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9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80401

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

di Ferdinando Adornato

AVVISO AI NAVIGANTI

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

Le elezioni saranno inutili se non si prende atto che la seconda Repubblica è fallita e che deve cominciare una nuova storia

Terza Repubblica Nessuno può farcela da solo: comunque vada il voto, l’Italia ha bisogno di un governo di “riscatto nazionale” e di un’Assemblea Costituente per le riforme pagine 2 e 3

NordSud La rivoluzione dell’acqua Rosamaria Bitetti, Giuseppe Latour, Gianfranco Polillo, Bruno Spadoni, Carlo Stagnaro

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expo 2015

pechino 2008

alitalia

SECCHI: «IL TRIONFO POLVERINI: DI MILANO, LA RIVINCITA «NON VEDO CORDATE, DI MALPENSA» MA SOLO AIR FRANCE» Nicola Procaccini

MARTEDÌ 1 APRILE 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

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NUMERO

Alessandro D’Amato

58 •

pagina 18

WWW.LIBERAL.IT

Il rappresentante dei tibetani in Italia: «Boicottare la cerimonia d’apertura» pagina 7

Valerio Venturi

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 1 aprile 2008

terza

repubblica

Il voto del 13 e 14 potrà essere davvero utile se il dopo sarà all’altezza delle emergenze che vive l’Italia

Elezioni di routine? No. Per cambiare tutto di Renzo Foa a copertina di Newsweek dedicata (un po’ tardivamente) al neologismo politico «Veltrusconi» si è subito imbattuta nelle consuete smentite sull’ipotesi delle «larghe intese». Non poteva essere altrimenti, in una campagna elettorale in cui i leader del Pd e del Pdl si inseguono reciprocamente e il cui problema principale è quello di riuscire a definire, fra due settimane, i parametri del successo o dell’insuccesso. E, se non ci sarà un risultato netto e riconoscibile, come tutto lascia prevedere, la loro non sarà un’operazione facile perché dovranno prima incrociare le percentuali raccolte alla Camera con il margine di vantaggio dei seggi senatoriali e poi tarare il tutto con il raccolto delle «terze forze», l’Udc in primo luogo, ma anche la Sinistra arcobaleno, la Destra, forse lo stesso Psi. Sarà un’operazione molto complicata. Ancora più complicata se le lenti attraverso cui occorre guardare all’esito del voto non sono quelle di una normale consultazione e di una normale possibile alternanza, ma di un passaggio che avviene nel pieno della crisi degli assetti bipolari che la Repubblica si è data quattordici anni fa.

L

Ancora domenica scorsa Berlusconi ha agitato l’argomento del «voto utile», nella sua campagna volta a cercare di convincere frange di elettori dell’Udc e della Destra a mettere la crocetta sul simbolo del Pdl. Strano, visto che il Cavaliere continua ad esibire l’esistenza di sondaggi che lo mettono al riparo da sorprese. Ma, comunque sia, via via che passano i giorni, il problema non sembra proprio essere quello del «voto utile». Se ne pone un altro ben più rilevante: quello dell’utilità complessiva di queste elezioni, quello della consapevolezza della fine di una stagione, quindi quello del «dopo» e del modo migliore per affrontare la crisi profonda della società italiana, delle sue istituzioni, dei suoi assetti e delle sue classi dirigenti. I «Veltrusconi» sembrano oggi lavorare – anche se con linguaggi diversi – soprattutto al-

Romano Prodi festeggia la vittoria elettorale del 2006. Berlusconi, davanti al sostanziale pareggio, propose invece un governo di “larghe intese” l’interno degli schemi di tempo e di spazio di una legislatura che si chiude e di un’altra che si apre, come se si fosse in una situazione di normalità. Come se la questione sia solo, per l’uno, quella di chiudere la stagione del prodismo e, per l’altro, di chiedere di nuovo un mandato essenzialmente personale. Come se il «dopo» sia stretto nel dilemma irrisolvibile fra la necessità di un dialogo a tutto campo e l’impossibilità di realizzarlo, sapendo che il vincitore non avrà gli strumenti per impostare da solo una politica all’altezza delle neces-

brano segnate più da un istintivo senso di sopravvivenza che da un progetto per l’Italia. Le due leadership politiche – per come si sono mosse, per come parlano, per l’ansia di affermare solo il proprio soggetto elettorale – non mostrano di guardare ad un orizzonte più ampio.

La formula delle «larghe intese» riflette una necessità: si è cominciato a parlarne all’indomani del voto del 2006, quando di fronte al risultato di pareggio Berlusconi prospettò una collaborazione politica fra i due

La posta in gioco è una svolta. Mentre i «Veltrusconi» sembrano oggi lavorare soprattutto all’interno degli schemi di tempo e di spazio di una legislatura che si chiude e di un’altra che si apre, come se si fosse in una situazione di normalità sità, come già avvenuto nel 1994, nel 1996, nel 2001 e nel 2006. Proprio in questo sta il limite di fondo di una contesa, al termine della quale non si intravede una via uscita, nel senso di una svolta politica profonda. Le proposte del Pd e del Pdl risentono fortemente dell’improvvisazione e del vuoto culturale con cui sono nati questi due partiti-lista. Sem-

schieramenti. L’Unione respinse la richiesta al mittente. Ma il fallimento dell’esperienza prodiana ha via via riproposto l’argomento. Però da un certo momento in poi è diventato difficile continuare a parlarne perché sembrava che si trattasse semplicemente dell’«inciucio». In altri termini, perché con il dialogo avviato tra il Cavaliere e Veltroni sulla

riforma elettorale l’immagine proiettata all’opinione pubblica era semplicemente quella di un tentativo di accordo volto alla spartizione del potere. Finalizzato ad un’architettura per ridurre il confonto al Pd e al Pdl e non per risolvere i grandi problemi italiani. Ma il problema resta di fronte ad un sistema politico che non funziona non tanto perché c’è una brutta legge elettorale, ma perché continuano a mancare proposte pesanti e coraggiose, proposte di cambiamento e di innovazione o anche soltanto proposte realizzabili. Il problema resta perché la crisi italiana con il passar degli anni (e dei governi) si è aggravata nel suo aspetto più importante: la transizione iniziata con la crisi del vecchio sistema dei partiti non solo non è giunta ad un approdo, ma soprattutto ha accentuato la divisione fra le varie realtà socioeconomiche della penisola, ha pregiudicato il funzionamento delle istituzioni, ha reso la governabilità un’illusione. Con una peculiarità: da quattordici anni a questa parte nessuno dei due schieramenti è riuscito ad affrontare il problema. Da qui è nata l’esigenza di una stagione di corresponsabilità, per proporre e gestire quel che si può definire un progetto «di riscatto nazionale». È questa un’ipotesi realizzabile? In campagna elettorale i riflettori sono puntati essenzialmente su quel che Newsweek ha di

nuovo definito «Veltrusconi», ipotizzando un dualismo virtuoso, ma con un limite: sia il Pd che il Pdl sono oggi l’ultima variante del bipolarismo blindato che non è riuscito a governare. Contengono entrambi questo difetto di fabbricazione. Già in partenza sembrano insufficienti, sia perché non riescono a rappresentare la complessità del Paese sia perché non esprimono culture visibili e riconoscibili. La campagna elettorale raffigura quotidianamente questi limiti. Limiti accentuati dall’incertezza sul «dopo». E dal divario crescente tra la percezione che gli italiani hanno di vivere in una situazione emergenza e la navigazione a vista sia di Berlusconi che di Veltroni. Nessuno dei due leader si è presentato facendo davvero i conti con i fallimenti passati, né mostra di volersi misurare con l’eccezionalità della crisi. Cioè con l’eccezionalità di un passaggio, la cui unica utilità consiste nel chiudere la stagione della Seconda Repubblica e nel prospettare l’avvio di una nuova fase.

Co n

q u al c h e

d o m a nd a :

quando si parla di nuove regole, di riforme costituzionali, davvero ci si illude che i vecchi e tradizionali strumenti come le commissioni parlamentari siano sufficienti? O c’è invece la necessità di un gesto di rottura rispetto al passato, rispetto alla vera e propria sconfitta che il riformismo ha subito negli ultimi vent’anni? Ecco, l’idea di un’Assemblea costituente nasce dalla consapevolezza della necessità di una reazione all’altezza del fallimento, ormai storico, di tutti i tentativi di innovazione. Così come l’idea di un governo «di riscatto», aldilà degli schieramenti formatisi dopo il biennio 1992-94, appare l’unica risposta adeguata alla profondità del fallimento della governabilità. Ecco un possibile scenario per il «dopo», per non ridurre la competizione al fiacco dualismo fra «Veltrusconi», per rendere davvero utile il voto del 13 e 14 aprile, per non essere magari costretti fra un anno a tornare alle urne, in una crisi ben più profonda.


terza

repubblica

1 aprile 2008 • pagina 3

Buttiglione: un’ampia maggioranza che faccia anche scelte impopolari è l’unica via d’uscita

«Basta con questa lenta agonia, “governo dei migliori”e Costituente» colloquio con Rocco Buttiglione di Errico Novi

ROMA. Il vizio dell’Italia, il vero vizio di questi anni è «governare con i sondaggi». Difficile riuscire a liberarsene all’improvviso, riconosce Rocco Buttiglione, «se non si arriva a un’ampia coalizione, che si assuma la responsabilità di fare anche scelte impopolari. Non un accomodamento in cui ciascuno scarica sull’altro l’impossibilità di perseguire i propri obiettivi, ma un governo orientato al bene comune del Paese». E si metterebbero così le fondamenta della Terza Repubblica. Adesso abbiamo una certezza: è finita la Seconda e brancoliamo al buio. Si è fallito l’obiettivo di semplificare le decisioni, presupposto essenziale per la stagione iniziata dopo Tangentopoli. Era stato giusto porsi il problema.Vivevamo in un sistema che assomigliava molto a quello immaginato da Pietro Ingrao, la democrazia dei Consigli. L’eccesso di rappresentanza era compensato dalla capacità di sintesi dei partiti, fin quando non si sono indeboliti. E a quel punto in Italia abbiamo riscoperto il pensiero di Carl Schmitt, con Giacomo Marramao, Gianfranco Miglio… Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbe andata così male? Scontiamo alcuni limiti del nostro sistema. Innanzitutto una generalizzata diffidenza verso il personale politico che ha consentito alla magistratura di intervenire nella vita pubblica senza assumersi la responsabilità delle conseguenze. La stessa giustizia amministrativa procede senza tener conto di quella che gli americani chiamano giurisprudenza economica: si decide di bloccare l’inceneritore anche se in quel momento serve. Primo nodo da sciogliere per un futuro governo di riscatto nazionale. Gli altri? Il grande potere dei sindacati, che andrebbe sottoposto a disciplina. Peccato che in questi anni chiunque ci abbia prova-

to abbia dovuto verificare l’impossibilità dell’impresa. D’alta parte io preferisco un sistema in cui le decisioni siano bilanciate dalla rappresentanza. So come se la vorrebbe cavare Berlusconi: basta avere un Parlamento di figuranti che schiacciano il pulsante. Abbiamo visto che così non si risolve nulla. Serve la sintesi tra la capacità politica di decidere e il rapporto con il territorio. Dopo la giustizia e il ruolo dei sindacati, ecco l’altra priorità di un governo per le riforme: la legge elettorale. Ma come si arriva a un rinsavimento del genere? L’ideale sarebbe se il 14 aprile non avessimo un vincitore e fossero tutti costretti a sedersi attorno a un tavolo. Non serve un inciucio in cui ciascuno nasconde le proprie responsabilità dietro l’altro, ma un’ampia coalizione che sappia condivi-

difendersi e noi che ci condanniamo a perdere. Con la lenta, dolce agonia proposta dal potere politico. Che in questo modo preserva se stesso mentre il Titanic cola a picco. Certo, in Germania ci sono partiti che hanno pagato un prezzo altissimo per la grande coalizione. Ma loro corrono, il nostro Pil precipita. E lo stallo è insuperabile se non si interviene sull’assetto istituzionale. Cosa potrebbe scongiurare il fallimento di un’altra bicamerale? La discussione sulle riforme va separata dall’attualità politica. Resto convinto che la strada migliore sia l’Assemblea costituente. So bene che uno strumento del genere non basta da solo a creare un idillio tra le parti, ma sarebbe l’unico modo per sottrarre il processo agli interessi del governo di turno. E poi la Costituente dovrebbe essere solo in parte elettiva, gli altri componenti sarebbero scelti dal Parlamento e dalle Regioni tra saggi ed esperti. In un contesto simile si creano le condizioni per un riequilibrio tra decisione e rappresentanza. La legge elettorale non sarebbe più una leva di comodo. Nel modello tedesco c’è la sintesi migliore: possono essere rappresentati in tanti, ma si è obbligati a formare coalizioni coerenti e in modo responsabile. È chiaro che non ci si può limitare alla riforma del voto: vanno rafforzati i poteri del premier e introdotta la sfiducia costruttiva, che consente di sostituire l’esecutivo ma che può assicurargli maggiore forza, con il vincolo del ritorno alle urne dopo un anno, un anno e mezzo. Ci sono altre debolezze, oltre a quelle istituzionali. Basta sottrarre la pubblica amministrazione al vergognoso spoil system di questi ultimi anni. Bisogna restituirle prestigio e autonomia. Il ministro dà l’indirizzo politico, ma non è possibile che i funzionari sentano di dover rispondere al suo partito più che alla legge.

Riformare la giustizia, rivedere il ruolo dei sindacati e soprattutto riscrivere le regole istituzionali: solo così superiamo questo stallo drammatico

Il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione vede nel vizio di «tirare a campare e affidarsi alle scelte suggerite dai sondaggi» il vizio principale dei governi della Seconda Repubblica

dere anche l’impopolarità. L’Udc è schierato per questo tipo di soluzione. Finora si è tirato a campare, i governi hanno compiuto scelte in base al gradimento popolare attestato dai sondaggi. Una cosa sbagliatissima. E come si presenta all’opinione pubblica un discorso del genere? I due partiti-coalizione non hanno dimestichezza con gli annunci impopolari. Cos’ha detto Churchill nel 1940? Saranno lacrime e sangue, ma poi verrà la vittoria. Posso citare anche la Polonia di Solidarnosc, persino gli Stati Uniti di Reagan, che hanno messo insieme il pragmatismo e i valori del cristianesimo americano. Abbiamo davanti sfide drammatiche. Non c’è più la guerra, certo, ma c’è il mercato mondiale, con la Cina che avanza, gli Usa che sanno


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bilanci Luca Ricolfi nel rapporto annuale del suo Osservatorio Nord Ovest fotografa in modo impietoso il fallimento del governo dell’Unione

«Prodi? Solo errori» di Bruno Babando l risanamento dei conti pubblici? Inquietante. L’effetto più marcato del governo Prodi? Il rallentamento della crescita economica. La lotta all’evasione, vanto del viceministro Visco? Falsa e spudorata. Non sono stralci della propaganda elettorale dell’opposizione di centrodestra, ma le affermazioni, lapidarie quanto scrupolosamente documentate, di un autorevole sociologo che pure non misconosce la propria appartenenza alla sinistra: Luca Ricolfi. Nella quarta edizione del Rapporto sul cambiamento sociale dell’Osservatorio del Nord Ovest, fondato e diretto dallo stesso Ricolfi, lo studioso torinese, docente di Analisi dei dati presso l’ateneo subalpino ed editorialista di punta della Stampa, è davvero impietoso nel fotografare lo stato del nostro Paese. Fin dal titolo, Ostaggi dello Stato. Le origini politiche del declino e dell’insicurezza, il quadro che emerge da questo scrupoloso saggio è, a dir poco, disarmante: inefficienze strutturali, ritardi atavici, sprechi e dissolutezze amministrative si combinano in maniera perversa con l’incapacità delle classi politiche a prendere di petto i problemi, a selezionare le priorità d’intervento e, di conseguenza, a proporre soluzioni praticabili.

I

E se due anni fa Ricolfi aveva fatto le pulci a Berlusconi e al suo famoso contratto con gli italiani, firmato chezVespa e disatteso a suo giudizio in quattro punti sui cinque fissati, ora tocca al premier ulivista prendersi la sua bella razione di rampogne. «Non credo affatto scrive nelle considerazioni conclusive che Prodi abbia fatto troppo poco, bensì che abbia fatto le cose sbagliate, che abbia riportato all’in-

dietro le lancette del cambiamento; potrei fare molti esempi cominciando dall’abbassamento dell’età della pensione (da 60 a 58 anni) per arrivare al contratto degli statali e alla stabilizzazione dei precari». Pur riconoscendo quanto sia difficile misurare con parametri scientifici oggettivi le politiche governative, tutte le sue contestazioni sono sempre corroborate da una mole di cifre e dati di un rigore quasi maniacale. Prendiamo in esame l’andamento dei conti. Nel biennio 2006-2007, riconosce che vi è stato un leggero miglioramento del deficit e dello stock di debito in rapporto al Pil, conseguito però a caro prezzo, attraverso l’aumento considerevole della pressione fiscale, passata dal 44,4% del 2005, al 46,1% del 2006, al 47,2% del 2007. L’incremento delle entrate fiscali è stato poi favorito dall’aumento del Pil nominale, cioè dall’andamento positivo della congiuntura economica che ha accresciuto le entrate provenienti dall’imposta sulle società (Ires) e dall’Iva. Inoltre, i provvedimenti della finanziaria 2007 «hanno provocato un balzo dei contributi (grazie al trasferimento forzoso del Tfr) e un’esplosione del gettito dei tributi locali, con i quali i Comuni hanno prontamente compensato i risparmi (mancati trasferimenti) ad essi imposti dal governo centrale». Una partita di giro, visto che le entrate totali risultano cresciute di un punto di Pil, cioè dello stesso ordine di grandezza di quelle impiegate per il contenimento del debito. Alla fine della fiera, insomma, le cose non sono affatto cambiate: è evi-

dente come «il peso della spesa pubblica sul Pil sia rimasto invariato», e che il falso risanamento sia stato fatto interamente a spese delle tasche dei cittadini, e i vari «tesoretti», scoperti e reclamizzati dal governo, abbiano alimentato ulteriormente la spesa invece di essere destinati ad abbattere il deficit. È così cresciuta quella che Ricolfi chiama la interposizione pubblica sul Pil, ossia il grado di intromissione dello Stato nell’economia, data dalla somma di entrate e uscite in rapporto al prodotto lordo, passata dall’84% del 2005 a circa l’87% del 2007. «Significa – sintetizza l’autore – che il risanamento è attuato sottraendo risorse all’economia, ossia soffocando la crescita». Terapia perniciosa per il Paese che per crescita economica è ormai il fanalino di coda in Europa. Una parte rilevante dello studio è dedicata a confutare il decantato Visco», «effetto cioè il recupero dell’evasione fiscale che sarebbe stato indotto dal rigore

Il risanamento dei conti pubblici? Inquietante. L’effetto più marcato dell’esecutivo? Il rallentamento della crescita economica. La lotta all’evasione, vanto del viceministro Visco? Falsa e spudorata

del viceministro delle Finanze. Gli evasori incalliti di mezza Italia non devono avere alcuna paura, giacché la realtà è ben diversa. Per il 2006 l’extragettito, calcolato sulla base di una media ponderata del biennio precedente, cercando di sterilizzare gli effetti di una crescita anomala del gettito nella prima metà del 2005, danno un risultato di circa 1,8 miliardi di euro, contro gli 8,8 proclamati da «Dracula Visco». L’extragettito 2007, invece, sarebbe addirittura un tarocco, risultato di un trucchetto del governo, svelato molto argutamente dall’economista Baldassarri. Prodi avrebbe cioè sistematicamente sottostimato le entrate, che sono state calcolate consapevolmente al di sotto di quanto era fin dall’inizio dell’anno prevedibile. Lo avrebbe fatto non per un eccesso di prudenza, ma per tenere a bada le richieste della sinistra e della pletora delle numerose clientele, per poi inscenare in corso d’anno la commedia dei tesoretti, con una sceneggiata che godeva sempre di un’ampia copertura mediatica. In conclusione, se si fossero fatte previsioni «giuste» del gettito fin dall’inizio, l’effetto Visco avrebbe prodotto al massimo un maggiore introito fiscale di 2,6 miliardi nel 2007, che sommati agli 1,8 del 2006, danno un risultato positivo, ma di circa un quinto di quello dichiarato dal governo. Ma Ricolfi, perfido come non mai, evidenzia come la forchetta di stima non sia ancora stabile, al punto da non poter escludere addirittura un effetto Visco negativo, cioè una riduzione del gettito.

Per questa serie di ragioni, è l’amara conclusione di Ricolfi, «oggi siamo ostaggi dello Stato, esattamente come siamo stati – per secoli – sottomessi allo straniero. Il nostro guaio più grande, però, è che lo siamo due volte. La prima volta, perché lo Stato è onnipresente là dove non dovrebbe esserci, e questa sua presenza finisce per soffocare l’economia, mortificare il merito, scoraggiare l’iniziativa dei singoli. La seconda volta perché lo Stato è assente dove dovrebbe esserci, ed è precisamente questa sua assenza che ci rende insicuri, nei quartieri degradati come nei cantieri irregolari, nei territori dove comanda la mafia come in quelli dove spadroneggiano avventurieri e furbetti di ogni risma».


expo 2015

1 aprile 2008 • pagina 5

Nella foto Mario Lavezzi, Enrico Beruschi, Teo Teocoli e Rosy Parlanti a sostegno della candidatura milanese

MILANO. Da pochi minuti Milano ha vinto la sua partita. Per sei mesi, fra sette anni, il capoluogo lombardo ospiterà l’Expo (Esposizione Universale), con buona pace di Smirne, della Turchia e della possibilità che per la prima volta un paese a maggioranza islamica potesse ospitare l’ambito evento internazionale. Insomma, non saranno le Olimpiadi, ma l’entusiasmo che si respira a Milano è poderoso, tracima dalle agenzie di stampa, dalle immagini trasmesse dai telegiornali e dalle dichiarazioni dei milanesi più rappresentativi. A caldo, abbiamo raccolto le dichiarazioni del professor Carlo Secchi, economista di prestigio e per diversi anni rettore dell’università meneghina per eccellenza, la Bocconi. Professore, quali sono state, secondo lei, le buone ragioni di questa affermazione? Direi l’ottimo lavoro fatto a tutti i livelli, dal comune alla provincia, dalla regione al governo. Una rara occasione in cui si è fatto un effettivo gioco di squadra, senza furberie o dietrologie. C’è stato finalmente un progetto chiaro, ben congegnato per quello che una realtà come Milano può offrire. Milano è una città dinamica che a pieno titolo è una protagonista del sistema delle metropoli europee. Si è messo insieme tutto questo, e credo che il risultato confermi la bontà del lavoro fatto. Dunque, come chiedevano in molti possiamo dire che finalmente si è fatto sistema? La politica si è mossa bene, senza divisioni ed ha coinvolto il mondo delle imprese, delle banche, delle istituzioni culturali, chiunque poteva dare un contribuito utile al progetto. Si è dimostrato un grado di coesione importante. Cosa vuol dire la vittoria dell’Expo 2015 per Milano, e per l’Italia? Penso sia una grossa occasione per avere un progetto di valore su cui lavorare, guardando al futuro, a ciò di cui questa città avrà bisogno non solo in quei sei mesi del 2015, ma anche dopo, per il futuro. Mi piace pensare che questa opportunità sarà un grandissimo pivot su cui lavorerà la Moratti, i suoi successori, per un grande traguardo che non si esaurirà nel 2015. Dunque, non teme il cosiddetto «effetto droga», l’euforia dei grandi eventi, che appena passano non

Vinta la sfida con Smirne. Per l’ex rettore della Bocconi sventato il pericolo della marginalità

L’Expo a Milano «È la rivincita di Malpensa» colloquio con Carlo Secchi di Nicola Procaccini

Un vincitore è anche l’aeroporto di Malpensa. Qualcuno voleva vederlo relegato a scalo di periferia, ed invece i circa 70 milioni di visitatori previsti da tutto il mondo passeranno per la gran parte proprio da lì

si lasciano dietro nulla di durevole, di importante? No, sono convinto che Milano non corra questo rischio perché qui già molte cose avvengono a prescindere dall’assegnazione dell’Expo. Milano è una realtà articolata, viva, con le sue imprese, le sue banche, la società civile, le sue università, la cultura. Non è certamente una realtà addormentata. Come si sosterranno finanziariamente gli enormi investimenti previsti dal progetto? Ci saranno contributi dagli enti internazionali e ci sarà uno stanziamento pubblico, come avvenuto con le olimpiadi invernali di Torino. Penso anche che si tratti di un evento internazionale di cui tutto il sistema Italia potrà beneficiare. La gente che arriverà a Milano, non si fermerà solo qui, ma verranno organizzati momenti di diffusione dell’evento su tutto il territorio nazionale. Dica la verità, non è rimasto anche lei un po’ deluso dall’atteggiamento dell’Europa? Come si spiega la posizione di quelle nazioni come la Germania che hanno sostenuto la candidatura di Smirne? Purtroppo questa è una scelta dalle valenze geopolitiche importantissime, e per questo capisco le ragioni di chi sosteneva la Turchia. Non ne faccio motivo di polemica, non era in ballo l’onore dell’Europa, ma due progetti validi. Ha vinto quello di Milano. Onore al vincitore. Piuttosto mi sento di sottolineare un ulteriore risvolto. Un vincitore è anche l’aeroporto di Malpensa. Qualcuno voleva vederlo relegato a scalo di periferia, ed invece i circa 70 milioni di visitatori previsti da tutto il mondo passeranno per la gran parte proprio da lì. Pensa che questo cambierà qualcosa anche nell’affaire Alitalia? Ad onor del vero va detto che la Francia ci è stata amica in questo caso. Ed il suo sostegno alla candidatura italiana ha avuto un certo peso considerato che loro sono un po’ i padroni di casa. Non voglio commentare molto la vicenda. Credo che Alitalia si sia mossa male, tardi e con una certa miopia forse dettata dalla disperazione. Ma una cosa è certa: adesso il progetto di rilancio della nostra compagnia di bandiera con i francesi o con chiunque altro dovrà fare i conti con questa nuova realtà.


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politica

Berlusconi e Veltroni si lanciano nello sport preferito della campagna elettorale

S&W, gara a chi promette di più d i a r i o

d e l

g i o r n o

Napolitano: «Uguaglianza uomini-donne lontana nelle istituzioni» Se c’è un principio della Costituzione non pienamente applicato è quello che stabilisce la «pari dignità senza distinzioni di sesso», anche nell’accesso alle istituzioni. Lo ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda su quali siano i principi costituzionali non applicati. I principi dell’uguaglianza davanti alla legge e della pari dignità senza distinzioni di sesso, ha spiegato, sono «entrati a far parte del nostro impegno e anche del senso comune», ma «in pratica l’uguaglianza tra uomini e donne è molto lontana da realizzarsi in tutte le nostre istituzioni e attivita». E quando poi si stabilisce la parità di condizioni nell’accesso alle cariche politiche, ha ancora aggiunto, «sappiamo che così non è e la rappresentanza delle donne è molto al di sotto di quella degli uomini». Per quanto riguarda i principi costituzionali, Napolitano ha fatto notare che in Costituzione «ci sono principi e indirizzi che non possono esssere applicati una volta per tutti» ma che devono essere «reinterpretati e fatti vivere» in una società in continuo cambiamento.

Storace: «Berlusconi fastidioso»

di Susanna Turco

ROMA. Mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lancia (l’ennesimo) invito a creare un«clima costruttivo» in politica «perché di fronte al nostro Paese ci sono sfide complesse», e auspica un ampio consenso per ogni eventuale revisione della Costituzione, nel mare magnum della politica impazza la promessa da campagna elettorale. Quella che oggi la fai, e poi domani si vedrà. Il trofeo di giornata va probabilmente a Pietro Folena (sinistra arcobaleno) che auspica il ritorno della scala mobile: «Un meccanismo di indicizzazione dei salari e degli stipend è ormai l’unica soluzione ragionevole all’inflazione galoppante e ad depauperamento generale che ormai investe anche tutto il ceto medio», dice. Boutade a parte, la rincorsa a disegnare immaginifici futuri finisce per confondere ancora di più tra loro le prospettive di Partito democratico e Popolo delle Libertà. Da questo punto di vista, ieri tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi si è innescata una vera e propria gara a distanza, ravvivata dalle minacce di Mussi e Storace di non sostenere (rispettivamente) Pd e Pdl nelle amministrazioni locali. Conferma, questa, di quanto parallelamente contraddittoria sia la situazione dei due partitoni. Ma andiamo con ordine.

Il candidato premier del Partito democratico ha promesso l’abrograzione di cinquemila leggi entro il 2008 e la riduzione di tutte le leggi e i regolamenti dello Stato a non più di cento testi unici e non più di mille leggi speciali entro il 2010.

«Ci devono essere poche leggi che devono essere rispettate ma che consentano gli italiani di vivere piu’ sereni. C’è un diritto alla semplicità. In questo Paese fare un’impresa deve diventare una cosa semplice», ha detto Veltroni illustrando un disegno di legge che, nell’improbabile caso di una vittoria, presenterà al primo Consiglio dei ministri. «In Italia - ha detto - le leggi sono 21.691 mentre in Germania sono 4.547 e circa 9.800 in Francia. Le imprese e i cittadini sopportano un carico burocratico che deve essere ridotto». Lo schema di ddl prevede che alla fine del

L’uno giura di cancellare cinque mila leggi nei prossimi otto mesi, l’altro garantisce che risolverà la vendita Alitalia e i rifiuti a Napoli 2010 si arrivi a non piu’ di 2.200 atti normativi dello Stato (tra leggi e regolamenti) al posto degli attuali 90 mila circa. Inoltre, ci sarà un dimezzamento delle leggi regionali entro il 2010, riduzione di almeno un terzo degli oneri burocratici complessivi per i cittadini e le imprese entro il 2011 con l’eliminazione di migliaia di autorizzazioni, licenze, nullaosta, la semplificazione dei procedimenti amministrativi e l’estensione dell’autocertificazione. Veltroni conta in questo modo di ottenere un effetto positivo

sulla crescita economica che si puo’ stimare in una aumento di 0,45-0,55 punti di Pil all’anno, un risparmio di spesa pubblica pari, a regime, a circa 3-3,5 miliardi di euro all’anno.

Silvio Berlusconi invece si propone come risolutore dell’emergenza spazzatura a Napoli («abbiamo diverse idee, stiamo finendo di metterle a punto»), miglior banditore per la vendita Alitalia, dichiara chiusa la stagione dei condoni e promette il dimezzamento di parlamentari e consiglieri regionali e comunali. «La mia grinta c’è tutta. La responsabilità che andrò ad assumermi è enorme, maggiore rispetto a quella del 2001», sottolinea il Cavaliere, annunciando che «questa sarà una stagione di contrasto forte all’elusione e all’evasione fiscale», aggiungendo che «l’aliquota al 33 per cento un traguardo possibili» e impegnandosi anche ad adeguare le pensioni all’inflazione. Sull’Alitalia il leader del Pdl spiega che già i suoi precedenti governi avevano dato il via libera ad una nuova dirigenza e ad un piano industriale «che poi non è stato applicato». Sulla sua opposizione ad Air Franc torna a dire che le condizioni imposte dalla compagnia sono inaccettabili e che la fantomatica cordata «comprende i migliori nomi dell’imprenditoria italiana». Sui costi della politica, Berlusconi vorrebbe dimezzare il numero dei parlamentari, ma anche dei consiglieri regionali e comunali, eliminare gli enti inutili, come le province e le comunità montane. È sicuro di non fare la fine di Prodi.

«Berlusconi sta diventando davvero fastidioso. Continua ad attaccare La Destra e dimentica che il nemico sta a sinistra». Lo dice Francesco Storace, rispondendo a Silvio Berlusconi che aveva dichiarato che senza il leader della Destra e senza Pierferdinando Casini non ci sarebbero stati problemi di stabilità del governo. «Un’altra parola contro di noi - replica Storace - e a pagarne le conseguenze saranno tutti quegli aspiranti sindaci e presidenti di Provincia che vorrebbero i nostri voti».

Berlusconi: «Stop ai condoni» «In passato i condoni sono serviti per ampliare l’imponibile, ma questa volta non ci saranno: puntiamo ad un contrasto forte all’evasione e all’elusione fiscale». Lo dice Silvio Berlusconi durante una videochat sul Corriere, ribadendo che è intenzione del Pdl «portare l’aliquota fiscale al 33%, un traguardo che è realistico e al quale si può tranquillamente arrivare».

Bertinotti: «Nessun accordo col Pd» Fausto Bertinotti esclude un patto tra la Sinistra Arcobaleno e il Pd dopo le elezioni. Il presidente della Camera ha risposto ai giornalisti dicendo: «Il Pd ha scelto di andare da solo e con Veltroni ha costruito un programma sostanzialmente neocentrista che rende impossibile l’intesa con una sinistra come è la nostra». Sul voto agli immigrati ha risposto ai cronisti: «Riconoscere che dopo cinque anni di presenza in Italia chi ha lavorato e prodotto ricchezza possa esercitare il diritto di voto almeno nelle elezioni comunali è un elemento di semplice buon senso».

Maroni: «Niente voto agli immigrati» «Il voto è strettamente e intimamente legato alla cittadinanza, questo dice la Costituzione. Se poi si vuole modificare la Costituzione, bene, ma nel programma di governo non c’è. Per noi la questione è chiusa». Cosi’ il capogruppo alla Camera della Lega Nord, Roberto Maroni, ha parlato del voto alle amministrative riconosciuto agli immigrati. «Non c’é alcuna polemica né diktat da parte nostra, semplicemente - dice Maroni, ribadendo di averne già parlato con Silvio Berlusconi - è qualcosa che non c’è nel programma di governo».


diritti umani MILANO. Mentre in oltre 63 città del mondo, gli attivisti pro-Tibet presentano alle autorità della Cina e del mondo una petizione perché si apra un dialogo con il Dalai Lama e raccolgono, fino adesso e anche grazie all’on line, oltre 1,35 milioni di firme in una settimana, le autorità cinesi parlano di «situazione normalizzata» e continuano ad insistere sull’illegalità di modi e contenuti dei rivoltosi, minimizzando l’impatto della repressione. L’ultima trovata, controproducente, è stata quella di portare un gruppo di giornalisti occidentali a vedere la capitale dell’altipiano per racconti embedded: i cronisti hanno trovato monaci in condizioni drammatiche, racconti di atrocità e sangue. Non è bastato: il gigante dagli occhi a mandorla ha pensato bene di attaccare l’Unione europea, accusata di ingerenza nella loro politica interna. Il Dalai Lama, nemico numero uno del premier cinese, Wen Jiabao, e Premio Nobel per la Pace per il resto del mondo, chiede l’aiuto concreto di tutti e incoraggia le «ingerenze»: perché la crisi è grave. Tenzin Sangpo, rappresentante della Comunità tibetana in Italia, ci spiega quello che sta accadendo. Dice di apprezzare gli sforzi dei Paesi occidentali e chiede di continuare ad avere un occhio di riguardo per i buddisti cinesi. Il boicottaggio dei Giochi Olimpici può essere un atto virtuoso. Una buona idea per criticare la gestione del potere in Cina. Credo in sincerità che il boicottaggio non vada fatto. Il Dalai Lama stesso, che pensa anche per i cinesi, ha detto che va evitato. Se si facesse, se riuscisse, si colpirebbe non solo il governo, ma anche il popolo. Personalmente, però, trovo interessante l’idea di boicottare la cerimonia d’apertura dei Giochi: avrebbe un grande significato. La cerimonia ufficiale è contro il regime, non contro i cittadini cinesi. Così facendo, forse loro potrebbero capire meglio le ragioni del nostro dissenso. Ora non possono avere delle loro opinioni perché non hanno scelta: hanno una sola fonte di informazione, la versione ufficiale del governo. Anche la Bbc e la Cnn, appena parlano

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Tenzin Sangpo, rappresentante della Comunità tibetana in Italia, apprezza gli sforzi dei Paesi occidentali

non si può fare nulla, neanche prendere il tram. Questo è il punto. Vogliono fare pulizia etnica in modo subdolo: è un genocidio culturale. Si dice che i muri dei templi siano usati come orinatoi. Poi c’è la questione del Panchen Lama, sparito da tredici anni. È vero. Il Panchen ha un ruolo importante nel buddismo tibetano, è la seconda autorità spirituale. Quando morì il precedente, abbiamo trovato il Panchen reincarnato in un bambino dell’Ovest, riconosciuto a tre anni. Appena lo hanno saputo i cinesi lo hanno portato via con tutta la famiglia. Ancora oggi lo cerchiamo, il governo non ci dice nulla, temiamo che sia stato ucciso. Al suo posto i cinesi hanno messo un altro Panchen, ma non è popolare. Qualcuno crede che la Cina soffochi la rivolta tibetana per paura di ripercussioni con le altre minoranze dl Paese. Potrebbe essere vero. Se concedono qualcosa a noi, ci sono anche gli Uygur, i mongoli. Ma i tibetani hanno una specificità, una storia diversa. Guardiamo comunque al futuro: ciò che il Dalai chiede – e ha l’autorità sufficiente per rappresentare tutti – non è di staccare il Tibet dal Paese, ma di essere riconosciuti nei fatti come minoranza, di avere una autonomia vera: amministrativa, culturale e della lingua. Vogliamo preservare la nostra identità, pur rimanendo sotto il governo di Pechino. Ma mi viene un dubbio: forse il premier cinese non vuole trattare perché ci sono persone con interessi privati nella nostra regione, e fa comodo a molti che tutto rimanga così. Penso alle risorse minerali: nell’estrazione sono coinvolti potenti che operano senza rispetto. A questo punto che cosa bisogna fare? Se i cinesi non vogliono spaccare la Cina, se vogliono l’armonia come dicono, allora devono ascoltare il Dalai Lama. Il premier cinese, Wen Jiabao, ha dichiarato che la stabilità della nostra terra è importante, ma la contraddizione è evidente. Ci vuole un incontro, altrimenti il dissenso non potrà che aumentare.

Pechino 2008 «Boicottare solo la cerimonia di apertura»

di Valerio Venturi del Tibet, vengono “oscurate” a livello centrale. Ma con un atto clamoroso come il boicottaggio, i cinesi sarebbero costretti a riflettere. Intanto Pechino attacca l’Unione Europea: sostiene che la questione tibeta-

una nazione occupata. Questo non è quindi un semplice affare interno. Aggrediscono chi li critica quando non hanno argomenti. Ma se è vero che la Cina è una grande nazione, che vuole far parte della comunità internazionale, si deve aprire,

giovani, il Dalai chiede l’integrazione alla Cina. Ma esige rispetto. Ha dichiarato che nel Tibet c’è un omicidio culturale, riferendosi alla aggressione demografica che va avanti da molti anni nel nostro Paese. Dagli anni ’90, il governo inco-

Disertare l’appuntamento dell’8 agosto è contro il regime, non contro il popolo cinese che in questo modo rifletterebbe sulla vicenda. Il Dalai Lama pensa che la protesta non debba riguardare lo svolgimento dei Giochi na è di politica interna, e che nessuna ingerenza sarà concessa. La Cina usa spesso questa retorica: “Sono attacchi esterni”, dicono: la scusa è sempre quella. Ma noi, anche storicamente, non siamo disposti a fare compromessi: la comunità giuridica internazionale ha valutato il caso e confermato che il Tibet è

non avere paura. Non possono soltanto vedere pericoli. Sono nella Wto, hanno avuto le Olimpiadi. Se il mondo ha dato loro qualcosa, loro devono dare qualcosa al mondo. Il Dalai Lama chiede pace, più che indipendenza. Noi tibetani siamo per l’apertura; nonostante l’impopolarità della sua proposta tra i

raggia i cinesi a emigrare nella regione, nonostante il luogo sia difficile da abitare, per chi non è abituato all’altitudine: danno salari più alti, incentivi. Nelle città ci sono più cinesi che tibetani. Più che libertà e diritti, chiediamo quindi di essere preservati come popolo. La lingua tibetana non è più maggioritaria, senza cinese


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L’ITALIA AL VOTO

La comunicazione politica sotto esame

lessico e nuvole

Pd Social Network

Le leggi speciali di SuperWalter di Giancristiano Desiderio

di Arcangelo Pezza

Una rete sociale (social network) - spiegano gli esperti consiste di un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. La “regola dei 150”afferma che le dimensioni di una vera rete sociale sono limitate a circa 150 membri. Questo numero è stato calcolato da sociologi e antropologi sulla dimensione massima di un villaggio. Viene infatti teorizzato nella psicologia evoluzionista che il numero 150 potrebbe essere una sorta di limite all’abilità media degli esseri umani di riconoscere i membri di un gruppo e tenere traccia degli avvenimenti emotivi che li legano. In alternativa, 150 come numero limite potrebbe richiamare una questione economica, cioè il bisogno che un gruppo ha di individuare gli “scrocconi”, poiché gruppi più grandi tendono a facilitare il prosperare di ingannatori e bugiardi. Ad ogni modo, sembrerebbe che il capitale sociale venga massimizzato a queste dimensioni. Il Partito Democratico a ieri vanta 18.775 iscritti al proprio social network on line che unisce chiunque voglia promuovere, sostenere o partecipare attivamente alle attività del partito. Un numero ben esondante i canonici 150. Per vedere se ci sono, stando alle definizioni della moderna “anthropology du proche”,“ingannatori e bugiardi”abbiamo scartabellato nel sito del Pd accorgendoci che spesso i fantasiosi nickname non hanno neppure uno straccio di profilo alle spalle, a parte, tra i pochissimi, tale “Seri” la quale ci avverte che «mi piace leggere e scrivere, di solito scrivo poesie, odio l’ipocrisia, adoro la musica jazz, e bere vino, credo nel-

l’onestà e nelle passioni, sono una chiacchierona di professione». E non crediamo possa essere innalzata ad archetipo dell’eletterole pdino. Gli altri, solo per citarne alcuni, tra cui cograng, kraken, girello123, gio53, hyppo, peppe77, diamociunamossa, Thierryabdon, Robertop84 veltrusconi, Santoro11, manyluv, fofra, pisquix63, miticomirko, Carlokub, ifonli, stepmarbury3, wazoo, perfino Clitemnestra e Alessandro Manzoni, restano pubblicamente sconosciuti. E del tutto uguali, per quanto ne possiamo dedurre, a quei milioni di profili che s’immillano nei più grandi social network mondiali. Dentro i quali molti dicono di cercare anime e invece trovano solo corpi, spesso pure (per sfiga) del genere e del sesso che non desideravano.

SuperWalter in una delle ultime cene a casa di suoi elettori ha mangiato i famosi spinaci di Braccio di Ferro. Ha piegato l’avambraccio destro e ha mostrato ai commensali il poderoso bicipite. Quindi ha detto: «Se vinciamo abrogheremo cinquemila leggi entro la fine del 2008». Per poco al padrone di casa non andava di traverso il boccone (pare fosse una bocconcino di bufala). L’ex ministro della Giustizia, Castelli, dopo aver saputo la cosa, ha ironizzato: «Quando ci darà Veltroni l’elisir di lunga vita?». Sì, perché qualche piccolo dubbio ai comuni mortali la proposta di SuperWalter lo suscita. La situazione è più o meno questa: in Italia le leggi sono oltre 21mila, cinque volte più che in Germania e il doppio che in Francia. La proposta di SuperWalter, dunque, sarebbe una sorta di tredicesima fatica di Ercole. La fatica c’è, ma manca Ercole sostituito da SuperWalter. Non solo. La cosiddetta “delegificazione” passerebbe attraverso uno strano meccanismo: si approva una legge solo se la stessa legge ne elimina un’altra. Cinquemila vanno e cinquemila vengono. Non solo. Ci sarebbero anche la riduzione di tutte le leggi e regolamenti dello Stato a non più di cento testi unici e non più di mille leggi speciali. Qui è tutto speciale.

I più grandi flop dei sondaggi/ Presidenziali Usa 1948

Dewey batte Truman. Anzi, no di Andrea Mancia Un vantaggio di quasi due milioni e mezzo di voti (più del quattro per cento delle schede valide), 303 voti elettorali conquistati contro 189, 27 stati vinti contro 15. Con il senno di poi, non sembra proprio che la vittoria del democratico Harry S. Truman sul repubblicano Thomas Dewey, alle elezioni presidenziali americane del 1948, fosse particolarmente difficile da prevedere. Eppure le elezioni del 1948 sono ancora ricordate, negli Stati Uniti, come il primo clamoroso flop della “scienza” dei sondaggi. Alla vigilia del voto, tutti gli istituti di ricerca assegnarono la vittoria a Dewey, con un vantaggio che oscillava tra i 5 e i 15 punti percentuali. A cadere rovinosamente in questa trappola statistica fu anche Gallup, che pure era reduce da una se-

rie di previsioni particolarmente precise, iniziate con quella dell’inaspettato “cappotto” rifilato nel 1936 da Franklin D. Roosevelt al governatore del Texas, Alf Landon. I giornali statunitensi si fidavano così ciecamente dei sondaggisti che più d’uno - clamoroso fu il caso del gigantesco titolo di prima pagina del Chicago Tribune («Dewey Beats Truman») andò in stampa prima che lo spoglio delle schede arrivasse ad un punto significativo. Ma cosa andò storto? Il problema principale fu che gli istituti di ricerca - ormai convinti della vittoria di Dewey - smisero di fare sondaggi più di due settimane prima del voto. Ma nel 1948, oltre a Truman e Dewey, c’erano due forti candidati “indipendenti” (entrambi scissionisti del partito democratico)

capaci di complicare qualsiasi tentativo di previsione. Il primo, Henry A. Wallace, vicepresidente di Roosevelt dal ’41 al ’45, aveva abbandonato i democratici “da sinistra” per fondare il Progressive Party e tentare l’avventura presidenziale in solitaria. Il secondo, il senatore (ed ex governatore) della South Carolina, Strom Thurmond, correva sotto le insegne degli States’ Rights Democratic, fazione segregazionista dei democratici del Sud. Nell’ultima settimana, però, gran parte del consenso accumulato da Wallace e Thurmond si spostò verso i due candidati maggiori, che avevano le maggiori probabilità di vittoria. A beneficiare di questa onda di ritorno, non intercettata dai sondaggisti, fu soprattutto Truman, il candidato del partito di prove-

nienza dei due “ribelli”. «Abbiamo sbagliato a fermarci due settimane prima del voto avrebbe spiegato molti anni più tardi alla televisione pubblica americana (Pbs) Alec Gallup, figlio di George Gallup Sr., fondatore del più famoso istituto di ricerca del mondo - e si trattò di un errore imperdonabile. Ma ci fu anche un altro fattore che non viene spesso menzionato: il voto per Wallace collassò nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni, come spesso accade per il candidato del “terzo partito”». Wallace, che alla fine conquistò il 2,4 per cento dei consensi (come Thurmond, che però si aggiudicò anche i 39 voti elettorali di Louisiana, Mississipi, Alabama e South Carolina), era stato sempre visto dai sondaggisti con numeri che oscil-

lavano intorno al 10 per cento. «Quasi tutti questi voti - conclude Gallup - finirono nella colonna del partito democratico. E questo fece sballare tutte le nostre previsioni». Un altro problema fu la selezione del campione, che negli anni Quaranta era ancora piuttosto rozza. E proprio il flop del ’48 spinse gli istituti di ricerca, nel decennio successivo, a cercare un approccio più sofisticato (il cosiddetto probability sampling). La vittoria di Truman provocò più di un danno ai sondaggisti, che persero credibilità, clienti e milioni di dollari. Nessuno, però, rimase scottato come Dewey, che avrebbe ricordato a lungo la notte in cui si addormentò Presidente degli Stati Uniti d’America e si risvegliò pensionato.


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L’ITALIA AL VOTO ROMA. Mauro Ceruti è ordinario di Filosofia della Scienza all’università di Bergamo, è componente della Commissione nazionale di bioetica e candidato al Senato nelle liste del Partito democratico. Con lui liberal prosegue il dibattito sui temi della bioetica e della biopolitica. Ieri Savino Pezzotta ha dichiarato che i maggiori schieramenti politici italiani hanno deciso di lasciare fuori i temi etici da questa campagna elettorale per evitare l’imbarazzo di doverli affrontare senza un’omogeneità interna. Lei che ne pensa di questa analisi? Io penso che per fare due passi avanti sui temi relativi alla bioetica bisogna saperne fare uno indietro. E non solo per una questione di tattica politica – che forse c’è, come dice Pezzotta – ma per un motivo più serio. Perchè manca ancora una cultura antropologica e politica per affrontare i temi bioetici. Un dramma, perchè la politica si troverà necessariamente a dover far fronte a questi temi. Il rischio che lo faccia senza una preparazione specifica infatti, senza cioè aver fatto un salto qualitativo assumendo su di sè una cultura della complessità comporta il pericolo di vedere schierati opposti fondamentalismi. Che cosa intende con cultura della complessità? Noi oggi siamo di fronte a una scienza e una tecnlogia radicalmente nuove: capaci addirittura di penetrare nell’organizzazione della materia vivente. Questo pone problemi straordinariamente nuovi: a cominciare dalla messa in discussione dell’idea di un progresso condiviso, idea secondo cui ogni evoluzione tecnico-scientifica è anche, automaticamente un’evoluzione umana. La cultura della complessità è la capacità di comprendere e governare questi nuovi scenari. Eppure c’è chi rifiuta l’idea che alla ricerca scientifica possano essere posti dei limiti alla propria autonomia. Lo so bene. Tanto che dallo scienziato Piergiorgio Odifreddi e da Eugenio Scalfari mi è stata rivolta l’accusa di conservatorismo per aver detto che può essere necessario porre dei limiti all’autonomia della scienza e della ricerca. Per aver sostenuto cioè che non è vero che tutto ciò che la scienza scopre di poter fare è anche giusto e necessario farlo. Eppure questa è una consapevolezza che dopo gli olocausti atomici della Seconda guerra mondiale, i disastri ambientali ed ecologici, gli allarmi che vengono dal fronte dell’ingegneria genetica è divenuta generale: l’umanità ha imparato da tempo che l’ideologia del progresso lineare è appunto un’ideologia. Nel nostro Paese però l’approccio ideologico non sembra essere tramontato soprattutto in riferimento ai temi della bioetica. Si accusa di fondamentalismo, per esempio, chiunque sollevi dubbi e obiezioni sulla spregiudicatezza di alcune ricerche scientifiche. In Italia si è aperto un dibattito che mi pare superato e provinciale sulla differenza tra laici e cattolici. Per le posizioni che ho

La legislatura bioetica. Le previsioni degli esperti/5 Mauro Ceruti

L’ingerenza cattolica? Un’accusa laicista colloquio con Mauro Ceruti di Riccardo Paradisi

«Da Eugenio Scalfari mi è stata rivolta l’accusa di conservatorismo per aver confutato l’idea che è giusto fare tutto ciò che la scienza scopre di poter fare» sostenuto come dicevo Scalfari mi ha accusato di fare il gioco dell’avversario. Ma questo è uno schematismo: io sono un cattolico liberale ma in tutta autonomia sono un filosofo della scienza. E quando sostengo certe posizioni non le faccio derivare da un dogma religioso ma da un puro ragionamento. Questo pregiudizio per cui si è o laici o cattolici è dunque sbagliato.Tanto più che la laicità occidentale è proprio figlia del cristianesimo, della valorizzazione dell’individuo, del ”date a Cesare ciò che è di Cesare”. Quando parlo di cultura della complessità intendo proprio questo: pensare insieme cose che si sono fino ad oggi pensate divise, in contrapposizione frontale tra loro. Eppure professore se si entra nel merito delle questioni cosiddette eticamente sensibili le contrapposizioni emergono. La prossima legislatura si troverà probabilmente a dover legiferare sul testamento biologico: qui le posizioni sono definite e confliggenti. Le sembrerò un Don Chisciotte ma per quanto mi riguarda io cercherò di propor-

re anche nelle sedi istituzionali un modo non schematico di concettualizzare e affrontare anche un tema come questo. Detto più chiaramente: io penso che dividersi tra laici e cattolici sul testamento biologico corrisponda a un modo utile e immediato per marcare le proprie posizioni ma non si giustificia dal punto di vista antropologico e sociale.Tanto più che ho sentito riflettere persone cattoliche in senso di apertura verso il testamento biologico e fior di filosofi non credenti criticare questa idea secondo cui è possibile stabilire in un certo momento della propria vita quale sarà la propria posizione in un momento successivo e così critico per se stessi e le persone che ci stanno intorno. Intendiamoci, io non sono contrario all’idea di testamento biologico ma non possiamo impostare il discorso così schematicamente. Non possiamo nemmeno affrontare questo tema senza porci il problema dell’abbandono psicologico e dell’assenza di tutela del morente nelle nostre strutture sanitarie. Questa contrapposizione di vedute e di posizioni taglia trasversalmente la società italiana. Il partito democratico, di cui lei è esponente, dimostra – con le ultime polemiche tra radicali e teodem – come anche una singola forza politica possa dividersi su questi temi. Ammetterà che questo è un problema. Certo che è un problema, ma io non mi limiterei a vedere solo il problema. Segnalerei anche il fatto inedito di uomini e donne provenienti da storie e famiglie culturali differenti che hanno deciso di stare in uno stesso partito. Questa dispo-

Sopra Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica. A sinistra Mario Ceruti, ordinario di Filosofia della Scienza all’università di Bergamo, componente della Commissione nazionale di bioetica e candidato al Senato per il Pd niblità a stare insieme, a dialogare, qualche anno fa non sarebbe nemmeno stata possibile. Si tratta allora di creare nello spazio pubblico occasioni di dibattito che facciano crescere una cultura non basata su fondamentalismi irriducibili. Questo terreno di confronto è importantissimo perchè è la base da cui possono nascere possibili sintesi. Poi certo, la politica decide: ma deve farlo, ognuno nella propria libertà di coscienza, prendendo atto della cultura di un Paese. In Italia l’influenza sulla cultura e sul senso comune del Paese della Chiesa cattolica è molto forte. Lei ritiene che la Chiesa possa essere accusata in Italia di un’eccessivia ingerenza nelle questioni sociali e politiche? Io credo sia necessario riconoscere la rilevanza sulla scena pubblica delle religioni. In una società complessa è inevitabile che sia così anche perchè la cultura di un Paese non è una stanza bianca completamente privata di simboli ma uno spazio pubblico fatto di identità che si confrontano. È il segno della crisi di una certa cultura laicistica l’accusare di ingerenza la Chiesa ed è la paura del dibattito pubblico ciò che spinge a proporre un’ideologia che tende ad escludere dal dibattito pubblico certi valori.


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mondo A lato, il presidente dell’Egitto Hosni Mubarak. In Egitto il malcontento popolare dovuto alla crisi economica non dovrebbe ripercuotersi sulle elezioni locali. In basso, Damasco la sala della conferenza dove si sono tenuti i lavori del vertice della Lega araba

IL CAIRO. Cala il sipario sul «vertice a metà», il «summit delle divisioni», il «meeting della discordia», come è stata definita senza pietà dalla stampa egiziana la due giorni siriana. A Damasco, infatti, nel fine settimana appena terminato, i membri più influenti della Lega Araba hanno inviato solo delegazioni di basso profilo, volontariamente prive di potere negoziale, in evidente spregio all’ospite di casa. Niente ministro degli Affari Esteri per l’Egitto, che si è limitato a presenziare con il ministro per i Rapporti con il Parlamento. Alla Siria di Bashar Assad, emarginata dal fronte comune egiziano-saudita, non è rimasto che cercare di far buon viso a cattivo gioco, esibendo fino all’ultimo un ottimismo forzato: con 11 capi di Stato e 18 ministri degli Esteri, ha ribadito Assad nel proprio discorso inaugurale, il ventesimo summit annuale sarà ricordato come quello della «solidarietà», quello con la maggiore partecipazione da 8 anni a questa parte. Respinte le accuse di interferenze nella politica libanese, Bashar ha assunto toni moderati, da leader preoccupato per le sorti della «nazione araba, che si trova non sull’orlo del pericolo, ma al cuore del pericolo», non da “fantoccio” di Teheran.

Un primo effetto delle pressioni esterne, commentano i politologi al Cairo: l’isolamento ha dato dei risultati, visibili già dalle scelte linguistiche del giovane presidente. Boicottato da Egitto, Arabia Saudita e Giordania - i maggiori alleati degli Stati Uniti nell’area mediorientale - ma soprattutto dal Libano, l’incontro è risultato privo di senso, come dimostrato dalla dichiarazione conclusiva letta dal segretario della

Dopo aver boicottato il vertice di Damasco, l’Egitto è in allerta per le prossime amministrative dell’8 aprile

Mubarak snobba la Siria e accerchia i fratelli musulmani di Federica Zoja Lega Araba Amr Moussa: più che una soluzione concordata all’impasse politica di Beirut, un’esortazione alle diverse fazioni libanesi a eleggere il generale Michel Suleiman come nuovo presidente. Un nome che non rappresenta una novità. Deboli le conclusioni relative agli altri dossier in agenda, fra cui Palestina e Iraq in primo piano. I membri della Lega Araba si riservano di modifica-

sembra più interessato alla politica nazionale, causa le imminenti elezioni amministrative, previste per l’8 aprile prossimo, e l’inflazione galoppante che sta stremando la maggioranza della popolazione. È crisi, crisi economica acuta come nel ’77, quando il rialzo vertiginoso dei prezzi di alcuni prodotti alimentari essenziali come ora, la farina e, di conseguenza, il pane - provocò disor-

mezzo. Di “fratelli” candidati, nel caso in cui un cittadino egiziano si avventurasse a votare, ne troverebbe ben pochi. Le cifre parlano chiaro: alle elezioni amministrative saranno in gioco 52mila seggi in 4.500 consigli, fra villaggi, distretti, comuni e governatorati. Il 13 marzo scorso, data limite per la presentazione dei nominativi, si erano registrati 57mila candidati. Un processo, quel-

Alle elezioni amministrative saranno in gioco 52mila seggi in 4.500 consigli, fra villaggi, distretti, comuni e governatorati. Il 13 marzo scorso, data limite per la presentazione dei nominativi, si erano registrati 57mila candidati re le strategie politiche nei confronti di Israele, se Tel Aviv non rispetterà gli impegni presi. Quanto all’Iraq, un appello generico è stato rivolto alle numerose milizie presenti nel Paese, affinché si sciolgano e partecipino alla ricostruzione, propedeutica alla partenza delle truppe americane. Liquidato l’evento siriano senza scomodarsi da casa, in realtà il presidente egiziano Hosni Mubarak

dini e scontri fra cittadini ed esercito. Ma riflessi del malcontento generale sulla scelta delle rappresentanze locali sono da escludere radicalmente. L’unico movimento politico in grado di impensierire il Partito nazionale democratico (Ndp), in maggioranza in Parlamento, ovvero la Fratellanza musulmana, è stato reso inoffensivo da arresti mirati nell’ultimo mese e

lo delle registrazioni, scorrevole per i membri dell’Ndp e, come da copione, irto di ostacoli per le opposizioni. Solo 498 persone, su 10mila aspiranti, sarebbero riuscite a farsi accettare, secondo quanto dichiarato da Mahdi Akef, guida suprema della Fratellanza musulmana in Egitto. Anche agli altri partiti di minoranza (Al Wafd, Al Tagammu, Al Karama e alcune formazioni nasseriane)

non è stato concesso di presentare più di qualche centinaio di candidati in tutto. Con il 95 percento dei candidati in lista, l’Ndp avrà vita facile alle prossime consultazioni: ormai i giochi sono fatti, scrivono all’unisono gli editorialisti delle testate governative e non. La scelta di partecipare alle elezioni amministrative, resa pubblica dagli Ikhwan (Fratelli, in arabo) a fine febbraio, ha scatenato la repressione del regime in tutto il Paese, con l’arresto di almeno un migliaio di membri. Di questi, una cerchia ristretta di “pezzi grossi” è stata deferita a tribunali militari, il cui giudizio è inappellabile. Rimandato il verdetto al 15 aprile, una spada di Damocle pende ora sui vertici della Fratellanza, tenuti in scacco dal regime.

A nulla valgono i pronunciamenti delle corti amministrative a favore degli Ikhwan: dopo il successo conseguito alle elezioni parlamentari del novembre 2005, quando i Fratelli si aggiudicarono 88 seggi su 454 con candidati eletti come indipendenti, perché la Fratellanza non può formare un vero partito - la maggioranza sembra decisa a non correre rischi. A costo di attirarsi le critiche delle associazioni umanitarie e degli Stati uniti, dai toni ambigui. Infatti, che i Fratelli abbiano imboccato una strada moderata, lontana dai sentieri tormentati della militanza armata, non è ancora evidente. Ne dubitano a Washington così come a Bruxelles. Per uscire dall’isolamento e ottenere il sostegno internazionale, alla Fratellanza musulmana non resta che presentare una piattaforma programmatica ad ampio raggio, come annunciato un anno fa. Alla luce del sole, non più dietro le quinte.


mondo

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Inizia domani a Bucarest il vertice Nato: Putin parla di accerchiamento e apre una breccia nell’Alleanza atlantica

Stop & go tra Europa e Usa d i a r i o

di Enrico Singer e bandiere della Nato sventolano già sul colossale palazzo del Parlamento di Bucarest, uno dei più maestosi e tetri edifici del mondo - mille stanze e saloni illuminati da 4500 candelieri - voluto dall’ex dittatore Nicolae Ceausescu come simbolo del regime comunista. Da domani a venerdì è qui che si terrà il vertice dell’Alleanza Atlantica. Doveva essere una specie di festa con due momenti-clou: il saluto a George W. Bush – per lui sarà l’ultimo summit da presidente degli Usa – e il benvenuto ai nuovi Paesi dell’Europa orientale che sono in lista d’attesa. Ma si è trasformato in uno degli appuntamenti più delicati della storia recente dell’organizzazione perché l’allargamento a Est dell’alleanza è contestato dalla Russia che minaccia di congelare, più di quanto già non lo siano, i rapporti con l’Occidente se la Nato aprirà le sue porte all’Ucraina e alla Georgia, oltre che a Croazia, Macedonia e Albania. Anche Vladimir Putin è invitato al vertice di Bucarest e i ventisei Paesi dell’Alleanza Atlantica dovranno decidere se dare un dispiacere a lui o a Bush.

g i o r n o

Mugabe, ancora silenzio sui dati ufficiali

L

Il presidente americano, partito ieri da Washington a bordo dell’Air Force One, ha ripetuto che Mosca non ha nulla da temere. Che la concessione a Georgia e Ucraina dello statuto di “membri dell’Action Plan” della Nato non equivale all’ingresso a tutti gli effetti delle due ex Repubbliche sovietiche nell’alleanza militare. Bush ha rivelato anche di avere parlato al telefono con Putin per rassicurarlo: «Gli ho detto chiaramente che avere ai popri confini paesi democratici è un bene, non un male, perché le democrazie tendono ad essere pacifiche». Bush non ha riferito che cosa gli ha risposto Putin, ma rimane ottimista: «Si tratta di dare a Ucraina e Georgia la chance di riformare le loro istituzioni militari, la loro economia e il loro sistema politico. A Bucarest parleremo del diritto ucraino e georgiano a chiedere l’ingresso, non dell’ingresso stesso. Poi vedremo se la gente sarà d’accordo o no». Oggi Bush sarà a Kiev dove si fermerà prima di raggiungere Bucarest e dove incontrerà il presidente ucraino Viktor Yushenko che vuole fermamente l’ingresso nell’Action Plan della Nato anche per facilitare il cammino dell’Ucraina verso l’adesione all’Unione europea.Tutti i Paesi dell’ex impero sovietico entrati nella Ue hanno seguito questo itinerario: prima l’in-

d e l

L’opposizione rivendica un largo margine di vantaggio sul governo di Robert Mugabe alle elezioni legislative e presidenziali di sabato scorso in Zimbabwe, mentre si attendono ancora i risultati ufficiali del voto. La lentezza della Commissione elettorale nel rendere noti i dati alimenta il timore di brogli a favore di Mugabe. La Commissione ha riferito finora un testa a testa tra governo e opposizione, con 12 seggi ottenuti da ciascuna delle due parti sui 210 complessivi della Camera. Dalla Ue è giunto un appello alla Commissione elettorale perchè diffonda il prima possibile i risultati ufficiali, dando cosí prova di «indipendenza», per «evitare inutili speculazioni».

Riprendono i colloqui in Medio Oriente Il presidente palestinese Abu Mazen e il premier isreeliano Ehud Olmert si incontreranno il 7 aprile per riprendere i colloqui di pace interrotti settimane fa. Lo ha annunciato Abu Mazen dopo l’incontro con il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, tornato nella regione per accelerare la ripresa dei colloqui. L’ultimo incontro tra i due leader risale al 19 febbraio. Il presidente georgiano Saakashvili. Sopra, il Parlamento di Bucarest

tegrazione nella Nato, poi il negoziato con Bruxelles. E non è un caso che proprio i nuovi Stati membri della Ue – dalla Polonia ai baltici, dall’Ungheria alla Repubblica ceca – sono tra i maggiori sponsor dell’allargamento sia dell’Alleanza Atlantica che dell’Unione europea. Ma il processo di spostamento a Oriente delle frontiere di quello che una volta veniva chiamato “il mondo libero” allarma Mosca. Oggi, forse, più di ieri perché la Russia ha perso uno dopo

Dopo le contestazioni russe il summit rischia di diventare uno degli appuntamenti più delicati dell’organizzazione l’altro tutti gli Stati-cuscinetto che aveva interposto tra i suoi confini e la Nato organizzandoli nel Patto di Varsavia che ormai non esiste più. Putin denuncia un “nuovo accerchiamento” e ne individua le mosse nel piano di Bush dello scudo anti-missile da installare in Polonia e Repubblica ceca, nel riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, nell’apertura della Nato a Ucraina e Georgia (per ora al livello della partecipazione all’Action Plan) e nell’ingresso – questo sì a pieno titolo – di Croazia, Macedonia e Albania. Tra i membri storici dell’Alleanza Atlantica il risentimento di Vladimir Putin ha aperto qualche breccia. Anche

perché Paesi come la Germania, per esempio, temono a loro volta le possibili vendette di Mosca sul fronte delle forniture di gas. E sanno che, alla fine dell’anno, alla Casa Bianca ci sarà un altro presidente che potrebbe anche avere una posizione diversa da quella di Bush, mentre a Mosca il potere rimarrà nelle mani di Putin, sia pure con una diversa carica.

Così, alla vigilia del vertice, si è diffusa la voce che un “fronte dell’appeasement” con la Russia potrebbe rinviare, o attenuare, le decisioni previste. Lo stesso presidente della Georgia, Mikail Saakashvili, lo ha detto chiaramente ieri in un’intervista al Financial Times: negare il diritto di due Paesi ad avvicinarsi alla Nato «significherebbe riconoscere a Putin un’autorità di veto». Per Saakashvili l’associazione della Georgia nell’Action Plan della Nato contribuirebbe alla stabilità della regione dove, semmai, è la Russia a minacciare disordini sostenendo le spinte indipendentiste dell’Abkhazia e dell’Ossetia meridionale. Per dimostrare la propria buona volontà di cooperazione con la Nato, il presidente della Georgia si è detto pronto anche a inviare soldati in Afghanistan (al momento ci sono duemila georgiani in Iraq). Soltanto venerdì si potranno tirare le somme. Per il momento le diplomazie dei ventisei Paesi della Nato sono al lavoro per un compromesso. E per evitare che l’incontro che ci sarà sabato a Soci, sul Mar Nero, tra Putin e Bush si trasformi in uno scontro.

Turchia, ok a procedimento contro Akp Gli undici giudici della Corte Costituzionale turca hanno accolto all’unanimità la richiesta del procuratore generale di Ankara, Abdurrahman Yalcinkaya, di processare il Partito islamico della giustizia e dello sviluppo (Akp) per «attività antisecolari». In un dossier lungo 162 pagine presentato il 14 marzo scorso, il procuratore aveva chiesto la messa al bando della formazione del presidente Abdullah Gul e del premier Recep Tayyip Erdogan e la loro interdizione dalla cariche pubbliche per cinque anni insieme ad un’altra settantina di dirigenti dell’Akp. La richiesta di Yalcinkaya trae spunto dalla legge approvata dal Parlamento di Ankara che elimina il divieto per le donne di indossare il velo nelle università.

Usa 2008, l’anno dei gemelli democratici Con l’avvicinarsi delle ultime consultazioni per le primarie democratiche, mentre i sondaggi danno la distanza tra i due candidati sotto il 10 per cento, sia in Pennsylvania che in North Carolina, Barack Obama e Hillary Rodham Clinton stanno evitando accuratamente di intervenire sui temi più spinosi - come l’aborto - e di attaccarsi a vicenda: il loro linguaggio è così simile, che i due agguerriti avversari di un tempo sono oggi ribattezzati dai media «i gemelli democratici».

Zapatero e la crisi del’acqua La guerra dell’acqua in Spagna mette in crisi il neo eletto governo socialista. La Generalitat (il governo regionale della Catalogna) ha chiesto a Madrid di autorizzare i lavori di deviazione del fiume Segre verso Barcellona, per far fronte alla peggiore siccità degli ultimi cinquant’anni. Se la petizione di Barcellona venisse accolta, l’esecutivo socialista dovrebbe fare i conti con l’amministrazione della regione di Valencia, che da anni reclama le acque dell’Ebro.

Pakistan, giura il nuovo governo I 24 membri del governo pachistano del primo ministro Yusuf R.Gilani hanno prestato oggi giuramento davanti al presidente Pervez Musharraf, che ha già in corso un braccio di ferro con il nuovo premier, dirigente del partito della leader assassinata Benazir Bhutto. I membri del Pml-N indossavano una fascia nera al braccio in segno di sfida al presidente.

Gb, arriva la nomofobia Finisce la batteria del telefonino? Non c’è campo? Lo avete dimenticato? Potreste essere colti da un attacco di nomofobia. È questo il nome - dove “nomo” è l’abbreviazione di “no mobile” - che i ricercatori britannici hanno dato al terrore, sempre più diffuso, di non essere raggiungibile al cellulare.


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speciale

economia

NordSud

La gestione pubblica ha fallito: infrastrutture fatiscenti, consumi troppo alti e nessuna programmazione. E se aprire il settore ai privati fosse l’unica soluzione?

LA RIVOLUZIONE DELL’ACQUA di Carlo Stagnaro acqua bene pubblico? Non scherziamo. Il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, l’ha detto con una metafora suggestiva, alla Stampa: «L’acqua non è che deve essere pubblica o privata… l’acqua è di Dio! Questo non significa che per farla arrivare dentro casa io mi devo rivolgere a un ente pubblico. Anche l’aria è un bene di tutti, ma per avere l’aria condizionata la posso anche chiedere a un privato».

L’

La domanda se il prezioso liquido debba essere affidato allo Stato o al mercato, infatti, sarebbe mal posta se prescindesse dalla comprensione del fatto che, in astratto, l’acqua è abbondantissima sul pianeta. Quella che scarseggia è l’acqua potabile, disponibile nel momento e nel posto richiesti. Allora, quale cornice istituzionale meglio si adatta a risolvere un problema che è evidentemente di natura tecnica e infrastrutturale? La prima e banale risposta è che, in Italia, l’esperienza mostra che la soluzione pubblica non funziona. Un interessante caso studio, in proposito, è l’endemico falli-

nocive per la salute pubblica. Secondo uno studio dell’Istituto nazionale di economia agricola, la rete di distribuzione è talmente inefficiente da disperdere fino al 50 per cento dell’acqua che trasporta: indipendentemente dagli allacci abusivi o dalle perdite. Come ha sottolineato il geografo Yves Lacoste, le quantità d’acqua impiegate a scopi agricoli sono «irrazionali.Troppo spesso, infatti, si irriga con volumi eccessivi e non sono rari i casi di vandalismo per impedire l’effettivo controllo sul consumo». Occorre ricordare che la grana non sta nell’uso irrazionale dell’acqua: è il suo prezzo a essere irrazionale. Il problema essenziale è che quando il governo tiene l’acqua sotto controllo in quanto “bene comune”, quasi sempre le assegna un prezzo troppo basso. Questo risulta in un uso eccessivo, che rende le risorse ancora più scarse.

Affermano Terry L. Anderson e Pamela Snyder: «Ciò che è visto come un uso inefficiente o uno spreco d’acqua nelle aree rurali e urbane è semplicemente la risposta razionale degli utenti ai prezzi bassi. Quando l’acqua per ba-

Le esperienze straniere insegnano l’introduzione di abitudini più virtuose mento degli acquedotti siciliani, che talvolta finiscono per sfociare in siccità e razionamenti. Sebbene l’Italia in generale abbia un’abbondanza di acqua, la Sicilia è una regione arida. Per esempio, durante molti mesi la provincia di Agrigento è soggetta a pesanti forme di razionamento: le autorità sanitarie locali hanno più volte evidenziato le conseguenze

gnare i giardini scivola nelle cunette per la pioggia, o quando l’acqua irrigua erode la terra senza raggiungere le radici delle piante, è facile dire che gli utenti sono spreconi. Ma possono permetterselo solo quando l’acqua è a buon prezzo. In agricoltura, se l’acqua costasse di più, probabilmente se ne userebbe di meno per ogni singola pianta, prende-

rebbero piede nuove tecnologie d’irrigazione o pratiche d’impiego dell’acqua e si affermerebbero colture diverse». In assenza di controllo dei prezzi e altre restrizioni volute dal governo, vedremmo formarsi un mercato dell’acqua, che riverbererebbe nei cambiamenti dei prezzi di tale bene. C’è una domanda (la gente che vuole acqua potabile) e c’è un tentativo di proporre un’offerta (gli imprenditori desiderosi di cimentarsi con questo business). Il libero mercato provvede la struttura d’incentivi più efficiente affinché offerta e domanda s’incontrino. In condizioni di mercato, i prezzi dell’acqua sarebbero più alti dove e quando l’acqua potabile è più scarsa (per esempio, nelle aree desertiche e/o durante le stagioni calde), e questi prezzi più alti incentiverebbero un consumo più saggio e accorto. L’evidenza di molti luoghi dove i prez-

zi sono stati lasciati liberi di mutare confermano questa idea. I governi possono tenere i prezzi troppo bassi per tempi anche molto lunghi. In un sistema di mercato, però, i prezzi bassi portano al fallimento economico; quindi è improbabile che divengano la norma. Il mercato non può tollerare prezzi irrealisticamente alti: le aziende che ci provano finiscono per essere ridotte a più miti consigli dalla concorrenza. Del resto, negli ultimi anni hanno avuto luogo molte esperienze di privatizzazione, che hanno condotto a un uso più efficiente dell’acqua e a un miglioramento della sua qualità. Elizabeth Brubaker, che ha studiato la privatizzazione dell’acqua potabile e dei sistemi fognari in Inghilterra, ha rivelato che le nuove compagnie idriche hanno investito molto in infrastrutture. Positive storie di privatizzazione riguardano molti Paesi, sia svi-

luppati sia in via di sviluppo. Si potrebbe obiettare che, se per i Paesi sviluppati la privatizzazione può funzionare, la situazione è diversa laddove i cittadini sono così poveri da non potersi neppure permettere l’acqua.

Per cominciare, nella maggior parte di queste nazioni i governi controllano l’acqua direttamente. Vedere l’acqua come un «diritto umano» non ha aiutato in alcun modo a riempire i bicchieri. Anche lì spesso c’è abbondanza d’acqua, che però viene usata in modo inefficiente. «Dare un prezzo all’acqua sui mercati privati», scrive Ronald Bailey, «darebbe alla gente un incentivo per farne un uso più saggio. Il fatto è che in molte di queste aree vi sarebbe abbondanza d’acqua potabile per usi residenziali o industriali se solo essa potesse essere liberata dagli inefficienti schemi d’uso agricoli sussidiati dal governo».


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Spadoni (Confservizi): «Servono 61 miliardi per la rete»

«Aziende piccole e grandi sprechi» colloquio con Bruno Spadoni di Alessandro D’Amato ul futuro Bruno Spadoni è a dir poco pessimista: «A oggi non ci sono le condizioni per migliorare la rete idrica. La frammentazione delle gestioni e l’affidamento diretto ai Comuni costituiscono un impedimento troppo grande». E per il responsabile dell’area economica di Confservizi, il sindacato delle aziende dei servizi pubblici locali, la situazione non è migliorata con la moratoria Lanzillotta, che ha escluso la gestione imprenditoriale per l’acqua, allontando i privati. Perché soggetti nuovi, in quello che Montezemolo definerebbe un baluardo del socialismo municipale, non entreranno finché non saranno ridefinite le tariffe. Per il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, competizione e qualità nel settore sono un miraggio. Ed è verissimo, visto lo stato di grande arretratezza. Mentre i servizi pubblici locali di energia, gas e trasporto hanno vissuto una fase di riorganizzazione e privatizzazione in forma d’impresa, l’idrico è caratterizzato dalla gestione diretta degli enti locali e da una grande frammentazione. Ce la descriva. I gestori sono 7800, per lo più piccoli o piccolissimi. E se nel Centro-Nord esistono aziende multiservizio di una certa dimensione, nel Sud convivono frammentazione e livelli di dispersione dell’acqua in rete pari al 45 per cento. Più della media nazionale. Sì. E la strada da seguire è quella delle fusioni, per avere soggetti grandi che portino miglioramenti tecnologici e organizzativi. Ma purtroppo ci si scontra con gli interessi degli enti locali e la miopia di una certa politica. Il 30 per cento dell’acqua si disperde, quasi la metà dei reflui non viene trattata adeguatamente. Infatti servirebbero investimenti per 61 miliardi in un arco temporale di 30 anni: il 46 per cento per gli acquedotti e il 52 per fognature e depurazione. Due miliardi all’anno, quindi, ma lo stanziamento medio non supera gli 800 milioni. Dove trovare la differenza? Rivedendo l’assetto del mercato e quello proprietario. Perché di fronte a queste cifre ci vogliono i capitali privati. Una parte dei fondi si

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possono reperire attraverso il project financing, ma i tassi medi di remunerazione devono essere più ampi del 3-4 per cento attuale. A oggi, le condizioni non ci sono. Oggi le gare di affidamento per la maggior parte vanno deserte deserte. Come si inverte il trend? Gli investimenti e la gestione non sono remunerativi, senza contare che un aumento delle tariffe non è sostenibile al Sud. Si potrebbe provare a separare una parte della filiera – l’approvvigionamento primario – dal resto, e farlo fare al soggetto pubblico, che poi alloca le altre fasi del servizio ai privati con gare a evidenza pubblica. Altre soluzioni? Un altro metodo potrebbe essere quello chiamato dai francesi Affermage: mantenere presso il soggetto pubblico la proprietà dell’infrastruttura, che però viene gestita da un privato. Il quale attraverso la propria tariffa recupera parte dei costi, mentre il denaro necessario all’ammortamento delle infrastrutture si potrebbe reperirlo attraverso una quota parte della stessa tariffa, che andrebbe agli enti locali. La Finanziaria ha previsto un monitoraggio della qualità e una valutazione del servizio con le associazioni di consumatori. D’altro canto, le sanzioni vengono applicate con il contagocce. Il perché dei controlli inefficaci è da ricercarsi nel conflitto d’interesse che può esserci tra Ato e aziende, con gli Ato composte dai rappresentanti degli enti locali. Che a loro volta sono, nella maggior parte dei casi, azionisti delle società di gestione. Ma non basta. Cos’altro? Il problema principale è che il governo e la regolazione rimangono appannaggio dello stesso soggetto. Le due entità però potrebbero essere separate dal ricorso alle gare ad evidenza pubblica. È quello che si deve fare, in attesa che lo stallo legislativo si sblocchi. Nella riforma delle Authority si attribuiscono i controlli all’Autorità per l’Energia. Mi sembra una soluzione ragionevole. Certo, in periodi di razionamento delle autorità di settore, non so quanta fortuna possa avere un’idea del genere.


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speciale economia

NordSud

Acea, A2A, Iride e Hera: prime mosse delle grandi utilities per controllare l’oro blu

Alla conquista di un business da 2,5 miliardi di euro di Giuseppe Latour ivedere gli assetti di gestione, tagliando fuori i Comuni. Rimodellare le proprietà. Dare nuova linfa alle infrastrutture, con spese di ammodernamento per circa 60 miliardi di euro. E seguire il modello lanciato in Italia da grandi player come Hera, Acea, A2A e Iride, i primi a perseguire l’idea di una gestione industriale dell’acqua in Italia.

R

Gli imperativi del mercato dell’acqua per il prossimo futuro raccontano di una fase di cambiamento, trainata solo in parte dalla politica e più convintamente dai mutamenti in atto nel risiko delle utility. Anche se gli esempi di Francia e Germania – dove ci sono pochi colossi che dominano il mercato – sembrano ancora irrealizzabili. Perché la politica e i ritardi del nostro sistema ci costringeranno ancora a una lunga fase di purgatorio.

2010 e del 27 entro il 2020. Soldi che dovranno essere spesi per l’ammodernamento della rete: un voce per la quale serviranno nei prossimi dodici anni qualcosa come 60 miliardi di euro. Le tubature che portano in giro per il nostro territorio l’oro blu, infatti, sono letteralmente un colabrodo. Uno studio di Kpmg ha denunciato che, complessivamente, vengono dispersi ogni anno 1,4 miliardi di metri cubi di acqua. In questo marasma, e guardando ai player del settore, il vero colosso si chiama Acea, che da sola detiene una quota di mercato pari al 10 e che può vantare una leadership consolidata in Toscana e Lazio.

L’attuale assetto del mercato dell’acqua in Italia nasce con la legge Galli degli anni Novanta. Un provvedimento che stabilisce la divisione del territorio italiano in novantasei Ato (Ambiti territoriali ottimali), creati con l’intento di cancellare la miriade di microgestioni comunali esistenti. Un intento fallito miseramente se la galassia delle utility che riforniscono i nostri rubinetti conta 252 imprese con un fatturato complessivo di 2.530 milioni di euro all’anno e 580 milioni di investimenti. Di queste realtà soltanto sei sono quotate a Piazza Affari: Acea, Hera, AcegasAps, Mediterranea delle acque (braccio armato di Iride), Acque potabili e, naturalmente, A2A. Un mercato che, numeri alla mano, in futuro colpirà il consumatore. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione da Federutility, la media di tutte le tariffe è piuttosto bassa ed è pari a 1,19 euro al metro cubo, con un aumento previsto del 10 per cento entro il

vuta nascere in questi giorni la tanto attesa super piattaforma in Toscana. Quest’alleanza era stata benedetta quattro mesi fa dai due sindaci Walter Veltroni e Leonardo Domenici. Attraverso la fusione di tre società toscane (Publiacqua, Acque e Acquedotto del Fiora) si voleva, infatti, creare un unico Ato per tutta la Regione, con un’unica società da 280 milioni di euro di fatturato, 2,4 milioni di clienti e 1.300 dipendenti. In questo modo si voleva favorire la concentrazione nella gestione dell’acqua, uniformando servizi e tariffe ma, soprattutto, rendendo più forte l’asse RomaFirenze in prospettiva, va da sé, della prossima fase di aggregazioni delle utility del nord. E con grandi vantaggi sia di Acea, che detiene quote in tutte le società coinvolte tra il 40 e il 45 per cento, sia dei toscani. Ma a mettersi di traverso ci ha pensato la sinistra radicale, che ha posto a più riprese il veto sul-

MILANO Martedì 1 aprile 2008 Università Bocconi Si discute di globalizzazione bancaria all’ateneo milanese. Tema dell’convegno: “All’est, dall’est. Paesi emergenti, sistemi bancari, regolamentazione e vigilanza”. Intervengono, tra gli altri, Donato Masciandaro (Centro Paolo Baffi-Università), Roberto Nicastro (UniCredit) e Ignazio Rocco di Torre Padula (Boston Consulting). ROMA Mercoledì 2 aprile 2008 Palazzo Marini A confronto le posizioni dei consumatori e quelle delle banche sul costo del denaro. L’occasione è fornita da Altroconsumo, che per il workshop “Obiettivo trasparenza mutui”ha invitato, tra gli altri, il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, e il direttore dell’Abi, Giuseppe Zadra.

Anche se per l’azienda romana guidata da Andrea Mangoni è da poco arrivata un’importante, e forse inaspettata, battuta d’arresto: infatti, sarebbe do-

Tariffe troppo contenute, il maggiore ostacolo alle aggregazioni tra i player

i convegni

le grandi manovre in corso, costringendo le parti a rimandare tutto al dopo elezioni. Il modello da seguire per Acea, ma anche per gli altri operatori del settore, sembra quello di un’integrazione in stile Mediterranea delle acque. Nata nel gennaio 2007, ha preso il posto della Acquedotto Nicolay incorporando Genova Acque, Acqua Italia e Acquedotto de Ferrari Galliera, diventando così la controllata di Iride che si occupa del business dell’oro blu. Da subito performance lusinghiere: nel 2007 il risultato operativo è schizzato a 18,1 milioni di euro (+13,5 per cento) e il margine operativo lordo a 40,3 milioni (+5,1).

Ottime performance anche per la gestione di Hera, che vanta la rete più estesa di tutto il territorio nazionale: circa 26mila chilometri tra l’Emilia e la Romagna. Nei primi nove mesi del 2007 il gruppo aveva fatto registrare una crescita pari al 21 per cento. Resta da chiedersi se questi player dell’acqua italiana saranno coinvolti dalla concentrazione in atto nel mondo delle utilities. Molto probabile che qualcosa si muova, almeno per quanto riguarda il terzetto Acea, Hera, Iride. Restano però altre le priorità per il nostro mercato. Secon-

do Mauro D’Ascenzi, presidente di Federutility, «l’acqua non ha le stesse esigenze di concentrazione del gas. Al momento la vera priorità non sono le fusioni, ma la creazione di un sistema che superi le gestioni comunali e torni a rendere effettiva la scelta tra in house, affidamento con gara e società miste».

Il primo imperativo, insomma, è dare a tutto il comparto delle gestioni di tipo privatistico e industriale e superare la moratoria sull’acqua, ereditata dal governo uscente. Senza preoccuparsi troppo neppure della rimodulazione del sistema degli Ato, sui quali l’Antitrust ha posto pochi giorni fa l’accento. Perché il mercato idrico è legato più di altri alle esigenze dei singoli territori. Per fare il salto di qualità decisivo, creando dei campioni simili a quelli del resto d’Europa, ci vorrebbe una rivoluzione impossibile da attuare in poche settimane. Conclude Mauro D’Ascenzi: «Francia e Germania, che hanno dei colossi che sono quasi dei monopolisti, fondano il loro sistema su tariffe molto più elevate delle nostre: rispettivamente, tre e quattro euro al metro cubo. La creazione di una massa critica di questo tipo, almeno per ora, è solo un miraggio».

MILANO Giovedì 3 aprile 2008 Hotel Principe di Savoia Si fa il punto sulle nuove priorità del sistema italiano e sulla creazione di un vero pilastro previdenziale privato nell’incontro “Pensioni in Italia, come creare fiducia”. Tra gli altri, è previsto l’intervento di Marcello Messori, presidente di Assogestioni. NOVARA Giovedì 3 aprile 2008 Sporting Village L’Autorità per l’energia elettrica e il gas e IEFE fanno il punto su “Politica energetica e politica ambientale: quali prospettive per le fonti rinnovabili”. Ne discutono, tra gli altri, il garante Alessandro Ortis, il presidente del Gse, Carlo Alberto Bollino, e Bruno Pavesi. CERNOBBIO (COMO) Venerdì aprile 2008 Villa d’Este Si apre la 19ma edizione del Workshop Ambrosetti,“Lo scenario dei mercati finanziari, del loro governo e della finanza”. Sono attesi Ana Patricia Botin, Neelie Kroes, Enrico Letta, Mario Monti, Corrado Passera, Nouriel Roubini, Giulio Tremonti e Jurgen Stark.


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Quasi un miliardo e mezzo di metri cubi dispersi per il gap infrastrutturale

Una rete colabrodo in un mare di enti e leggi di Rosamaria Bitetti

MERCATO GLOBALE

Mercato interno, freno alle crisi esterne di Gianfranco Polillo

he l’Italia sia particolarmente povera di risorse idriche, come le frequenti crisi ci farebbero sospettare? Nient’affatto: nel nostro Paese l’acqua non scarseggia. Vi sono, sì, forti squilibri fra le diverse zone, ma nel complesso potremmo essere autosufficienti. Prendiamo il caso della Sicilia, regione in cui i “furti d’acqua” riempiono ancora le pagine dei giornali: tra il 1970 e il 2000, su 25.461 chilometri quadrati di territorio, sono piovuti circa 18,5 miliardi di metri cubi all’anno. I quali, seppur evaporati per il 63 per cento, danno una disponibilità di circa 7 miliardi di metri cubi di acqua all’anno. Di gran lunga superiore al fabbisogno della regione (2,16 miliardi di metri cubi). Le criticità derivano dunque dalla struttura preindustrializzata del settore, complice un assetto istituzionale inadeguato: l’ultimo secolo di regolamentazione può essere visto come il tentativo di ricomporre l’estrema frammentazione dell’offerta, con circa 13mila reti e un numero pressoché equivalente di operatori, che generalmente coincidono con i singoli comuni. Nel 1963 viene delineato il primo assetto regolamentare organico del settore, fortemente accentrato, con un piano nazionale di investimenti nelle infrastrutture e un organizzazione della gestione che ricalca pedissequamente le strutture amministrative. Gli anni Settanta sono all’insegna della regionalizzazione: con una moltiplicazione dei centri decisionali, ma non una devoluzione delle scelte. Quello che dovrebbe essere un processo virtuoso di creazione di autorità locali in concorrenza viene obnubilato dal rigido approccio command-and-control della regolamentazione.

C

Questi tratti caratterizzano anche la legislazione vigente, la legge Galli. Pensata per superare le esperienze di gestione diretta da parte dei Comuni e per improntare l’attività economica a criteri di razionalizzazione e di economia di scala, ha previsto la creazione di Ambiti Territoriali Ottimali (Ato), porzioni di territorio in grado di assicurare a chi eroga il servizio adeguate dimensioni gestionali, regolate da un’autorità di ambito (Aato), cui è affidato il compito di organizzare il Sistema idrico integrato (Sii), di individuare un soggetto a cui affidare la gestione e di determinare le tariffe per i servizi idrici. Nella fase applicativa, però, gli Ato si sono rivelati ottimali non tanto nella loro missione naturale (razionalizzazione della struttura) quanto per la massimizzazione delle poltrone. Hanno, infatti, ricalcato confini di regioni e province tanto che sono nati ben 92 ambiti (solo uno interregionale) con le loro 92 rispettive autorità e un numero non noto, ma certamente elevato, di amministratori di autorità, comitati, consorzi e

gestioni. Tutti scelti non in base a competenze specifiche, ma all’appartenenza politica, come dimostrato da Assoknowledge. Non stupisce, quindi, che la qualità della regolamentazione del settore sia infima, comprese quella sulla parte più delicata: le tariffe. L’Italia ha bollette medie più basse in Europa, ma di riflesso consuma di più: gli abitanti di Berlino, dove l’acqua costa 4,30 euro ogni mille litri, hanno un consumo pro capite al giorno di 117 litri, mentre a Roma o a Torino (dove la tariffa varia tra i 0,78 ed i 0,81 euro al metro cubo) si superano tranquillamente i 220 litri. Così facendo i regolatori non fanno un favore ai consumatori: tariffe così basse chiudono il mercato.

Questi livelli escludono dal settore i privati, con il loro know how e i loro investimenti. Non permettono un livello di fornitura elevato (sia per qualità sia per quantità) tanto che vi sono ancora zone del Paese in cui l’acqua viene razionata. La nostra rete, infatti, è un colabrodo, con una perdita media, nelle stime più ottimistiche pari al 30 per cento, il 10 in più della media europea. Secondo uno studio di Kpmg, vengono dispersi ogni anno 1,4 miliardi di metri cubi di acqua. Una quantità in grado di servire i bisogni di 12 milioni di persone per un anno, pari a circa un quinto della popolazione. Il record (forse mondiale) è detenuto dall’Acquedotto pugliese, in grado di disperdere il 55 per cento di quanto trasportato. Seguono Roma e Terni, entrambi al 34, e Torino al 31. Ancor più preoccupante il livello di apertura al mercato. Se la politica è restia a lasciarsi scappare un tale “serbatoio di posti di lavoro”, la retorica ambientalista ha fatto di tutto per frenare il processo di delega al privato della gestione delle risorse idriche: nella scelta del gestore del Sii prevale l’affidamento in house, seguito da quello a società mista, mentre procedure competitive di gara hanno riguardato finora solo una manciata di Ato. Così i tentativi del ministro Linda Lanzillotta di imporre gare trasparenti per gli affidamenti sono naufragati proprio perché la sinistra le ha imposto la moratoria delle privatizzazioni e il mantenimento dell’acqua come bene pubblico. L’acqua è un bene vitale, nessuno vuole negarlo: ma da questo non segue la necessità della gestione pubblica. La storia della regolamentazione dei servizi idrici in Italia, ci mostra che l’ingenua convinzione che solo lo Stato può portare efficientemente a tutti un determinato tipo di beni non sia che un’illusione. Tutt’altro che pia: perché i costi delle inefficienze del settore idrico, dei mancati investimenti, la distorsione dei comportamenti dei consumatori e i conseguenti sprechi li paghiamo oggi in bolletta, e peseranno ancor di più sulle future generazioni.

ai come oggi la tecno-finanza sembra essere un prodotto scaduto. Nel grande supermarket della politica e dell’economia è un coro di critiche crescente. Anche se le motivazioni (da Giulio Tremonti a Luca Cordero di Montezemolo, per finire a Fausto Bertinotti) sono diverse. Se l’ex ministro si misura con i cambiamenti e le incognite internazionali e il numero uno di Fiat sulla scarsa attenzione che i banchieri universali ripongono ai problemi dell’economia reale, per Bertinotti è il trionfo del passato. Lo avevamo detto – sostiene soddisfatto – il pensiero unico del liberismo è ormai definitivamente entrato in crisi. Occorre un svolta: partire da dove avevamo lasciato e fare della lotta alla povertà il centro di ogni politica. Ma è realistico?

M

Se si guarda all’Italia, c’è qualcosa che stride. La finanza europea – con l’unica eccezione inglese – sembra toccata soltanto di riflesso dalla grande crisi. L’Italia poi, per le sue caratteristiche intrinseche, lo è ancor meno. La sua ricchezza finanziaria, in rapporto al reddito, è la più elevata dell’occidente. Il livello di indebitamento delle famiglie rimane contenuto. Nulla a che vedere con il caso americano o quello tedesco, tanto per avere un paragone. Negli Usa l’indebitamento medio procapite supera il 100 per cento del reddito individuale. Le carte di credito si sono trasformate in carte di debito. In Italia, invece, esso è pari a circa la metà delle medie europee. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che il grosso (circa il 43,7 per cento) è dato dai mutui contratti per le abitazioni, mentre solo il 5,2 è puro credito al consumo. A fronte di un debito limitato è quindi un valore reale,

com’è quello degli immobili: una forma di investimento con andamento capillare, visto che il 70-80 per cento della popolazione gode di una casa in proprietà. Dove sono, allora, gli effetti distorsivi della tecno-finanza?

Sull’Italia la crisi internazionale agisce in forme ellittiche. La svalutazione del dollaro consente di ridurre il peso reale della bolletta petrolifera, ma riduce lo spazio di mercato per le imprese che esportano oltre i confini dell’Unione monetaria: colpisce i settori più dinamici dell’economia nazionale, ma preserva il mercato interno da una maggiore spinta inflazionistica. Purtroppo Bertinotti vede soltanto una parte di questa contraddizione. E un’analisi parziale lo porta a formulare ricette pericolose e controproducenti: occorre “senza se e senza ma” aumentare salari e pensioni. La stessa cosa, seppure in forme e modi diversi, la dice il Pd, mentre il Pdl è ancora più cauto. Berlusconi parla della necessità di indicizzare le pensioni più basse, ma tace sulle forme e sull’entità della manovra. Che vi sia un’esigenza di allargare il mercato interno è fuori discussione. Esso rappresenta l’antidoto migliore a una crisi importata. Ma questa misura può essere presa soltanto se migliora la produttività totale dei fattori: se cresce il livello competitivo della nostra economia. Il che può avvenire solo in due modi: aumentando la produttività di ciascuno di noi e lavorando di più. Lavorando di più – e non soltanto 10 mesi all’anno come siamo soliti fare – durante la stagione della vita attiva. Prolungando quest’ultima ben oltre le colonne d’Ercole dei 58 anni, prima di andare in pensione. La proposta sarà impopolare, ma non dimentichiamo che Annibale è alle porte.


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speciale economia

NordSud

In Italia il primo mercato al mondo con un giro d’affari da 2,3 miliardi. Il peso delle multinazionali

Minerale, un affare per tutti tranne che per lo Stato di Alessandro D’Amato n business senza pari in tutta Europa. Che conta un giro d’affari pari a 2,3 miliardi di euro (dei quali 650 milioni frutto dell’export) e una produzione che nel 2007 ha toccato quota 12,2 miliardi di litri. Anche se Francia e Germania, rispettivamente con 11,5 e 11,2 miliardi di litri imbottigliati, stanno recuperando il gap, il mercato italiano delle acque minerali continua a vantare numeri da record: un sistema produttivo fatto da 190 fonti e 340 marche, un ritmo di crescita dell’offerta pari al 4 per cento e 194 litri consumati pro-capite all’anno (dati di Mineracqua, l’associazione di categoria che aderisce a Confindustria).

U

Un dato in costante aumento, triplicato in poco più di 20 anni se si pensa che nel 1985 erano appena 65 milioni di litri. E con esso anche il volume di affari per i produttori è cresciuto, e di molto. Il 97 per cento delle famiglie italiane infatti acquista regolarmente acqua minerali, anche a causa di una percezione organolettica negativa – spesso esagerata –nei confronti dell’acqua che fuoriesce dal rubinetto di casa. Il distretto produttivo più imponente è quello che raggruppa Toscana, Marche, Umbria ed Emilia Romagna, dove operano 54 stabilimenti con 82 marchi, per un totale di più di 3 miliardi di litri imbottigliati. In particolare in Umbria, sede tra le altre aziende della Rocchetta, 12 stabilimenti attivi imbottigliano 1,16 miliardi di litri. Sul territorio italiano agiscono marchi italiani e molte multinazionali straniere. Tra chi commercializza in Italia c’è la Nestlè, proprietaria della San Pellegrino, il gruppo Danone con Vitasnella, Santagata e San Benedetto, che insieme alla Co.Ge.Di Italacqua coprono da sole i tre quarti del mercato. La Co.Ge.Di. controlla poi i marchi Rocchetta (sesto per volumi di vendita in Italia) e Uliveto (il nono), e fa capo a una finanziaria olandese, la Chesnut Bv che, a sua volta, fa riferimento a una famiglia italiana, i De Simone Niquesa. Recente, poi, l’ingresso nel mercato della Coca Cola, che nel 2006 ha acquisito dalla famiglia Traficante il 100 per cento di Fonti del Vulture, la società proprietaria dei marchi Lilia, Lilia Frizzante, Sveva, Viviane, Toka e Solaria con i due stabilimenti di Rionero e Monticchio che danno lavoro a circa centoventi dipendenti. E le imprese dell’acqua in bottiglia sono anche big spender nell’advertising. L’entità degli investimenti pubblicitari effettuati da tutta l’industria delle acque minerali ammontava secondo la Nielsen a circa 342 milioni di euro nel 2004. La crescita degli introiti, costante nel tempo anche se in leggero rallentamento negli ultimi anni, è dovuta anche a canoni di concessione molto bassi, o addirittura nulli. Secondo il rapporto Un paese in botti-

Sono bassissimi i canoni di concessione per gli imbottigliatori glia di Legambiente, presentato il 22 marzo in occasione della giornata mondiale dell’acqua, a oggi sono soltanto 8 le Regioni in cui è previsto un pagamento proporzionale agli ettari in concessione e ai litri prelevati o imbottigliati: Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Umbria e Veneto.

E per lo più si tratta di cifre molto basse, come i 5 centesimi ogni mille litri in Campania o i 30 centesimi della Basilicata. Nel Lazio si pagano invece 2 euro e la cifra varia se si utilizza il vetro per le bottiglie o se si attua il servizio di vuoto a rendere. A oggi il canone più alto per volume imbottigliato si paga in Veneto, con 3 euro ogni mille litri. In Sicilia, invece, si spende proporzionalmente di meno se si preleva di più, così come in Alto Adige. In 8 Regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia, Sardegna, Toscana, Trentino e – in attesa della definizione del canone sui volumi emunti – Valle d’Aosta) si paga solo in funzione degli ettari dati in concessione alle aziende. L’Abruzzo prevede il pagamento di un canone forfettario (pari a poco più di 2.700 euro annui) a prescindere dalle superfici della concessione e dai volumi di acqua. Il Molise si distingue per l’assenza di qualunque forma di costo di concessione. Per superare gli squilibri, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato nel 2006 un documento, che individua criteri più onerosi rispetto al passato: da 1 a 2,5 euro per ogni metro imbottigliato; da 0,5 a 2 euro

per ogni metro cubo; almeno 30 euro per ettaro. Non tutti gli enti l’hanno ancora applicato. «Anche se», ha dichiarato a Repubblica Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, «lo hanno fatto le 10 Regioni in cui si imbottiglia l’80 per cento dell’acqua minerale italiana, a cominciare da Lombardia, Piemonte e Veneto che da sole coprono metà del mercato: lì si paga non in base agli ettari dati in concessione ma ai volumi di acqua prelevati. È una leggenda che le nostre industrie paghino poco». Sempre dal rapporto Legambiente si scopre che «in Umbria, per esempio, gli introiti derivanti dai canoni di concessione dalle diverse aziende imbottigliatrici che operano nella Regione sono di circa 1,4 milioni di euro, pari allo 0,6 per cento del volume di affari derivante dalla vendita delle acque minerali». In molte regioni questi introiti non sono neanche sufficienti a coprire le spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche per la gestione amministrativa e l’attività di sorveglianza.

Per non parlare degli effetti collaterali. Secondo Stefano Ciafani, responsabile scientifico dell’associazione ambientalista, l’impatto derivante dalla filiera delle acque minerali è pesante: nel 2006 gli italiani hanno utilizzato circa 6 miliardi di bottiglie di plastica, la cui produzione ha implicato il consumo di 480mila tonnellate di petrolio e l’emissione in atmosfera di 624 mila tonnellate equivalenti di anidride carbonica. «Per questo bisognerebbe rendere più oneroso il rilascio delle concessioni», dichiara Ciafani, «penalizzando chi utilizza bottiglie di plastica o fa il trasporto su gomma e premiando invece chi favorisce il vuoto a rendere o utilizza la ferrovia».

libri e riviste

he cosa c’è alla base del successo di Ryanair? I prezzi stracciati, sicuramente, ma non solo. Siobhàn Creaton offre una diversa chiave di lettura e mette in relazione il successo della compagnia di Micheal O’Leary a una caratteristica inapplicabile per il mercato dell’aerotrasporto: la maleducazione. Maleducazione che prende forma nell’assenza di servizi, poca flessibilità negli orari e scarse informazioni. Ma proprio questa filosofia ha permesso al vettore scelte drastiche e coraggiose (dopo l’11 settembre le tariffe sono scese a un euro) così come di lanciare aggressive campagne di marketing e dure battaglie contro la Ue o contro i piccoli aeroporti per ottenere migliori condizioni. Siobhán Creaton Ryanair. Il prezzo del low-cost Egea editore 300 pagine, 19 euro

C

rriva in libreria l’ultimo numero di Economia dei Servizi, rivista del Mulino diretta da Fabio Gobbo. Questa edizione è curata da Lanfranco Senn e dedicato al mondo dei trasporti “tra competitività e sostenibilità”. Il docente della Bocconi spiega il rapporto tra mobilità e sviluppo. Paolo Costa si sofferma sui limiti delle politiche europee. Oliviero Baccelli descrive il peso delle Regioni nell’aerotrasporto. Tatiana Cini e Giuseppe Siciliano fanno il punto sull innovazione portata dall’altà capacità ferroviaria. Marco Alderighi e Giuliano Sparacino descrivono i ritardi nelle gare per i servizi pubblici. Economia dei Servizi, il Mulino editore, pagine 171, euro 16,50

A


Un’idea, una buona idea, è davvero rara. Albert Einstein

C A M PA G N A

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LA FORZA

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DELLE IDEE


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economia Il segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini

ROMA. Anche di fronte alla Uil, al sindacato da sempre più favorevole a un accordo con Air France, che abbandona il tavolo delle trattative su Alitalia, Renata Polverini non cambia idea: «Al momento non ci sono altre ipotesi». Il segretario dell’Ugl, la sigla più vicina al centrodestra, non si accoda ai tanti (e non soltanto nella sua parte politica) che invocano una cordata tricolore contro lo straniero. E continua a ritenere necessario «chiudere un’intesa con Air France». Perché non crede a una soluzione tricolore? Ben venga, se c’è. Ma tutti i nomi fatti nelle ultime settimane, hanno smentito il loro interessamento. Io non metto in dubbio nulla, ma l’unica offerta concreta sul tavolo resta quella di Air France. E da sindacalisti responsabili è con questa che dobbiamo rapportarci. Per Calderoli è pronta una cordata padana. Niente annunci, facciamo e basta. In generale, mi sembra che la sfortuna di Alitalia sia accentuata dal fatto che ci troviamo in campagna elettorale, e che – per interessi politici – si alzi il livello dello scontro. Anche se questo fa oggettivamente male all’azienda e ai lavoratori. E poi c’è un altro aspetto che non tralascerei. Quale? In tutti questi annunci si parla sempre di coperture finanziarie, di soldi da mettere nella compagnia. Nessuno però ha mai discusso di piani industriali e della mission aziendale. E invece vorrei ricordare che il problema sta soprattutto qui. Spinetta, ieri, ha confermato il suo piano. Ci sono margini di trattativa? Sulle questioni di merito le rappresentanze dei lavoratori sono state molto chiare. Sul tavolo rimane aperta la questione di AZ Servizi: l’ultima proposta di accordo ha ammorbidito ma non risolto il confronto sul futuro delle attività oggi deconsolidate. E restano nodi delicati: gli stabilimenti Atitech di Napoli, per esempio, che sono ad alta tecnologia e potrebbero essere riqualificati e utilizzati. I piloti, poi, sono stati spiazzati dalla decisione di dismettere i cargo. Quando la flotta ritornerà ad avere un numero pingue di aerei, potrebbero rientrare in gioco. Si può discutere della governance? Sì, e sarebbe un grave errore se tutti i centri decisionali del vettore italiano finissero a Parigi. Questo non lo vogliamo.

Alitalia, il segretario del sindacato di centrodestra canta fuori dal coro. E spera in un’intesa

Polverini: «Non vedo cordate italiane, ma solo Air France» colloquio con Renata Polverini di Alessandro D’Amato Si rischia il fallimento? È un dato di fatto. Sono anni ormai che se ne parla, abbiamo colpevolmente camminato sul ciglio del dirupo senza mai preoccuparcene più di tanto. Adesso siamo al redde rationem. A meno che lo Stato non abbia intenzione di ricomprarsela. Ma l’ipotesi non sembra

Il leader dell’Ugl accusa: «Non si parla di mission e di piani industriali del vettore. Non buttiamola in campagna elettorale»

contemperata nemmeno nei piani di chi oggi è all’opposizione e potrebbe tornare in sella dopo le elezioni. Il fallimento pilotato è un’ipotesi credibile? Se avessimo voluto, avremmo potuto percorrere questa strada prima. Seguendo il destino di altre compagnie. Adesso mi

sembra che sia troppo tardi. Però il destino di Alitalia porta con sé una serie di problematiche, che vanno ben oltre l’aspetto occupazionale. E come sindacato, non ci stancheremo mai di sottolineare l’importanza del nodo infrastrutture. Sia per l’industria sia per il turismo, un comparto che dal trasporto aereo trae linfa vitale. È fondamentale che si valuti anche a questo. Non pensa che in questa vicenda anche ai sindacati vadano addossate molte responsabilità? Come tutti. Le rappresentanze dei lavoratori pensavano di poter rinviare sempre più in là una soluzione definitiva. E Così si è peggiorata la situazione. Ricordo che all’epoca del governo Berlusconi, durante una delle tante trattative su Alitalia, tutti i quelli coinvolti a qualsiasi titolo non pensavano agli ammortizzatori sociali: non ci si rendeva conto della gravità della situazione. Finisce qui il mea culpa? Certo che no. Non dimentico quanto Aquila Selvaggia ha “contribuito”: gli scioperi scorretti hanno provocato un grave danno d’immagine alla compagnia, e contribuito ad alienare le simpatie dell’opinione pubblica. Ma non dobbiamo scordare i gravissimi errori del management. Malpensa è diventata una cattedrale nel deserto. Credo che l’aeroporto, per funzionare, avrebbe dovuto vedere il contemporaneo ridimensionamento di Linate. Invece lo scalo è rimasto isolato anche dal punto di vista infrastrutturale e si è legato troppo alla compagnia di bandiera. Soluzioni? Malpensa deve guardare altrove, chiamando vettori di altri Paesi al posto di Alitalia. Dispiace che anche questa questione sia finita nell’agone della campagna elettorale: così trovare una soluzione è ancora più complicato. Il governo Prodi doveva (e poteva) fare di più? Dobbiamo essere onesti: su Alitalia errori ne hanno commessi tutte le parti politiche, non solo il centrosinistra. Certo, magari l’esecutivo avrebbe dovuto intervenire con maggiore celerità… A proposito di celerità, come valuta l’azione sul titolo della Consob? Credo proprio che Cardia si sia mosso con colpevole ritardo. Bisognava mettersi in moto prima. Molto, molto prima.


economia

1 aprile 2008 • pagina 19

L’inflazione a marzo tocca il picco più alto dal 1996: +3,3 per cento. E oltre al petrolio pesa l’assenza di liberalizzazioni

Prezzi record senza concorrenza d i a r i o

di Marco Filippo Fani

ancora meno pronunciata di quella dell’area euro. Ma il divario positivo in uno dei pochi valori finora a noi favorevoli si assottiglia sempre più: il differenziale rispetto all’area euro che in settembre era dello 0,5 per cento, e soltanto il mese scorso dello 0,4, si è ridotto in marzo allo 0,2 per cento. È evidente che a trainare in modo impetuoso i prezzi, sia in sede italiana sia europea, è innanzitutto il

Dati preoccupanti per il settore del credito italiano. Bankitalia ha segnalato a febbraio una leggera frenata degli impieghi (+8,4 per cento contro l’8,5 del mese precedente) ma soprattutto ha reso noto un crollo della raccolta bancaria: su base congiunturale l’aumento ha toccato il 3 per cento contro il 20,9 di gennaio. Male (-3,9) anche il dato mensile dei conti corrente, mentre un vero e proprio boom (+99,7) hanno segnato i depositi con durata prestabilita.

Fiat conferma i target per il 2008 A dispetto dei dubbi della Borsa, Fiat conferma gli «ambiziosi e impegnativi» target per il 2008 che si traducono in un fatturato oltre i 60 miliardi di euro, un utile netto tra 2,4 e 2,6 miliardi, una crescita sul mercato. «Non c’è nessun elemento per non confermarli», ha spiegato l’amministratore delegato del gruppo ieri, davanti agli azionisti che hanno approvato in assemblea i conti dell’ultimo esercizio. Soprattutto Marchionne ha smentito di aver concordato «alcun impegno» con il mondo finanziario per effettuare uno spin off dell’attività auto. L’inflazione inizia a farsi sentire anche in un settore concorrenziale come le comunicazioni. In basso, il ministro dello Sviluppo, Pier Luigi Bersani settore che per il suo elevato contenuto tecnologico registra da anni prezzi in discesa, contribuendo a moderare l’andamento complessivo dell’inflazione.

Questo settore che per un anno ha registrato cali vicini al 10 per cento mensile, torna a collocarsi al livello più fisiologico del -2,1 per

cariche telefoniche, che entrò in vigore proprio in marzo. Ma per la prima volta da un anno si confrontano i prezzi attuali con quelli di un mese in cui la norma era già in vigore. Quella norma non fu una vera e propria liberalizzazione, ma si trattava di una misura, per quanto condivisibile, volta a eliminare un

Tra i più colpiti dal caro vita trasporti locali e alimentari, settori gravati dalla mancata apertura e da sovrapposizioni nella distribuzione. Costi più alti anche per le telecomunicazioni, che hanno metabolizzato le lenzuolate di Bersani costo delle materie prime, in particolare nel comparto dei carburanti e degli alimentari. Le tre voci che, collocandosi ampiamente sopra la media, contribuiscono ad un valore così elevato rimangono i prodotti alimentari, i trasporti e le spese per abitazione e utility (rispettivamente al +5,5, +5,8 e +4,4 per cento). Questa considerazione, tuttavia, non spiega interamente il fenomeno. Il boom del petrolio, sicuramente decisivo per determinare una crescita del prezzo alla produzione dei prodotti petroliferi che sfiora il 30 per cento, non è una esclusiva italiana. Nel nostro Paese, anzi, in marzo il prezzo dei carburanti al consumo ha potuto beneficiare del taglio temporaneo d’imposta di due centesimi disposto dal governo in attuazione di una norma della Finanziaria. Il petrolio può spiegare il ritmo di crescita elevato del complesso dei prezzi, ma non il cambio di passo rispetto alla media europea. A guardare i dati disaggregati si nota un valore molto anomalo del comparto delle comunicazioni, un

g i o r n o

Banche, crollo a febbraio per la raccolta

ROMA. Alle molte ragioni di preoccupazione che circondano il presente e soprattutto il futuro dell’economia italiana si è ieri aggiunto il riscontro di forti tensioni sui prezzi. Il dato dell’indice dei prezzi al consumo comunicato dall’Istat, il 3,3 per cento rispetto al marzo 2007, oltre che particolarmente elevato ha il guaio di non giungere del tutto inatteso. Si tratta di un ulteriore scalino in una tendenza ormai in atto da mesi, con una crescita costante che ha portato a un raddoppio dell’inflazione rispetto all’1,7 per cento di settembre. Un valore, perciò, che non può essere relegato a frutto di fattori contingenti e che rimanda a limiti strutturali del sistema produttivo italiano. L’inflazione del Belpaese rimane

d e l

cento. Ciò che è accaduto, probabilmente, è il venir meno degli effetti del provvedimento, inserito nel secondo decreto Bersani, di abolizione del costo fisso per le ri-

comportamento improprio da parte delle compagnie a danno degli utenti. Una misura, perciò, destinata, a differenza di quanto accaduto nel settore dei farmaci, a veder esauriti i propri effetti dopo un giro intero di calendario.

È proprio questo, in definitiva, l’ambito in cui bisogna cercare le radici di un deficit di competitività che affligge l’economia italiana ripercuotendosi anche sui prezzi. Permangono e si intensificano carenze nel settore delle liberalizzazioni, che pur è quello nel quale il governo più si è esposto, scontrandosi con resistenze interne corporative molto ben addentellate in Parlamento. Qualche successo, unito a misure più di facciata che di sostanza e a molte rinunce – come sui servizi pubblici – non è stato in grado di scalfire i meccanismi di un sistema produttivo tuttora composto più di nicchie che di campi aperti. E che rimane esposto, fatalmente, alle bufere che arrivano da un mondo che corre sempre più veloce.

Cremonini lascia Piazza Affari Delisting per il gruppo Cremonini. Cremofin e Ci-Erre Lux, possessori del 59,95 per cento del gruppo e del 65,91 dei diritti di voto, lanceranno un’Opa sulla totalità delle azioni con l’obiettivo di togliere dal mercato la società. L’offerta, si legge in una nota, «sarà lanciata a 3 euro per azione e tramite un newco in corso di costituzione chiamata BidCo». L’Opa riconosce un premio del 14,1 per cento rispetto al prezzo ufficiale delle azioni registrato il 28 marzo scorso e del 26,3 della media degli ultimi 3 mesi. E, per un esborso massimo di 132 milioni di euro (recuperati a debito), ha per oggetto il 31,004 per cento del capitale.

Fonsai cerca dossier in Est Europa Fausto Marchionni ha annunciato che il gruppo Fondiaria-Sai presenterà a settembre un nuovo piano triennale, dovuto alle operazioni di riorganizzazione del gruppo. Intanto l’Ad ha confermato che l’assicurazione del gruppo Ligresti, per crescere, guarda ai Paesi dell’Europa dell’Est, in particolare alla Romania. «Dopo l’acquisizione della serba Ddor sicuramente intendiamo spingerci oltre, non avrebbe senso avere una cattedrale nel deserto. Ma al momento non c’è nulla di concreto da annunciare».

Logistica, cresce il peso di Malpensa Dopo i tentennamenti degli anni scorsi, il 2007 si è chiuso in positivo per il settore del trasporto merci. Stando alla nota congiunturale di Confetra, si rileva una netta ripresa del trasporto navale e uno sviluppo di quello aereo, accompagnati da una buona crescita del trasporto su strada a carico completo. Il comparto ferroviario aumenta del 2,5 per cento, quello aereo dell’8, via mare del 5,5. Migliori performance le ha fatte registrare il polo aeroportuale milanese Linate-Malpensa (+14,2)).

Montezemolo: pochi investimenti esteri La designazione di Milano come città organizzatrice dell’Expo 2015 non basta a Luca Cordero di Montezemolo. Il presidente della Fiat ha definito «molto grave la situazione dell’ Italia. Oggi non solo non attrae investimenti stranieri, ma il rischio è che non ci siano le condizioni per gli investimenti delle industrie italiane sul mercato domestico. Oggi è importante guardare al ritorno degli investimenti». Per Montezemolo il Paese «va ricostruito a partire dalle questioni sindacali».

Borsa: vendite sul Banco popolare A 24 dalla presentazione dei conti 2007, il mercato boccia il Banco Popolare: -9,05 per cento a quota 10,49 euro, dovuti soprattutto a contrazione dell’utile netto e taglio del dividendo.


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cultura

A Napoli la storica fiera libraria impoverita di contenuti e strumentalizzata per la campagna elettorale di Bassolino

”Discarica Gutenberg” di Adriana Dragoni

NAPOLI. Una prima occhiata, magari distratta, sarebbe potuta bastare. Un’indagine appena un po’più approfondita avrebbe tolto ogni dubbio e fatto capire anche ai meno esperti quanto la storica fiera libraria Galassia Gutenberg sia precipitata in una dimensione culturale piuttosto imbarazzante.Traghettata dai vasti spazi della Mostra d’Oltremare a quelli più ristretti della Stazione Marittima, la XIX edizione di Napoli, dal giorno in cui ha aperto i battenti lo scorso venerdì 28 marzo, a ieri, giorno di chiusura, ha visto ridimensionati anche la partecipazione del pubblico e quella di diverse case editrici. Una settimana di incontri e dibattiti pressoché deserti (perfino il “Punto informazioni” non ha quasi mai avuto un pubblico a cui dare informazioni) ha caratterizzato la rassegna, più incline a celebrare il lavoro delle istituzioni locali che a proporre eventi culturali. Il fascicolo Alfabeto Democratico, un 22x32 in carta patinata che ospitava articoli di professori universitari e consulenti della Regione Campania, rappresentava quasi l’unica scelta possibile di un visitatore qualunque, costretto a imbattersi in pagine ordinate e sinceramente democratiche che indagavano temi nobilissimi come diritto di cittadinanza, sanità o ambiente. Il tutto, natruralmente, targato Partito democratico, Rosa Russo Iervolino e Antonio Bassolino, al quale è stato perfino dedicato uno stand all’ingresso della fiera e all’interno del quale, ininterrottamente, veniva proiettato un filmato di repertorio di una cerimonia promossa dalla presidenza della Regione. Poco più in là, in un altro banchetto, si annunciava che nel 2013, proprio a Napoli, verrà organizzato il Forum Universale delle Culture, promosso dall’Unesco e “benedetto”, di nuovo, dagli esponenti del Pd campano. Già, perché in previsione del grande avvenimento sono stati preparati e distribuiti dépliants informativi che spiegavano come, nel 2008, le istituzioni saranno liete di realizzare “un progetto per lo sviluppo di un Paese africano” e preparare a Napoli “un accampamento per duecento bambini stranieri”, che avranno anche la possibilità di dilettarsi in “attività ludiche e didattiche”. Come dire:

periodici femminili Filo di perle e Via Dogana, sempre di fattura regionale. Il resto sembrava ornamento. Perfino i convegni che hanno visto la partecipazione di Stefano Rodotà, Luciano Canfora, Goffredo Fofi o Aldo Masullo. Unici sforzi culturali forse riusciti forse no, la premiazione di un racconto che si è aggiudicato una gara on line tra scrittori internauti, un finger food accompagnato da brindisi a base di pregiati vini locali, la presentazione del libro di Giancristiano Desiderio L’autoinganno. La Campania al tempo di Bassolino, e quella del Bollettino delle Assise di Palazzo Marigliano, associazione di cittadini piuttosto critici degli usi e costumi delle istituzioni campane.

Rispetto alle precedenti edizioni la rassegna quest’anno ha proposto pochi stand, case editrici ridotte all’osso, dibattiti deserti e materiale di propaganda politica promosso dalla presidenza della Regione Campania

proviamo a dare l’impressione che Napoli sia ricca e le istituzioni molto attente alle questioni sociali. Peccato che invece di discutere delle scuole fatiscenti o dell’ignoranza dei ragazzi, le istituzioni si siano invece affrettate a strumentalizzare la fiera

e farla diventare un megafono per amplificare temi come il multiculturalismo, il bullismo giovanile o i soprusi di cui sono vittime le donne. Per carità, nulla in contrario e tutti d’accordo che simili dibattiti sono ben accetti . Ma considerata la sede

scelta e il periodo di campagna elettorale, può nascere più d’un sospetto. Anche la rosa dei relatori suggeriva qualcosa: assessori o funzionari regionali si sono alternati sui tavoli dei diversi dibattiti, ora distribuendo i Quaderni Regionali Eda, ora i

Poco invece ha brillato lo stand dell’Istituto universitario Grenoble, che, tra le altre cose, ospitava in bella mostra Gomorra di Roberto Saviano, un libro che si è guadagnato i giudizi negativi di certa critica, che lo accusa di fornire un ritratto per lo più falsato di Napoli e dei suoi reali problemi, attribuendo la causa dei mali della città alla camorra, ma senza considerare determinante il concorso dei politici. Interessanti invece lo stand di una piccola casa editrice, la Gutenberg, specializzata in pubblicazioni di storia a fumetti per ragazzi; quello con libri delle edizioni Filadelfia, Novalis e Arcobaleno, tutti dedicati alla teoria antroposofica di Rudolf Steiner; e quello dell’associazione Bhaktivedanta (letteralmente: desiderare la conoscenza), dedita da sempre alle antiche scritture indiane dei Veda. Significativa poi l’area che proponeva diversi “libricini a fisarmonica”, i cosiddetti “diari visuali”, le cui pagine ospitano abitualmente ricordi e schizzi di viaggio, spesso di personaggi noti e autorevoli autori. Un quaderno di disegni di viaggio lo compilò anche Wolfang Goethe durante il suo Viaggio in Italia: altro stile, altri tempi. Oggi invece, alla Galassia Gutenberg, può capitare di imbattersi in dépliants disordinati che pubblicizzano corsi di audiopsicofonologia (che prevedono un primo ciclo di quindici giorni con due ore di ascolto quotidiane per mezzo di apposite cuffie), o che promuovono i seminari d’introduzione al giornalismo investigativo Spy investigation.


musica

1 aprile 2008 • pagina 21

Il reverendo Franzo King ha ”canonizzato” il sassofonista: per molti si tratta di una trovata per promuovere se stesso come musicista

John Coltrane santo subito di Adriano Mazzoletti re. Al suo posto, già dal Diciottesimo secolo nacquero canti a sfondo religioso, basati sugli inni sacri dei coloni metodisti del New England.

ohn Coltrane a quarant’anni dalla morte è stato «elevato alla gloria degli altari»!. Nel caso specifico si tratta solamente di quello, assai piccolo, di una delle tante sette religiose esistenti nel mondo afro-americano. La notizia giunge da San Francisco dove il reverendo Franzo King, arcivescovo della chiesa One mind Temple Evolutionary Body of Christ che dopo la «canonizzazione» del celebre sassofonista ha mutato denominazione in The Saint John Will-I-Am Coltrane Orthodoxy Church. Il Reverendo King, a cui Coltrane aveva nel 1966 dedicato una sua composizione, che veste abiti talari e che suona anche lui il sassofono tenore ha ravvisato in Coltrane l’autore di numerosi «miracoli», il più importante quello di aver creato un nuovo stile e di avere ancor oggi milioni di adepti in tutto il mondo, sassofonisti e non. L’aver mitizzato un personaggio carismatico e importante come John Coltrane ha origini assai lontane.

J

Quando i neri africani iniziarono a essere trasferiti forzatamente nel nuovo mondo, le loro religioni si trovarono improvvisamente a contatto con quella cristiana, luterana o calvinista negli stati del Nord, cattolica nel Sud e nelle isole caraibiche. Molti schiavi delle colonie latino-cattoliche scoprirono ben presto che alcuni santi avevano rassomiglianze con le loro divinità. San Patrizio, dipinto nell’atto di scacciare i serpenti dall’Irlanda, ricordava allo schiavo africano razziato nel Dohomey il dio serpente Damballa. Anche Sant’Antonio veniva identificato con Legba, divinità Dahomey dei trivi, entrambi raffigurati come vecchi malvestiti. San Giovanni Battista, dipinto con il pastorale, era identificato con Shango, dio del tuono, il cui simbolo è l’ariete. E San Michele, munito di spada, era immedesimato in Ogun, dio della guerra. Questi paralleli variavano da località a località, da regione a regione. A New Orleans nella religione vodoo, Legba viene invece associato a San Pietro, ma il procedimento mentale è lo stesso. L’estrema facilità dello schiavo nell’abbracciare nuove divinità è illustrata con sorprendete chiarezza in una celebre

In alto due immagini di John Coltrane che sono esposte nella chiesa del reverendo King; sopra il musicista e a sinistra James Brown, in versione spiritual, in ”The Blues Brothers” foto scattata dall’antropologo Earl Leaf, resa popolare da Marshall Stearns, raffigurante un altare vodoo a Haiti. L’abbondanza di feticci e di simboli africani si trova accomunata a numerose litografie di santi cattolici e dipinti di scene religiose, oltre a una fotografia in posa marziale dell’Ammiraglio Ernest J.King della Marina degli Stati Uniti. Con la sua uniforme bianca e lo sguardo risoluto, l’ammiraglio sembra avere il significato di un potentissimo antidoto contro le forze del male. Oggi il vodoo in alcune isole dei Caraibi e a New Orleans, dove però ha certe rassomiglianze con il satanismo, è quasi del tutto scomparso. Rimane la tomba al St. Louis Cemetery, di Marie Laveau, ultima grande sacerdotessa del vodoo, meta continua di pellegrinaggi. Secondo la tradizione basta fare un piccolo segno di croce con un gesso bianco sulla lapide, perché le forze del male scompaiano. A Marie Laveau il musicista creolo di New Orleans, Oscar «Papa» Celestin dedicò un brano in cui ve-

nivano raccontate le gesta di questa sacerdotessa, capace di dare felicità e ricchezze, ma anche infliggere grandi disgrazie e perfino la morte. Quella celebre incisione che Celestin realizzò nel 1947 con la sua Original Tuxedo Orchestra ricorda per struttura e andamento ritmico alcuni temi religiosi del jazz primitivo, Ol’Time Religion oppure Oh Didn’t He Ramble, a dimostrazione di quanto musica e riti religiosi abbiano avuto radici comuni. Questi ebbero anche la funzione di ponte fra Africa e Nuovo Mondo, sul quale la musica africana venne trasportata e successivamente modificata. Il protestantesimo delle colonie britanniche proibiva rigorosamente danze e uso di tamburi caratteristici delle religioni africane, non tanto come precauzione contro eventuali rivolte, così temute negli Stati del Sud a causa del diverso trattamento inflitto agli schiavi, quanto per una questione di principio religioso. In questo modo la musica africana originale nelle colonie protestanti del Nord finì per scompari-

La musica nera e i riti religiosi hanno radici comuni: un vero e proprio ponte tra l’Africa e il Nuovo Mondo

Quei canti, che esaltavano la liberazione dei neri, nell’Ottocento furono indicati come spiritual ed eseguiti da singoli interpreti o più spesso da congregazioni di fedeli che basavano le loro esecuzioni sulla struttura antifonale di «chiamata e risposta». Un leader, il predicatore, pronunciava ad alta voce una frase generalmente tratta dall’Antico Testamento mentre la congregazione la ripeteva con la stessa intonazione e le medesime inflessioni… Negli Stati del Sud - Louisiana, Georgia, Alabama - dove la tradizione africana continuò per molti anni, si è mantenuto intatta nei ring-shout. Era un mezzo per attrarre in chiesa i giovani che desideravano ballare. L’etnomusicologo Alan Lomax che ebbe l’occasione di assistere a uno di questi ring-shout, lo descrisse in seguito: «I danzatori si pongono in circolo uno dietro l’altro nel mezzo della sala. Poi cominciano a camminare in senso antiorario strascicando i piedi, con le braccia in fuori e le spalle curve. Il resto del gruppo contro le pareti, crea un fantastico ritmo, battendo le mani e i piedi. Il predicatore con le sue grida crea delle ondate sonore continue. Improvvisamente tutti si mettono a urlare, cantare, ballare, girare su se stessi». In seguito si aggiunsero altre persone che suonavano diversi strumenti melodici e ritmici. Batteria, chitarra, sassofono. La religiosità nella musica nero-americana nel corso degli anni ha raggiunto vertici assai importanti, con i tre concerti sacri di Duke Ellington o Peace on Hearth di Coltrane ad esempio, di cui si dovrà un giorno parlare. Franzo King, che ha «santificato» Coltrane è anch’egli un sassofonista che si esibisce, ma chi lo ha ascoltato riferisce trattarsi di un assai modesto strumentista, non solo durante le funzioni religiose che hanno luogo nella sua chiesa, ma anche in tournée. Recentemente ha portato il suo spettacolo in Francia. A Vitry-sur-Seine si è esibito durante il festival «Sons d’Hiver» e a Parigi alla Cité de la Musique. Anche se ha avuto successo ci sorge il dubbio che l’arcivescovo Franzo King sia più che altro un abile promoter di se stesso piuttosto che musicista e uomo di fede.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Continuate a mangiare la mozzarella di bufala? IO SONO FATALISTA E CONTINUO A FARLO, MA L’ONOREVOLE BASSOLINO LA MANGIA ANCORA? Io ormai sono diventato fatalista, per cui continuo a mangiare la mozzarella di bufala campana e spero in Santa Pupa. La cosa che invece mi corrode anima e corpo è il fatalismo che da anni convive con gli abitanti della Campania che, da oltre quindici anni, subiscono l’arroganza e le angherie di Bassolino, Iervolino e compari. Ma ci rendiamo conto che nonostante tutto, la Iervolino nelle ultime elezioni amministrative ha riportato oltre il 60% dei voti? Che Bassolino è da oltre quindici anni che comanda, pone e dispone e ha il coraggio di rimanere al suo posto nonostante le sollecitazioni a lasciare? A proposito, onorevole Bassolino, lei la mangia la mozzarella di bufala campana?

Gianni Capello - Parma

scoperto di recente che rifiuti tossici sono stati talvolta seppelliti in aree agricole con conseguente inquinamento dei pascoli. La notizia è stata coperta per troppi anni. Ma la vera meraviglia è che i governanti della Campania siano ancora al loro posto. Cordialmente ringrazio per l’attenzione. Saluti.

Stefania Piras - Nuoro

GLI EFFETTI DELLA MOZZARELLA ALLA DIOSSINA? (QUASI) PEGGIORI DI QUELLI DEL GOVERNO PRODI I danni del latte alla diossina non riguardano solo le vittime dell’inquinamento delle mozzarelle, ma stanno creando, come conseguenza del colpo all’immagine internazionale dell’italia, una netta riduzione degli acquisti dei prodotti caseari, e di conseguenza riduzione dei posti di lavoro. Non ci era bastato Prodi! Grazie per l’ospitalità. Buon lavoro e distinti saluti.

Agnese Viola - Bologna

LA VERA MERAVIGLIA È CHE I GOVERNANTI DELLA CAMPANIA SIANO ANCORA AL LORO POSTO Ho sentito dire che già nel 2001 i Nas accertarono che in tredici controlli su quindici effettuati in allevamenti ovini e caprini il livello massimo di diossina nel latte era stato superato. Adesso la situazione può solo essere peggiorata! Sappiamo tutti che si è

LA DOMANDA DI DOMANI

Elezioni, sarà davvero determinante il Lazio per l’esito del Senato? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

CAMERA CON GHIACCIO È il primo in Romania e l’unico in Europa sudorientale. Costruito a 2000 metri sui monti della Transilvania, l’hotel di ghiaccio Balea Lac dispone di otto stanze al di sotto degli 0° C, ed è raggiungibile solo in funivia

NEL DUBBIO È GIUSTO NON PORTARLA IN TAVOLA, MA I DANNI PER IL PAESE SARANNO INCALCOLABILI

QUEL ”PARADISO IN TERRA” CHE È IL COMUNISMO CUBANO

La questione della mozzarella di bufala rischia di diventare un fenomeno pericoloso per tutto il Paese. E’ giusto che sia partito un piano anti-diossina per la mozzarella della Campania. Il programma straordinario concordato tra ministero della Salute e Unione europea per far fronte a questa crisi che ha colpito l’intero settore, con tracollo delle vendite. Sono giustamente previsti controlli in tutti i caseifici delle province di Caserta, Avellino e Napoli che trattano latte di bufala. E sono circa quattrocento. Ci sarà il divieto di commercializzare il latte fino all’esito finale e un’analisi epidemiologica per individuare esattamente l’estensione del fenomeno. Questo piano è partito proprio nel giorno in cui Cina e Singapore hanno annunciato lo stop alle importazioni di mozzarella italiana. Sarà, ma tutto questo, pur corretto che sia, credo possa solo continuare ad arrecare un altro duro colpo all’immagine del nostro Paese, soprattutto dopo gli altri blocchi alle frontiere. Che ci siano interessi non dichiarati dietro? Cordialità.

Una nota seria tra tanta confusione elettorale. Dopo il passaggio di consegne tra Castro e Raul, Cuba ha aggiunto... libertà a libertà. Sul sito del Corriere leggo che ”Il nuovo presidente dice sì all’uso dei telefonini finora riservati a stranieri e funzionari governativi”. Ecco perché il noto e colto giornalista Minà ha sempre magnificato l’isola, Castro e tutti gli annessi e connessi: come straniero non si è accorto del divieto al cellulare, il resto c’era, e che poteva desiderare di più per i cubani? Già era stato tolto il bando alla vendita di Pc, Dvd e videoregistratori. Ah, dimenticavo, anche il divieto al forno a microonde non c’è più. Raul lo dovremo vedere sulle magliette come il Che? Vai a spiegare in Italia

VERSO UNA SCUOLA DEL MERITO La scuola accompagna l’uomo dall’infanzia all’età adulta e ne influenza positivamente o negativamente la ricerca della felicità individuale e degli altri attorno a lui. Contribuisce alla creazione della coscienza e quindi al modo di fondare i principi etici che saranno un costante riferimento nelle decisioni e questioni su cui si deve avere un’opinione. Insomma saper distinguere per sé e per gli altri ciò che è bene e ciò che è male. Per questi motivi la meritocrazia nella scuola non deve essere intesa in senso solo tecnicistico e professionale. Un ragazzo con grandi risultati scolastici privo del senso del rispetto degli altri non è meritevole, e compito anche della scuola è prenderlo per mano come un alunno dai risultati scolastici disastrosi ma pieno di umanità. Su questo principio di fondo si deve basare ciò che va fatto per una scuola del merito. A meno che non si sia convinti che l’uomo è chimica e che i comportamenti si basino unicamente sulla razionalità e non anche sulla componente innata spirituale dell’uomo. Difficile quindi pensare a una scuola o a una giornata di un adolescente priva di un momento anche educativo civico e religioso. Se si si

dai circoli liberal Amelia Giuliani - Potenza

di questo paradiso in terra che è il comunismo! Oggi, non sessant’anni fa! Roba da pazzi, e quel che m’inorridisce di più è la malafede di quei militanti che hanno anche studiato, letto e preso titoli accademici. Niente niente, prendono anche qualche carica istituzionale.

L. C. Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)

I RENDIMENTI DEI SOCI COOP Il vero fine della cooperazione è una restituzione al popolo del suo denaro e una reinvestitura della sovranità e del potere, ci dicevano i paladini delle Coop. Da un’analisi del Sole24Ore risulta che le Coop offrono ai propri soci rendimenti inferiori a quelli dei Bot. Che choc.

Pierpaolo Vezzani - Re

MUSICA E POLITICA

riuscisse a ridare dignità nella scuola a queste due materie, il futuro potrà significare la soluzione di molti problemi del nostro Paese. Con buona pace di molti intellettuali arroganti e raffinati politologi. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI BATTIPAGLIA - SABATO 5 APRILE 2008 Ore 11: pubblico comizio di Ferdinando Adornato presso il cinema teatro Bertoni. NAPOLI - SABATO 5 APRILE 2008 Ore 17.30: assemblea regionale di tutti i Circoli Liberal della Campania presso il Grand Hotel Excelsior. CASERTA - SABATO 5 APRILE 2008 Ore 20.30: cena di gala presso il Grand Hotel Vanvitelli. Parteciperà Ferdinando Adornato

Sabato 5, a Mola di Bari, cocktail di musica e politica promosso dal Circolo Liberal Levante. Tra i partecipanti, l’onorevole Angelo Sanza


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog ALTRO TIFOSO UCCISO, ALTRA STORIA DA RACCONTARE

La morte di Leopardi mi ha annientata La disgrazia della morte del povero nostro Leopardi mi ha annientata; sì pel bene che gli volevo, sì pell’interesse che io prendo a tutto ciò che vi riguarda. Io partecipo grandemente al vostro dolore, io sento il vuoto che proverete nelle vostre abitudini, e quel male che cagiona la perdita d’un’amico che si amava, e stimava. Quantunque io sappia e creda fermamente che io non sono nulla per voi, pure pagherei non so cosa per potervi vedere almeno un’ora in questa circostanza! Potrei non fosse altro accertarmi del genere di dolore che patite, e non figurarmi sempre il peggio come io faccio. Voi sarete forse in collera meco perché non vi ho scritto, ma la vostra ultima lettera era tale, da diacciare un cuore più freddo del mio, da reprimere ogni espansione amichevole, da farmi sentire che per certi sentimenti noi siamo agli antipodi, che voi non avete mai letto nella mia anima, e che non vi leggerete mai più. Fanny Targioni Tozzetti all’amico Antonio Ranieri

SE RUTELLI SI APPROPRIA DELLE BATTAGLIE ALTRUI Considero sicuramente patetica l’indignazione a comando del ricandidato sindaco di Roma Francesco Rutelli e dell’ex presidente del III Municipio Orlando Corsetti, che qualche giorno fa hanno scoperto che le strade del centro storico sono diventate ”un suk insopportabile”. Non c’è nemmeno più bisogno di ricordare che Rutelli ha malgovernato Roma per sette anni e che e l’ex presidente del terzo Municipio ha lasciato una situazione di degrado analoga, come sta denunciando in queste ore la candidata alla presidenza per il Pdl, Emma Perrelli. I romani e i residenti del centro storico della Capitale non sono così cretini da cadere in questi trucchetti. Troppo tardi per indignarsi: il copyright sulla tolleranza zero contro l’abusivismo è una storica battaglia del centrodestra locale. Incredibile vedere come il centrosinistra, pur di riacquistare una minima credibilità, sul piano locale come su quello nazionale, tenti addirittura di appropriarsi di idee e lotte altrui, soprattutto di centrodestra. Cordialmente saluto.

Gaia Miani - Roma

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

1 aprile 527 L’imperatore bizantino Giustino I nomina il nipote Giustiniano I co-imperatore e successore al trono 1815 Nasce Otto von Bismarck, politico tedesco 1929 Milan Kundera, poeta, saggista e romanziere ceco 1939 Termina la guerra civile spagnola con la vittoria della Falange 1945 Seconda guerra mondiale: Battaglia di Okinawa: le truppe statunitensi sono impegnate in quella che sarà l’ultima campagna di guerra 1948 Inizia il Blocco di Berlino Ovest da parte delle truppe controllate dal governo sovietico 1949 L’Irlanda abbandona il Commonwealth e diviene Repubblica indipendente 1979 Con un voto quasi plebiscitario l’Iran diventa Repubblica islamica dell’Iran 2001 Il presidente in carica della Jugoslavia Slobodan Milosevic viene fatto prigioniero da forze speciali di polizia: è ritenuto responsabile di crimini di guerra

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

Domenica pomeriggio è morto un ragazzo di 27 anni, Matteo Bagnaresi, investito da un pullman in un’area di servizio sull’autostrada A21. Detta così la notizia è limpida, diretta. E la risposta dovrebbe essere semplice: rispetto per il dolore e ricerca della verità. Ma l’Italia, si sa, è un Paese strano. Dove i sassi vengono deviati in volo o si materializzano come per magia nelle tasche di chi deve essere dipinto come il ”cattivo”. Una nazione dove a una dichiarazione del Viminale o della Polizia, segue il primo pensiero ”ci stanno nascondendo qualcosa”. Un’Italia di certi giornalisti che, per vendere qualche copia di più, si inventerebbero qualsiasi cosa. E così la morte di Matteo diventa figlia del ”tifo violento” e già si trovano pezzetti di vetro sul mezzo che ha investito il giovane ragazzo, per dimostrare che ci sono stati degli scontri. Già, Matteo era un ultras del Parma in viaggio per Torino, dove la sua squadra avrebbe incontrato la Juventus. Il mezzo ”incriminato” aveva a bordo proprio un gruppo di tifosi juventini. Ma questo, in realtà, dovrebbe interessare poco.

Augusto Curino - Lecce

PUNTURE Veltroni ha precisato che se perde non si dimette. Cominciamo bene.

Giancristiano Desiderio

Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile WOODY ALLEN

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di ALITALIA E MALPENSA: DECIDA IL MERCATO Chiariamo subito una cosa: se per decenni volare in aereo è stato un lusso inaccessibile per molti italiani la colpa è anche di Alitalia e di tutte le politiche monopolistiche che hanno bloccato lo sviluppo del Paese. Altro che asset strategico, la compagnia di bandiera per tanti, troppi anni è stato un vero e proprio tappo. Se a contare fossero solo i bilanci Alitalia da anni sarebbe stata smantellata: costava e costa troppo. Ma è giusto che un Paese abbia a tutti i costi una compagnia di bandiera e che questa venga difesa, coi soldi pubblici, bruciando cifre astronomiche al di là di ogni logica economica? Credo sia difficile rispondere sì a questa domanda. Un conto è l’Aeronautica italiana, altra cosa sono i voli per i privati cittadini. Ciò che interessa alla gente sono le tratte coperte, i posti disponibili, i servizi offerti e, non da ultimo, le tariffe. Se al posto di Alitalia c’è qualche altra compagnia non si capisce proprio dove stia il problema. A Malpensa i voli di Alitalia sono passati da 177 a 50 al giorno, un taglio del 70%. Una misura imposta dalla necessità di tagliare i costi, venendo incontro alle richieste di AirFrance. Ma Bonomi, il presidente della società che gestisce l’aeroporto (Sea), avverte: «Siamo un asset industriale strategico. Torneremo a essere hub». In effetti a pensarci bene è proprio così. Laddove la politica è fallita riuscirà il mercato. Perché Malpensa ha un bacino di utenza talmente

importante che gli altri scali del Nord non sarebbero in grado di coprire a sufficienza. A salvare Malpensa, dunque, non sarà un decreto del governo ma il mercato. La gente ha volato, vola e continuerà sempre di più a volare, per affari così come per turismo. E Alitalia? Salviamo il salvabile. Se qualcuno è disposto a investire per prendersi il carrozzone, ben venga. L’importante è non svendere e portare a casa il più possibile, sia in termini di soldi che, soprattutto, in termini di posti di lavoro. Lo Stato non si faccia venire strane idee tirando fuori altri soldi. Sarebbe l’ennesima beffa per gli italiani.

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ZIMBABWE, ELEZIONI BLUFF Le elezioni politiche di sabato sono state ”pacifiche” a detta della Sadc (Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe). Non ci sono state le violenze che si temevano. In realtà, c’era poco di cui discutere: la gente ha fame, e non c’è da mangiare. La follia di Mugabe ha mandato tutto un paese in coma. D’altro lato il ritardo clamoroso nella proclamazione dei risultati ha un significato pesante, e lo dice lo stesso capo dello Zimbabwe Election support Network, Noel Kututwa. A quanto pare l’opposizione di Morgan Tsvangirai sembra aver vinto, ma Mugabe l’ha diffidata dal proclamare vittoria. L’inflazione ha raggiunto il livello del +100.000% all’anno. Spaventoso.

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