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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

nuovi mestieri

La casta degli anticasta

e di h c a n o cr Laurea Honoris causa ad Harward per il fondatore di Microsoft Bill Gates. Se fosse nato in Italia ci sarebbe riuscito ugualmente?

I professionisti dell’antipolitica

di Ferdinando Adornato

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Nicola Procaccini

bioetica MARIA LUISA DI PIETRO: «L’ABORTO SI COMBATTE EDUCANDO L’AFFETTIVITÀ» pagina 9

Riccardo Paradisi

australia

CHE NOIA!

IL GOVERNO VARA UN WELFARE PER GLI ABORIGENI pagina 10

Adam Creighton

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

caso alitalia

Un appello di quindici docenti lancia una sfida alla politica. Dar vita a un movimento liberali e cattolici come bipartisan per una scuola che torni a premiare il talento. Biondi, Gargani e Iannuzzi. È la rivoluzione più importante In attesa del Popolo, per l’Italia: ma Pdl e Pd dove sta la Libertà? neanche ne parlano…

Il partito del MERITO NUMERO

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WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

pagina 18

Francesco Pacifico

cultura ZICHICHI: «NATURA E BIBBIA? È LO STESSO AUTORE» pagina 20

Mario Masi

80327

alle pagine 2 e 3 alle e nell’inserto pagina pagine a2, 3, 4 e12 5

GIOVEDÌ 27 MARZO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

Angeletti: Non saremo noi a rompere con Air France

9 771827 881004

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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il partito del

merito

La lettera aperta del “Gruppo di Firenze” ai partiti e ai candidati

Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità utti, a parole, considerano centrale la scuola per il futuro del paese. I partiti hanno però il dovere di esporre con chiarezza ai cittadini-elettori i loro programmi in materia di istruzione. Programmi che ovviamente saranno in parte diversi; ma che dovrebbero tutti aprirsi con questo preambolo: “Sia le riforme, sia il governo e la vita della scuola a tutti i livelli dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità”. L’aggiornamento dei programmi, la riorganizzazione dell’istruzione superiore, l’autonomia delle scuole potranno dare risultati effettivi e duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari principi dell’etica pubblica e privata. Al ministro uscente va riconosciuto di aver avviato, almeno in parte, un’inversione di tendenza dopo decenni di lassismo. Noi pensiamo che esista un largo consenso trasversale sulla necessità di una scuola più rigorosa. Ma per questo “partito del merito e della responsabilità” è arrivato il momento di manifestarsi e di assumere precisi impegni di fronte all’elettorato: quello di offrire ai nostri ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento; e quello di restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo, intervenendo però con tempestività e rigore nei casi (pochi, ma negativi per l’immagine della scuola) di palese negligenza o inadeguatezza. I dirigenti scolastici infine andranno valutati in primo luogo per la loro capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto delle regole da parte di tutti. Su questi temi ci attendiamo che giungano presto risposte convincenti e annunci di impegni precisi da parte di tutte le forze politiche, insieme a proposte e riflessioni di tutti coloro che hanno a cuore il presente e il futuro della scuola.

T

Gian Luigi Beccaria, Giovanni Belardelli, Remo Bodei, Piero Craveri, Giorgio De Rienzo, Giulio Ferroni, Ernesto Galli della Loggia, Sergio Givone, Giorgio Israel, Mario Pirani, Lucio Russo, Giovanni Sartori, Aldo Schiavone, Sebastiano Vassalli, Salvatore Veca

Per fare uscire il sistema formativo da una condizione di disastro

Ultimo appello alla politica di Susanna Turco

ROMA. Sulla possibilità di ottenere quel che chiedono in tempi rapidi sono i primi a non illudersi: «A parole sono tutti bravissimi, ma cerchiamo di rompergli le scatole per quanto possibile», dice infatti a fine intervento Mario Pirani. Perché certo, la situazione che rappresentano gli intellettuali e i professori piombati sul liceo Visconti per presentare la lettera ai partiti per una scuola diversa (titolo: «Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità»)sottoscritta da fior di nomi dell’accademia, sembra davvero quella di una commedia dell’assurdo. Soprattutto per chi non abbia uso della scuola contemporanea. Giorgio Israel, per dire, racconta di suo figlio che alle elementari invece di studiare la storia come l’abbiamo conosciuta quasi tutti, con le date, le battaglie e le alleanze, studia gli «indicatori temporali», e invece della geografia gli «indicatori spaziali» («sopra, sotto, in alto, in basso») raggiungendo momenti di volontaria comicità. E il peggio deve ancora venire. Ma andiamo con ordine. La lettera aperta, indirizzata ai partiti e ai candidati, vergata da un gruppo di docenti che si autodefinisce ”Gruppo di Firenze”, e sottoscritta da nomi come Remo Bodei, Piero Craveri, Giorgio De Rienzo, Giulio Ferroni, Ernesto Galli della Loggia, Sergio Givone, Giorgio Israel, Giovanni Sartori, Sebastiano Vassalli, si basa su una richiesta precisa: «Sia le riforme sia il Governo e la vita della scuola a tutti i livelli dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità». Con questo preambolo, spiega la lettera, dovrebbero aprirsi tutti i programmi in materia di istruzione presentati dai partiti in vista delle prossime elezioni.«L’ag-

giornamento dei programmi, la riorganizzazione dell’istruzione superiore, l’autonomia delle scuole - spiegano - potranno dare risultati effettivi e duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari principi dell’etica pubblica e privata». Riconoscendo a Fioroni il merito di «aver avviato, almeno in parte, un’inversione di tendenza dopo decenni di lassismo» i docenti affermano di ritenere che esista un largo consenso trasversale sulla necessità di una scuola più rigorosa. «Ma per questo ”partito del merito e della responsabilita” è arrivato il momento - dicono - di manifestarsi e di assumere precisi impegni di fronte all’e-

il professor Giulio Ferroni, «In un momento del genere, c’è bisogno di una generazione capace di prendere di petto i problemi che si porranno nel prossimo futuro. E invece continuiamo ad educare i ragazzi in modo inappropriato, all’illusione e all’incoscienza, come se ci fosse ancora quella crescita progressiva che ha conosciuto chi, come me, era bambino negli anni Cinquanta».

Giorgio Israel si proclama per la «reintroduzione secca del voto» e se la prende con il pedagogismo, l’egualitarismo e l’idea della scuola-azienda «che hanno distrutto la scuola». «C’è questa ideolo-

Giorgio Israel: «A dominare è l’ideologia delirante dell’auto apprendimento, per cui non si insegna più l’algoritmo della divisione e non si parla di programmi perché, dicono, sono troppo impositivi» lettorato: quello di offrire ai nostri ragazzi una scuola piú qualificata ed efficace, ma insieme piú esigente sul piano dei risultati e del comportamento; e quello di restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo».

Ma se questo è l’obiettivo, l’analisi dell’oggi è disperante. Dal palco dell’aula magna del liceo Visconti, uno dei promotori, Giorgio Ragazzini, parla di una crisi «analizzata meglio dai commentatori e dagli studiosi, piuttosto che dai pedagogisti», di una scuola «indotta negli ultimi anni a chiedere poco e perdonare quasi tutto» e della necessità che nel futuro tornino merito e responsabilità. «C’è urgenza di questi valori», aggiunge

gia delirante dell’auto apprendimento, per cui non si insegna più l’algoritmo della divisione e non si parla più di programmi perché, dicono, sono troppo impositivi». E poi: «La scuola fornisce insegnamento, non pomodori pelati, e l’idea di considerare la famiglia e li studenti come degli utenti, ha sbandato la famiglia sul piano etico, gli ha sottratto il uolo di formazione critica dell’individuo». Anche Mario Pirani parla di «disastro pedagogico» dovuto all’onda lunga («prolungamento all’infinito») del ’68 e dice che ormai «si è perso il senso del limite oltre il quale la trasgressione è punita», così come d’altra parte si è «confuso il diritto allo studio con il diritto al successo formativo» e, con un malinteso senso di egualitarismo, si è finito per

Nelle immagini a fianco tre dei più autorevoli firmatari dell’appello: Ernesto Galli della Loggia, Piero Craveri e Giorgio Israel. L’idea della lettera aperta ai partiti in vista delle elezioni è nata da un gruppo di accademici fiorentini senza particolari connotazioni politiche

creare una «divisione di classe nella scuola», per cui gli studenti bravi, quelli che vanno all’estero ed eccellono ad Harvard, sono sempre figli di una buona classe media, di solida formazione culturale, che ha saputo supplire le carenze della scuola ”per tutti”. «Da quest’ultimo ministro ho visto qualcosa di buono, come l’innalzamento a 16 anni e il ritorno degli esami a settembre: ma si tratta di un inizio di sterzata per il ritorno all’ordine. Atti che non si vedevano dai tempi della Falcucci».


il partito del

merito

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«Che ragione c’è di invitare Federico Moccia in un liceo, con quel film squallido? Perché offrire gli scarti della cultura di massa?», si chiede tra l’altro Giulio Ferroni (in basso), ordinario alla Sapienza e italianista tra i maggiori del Paese

ROMA. Nel 1997 Giulio Ferroni era preoccupato per la «disgregazione» del sistema formativo, per le deboli proposte di riformarlo, e pensò di lanciare l’allarme con un libro, La scuola sospesa. Dopo oltre dieci anni l’italianista della Sapienza è inquietato per le «incredibili modificazioni che sono intervenute nella società» e di fronte alle quali «la scuola italiana di oggi è subalterna». Così Ferroni non ha esitato quando i colleghi del ”Gruppo di Firenze” gli hanno chiesto di sottoscrivere la lettera aperta sul merito e la responsabilità. Pur consapevole che «in Italia le posizioni critiche vengono sempre ricollegate a uno schieramento politico, suscitano letture dietrologiche irrefrenabili». Se pure non sarete accusati di questo vi attribuiranno la pretesa di cambiare il mondo a partire dalla scuola. «Ma è il mondo che è cambiato senza che la scuola sapesse adattarsi. La politica non è mai intervenuta per aggiornare il rigore e la severità dell’istruzione rispetto ai modelli che hanno stravolto la nostra vita. Piuttosto si è cercata la scorciatoia dell’alleggerimento, si è data ai ragazzi l’illusione che avrebbero trovato interlocutori sempre disponibili. La riforma Berlinguer non ha fatto altro che questo. E anziché agire sulla modernità l’ha subita». Al punto da far rimpiangere una severità che pure aveva i suoi eccessi. «Io sono stato liceale negli anni Cinquanta, in una fase di allargamento della vita sociale. Oggi dobbiamo misurarci con problemi enormi nel campo dell’economia, dell’ambiente, dei conflitti planetari. E servono generazioni in grado di prendere di petto tutto questo. Il messaggio che arriva dalla scuola è invece l’esatto contrario di

Parla Giulio Ferroni, uno dei promotori dell’appello

Stiamo distruggendo la personalità dei nostri ragazzi colloquio con Giulio Ferroni di Errico Novi quello che serve. Bisogna partire da un’analisi sulle tendenze della società e sul modo di controllarle». Lo strumento di questa rivoluzione è il ritorno al principio del merito. «Che però non è una semplice questione di principio, ma è un meccanismo di difesa per preparare i ragazzi a quello che troveranno dopo. E badate che stiamo andando verso la crisi, ma di brutto». Vi appellate ai partiti, ma ormai la politica non sembra avere sufficiente autorevolezza per pretendere che i giovani e le loro famiglie rispettino i principi del merito, della responsabilità. «Ci vuole un cambiamento di prospettiva ma, come dire, è una parola: me ne rendo conto. La crisi della democrazia consiste proprio nello stridere tra la tentazione di soddisfare gli elettori in tempi immediati e l’urgenza di scelte impopolari, concepite sul lungo termine. In Italia però è tutto ancora più difficile. In altri Paesi, persino in Spagna, esistono valori comuni

che mettono d’accordo tutti. Noi seguiamo sempre la logica degli opposti schieramenti. E partoriamo politiche dell’istruzione a effetto, utili al consenso immediato». Ce l’ha con tutti, pare di capire, non con qualcuno

«Bisogna formare giovani capaci di affrontare un’epoca di crisi, anziché illuderli che andrà tutto liscio con esami ridotti a farsa» in particolare. «La riforma delle ”tre i” è stata esiziale, ma sappiamo bene cosa c’è dall’altra parte: la solita lamentela sulla centralità dello studente». A parte la ricerca della suggestione c’è anche un altro ostacolo: una riforma seria costa. «Basta guardare in che stato di squallore sono ridotti certi edifici. E ridare prestigio all’istitu-

zione passa anche per un recupero del prestigio sociale degli insegnanti. La politica ha ritenuto che il ruolo di professore servisse solo ad accontentare intellettuali che non hanno avuto successo, e per questo si è dimenticata della loro dignità. Le risorse per migliorare la loro condizione vanno assolutamente trovate nelle pieghe del bilancio dello Stato, pieno di spese inutili». Seppure avessimo un personale meglio attrezzato resterebbe il problema della ricettività degli studenti. Così distratti da altre sollecitazioni e da tanti disvalori da sembrare spesso irrecuperabili. «Ai docenti bisogna fornire anche le conoscenze per entrare nel mondo mentale dei ragazzi. Perché sappiano raccontare i Sepolcri di Foscolo giocando D’altra sull’immaginazione. parte so bene che non è solo una questione di pedagogia astratta, ci vuole anche la capacità del singolo insegnante nel trovare di volta in volta espedienti diversi.Tutto è più semplice se ai professori si restituisce

prestigio e li si sottrae all’oppressione della burocrazia». Usciti dall’aula i ragazzi sono bombardati da comunicazioni non esattamente rassicuranti. «E sono fuorviati da genitori che spesso si riducono a fare da sindacalisti, a prendersela con il professore. Come se non bastassero le inutili assemblee d’istituto a cui per giunta non partecipa quasi nessuno. Per non dire delle gite». Ecco, professor Ferroni: come fa la scuola a fronteggiare tutto questo? «Deve reintrodurre la severità in certi passaggi, come l’esame di maturità. A Fioroni va riconosciuto di essersi posto il problema, di aver preteso una preparazione più vasta, che non si riducesse a una comoda tesina. Questo ministro ha cercato anche di battersi contro l’idea che in classe si pensi a tutto fuorché alla conoscenza, con il divieto dell’uso del telefonino, per esempio. Poi bisogna vedere quanto la regola sia osservata». Altri interventi immediati senza i quali passerete a forme di protesta più plateali. «Non ha senso la disponibilità a tutte le offerte della cultura di massa. Va bene la musica, il cinema, ma com’è possibile che al Giulio Cesare invitino Federico Moccia, con quello squallido film? Perché della cultura contemporanea bisogna offrire gli scarti? Il nostro appello punta a ottenere da chiunque vinca almeno una presa di coscienza». E se la politica si limitasse a fingere di ascoltarvi? «Molte cose si capiranno dalla scelta del ministro all’Istruzione. Se venisse nominato un intellettuale al di fuori degli schieramenti sarebbe un buon inizio. Altrimenti cercheremo il massimo dell’adesione al nostro appello per avere una voce più forte».


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il caso

Nuovi mestieri. I professionisti dell’antipolitica

La casta degli anticasta di Nicola Procaccini oro sono integri. Sono pericoloso del rifiuto alla parte- può sempre acquisinceri. Sono disinteres- cipazione politica. Nella mi- stare il dvd in vendisati. Sono dalla parte gliore delle ipotesi. Perché nel- ta sul sito di Grillo. della gente. Sono senza la peggiore si finisce ingenua- 10 euro e 20 centesipaura. Loro non sono come i mente col regalare trenta euro mi. D’altra parte, politici italiani. Perché sono: «i a Beppe Grillo. Grillo non è un poliprofessionisti dell’antipolitica». tico però ha fondato Per raccontare la casta di colo- Ad oggi, il comico genovese un movimento di liro che soffiano cinicamente sul resta ancora il campione indi- ste civiche che si fuoco dell’odio politico senza scusso della sua categoria. Una presenta in tutte le se e senza ma, non si può evita- vera e propria industria del- elezioni amminire di parafrasare la celebre de- l’antipolitica è stata tirata su da strative d’Italia. «Per finizione di Leonardo Sciascia. Grillo in questi anni. AttraverUna ventina di anni fa in un fa- so i suoi pungenti strali contro moso articolo per il Corriere la classe politica italiana tout della Sera, lo scrittore siciliano court, il nostro è riuscito a scrisi scagliava contro chi stava vere un copione di grande imspeculando sulla lotta alla ma- patto emotivo capace di coinfia per il proprio tornaconto volgere nei suoi spettacoli decipersonale. Era l’epoca di Leolu- ne di migliaia di persone, soca Orlando, delle trasmissioni prattutto giovani. Piccolo partidi Santoro e Costanzo. Ahimè, colare: il comizio di Grillo si era anche l’epoca di Paolo Bor- paga. Nel tour denominato sellino ingiustamente accusato «Reset» servono dai 20 ai 30 di carrierismo nel medesimo euro, a seconda se in tribuna o articolo. Ma non è di mafia e di in platea, più eventuali diritti di letteratura che si vuole qui trat- prevendita, per assistere alle tare, quanto piuttosto di come sue invettive contro i politici la- un Nuovo Rinascimento» si ci sia sempre stato in ogni pas- dri, ignoranti e crudeli. E che chiamano le sue liste, da non saggio di crisi sociale nel no- nessuno si azzardi a fargli del- confondersi con «La Lista Civistro Paese, qualcuno disposto le fotografie, durante i suoi ca dei Cittadini» fondata da un ad intraprendere delle opera- spettacoli a pagamento, perché altro «professionista dell’antizioni politiche, giornalistiche, gli uomini della sicurezza sono politica»: l’uomo che rivelò al persino commerciali per sfrut- estremamente solerti nell’inter- mondo lo scandalo di Italia – tare il momento storico, con ci- venire, intimando al malcapita- Camerun 1982, Oliviero Beha. nismo e determinazione. Oggi, to fan: «Il signor Beppe Grillo come allora, è nato un nuovo non è un politico, quindi, se non Ci fu un’aspra polemica fra i mestiere, trasversale alle pro- è autorizzato dall’organizza- due quando Grillo si dissociò pubblicamente dalfessioni ed alle la sottoscrizione ideologie, disposto del manifesto eleta nutrire il mostro, torale di Beha, a posenza remora alcuchi giorni dal famona. Una nuova caso Vaffa-day. Natusta sfida la vecchia anche ralmente casta. Tutto già viBeha ha un prosto. gramma politico Si pensava che la della serie «l’è tutto campagna elettoraun magna magna», le avrebbe distolto per un po’ «i profese lo certifica con ditipo sionisti dell’antipochiarazioni litica» dalla loro questa: «Ha ragiomissione, ma non è ne il Presidente Nacosì. E si tratta forpolitano in trasferta se del segnale più cilena: i parlameninquietante: quantari non sono “avidi Pancho Pardi arringa la folla del V-day do non ci si appasfannulloni” come siona nella sfida democratica zione non può fare fotografie». vengono rappresentati. Casotra opposte visioni del mondo, Che poi, se qualcuno non fosse mai, doveva precisare che i pardella società, e del futuro, ci si riuscito a procurarsi i biglietti lamentari non sono né avidi né consegna al nemico subdolo e per assistere allo spettacolo fannulloni, per non ingenerare

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In Italia, sono ormai in molti a cavalcare la tigre. Da Mario Giordano a Marco Travaglio, da Beppe Grillo ad Antonio Di Pietro, a Vittorio Feltri

l’equivoco che possano essere o avidi o fannulloni, distintamente». Incuriosisce che l’elenco dei sottoscrittori del manifesto di Beha sia anche l’elenco (quasi completo) dei «professionisti dell’antipolitica». C’è l’ex deputato verde Roberto Poletti, quello dell’inchiesta «Papponi di Stato» su Libero, di cui si è già scritto su questo giornale. C’è Pancho Pardi, vero e proprio fustigatore della politica italiana e del centrodestra in particolare, ma lestissimo ad approfittare della legge elettorale «porcellum» per entrare in Parlamento attraverso una posizione blindatissima nella lista Italia dei Valori. Ci sono Roberto Alagna e Peter Gomez che con Marco Travaglio rappresentano «il trio gre-no-li dell’antipolitica». C’è poi Elio Veltri che con Travaglio ha scritto a quattro mani «L’odore dei soldi» un libro inchiesta contro Berlusconi, ma che non si è lasciato benissimo con Antonio Di Pietro, vero e proprio braccio politico del professionismo antipolitico. In particolare Veltri (attraverso il libro di Beha “Italiopoli”) accusa l’ex ministro del governo

Prodi di aver usato il finanziamento pubblico all’Idv per pagare l’affitto della sede del partito al trio «an.to.cri». Dal nome della società immobiliare intestata ai figli di Di Pietro. Nonostante questo, il Tonino nazionale resta il politico più amato, o meno ingiuriato, dalla casta dei «professionisti».

Il caso Di Pietro meriterebbe un approfondimento perché racconta, forse meglio di qualunque altro, l’uso spregiudicato dell’antipolitica per un interesse personale. Politico, per la precisione. Iniziò diversi anni fa da magistrato ad abbattersi contro la classe dirigente italiana, cogliendo al volo l’occasione per sostituirsi ad essa e lasciando intatto, anzi favorendo, il convincimento che la sua prima attività fosse funzionale alla seconda. Conseguito il risultato, Di Pietro ha continuato con grande disinvoltura a cavalcare la tigre. Ed eccolo, l’altro ieri, come ai tempi del Tribunale di Milano, scagliarsi con la stessa foga dalle poltrone di Porta a Porta contro «i soliti po-


il caso

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Questa è la malattia, non la cura di Giancristiano Desiderio a Casta della Casta è l’Anticasta (da ora in poi tutto minuscolo). Appartengono all’anticasta coloro che si sono specializzati nella critica alla casta. Giornalisti importanti (ad esempio,Vittorio Feltri), giornalisti meno importanti (ad esempio, Mario Giordano), ma anche politici che un tempo furono antipolitici (ad esempio, Antonio Di Pietro) oppure umoristi che hanno perso il senso dell’umorismo (ad esempio, Beppe Grillo) e si potrebbe continuare ancora per un po’, ma ci siamo capiti. Anzi, per capirci meglio intendiamoci sull’essenziale: il libro stravenduto della premiata ditta Rizzo & Stella è cosa buona e giusta, perché la critica alla casta è sacrosanta. Alla casta bisogna tagliare le unghie, fare abbassare la testa e, soprattutto, impedirle sprechi e privilegi. Ma una cosa è la critica alla casta e un’altra cosa è il mestiere della critica alla casta, come una cosa è la lotta alla mafia e un’altra cosa i professionisti dell’antimafia di cui disse Sciascia. La regoletta è questa: come i professionisti dell’antimafia stanno alla lotta contro la mafia, così gli specialisti dell’anticasta stanno alla critica della casta.

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litici». Chiaramente dimentico della sua nuova professione. Se Di Pietro è il braccio politico, Marco Travaglio è certamente quello armato. Giornalisticamente, s’intende. I suoi libri vanno via come il pane, Gian Antonio Stella, al suo confronto è uno scrittore di belle speranze. Talmente cattivo (o talmente bravo) da essere odiato in egual misura da Fassino, D’Alema e Bertinotti come da Berlusconi, Fini e Casini,Travaglio ha disegnato su di sé l’emblema dell’antipolitica. Non si salva nessuno per lui, e nessuno merita fiducia. Ogni volta che è andato a votare (in spregio per il Cavaliere) non l’ha mai fatto senza allegare una dichiarazione della serie: «voto, ma mi turo il naso, che sia chiaro». D’altra parte Travaglio iniziò la sua carriera giornalistica con Indro Montanelli, e dunque non sorprende la sua attitudine all’autolimitazione olfattiva in occasione delle consultazioni popolari. In realtà, pochi sanno che la sua attività professionale non cominciò a Il Giornale, bensì al quotidiano cattolico Il Nostro

Tempo. In quella redazione lavorava con Travaglio un altro giovane apprendista destinato ad una brillante carriera giornalistica ed a seguirne, con diversi anni di distanza, la medesima linea editoriale: Mario Giordano.

L’attuale direttore de Il Giornale certifica, purtroppo, l’esistenza anche nel campo del centrodestra della stessa tendenza al qualunquismo, al mero perseguimento del dato di vendita. Piuttosto che arringare nelle forme e nei modi che preferisce i propri lettori, a pochi giorni dal voto politico nazionale, Giordano sceglie di abbandonare il proprio quotidiano tra le braccia dell’antipolitica più sguaiata. Pagine e pagine sulle case dei politici, gli af-

un paio di settimane dal voto! Non stupisce che nelle lettere pubblicate su Libero, due volte su tre, i lettori annuncino la loro intenzione di non andare a votare alle prossime elezioni. In conclusione, non sono convinto che «la gente» voglia tutto questo. E non credo sia giusto che gli vada servito l’odio civile sul piatto d’argento, se questo serve a vendere qualche copia in più del giornale. Sono dell’idea che non si debbano mai nascondere le magagne che la democrazia inevitabilmente porta con sé. Ma stando ben attenti a non dimenticare che la politica è un gioco delicato da cui dipende la nostra libertà. E che in nessuna nazione al mondo i tiranni concedono ai giornali la loro dichiarazione dei redditi. Il problema, forse, è che ha ragione Fernando Savater: «Oggi insegniamo ai ragazzi che la politica è corrotta, come se gli spiegassimo che un tostapane serve a carbonizzare il pane. Invece, bisogna spiegare che anche la democrazia ogni tanto si guasta, fa corto circuito e bisogna rimetterla in sesto». A questo serve la politica, a questo servono i giornali, a questo servono i libri.

L’odio civile non può essere servito su un piatto d’argento. La politica è un gioco delicato da cui dipende la nostra libertà fitti, le liquidazioni dei parlamentari tagliati, le dichiarazioni dei redditi, le auto, etcetera, etcetera. Nulla in confronto a Libero, di cui ci siamo già occupati. Da una settimana il giornale di Feltri non parla d’altro che dei meschini politici italiani. Tutti, senza distinzione, e ad

hoc. Non sa nulla, ma lo sa bene. Lo specialista presuppone infatti la specializzazione: come c’è il giornalista parlamentare, il giornalista sportivo, il giornalista di giudiziaria così c’è il giornalista specializzato in anticasta. Ciclicamente ritornano le inchieste sugli stipendi dei deputati, sulle pensioni d’oro, sui falsi invalidi. Certo, il male non sta nelle inchieste, ma negli sprechi e nelle truffe. Intanto, però, l’eccezione è diventata regola: l’anticasta come professione.

Il vertice dei vertici dell’anticasta non riguarda, però, il mondo dei giornalisti ma la politica stessa. È un fenomeno tipicamente italiano, perché solo in Italia poteva accadere che la casta figliasse l’anticasta restando casta. L’inventore di Mani Pulite è il campione del genere.Va a caccia di sprechi, fustiga i privilegiati, bastona il finanziamento pubblico dei partiti ma fa parte della casta. E’come se il padre dell’Italia dei Valori (con la maiuscola, prego) fosse iscritto sia alla casta sia all’anticasta. Un classico: con una mano si prende e con una mano si dà. E una lava l’altra. In pratica - e la pratica è tutto - il ministro delle Infrastrutture crede in due Valori che sembrano opposti ma che stanno insieme come due figure hegeliane o come Cip e Ciop: casta e anticasta. L’anticasta che nasce dalla casta è il termometro che misura la febbre all’Italia. Siamo una nazione in cui l’antipolitica è un valore, ma non come negazione della politica bensì come suo naturale prolungamento o “proletariato”. Non basta notare che l’antipolitica nasce contro la politica. Se si guarda meglio si vedrà che l’antipolitica nasce contro la politica ma dal cuore stesso della politica: in Parlamento, nei partiti, nelle coalizioni. Siamo una nazione che pensa di curarsi con la malattia.

Siamo una nazione in cui l’antipolitica è un valore, ma non come negazione della politica bensì come suo naturale prolungamento

L’anticasta è un mondo parallelo che ha i suoi privilegi, i suoi sprechi, i suoi tornaconti. L’anticasta è parassitaria: vive sulle spalle della casta (che vive sulle spalle del contribuente, e già questa è una tipica espressione da anticastista). L’anticasta non è, come potrebbe sembrare a prima vista, la negazione o il contrario della casta; piuttosto, è una casta al contrario. L’anticasta ragiona così: la casta c’è, bene, ma se non ci fosse andrebbe inventata per garantire l’esistenza dell’anticasta. Gli specialisti dell’anticasta somigliano un po’a quei docenti universitari per i quali è stata creata una cattedra ad


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politica d i a r i o

d e l

g i o r n o

Casini, sfida a Berlusconi «Per me è più importante sfidare Berlusconi perché questo consente di spiegare le ragioni del fatto che marciamo divisi in questa campagna elettorale. Colgo l’occasione per rilanciare la sfida a Berlusconi: dato che ritiene che il voto a noi sia inutile e continua a scagliarsi contro l’Udc, allora accetti un confronto sull’utilità del voto dove vuole lui, carta stampata, Radio o Tv». Così il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, ai microfoni di Rtl 102.5, ha risposto a una domanda sui confronti tv tra i candidati premier. «La parità di accesso ai mezzi di informazione è un elemento democratico - ha aggiunto - ed è assurdo che Veltroni, un tempo tanto a favore quando si trattava di giocarla come carta contro Berlusconi, oggi sia d’accordo proprio con il Cavaliere e cerchi di svuotarla o di avere il confronto con lui tagliando fuori gli altri. Veltroni dimostra che il vecchio vizio della sinistra, un certo doppiopesismo, è duro a morire. Io difendo la Par Condicio e continuerò a difenderla senza pentirmi».

Berlusconi: presto cordata italiana

Veltroni e Berlusconi si inseguono su chi promette di più

In volata sulle pensioni di Riccardo Paradisi

ROMA. «Abbiamo rotto il vento. È proprio come nelle corse in bicicletta: ora il Pd è in fuga e la destra insegue». Matteo Colaninno imprenditore prestato alla politica – è capolista del Pd in Lombardia – ha l’entusiasmo del neofita nell’immaginare le metafore da roteare nell’agone della campagna elettorale. Anche se questa immagine della rottura del vento e dell’inseguimento, pure acerba, rende bene il clima da gara alla volata in cui sono impegnati i maggiori attori di questa contesa elettorale. In palio da ieri c’è il gran premio delle pensioni: la sfida è a chi si aggiudica l’ultima battuta, a chi riesce a immaginare la promessa più attraente da fare ai pensionati. Stavolta è stato Veltroni (anche se il pdl rivendica il copyright della volata) a cominciare, a rompere il vento, come direbbe Colaninno, a proporre «Una mensilità in più per le pensioni fino a 25 mila euro e un assegno aggiuntivo più piccolo per quelle che arrivano a 55 mila».L´aumento del costo della vita, spiega il leader del Pd, è diventato insostenibile, specie per la fasce più deboli, «Dobbiamo garantire ai nostri pensionati un bonus annuale (la cosiddetta ”quattordicesima”) a quello gia’ varato dal governo Prodi. Lo possiamo erogare già il 1° luglio». Ma non c’è volata senza inseguimento. Il Pdl risponde a stretto giro e sulle pensioni rilancia con una sua proposta: la scala mobile, agganciata a quella dei

redditi da lavoro. A spiegare l’idea è Renato Brunetta esperto economico del Pdl: «si tratta, dice, di un pieno adeguamento semestrale, calcolato sull’inflazione del semestre precedente, all’aumento del costo della vita. L’aggancio ai redditi da lavoro avviene solo per un terzo, e il costo è di soli 2 miliardi di euro». ll leader di An Gianfranco Fini non fa mancare il suo contributo. Anche se, come sempre, ci tiene a distinguersi per realismo. «È impensabile, precisa, ripresentare un meccanismo quale la scala mobile, anche se, aggiuge subito dopo occorre prevedere un paniere per i pensionati». La scala mobile no.

Il Pdl propone la scala mobile, il Pd aumenti e quattordicesime. Poi piovono le solite accuse di avere copiato Il paniere si. Ma il paniere selettivo per i pensionati è la proposta avanzata da noi del Pd ieri, interviene Giorgio Tonini, responsabile economia Pd, che accusa Fini non solo di essere uno che copia (l’accusa rimbalza come in un aula di scuola media) ma di essere anche in contraddizione con i suoi alleati: «non vuole la scala mobile per i pensionati della quale ha parlato Brunetta». Ad essere d’accordo sulla scala mobile

per le pensioni è invece la sinistra arcobaleno. «Meglio un ritorno della scala mobile della proposta di Veltroni che è un intervento misericordioso che vale solo per un anno» dice Manuela Palermi, capogruppo Verdi-Pdci a palazzo Madama. «Ormai, dichiara sconsolato il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, è inevitabile che Berlusconi, dopo un ora che Veltroni aveva fatto le sue proposte, gli corra dietro. È una gara in cui di virtuoso non c’è nulla».

A Savino Pezzotta invece guardando questa campagna elettorale gli sembra «di andare alla fiera di mastro Andrea. Un giorno uno mi promette una nuova Alitalia, l’altro giorno uno mi promette più pensioni, domani qualcuno mi prometterà più salari. Sarebbe meglio promettere meno, e attrezzarsi un pochino di più». Chiede meno promesse anche Enrico Boselli candidato premier del partito socialista: «Berlusconi e Veltroni annunciano scale mobili e aumenti di centinaia di euro sulle pensioni ma devono cominciare a dire la verità e non possono continuare a promettere miglioramenti senza spiegare da dove si prenderanno tutti i soldi che servono. Non si può dire che verranno da tagli alla spesa pubblica. Non basta. Ormai sta diventando una gara a chi la spara più grossa». Che detto da uno che in questa campagna elettorale ha iscritto Gesù Cristo al Partito socialista italiano non è male.

«Alitalia, a giorni la cordata. Una importante banca assistera’ la cordata italiana. I miei figli? Non ci saranno». Silvio Berlusconi torna sulla vendita della Compagnia di bandiera e dice: «La cordata italiana non è qualcosa di campato in aria: ci sono alcuni nomi di imprenditori impegnati su questo fronte che non posso fare per dovere di riservatezza. Fra qualche giorno questi nomi saranno conosciuti da tutti, perché faranno certamente un’offerta impegnativa». Il Cavaliere aggiunge: «Chiederanno di avere tre o quattro settimane, Air France ha avuto sei mesi per conoscere la situazione reale. Quindi chiederanno di fare la loro due diligence e presentare una loro offerta impegnativa».

Maroni: niente pareggio al Senato «Non penso che si arriverà al pareggio, ci sarà una vittoria del PdL netta sia alla Camera che al Senato». Lo sottolinea il capogruppo della Lega alla Montecitorio, Roberto Maroni, interpellato sull’ipotesi di un pareggio tra Pd e PdL alle prossime elezioni. Maroni sottolinea quindi che ci sarà una grossa campagna elettorale «per vincere e stravincere nelle regioni del Nord».

Piepoli: Alitalia vale 800milavoti «Se sulla vicenda Alitalia si materializzasse la proposta avanzata dal Cavaliere - dichiara il sondaggista Nicola Piepoli ad Apcom - questo potrebbe aggiungere alle fila del Pdl circa 800mila voti. La sola proposta poi, a prescindere dall’esito, potrebbe comunque far avanzare il centrodestra di un punto percentuale, ovvero 400mila voti. Secondo le nostre ricerche, infatti, il 72% degli italiani caldeggia l’ipotesi di una cordata italiana e il 24% sarebbe addirittura disposto a partecipare a un prestito nazionale pur di salvare la compagnia di bandiera. Questo vuol dire che la vicenda ha un certo peso nell’opinione pubblica ed è inevitabilmente destinata a influenzare l’elettorato».

Montezemolo: molte promesse, ma chi paga? «Le imprese e chi lavora nelle imprese sono il motore della crescita. Per essere vincenti soprattutto nella grande competizione mondiale bisogna vivere in un sistema che metta le imprese al centro e le renda competitive con fisco e infrastrutture. La crescita la porta il mondo delle imprese». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Luca di Montezemolo, ai microfoni di Radio Luiss al termine del convegno dedicato dall’università romana all’“Italia Internazionale”. «La campagna elettorale è il periodo delle grandi promesse - ha aggiunto Montezemolo - tutti promettono di abbassare le tasse nessuno ci spiega dove si trovano soldi per abbassare le tasse, dove tagliare! Oggi c’è un 50 per cento di Paese che produce e un 50 per cento che non produce e, anzi, assorbe ricchezza altrui, questo è uno dei motivi per i quali l’Italia non cresce. Per crescere bisogna fare delle scelte».


politica

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Una canzone di protesta dei braccianti del Polesine del 1884 può essere assunta a metafora della crisi, delle insicurezze, delle difficoltà di reagire con cui scontriamo in questo 2008

L’Italia l’è malata di Aldo G. Ricci Italia l’è malata. Così suonavano le parole iniziali di una canzone di protesta del 1884 che i braccianti del Polesine cantavano nei primi scioperi per ottenere l’aumento della percentuale del prodotto loro assegnata. La canzone proseguiva: «Sartori l’è l’dutur». La Società di mutuo soccorso, guidata dal radicale Eugenio Sartori, assieme all’Associazione generale dei contadini italiani, diretta dall’ex garibaldino Francesco Siliprandi, sarebbero state, secondo gli scioperanti, il dottore dei mali dell’Italia. La lotta finì male, perché venne repressa nel marzo del 1885 e i suoi capi furono arrestati. Ma sette anni dopo sarebbe nato il Partito dei lavoratori italiani, ribattezzato Partito socialista nel 1895. Sarebbe poi cominciata l’età giolittiana, durante la quale lo Stato avrebbe rinunciato a intervenire nei conflitti sociali e il Partito socialista avrebbe potuto svolgere il suo naturale ruolo di progresso e di riforme, interrotto poi dal conflitto mondiale, dalla scissione comunista e dall’avvento del fascismo. Questo ruolo sarebbe poi ripreso, tra infinite scissioni, in questo dopoguerra, per concludersi agli inizi degli anni novanta, con la distruzione giudiziaria del partito, che ha continuato ad agonizzare negli anni successivi fino alla morte definitiva, decretata oggi dalla nascita del Partito democratico: una conclusione con cui gli ex comunisti hanno finalmente raggiunto un obbiettivo perseguito fin dal 1921 e al quale ha anche contribuito la vocazione suicida della pattuglia superstite del socialismo.

L’

Sono passati più di cento anni da quando i contadini del Polesine cantavano la loro protesta e l’Italia, dopo aver conosciuto lunghi periodi di progresso economico e sociale, dagli anni cinquanta alla fine degli anni ottanta, oggi è di nuovo malata. È un Paese in piena recessione economica, dove si investe poco e i settori all’avanguardia sono pochi e circoscritti ad alcune aree geografiche. È un Paese con gli stipendi più bassi d’Europa e con degli ammortizzatori sociali pressoché inesistenti. Per non parlare degli aiuti alla famiglia, termine onnipresente nelle manifestazioni di vario tipo, ma quasi assente nella legislazione fiscale. È il Paese dove l’energia ha i costi più elevati; ha la benzina più cara d’Europa e dipende dagli approvvigionamenti dall’estero per la più piccola briciola d’energia. La chiusura delle centrali nucleari per referendum, alla luce della situazione attuale e delle importazioni della stessa energia da paesi a pochi chilometri da noi, potrebbe apparire una barzelletta se non fosse una drammatica realtà.Alla minima chiusura del rubinetto di un emirato o di un boss mafioso russo, il nostro sistema paese rischia il black out. È un Paese con un sistema scolastico in uno stato di profonda crisi, tormentato da riforme risibili e per lo più inapplicate.

Sondare gli abissi di impreparazione degli studenti di ogni ordine e grado, come capita spesso per motivi professionali a chi scrive, è una esperienza che oscilla tra il comico, il drammatico e l’avvilente. Soprattutto se si pensa al ruolo che la preparazione svolge e ancor più svolgerà nel mondo a sempre più elevata competizione in cui viviamo. L’Italia è un Paese dove la giustizia è una parola vuota. Perché quando un capo mafioso condannato viene rilasciato perché

dorante goccia su un vaso traboccante di liquami di ogni genere. È un Paese che non riesce a trovare un punto di equilibrio tra la precarizzazione dilagante del lavoro giovanile e la rigidità assoluta del lavoro dipendente garantito. L’esperienza lavorativa nella Pubblica Amministrazione dimostra a chiunque voglia provarla che chi lavora lo fa solo per passione o sopravvivenze di senso civico, ma non certo per meccanismi oggettivi o incentivi al merito. È un Paese che

Se la politica non riassume il suo ruolo guida, qualcun altro lo farà al suo posto, e la storia ci insegna che i succedanei della politica sono per lo più peggiori della politica stessa dopo otto anni le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate, allora forse c’è qualcosa di sostanziale e non di accidentale su cui riflettere. Perché, senza entrare nel vortice delle accuse alla magistratura politicizzata, quando si verifica che vi sono cinque milioni di processi penali pendenti e tre milioni di processi civili, come ha ricordato Ernesto Galli della Loggia in un suo recente editoriale sul Corriere, vuol dire che parlare di giustizia è un puro esercizio retorico. È un Paese dove oltre un terzo della popolazione, per intenderci quello che costituiva il vecchio Regno delle Due Sicilie, vive su un territorio dove la malavita organizzata esercita un controllo ben più efficace di quello dello Stato. L’emergenza rifiuti in Campania è solo l’ultima e più maleo-

avverte un profondo senso d’insicurezza, legato anche alla sensazione, in parte fondata, di trovarsi impreparato di fronte alle ondate immigratorie provenienti da Paesi che non esercitano alcun controllo su quanti lasciano il loro territorio. Le mafie dell’Est e il radicalismo islamico sono ovviamente i casi più eclatanti. Gli attacchi borbonici, leghisti e clericali, in occasione del bicentenario della nascita, a un puro mito nazionale che il mondo ci invidia, come Giuseppe Garibaldi, non sono qualcosa di occasionale, ma il sintomo di un malessere profondo. L’Italia, infatti, è soprattutto un Paese in uno stato di profonda crisi morale e civile, insicuro di sé e del proprio futuro. Che si aggrappa all’Europa non tanto perché ci creda, ma perché è convinto, e probabilmente non a

torto, che senza questo salvagente andrebbe rapidamente a fondo. È un Paese inchiodato a una Costituzione nata dalle paure del dopoguerra, con un esecutivo debole, un capo del governo privo dei poteri che ogni democrazia moderna gli attribuisce, un lentissimo bicameralismo perfetto. Per di più impastoiato in una legge elettorale che rischia ad ogni appuntamento cruciale di restituirci un parlamento privo di maggioranze.

La conclusione è semplice a parole quanto difficile nei fatti. Chiunque vinca le elezioni, ammesso che ci sia un vincitore pieno, oltre a governare la quotidianità, dovrà aprire un periodo costituente che coinvolga anche l’opposizione, per mettere mano insieme a una serie di profonde riforme, facilmente intuibili dal quadro sopra delineato. Potrebbe apparire retorica delle buone intenzioni di cui è ricco, a volte, il campo elettorale prima delle urne, ma è in realtà il vero imperativo categorico per il dopo elezioni. Il movimento dei braccianti dell’ottocento era chiamato «la boje», perché la loro parola d’ordine era «la boje, la boje e de boto la va fora»; vale a dire «bolle, bolle e di colpo trabocca». È una immagine che si adatta anche all’Italia di oggi, perché il Paese è come una pentola in ebollizione. Se la politica non riassume il suo ruolo guida, qualcun altro lo farà al suo posto, e la storia ci insegna che i succedanei della politica sono per lo più peggiori della politica stessa, anche di quella deprimente alla quale gli ultimi tempi ci hanno abituato.


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L’ITALIA AL VOTO

La comunicazione politica sotto esame

lessico e nuvole

Leghisti come gli Indiani

Le posizioni di Daniela e Alessandra di Giancristiano Desiderio

di Arcangelo Pezza La Padania è un po’come le praterie del Nord America, specie in quel tratto che va da Gallarate a Vanzaghello. Sconfinati scenari di bisonti in corsa, canyon imponenti, le rapide del Rile che quando esonda e spaglia infradicia le strette vie di Cassano Magnago. Terra di frontiera. Nella piazza della chiesa di San Giulio ancora si sentono gli echi degli ultimi duelli alla pistola. Di quando gli invasori presero il potere e le lotte tra banditi e sceriffi incendiavano corruschi mezzogiorni di fuoco. Ma prima? Prima che arrivassero i cowboy-immigrati, questa splendida rigogliosa pianura era abitata dagli autoctoni, indiani nomadi che seguivano le orme del lupo e della gallina, gli indiani padani colle loro tipiche tende a cono e le mocassino in pelle di Tods, gli indiani celti nei loro rumorosi suv bmw, gli indiani leghisti coi loro dialetti variegati («Ti te è? Mi à ò. Ciula a ò da egnì no?» – «Tu vai? Io vado. Urca non devo venire?»), gli indiani legaioli col telaio in spalla, i dané in saccoccia, i tipici foulard verdi, gli indiani bustocchi col baffo e il cagnolino al seguito. Poi vennero gli immigrati. I cowboy. Vennero a milioni da un nuovo mondo e nonostante la saggezza del gran capo indiano, Bossi Seduto, nonostante il coraggio di Geronimo

Calderoli, nonostante l’abilita di Bobo Nuvola Gialla, nonstante la giovinezza intrepida di Marco Alce Nera Reguzzoni, le tribù indiane vennero sconfitte. Alcuni di loro furono comprati con pessimo whisky, altri combatterono per anni sulle alture della Val Cuvia, i più coraggiosi in campo aperto al pratone di Borsano, dove un tempo il loro più celebre avo, Alberto Bisonte da Giussano aveva sconfitto il Capo Sioux Barbarossa. Ora i pochi rimasti vivono nella riserva zoo safari di Varallo Pombia insieme a leoni e gazzelle.Talvolta di domenica i nuovi padroni coi loro bambini vanno a trovarli. Qualcuno gli lancia noccioline.

«Veltroni parla a vanvera» dice Silvio. Il guaio è che non è l’unico. Giovanna Melandri ha detto: «Porteremo in Parlamento 130 donne». Già, ma come, orizzontali o verticali? La differenza è stata introdotta da Daniela. Daniela? Santanché. Ah, vabbé. Ha detto: «Un solo voto è inutile per le donne italiane. E’ quello a Silvio Berlusconi, che vede noi donne sempre in posizione orizzontale e mai verticale». L’agenzia di stampa, con umorismo involontario o forse malizioso, ha precisato: «Daniela Santanché ribadisce a Napoli la sua posizione rispetto al leader del Pdl Berlusconi». Ma, posizione per posizione, la Mussolini è categorica e senza velata ironia: «Per decenza la Santanché è l’unica a non dover aprire bocca sull’argomento poiché rappresenta la perfetta incarnazione della donna politicamente orizzontale». Vanvera per vanvera, la Santanché ci ha dato sotto. Così ha esordito a Napoli in occasione della presentazione del programma del partito: «Se fascista significa essere contro l’egemonia della sinistra e a favore della cacciata dall’Italia degli immigrati clandestini, allora lo sono, come Papa Ratzinger e il cardinale Ruini». Tutta la Chiesa arruolata in un sol colpo. Non era riuscito a nessuno. Neanche a Lui.

Non vi fidate dei sondaggisti? Fate bene. Meglio fare la ”media”, per sbarazzarsi di errori e propaganda

Il sondaggio dei sondaggi la media di oggi Demosk. Ipsos Dinamic. Gipieffe Lorien Digis Swg 25 marzo

24 marzo

20 marzo

20 marzo

20 marzo

20 marzo

20 marzo

Pdl+Lega

Centro

Pd+Idv

Sin-Arc

Destra

Socialisti

44,4

6,3 (=)

37,2

(+0,5)

7,0

(-0,1)

2,0

(-0,4)

1,2

46,0 44,8 44,1 43,4 44,4 45,6 43,0

6,0 6,0 6,3 7,7 7,1 6,0 5,5

37,5 38,3 36,8 36,4 35,2 38,4 38,0

7,0 6,5 7,5 7,3 7,2 6,3 7,5

2,0 2,1 2,0 2,4 2,0 1,7 2,5

1,0 0,7 1,3 1,2 1,3 1,0

(+0,3)

(=)

La “media di oggi”è calcolata sugli ultimi sette sondaggi di istituti diversi. Queste le coalizioni presunte: PdL con Lega e Mpa, Pd con Idv e Radicali, Udc con Rosa bianca, Destra e Socialisti da soli. La data è relativa all’ultimo giorno in cui è stato effettuato il sondaggio.

di Andrea Mancia Tre nuovi sondaggi pubblicati ieri. Il primo è di Dinamiche (20 marzo). Rispetto all’ultimo sondaggio dello stesso istituto di ricerca (11 marzo), la coalizione guidata da Berlusconi cresce dello 0,2%, mentre quella guidata da Veltroni ha una flessione dello 0,1%. Il vantaggio di PdL+Lega su Pd+Idv sale dunque dal 7% al 7,3%. I due punti decimali persi dalla Sinistra Arcobaleno (dal 7,7% al 7,5%), sono guadagnati dall’Udc che sale dal 6,1% al 6,3%. Leggero calo anche della Destra (dal 2,4% al 2%). Non registrato il dato dei Socialisti. Il secondo sondaggio è quello Demoskopea (25 marzo). Rispetto al 17 marzo, la coalizione di Berlusconi resta stabile al 46% (il mezzo punto perso dal PdL è recuperato dalla Lega),

mentre quella di Veltroni passa dal 37% al 37,5%. Il vantaggio di PdL+Lega su Pd+Idv, dunque, scende dal 9% all’8,5%. Cala dello 0,5% la Sinistra Arcobaleno (7%), mentre l’Udc resta stabile al 6%. Flessione per la Destra (dal 2,5% al 2%) e crescita dei Socialisti (dallo 0,5% all’1%). L’ultimo sondaggio è quello Ipsos per Ballarò (24 marzo). Rispetto alla scorsa settimana, crescono leggermente (+0,2%) sia la coalizione guidata da Berlusconi (44,8%) che quella guidata da Veltroni (38,3%). Il distacco, dunque, resta invariato al 6,5%. Sa (-0,2%) e Udc (+0,1%) restano invece su livelli più bassi della media, mentre i due punti decimali guadagnati dalla Destra (2,1%) sono persi dai Socialisti (0,7%).


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L’ITALIA AL VOTO ROMA. La grande assente di questa campagna elettorale è la bioetica, sono i temi eticamente sensibili dei quali, si dice, è bene non entrino nel dibattito politico. Di questi temi liberal continua a parlare ascoltando stavolta il parere della professoressa Maria Luisa Di Pietro, presidente dell’associazione “Scienza e vita”. Professoressa Di Pietro, perché secondo lei la politica italiana preferisce non affrontare i temi eticamente sensibili? Le ragioni di questa oggettiva rimozione non riesco a spiegarmele. Anche perchè è molto difficile distinguere tra temi eticamente sensibili e temi che non lo sono. Tutto quello che facciamo della nostra vita, se procede da una scelta responsabile, ha una valenza etica. Stiamo parlando di temi che riguardano la vita delle persone ignorarli è impossibile. Voglio fare un esempio: il problema della prevenzione della sterilità. È un tema che ha a che fare con la salute e le scelte personali ma chi può pensare che sia un tema che deve stare fuori dalla politica? E poi sa qual è il primo fattore di rischio sterilità? Quale? È il concepimento in tarda età. Da questo dato si capisce che non stiamo parlando di questioni private, ma di un fatto sociale rilevantissimo che rigurda la politica della casa, la politica dell’occupazione giovanile, la politica per la famiglia, le politiche sul lavoro femminile, le politiche ambientali. Ora le diverse risposte che si possono dare a un problema come questo non possono eludere le posizioni etiche di partenza, non possono prescindere, come dicevo, da quale visione si ha dell’uomo. Da cosa si ritiene o no prioritario. A proposito di visioni dell’uomo e di etica. Chi sostiene la liceità dell’aborto e dell’eutanasia, a voler prendere due questioni che sono legate all’inizio e alla fine della vita umana, parla di diritto all’autodeterminazione individuale. Prendiamo la questione del fine vita: io non credo che il problema sia il testamento biologico o l’autodeterminazione del paziente. Credo invece che il quesito principale da porre sia un altro: quale impegno vuole avere la nostra società verso persone che sono in situazioni di malattia croniche o terminali? Come vuole ripartire lo Stato i soldi nella sanità per fare fronte a questa sfida? Come dovrebbe farlo secondo lei? Lo Stato insista sul finanziamento alle regioni e implementi in tutta Italia il livello di assistenza ai malati terminali nei reparti di lunga degenza, anche consentendo possibilità di assistenza a livello domiciliare con una migliore organizzazione del servizio. Finanziamenti a questo scopo sono stati dati nell’ultima legislatura. Non tutte le regioni li hanno utilizzati? Siamo di fronte a una realtà a macchia di leopardo: le cose in questo ambito sembrano funzionare meglio in Lom-

La legislatura bioetica. Le previsioni degli esperti/2 Maria Luisa Di Pietro

L’aborto si combatte educando l’affettività colloquio con Maria Luisa Di Pietro di Riccardo Paradisi

Per Maria Luisa Di Pietro, presidente dell’associazione ”Scienza e vita”, sull’aborto si dovrebbe fare un gran lavoro di prevenzione affinché tutti i concepiti arrivino alla nascita. La sessualità è un modo di vivere la propria esistenza

«I giovani mancano di un’educazione al saper aspettare e progettare. Non si tratta di fare scelte laiche o cattoliche, ma di impegnarsi in un progetto educativo» bardia, Emilia Romagna, Piemonte. Ma si deve arrivare a un livello di efficienza omogenea in tutta Italia. Per impegnarsi in una politica di questo tipo occorre però una visione ben precisa del vivere e del morire. Che intende dire? Per ritenere urgente un piano di intervento sulla cura e l’assistenza dei morenti significa pensare che la vita è sempre degna di essere vissuta, che l’eutanasia non è una soluzione. D’altra parte se l’assistenza ai malati terminali venisse davvero garantita, aiutando le loro famiglie, sostenendole materialmente e psicologicamente, se dunque la situazione cambiasse ci sarebbe meno disperazione, meno volontà di eutanasia. Stesso discorso si potrebbe fare secondo lei sull’aborto? Certo, anche qui si dovrebbe fare un grande lavoro di prevenzione affinché tutti i concepiti arrivino alla nascita. Ma per questo non basta un accompagnamento culturale, occorre un sostegno alle donne in difficoltà, sostegno concreto alla maternità e alle famiglie, alle gra-

vidanze difficili, alle disabilità croniche. Se manca questa rete di sostegno umano ed economico le scelte politiche servono a poco. Per prevenire l’aborto alcuni propongono una maggiore educazione sessuale e una più larga diffusione degli anticoncenzionali. La sessualità non è solo l’attività genitale, ma un modo di vivere la propria esistenza e di relazionarsi con le cose che ci stanno intorno. D’altra parte oggi si parla di educazione in termini di istruzione ma anche questa è un’idea riduttiva di educazione. Lo dimostra il fatto che i ragazzi, al contrario di quello che si dice, sono bene informati sugli anticoncezionali mentre mancano di un’educazione all’affettività, al senso del tempo, al saper aspettare e progettare. Non si tratta di fare scelte laiche o cattoliche ma di impegnarsi in un progetto educativo. Un tema che divide e dividerà nella prossima legislatura è la pillola del giorno dopo. Non è una pillola abortiva sostiene chi chiede possa

essere facilmente reperita e prescritta. Se ci fosse la sicurezza che non è una pillola abortiva allora perché il comitato nazionale di bioetica ha chiesto che venga tutelato il diritto all’obiezione di coscienza per i medici a cui è richiesta la prescrizione? C’è stato un referendum indetto in nome della libertà di ricerca per modificare la legge che disciplina la fecondazione eterologa e la ricerca sugli embrioni. È una battaglia che malgrado la sconfitta referendaria molti settori della cultura e della politica italiana non cesseranno di combattere. Non si riesce a capire per quale motivo gli stessi che ritengono quella sull’aborto una legge immodificabile vogliano assolutamente mettere mano alla legge 40 che è molto più recente. Inoltre come si fa a parlare di libertà di sperimentazione sugli embrioni senza interrogarsi sulla possibilità che siano esseri umani? E per quanto riguarda gli embrioni soprannumerari e crioconservati? Si può fare sperimentazione, dal mio punto di vista, una volta che l’embrione è stato dichiarato morto. Ma allo stato attuale non ci sono sistemi per certificare la morte di un embrione.


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mondo

Le scuse del primo ministro Rudd alla comunità non accontentano il Paese. L’accusa? È solo propaganda

Un Welfare per gli aborigeni di Adam Creighton a quest’anno l’Australia è ufficialmente fra i Paesi più ricchi del mondo, non teme recessioni come Europa e Usa e ha un indice di crescita economica ininterrotta da 17 anni, con una valuta arrivata ai massimi da 23 anni, un tasso di disoccupazione intorno al 4 percento e retribuzioni settimanali che sono del 20 percento più elevate rispetto a quelle di Stati Uniti e Gran Bretagna. Un benessere che non ha minimamente toccato il mezzo milione di aborigeni - vale a dire i discendenti degli abitanti originari dell’Australia - che vivono nel Paese. L’aspettativa di vita dei maschi aborigeni non arriva ai 61 anni ed è più bassa che in Cambogia, anche se in totale la speranza di vita in Australia è più alta di quella della Svizzera. La tubercolosi e l’epatite sono rispettivamente 5 ed 8 volte più diffuse fra gli aborigeni che fra la popolazione bianca australiana. Le probabilità che gli aborigeni si suicidino o finiscano in prigione sono rispettivamente 3 e 15 volte più elevate rispetto alla popolazione bianca australiana. Ma persino queste allarmanti statistiche non forniscono un quadro completo della vita che si conduce nelle lontane città aborigene dove vivono fino al 50 percento degli aborigeni australiani. Nel maggio 2006, il Crown Prosecutor della regione del Northern Territory, Nannette

D

Rogers, ha denunciato l’esistenza di condizioni al limite della sopportabilità. Stupri, violenze ed abusi perpetrati nei confronti di bambini e neonati sono ordinaria amministrazione. L’abuso di sostanze tossiche (i bambini sniffano gasolio e benzina con conseguenti danni cerebrali) e l’illegalità generalizzata hanno portato ad un tasso di omicidi in Australia centrale (dove vive la maggior parte degli aborigeni) 10 volte superiore a quello della media nazionale, e le probabilità che le donne aborigene siano ricoverate in ospedale a causa delle violenze domestiche subite è

una parte dell’intellighenzia del Paese e i media si battono per ottenere delle scuse nazionali nei confronti degli aborigeni. E finalmente il mese scorso le scuse sono arrivate, per bocca del nuovo primo ministro, il leader del partito laburista Kevin Rudd. «Ci scusiamo per le leggi e le politiche adottate dai vari parlamenti e governi che hanno inflitto profondi dolori, sofferenze e perdite alla popolazione aborigena» ha affermato Rudd.

Ma Rudd si è scusato per le «generazioni perdute», un’espressione che fa riferimento alle migliaia di bambini aborigeni

delli della cultura occidentale». Scusarsi per questo orrore è un passo importante, ma se il governo oggi vuole veramente aiutare gli aborigeni deve andare oltre le scuse simboliche e adottare politiche pratiche e risolutive nei loro confronti: integrarli nella grande famiglia della società australiana e arginare le patologie sociali ed economiche che affliggono molte città aborigene. I segnali non sembrano tuttavia andare in questa direzione. Il governo, sin da quando nel 1967 ha ottenuto il potere costituzionale di legiferare per gli aborigeni, ha effettivamente fornito sussidi a centinaia di mi-

L’aspettativa di vita maschile non arriva ai 61 anni ed è più bassa che in Cambogia. La tubercolosi e l’epatite sono rispettivamente 5 ed 8 volte più diffuse fra loro che fra la popolazione bianca. Il tasso dei suicidi è elevatissimo 52 volte più elevato rispetto alle donne bianche. Nel giugno 2007, la situazione aveva raggiunto tali «gravi livelli di depravazione e disperazione», per usare le parole del ministro degli Affari Esteri, Mal Brough, che il governo di centro-destra dell’ex premier John Howard inviò i militari per ripristinare l’ordine sociale. Di certo, il fatto che esista una situazione tanto esecrabile in un Paese così ricco merita delle scuse - scuse vere e sentite - accompagnate da azioni pratiche per arginare il circolo vizioso di povertà e violenza. Sono anni che

che fra il 1910 ed il 1970 furono strappati alle loro famiglie dal governo australiano ed affidati alle parrocchie o a famiglie adottive bianche in nome di una distorta concezione del multiculturalismo e dell’integrazione. Per usare le parole del rapporto governativo Bringing them home (Riportarli a casa) «l’obiettivo principale che spingeva a strappare questi bambini aborigeni alle loro famiglie era l’assimilazione degli stessi nella più vasta comunità non-aborigena affinché i loro valori e le loro identità culturali scomparissero, lasciando il posto ai mo-

nuscole e remote comunità. Ha fornito cospicue prestazioni sociali e previdenziali senza che esse fossero condizionate ad un’effetiva occupazione: il tasso di partecipazione al mercato del lavoro fra gli aborigeni è quasi la metà di quello della comunità bianca. Ha impedito l’accesso di comunità remote ai non aborigeni, richiedendo permessi ed autorizzazioni all’ingresso concessi dagli “anziani” locali. Ha messo a repentaglio l’insegnamento dell’inglese nelle scuole più isolate, provocando un tasso di analfabetismo di quasi l’80 percento fra i giovani aborigeni

e lasciando molti nella condizione di non parlare inglese.

Nel 1938, due aborigeni della Aborigines Progressive Association pubblicarono un appello a favore dell’assimilazione e della parità di trattamento: «Non vogliamo essere trattati con compassione - hanno scritto - o essere tutelati al pari dei koala come specie in via di estinzione o esibiti come pezzi da museo; al contrario chiediamo la vostra effettiva solidarietà e comprensione per la nostra piaga. Non vogliamo essere “studiati” da scienziati e antropolgi.Tutti questi sforzi a nostro giudizio sono sprecati. Non desideriamo tornare all’età della pietra. Chiediamo di insegnare al nostro popolo a vivere nell’età moderna, come cittadini moderni. Il nostro popolo è molto abile ed impara rapidamente. Perché ci condannate deliberatamente relegandoci in una situazione di arretratezza?». Il Primo Ministro Rudd si è scusato per il trattamento riservato in passato agli aborigeni. Un gesto importante. Ma adesso dovrebbe scusarsi per come vengono trattati oggi e rimediare veramente, mettendo in campo politiche protese alla loro integrazione - proprio come proponevano quei due aborigeni nel lontano 1938. Adam Creighton è uno studioso del Commonwealth presso il Balliol College di Oxford


mondo

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Desmond Tutu piccona l’intera classe dirigente dell’Anc

Tutti contro tutti nel partito di Mandela di Raffaele Cazzola Hoffman

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Iraq, ultimatum di Maliki ai miliziani Al secondo giorno di battaglia contro le milizie sciite, con un bilancio ancora incerto tra i 40 e i 60 morti e centinaia di feriti, il premier iracheno Nuri al Maliki ha dato 72 ore agli insorti di Bassora per arrendersi e consegnare le armi, ma il leader radicale sciita Moqtada Sadr, che comanda i miliziani dell’ Esercito del Mahdi, ha sprezzantemente risposto invitandolo a andarsene dalla città. La situazione è molto tesa, anche a Baghdad. Secondo l’emittente Tv panaraba al Arabiya, aerei americani hanno intanto bombardato zone vicine al confine iraniano, a nord-est di Bassora, proprio per interrompere il contrabbando di armi dall’Iran destinte ai miliziani sciiti.

Antartide, si stacca ghiacciaio di 400 kmq

Eroe della lotta antiapartheid, discendente da famiglia reale, Nelson Mandela ha trascorso 27 anni in carcere. Le sue idee e battaglie hanno cambiato il Paese beki è un’anatra zoppa e non se la passa troppo bene. Zuma può finire in carcere e Motlanthe sta tramando nell’ombra». Il quadro fatto dal veterano dei politologi del Sudafrica, Allister Sparks, è poco lusinghiero per l’African National Congress, il partito che sotto la guida del mitico Nelson Mandela ha posto fine alla lunga era dell’apartheid nella punta meridionale del Continente nero. Ma è anche molto realistico. E soprattutto spiega perché l’altro personaggio simbolo della liberazione sudafricana, l’arcivescovo Desmond Tutu, abbia ormai assunto i panni del “picconatore” contro l’intera classe dirigente dell’Anc. È lo stesso segretario generale a ritenere che la leadership del partito non sia estranea ai tentativi di corruzione avvenuti durante le primarie per il rinnovo dei quadri dirigenti a dicembre. Un radicale rinnovamento morale dell’Anc e un invito agli iscritti al partito a «non scegliere qualcuno di cui la maggioranza potrebbe in seguito vergognarsi», questa la soluzione di una crisi che non è ancora esplosa del tutto. Una feroce guerra di potere tra Il presidente sudafricano Thabo Mbeki, il nuovo capo del partito Jacob Zuma e Kgalema Motlanthe, vicepresidente ed eminenza grigia dell’Anc, è infatti in vista. Il secondo mandato di Mbeki alla guida del Sudafrica scadrà nel marzo 2009. Quindi, come da manuale, il presidente è già un’«anatra zoppa». A renderlo un’«anatra

«M

È scontro aperto tra il presidente Mbeki, il nuovo capo dell’African national congress Zuma e l’eminenza grigia Motlanthe politicamente morta» ci ha pensato il colpo di grazia ricevuto dal suo “eterno secondo”, Jacob Zuma. Nonostante le ambiguità e i processi in cui è rimasto coinvolto (alcuni per corruzione e addirittura uno, poi finito con una discussa archiviazione, per violenza sessuale), Zuma è riuscito a sconfiggere Mbeki nelle primarie dell’Anc.

In tal modo il presidente in carica non ha potuto mettere bocca sulla designazione del suo successore e appena due settimane dopo le primarie ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte, sostenendone la scontata designazione. A sua volta Motlanthe, un personaggio che da molti anni controlla nell’ombra la macchina organizzativa del partito, ha abbandonato le retrovie per farsi avanti e, forte dell’aperto appoggio di Zuma che lo aveva proposto a ministro nell’ultima fase del secondo governo Mbeki, ha reclamato posti di maggiore visibilità. I motivi di tanta premura da parte di Zuma verso Motlanthe sono presto detti. Politico dalle mille relazioni e dalle infinite risorse (la vittoria nelle primarie è giunta grazie al fatto che negli ultimi anni, mentre Mbeki si dedicava al governo, ha

preso il controllo della grande maggioranza degli iscritti e ha ottenuto l’appoggio dello stesso Mandela per il quale è proprio lui l’uomo giusto per «ridare unità al partito»), il nuovo leader dell’Anc vive sotto il peso di una “spada di Damocle”giudiziaria. Processi che potrebbero spazzarlo via in qualsiasi momento. Di qui la necessità, in un governo nel quale Mbeki cinque anni fa era riuscito a piazzare nei ministeri chiave solo uomini a lui fedeli, di far entrare nella compagine di governo Motlanthe, probabilmente l’unico in grado di evitare che Mbeki, la costituzione vieta un terzo mandato presidenziale, possa rientrare nei giochi per la designazione del suo stesso successore. In un Paese nel quale governo e Anc sono di fatto la stessa cosa, la guerra di potere interna al partito di maggioranza riguarda, inevitabilmente, la vita dell’intero Sudafrica. Non è dunque un caso che lo scontro tra le anime dell’Anc abbia raggiunto il suo culmine proprio in un periodo difficile per il Paese. Sul piano economico si sta profilando infatti una pericolosa crisi energetica con il Sudafrica costretto ad acquistare il 75 per cento dell’energia prodotta dal vicino Mozambico. Su quello istituzionale, invece, sta pericolosamente scricchiolando l’equilibrio democratico tra i poteri creato da Mandela. La cartina di tornasole è stato il recente annuncio da parte del governo di voler sciogliere un’unità anticrimine speciale denominata «Scorpions» molto attiva proprio su Zuma.

Un pezzo di ghiaccio grande 400 chilometri quadrati è collassato nella parte occidentale dell’Antartide. A renderlo noto gli scienziati del National Snow and Ice Data Center di Boulder, in Colorado, precisando che il fenomeno - cominciato il 28 febbraio scorso - è stato ripreso dai satelliti ed è stato “straordinario” anche perché «non capita tutti i giorni di veder collassare un pezzo di ghiaccio grande sette volte Manhattan». A staccarsi dal continente antartico e a finire in mare è stato il cosiddetto Asse di Wilkins, un’area della parte occidentale dell’Antartide che gli scienziati avevano già dato per persa. Ritenevano però che il disastro sarebbe avvenuto tra quindici anni. Il fenomeno è stato fotografato e ripreso con un video da un aereo mandato appositamente sul posto. L’asse di Wilkins esisteva almeno da 1500 anni.

Ministri Ue parleranno del Tibet La riunione informale dei ministri degli esteri Ue, prevista questo fine settimana in Slovenia, «sarà l’occasione per uno scambio di opinioni» sul Tibet. Lo ha affermato il segretario di Stato sloveno per gli affari esteri Janez Lenarcic, presidente di turno dell’Ue, nella replica al dibattito dedicato alla crisi tibetana al Parlamento europeo.

Germania: energia, un bene primario. Il presidente del Partito Liberal democratico tedesco (Fdp), Guido Westerwelle, ha lanciato una proposta che potrebbe scatenare nuove polemiche sul fronte del mercato energetico mitteleuropeo: secondo Westerwelle, l’energia è il «pane del ventunesimo secolo» e deve pertanto essere caricata di un’Iva al 7 percento come i beni di prima necessità.

Sarkozy allo stadio dell’Arsenal La visita a Londra del presidente francese, Nicolas Sarkozy, inizia dallo stadio “Emirates” dell’Arsenal, dove ad accoglierlo, insieme al premier Gordon Brown, ci sarà il simbolo della nuova entente cordiale, Arsene Wenger, il tecnico della squadra di calcio inglese che ha costruito un impero transnazionale sul denaro britannico e sul talento francese. La cooperazione in materia di immigrazione ed energia nucleare e il rafforzamento delle truppe d’oltralpe in Afghanistan saranno invece i temi nell’agenda dei colloqui tra i due leader politici.

Usa 2008, parentele a sorpresa Parentele a sorpresa per gli aspiranti alla presidenza Usa: Barack Obama è lontano cugino di Brad Pitt e l’ex first lady ha antenati in comune con Angelina Jolie. Uno studio della New England Historic Genealogical Society (Nehgs), di Boston, ha studiato l’albero genealogico dei tre aspiranti alla Casa Bianca, rivelando bizzarre parentele. La Clinton, che ha ascendenze franco-canadesi da parte della famiglia della madre, è parente di una serie di vip con antenati franco-canadesi: è infatti lontana cugina di Celine Dion, di Madonna, della duchessa di Cornovaglia, Camilla Parker Bowles, e persino di Jack Kerouac, lo scrittore della beat generation. Obama, figlio di un agricoltore del Kenia e di un’anglosassone del Kansas, può vantare parentele con 6 ex presidenti Usa: Gerald Ford, Lyndon B. Johnson, Harry Truman, James Madison e persino dei Bush, tanto padre che figlio. Non solo: tra le altre parentele famose del senatore afroamericano, l’attuale numero due della Casa Bianca, Dick Cheney, l’ex premier britannico Winston Churchill e Robert E.Lee, il generale più celebre degli eserciti confederati. Sul fronte repubblicano, McCain è cugino di sesto grado dell’attuale first lady, Laura Bush. E basta? Sì, perché spiega Christopher Child, uno degli autori dello studio - gli antenati di McCain sono quasi tutti meridionali ed e più difficile trovare le discendenze in quell’area geografica.


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speciale educazione

Socrate

L’Università italiana versa in un grave stato di crisi. Esistono però delle realtà ben funzionanti come il Politecnico di Torino (nella foto) e l’Università di Trento (nella foto delle pagine seguenti). In questo inserto vengono indicate le ragioni delle ottime performance.

l Politecnico di Torino è una università pubblica con 150 anni di storia. Saper conciliare tradizione e innovazione, saper cogliere il cambiamento sono alla base dei nostri risultati positivi. I fattori di successo risiedono nell’avere una visione, un piano strategico di Ateneo per concretizzare la catena formazione-ricercainnovazione-sviluppo. Il nostro è un modello di Università che coniuga radicamento locale e servizio al territorio con la capacità di essere un Ateneo internazionale nel quale vengono a studiare e a lavorare talenti da tutto il mondo e dal quale i nostri studenti, dottorandi e ricercatori muovono i primi passi di carriere internazionali. La capacità di competere con le più prestigiose scuole europee e mondiali si basa certamente sulla qualità della ricerca, della formazione, delle infrastrutture, dei servizi offerti, ma gioca un ruolo fondamentale anche saper interpretare le esigenze del contesto socio-economico. E’ un continuo “work in progress”per affinare la nostra sensibilità e finalizzare la mission che oggi si realizza su 5 dimensioni: formazione, ricerca ma anche trasferimento tecnologico, servizi al territorio e finanza.

I

Uno dei fattori vincenti è senza dubbio l’internazionalizzazione per sviluppare relazioni di tipo culturale, politico ed economico fuori dai confini nazionali. Più preoccupante della fuga dei cervelli ci pare la scarsa capacità di attrazione dell’Italia, di studenti e ricercatori provenienti da altri paesi. Dimentichiamo che coloro che arrivano in Italia per studiare diventano veicolo continuativo nella vita, fra il paese di origine e il paese in cui sono stati ospitati per un lungo periodo e che i rapporti permanenti e commerciali si costruiscono anche così. Il Politecnico di Torino è riconosciuto, a livello internazionale, come un polo di formazione e ricerca di elevata qualità ed è classificato fra le migliori 100 università al mondo in ingegneria (57° posto nel ranking della Jiao Tong University Shangai). Sul piano internazionale il nostro obiettivo nella ricerca è

quello di favorire la mobilità “in e out”con l’introduzione di strumenti più flessibili per il reclutamento dei docenti con l’attivazione di cattedre convenzionate, le chiamate dirette e la promozione di esperienze di permanenza in altri Atenei da parte dei giovani ricercatori in formazione presso il Politecnico. Lo stesso discorso vale per la formazione. A livello locale, l’attrazione di studenti stranieri rappresenta una sfida per il nostro territorio nel suo complesso. Per questo motivo, la strategia di internazionalizzazione dell’Ateneo si inserisce in un contesto più ampio. Altro fattore fondamentale per l’Ateneo è perseguire la qualità nella formazione e nella ricerca. Nella formazione è fondamentale un serio progetto di orientamento per avere studenti in ingresso davvero motivati e consapevoli della scelta fatta. Quest’anno abbiamo avuto una crescita di iscrizioni di circa il 10%, di cui una buona parte diplomata con 100/100. E’ indispensabile avere un’offerta formativa flessibile, che permetta di valorizzare gli studenti più dotati ed elementi di incentivazione per offrire loro la possibilità di affinare ulteriormente la loro preparazione. Un esempio è l’Alta Scuola Politecnica fondata dai Politecnici di Torino e Milano proprio per la valorizzazione degli studenti migliori (il 5% del totale). Un’intesa relazione con le aziende garantisce ai nostri studenti un rapido inserimento nel mondo del lavoro, Le circa 3.000 convenzioni con aziende nazionali ed internazionali offrono tirocini qualificati che creano percorsi privilegiati: molti dei nostri studenti formalizzano il rapporto di lavoro praticamente contemporaneamente al completamento degli studi. Oltre l’80% dei nostri laureati ha un occupazione entro un anno dalla laurea, contro una media nazionale del 61%. Anche i servizi offerti agli studenti sono fondamentali: il tutoraggio che consente di ridurre al minimo la percentuali degli studenti che abbandonano gli studi, la creazione di servizi didattici dedicati agli studenti part-time e agli studenti lavora-

Gli Atenei di successo: il Politecnico di Torino. Molti gli studenti stranieri tra gli iscritti. Incentivati gli allievi più dotati

L’ARRIVO DEI CERVELLI di Francesco Profumo* tori, le attività di counseling anche per gli studenti disabili.

Nella ricerca la qualità deve mantenersi a livelli tali da favorire l’attrazione di investimenti che si possano concretizzare nell’avvio di collaborazioni con aziende o anche nella creazione di società spin-off, vere e proprie iniziative imprenditoriali, avviate da ricercatori e docenti

del Politecnico, per il trasferimento tecnologico. Non meno trascurabile è la capacità di brevettazione che stiamo sviluppando. Stiamo inoltre puntando molto sulla figura cardine fra formazione, ricerca, sviluppo e innovazione, vale a dire sui dottorati di ricerca, anello di congiunzione tra ricerca universitaria e ricerca industriale. Oggi, nessun ateneo è più in grado di

assorbire tutti gli studenti di dottorato che terminano il ciclo formativo. Saranno, invece, sempre più una risorsa preziosa proprio per le aziende. L’integrazione dell’Ateneo con il contesto socio - economico nazionale, il rafforzamento del legame con il territorio anche in termini sociali e culturali è l’altro elemento centrale del processo di crescita e di affermazione. La


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Università di Trento: entro il primo anno dal diploma il 70% degli allievi trova un impiego

Se laurea vuol dire lavoro Elisabetta Brunelli l vertice delle classifiche nazionali che vengono pubblicate ogni anno, una delle poche università italiane che riesce a ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nelle classifiche internazionali, ha un bilancio in salute, un’elevata qualità della ricerca, della didattica e dei servizi, un’alta capacità di attrarre fondi di ricerca – assegnati su base competitiva – sia a livello nazionale sia in ambito europeo. E una dimensione internazionale sorprendente con 48 accordi bilaterali, 24 di doppia laurea, due Erasmus Mundus con ruolo di coordinatore, un 10% del corpo docente straniero tra professori di ruolo e visiting professor, oltre 500 studenti Erasmus l’anno tra quelli in entrata e quelli in uscita e il 7% di tutti gli studenti stranieri che frequentano un corso di dottorato di ricerca in Italia. L’Università di Trento non passa inosservata. In tanti si chiedono come faccia un’università di provincia di medie dimensioni, nata nemmeno 50 anni fa e che conta circa 15 mila studenti, ad aver acquisito tale reputazione nel panorama universitario. Ciò che l’Università di Trento è oggi deriva da una combinazione di elementi. È il risultato delle intuizioni degli inizi, delle scelte di ieri e di oggi, del lavoro rigoroso di ogni giorno e di uno speciale rapporto con il territorio.

A

Cittadella Politecnica è il nuovo Campus dell’Ateneo, 170.000 mq vicino all’insediamento principale, centro multifunzionale aperto alla città, anche per attività non strettamente legate alla ricerca e alla didattica. Al suo interno si avvia in questi giorni il Business Research Center in cui grandi multinazionali (General Motors -

studiano e lavorano al Politecnico. Nel complesso i nuovi posti di lavoro creati saranno 1.300, di cui molti saranno nostri laureati e dottori di ricerca. Al suo interno abbiamo creato anche un incubatore (I3p), attraverso il quale sono state create 94 nuove imprese con circa 600 dipendenti. Dallo scorso maggio è stato

Il Politecnico di Torino in numeri • 27.000 studenti (compresi i dottorandi) • 10% circa di studenti stranieri(media naz. 2%), provenienti da 94 paesi: circa 500 cinesi, 700 latinoamericani, 150 camerunensi • Il 35% dei corsi è in inglese; • Circa 900 docenti/ricercatori • Circa 4.000 laureati ogni anno; circa l’80% trova occupazione entro un anno dalla laurea (media naz. circa il 60%)

porterà 600 ricercatori, per lo studio sui motori diesel di nuova generazione (ad elevato rendimento e a basso impatto ambientale), Microsoft, Pirelli, ecc..) hanno già deciso di insediarsi nella Cittadella creando così, oltre ad un effettivo flusso e scambio di competenze e conoscenze, anche un importantissimo sbocco occupazionale per i moltissimi dottorandi che oggi

anche creato un Polo del Venture Capital, che raggruppa 14 fondi (7 italiani e 7 stranieri) con un portafoglio di circa un miliardo di euro. Per concludere, il nostro pay-off è “Le radici del futuro”, la tradizione per l’innovazione, una strategia di sviluppo che parte dal territorio e guarda alle grandi istituzioni accademiche internazionali. * Rettore del Politecnico di Torino

Uno dei fattori di successo di Trento è quello di aver sempre fatto delle scelte mirate, di aver deciso di proporre un’offerta didattica ampia ma non infinita, di aver deciso di puntare su un numero limitato di azioni nel campo della ricerca. Importanti sforzi ha fatto, ad esempio, nelle aree dell’ICT, delle neuroscienze e della biologia integrata. Nel 2005 ha dato vita al Centre for Computational and Systems Biology (CoSBi), in collaborazione con la Microsoft Research, che opera alla convergenza tra le scienze della vita e le scienze informatiche. Nel 2006 ha inaugurato il Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) per lo studio del cervello umano attraverso l’analisi delle sue caratteristiche funzionali e strutturali. Nel 2007 ha, quindi, aperto il Centro interdipartimentale per la Biologia Integrata (CiBiO), dedicato ai meccanismi fondamentali di funzionamento della cellula e alla loro alterazione in patologia. Iniziative, queste, che si alimentano e a loro volta arricchiscono – in un continuo scambio reciproco tra ricerca e didattica - le competenze sviluppate dall’ateneo

rispettivamente nei campi dell’informatica e dell’ingegneria delle telecomunicazioni, delle scienze cognitive e delle scienze e tecnologie biomolecolari. Scelte mirate perché l’Università di Trento è consapevole che le risorse non sono infinite e che non si può pretendere di chiedere finanziamenti in modo indiscriminato, per ogni cosa. L’altro punto di forza dell’ateneo di Trento è un notevole senso di responsabilità, che l’ha sempre portato e lo porta a non dormire sugli allori, a non crogiolarsi davanti al plauso delle classifiche nazionali e internazionali e al successo di varie iniziative. Accanto alla dimensione internazionale, l’Università di Trento ha un forte radicamento nel territorio e nel suo sistema della ricerca. È l’unica, tra gli atenei statali, ad avere una struttura “duale” con il rettore, che ha la rappresentanza legale dell’Università, e con il presidente del consiglio di amministrazione, anello di congiunzione con il governo provinciale e garanzia di scelte finanziarie sostenibili nel medio-lungo periodo. Ed è nel gruppetto delle Università italiane che al Bologna Forum dello scorso 15 marzo hanno dato vita ad AQUIS, Associazione per la Qualità delle Università Italiane Statali. Un percorso che Trento ha già inaugurato in casa propria con scelte innovative. Come quella di destinare, negli ultimi cinque anni, l’80% delle nuove risorse finanziarie per far venire a Trento nuovi docenti e solo il 20% per promozioni interne. Quella di studiare e costruire nuovi percorsi di reclutamento dei giovani ricercatori e di accesso alla posizione permanente (tenure-track). In una parola: quella di adottare criteri di merito nella valutazione del personale come nell’accreditamento dei corsi di laurea. L’apertura internazionale, la qualità della didattica e della ricerca così come l’attenzione ai servizi, la capacità di accedere a finanziamenti per la ricerca, le ottime relazioni con il territorio e la cura dei rapporti con il mondo imprenditoriale fanno dell’Università di Trento un ateneo in grado di affrontare le sfide della competizione nazionale e internazionale. Negli ultimi anni Trento è riuscita a mantenere le prime posizioni nelle classifiche che mettono a confronto gli atenei italiani (come Censis-la Repubblica, Sole 24 Ore) e nel 2007 ha ottenuto risultati di particolare rilievo anche a livello internazionale (in “World University Rankings 2007”, l’Università di Trento si posi-

ziona al 411° posto su 565 atenei classificati fra i migliori al mondo sulla base di parametri che tengono conto di diversi fattori legati alla didattica, alla ricerca e agli sbocchi occupazionali dei laureati). Mentre nell’indagine Alma Laurea sulla condizione occupazione l’ateneo spicca anche quest’anno per l’alta percentuale di laureati (vecchio ordinamento) che lavora a un anno dal conseguimento del diploma (il 68%, quindici punti percentuali in più rispetto alla media nazionale del 53%) e, rispettivamente, per lo scarso numero di chi dichiara di cercare lavoro: il 10% dei neolaureati contro il 25,5% registrato a livello nazionale. Se l’indagine riguardasse solo gli studenti trentini, si potrebbe spiegare il risultato semplicemente con il basso tasso di disoccupazione in provincia. Ma poiché riguarda chi si è laureato a Trento, dove quasi la metà degli iscritti proviene da fuori provincia, le ragioni devono essere più complesse e la qualità del percorso di studio non può essere un aspetto trascurabile.

I numeri parlano di un ateneo in grado di offrire un ambiente ideale di studio e di ricerca e servizi attenti alle esigenze dei singoli. A Trento tutto è a portata di mano e facilmente accessibile: biblioteche, mense universitarie, laboratori, attività culturali e ricreative. Chi vive l’ateneo trentino ha la possibilità di godere dei vantaggi offerti da un territorio rinomato per l’alta qualità della vita, il benessere diffuso e un ambiente naturale di particolare bellezza. Numerosi servizi sono offerti dall’Opera Universitaria, l’ente per il diritto allo studio che supporta l’ateneo per le questioni inerenti borse di studio, esoneri tasse, alloggi, mense universitarie, supporto ai disabili, consulenza psicologica, prestito di biciclette oltre a tutta una serie di attività culturali e ricreative. La biblioteca d'ateneo - luogo di studio, ma anche punto di riferimento per tutti gli studenti con un ampio orario di apertura serale e anche festivo conta oltre 390 mila monografie e oltre 17 mila periodici. Il sistema bibliotecario di ateneo gestisce, inoltre, Unitn-eprints, l’archivio digitale delle pubblicazioni dell’Università di Trento, che nella classifica mondiale Webometrics si è piazzato quest’anno al 154° posto su 600 archivi istituzionali considerati. Trento, comunque, non si adagia. Cerca continuamente di migliorarsi, di raggiungere nuovi obiettivi e traguardi.


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speciale educazione

Socrate

Fra le 20 università migliori del mondo, 17 sono americane

Ora l’Europa importa il modello “made in Usa” Giuseppe Valditara a correlazione fra qualità della ricerca svolta e crescita del pil è ormai un dato ben noto. Per altro verso il capitale umano nella società della conoscenza è una risorsa strategica. Emerge dunque la centralità del sistema universitario per lo sviluppo del Paese. Il modello ormai da tempo al centro dell’attenzione è senz’altro quello americano. Fra le prime 20 università al mondo per risultati ottenuti in termini di ricerca e di didattica ben 17 sono americane. Il sistema universitario americano è anche quello che realizza la maggiore promozione sociale. In che cosa si caratterizza? Innanzitutto nella grande libertà di organizzazione, nella assenza di una burocrazia statale che determini regole rigide, in un sistema di valutazione dei risultati e di finanziamenti collegati ai risultati, in una accentuata individualizzazione dei rapporti contrattuali che consente di valorizzare il merito di chi fa ricerca e didattica, nella competizione fra atenei. In questa direzione si sono dunque mosse negli ultimi anni le riforme di buona parte dei Paesi europei. Così da ultimo nazioni come la Germania, tradizionalmente espressione di un modello universitario alternativo a quello americano, o come la Svizzera, hanno dato vita a percorsi di innovazione che vanno nel senso indicato. In direzione analoga sembra intenzionata a muoversi anche la Francia. Tradotto quel modello in termini compatibili con il nostro sistema si può parlare della necessità di una autonomia strettamente collegata

L

alla responsabilità.Più nel concreto cosa serve dunque al rilancio del sistema universitario italiano? Innanzitutto vi è il nodo delle risorse. Se è vero infatti che i finanziamenti pubblici sono appena sotto la media Ocse, per finanziamenti privati siamo al penultimo posto. Da una parte occorre quindi incentivare il finanziamento privato, dall’altra, fino a quando non si riequilibra il rapporto, lo stato deve compensare il pesante divario che penalizza il nostro sistema di ricerca.

Va aggiunto che gli scarsi investimenti privati in ricerca sono legati anche al fatto che il nostro tes-

imprese ed università. Occorre dunque affermare un principio fondamentale: “niente tasse sulla ricerca”, che significa innanzitutto accrescere la defiscalizzazione degli utili reinvestiti in ricerca, per arrivare in prospettiva ad una defiscalizzazione integrale, ma che deve anche significare niente Irap su chi fa ricerca. Si dovrebbero poi finanziare dottorati all’interno delle imprese, rimediando ad uno dei limiti del dottorato in Italia, concepito essenzialmente come funzionale alla carriera universitaria e poco collegato al mondo del lavoro. Lo stato potrebbe poi anche prestare fideiussioni per garantire di fronte

Germania e Svizzera sono già andate in questa direzione suto produttivo è composto più che in altri Paesi da piccole imprese che non hanno possibilità o anche talvolta predisposizione culturale a investire in ricerca. E’ significativo come secondo uno studio della Camera di commercio di Milano ben il 60% delle imprese non sarebbe interessato a fare ricerca. D’altro canto va anche considerato che se negli anni ’70, nel mondo, il 70% dei nuovi prodotti veniva sviluppato nelle imprese, oggi ben il 50% trova origine dalla ricerca universitaria. Da qui si comprende come sia sempre più importante collegare

alle banche prestiti a tassi agevolati in favore di quelle imprese che investano in ricerca. Al fine di agevolare il reperimento di risorse dal privato e per facilitare lo svolgimento di attività imprenditoriali da parte delle università è poi importante incentivarne la trasformazione in fondazioni.

Se è essenziale accrescere gli investimenti pubblici occorre peraltro collegare i finanziamenti ai risultati evitando così uno spreco di risorse. E’ pertanto necessario innanzitutto che una parte dei finanziamenti statali sia legato alla qua-

lità della ricerca e della didattica svolta nelle singole sedi universitarie.Vanno pure considerati ulteriori indicatori come per esempio la capacità di utilizzare finanziamenti comunitari, il grado di apertura internazionale, il numero dei brevetti, anche al fine di incoraggiare l’investimento in ricerca applicata. Essenziale diventa dunque la valutazione. Al riguardo va rilevato come si registrino ritardi molto gravi se si pensa che solo a marzo 2008 il decreto istitutivo dell’Agenzia Nazionale diValutazione (Anvur) è stato inviato alla Corte dei Conti per la registrazione, che l’Agenzia non è stata dotata di risorse, e che il regolamento relativo appare caricarla di una serie eccessiva di compiti, trasformandola in una sorta di burocratico orwelliano “grande fratello”, quando invece una siffatta agenzia dovrebbe occuparsi esclusivamente della valutazione della qualità della ricerca e

della didattica svolte dalle singole università, traendo spunto dalla ormai ricca casistica internazionale. Per certe materie sarebbe per esempio interessante valutare, in termini percentuali sul numero dei ricercatori, la quantità di citazioni su articoli usciti su riviste internazionali delle pubblicazioni prodotte dagli studiosi afferenti a ogni singola università. Altro problema serio, fin qui troppo sottovalutato, è la situazione di dissesto di molti atenei.Ve ne sono alcuni che sono sull’orlo del fallimento. Occorrono dunque piani pluriennali di rientro finanziario concordati fra le singole università e il ministero, piani al cui rispetto collegare l’attribuzione dei finanziamenti. D’altro canto se in Germania vi sono circa 800 corsi di laurea a fronte dei 3200 di primo livello in Italia (5450, in totale), una razionalizzazione appare senz’altro opportu-


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na. A un decennio dalla sua introduzione, sarebbe anche opportuno fare il punto sul funzionamento del 3+2, che per qualche aspetto sembra suscettibile di miglioramento; fra l’altro si devono dare reali sbocchi nel mercato del lavoro alle lauree brevi, e si deve evitare che si crei un meccanismo generalizzato di sostanziale allungamento del percorso universitario.

D’altro canto è pure opportuno incoraggiare con incentivi finanziari la specializzazione dei piccoli atenei, favorendo il loro collegamento con la realtà produttiva locale. In questo contesto, per innescare un circolo virtuoso, occorre favorire anche una sempre maggiore individualizzazione dei rapporti: sul modello tedesco e ferma restando la percentuale prevista nella legge fra spese per il personale e Fondo di finanziamento ordinario, si potrebbe immaginare

che la legge determini i minimi retributivi e di stato giuridico e con contratto individuale si definiscano sulla base di valutazioni meritocratiche, e cioè in base alla qualità della ricerca e della didattica, incrementi o benefits anche significativi. Non è invece affatto auspicabile l’introduzione di un contratto collettivo nazionale della ricerca, come proposto dal Partito Democratico, che finirebbe con il sindacalizzare un settore che da sempre rivendica una sua orgogliosa diversità. Quanto al reclutamento deve passare in primo luogo attraverso una verifica nazionale per garantire un controllo della comunità scientifica nel suo complesso sulla qualità dei candidati. All’interno di una lista nazionale di idonei, le università sceglieranno chi ritengono più adatto. Si ha così un doppio filtro.Se poi il docente scelto risulterà inadeguato in termini di qua-

lità della ricerca o della didattica, l’università ne subirà le conseguenze ricevendo meno finanziamenti. La eliminazione di una verifica nazionale con la istituzione della libertà di chiamata da parte delle singole sedi, come proposto nel programma del Partito Democratico, indebolisce la garanzia della qualità della docenza. Sul versante ricercatori occorre innanzitutto registrare il totale fallimento della politica del governo di centrosinistra. Contraddicendo le promesse si sono pregiudicate gravemente le aspettative dei giovani studiosi. Se infatti negli ultimi anni del governo Berlusconi la media di concorsi da ricercatore era arrivata a circa 3000 unità, il tanto sbandierato piano straordinario di assunzioni del governo Prodi si è limitato ad una prima tranche di 1000 nuovi posti, con procedure di bando estremamente lente. Ancora peggio si è fatto sotto il profilo della regolamentazione del reclutamento. Il pessimo regolamento Modica/Mussi è apparso fin dall’inizio illogico laddove consentiva che un ingegnere valutasse un medico, ed è risultato palesemente illegittimo oltrechè farraginoso e iperburocratico. Il rifiuto di registrazione da parte della Corte dei Conti ha rappresentato la bocciatura di una intera politica riformatrice del centrosinistra. Occorre dunque innanzitutto liberare risorse specificamente destinate al bando di concorsi per ricercatore e consentire alle università di effettuare i concorsi in tempi rapidi e certi. Le norme contenute nella riforma Moratti, che eliminavano la figura del ricercatore a tempo indeterminato, erano probabilmente troppo rigide. Sarebbe meglio lasciare sul punto autonomia alle singole università. Pare piuttosto importante unificare le varie figure di contrattisti in un’unica figura di ricercatore a tempo determinato che abbia una tutela previdenziale, pur continuando a godere di un particolare regime fiscale. Un tema che ogni tanto affiora è quello della contribuzione studentesca.

Personalmente non sono d’accordo su un aumento indiscriminato delle tasse universitarie come invece avverrebbe liberalizzando la tassazione, secondo quanto proposto nel programma del Partito Democratico: contribuisce a favorire l’abbandono studentesco ed è spesso un aggravio insopportabile per le famiglie. Potrebbe essere invece opportuno immaginare convenzioni fra studenti e università, in virtù delle quali lo studente si impegna a versare, con rate anche pluridecennali, nella prima dichiarazione dei redditi, una piccola percentuale alla università di provenienza. E’ un sistema fra l’altro molto più efficace e di facile realizzazione dei prestiti d’onore, che in Italia non sono decollati. Nel contempo si preveda l’esenzione dalla

la recensione Il tema della disuguaglianza sociale e della relazione con i sistemi educativi è uno dei problemi di maggiore attualità nel nostro Paese, soprattutto dopo i deludenti risultati fatti registrare dai nostri quindicenni nelle indagini comparative internazionali. Risultati che si connotano per forti differenziazioni territoriali tra il Nord e il Mezzogiorno. Si tratta di un tema che nel nostro Paese, in occasione delle varie proposte di riforma, è stata oggetto di dispute ideologiche, sovente prive delle basi di analisi della ricerca scientifica. Studiare la relazione tra scuola e disuguaglianza sociale significa rispondere a domande quali: come e quanto il contesto familiare e sociale di origine condiziona le carriere scolastiche dei giovani? In che modo l’istruzione influisce sulle carriere lavorative? Quali sono gli effetti dell’espansione dei sistemi educativi su tali influenze? Interrogativi che sono indagati nella ricerca comparativa curata da Ballarino e Checchi Gabriele Ballarino e che si pone l’obiettivo di fornire Daniele Checchi (a cura di) un’analisi aggiornata del sistema Sistema scolastico educativo italiano sulla relazione tra e disuguaglianza sociale, istruzione e disuguaglianza sociale. Il Mulino, Bologna In particolare, il saggio di Arun, Gamoran e Shavit offre una interessante analisi sui temi della differenziazione dei percorsi e dell’apertura al mercato dell’istruzione in relazione alle politiche di inclusione e mobilità sociale. Dalla ricerca parrebbe emergere che nei Paesi (Giappone, Svezia, Stati Uniti,..) che hanno sistemi diversificati – alto grado di privatizzazione e diversificazione dei percorsi - o in quelli (Gran Bretagna, Germania, Francia, ..) che hanno sistemi binari – moderata privatizzazione e alto grado di diversificazione dei percorsi – la mobilità sociale è maggiore e la percentuale di giovani che conseguono titoli di studio di livello terziario è superiore a quella dei Paesi che, come l’Italia, hanno sistemi unitari. Un tema di riflessione importante per quanti vogliono affrontare i problemi della riforma del sistema educativo con chiavi di lettura non ideologiche.

a cura di Domenico Sugamiele contribuzione per chi ha medie di voto particolarmente elevate: si incoraggia così uno studio serio. Per i meritevoli di modeste condizioni economiche si diffonda un sistema efficace di borse di studio. In questa legislatura sono stati drammaticamente tagliati i fondi per l’edilizia universitaria. E’ inutile parlare di 100 campus (oltretutto entro il 2010!) quando si sono tolte risorse per le residenze, le aule, le infrastrutture. Un altro passaggio chiave è la realizzazione di un sistema trasparente di informazioni agli studenti, affinché possano scegliere con consapevolezza a quale università iscriversi. Innanzitutto sono necessarie forme di certificazione di qualità che tengano conto dei livelli delle strutture, dei corsi e dei risultati, a iniziare per esempio dalla considerazione del tempo necessario per trovare lavoro per chi provenga da quella università. Poi le università devono rendere facilmente consultabili dagli studenti le informazioni sulla produzione scientifica e sugli attestati relativi ai propri docenti. La ricerca ha peraltro necessità di essere liberata dalle pastoie burocratiche e dai tempi lunghissimi per ottenere i finanziamenti. Le risorse non solo sono scarse, ma vengono attribuite con ritardi intollerabili. Nel 2007 si è perso addirittura un anno di finanziamenti alla ricerca. I bandi Prin sono stati invero pubblicati solo nello scorso ottobre mentre i referee sono stati nominati a marzo 2008! Lasciare per un anno la ricerca senza finanziamenti significa uccidere la ricerca. Infine va denunciata la scarsa internazionalizzazione del no-

stro sistema universitario. Anche sotto questo profilo siamo agli ultimi posti fra i Paesi Ocse. La modesta apertura internazionale riguarda i docenti come gli studenti. Per quanto riguarda i docenti dovrebbe essere consentita, a parità di ruolo ufficialmente riconosciuto, la chiamata diretta, mediante valutazione comparativa e senza ulteriori intoppi burocratici. Relativamente agli studenti contribuiscono alla scarsa affluenza dall’estero i bassi ranking internazionali delle nostre università, fatta eccezione per un numero limitato di atenei, la scarsità di residenze universitarie e la scarsità di corsi in inglese o comunque in una delle lingue internazionalmente più diffuse. In tutto questo contesto è senz’altro opportuno sperimentare su base volontaria nuove forme di governance che consentano di aprire le università a ex alunni e a grandi finanziatori. Sullo sfondo, come punto di arrivo, almeno per alcune facoltà, ben si può ragionare in termini di abolizione del valore legale della laurea. Non può essere tuttavia un punto di partenza: nelle condizioni attuali significherebbe infatti la chiusura di molte università, specie in alcune aree del paese, con un carico non sopportabile sui restanti atenei e un peggioramento complessivo della qualità della formazione. Piuttosto si inizi a scoraggiare il fenomeno della moltiplicazione di fasulle lauree honoris causa che delegittimano un impegno serio. In conclusione devono essere avviate condizioni di vera e sana competitività fra tutti gli atenei: è questa la sfida più difficile, ma senz’altro non rinviabile.


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speciale educazione

Socrate

LETTERA DA UN PROFESSORESSA

L’INSEGNANTE UMILIATA DAI GENITORI di Silvia Tomasi a professoressa Lisciavao oggi è entrata nella classe della quinta: per i ragazzi è una sorta di panzer e appena con passo pesante si avvicina alla porta l’ultima del corridoio, gli allievi si zittiscono subito. Il suo fascino da Schnauzer gigante la vince su classi immaneggiabili, dove tutti gli altri prof cadono sul campo fra crisi di nervi e fughe, fingendo immaginarie chiamate in segreteria o addirittura dal Dirigente scolastico, mai più permettersi di chiamarlo Preside, o ancora peggio con l’articolo al femminile “La “ preside, anche se è donna. In aula perfino Cassisi con l’occhio da rapina, la catena al collo, per dimostrare agli altri che è il capo- branco, e guai a chi sgarra, non si permette di mostrare il canino. Allunga le labbra sopra la dentatura e si lima le unghie per l’ora di latino successiva, dove potrà pranzare condendo discorsi con latinorum che farà spanzare la classe e così la lezione andrà in fumo. Una tecnica che funziona sempre. Lui la chiama una perfetta messa in pratica di satira latina.“Misceo utile dulci “ dice sghignazzando, “vede prof come mi serve Orazio…”. Lisciavao ha un nome che è tutto il contrario di quello che fa. Mai nulla scivola liscio, ogni allievo subisce contratture, animo fatto a brani e giudizi stampati a caldo sulla pelle. Sulla lavagna subito la scritta “Liscia o gassata”scompare. La ammiro, non occorre neppure che ringhi. Io quando entro lì mi sento morire, mi aggrappo alla porta quasi perché mi chiudesse fuori. Non accade mai un bello slam da fumetti con la scritta arricchita di punti esclamativi teschietti e jollyroger e poi finalmente la classe chiusa per sempre. Un sogno. Menomale che sia-

L

mo quasi all’esame e anche questo gruppo se ne andrà .Tutti tireranno un sospiro di sollievo. Lisciavao anche se non appare, gongola, è riuscita a far arrivare a scuola per l’ora successiva i genitori di Foglia. Bravo allievo, perfino con lei, ma che si permette di arrivare a scuola sempre in ritardo. In tutte le altre classi questa dei ritardi alla prima ora è un andazzo quasi insanabile. Si intrufolano dal retro della scuola, sanno che molti prof li giustificano così senza tante pretese e c’è la segreteria che va a simpatie. Alcuni li ferma, altri li ammette. Ma nella classe dove la Liscia ha la prima ora, tutti quelli in ritardo vengono regolarmente annotati e fermati. È regola che dopo cinque ritardi si faccia una telefonata a casa. Foglia si

edizioni

è opposto, che a novembre ne vantava già sei, si è opposto alla chiamata, ha vantato la sua maggiore età e che la discussione doveva avvenire con lui, mica con il retaggio dei genitori. Lisciavao non c’ha visto. È esplosa. Le si è crepata l’abbottonatura dell’abito severo che sempre porta e ha superato qualsiasi rimostranza giovanile fra sberleffi e urla. Ha ottenuto l’appuntamento con i genitori. Si presenta in sala ricevimento parenti con un passo perfino elastico, proprio lei che di solito fa risuonare i pavimenti con il suo avanzare da camion. Lì sulle sediole vari sono i parenti in attesa dei colloqui. Gli occhi di Liscia li sfiorano, cercando di individuare i genitori di Foglia. Si stupisce, non sono ancora arrivati. Si siede e at-

tende. Dopo un po’ un gentile signore asiatico le si avvicina. Le sussurra in maniera educatissima che i genitori dell’allievo Foglia hanno inviato lui, “sa sono il Filippino” sussurra. I signori Foglia sono entrambi fuori Milano e poiché la prof lamentava i ritardi di Lorenzo, hanno inviato lui, perché la prof si accordasse con lui sulla sveglia del loro figliuolo, se non Le spiaceva. La prof.ssa Lasciavao è entrata in segreteria e lei, che in 35 anni di onorata carriera non aveva mai fatto un’ assenza, ha subito presentato domanda di congedo temporaneo per motivi di famiglia. Anche se tutti i colleghi sanno che vive sola, non ha fratelli né sorelle e i suoi genitori, Dio li abbia in gloria, da anni ormai risultano assenti dal registro dei vivi.

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ROBERT CONQUEST

I DRAGONI DELLA SPERANZA Una storia mai raccontata della Guerra Traduzione di Giovanni Piccioni


polemiche

27 marzo 2008 • pagina 17

Se invece ci si mantiene entro confini naturali si può vivere al riparo da scelte devastanti iorni fa Benedetto XVI ha condannato il tentativo della scienza di abolire la morte. Un discorso che si potrebbe applicare anche al tentativo di ottenere energia illimitata, che non è il nucleare, perché l’uranio con le sole centrali esistenti non durerebbe più di cinquant’anni; l’ipotesi irrealizzabile di una fonte illimitata e pulita viene perseguita con la fusione nucleare, con l’idrogeno abbinato al fotovoltaico e altre forme avveniristiche. La demolizione dei limiti naturali attraverso sostituzioni tecnologiche della natura implica la cancellazione del Peccato Originale, cioè del limite, e con esso della libertà umana di scegliere fra Bene e Male, che il limite contiene.

G

La natura è intrisa di limiti, che sono etici cioè un aiuto alla libertà umana: se ci si mantiene entro confini naturali si può vivere al riparo da scelte devastanti. Ad esempio disporre di una quantità limitata di energia prescrive un tipo di progresso tecnico verso il minimo spreco, responsabile nei confronti dell’ambiente e degli altri popoli. Con una forma di produzione energetica senza limiti il mondo diventa simile a quello senza la morte, perché consente ogni spreco e la massima irresponsabilità nei confronti degli altri popoli, delle future generazioni e della natura: le attività che stanno distruggendo la terra diventano incontenibili. Non mi riferisco qui all’uso buono che teoricamente si può fare di una fonte energetica infinita, ma all’uso che in concreto si fa oggi delle energie inquinanti, le quali, nonostante i loro alti costi, hanno prodotto immani disastri ambientali, espropriazione dei mezzi di sussistenza di molti popoli e immensi sprechi da parte dei ricchi. L’umanità non riesce a usare per il bene possibilità che eccedono i limiti della condizione umana, limiti che non conosciamo, perché non abbiamo dedicato attenzione al tema dei contenitori leciti della libertà, ma ci siamo impegnati solo a eliminare ogni limite. Dal 50 al 70 % dell’energia fossile usata oggi va sprecata a causa delle perdite negli impianti di produzione, distribuzione, utilizzazione, eccetera. Abbattere questi sprechi corrisponderebbe in Italia come minimo a venticinuqe centrali nucleari da mille Mw. Ma il nucleare produce solo energia elettrica, mentre gli sprechi energetici sono anche di ener-

«Le centrali nucleari sono il simbolo della sfida ai nostri limiti» di Giannozzo Pucci

gia termica; il riscaldamento degli edifici in Italia assorbe un terzo delle fonti fossili, con un consumo medio di duecento kwh per metro quadro l’anno; in Alto Adige e Germania il massimo consentito è di settanta kwh per mq l’anno, ma i

prodotta da fonti fossili – un terzo di tutte le importazioni si può realizzare, in tempi molto più brevi, con costi molto più bassi, senza rischi e con minori emissioni di CO2, abbinando una maggiore efficienza negli usi finali di elettricità

delle automobili, se viene tarato sul fabbisogno di energia termica di un edificio di civile abitazione produce un surplus di energia elettrica cinque volte superiore al fabbisogno di elettricità dello stesso edificio; ciò prepara le condizioni per

Il mondo non è una macchina ma una comunità di esseri viventi che passano le loro sostanze gli uni agli altri, comprese le molecole chimiche immesse dall’industria nell’ambiente migliori edifici ne consumano quindici; un terzo delle fonti fossili è assorbito dall’autotrasporto, a cui il nucleare non darebbe contributi a meno che tutte le auto e i camion non fossero elettrici; l’alternativa al nucleare nella produzione di energia elettrica attualmente

– lampade, elettrodomestici, macchine industriali – con la micro-cogenerazione diffusa, che con le fonti fossili attualmente usate per il riscaldamento produce anche energia elettrica; per costruire un piccolo impianto di co-generazione occorre la stessa tecnologia

uno sviluppo significativo delle fonti rinnovabili, che sono l’alternativa strategica. Ma tale abbattimento è possibile introducendo a ogni livello dei fattori limitanti. Ad esempio, sul piano familiare scegliere un contratto di soli tre kw trifase con distacco per

assorbimenti superiori, impone di adeguare tutti gli impianti dell’abitazione a bassi consumi. Lo stesso dicasi per gli uffici pubblici e le attività produttive che, incentivate a introdurre contratti di fornitura limitati, potrebbero spingersi a un progresso tecnologico di minori assorbimenti elettrici. In mancanza di obblighi limitanti, ogni risparmio energetico tende a trasformarsi in nuovi consumi, con il cosiddetto effetto rimbalzo: se l’energia costa poco aumentano i grandi consumatori. Le centrali nucleari non sono funzionali al risparmio energetico, perché producono in un unico luogo grandi quantità fisse di energia che non possono essere adattate agli assorbimenti, ma che vanno consumate comunque. Il cambiamento di civiltà che ci attende nel futuro è esattamente l’opposto di questa tecnologia: consumi ridotti, vicinanza estrema fra produzione e uso, liberalizzazione della produzione e vendita di energia fra piccoli produttori e utenti, abolizione degli sprechi con contemporaneo e graduale passaggio alle energie rinnovabili.

Le centrali nucleari di quarta generazione, presentate come pulite, a basso prezzo e senza scorie, sono oggi una trovata pubblicitaria perché non esistono, quelle che funzionano producono scorie il cui inquinamento continuerà ad avvelenare la terra per un tempo molte volte più lungo della storia umana. Il mondo non è una macchina ma una comunità di esseri viventi che passano le loro sostanze gli uni agli altri, ivi comprese le più di centomila molecole chimiche di sintesi o di scarto immesse dall’industria nell’ambiente negli ultimi decenni, che insieme alle scorie radioattive entrano nelle catene alimentari. Le quantità accumulate sono tali da mettere in pericolo fin dal grembo materno la salute delle future generazioni, visto che la placenta non riesce a bloccarle a causa delle loro dimensioni submicroscopiche e della capacità che hanno di mimare le molecole fondamentali allo sviluppo dell’embrione e del feto. Le centrali nucleari sono il simbolo della folle sfida ai nostri limiti e di un passato insostenibile e costituiscono un ostacolo ad impegnarsi seriamente in un percorso di decrescita felice, di sovranità energetica fondata su attività funzionali al risanamento della terra e dell’umanità.


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economia

Per il segretario della Uil ci «sono probabilità» che si trovi un’intesa per Alitalia. «Ma Spinetta deve ridurre gli esuberi»

Angeletti:non romperemo con Air France colloquio con Luigi Angeletti di Francesco Pacifico

ROMA. Per la Uil, l’Alitalia, è sempre stato un campo minato: l’organizzazione è l’unica che ha un numero rilevante di iscritti in tutte le categorie. Ed è difficile mediare quando l’offerta di Air France acuisce la distanza tra l’aristocrazia dei piloti e i duri e puri dei servizi di terra. E così domani, quando i sindacati sentiranno dal presidente di Air France, Jean-Cyrill Spinetta, le modifiche alla sua offerta, Luigi Angeletti non avrà vita facile. «Ma auspico novità sugli esuberi: sia per i piloti, i tagli non sono pochi, sia

per gli altri lavoratori». I tagli, però, ci saranno. E mica vogliamo imporre i livelli di manodopera. O diciamo: “Se non vi servono, prendeteli per forza”. Però ci sono attività, soprattutto nei servizi, che Air France potrebbe mantenere nel perimetro aziendale. I livelli occupazionali no, ma il piano lo imporrete? Vogliamo soltanto una seria discussione: alcune attività di Az Servizi possono essere ancora funzionali. Non confida in cordate alternative? L’unica ipotesi che c’è, oggi, è quella francese. Non escludo cordate alternative, ma temo che usciranno allo scoperto quando la situazione precipiterà. Comprare con un fallimento è meno oneroso.

Ha ragione Padoa-Schioppa nel chiedere di chiudere l’operazione entro marzo, altrimenti Alitalia fallisce? È un modo sospetto di fare pressione. Se non ricordo male, nel 2007, il governo aveva assicurato che avrebbe ”privatizzato la compagnia a maggio”. Poi siamo passati a “entro l’estate”, quindi a “entro natale”… Nessun fallimento? Ovviamente, il rischio fallimento è alla porte. Dico che chiudere la vendita il 20 aprile o il 31 marzo è lo stesso.

più miti Spinetta? Non conosco la verità, ma vedo due spiegazioni plausibili. La prima: si è reso conto che è contraddittorio definire l’avallo dei sindacati decisivo, eppoi porci di fronte al famoso “prendere o lasciare”. Non so quali siano i costumi francesi, ma questo qui è inaccettabile. L’altra spiegazione? Obiettivamente il balenare una cordata alternativa unita all’ostilità di una parte politica gli ha consigliato di usare un atteggiamento meno arrogante. ringraziare Dobbiamo

che però Spinetta, non ha fatto. Prodi e Padoa-Schioppa l’hanno convinta? Non sulla trattativa in esclusiva. Per la privatizzazione di Alfa Romeo – io l’ho vissuta, ero nei metalmeccanici – Prodi trattò sia con la Fiat sia la Ford. Poi scelse, e in maniera trasparente, tra le due offerte. Tanto che Ford, quando fece ricorso, lo perse perché quella del Lingotto era migliore. Invece per Alitalia? Se si vende una macchina, non si decide prima con chi parlare e poi il prezzo. E Prodi e Padoa-

Per il leader del terzo sindacato «non esistono cordate alternative. E se ci sono si manifesterannno soltanto quando la situazione precipiterà». Dubbi su Prodi e Tps, stima per il presidente del vettore francese: «una persona seria» Quindi si chiude? Ci sono probabilità di trovare un’intesa. La situazione è nota a tutti, come lo sono i problemi da risolvere. Difficile fare previsioni, ma una cosa è certa: non è stato deciso di non fare l’accordo. E non sarà il sindacato a rompere. Chi ha l’ultima parola? I lavoratori. Per quanto mi riguarda, la Uil farà un referendum. È allucinante l’idea di andare a spiegare loro che si perde il il posto di lavoro perché non avevamo capito bene le intenzioni di Air France. Cosa ha spinto a posizioni

Berlusconi? No, questo no. Berlusconi ha fatto un’abile mossa elettorale. Ma manifestare tanta perplessità ha messo il sindacato su un piano di forza maggiore. Che negoziatore è il presidente di Air France? Non ho avuto contatti diretti con lui, ma me lo descrivono come una persona molto seria, che non fa giochetti. E da questo punto di vista la sua poca malleabilità diventa sinonimo di affidabilità. Non aiuta il sindacato chi gli dà sempre ragione, ma chi, offre una spiegazione convincente per i suoi. Cosa,

Schioppa hanno deciso di parlare soltanto con Air France. Nessuno si lamenta più che Alitalia, con Air France, diventerà una compagnia regionale. È vero, ma di questo aspetto dovrebbero occuparsi il governo, che non l’ha fatto, o gli esperti che stanno a spiegarci che siccome l’azienda va male, non dobbiamo rompere le scatole. Che io mi preoccupi soprattutto dei dipendenti mi sembra naturale, ma dove sono gli altri che si riempiono la bocca con l’interesse nazionale? Spero che si voglia trattare sul-

le tratte. C’è poi il nodo Malpensa. E ha ragione chi chiede una moratoria sui voli. Ma qualcuno pensa che Spinetta ne discuta con il sindacato? Intanto, più che dei voli e di Malpensa, dovreste preoccuparvi che con i francesi finisce il vostro strapotere alla Magliana? Sì, per noi finisce un’era, ma non ne soffriremo molto. In passato, e sottolineo in passato, il sindacato influenzava la gestione dell’azienda. Negli ultimi anni abbiamo commesso er-

rori diversi: si sono affrontati in maniera superficiale i vari piani di riorganizzazione. In cambio di sconti sugli esuberi, e con l’idea di avere di fronte il potere politico, sempre condizionabile, e non un’impresa, ci siamo rifiutati di fare cose che andavano fatte. Angeletti, visto che Alitalia sta per finire ai francesi, non era il caso di tenersi Cimoli? Avremo risparmiato un anno… Cimoli lo appoggiammo, perché andò in giro per il mondo a trovare soldi, di privati, per il suo piano di risanamento. Non certo perché voleva vendere i francesi. Col senno di poi, si poteva discutere su quel piano, concordato con tutti i sindacati, e provare a salvare la compagnia per mantenerla pubblica.


economia

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d i a r i o

d e l

g i o r n o

Confindustria: export sopra media Ue

I consumi sono rallentati anche durante lo scorso Natale. Non è servito il massiccio apporto del credito al consumo, che nel 2007 è cresciuto del 17,5 per cento. Per gli italiani, piuttosto che contrarre debiti, è meglio limitare le spese

Per l’Istituto di ricerca si compra meno per le alte commissioni bancarie

L’Isae:troppi debiti e pochi consumi per il Belpaese di Giuseppe Latour

ROMA. Il mantra dei consumi in calo continua a ripetersi, trimestre dopo trimestre, in tutte le analisi sull’Italia. Analisi che elencano i numeri ma non sempre le ragioni. E se c’è chi se la prende con il caro petrolio o con la crisi dei mutui e dei derivati, qualcuno comincia a puntare il dito contro l’indebitamento da credito al consumo. Il fenomeno, in Italia, è ancora poca cosa rispetto agli altri Paesi europei. Ma che potrà iniziare a incidere molto, pesando più di adesso con i suoi tassi di interesse, quando la sua diffusione diventerà matura. Per ora, ci sono solo due certezze: crolla la propensione al consumo e crolla la fiducia dei consumatori.

Lo aveva detto Confcommercio, notando che a inizio anno i consumi avevano fatto registrare la peggiore performance dell’ultimo triennio. Lo ha confermato l’Isae, l’Istituto di studi e analisi economica con le sue ultime rilevazioni. L’indice di fiducia è sceso ai minimi degli ultimi 4 anni. Giocano un ruolo decisivo nelle aspettative dei cittadini i giudizi sulla situazione economica corrente, sulla convenienza di acquisti di beni durevoli e, non per ultimo, sulle prospettive di risparmio dei prossimi 12 mesi. E gli intervistati si attendono un peggioramento di qui alla fine dell’anno in corso. Gli italiani, insomma, si aspettano di trovarsi ancora più in difficoltà in futuro, soprattutto sul circuito risparmio-debito-consumo. E, a ve-

dere i dati, non si tratta di un fenomeno nuovo. Secondo l’ultimo rapporto dell’Isae sull’economia italiana, infatti, la crisi è esplosa già a fine 2007.

Con il Natale alle porte, gli italiani hanno limitato i consumi: dal commercio, alla ristorazione, passando per il turismo. Il motivo, secondo l’istituto di ricerca, va ricercato nella difficoltà che incontra chi nel nostro Paese vuole contrarre nuovi debiti. Si legge con estrema chiarezza nel rapporto: «La decelerazione degli acquisti è in par-

Lo stock dei prestiti per i beni durevoli e non è sotto la media Ue: 5 per cento contro il doppio registrato in Germania te spiegabile con la maggiore difficoltà incontrata nel sostenere ulteriori indebitamenti (costi più alti e condizioni più severe di accesso al credito) da parte dei consumatori». Sul banco degli imputati, a quanto pare, finisce il nuovo arrivato del mondo finanziario italiano degli ultimi anni: il credito al consumo. Sarebbe troppo oneroso per gli italiani sobbarcarsi debiti sui propri acquisti. Preferiscono, piuttosto, limitare le loro spese. Il peso dell’indebitamento è decisamente aumentato negli ultimi mesi. Il confronto sui dati della

Banca d’Italia fa emergere che alla fine del terzo trimestre dello scorso anno le famiglie usavano in media il 7,6 per cento del proprio reddito disponibile per pagare i debiti contratti. Mentre appena tre mesi prima lo stesso valore si attestava al 7,3. Una crescita esponenziale in un lasso di tempo breve, che però non spiega da sola il fenomeno. Sulla debacle dei consumi, infatti, hanno inciso il calo di acquisti di beni durevoli determinato dal difficile accesso ai mutui e, quanto ai beni non durevoli, i rialzi degli alimentari e della benzina.

Resta da chiedersi cosa accadrà quando anche noi raggiungeremo le medie degli altri Paesi europei nell’utilizzare il credito al consumo. In Europa, infatti, la percentuale è di almeno tre punti superiore alla nostra. Secondo i dati dell’Abi le punte si registrano in Germania, con il 9,9 per cento di rapporto tra il Pil e le somme spese in credito al consumo. In Spagna si sfiora il 10. L’Italia, invece, oggi viaggia appena intorno al 5,8, con una crescita fortissima nell’ultimo anno del 17,5, considerando anche che solo pochi anni fa il fenomeno era praticamente inesistente. Quando, allora, il peso del credito al consumo toccherà punte fisiologiche per un capitalismo maturo, senza guardare all’irraggiungibile modello americano, la situazione sarà davvero difficile. A meno che, per allora, non saranno venuti meno gli altri fattori che oggi frenano i consumi delle famiglie.

Dal 2004 al 2007, grazie alle missioni imprenditoriali estere promosse da Confindustria, le esportazioni italiane sono cresciute sempre sopra la media europea. Dal consuntivo sull’attività internazionale nel periodo 2004/2008, emerge che ”in tutti i mercati dove siamo stati le esportazioni hanno registrato in questi anni un incremento importante e sempre sopra la media europea.Ad esempio in India, nel periodo 2004-2007, sono cresciute del 147%”.

Trichet: «Tassi fermi contro l’inflazione» Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, difende la politica monetaria della Banca centrale europea e alle domande degli europarlamenari sul mantenimento dei tassi invariati, Trichet ha replicato che «se avessimo abbassato i tassi avremo provocato un aumento dell’inflazione». Trichet ha ripetuto che «il mandato, che ci è stato assegnato dalle democrazie di 320 milioni di cittadini è di perseguire la stabilità dei prezzi. Ce lo chiedono i cittadini che sono preoccupati per l’inflazione».

Inps, troppe prestazioni indebite La Corte dei Conti nella sua relazione sulla gestione finanziaria dell’Inps sottolinea che, nonostante l’andamento positivo della gestione del 2006, l’istituto ha ancora ”aspetti di criticità endemici al sistema” e soffre un persistente aumento delle prestazioni indebite e dell’evasione contributiva. In particolare la Corte sottolinea ”l’ulteriore incremento dell’ammontare di spese per prestazioni indebite” passate da 2.273 a 2.606 milioni di euro, ”il cui recupero, di difficile realizzazione, costituisce un appesantimento burocratico ed amministrativo e per il quale scaturisce l’esigenza di un ulteriore potenziamento del competente corpo ispettivo”.

Fiat prepara il ritorno Usa di Alfa Romeo Il rilancio di Alfa Romeo passa anche dal ritorno sul mercato degli Stati Uniti. Una opportunità che, con il dollaro così sottovalutato, non può essere perseguita con l’esportazione di vetture, ma passa dall’allestimento della produzione direttamente in America. Sergio Marchionne, l’amministratore delegato di Fiat, sta lavorando in questa direzione per portare le auto del biscione sulle strade americane nei prossimi anni. Un processo che si accompagna con gli interventi radicali dei mesi scorsi sullo stabilimento di Pomigliano per migliorarne qualità e competitività e il prossimo lancio della piccola Mito con cui Alfa romeo sbarcherà nel segmento delle compatte.

Mozzarella/1 Sequestrati 83 allevamenti Indici di diossina moderatamente superiori al limite previsto dalle normative europee nelle mozzarelle e nel latte presso 25 caseifici sui 130 controllati. Subito dopo i riscontri si è provveduto a rintracciare tutte le 83 aziende agricole fornitrici dei 25 caseifici, aziende poi sottoposte a sequestro cautelare per impedire qualsiasi rischio in attesa di conoscere gli esiti delle analisi che evidenzieranno la effettiva provenienza del latte risultato positivo all’esame della diossina.

Mozzarella/2 Stop anche dal Giappone Un funzionario del ministero della Salute giapponese, Kitpei Baba, sulla questione dell’importazione della mozzarella di bufala ”Made in Italy” ha dichiarato: «Abbiamo ordinato la sospensione delle importazioni del formaggio, dopo aver appreso dalla stampa che nel formaggio sarebbero stati riscontrati alti livelli di diossina». La scelta del Giappone ha seguito quella della Corea del Sud che ha bloccato le importazioni dell’alimento lo scorso week-end. Nel frattempo l’Unione Europea ha chiesto infomazioni ”urgenti” al nostro Paese sula possibile contaminazione da diossina delle mozzarelle, sottolineando però la necessità di precisi rilievi scientifici prima di adottare qualsiasi misura comunitaria.

Ue, multe dell’antitrust per 3,3 miliardi Le multe inflitte dall’Antitrust europeo per cartelli contro la concorrenza ammontano a 3,3 miliardi di euro. È quanto ha rilevato il commissario europeo Neelie Kroes all’Europarlamento precisando che si tratta di otto sanzioni. Le multe inflitte dall’Antitrust, ha spiegato la Kroes, non sono fini a se stesse ma dimostrano che «le pratiche anticompetitive in Europa non sono tollerate e le sanzioni rimangono un importante deterrente».


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cultura

Perché va difeso il ruolo della scienza all’interno di una visione unica del creato

Natura e Bibbia? È lo stesso autore colloquio con Antonino Zichichi di Mario Masi

ROMA. L’attuale discussione sull’ambiente è imprigionata nella stantia dicotomia che vede i “catastrofisti” contrapporsi aprioristicamente agli “eco-ottimisti”. Il fervore di tale polemica ha ormai travalicato gli argini della difesa dell’eco-sistema in se per assumere il vigore di una appassionato confronto tra due opposti sistemi di pensiero. La concezione ecocentrica, di matrice relativista, viene così ad infrangersi contro lo scoglio dell’etica antropologica, di origine cristiana, travolgendo tutti i temi legati all’ecologia. Lo scontro in atto è evidente anche nella strategia comunicativa attuata da una scuola di pensiero di ispirazione luddista, rigurgito di venerazioni neo-pagane verso Gaia, la madre terra, che tende a presentare la scienza come indistinta dalla tecnologia e quindi colpevole degli effetti indesiderati dell’industrializzazione e del capitalismo. Di contro, una visione antropocentrica dell’ambiente, frutto della consapevolezza del ruolo centrale della fede, esorta l’uomo a non lasciarsi sedurre da facili ritorni alla natura ma a riappropriarsi di una visione unica del creato, dove risalti la sua responsabilità superiore verso le altre forme di vita. Su questi argomenti ho posto alcune domande al professor Antonino Zichichi, presidente della World federation of scientists e della Fondazione Ettore Majorana. Sembra che la scienza attualmente abbia perso la sua funzione formativa ed ogni pecularietà culturale assoggettandosi a ideologie relativiste o scientiste. Né è prova la recente lettera dei 67 scienziati dell’Università La Sapienza che hanno proibito al Papa di parlare ai giovani studenti e al corpo accademico. A questa lettera hanno aderito migliaia di altri scienziati. Come se lo spiega? Ricordo che nell’aprile del 2006, Papa Benedetto XVI, rispondendo a una domanda di un giovane che partecipava in Piazza San Pietro a un incontro in preparazione della Giornata mondiale della gioventù, rispose dicendo che il grande Galileo Galilei considerava la Natura e la Bibbia due libri scritti dallo stesso autore. La Scienza, ha ricordato Benedetto XVI, nasce da quell’atto galileiano di umiltà intellettuale: colui che ha fatto il mondo è più intelligente di tutti noi, filosofi, poeti, artisti, matematici, nessuno escluso. Non permettere a papa Benedetto XVI di leggere agli studenti il messaggio della grande alleanza tra fede e scienza è atto di oscurantismo, non di laicità, è espressione culturale della Scienza ma un esempio di ciò che Enrico Fermi – oltre mezzo secolo fa – definì “Hiroshima culturale”. Nei suoi libri ha ribadito con forza questo concetto, può spiegarlo meglio? Pensi al darwinismo, considerato la più avanzata frontiera della scienza, all’ateismo presentato come il trionfo della ragione, al big-bang come se tutto fosse stato capito. La nostra cultura non è in sinto-

nia con le conquiste della scienza ma con la negazione di queste conquiste; come se Galilei non fosse mai nato; siamo in piena Hiroshima culturale. Se il darwinismo non è la più avanzata frontiera della scienza, ci dice cos’è? Per fare scienza c’è bisogno di rigore matematico e riproducibilità sperimentale. È Galileo Galilei a insegnarci questo, altrimenti si resta fuori dalla scienza di stampo galileiano. L’evoluzionismo esiste in molte specie viventi, ma non lo si può estendere all’uomo». Perché? Esistono centinaia di migliaia di forme di materia vivente. Una e una sola però risulta dotata di ragione. L’evoluzionismo

ce la materia inerte. Il secondo è necessario per passare dalla materia inerte a quella vivente. Il terzo big-bang deve spiegare come si passa dalla vita alla ragione. Che l’evoluzionismo esista in moltissime forme di materia vivente non autorizza ad estendere questa proprietà (evoluzione) a noi in quanto abbiamo una proprietà (la ragione) che non esiste in nessuna altra forma di materia vivente. Noi siamo esempio unico. Se dalla rondine passiamo all’uomo entra in gioco la sfera trascendentale della nostra esistenza. La scienza galileana e cultura cattolica camminano dunque insieme di pari passo? Se oggi la scienza è arrivata alla soglia del supermondo, lo dobbiamo a quell’atto

Occorre realizzare il sogno che fu di Enrico Fermi: vivere di una cultura in cui la scienza sia veramente protagonista. Se vivessimo l’era della scienza non esisterebbero le emergenze planetarie non sa descrivere come dalle innumerevoli forme di materia vivente prive di ragione, com’è un albero o un’aquila, sia venuta fuori l’unica forma di materia vivente dotata di ragione, cioè noi. Sarebbe formidabile se qualcuno riuscisse a far diventare l’evoluzionismo scienza. Tutto evolve: dall’esempio più elementare di particella quale è un elettrone, al cosmo. L’evoluzione cosmica parte dal primo bigbang e, dopo venti miliardi di anni, arriva a noi. Però l’unico evoluzionismo che sappiamo descrivere si ferma alla materia inerte. Io conosco benissimo di quanti protoni, neutroni ed elettroni è fatta una pietra o il corpo di una rondine. Se pietra e rondine sono di peso eguale, il numero di protoni, neutroni ed elettroni è lo stesso. Nessuno però sa fare il passaggio dalla pietra alla rondine. È un esempio del secondo big-bang. Quanti big-bang sono necessari per arrivare a noi? Tre. Il primo è quello che dal nulla produ-

di fede e di umiltà intellettuale, maturato nel cuore della cultura cattolica con Galileo Galilei, che Giovanni Paolo II definì figlio legittimo e prediletto della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II riportò a casa i tesori della scienza galileiana e Benedetto XVI di questi tesori è oggi il massimo custode nella continuità culturale del suo apostolato con quello di Giovanni Paolo II che, spalancando le porte della Chiesa cattolica alla scienza galileiana, dette vita alla grande alleanza tra fede e scienza. La cultura atea vuol fare credere di avere basi rigorosamente scientifiche; lei però ha definito l’ateismo un atto di fede nel nulla. Ce lo può spiegare? La scienza scopre che esistono le leggi fondamentali che reggono tutto; dall’universo dei quark e dei leptoni, alla nostra terra con oceani e foreste, sole, luna, stelle, cosmo. L’insieme di queste leggi rappresenta la Logica che governa il mondo. Siamo figli di questa Logica. È legittimo

chiedersi: questa logica ha un autore? L’ateismo risponde: no; ma non sa spiegarlo. Non arriva al no per atto di ragione, ma di fede e basta. Fede nel no, che vuol dire fede nel nulla. Io penso sia molto più logico un atto di fede nel creatore. Chi ne volesse sapere di più potrebbe leggere il mio libro Perché io credo in colui che ha fatto il mondo. La scienza può fare a meno della fede? Nel Centro di cultura scientifica Ettore Majorana a Erice, che dirigo, è incisa su ferro ed esposta la frase: «Scienza e fede sono entrambe doni di Dio». La cultura del nostro tempo è detta moderna, ma in effetti è pre-aristotelica. Infatti né la logica rigorosa né la scienza sono ancora entrate nel cuore di questa cultura che – come ha scritto Benedetto XVI nel suo discorso alla Sapienza – «costringe la ragione ad essere sorda al grande messaggio che viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza. Così facendo questa cultura agisce in modo da non permettere più alle radici della ragione di raggiungere le sorgenti che ne alimentano la linfa vitale». Nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma c’è un’altra famosa frase di Giovanni Paolo II: «La scienza ha radici nell’immanente ma porta l’uomo verso il trascendente». Benedetto XVI sta percorrendo la stessa strada. Non esiste quindi nessuna antitesi? Nei laboratori del Gran Sasso, praticamente una sua creatura, sono stati fotografati i primi neutrini artificiali prodotti dall’uomo. Una sfida vincente, che profuma di Nobel, ce ne può parlare? Ho progettato i laboratori del Gran Sasso e li ho realizzati avendo presente due motivi di fondo. Anzitutto per dare all’Italia una struttura scientifico-tecnologica in grado di essere in prima linea nella competizione scientifico-tecnologica mondiale. L’altro motivo era di natura puramente scientifica. Io vivevo nel più grande laboratorio di fisica del mondo, il Cern di Ginevra, e avevo capito che c’erano problemi per la cui soluzione sarebbe stato necessario costruire un acceleratore avente dimensioni grandi quanto tutto il sistema solare. Nacque così l’idea di studiare la “macchina cosmica”e i suoi effetti. Infatti il cosmo brilla più di neutrini che di luce. Studiarne le proprietà ci avrebbe aperto orizzonti mai prima esplorati. Oggi, a trent’anni di distanza, questi orizzonti restano di grande attualità. Come dovrebbe essere strutturata per lei una corretta ed efficiente comunicazione ambientale? Dando la parola non a persone che hanno credibilità scientifica zero, ma alla vera grande scienza. Solo così sarà possibile realizzare il sogno che fu di Enrico Fermi: vivere di una cultura in cui la scienza sia veramente protagonista. Il mondo ha bisogno di cultura scientifica. Se vivessimo l’era della scienza non esisterebbero le emergenze planetarie.


cultura

27 marzo 2008 • pagina 21

gni individuo con ”ideali’ è un potenziale assassino”. Leggi, e lì per lì, la frase ti sconcerta. Poi, però, ci pensi su, e soprattutto ripensi a quel che ha partorito il Novecento, il secolo che con gli ideali e le ideologie c’è andato a nozze; e subito dopo ti chiedi: «ma non sarà che Nicolás Gómez Dávila abbia ragione?» E il turbamento che provi leggendo: L’Anticristo è, probabilmente, l’uomo e Il culto dell’umanità si celebra con sacrifici umani non nasce, per caso, da un “sospetto”di verità? Una ragione che fa paura, una verità che fa male: eppure, avverti che è quasi d’obbligo profondersi in esercizi di ammirazione di fronte a questo scrittore colombiano tutto folgori e stilettate (nel senso di “stilo”e “stile” in amorosi lacci avvinti). Ammiri, dunque, “et pour cause”. Del resto, un “compagno” inossidabile come Gabriel Garcia Marquez, candidamente confessò: «Se non fossi comunista, penserei in tutto e per tutto come lui».

“O

Ignoriamo se i due si siano mai incontrati, ma ci vien fatto di pensare che Dávila avrebbe potuto regalargli questo pensierino fulminante: ”Non capisco come si possa essere di sinistra nel mondo moderno dove tutto e tutti sono più o meno di sinistra”. Lui no. All’insegna di un aristocratico sprezzo, pratica l’intelligenza come forma di autodifesa. Mettendo in guardia contro il conformismo. Ammonendo. Smascherando. Attenzione: diffidate di chi si riempie la bocca della parola “libertà”. Infatti, ”i fanatici della libertà finiscono come teorici della polizia”. Del resto, ”la libertà vera consiste nella soggezione a un signore vero”. E l’uguaglianza? Beh, amici, prima di tutto, ”gli uomini sono meno uguali di quel che dicono e più di quel che pensano”. E poi, ”celesti sono le gerarchie. È all’inferno che sono tutti uguali”. Quanto alla democrazia, si tratta di un sistema che ”esercita, di preferenza, la tirannide attraverso il potere giudiziario”. Non vi basta? Ecco un’altra stilettata: “Più gravi sono i problemi, maggiore è il numero di inetti che la democrazia chiama a risolverli”. E il colpo finale: “Con il vocabolo ‘democrazia’designiamo più una perversione metafisica che un fatto politico”. Ma Dávila non è nemmeno un

Pillole di saggezza * Il frammento è il mezzo espressivo di colui che ha imparato che l’uomo vive tra frammenti. * Scrivere è l’unico modo per tenere le distanze dal secolo in cui ci è toccato di nascere. * Un libro lo legge come si deve solo chi appartiene alla sua famiglia naturale. * Cultura è tutto ciò che non può insegnare l’università. * Il moderno distrugge più quando costruisce che quando distrugge. * Diffido di ogni idea che non sembri obsoleta o grottesca ai miei contemporanei. * L’attività rivoluzionaria seduce lo scrittore incapace di attività letteraria. * L’intelligenza dà sempre scandalo. *Dalla terribile approvazione degli imbecilli, il destino protegge solo i difensori di cause pèrse.

Pubblicati due libri di aforismi dello scrittore anarchico-conservatore colombiano

Folgorati dalle stilettate di Dávila di Mario Bernardi Guardi

conservatore visto che in un mondo dove ormai “I Vangeli e il ‘Manifesto del Partito Comunista’ sbiadiscono e il futuro appartiene alla Coca Cola e alla pornografia’, non esiste nulla che meriti di essere conservato”.

Insomma siamo di fronte a un fior di reazionario che vi sbatte in faccia sentenze come: “Non faccio parte di un

mondo che perisce. Io prolungo e trasmetto una verità che non muore” e “Oggi non esiste nessuno per cui lottare, ma soltanto qualcuno contro cui lottare”, e va fiero della sua scelta cattolica che per lui, raffinato e sensuale, è anche un’estetica: “Più che un cristiano sono forse un pagano che crede in Cristo”. Un esteta. Anche della parola. Coltivata in una nicchia di

eletta solitudine. Qui Dávila affina/affila sdegni e sarcasmi le sue antimoderni, perché sentenze conseguano “la durezza della pietra e la trepidazione del ramo”.

Centinaia di aforismi. E subito vien fatto di pensare ai grandi moralisti francesi, da Montaigne e Pascal, fino a Rivarol. Ma le illuminazioni anti-illuministe evocano altri

nomi ancora: de Maistre, Chateaubriand, Donoso Cortés, Barrès, Maurras. Il Nietzsche visionario di “Zarathustra”. Il Cioran “gnostico” e beffardamente apocalittico. In ogni caso, è uno scriver breve vocato alla scintillante quintessenza. Rapidi tocchi cromatici, sentenze chiuse in una folgore, punte di diamante. L’eredità di un uomo che “lesse, scrisse, morì”(1913-1994). Fiero della tradizione umanistico- cristiana in cui era stato educato dalla sua famiglia (in un collegio benedettino di Parigi), della sua biblioteca, ricca di migliaia di volumi, in cui si immergeva fino a tarda notte, del suo spirito libero, che lo tenne sempre lontano dai palazzi e dalla terrazze dell’”intellighentsia” di Bogotà. Altro aveva da fare: limare quegli Escolios che furono pubblicati in cinque tomi tra il 1977 e il 1992. Franco Volpi ha scavato e sondato, estraendone per Adelphi due aurei volumetti (In margine a un testo implicito, 2001 e Tra poche parole, 2007). E un’altra scelta di aforismi è stata curata da Anna K.Valerio per Ar, nella collana “Gli inattuali’ (Pensieri antimoderni, 2008).


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Pechino 2008, siete d’accordo con Sarkozy? BOICOTTARE I GIOCHI SAREBBE OPPORTUNO, MA POCHI STATI SONO DAVVERO DISPOSTI A FARLO

L’IDEALE È PARTECIPARE ALLE OLIMPIADI MA EVITARE AFFARI COMMERCIALI CON LA CINA

Credo che non possa esserci alcun dubbio: boicottare le Olimpiadi che si svolgeranno a breve in Cina, a Pechino, costituirebbe senz’altro un grosso colpo alla credibilità e al prestigio del colosso asiatico,ovvio quindi che si produrrebbe un buon servizio alla causa tibetana. Ma, c’è il solito ma. Quali sarebbero i Paesi disposti a prendere l’iniziativa del boicottaggio? Sarkozy ha avuto coraggio,però sembra che ci siano già da parte francese delle precisazioni che vanno in direzione opposta. E avete letto di Bush? Il Presidente americano ci sarà alla cerimonia di apertura. Dall’Italia e da altre parti della Ue già rimbalzano ipocrite e ciniche dichiarazioni che giudicano inutile la politica del boicottaggio. Non è vero, lo capiamo tutti. La realtà è che la Cina costituisce oggi un mercato enorme per i prodotti dell’Occidente. E gli affari sono affari. Si tratta di milioni e milioni di euro, mica bruscolini. Il Tibet purtroppo, stando ahimé così i fatti, temo debba ancora aspettare parecchio. Cordialmente ringrazio per l’attenzione. Distinti saluti.

Ma quale boicottaggio! Non servirebbe proprio a niente. Intanto ci dovrebbe essere un comportamento generalizzato e già sappiamo che così non è, e poi anche se tutto l’Occidente decidesse di boicottare le Olimpiadi, la Cina non desisterebbe mai dal perseguitare i poveri tibetani. Tanto è cosciente di costituire il più grande mercato del mondo e che tutti i Paesi contestatori, il giorno successivo alla chiusura dei giochi, tornerebbero a blandire i despoti cinesi, ad inchinarsi insomma al denaro. Sarebbe molto meglio partecipare ai giochi, ma non concludere affari commerciali.

Gianfrancesco Lamotta Sulmona (Aq)

Flavia Sensi - Asti

LA STORIA DEL BOICOTTAGGIO È PURA IPOCRISIA, CI SONO ALTRI STATI SENZA DIRITTI E DEMOCRAZIA Le Olimpiadi, simbolo di fratellanza, amicizia, lealtà e sportività, organizzate in Cina sono una vergogna? Sì, assolutamente. Ma di cosa ci meravigliamo? Ci sono Stati dove c’è la pena di morte, dove la democrazia interna non eccelle, dove ci sono fortissimi problemi sociali, dove c’è ancora un razzismo latente e soprattutto dove ci sono carceri illegali dove i prigionieri vengono torturati.

Mirella Rossi - Padova

LA DOMANDA DI DOMANI

La conversione di Magdi Allam creerà tensione con l’Islam? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

CHI VUOLE DAR FASTIDIO AL GIGANTE CINESE? NESSUNO, TROPPI INTERESSI ECONOMICI IN BALLO Fin troppo semplice dire che Sarkozy ha ragione. Se però si vuole fare un discorso serio, bisogna avere il coraggio di dire che nessuno vuole dare fastidio al gigante di Pechino. A chi conviene? Chi non ha imprenditori che lavorano con sommi profitti e poche spese in Cina? Nessuno. Proprio per questo continua il massacro tibetano, le esecuzioni capitali cinesi, il dramma dello sfruttamento minorile e tanti altri diritti negati. E proprio per questo le Olimpiadi che grondano sangue verranno celebrate. E i nostri politici che fanno? Beh, ovviamente parlano e manifestano. Ma tanto non cambia nulla, non hanno il coraggio di farlo.

IL PAESE HA BISOGNO DI VERI LEADER CHE SIANO ESEMPIO Senza una capacità di intervenire nel governo del Paese superando le difese delle caste con coraggio (grandi o piccole) a prescindere dalla forza di ritorsione sociale o sindacale, è tutto inutile. Le Leggi Delega devono quindi prima di tutto basarsi su una visione complessiva morale condivisa da una larga parte del Parlamento. Un esempio pratico. Come conciliare le aliquote fiscali “irlandesi”del sistema normativo delle cooperative non prettamente di carattere socio assistenziale con la lotta all’evasione del grande capitale finanziario e dei ceti medi produttivi e professionali? Ovvero che giustificazione si può dare a questa disparità di trattamento fiscale? Ricordo che durante il Governo Berlusconi nella fase di riforma del sistema cooperativo neppure questo tema è stato risolto. Per cui molti piccoli operatori commerciali ad esempio, si sentono legittimati nel tentare di evadere il fisco visto che comunque i loro concorrenti coopera-

A TUTTO TONDO La casa dell’architetto californiano Eugene Tsui: tonda, ignifuga, impermeabile all’acqua e isolata dai rumori fino a 50 decibel. Altra particolarità, l’assenza di spigoli o di oggetti taglienti anche all’interno SUBITO CHIAREZZA SUL CASO ALITALIA In un Paese normale, le ultime vicende Alitalia verrebbero forse commentate così: ”Dopo l’intervento dell’ex Premier Berlusconi, la trattativa con Air France ha ripreso senza condizionamenti da parte della compagnia francese. L’arrogante out out di Spinetta è scomparso con dichiarazioni come ’tratteremo ad oltranza senza abbandonare alcun lavoratore per strada’”. In Italia invece, Paese condizionato da anni dal comunismo, Berlusconi è sempre il responsabile in negativo di tutto. ”E’ un buffone” sono le parole più educate, ”ha fatto dichiarazioni elettorali”, ”venga fuori la cordata”, scrive l’intellighentia. Intanto i sindacati hanno ripreso coraggio, i piloti anche e il ministro Bianchi

dai circoli liberal Luigi Speroni - Palermo

tive pagano aliquote molto più basse: è un problema di sopravvivenza e di concorrenza sleale visto al contrario. Per non parlare dei mille e sofisticati sistemi di pianificazione fiscale internazionale della grande impresa. Inefficienza del Pubblico, tassazione delle imprese cooperative commerciali, piccola impresa e professionisti, agricoltura e grande capitale finanziario operano in cinque realtà statuali fiscali completamente diverse. Che devono diventare un “unicum” e cioè, pur nella diversità, una visione sociale armonica che abbia dentro il senso della Giustizia morale. E’ solo un esempio. Il risultato consente poi di misurare la capacità di un leader di essere in grado di interpretare al meglio la “soluzione”. Di essere visto come la persona adeguata dallo strato più largo della popolazione. Secondo Voi Berlusconi ad esempio è credibile quando afferma la necessità di fare sacrifici? Non mi pare che per l’unità del centro destra, e quindi la maggioranza del Paese, abbia dimostrato gran-

litiga con il suo collega PadoaSchioppa, dando la sopravvivenza di Alitalia fino a fine 2008. In conclusione, cosa c’è sotto, in questa fretta a voler svendere la compagnia? Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

L. C. Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)

A MAGGIO CI SARÀ IL GOVERNO ”VELTRUSCONI” In questa campagna elettorale, noiosa e decisamente sottotono, si rincorrono sondaggi improbabili che danno prima questo e poi quel candidato in vantaggio. Ma credo che in definitiva, i sondaggi abbiano la stessa attendibilità delle promesse elettorali. E probabilmente ha ragione chi si aspetta la reggenza di un governo ”Veltrusconi”. Cordialità.

Alessia Conte - Latina

de disponibilità a sacrificarsi quando si chiedeva un piccolo sacrificio personale:da monarchia assoluta a monarchia costituzionale. Credo che il Paese abbia bisogno di leader. E leader prima di tutto significa dare l’esempio. Leri Pegolo

CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 18 APRILE 2008 Ore 11, a Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna Riunione mensile nazionale di tutti i Presidenti dei Circoli Liberal.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog UN SÌ DECISO AL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO

La stanchezza è infinita e la rabbia ancor di più Cara Elvira, è tanto che voglio scriverti, ma non trovo l’energia. Come avrai capito già da allora, e lo dicevi, ero stanca. Lavorare di nuovo la voce, cambiare tecnica durante le recite non era l’ideale per i miei nervi già tesi da tanti anni. Conclusione, sono andata abbastanza bene con eccezione di qualche ”do” sfuocato più da paura e sfiducia. Ora sono qua in crociera, spero di tirarmi su per le Tosche di Londra, ne ho quattro in luglio. A Parigi andrò dal dottore e prenderò una decisione. Dopo New York ho avuto il crollo del corpo. Ho riposato circa un mese, ma si vede che i miei nervi non erano saldi ancora per un lavoro tanto duro come Norma. Un programma televisivo e cinque Norme, più le prove, in venti giorni. Così la mia stanchezza è infinita e la mia rabbia ancora di più per non aver potuto resistere fino alla fine. Maria Callas alla sua maestra Elvira De Hidalgo

I BANDONI ELETTORALI MINANO SICUREZZA E VIABILITÀ Sono numerosi i bandoni per l’affissione di manifesti elettorali collocati dal Comune di Roma in varie zone della città che arrecano danno alla visibilità degli utenti della strada, che di conseguenza rischiano quotidianamente la vita a causa di ubicazioni scriteriate e poco idonee. Il proliferare dei pannelli finisce insomma per rendere pericolosa la viabilità, soprattutto in questa tornata elettorale che prevede la presentazione di centinaia di migliaia di candidati, ai quali va garantito uno spazio idoneo per l’affissione della pubblicità elettorale. Ad oggi nessun luogo viene risparmiato dall’invasione selvaggia dei tabelloni che colpiscono punti strategici per la viabilità veicolare e pedonale, arrivando persino a rappresentare motivo di incidenti perché limitativi della visibilità. E’ dunque necessario che l’autorità comunale ridefinisca gli spazi da adibire all’affissione dei manifesti elettorali, per impedire il proliferarsi delle violazioni a danno della sicurezza di tutta la cittadinanza. Cordialmente.

Fiamma de Angelis - Roma

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

27 marzo 1770 Muore Giambattista Tiepolo, pittore e incisore italiano (n. 1696) 1790 Vengono inventati i lacci per le scarpe 1841 A New York viene sperimentato il motore a vapore 1871 Primo incontro internazionale della storia del rugby a 15 a Edimburgo: Scozia - Inghilterra 4-1 1927 Nasce Mstislav Leopol’dovic Rostropovic, violoncellista e direttore d’orchestra russo († 2007) 1945 Ella Fitzgerald incide uno dei suoi maggiori successi: It’s only a paper moon 1958 Nikita Khruscev diventa primo ministro dell’Unione Sovietica 1985 A Roma le Brigate rosse uccidono l’economista Ezio Tarantelli 1994 In Italia si svolgono le elezioni politiche che vedono la vittoria di Silvio Berlusconi e della coalizione di centrodestra, sulle due coalizioni di centro e di sinistra

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Si sente spesso polemizzare contro il voto degli italiani all’estero, che ha assunto fin dalla sua introduzione una notevole rilevanza politica. I nostri connazionali all’estero rappresentano per il nostro Paese un insostituibile e prezioso patrimonio di cultura, di esperienza, di vita. Un’antenna importante, per il ruolo di un Paese chiamato a competere nel mondo globalizzato. Riconoscere agli italiani nel mondo il diritto di eleggere rappresentanti in Parlamento è stato un atto politico non solo nobile e doveroso, ma anche intelligente e opportuno. Una conquista civile, che va attribuita in particolare all’On. Tremaglia e alla deteminazione di tante comunità di italiani che hanno mantenuto un profondo legame con la propria terra. Penso che gli italiani nel mondo in molti casi conoscano ed amino maggiormente l’Italia di chi ci risiede. Per questi motivi mi dichiaro convintamente a favore non solo del voto degli italiani all’estero, ma anche della previsione nel futuro governo di un Ministero ad hoc.

Matteo Prandi - Milano

PUNTURE Pare che quasi il 60 per cento degli elettori condivida l’appello al “voto utile”. Ergo, il 40 per cento non lo condivide. Nessuno, però, dà la notizia per ciò che è: quasi la metà degli italiani non crede nel “voto utile”.

Giancristiano Desiderio

Si nasce e si muore soli. Certo che in mezzo c’è un bel traffico PAOLO CONTE

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di BERLUSCONI E ALITALIA Ogni spunto è buono per fare campagna elettorale. E così persino Silvio Berlusconi ha imparato bene il vizietto dei politicanti di mestiere. Lo dico con con rammarico, credetemi, ma la vicenda Alitalia docet. Quel marpione del Cav ha compreso al volo (è proprio il caso di dirlo…) che correre in soccorso della nostra compagnia di bandiera svenduta da Prodi potesse farlo apparire improvvisamente come il salvatore della patria. Insomma, il gioco vale davvero la candela. Peccato però che sotto sotto del destino della nostra compagnia di bandiera e di quanti vi lavorano per portarsi la pagnotta a casa, poco o nulla importa a chi si siede oggi sugli scranni di Montecitorio. Un po’ come succede per la nettezza a Napoli, ognuno tira a campare o a portare acqua al proprio mulino strumentalizzando a fini elettorali ogni possibile questione che si ponga come emergenza nel nostro paese. Da una parte Prodi, che da convinto europeista ed ex Commissario UE fa gli interessi dei francesi confezionando Alitalia come un pacco regalo per i nostri vicini d’oltralpe, dall’altra Berlusconi che raccatta all’ultimo momento una cordata di imprenditori per salvare la compagnia e riempire gli aerei di voti per il PDL. Il classico “due piccioni con una fava”Ma non vorrei che finisse invece col trasformarsi in un ancor più classico “voler la botte piena e la moglie ubriaca”… Ovvero, ben venga la cordata italica se questa davvero possa risollevare le sorti di Alitalia e di quanti vi lavorano, purchè non prevalga alla fine solo il fine elettorale a scapito di tutto il resto. Purtroppo la politica nel nostro paese ci ha abituati ad

essere cauti visti i precedenti. In fondo inutile dichiararsi liberali se poi davanti ad una proposta che arriva dall’estero ci si arrocca su posizioni stataliste appellandosi al marchio italico a tutti i costi. Benvenga chi possa realmente garantire la sopravvivenza di Alitalia, chiunque esso sia. Ma essere liberali solo sulla carta oggi conviene di più…

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IL TIBET NON È IL KOSOVO Chi ancora crede che le relazioni internazionali siano regolate da un qualche diritto internazionale dovrebbe ricredersi. Il nocciolo della questione sta solo nella forza militare di un popolo. Qualche mese fa gli Usa hanno capitanato una ”cordata”di Paesi occidentali che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Oggi, gli stessi Paesi nemmeno si sognerebbero di fare altrettanto con il Tibet, ne di iniziare una guerra (di qualsiasi tipo) con la Cina per difendere il diritto all’autodeterminazione di un popolo per loro insignificante. I tibetani farebbero bene ad accantonare la non violenza buddista, tanto si sa che tra il lupo e l’agnello, gli Stati scelgono sempre il lupo. (...) Per quanto riguarda i giochi olimpici non illudiamoci che gli Stati ritirino le loro delegazioni nazionali, sarebbe troppo chiedere un tale coraggio. Molti sono i dubbi anche sugli atleti, anche loro hanno troppi interessi economici per non partecipare alle olimpiadi. Aspettando Pechino 2008 i vincitori ci sono già: gli atleti che parteciperanno avranno già vinto una medaglia insanguinata.

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PAGINAVENTIQUATTRO

Una bella mostra alle Scuderie del Quirinale con una grave lacuna

Ma nell’Ottocento non c’è stato il naugurata da un mese (resterà aperta fino al 10 giugno: c’è tempo per godersela) la mostra dedicata all’Ottocento, è meta del pellegrinaggio di tantissimi visitatori, come tutte le esposizioni allestite negli splendidi spazi delle Scuderie del Quirinale. La critica è stata pressoché unanime negli applausi. Serenamente e pacatamente (come direbbe Veltroni, che avrebbe voce in capitolo, come ex ministro dei Beni culturali ed ex sindaco di Roma) uno che non ha titoli come esperto d’arte vorrebbe qui lanciare il classico sasso in piccionaia, per manifestare la propria delusione. Che è di carattere storico, più che di natura estetica.

I

L’Ottocento è stato il secolo peggiore della pittura italiana, dal Trecento ad oggi. Niente a che vedere con il XIV secolo illuminato dal genio di Giotto, ma anche dall’arte sublime di Duccio da Boninsegna, Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti. Di assoluta mediocrità se paragonato al Quattrocento di Piero della Francesca, Andrea Mantegna, Masaccio, Paolo Uccello, Antonello da Messina,Vittore Carpaccio, il Perugino e il Pinturicchio, Luca Signorelli e Filippino Lippi, Benozzo Gozzoli e Sandro Botticelli. Addirittura insignificante rispetto al Rinascimento trionfante del Cinquecento, quando l’Italia rappresentava il centro di gravità dell’arte e della cultura mondiale, con Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Tiziano, Giorgine, Tintoretto, Parmigianino). Il medesimo discorso vale nei raffronti con il Seicento (Caravaggio, i Carracci, Guido Reni, Pietro da Cortona, Gianlorenzo Bernini, Guercino, Artemisia Gentileschi) e con il Settecento che offrì le opere di Tiepolo, Cataletto, Bernardo Bellotto, Pietro Longhi, Francesco Guardi. E persino con il Novecento, il secolo nel quale l’Italia riconquistò un primato con il Futurismo di Marinetti, Boccioni e Depero, ed ebbe artisti del livello di Carrà, Morandi, Modigliani, De Chirico. Un periodo grigio, dunque, per l’arte italiana, e di questo non si può far colpa a chi ha allestito la mostra, ovviamente. Ma l’Ottocento italia-

RISORGIMENTO? di Massimo Tosti no – nella pittura – ha avuto due filoni storicamente molto rilevanti. Uno tipicamente nostrano, e l’altro condiviso con gli altri Paesi. Quello nostrano è il filone risorgimentale ed eroico. Le guerre d’Indipendenza ispirarono molti artisti, spingendoli a rappresentare le battaglie e gli eventi che condussero all’unità nazionale. Con un eccesso di enfasi, in molti casi, ma con una scuola che non può essere ignorata. Gli

autori più famosi sono Gerolamo e Domenico Induno, Carlo Bossoli, Piero Aldi, Franco Hayez, Giovanni Fattori, Luigi Bisi, Michele Cammarano, Francesco Paolo e Filippo Palizzi, Baldassarre Verazzi, Stanislao Grimaldi, Vincenzo Giacomelli, Michele Tedesco, Antonio Licata, Ippolito Caffi, Eliseo Sala, Casimiro Teja, Sebastiano de Albertis, Giovanni Selenio, Fausto Zaonaro, Archimede Tranzi, Carlo Ademollo, Nella mostra alle Scuderie sono presenti due o tre dipinti degli Induno. E basta. Ma ci furono anche molte opere riservate alle pagine gloriose del passato: dalla storia antica di Roma, ai Vespri Siciliani (di Hayez) al Giuramento di Pontida (Diotti) alle scoperte di Galileo (Sabatelli). Senza dimenticare i dipinti di soggetto storico di Massimo D’Azeglio. Di questo genere “eroico” è presente soltanto il dipinto di Vincenzo Camuccini che rappresenta l’uccisione di Giulio Cesare.

Le guerre d’Indipendenza ispirarono molti artisti, ma ci furono anche opere dedicate alla storia di Roma antica, ai Vespri siciliani, al giuramento di Pontida e alle scoperte di Galileo

Sopra ”Il bacio” di Franco Hayez; in alto ”Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, completato nel 1901 ed esposto nel 1902

Il secondo filone è quello che documenta la vita borghese. Molti artisti (primo fra tutti, per qualità e quantità di opere. Silvestro Lega) ritrassero – con minuzia fotografica – la vita quotidiana della nuova classe emergente: il loro abbigliamento, le loro case, le loro abitudini. Anche in questo caso, i pochi quadri presenti nella mostra non aiutano a ricucire questo affresco storicamente importante. La mostra si chiude con Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Un capolavoro, senza dubbio, ma che appartiene di diritto al secolo seguente. Non solo per ragioni cronologiche (fu completato nel 1901 ed esposto nel 1902), ma perché anticipa i temi artistici e sociali del “secolo breve”.


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