QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Occidente Lega araba alla resa dei conti
di e h c a n cro di Ferdinando Adornato
LA LEZIONE DEL CASO ALITALIA
Andrea Margelletti Ilaria Ierep Kassem M. Jafaar Amr El Shobaki Alberto Simoni
Il braccio di ferro su Malpensa dimostra che Bossi è il vero “padrone” del Pdl. Saranno suoi i voti (e gli interessi) decisivi per il governo, se vince Berlusconi
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bioetica
Se l’Italia si Lega
CHE NOIA!
FRANCESCO D’AGOSTINO: «EUTANASIA? ATTENTI AL FATTORE CLAUS» pagina 7
Riccardo Paradisi
religioni
Ebrei e cristiani fratelli contro il nichilismo pagina 8
Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma
Michael Novak
liberali e cattolici come taiwan Biondi, Gargani e Iannuzzi. IL PRESIDENTE In attesa del Popolo, MA YING-JEOU È L’UOMO GIUSTO dove sta la Libertà? pagina 10
John R. Bolton
musica A GRANDE RICHIESTA LA SAUDADE DI SERGIO ENDRIGO pagina 21
Alfredo Marziano
80326
alle pagine 2 e 3 MERCOLEDÌ 26 MARZO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
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19.30
se l’Italia si
pagina 2 • 26 marzo 2008
lega
Il Pdl da solo non avrà la maggioranza in Senato. E nella coalizione a due dominerà il partito più piccolo, ma più coeso e portatore degli interessi di una parte d’Italia contro l’altra
No Bossi, no party di Renzo Foa è una domanda che non è per nulla secondaria nelle possibili previsioni sulla prossima legislatura: quale forza avrà la Lega e, di conseguenza, quanto sarà decisiva per la vita di un governo guidato da Silvio Berlusconi? Questa domanda è resa obbligatoria da una banale constatazione. Questa: stando a tutti i sondaggi finora effettuati, il Pdl non ha alcuna possibilità di conseguire da solo una maggioranza autosufficiente al Senato. Comunque lo si stiri, il raccolto elettorale dell’improvvisato patto tra Forza Italia e Alleanza Nazionale non basterà a gettare le basi di quel sistema bipartitico, che è stato un po’ troppo esaltato. L’«apparentato» Bossi sarà in ogni modo determinante. Il Carroccio avrà il suo gruppo, manterrà la propria identità, continuerà ad essere un partito a se stante. Per di più un partito forte, espressione di interessi sociali e locali molto nitidi, a cui tradizionalmente ha l’abitudine di rispondere. E per quanto solida possa essere l’intesa tra il senatùr e il Cavaliere c’è qualche incognita.
C’
La prima incognita riguarda il risultato elettorale che la Lega otterrà. I sondaggi non dicono molto, accennano ad una ripresa. Sono soprattutto gli analisti a segnalare la possibilità che in questo 2008 la maggiore forza autonomista mai apparsa sulla scena politica italiana possa uscire dalla condizione di minorità in cui si trova dal 2001, dopo i copiosi raccolti mietuti fino al 1993 e dopo l’exploit del 1996, quando si presentò con un’ipotesi terzista. Fu infatti nel 2001 che Forza Italia assorbì una quota consistente di consenso leghista, mettendo in moto un meccanismo di interscambiabilità che ha retto essenzialmente grazie all’esistenza della Casa delle libertà e alla blindatura del bipolarismo. Quel che è tutto da verificare oggi è l’impatto della nascita del Pdl, cioè di un progetto di partito molto diverso da quello prevalentemente «nordista», come in questi anni ha finito con l’apparire Forza Italia, maggioritaria essenzialmente in Lombardia e in Veneto. Il Cavaliere ha riservato alla Lega un trattamento di riguardo, consentendole un semplice
Il leghista Roberto Calderoli con il famoso maiale esibito in funzione anti-islam «apparentamento», visto che non poteva chiederle di sciogliersi nel listone. Ma in questo modo corre il rischio di trovarsi al fianco un soggetto che ha una precisa identità, che risponde a chiari interessi sociali e locali e che può avere una forte concorrenzialità rispetto ad una coalizione – quella tra FI e An – che di per sè non è in grado di rappresentare compiutamente la «questione settentrionale», come si è definita storicamente negli ultimi vent’anni e come è stata ulteriormente descritta dalle reazioni alla Finanziaria prodiana del 2007 che ha provocato una rivolta genera-
chi partiti: una classe dirigente stabile e formata attraverso sia anni di opposizione sia attraverso lunghe esperienze di governo; un forte rapporto con la società nell’espressione dei suoi interessi più diretti, quelli che cominciano con i problemi locali; e infine una marcata identità come l’autonomismo, che nasce dalla forbice tra il contributo dato dal Nord al Pil nazionale e l’inadeguata restituzione in termini di servizi e di risorse da parte dello Stato centrale. Qui comincia la seconda incognita. Ci sarà, stando a tutti i sondaggi e a tutte le previsioni,
nico di governo, rappresenta soprattutto lo spirito della rivincita del Cavaliere e dei suoi più stretti alleati. Al contrario la Lega, per quanto piccola e numericamente molto inferiore, è forte di una coerenza, di una coesione e di una determinazione che già da sole bastano a definire una politica. Il cui limite, però, consiste nel rappresentare solo una parte dell’Italia, certamente importante, ma una parte e spesso in conflitto con le altre parti per quello che riguarda la distribuzione delle risorse. C’è allora da chiedersi cosa sarà questa maggioranza che, per esistere, avrà bisogno
C’è da scommettere che, in caso di vittoria, Berlusconi rimpiangerà ben presto il vecchio sub-governo Fini-Casini perché la stabilità dipenderà dal risultato che otterrà il Carroccio e dalle scelte concrete che via via imporrà lizzata in tutto il Nord. Negli ultimi mesi, in molte consultazioni locali, tra cui quella significativa di Verona, si è già verificato un ritorno di fiamma fra l’opinione pubblica e il Carroccio e i suoi candidati. Questa tendenza potrebbe accentuarsi il 13 e il 14 aprile. E potrebbe restituire un vecchio slancio all’unico partito davvero organizzato ancora esistente nel sistema politico italiano. Organizzato nel senso che ha ancora molte delle caratteristiche forti dei vec-
una maggioranza non solo del Pdl, ma del Pdl e della Lega. Il Pdl è il probabile primo partito italiano, ma è una creatura ancora improvvisata, senza organicità interna, con una cultura ancora da definire, «monarchico» e «anarchico» secondo la definizione data dallo stesso Berlusconi, rappresentante per la sua vastità di interessi compositi e spesso conflittuali, in ogni modo disseminati nelle varie realtà, nei «coriandoli» italiani; non ha un progetto orga-
proprio della Lega, del suo concorso attivo e dei suoi voti. La prima ancipazione sta nel modo in cui la questione Alitalia ha fatto irruzione nella campagna elettorale, con il leader del Pdl che ha finito con l’inseguire e fare proprie le istanze del Carroccio. È probabile che Berlusconi abbia messo nel conto questo problema di fondo, quando ha dato vita al Pdl, puntando ad assorbire Gianfranco Fini per neutralizzarne l’autonomia e ad esclu-
dere Pier Ferdinando Casini, considerando marginale il peso complessivo dell’Udc. È probabile che pensi di affidarsi al buon rapporto personale con Bossi. Ma quel che si intravede però è un’architettura a rischio instabilità. La vecchia coalizione a quattro – Belusconi, Fini, Casini e Bossi – aveva nel 2001 margini molto consistenti di maggioranza in entrambi i rami del Parlamento e, per questo, molte possibilità di compensazione interna dei conflitti che via via si sono aperti tra le sue quattro componenti. Dalla sera del 14 aprile una nuova coalizione a due non avrà comunque un grande margine di vantaggio, ma soprattutto questo margine sarà interamento coperto da una sola delle due forze, da quella numericamente più debole e più solida dal punto di vista dell’identità e del progetto. Quindi con una forte capacità di condizionamento, con quella che una volta, nella Prima Repubblica, si chiamava «rendita di posizione».
In questi mesi Veltroni su un versante e il Cavaliere sull’altro si sono inseguiti per gettare le fondamenta di un sistema bipartitico, tagliando le gambe alle altre forze, che ora vengono spregiativamente definite «nanetti» destinatari del «voto inutile». Questo progetto avrebbe potuto aver qualche opportunità se davvero Pd e Pdl, usando i meccanismi della legge elettorale in vigore, avessero fatto la loro corsa da soli. L’improvvisazione, la rapidità con cui sono state fatte le scelte, ma soprattutto la complessità del sistema politico italiano hanno reso entrambe le operazioni incompiute. E minate in partenza. Il dubbio, l’incognita vera riguardano innanzitutto Berlusconi, che aveva nelle sue mani una vittoria annunciata e che ora deve fare i conti non solo con i complicati risultati regionali del Senato, ma anche con quel che incasserà la Lega. La Lega che non è un portatore di voti per il premio di maggioranza, ma un soggetto forte che eserciterà tutti i suoi poteri di condizionamento e di interdizione per tutelare gli interessi che rappresenta. C’è da scommettere che, nel caso probabile di vittoria, il Cavaliere rimpiangerà ben presto il vecchio subgoverno Fini-Casini.
se l’Italia si
lega
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Savino Pezzotta sfida il Carroccio in Lombardia: Malpensa non è un affare solo settentrionale
«Il localismo leghista danneggia anche il Nord» colloquio con Savino Pezzotta di Errico Novi
ROMA. Se davvero si accentuasse il localismo leghista ne uscirebbe soffocato tutto il Paese, non solo il Mezzogiorno. Savino Pezzotta ne è convinto, e il fatto di essere candidato per l’Udc in Lombardia, principale serbatoio di voti del Carroccio, non lo induce certo a censurarsi. «Ci trasciniamo un enorme ritardo nella comprensione di quanto avviene nel Mediterraneo, che non è più un’area periferica ma è diventata cruciale per i nuovi traffici del mercato globalizzato: alle stesse imprese del Settentrione serve guardare a un processo del genere per competere al meglio, e invece», dice Pezzotta, «continuiamo ad accentuare la dicotomia tra Nord e Sud del Paese». Potrebbe andare avanti così, se vincesse il Pdl: Bossi sarebbe di fatto l’unico e decisivo alleato, e un governo Berlusconi resterebbe vincolato ad assecondare gli interessi rappresentati dalla Lega. «Abbiamo un esempio davanti agli occhi, Malpensa. Non ha senso dire che è un problema del Nord, la questione Malpensa riguarda tutto il Paese, eppure non viene affrontata in questa prospettiva. Io non sono per la chiusura evidentemente, ma per inserire lo scalo lombardo in un ridisegno del sistema aeroportuale italiano. Questo è il salto di qualità che bisogna compiere, e invece si ragiona come se il Settentrione avesse un’esistenza separata dal resto». E se la Lega è decisiva ci si avvita ancora di più nel meccanismo. «Ricordiamoci che questa della divaricazione territoriale è una delle grandi re-
sponsabilità del bipolarismo di questi 15 anni. La distanza c’era e non si è fatto nulla per ridurla, anzi si è lasciato che si esasperasse man mano che si accentuava il divario tra l’Italia e il resto d’Europa. Diversamente dal nostro Mezzogiorno il Nord è inserito nel sistema continentale, ma nessuno vede le opportunità che avrebbe il Meridione». Non si è ragionato in termini di sistema Paese e ci si è concentrati invece sulle singole richieste d’intervento, lei dice. «Facciamo le barricate per Malpensa, per Fiumicino, ma ci chiediamo poi se serve un grande aeroporto sotto Roma? E abbiamo deciso di escludere definitivamente le isole dalle grandi rotte? La Lega ha influito in termini di rappresentanza, se lo farà più di prima lo sapremo il 14 aprile, ma di certo il localismo non fa bene neanche alle im-
«Assecondare la logica delle chiusure territoriali non aiuta nemmeno le imprese del Settentrione,un Sud forte serve anche a loro» prese del Nord. Quelle che globalizzano, che sono al centro degli scambi con l’Europa, con il Nordamerica, non guadagnano nulla dalla chiusura dietro il recinto dei microinteressi». E però la politica in Italia sembra chiusa proprio tra interessi di ca-
sta e piccoli egoismi territoriali. «Se si diffonde l’individualismo libertario è chiaro che c’è la frantumazione sociale, ancora più grave di quella politica. Pdl e Partito democratico esprimono e incoraggiano questa tendenza, nonostante ci siano anche al Nord segnali di una socialità diversa, che noi dell’Unione di centro vogliamo interpretare». Lei va a sfidare Bossi nella sua roccaforte. «La Lega ha buone percentuali, ma non è maggioritaria. C’è un elettorato settentrionale sottovalutato, che alla politica chiede innanzitutto rigore, e un centro riformatore può rispondere a questa domanda. Al punto da far saltare il tappo imposto dalle coalizioni maggiori». Si respira un’aria piena di paura, più che di rinnovamento, in questa campagna elettorale. «Con il governo Prodi è finita anche la Seconda Repubblica, e la nuova fase non si presenta in modo rassicurante. Si tenta di instaurare un bipartitismo che ha la pretesa di includere tutto». E perché secondo lei questo bipartitismo favorirebbe la frantumazione sociale?
«Perché mortifica i corpi intermedi. I sostenitori saranno chiamati ogni tanto a votare in assemblee per confermare o cambiare il capo, in un quadro istituzionale che si vorrebbe modificare in senso presidenzialista. Ci allontaneremmo dai principi della democrazia parlamentare, e si finirebbe per cancellare il rapporto tra rappresentanze politiche e territorio». La Lega ha sempre preteso di svolgere proprio questo ruolo. «Ma non è più così nel momento in cui prevale la semplificazione leaderistica. Nei parlamentari ormai c’è la fedeltà al capo piuttosto che la capacità di ascoltare la gente». E lei con l’Udc vuole resistere a questo. «Siamo una forza intermedia che vuole proporre un’impostazione diversa. In termini culturali, di istanze etiche e religiose, di filosofia dell’agire. Non possiamo rassegnarci all’individualismo, all’idea che ognuno si difende per sé. Ripeto: anche al Nord c’è una ricerca nuova delle relazioni sociali, e invece la politica sembra in gran parte ferma a una rappresentazione diversa. Lo stesso discorso vale anche per il Mezzogiorno». Vuole dire che nei confronti del Sud resiste lo stereotipo dell’assistenzialismo senza alternative? «L’idea dell’irreversibile arretratezza non ha più senso. Si è fermi al meridionalismo di Salvemini, che aveva visioni appropriatissime per il suo tempo. Oggi ci sono opportunità diverse, ma la politica dei piccoli interessi territoriali rischia di non farcele vedere».
«Nemmeno i lumbard riescono a rappresentare il territorio: c’è fede nel capo, ma non spirito di servizio per la gente»
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alitalia d i a r i o
d e l
g i o r n o
Napolitano sollecita l’Europa Il Presidente della Repubblica ha dichiarato ieri: «E’ necessario che il Trattato di Lisbona, approvato in sua sostituzione, entri in vigore entro il 1 gennaio 2009, per dare all’Unione Europea istituzioni più adeguate al numero dei suoi membri, per consentirle di assumere con maggiore efficacia le sue responsabilità internazionali e per rispondere in modo più esauriente e sollecito ai bisogni dei cittadini».
Veltroni: «Pensioni più su in caso di vittoria»
Le nuove proposte di Spinetta nell’incontro con i sindacati
Air France rilancia WSJ contro Berlusconi di Riccardo Paradisi
ROMA. Jean-Cyril Spinetta presenterà ai sindacati un nuovo piano su Alitalia venerdì prossimo, mentre lunedì 31 marzo scadono i termini per il negoziato. «Nessuno resterà a casa» assicura Spinetta e anzi Air France, assicura il numero uno della compagnia transalpina, è pronta ad assumere 180 piloti. Aperture che ai sindacati non sono sembrate sufficienti e che rischiano di essere inutli visti ormai i margini ristrettissimi per la trattativa.
Intanto sulla proposta berlusconiana della cordata italiana piovono critiche a dirotto sulla testa del Cavaliere niente di meno, stavolta, che dal Wall Street Journal di New York. Il quotidiano economico finanziario statunitense dedica infatti a Silvio Berlusconi un’editoriale durissimo dal titolo “Silvio e l’Alitalia” dove si sostiene che l’atteggiamento del leader del Pdl «potrebbe mandare a monte l’unica cosa che ancora si frappone alla compagnia di bandiera e alla sua bancarotta». Non solo: «La vicenda della vendita di Alitalia», continua il WSJ, «ha rivelato che Berlusconi è più un corporativo avverso alla libera concorrenza di mercato che un liberale». Un’analisi dura e oggettivamente imbarazzante per il centrodestra. E non perché quello che dice il Wall street Journal sia Vangelo ma perché lo stesso giornale vie-
ne ogni volta definito, da centrodestra e centrosinistra a fasi alterne, ”autorevolissimo” ogni volta i due schieramenti devono polemizzare tra loro. Autorevolissima per intendersi fu definita la critica che il WSJ nel 2007 fece alla finanziaria del governo Prodi: «Il problema del presidente del Consiglio è quello di voler essere visto allo stesso tempo come un appassionato uomo di sinistra e come un riformista liberale. Non può essere entrambi. Se vuole, come dichiara, risanare l’economia italiana, l’istinto riformatore deve
Il centrodestra parla di una misteriosa cordata italiana mentre Veltroni è nell’imbarazzo di tenere unite le posizioni Cgil e dei liberalizzatori prevalere». La barra timone del WsJ insomma è sempre la stessa: un po’ rigida forse, ma coerente. D’altra parte se il quotidiano newyorkese segue la stella polare del liberismo scudisciando con l’accusa di protezionismo a destra e a manca su Alitalia la politica italiana non sembra seguire nessuna rotta. Si recita a soggetto. Mentre il centrodestra parla di una cordata italiana che non tarderà a manifestarsi, ma di cui per
ora non si sa nulla, Veltroni accusa di laurismo Berlusconi – «la cordata si manifesterà entro un mese, cioè dopo le elezioni: è come dare la scarpa sinistra prima del voto e la destra dopo». Ma anche Veltroni ha i suoi problemi a cominciare da quello di tenere assieme il rapporto con la Cgil e l’apertura alle trattative di vendita della compagnia aerea. Sembra la notte hegeliana, quella in cui tutte le vacche sono grigie. Spunta anche l’ipotesi di un asse tra il leader della Sinistra Arcobaleno Fausto Bertinotti e Silvio Berlusconi, entrambi d’accordo sull’ipotesi di una cordata italiana che rilevi Alitalia: «In questa vicenda», dice il leader dll’Udc Pier Ferdinando Casini, «statalisti e liberisti a giorni alterni stanno trovando un’intesa. Forse non è un caso che pseudo-liberismi e assistenzialismi si incontrino».
E a proposito della cordata italiana Casini dice che «avrebbe dovuto materializzarsi prima, oggi siamo fortemente in ritardo». Sui ritardi nell’affrontare e sciogliere il nodo Alitalia è anche la conclusione dell’editoriale del Wall Street Journal: «L’ultima volta in cui è stato a Palazzo Chigi Berlusconi non ha trovato alcun salvatore per Alitalia. Invece ha esitato mentre il debito della compagnia cresceva fino a raggiungere 1,3 miliardi di euro lo scorso gennaio».
Un intervento immediato sulle pensioni, che determinerebbe un aumento medio compreso dai 100 ai 400 euro mensili già a partire da luglio 2008. Ad annunciarlo, in caso di vittoria alle prossime politiche, è il candidato premier del Partito democratico Walter Veltroni. «Si tratta di un intervento che avrebbe un importanza concreta per milioni di persone - spiega Veltroni dal momento che il costo della vita è diventato intollerabile per moltissimi pensionati, in particolare donne: una situazione non tollerabile per un paese civile».
Berlusconi: «Giusto l’adeguamento» Il leader del Pdl, Silvio Berlusconi ritiene che sia un fatto di giustizia l’adeguamento delle pensioni al costo della vita. In una intervista a Studio aperto Berlusconi ha affermato: «fummo gli unici ad aumentare le pensioni minime. Procederemo in questa direzione se vinceremo le elezioni. Il problerma fondamentale comunque è l’adeguamento delle pensioni al costo della vita. Si tratta di un fatto di giustizia, cominciando a partire da quelle piu’ basse».
Casini: «Leale con Silvio, ma non servile» «C’è un tumore nella democrazia italiana - ha dichiarato ieri Casini ai microfoni di Radio 24 - ed è il trasformismo. Non solo non sono stato trasformista ieri nell’essere leale col centro-destra ma non lo sarò oggi col nuovo patto che stipulo coi miei elettori. Io sono stato sempre leale ma non servile e questo forse per Berlusconi è una colpa».
Bertinotti usa Calearo contro Veltroni «Con Calearo il conflitto sociale esiste e se Veltroni non lo vede peggio per lui». Il candidato premier della Sinistra Arcobaleno, Fausto Bertinotti, ribadisce le sue critiche alle parole del segretario del Pd, Walter Veltroni, che aveva definito «da anni Cinquanta» la lotta di classe sostenendo che molti ex operai sono diventati piccoli imprenditori. «Io di ex operai che sono diventati piccoli imprenditori - ha detto Bertinotti a Porta a porta - ne ho conosciuti migliaia. Ma Calearo non è un ex operaio fattosi imprenditore spezzandosi la schiena, è l’ex numero uno di Federmeccanica, ha rappresentato l’ala più dura di Confindustria e costretto gli operai a cinquanta ore di sciopero per ottenere 127 euro mensili lordi di aumento».
Polemiche per Gesù «primo socialista» L’arruolamento di Gesù nello spot del candidato premier Enrico Boselli ha scatenato numerose polemiche. «Non mi sembra un fatto immorale che i socialisti colleghino il loro umanesimo e i loro valori a quelli cristiani - si difende Boselli Le critiche a certe prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche, nulla hanno a che fare con il rispetto dei principi cristiani e il movimento socialista non è mai stato contro la fede o la religione».
Italia Nostra: «Pericolo vecchie antenne tv» Il maltempo abbattutosi su Roma ha rivelato il pericolo delle delle antenne abbandonate che ricoprono i tetti della capitale. L’associazione Italia Nostra ne chiede la rimozione: «bisogna intervenire subito, le vecchie antenne televisive nelle giornate di forte vento rappresentano un pericolo per tutti i cittadini».
alitalia
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Forti ripercussioni per l’Italia se Air France abbandonasse il traffico merci a Malpensa
Fuori dal cargo e dai commerci mondiali di Mino Giachino ella economia globale l’accessibilità di un Paese dal punto di vista dei passeggeri e delle merci fa la differenza, può determinare la sua crescita o al contrario, come sta capitando all’Italia, il suo declino. Incontrando i sindacati, ieri Jean-Cyrill Spinetta si è mostrato più disponibile al dialogo. Ed è auspicabile che possa rivedere la sua intenzione di chiudere le attività cargo a Malpensa. Già oggi il 75 per cento delle merci via aerea del nostro Paese parte da Francoforte o da Parigi, ma se passasse la proposta di Air France arriveremo al 90 per cento.
N
La proposta di Air France è stata autolesionisticamente sottovalutata dal nostro governo. Così si conferma la tendenza che vuole le grandi aziende estere dei trasporti determinare, con le loro scelte, la nostra politica sulla materia e il nostro livello di accessibilità. Dunque stupisce che un politico serio come Piero Fassino, in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi dal Tg3, abbia sminuito questo rischio, spiegando che si sta discutendo «soltanto di 5 aerei al giorno». Anche perché dimentica che il Paese, al netto degli equipaggi impegnati, perderebbe tra i 200 e i 300 milioni di tasse doganali e altre, mentre le nostre imprese ne avrebbero un danno competitivo non indifferente. Allo stesso modo il 75 per cento delle merci dirette al nostro Paese via mare si dirige verso il più efficiente e competitivo porto di Rotterdam. Se uniamo questi dati, scopriamo che la debolezza intermodale italiana ci costa quasi 5 miliardi di tasse portuali e aeroportuali, per non parlare dell’Iva, che vengono incamerate da Rotterdam e Francoforte. Tutti soldi che le due realtà usano per potenziare le loro strutture a scapito dei concorrenti diretti come le nostre piattaforme. E pensare che Malpensa si trova in una posizione naturale strategica. Per capire appieno le conseguenze nefaste bisogna ricordare che il nostro Paese potrebbe contare su quattro grandi infrastrutture (alcune non sviluppate, altre bloccate) del trasporto, che si incrociano nel Nordovest: l’alta capacità del corridoio 5, il Terzo valico tra Genova e Rotterdam, il por-
L’Erario perde 5 miliardi di euro in tasse aeroportuali, visto che i prodotti diretti al nostro Paese passano per Rotterdam e Francoforte to di Genova e, per l’appunto, Malpensa. Se viene meno, crolla tutto il sistema. E, partendo questo da ragionamento, si capisce perché Air France, colpendo il cargo di Alitalia, rafforza l’hub di Parigi, ma anche il porto di Le Havre.
Dall’inizio del nuovo secolo si è cercato di recuperare i ritardi causati dai veti della sinistra radicale, lavorando all’amplia-
AEROPORTO
mento della rete autostradale, al potenziamento dei porti e alla costruzione della rete ferroviaria ad alta capacità con l’approvazione della Legge Obiettivo, con il Piano della Rete Alta velocità europea presentato dal governo Berlusconi nel corso del semestre italiano, con la firma nel 2005 del Patto della Logistica e la sua successiva approvazione al Cipe. Ma con l’arrivo del governo
il mercato nel 2007
TOTALE TONN. MERCI SPEDIZIONI POSTALI
Prodi si è azzerato tutto questo lavoro, sono tornati i veti ideologici che hanno contribuito a infilare una serie di errori che ci costeranno molto: la divisione del ministero delle Infrastrutture in due, gli scontri politici nella maggioranza sulla politica portuale sfociata nel blocco del di Genova. Per non parlare dei balbettii su Tav e Terzo Valico, senza non si potrà evitare il blocco dei Tir. Ora il governo chiude in gloria con la lenta gestione della crisi Alitalia, abbinata all’indebolimento di Malpensa e allo svuotamento del cargo. Il nostro Paese non a caso è ultimo per tasso di crescita in Eu-
QUOTA DI MERCATO DIFF. RISPETTO 2006
MILANO MALPENSA
486.666
15.518
47,6 PER CENTO
+16,1 PER CENTO
ROMA FIUMICINO
154.831
24.249
15,1 PER CENTO
-6 PER CENTO
BERGAMO BRESCIA
134.449
/
13,1 PER CENTO
-4,4 PER CENTO
47.155
22.461
4,6 PER CENTO
+93 PER CENTO
VENEZIA
23.962
2.284
2,3 PER CENTO
-10,2 PER CENTO FONTE: ASSAEROPORTI
ropa. E, a quindici anni dal processo di mondializzazione dei mercati, continua a ragionare in un’ottica locale. Sembra non accorgersi che gli equilibri economici mondiali sono cambiati e che l’Est europeo e, soprattutto, il Fareast asiatico condizionano ormai i mercati di tutto il mondo non soltanto facendo i prezzi delle materie prime, petrolio o cereali che siano. Non a caso i volumi del trasporto merci tra il blocco storico della Comunità europea e l’Est ha superato quelli tra le due sponde dell’Atlantico.
Di conseguenza i Paesi europei – e in primis quelli sul bacino del Mediterraneo – che si attrezzano meglio dal punto di vista dell’accessibilità dei loro porti e dei loro aeroporti, saranno quelli più competitivi e cresceranno di più. Il mondo dei trasporti e della logistica nel nostro Paese vale quasi il 14 per cento del Pil e occupa 1 milione di lavoratori. E ricorderà come un incubo gli ultimi due anni. Anche perché mentre noi ci indebolivamo, tutti i nostri competitor più vicini (Spagna e Grecia in testa) investivano sul loro sistema intermodale. Roba da chiedere i danni a chi ci ha governato.
pagina 6 • 26 marzo 2008
L’ITALIA AL VOTO
La comunicazione politica
lessico e nuvole
Porno Popolare Europeo
L’amore a destra (e a sinistra) al tempo delle elezioni di Giancristiano Desiderio
di Arcangelo Pezza «Vengo dal porno ma ho valori cristiani»: questo per ora ci sembra lo slogan più convincente della campagna elettorale in corso. Lo ha detto Andrea Verde (45 anni da Busto Arsizio ora residente a Parigi, candidato del Pdl alla circoscrizione estero, ripartizione Europa) dopo che sul Sole24Ore e poi in Internet era scoppiato il putiferio per un suo antico incarico a contabile della Fm Video. I cui ultimi titoli, è bene ricordarlo, sono celebrati cult movie come “100000% Vacca!!!”, “Casalinghe in calore” e “Casalinghe in calore 2”. Ovviamente sui blog si trova, circa la querelle, di tutto e di più, comprese le accorate difese dello stesso Verde (si veda per esempio http://caminadella. wordpress.com /2008/03/20/ andrea-verde-scrive-al-sole-24-ore/) che ha rintuzzato le critiche spiegando che: «Chi mi attacca è solo un frustrato. La sessualità può essere vissuta anche senza tabù. E anche se mi sarebbe piaciuto fare l’attore, ero solo amministratore di una filiale». La qual cosa è in parte smentita sul sito www.69stream.com in cui la regia di un capolavoro come “Sotto il vestito la sorca” è attribuita proprio al tapino in questione che nei manifesti elettorali ha effettivamente l’aria contrita più di un ragioniere che la spa-
valderia di un porno attore. In questa sede non interessa stabilire verità e bugie sulla precedente attività del Verde, più interessante analizzare le strategie comunicative dei politici. E dobbiamo ammettere che anche questa sbandata, se presa bene, potrebbe innalzare il nostro ragioniere-porno attore a protagonista del complesso mondo della comunicazione pubblica. Non è un caso che la notizia rilanciata on-line dal Corriere della Sera sia stata la quarta più letta nella giornata di ieri. Peccato solo che Verde sia arrivato tardi, quando il Casino delle Libertà era già stato chiuso.
C’è chi non si ama più e chi si ama ancora. C’è chi perde la fede politica e chi non ha mai messo al dito la fede nuziale nonostante sia sposato da una vita. La coppia più bella del mondo della destra romana era quella formata da Pinguino ed Epurator, Gramazio e Storace. Andavano d’amore e d’accordo, quasi si sbaciucchiavano, contavano insieme i voti, mentre oggi l’ex ministro della Salute dice: «Fa schifo». A sua volta, l’ex presidente dell’Agenzia regionale della sanità pubblica ricambia con affetto: «Poveraccio». Ieri erano l’uno per l’altro, oggi sono l’un contro l’altro armati: di mezzo c’è il Senato in quel Lazio che è la regione più in bilico d’Italia. La coppia più bella della sinistra italiana è formata dal Walter e dalla Flavia che vanno in giro con il pullman come in un secondo viaggio di nozze. Si conobbero nel ’73, si sposarono nell’82: «Non ci siamo mai lasciati, nemmeno per un giorno», dice lui. Ma perché lui non ha la fede al dito? Un trauma giovanile: «Da ragazzo sono rimasto traumatizzato, quando un mio amico ha perso un dito della mano perché la sua fede era rimasta impigliata in un cancello». Ognuno ha i suoi traumi. Dal suo il Walter ha ricavato una significativa regola di vita: uno deve stare sempre attento dove mette le dita.
Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda
Il sondaggio dei sondaggi la media di oggi Gippieffe Lorien Digis Swg Crespi Demop. Agron 20 marzo
20 marzo
20 marzo
20 marzo
19 marzo
18 marzo
18 marzo
Pdl+Lega
Centro
Pd+Idv
Sin-Arc
Destra
Socialisti
44,1
6,3
36,7
7,1
2,4
1,2
(-0,2)
(+0,2)
(-0,2)
(+0,1)
(+0,1)
(+0,1)
43,4 44,4 45,6 43,0 43,9 44,0 44,7
7,7 7,1 6,0 5,5 6,0 6,0 6,4
36,4 35,2 38,4 38,0 36,4 37,5 35,3
7,3 7,2 6,3 7,5 6,5 7,5 7,6
2,4 2,0 1,7 2,5 4,0 2,5 2,1
1,2 1,3 1,0 2,0 1,0 1,6
La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.
di Andrea Mancia Difuso ieri, da Sherpa Tv (la web television di Claudio Velardi), il nuovo sondaggio Gipieffe sulle intenzioni di voto del 1820 marzo. Rispetto al sondaggio Gipieffe del 14 marzo, PdL e Lega perdono l’1,6%, mentre Pd e Idv guadagnano lo 0,8%. Il vanttaggio della coalizione guidata da Berlusconi, dunque, si riduce sensibilmente, passando dal 10,4% al 7% in una sola settimana. Crescono invece tutte le formazioni minori (Udc +0,3%, Destra +0,4% e Socialisti +0,2%) ad eccezione della Sinistra Arcobaleno, stabile al 7,3%. Nella nostra tabella, il sondaggio Gipieffe prende il posto di quello Ipsos del 17 marzo, che registrava un distacco simile tra le due coalizioni maggiori, ma con valori assoluti più alti sia per il PdL
che per il Pd. Per questo motivo, la media del distacco resta inchiodata al 7,4%, ma sia PdL+Lega che Pd+Idv perdono lo 0,2%. Crescono, invece, le medie di Sinistra Arcobaleno (+0,1%), Udc (+0,2%), Destra (+0,1%) e Socialisti (0,1%). Pubblicate ieri, sul sito Affaritaliani.it, anche le previsioni effettuate dell’Istituto Piepoli sulla base di «dodici sondaggi da mille casi l’uno» degli ultimi due mesi. Secondo Piepoli, PdL e Lega finiranno con 8 punti di vantaggio su Pd e Idv. Mentre al Senato «la coalizione di Berlusconi avrà 167 seggi a Palazzo Madama, rispetto ai 148 delle opposizioni». «La Lega Nord ne avrà 18 - spiega Piepoli - e quindi sarà assolutamente determinante per la maggioranza di governo.
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L’ITALIA AL VOTO ROMA Francesco D’Agostino, ordinario di filosofia del diritto all’università di Roma, è stato presidente del Comitato nazionale per la bioetica, di cui è membro fondatore, dal 2001 al 2006. Cominciamo con lui il viaggio che liberal farà questa settimana nel mondo della bioetica. Nell’ambito cioè di quei temi che riguardano la vita e la morte delle persone: aborto, pillola del giorno dopo, eutanasia, fecondazione eterologa. Professore non tutti intendono la stessa cosa quando parlano di bioetica. No anzi. Ci sono persone che a questo termine legano valori e significati non solo diversi ma anche opposti. Il fatto è che che nell’ambiente di chi si occupa di bioetica si sono cristallizzati due atteggiamenti irriducibili. Da un lato quello di chi ritiene che la scienza non debba avere limiti, dall’altro quello di chi pensa che essendo un’impresa sociale l’attività scientifica deve dare conto di quello che fa. Potremmo chiamare la prima bioetica giustificativa la quale denuncia continuamente un ritardo psicologico a recepire le scienze. Secondo questo approccio l’uomo avrebbe perduto il legame con l’evoluzione della scienza, non riesce più a starle dietro. La seconda visione potremmo definirla bioetica difensiva, portata a temere la scienza e la biomedicina per il potenziale di minaccia verso la vita umana. In mezzo c’è la biopolitica: le leggi che dovrebbero disciplinare le applicazioni di scienza e medicina. Già. E qui entriamo nel difficilissimo merito della ricaduta sociale della bioetica. Ora, c’è chi sostiene addirittura il primato del biodiritto sulla bioetica ma in questa posizione è annidato un rischio gravissimo. Prendiamo l’esempio dei grandi prematuri. Il parere del Comitato di bioetica è che il giudizio sulla possibilità di rianimare o no il prematuro più che derivare da una norma astratta deve essere dato dal medico. D’altra parte che cosa dovrebbe fare la legge stabilire che dopo la ventunesima settimana di gestazione il prematuro si rianima e prima no? Sarebbe un metodo draconiano, devastante. Ma potrebbe esserlo altrettanto l’arbitrio del medico. Ma lasciare al medico il giudizio non significa concedergli un arbitrio assoluto su certe decisioni. Il medico non è mai svincolato dal controllo. Deve sempre spiegare le ragioni delle sue scelte. A proposito. L’Ordine dei medici di Cremona ha deciso l’archiviazione del procedimento disciplinare a carico di Mario Riccio, l’anestesista che aiutò Piergiorgio Welby a morire staccandogli il respiratore che lo teneva in vita. Riccio è stato poi assolto anche dalla magistratura perché quello che ha fatto non costituisce reato. Che ne pensa di questo verdetto? Ci sono molti pazienti in Italia affetti dalla sindrome di sclerosi multipla, la stessa che aveva il povero Welby. Mi preoccupa il fatto che dopo un verdetto del genere si sia di fatto creato un precedente . Mi domando: i pazienti come Welby potrebbero incorrere in una pro-
La legislatura bioetica. Le previsioni degli esperti/1 Francesco D’Agostino
Eutanasia? Attenti al fattore Claus colloquio con Francesco D’Agostino di Riccardo Paradisi
La vicenda dello scrittore belga Hugo Claus (foto in basso a sinistra), ammalato di Alzheimer, che ha scelto l’eutanasia ha fatto discutere come quella di Piergiorgio Welby (foto in alto). In basso a destra Francesco D’Agostino cedura burocratica di massa come quella che ha concluso l’esistenza di Welby? Considerando che in Parlamento esiste una forza trasversale pro eutanasia si dovrà stare molto attenti. Ma Welby aveva però dato il suo esplicito consenso. Il caso Welby è drammatico non solo per il suo esito ma perché c’è stata intorno alla sua vicenda una strumentalizzazione gigantesca. Welby era diventa-
Che poteva non essere lucido o pienamente in sé quando ha scelto di essere fatto morire. Appunto. Lei dice che la legge non garantisce dagli eccessi della scienza e della medicina, dai loro deliri di onnipotenza. Ma può limitarli. Io sono favorevole a ogni intervento legislativo che vada in questo senso, ma le maggioranza politiche cambiano
«Una maggioranza politica non è qualificata a cambiare, come ha fatto Zapatero, i connotati della natura del matrimonio, un’istituzione che viene prima dello Stato» to il testimonial dell’eutanasia. Nella sua psicologia ogni ripensamento sarebbe stato difficile visto che su di lui una pressione mediatica esisteva straordinaria. Come avrebbe potuto Welby ripensare serenamente alla sua posizione in quelle condizioni? E poi caso Welby a parte questa idea del consenso esplicito è davvero debole. Perché? La recente vicenda dello scrittore belga Hugo Claus, morto per eutanasia qualche settimana, fa è significativa: Claus ha scelto l’eutanasia perché soffriva del morbo di Alzheimer. Credo che questo particolare chiarisca cosa voglio dire.
molto facilmente e così l’orientamento delle leggi. Non possono cambiare però i miei principi. Nella Spagna di Zapatero per esempio è stata approvata una normativa sul cambiamento anagrafico di sesso su semplice richiesta del soggetto. Non solo: ora in quel Paese è obbligatorio durante l’insegnamento di educazione civica, imparare che il matrimonio prescinde dai sessi degli sposi. Ma il radicamento di genere in cui ci troviamo non è una condizione da poter modificare con un tratto di penna e lo Stato non è qualificato a cambiare i connotati della natura del matrimonio, istituzione che presiede al-
lo Stato e discende dal diritto naturale. Lo Stato non deve avere l’ultima parola sulle questione etiche. È chiarissimo. Però insisto. Due anni fa un inquietante documento dell’Onu lanciava l’allarme sul fatto che era plausibile che in qualche laboratorio la clonazione umana fosse già stata sperimentata. Nello stesso documento si parlava anche della necessità di prevedere un intervento giuridico su questo problema. Lodevole intenzione, ma insito anche io. E le faccio un altro esempio. La commissione europea di bioetica sancì che la fecondazione artificiale poteva essere fatta solo se finalizzata alla riproduzione. La Gran Bretagna non solo non accolse né ratificò quell’indirizzò ma ha proceduto talmente tanto nella cosiddetta libertà di ricerca che ora in Inghilterra si stanno creando embrioni ibridi.Vanno a prendere ovociti di mucca e ci mettono il dna maschile. Non sono le leggi che ci salveranno ma la coscienza degli uomini. E magari strutture educative e sanitarie, animate da principi di difesa della sacralità della vita, sempre più libere e autonome dallo Stato.
religioni
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Auschwitz e la modernità. Michael Novak sui rapporti tra le due fedi
EBREI E CRISTIANI
fratelli contro il nichilismo di Michael Novak
ono nato nello stesso anno in cui Adolf Hitler è stato eletto Cancelliere in Germania, nel 1933. All’età di undici anni ogni settimana vedevo gli orrori descritti nei cinegiornali dell’epoca, ogni volta che le colonne alleate strappavano il filo spinato che cingeva i campi di concentramento. Ho visto figure consunte ed emaciate in divise a strisce sudicie e lacere. I corpi dei morti venivano accatastati in mucchi e poi gettati sui camion. Come sacchi di sabbia. Ho temuto di potermi trovare tra quei mucchi anch’io. Per me, una visione della vita che non tenesse conto degli orrori della seconda guerra mondiale, e soprattuto di quelle cataste di cadaveri, sa-
S
rebbe stata del tutto inattendibile. Mio padre mi ha esortato ad informarmi riguardo al nazismo e al comunismo e ha incoraggiato la mia abitudine a ritagliare articoli da quotidiani e riviste. Nella mia mente di dodicenne era ormai diventato lampante che la vita fosse molto più orribile di quanto nessuno mi avesse mai raccontato prima. Scetticismo, ateismo e invocazione del male, sarebbero potute diventare la strada più onesta da seguire per me e per quelli come me. Penso di poter affermare che tali visioni del mondo, e le domande che pongono, siano diventate la preoccupazione centrale della mia vita. Albert Camus ha descritto, più chiaramente di chiunque altro,
la sfida di trovarsi su questa terra in un’epoca in cui, solo in Europa, oltre cento milioni di persone sono state private della vita in maniera violenta, secondo tempi e modi da loro non previsti. Camus ha visto i cumuli di corpi umani ed ha previsto che questo dramma potrebbe continuare, accrescersi all’infinito, con il passare delle generazioni. In realtà, sarebbe successo proprio questo se, dal nulla in cui ci siamo venuti a trovare, all’interno del nichilismo cui il mondo si era convinto dover vivere, non avessimo avuto la forza di reagire. Se non avessimo scoperto il modo per realizzare qualcosa di onesto, intriso della sofferenza reale del nostro tempo e, contemporaneamente, autentica-
mente e umanamente creativo. Dovevamo trovare un modo onesto per immaginare una nuova civiltà da costruire sulle macerie di quella precedente. Un tale sforzo, ha scritto Camus, doveva iniziare dal nulla lasciato dalle rovine del passato, assumere il nichilismo come punto di partenza. Nei miei libri, Belief and Unbelief (1965), The Experience of Nothingness (1970), ed ora No One Sees God, ho cercato di affrontare questi temi.
Il significato teologico dell’Olocausto Quali sono le sue interpretazioni dell’Olocausto dal punto di vista teologico? Mi sono sempre immaginato l’inferno secondo lo schema dantesco: tanti cerchi
concentrici, che si addentrano in profondità nel male. Per me, l’Olocausto ha sempre rappresentato il cerchio più ristretto, profondo e malvagio dell’Inferno. Delle cento milioni di persone trucidate durante il ventesimo secolo, gli ebrei sono stati praticamente l’unico popolo il cui genocidio è stato sistematicamente programmato. (In misura minore, fu così anche per gli zingari e gli omosessuali). Non riesco ad immaginare un destino più malvagio di quello cui sono andati incontro sei milioni di ebrei sotto il regime nazista: gente che è stata messa a morte non per azioni che avevano commesso ma per la loro identità. Ho partecipato a dotte conferenze in cui alcuni sociolo-
religioni qualcosa di molto più terrificante. L’ebraismo è un mysterium non solo in virtù della sua lunghissima persistenza nei secoli, a dispetto di ogni probabilità e ogni nemico, ma anche perché, in maniera potente, rappresenta Yhwh, il Sovrano di tutte le cose, il Giudice, la Fonte ed Origine del giudizio profetico nei confronti dell’ingiustizia e della mancanza di compassione e, come ha appena affermato Ruth Messinger, anche un potente senso di obbligatorietà. L’ebraismo significa l’esistenza del Giudizio, della Verità e della Compassione oltre ogni misura umana, nonché obbligatorietà. L’ebraismo è una di quelle religioni, insieme ad altre, che Rudolph Otto ha descritto come mysterium tremendum et fascinans – un mistero che spaventa ma attira incessantemente. Il timore di Dio ha fatto unire un popolo, che però è stato anche irresistibilmente attratto dalla giustizia e dalla verità di Dio, è stato mosso dalla Sua compassione, ed è diventato dolorosamente consapevole di avere un obbligo nei confronti di coloro, tra i Suoi figli umani, che soffrono più degli altri. L’ebraismo e gli ebrei aggiungono una dimensione alla vita umana che nessun’altro ha il potere di evocare, oltre all’esigenza di rendere omaggio e grazie al Creatore di tutte le cose. Tra parentesi, sono d’accordo con Jacques Maritain,
Nella mia mente di dodicenne era ormai diventato lampante che la vita fosse molto più orribile di quanto nessuno mi avesse mai raccontato prima. Una visione della vita che non tenga conto degli orrori della seconda guerra mondiale, di quelle cataste ammucchiate di cadaveri, sarebbe inattendibile gi, che in precedenza avevano negato l’esistenza del male puro, hanno affermato di stare rivedendo le proprie posizioni. Perché è toccato proprio agli ebrei? Nessuna spiegazione di tipo pragmatico, razionale e persino irrazionale risulta soddisfacente. A prescindere dalle conclusioni cui si può giungere, rimane sempre un fondo di mistero. La parola “mistero” non si riferisce ad un problema da risolvere o ad un caso da svelare.Tutto questo rientra nella razionalità di ordinaria amministrazione. Un mysterium è qualcosa che va oltre la nostra comprensione, sta su una diversa lunghezza d’onda. Custodisce al suo interno un significato potente, che però risulta inaccessibile ai mezzi di cui disponiamo; la ragione razionale è insufficiente. Non dobbiamo aspettarci che nemmeno un Einstein possa risolverlo domani. Non è un enigma, ma
il quale ha trovato nelle serate trascorse in compagnia dei suoi amici ebrei in America più intensità, serietà, ilarità, arte, attualità e storicità che in altri ambiti della sua vita. John Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti, ha scritto che anche se fosse stato un ateo convinto che tutto fosse aleatorio, privo di senso e assurdo, avrebbe comunque considerato gli ebrei come i grandi depositari del principio fondamentale della civiltà: che il Creatore di tutte le cose abbia infuso tutto di intelligenza e luce. Tutto è comprensibile in via di principio, anche se non l’abbiamo ancora compreso, in virtù del fatto che il suo Creatore è l’intelligenza stessa che infonde tutte le cose. In questo modo, gli ebrei hanno reso la civiltà possibile. Avendo reso il dialogo possibile, l’ebraismo ha dischiuso alla mia mente e alla vostra, e
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alla mente di chiunque si trovi su questa terra, l’ideale regolatore per cui anche se voi ed io ancora non vediamo la risposta, noi tutti finiremo per seguire l’evidenza così come appare ai nostri occhi. Questo reciproco impegno nei confronti della verità regolatrice ci consente – anzi impone – che noi dialoghiamo apertamente con gli altri, cercando di discernere quella parte dell’evidenza che ancora non vediamo e che magari i nostri compagni su questa terra già vedono. I popoli civili cercano di persuadere, dialogano. I barbari si prendono a randellate ed uccidono per zittire qualsiasi voce inquistrice. Secondo me, qualsiasi tentativo di obliterare il ruolo della ragione e della verità dalla civiltà – qualsiasi movimento che tenda verso il nichilismo – ad un certo punto deve sradicare l’ebraismo. Per sua natura, l’ebraismo sostiene la verità, la ragione e la giustizia in quanto leggi di natura. L’ebraismo è nemico del nichilismo e del relativismo. È per questo motivo che rende la civiltà possibile. Per distruggere la civiltà occidentale e la ragione e proporre un nuovo ordine basato sul nichilsmo ed il totalitarismo, era opportuno distruggere prima l’ebraismo. Di conseguenza, l’ebraismo ha un ruolo centrale rispetto al nostro concetto di civiltà, di civiltà avanzata, persino di quelle civiltà governate da principi che vanno ben oltre quanto sia mai stato realizzato finora. L’ebraismo provoca un’attrazione nei confronti del richiamo verso il progresso, dell’anelito verso un mondo migliore che ci attende. L’ebraismo è la religione della speranza.
scoprire, nella contemporaneità, i propri principi fondanti e le proprie origini. Il rapporto tra ebrei e cristiani, uniti in una comunità vitale, è assolutamente essenziale. Ma non è un rapporto simmetrico. Intendo dire
mai più! In secondo luogo, dobbiamo sforzarci di comprendere nuovamente il significato più profondo dei primi due Comandamenti che Yhwh ci ha dato: amare Dio con tutto il nostro cuore, la nostra mente e la no-
L’ebraismo è un mysterium non solo in virtù della sua lunghissima persistenza nei secoli, a dispetto di ogni probabilità e ogni nemico, ma anche perché, in maniera potente, rappresenta Yhwh, il Sovrano di tutte le cose, il Giudice, la Fonte ed Origine del giudizio profetico nei confronti dell’ingiustizia e della mancanza di compassione
Il rapporto tra ebraismo e cristianesimo Io sono cristiano, anzi cattolico. Come Papa Giovanni Paolo II e S. Tommaso d’Aquino, anch’io credo che Dio non possa non tenere fede alla Sua Alleanza con gli ebrei. Se così fosse, come potrebbero i cristiani fidarsi della Sua Nuova Allenza (nella quale noi crediamo)? Tale Nuova Alleanza non ha abrogato la Prima ma, come noi crediamo, la supera. Yhwh non può non rispettare le Sue Alleanze, né abbandonare mai il Suo primo popolo eletto e prediletto. In secondo luogo, è di importanza cruciale per il cristianesimo che l’ebraismo nel suo pieno vigore biblico prosperi secondo la volontà del Signore fino alla fine dei tempi. L’ebraismo deve essere una comunità di preghiera, studio e fedeltà viva e vitale, poiché senza di esso il cristianesimo non potrebbe giungere a
che i cristiani, per essere pienamente e profondamente tali, devono riassumere in sé stessi le verità e i principi che sono stati infusi in loro dall’ebraismo. Non si può essere dei buoni cristiani senza cercare di essere essenzialmente dei buoni ebrei. Ma non vale il contrario. Normalmente un ebreo può rimanere tale senza bisogno di diventare anche cristiano, e di fatto così avviene. A dire il vero, un ebreo tuttora crede che il cristanesimo vada troppo oltre, fino a raggiungere la blasfemia, l’abbandono del monoteismo, violando la verità riguardo a Dio – e anche violando la verità riguardo all’Uomo. Sebbene l’insegnamento di Gesù possa in un certo senso essere bello ed edificante, gli ebrei tendono a considerarlo perfezionista, utopistico e pericoloso. Per i cristiani, il necessario contributo dell’ebraismo, se profondamente compreso, è il fatto di prendere sul serio le pretese del cristianesimo come, purtroppo, tanti cristiani moderni non fanno: di prendere sul serio la Sua “Nuova Legge”. In definitiva, l’ebraismo è essenziale per il cristianesimo, ma quest’ultimo non sembra essere essenziale per l’ebraismo secondo gli ebrei; anzi, per alcuni di essi risulta addirittura in contrasto con l’ebraismo, una violazione grave dei suoi principi fondamentali. Ecco come appare la situazione a noi, nella nostra diversità. Tuttavia vorremmo che non fosse così: tale è la realtà dei nostri limiti umani.
Conclusioni Innanzi tutto, la lezione più importante che possiamo trarre dall’Olocausto è che non dobbiamo consentire ai nazisti di scavare un solco tra di noi – tra coloro che vogliono essere profondamente ed autenticamente ebrei e coloro che vogliono essere profondamente ed autenticamente cristiani; non possiamo concedere ai nazisti una vittoria postuma. Dobbiamo riferirci all’Olocausto per giungere insieme ad una ferma ed incrollabile repulsione, per dire:
stra anima; e amare il prossimo nostro come noi stessi. ”Qui troviamo tutta la Legge e i Profeti.” Il legame tra ebrei e cristiani – il legame della nostra genesi reciproca, il nostro legame ontologico, se così si può dire – non dovrà mai essere spezzato. Il legame che unisce fratelli e sorelle, a partire dalla nostra sofferenza, la nostra sofferenza incomprensibile. Non sono ebreo, ma ho provato la sofferenza a cui ho assistito durante la mia infanzia attraverso una specie di terrore, come se tutto questo potesse potenzialmente accadare anche a me e a tutti noi. In terzo luogo, dobbiamo pensare, ancora una volta nella maniera più approfondita possible, alla durezza ed al rigore della nostra visione del Creatore e Giudice. Il nostro Dio non è una mammoletta. La storia di Noè ce lo dimostra: già una volta Dio ha distrutto il mondo, ad eccezione della piccola famiglia del patriarca biblico. L’operato di Dio è un mistero per noi, talvolta spaventoso, se non addirittura terrificante. Eppure Egli tenta incessantemente di raggiungerci per parlarci del Suo amore. Tutto questo è incomprensibile, misterioso. Tutto questo è fascinans, ed anche tremendum. Se è amore, è un amore molto duro. Cercherei innanzitutto di penetrare all’interno del significato dell’amore di Dio: sembra che Egli punisca coloro che ama. Non so come spiegare la follia che ha caratterizzato gran parte del ventesimo secolo, e a maggior ragione gli orrori dell’Olocausto. Solitamente si calcola che il numero di uccisioni deliberate perpetrate dai nazisti non durante azioni di combattimento si aggiri intorno ai quattordici – sedici milioni, il numero più grande fino a questo momento è rappresentato dai sei milioni di ebrei. Pensarci fa troppa impressione. Ma è anche necessario non dimenticarlo. Mai. Dobbiamo andare avanti insieme, verso una specie di luce. Vivere la vita è un’attività tremenda e seria per gli esseri umani, così come Dio ha voluto che noi la vivessimo.
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mondo
Per John R. Bolton Europa e Usa hanno mal interpretato la vittoria di Ma Ying-Jeou alla guida del Paese
Il presidente di Taiwan è l’uomo giusto di John R. Bolton l 22 marzo scorso, i cittadini di Taiwan hanno ancora una volta dimostrato il loro impegno nei confronti di un sistema politico libero ed aperto eleggendo come loro presidente, a maggioranza schiacciante, Ma Ying-Jeou, il candidato del Partito Nazionalista (il o Kmt). Con Kuomintang un’affluenza alle urne del 76 percento degli aventi diritto al voto, Ma Ying-Jeou ha ottenuto circa il 58 percento rispetto al 42 percento di Frank Hsieh, il candidato del Partito Progressista Democratico (Dpp). La consultazione popolare è il secondo esempio di elezioni nazionali libere e giuste, capaci di garantire un pacifico cambio di potere. Il primo si è registrato nel 2000, quando il presidente in carica Chen Shui-bian del Dpp sconfisse il Kmt. Considerando il positivo tasso di crescita di Taiwan, per non parlare della sua stampa fortemente libera, non c’è dubbio che il rappresentante di governo sia ben radicato e saldamente in sella. Molti in Europa e negli Stati Uniti hanno mal interpretato ciò che la vittoria di Ma (unitamente alla schiacciante mag-
I
gioranza ottenuta dal Kmt nelle elezioni legislative del gennaio scorso), rappresenti per il futuro di Taiwan. Non significa che il governo stia modificando la sua politica di indipendenza dalla Cina a favore della riunificazione con il continente. Al contrario. Certamente le radici del Kmt, quale partito di Sun Yat-sen, così come il nome ufficiale di Taiwan - Repubblica di Cina - riflettono appieno i legami storici con il continente e
dei cittadini ha scelto quest’ultimo, almeno per il prossimo futuro.
In un sondaggio del 2007 effettuato dal Taipei’s Mainland Affairs Council, è risultato che l’81,5 percento sosteneva il mantenimento dello status quo, a tempo indeterminato o nella fase attuale, pensando di decidere eventualmente sulla riunificazione o sull’indipendenza in un momento futuro
ne migliore, ma questa non è la stessa conclusione alla quale sono giunti i taiwanesi. La campagna di Ma si è concentrata prevalentemente sull’economia di Taiwan che - nonostante un tasso di crescita del 5,7 percento nel 2007 - che Stati Uniti ed Europa vorrebbero tanto eguagliare - è rimastra indietro rispetto ad altre economie asiatiche. In particolare, molti imprenditori ed investitori di Taiwan, nonché la
«Per Ma Ying-Jeou potenziare la forza economica di Taiwan significa avere un maggior peso politico in eventuali negoziati con la Cina, una posizione del tutto ragionevole. Usa, Ue e Giappone dovrebbero aiutarlo» molti sostenitori del Kmt sperano in una loro definitiva riunificazione. Ma la vita politica di Taiwan è di gran lunga più complessa della semplicistica dicotomia della quale parla molta stampa occidentale. Sono ormai anni che si è registrata una notevole stabilità nella politica del Paese. Di fronte alle possibilità di riunificazione con il continente, indipendenza o continuazione dello status quo, una vasta maggioranza
non meglio identificato. Soltanto il 10,2 percento voleva l’indipendenza «il prima possibile», ed il 2,2 percento la riunificazione «il prima possibile». Al contempo, i taiwanesi di ogni orientamento politico si lamentano del loro isolamento politico a livello internazionale e degli sforzi effettuati da Pechino per accentuare tale isolamento. Pertanto, si potrebbe ritenere che rafforzare lo status quo non sia decisamente la soluzio-
vasta borghesia del Paese, temono che le annose controversie politiche con la Repubblica Popolare stiano lasciando indietro Taiwan finendo per avvantaggiare l’espansione economica del continente. Questa è una minaccia precisa per la popolazione, un pericolo in grado di incidere sulla vita di tutti i giorni, in quanto è proprio l’enorme statura di Taiwan nell’economia mondiale che ha reso l’isolamento politico inter-
nazionale sopportabile e tollerabile per il cittadino medio.
Alcuni a Taiwan si preoccupano del fatto che relazioni economiche eccessivamente serrate con la Cina ridurrebbero il loro margine di manovra e potere negoziale a livello internazionale. In realtà, già oggi gli investimenti taiwanesi ma anche i dirigenti e i lavoratori, dipendono sempre più dal continente in termini di strutture di produzione e distribuzione, sebbene lo facciano spesso in modo occulto, ambiguo e subdolo per evitare il controllo del governo di Taipei. Pertanto la questione non sta tanto nell’eventualità che si verifichi o meno una crescente vicinanza a livello economico, quanto piuttosto nella possibilità o meno che essa si verifichi in modo aperto e più efficiente, e dunque con maggiori probabilità di andare a vantaggio di Taiwan. Questo è il cambiamento che Ma ha affermato di poter rendere possibile. Ecco perché in campagna elettorale le sue opinioni in materia economica non erano poi così distanti da quelle sostenute da Frank Hsieh del Dpp.
mondo Il forte sostegno di cui gode Ma a livello popolare ed imprenditoriale, in virtù della sua politica favorevole a più stretti legami economici con la Cina, riflette la grande speranza che questi legami possano migliorare la posizione economica di Taiwan. Non si prevede, inoltre, che Ma sottolinei e ribadisca l’unicità dello status politico di Taiwan con la stessa forza del Presidente uscente Chen, non perché - come ritengono erroneamente molti europei ed americani - cerchi di gettare le basi per la riunificazione, ma per un altro motivo. Ritiene infatti che potenziare la forza economica di Taiwan porterà ad una maggiore forza politica del Paese in eventuali negoziati con la Cina - il che è una posizione del tutto ragionevole e sensata. Difficilmente una Taiwan economicamente più debole sarebbe nella giusta posizione per contrastare ed opporsi ad un’economia cinese in rapida crescita. Sotto questo profilo vi è un ruolo importante che Stati Uniti, Europa e Giappone possono giocare. La politica degli Stati Uniti sostiene da tempo che il popolo di Taiwan deve poter decidere autonomamente del suo futuro politico, senza alcuna forma di coercizione politica o militare da parte di Pechino. Purtroppo, durante il mandato del presidente Chen le relazioni fra Taipei e Washington si sono alquanto raffreddate, più per colpa degli errori compiuti da Washington che da Taiwan. Tuttavia, indipendentemente dai motivi di tensione, è giunto ora il momento per gli Stati Uniti di ribadire con chiarezza ed in modo inequivocabile che sostengono l’espressione della volontà popolare emersa nelle
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elezioni a Taiwan e che continueranno a restare al fianco del loro alleato di sempre, anche fornendo la necessaria assistenza militare. Per gli Stati Uniti il modo più chiaro per esprimere questo sostegno è fornire il pieno riconoscimento diplomatico a Taiwan. L’attuale stato di ambiguità delle relazioni è improponibile, fuorviante e potenzialmente pericoloso in quanto rende più difficile per Pechino comprendere fino a che punto gli Stati Uniti siano impegnati nella difesa e nell’autodeterminazione di Taiwan. Il riconoscimento porterebbe stabilità e certezza, riducendo pertanto, effettivamente, il rischio che Pechino mal interpreti la posizione degli Stati Uniti e minacci di avviare, o avvii effettivamente, un’azione militare per riconquistare Taiwan. Il riconoscimento diplomatico non pregiudicherebbe ulteriormente la politica statunitense favorevole ad “un’unica Cina”, la cosiddetta one-China policy (un esercizio di per sé confuso ed ambiguo) o, in ultima analisi la questione della riunificazione, più di quanto non fece il riconoscimento delle due Ger-
manie da parte degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Il sofinora stegno fornito dall’Europa a Taiwan è stato piuttosto freddo, ma è giunto ora il momento - in special modo considerata la piega che gli eventi hanno preso in Tibet - che l’Europa sia più risoluta e decisa nel sostenere la democrazia sull’isola. Alla Cina non piacerà questa piega degli eventi, ma inevitabilmente avrà ben poca scelta se non quella di accettare il doppio riconoscimento. Il Presidente eletto Ma ha tempo ed una notevole preparazione per operare la sua transizione al potere. Gli Stati Uniti, l’Europa ed il Giappone dovrebbero facilitargli il compito e sostenere il popolo di Taiwan man mano che il suo libero sistema di governo continua a rafforzarsi.
La vita politica del Paese è di gran lunga più complessa della semplicistica dicotomia della quale parla molta stampa occidentale
Ex-ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite e oggi Senior Fellow dell’American Enterprise Institute. Autore del libro Surrender Is Not an Option recentemente pubblicato dalla Simon & Schuster Threshold Editions
d i a r i o
d e l
g i o r n o
Boicottaggio: Sarkozy gela Pechino Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, nel corso di una visita a Tarbes, nel dipartimento degli Alti Pirenei, ha dichiarato a sorpresa che riguardo al boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino 2008 «tutte le opzioni sono aperte». «Io mi rivolgo al senso di responsabilità dei dirigenti cinesi - ha spiegato Sarkozy -. Voglio che il dialogo cominci e misurerò la mia risposta in funzione della risposta che sarà data dalle autorità cinesi. Penso che bisogna reagire così se si vogliono ottenere dei risultati», ha concluso. Intanto, secondo il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, intervistato dalla radio Europe 1, la prima richiesta da fare alla Cina è di garantire l’accesso dei giornalisti al Tibet. Il capo della diplomazia francese ha detto di aver già avanzato questa richiesta in una telefonata avuta con il suo omologo cinese, il quale ha risposto che vi sono «questioni di sicurezza». Ma queste «non reggono», ha commentato Kouchner.
Iraq, si combatte a Sadr City Si combatte a Sadr City, lo sterminato sobborgo sciita nel nord di Baghdad. Secondo testimoni e fonti della sicurezza locali, ieri in serata soldati americani e iracheni hanno iniziato ad accerchiare i miliziani fedeli all’imam Moqtada al-Sadr. Alcuni testimoni hanno affermato che all’operazione partecipano anche elicotteri da combattimento Usa, che stanno sorvolando diverse zone del quartiere. Il sobborgo è considerato una roccaforte dell’Esercito del Mahdi: una potente milizia agli ordini dell’imam al-Sadr, contro la quale dalla notte scorsa i comandi iracheni hanno lanciato una vasta offensiva.
Scontri a Minsk Scontri nella capitale bielorussa Minsk tra alcune decine di manifestanti dell’opposizione e la polizia in occasione di una manifestazione non autorizzata per celebrare l’anniversario della repubblica popolare bielorussa. Nel frattempo è cominciata vicino all’Accademia delle scienze una manifestazione autorizzata, sempre dell’opposizione: i partecipanti gridano «liberta’ a Kozulin» (il loro leader ora in prigione, ndr)
Autobomba in Inguscezia Un’autobomba è esplosa davanti alla sede di una banca nel centro di Nazran, capitale della repubblica caucasica dell’Inguscezia, ai confini con la Cecenia. Quattro poliziotti sono rimasti feriti.
Film antislamico a Praga? Dopo il “no” olandese, il Partito nazionale ceco ha offerto il suo sito internet al deputato olandese dell’estrema destra Geert Wilders per la trasmissione del suo film antiislamico “Fitna” (Lo Sconvolgimento).
L’ex ufficiale dell’esercito Yai Gal Klein è arrestato in Russia, condanato a 10 anni in Colombia, e richiesto da Tel Aviv
Mosca, Bogotà e lo strano caso del mercenario israeliano di Raffaele Cazzola Hoffman è un lungo filo rosso diplomatico-giudiziario che lega Mosca alla lontana Bogotà passando per Tel Aviv. Ad animarlo è Yiai Gal Klein. Si tratta di un ex ufficiale dell’esercito israeliano condannato a dieci anni di carcere in Colombia per aver lavorato negli anni Ottanta e Novanta come mercenario al soldo dei cartelli della droga di Medellin e dei gruppi della guerriglia paramilitare. Arrestato lo scorso anno all’aeroporto di Mosca in forza di un mandato di cattura dell’Interpol, Klein è stato protagonista di una lunga battaglia giudiziaria per evitare l’estradizione in Colombia e poter essere inviato in Israele. Ma nei giorni scorsi un tribunale di Mosca gli ha dato torto accogliendo la richiesta giunta da Bogotà. Klein ha qualche giorno di tempo per presentare ricorso. Ma non ci sono le condizioni perché la magistratura russa, in ciò pienamente appoggiata - e, secondo il combattivo avvocato di Klein, addirittura
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guidata a fini politici - dal Cremlino, torni sui propri passi.Tutto fa pensare che, una volta espletate nel più breve tempo possibile le formalità del ricorso, Klein sarà spedito in Colombia seduta stante. In una situazione giuridica nella quale tra Russia e Colombia non esiste alcun accordo su casi di estradizione, infatti, il buon fine dell’operazione Klein viene visto dalle autorità moscovite come un precedente per sbloccare altre procedure simili in corso riguardanti propri ricercati per reati di droga attualmente detenuti in Colombia. Inoltre l’ex ufficiale israeliano rappresenta una vera e propria “patata bollente” di cui Mosca vuole liberarsi prima possibile e con la quale si è dovuta confrontare anche il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, accusata di essersi disinteressata del proprio connazionale (per quanto scomodo e poco raccomandabile) e di aver mentito dicendo di averne parlato con il suo omologo russo Serghiei Lavrov in un incontro di due mesi fa.
In questo senso gioca anche la forte pressione con cui l’opinione pubblica colombiana aspetta di vedere il famigerato mercenario in carcere e, probabilmente, di nuovo in un’aula giudiziaria per rispondere di altre accuse pendenti. In un editoriale sul Paìs l’ex presidente della Corte suprema colombiana José Gregorio Hernandez ha scritto che il caso Klein deve invertire una tendenza generale in cui la Colombia acconsente sempre alle richieste di estradizione di narcotrafficanti da parte soprattutto degli Usa, ma al contrario vede sistematicamente rallentate o addirittura respinte le proprie istanze nella direzione inversa.Tra l’altro le autorità di Bogotà stanno facendo pesare la mancata cattura di altri due mercenari israeliani, Melnik Ferry e Tzedaka Abraham, complici delle attività colombiane di Klein. Già brucia abbastanza aver rintracciato solo un componente del famigerato terzetto.Vedersi sfuggire all’ultimo momento anche Klein sarebbe una beffa insopportabile.
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speciale esteri
Occidente
Il 29 e 30 marzo si apre il vertice di Damasco. Sul tavolo la questione libanese che rischia di far saltare ogni accordo. Siria contro tutti
LEGA ARABA ALLA RESA DEI CONTI di Andrea Margelletti amasco prossima fermata? Il vertice della Lega Araba, in programma nella capitale siriana nei giorni 29 e 30 marzo, non va visto come un mero incontro di routine dell’organizzazione mediorientale. Il quando e il dove infatti permettono di inserirlo nel contrastato processo di pace in corso in Medio Oriente e in
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sca proprio a Damasco potrebbe avere anche risvolti positivi. Lecito chiedersi, infatti, se del summit non si voglia fare una sorta di “Annapolis alla araba”, facendo riferimento al ben più speranzoso vertice internazionale di novembre dell’anno passato. La Siria infatti è vista come una“pecora nera”anche in seno al mondo arabo. Spesso anche i suoi
Il rischio di boicottaggio di alcuni governi, Libano in primis, è verosimile particolare a proposito delle difficili situazioni del Libano e di Gaza. La crisi di Gaza - la più grave dallo scoppio della Seconda Intafadah, nel 2000 - e l’attentato alla scuola rabbinica di Gerusalemme all’inizio del mese hanno complicato il già difficile dialogo tra israeliani e palestinesi. A questo si aggiunge l’impasse politica libanese - che costituirà il vero oggetto di discussione del vertice - accompagnata da una catena di violenze in cui l’ultimo anello è l’uccisione del capo dell’apparato di sicurezza di Hezbollah, Imad Mughniyeh, proprio a Damasco. Da novembre a oggi, l’elezione del nuovo Presidente libanese ha subito ben sedici rinvii e, al momento, le ipotesi di soluzione sembrano bloccate, con poche speranze di un’elezione prima del vertice. Per tutta questa serie di motivi, il fatto che la Lega Araba si riuni-
partner locali ne hanno diffidato per quelle strategie ambigue portate avanti dalla“volpe”Hafez el-Assad. Ma si pensi anche ai tanti tentennamenti di questi ultimi mesi adottati nei confronti di Israele. Fare la guerra o trattare? E poi la “crisi dei jet” di settembre - con il relativo bombardamento israeliano contro un non meglio identificato obiettivo militare siriano -, la partecipazione siriana ad Annapolis, ma anche il solido legame con Hezbollah e quindi l’accusa di essere il maggiore ostacolo, con la sua ingerenza, alla soluzione della crisi del vicino Libano. Sono questi i punti che compongono il lungo elenco di motivazioni per cui gli altri Paesi arabi - in primis Arabia Saudita, Egitto e Giordania - sono tanto diffidenti nei confronti del governo di Bashar el-Assad. Last but not least, non va dimenticata la sua indiscussa
alleanza con l’Iran. Tuttavia è proprio grazie a queste contraddizioni che il regime Baath della famiglia el-Assad riesce a sopravvivere ormai da più di trent’anni. Ed è per questo che tra il 29 e il 30 marzo i riflettori del mondo saranno puntati sulla sua capitale. Il ruolo di Paese ospitante potrebbe permettere alla Siria di uscire dall’isolamento internazionale. Certo, non è detto. Perché il rischio di boicottaggio, da parte di alcuni governi arabi, in primis il Libano, non è da escludere. D’altro canto, incontrando i rappresentanti diplomatici stranieri, Bashar potrebbe tornare a sottoporre loro, per cercare appoggi stranieri, la questione del Golan, con la relativa restituzione alla Siria da parte di Israele.
Non dimentichiamoci inoltre che al vertice non ci sarà il governo di Teheran, comunque importante per gli equilibri dell’area. L’Iran, in quanto non arabo, non fa parte della Lega. E il suo ipotizzato invito in qualità di osservatore insieme a Turchia, Indonesia e Malesia, non ha mai avuto conferma. Ma tutto questo non vuol dire che la Siria si sentirà orfana del suo stretto partner politico. Anzi, il regime degli Ayatollah appare ogni giorno di più un alleato scomodo a Bashar, che non nasconde di volersi sedere al tavolo della pace. D’altra parte non vanno sottovalutate le possibilità che il vertice di Damasco fallisca proprio per volontà degli stessi arabi. La maggior parte dei timori giunge da Beirut. Perché Bashar ha sì rivolto al governo libanese un in-
Manifestazione per l’anniversario della morte del presidente libanese Rafiq Hariri. Dopo il suo omicidio, nel 2005, e la rivoluzione dei Cedri la Siria ha abbandonato, almeno formalmente, il Libano vito ufficiale. Ma il premier Siniora non si fida e la maggioranza continua a sostenere che le interferenze siriane nella politica libanese, quindi anche nell’elezione del presidente, sono il principale ostacolo a qualsiasi soluzione. A Beirut quindi temono che l’invito al vertice sia un gesto meramente pro forma e che la Siria voglia parlare del Libano senza i libanesi. Per questo, al momento, in Libano si pensa di boicottare il summit, se non sarà stato eletto il suo presidente. Se Beirut non dovesse andare, molte delle speranze risposte nell’avvenimento verrebbero automaticamente a mancare. L’invito siriano però potrebbe rappresentare un primo segnale di apertura verso un compromesso su queste frizioni. La pressione degli osservatori occidentali, con Solana in testa, per un vero “nulla osta”siriano in merito alle presidenziali di Beirut, si è fatta costante negli ultimi mesi. E non è da escludere che possa portare ai risultati sperati. Altrettanto discussa è stata la presenza di importanti elementi del mondo arabo, protagonisti nelle trattative del processo di pace, sia nella questione libanese sia in quella israelo-palestinese. È il caso di Arabia Saudita, Egitto e Giordania. Ciascuno dei tre governi ha fatto sapere che invierà a Damasco il proprio rappresentante. Ma tutti hanno voluto esprimere le rispettive riserve in merito al summit. Inizialmente la posizione di maggior durezza era stata
assunta da Riyadh, da sempre vicina al governo Siniora. L’ingerenza della Siria in Libano infatti non è mai piaciuta. Stimolo al non boicottare l’avvenimento per i sauditi è stata la notizia della presenza del governo egiziano. Nel momento in cui il Cairo ha fatto sapere che non avrebbe rinunciato al vertice, l’Arabia ha fatto cadere le sue riserve. La riconciliazione saudita-siriana dopo i contrasti degli ultimi tempi potrebbe essere determinante nella soluzione dei molti dossier aperti. In una fase in cui sembra che l’Egitto possa riacquisire la supremazia perduta in Medio Oriente - cavalcando l’onda della crisi di Gaza e la conseguente possibilità di fare da mediatore fra Fatah e Hamas - la monarchia saudita deve aver fatto i suoi calcoli. Damasco, pur con tutto lo scetticismo del caso, potrebbe essere un palcoscenico troppo in vista per una sua assenza, e questo potrebbe offrire l’occasione a Mubarak di riguadagnare terreno.
E poi c’è la Giordania. Le relazioni diplomatiche tra Damasco e Amman si sono normalizzate solo da pochi mesi, dopo anni di frizioni. Ma gli accordi commerciali e di cogestione che i due governi hanno sottoscritto alla fine del 2007 potrebbero non reggere. Su di essi pesa infatti il fantasma di Mugniyeh, alla cui uccisione - secondo Hezbollah avrebbero contribuito anche i servizi del regno hashemita. Pa-
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Un Paese diviso tra Egitto-Arabia saudita e Siria-Iran
Enigma Libano di Kassem M. Jafaar n questi giorni il popolo libanese è intento a seguire due appuntamenti di vitale importanza: la riunione di ieri del parlamento libanese - ancora una volta fallimentare - riunitosi per eleggere il nuovo presidente di questa piccola e tormentata repubblica sulle rive orientali del mar Mediterraneo e, subito dopo, il vertice annuale della Lega Araba a Damasco, capitale della Siria, dove confluiranno i leader degli Stati membri della Lega araba (della quale il Libano fa parte). Pur se i due eventi potrebbero apparire indipendenti l’uno dall’altro, in effetti sono indissolubilmente legati. Anzi, sono ormai visti come la chiave per il futuro del Libano inteso come entità politica e nazionale. La riunione del parlamento libanese è stato il sedicesimo tentativo di eleggere un nuovo presidente. E fin dal principio non vi erano segnali incoraggianti a che quest’ultima sessione potesse avere più successo di quelle precedenti. Il mancato accordo su un successore per l’ex- presidente Emile Lahoud, il cui mandato è scaduto lo scorso novembre, ha comportato che la presidenza - mantenuta esclusivamente per la comunità cristianomaronita - sia rimasta vacante. Ciò ha creato un notevole squilibrio nella formula di suddivisione del potere fra le numerose confessioni libanesi che erano state definite nella National Charter, lo statuto nazionale sulla base del quale è stato creato il moderno Stato del Libano a seguito dell’indipendenza dal mandato francese ottenuta nel 1943. Questo statuto è stato ribadito e rafforzato nell’accordo di Ta’if, che ha messo fine alla lunga e distruttiva guerra civile (1975-1990) che aveva afflitto il Libano ed era diventata fonte di notevoli conflitti regionali. Secondo la formula di divisione del potere, il presidente del Libano dovrebbe essere un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita ed il presidente del parlamento un musulmano sciita. La rappresentanza in parlamento è stato suddivisa equamente fra cristiani e musulmani di varie confessioni e lo stesso dicasi per gli altri incarichi a livello politico, militare ed amministrativo.
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a Lega araba nasce il 22 marzo 1945 su proposta egiziana. Fondata da sei paesi arabi: Iraq, Libano, Arabia saudita, Siria, Giordania, Yemen del nord più Il Cairo, per realizzare una cooperazione più stretta senza rinunciare alla propria indipendenza politica. Oggi conta 21 membri e 3 osservatori. Non è né un’unione, né una federazione di Stati, ma è un’organizzazione regionale di Paesi sovrani. Il modello è l’Unione europea ma, a differenza dell’Ue, la Lega non è stata finora in grado di raggiungere un qualche tipo di integrazione tra i suoi membri. La politica estera è tra le sue attività più importanti. Al vertice del 2002 i sauditi hanno presentato una “Iniziativa araba di pace”per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Il piano, accolto con riserve da Israele, è stato riproposto nel 2007.
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L’Iran non fa parte della Lega e la sua presenza, come osservatore, è incerta radossalmente quindi potrebbe essere proprio il rappresentante di re Abdallah a ricevere il benvenuto più formale e più freddo dai siriani. Insomma, l’appuntamento di Damasco si prospetta con dubbi e incognite non nuovi. Sulla carta i buoni propositi per compiere dei passi in avanti sul cammino di pace ci sarebbero. È stato così per Annapolis a novembre e può ripetersi ora. Come sempre però, bisogna capire la capacità di resistenza delle “colombe” di fronte agli attacchi di qualsiasi“falco”. In questo momento, con un’occhiata superficiale sul Medio Oriente, di tutto si potrebbe parlare fuorché di pace. Ma è proprio di fronte alle avversità più dure che ci si rende conto della reale forza della volontà di pace e degli interessi
connesi. Un’ultima considerazione conclusiva. La Lega Araba nasce per promuovere l’integrazione e la pace fra gli Stati membri. Se vogliamo sulla falsa riga dell’Unione Europea. Tuttavia finora non ha raggiunto alcun risultato. Sappiamo anche che l’esempio europeo di raggiungere la pace attraverso accordi economici nel cuore del Vecchio continente ha funzionato. Quindi non è azzardato guardare con questi occhiali l’ultimo summit sulla finanza islamica, che guarda caso si è tenuto a Damasco all’inizio del mese. Lo sviluppo e il benessere potrebbero davvero essere gli strumenti contro le violenze e per una convivenza pacifica in Medio Oriente. Presidente Ce.S.I. Centro Studi Internazionali
Anche se l’accordo di Ta’if sembra aver funzionato relativamente bene per quasi 15 anni, il Libano è stato costantemente minato da due principali fattori che non sono stati mai pienamente realizzati: il completamento del ritiro delle truppe siriane di stanza in Libano dagli anni della guerra civile e il disarmo degli Hezbollah, in conformità alle disposizioni sancite per poter disarmare le altre milizie che avevano preso parte al conflitto. Ciò ha portato all’approvazione all’unanimità della risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza nel 2004. Quella risoluzione, considerata da molti sia in Libano che nella regione un risultato importante, richiedeva in special modo il ritiro della Siria e di tutte le altre forze straniere dai territori libanesi ed il disarmo di
Hezbollah, quale condicio sine qua non per completare l’attuazione dell’accordo di Ta’if che consentiva al governo legittimo di diffondere la sua autorità su tutti i suoi territori e confini. D’altro canto, la risoluzione 1559 è diventata una notevole fonte di controversie, che hanno portato molti a considerarla la causa delle attuali turbolenze che si registrano in Libano. Per la Siria, la forza predominante che controlla efficacemente il Libano dal 1990, e per i suoi alleati locali guidati da Hezbollah, quella risoluzione rappresenta, né più né meno, una macchinazione occidentale, un complotto guidato dagli Stati Uniti per diffondere la sua influenza sul Paese e diminuire l’influenza della Siria nella regione. È apparso subito chiaro che tutta la situazione libanese si stava rapidamente trasformando in un conflitto regionale con implicazioni dirette sulla pace e la stabilità in Medio Oriente. Come al solito, una tale situazione si è ripercossa e si ripercuote inevitabilmente sul conflitto arabo-israeliano in corso e sulla confusione ed il disordine che regnano in Iraq, dove gli Stati Uniti si ritrovano a lottare per l’influenza contro Paesi quali l’Iran ed i suoi alleati.
L’attuale crisi politica in Libano riflette la ricerca di supremazia da parte dei Paesi della regione. Nel 2005 l’ex primo ministro, Rafik Hariri, fu assassinato in una grossa esplosione causata da un’auto-bomba nel centro di Beirut, innescando l’attuale crisi politica che ha paralizzato l’economia del Paese e portato il processo politico e costituzionale ad una fase di stallo. La responsabilità dell’assassinio di Hariri è stata ampiamente addossata alla Siria ed ai suoi alleati in Libano. Se, da un lato, quel gravissimo evento portò inizialmente ad una massiccia ribellione denominata “rivoluzione dei Cedri”, con più di un milione di libanesi a dimostrare in strada ed a chiedere il ritiro della Siria dal Paese, esso è servito altresì a polarizzare la società e l’establishment politico libanese. La Siria ha ritirato le sue truppe nella primavera del 2005.Tuttavia, ciò non ha portato ad una diminuzione della sua influenza né della sua volontaria ingerenza negli affari libanesi, come richiesto dalla Risoluzione 1559. Il governo del primo ministro Fouad Siniora, succeduto ad Hariri e arrivato al potere a seguito delle elezioni politiche del maggio del 2005 ha potuto contare su una vasta maggioranza in parlamento ed è stato considerato come un governo che rappresenta una notevole fetta della popolazione che chiede un Libano indipendente e democratico, libero da ogni ingerenza straniera. Ma si è trovato altresì a dover far fronte ad uno sforzo concertato da parte di un’opposizione via via emergente, alleata con la Siria e decisa a riportare una rinnovata presenza siriana nel Paese. Quell’opposizione comprendeva principalmente il gruppo radicale scita pro-iraniano,
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Occidente
Il presidente siriano in visita a Beirut. Per Damasco il Libano è uno Stato artificiale creato, dopo la fine dell’Impero ottomano, dalle potenze europee Hezbollah (il partito di Dio), nonché il movimento sciita nominalmente moderato, Amal, guidato dal presidente del parlamento Nabih Berri, e forse ed il che è ancor più significativo - una parte della comunità cristiana guidata dall’ex-comandante esiliato delle forze armate libanesi (ex oppositore della presenza siriana in Libano), generale Michel Aoun. È apparso subito chiaro che, con la benedizione della Siria e del suo principale alleato regionale, l’Iran, l’opposizione ha in mentre tre principali obiettivi.
menti di potere nel Paese. L’opposizione considera la controversia come parte del conflitto che affligge il Medio Oriente fra gli Stati Uniti, i suoi alleati occidentali e quei governi arabi che vengono identificati con la politica occidentale nella regione, quali Arabia Saudita, Egitto e Giordania da un lato e Siria, Iran ed i loro alleati regionali dall’altro. Per definizione questa mappa comprende il conflitto arabo-israeliano come una delle arene principali, con gruppi quali Hamas e la Jihad islamica, quali principali com-
L’attuale crisi politica riflette la ricerca di supremazia dei Paesi arabi nella regione In primo luogo, impedire l’elezione di un nuovo presidente in parlamento, dominato dalla maggioranza “Marzo14” favorevole al governo, che, riprendendo l’eredità lasciata da Hariri, continui ad applicare la Risoluzione 1559, in particolare per quel che attiene al disarmo di Hezbollah. In secondo luogo, bloccare la creazione di un Tribunale Internazionale, concordato con le Nazioni Unite, per indagare sull’uccisione di Hariri e processare gli imputati. In terzo luogo, garantire che la Siria e l’Iran suo alleato, restino i principali se non gli unici ele-
ponenti della “lotta”, insieme ad Hezbollah. Ovviamente, in una tale visione, Israele viene visto come obiettivo primario del conflitto e non stupisce il fatto che nell’estate del 2006 si registrò un importante scontro militare lungo i confini fra Libano ed Israele dopo che Hezbollah aveva teso un’imboscata ad una pattuglia israeliana uccidendo parecchi soldati e prendendone due in ostaggio. La guerra del 2006 è diventata rapidamente un’altra dimensione del conflitto interno libanese. Con Hezbollah che canta ”vittoria” su Israele e strumentaliz-
za la guerra per dimostrare con chiarezza il motivo per il quale sia sempre di cruciale importanza mantenere la propria organizzazione militare intatta, il governo libanese ed i suoi sostenitori hanno considerato l’intero evento come ulteriore dimostrazione della determinazione di Hezbollah nel voler minare l’autorità legittima del governo e delle sue forze armate. Nonostante la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, che ha portato al rafforzamento della presenza delle truppe Unifil ai confini internazionali e lo spiegamento dell’esercito libanese al loro fianco nel sud del Paese, nonché la stipula del blocco delle spedizioni illegali di armi dalla Siria ad Hezbollah e agli altri suoi alleati in Libano, Hezbollah ha continuato ad essere armato e ad esercitare la leadership sostenendo di essere effettivamente riuscito a potenziare e migliorare le sue capacità militari nella prospettiva sempre incombente di un riacutizzarsi del conflitto.
Dopo vari e infelici tentativi di trovare il consenso su un candidato alla presidenza, le Nazioni Unite, la Lega araba e l’Unione europea hanno cercato con forza di mediare nella crisi. L’ultimo sforzo, ribattezzato “Iniziativa Araba” ha chiesto l’elezione dell’attuale Comandante dell’esercito, il generale Michel Sulieman, e la formazione di un governo di unità nazionale che spianerebbe la strada a nuove elezioni politiche nel Paese. Tuttavia, questa iniziativa è stata bocciata dal-
La Siria vuole mantenere il controllo e boicottare il Tribunale internazionale l’opposizione con una mossa della quale ancora una volta si considera responsabile la Siria. Sebbene l’opposizione neghi qualsiasi coinvolgimento siriano e addossi invece la responsabilità al governo e all’alleanza 14 marzo - con Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita sullo sfondo - vista come il fattore che ostacola il compromesso, fonti diplomatiche arabe hanno chiarito che, in verità, è Damasco a insistere ancora su una soluzione della crisi che favorisca i suoi alleati.
Questa situazione di stallo ha portato il vertice arabo previsto a Damasco per la fine del mese a ritrovarsi invischiato in questa controversia. Nella regione si dice che molti leader arabi, ivi compreso il re saudita Abdullah e il presidente egiziano Hosni Mubarak, potrebbero decidere di non partecipare al vertice fintanto che, o a meno che, Damasco non dia istruzioni ai suoi alleati locali in Libano di facilitare l’elezione del generale Sulieman prima del vertice. Dal canto loro, la Siria ed i suoi alleati insistono ancora sul fatto che le elezioni non possono avere luogo se non si fornisce all’opposizione la garanzia di poter esercitare il potere di veto sull’eventuale nuovo governo. Un veto che significhe-
rebbe che il nuovo governo non potrebbe avallare il tribunale Internazionale né applicare ulteriori elementi delle risoluzioni 1559 e 1701, rendendo pertanto il nuovo presidente un facile bersaglio sin dall’inizio del suo mandato. Si supererà l’ennesimo rinvio di ieri e il Libano invierà un suo rappreentante al vertice arabo previsto per il 28 marzo? La Siria ed i suoi alleati ammorbidiranno la loro posizione o il governo libanese e la sua maggioranza cederanno di fronte alle pressioni? Questi interrogativi non sono fonte di preoccupazione soltanto per i libanesi, ma per la regione nel suo complesso, per non parlare poi della comunità internazionale. Nella situazione attuale, il Libano sembra diviso fra le sue comunità musulmano-sunnite e druse e la maggioranza delle sue comunità cristiane da un lato e la sua comunità sciita e parte di quella cristiano-maronita dall’altro. Al contempo la regione è divisa fra Egitto ed Arabia Saudita e l’alleanza siriano-iraniana. Oggi, come mai prima d’ora, il Libano è tornato ad essere lo specchio del conflitto medioorientale nel suo complesso. Kassem M. Jaafar è un diplomatico ed analista di difesa e affari medio-orientali che opera a Londra e Doha
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Come e perché le nuove leadership americane e russe modificano le loro strategie in Medio Oriente
Cambio di rotta di McCain e Medvedev di Ilaria Ierep e Alberto Simoni l vertice di Damasco offre l’occasione per capire come le prossime leadership di Stati Uniti e Russia interverranno sul Medio Oriente. La campagna elettorale negli Usa presenta tre volti - Barack Obama, Hillary Clinton e John McCain - che hanno tre diverse visioni del futuro americano in Medio Oriente. Il più distante dall’attuale presidente Bush è Obama. Sul nodo israeliano-palestinese, Obama vuole che la prossima amministrazione sia più coinvolta sul campo e non si limiti a condannare o ad approvare le decisioni di Abu Mazen o del governo israeliano. La maggior sintonia con Israele non è in discussione, e se Hamas non riconoscerà Israele, non sarà possibile dialogare con loro. Sul dossier Iran, Obama ha promesso i cambiamenti più radicali: aprire a negoziati diretti con Ahmadinejad e risolvere per via diplomatica la questione nucleare. È scartata l’ipotesi di ricorrere all’arma atomica, ma non ad attacchi unilaterali e preventivi. Hillary Clinton ha una reputazione di“falco”in politica estera. Semaforo verde alla guerra in Afghanistan, via libera a quella in Iraq e recente ok per mettere fuori legge i Guardiani della Rivoluzione iraniani. La Clinton è “pro-Israele”: nell’agosto del 2006 ha difeso la guerra in Libano così come la costruzione del muro di sicurezza in Cisgiordania. Sostiene la creazione di due Stati, ma è rimasta vaga sul come“costringere”le parti a dialogare in un nuovo quadro di negoziati e con quali attori. Infatti, resta come Obama contraria a coinvolgere Hamas fino a che non cancelli i pregiudizi anti-israeliani. Sull’Iran sostiene la via diplomatica e vuole rafforzare il potere ispettivo e punitivo dell’Onu, ma “tutte le opzioni devono rimanere sul tavolo”. La soluzione del conflitto israelopalestinese non sembra una priorità nella politica estera di McCain, ma la sua posizione è che l’America debba continuare a sostenere Israele e il percorso pianificato dalla Road Map. Sull’Iraq il candidato repubblicano è l’unico ad aver continuato sempre a difendere la guerra e l’impegno americano, e, contrario al ritiro, è il padre intellettuale del surge, la strategia dei rinforzi militari; l’America deve finire il lavoro prima di abbandonare il Paese. Per McCain tale fine è duplice: aiutare la fase di ricostruzione civile e militare e soprattutto non permettere ad“al-Qaeda in Iraq” di mettere radici fra il Tigri e l’Eufrate. Nell’ottica della stabilità, l’America dovrebbe dialogare entro certi limiti con l’Iran. Sul nucleare, le sanzioni Onu dovrebbero essere sempre più rigorose e forti. E
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Ebrei russi festeggiano il Kippur. Dopo il crollo dell’Urss, molti si sono trasferiti in Israele. Questa presenza rende i rapporti tra i due Paesi più ricchi e complessi se l’Iran non rinuncerà all’atomica, McCain non esclude l’opzione militare.
Anche il fronte russo subirà un cambiamento di vertice. Ma con Medvedev presidente, tutti gli uomini di Putin, forse lui compreso, rimarranno nei ruoli chiave delle strutture di potere. La logica conseguenza è quella di una continuità anche in politica estera. Si proseguirà la «strategia di lungo termine», così come l’aveva coniata Putin. Cambieranno probabilmente i toni, più pacati, ma non la sostanza. A cominciare dal Medio Oriente dove la Russia dimostra di avere tre obiettivi: ritrovare un’autonomia d’azione in una regione che non si può permettere di trascurare, soprattutto per ragioni di sicurezza; assicurarsi sbocchi ai suoi due principali settori strategici, energia e industria degli armamenti; rimettere in discussione il monopolio americano e occidentale nella regione.Tuttavia, Mosca è consapevole di non poter insidiare la superiorità degli Usa, nemmeno mantenendo relazioni strette con Siria e Iran. Inoltre la vendita di armi alla Siria e il dossier nucleare iraniano rischiano di creare delle tensioni con Israele. Il rafforzarsi dei rapporti con l’Iran rimetterebbe ugualmente in causa le relazioni di Mosca con i Paesi del Golfo, contrari alla“nuclearizzazione”del vicino. I rapporti con la Siria hanno ripreso slancio dal 2005 con la visita di Bashar el-Assad a Mosca. L’intesa si basa su progetti energetici e sulla vendita di armi. La Russia intende approfittare di tutte le carte che la Siria le può offrire. Come la riutilizzazione della base navale di Tartus, abbando-
Barack Obama apre ai negoziati con Teheran, anche sul nucleare
nata dal 1991. Non a caso Mosca intende inserirsi nel processo di Annapolis offrendo la propria disponibilità a patrocinare un summit sulle alture del Golan. La seconda questione è Israele. In termini politico-strategici, la lotta contro il terrorismo è uno degli assi della cooperazione bilaterale. E si sviluppa attraverso la collaborazione dei servizi segreti, la formazione del personale russo alle tecniche israeliane e la vendita di armi. La continuazione di questo trend positivo dipenderà in larga misura dai rapporti che Mosca svilupperà con Teheran e dalle dinamiche nella Striscia di Gaza. C’è anche un altro aspetto nei rapporti Israele-Russia, cioè l’esistenza di ampie comunità di russi in Israele, molti come immigrati, alcuni come ricchi magnati. Terzo punto è la Palestina. Da parte del Cremlino, l’elemento più importante da considerare è stato il riconoscimento di Hamas come interlocutore politico all’indomani della vittoria del Partito alle elezioni del 2006. Una legittimazione agli avversari di Fatah, forse anche per garantirsi un’immagine di dialogo col mondo islamico ortodosso nonostante la repressione degli islamici interni, come nel Caucaso. Comunque Mosca non si spinge fino a “sostenere” Hamas, e resta all’interno del processo di pace, semmai ponendosi come un interlocutore capace di mediare anche con quelli con cui altri non parlano. Sul conflitto israelo-palestinese, Medvedev ripartirà dalla Conferenza di Annapolis e dai punti stabiliti da Putin. Il primo è l’imprescindibile partecipazione al processo dell’alleato siriano. C’è poi la vo-
lontà di portare sul tavolo delle discussioni le rivendicazioni politiche dei gruppi islamici come Hamas e, al contempo, la necessità per Israele di sentirsi sicura.
Anche i palestinesi devono avere la certezza del controllo delle loro terre in un unico Stato. Su questo punto Mosca spinge per la mediazione dell’Arabia Saudita. Entro il 2008, Medvedev potrebbe lanciare la proposta di una nuova conferenza di pace. Un’idea sostenuta anche dalla Giordania. Questa è l’ottica in cui va letto il viaggio a Damasco che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, compirà poco prima del vertice della Lega Araba. La visita comprenderà anche Israele e Territori palestinesi. Lo scopo: studiare la possi-
Il candidato repubblicano non vuole che al Qaeda si radichi in Iraq bilità di convocare a Mosca un nuovo incontro internazionale.Tra i punti fondanti la possibilità di favorire una trattativa diretta fra Siria e Israele in merito alla questione del Golan. Questa politica di relazioni a tutto campo non sembra aver permesso alla Russia di sviluppare la sua influenza e la sua capacità di mediazione nel regolare il conflitto israelo-palestinese, nonostante Mosca sia un membro del Quartetto. Quello che accade è dunque un riorientamento della politica russa in Medio Oriente. Ma è ancora fragile in ragione delle risorse limitate e delle contraddizioni della strategia adottata. Analisti Ce.S.I. Centro Studi Internazionali
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Occidente
Per il politologo egiziano del Centro Ahram l’appuntamento può trasformarsi in un boomerang contro la Siria
Perché l’Egitto rema contro il vertice colloquio con Amr El Shobaki di Federica Zoja
IL CAIRO. Partecipare al vertice dei capi di Stato della Lega araba, previsto per il 29 e 30 marzo prossimi a Damasco, «è un dovere religioso individuale per tutti i governanti arabi». Per questo, «chi si assenterà, a meno che non sia malato, è un peccatore». Parola del Gran Muftì di Siria, Ahmed Hassun, pronunciatosi con un editto religioso in modo coerente con il governo nazionale, timoroso delle probabili defezioni del presidente egiziano Hosni Mubarak e del sovrano saudita Abdullah Bin Abdul Aziz. In forse anche la presenza di Abdallah II di Giordania. Il rischio però è che le delegazioni inviate nella capitale siriana non siano nemmeno di livello ministeriale, in spregio all’importanza attribuita dal presidente siriano Bashar Assad all’incontro. Per il momento, la fatwa del Gran Muftì sembra caduta nel vuoto: dal ministero degli Esteri egiziano non è ancora stata diffusa la lista ufficiale dei membri della delegazione. L’evento, al Cairo, è ignorato. Impegnati a seguire la crisi del pane e l’inflazione galoppante, che stanno mettendo in ginocchio la maggioranza della popolazione egiziana, i mezzi di comunicazione non danno spazio al Summit imminente dei Paesi della Lega Araba. Mag-
giore risonanza ha avuto quello islamico di Daqar, lo scorso 12 marzo, al quale si è presentata una delegazione libanese guidata dal primo ministro Fouad Siniora. Un segnale inequivocabile, il silenzio della stampa egiziana, delle intenzioni della presidenza Mubarak: boicottare l’appuntamento, fissato nella capitale siriana solo in base alla consueta rotazione, svuotarlo di senso, isolare la Siria finché non acconsentirà a sbloccare il nodo della presidenza libanese.
Pessimista Amr El Shobaki, politologo del Centro Ahram per gli studi politici, con base al
libri e riviste
l martirio cristiano era causato dal rifiuto d’obbedienza a Cesare in materia di religione, quello degli shahid è ricerca ardente della morte come fine. Sete di morte e disprezzo del mondo sono concetti che si ritrovano anche nei martiri iraniani, ma il meccanismo psicologico è diverso. L’autore descrive questo fenomeno come «inversione d’affettività», con la «gioia intensa del martire» e li paragona alle prime vittime cristiane. La svolta per i cristiani avviene con Sant’Agostino che estende il comandamento «non uccidere» a tutte le vite, compresa quella del martire. Shahid e marturos hanno come accezione primordiale comune, quella di «testimoni», poi confluita in significati differenti. Questo uno dei tanti spunti di
I
Cairo: «Mancano pochi giorni, non mi sembra ci siano segnali incoraggianti. Negli incontri di preparazione delle scorse settimane non sono state raggiunte posizioni comuni, Egitto e Arabia Saudita sono state accusate fin dall’inizio di boicottaggio e in definitiva non si è ancora capito chi rappresenterà chi. Credo che una delegazione egiziana alla fine ci sarà, ma non mi stupirei se il ministro degli Esteri Abul Gheit decidesse di non andare». Il fallimento del vertice quali conseguenze potrebbe avere? «Ovviamente sarebbe auspicabile che l’incontro funzionasse e che i Paesi arabi avessero una
un’analisi culturale che cerca di spiegare come la violenza nell’Islam sia un’innovazione contro la tradizione e che la rivoluzione khomeinista sia stata, sostanzialmente, una ribellione contro l’Occidente portatore di una «secolarizzazione materialista e bestiale». Contro una modernizzazione che distrugge coerenze culturali e sociali senza sostituirle con nuovi modelli e valori, un’interruzione del ciclo storico del potere, asabya, che ha sempre caratterizzato il mondo musulmano. Farhad Khosrokhavar I nuovi martiri di Allah Bruno Mondadori 269 pagine – 10 euro
voce sola sulla questione arabo-israeliana, più forte o più morbida a seconda del pensiero dominante, ma una sola», risponde Al Shobaki mostrando scetticismo. «Ma la Siria vorrebbe un irrigidimento nei confronti di Israele, spalleggiata da Teheran. Egitto, Arabia Saudita e Giordania, appoggiate da Washington, puntano sul dialogo, sia fra fazioni palestinesi che fra palestinesi e israeliani». Scogli cruciali che, anche se in presenza di tutti i capi di Stato, difficilmente potrebbero essere superati. Damasco come Annapolis, quindi? «Annapolis è stata organizzata con poco tempo a disposizione, per volontà degli Stati Uniti - risponde lo studioso, anche editorialista per alcune testate giornalistiche egiziane - Una mossa politica di Bush per isolare l’Iran e, ne sono ancora convinto, giustificarne un’eventuale invasione di fronte all’opinione pubblica. Quanto all’incontro di Damasco, finché non si sbloccherà la questione libanese e Hezbollah non farà un passo indietro, la Siria avrà tutti gli occhi addosso, non godrà del credito degli altri Paesi arabi in seno alla Lega». «In ogni caso, i contatti diplomatici fra Hamas e i vertici israeliani si fanno al Cairo», sottolinea Amr El Shobaki. Se il soldato israeliano Gilad Sha-
i sono due pensieri nella testa dei taiwanesi che sono andati al voto. Oltre alla scelta tra il partito del Kmt - risultato vincente fondato da Chiang Kai Shek e il Dpp, del presidente Chen Sui Bian, sono preoccupati dall’andamento dell’economia e dalla futura evoluzione dei rapporti con la Cina continentale. Il processo di taiwanizzazione dell’isola cominciato negli anni Novanta, mette a rischio il concetto legato al modello di «una nazione, due sistemi» che ha finora governato lo status quo dell’isola. Washington e Tokyo guardano con attenzione al futuro dei rapporti di Taipei col gigante cinese, sempre più armato ed aggressivo con la piccola Formosa. Kazuhiko Togo Taiwan’s Choice The American Spectator March 21, 2008
C
lit, sequestrato sul confine fra la Striscia di Gaza e Israele nel giugno 2006, sarà infine liberato, sarà grazie alla mediazione del Cairo. Così come gli ufficiali di Hamas fanno riferimento ai servizi segreti egiziani, guidati dall’onnipresente Omar Suleiman, per parlare con la leadership di Fatah.
La crisi di Rafah (esplosa il 23 gennaio scorso, con la rottura delle barriere di confine fra Gaza e Egitto ad opera di migliaia di palestinesi, ndr) sembra aver offerto al Cairo un motivo ideale per riaffermare il proprio ruolo nel mondo arabo, un passo avanti rispetto a Riyad. Il summit di Damasco, invece, «rischia di diventare un boomerang» - commenta lo studioso egiziano - la cartina di tornasole dell’isolamento siriano in Medio Oriente. «Poco probabile», nonostante questo, che prima dell’inizio del 20° vertice della Lega Araba sia nominato il nuovo presidente libanese. Damasco non dà segni di ravvedimento rispetto alle proprie interferenze nell’ex provincia libanese, né di voler riaprire il dialogo con il sovrano saudita. «Allo stesso tempo, pare che anche Egitto e Arabia Saudita non siano interessati a una riconciliazione a tutti i costi con i siriani», conclude il politologo del Centro Ahram.
nflazione o disoccupazione, cos’è più importante combattere? L’articolo è una ragionata critica alla politica della Federal reserve, in questi difficili frangenti recessivi. Stesso errore già visto durante gli anni Settanta, quello attribuito da Meltzer alle iniziative di Ben Bernanke. Soprattutto che richiede differenti azioni rispetto ai tassi d’interesse del denaro. L’inflazione li vuole al rialzo, l’economia che rallenta chiede, invece, soldi a basso costo. All’orizzonte spunterebbe il golem della stagflation, cioè il peggio di entrambe le situazioni: un’economia in affanno e la ripresa dell’inflazione. La paura è che il “denaro facile” possa alimentare altre bolle finanziarie. Allan H. Meltzer Seven Questions: That 70s Show at the Fed Foreign Policy - March 2008
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a cura di Pierre Chiartano
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Un’idea, una buona idea, è davvero rara. Albert Einstein
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DELLE IDEE
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economia In questi anni parte delle istanze parlamentari si sono spostate in provvedimenti collegati alla Finanziaria Basterebbe votare il fondo speciale all’inizio della discussione, mentre viene inserito alla fine del provvedimento e scoppia una vera e propria rissa tra maggioranza e opposizione
Nella legislatura appena terminata raddoppia il fondo per coprire le misure inserite dal Parlamento in Finanziaria
Un assalto alla diligenza da 4,6 miliardi di Marco Filippo Fani no dei prezzi che in questi anni l’Italia ha dovuto pagare è la crescita, particolarmente significativa, degli emendamenti parlamentari alla Finanziaria. Effetto forse fisiologico per la frammentazione parlamentare e le incertezze di conduzione politica.
U
Per carità, il fenomeno di (mal)costume non è affatto nuovo e l’abitudine al mercanteggiamento di piccole mance e di agevolazioni per questa o quella categoria è tutt’altro che un’invenzione della XV legislatura. Il problema è che fino a qualche anno fa si trattava di un rituale di certo dannoso ma, per quanto irritantissimo, non devastante: un modo, magari sgradevole, con il quale il governo ungeva le ruote parlamentari per ottenere l’approvazione del bilancio. Da qualche tempo sembra non essere più così. Beninteso, un solo scalone pensionistico abbattuto può ancora far più danni di mille regali parlamentari. Ma l’insieme di queste prebende, da fatto di colore che era, è ormai un combustibile piuttosto infiammabile della spesa pubblica. Un ordine di grandezza, per quanto ampiamente approssi-
mativo, può essere offerto dal ricorso durante la finanziaria a quello che i druidi del bilancio, nel loro linguaggio iniziatico, chiamano “fondo speciale di parte corrente”. È in questo capitolo di spesa che finiscono le risorse che la Finanziaria predispone anticipatamente per la copertura delle leggi da approvare nel triennio successivo. In pratica, ciò che rende possibile l’attuazione del programma di governo. E sarebbe anche un ottimo strumento, se non fosse da tempo invalso l’uso di saccheggiarlo durante la discussione per pa-
gono sono particolarmente significativi: nella legislatura appena conclusa, e con due sole manovre, sono stati prelevati 4,6 miliardi di euro contro i 4,4 della legislatura precedente, spalmati però su cinque anni.
È chiaro che si tratta di un indicatore approssimativo dell’impatto parlamentare sui conti pubblici. A quelle risorse attinge anche il governo per i propri emendamenti di spesa o di agevolazione fiscale. Senza contare che spesso in questi anni parte delle istanze parlamentari si sono spostate in
circa 1,3 miliardi sul 2008 e di oltre 2 sul 2009. Perché poi i valori degli ultimi due anni siano tanto peggiori di quelli della legislatura del centrodestra non è tanto semplice da indicare: escludendo un minor appetito da parte dei partiti, si può guardare a una minore frammentazione politica, ai numeri più ampi nelle due Camere, forse a qualche idea un po’ più chiara su quel che si volesse fare, magari perfino a una certa capacità del governo di domare le aule. Tuttavia, se le spese della legislatura precedente sono più
L’instabilità politica ha aumentato il numero degli emendamenti: così nell’ultimo biennio si è speso più di quanto si era fatto nei cinque anni precedenti. Una pratica che permette di non indicare come recuperare le risorse gare l’ormai tradizionale assalto alla diligenza.
E tanto basta per capire perché approvare emendamenti sia così facile o perché, durante l’anno, la legislazione vada così a rilento: prima ancora che l’anno cominci i soldi sono già stati spazzolati. Confrontando la dotazione del fondo all’inizio ed alla fine del passaggio parlamentare della Finanziaria, i numeri che emer-
provvedimenti collegati alla Finanziaria, ma paralleli a essa. Questo è il principale mezzo di finanziamento degli emendamenti ma non l’unico, come tristemente sa chi è incappato in uno dei molti balzelli introdotti o accresciuti. Resta il fatto che non si tratta più di cifre irrilevanti: senza contare l’apporto delle maggiori entrate e quanto inserito nei collegati, il peso parlamentare delle ultime due manovre è di
basse di quella successiva, questo non significa che non pesino sul bilancio statale.
Il fascino oscuro del fondo colpisce chiunque: proporre spese finanziandole con quattrini anonimi e impersonali risulta più comodo di indicare quali spese tagliare o quali imposte aumentare. Ora che si prospetta – chiunque vinca – una maggioranza con numeri forse più ampi di quella
appena venuta meno ma comunque non larghissimi, sarebbe meglio correre ai ripari. E lo si può fare senza modificare per legge alcuna procedura. Basterebbe votare il fondo speciale all’inizio della discussione anziché alla fine, con una vera e propria ratifica a piè di lista di quel poco che avanza al termine del saccheggio.
L’unico accorgimento dovrebbe essere quello di non inserire questa misura nel disegno di legge iniziale ma, per ragioni di tecnica parlamentare, in un emendamento del governo all’articolo 1. Si eviterebbero i tre brutti spettacoli delle sagre dell’emendamento, dei voti di fiducia chiesti dal governo contro i propri “sostenitori” e di un Parlamento che da gennaio a settembre giace esangue per mancanza di denaro da spendere. I parlamentari, in compenso, potrebbero proporre tutte le spese che credono, ma in modo tale che, a fronte di ogni beneficiato che ringrazia, vi sia un danneggiato che protesta. Cioè senza più nascondersi sotto l’ombrello di una copertura finanziaria senza volto, al riparo della quale c’è sempre spazio per tanti benefattori e per nessun responsabile.
economia
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Il tasso d’interesse medio viaggia verso la soglia del 5 per cento
Euribor alle stelle, salasso per mutui e prestiti
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Torna l’ottimismo a Piazza Affari Borsa in recupero con gli indici che hanno fatto segnare un più 3,5%. A far impennare le quotazioni anche le buone performance delle piazze americane rivitalizzate dal rilancio del prezzo al quale JP Morgan acquisterà le azioni Bearn Stearns, con effetto tonificatore sul comparto dei bancari in particolare. Le Intesa Sanpaolo salgono del 3,5% e le Unicredit del 3,2%, mentre le Mediobanca e Banco Popolare fanno un balzo del 7%. Non mancano però altri vistosi recuperi, come quello delle Alitalia (+33%) nel giorno dell’incontro tra Air France e i sindacati, sulle attese di nuove cordate di possibili acquirenti della compagnia di bandiera. Bene anche le Telecom Italia (+10%) che interrompono una lunga sequenza negativa.
Energia, incontro Eni-Gazprom Si sono incontrati ieri a Mosca, presso la sede centrale di Gazprom, il Ceo di Gazprom, Alexey Miller, e l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni. Le parti hanno discusso le prospettive di sviluppo della collaborazione nel settore oil&gas e, in particolare, hanno compiuto un grande passo in avanti nei negoziati per lo scambio di asset nell’ambito dell’accordo strategico tra le due compagnie.Alexey Miller e Paolo Scaroni hanno esaminato lo stato di avanzamento del progetto South Stream e hanno valutato positivamente lo sviluppo della collaborazione tra le compagnie. È stata anche presa la decisione di effettuare una presentazione congiunta del progetto South Stream a Bruxelles. All’incontro, inoltre, sono state discusse opportunità di collaborazione tra Gazprom Neft ed Eni.
Il petrolio resta sopra i 101 dollari in Usa
di Alessandro D’Amato
ROMA. L’Euribor è in continua crescita, ed è allarme per prestiti e mutui. Dopo l’aumento di una settimana fa, ieri il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in euro tra le principali banche europee è tornato a salire sulla scadenza a tre mesi: 4,7 per cento contro il 4,67% precedente. E rispetto al tasso-base Bce la differenza è arrivata a 70 punti. In salita anche quello a una settimana: cresce di quattro punti base, arrivando al 4,32 per cento. Gli incrementi, con qualche rara inversione di rotta, vanno avanti ormai dal maggio 2005, quando i parametri a tre e a dodici mesi erano stabilizzati intorno al 2 per cento. E adesso si rischia di toccare i livelli record a cui si era arrivati nel 1999-2000, quando era stata sfondata la quota del 5 per cento. Secondo gli esperti, di solito l’Euribor anticipa le aspettative delle banche in materia di tassi d’interesse: cioè, se gli istituti di credito si aspettano una loro crescita, anche l’interbancario tenderà ad aumentare. In questo caso, però, le banche non si attendono un incremento da parte della Bce, anche perché la situazione congiunturale è comunque negativa nonostante l’alta inflazione. Dunque, sono altri i fattori che ne influenzano l’andamento: la domanda di denaro delle banche e, soprattutto, la fiducia reciproca tra gli istituti – in crisi da mesi – e il rischio percepito. Ma un incremento senza soluzioni di continuità costituisce anche la prova della poca utilità delle contromisure messe in atto dalle ban-
Si teme un aumento tra i 180 e i 240 euro annui sulle rate. I consumatori attaccano la Bce: «Trichet abbassi il costo del denaro»
che centrali per disinnescare la crisi nata dai mutui subprime. I continui tagli al costo del denaro della Fed non sembrano sortire molti effetti nei confronti dell’economia americana – i dati sul decremento occupazionale nei primi due mesi del 2008 ne costituiscono la prova più allarmante – così come il sostegno delle aste per la liquidità concordate dagli istituti centrali dei maggiori Paesi. E visto che l’Euribor funziona anche da tasso di riferimento per prestiti alle imprese e mutui, il suo aumento senza sosta è destinato a rappresentare un ulteriore salasso per i consumatori, che a fine mese dovranno pagare fra i 15 ed i 20 eu-
ro in più al mese, ovvero 180-240 l’anno. «In questo contesto», afferma l’Adusbef, «a pagare pegno saranno ancora una volta i circa 3,2 milioni di mutuatari, indebitati a tasso variabile».
L’associazione dei consumatori guidata da Elio Lannutti ricorda che oltre al costo dell’Euribor, i mutuatari pagano alle banche uno spread, cioè il guadagno degli stessi istituti, compreso fra lo 0,8 e l’1,3 per cento, e che la media dei mutui nell’ Eurozona è del 5,15 per cento mentre in Italia è del 5,78, mentre per il credito al consumo nella zona euro il tasso medio è pari al 6,92, contro il 7,95 in Italia. Secondo la Federconsumatori, poi, «la responsabilità principale di questa situazione è della politica del tutto insensata della Bce. La politica dei tassi di interesse attuata da oltre un anno dal presidente Trichet», fa sapere l’associazione, «sta danneggiando l’economia ed i consumatori italiani. Mantenere il tasso ufficiale dell’euro al 4 per cento con una forbice in continuo aumento rispetto a quello della Fed – che è ormai la metà di quello europeo – significa marciare ad occhi bendati verso il disastro». Consumatori come aziende temono che queste scelte indeboliscano le esportazioni dell’Europa verso il resto del mondo, blocchino l’afflusso di turisti dalle aree extra Ue, aumentino il livello dei tassi di interesse che i consumatori debbono corrispondere alle banche. Si va quindi verso un aumento dell’indebitamento per e aziende?
Il petrolio torna a salire sulla scia delle preoccupazioni per la domanda degli Stati Uniti anche se gli operatori attendono il dato di oggi sulle scorte Usa che potrebbe innescare nuovamente una fase discendente. Il contratto di riferimento di New York, il light sweet crude con consegna a maggio, segna un rialzo di 20 centesimi a quota 101,06 dollari al barile mentre il Brent di maggio guadagna 60 centesimi a 100,48 dollari.
Mozzarella, la Ue vuole sapere La Commissione europea aspetta dall’Italia nel giro di due giorni ”informazioni più dettagliate” sull’eventuale presenza di diossina nelle mozzarelle campane. Lo riferiscono fonti comunitarie, che sottolineano come la Commissione abbia già avanzato quattro volte richiesta di chiarimenti, senza però,ottenere risposta.
Comunicazione web, primo Mps Monte dei Paschi di Siena è risultata la migliore in Italia nella comunicazione online della Corporate social responsibility. È quanto emerso dal Csr Online Awards 2008, il primo studio analitico sulla comunicazione online della responsabilità sociale d’impresa nel nostro Paese, che ha valutato come le società quotate presenti nell’indice azionario S&P/Mib40 comunicano strategie e iniziative sociali attraverso il sito web istituzionale. La ricerca condotta tra settembre e ottobre 2007 da Lundquist, agenzia di comunicazione finanziaria che rappresenta in Italia la società svedese Hallvarsson & Halvarsson, ha assegnato a Mps il primo posto nella graduatoria finale, seguita da Eni e, a pari merito terzi, da Pirelli e Telecom.
Tata compra Jaguar-Land Rover Il gruppo automobilistico indiano Tata avrebbe concluso l’acquisto della Jaguar-Land Rover. Secondo la televisione americana Ndtv, infatti, Tata avrebbe chiuso la partita con un acquisto pari a 2,65 miliardi di dollari.
Ducati, arriva il nuovo Monster 696 È in arrivo il nuovo Monster 696 della Ducati. La prima versione fu presentata nel 1992, al Salone Internazionale di Colonia, e da quel giorno questa moto ha incontrato un successo senza precedenti, diventando una vera e propria icona nel mondo motociclistico. Il nuovo Monster arriverà nei Ducati Store di tutto il mondo a partire dai primi giorni di aprile in tre diverse colorazioni: nero opaco, l’immancabile rosso Ducati e un ”trendy” bianco perla. Proprio in questi giorni è stata definita anche una seconda versione, più ricca ed accessoriata, che arriverà sul mercato con la sigla Monster 696 +.
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cultura Jacob Philipp Hackert (1737-1807) compì fin numerosi viaggi in Italia e si stabilì a Roma nel 1768. Nel 1780 realizzò il ciclo di dipinti “Dieci vedute della casa di campagna di Orazio”
ndando per mostre si può entrare in mondi ed epoche diverse. Per esempio, si può entrare nel Settecento dalla porta principale, quella di una reggia. Questa reggia, tra le più belle al mondo, fu vista in mondovisione accogliere, durante un G7, la coppia dei Clinton, che, sullo sfondo del suo parco, recitavano la parte degli innamorati. È la reggia di Caserta, fatta costruire dai re Borbone e il suo architetto, Luigi Vanvitelli, era napoletano, ma figlio di un vedutista olandese, quel Gaspard van Wittel, che, amando Napoli, vi soggiornò a lungo e la descrisse più volte. La mostra è negli appartamenti reali dove, fino al 13 aprile, sono esposte le vedute di Jacob Philipp Hackert (1737/1807), che qui riceve la consacrazione della sua riabilitazione, dopo che i critici di più forte “impegno sociale” lo avevano svilito con gli aggettivi “aulico”e “ufficiale”, perché non gli perdonavano i suoi rapporti con un giro di clientela nobilissima, tra cui Caterina di Russia, e, soprattutto, il fatto di essere diventato, nel 1786, pittore di Corte presso i Borbone.
A
L’artista prussiano non è stato la sola vittima di questi intellettuali, che poggiavano le loro considerazioni sul pregiudizio negativo sul governo dei Borbone e consideravano false e meramente celebrative le vedute che riportavano le immagini di una terra dignitosa, curata, bellissima quando governavano loro. Le vedute napoletane di Hackert sono, invece, realissimi ritratti e ci fanno conoscere la serena temperie di quell’epoca e la natura integra dei luoghi. (Inevitabile il confronto
In mostra alla reggia di Caserta le opere dell’artista prussiano
La bella Napoli nelle gouaches di Hackert di Adriana Dragoni con il loro odierno stato). E sono così scevre da falsità e orpelli da apparire a tratti ingenue. Una visione cristallina che si esprime in colori chiari e trasparenti. Una visione illuministica, si, ma nella particolare
cento dal napoletano Giovan Battista Vico, così poco compreso da essere etichettato come idealista, e dalla stessa azione di governo borbonica. Solo a fatica la verità storica sta riemergendo. Ma ancora i critici
non accorgendosi della sostanziale omogeneità che queste vedute posseggono.
L’opera di Hackert è documentata nella mostra da più di cento dipinti su tela o tavola,
Alla fine del Settecento era il pittore di Corte presso i Borbone. Le sue vedute del golfo sono realissimi ritratti di luoghi che la cronaca di oggi racconta drammaticamente deturpati
accezione napoletana, che parte dall’attenta conoscenza del dato reale. Che qui è colto nella sua essenzialità, tralasciando le sue particolarità accidentali. “Vedutismo purificato, irreale per l’insistenza nella fedeltà del vero, emozione formale che è innanzitutto sublimazione conoscitiva” (R. Causa: “Vedutisti stranieri a Napoli” dal Catalogo della mostra “Civiltà del Settecento a Napoli”). Queste vedute sono espressione di un realismo libero da astratti schemi, indagatore e storico, quello che fu filosoficamente interpretato nel Sette-
hanno insistito, nonostante il folto numero degli autori, sulla inesistenza di una scuola vedutistica napoletana settecentesca (Nicola Spinosa: “Vedute napoletane del Settecento”),
da incisioni, disegni e gouaches, che provengono da collezioni pubbliche o private, italiane o straniere e dai musei di Napoli e Caserta. E comprende anche le opere realizzate dal-
l’artista prussiano a Berlino, quelle giovanili, a Roma, queste sono più minutamente descrittive, e in Toscana, queste ultime risentono dell’esperienza napoletana. Nel 1799, infatti, con la partenza dei Borbone da Napoli, per l’instaurarsi della Repubblica giacobina filofrancese, nel parapiglia generale, anche l’artista, dopo il lungo soggiorno nel Regno, lasciò la capitale per rifugiarsi in un paesello toscano, San Piero di Careggi, dove morirà. Le sue vedute napoletane chiaramente si immettono nella tradizione del luogo e particolarmente interessanti in proposito sono le sue gouaches. Le gouaches napolitaines, dipinte con una tecnica a mezzo tra la tempera e l’acquerello, si erano molto diffuse a Napoli sin dagli anni ’70 del Settecento ed erano generalmente su carta, in modo che potevano quindi facilmente essere messe in valigia, protette da una cartelletta, dai viaggiatori che avevano visitato Napoli e ne volevano riportare a casa con sé un ricordo.
Lo scadere, poi, della qualità dei turisti, appartenenti a una sempre più larga fascia sociale (si pensi ai viaggi organizzati dell’agenzia Cook, inaugurati a Londra nel 1841) portò lo scadere della qualità di questi dipinti. Ma le gouaches di Hackert, invece, sono di altissimo livello e testimoniano l’élite culturale del turismo napoletano di fine Settecento. Insieme a Hackert, a Napoli, si trovavano artisti e letterati di vaglia, tra cui Wolfang Goethe, suo amico e pittore anche lui, che nel suo “Viaggio in Italia” descrive a lungo Napoli e la esalta quale luogo “di allegria, di libertà, di vita”. Ogni riferimento allo stato attuale della città è rigorosamente fuori luogo.
musica
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Una petizione online dei fan ha convinto la Warner Music a ristampare il cd Nuove canzoni d’amore
A grande richiesta la saudade di Endrigo di Alfredo Marziano lzino la mano gli over 50 che se lo ricordavano per filo e per segno, Nuove canzoni d’amore di Sergio Endrigo. Non conteneva le sue canzoni più famose, Io che amo solo te o gli hit sanremesi, eppure sono in molti a ritenerlo il capolavoro assoluto del cantautore istriano, il suo album più compiuto ed equilibrato, senza cedimenti né riempitivi. Torna sul mercato oggi per volontà cocciuta dei fan e della figlia Claudia, promotori di una petizione on line che ha convinto la multinazionale del disco Warner Music, custode del vecchio catalogo Fonit Cetra, a ristamparlo per la prima volta in cd. Ed è una bellissima sorpresa, un agrodolce ricordo: nei suoi solchi, anzi nei suoi bit, ha luogo un ragionar d’amore acuto e doloroso, lucido e realista, niente affatto melenso e sorprendentemente attuale.
settembre del 2005. Da quel momento è stata Claudia, unica erede oggi quarantatreenne, a gettarsi anima e corpo in una meritoria missione: ricordare suo padre a tutti gli uomini di memoria corta, farlo scoprire a chi è troppo giovane per averne vissuto l’arte in diretta. Lei se li ricorda, gli happy days di Nuove canzoni d’amore, anche se allora aveva sei anni appena: giorni spensierati, molto tempo prima che la depressione, il lutto per la perdita della moglie, i problemi all’udito e le delusioni professionali calassero un velo nero di tristezza sugli occhi di suo padre.
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Sergio Endrigo nasce a Pola il 15 giugno 1933. Ha vinto un Festival di Sanremo con Canzone per te, nel 1968. Il successo giunge nel 1962 con Io che amo solo te. È morto l’8 settembre del 2005 dopo una lunga malattia
Era il 1971 ed Endrigo stesso, nelle note di copertina originali riprodotte nella nuova edizione, si chiedeva come affrontare ancora quel “problema”, che nella canzone italiana era già stato “sviscerato e sfruttato a fondo”. La risposta è in questi dieci (anzi tredici, incluse le bonus tracks) quadretti dipinti con i colori accesi della passione e quelli tenui del disincanto, gli amori facili e mercenari de La prima compagnia, quelli fuggevoli e incancreniti di Erano per te e Le parole dell’addio, la sensualità repressa di Quando tu suonavi Chopin e l’eros liberatorio di Io che vivo camminando, espressi con un vocabolario ricco e acculturato per cui l’autore ringraziava ineffabile «il rimario del professor Giovanni Mongelli per la inesauribile fonte di ispirazione». Erano anni felici per l’esule di Pola, classe 1933, reduce dal Sanremo vittorioso di Canzone per te, 1968, e dai piazzamenti d’onore dei due anni successivi, quelli di Lontano dagli occhi e L’arca di Noè. La villa di Endrigo a Mentana era essa stessa un biblico barcone pronto ad accogliere chiunque, un porto di mare: ci passavano notti e giorni a discutere, cantare e bere vino l’amico paroliere Sergio Bardotti e l’arrangiatore argentino Luis Bacalov con mogli e bambini; e i brasiliani in transito in Italia, il giovane Toquinho e il Vini-
Tanti colleghi di Sergio continuano a interpretare le sue canzoni e Sirya ha inserito nel suo ultimo lavoro Momenti, un brano inedito del cantautore
cius de Moraes fratello di sangue che per lui scrisse poco prima di morire una Samba para Endrigo di cui Sergio andava giustamente orgoglioso. Tutti presenti all’appello di Nuove canzoni d’amore: i due sudamericani con una firma sul testo di Chi sei, Bardotti nel solito ruolo di rimatore e rifinitore, Bacalov a incastonare quelle melodie lievi e sfuggenti in una rigogliosa cornice d’archi e di chitarre classicheggianti. Non era bastato a evitarne l’oblio: un destino che Endrigo, schivo signorile e disincantato com’era, si era sempre tirato un po’ addosso. Fino alla morte, sopraggiunta il 7
«Questo disco è solo il primo mattone dell’edificio - assicura. Mio padre ha scritto quasi 260 canzoni, persino gli addetti ai lavori conoscono a malapena un quinto della sua immensa produzione. Ho un sogno: quello di risentire un giorno la sua voce in radio». In un mondo perfetto, o almeno a misura d’uomo, Endrigo avrebbe d’ufficio il posto che gli spetta: entertainer garbato e raffinato, cultore della parola e amico dei poeti (Vinicius, Ungaretti e Pasolini, di cui musicò Il soldato di Napoleone), cantore e profondo conoscitore delle donne, Teresa Maddalena e le altre («Era un latin lover - ricorda Claudia. Io che amo solo te la scrisse di getto per una segretaria della casa discografica Rca di cui si era invaghito»). I colleghi non si fanno pregare, per tenerne in vita il repertorio: ha (ri)cominciato Battiato con Fleurs, all’inizio del nuovo millennio, hanno continuato la Vanoni e la Mannoia riprendendo proprio il suo pezzo più famoso, e Syria che sul suo ultimo disco ha dato voce a un bel testo inedito, Momenti (è un cerchio che si chiude: suo papà discografico faceva le notti giocando a poker con Endrigo). Mentre al concerto che in sua memoria si tenne l’11 gennaio del 2006 all’Auditorium Parco della Musica di Roma arrivarono in tanti, Paoli e l’amico Lauzi, Morandi e Vecchioni, la Marisa Sannia che proprio grazie a lui si era affermata in tenera età e giovani allievi come Morgan, Cristicchi e Cammariere. Ma gli anni che precedettero la morte, complici discografici pilateschi e le sofferenze della vita privata, furono un calvario, e oggi molta della sua produzione giace inerte fuori catalogo. Endrigo ci soffriva, man mano che la fine si avvicinava, ma non gli sembrava il caso di mettersi a sgomitare proprio allora: lui che non lo aveva mai fatto e che era sempre stato per il vivi e lascia vivere. Che farebbe, fosse ancora vivo e in salute? «Se ne andrebbe a Bahia - risponde sicura Claudia - a coronare il sogno di una vita». Lui, l’italiano con la saudade, che i brasiliani amano più dei suoi connazionali.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Quale il futuro di Alitalia, Air France o cordata italiana? AIR FRANCE SAPRÀ RILANCIARE UN GRUPPO CONDANNATO DA MERCATO E AMMINISTRATORI Mettiamola così: se Alitalia non è più nazionalizzabile, e non lo è, tanto vale affidarla nelle mani dei francesi. Air France saprà di certo rilanciare un gruppo condannato dal mercato e dall’insipienza degli amministratori parastatali che l’hanno governato fino a oggi. Da liberista realistico, preferisco un’impresa straniera con bel curriculum e carte in regola ai soliti e più o meno invisibili salvatori della patria di cui va parlando Berlusconi. Mi lasci però chiudere con un dubbio: per quale ragione, secondo le leggi europee, uno Stato è tenuto a scendere progressivamente nelle quote di proprietà dei propri (ex) gioielli, ma contemporaneamente può comprarsi gli (ex) gioielli stranieri attraverso un’altra società semipubblica? Misteri dell’eurofinanza illiberale. Saluti cari.
Vincenzo Di Nardo - Napoli
la sua è stata una mossa elettorale formidabile giacché chiunque lo critichi passerà per un nemico degli interessi nazionali e, fatto non meno grave, di quelli dei tanti lavoratori a rischio. Ma ecco il punto: perché la reazione meccanica più naturale, nei cittadini e fra i politici in buona o cattiva fede, è appunto quella di proteggere e sostenere finché possibile la proprietà nazionale di Alitalia? Provo a dare una spiegazione semplice semplice. Malgrado le tante contraddizioni del liberalismo occidentale, a nessuno piace che la “propria” compagnia di bandiera finisca in mani straniere. Provate a domandare a un francese se accetterebbe che Air France venisse acquisita da un gruppo industriale italiano, magari partecipato al 51 per cento dal nostro Stato, e gli vedrete tremare i polsi. La parola “bandiera”, se pure applicata sul timone di un aereo, non è mai indifferente. Sicché, prima di vendere o svendere ai francesi, ogni soluzione italiana è preferibile e bene accetta. Con simpatia.
Camillo Leonardi - Roma
PRIMA DI VENDERE O SVENDERE AI FRANCESI OGNI SOLUZIONE ITALIANA È BENE ACCETTA E’ chiaro che per salvare Alitalia bisogna anzitutto sperare in una cordata italiana. Non so se quella promessa da Berlusconi esista o meno, in ogni caso
LA DOMANDA DI DOMANI
Olimpiadi di Pechino, siete d’accordo con Sarkozy? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
IL CAPOFILA DELL’”INIZIO DELLA FINE” È L’EX PRESIDENTE DELL’IRI ROMANO PRODI La questione Alitalia sta diventando sempre più una vergogna nazionale. Molti anni fa è iniziata la devastazione della nostra compagnia di bandiera con la gestione clientelare fatta di posti di lavoro regalati da sindacati e partiti politici. Il capofila dell’inizio della fine è un signore che si chiama Romano Prodi e che, al tempo, era presidente dell’Iri. Oggi lo stesso signore cerca di svendere uno dei nostri gioielli ai francesi, senza preoccuparsi dei problemi per la nostra economia, il nostro export, il nostro nome nel mondo. Molto meglio aspettare, preferire un compratore nazionale rispetto ai cugini d’Oltralpe. E poi, una provocazione. Cosa ne pensate della socializzazione delle imprese nazionali? E’ ancora nella nostra Costituzione, potrebbe essere una buona via di uscita per il dramma alitalia e per salvaguardare la nostra nazione e i nostri cittadini. Cordialmente ringrazio per l’attenzione e l’ospitalità. Distinti saluti.
MAGDI ALLAM, EROE E INTERPRETE DEI VALORI E DEL SENTIRE COMUNE La conversione e il relativo Battesimo dello scrittore e giornalista di origine egiziana Magdi Allam non scuote solo il mondo arabo ma fa riflettere anche coloro che il Cristianesimo lo conoscono dalla nascita. La meraviglia suscitata ai mussulmani dall’alto profilo scelto dal Vaticano per la celebrazione del Battesimo si dovrebbe aggiungere alla nostra spiazzati di nuovo dalle autorità ecclesiastiche nella individuazione e sottolineatura di un eroe dei nostri tempi. A parole, molto spesso, siamo inclini a parlare dei valori fondanti la nostra civiltà, la nostra cultura, il nostro modo di confrontarci con gli altri e comunemente il ceppo originale di tutto ciò lo individuiamo nel Cristianesimo. Non siamo coerenti, però, quando non difendiamo a sufficienza questo nostro patrimonio dal pericolo di ingerenze eticoreligiose esterne alla nostra cultura, anzi, a volte per timidezza, a volte per eccesso di apparire disponibili verso le altrui idee, permettiamo di mettere in discussione le nostre radici anche a coloro che do-
DI TUTTI I COLORI L’Holi Festival, cioè la festa dei colori, in India si celebra per salutare l’arrivo della Primavera. Dopo aver acceso fuochi apotropaici di notte, gli indiani gareggiano nel gettarsi l’un l’altro polvere e acqua colorata IL CENTRO DI ROMA E LE ISOLE PEDONALI È inopportuno che a commentare la problematica delle isole pedonali nel centro storico di Roma sulla stampa sia il presidente uscente del I Municipio, Lobefaro, costretto dal suo partito a non ricandidarsi per il “fallimento” del proprio operato. Ci saremo piuttosto aspettati un commento da parte di Corsetti, attuale candidato del Pd alla presidenza del Municipio, ma probabilmente ha una scarsa conoscenza del territorio che non gli permette di esprimere un giudizio in merito. Sulle isole An già da tempo si è espressa a favore di percorsi pedonali piuttosto che delle isole a macchia di leopardo e integrali, che non favoriscono la reale riqualificazione, e tanto meno disciplinano il
dai circoli liberal Claudio Floris - Cagliari
vrebbero rispettarle non fosse altro perché risultano essere nostri ospiti. Considero Magdi Allam un eroe, non da oggi che è stato battezzato, ma da quando con il suo lavoro sia di scrittore che di giornalista ha difeso, dimostrando di essere più italiano di me, i principi fondanti della nostra civiltà cogliendo nel nostro lassismo il vero pericolo di una islamizzazione della nostra società con tutti i pericoli che questo comporta. Si è fatto interprete più di chiunque altro del sentire comune ed ha avuto il coraggio di esternarlo pubblicamente, l’unico vero erede di Oriana Fallaci. Due volte eroe perché per poter difendere i nostri valori che sono divenuti anche i suoi valori ha dovuto rompere con la cultura originaria e con il mondo islamico che certamente non gli riserva affetto soprattutto da quella area indefinita che “confina” con il fanatismo ed il terrorismo. Il nostro eroe, poi, si è permesso di difendere le ragioni di Israele, in questo in compagnia del Presidente della Fondazione Liberal Ferdinando Adornato, in barba a quanti nel nostro paese mantengono una formale equidistanza per non dispiacere al mon-
traffico. Bisogna discutere un piano speciale del traffico che tenga conto delle esigenze del centro storico. Occorre costruire percorsi pedonali e verificare che le isole non siano un alibi per trasformarle in occupazione del suolo pubblico.
Giada Leofreddi - Roma
WALTER VELTRONI PREMIER A SAMOA Stevenson era solito viaggiare alla ricerca dei luoghi che aveva costruito con fervida immaginazione, come le isole Samoa. Siamo buoni: auguriamo a Veltroni di trovare finalmente nella realtà ciò che ha immaginato nel suo programma per il Paese. Ma non in Italia. Magari nei mari del sud, magari proprio a Samoa.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
do arabo e permettono di fatto una distorta lettura degli accadimenti in Medio Oriente. Grazie quindi a Magdi Allam per il suo coscienzioso lavoro di difensore civico della nostra civiltà, grazie alla Chiesa che con il Battesimo dello stesso, officiato in modo solenne, ha voluto dimostrarci come vanno riconosciuti e apprezzati gli uomini coraggiosi e come sugli stessi vale la pena schierarsi. Alberto Caciolo COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL LAZIO
APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 18 APRILE 2008 Ore 11, a Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna Riunione mensile nazionale di tutti i Presidenti dei Circoli Liberal.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Il mio cuore è troppo pieno di te Io non ti amo! Io farei leggere le tue lettere a un rivale! Ah! amico mio, sai benissimo che il mio cuore è troppo pieno di te per poter mai essere di un altro. Ma ha bisogno, questo cuore, di essere completamente rassicurato sul tuo. Il dubbio in cui vivo è per me orribile, orrendo, insopportabile. Soffro oltre ogni dire. Passo parte delle giornate a piangere. L’idea che tu non mi ami sopra ogni altra cosa, che non mi amerai sempre, che non vedi i nostri destini indissolubilmente legati, questa idea mi toglie ogni speranza. Credi che questa situazione oppressiva possa essere sopportata a lungo? Credi che dopo quanto ho sofferto e quanto ancora soffro per altri motivi me ne lasci la forza? No, amico mio; è impossibile. Vediamo fra qualche tempo chi potrà prendersi cura dell’altro, e non separiamoci più. Che almeno resti questa dolce consolazione. Pensa che ti amo e che ti amerò fino all’ultimo giorno della mia vita. Melanie Guilbert a Henri Beyle, in arte Stendhal
LA DENUNCIA DEI REDDITI DEI DEPUTATI E DEI SENATORI Non sono in grado di capire quanto ci sia di vero nell’inchiesta di ”Libero” sugli onorevoli. Il Presidente Napolitano li ha difesi e forse, per istituzione, non a torto! Ma anche noi cittadini vorremmo capire. Sento dire che l’incarico in Parlamento comporti molte spese, praticamente stipendi alti per affrontare dignitosamente la vita. Nulla da dire, ma sorge una domanda, quasi due: se a fine mese è naturale che rimanga poco o niente come denaro risparmiato, come hanno fatto alcuni, che dieci anni or sono comperavano auto d’occasione, casa con il mutuo o restituivano frettolosamente soldi ai creditori avvolti in un giornale, ad investire in appartamenti in centro storico, all’estero o in numero superiore alle strette necessità familiari? Ed ancora, come possono costoro avere una denuncia dei redditi di centinaia di migliaia di euro l’anno: 7.000 euro al mese, con tredicesima, fanno 91.000 euro, sembrano pochi? Due domande che inoltro al Presidente ed ai destinatari, con molto rispetto, ma con altrettanta curiosità: vorrei leggere o sentire dagli
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
26 marzo 1827 Muore 57enne a Vienna il compositore Ludwig van Beethoven 1923 L’Italia inizia la costruzione di quella che sarà la prima autostrada del mondo, la Milano-Laghi 1930 Dal suo yacht Elettra ancorato a Genova, Guglielmo Marconi alle ore 11,03, accende le lampade del Municipio di Sydney tramite un segnale radio 1939 Nasce James Caan, attore statunitense 1953 Viene annunciata la scoperta del vaccino contro la poliomelite 1958 Federico Fellini riceve l’Oscar per Le notti di Cabiria 1975 A Londra si tiene la prima del film ”Tommy”, musical-rock degli Who 1979 Anwar Sadat, Menachem Begin e Jimmy Carter firmano a Washington il Trattato di pace israelo-egiziano 1979 Muore Ugo La Malfa, politico italiano (n. 1903) 1995 Entra in vigore il Trattato di Schengen
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
interessati la risposta, possibilmente non in politichese! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)
il meglio di
RUTELLI E L’ARA PACIS? UNA ”PERLA” DI COERENZA In una campagna elettorale in cui Rutelli si vergogna di rivendicare la continuità con Veltroni e gioca le sue carte sulla suggestione del cambiamento, la celebrazione dell’Ara Pacis è una ”perla” di coerenza.Vale la pena di ribadire che la responsabilità dell’attuale mastodontica teca che sommerge l’Ara Pacis è di Rutelli quanto di Veltroni, che l’hanno imposta alla città, ai professionisti italiani e internazionali che hanno subito un incarico senza concorso conferito all’americano Meier, alle associazioni ambientaliste e a quelle del territorio, ai residenti, al mondo accademico. Inutile precisare che i costi sono stati abbondantemente al di sopra delle previsioni, in perfetta continuità con la peggiore prima Repubblica. Cordialmente ringrazio e saluto.
Fabrizio Romiti - Roma
PUNTURE L’ambientalista Chicco Testa si converte al nucleare e lo annuncia con un libro. Notizia bomba.
Giancristiano Desiderio
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Ci sono momenti in cui tutto va bene: non ti spaventare, non dura JULES RENARD
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
SUL PIANO AIR FRANCE FACCIAMO VOTARE I DIPENDENTI ALITALIA E’ buona regola economica che chi prende decisioni subisca in proprio le conseguenze negative di scelte errate, come si verifica quotidianamente con i comportamenti di mercato di milioni di consumatori e centinaia di migliaia di produttori. E’ una regola liberale (non ammette che le conseguenze negative ricadano su chi non ha contribuito alla decisione) ed è efficiente poiché disincentiva dal commettere errori e induce a correggerli al più presto se si fanno. Nel caso Alitalia, dovendo scegliere se vendere al più presto ad Air France o attendere la (fantomatica) cordata nazionale, su chi ricadrebbero gli effetti negativi di nuovi errori dei decisori? Non sui consumatori, che potrebbero persino trarre beneficio dal fallimento di Alitalia (per i maggiori spazi che si aprirebbero per i vettori low cost) e neppure sul bilancio statale in quanto le regole europee vietano di mettere nell’azienda anche un solo euro in più. Il partito del Nord e di Malpensa non subirebbe alcuna conseguenza negativa, nessun onere, e neppure i sindacalisti del trasporto aereo, i quali un lavoro continuerebbero ad averlo. A perdere sarebbero solo i dipendenti di Alitalia. E allora, visto che per il vettore di bandiera e per il governo uscente il piano di rilancio di Air France e la connessa proposta di acquisto vanno bene, perchè non far votare con un referendum interno i dipendenti? Poiché ne va del loro futuro sono i migliori candidati a scegliere, coloro che han-
no la maggiore convenienza a evitare errori. Sono certo che approverebbero Air France a stragrande maggioranza, è nel loro interesse. Bisogna invece evitare che a decidere siano i sindacati in quanto nelle imprese pubbliche non difendono gli interessi dei lavoratori ma il loro potere, illegittimo e inopportuno, di condizionamento e di veto sulla gestione aziendale, il fatto di essere “azionisti di riferimento” senza aver messo alcun quattrino e senza subire alcuna conseguenza per gli errori che fanno compiere.
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LA BANCAROTTA PROSSIMA VENTURA Qui si era sperato che l’apertura di Berlusconi sulle pensioni preludesse ad un rilancio di Veltroni, e l’inizio di un qualche cambiamento nella gestione della cosa pubblica. Naturalmente ci sbagliavamo: dopo una rapida retromarcia del leader del PdL e il silenzio assordante di Veltroni in materia, ci tocca assistere al penoso spettacolo del ”salvataggio” di Alitalia. Intendiamoci, ”da un certo punto di vista, questa campagna è il capolavoro di Berlusconi, che riesce a realizzare la saldatura di nordismo leghista e nazionalismo alitaliano”, come dice il Riformista, ma il prezzo di tutto questo lo paghiamo, ancora una volta, noi cittadini. Insomma, proprio in un momento in cui ci sarebbe bisogno di un cambiamento, la Casta si conferma incapace di guidare il Paese.
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PAGINAVENTIQUATTRO I rapporti Vaticano-Islam dopo le polemiche sulla conversione
Allam e Allah: la lunga marcia verso la di Francesco Rositano pochi giorni dall’evento, ora che la notizia ha fatto il giro del mondo rimbalzando da un media all’altro e provocando polemiche, risuona fortissimo il commento pubblicato sul forum di Al Sharq Al Awsat di Londra: «L’acqua versata sul capo di Magdi Allam dal Papa è benzina sul fuoco dello scontro di civiltà». È vero? Quel che è certo è che la conversione al cattolicesimo del vice-direttore ad personam del Corriere della Sera, che la notte di Pasqua ha ricevuto il battesimo da Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro, ha scosso anche il mondo musulmano moderato con cui la Santa Sede sta da tempo cercando di dialogare. Gli oltre 138 intellettuali e leader religiosi musulmani firmatari di una recente lettera aperta al Papa per promuovere la pace mondiale, ricevuti in Vaticano solo a febbraio, per bocca di Aref Ali Nayed, criticano la modalità con cui è stata realizzata la conversione del giornalista egiziano. Il direttore del “Centro regale di studi strategici islamici ad Amman”, in Giordania, figura chiave del gruppo “A common world” ha denunciato l’atto «deliberato e provocatorio di battezzare Allam in un’occasione così speciale e in modo così spettacolare», chiedendo alla Santa Sede di «prendere le distanze» dal giornalista egiziano. Nonostante la durezza dei toni e il fatto che vede nel battesimo di Allam uno «sfortunato episodio», l’intellettuale islamico non rinuncia al dialogo, affermando che: «Per noi la base per il dialogo non è una logica della reciprocità “occhio per occhio, dente per dente”, ma piuttosto una teologia compassionevole della conciliazione per il bene dell’Amore di Dio e del prossimo». Insomma per il mondo mussulmano, anche per quello moderato, dietro il battesimo del giornalista egiziano – che in una recente lettera ha criticato «la natura fisiologicamente violenta di tutto l’islam» - non c’è solo una scelta di fede personale, ma un gesto politico di aperto appoggio a quello che il quotidiano Liberazione ha definito «un ritorno allo spirito delle crociate, diffuso da una chiesa che impone il primato della religiose cattolica sulle altre e di conseguenza la necessità di convertirsi ad essa». Anche il capo di Al Qaida, Osama Bin Laden, che è ritornato in video dopo un periodo di silenzio si è scagliato contro l’Europa e il Vaticano per accusati di avere «un ruolo significativo nella crociata occidentale contro l’Islam». Prendendo spunto dalla ristampa in Olanda delle vignette satiriche su Maometto che avevano già provocato scompiglio in passato, Bin Laden tuonava: «State mettendo a dura prova i musulmani. La risposta
A
Le minacce di Bin Laden al Papa: «State mettendo a dura prova i musulmani»
RECIPROCITÀ sarà ciò che vedrete e non ciò che sentirete. Possano le nostre madri piangere la nostra morte se non ci solleveremo a difesa del messaggero di Dio».
Per la Santa Sede, invece, la decisione di Benedetto XVI di battezzare personalmente Magdi Allam e di dedicare a questo evento una tale rilevanza pubblica non ha niente a che vedere con la “crociata”. Come ha affermato il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso: «Il Papa sceglie senza fare differenze. A chi bussa, la porta della Chiesa è sempre aperta: la libertà di coscienza è un diritto fondamentale». Un’affermazione che può essere letta, forse, anche in un altro modo: così come la Chiesa garantisce la libertà di tanti cattolici di convertirsi all’islam allo stesso modo gli aderenti a qualsiasi altra religione - compresa quella musulmana - devono potersi convertire al cattolicesimo. È interessante ricordare ad esempio che a Trento la comunità cattolica di San Francesco Saverio devolverà all’imam locale una colletta per la realizzazione della moschea. I fondi cattolici contribuiranno all’acquisto del terreno. La colletta si aggiunge ai 100mila euro già raccolti dalla comunità islamica. Se questo episodio sta creando un certo scompiglio in Occidente, nel mondo musulmano non tanto le polemiche ma tanto i rischi per le minoranze che abbracciano il cattolicesimo si fanno più forti. Primo fra tutti l’Arabia Saudita dove per ora è naufragata l’ipotesi sussurrata dal Nunzio Apostolico di costruire una chiesa cattolica dopo gli esempi dell’Azerbaigian e del Qatar. In questo paese che - secondo un recente rapporto londinese di Human Rights Watch, detiene la “maglia nera”per la violazione dei diritti umani - le condizioni dei lavoratori stranieri sono da incubo: essi sono oggetto di soprusi, di torture, confessioni forzate, maltrattamenti nelle
carceri, conversioni imposte. Inoltre c’è da aggiungere che sempre le statistiche rilevano che l’Arabia è in cima alla top ten dei paesi dove il cristianesimo sta conoscendo il massimo incremento: su 17 milioni di abitanti, in Arabia vivono 8,8 milioni di stranieri immigrati, a stragrande maggioranza di religione cristiana, un abitante ogni due cittadini sauditi.
Se poi si allarga l’analisi agli Emirati Arabi Uniti, le proporzioni diventano ancora più impressionanti: gli stranieri diventano più di 13 milioni – l’ottanta per cento della popolazione - di cui quattro milioni sono cristiani. Sono di origine filippina, libanese, indiana, giordana, egiziana, libanese, siriana, irachena e sono oggetto di forti pressioni, alimentate da incentivi governativi, perché abbraccino l’Islam. In cambio possono ottenere un lavoro, promozioni, paghe più alte. Comunque è il passo indispensabile da compiere per contrarre matrimonio con un’islamica. In questo contesto si comprende la diffidenza verso le minoranze cristiane anche se dall’Arabia Saudita giungono comunque buone notizie per il proseguimento del dialogo interreligioso. Il re Abdullah, sta pensando di convocare una conferenza fra musulmani, cristiani ed ebrei, secondo quanto riferisce il quotidiano saudita stampato a Londra Al Sharq al Awsat. In un discorso ieri a Raid, citato oggi dal quotidiano saudita, re Abdullah afferma che rappresentanti delle tre fedi monoteistiche devono lavorare assieme «per difendere l’umanità». Il sovrano ha spiegato di aver discusso l’idea di un tale summit per la promozione del dialogo religioso con Papa Benedetto XVI, che lo ha ricevuto in Vaticano lo scorso novembre. «Gli ho proposto di rivolgersi a Dio tramite i comandamenti dati alle fedi monoteistiche nella Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano», ha dichiarato re Abdullah, che si è detto turbato dalla decadenza dei valori morali e dell’unità familiare nel mondo.