente accentramento del potere da parte degli apparati presidenziali ottenuto mediante ripetuti interventi di modifica delle Costituzioni, l’impiego dei referendum per ottenere consensi plebiscitari e l’utilizzo di un variegato spettro di provvedimenti. Le personalità dei presidenti hanno poi contribuito a plasmare il loro sistema di potere: se ad un estremo abbiamo avuto il Turkmenbashi, all’altro lato si pone il kazako Nursultan Nazarbaev.

Kazakhstan Quello di Nazarbaev lo possiamo definire in qualche modo come un autoritarismo illuminato. La Costituzione del 1995 pone l’intero sistema politico sotto il controllo del presidente, mentre il parlamento, deprivato dell’iniziativa legislativa, può essere sciolto in ogni momento. Mediante plebisciti referendari uniti ad un sapiente utilizzo della repressione e della cooptazione nella cerchia del potere, Nazarbaev si è assicurato il ruolo di signore assoluto del Kazakhstan. La ratifica formale è avvenuta nel Duemila, con l’adozione della Legge del primo presidente, che non solo gli garantisce l’immunità perpetua, ma anche un ruolo persino dopo la sua eventuale uscita dalla scena politica. Nel corso degli anni si è affermata nel Paese la kazakicità, requisito indispensabile per fare carriera nel potere e negli af-


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Occidente

fari (a dispetto del fatto che i kazaki non raggiungono il 55 percento della popolazione). La vita economica del Paese è strettamente controllata dal clan del presidente, un controllo esteso ovviamente anche sui mezzi di informazione.

Turkmenistan Il controllo ferreo sulle informazioni caratterizza tutti i Paesi dell’Asia centrale. In Turkmenistan sono direttamente sotto il controllo del presidente (direttore di tutte le testate). Il Paese che negli anni di Mikhail Gorbachev era stato il meno investito dall’aria della perestroika si è rapidamente trasformato in un regime totalitario. Laddove negli altri stati dopo il 1991 si erano avuti dei segnali di cambiamento, il Turkmenistan non aveva abbandonato il sistema monopartito (prima il Pcus, poi il Partito democratico) e assai rapidamente il Turkmenbashi si era preoccupato di trasformare in carica a vita il proprio mandato. Niyazov ha saputo ben controllare i clan del Paese e la struttura di potere (patrimoniale e personale) che ha plasmato è di tipo “sultanistico”, con gli apparati amministrativo e militare alle sue dirette dipendenze e gli uomini puniti o ricompensati. Il governo avviene per decreti, il parlamento ha una funzione puramente rappresentativa, mentre sempre al presidente spettano tutte le nomine, dai magistrati alle cariche dirigenti regionali. La tutela dei diritti umani è sconosciuta e chi fa parte di una minoranza etnica è cittadino di seconda categoria. Il Paese è strettamente chiuso rispetto al mondo esterno, neppure la stampa russa è

mukhammedov è stata la restituzione della pensione alle circa centomila persone che ne erano state private da Niyazov. Il culto del Turkmenbashi inizia ad essere demolito, mentre sono stati adottati alcuni provvedimenti miranti a migliorare il tenore di vita. La transizione al dopo-Turkmenbashi sembra proseguire senza scossoni, mentre la comunità internazione resta disattenta come in passato. Una disattenzione a cui forse non è estranea l’aspettativa di un investimento nelle risorse energetiche.

Il potere unificante dell’Urss è sostituito dal nazionalismo di satrapi locali più accessibile. Il Rukhnama, di cui Niyazov è autore, ha sostituito molti testi, anche di studio. A Niyazov, scomparso improvvisamente nel dicembre 2006 è subentrato Gurbanguly Berdymukhammedov, che si è trovato a gestire un’eredità non facile, da un’economia in pericoloso dissesto (dominata dalla monocultura del cotone) e con un settore energetico che necessita di forti investimenti ai gravi problemi sociali. I proventi derivanti dalle vendite del gas non rientrano nel paese, la cui popolazione si trova in un evidente stato di povertà. Non a caso uno dei primi provvedimenti adottati da Berdy-

Kirghizistan Il Kirghizistan ha vissuto numerosi esperimenti istituzionali che non hanno prodotto grandi risultati se non un profondo disordine. È stato l’unico Paese che ha avuto al momento dell’indipendenza un capo, Askar Akaev, che non proveniva del partito comunista e che voleva farne un’isola della democrazia. La Costituzione del 1993 era modellata su quelle dei regimi liberali, ma gli istituti democratici non funzionarono in un paese fortemente diviso e con un sistema di clan particolarmente frammentato.

A dispetto dei tentativi di aiuto delle organizzazioni internazionali (e a causa anche dei loro errori) i problemi si accumulavano e Akaev iniziò a scavalcare il legislativo per potere proseguire con il suo progetto. Prendendo esempio dal Kazakhstan, Akaev organizzò un sistema incentrato sulla famiglia presidenziale, che a sua volta garantiva il tornaconto di una serie di clan e gruppi d’interesse economici. Ma la frammentazione del paese e il livello di povertà minarono questo sistema. Akaev aveva promesso di rispettare i termini del suo mandato, ma quando alle elezioni del 2005 si presentarono i figli Aidar e Bermet si diffuse la sensazione che il presidente volesse far rimanere il potere all’interno della sua famiglia. Le elezioni vennero contestate e scoppiarono disordini, i più noti quelli di Osh. La situazione iniziò a degenerare e il 24 marzo i manifestanti assaltarono la residenza presidenziale a Bishkek e Akaev dovette riparare all’estero. Ma il ricambio non ha mutato la situazione e il suo successore, Kurmanbek Bakiyev, si è velocemente trovato in una situazione simile: la Rivoluzione dei Tulipani è rapidamente sfiorita. Il Paese, nell’assenza di una classe dirigente e di un apparato statale funzionante, continua a trascinarsi in preda ad una crisi endemica.

Uzbekistan L’Uzbekistan non solo si trova in una posizione centrale, ma metà dei centroasiatici vivono in quello stato. Anche qui i clan

dominano la vita regionale (i più importanti: Samarcanda, Ferghana e Bukhara) mentre lo stato esercita il controllo sulle principali attività economiche. Potere politico ed economico sono fortemente intrecciati e costituiscono il pilastro che sostiene il presidente Islam Karimov. È una struttura fortemente patrimonialista, in cui presidente assegna privilegi e viene ricompensato con il sostegno. Il nazionalismo è stato alimentato con forza e con la manipolazione storiografica e propagandistica del passato, a fondamento di una ideologia “dell’indipendenza nazionale” che tutto annulla e giustifica. Negli ultimi anni i problemi economici uniti alla forte crescita demografica, l’autarchia, il contrasto con Mosca, hanno portato a un deterioramento della situazione e al sorgere di contrasti fra i clan regionali e il potere centrale. Gli eventi di Andijan altro non sono che la cartina di tornasole violenta di questo malessere, a cui il potere ha risposto con il pugno di ferro, segnalando come le controversie politiche possano essere risolte con la risposta dura.

Tagikistan Il Tagikistan è stato a lungo (dal 1992 al 1997) segnato da un conflitto civile che lo ha devastato. A dieci di distanza dalla firma degli accordi di pace il Paese, tuttavia, sembra essere ancora in una situazione di stallo, nella quale rimangono aperte le cause da cui la guerra civile era emersa. Governato da Imomali Rakhmonov, un oscuro amministratore di se-

Per gli Usa l’Asia centrale è un estensione del Medio Oriente, con uguali pericoli di radicalismo islamista e sicurezza energetica. Nella pagina seguente un grottesco esempio di culto della personalità: l’ex presidente turkmeno Niyazof pubblicizzato come un oggetto condo piano quando assunse il potere, negli ultimi anni il Tagikistan ha conosciuto una sorta di “normalizzazione” autoritaria, in linea con le tendenze regionali. Dietro questa prevalenza di metodi spicci e autoritarismo quando va bene, e mancanza delle libertà fondamentali si trovano comunque delle strutture complesse e ricche di contraddizioni, governate da edifici che dietro la solidità della repressione si manifestano fragili e incapaci di garantire una successione (anche se quanto sta avvenendo in Turkmenistan sembra dimostrare il contrario). I clan dominano l’intera scena regionale, che conosce una significativa ripresa del crimine organizzato e del narcotraffico di provenienza afghana (con la possibilità che si costituiscano dei santuari sottratti al controllo dello stato). Il degrado delle condizioni di vita e dei rapporti sociali ha raggiunto livelli particolarmente preoccupanti, mentre la giustizia è amministrata a fini privatistici e la corruzione dilagante. Un contesto di questo genere non è certamente tranquillizzante e la prospettiva che non si può escludere è quella di una crisi sistemica della regione.


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Usa, Russia, Ue, Cina, Turchia, Iran fanno una corte spietata alle ricchezze naturali della regione

Il mosaico del potere di Francesco Cannatà passato circa un secolo dalla fine della lotta tra Russia zarista e Inghilterra imperiale per il predominio nell’Asia centrale. Con la fine dell’Urss, dopo anni di oscurità, questa regione è tornata ad essere argomento dei media. La disintegrazione della supremazia di Mosca ha permesso la nascita di altre nazioni. Panislamismo, panturchismo, neo-sovietismo sono i concetti fondamentali per capire le dinamiche interne dei nuovi Stati e delle loro relazioni internazionali. Nel bene e nel male è il nazionalismo etnico a fornire la chiave di legittimità per le nuove élite. Con il fondamentalismo religioso in agguato. La pretesa di riempire il vuoto politico ed economico lasciato dal brusco ritiro di Mosca ha riacceso la competizione tra le grandi potenze e l’Asia centrale è tornata ad essere terreno di lotta. In questi territori si trovano le prede più ambite del Ventunesimo secolo: enormi giacimenti di petrolio e gas naturale. Ma non solo. Miniere d’oro, argento, rame, zinco, piombo, minerali di ferro, carbone, riserve di uranio, campi di cotone. È chiaro perché Usa, Russia, Ue, Cina, Turchia, Iran, facciano una corte spietata ai governi dell’Asia centrale. Ma non si tratta solo di concessioni e appalti. Per Washington, il più importante degli attori in campo, la posta in gioco è più alta. Soprattutto dopo l’11/9, gli Usa considerano l’Asia centrale un estensione del Medio oriente, con uguali pericoli e difficoltà. La vicinanza a Pakistan e Afghanistan rende ancora più insopportabile la possibilità che gruppi di esaltati possano prenderne il controllo. Una preoccupazione condivisa anche dalla Russia, prima potenza della regione. Ancora ossessionata dal dominio mongolo, Mosca è decisa a impedire che potenze barbare minaccino la Russia europea. Cremlino e Casa Bianca hanno lo stesso incubo. Estremisti islamici in possesso di armi nucleari. La paura

È

sguardi realistici sulla regione. Il secondo mandato della presidenza Putin ha invertito questa tendenza. Non solo le migliori condizioni economiche, aumento dei prezzi delle materie prime, sono alla base della riscossa. La centralizzazione del processo decisionale all’interno dell’amministrazione presidenziale ha ridotto l’influenza di lobby spesso in concorrenza tra loro, permettendo il superamento dell’erratica politica degli anni Novanta. La nuova attività russa non ha niente a che fare con l’Urss. L’impero è liquidato. Lo slogan «rafforzare innanzitutto la Russia», rispecchia il comportamento pragmatico e opportunistico del Cremlino. Mosca vuole svolgere un ruolo importante nella regione senza però assumersi molte responsabilità. L’impegno non deve diventare una zavorra.“L’estero vicino” con frontiere aperte e nostalgie totalitarie, si è trasformato in “estero normale”. Con peculiarità che ne fanno però un “estero diverso”. Il ritorno russo sfrutta ciò che resta delle istituzioni sovietiche, affinità - lingua e cultura comuni, stessi canali informativi - legami professionali con vecchie e nuove elite locali. Gli ex Paesi fratelli sono certamente tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. La formula “Kazakhstan e Asia centrale”, è utile per capire perché il gigante energetico kazako con la sua economia in pieno boom, sia in cima alla lista delle priorità di Mosca mentre gli altri sono tenuti a distanza. Il Kirghizistan, dal punto di vista russo il più insignificante, è considerato solo perché Cina e Usa mostrano interesse per questo Paese.

Nonostante il ritorno russo, la Cina punta a diventare il vero boss che l’Asia centrale diventi il grande bazar della criminalità organizzata per i commerci di droga e armi è uno dei pochi motivi che unifica l’agire di potenze e istituzioni internazionali.

Crollo degli investimenti diretti nella regione, spese militari insostenibili, diminuzione dell’influsso culturale, possibilità per i nuovi leader regionali di scegliere altre opzioni internazionali. Per spiegare il ritiro russo dall’Asia centrale a questi motivi ne va aggiunto un altro non meno importante: l’eredità della visione del mondo sovietica che impediva

Per quanto riguarda

la sicurezza, nonostante la posizione ufficiale sia la non interferenza, il Cremlino considera scenari in cui agire sarebbe inevitabile. La rete informale dei vecchi servizi sovietici è intatta e può essere attivata in ogni momento. Ufficialmente però la sicurezza è affidata alla cooperazione regionale con le sue strutture multipolari. “Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva”, “Comunità economica eurasiatica”, “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai”, queste le sigle più conosciute dalle opinioni pubbliche. I leader dei Paesi dell’Asia centrale diffidano l’uno dell’altro, temono il regionalismo come possibile strumento di egemonie esterne, Cina e Russia su tutti, lo ritengono più che altro un modo per indebolire strutture avversarie - Ue, Nato, Guam - ma ne

hanno bisogno per restare al potere. La paura delle “rivoluzioni di velluto” ha fatto crescere l’importanza delle opzioni regionaliste e di Mosca, vista come potenza protettrice dalle “velleità”democratiche occidentali. Chi vuole giocare le proprie carte nella regione deve tener conto della “rinascita”russa. La storia lega Cina e Asia centrale. La via della seta collegava l’Impero di mezzo all’Europa attraverso Asia centrale e regione autonoma dello Xinjiang-Uigur, il nord dell’attuale repubblica popolare cinese. Pechino ritiene lo Xinijang - spesso fuori dal proprio controllo - suo territorio ma, come nelle repubbliche centroasiatiche, la popolazione della regione è musulmana e di origine turca. Fermenti islamisti e indipendentisti, fanno si che Pechino tema che qui possa nascere la sua Cecenia. A causa dell’espansione, nel Dicianovesimo secolo, della Russia zarista e della Gran Bretagna, le frontiere tra Cina e Asia centrale sono state a lungo incerte. Oggi tre delle cinque repubbliche indipendenti, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan, hanno 3mila chilometri in comune con Pechino. Ovvio dunque che oltre alla sicurezza energetica, la stabilità delle frontiere sia la priorità della Cina contemporanea. Occorre evitare la destabilizzazione del grande spazio centroasiatico, e quella delle singole repubbliche. A differenza della Russia, la Cina ritiene i rapporti bilaterali importanti quanto quelli delle strutture multipolari, su tutte l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, Sco, nata nel 2001 proprio in una città cinese. Terrorismo, separatismo ed estremismo religioso, ecco i “tre mali” che Russia e Cina combattono insieme ma con intensità diverse. Il forte squilibrio demografico con la Cina fa si che le piccole repubbliche centroasiatiche siano contrarie ad una integrazione economica

che permetta piena libertà di movimento transfrontaliera. Paura di “sinizzazione” che l’Asia centrale condivide con Siberia e i territori dell’estremo oriente russo.

Almeno retoricamente la Cina condivide con Mosca il principio di non ingerenza. L’insistenza su sovranità nazionale e non ingerenza, concetti fondamentali per la nascita dello Sco, serve anche per respingere le critiche di violazione dei diritti umani. Gli avvenimenti del 2006, in particolare la rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan, hanno però spinto Pechino a mettere in dubbio l’assioma. Già i disordini di Andijan del 2005, avevano sollevato la questione di come si dovesse reagire in questi casi. Con il sontuoso ricevimento di Karimov pochi giorni dopo la repressione sanguinosa delle manifestazioni, Pechino si schierava con il leader uzbeko. Nel caso delle proteste in Kirghizistan che hanno portato alla sostituzione del presidente in Cina è prevalsa la prudenza, ma alla fine il riconoscimento del nuovo presidente è arrivato. Per gli esperti cinesi la non ingerenza può essere scambiata per passività che a sua volta richiama la debolezza e perdita di credibilità del Paese. Nel 2007 lo Sco in un suo comunicato prendeva atto dell’interdipendenza degli Stati al tempo della globalizzazione anche nei settori della sicurezza e dello sviluppo. A 15 anni dalla caduta dell’Urss, le nazioni dell’Asia centrale sembrano essersi radicate nonostante fragilità dei regimi e tensioni regionaliste. Un nuovo spazio geostrategico si è aperto tra Russia, Cina, Medio oriente e Asia del sud, ma non si tratta ancora di un insieme regionale coerente. Nonostante sia campo di battaglia per le sfere di influenza, l’Asia centrale non è tornata un crocevia tra i popoli.


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speciale esteri

Occidente

Non si è ancora arrivati a una radicalizzazione religiosa perché le tradizioni locali sono una barriera all’estremismo

Il culto islamico dei mullah “vaganti” di Giovanni Bensi n Asia Centrale vivono sei nazionalità: uzbeki, karakalpaki (una minoranza all’interno dell’Uzbekistan), kazakhi, kirghizi, turkmeni, tagiki. Tutti parlano lingue turche, eccettuati i tagiki la cui lingua è iranica e molto simile al persiano. Ed il persiano è anche tradizionalmente la lingua culturale di tutta l’area.Tutti sono musulmani sunniti, aderenti alla scuola giuridico-teologica hanafita, che di per sé è la più liberale fra le quattro ammesse. In passato l’Asia Centrale è stata un centro della cultura islamica: di Bukhara (oggi in Uzbekistan) è il filosofo e scienziato Abu-‘Ali ibn-i Sinâ, noto in Occidente come Avicenna. L’Asia Centrale, conosciuta storicamente anche come Turkestan (“Paese dei turchi”) fu gradualmente conquistata dai russi dalla seconda metà del Diciottesimo secolo.

I

Prima della rivoluzione bolscevica del 1917 le nazionalità dell’Asia centrale erano divise fra i nomadi della“steppa dei kirghizi” (come allora i russi chiamavano i kazakhi) a nord, e le popolazioni stanziali dell’emirato di Bukhara ed i khanati di Kokand e Khiva, a sud. Dopo la rivoluzione l’islam venne sottoposto a persecuzioni non diversamente dalle altre religioni diffuse in Unione Sovietica. Però l’islam, a differenza delle chiese cristiane, non possiede un’organizzazione centralizzata, le comunità locali sono di fatto

Uno scarno banchetto di nozze per la giovane coppia uzbeka autonome e quindi per lo stato era molto più difficile controllarlo. Perciò il regime sovietico decise di imporre all’islam strutture centralizzate simili a quelle della Chiesa cattolica.Vennero istituite quattro “direzioni spirituali” che venivano indicate col termine arabo nazarat (sorveglianza), guidate da un muftì con funzione di “vescovo”. Per l’Asia Centrale la nazarat aveva sede a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan; le altre si trovavano a Ufa (per i tatari e bashkiri), Bujnaksk (Daghestan) per il Nord-Caucaso, Bakù per gli sciiti dell’Azerbaigian. Tuttavia questo sistema non funzionò mai secondo i piani del governo di Mosca: soprattutto in Asia Centrale, con le sue grandi distanze, il radicamento della religione mu-

libri e riviste

l nazionalismo americano è civico, figlio della cultura liberale. Così è anche per una parte dell’Europa, ma muovendosi verso est si tinge di significati etnici che acquistano un valore sempre più importante. Figlio di un passato fatto di conflitti e sangue, l’etnonazionalismo rischia di sopravvivere al Terzo millennio, alimentato da immigrazione e dinamiche demografiche che minano l’unità identitaria di molti Stati e le richieste indipendentiste di altri soggetti che aspirano a diventarlo. L’autore dimostra come influenzi ancora la sostanza di molta politica in giro per il mondo, da Pechino a Lisbona, fino alla martoriata terra d’Israele. Muller sottolinea che la particolare natura degli Stati Uniti, nati dall’unione di una molte-

I

sulmana nella vita quotidiana della gente, il controllo centrale di fatto fallì. Nelle repubbliche della regione sorsero migliaia di moschee clandestine officiate dai cosiddetti “mullah vaganti”che si spostavano da un villaggio all’altro.

Con la caduta del regime sovietico e la proclamazione dell’indipendenza da parte delle repubbliche centro-asiatiche era già pronta una struttura di base per la rinascita del culto islamico che divenne parzialmente ricettiva per le varie correnti fondamentaliste provenienti in parte dall’estero. Hanno avuto diffusione la “wahhabiyya” di origine arabosaudita, il partito Hizb ut-Tahrir il-Isalamiyya (Partito della libera-

plicità di gruppi etnici e nazionali, in fuga da persecuzioni religiose e politiche, ha prodotto una sottovalutazione di questo fattore in politica estera. Quanto ciò influenzerà ancora il futuro delle relazioni internazionali e quanto la consapevolezza nazionale sia culturalmente e politicamente vera o frutto di ideologie, è una domanda cui l’articolo cerca di rispondere. Nella storia europea è stata fonte di solidarietà e conflitti, ma è anche un prodotto della nascita degli Stati moderni. Jerry Z. Muller The Enduring Power of Ethnic Nationalism Foreign Affairs - March/April 2008

zione islamica) di origine palestinese, gli Ikhwan al-Muslimûn (Fratelli Musulmani) di origine egiziana. Sorse un movimento terroristico, l’Islamskoe Dvizhenie Uzbekistana (Movimento islamico dell’Uzbekistan), poi mutato in Movimento islamico del Turkestan, resosi colpevole di molti attentati, soprattutto contro il presidente uzbeko Islam Karimov. In Tagikistan, dopo l’indipendenza, si ebbe una sanguinosa guerra civile fra “laici” e “islamisti”, conclusasi con la vittoria dei primi, guidati da Emomali Rahmon. Molti dirigenti centroasiatici sono ex comunisti “pentiti” che hanno scoperto l’islam come strumento di potere. L’esempio più noto è quello del defunto dittatore turkmeno Niyazov, detto “Turkmenbashi” (Duce dei turkmeni) che ha fatto costruire nel suo villaggio natio, Kypchak, la più grande moschea dell’Asia Centrale. Tutti i regimi nelle repubbliche conservano finora un carattere autoritario, a cominciare da quello di Islam Karimov in Uzbekistan. Gli sforzi compiuti dai fondamentalisti non hanno però dato i risultati che i loro fautori speravano. Non si è cioè arrivati ad una radicalizzazione dell’islam centroasiatico perché le correnti estremiste hanno trovato una barriera nelle tradizioni locali, da secoli basate sulle tariqat, le “vie”, o “scuole”mistiche (sufiche) che, a differenza di orientamenti integralisti come la wahhabiyya

our star action officer», così è stato definito l’ammiraglio William ”Fox”Fallon, il dimissionario capo di Us CentCom. Dopo aver provocato non pochi mal di pancia alla Casa Bianca, si è tolto di mezzo, con qualche mese d’anticipo, eliminando l’ultimo ostacolo sulla strada di un possibile piano bellico contro l’Iran. Il lungo articolo registra le opinioni di Fallon su una lista d’argomenti, evidenziando la sempre più forte spaccatura fra militari e potere politico negli Usa. I primi stanchi d’impegni operativi al limite del praticabile, attuano una politica mediorientale, sul campo, che sembra essere molto realista e pragmatica. I secondi sono invece percepiti come sempre meno preparati a confrontarsi con realtà molto complesse. Thomas P.M. Barnett The Man Between War and Peace Esquire - 14/03/08

«F

concedono spazio a determinate innovazioni dottrinali, mettono l’accento sulla compassione e la carità, hanno sviluppato“liturgie” (dhikr) che gli integralisti considerano “eretiche”. L’attività delle tariqat è basata su una rete di confraternite nelle quali esiste un forte legame di unione fra un “maestro” (murshid) e i discepoli (murid). Questa rete, conservatasi in modo semi clandestino durante il regime sovietico, ha servito come punto di riferimento per i “mullah vaganti”e alla conservazione delle strutture religiose fondamentali. Durante il periodo della perestrojka di Mikhail Gorbachev l’islam centroasiatico manifestò una maggiore vitalità e disponibilità alla ripresa di altre religioni, a cominciare dalla Chiesa ortodossa. In molte parti dell’ex Urss esso servì anche di appoggio a rivendicazioni nazionali, come poi si sarebbe visto in Cecenia. Oggi non esiste più una struttura centralizzata dell’islam in Asia Centrale, ogni repubblica ha il suo miftì: in Uzbekistan: Usman Alemov; in Tagikistan: Sheikh Amonulloh Negmatzoda; in Kyrgyzstan: Muratali azhi Zhumanov; in Turkmenistan: Nasrullah Ibadullayev; in Kazakhstan: Absattar Derbisaliyev. Nelle varie repubbliche è in aumento il numero dei fedeli che compiono ogni anno lo hajj, il pellegrinaggio alla Mecca. Nel 2007 i pellegrini dall’Uzbekistan sono stati 5.000.

contro di civiltà o incontro mercantile e proficuo è quello messo in scena tra una crociata e l’altra? Secondo l’originale e molto documentata tesi del libro il confronto fra Europa e Islam sarebbe il prodotto di un malinteso. L’Islam avrebbe aiutato l’Europa a definire la sua unità politica e culturale e alcuni miti, come quelli della battaglia di Poitiers potrebbero – con le dovute cautele – essere rivisti. Storia di un rapporto fra Occidente i figli di Agar, ismailiti o saraceni che si chiamino, fatto di scontri militari e di collaborazione mercantile, come quella dei genovesi con l’emiro della capitale di al-Andalus, Granada, nel 1279. Franco Cardini Europa e Islam Editori Laterza - 356 pagine -12,39 euro

S

a cura di Pierre Chiartano


Le idee migliori sono proprietà di tutti. Seneca

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DELLE IDEE


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economia

Il salvataggio di Bear Stearns ha soltanto tamponato l’isteria sui mercati, che chiedono ai governi nuovi interventi

Le Borse tra crolli e rimbalzi di Gianfranco Polillo poi dicono delle aspettative. Il termine è entrato prepotentemente nelle analisi economiche. Robert E. Lucas, il teorico delle “aspettative razionali” con i suoi studi sull’argomento, ottenne nel 1995 il Nobel per l’economia. La potenza dei computer ha fatto il resto. Algoritmi complessi, formule in grado di padroneggiare migliaia di variabili, simulazioni statistiche sul comportamento dei mercati e calcoli probabilistici.

E

Su questi fondamenti è stato costruito un network che abbraccia tutte le piazze finanziarie: le interconnette e le coinvolge in un comune destino. Progressi che hanno moltiplicato, come in un gioco di specchi, le occasioni di investimento. I soli derivati, che nel 1998 portarono al fallimento della Ltcm (dove aveva investito anche la Banca d’Italia) e che allora erano pressoché sconosciuti, hanno raggiunto la cifra di oltre 500 mila miliardi di dollari: circa 35 volte il Pil degli Stati Uniti. Le perdite che si prevedono in questo settore oscillano tra i mille e i 3mila miliardi di dollari: più o meno l’intero Pil italiano. È da qui che si deve partire per capire il crollo improvviso delle Borse e il loro successivo rimbalzo. Il mercato si aspettava da tempo un taglio dei tassi di

interesse di 3/4 di punto da parte della Fed. La riduzione, almeno in un primo momento, è stata invece più contenuta (pari soltanto allo 0,25) e questo ha scatenato il panico. Lo ha scatenato nel resto del mondo, ma non a Wall Street, che chiude in ritardo, e si è sentita rassicurata dalle misure collaterali decise da Ben Bernanke. E dalle sue ulteriori promesse: un taglio supplementare di 50-100 punti base, che porterà i tassi di interesse reali al di sotto dello zero. Sindrome giapponese: dove da anni l’eccesso di liquidità non riesce a far uscire il Paese dalla deflazione.

Ma questi sono i

mento obbligato di studiosi ed editorialisti dei principali quotidiani americani.

J.P. Morgan ha agito come braccio secolare della Fed. Ha acquistato la banca d’affari ed è volata in borsa capitalizzando una plusvalenza del 7 per cento, in un mercato segnato dalle preoccupazioni e dagli

Tamponata negli Usa, la crisi si è scaricata sul resto del mondo. Lo dimostrano le perdite subite dalle principali piazze finanziarie. Le materie prime e il petrolio, da tempo vittime di “bolle speculative”, hanno subito una flessione. Si vende per mettersi al riparo. Per ottenere liquidità che il mercato interbancario, bloccato dalla crisi di reciproca sfiducia, non riesce a fornire. E si vende di tutto: dai titoli meno appetibili, per evitare di incorrere nel rischio di minusvalenze, a quelli più solidi, gli unici accettati dal mercato per le operazioni di rifinanziamento.

La poca liquidità spinge a vendere anche i titoli più stabili. E per l’Italia si prospetta un conto extra sulla spesa per interessi: oltre gli 80 miliardi nel 2008?

problemi del domani. Oggi si tratta di far passare la nottata. E Wall Street si è accontentata del salvataggio della Bear Stearns: la banca delle banche, al centro di un reticolo di rapporti da salvaguardare nell’interesse dell’intero sistema. Se fosse fallita l’onda d’urto avrebbe travolto strutture rese fragili da una crisi di sfiducia senza precedenti, evocando l’incubo del ’29, ormai riferi-

annunci di perdite ulteriori per i grandi santuari della finanza, come Lehaman Brothers (30 per cento), Morgan Stanley e Goldman Sachs (10-12 per cento). Lo ha fatto ottenendo fondi pubblici a un tasso di favore che comporterà un costo, a carico dell’erario, di circa 2,1 miliardi di dollari.

È un fiume in piena che travolge aziende capaci di produrre utili, come sta accadendo in Italia. Valga per tutti il caso delle Generali. E che non risparmia gli stessi titoli di Stato, da tempo in sofferenza. Nei giorni scorsi il Tesoro italiano ha visto crescere, fino a 100 punti base (l’uno per cento) il differenziale di interesse con i Bund della Germania. E lo stesso è capitato a Paesi come la Grecia e il Portogallo.

Martedì scorso, per la prima volta dall’ottobre del 1999, l’asta dei Bot a dodici mesi non è stata interamente sottoscritta. Si è dovuto ricorrere a un nuovo tentativo, qualche giorno dopo, che avuto successo soltanto dopo che il rendimento era stato alzato dello 0,5 per cento. Sono segnali inquietanti per un Paese che, secondo le ultime previsioni, dovrà pagare nel 2008 per interessi qualcosa come 80 miliardi di euro: quasi lo 0,4 per cento in più del Pil rispetto al 2006. Previsione che rischia di dimostrarsi eccessivamente ottimistica, se le tendenze in atto nell’economia internazionale dovessero continuare.

Attenzione e allarme, quindi, per gli sviluppi della crisi. Il grande vantaggio dell’ingresso nell’euro è stato quello di aver ridotto fortemente la spesa per interessi. Nel 1992, vi dedicavamo il 12,2 per cento del Pil. Nel 2005 eravamo scesi al 4,5. Oggi siamo di nuovo in crescita: la curva si è invertita. Non è un buon segnale. Se a questo si aggiunge l’ipotesi inquietante della “crescita zero”, si può avere un quadro realistico del prossimo futuro. Mentre incombe una campagna elettorale in cui i principali protagonisti sembrano non voler fare i conti con l’oste, promettendo cose che non sarà possibile mantenere.


economia

19 marzo 2008 • pagina 19

Abbandonata Malpensa, cambio di strategia sul territorio nazionale

Alitalia rilancia su Linate e sfida i piccoli aeroporti di Alessandro D’Amato

ROMA. In fuga da Malpensa, ma aumentando i voli su Linate. Con l’obiettivo, nemmeno troppo celato, di colpire i piccoli scali. Centotre su tutto il territorio nazionale e che soprattutto al Nord hanno creato molti problemi alle grandi compagnie, aprendo ancora di più il mercato alle low cost. Alitalia, come prevede il piano Prato benedetto anche da Air France, ha ridotto i voli nello scalo varesino dalle 1.238 frequenze settimanali del 2007 alle 336 del 2008. Intanto, ha deciso di aumentare di 79 voli a settimana (da 420 a 499) quelli in partenza e in arrivo nel city airport di Milano. Una scelta che non piace alle compagnie straniere che operano in Italia: «Ci mette oggettivamente in difficoltà», dice il loro rappresentante, Osvaldo Gammino, «visto che Linate ha il blocco degli slot e non potremmo mettere in atto strategie concorrenziali adeguate». Nella scelta non mancano logiche industriali. Spiega l’ex segretario della Fit Cisl Lombardia, Dario Balotta: «La compagnia di bandiera così riscopre il mercato. Al Forlanini il numero dei passeggeri è cresciuto più che proporzionalmente rispetto al numero dei movimenti». Anche se seguendo questa logica, la Magliana si ritroverà, come già in passato per Malpensa, a dover affrontare un potenziamento delle strutture di appoggio agli equipaggi: in Lombardia, infatti, staziona il 19 per cento del personale a fronte del 60 che si trova a Roma. Ma l’obiettivo principale, secondo le indiscrezioni, di Alitalia-Air France sarebbe quello di colpire i “piccoli scali”, proliferati soprattutto al Nord. Finiti sotto accusa perché hanno obbedito alla logica del “campanilismo aeroportuale” – nella quale ogni cittadina ha cercato di costruirsi il suo, finendo poi per trovarsi con realtà sottoutilizzate come il Brescia-Montichiari – i mini-aeroporti non avranno razionalizzato il sistema, ma hanno il merito di aver messo in funzione un meccanismo di “liberalizzazione indiretta”, favorendo l’entrata nel mercato di molte low cost. Queste compagnie, considerando l’arrivo dei francesi, potrebbero trovarsi in seria difficoltà. Anche perché Air France, comprando Alitalia, punterà molto sul point to point e sul drenare ancora più traf-

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Fiat e Bmw verso alleanza nei motori Fiat e Bmw studiano un’alleanza sulla costruzione dei motori. La conferma dei contatti è arrivata dal responsabile per la strategia della casa bavarese, Friederich Eichner: «Nell’ambito della nostra strategia “Number One” abbiamo deciso di vender motori a terzi e quindi parliamo anche con altri partner. Forse siamo stati visti anche in Fiat». Il Lingotto starebbe già trattando intese sulla componentistica con la Daimler. Il gruppo Bmw, invece, punta al record di vendite nel 2012 con la commercializzazione attraverso tutti i suoi marchi di 1,8 milioni di veicoli.

Lavoratori usuranti, oggi il decreto Cesare Damiano porterà in Consiglio dei ministri un decreto per definire la questione dei lavoratori usuranti. È previsto uno sconto sull’età pensionistica da 1 a 3 anni in base al grado di attività notturna. Con un numero di turni di notte tra 64 e 71 si potrà lasciare il lavoro un anno prima, arrivando fino a 78 l’anticipo sarà di due anni, oltre questo tetto il si avrà il beneficio pieno di tre anni. Il provvedimento non piace a Confindustria.

Gruppo Caltagirone raddoppia gli utili Utile netto quasi raddoppiato e ricavi in aumento del 7,3 per cento. Il Gruppo Caltagirone ha archiviato un 2007 più che positivo. Ieri il consiglio di amministrazione del gruppo ha approvato il bilancio e se l’Ebitda è salito a 61,2 milioni di euro (in rialzo del 92,4 per cento dal 2006), i ricavi hanno raggiunto quota 326,8 milioni dai precedenti 304,7 milioni. Le performance sono dovute anche ai proventi straordinari realizzati dalle cessioni di società quotate e di B2Win. Così la posizione finanziaria netta, anch’essa positiva, passa dai 288,6 milioni di euro del 2006 ai 311 milioni del 2007.

Generali pronta ad acquisizioni in Usa Generali studia acquisizioni negli Stati Uniti in alcuni settori di nicchia nel campo delle pensioni o della terza età e non in quello danni. Anche se ci si vuole espandere in «mercati ad alta crescita come l’Est Europa, l’India e la Cina». Questi i messaggi che il colosso italiano delle assicurazioni ha lanciato da Londra, dove ha presentato i conti agli analisti. A precisa domanda di Davide Serra – il gestore del fondo Algebris che anche ieri è apparso critico sulla gestione del Leone – l’Ad Giovanni Perissinotto ha spiegato che l’investimento in Telecom è giustificato dal fatto che «il settore è strategico e la società è ricca di cash flow».

Progetti di espansione per Finmeccanica

In Italia 103 scali. Il viceministro De Piccoli: «Air France non potrà pretendere gli stessi privilegi della Magliana» fico dal Mediterraneo verso lo Charles de Gaulle. E in questa logica le piccole realtà aeroportuali sono un fastidio.

Il settore non avrebbe gradito che ieri il governo – assieme con il via libera agli ammortizzatori sociali per i lavoratori di Malpensa – abbia intimato alla Sea di ritirare il ricorso contro Alitalia. Si ritiene che con un passo indietro della società, Air France avrebbe maggiore moral suasion sugli aeroporti italiani. E il primo step è presidiare Linate.

Questi propositi rendono il clima ancora il clima ancora più teso (come dimostrano gli scontri di ieri a Roma tra lavoratori e polizia, mentre Spinetta presentava il piano ai sindacati). Non a caso il viceministro ai Trasporti, Cesare De Piccoli, avverte «Air France, che non può pretendere di rilevare il nostro vettore nazionale e dettare le condizioni, godendo però delle protezioni che Alitalia aveva in qualità di compagnia di bandiera. Eppoi Malpensa deve essere messa nelle condizioni di trovare il proprio futuro, muovendosi liberamente sul mercato». In più, De Piccoli ricorda che «a Linate c’è un limite fisiologico sui passeggeri motivi ambientali, che va rispettato. Come concordato con gli enti locali i passeggeri non potrebbero superare i 6 milioni all’anno, invece siamo quasi a 10 milioni. E con Air France la situazione può soltanto peggiorare».

Grandi progetti per Finmeccanica nel medio termine. Il gruppo guidato da Pier Francesco Guarguaglini, sull’onda degli ottimi risultati del 2007, ha annunciato da qui al 2010 investimenti per 4,2 miliardi di euro nel comparto degli elicotteri, nell’aeronautica e nei sistemi elettronica per la difesa. L’azienda spera di concludere con successo la gara da 15 miliardi di dollari per la fornitura di 140 elicotteri al Pentagono oltre a realizzare a breve nuove piccole acquisizioni in Gran Bretagna e Usa. A domanda sul suo futuro a fronte del prossimo governo, Guarguaglini ha replicato: «La mia strategia è stata la mia strategia». E ha annunciato che, nonostante lo slittamento dell’assemblea, il dividendo sarà pagato come previsto a giugno senza rinvii.

Jean Todt lascia la carica di Ad di Ferrari Dopo l’incarico di direttore sportivo Jean Todt, l’uomo che ha accompagnato gli ultimi successi di Maranello, ha deciso di abbandonare anche la carica di amministratore delegato. La decisione è stata comunicata al consiglio d’amministrazione di lunedì sera, che anche nominato come suo sostituto Amedeo Felisa, confermato alla presidenza Luca Cordero di Montezemolo e comunicato un bilancio da record per il 2007: 266 milioni il risultato della gestione ordinaria.

Bilancia commerciale in crisi Petrolio e gas mandano a picco la bilancia commerciale italiana, che a gennaio segna un deficit di 4,219 miliardi di euro. Con il prezzo del barile oltre i 100 dollari, il valore delle importazioni di greggio è aumentato a gennaio del 50,6 per cento, mentre per il gas naturale l’incremento e’ stato del 10,7. Il saldo commerciale dei soli minerali energetici, rileva l’Istat, è stato così negativo per 5.692 milioni rispetto a un deficit di 4.278 milioni del gennaio 2007.


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arte

In esposizione fino al 29 giugno al Vittoriano la sua produzione durante e dopo il viaggio italiano

E il Bel Paese ”salvò” Renoir di Olga Melasecchi utto ciò che esiste - scriveva Renoir - vive; tutto ciò che vive è bello; tutto ciò che è bello merita di essere dipinto», e quindi la realtà tutta che ci circonda è bella e merita di essere dipinta. Questa testimonianza di amore per la vita, e per la bellezza come manifestazione esteriore dello spirito vitale, ci arriva chiara ed esplicita dalle opere del grande maestro francese, Pierre-Auguste Renoir (Limoges 25 febbraio 1841 Cagnes sur Mer 3 dicembre 1919) esposte fino al 29 giugno al Complesso del Vittoriano a Roma. Nel titolo della mostra, Renoir. La maturità tra classico e moderno, è racchiuso il taglio che si è voluto dare all’esposizione, che analizza la produzione dell’artista durante e dopo il suo viaggio in Italia dall’ottobre del 1881 al gennaio del 1882, con il preciso scopo di meditare sulle opere dei grandi maestri italiani del Rinascimento già conosciuti e studiati al Louvre dove, fin da giovane, quando era pittore di porcellane, amava rifugiarsi nei momenti di libertà. La soglia dei quarant’anni coincide per Renoir con un momento di pausa e di riflessione sul senso della sua pittura e, in particolare, con la tecnica impressionista che sembra non soddisfarlo più: «Avevo spremuto l’impressionismo quanto più potevo - scrive - ed ero giunto alla conclusione che non sapevo né disegnare né dipingere. In una parola, l’impressionismo era, per quanto mi riguardava, in un veicolo cieco».

si e spensierati del periodo parigino prima degli anni Ottanta, e tra questi il famoso Ballo al Moulin de la Galette, Renoir si era adeguato volentieri al gusto dei mercanti più all’avanguardia, aderendo a scelte che erano anche di pittori come Degas e Toulouse-Lautrec, ma gli effetti di luce transitori, il tradurre in pittura solo «impressioni» della realtà effimera non era più per lui fonte di piacere, dal momento che la pittura era per Renoir piacere puro: aveva nostalgia della forma. Ammiratore di Ingres, agli inizi della sua carriera d’artista aveva dipinto opere improntate al

Egli sente dunque di non possedere

classicismo del più autorevole portavoce della posizione accademica in Francia, ma sempre con un occhio aperto alla modernità, e nel contempo dichiarava di essere innamorato della pittura del Settecento francese, di Watteau e di Fragonard. Due stili antitetici, ma che Renoir, dopo il suo viaggio in Italia, volle fondere in uno, come dirà alla fine del 1888: «Sono tornato al mio vecchio tocco morbido e leggero e non lo abbandonerò mai più».

«T

più il giusto «linguaggio» per esprimere la sua rinnovata visione della realtà, in poche parole viene in Italia in cerca di una nuova luce. Questo suo ritorno all’ordine, come veniva visto, secondo la nota consuetudine tra gli artisti d’oltralpe, il Grand Tour, il viaggio di studio in Italia, si poneva in contraddizione con sue precedenti posizioni anti accademiche, ma, si sa, entrare in contraddizione con se stessi è proprio delle menti libere e assetate di conoscenza. È possibile che questa crisi sia stata in lui innescata dalla crisi e dal cambio di rotta, rispetto alla pittura impressionista, che prima di lui aveva interessato Cézanne, al quale era legato da profonda amicizia e per il quale provava una venerabile ammirazione, come viene ben chiarito nel saggio di Christopher Riopelle in catalogo, edito da Skira. Nei dipinti gioio-

delle traduzioni pompiers del Louvre, alla ricerca di un’arte che fosse riflesso di impulsi eterni, non momentanei. Illuminato sulla tradizione classica delle tecniche artistiche dal Trecentesco manuale di Cennino Cennini, cerca in Italia la bellezza della pittura in affresco, e la trova nei dipinti di Raffaello alla Farnesina, e nella pittura pompeiana al Museo Archeologico di Napoli. Il gusto della forma che aveva percepito nei nudi di Ingres e nel disegno rotondo delle Madonne di Raffaello al

Le Bagnanti sono le opere più emozionanti della mostra romana: a sinistra la ”Bagnante che si asciuga la gamba destra” (1910); in alto le ”Fanciulle al piano” (1889) e in basso il ”Ritratto di Henry Prignot” (1882)

La sua fu una ricerca intensa della pittura vera, «dei Raffaello» diceva, di un’arte che fosse riflesso d’impulsi eterni

Il viaggio in Italia si rivela dunque un punto di svolta nella pittura del maestro francese, alla ricerca della pittura vera, «dei Raffaello», come diceva lui, stanco

Louvre, lo ritrova inondato di luce nel Trionfo di Galatea e nelle divinità della loggia di Amore e Psiche nella villa sul Tevere, così come ritrova, nelle scene vivaci e informali tratte dalla mitologia classica delle pitture di Pompei ed Ercolano, lo spirito delle arti decorative del Settecento francese ma ammantate di eternità: esse evocavano per lui, come

ricorda il figlio Jean, il futuro regista, «un’eternità quotidiana, osservata dal più vicino angolo di strada». In entrambi i casi, protagonista delle scene da lui ammirate era sempre la figura femminile nuda, che diventa per Renoir un’icona, la summa di tutta la bellezza terrena.

Davanti ai nudi delle grandi Bagnanti, dipinte intorno al 1910, le opere più moderne ed emozionanti della mostra romana, non possiamo non condividere le parole del critico Camille Mauclair che nel 1903 scriveva: «La donna di Renoir proviene da un mondo fantastico e primitivo; è una creatura candida e selvaggia, che sboccia nella boscaglia profumata. (...) È una donna voluttuosa, energica, florida e innocente, con un corpo vigoroso, la testa piccola, gli occhi spalancati, irriflessivi, lucenti e ignari, le labbra rosso sangue e le narici dilatate; è un essere gentile, come le donne di Tahiti, nate in un clima tropicale in cui il vizio è sconosciuto quanto la vergogna, e la totale ingenuità è una garanzia contro qualsiasi indecenza. Non si può non restare attoniti di fronte a questa combinazione di “giapponismo”, primitività e gusto settecentesco». Fonte di ispirazione per questo modello carnale di «eterno femminino» erano, com’è ovvio, Rubens e Tiziano, e con quest’ultimo Renoir aveva una sorta di identificazione, non solo nel possedere la medesima pennellata libera e colorata, ma anche nell’aspetto fisico - è sorprendente la somiglianza tra l’anziano Renoir e il Tiziano degli ultimi autoritratti! La solarità delle opere esposte in mostra, dalle molte figure femminili, ai paesaggi, ai dolci ritratti dei bambini, alle nature morte, alle sculture realizzate negli ultimi anni della sua vita, è il risultato dell’aderenza di Renoir alla classicità dello spirito mediterraneo, anticipando Picasso, che è un inno alla gioia, un vero inno alla vita: «I nudi e le rose (di mio padre) ricordava sempre il figlio Jean - palesavano agli uomini di questo secolo, già immersi nella loro missione distruttiva, la stabilità dell’eterno equilibrio della natura».


cinema

19 marzo 2008 • pagina 21

Due film per i ragazzi e per i loro genitori che vogliono tornare a essere ”ingenui”

Tra folletti, orchi e leggende degli abissi di Roberto Genovesi ortare i bambini al cinema può essere una scelta da prendere in considerazione nei prossimi fine settimana alla luce dei titoli che stanno uscendo nelle sale in questi giorni. Due le scelte che paiono particolarmente interessanti e legate all’universo del fantastico. Folletti, hobgoblin, brownie, boggart e orchi sono i protagonisti di Spiderwick, film fantasy diretto da Mark Waters e ispirato ai romanzi di Tony DiTerlizzi e Holly Balck. Un ispirato Freddie Highmore dona le sembianze ai gemelli Jared e Simon che, assieme ad una mamma da poco separata e alla sorella più grande si trasferiscono in una tenuta un tempo abitata da uno squinternato scienziato che ha passato quasi tutta la sua vita a studiare e a catalogare le diverse razze del cosiddetto piccolo popolo. La ‘’bibbia’’ scritta da Arthur Spiderwick cade nelle mani di Jared, il più sveglio dei gemellini e la rottura del sigillo che la custodisce disturba gli equilibri tra le forze del bene e quelle del male riportando la villa e i suoi nuovi proprietari al centro di un conflitto mai sopito. Il film è girato con ritmo frizzante e particolarmente adatto ad un pubblico di preadolescenti. I temi affrontati tra le righe del fantasy, come di consueto, sono quelli condivisibili da chiunque come il valore delle figure genitoriali, della coesione della famiglia, dell’importanza delle persone anziane anche quando sembrano un po’ uscite di senno e della forza del sogno anche in una società come quella attuale in cui la multimedialità e la tecnologia sembrano aver affrettato eccessivamente i tempi riducendo progressivamente l’importanza della comunità di affetti. Gli effetti speciali, realizzati inte-

che ha perso il papà in guerra. La mamma e la sorella maggiore non riescono a colmare il vuoto provocato dalla perdita di un genitore che, come spesso accade tra figlio e padre nella prima fase di crescita, è stato quasi idolatrato.

P

A portare di nuovo il sorriso sulle labbra del piccolo orfano ci penserà il ritrovamento di un uovo dal quale uscirà un cucciolo di drago marino, figura mitica dai più considerata solo protagonista di vecchie leggende che passerà da un barile pieno d’acqua alla vasca da bagno per poi trovare naturale dimora nel grande lago accanto al villaggio. Il rapporto tra Angus e il drago marino è costruito con grande delicatezza e riesce a toccare le corde del cuore grazie alla costruzione di un ‘’mostro’’ credibile e umanamente empatico realizzato dai maker degli effetti speciali del Signore degli Anelli e delle Cronache di Narnia. La storia fila via con grande linearità e pochi scossoni, ma è molto godibile e si esce dal cinema con la stessa sensazione di ‘’pienezza’’ emotiva che si provava dopo la visione dei grandi classici della Disney di un tempo. La magia come chiave di lettura dei problemi quotidiani è sicuramente il comun denominatore di entrambe le pellicole. La prima più adatta ai bambini che già hanno dimestichezza con i card game come Magic, con i giochi di ruolo come Dungeons & Dragons e con i primi videogiochi fantasy. La seconda per i bambini un po’ più piccoli che sono ancora intrappolati nel sogno delle grandi favole. Entrambe divertenti anche per quei genitori che vogliano, almeno per un paio d’ore, tornare ad essere ‘’ingenui’’ come i loro figli. Più efficaci e meno costose di una seduta dallo psicoanalista.

Spiderwick è più adatto ai giovani che hanno dimestichezza con i card game, mentre The Water Horse è una grande favola

Spiderwick, diretto da Mark Waters e sceneggiato da David Berenbaum, nasce da una serie di libri scritti da Tony DiTerlizzi e Holly Black. Protagonista è Freddie Highmore, il Charlie della fabbrica di cioccolato burtoniana, che interpreta due gemelli che, assieme alla sorellina, scopriranno come attorno alla loro casa vivano creature fantastiche di ogni tipo

ramente al computer, sono ben realizzati e la fauna fantastica particolarmente ispirata. La storia è divertente, ma intuibile negli sviluppi. Un film per bambini a lieto fine in cui i conflitti sono sviscerati in modo da attirare i più piccoli e coinvolgerli nel narrato senza turbarli più di tanto.

Se vi capita di passare accanto al laghetto dell’Eur di Roma non spaventatevi se vi sembra di vedere un drago emergere dall’acqua. Si tratta infatti della trovata pubblicitaria studiata dalla Sony per preparare il pubblico all’uscita di The Water Horse, la leggenda degli abissi. Il film è chiaramente ispirato alla storia del mostro del lago di Loch Ness, ma il racconto è collocato nel pieno del secondo conflitto mondiale. Una storia di crescita e maturazione individuale raccontata con levità e garbo e molto adatta ai più piccoli. Angus è un bambino


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LA DOMANDA DEL GIORNO

È giusto boicottare le Olimpiadi di Pechino? CERTAMENTE DEVONO ESSERE BOICOTTATE, I DIRITTI UMANI VALOGONO PIÙ DI TUTTO IL RESTO Ho pensato a lungo, in questi giorni, all’immane tragedia che sta colpendo il Tibet e, soprattutto, il suo popolo. Un popolo che, ed è bene chiarirlo, non chiede la secessione o l’indipendenza dalla Cina, bensì la possibilità di non veder soffocati i propri diritti umani e la possibilità di mantenere vive la proprie tradizioni culturali, linguistiche e religiose. E mi sono chiesto, ovviamente, se per dare un segnale forte al regime cinese fosse opportuno o meno boicottare i Giochi della XXIX Olimpiade, che si apriranno a Pechino il prossimo 8 agosto. Sentendo poi, quanto dichiarato dal Dalai Lama, ”l’incarnazione del dialogo, del desiderio e della ricerca della pace ovunque”, contrario al boicottaggio e pronto, addirittura, a dimettersi, mi sono sentito molto toccato dalle sue parole; anche perché egli è in questa situazione e rappresenta la voce più autorevole e che si esprime unicamente per amore della sua terra. Tutto questo perché la mia idea è che occorre boicottare le Olimpiadi di Pechino del prossimo agosto. Solo così, forse, la Repubblica Popolare Cinese si accorgerà di quanto la crescita economica e indu-

LA DOMANDA DI DOMANI

striale che sta avendo in questi anni non conta nulla se a farne le spese sono persone in carne ed ossa, se a farne le spese sono popoli sfruttati ed oppressi nei propri più elementari diritti umani. Credo davvero che le Olimpiadi debbano essere boicottate: per dare un segnale al mondo che i diritti umani e le libertà dei popoli contano più di tutto il resto.

Roberto Marraccini Arese (Mi)

NON SI POSSONO CELEBRARE I GIOCHI MENTRE SI CALPESTA LA DIGNITÀ DELL’UOMO Celebrare i Giochi olimpici 2008 a Pechino avrebbe senso se questo volesse dire compiere dei significati passi in avanti verso la tutela dei diritti umani fondamentali. La realtà purtroppo è un’altra: il governo di Pechino non mostra il minimo segnale di cambiamento e il rischio di celebrare negli stadi l’evento sportivo per definizione, mentre nelle strade si calpesta la dignità dell’uomo è sempre più alto. Sappiamo che l’Ue ha annunciato di non considerare la possibilità di un eventuale boicottaggio, ma se i governi e le organizzazioni internazionali non sapranno interrogarsi sulla questione della tutela delle libertà individuale in Cina, sarebbe bene che i popoli raccogliessero queste istanze e boicottassero i Giochi olimpici.

Marco Valensise - Verona

SENZ’ALTRO NON SAREBBE SBAGLIATO, MA MI CHIEDO: SERVIREBBE DAVVERO?

Dopo il ritiro da Mitrovica, a cosa serve l’Onu? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Certo l’occasione sarebbe invitante. Ma mi chiedo: serve davvero? Negli anni della guerra fredda ci fu il boicottaggio da parte Usa alle Olimpiadi di Mosca e, se non ricordo male, l’omaggio fu poi ricambiato. Insomma non successe proprio nulla. Il muro di Berlino cadde molti anni dopo e certamente non per il boicottaggio Usa. Diciamocelo francamente, credo sia pura ipocrisia, se poi pensiamo il Presidente del Consiglio e i vertici di Confindustria si recano a firmare contratti commerciali senza alcun riferimento ai diritti civili di un popolo oppresso.

UN’ALTRA OCCASIONE PERSA Mi rammarico nel vedere che la classe politica del centrodestra sia inadeguata; lo sono i vertici, lo sono i quadri intermedi. Stanno emergendo tutte le lacune degli ultimi 10 anni. E’ mancato quel salto di qualità ed è mancato quel collante formato dalle ideologie e dalle regole certe. Si è perpetuato in dietrologie, finendo di distruggere quel tessuto sociale e quel connettivo che in maniera sporadica rimaneva qua e là. Il dramma è che questo non è dovuto a scelte mirate e a qualche strategia, ma alla mancanza di cultura politica. Prova né è quello che dice Berlusconi: insistere nel dire voto inutile quello che non viene attribuito a una forza grande con più aspirazioni di vittoria, relega il voto a sola esercitazione di potere svuotandolo di tutti i contenuti politici e sociali che ogni singolo voto ha. Se usassimo la stessa logica, sono inutili i voti dati alle persone non largamente facoltose, è inutile votare per disabili, pensionati, per chi da anni fa battaglie sociali. Sono forse stati inutili i sacrifici che sembravano perdenti in partenza, ma che con il tempo

ELEFANTE STELLARE A 2.400 anni luce dalla Terra se ne sta la nebulosa ”Proboscide d’elefante”, così chiamata per via della forma allungata. A sentir gli esperti è ”un’incubatrice spaziale in cui di continuo nascono nuove stelle”. PENSIONI, SIAMO DI NUOVO IL FANALINO DI CODA DELL’UE Purtroppo siamo il fanalino di coda dell’Europa ma continuiamo a dare retta ai bertinottiani per rimanerci. In quasi tutti i Paesi europei si va in pensione dopo di noi. Esempio: in Austria a sessantacinque anni con anzianità lavorativa dai quaranta ai quarantacinque anni; a sessantacinque anni anche in Danimarca, Finlandia, Spagna, Germania. E sono tutti Paesi che stanno meglio di noi, che non hanno il baratro che abbiamo noi all’Inps. E’ vero che troppi giovani non riescono ad avere un posto di lavoro, ma non è mandando gli altri in pensione precoce che si può risolvere efficacemente il problema. Non ci dimentichiamo che l’età media della popolazione si sta progressivamente ele-

dai circoli liberal Giulio Savelli - Roma

hanno scritto la storia? A che servirebbe la campagna elettorale del porta a porta? Ci arriva più facile e più convincente quella dei mass media, inutile costruire progetti per il futuro, inutile ricercare gente onesta se non fa parte dei vincenti, inutile scuotere le coscienze se non sono quelle che vanno per la maggiore. E non è allora forse inutile andare a votare? Intanto nel Pdl, le armate si sono unite ma non si sono sciolte, non si sa come saranno amalgamate. Lo saranno con colpi di decisionismo verticistico e in maniera separata come avvenuto per le candidature? In poche parole hanno unito la dote, sono andati a vivere insieme e si comporteranno subito come separati in casa? Oppure daranno vita a uno sconvolgente sconquasso di democratica memoria? E se sarà così, come si collocheranno tutti gli eletti? Non potranno certo essere delegittimati subito dopo il voto, ma non dimostrano, salvo qualche rara eccezione, di essere adeguati a confronti democratici in relazione alla pertinenza territoriale. Il centrodestra italiano è ancora in grande ma problematica evoluzione. Non resta che augu-

vando e quindi trovo giusto allinearci ai Paesi europei anche in questo. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sul vostro giornale. Distinti saluti.

Maria Grazia Genovese Alessandria

I LIBRI DI FRANCO SERVELLO Gentilissimo direttore, leggo con molta soddisfazione su liberal il risultato del colloquio avuto lunedì con il vostro Errico Novi.Tengo solo a precisare il titolo del libro che ho pubblicato un anno e mezzo fa per Rubbettino, 60 anni in Fiamma, e di quello in uscita nelle prossime settimane, che è semplicemente Almirante. Grazie e a presto.

Senatore Franco Servello presidente dell’Assemblea nazionale di An

rarci che domani ci sia una sana competizione tra il Pdl e l’Udc per fare il grande cambiamento, vediamo chi è più bravo a ripartire, organizzando il partito delle regole certe, dove emergono buona politica e meritocrazia, e dove tutti, tutti i giorni, si mettono in discussione senza paura, forti delle idee e della loro potenza. Niente più reti per nessuno, i bravi non ne hanno bisogno. Ci spero. Luciano Caciolo PRESIDENTE CIRCOLO LIBERAL ROMA PROVINCIA

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 28 MARZO 2008 Ore 11, presso l’Università Gregoriana, in piazza della Pilotta 4 Riunione mensile nazionale di tutti i Presidenti dei Circoli Liberal.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Guardare la vita e scegliere di andarsene Caro Amore, fa che sul mio viso non scompaia mai il tuo sorriso, il tuo amarmi e il mio non voler... cosa? Farmi amare, forse. Farti soffrire, probabilmente. Me ne andrò dalla tua vita, per non farci del male, per non urtarci con i nostri ricatti morali. Quando verrà la tua assenza mi sentirò impreparata, ancora legata a te. E tu che cosa farai? E io, su quale cuscino scioglierò i miei capelli? Dove porterò quel sorriso e la mia valigia piena di vestiti che conosci? Amore mio, fermami da questi pensieri troppo fragili, da queste fiale troppo complici, dai sorrisi troppo ironici, dalla troppa solitudine. Guardare la vita, guardarla attentamente e tentare di comprenderla al fine di amarla e scegliere di metterla da parte, di andarsene insieme a quello che ci ha legati, alle parole. L’amore, l’oblio, insieme alle ore, quelle ore che non avranno più sorelle. E scegliere di andarsene... per sempre. Virginia Woolf a suo marito Leonard

LO ”SCONTRINO PARLANTE” E LA TRUFFA AL CONTRIBUENTE Prima di compilare il Mod.730, mi sono dedicato ad un’attenta disamina delle relative istruzioni per non commettere errori sanzionabili. Ebbene, ho scoperto ” la perla dello scontrino parlante”. Noi tutti abbiamo letto l’avviso esposto in ogni farmacia che ci ricorda cha dal 1 gennaio 2008, al fine di dedurre le spese mediche, queste devono essere certificate dallo scontrino, parlante appunto, in cui vengono specificate natura, qualità e quantità dei medicinali, nonché codice fiscale del destinatario. E invece no, dalle istruzioni allegate al mod.730 scopriamo che la nuova procedura va in vigore dal 1 luglio 2007, con la possibilità, se lo scontrino non è parlante, di riportare a mano il codice fiscale, ma ”a questo deve essere allegata l’attestazione del farmacista in cui vengono specificate la natura, la qualità e la quantità dei farmaci venduti”. Ma quale farmacista, se onesto, rilascia ora per allora, la suddetta attestazione? Questa procedura nascosta ai più, anzi alla quasi totalità dei cittadini, costituisce lotta all’evasione, ovvero altro non è che truffa di Stato ai danni

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

del contribuente (per i nostri governanti sempre evasore). Ma c’è un’altra presa in giro. Dai Media abbiamo appreso che sarebbero state deducibili le spese di abbonamento per i mezzi di trasporto pubblico. Ebbene di questa misura né nel 730/2008 né nelle relative istruzioni v’è traccia. Ogni commento sulle capacità di questo governo è superfluo.

M.C. - Roma

PD: SE QUESTO È IL ”NUOVO” ALLORA È MEGLIO FERMARLO Mi risulta che Panella abbia fatto un sit-in di fronte all’Ambasciata cinese, per protesta contro le stragi sistematiche condotte in Tibet verso popolazioni inermi. Invece di andare all’Ambasciata cinese, il cui governo è responsabi-

le di questi misfatti, ben sapendo che la manifestazione non avrebbe lasciato traccia, perché non ha seguito un’altra strada? Si poteva recare da Prodi o da Veltroni, e chiedere spiegazioni sulle iniziative prese contro la Cina: nessuna. E di chi è alleato Panella? Di questi signori. E allora, troppo comodo, caro Panella. Come lo vogliamo chiamare, ”un colpo al cerchio e”... o meglio ”non c’è peggior sordo di chi”.... Bel contributo viene dato alle ingiustizie dal nuovo che avanza. Meglio fermarlo, se questo è il nuovo.

Paolino Di Licheppo - Te

PACIFISTI (VERI) D’ITALIA ADESSO FATEVI SENTIRE Sono una settantenne pacifica e pacifista. Apprezzo le manifestazioni pro pace, anche se mi disturba vedere andare a fuoco, grazie agli ”amici pacifisti”, le bandiere di stati liberi. Mi piace vedere sfilare frati, politici, sindacalisti di tutti i tipi. Ma dove saranno finiti in questi giorni di manifestazioni pacifiche del popolo tibetano? Pacifisti d’Italia fatevi sentire. E mi raccomando: non bruciate la bandiera cinese, simbolo di democrazia, diritti umani e antimperialismo.

Maria Giovanna Bodo

PUNTURE Ramona Badescu, candidata al comune di Roma con Alemanno, ha detto: “Mi voleva Rutelli”. Non solo Rutelli.

Giancristiano Desiderio

L’ingiustizia è relativamente facile da sopportare; quella che proprio brucia in realtà è la giustizia HENRY LOUIS MENCKEN

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di ULTIMATUM SCADUTO, SILENZIO DAL TIBET SIGILLATO E’ scaduto l’ultimatum lanciato dalle autorità cinesi ai ribelli tibetani per consegnarsi spontaneamente, ma per ora dal Tibet giunge solo un inquietante silenzio. A Lhasa, già molte ore prima della scadenza erano partite le retate casa per casa, e centinaia di giovani sono stati fatti sfilare, ammanettati, per le principali strade della città. Intanto, le proteste studentesche sono proseguite anche ieri nelle altre province del ”Tibet storico”, amputate dopo l’invasione militare del 1950 e incorporate in quelle cinesi di Qinghai, Gansu e Sichuan. A Ngaba sarebbero rimasti uccisi sotto i colpi della polizia tra i 15 e i 18 manifestanti. Persino a Pechino un piccolo gruppo di studenti tibetani ha dato vita a un breve sit-in di protesta. Il regime cinese ha sigillato il Tibet. Staccate le linee dei telefoni sia fissi che mobili e inaccessibile internet, mentre in tutta la Cina sarebbe bloccato l’accesso a siti come YouTube, Cnn, Bbc e ad altri mezzi di informazione occidentali. (…) Espulsi anche una quindicina di giornalisti di Hong Kong appartenenti a sei organi di informazione diversi tra televisioni, radio e carta stampata. Una decisione definita ”inaccettabile” dall’associazione della stampa di Hong Kong, in aperto contrasto con le nuove norme del governo di Pechino che avrebbero dovuto consentire una più libera circolazione degli operatori dei media in vista dei Giochi olimpici. Anche agli staff di ong internazionali è stato ordinato di lasciare Lhasa entro lo scadere dell’ultimatum. Pechino ha rifiutato categoricamente l’in-

vio di osservatori internazionali in Tibet, ribadendo che i disordini nella regione autonoma «sono un affare completamente interno». Mentre il Parlamento tibetano in esilio parla addirittura di centinaia di vittime, e da Dharamsala giungono testimonianze di manifestanti «uccisi come cani», il governatore del Tibet e un portavoce del Ministero degli Esteri cinese continuano a ripetere che «non è stato sparato un solo proiettile». Eppure, nonostante il divieto di scattare fotografie e la censura del web, alcune raccapriccianti foto su internet mostrano chiaramente i fori di entrata dei proiettili su alcuni cadaveri.

JimMomo jimmomo.blogspot.com

IO STO CON IL TIBET Oggi della Cina l’Occidente sa tutto: metodi, campi di concentramento, numero di morti, numero di diritti negati, numero di diritti violati. Ma non ci basta, questa volta l’Occidente andrà a Pechino per mero interesse economico. Senza rimorsi, poichè l’adulto occidentale uscito dal massacro totalitario del novecento ha insegnato a suo figlio a non avere valori, a non fidarsi di nulla e nessuno se non del proprio istinto economico. Compriamo magliette cinesi sotto il prezzo di costo; non ci importa della loro provenienza, non ci importa sapere se prodotte in un Lao Gai da un prigioniero politico detenuto per un reato commesso dal nonno. Perchè mai l’Occidente, arrivato a questo punto di miseria morale, dovrebbe boicottare Pechino?

Liberamente Charlie liberamentecharlie.blogspot.com

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO ROMA. «Non dimenticherò mai quel giorno maledetto che ha segnato per sempre me e la mia famiglia. Mi chiamò un amico di Gabbo. Mi disse che qualcuno aveva sparato a mio fratello. Fu come entrare in un incubo. Ancora oggi non riesco a spiegarmi che cosa possa aver spinto un agente a fare fuoco su quella macchina». Cristiano Sandri, 34 anni, avvocato penalista, dormiva la mattina dell’11 novembre. Oggi, a quattro mesi dalla morte del fratello, sarà allo stadio assieme al padre per il derby, per una partita che vale molto di più dei tre punti. «Della nostra storia quasi non se ne parla più perché, ovviamente, sono coinvolte le istituzioni e di conseguenza dà fastidio. Però la gente ci da coraggio e forza, ci rendiamo conto che abbiamo il paese al nostro fianco e questo match per noi è una grande occasione».

«Gabriele è stato vittima di un gesto assurdo. Il nostro è un impegno contro la violenza. Si tratta di un progetto impegnativo, vogliamo mandare un messaggio positivo sul valore della vita, contro la violenza. Speriamo che da una tragedia come questa possa nascere una riflessione collettiva» Questa sera suo padre seguirà il primo tempo in curva sud. Avete preso insieme questa decisione? È stato lui a volerlo. Il problema è che i tifosi molto spesso sono descritti come chissà cosa, quando invece sono semplici cittadini con una testa e un cuore. È per questo che papà oggi tornerà allo stadio dopo tanto tempo, per dare un segnale forte a tutti. Segue ancora il campionato?

Gabriele Sandri fu ucciso l’11 novembre all’autogrill di Badia al Pino. Questa sera il capitano della Roma, Francesco Totti, deporrà sotto la curva Nord un mazzo di fiori, dall’altra parte - in curva Sud ci saranno Giorgio Sandri e Gabriele Paparelli, due tifosi laziali costretti a condividere un dramma infinito

Stasera, in occasione di Lazio-Roma, sarà presentata la Fondazione Sandri

Voglio un derby per

GABBO, MIO FRATELLO colloquio con Cristiano Sandri di Cristiano Bucchi Devo dire che da quella domenica di novembre sono cambiate molte cose. Non ho più quella voglia di divertirmi, anche perché quella del calcio era la prima passione che condividevo con Gabriele. Quello di oggi sarà un derby diverso? Credo di sì. Mi auguro che per una volta possano essere più importanti il pubblico che gli stessi protagonisti che scenderanno in campo. Sarà una partita nel ricordo di Gabbo. Quella di oggi è un occasione per far capire che i tifosi sono brave persone. Io sono cresciuto in curva, e oggi sono un avvocato, una persona normale, non un troglodita. Gabriele cosa le raccontava delle trasferte? Seguivamo la Lazio insieme. Non avevo bisogno dei suoi racconti. Sapevo benissimo come trascorreva le sue domeniche in trasferta. Era veramente un ragazzo spensierato, positivo e non un violento come qualcuno vorrebbe far credere. Nei confronti dell’agente Spaccarotella è stata confermata l’accusa di omicidio vo-

lontario. Si sente più tutelato? Credo che questa imputazione sia l’unica possibile da elevare nei confronti di quella persona. D’altronde qui ci troviamo di fronte ad un agente che, senza perdere tempo, ha impugnato una pistola e nel bel mezzo di un autostrada ha esploso due colpi ad altezza d’uomo. Se avesse la possibilità di incontrare Spaccarotella cosa gli chiederebbe? Forse non gli chiederei niente. Per quanto possibile lo guarderei negli occhi. Il capo della polizia, Antonio Manganelli ha preso a cuore questa vicenda e si è impegnato affinchè sia garantita la massima trasparenza. Manganelli è stato fin dall’inizio molto diretto ed esplicito. Si è assunto le proprie responsabilità, senza perdere tempo. Credo abbia tenuto un comportamento esemplare. A detta di alcuni testimoni furono proprio Gabriele e i suoi amici ad aggredire all’autogrill di Badia al Pino quattro tifosi juventini. Mi hanno raccontato di una zuffa durata pochi

secondi. Subito dopo mentre si allontanavano sono stati esplosi due colpi di pistola. I ragazzi che viaggiavano con mio fratello quando hanno sentito il vetro infrangersi, hanno pensato ad un sasso. Il derby sarà anche l’occasione per presentare ufficialmente la Fondazione Sandri. Si tratta di un progetto impegnativo, vogliamo mandare un messaggio positivo sul valore della vita. Gabriele è stato vittima di un gesto assurdo. Il nostro è un messaggio contro la violenza, perché è la violenza che uccide nelle fabbriche, ma anche sulle strade. Speriamo che da una tragedia come questa possa nascere una riflessione collettiva. Si aspettava tutta questa partecipazione? È stata proprio questa vicinanza a permetterci di andare avanti. Sono state soprattutto le testimonianze reali a darci la forza di cui avevamo bisogno, senza distinzioni di squadre o di colori politici. C’è stato un abbraccio da parte della gente che non dimenticherò mai.


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