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9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80322
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
di Ferdinando Adornato
Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma
Il caso Alitalia scuote la campagna elettorale. Berlusconi promette una cordata italiana entro pochi giorni. La speranza è che ora la politica non strumentalizzi una vicenda così importante per qualche voto in più
Scontro in volo alle pagine 2 e 3
Oggi il supplemento
MOBY DICK SEDICI PAGINE DI ARTI E CULTURA
parla Segni
«IL BIPARTITISMO MACALUSO: A CUI PENSAVO «IL VOTO NON CANCELLA NON È CERTO QUESTO» LA CRISI ITALIANA» Renzo Foa
SABATO 22
MARZO
intervista
a pagina 4
Errico Novi
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
a pagina 9
52 •
Creato L’eugenetica dietro l’angolo Assuntina Morresi, Alessandra Di Pietro, Carlo Bellieni, Gabriella Gambino
WWW.LIBERAL.IT
da pagina 12 • CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 25
19.30
pagina 2 • 22 marzo 2008
scontro
in volo
Berlusconi: «Un gruppo ”made in Italy” in tempi brevi». Veltroni: «In 48 ore, non il 14 aprile»
Alitalia finisce nel business della campagna elettorale di Susanna Turco
ROMA. «O si fa Alitalia o si muore. Ormai sono impegnato io, quindi si fa». Così la vicenda della compagnia di bandiera, tra i moniti di chi avrebbe voluto evitarlo, finisce dritta dritta nel tritacarne della campagna elettorale. Se da tutto il bailamme uscirà o meno un’alternativa vera al piano di Air France è presto per dirlo. Di certo, atteggiandosi a novello Garibaldi, Silvio Berlusconi proclama «Alitalia o si muore», conia lo slogan «Rialzati, Alitalia!» e conferma la volontà di mettere in piedi una cordata italiana alternativa all’offerta di Air France che, dal prossimo Presidente del Consiglio, annuncia il Cavaliere trattando il passaggio alle urne come una mera formalità, avrà in risposta «un secco no». Intanto è dall’attuale inquilino di palazzo Chigi che arriva un’asciutta messa a punto. Ambienti di Palazzo Chigi fanno sapere, infatti, che il governo non intende farsi trascinare nella polemica politica: su una questione così seria, piuttosto, si lavora con serietà, proprio come, si sottolinea, sta facendo il governo Prodi.
Secca anche la replica di Walter Veltroni: «C’è una cordata alternativa? Si manifesti rapidamente». E più tardi precisa: «Se c’è una cordata italiana va benissimo, anche se è strano che non sia uscita in questi mesi, ma venga fuori in 48 ore, non il 14 aprile che poi magari non viene fuori». Altrimenti, a giudizio del candidato premier del Pd, «si faccia con Air France un accordo con i sindacati che riduca l’impatto sociale e si dia tempo a Malpensa di sostituire le rotte di Alitalia con rotte di nuove compagnie». Veltroni vorrebbe comunque «evitare di mettere Alitalia nel tritacarne della campagna elettorale, perché stiamo parlando del destino non solo della compagnia nazionale, ma di migliaia e migliaia di lavoratori di Alitalia, Malpensa, Fiumicino e dell’indotto», dice il leader del Pd paventando il rischio di un annuncio di una cordata alternativa «che però dopo le elezioni
non c’è più e nel frattempo si porta Alitalia sull’orlo del fallimento e forse anche oltre».
A stretto giro Silvio Berlusconi dice di «concordare con Veltroni sui tempi rapidi», assicura il «supporto di una banca importante» e spiega che la «cordata italiana» si concretizzerà «entro pochi giorni». Si dice comunque sicuro che la nostra compagnia di bandiera possa essere salvata dall’alleanza «made in Italy» «a patto che il governo - avverte - non faccia colpi di testa e ci dia la possibilità di operare con i tempi necessari dopo che ha dato
Casini: «Non si gioca sulla pelle dei lavoratori. Se Berlusconi e i suoi figli vogliono immettere capitali fanno un’ottima cosa. Ma decidano in fretta e sgombrino il campo dal rischio di una strumentalizzazione che non fa onore a nessuno»
cinque mesi di tempo ad Air France per conoscere i conti di Alitalia». Il leader del Pdl torna sulla questione di Banca Intesa-San Paolo che «non ha smentito affatto - precisa - Mi risulta che è sulle posizioni di mesi fa e che è disponibile ad aiutare un gruppo che presenti un serio piano industriale. Ieri Corrado Passera ha detto che a oggi non abbiamo sul tavolo nulla di concreto. Per forza perché non è stato consentito ad altri, all’infuori di Air France, di conoscere i conti di Alitalia. Sono cinque mesi che Air France esercita le due diligence, mentre altri non sanno niente». «Ho fatto appello - spiega - all’orgoglio degli imprenditori italiani che ritengono, come me, che non possono essere colonizzati». Infatti il Cavaliere ripete che le condizioni poste dalla compagnia transalpina sono «irricevibili» e a questo punto «non ci resta che dar vita a una offerta che sarà sicuramente presentata da imprenditori italiani insieme a banche italiane. Sono stato in disparte fino ad oggi. Ho lasciato fare a questo governo che ha fatto il peggio possibile: ha escluso dalla possibilità di conoscere i dati su Alitalia a tutti coloro che potevano avere un interesse». «Non mi interessa quello che dice Tommaso Padoa-Schioppa», chiude, dopo che il ministro ha detto che non si possono attendere i tempi della politica. Mentre Berlusconi e Veltroni sono impegnati nel contrappunto, anche gli altri leader politici si mobilitano sulla questione Alitalia. Se Antonio Di
Pietro parla di «insider trading» e Francesco Rutelli, durissimo, dice che «Berlusconi vuole regalare ai figli Alitalia», coi «soldi dello Stato, dopo che sono stati buttati all’aria nei suoi 5 anni di governo», anche Pier Ferdinando Casini lancia un monito al Cavaliere: «Non si gioca sulla pelle dei lavoratori», dice. «Se Berlusconi e i suoi figli vogliono immettere capitali nell’Alitalia credo facciano un’ottima cosa. L’importante è che decidano in fretta e che sgombrino il campo dal rischio che tutti gli italiani hanno capito perfettamente, e cioè che siamo in presenza di una strumentalizzazione elettorale che non fa onore a nessuno».
Intanto AirOne fa sapere di non poter presentare offerte «al buio», cioè senza vedere i conti: «Per presentare una proposta vincolante è essenziale effettuare una due diligence, ovvero una verifica sui dati e sullo stato di salute della Compagnia», precisa la capogruppo Ap Holding in una nota, «Deve decidere il governo se vuole ricevere altre proposte». Ma Air France non sembra essere affatto fuori gioco. Il direttore commerciale di Air-France Klm, Christian Boireau ha insistito sull’urgenza di arrivare al più presto a un accordo con Alitalia cui il gruppo francoolandese propone «un futuro positivo a medio termine. Noi sappiamo ciò che possiamo fare e bisogna che questo piano sia accettato o rifiutato, ma adesso e non tra due mesi o un mese», ha aggiunto Boireau.
scontro
in volo
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Un’opportunità o un boomerang?
L’azzardo del Cavaliere di Francesco Pacifico
ROMA. Un azzardo, che si gioca su due tavoli: uno finanziario-imprenditoriale e un’altro - forse il principale politico. Ma sempre di azzardo si tratta, e i primi a saperlo sono gli uomini dell’entourage di Silvio Berlusconi. Che non nascondono un ragionamento molto semplice: difendere l’italianità di Alitalia, annunciare una cordata di imprenditori coraggiosi, può rivelarsi a meno di un mese dal voto un successo in termini elettorali. Ma può risultare un boomerang se l’operazione si svelasse un bluff. A dispetto delle paure dei suoi più fidati collaboratori - in primis Fedele Confalonieri - ieri Silvio Berlusconi ha rilanciato sulla compagnia di bandiera: dirà no all’offerta di Air France e lancerà una cordata alternativa. Come notano dal bunker di Palazzo Grazioli, il primo risultato è stato spingere Walter Veltroni a dire che «l’Italia può benissimo avere due hub, Malpensa e Fiumicino», dopo che Prodi, Fassino e Bersani avevano ripetuto - e giustamente - che Alitalia non ha neppure gli aerei per mantenere due aeroporti con sbocco internazionale. Nota Massimo Pini, ex membro del Cda dell’Iri e conoscitore del mondo delle partecipazioni statali: «Di per sé l’operazione di Berlusconi non sarebbe sbagliata, risponde a un esigenza di interesse nazionale. Ma c’è una strategia industriale complessiva, di politica industriale, a supportarla?». Ma se Pini spiega perché il sistema Italia dovrebbe intervenire - «gatto bianco o gatto nero poco conta, sempre il topo bisogna mangiare» -, Egidio Pedrini, ex parlamentare dell’Idv, trova la perfetta sintesi per spiegare l’ultima discesa in campo di Berlusconi: «Ma ci pensate, al G8 tra un anno alla Maddalena, se Sarkozy arriva su un volo Alitalia e il Cavaliere con il jet della Fininvest?». Al netto delle esigenze elettorali, il piano di cordata di Berlusconi è molto semplice, forse troppo: cinque o sei imprenditori, un’offerta d’acquisto sul mercato non superiore ai 300 milioni (il doppio rispetto a quella di Air France), un miliardo da recuperare attraverso la leva finanziaria per una prima ricapitalizzazione, l’amicizia con Vincent Bollorè o Tarak Ben Ammar – gli stessi che hanno facilitato il suo ingresso in Mediobanca – come garanzia per far comprendere
a Nicolas Sarkozy che questa sortita non è antifrancese. Ma tutti gli imprenditori sentiti, e non sarebbero pochi, avrebbero risposto, come ha fatto Salvatore Ligresti, che «se ne può discutere» soltanto in presenza di un piano industriale serio e di una banca solida. Al riguardo Corrado Passera, Ad di Intesa e vero motore della scalata di Toto, avrebbe spiegato che è difficile trovare soci disposti a investire. Tanto che qualcuno al Tesoro se la ride e dice che quest’operazione ricorda «quella della Sme, quando il Cavaliere fece scrivere al governo da un gruppo di imprenditori amici una lettera di interessamento, per evitare che il gruppo alimentare finisse a Carlo De Benedetti». Di fronte a questo quadro Berlusconi deve prendere tempo. Il primo obiettivo è far saltare il termine del 31 marzo, imposto da Air France come vincolo per concludere la trattativa. In questo modo otterrebbe la possibilità per Air One-Intesa di Alitalia fare una due diligence. Operazione che necessita almeno di 3 settimane. Si andrebbe così oltre la data del voto, e, magari conquistata la vittoria, il Cavaliere avrebbe un maggiore potere contrattuale: darebbe pieno appoggio politico a un’ipotetica cordata così come potrebbe trattare da pari con Air France se i transalpini la spuntassero comunque. E Spinetta, al prossimo inquilino di Palazzo Chigi, chiederà ammortizzatori sociali per gli esuberi e un nuovo piano aeroportuale per spazzare via tutti quei piccoli scali (in Italia sono 103) che da noi hanno garantito il successo dei low cost. Perché su questo Berlusconi è stato chiaro: avrebbe spiegato che i francesi discutono soltanto con Prodi e i suoi uomini ex Iri, «persino i Ds sono stati tenuti fuori da questa partita». Il suo timore è che il Professore, per superare quest’impasse, decida di commissariare la compagnia. Potrebbe scegliersi il liquidatore e a quel punto trovare un acquirente sarebbe facilissimo: chi compra prende in carico i debiti – quindi non sborsa un euro per le azioni – non ha obblighi verso i lavoratori e gli si vede garantita la continuità aziendale. Che fosse questo il vero piano di Berlusconi: gestire in prima linea la partita e non ereditare soltanto le rogne?
L’ex premier prende tempo: vuole almeno 3 settimane per andare oltre le elezioni e gestire il tutto da Palazzo Chigi
politica
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Parla il padre del bipolarismo: Pdl e Pd sono «operazioni verticistiche», il bipartitismo a cui pensavo non è certo questo. L’Italia non è ancora cambiata
«Se io avessi previsto tutto questo...» colloquio con Mario Segni di Renzo Foa
ROMA. Mario Segni è il padre del bipolarismo. Dal referendum del 1991 in poi non si è mai stancato di lavorare al completamento dell’infinita transizione italiana. La sua ultima iniziativa disegna lo scenario della trasformazione, tramite la correzione della legge elettorale, dei due schieramenti formatisi nel 1994 in due partiti. Dal momento della raccolta delle firme ad oggi però tutto è cambiato. E questo cambiamento è l’occasione di una riflessione con lui sulle novità nel sistema politica e sulla campagna elettorale. Il Partito democratico e il Popolo delle libertà propongono lo stesso modello politico previsto dal referendum che lei ha promosso con il professor Giovanni Guzzetta, per trasferire il premio di maggioranza dallo schieramento alla lista. Dunque non c’è stato bisogno del passaggio referendario. Lei si aspettava questa accelerazione? E come giudica questi due partiti? Lei ha ragione in linea di principio. Lo abbiamo anche detto nei giorni in cui Berlusconi e Fini hanno lanciato il Pdl, che è stato il fatto più sorprendente e, direi, anche una nostra vittoria. Però deve tener conto del fatto che i referendum elettorali sono armi formidabili, perché mettono in moto un processo. Se ci dovessimo fermare al valore del quesito, di per se quasi tutti i referendum sarebbero ben poca cosa. Ad esempio, il referendum sul nucleare riguardava alcuni dettagli, ma la sua importanza fu enorme, giusto o sbagliato che fosse. Io votai no. Lo stesso discorso vale per i nostri primi due referendum degli anni Novanta. Il primo addirittura investiva un punto secondario... Sì, la preferenza unica... Il secondo riguardava invece
un punto fondamentale, il maggioritario al Senato. Ma furono entrambi fondamentali perché misero in moto due processi. Uno oggettivo, il passaggio dalla democrazia proporzionale alla democrazia diretta, l’altro quello della protesta contro una partitocrazia soffocante. Anche in questo caso il referendum, se si farà, avrà un valore che andrà oltre il quesito. Quesito che combatte il male di questa fase, cioè la frammentazione. Se si farà e se si vincerà avrà un valore molto maggiore, cioè il rilancio del maggioritario e della democrazia diretta. E della qualità della politica. Quindi ciò che è avvenuto va nella direzione giusta e, forse, è avvenuto anche sotto la spinta del referendum. Però, purtroppo
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tura del fenomeno dell’ingessamento, il secondo rappresenta un potere indiscriminato di scelta che oggi viene concesso solo a gruppetti di persone. Abbiamo un Parlamento designato da sei, sette, dieci persone, possiamo anche contarle, se vogliamo, e un Paese in cui la saldatura della classe politica è la premessa della saldatura di tutto il mondo dell’impresa pubblica, di buona parte del meccanismo dell’informazione... In questo quadro, poichè tutta la nostra battaglia è stata quella di aprire la concorrenza nella politica, oggi il mio giudizio è pesantemente negativo su questo fase. Ci siamo pure immodestamente vantati di aver provocato un certo movimento, ma le poste negative di
Se è vero che i referendum di per se non sono risolutivi, è anche vero che finora non abbiamo trovato strumenti più forti per imprimere una spinta popolare al riformismo
si cala in una contraddizione fortissima, per cui non so se siano stati di più i passi avanti o quelli indietro. Quale contraddizione? Intanto dal punto di vista della qualità della politica, rimane il terribile fenomeno delle liste bloccate i cui guasti vediamo in questi giorni. Non solo per la qualità delle candidature, ma per i segnali di chiusura che mandano, di una classe politica che si autoperpetua attraverso la cooptazione. Questo capita in un’Italia che ha due caratteristiche negative. Una è quella di essere un Paese vecchio e ingessato, e non mi riferisco solo al Parlamento. La seconda è quella di partiti quasi tutti ormai ridotti a poteri personali, se non peggio. In questa combinazione, il meccanismo delle liste bloccate rappresenta la salda-
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questa fase sono largamente superiori a quelle positive. Se riflettiamo un po’ su tutta la stagione bipolare, la stagione del maggioritario, lei pensa che le leggi elettorali da sole, oltre che essere uno stimolo, siano state decisive o determinanti? Le parlo anche sulla base di una riflessione autobiografica, visto che accolsi con entusiasmo il primo referendum, quello sulla preferenza unica. Ma poi con il passar degli anni, ho notato un progressivo peggioramento della qualità del personale politico, un progressivo peggioramento della capacità di governo, una crescente tendenza a creare oligarchie. Anche una legge buona, come
fu il Mattarellum, tutto sommato non contribuì a restituire delle virtù alla politica. Basta dunque affidarsi ad una legge elettorale, in un Paese bloccato come questo, in cui le leadership politiche tendono sempre più a sfuggire alle proprie responsabilità e a misurare i loro tempi solo sulle scadenze del voto? Non c’è dubbio, sebbene io ricordi sempre che Giuseppe Capograssi avvertiva che la vera Costituzione è composta da due leggi, quasi mai contenute nei testi costituzionali formali: la legge elettorale e il codice di procedura penale. Ne sono tanto convinto da aver tentato innumerevoli volte di proseguire sul piano delle riforme costituzionali. Ne sono anzi straconvinto. Aggiunto una considerazione: perché le vittorie del ’91 e del ’93 non hanno risolto i problemi, ma hanno comunque modificato l’Italia? Perché hanno ottenuto alcune riforme che tecnicamente con i quesiti referendari non c’entravano nulla, cioè l’elezione diretta dei sindaci e dei governatori. Sono perfettamente d’accordo con lei. Il problema reale a cui nessuno ha dato una risposta è che il cammino riformistico è stato sempre un cammino in cui una spinta popolare esterna al sistema dei partiti è riuscita a obbligare, a rompere, a creare accelerazioni. L’unico strumento che si è trovato per mettere in moto un meccanismo popolare di tipo riformistico è il referendum. Questo è il nostro dramma. Con tutti i limiti che ha il referendum e con la fortunata circostanza che ben tre volte, la quarta nel 1999 perdemmo, abbiamo sollevato il problema. Sono il primo a dire che non ci si può fermare alla legge elettorale, ma finora non abbiamo trovato strumenti altrettanto forti.
Se lei deve giudicare i partiti che ci sono adesso - con il Pd nato dalla confluenza di Ds e Margherita attraverso un processo dialettico, ma con un’operazione di sincretismo culturale che lo porta ad essere un partito con una politica ed un leader, ma non una cultura e con il Pdl nato all’improvviso con il discorso di Berlusconi dal predellino della sua auto a piazza San Babila, che è ancora una sigla – che dice? Torno ancora al punto di partenza del maggioritario, quando pensavamo ad un futuro con più democrazia, maggiore efficienza e spazi all’innovazione ci-
politica vile e sociale, mentre oggi i partiti, penso soprattutto ai due maggiori partiti su cui scommette il sistema mediatico, hanno difficoltà a parlare dei grandi problemi italiani. Perché? Non sfuggono al dato di fondo che è la crisi totale del sistema dei partiti, scoppiato negli Anni Ottanta, a cui nessuno è sfuggito. Il Pdl non è un partito, assolutamente. Non mi pare un partito neanche il Pd,
perché Veltroni esercita un leaderismo esasperato che può essere funzionale al risultato elettorale, ma non si concilia con la creazione di un partito. Però, le rivolgo io una domanda: lei pensa che rinascerà un sistema dei partiti simili al vecchio? No, non lo penso... Appunto. Forse, ma non conosco questo mondo dall’interno, potrebbe accadere a Rifondazione, alla Sinistra arcobaleno che rappresenta pezzi di società diversi dagli altri. Per quello che riguarda gli altri, dobbiamo augurarci che rinascano forme di aggregazioni politiche, ma sapendo che saranno diverse dal passato. Allora, cosa può nascere? Sono possibili meccanismi aggregativi attorno alle istituzioni, se queste però sono calate in normative e prassi di partecipazione democratica. Io penso alle primarie. Ho anche pensato a un referendum, ma se nemmeno Giovanni Guzzetta, che ha inventato quasi tutti i referendum elettorali, è riuscito a costruirne uno sulle primarie,
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vuol dire che è proprio impossibile. Penso alle primarie perchè in modo nuovo e imperfetto, se vuole, le primarie coinvolgono fatalmente i vertici delle istituzioni in un processo popolare. Ma cosa osservo? Nel Pd,Veltroni ha fatto di tutto per uccidere il meccanismo delle primarie che ha avuto passaggi interessanti. Non dimentichiamo i quattro milioni di voti per Prodi nè la competizione che ci fu in Puglia. E posso testimoniare che è stata durissima, ma reale la battaglia per la segreteria in Sardegna fra Soru e Cabras.Veltroni invece ha creato sul suo nome la quasi unanimità, ha ucciso le primarie, sul piano politico e con lo statuto. Ha costruito un partito su base leaderistica e non sulla base di una spinta reale e di un dibattito. E nel centrodestra? È stato un danno enorme la rottura tra Berlusconi e Casini. Ho anche telefonato a Casini per sollecitarlo a restare dentro, naturalmente se pensava di non essere ammazzato. Mi ha detto: mi ammazzano. Per me da fuori era difficile giudicare nel merito. Ma sempre visto da fuori, un asse Berlusconi-Casini era fondamentale per fare un embrione di partito. Questa è stata un’occasione persa, anche se calcolata. E Berlusconi ha una grande responsabilità, come Fini che, anche nel suo interesse, avrebbe dovuto fare di tutto per tenere tutto insieme. Ma il momento in cui si sarebbe potuto creare qualcosa fu, due anni fa, quando avvenne la quasi rottura fra Berlusconi e Casini e quando Follini chiese le primarie. Berlusconi rifiutò, Casini commise un errore a non appoggiare Follini. Ma anche se Berlusconi avesse stravinto, le primarie avrebbero comunque creato un bozzolo di partecipazione e di democraticità. Dunque al momento vedo, nel Pd e nel Pdl, il frutto di due operazioni verticistiche. Con al centro della contesa il governo del Paese... Sul futuro, sembra di capire che c’è effettivamente un’intenzione di governare insieme, «grandi intese» o inciucio. Ma si comportano come se pensino a intese sulla base di accordi di potere e non su linee politiche. Il vuoto sui temi reali e programmatici dà un’idea del peggio di ciò che può capitare nella politica: due sistemi verticistici che si abbracciano per coprirsi e per attuare accordi spartitori. Un esempio? Di Pietro tira fuori il
problema del sistema televisivo e Veltroni lo zittisce, mostrando di voler eliminare i punti di eventuali frizioni con Berlusconi. Ascoltandola, continua a venirmi in mente il passato. C’è stata una progressiva incapacità di governare. Dal 1994 siamo via via giunti ad una situazione di paralisi: il centrosinistra, tra il ’96 e il 2001, ha fatto solo l’euro... Una cosa enorme. Enorme, ma una. Il centrodestra che aveva promesso di rivoluzionare l’Italia, tra il 2001 e il 2006, ha fatto la Biagi, la riforma delle pensioni
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tano vivacità. Chiamparino e Cacciari sono sindaci popolarissimi. Così il sindaco di Padova, Zanonato. E tra l’altro i sindaci di sinistra sono quelli che dicono insieme: «Attenzione c’è un problema di sicurezza». Poi se la prendono con i lavavetri, ma sollevano temi reali. Quello che poi non funziona è l’Italia centrale. So che è troppo semplicistico dire che a livello locale il processo è stato completato e a livello nazionale no. Ma prima di dire che un cambiamento storico va buttato a mare, forse è meglio realizzarlo fino in fondo. Qui ci sono due reali possibilità. Una è il tema delle primarie – che io preferisco rispetto
Decisiva è una riforma costituzionale che consenta ai cittadini di scegliere il primo ministro e gli dia poteri più forti. Come avviene nell’Italia dei sindaci che funziona poi cancellata e poc’altro. Il bipolarismo avrebbe dovuto invece consentire di governare, avrebbe dovuto affermare il potere di decidere. Invece si è deciso pochissimo. Non è che il bipolarismo non sia adatto ad un Paese dagli interessi frastagliati, com’è l’Italia? Non c’è stata l’esclusione del moderatismo dalla politica, non c’è stata la riduzione di tutto a quel che diceva lei prima, cioè alla spartizione del potere? Due osservazioni. La crisi di capacità di decisione risale a prima del bipolarismo, inizia negli Anni Settanta. Dopo le riforme giuste dell’era degasperiana e dopo quelle in gran parte sbagliate del primo centrosinistra, l’Italia precipita in una situazione nella quale non emerge alcun vero progetto politico, tranne quello della «grande coalizione», di fronte a problemi terribili come il terrorismo. Ma per guardare all’oggi – ed è la seconda osservazione – l’Italia ha un meccanismo di vita pubblica estremamente diversificato. A livello locale continuiamo a vedere una serie di protagonismi. Le faccio un esempio. Soru ha veramente inciso sulla vita della Sardegna, in modo in gran parte positivo. Un altro esempio: Roma. Da Rutelli in poi è cambiata... Diciamo il primo mandato di Rutelli, che ha risvegliato la città... D’accordo. Veltroni, forse certi aspetti è più apparenza che sostanza. Ma, esistono fenomeni a livello locale che deno-
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alle preferenze - che se cavalcato può arrivare a conclusione. La seconda è la riforma costituzionale, con il premier scelto direttamente dai cittadini. È giusto chiedersi se il bipolarismo sia adatto, ma prima di rispondere di no è meglio sperimentare anche al centro quel che funziona nei Comuni. Un’ultima domanda. Questa campagna elettorale riesce in qualche modo ad appassionarla o la trova anche lei noiosa? Noiosissima. Non riesco a trovare un tema interessante. Sotto questo aspetto è avvilente. Vedo Berlusconi spento. Qualcuno dice che lo fa apposta. Non escludo che Berlusconi spento possa essere elettoralmente produttivo, nel senso che fa meno paura rispetto al passato. E vedo un Veltroni che lo batte sul suo terreno con una straordinaria campagna mediatica, dietro alla quale non si riesce a individuare una strategia di contenuti profondi. Checché se ne dica, questo l’Italia lo sente. E Casini e Bertinotti? Sono entrambi brillanti. E credo che possano giovarsi di un fenomeno nuovo: la bipolarizzazione di questa campagna è minore, perché più stanca, perché Berlusconi fa meno paura, perché le coalizioni prima rappresentavano il tutto ponendo il tema «con me o contro di me», adesso Pd e Pdl ammettono di essere una parte, tanto che Berlusconi ogni giorno si richiama al voto utile. Alla fine questa campagna dà l’idea che il bipolarismo sia minore e credo che Casini e Bertinotti se ne gioveranno.
antipolitica A ruota Libero sulla casta
pagina 6 • 22 marzo 2008
Una breve controinchiesta di liberal sui «Papponi di Stato»
di Nicola Procaccini
ROMA. Profittatori di prostitute per il dizionario Garzanti. Sfruttatori di meretrici per il Sabatini Coletti. Ecco, non è stato molto elegante il quotidiano Libero nel definire «papponi» i politici italiani nel suo lunghissimo dossier che pubblica da giorni sui privilegi di cui godono i parlamentari nel nostro Paese. Intendiamoci, non che sia tutto falso o sbagliato. Molte delle cose descritte dal giornale di Vittorio Feltri indignano sinceramente, anche se ben note da tempo. E, d’altra parte, anche liberal tiene famiglia, ovvero una buona parte di lettori parecchio infuriati con «la casta». Ma c’è un limite a tutto: alla rabbia dell’uomo qualunque, all’interesse di bottega dei quotidiani, alla delusione del politico escluso dalle liste elettorali. Dubito che questo pezzo farà guadagnare copie al nostro giornale, ma non si può accettare una operazione giornalistica talmente demagogica, populista ed antipolitica da far invidia a Grillo, Travaglio e Di Pietro, e che rischia persino di ottenere l’effetto inverso: rendere più umani e simpatici i parlamentari della Repubblica italiana. Anche per questo vale la pena dedicarsi alla confutazione di alcuni degli “scoop” rivelati dall’attuale parlamentare verde Roberto Poletti. Già, attuale, perché si da il caso che il deputato pentito, autore del dossier pubblicato da Libero, e campione regionale di moralismo, abbia deciso di rivelare i clamorosi privilegi di cui godono i suoi colleghi soltanto allorché non è stato ricandidato dal partito di Pecoraro Scanio. «Ai privilegi Poletti ha preferito il mestiere di giornalista», scriveva il direttore Feltri introducendo la sua inchiesta. Ora, può darsi pure che quella di Poletti di non ripresentarsi alle elezioni sia stata una sua scelta, legittimo per lui sostenerlo come è legittimo per chiunque dubitarlo, ma resta il fatto che il nostro si è ben guardato dal dimettersi mentre era (ed è) ancora in carica. Se il peso dei privilegi parlamentari era così opprimente sulla co-
scienza del deputato verde, c’è da ammirare la stoica resistenza di Poletti che pur di documentare compiutamente lo scandalo di Montecitorio ha resistito sino alla fine della legislatura. Fuor di polemica (Poletti è un polemista gagliardo, oltre che un ottimo giornalista, non se ne avrà a male), ci sono molti aspetti dell’inchiesta «Papponi di Stato» che meritano un approfondimento. A partire dagli «oltre 600 uffici in lussuosi palazzi per la pennichella dei parlamentari». Mah! Non dico che non ci sarà pure qualcuno di loro, magari fra i più anziani, che di nascosto si defila dalle commissioni (le quali si svolgono tutte immediatamente dopo pranzo) per andarsene in stanza a schiacciare un sonnellino, ma da qui a dire che tutti i parlamentari usano le loro stanze per dormirci dentro durante l’orario di lavoro, mi sembra eccessivo. Oppure c’è davvero qualcuno capace di sostenere che i legislatori italiani non devono avere neanche una stanza con telefono e computer? Perché poi solo chi non c’è mai stato in quei palazzi può ritenere che si tratti di «uffici di lusso». Anzi, se vogliamo dirla tutta i palazzi del pote-
mittenza, i telefoni sono ancora quelli con la corona che si gira con il dito, i fax sono ancora del tipo con il rotolo, quando ci sono. Poi c’è la cancelleria: penne, matite, timbri, carta, sbianchettatori e gomma blu (su questo sono d’accordo con Poletti, un reperto archeologico).
Non vedo lo scandalo. «Quattro agende a testa, che per 630 deputati fanno 2520 agende. Poi uno dice che i politici hanno perso il contatto con la realtà», scrive sconsolato Poletti nella sua inchiesta. Ecco lo scandalo: quattro agendine per deputato. Il presunto lusso degli uffici del Palazzo fa il paio con quello del Circolo Montecitorio. «E’un po’ il nostro dopolavoro – spiega Poletti – Ma non immaginatevi un circolo di ferrovieri, è un club elegante, roba di lusso, campi da tennis, da golf, etc…». Ebbene, i parlamentari in quel circolo non ci mettono piede neanche con la pistola puntata contro. Evidentemente non ci è mai stato neanche Poletti. Ed il motivo è perché quel circolo cade a pezzi. Forse un tempo, decine di anni fa, sarà stato davvero un gioiello, ma oggi i campi da tennis sono tutti malridotti, la vernice graffiata via
Se il peso dei privilegi parlamentari era così opprimente come ha fatto il deputato Poletti a resistere fino alla fine della legislatura? re italiano rappresentano bene l’immagine del declino della nostra nazione. Prego, che si aprano al pubblico le porte del palazzo dei Beni Spagnoli dove hanno i loro «lussuosi uffici» i senatori della Repubblica. Trattasi di loculi, nemmeno di stanze, ottenuti con dei tramezzi posticci, di una tale privacy che non solo si ascoltano le conversazioni dei colleghi nella stanza attigua, ma persino le voci che escono dalla cornetta del loro telefono. Esperienza diretta, anche un po’ imbarazzante, ma questa è un’altra storia. Ed ecco la lussuosa dotazione: vecchi computer di una lentezza esasperante, connessione internet che procede a fatica e ad inter-
dalle ringhiere in ferro battuto, il bar interno è sempre vuoto di avventori e provviste, il campo da golf è un parto della fantasia del deputato verde. Insomma, una roba che immalinconisce l’animo, per questa ragione i parlamentari non vanno lì ed utilizzano altri centri sportivi, molto più centrali e più «in» del Circolo Montecitorio, ormai decrepito ed a mezz’ora d’auto dal centro di Roma. Andiamo avanti, capitolo tessere. «Quella per l’autostrada, l’aeroporto, il treno, gli impianti sportivi e l’assistenza medica». Intanto, quest’ultima se la pagano i parlamentari, mi pare costi più di 500 euro al mese. Andare alla partita di calcio a
sbafo, per uno che certamente non rischia di morire di fame, sembra anche a me assai poco dignitoso, ma chi ci rimette in questo caso è il buon gusto e le società sportive che ospitano l’evento, mica i contribuenti. Per quanto riguarda il fatto che i parlamentari debbano essere liberi di spostarsi su tutto il territorio nazionale senza limitazioni, neppure economiche, mi rendo conto che disturba. Immagino che infastidisca soprattutto i comuni pendolari che pagano caro i loro spostamenti. Ma è un privilegio che ha una sua logica (oltre che una storia repubblicana) e che cessa immediatamente allo scadere del mandato parlamentare.
In realtà ci sono molte questioni sollevate dall’inchiesta di Libero su cui varrebbe la pena soffermarsi per smentirle o ridimensionarne la veridicità. Ci sarebbe quasi da fare una contro inchiesta. Non sarà questa l’occasione, ma qui vogliamo
sprezzare il pericolo ed affrontare, con un pizzico di onestà intellettuale, l’argomento più impopolare che ci sia: lo stipendio dei parlamentari. Scrive Libero: «Guadagnano 20mila euro al mese». Non è proprio così, basta andare sul sito della Camera dei Deputati, consultare la pagina relativa al trattamento economico e verificare che il loro stipendio netto ammonta a circa 13mila euro, cui vanno detratti 206 euro per ogni giorno di assenza dall’Aula. Che sia chiara una cosa: si tratta, co-
antipolitica
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Agcom: violata la par condicio Serve un «immediato riequilibrio dell’informazione politica tra tutte le liste partecipanti alla campagna elettorale», in particolare nei tg, dove si nota un «forte squilibrio» nel rapporto tra formazioni maggiori e minori e tra Pdl e Pd, a vantaggio del primo. È questo il senso dell’atto di richiamo rivolto dalla commissione Servizi e Prodotti dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni sia alla Rai sia alle tv private. La commissione, spiega una nota dell’Agcom, «ha indirizzato un atto di richiamo alle emittenti radiotelevisive pubbliche e private, per l’immediato riequilibrio dell’informazione politica tra tutte le liste partecipanti alla campagna elettorale». «Dal monitoraggio della prima settimana dell’ultima fase della campagna elettorale, dopo la presentazione delle liste, particolarmente per quanto riguarda la presenza nei notiziari delle forze politiche spiega ancora la nota - emergono dati di forte squilibrio sia tra le due forze politiche maggiori e il complesso delle altre sia nel rapporto tra queste ultime sia, anche, in una certa misura, tra il Pdl e il Pd a favore del primo». In piena sintonia con l’AgCom, il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, chiede «l`immediato ristabilirsi delle regole sulla par condicio», sottolineando che «il monitoraggio effettuato dall’Autorità Garante per le Comunicazioni mostra ancora una volta la fallacità del sistema radiotelevisivo italiano a danno dei principi del pluralismo, dell`imparzialità, dell`indipendenza e dell`obiettività, ad esclusivo vantaggio di logiche di forza, economiche e d`immagine».
Sondaggio Sicilia: 15 senatori al Pdl, 2-3 all’Udc Nelle elezioni per il presidente della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, sostenuto dal centrodestra, si attesterebbe tra il 49 e il 52 per cento. Il centrosinistra oscillerebbe tra il 39,5 e il 42,5 per cento, mentre Sonia Alfano, sostenuta dalla lista Amici di Beppe Grillo sarebbe tra il 4,5 e il 5,5 per cento. È quanto emerge dal sondaggio realizzato tra l’11 e il 15 marzo da Swg per Radio 24. Quanto alla divisione dei seggi, secondo una elaborazione di Demopolis il Pdl otterrebbe al Senato 15 seggi (10-12 Pdl più 3-5 Mpa), mentre la coalizione guidata da Veltroni otterrebbe 8-9 seggi (di cui uno attribuito all’Idv), mentre 2-3 seggi andrebbero all’Udc di Casini e Cuffaro.
Casini: «Solo noi possiamo rappresentare le famiglie»
munque, di un’enormità, soprattutto se lo stipendio viene paragonato a quelli degli altri parlamentari d’Europa. Pochi sanno però che in quasi tutto il resto del continente i deputati lavorano solo quindici giorni al mese, di cui metà nelle commissioni competenti e metà nell’aula del loro parlamento nazionale. In Italia esiste una burocrazia legislativa farraginosa, determinata da regolamenti parlamentari ormai vetusti, che vincola i deputati italiani ad una presenza continuata per tutto il mese.Va poi riconosciuto che la legge italiana prevede l’adeguamento del trattamento economico a quello percepito dalle massime cariche della funzione pubblica, in questo caso i magistrati della Corte di Cassazione.
Detto questo, in un periodo nero come l’attuale, lo stipendio dei parlamentari è troppo alto e va tagliato, come quello dei deputati al parlamento eu-
«I temi etici esistono e sono fondamentali: perchè riguardano la vita, la crescita, la maturità e la morte delle singole persone ma anche delle famiglie. Noi, come partito politico, ce ne facciamo carico da sempre». Lo ha ribadito Pier Ferdinando Casini, a Perugia, segnando la differenza, ha detto, «tra chi come l’Udc sente il dovere di rappresentare tutta la società e chi invece preferisce far finta di niente sui temi etici per paura di perdere voti o far infuriare alcuni candidati».
In alto l’aula di Montecitorio. A destra la buvette. A sinistra Roberto Poletti, deputato dei Verdi, autore dell’inchiesta «Papponi di Stato» pubblicata dal quotidiano Libero ropeo e dei consiglieri regionali che guadagnano ancora di più degli altri senza che nessuno se ne sia accorto. Ma sono convinto che agli italiani interessi soprattutto che i loro politici siano onesti ed efficienti. Ci sono parlamentari «fannulloni» i quali ruberebbero lo stipendio anche se fosse soltanto di dieci euro al mese. E ce ne sono invece altri che fanno il loro dovere, che li trovi in ufficio alla Camera anche il sabato sera, qualche volta pure la domenica. Per questo, ciò che si
Della Vedova: «Pdl più operaio del Pd»
rimprovera al bravo giornalista Poletti è di non essere stato anche un bravo deputato, non di aver guadagnato troppo. Se dopo due anni di attività politica a Montecitorio viene ricordato soltanto per il suo ruolo di barzellettiere al fianco di Pippo Franco o di opinionista a “Buona Domenica” o di furente censore in Commissione Cultura dell’ultimo film di Mel Gibson, beh, allora effettivamente il suo stipendio da parlamentare era davvero troppo alto. Rivogliamo indietro i soldi.
«Il sondaggio Demos-Coop sul voto delle categorie socio-professionali, pubblicato da Repubblica, si presta a molteplici livelli di lettura. Un dato mi sembra evidente ed eloquente. Il primo dato è che la coalizione berlusconiana è nettamente più “operaia” di quella veltroniana sia in termini assoluti, sia in termini relativi, visto che in essa la componente operaia “pesa” piu’ di quanto non accada all’interno del centro-sinistra». Lo afferma Benedetto Della Vedova, deputato di Forza Italia e presidente dei Riformatori Liberali.
Borghese: «Datemi il voto, lo faccio utile» Entra nel vivo la campagna elettorale di Alessandra Borghese, capolista al Senato a Roma e nel Lazio, per l’Unione di Centro. Da ieri è infatti attivo il sito web dedicato alla Borghese che si presenta con il suo slogan: «Un impegno di valore. Datemi il voto che io lo faccio utile». «Il mio programma è semplice - si legge nel sito - infondere nella politica il dinamismo esistente nella società; fare in modo che le persone ritrovino la fiducia che hanno smarrito da tempo. Ed ecco i cinque punti programmatici: l’idea di politica; il tema della donna; i giovani; turismo e valorizzazione del territorio; famiglia».
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L’ITALIA AL VOTO
La comunicazione politica sotto esame
lessico e nuvole
La noia scende come la neve
Sono solo canzonette di Giancristiano Desiderio
di Arcangelo Pezza Breuil, Cervinia, 2000 metri sopra il livello del mare. Nevica da due giorni e il bianco corrusco inghiotte la campagna elettorale. Se non fosse per un piccolo avviso nella bacheca di Crépin, frazione alta di Valtournenche, con cui il sindaco avverte i cittadini delle imminenti elezioni, si potrebbe persino pensare che qui non si vota. Eppure esiste l’Union Valdotaine (che candida Ego Perron alla Camera e Antonio Fosson al Senato), Pdl e Pd hanno i loro candidati, e qui vicino, sempre in Val d’Aosta, principiò la valanga rossa di Michela Brambilla e dei suoi ormai silenziati Circoli delle libertà, che solo qualche mese fa, a novembre, conquistarono addirittura il sindaco di Courmayeur, Fabrizia Derriard. Ebbene, non c’è traccia di politica. Silvio Berlusconi non anima gli sciatori promettendo skipass meno cari e più genepì Ottoz per tutti, Walter Veltroni non consiglia di cambiare sciolina, Alfonso Pecoraro Scanio non chiede più sole e meno nuvole, Roberto Calderoli non si è visto per scacciare i pochi islamici miliardari appassionati di snowboard e neppure i volantini falce e martello di Franco Giordano deturpano le vetrine della boutique Minuzzo che insiste, come se niente fosse, a esporre scolli a “V”in cachemere color pastello. Solo qualcuno dice di aver intravisto l’ex presidente del
Consiglio Romano Prodi tentare una stretta serpentina in perfetto “cristiania”, ma considerata la scarsa visibilità resta un punto interrogativo. Così anche in Val d’Aosta sta declinando nella noia totale la campagna elettorale all’insegna di Veltrusconi. Walter gira col bus alla larga dalle grand-murailles, Silvio, nonostante sia pungolato dai suoi, neppure fa quello. «Lenta fioca la neve pe ‘l cielo cinereo: gridi, / suoni di vita più non salgono da la città».
Sono solo canzonette. «Ma lo sa, caro Bennato, che io ho scritto settanta canzoni?». Edoardo Bennato - quello de «io il gatto e lui la volpe siamo in società, di noi ti puoi fidar» - è fianco a fianco con Silvio, seduti a tavola vicini vicini per festeggiare i cinquantatré anni di Bobo Maroni. Gli ha risposto: «Lo so, me le canta il mio amico Apicella». A quel punto Berlusconi ha avuto l’intuizione: «Ma perché non canta una mia canzone? Successo assicurato. Chieda a Mariano». «Lo credo bene, presidente. Ma io faccio rock, mentre lei presidente è un neomelodico. La vedrei meglio in duetto con Gigi«. «Gigi chi?». «Beh, Gigi D’Alessio». «Scusi, sa, ma se devo fare un duetto, a questo punto meglio la Anna Tatangelo». Ecco arrivare il festeggiato. Sax al collo, prende fiato e inizia a suonare un blues. Ci sono anche Tremonti, Mentana, la Cucinotta e Renato Pozzetto che attacca: «Ma come porti i capelli o bella bionda, tu li porti alla bella marinara, tu li porti come l’onda, come l’onda in mezzo al mar». E Silvio di rimando: «Là, in mezzo al mar, ci sta un camin che fuma, là in mezzo al mar, ci sta un camin che fuma». Chicco non si trattiene: «ma che ce frega, ma che ce ‘mporta se dentro al vino c’ha messo l’acqua…».
Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda
Il sondaggio dei sondaggi la media di oggi Digis Swg Crespi Demop. Agron Ipsos Demosk. 20 marzo
20 marzo
19 marzo
18 marzo
18 marzo
17 marzo
17 marzo
Pdl+Lega
Centro
Pd+Idv
Sin-Arc
Destra
Socialisti
44,5
5,9
37,2
7,0
2,3
1,3 1,3 1,0 2,0 1,0 1,6 0,9 0,5
(+0,1)
(-0,4)
(+0,5)
(+0,1)
(-0,2)
45,6 43,0 43,9 44,0 44,7 44,6 46,0
6,0 5,5 6,0 6,0 6,4 5,9 6,0
38,4 38,0 36,4 37,5 35,3 38,1 37,0
6,3 7,5 6,5 7,5 7,6 6,7 7,5
1,7 2,5 4,0 2,5 2,1 1,9 2,5
(=)
La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.
di Andrea Mancia Nuovo sondaggio Digis sulle intenzioni di voto del 20 marzo. Rispetto al sondaggio del 16 marzo, la coalizione guidata da Berlusconi (45,6%) guadagna lo 0,9%, mentre quella guidata da Veltroni guadagna lo 0,2%. La distanza tra PdL+Lega e Pd+Idv, dunque, cresce dello 0,7% e arriva al 7,2%. Perdono quota, invece, sia Sinistra Arcobaleno (-0,4%) che Udc (-0,9%), adesso rispettivamente al 6,3% e al 6%. Sempre sulle intenzioni di voto del 20 marzo, il nuovo sondaggio Swg. Rispetto al sondaggio dell’11 marzo, la coalizione di Berlusconi (43%) guadagna lo 0,3% (merito del PdL) e quella di Veltroni (38%) perde lo 0,2%: il vantaggio di PdL+Lega, dunque, sale dal 4,5% al 5%. Stabile l’Udc al
5,5%, la Sinistra Arcobaleno guadagna terreno e sale dal 6,7% al 7,5%. Lieve recupero anche per la Destra (+0,3%). Stabili i Socialisti. Pubblicati ieri sera anche i dati del nuovo sondaggio Demopolis per i quotidiani del Gruppo L’Espresso (intenzioni di voto del 14-18 marzo). Rispetto all’ultimo sondaggio Demopolis (13 marzo), la coalizione guidata da Berlusconi (44%) resta stabile, mentre quella guidata da Veltroni (37,5%) guadagna mezzo punto percentuale. Il distacco tra PdL+Lega e Pd, dunque, scende dal 7% al 6,5%. Stabili tutti gli altri partiti (Sinistra Arcobaleno al 7,5%, Destra al 2,5% e Socialisti all’1%), ad eccezione dell’Udc (6%), che perde mezzo punto.
L’ITALIA AL VOTO
22 marzo 2008 • pagina 9
I saggi della Repubblica. Viaggio tra passato e presente/Emanuele Macaluso
«Vedrete, il voto non cancellerà la crisi serve una rivolta politico culturale» colloquio con Emanuele Macaluso di Errico Novi
ROMA. Il migliorista Emanuele Macaluso arriva a invocare una soluzione estrema: «Serve la rivolta». Una «rivolta politico culturale», certo, che sia però presupposto anche per la «rivolta sociale» dei ceti messi in ginocchio dall’impoverimento del Paese. È l’unica risposta possibile alla «crisi di sistema» in cui l’Italia è impaludata da anni e «di cui queste elezioni saranno solo un ulteriore passaggio». La via per invertire il processo sembra stretta. I due partiti maggiori avranno comunque molta forza in Parlamento e cercheranno di difendersi da ogni tentativo di rompere l’equilibrio. «Innanzitutto non sono due partiti, ma aggregati politico elettorali che somigliano piuttosto a delle coalizioni. Si porteranno dietro tutte le difficoltà, le ipocrisie a cui abbiamo assistito in questi anni. La presunta svolta non è affatto positiva per il Paese. Vedrete che dopo le elezioni la crisi di sistema riapparirà allo stesso modo». Con la differenza che ci sarà un duopolio incline per natura a schiacciare ogni altra opzione politica. «Certo, si è diffusa in questi anni un’insofferenza nei confronti dei partitini, di quelli personali soprattutto. È una reazione in parte razionale e in parte emotiva, che si sposa con l’antipolitica. Questo porterà indubbiamente a premiare le formazioni più grosse. Eppure…». Eppure lei dice che la crisi si ripresenterà inesorabile. «Se perdesse Berlusconi finirebbe il berlusconismo, accadrebbe quel che è immaginabile dentro An… Se perde il Partito democratico ci sarà un ripensamento di quella formazione, in cui si trovano a convivere cose che non dovrebbero stare in uno stesso soggetto politico. Adesso c’è l’ubriacatura elettorale, ma il 14 aprile finirà tutto e chi esce sconfitto avrà problemi di continuità. E anche chi porterà a casa la vittoria finirà per dividersi di nuovo». Resta comunque sempre più limitata la partecipazione alla politica. C’è un’Italia che vive con affanno la quotidianità e non riesce nemmeno a ribellarsi, visto che nel frattempo la società si è disgrega-
Emanuele Macaluso è stato parlamentare del Pci per quasi trent’anni, ma alla sinistra ha sempre dato innanzitutto un apporto intellettuale, anche come direttore dell’Unità. Sopra è tra Giano Accame e Massimo Teodori, a fianco con Giorgio Napolitano ta, ha perso i fattori di coesione del passato e quindi la capacità di trovare nella politica una risposta ai problemi. «E questo è dovuto sempre al fatto che non ci sono veri grandi partiti, dotati di un rapporto reale con il territorio, ma solo aggregazioni costruite sull’immagine. Non esistono più i comizi, e non e più possibile per chi prende coscienza delle proprie condizioni di vita trovare sbocco in una battaglia, identificarsi in un partito che
stessi Paesi anglosassoni non è così: in Inghilterra trovano Blair ma poi lo sostituiscono senza traumi, negli Stati Uniti fanno le primarie. Da noi invece Berlusconi fonda un partito all’improvviso, dall’altra parte se il governo va in crisi e si decide di accantonare il presidente del Consiglio si sceglie come successore chi ha più atout dal punto di vista dell’immagine». Ci sono state le primarie… «Senza competizione. E a mio giudizio questi aggregati leaderistici non si possono chiamare partiti». E come si inverte un processo del genere? Con una società così fiaccata nella sua capacità di organiz-
«Altro che grandi partiti, se Il Pd perde andrà in frantumi. Nel Paese c’è una decadenza economica, sociale e civile: saranno i giovani a reagire, con la riscoperta delle identità» sia un punto di riferimento. C’è solo la campagna elettorale, ma non ci sono i valori, la storia, senza i quali non c’è neanche la democrazia». È un’impostazione che in Italia si consolida sempre di più, il Pd è appena nato e appare così come lei lo descrive. «Ci si è chiusi in una visione leaderistica, ci si affida solo all’immagine del capo e alle sue capacità taumaturgiche: tutte cose effimere. Badate che negli
zare risposte politiche non si va da nessuna parte. «La crisi di sistema è diventata sistema, questa è la tragedia. E non a caso l’Italia si trova in una situazione di decadenza economica, sociale, civile: lo vediamo dai fatti di Napoli. Eppure penso che a un certo punto le forze che hanno una storia politica e una tradizione riemergeranno: parlo della sinistra socialista, dei cattolici democratici, che non possono essere azzerati. E anzi il tentativo di
azzerarli è una delle ragioni della crisi». Lei evoca una rivoluzione. «Non immagino che si rifacciano la Dc o il Partito comunista, ma da quelle storie è possibile trovare le risposte alle questioni che la società del Duemila ci pone. In Germania, in Inghilterra, persino in Spagna questo è avvenuto, solo l’Italia fa eccezione». In effetti il Pd è una trovata così originale che non sa come collocarsi al Parlamento europeo. «Spero davvero in una rivolta politico culturale, che si può ricollegare anche a una rivolta sociale. Ma se la seconda si produce senza la prima, finisce per ridursi a jacquerie. Spero nelle forze giovani, nelle nuove generazioni, e prima di tutto in un’analisi vera della crisi di sistema. Ora si fa solo propaganda, ma i partiti non possono esistere senza una base politico culturale». Se c’è stata un’involuzione della sinistra verso la politica d’immagine è perché ci si è persuasi che la tradizione comunista, così preponderante, impediva di vincere. «Ma se la sinistra non è capace di estrarre quello che è ancora vitale dalla propria tradizione… Affermare come ha fatto D’Alema che il Pd è erede di Moro è una sciocchezza totale. Tra socialismo e cattolicesimo democratico si può trovare una sintesi di valori per una maggioranza di governo, non per l’ibrido che vediamo adesso».
mondo
pagina 10 • 22 marzo 2008
Dopo i due mandati di Chen Shuibian, rischio successione a Taiwan
Presidenziali all’ombra della Cina di Vincenzo Faccioli Pintozzi l Tibet, l’indipendenza, la fedeltà alla bandiera ed i rapporti con la Cina. Sono questi i temi che hanno dominato nelle ultime settimane la campagna elettorale a Taiwan, che oggi vota per eleggere il suo nuovo presidente dopo i due mandati consecutivi di Chen Shuibian. La sfida è aperta: da una parte, il successore designato di Chen – e politico di spicco del Partito democratico – Frank Chang-ting; dall’altra, l’uomo che ha fatto rinascere il Kuomintang, l’ex sindaco di Taipei Ma Ying-jeou.
I
I due, che si conoscono da anni e si stimano, si sono scontrati in maniera durissima su temi diversi, improntati quasi sempre sulla personalità del candidato e non sulla sua preparazione politica. Un esempio lampante viene proprio dalla questione del Tibet: entrambi i candidati hanno espresso vicinanza ai manifestanti, ma Frank Hsieh ha usato l’appoggio ai manifestanti di Lhasa espresso dal suo rivale per paventare l’ipotesi di una «Taiwan svenduta a Pechino, un nuovo Tibet». Il riferimento è alla possibilità espressa da Ma di riunire l’isola alla Cina continentale sotto lo slogan «un Paese, due sistemi». Votare il Kmt, ha concluso travolto dagli applausi il democratico, significa consegnare la nostra patria ai massacratori dei monaci tibetani. L’accusa ha trovato ampio spazio sui media taiwanesi e nel corso delle manifestazioni elettorali: gli stessi sostenitori del Kuomintang contestano a Ma la «troppa vicinanza» con la Cina, e la sua ricetta per far ripartire il dialogo con Pechino – nuovi investimenti e possibilità di contatti più stretti fra i due governi – è guardata con sospetto da entrambi gli schieramenti. Inoltre, Hsieh non ha risparmiato al suo avversario pesanti attacchi sulla questione della nazionalità del candidato Kmt, nato ad Hong Kong e per un periodo residente negli Stati Uniti. Da parte sua, il Partito democratico ha espresso «pieno appoggio» alle manifestazioni di Lhasa: il presidente Chen ha indicato nella protesta dei monaci buddisti il «chiaro segnale di un’insofferenza profonda alla domina-
Il candidato del partito Nazionalista taiwanese, Ma Ying-jeou, in una manifestazione elettorale
Il piccolo regno himalaiano stretto fra Pechino e Nuova Delhi
Il Bhutan tra elezioni e Cindia di Raffaele Cazzola Hofmann l Bhutan completa la sua “rivoluzione democratica”. Dopo le elezioni per il Senato alla fine dell’anno scorso, il 24 marzo si voterà per la Camera. La svolta democratica del piccolo regno himalaiano incastrato tra India e Cina serve a rivitalizzare un Paese depresso sul piano economico (il reddito medio pro-capite è di circa 800 dollari annui) e sempre alle prese col dramma sociale dei circa 100 mila esuli (il tredici per cento della popolazione) che alla fine degli anni Ottanta fuggirono dalle persecuzioni politiche ed etniche. Le elezioni sono però un segnale anzitutto verso l’India, il potente vicino a cui è destinato il 76 per cento del poco che il Bhutan è in grado di esportare. Meno di un anno fa il nuovo re Jigme Khesar Namgyal Wangchuck si recò in India per firmare la revisione del trattato di amicizia in vigore da 57 anni promettendo di stringere le maglie dei suoi confini finora troppo permeabili ai guerriglieri indipendentisti dello stato indiano dell’Assam. L’India ritiene che l’abolizione di parte dei poteri di una monarchia autoritaria che a suo tempo aveva favorito l’esodo in massa dal Bhutan possa favorire il rimpatrio dei ri-
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fugiati. La moneta di scambio da parte di New Delhi consiste in aiuti economici e nel pieno sostegno militare al giovane re che è alle prese anche con l’infiltrazione dal Nepal dei guerriglieri maoisti anti-monarchici, forse coinvolti nei quattro attentati esplosivi che hanno scosso la capitale Thimphu e altri centri minori in gennaio. Sul piccolo Bhutan si volge anche lo sguardo della Cina. Negli anni Sessanta il regno accolse molti esuli dal Tibet prima che i cinesi sigillassero i confini. Ancora oggi il Bhutan non ha legami diplomatici e commerciali con Pechino. Ma negli ultimi mesi, rivela la stampa indiana, le truppe cinesi avrebbero sconfinato nel Bhutan proprio nel triangolo in cui i suoi confini si congiungono con quelli dei due giganti asiatici e per questo New Delhi avrebbe spostato in quella zona circa seimila soldati. Dopo decenni di relativa calma il ruolo di “cuscinetto” tra India e Cina sta diventando sempre più scomodo per il Bhutan. La scelta democratica rafforza la protezione indiana. Ma su un altro piano potrebbe aumentare la pressione da parte della Cina. Uno scenario, quest’ultimo, ben poco rassicurante.
zione cinese», ed ha invitato la popolazione a votare per il referendum sull’indipendenza dell’isola, previsto sempre per oggi. Questo scontro ha riaperto l’interesse di Pechino per le consultazioni. In un primo momento, convinti che il Kmt avrebbe vinto a mani basse, i governanti cinesi aveva espresso poco interesse per le elezioni, esprimendo semplicemente «felicità e fiducia per il futuro» in relazione alla fine della corsa politica di Chen Shuibian, feroce anti-comunista. Da ieri, invece, con i sondaggi più incerti che mai, la Cina ha ritenuto necessario intervenire sulla questione: «Le cosiddette elezioni taiwanesi – recita un comunicato della Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale del governo – sono il banco di prova per i prossimi rapporti con la provincia ribelle». Tuttavia, Pechino sa di non poter fare a meno di Taiwan e dei suoi investitori, che ad oggi rappresentano la prima forza commerciale presente in Cina. Per questo, un portavoce anonimo del ministero degli Esteri ha chiarito che «prima di prendere decisioni avventate, tutte le parti in causa rifletteranno a lungo», eliminando il rischio di un intervento militare cinese in concomitanza delle elezioni.
Gli analisti non si sbilanciano sul risultato elettorale. Alle ultime elezioni legislative il Kuomintang ha riportato una vittoria schiacciante, con oltre il 70 % delle preferenze ottenute, ma la questione presidenziale è in qualche modo staccata dal gradimento dei partiti di riferimento e si gioca esclusivamente sui candidati. Inoltre, un fattore di enorme importanza è rappresentato dal timore dei taiwanesi di avere al governo e nel Palazzo presidenziale lo stesso schieramento politico. In particolar modo, i nativi dell’isola - che rappresentano la maggioranza della popolazione – temono un ritorno della dominazione marziale instaurata da Chiang Kai-shek dopo la fuga dalla Cina maoista e decaduta soltanto nel 1987. Per fugare questi dubbi, Ma si è presentato agli ultimi dibattiti con il costume tradizionale degli aborigeni, provocando lo scherno dei suoi avversari.
mondo
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Polemiche per la decisione svizzera di ignorare l’Onu
Accordo energetico tra Teheran e Berna di Emanuele Ottolenghi
BRUXELLES. L’inattesa visita del ministro degli esteri svizzero, Micheline Calmy-Rey a Tehran, lunedì scorso, ha scatenato un putiferio nell’altrimenti sonnecchiante panorama politico della Confederazione elvetica. La turbolenza politica deriva dal fatto che il ministro, noto in passato per le sue prese di posizione a difesa dei diritti delle donne, si è presentata agli incontri ufficiali con le controparti iraniane agghindata di un lungo velo bianco. Calmy-Rey si è difesa in nome del protocollo diplomatico – chiarendo che non si sarebbero potuti avere gl’incontri altrimenti. Altri l’hanno accusata di tradimento dei diritti che in passato aveva ostinatamente difeso. Meno polemiche ha scatenato il motivo della visita – la firma di un accordo miliardario per la fornitura di gas naturale alla Svizzera in cambio della tecnologia necessaria per sviluppare il settore energetico iraniano. La compagnia svizzera Egl si è infatti assicurata un contratto per la fornitura di 5,5 miliardi di metri cubici di gas naturale all’anno a partire dal 2011. La fornitura di gas naturale avverrà attraverso gasdotto e dipende quindi dalla felice conclusione dei negoziati sul Tap, il gasdotto trans-adriatico che porterà gas naturale dal bacino del Caspio in Europa attraverso la Grecia e l’Albania fino in Italia, con l’opzione di creare un terminale per la liquefazione del gas in Albania e il suo stoccaggio strategico, per far fronte a temporanee interruzioni delle forniture. L’accordo siglato lunedì a Tehran insomma dipende ancora nella sua attuazione dallo sviluppo del gasdotto – in cui sono coinvolte sia l’Egl svizzera che la StatoilHydro norvegese. In più, rimane l’incognita della capacità iraniana di fornire gas ai livelli stabiliti dagli impegni presi – il che non è poco. L’Iran, pur disponendo di un’enorme quantità di gas naturale, non ha la tecnologia per svilupparne il potenziale e rimane a tutt’oggi un importatore di gas. Quando il Turkmenistan ha sospeso le forniture all’Iran per una questione di prezzi lo scorso febbraio, Teheran ha dovuto interrompere le sue forniture alla Turchia per tre settimane e subire la rabbia dei suoi cittadini rimasti al freddo. Il che dimostra come Tehran sia molto vulnerabile alla pressione ester-
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Atomica francese indispensabile alla sicurezza europea Per contrastare il pericolo iraniano l’Europa ha bisogno dell’atomica francese. Secondo Sarkozy la capacità di dissuasione nucleare di Parigi, sarebbe anche di ”vitale sicurezza per la nazione”. Le dichiarazioni dell’inquilino dell’Eliseo sono venute durante la presentazione del nuovo, il quarto, sommergibile nucleare francese «Le Terrible», fatta venerdì a Cherbourg. Nel discorso nel quale per la prima volta Sarkozy ha fatto riferimento all’arsenale atomico dell’Esagono, il presidente francese ha proposto l’apertura immediata di negoziati per un trattato di interdizione dei missili nucleari di media e corta gittata. Sarkozy ha anche dichiarato che Il budget della difesa francese non scenderà «ma resterà il secondo dello Stato per ordine di importanza». Ciò nonostante la Francia intende prendere nuove misure di disarmo nucleare, riducendo di un terzo, «il numero di armi nucleari, missili e aerei». Sarkozy ha anche invitato Usa e Cina a ratificare il trattato d’interdizione completa dei test nucleari, sottoscritto nel 1996. «Le potenze nucleari dovrebbero smantellare tutti i i loro siti nucleari e interrompere gli esperimenti atomici, in modo trasparente e aperto alla comunità internazionale».
La Georgia attacca la Duma russa I deputati georgiani hanno fustigato ieri l’appello fatto dai loro omologhi russi che invitava a prendere in considerazione la possibilità di esaminare la questione del riconoscimento dei territori indipendentisti di Tblisi, Abkhazia e Ossezia del sud, minacciando misure di ritorsione contro Mosca. Il presidente della commisione esteri del Parlamento georgiano, Konstantin Gabachvili, ha criticato in dichiarazioni televisive fatte nella serata di venerdi, «la decisione aggressiva e ostile» della Duma, la Camera bassa del Parlamento russo.
Trattative per la riunificazione di Cipro
Una esercitazione pasdaran, nelle loro casse finiscono i proventi dei maggiori accordi economici iraniani na. Ma il dato politico rimane – ed è sostanziale. A due settimane dall’approvazione della terza risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, una compagnia svizzera firma il più grande accordo della storia della repubblica islamica in materia d’energia – tra i 28 e i 42
Il gas dal Caspio dovrebbe raggiungere l’Europa e, attraverso la Grecia e l’Albania, l’Italia miliardi di dollari, secondo l’annuncio ufficiale. L’accordo ha un solo precedente in termini di dimensioni – quello firmato dalla compagnia austriaca Omv, che l’anno scorso siglò un accordo per 22 miliardi di dollari solo un mese dopo l’approvazione della risoluzione 1747 contro l’Iran. La risposta svizzera alle dure critiche americane è che l’accordo non viola né sanzioni Onu né alcun’altra legislazione vigente in tema, la fornitura di gas naturale è dunque pienamente legittima. Ma i grandi accordi con l’Iran sono un segnale politi-
co nell’attuale clima, e non solo perché i proventi di tali grandi appalti finiscono spesso a rimpinguare le casse di enti statali i cui legami con i pasdaran, le guardie rivoluzionarie, sono comprovati. Lo sono soprattutto perchè confermano che l’Europa è debole sul fronte energetico e non oserà mettere a rischio il proprio accesso alle risorse energetiche iraniane per fare pressioni su Tehran.
La realtà dovrebbe invece essere diversa: se l’Iran ottenesse la bomba atomica come è evidente che sta cercando di fare, la nostra dipendenza energetica ci renderebbe ancor più vulnerabili ai ricatti iraniani di quanto non siamo oggi; e per contro, la dipendenza tecnologica dell’Iran nei nostri confronti ci dona un formidabile strumento di pressione e mostra la grande vulnerabilità del regime nei confronti dell’Occidente. Invece, munita di velo, Calmy-Rey ha deciso di mettere il proprio comodo commerciale prima degli interessi strategici di lungo periodo dell’Europa, mostrando come i suoi critici, che l’anno accusata di sottomissione in tema di diritti delle donne, avessero torto sul tema ma ragione sulla sostanza.
A trentaquattro anni dalla divisione, la popolazione greca e turca di Cipro ha manifestato la propria intenzione di trattare per mettere fine alla separazione nata con l’invasione dell’isola da parte dei militari di Ankara. Questo è l’augurio espresso dal nuovo presidente cipriota, Dimitris Christofias, e dal leader della comunità turca, Mehmet Ali Talat, dopo un incontro nella zona smilitarizzata dell’isola mediterranea. Le due personalità si sono inoltre pronunciate a favore della riapertura di via Ledra, uno dei simboli della separazione tra le due comunità situata nella parte vecchia di Nicosia. L’incontro è avvenuto ieri nella zona cuscinetto sotto controllo Onu, vicina all’aeroporto abbandonato della città. Il ruolo del mediatore è stato svolto dal rappresentante speciale dell’Onu, Michael Moeller. In una dichiarazione comune si afferma che le trattative formali, che dovrebbero iniziare tra tre mesi, avverranno sotto l’egida del segretario generale delle Nazioni unite.
Vittime del maltempo negli Stati Uniti A seguito di forti temporali nella zona centro occidentale degli Usa, venerdì sono morte sedici persone e altre due risultano disperse. Dopo le tempeste degli ultimi giorni, oltre trenta centimetri il livello della neve caduta, fiumi e laghi sono straripati. Per i prossimi giorni si prevedono ulteriori peggioramenti delle condizioni atmosferiche.
Attentato contro la polizia in Spagna Un’autobomba è esplosa nella regione di Rioja, nel nord del paese. Secondo quanto riferito dalla polizia l’attentato era stato preannunciato da una telefonata da parte di un portavoce dei separatisti Baschi dell’Eta. L’autobomba è esplosa intorno alle 14 nei pressi del comando della Guardia civile di Calahorra, che era stato evacuato dopo una telefonata anomina dell’Eta che avvertiva dell’attentato. La zona interessata dall’esplosione era molto affollata, dal momento che stava per terminare la processione del Venerdì santo. Secondo le prime informazioni, nell’esplosione dell’autobomba - una Honda civic di colore azzurro - è rimasto solo lievemente contuso un agente della Guardia civil. L’ultimo attentato dell’Eta risale al 7 marzo scorso.
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Diagnosi preimpianto e rischio concreto di selezione genetica: alcune decisioni della magistratura forzano la legge 40
L’EUGENETICA DIETRO L’ANGOLO di Assuntina Morresi a diagnosi genetica pre-impianto (Pgd), è una procedura diagnostica messa a punto nel 1991, legata alle tecniche di fecondazione in vitro. Si effettua nei primissimi giorni dopo la fecondazione, e consiste nel prelievo di una o due delle otto cellule – chiamate blastomeri – di cui è costituito un embrione a quello stadio di sviluppo: l’analisi genetica di tali cellule permette di determinare se l’embrione sia o no esente da una malattia causata da un singolo gene, o comunque da malattie cromosomiche, in genere. L’analisi ha senso quindi se si dispone di un certo numero di embrioni da biopsiare – è questa la parola utilizzata per indicare il prelievo delle cellule dall’embrione : quelli che risulteranno geneticamente nella norma, rispetto ai cromosomi esaminati, saranno preferiti rispetto a quelli anomali, e potranno essere trasferiti in utero per l’impianto. La Pgd è quindi una tecnica di indagine che permette di selezionare gli embrioni “migliori” e scartare quelli “difettati”, almeno dal punto di vista genetico. Si configura quindi come una pro-
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tatori sani di talassemia, potesse effettuare la diagnosi preimpianto di un embrione crioconservato. A dicembre il tribunale di Firenze ha continuato nella stessa direzione, consentendo la diagnosi preimpianto ad una coppia portatrice di una malattia ereditaria, stabilendo però anche la parziale inapplicabilità ed illegittimità delle linee guida della legge 40. Alla fine di gennaio il TAR del Lazio ha aperto a sua volta alla diagnosi preimpianto, annullando le linee guida della legge 40, e chiedendo alla Consulta di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge stessa. La caduta del governo Prodi ha di fatto impedito di emanare le nuove linee guida, in sostituzione di quelle scadute lo scorso luglio, e la palla passerà al ministro della sanità del prossimo governo. Nel frattempo il messaggio che sta passando sui media è che vietare la Pgd significa impedire alle coppie che lo chiedono la possibilità di avere un figlio sano. Un’affermazione fuorviante per molti motivi: innanzitutto questo tipo di diagnosi non esclude certo l’intera gamma di malattie genetiche possibili, ma solamente un piccolo numero. Secondariamente, la tecnica ha di per sé un’elevata percentuale di fallimenti, e quindi anche sul numero limitato di test genetici effettuati gli errori non sono trascurabili. Infine, si suggerisce che embrioni con il patrimonio genetico non compromesso possano impiantarsi più facilmente in utero, aumentando così il numero dei “bimbi in braccio”, cioè dei concepimenti in vitro con esito positivo. Questa terza considerazione, che a una prima lettura sembrerebbe un’osservazione di buon senso, è stata autorevolmente smentita da una ricerca olandese pubblicata di recente sul New England Journal of Medicine, una delle più autorevoli riviste scientifiche mediche a livello internazionale: su un totale di 408 coppie prese in esame, nel gruppo che aveva effettuato la Pgd solo il 25 per cento delle donne dopo 12 settimane ancora aveva una gravidanza in corso, a fronte del 37 per cento che invece non aveva eseguito tale analisi. I nati vivi sono stati il 24 per cento delle coppie che aveva eseguito la
La Pgd porta in Inghilterra a scartare anche embrioni a rischio di malattie curabili cedura eugenetica – è bene ricordare che ogni selezione genetica sulle persone è eugenetica – ed in quanto tale è proibita dalla legge 40, che regola la procreazione assistita: l’art.13 del testo di legge vieta infatti “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni”, mentre nelle linee guida della legge, che regolano la modalità con cui la 40 è applicata, si afferma esplicitamente che la diagnosi preimpianto dell’embrione non è ammessa.
U n d i v i e t o c o n t e s t a t o in Italia da alcune sentenze: nel settembre scorso il Tribunale di Cagliari ha stabilito che una coppia di sardi, por-
Pgd, a fronte del 35 per cento di chi non l’aveva eseguita.
La Pgd quindi diminuirebbe il tasso delle gravidanze anziché aumentarle per via della selezione degli embrioni “migliori”: molto probabilmente il prelievo di una o due cellule su un totale di otto compromette in modo decisivo l’ulteriore sviluppo embrionale. Finora non esistono follow up temporalmente significativi su bambini nati da embrioni sottoposti a Pgd, e quindi non è possibile conoscere con un sufficiente grado di attendibilità eventuali conseguenze a medio-lungo termine. Nel frattempo, però, nelle nazioni dove la Pgd è consentita, si allarga sempre più l’elenco dei test genetici a cui gli embrioni possono essere sottoposti, e quindi il range di patologie rispetto alle quali è possibile scegliere un embrione: in Gran Bretagna, per esempio, si è partiti dalla diagnosi di malattie gravi ed
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«Vi racconto lo stress che mi ha provocato il bitest quando aspettavo mio figlio»
Partorirai con ansia incurabili, come la fibrosi cistica, e si è passati a test per accertare la presenza di geni che aumentino la probabilità di sviluppare, da adulti, forme tumorali curabili come certi tipi di tumori intestinali, o tumori al seno. Quindi si scartano embrioni che forse, una volta diventati persone adulte, svilupperebbero forme tumorali comunque curabili. Recentemente, poi, alcune società che rappresentano non udenti inglesi – come il Royal National Institute for Deaf and Hard of Hearing People (Rnid) e la British Deaf Association (Bda) hanno chiesto che non sia impedito, se richiesto, di impiantare embrioni sordi anziché sani: “quali embrioni debbano essere scelti per l’impianto deve rimanere una decisione degli individui e dei loro medici”, e non accettano neppure divieti ad impiantare embrioni con la certezza di future disabilità, qualora la coppia ne potesse concepire solamente di disabili: “quando sono disponibili solo embrioni sordi, noi sosteniamo il diritto degli individui a scegliere l’impianto.” L’obiezione è semplice: se il criterio ultimo è la libera scelta dei genitori, questa deve essere garantita allo stesso modo a tutti i genitori che vogliono figli “come loro”, siano essi udenti o non udenti. Se da un punto di vista umano è comprensibile il desiderio dei genitori disabili di non vedersi discriminati innanzitutto dai propri figli, ma di volerli in un certo senso “tenere con sé”, magari nella comunità in cui l’esperienza quotidiana è positiva, è altrettanto evidente che gli esiti di un ragionamento del genere hanno qualcosa di aberrante. D’altra parte, quando il legittimo desiderio di avere figli si trasforma nel diritto ad averne, e ad averne sani, si entra in un ordine di idee contraddittorio da cui è veramente difficile venire fuori.
di Alessandra Di Pietro o avuto il mio primo figlio nel 2002, a 34 anni, e l’amniocentesi era già un esame di ruotine per lo spauracchio della Sindrome di down. Io non volevo farla. Per convincere i parenti di non essere impazzita avevo imparato a memoria i dati: alla mia età il rischio di avere un figlio trisomico era dello 0, 5 per cento, quello di perderlo in conseguenza dell’esame esattamente il doppio, l’uno per cento. Nel migliore dei casi passavo per eccentrica mentre già ansiosa per conto mio, avrei gradito qualche rassicurazione. La trovai tra le mie amiche praticanti di yoga. Frequentavo un corso per diventare insegnante e per molte delle donne italiane e tedesche che incontravo ogni vita era “un dono” e ad esso si “arrendevano con gioia”. L’insegnante aveva quarant’anni, aspettava il terzo figlio e non pensava di indagare lo stato della salute del feto facendosi infilare un ago in pancia. La sua storia mi dava conforto.
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Per la mia seconda gravidanza, erano passati altri tre anni, ho subito un attacco concentrico peggiore del primo: “l’amniocentesi è gratuita perché sei a rischio” oppure “è obbligatoria, la devi fare” mi intimavano i male informati. Sono tornata a guardarmi i dati, il rischio di un bambino trisomico era salito quasi all’uno per cento, e quindi mi difendevo peggio, anche da me stessa. Con il mio compagno decidemmo di fare il bitest, ma dovetti impuntarmi con il centro diagnostico per ottenere l’esame. Alla mia età, dicevano,“è molto meglio fare l’amniocentesi”, ma io tirai diritto. In quei giorni, però, quello che mi tranquillizzò non fu il buon esito del bitest, ma un’impietosa ammissione di fronte a me stessa. Il mio primo figlio era sano, avevo dimostrato a me stessa e al mondo di sapere fare un bambino perfetto, e questo placava la mia ansia da prestazione. Vivevo la maternità come un’ennesima performance. Sentivo il dovere di essere brava ed emancipata come lo ero stata negli studi, nella professione, nella relazione con un uomo, nel guadagnare denaro. Durante la prima gravidanza avevo combattuto per sottrarmi a quello schema. Meditavo, leggevo, cucinavo e lavoravo. Con la seconda ho avuto poco tempo a disposizione per rimestare nelle mie ansie, ed è stato un bene. Per quanti esami siano stati inventati, una percentuale di incertezza c’è sempre, e la moltiplicazione degli screening aumenta la percentuale dell’errore sul risultato delle indagini. Secondo l’Oms, in una gravidanza fisiologica, che non presenta specifici problemi, bastano quattro
visite ginecologiche e tre ecografie. In Italia, informa l’Istat, le ecografie sono almeno cinque e una donna su quattro ne arriva fare sette, quasi una al mese, il 60 per cento delle donne seguite da un ginecologo privato si sottopone a 7 o più visite. Ed è opportuno ricordare che le ecografie eccedenti e l’amniocentesi sotto i 35 anni, sono a pagamento.
L’uso insensato di strumenti diagnostici prenatali, però, non placa le paure della madre, né migliora la relazione con il figlio, anzi spesso non lascia il tempo di creare una relazione. La gravidanza è raccontata dallo scandire degli appuntamenti con il medico, quel che sente della madre, la sua fantasia sulla creatura ancora sconosciuta, hanno sempre meno spazio e meno autorevolezza. Bisogna controllare che nella pancia “sia tutto a posto” prima di gioire davvero. In gravidanza, una quota di curiosità e di ansia è ovvia, insita nella natura delle cose. Il figlio non si può vedere né toccare, è il mistero, l’imprevisto e l’imprevedibilità della nuova vita. Sulla mia pelle, ho scoperto che il miglior rimedio all’agitazione non era fare un altro esame, ma provare a fidarmi di me stessa e della mia creatura, accettando che non tutto era sotto il mio controllo. Sono una madre incosciente? Ho peccato di insubordinazione al progresso perché ho usato gli strumenti offerti dalla modernità senza rinunciare al mio sentire, confidando più che diffidando? Non sono cattolica, sono femminista e di sinistra e da questo mio sentire tiro fuori la convinzione che la libertà di una madre si misura con la necessità di tenere tra le proprie mani le decisioni sul corpo e sul destino del figlio, rifiutando di consegnarsi passivamente al medico. A me sembra che la diagnosi prenatale sia diventata una sorta di obbligo a cui è complicato sottrarsi, o scegliere fra i vari esami secondo criteri che non coincidono con quelli della medicina ufficiale, pena passare per irresponsabili. Le donne che non fanno “tutti gli esami”, per libera e meditata scelta sono maltrattate un po’ dappertutto, negli ospedali e dai medici di base. È sacrosanto fare prevenzione, ma è una follia far credere che la scienza possa dominare l’incontrollabile. Il rischio è insito nella vita e nel dare la vita, le donne lo sanno. Non giudico il desiderio di un genitore di avere un figlio sano – chi non lo vuole? - ma è nell’interesse delle madri, della loro salute e di quella del nascituro opporsi ad un uso ansioso e ansiogeno della diagnosi prenatale che crea inutile allarmismo e neanche un briciolo di consapevolezza.
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Un turbine ha sconvolto l’attesa di un figlio che si è trasformata da “affare di donne” a problema fortemente medicalizzato
LA RIVOLUZIONE (SCIENTIFICA) DELLA GRAVIDANZA di Carlo Bellieni n turbine ha fatto ormai cambiare lo sguardo sulla gravidanza: mentre fino a vent’anni fa era considerata un “affare”da donne, in cui il rapporto era tra la gestante e le altre donne, e in profondo con il suo bambino, ora il rapporto privilegiato è tra gestante e medico, lasciando in sottofondo - con il sapore della facoltatività - tutto il resto. Il turbine è stato la possibilità di indagare fin nel profondo i tratti del nascituro e rendere questo routine: è la diagnosi prenatale. La “diagnosi prenatale”, comprende tutti gli accertamenti per eventuali malattie fetali tra cui quelle dovute a malattie genetiche (diagnosi genetica prenatale). La diagnosi genetica prenatale (un esempio è quella volta ad individuare la Sindrome Down) si può fare per via diretta (conteggio dei cromosomi sulle cellule del feto - amniocentesi e villocentesi) e per via indiretta (ricercando fattori che indichino il rischio di malattie genetiche - ecografia o analisi del sangue della madre). Ovviamente la diagnosi prenatale volta a curare madre o figlio è un’ottima cosa. Purtroppo talora la ricerca esagerata di imperfezioni si inserisce in un vissuto di angoscia che, legato alla procrastinazione della gravidanza, alla conseguente difficoltà di generare, e alla scelta (spesso coercitiva) di avere un figlio unico, determina a sua volta un aumento generalizzato dell’ansia con cui la maternità è vissuta e in molti Paesi occidentali un’ipermedicalizzazione della gravidanza. Oggi la diagnosi genetica prenatale non è obbligatoria, ma è routinaria; questo significa che tutti i figli oggi nascono con una sorta di“certificato di idoneità”.Tutto (o in gran parte) il problema etico sta in questa distinzione tra obbligatoria (sanzionata dallo Stato), facoltativa (in seguito a discussione approfondita) e routinaria (“…lo fanno tutte!”): il passaggio della diagnosi prenatale per malattie genetiche nella terza categoria significa saltare il momento della “scelta” da parte della donna, che deve invece
Limiti. Nel 1989 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha tracciato le linee per una tutela della nostra privacy prenatale e suggerì di limitare la possibilità per i genitori di ottenere eccessive informazioni sul figlio: “La diagnosi prenatale è eseguita solo per dare ai genitori e ai medici informazioni sulla salute del feto. L’uso della diagnosi prenatale per test di paternità, eccetto in caso di stupro o incesto, o per selezione legata al sesso, eccetto nei casi di malattia legata al sesso, non è accettabile”. Oggi si indaga prima della nascita per prevedere lo strabismo, o il tumore al seno (da adulte); in alcune culture è diffuso l’aborto in base al sesso femminile.
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Utilità: si ricorre alla diagnosi genetica prenatale per due motivi: per “star tranquilli” (sperando che non vi siano anomalie e continuare la gravidanza serenamente); o per poter ricorrere essere il centro di ogni processo medico. L’altro grande problema etico è il fatto che, passati al vaglio dell’indagine genetica prenatale, chi nasce oggi nasce dopo una sorta di esame di idoneità. Questo non significa che non nascano più bambini con malattie: certo ne nascono di meno e in molti crediamo che non debba essere questa la risposta alla difficoltà di una madre di fronte alla malattia del figlio. Ma c’è di più: possiamo conoscere i segreti del Dna del figlio, anche quelli che non riguardano malattie curabili, e che dunque non sono apparentemente nell’interesse del soggetto, che potrebbe conoscere da adulto una serie di notizie sul proprio Dna da lui o lei non richiesti e che in potenza potrebbero determinare ansia: è un’ingresso non richiesto nella privacy. E quest’indagine potrebbe essere altamente discriminatoria, basti pensare agli aborti selettivi in base al sesso femminile. La generalizzazione della diagnosi genetica prenatale merita dunque alcune considerazioni preliminari.
La diagnosi prenatale sta diventando una routine. Utilità, limiti, pericoli Generalizzazione. Una grave preoccupazione è stata sollevata nel 2007 dal presidente del Comitato Francese di Bioetica, Didier Sicard, che ha scritto “Lo screening delle trisomie 18 e 21 (Down) (…) è arrivato come se la scienza avesse ceduto alla società il diritto di stabilire che la nascita di certi bambini era diventato non desiderabile. E i genitori che ne desiderano la nascita devono esporsi, oltre al dolore dell’handicap, a una crudeltà sociale dovuta al fatto di non aver accettato la proposta fatta dalla scienza e sancita dalla legge. In Francia la generalizzazione dello screening è basata certo su una proposta, ma nella pratica è divenuta quasi obbligatoria”.
all’aborto se il cariotipo è indesiderato. Non c’è al momento una possibilità curativa prima della nascita e conoscere un’eventuale malattia genetica nel feto, salvo che per poche malattie, non aiuta a curare meglio la malattia stessa rispetto al conoscerla alla nascita.
Rischio: Il rischio di perdere il figlio in seguito alla procedura invasiva (amniocentesi o villo centesi), per una recente pubblicazione dell’Associazione dei Ginecologi Canadesi è di 1 aborto non desiderato ogni 200 procedure. E questo dato è confermato dalla maggior parte degli studi internazionali. E’ facile fare il conto di quanti figli (probabilmente sani) vengano persi sulle circa 100.000 amniocentesi che si
fanno annualmente in Italia. Dunque, quali consigli dare in caso di gravidanza, nei riguardi della diagnosi genetica prenatale? La “diagnosi prenatale”è consigliabile quando ha finalità di curare la donna o il/la bambino/a La diagnosi prenatale volta a scoprire anomalie genetiche attualmente risulta avere finalità curativa solo in rarissimi casi, dunque la sua esecuzione va soppesata con i possibili rischi:
A - non può mai essere routine, ma essere preceduta da una dettagliata informazione e sottoposta a scelta consapevole da parte della donna. B - Il medico che esegue diagnosi genetica prenatale deve a) offrire un serio e progettato percorso di conoscenza della malattia prospettata e di tutte le agevolazioni che lo Stato offre; b) mai deve limitarsi a fornire solo un dato statistico o una risposta limitata al nome della malattia riscontrata, senza inserirsi nel percorso ora descritto; c) deve anche offrire la certezza che – in caso di riscontro patologico- non siamo solo di fronte ad una “anomalia”, ma ad un/a reale bambino/a malato/a. C - Lo Stato deve fornire il massimo delle prestazioni e delle agevolazioni alle famiglie con diagnosi prenatale di patologia, sin dal momento della diagnosi stessa. Insomma: la diagnosi genetica prenatale non è eticamente neutra: come tutte le azioni umane è una scelta e le scelte comportano una responsabilità. La libertà nelle decisioni sulla gravidanza può essere minacciata da un uso routinario della diagnosi genetica prenatale che mette le donne di fronte ad una pressione sociale di “performance”: il figlio deve essere “perfetto”, la gravidanza deve essere “normale”. Sono degli imperativi insidiosi che limitano e sottovalutano la capacità di abbracciare anche chi è diverso che è l’anima dell’atavica forza delle donne.
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I test sulle donne incinte commettono però molti errori
NUOVI di Gabriella Gambino a diagnosi prenatale costituisce oggi un vero e proprio “rituale” della gravidanza: indagini sul sangue materno, ecografie, bitest, triplo test e amniocentesi vengono ormai usualmente proposte ad ogni donna a partire dalle prime settimane di gestazione. Sebbene come ogni altra diagnosi medica, la diagnosi prenatale soprattutto se invasiva e rischiosa per la vita del concepito - dovrebbe essere suggerita solo in caso di sospetta patologia fetale, essa viene oggi presentata alla donna come uno strumento per verificare le condizioni di “benessere” del suo bambino e garantirle la nascita di un figlio sano. In tal senso, viene percepita come un “bisogno”: un bisogno di rassicurazione per la mamma, ma anche per il medico che segue la gestazione. La dilatazione del concetto di “rischio” contribuisce in maniera determinante a dare forma a questo bisogno di certezza diagnostica. L’essere inseriti in un gruppo a rischio diviene un’“etichetta” che insegue la donna per tutta la durata della gestazione, non solo quando vi sia la possibilità oggettiva di trasmettere al bambino una patologia ereditaria, ma anche solo sulla base dell’età materna: a partire dai 35 anni si appartiene di fatto al gruppo “ad alto rischio” di avere un figlio con la Sindrome di Down. E questo nonostante autorevoli studi internazionali indichino che nessun dato clinico negli ultimi anni abbia giustificato l’abbassamento graduale della soglia dell’età a rischio (dai 40, ai 38 e poi ai 35 anni). Le uniche conoscenze in proposito, infatti, si limitano a rilevare che il 20 per cento dei bambini affetti da sindrome di Down nasce da donne di età superiore a 35 anni e che in un quarto dei casi la causa della trisomia è il cromosoma paterno. In questo contesto, nel quale il concetto di gravidanza “normale” si va restringendo, la diagnosi prenatale appare come uno strumento indispensabile per rassicurare le donne che – alla luce dei nuovi parametri - presentano un rischio significativo di patologia fetale. Ma è proprio vero che la diagnosi sia di per sé uno strumento tran-
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quillizzante anche per le donne non a rischio? Ed è così scontatamente lecito proporre screening genetici – come il tritest – che non danno alcuna certezza in termini di risultato? Tali test, infatti, si limitano ad offrire un esito statistico di probabilità di rischio di avere un figlio con la sindrome di Down, con altissimi falsipositivi (oltre il 25 per cento), e costituiscono solo il presupposto per dare il via ad ulteriori indagini più invasive per verificare la presenza del rischio ipotizzato.
In realtà, l’accesso alla diagnosi prenatale non dovrebbe mai essere dato per scontato: si tratta di un percorso di medicalizzazione della gravidanza, nel quale sia la donna sia il medico vengono sollecitati ad esercitare la propria responsabilità nei confronti della salute e della vita del concepito, prendendo decisioni spesso sulla base di informazioni incerte e non definitive. Un percorso che, in tal senso, può creare più problemi di quanti non riesca a risolverne, alimentando le normali ansie della gestazione. E’ esperienza comune che la stessa decisione di sottoporsi ad una diagnosi impone alla donna di confrontarsi con l’idea di un esito infausto
RITUALI INFIDI E PERICOLOSI diagnosticate prima della nascita, meno del 15 per cento delle patologie genetiche può essere curato e molte cure farmacologiche e chirurgiche prenatali sono ancora in fase sperimentale: ciò significa che la maggior parte delle diagnosi di anomalie fetali non offre ancora possibilità terapeutiche per il concepito. A ciò si aggiunge il limite strutturale delle metodiche prenatali, che tuttora hanno soglie di falsi-negativi e falsi-positivi molto elevate: dall’ecografia (con falsi positivi che arrivano al 28 per cento) al prelievo dei villi coriali (2 per cento del totale delle diagnosi) all’amniocentesi, che presenta anche un rischio di perdita fetale tra lo 0,5 e l’1,5 per cento. Nonostante questi limiti, la diagnosi prenatale viene sempre più spesso presentata come uno strumento a disposizione delle donne per operare scelte riproduttive autonome e consapevoli. Eppure, di fronte al medico che, con estrema naturalezza, prescrive un triplo test o un’amniocentesi, il 75 per cento delle donne non solo non riesce ad ottenere spiegazioni esaurienti in proposito, ma non è in grado di rifiutare la proposta della diagnosi, sentendo una sorta di obbligazione morale verso di essa. In tal senso, la disponibilità
Ci sono tecniche invasive che possono comportare gravi danni al feto della propria gravidanza, e quest’idea poi difficilmente riesce ad abbandonarla. Autorevoli studi rivelano in proposito che anche dopo il risultato negativo di una amniocentesi, il 20 per cento delle pazienti continua a temere per la presenza di patologie congenite. A ciò si aggiunge il fatto che la diagnosi prenatale per una determinata patologia non aiuta la coppia a prepararsi all’accettazione di patologie diverse da quelle previste dal test. Non tutte le anomalie, infatti, possono essere
e il“peso”della diagnosi può condizionare fortemente la scelta della donna e – invece che incrementare - limitare la sua autonomia. In particolare, la disponibilità di test non invasivi costituisce quasi sempre il primo gradino di una vera e propria “strategia” diagnostica: se il 94 per cento delle pazienti, tra un test non invasivo e uno invasivo, sceglie il primo, tuttavia il 49 per cento di coloro che hanno un esito normale accettano comunque una successiva indagine invasiva per verificare la
correttezza del test. Oltre i due terzi delle donne a rischio, inoltre, ritiene inaccettabile la proposta di uno screening (come il triplo test) scarsamente attendibile. In tal senso, sebbene alcune metodiche siano ormai entrate nella routine della prassi ostetrica, non si può dare per scontato che una donna voglia sottoporsi ad ogni indagine disponibile sul mercato.
Seguire la crescita del proprio bambino con metodiche sicure e non invasive è doveroso, ma quando intervengono l’incertezza del risultato e l’invasività che mettono a rischio la vita del nascituro, incrementando allo stesso tempo l’ansia materna, diventa indispensabile inserire la diagnosi nel contesto di una adeguata consulenza genetica, non solo dopo la diagnosi al momento della consegna del referto, ma anche prima, al fine di creare i presupposti per un autentico consenso informato. La diagnosi non è mai obbligatoria, nemmeno nel caso di esami “routinari” come l’ecografia. Ciò che invece è obbligatorio è il consenso ed è un dovere deontologico per il medico fare in modo che sia elaborato in un contesto dialogico, nel quale la donna possa avere tutte le risposte che servono a rassicurarla e a renderla consapevole dei limiti, dei rischi, delle possibilità e della necessità oggettiva delle indagini che le vengono proposte. Per questo, a fronte della pervasività della tecnologia, preme ribadire che la diagnosi prenatale, lungi dall’essere una pratica neutra, come ogni altra pratica medica, è chiamata a farsi autentico strumento a tutela della salute e della vita, nel rispetto di alcune condizioni essenziali: i) non deve provocare rischi sproporzionati né alla madre né al bambino; ii) si deve essere in presenza di indicazioni mediche oggettive che lascino supporre un rischio significativo di malattia, accertabile con metodi attendibili e sicuri; iii) la partecipazione della donna deve essere sempre libera, volontaria e consapevole, nel pieno rispetto del suo diritto di rifiutare una diagnosi che non offrirebbe soluzioni terapeutiche, portando con sé rischi inaccettabili per la vita del suo bambino.
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Le analisi individuano un rischio, un destino, non una malattia
Diritto di sapere e di non sapere Il Comitato nazionale di Bioetica ha approvato nel 1999 un lungo documento sul problema della diagnosi prenatale. Ne pubblichiamo un ampio stralcio che mette in evidenza alcuni dei problema più significativi che comporta l’applicazione di una semile tecnica. e applicazioni più immediate delle moderne conoscenze genetiche e dei progressi compiuti nell’analisi del genoma umano mediante tecniche di biologia molecolare, riguardano innanzitutto la possibilità di una diagnosi prenatale. In una prima modalità, questa è finalizzata alla identificazione di alterazioni genetiche responsabili di specifiche malattie ereditarie, che si manifesteranno alla nascita o comunque in epoca neonatale.
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Gli indirizzi del Comitato Nazionale di Bioetica elaborati nel 1999 sui test genetici In ogni caso deve essere preceduta dal momento della consulenza genetica, per accertare la consistenza effettiva della indicazione, illustrarne gli eventuali rischi, le possibilità di errore, e i problemi etici in caso di positività dell’indagine diagnostica. Ben più complessi sono i problemi sollevati dalla diagnosi pre- o post-natale, mediante analisi del Dna, di malattie genetiche ad insorgenza tardiva, la cui manifestazione clinica si realizzerà cioè in età adulta.
La prescrizione di un test genetico in una fase pre-sintomatica risulterebbe infatti ineccepibile in presenza di una adeguata terapia o qualora fosse quanto meno possibile modificare l’evoluzione della malattia, riducendone le possibili complicanze, mediante un trattamento medico precoce; appare invece quanto meno discutibile per tutte quelle condizioni, per le quali non è di fatto disponibile alcun rimedio terapeutico. La nascita di una moderna “medicina molecolare”di tipo predittivo impone pertanto una riconsiderazione complessiva dei benefici e dei danni apportati dalla scienza medica. E’ indiscutibile che ogni individuo abbia diritto di conoscere il proprio genotipo; ma accanto al diritto di sapere si dovrebbe riconoscere anche il diritto di non sapere, soprattutto in quei casi in cui
una conoscenza preventiva della malattia porterebbe soltanto ad una anticipazione delle sofferenze, senza concreti vantaggi in termini terapeutici. Emblematico è il caso delle famiglie in cui sono presenti individui affetti dalla già citata corea di Huntington. In questi casi, infatti, l’analisi familiare può incontrare notevoli difficoltà non solo per la impossibilità di ottenere campioni da uno o più membri della progenie, ma anche per la volontà della madre di voler sì conoscere il rischio di malattia del proprio feto, ma non il proprio.
La medicina molecolare introduce all’interno del rapporto medico-paziente un nuovo tipo di approccio alla fase prognostica. I test genetici infatti non identificano sempre la presenza di una determinata malattia, seppur in una fase iniziale del suo sviluppo, ma piuttosto la presenza di una mutazione in un gene in grado di determinare l’insorgenza della malattia. Tale condizione potrà essere variamente definita con i termini di “predisposizione”, di“suscettibilità”, di rischio “potenziale”, ovvero “probabile”. Ma le indicazioni prognostiche che si possono trarre da tali indagini sono del tutto diverse rispetto a quelle offerte da altri esami diagnostici, dato che esse individuano un “rischio”, più che una malattia
nella sua fase iniziale. La capacità di predire con certezza - attraverso l’analisi del genoma in epoca prenatale o della costituzione genetica di individui adulti - che un soggetto si ammalerà di una determinata malattia o che, pur ancora in perfetta salute, è comunque predisposto a contrarre determinate patologie, può anche comportare un costo elevato in termini psicologici e sociali. È infatti possibile sottoporre l’individuo a discriminazione in vari ambiti della sua vita quotidiana (sul lavoro, da parte di società assicuratrici, o addirittura del proprio partner), spesso soltanto sulla base di una maggiore probabilità, ma non della certezza assoluta, che un giorno egli possa ammalarsi. Si pone pertanto la necessità di proteggere il singolo individuo da un cattivo uso delle informazioni genetiche, tale da condurre a comportamenti collettivi discriminanti e limitativi, a qualsiasi livello, della libertà e dei diritti individuali. La stessa possibilità di modificare od eliminare parte del patrimonio genetico considerato dannoso potrebbe dare nuovo impulso a programmi di miglioramento della specie umana, eredi di culture di prevaricazione mai del tutto sopite nella società, ispirate ad un rigido“determinismo genetico”che non tiene conto a sufficienza dell’influenza rilevante dell’ambiente nella determinazione del fenotipo. L’eventuale attuazione di tali programmi, ma anche l’opposta e altrettanto perniciosa demonizzazione dei progressi della genetica moderna, potranno essere scongiurate soltanto con una corretta ma diffusa informazione sulle attuali conoscenze, sui limiti e sulle potenzialità effettive della genetica. […]
er tutte le donne in attesa, un libro piccolo e prezioso che, una volta tanto, non affronta aspetti “medici”della gravidanza - sempre più spesso trattata come una malattia – ma lo sviluppo della nuova persona nel grembo materno, e della relazione, unica e preziosa, con sua madre. Per tutte le mamme, perché riescano a vivere la gravidanza come una volta, come una sorpresa e una novità di ogni giorno, e non solo come nove mesi scanditi da controlli medici sempre più sofisticati. La gravidanza come uno stato privilegiato, un’occasione da non perdere per conoscere se stesse, il proprio corpo, per scoprire quanto si è forti e deboli al tempo stesso, e soprattutto per godersi la compagnia del figlio che cresce dentro. Nel libro si possono leggere testimonianze ed osservazioni scientifiche, notizie inusuali e soprattutto quella serenità necessaria per affrontare e potersi godere la gravidanza. Carlo Bellieni Godersi la gravidanza Ed. Ancora (2007), pagine 126
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n volume poderoso che affronta una pratica diventata oramai di routine in quasi ogni gravidanza: la diagnosi prenatale di malformazioni congenite nel concepito. Apparentemente inoffensive e volte al benessere del nascituro, queste analisi sofisticate note a chiunque – amniocentesi, villocentesi, ecografie – nascondono problematiche estremamente complesse, di tipo giuridico, etico e medico.Tali tecniche, infatti, si prestano sempre più a divenire uno strumento di selezione eugenetica rispetto a soggetti imperfetti. Oltre a una approfondita presentazione della storia, diffusione e impatto socio-culturale della diagnosi prenatale, nel testo se ne passano in rassegna aspetti epistemologici ed orientamenti etici, considerando anche la responsabilità verso le coppie e verso il nascituro da parte di chi fornisce questo particolare servizio diagnostico. Inquietanti le implicazioni giuridiche prese in esame, non ultime le recenti sentenze in materia di“danno da nascita”, che sembrano prefigurare un nuovo diritto, quello a non nascere, qualora il concepito non godesse di perfetta salute. Gabriella Gambino Diagnosi prenatale Ed. Scientifiche Italiane, pagine 538
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a cura di Assuntina Morresi
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Un’idea, una buona idea, è davvero rara. Albert Einstein
C A M PA G N A
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ABBONAMENTI
2008 ❏ semestrale 65,00 euro invece di 127,00 euro
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DELLE IDEE
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economia
Il sindacato chiede il rispetto del Memorandum firmato con Nicolais per valorizzare le risorse interne
Outsourcing: un buco da 300 miliardi nella pubblica amministrazione di Rino Tarelli a Pubblica amministrazione non funziona? Colpa dei dipendenti. Inghiotte una parte di risorse che il nostro Paese non può permettersi? Colpa dei dipendenti. Offre servizi scadenti? Colpa dei dipendenti. La litania è sempre la stessa. Poco importa ai detrattori del pubblico per partito preso (o per interesse) che già in varie occasioni, non da ultimo i risultati del Libro bianco curato da Eurispes, i sindacati abbiano dimostrato, cifre alla mano, che laddove vi sono effettivamente discrepanze tra la macchina pubblica italiana e quelle di Francia, Germania o Regno Unito, queste finiscono per penalizzare i lavoratori dei nostri enti e ministeri, del Servizio sanitario e così via. Anzi: gli stessi sindacati finiscono per essere accusati di connivenza con il “fannullonismo“ e il ladrocinio perpetrati da quella casta di immeritevoli privilegiati che sono gli statali. La risposta migliore sta nei fatti. Il Memorandum sul lavoro pubblico, siglato tra noi e il governo Prodi, è un fatto. Che i sindacati per primi se ne siano fatti promotori, e abbiano lottato duramente affinché le linee guida in esso tracciate diventassero assi portanti della nuova stagione contrattuale, anche questo è un fatto. Che poi si debba fare una gran fatica per vedere quei contenuti tradotti in ‘buone prassi’, purtroppo, è anch’esso un fatto... Già, ma perché? Possibile che i colpevoli siano ancora una volta gli statali, lontani dalle esigenze di una società sempre più competitiva? No, le cose non stanno così. Sono all’opera meccanismi (e interessi) di altra natura. E solo facendo luce su di essi si può correggere il tiro, sempre se c’è la volontà politica di farlo.
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Uno dei trend in ascesa negli ultimi anni è, come si sa, il processo di esternalizzazione, ovvero l’affidamento di settori di attività di un’amministrazione pubblica non alle sue risorse interne, ma a un soggetto terzo, nel quale spesso ha partecipazioni la stessa amministrazione
pubblica. Ci siamo presi la briga di chiedere a Eurispes una misurazione scientifica, in termini schiettamente economically correct di rapporto costiricavi, di cosa significa per i conti pubblici. I risultati parlano chiaro: a pagare non sono stati soltanto i lavoratori addetti a quei servizi, sempre più precari, ma la collettività tutta. La sbandierata ottimizzazione della macchina, in molti casi, non solo non ha prodotto un innalzamento della qualità del
Gli enti locali hanno creato un sistema parallelo che comprende quasi 13mila società. Difficili da controllare e poco trasparenti prodotto – il servizio ai cittadini – ma addirittura ha finito per costare di più. Molto di più. Contro i 141 miliardi di euro che rappresentavano i consumi finali delle amministrazioni nel 1991, nel 2006 è stata toccata quota 300 miliardi. Dallo studio di Eurispes emerge come, già nel 2003, l’88 per cento delle 1.035 amministrazioni pubbliche italiane aveva almeno un processo di esternalizzazione in corso. Il numero delle amministrazioni che hanno partecipazioni in società di capitali è aumentato in pochi anni del 7,6 per cento, passando da 7.089 a 7.631. Le società a partecipazione pubblica superano ormai le 5mila unità, segnando un +5,9 per cento in soli due anni. È cambiata anche la forma della partecipazione pubblica, con una crescita sensibile (+11 per cento) delle società controllate direttamente dagli enti partecipanti (da 3.190 a 3.543) e una riduzione (-5,9) delle partecipazioni indirettamente. Tradotto in pratica, significa che sempre più spesso l’ente pubblico esternalizza verso società a partecipazione pubblica, di controllo o di minoranza, e sulle società cosiddette in house, cioè a totale partecipazione
pubblica. In altre parole, siamo di fronte ad una nuova forma di finanza pubblica allargata. Le esternalizzazioni offrono una via per aggirare la normativa e, al tempo stesso, la possibilità di gestire le risorse sfuggendo al controllo pubblico.
Quanto al livello di redditività, esso si è rivelato basso: mediamente del 3,47 per cento, ma nel 47 per cento dei casi non supera il 2. Così come sono basse le retribuzioni degli addetti: media annua pro capite stimata di 16.434 euro e 7mila euro in meno rispetto ai 23.476 annui percepiti in media dai dipendenti pubblici. A dire il vero, un indice ragguardevolmente alto in questo scenario c’è: è quello dell’indebitamento. Il 34 per cento dei casi analizzati presenta un indice di autonomia finanziaria pari o inferiore al 25. Prendiamo un settore specifico, che corrisponde a un diritto fondamentale di ogni cittadino e a un fattore chiave del suo benessere sociale e personale. Parliamo della sanità, che non a caso finisce periodicamente nel mirino per incapacità di tenere sotto controllo i tetti di spesa. Il costo complessivo della produzione in outsourcing di Asl e aziende ospedaliere era, già quattro anni fa, oltre quota 90 miliardi, pari a 1.500 euro pro capite. Una percentuale piuttosto elevata è stata spesa dalla Lombardia (15,1 per cento del totale), seguita da Lazio (9,8) e Campania (9,3), mentre l’incidenza più bassa di questa voce si registra in Basilicata (1 per cento), Trentino Alto Adige (0,9), nella provincia autonoma di Bolzano (0,5) e Valle d’Aosta (0,2). Guardando più da
vicino le voci di spesa, l’affidamento a terzi dell’assistenza sanitaria e della manutenzione di immobili, impianti e attrezzature è costata oltre 17 miliardi e mezzo di euro, una cifra che pesa per il 19,54 per cento sul costo della produzione complessiva. Ma oltre a questi dati tutt’altro che confortanti, quello che deve preoccupare scorrendo questa indagine è un concetto importante – o meglio, la sua negazione di fatto che a vari livelli ne emerge: “trasparenza”. In primo luogo perché la scelta dell’esternalizzazione, in molti casi, è stata effettuata prescindendo dai criteri di economicità, efficienza ed efficacia, in assenza di valutazioni tanto di fattibilità ex-ante quanto dei risultati ex-post. Il che contribuisce non solo a generare a valle ulteriori inefficienze, ma altresì un contesto a monte nel quale la selezione dei soggetti da coinvolgere avviene in condizioni di ‘rischio’
economico e morale. In secondo luogo – e anche su questo è doveroso riflettere – perché, anche per un organismo sicuramente legittimato e autorevole come l’Eurispes, è stato estremamente arduo reperire informazioni riguardo al bilancio di queste società, le quali peraltro, essendo a partecipazione pubblica, dovrebbero operare attenendosi al principio di massima trasparenza informativa verso l’esterno.
Per concludere, il succo che abbiamo voluto trarre da questa ricerca è il seguente. Quella riorganizzazione seria, profonda, autentica delle pubbliche amministrazioni che i sindacati chiedono, e della quale il Paese necessita come non mai, non può prescindere dall’elaborazione di veri e propri piani aziendali: il che significa obiettivi ben delineati, motivazione al loro raggiungimento, gestione oculata e mirata degli investimenti e delle spese. È in questa prospettiva che si collocano le recenti battaglie sindacali, di cui portano positiva traccia gli ultimi contratti collettivi di categoria, contro la politica dei tagli indiscriminati, per l’inserimento stabile di nuova forza lavoro e per la valorizzazione del merito. Nel contempo però, e questa ricerca lo dimostra, occorre limitare le esternalizzazioni alle attività cosiddette no-core, rendere meno imponente il ricorso alle consulenze esterne, ridurre il numero degli incarichi dirigenziali, risparmiare sull’acquisto di beni e servizi e, last but not least, assumere misure che diano piena garanzia di imparzialità e trasparenza nel sistema degli appalti pubblici. Ci auguriamo che questi impegni vengano fatti propri dalla maggioranza uscita dalle urne il 14 aprile e dalle forze che hanno cuore il benessere del Paese. Segretario della Cisl Funzione Pubblica
economia
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Parmalat, i Fondi chiedono conferma Cda Un gruppo di fondi, tra cui Lehman Brothers, che detiene il 6,38% di Parmalat, ha depositato le liste per il rinnovo del Consiglio di amministrazione, confermandone l’attuale composizione, compreso l’attuale a.d. Enrico Bondi. In particolare si tratta dei fondi Angelo, Gordon & Co. L.P.; Lehman Brothers International (Europe); MKM Longboat Strategy Master Fund Ltd; Stark Criterion Master Fund Ltd; Stark Global Opportunities Master Fund Ltd; Stark Master Fund Ltd; e Zenit Fund. La lista propone all’Assemblea degli azionisti convocata per l’8 e il 9 aprile .
Titoli di Stato, attesa per l’asta C’è grande attesa per l’asta di circa 50 miliardi di Titoli che ci sarà, secondo il calendario del Tesoro, subito dopo Pasqua. Per di più l’asta di marzo dei Bot annuali ha dato un segnale di allarme, concludendosi con un insuccesso inaspettato: a fronte di 7,5 miliardi di offerta le richieste sono state pari a 7,3 miliardi, e le assegnazioni a 7,1 miliardi con 400 milioni di invenduto. Basso anche il prezzo di aggiudicazione (96,277, con un rendimento del 3,79%), e tutto per colpa della defezione dei risparmiatori retail: era dall’ottobre del 1999 che non si registrava dell’invenduto alle aste dei Bot.
Continua la sfida tra Microsoft e Google per il motore di ricerca
Yahoo!, l’incognita cinese di Alessandro D’Amato
ROMA. La storia infinita. L’Opa di Microsoft su Yahoo!, dopo l’annuncio che il mese scorso aveva infiammato i mercati, sta scatenando un clamoroso risiko nella new economy. Che ha visto anche la discesa in campo di Google, nell’insolita veste di cavaliere bianco del suo maggior concorrente. Dopo il lancio del takeover da parte di Redmond, i rumors della comunità finanziaria si erano concentrati sulle voci di una controfferta proveniente dalla News Corp. di Rupert Murdoch. Ma lo Squalo australiano ha smentito a stretto giro di posta un qualsiasi interesse per il motore di ricerca, anche se le cronache dei maggiori quotidiani finanziari americani lo dipingono a tutto oggi come alla finestra, in attesa di sviluppi, per cercare di entrare al momento opportuno. Mentre Redmond registrava l’interesse alla sua offerta da parte del fondo Capital Research and Management (Crm), uno dei maggiori azionisti di Yahoo!, a muoversi è stato proprio Google. Alla luce del sole, attraverso le dichiarazioni del Ceo Eric Schmidt, che il takeover di Microsoft avrebbe addirittura messo in pericolo la libertà del web. E sottotraccia,“suggerendo” a Time Warner di mettere insieme una proposta di fusione tra Yahoo! e il suo portale AOL. L’idea era già circolata negli uffici finanziari ed è tornata d’attualità tanto che si parla di un miliardo di sinergie annuali: il piano presuppone lo spin off di AOL, la fusione, e una robusta iniezione di liquidità
Alibaba, partecipata della società di Jerry Yang, vuole ricomprare le sue quote: per gli analisti è il segnale che Gates è più vicino alla vittoria per la nuova società. La combinazione migliorerebbe la posizione di Yahoo! nel mercato domestico, e creerebbe una compagnia con una buona percentuale di query searches, una posizione discreta nell’instant messaging e nel mailing. E, ultimo ma non meno importante, una compagnia che capitalizzerebbe 55 miliardi di dollari, difficilmente scalabile. Google si farebbe “garante” dell’acquisizione, anche se mantenendo una posizione defilata e non potendo entrare solidamente nell’affare, perché incapperebbe nella scure dell’antitrust americano.
Nel frattempo, Yahoo! si è lanciata in una serie di dichiarazioni sui profitti attesi per il 2008 e per gli anni successivi. Il motore di ricerca ha di fatto confermato le stime precedentemente rilasciate a riguardo dei ricavi dei primi tre mesi del 2008 e per il resto dell’anno. E ha rilanciato le cifre per i flussi di cassa del prossimo triennio, dicendosi fiduciosa di poter raggiungere l’obiettivo di 8,8 miliardi di dollari di guadagni nel 2010. I profitti per il primo trimestre del 2008 dovreb-
bero essere ricompresi tra 1,28 e 1,38 miliardi di dollari, mentre quelli stimati per l’anno in corso dovrebbero oscillare tra i 5,35 e i 6 miliardi. La pubblicazione dei dati è stata interpretata da molti come una mossa per far apprezzare il titolo di Yahoo! rispetto all’offerta iniziale di Microsoft. Fin dall’inizio infatti erano trapelate voci sul fatto che Yahoo! ritenesse accettabile una offerta attorno ai 45 dollari, contro i 31 messi sul piatto dal colosso di Redmond.
Mentre in America ci si scanna, dalla Cina è arrivato un segnale importante: Alibaba, il portale cinese di cui Yahoo! detiene una partecipazione del 39 per cento, sta considerando l’idea di riacquistare le sue azioni. Quella in Alibaba è una share fondamentale, visto che da lì arrivano 3,2 miliardi di entrate (e i suoi profitti sono aumentati del 340% nel 2007). I cinesi vorrebbero tagliare i ponti proprio perché sono convinti che alla fine Redmond riuscirà a conquistare Yahoo!. Anche perché Ballmer non avrebbe nessuna intenzione di mollare l’osso, pur perdendo il mercato del Celeste impero. Anzi, avrebbe a quel punto l’intenzione di abbassare l’offerta di 2,50 dollari, oppure di lasciarla inalterata anche in caso di uscita di Alibaba, facendo considerare agli azionisti la cosa come una forma di rilancio. A quel punto, per Yahoo!, non resterebbero alternative: o segue la strada tracciata da Google o accetta la corte di Microsoft.
Confesercenti, rischio aumenti dell’energia per le pmi Dal 1 aprile, oltre 1.700.000 piccole imprese manifatturiere e dell’edilizia rischiano di subire aumenti del 12,6% del costo dell’energia elettrica, pari a 226 milioni di maggiori costi. Lo ha segnalato il presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini, al Presidente dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, Alessandro Ortis. Guerrini ha scritto una lettera a Ortis nella quale sottolinea che «le modifiche introdotte dall’Autorità provocheranno rincari del 12,6% del costo dell’energia elettrica per il 26% degli utenti non domestici in bassa tensione, vale a dire per 1.706.089 aziende dei settori manifatturiero e dell’edilizia che non possono spostare i propri consumi nelle ore notturne o nel fine settimana».
Assogestioni: «Governance a rischio con rinvio» «Iniziative che rischiano di pregiudicare la buona governance delle società». Lo ha detto il presidente di Assogestioni, Marcello Messori, a proposito della decisione di rinviare a dopo le elezioni politiche i rinnovi dei vertici di Eni, Enel e Finmeccanica. In una lettera indirizzata al ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa Messori sollecita una risposta dello stesso ministro per «fugare i dubbi, tranquillizzare gli investitori istituzionali e ripristinare la credibilità della corporate governance delle società quotate italiane che hanno quale azionista di maggioranza il ministero dell’Economia.
Accordo Enel-Liguria per rinnovabili L’Enel e la regione Liguria hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la produzione di energie rinnovabili. Si tratta della realizzazione di un impianto eolico lungo la diga foranea di GenovaVoltri e di impianti fotovoltaici in ambito portuale e aeroportuale, per un investimento di 40 mln di euro, e il contributo in termini di know how e di innovazione tecnologica al progetto di elettrificazione del porto genovese. Il documento è stato firmato ieri dall’amministratore delegato e direttore generale dell’Enel, Fulvio Conti e dal presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando. Con questa iniziativa Enel e Regione Liguria si impegnano alla realizzazione di sistemi eolici e fotovoltaici finalizzati alla produzione di energia elettrica per una potenza complessiva di circa 22 mw. Per l’impianto eolico sono previste pale alte 100 metri, 10 se da 2 mw, 14 se da 1,5 mw.
Class action Adusbef contro le banche Una class action contro le banche che obbligano i clienti a sottoscrivere una polizza come collaterale del mutuo. È quanto annuncia l’Associazione dei consumatori Adusbef - in un comunicato - in cui si legge che il Comitato direttivo di Adusbef che si è riunito ieri, dopo aver approvato le quattro azioni di classe in merito all’anatocismo, simmetria dei tassi, risparmio tradito, addebiti indebiti sulla surroga e portabilità dei mutui, ha messo in cantiere ulteriori azioni collettive di risarcimento inerenti le assicurazioni collaterali nel momento della stipula dei mutui, ed i prodotti derivati, venduti disinvoltamente dalle banche alle imprese ed agli enti locali.
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storie
Caso Moro: elogi e revisioni ma dopo trent’anni il muro di gomma è ancora in piedi di Arturo Gismondi ualche giorno fa, il 16 marzo, le istituzioni, i politici e la stampa, la tv soprattutto, celebrarono in modo degno, quanto a intenzioni e a spiegamento di mezzi, il trentennale del sequestro di Moro, l’inizio del suo supplizio che ebbe fine 55 giorni dopo con l’uccisione nella Renault rossa fatta ritrovare in Via Caetani la mattina del 9 maggio. L’apparato mediatico si mobilitò nel tentativo di ricostruire quel dramma di trent’anni fa, la situazione nella quale si dibatteva e continuò a dibattersi l’Italia, la figura che negli ultimi anni fu al centro della politica, quella del presidente della Dc, sulla quale si abbatté la furia delle Br.
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La figura dell’on. Moro si prestò da sempre, in verità, a ogni genere di rappresentazione fruibile, e la stampa, più ancora la tv, si sono adoperati in questi giorni per non riprodurre i cliché che lo hanno sempre perseguitato: quello di un politico dagli aspetti molteplici, non privo di ambiguità, di incertezze, alieno dalla decisioni, incline invece al rinvio e alla mediazione perpetua. A questa immagine si è sostituita quella dell’artefice di un futuro del Paese rimasto inespresso, che qualcuno ha voluto vedere come una democrazia compiuta assicurata più o meno dall’ingresso del Pci al governo, altri con il superamento di un equilibrio difficile, e solo transitorio da ripro-
durre al più con un processo di evoluzione del partito di Berlinguer.
Quanto all’uomo Moro, assente da sempre la moglie Eleonora, è toccato alle figlie rievocarlo, e l’una ha ricostruito il padre amoroso, l’altra, Maria Fida Moro, ha preferito richiamare in campo coloro che, disconoscendo le lettere inviate dalla prigione del popolo, vollero evitare di assumersi le responsabilità che queste imponevano loro. Le mezze analisi, e le mezze
I media hanno riletto la figura dell’ex presidente dc, come l’artefice di un futuro radioso. Giovanni Moro, nel suo Anni Settanta, illustra le rimozioni, la dietrologia e le resistenze senza fine che hanno dominato la ricerca in questi decenni verità che da trent’anni circondano ancora il dramma più fosco vissuto dalla nostra democrazia mi hanno consigliato di riprendere in mano un libro di Giovanni Moro, Anni Settanta stampato da Einaudi nell’ottobre scorso, nel quale ho ritrovato, accresciuti, i motivi di interesse della prima lettura. Precisando con qualche imbarazzo, dovuto al ruolo in cui si è trovato, ancorché giovanissimo, a vivere quella vicenda della quale fu un po’ testimone un po’ vittima, Giovanni Moro ricostruisce la posizioni di volta
in volta di rimozione, di facile dietrologia e di un revisionismo senza finalità e senza fine che hanno dominato la ricerca di questi decenni. E dei quali i numerosi processi furono parte. Soffermandosi sull’atteggiamento delle istituzioni e della politica nei 55 giorni della prigionia del presidente Dc, l’autore del libro spiega i tanti enigmi di quei giorni parlando di una “decisione di non decidere” alla quale si attenne almeno la maggioranza parlamentare che sosteneva il governo di Andreotti, posto in
A sinistra Giovanni Moro, figlio dello statista assassinato dalle Br e autore di Anni Settanta sella senza dibattiti e di gran furia il giorno stesso del rapimento di Moro, e dell’eccidio della scorta . «La non decisione, ci dice la policy analisys – spiega oggi Moro – non è una mancata decisione, ma uno specifico tipo di decisione, la decisione di non decidere e quindi, in sostanza, di non fare».
L’avversione a ogni trattativa, in sé comprensibile, si manifestò nel rifiuto di esplorare ambienti in grado di avvicinare il nucleo duro terroristico, in sostanza il rifiuto di una strada che portasse alla prigione di Moro. E non pare certo che strade simili non esistessero, a Roma, ove un personaggio assai popolare come
Franco Piperno scriveva sui giornali dannunzianamente della «geometrica potenza di Via Fani» e altri dicevano in giro, forse vantandosi o forse no, di saperla più lunga di quanto non fosse lecito, o normale. L’immobilità della classe politica si estese alla polizia e ai corpi che avrebbero dovuto mettere in moto gli strumenti tradizionali applicati in questi casi. Successe di più. Giacomo Mancini e Antonio Landolfi, membri ambedue della direzione Psi, cercarono di capire ove e come muoversi per arrivare a Moro e vennero accusati, anni dopo, di partecipazione a banda armata. Scansarono a fatica, e solo quando le accuse apparvero insostenibili, la Corte d’Assise.
cultura
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Aperti al pubblico quattro ambienti della Domus imperiale
Augusto, camere con vista sulla Storia di Rossella Fabiani ermo aveva lo sguardo e splendenti erano gli occhi azzurri. La fronte era alta, biondi erano i capelli e un po’ arruffati. La sua statura era al di sotto della media e per recuperare in parte lo svantaggio portava alte calzature». Così gli storici ci restituiscono l’immagine di Augusto. E sulla dolce altura del Palatino, il luogo dove Romolo tracciò il solco del primo perimetro di Roma, si erge tuttora “intra pomoerium”, entro le mura, la sua sobria dimora. Finora esclusa da ogni circuito di visita, la casa di Augusto è finalmente aperta a trent’anni dagli scavi condotti dal professor Gianfilippo Carettoni che l’avevano riportata alla luce. L’abitazione dell’imperatore sorgeva accanto al tempio di Apollo, a dimostrazione della sua discendenza divina che ne faceva il favorito del dio purificatore nell’abbattimento degli assassini di Cesare, suo prozio. Una discendenza divina che si innestava su una leggenda secondo la quale la madre Azia lo aveva messo al mondo fecondata da Apollo. Il cielo era sotto la costellazione del Capricorno quando sul Palatino, l’alba del 23 settembre del 63 avanti Cristo vede nascere il futuro imperatore. Per i romani era l’anno 691 dalla fondazione di Roma.
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Al momento della nascita il bambino ebbe semplicemente il nome di Octavius. Nulla di più poteva offrirgli il padre oltre la ripetizione del nome, quello di Caio Ottavio; nonostante il genitore fosse stato governatore della Macedonia. Il piccolo ebbe, tuttavia, un soprannome onorifico, quello di Thurinus, dalla vittoria che il padre aveva riportato in territorio di Thurii (Turi) contro i seguaci di Spartaco e di Catilina. Ma era ben poca cosa. La madre, Azia, invece, era la nipote di Giulio Cesare in quanto figlia della di lui sorella Giulia, sicché il bambino si trovava a essere il pronipote di un uomo che aveva già mostrato al mondo quanto fosse grande la sua ambizione. Grazie alle vittorie di Cesare l’impero ro-
mano, infatti, poteva vantare di avere superato i domini di Ciro e del grande Alessandro. Il divo Cesare vedeva nel nipote la propria immagine rovesciata: alle sue intemperanze da capitano coraggioso corrispondeva il sommo equilibrio del giovane temporeggiatore, la prudenza, la misura in ogni cosa. Al grande giocatore d’azzardo faceva riscontro il freddo calcolatore. Sanguigno Ce-
Ottaviano, divenne imperatore nel 27 a.c. In basso un dettaglio della maschera sulla parete meridionale della Domus imperiale
Riportata alla luce trent’anni fa da Gianfilippo Carettoni, la domus del Palatino torna a splendere dei colori di cinabri, porpore, oro e ceruleo egiziano, al termine di un minuzioso lavoro di restauro. Affreschi e stucchi delle sale rappresentano importanti esempi di pittura romana della fine del I secolo a.c.
sare, esangue Ottavio. «Affrettati lentamente» amava dire in greco il ragazzo che studiava l’antica lingua alla scuola del grande retore Apollodoro di Pergamo. Privo di eredi maschi, il grande generale presto aveva cominciato a vedere nel nipote qualcosa di più. Con lungimiranza politica lo aveva colmato di onori già a sedici anni, nominandolo “praefectus urbi”, l’anno prima lo aveva immesso nelle file del patriziato, con una certa forzatura perché a tale classe privilegiata si apparteneva soltanto per dirit-
to ereditario. Fino a designarlo suo erede principale, adottarlo e trasferirgli il proprio nome affinché perpetuasse la famiglia e gli succedesse nella guida del nuovo Stato che stava costruendo sulle ceneri della repubblica. Cesare lasciò le sue volontà nel testamento che riscrisse segretamente nella villa di Labicum (Labico). Siglandolo definitivamente il 13 settembre dell’anno 45. Ottavio aveva diciotto anni. Ma già Cesare leggeva in lui il nome di Augusto. E il destino doveva compiersi prima del previsto.
Il 15 marzo del 44 avanti Cristo, Cesare ricevette la ventitreesima pugnalata, quella mortale, per mano di Marco Bruto. Proprio lui, il figlio di Servilia, che era stata la sua amante. E da quel giorno cominciò l’ascesa inarrestabile di Ottaviano. Dopo la gloria di essere stato adottato dal divo Cesare, a venticinque anni, al terzo matrimonio, si univa alle gloriose famiglie dei Claudi e dei Livi, appartenenti al più alto patriziato della repubblica da sempre ostili a Cesare, sposando la giovanissima Livia Drusilla. Pur di averla in sposa, Ottaviano pretese dal vecchio Tiberio Nerone Claudio che si separasse dalla bionda Livia cedendogliela in moglie nonostante fosse incinta del suo secondo figlio. Il matrimonio fu celebrato quando Livia era incinta di sei mesi. Nella mente del grande imperatore già avevano preso forma la freddezza e l’astuzia ammantate di atarassia. Nonostante questo matrimonio fosse frutto di un’intesa politica, Ottaviano amò realmente Livia e insieme si trasferirono a vivere sul Palatino.
La Casa di Augusto che adesso si può visitare costituisce il monumento emblematico del colle, al quale pochi altri possono venire paragonati per importanza storica e interesse archeologico, e nel quale si rinvengono le più alte espressioni artistiche pittoriche.
Decorati con affreschi e stucchi, i tre nuovi ambienti aperti al pubblico rappresentano un importante esempio di pittura romana della fine del I secolo avanti Cristo e il risultato di una impegnativa opera di restauro, guidata dalla dottoressa Gianna Musatti, che ha interessato il grande “oecus” (l’ambiente di ricevimento), l’ambiente della rampa e due stanze sovrapposte. Secondo il gusto decorativo pittorico augusteo, sul disegno prevale il colore grazie all’uso dei cinabri, delle porpore, dell’oro e del ceruleo egiziano, delle forme abbaglianti. Nella stanza superiore (il cosiddetto studiolo che era già aperto al pubblico) spiccano gli elementi del culto isiaco e il regale ceruleo egiziano. La stanza inferiore presenta una decorazione di tipo scenografico con immaginarie aperture laterali, uno sfondo cittadino e un fregio con esseri marini. Nell’“oecus”sono rimaste le impronte degli intarsi marmorei con le quali era stato decorato il pavimento e i frammenti degli affreschi della parte superiore delle pareti con paesaggi, scene figurate, elementi architettonici e una maschera del tipo delle grottesche. Nell’ambiente della rampa la decorazione delle volte è una mirabile composizione di lacunari policromi.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Davvero in Parlamento ci sono solo fannulloni? QUALCHE SCANSAFATICHE SENZ’ALTRO C’È, MA ATTENZIONE A NON ALIMENTARE L’ANTIPOLITICA Francamente trovo giusto l’intervento di Napolitano in difesa delle nostre due Camere. E lo dico anche se so perfettamente che qualche ”fannullone”in realtà pascola in Transatlantico. Ma credo che abbia fatto bene perché, in un momento particolare e difficile come quello che sta vivendo l’Italia, di tutto c’è bisogno tranne che di un continuo accanimento contro la politica e i suoi interpreti. Il disamoramento, soprattutto dei giovani, nei confronti delle Istituzioni è sempre maggiore. Come potranno mai cambiare le cose in Italia se ci si limita solo ad additare i politici e ad alimentare questo clima di disprezzo o indifferenza?
Susanna Lai - Cagliari
BISOGNA RICONOSCERE CHE L’ASSENTEISMO DI ALCUNI POLITICI È SFACCIATO E INACCETTABILE E’ molto facile generalizzare, per cui è ragionevole rispondere no, certamente il nostro Parlamento non è costituito unicamente da ”avidi fannulloni”. Ma a leggere certi articoli che riportano le presenze e le assenze dei nostri parlamentari, bisogna riconoscere che l’assenteismo di alcuni di loro è veramente
LA DOMANDA DI DOMANI
sfacciato e che si tratta di un comportamento inaccettabile quando andiamo a considerare le loro laute prebende. Oltre certi limiti io ritengo che bisognerebbe intervenire, per esempio dichiarando decaduti coloro che raggiungono un certo numero di assenze che non siano giustificate da malattia o da impegni legati alla stessa attività di parlamentare. Mi rendo conto che ciò comporterebbe un intervento nel nostro ordinamento giuridico, ma se vogliamo combattere i privilegi di casta è giusto e necessario farlo.
Luigi Rossi - Roma
CI SONO MOLTI DEPUTATI E SENATORI CHE DA ANNI LAVORANO SODO E BENE Il nostro Capo dello Stato ha ritenuto opportuno intervenire sull’antipolitica dilagante dichiarando che il Parlamento Italiano non è costituito solo da fannulloni. Tacciando di qualunquismo certe facili affermazioni. Napolitano ha una grande esperienza. Credo abbia sulle spalle oltre cinquanta anni di attività parlamentare e dunque sa quel che dice. In effetti chi legge i giornali e vede servizi televisivi sa bene che vi sono deputati e senatori che lavorano sodo, sono presenti nelle aule, presentano disegni di legge, insomma si fanno sentire non solo durante le campagne elettorali. Giusto dunque dire che non tutti sono avidi fannulloni. Ma, vogliamo anche dire che alcuni, neanche tanto pochi, effettivamente sono fannulloni? Non dirlo è fare antipolitica!
Andrea Brizzi - Perugia
Ritenete giusto alzare l’età pensionabile? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
TORNARE ALLA SERIETÀ POLITICA DI UN TEMPO EVITEREBBE LA FUGA DEI GIOVANI CERVELLI DI OGGI I politici italiani mi hanno fatto detestare la politica. E sì che mi sono iscritta ad Alleanza nazionale ad appena diciotto anni per vera passione. E’ proprio così: i nostri politici sono per lo più fannulloni, carrieristi e arrivisti. Magari si ritornasse alla serietà di un tempo. Forse i ragazzi si riappassionerebbero e l’emorragia causata dalla fuga di giovani cervelli e giovani braccia cesserebbe di debilitare la politica italiana.
PROSPETTIVE DEI CIRCOLI LIBERAL Vorrei esprimere il profondo apprezzamento e la totale condivisione con quanto pubblicato lo scorso sabato a firma dell’amico Vincenzo Inverso. Esprimo i più sinceri auguri per la sua candidatura, e per la felice constatazione delle buone posizioni dei nostri maggiori esponenti politici nazionali, Adornato e Sanza, anche per loro gli auguri migliori. Le due Regioni dove si sono espresse le candidature sono segnate dal malgoverno della sinistra e dal forte clientelismo che quella parte politica riesce sempre a creare. Siamo impegnati in una campagna elettorale, nelle file dell’Udc per Casini Presidente del Consiglio, che mai come oggi deve chiedere un forte voto d’opinione, perché da molti anni ormai non si ponevano più questioni etiche e morali con i programmi economici e politici. La situazione che si è creata nel mondo partitico nazionale, ci consente di iniziare un cammino che è rimasto in stato gestionale per anni; ossia ci permette di dare vita a quella formazione di minima che puntando sulla realizzazione pratica di un grande Partito di
SPREMUTA DI DINOSAURO A Mentone, in Costa azzurra, si è da pochi giorni concluso il ”Festival del Limone”. Particolarmente suggestive le sfilate sul lungomare di carri e maschere, per intero ricoperti di soli agrumi I ROMANI FORSE SI MERITANO RUTELLI Il Pdl, nella regione Lazio, viene dato in tutti i sondaggi indietro rispetto alle percentuali del Pd. La banale conclusione è che ai romani sta bene Roma così com’è, il Lazio idem, e il confronto con altre capitali europee e regioni italiane fa loro ”un baffo”! C’è poco da fare: hanno in mano la possibilità di cambiare ma ”democraticamente” riavranno Rutelli. A noi non romani resta la sola possibilità di constatare che la periferia è pericolosa, il degrado di molti quartieri è vergognoso, i servizi pubblici sono disorganizzati, il traffico è alienante, dopo le ore 22 l’offerta della prostituzione entra anche dai finestrini delle auto in movimento, la droga viene offerta come panini in vari angoli
dai circoli liberal Laura Sensini - Latina
Centro, che ha il suo ispiratore nel Partito popolare europeo, sarà inevitabilmente l’elemento catalizzante che saprà attirare le donne e gli uomini che nei principi irrinunciabili ai quali ci ispiriamo, si riconoscono. Dobbiamo lavorare per raggiungere il miglior risultato elettorale possibile, per avere quel trampolino di lancio che ci permetta una visibilità finalizzata a una crescita che nell’arco dei cinque anni della legislatura si imponga come forza di governo alternativa alla sinistra e alla destra. Credo che sia giusto che immediatamente dopo le elezioni, il 15 aprile, ci si debba porre il problema della Costituente e che i Circoli Liberal debbano essere rappresentativi del pensiero liberale che ci contraddistingue e che debbano sedere in modo paritetico, ai vari tavoli provinciali, regionali e nazionali che si creeranno insieme agli amici popolari dell’Udc e della Rosa Bianca. Operiamo affinché questa nostra profonda convinzione, questo nostro sogno, ottenga un consenso sempre più vasto; siamo impegnati in prima persona per ottenere un risultato elettorale che sia preparatorio di quella Costituente da tanto
delle strade, alcuni ristoranti e trattorie, tolta la facciata, hanno retrolocali e toilettes mai visti. Magra consolazione.
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)
QUANDO SI DICE I PRIVILEGI DELLA CASTA E’ stato messo in libertà in questi giorni un uomo che l’estate scorsa aveva tagliato gli ormeggi di una barca di Diego della Valle. Condannato immediatamente. A bordo c’era il Guardasigilli del governo Prodi: Clemente Mastella. Nota: in Italia se guidi ubriaco e uccidi quattro giovani vieni e posto agli arresti domiciliari, al mare e con possibilità anche di guadagnare come promoter di qualcosa. Ma che magistratura abbiamo?
Rossella Mori - Bologna
ricercata; la logica evoluzione di tutto questo non può che essere l’organizzazione partitica di almeno una parte dei Circoli. Il Circolo Liberal del Canavese e io stesso, siamo sin d’ora a disposizione della nostra organizzazione e dei nostri leader per contribuire con spirito di servizio al lavoro necessario per la realizzazione di questo importante traguardo. Ezio Lorenzetti CIRCOLO LIBERAL DEL CANAVESE
APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 18 APRILE 2008 Ore 11, a Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna Riunione mensile nazionale di tutti i Presidenti dei Circoli Liberal.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog I COMUNISTI NON SI SCUSANO MAI PER GLI ORRORI PASSATI
Senza te è come chiedere pietà a un temporale Guardo lungo il sentiero e ti vedo arrivare, dalla foschia e dalla nebbia i tuoi cari pantaloni stazzonati si affrettano verso di me. Senza di te, caro, carissimo non potrei vedere, né udire, né sentire, né pensare, o vivere, ti amo cosi tanto e, per tutta la nostra vita, non permetterò che passiamo un’altra notte separati. Senza di te è come chiedere pietà a un temporale o uccidere la bellezza o diventare vecchi. Ti amo e non posso dirti quanto. Devi tentar di capire quanto ti amo, come sono senza vita quando tu non ci sei. Nessuno ha il diritto di vivere se non noi, e loro stanno insozzando il nostro mondo e non posso odiarli per il fatto che ti voglio. Non potrei fare a meno di te neppure se mi odiassi e fossi coperto di piaghe come un lebbroso, se fuggissi via con un’altra donna e mi facessi morir di fame e mi picchiassi, ancora ti vorrei, lo so. Amore. Amore. Caro. Tua moglie Zelda Fitzgerald a suo marito Francis Scott
VELTRONI DIMOSTRA TUTTO TRANNE LUCIDITÀ E COERENZA Ora Veltroni è indignato e ha aderito alla manifestazione contro la strage in Tibet? Perché non spiega, invece, ai romani e ai residenti di quartieri come l’Esquilino, o ancora ai commercianti romani che hanno chiuso la propria attività, che il centrosinistra, sia sotto la sua amministrazione che con Rutelli, ha dimostrato una “piena tolleranza” verso l’illegalità sistematica che si è diffusa ad opera dei negozianti cinesi? Basta con il buonismo nei confronti della comunità cinese, occorre legalità e il rispetto delle leggi, è sufficiente vedere in quale situazione, anche nella capitale, si sono ridotti certi quartieri. L’Esquilino, dopo quindici anni di amministrazione di centrosinistra, è oramai ostaggio dell’indiscriminata illegalità dei commercianti cinesi. E Veltroni continua a dimostrare tutto tranne che coerenza, dal momento che quando era sindaco di Roma non ha fatto rispettare alcuna legge in merito in nome di chissà quale buonismo. Cordialmente ringrazio, distinti saluti.
Francesco Pinti Ostia - (Roma)
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
22 marzo
Angela Merkel alla Knesset, il parlamento israeliano, ha detto: ”La Shoah copre noi tedeschi di vergogna e io mi inchino davanti ai sei milioni di ebrei uccisi, e mi inchino davanti ai sopravvissuti e davanti a coloro che li aiutarono a salvarsi”. Che bello che deve essere sentirsi oggi tedeschi, fieri di un capo dello Stato che riconosce gli errori del passato ed ha il coraggio di presentarsi di fronte ai figli delle vittime per chiedere scusa. Che sogno sarebbe stato in Italia sentire questo dai comunisti di casa nostra: ”Chiediamo scusa per gli orrori compiuti nel mondo in nome del comunismo”! Certo, un sogno di civiltà, di crescita, di democrazia. Ma i comunisti, purtroppo sono diversi anche in questo: loro non sbagliarono e non sbagliano mai, loro sono l’intellighentia dell’umanità! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
L. C. Guerrieri - Teramo
1457 Johannes Gutenberg completa la stampa del primo libro: la Bibbia 1602 Muore Agostino Carracci, pittore e incisore italiano (nato nel 1557) 1831 Viene istituita la Legione straniera 1832 Muore Johann Wolfgang von Goethe, scrittore, poeta e drammaturgo tedesco (nato nel 1749) 1888 Nasce la English Football League 1963 Viene pubblicato Please Please Me, primo album dei Beatles 1994 Italia: esce il primo numero del quotidiano La Voce, diretto da Indro Montanelli, vendendo 450.000 copie in poche ore 2004 Israele/Palestina: ucciso a Gaza il fondatore e capo spirituale di Hamas, sceicco Ahmed Yassin
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
PUNTURE Sandro Bondi a Carrara ha visitato i Nuovi Cantieri Apuania e agli operai del cantiere navale ha dedicato una poesia: “Fin che la barca va, lasciala andare, fin che la barca va, tu non remare”.
Giancristiano Desiderio
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La cosa triste dell’intelligenza artificiale è che le manca l’artificio, e quindi l’intelligenza JEAN BAUDRILLARD
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di TIBET, SE L’OCCIDENTE NON SA IMPORSI Napoleone Bonaparte una volta disse che quando la Cina si sarebbe risvegliata allora il mondo avrebbe cominciato a tremare. Ora, non sappiamo se il boom economico che ha visto protagonista la Cina in questi anni sia davvero il risveglio preannunciato dal dittatore francese. Sicuramente notiamo con un certo disappunto che, a prescindere dall’interpretazione della frase, l’Occidente sta tremando un pò troppo. A cominciare dal Presidente Bush che, forse non conscendo che durante i giochi olimpici nell’antica Grecia le guerre in corso venivano sospese, dichiara che le Olimpiadi non hanno nulla a che vedere con la poltica, ma con lo sport. E poi il comitato olimpico inglese che ha intenzione di far firmare a tutti gli atleti in gara un contratto in cui s’impegnano a non parlare di politica a Pechino, specie se si tratta di diritti umani, con i quali la Cina non va particolarmente d’accordo, checchè ne dica il dipartimento di Stato americano. E come dimenticare l’indecente fuggi fuggi del governo italiano, quello che avrebbe dovuto rappresentarci, quando lo scorso dicembre il Dalai Lama venne in visita in Italia? Prodi parlò addirittura di ”ragion di Stato” per motivare la sua mancanza. Abbiamo paura delle ritorsioni economiche che potrebbero arrivare. Giustamente, per carità. Però faccio notare che Pechino 2008 è come Berlino 1936, nulla più e nulla meno. Voglio ricordare che in Cina i diritti fondamentali dell’uomo vengono calpe-
stati con una sistematicità da far rabbrividire. E che la pena di morte è normale prassi amministrativa per risolvere il sovrafolamentodelle carceri. Che l’aborto è forzato, non è affidato alla libera coscienza della donna ed è usato per arginare la natalità giudicata da questi burocrati del terrore, da queste menti malate, eccessiva. E poi non dimentichiamoci nemmeno che quel regime ha nei suoi geni quanto di più orrendo si possa immaginare, perchè applica logica del profitto capitalistica e lo sfruttamento coatto del lavoro senza protezione sindacale allo sterminio di massa praticato nei campi di concentramento, tipico delle dittature di stampo comunista. La libertà (di stampa, di associazione, di parola) non esiste, le verità uniche e incontestabili sono quelle propagate dai media della tirannide. E questo il Paese che dovrà ospitare i nostri atleti alle prossime Olimpiadi? Se sì, allora è meglio soprassedere, è meglio non partecipare e dare un segnale forte a tutte le nazioni che permettono che la dignità dell’individuo sia calpestata. E’ arrivato il momento delle scelte coraggiose. E non è mai troppo presto per iniziare a farle. Perchè a fianco alla citazione di Napoleonale la pena metterne un’altra, di un anonimo, sempre francese, proprio adatta a questo caso: ”I grandi ci sembrano tali perchè li guardiamo in ginocchio. Alziamoci!”. Sì, alziamoci.
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