QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA Oggi il supplemento
MOBY DICK SEDICI PAGINE DI ARTI E CULTURA
di e h c a n cro di Ferdinando Adornato
surrealismo
INTERVISTA CON CASINI
BERLUSCONI E VELTRONI CHIUDONO LA CAMPAGNA LITIGANDO SU TOTTI pagina 6
Susanna Turco
cina-tibet
«Saremo noi il grande partito dei moderati»
OLIMPIADI, UNA STORIA TORMENTATA pagina 7
Aldo Forbice
Creato Sorpresa, la legge 40 funziona
Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma
UN VOTO MA ANCHE UNA SCELTA DI VITA
Equilibrio, moderazione, senso del dovere, coraggio. Elogio di una decisione che non ha solo un valore politico
Centro! alle pagine 2, 3, 4 e 5
SABATO 12 APRILE 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
67 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
Carlo Bellieni Carlo Casini Assuntina Morresi da pagina 12
sfide economiche L’AMERICA VOLTA LE SPALLE ALLA APPLE DI STEVE JOBS pagina 18
Alessandro D’Amato
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 15 aprile
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
centro!
pagina 2 • 12 aprile 2008
Il progetto politico. Liberali e cristiani insieme per ricostruire l’Italia
«Saremo noi il grande partito di tutti i moderati» colloquio con Pier Ferdinando Casini di Errico Novi
ROMA. «Abbiamo dimostrato in questa campagna elettorale di motivare soprattutto i giovani a occuparsi nuovamente di politica. La nostra scelta di non fare promesse irrealizzabili, di non proporre ogni giorno una trovata demagogica finalizzata solo alla raccolta di consensi, significa che noi abbiamo voluto investire con serietà sul futuro e sulle nuove generazioni». Con liberal il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, fa il bilancio della campagna elettorale e delinea i possibili scenari futuri. Udc, Rosa bianca e Movimento liberal daranno vita alla Costituente di centro, che prenderà il via subito dopo il voto. Verrà fuori un’aggregazione cristiana e liberale: pensa che possa essere attrattiva sia per settori di Forza Italia che provenienti dall’ex Margherita? E per costruire quale tipo di progetto? Il progetto è chiaro, la sua capacità attrattiva ha tutti presupposti per esercitarsi in ogni direzione a partire dal centro. Con la Costituente si potrà meglio definire, non stravolgere la nostra identità, che è già chiara nella sua proposta e nei suoi caratteri distintivi. Noi siamo una forza che apertamente afferma alcuni valori di ispirazione cristiana condivisi da tanti laici: l’identità cristiana come riconoscimento verso la nostra storia e la nostra cultura, anche nel dialogo nel confronto con gli altri, la difesa della famiglia quale nucleo fondante della società, la tutela della vita come principio di diritto naturale da preservare dal concepimento alla morte, e il merito come misura di promozione sociale contro la moda ideologica dell’egualitarismo risalente al ’68. Ma noi siamo anche una forza liberale che auspica la modernizzazione del Paese. Una cartina di tornasole è la nostra proposta di abolire le province, che nessuno, né il Pd né il Pdl, ha il coraggio di avanzare con la stessa chiarezza e determinazione. Che tempi e che forme prevede per la Costituente? Questo lo decideremo insieme, anche dopo aver valutato i risultati elettorali. Pensa di fare sua quell’idea di un grande partito liberale e di massa che Forza Italia non è riuscita mai a realizzare? Speravo che la Casa delle libertà evolvesse verso una forma di partito analoga a quelle che in altri Paesi a noi vicini rappresentano da anni, stabilmente, il centro moderato, nel solco della grande tradizione del popolarismo europeo. La svolta di Berlusconi con l’annuncio alle tv, in piazza, dal predellino di un’automobile, di un partito unico senza programma, senza consultazioni con gli alleati, segna il fallimento di quella prospettiva. Oggi, il Popolo della libertà è una coalizione mascherata da partito, sottoposta ai ricatti della sua componente più estremista, populista e localista. Trovo sorprendente che per coprire
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il caos e i contrasti interni su tutti i temi importanti, a cominciare da quelli eticamente sensibili, Berlusconi abbia dovuto teorizzare l’“anarchia dei valori”. Per noi, i valori stanno alla base dell’impegno politico, e non sono in vendita. È da qui che vogliamo ripartire. Un grande partito liberale e di massa è un partito che sopravvive ai suoi leader, che non si identifica con una persona, che è fondato su una proposta valida e condivisa, che non perde nulla della sua forza con un cambio di vertice. Lo dimostrano le vicende della Cdu in Germania nel dopo-Kohl, ma anche i conservatori e il Labour in Gran Bretagna dopo l’abbandono della Thatcher e di Tony Blair. È un obiettivo alla portata dell’Italia, di cui gli italiani hanno un grande bisogno, e per questo obiettivo noi stiamo affrontando scelte anche scomode e difficili. Gli italiani apprezzeranno. Si potrebbe dire che la Costituente di centro prepara una Dc liberale? Non proprio, per due ragioni. La prima è che
In caso di pareggio non vedo alternative: bisogna dar vita ad un governo di responsabilità nazionale
”
nessuno di noi ha il desiderio, la pretesa di rifare la Democrazia cristiana. La Dc è stata una formidabile esperienza politica e di governo che grazie a leader responsabili e con forte senso dello Stato, a cominciare da De Gasperi, ha tirato fuori l’Italia dalle secche della seconda guerra mondiale e l’ha portata in cima alla classifica dei Paesi più avanzati e industrializzati. In una seconda fase più recente, la Dc ha però avuto responsabilità che sarebbe sbagliato non riconoscere: quella per esempio di aver contribuito a instaurare un sistema eccessivamente statalista e assistenzialista, clientelare, e di non aver fatto abbastanza per tenere sotto controllo la spesa pubblica. L’altra ragione è che comunque la Dc era proprio questo, all’origine: un partito liberale di ispirazione cristiana. Dire Dc liberale è una ridondanza. Oggi non c’è neppure per la Chiesa la possibilità, la convenienza di ricostituire l’unità politica dei cattolici. In ogni caso non userei il termine Dc. Noi guardiamo al futuro. Si attende davvero l’implosione di Pdl e Pd dopo il voto? L’implosione è inevitabile. Non credo di essere affetto dalla sindrome dell’”io l’avevo detto”, però io avevo avvertito che il governo Prodi sarebbe caduto non per le nostre spallate, ma per le contraddizioni interne. E lo stesso succederà se il Pdl o il Pd dovessero vincere le elezioni, perché non basta vincere, bisogna poi governare. Dovesse vincere il Pdl, Bossi sarà per Berlusconi ciò che Bertinotti è stato per Prodi. A tutto danno del Paese. Ha più volte parlato di governo dei mi-
gliori. Pensa che davvero nella politica italiana ci sia lo spirito di unità e di servizio necessario per realizzare un obiettivo così importante? Io penso al bene dell’Italia e penso che l’Italia ha urgente bisogno di una classe politica in grado di prendere decisioni impopolari ma necessarie. Penso che non si potrà, e soprattutto non si dovrà, guardare all’interesse di parte a scapito di quello generale. La situazione è oggettivamente difficile, siamo in pesante ritardo su tutti i fronti, dall’energia all’università, dall’ambiente al lavoro, dalle infrastrutture alla sicurezza. Non si può più perdere tempo, non ci si può consegnare ai veti, alla politica dei “no”. In caso di pareggio non vedo alternative all’ingovernabilità se non un governo di responsabilità nazionale, non per spartire le poltrone tra Berlusconi e Veltroni, ma per fare ciò che gli italiani si aspettano che una vera classe dirigente abbia finalmente il coraggio di fare: prendere decisioni. Quali sono le priorità che un governo del genere dovrebbe porsi? Io posso dirle le priorità del governo come lo immagino io. La prima è risanare lo Stato, perché è la condizione di tutte le altre. Lo si può fare congelando le spese correnti già nel 2009, poi vendendo le partecipazioni statali, le ex municipalizzate, gli immobili pubblici non strategici, abolendo le province e liberalizzando i servizi pubblici locali. Il ricavo servirà ad abbassare il debito, e i risparmi così liberati a finanziare gli investimenti per rilanciare i consumi e l’economia. La seconda priorità è aiutare le famiglie italiane con un meccanismo di deduzioni e detrazioni fiscali delle spese mediche e scolastiche, compresi i libri di testo e gli asili nido, dei mutui e degli affitti soprattutto per le giovani coppie, con abbattimento delle addizionali Irpef e dell’Ici, in modo da
centro! restituire potere d’acquisto ai salari specie quelli delle famiglie monoreddito con figli. La terza, ma potrebbe essere la prima, è investire nella qualità, ossia nell’istruzione, nell’università e nella ricerca, aumentando i salari di ricercatori e professori universitari, innalzando l’investimento pubblico, detassando quelli privati, creando poli internazionali tecnologici nel Mezzogiorno per contrastare l’emigrazione intellettuale giovanile, premiando il merito con borse di studio all’estero, sottraendo alla politica la nomina di direttori generali delle Asl e primari. La quarta è la sicurezza: vogliamo ripristinare i fondi tagliati da Prodi, circa un miliardo di euro, destinandoli a pagare meglio le forze dell’ordine, e vogliamo riportare nelle strade, a difesa dei cittadini, tutti i poliziotti che oggi si trovano dietro le scrivanie a smaltire pratiche amministrative. In generale, è necessario snellire e semplificare la burocrazia, ed evitare che le regole su fisco e pensioni vengano modificate a ogni cambio di governo o finanziaria. Gli italiani hanno bisogno di stabilità per progettare il proprio futuro. Un governo di responsabilità nazionale può essere una parentesi o un governo di legislatura? Questo dipende da troppe cose che non possiamo sapere. Un esecutivo dovrebbe comunque essere, per poter esercitare in pieno la sua azione, un governo di legislatura. Cosa risponde a chi volendo votare per lei teme però di favorire Veltroni? Le alleanze si fanno prima del voto e non dopo, vale per il Pdl e a maggior ragione per chiunque altro. Noi siamo storicamente e politicamente alternativi alla sinistra, così come siamo alternativi a una destra populista che candida i Ciarrapico e le Mussolini ed è soggetta ai ricatti del Carroccio. Il voto a noi è un aiuto alle idee in cui crediamo. Il voto è sacro, è una questione di coscienza. Me l’ha insegnato mio padre col suo esempio, con l’emozione che ci trasmetteva ogni volta che sentiva la responsabilità di dover deporre la sua scheda nell’urna. Ha detto che Pdl e Pd sono contenitori senza identità. Perché secondo lei i valori sono così importanti per governare? Senza valori e senza identità, manca la base stessa del governare e legiferare. È lo stesso principio per cui il voto ha senso se è un voto di coscienza, altrimenti è solo un mercato. Governare è possibile se si ha un’etica, delle convinzioni, un obiettivo, altrimenti si perde il senso. Non necessariamente si tratta di un’etica cristiana. Anche Bertinotti ha dei valori, che sono l’esatto opposto dei nostri. Ma sempre più dignitoso che la confusione e l’anarchia di chi vede nella politica solo uno strumento di spartizione del potere. Nei primi giorni di campagna elettorale, Berlusconi non riusciva neppure a definire con precisione il simbolo del suo nuovo partito: lo chiamava “marchio”, perché questo era il suo pensiero. E gli altri, quelli come Fini che sino a pochi giorni prima avevano bollato il nascente Pdl come “le comiche finali”, anche loro hanno rinunciato a valori e identità e si sono arruolati nelle comiche, all’ombra di un “marchio”.
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Perché secondo lei quindici anni di bipolarismo non hanno garantito alcuna modernizzazione del Paese, perché sia la destra che la sinistra hanno fallito nell’obiettivo di rilanciare l’Italia? È stato un finto bipolarismo, in realtà un bileaderismo nel quale ha prevalso la demonizzazione dell’avversario sull’interesse generale del Paese. L’esempio per me più significativo, perché è stata un’autentica delusione, è il voto dato da Forza Italia, An e la Lega, cioè tutta la Cdl tranne noi, contro il rifinanziamento delle missioni italiane di pace all’estero. Si è avuta l’illusione di una spallata al governo Prodi, che poi non c’è stata e non ci sarebbe stata anche senza il nostro voto a favore, e pur di provarci e mostrare i muscoli si è venuto meno a quello che considero un dovere politico e istituzionale di sostegno ai nostri militari, in linea con le decisioni prese quando al governo eravamo noi. Potrei fare esempi analoghi, anche più numerosi, a sinistra. Il governo Prodi ha rimesso in discussione tutto ciò che aveva fatto quello precedente, sospendendo la legge obiettivo, rimettendo mano alle pensioni, bloccando la riforma della scuola… È mancato l’amor patrio, il senso dello Stato, l’attenzione per i nostri giovani. Sembrerebbe che l’Udc possa andare bene al Sud e meno al Nord. Quale messaggio rivolge agli elettori settentrionali? Dico loro che il programma dell’Udc è il più liberale tra tutti i programmi. Nessuno come noi ha il coraggio di proporre misure come l’abolizione delle province. Per primi abbiamo sostenuto la necessità di tornare al nucleare, perché l’Italia è l’unico paese europeo a non produrre elettricità col nucleare, pur essendo soggetta agli stessi rischi della Francia per le centrali a ridosso dei nostri confini, e dipende per l’85 per cento del fabbisogno energetico da paesi instabili come la Libia, l’Algeria e la Russia. Solo noi abbiamo avuto il coraggio di dire che gli introiti dei Comuni attraverso le multe non devono più servire a fare cassa, ma essere investiti nella manutenzione e sicurezza delle strade. Noi abbiamo proposto la pax fiscale, niente modifiche alle regole per almeno due anni. Noi abbiamo non solo detto che i primari e i dirigenti delle Asl non deve più sceglierli la politica, ma abbiamo anche indicato il meccanismo da applicare per evitare che la sanità sia al servizio dei partiti e non dei cittadini. È un programma per il Sud questo, per il Nord? O per l’Italia? Perché va pur detto che non c’è crescita dell’Italia se non cresce tutta: Nord, Sud e Centro. Noi siamo contro la Banca del Sud proposta da Tremonti, mentre siamo per la stabilizzazione del 5 per mille delle imposte da destinare liberamente alle Onlus che ciascuno ritiene più valide, ben sapendo che al Nord si è sviluppato un volontariato del quale l’Italia deve andare fiera. Perché secondo lei Berlusconi alterna con l’Udc blandizie come le frasi sulle porte aperte e toni aggressivi come quelli dei discorsi fatti a Porta a porta? Perché ha paura. Voleva farci fuori, e invece dovrà fare i conti con noi.
Siamo storicamente alternativi alla sinistra e politicamente alternativi alla destra populista
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I simboli. Dalla Grecia a Ratzinger, il centro è il fondamento dell’Occidente
Il segreto della civiltà di Sergio Valzania Narra il mito che Zeus volesse sapere dove si trova il centro del mondo. Per scoprirlo liberò due aquile ai due estremi della terra, ordinando loro di volare il più velocemente possibile l’una verso l’altra. Le aquile si incontrarono nel cielo di Delfi e lì Apollo istituì il più prestigioso dei suoi oracoli. Come segnale di un luogo di tale rilievo, gli uomini posero l’Onfalon, un manufatto di pietra dalle fattezze primitive, che rappresenta l’ombelico del mondo. Il luogo sorgivo dell’esistenza, quello nel quale il rapporto con gli Dei è più prossimo. Per la mitologia il centro è posto in questo modo, con certezza millimetrica. Ben altri problemi si pose, qualche migliaio di anni dopo, Filippo II, monarca di un insieme di regni cattolici fino ad allora privi di capitale, ai quali aveva deciso di darne una. Scelse Madrid, collocata lontana da tutto ma posta al centro della Castiglia, che il sovrano riconosceva come entità principale dei suoi possedimenti. Fu una decisione sbagliata, che allontanò il più grande potere politico del Sedicesimo secolo dalle vicende del mondo, rendendolo isolato e alla fine impotente. Molti dicono che sarebbe stato meglio scegliere come capitale Lisbona, marginale rispetto al continete europeo, eppure affacciata su quell’oceano Atantico che era destinato a diventare, lui sì, il centro del mondo. Il centro del mondo che stava nascendo, per la conquista del quale ci si apprestava a combattere una guerra che sarebbe durata un secolo.
Quale può essere il centro per noi? Il ”salmo 122” inizia con il verso: «Esultai quando mi dissero: andiamo alla casa del Signore». Si riferisce a Gerusalemme, ma evoca una meta di pellegrinaggio, la ricerca di un incontro, la soluzione di ogni problema nell’incontro col trascendente. Forse il
nostro centro eccentrico, l’obiettivo lontano da raggiungere per ritrovarci, può esserre Santiago di Compostela. Che però diviene centro e non più margine continentale solo se ci sappiamo arrivare a piedi, come pellegrini, sofferenti e affaticati dopo qualche settimana di cammino. Del resto si sa che il centro del creato è Dio, che nel creato si è nascosto, perché noi possiamo cercarlo e trovarlo in libertà.
Il centro evoca in ogni caso il successo, il completamento, il conseguimento di un risultato cercato con decisione e ottenuto con sacrificio. Non è la negazione di estremi valoriali ai quali si è rinunciato per stanchezza, ma la capacità di riassumere, in una istanza superiore, le parti che, da sole, rimangono incompiute. Il centro è la pace, non un esito di rassegnazione e di condiscendenza, ma conquista consapevole. Quella pace che il Pontefice ci ricorda non poter essere raggiunta con il sacrificio di altri valori, primo fra tutti la giustizia, ma che al contrario diviene vero dono di Dio solo se è l’esito di un’attività svolta in positivo, con l’autenticità e consapevolezza piena del suo valore. La pace, così ottenuta, è allora segno di concordia e di progresso, strumento di un cammino comune e non paralisi di ogni attività. Perciò il mito del centro indicato dall’Onfalon si risolveva nel luogo della concordia delle Poleis della Grecia. In un equilibrio dinamico con l’altro luogo sacro della pace ellenica, Olimpia, dove a pochi metri dal grande tempio dedicato a Zeus, si trovavano ogni quattro anni i campioni di tutta quanta la Grecia. Festeggiavano nelle loro gare un confronto per effettuare il quale ogni conflitto doveva interrompersi. Perfino le capricciose divinità pagane, “false e bugiarde”, riconoscevano la necessità di ritrovarsi in pace, al centro.
centro!
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I miti. Poesia e letteratura identificano centro e orizzonte, stanzialità e avventura
L’albero della vita colloquio con Roberto Mussapi di Riccardo Paradisi
ROMA. Il centro è una dimensione simbolica prima di tutto. Come lo sono la destra e la sinistra. L’alto e il basso. I simboli presiedono la logica, il pensiero, le cose del mondo. Tutto si muove nel mondo dei simboli. Che restano solo segni per l’occhio che non sa accenderli di vita, che si ferma al loro apparire, che non mette in connessione le cose. Un poeta vede le cose in modo diverso: si muove come dentro una foresta di simboli, aiuta gli sguardi comuni a verticalizzare la prospettiva d’osservazione. Roberto Mussapi, poeta e saggista, ha pubblicato anni fa un saggio intitolato Il centro e l’orizzonte. Liberal gli ha chiesto di parlare del centro. Che cosa è il centro per un poeta e perché questo legame che lei indica tra il centro e l’orizzonte? Il centro e l’orizzonte è il mio primo saggio: uno studio che parte dall’analisi della realtà come di un cerchio il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo. Il centro appare dunque come un luogo fondamentale, stabile ma non immobile, anzi suscettibile di arricchimenti, di espansioni. La circonferenza in nessun luogo vuole dire infatti che l’apertura è assoluta. È un’idea metafisica di centro la sua. Il centro non è da intendersi in senso storicistico, come la vecchia capitale europea che irradia le proprie conoscenze nel resto della nazione, che manda le sue navi nel mondo. Ma come un cuore pulsante che mentre lancia assimila, che ispira ed espira. Ecco perché il centro ha un rapporto così stretto con l’orizzonte. In poesia questo legame è fondamentale perché la poesia non segue la logica aristotelica. Che non è una logica da disprezzare, visto che senza di lei gli aerei cadrebbero. Ma senza la logica poetica nessuno avrebbe inventato l’aereo. Non siamo nella notte dove tutte le vacche sono nere dunque. No. Siamo in un’altra logica. Di tipo alchemico. La stessa che ispira Dante, Eliot – la coincidenza del centro e del tempo presente – Yeats. Il centro non è l’indeterminato, un punto di mediazione per la mediazione, il concentrato mediano della mediocrità, qualcosa che non è né carne né pesce. E che cosa è dunque? Un luogo privilegiato di osservazione, l’unione della contrapposizione degli opposti. Un punto d’irradiazione. Nelle varie tradizioni camba l’organo individuato come sede del pen-
siero e dell’emozione. C’è chi individua questa sede nel cervello, chi nel fegato, chi nel cuore. Ma tutti questi organi sono posti al centro: della testa, dell’addome o del tronco. La forza del centro è l’espansione. Pensiamo a Roma, quando era il centro di un impero immenso. Ovidio, Orazio, Virgilio sono i suoi più grandi poeti: vengono dalla tutti dalla periferia ma il centro, Roma, li ha attratti per poi irradiare nel mondo il loro pensiero e la loro poesia. Nella sua riflessione lei connette il centro al cristianesimo. Il simbolo della croce racconta tutto. Al centro convergono l’asse orizzontale e quello verticale. L’asse verticale: l’albero della vita che attrae gli scalatori, gli asceti, coloro che voglio-
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Il centro non ha niente a che vedere col moderatismo, il benpensantismo. È sintesi, equilibrio, energia
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le sue radici dappertutto. Questa idea di centro ha poco a che fare anche con il moderatismo. Di solito si usa il termine centro come sinonimo di equidistanza. Ma come lo intendo io centro è piuttosto equilibrio, sintesi, profondità. Niente a che vedere con benpensantismo, avidità, non è sinonimo di ritrosia di paura. Chi è al centro non rinuncia all’impresa ma accetta l’impresa più difficile. Il che implica un certo coraggio. La mentalità occidentale tende a essere ideologica, a semplificare. Ignora l’energia che si concentra nel punto di convergenza e di sintesi degli opposti. Nel suo ultimo libro La stoffa dell’ombra e delle cose (ed. Mondadori). Lei racconta il palcoscenico elisabettiano come centro della rappresentazione poetica, centro degli avvenimenti che paiono immaginari ma adombrano la realtà. C’è chi ha paragonato la politica a un teatro, quella italiana a un teatrino. Come vede il teatro della politica di oggi? Mi fa un effetto molto triste. È un panorama senza punte. Trent’anni fa c’erano ben altre personalità. Ho 55 anni non coltivo nostalgie e allora, trent’anni fa, ritenevo che quella classe politica fosse da buttare. Non immaginavo che il panorama potesse diventare ancora peggiore. Mi sembra che in questa politica non ci siano emozioni.
COLOMBO E MARCO POLO: IL CENTRO COME ESPLORAZIONE
ULISSE: IL CENTRO COME ETERNO RITORNO AI VALORI
no trascendere questo mondo. L’asse orizzontale è quello che si espande, l’orizzonte che scrutano e decidono di esplorare i grandi navigatori: Marco Polo, Cristoforo Colombo, Il calcio. Da Boniperti a Rivera e Bulgarelli fino a Baggio, Del Piero e Kakà straordinari rappresentanti della civiltà cristiana. Il centro della croce è il punto che riunisce la pulsione di Colombo e quella dell’asceta. Il centro non ti induce a di Italo Cucci restare a casa tua, è esplorazione, esaltare le figure “operaie” del gioco (rudi è la certezza che ti spinge fuori. terzinacci e coriacei implacabili stopper) Ma che ti anche ritornare, È nato negli anni Cinquanta dalla Brera fu portato all’invenzione del “cencome Odisseo a Itaca. scrupolosa fantasia di Giovanni Brera; altrocampista” come se rispondesse a un l’inizio si chiamava centroL’impulso a cosegno dei tempi democristiani, noscere erompe campista, col trattino, poi fu esaltazione del centro affidata non a bain chi ha un’iun’unica parola e, guarda un nali pedatori, ma a possessori di cervello, dentità, in chi po’, la rivoluzione del calcio: a costruttori di gioco, a strateghi e tattici sa dove tornare contributo all’evoluzione del di qualità, come quelli che i diccì chiamauna volta che è modulo “all’italiana”e, più tardi, vano “cavalli di razza”. Uno dei più forti e suggerimento alla perfezione partito. Chi si scaltri di quei tempi, Giampiero Boniperregge su un del calcio “totale” introdotto da ti, asso della Grande Juventus, negli anni principio, su dei Stephan Kovacs in Olanda. Eraè passato dalla gestione del pallone a valori, si apre no tempi, quelli, dati alla ricerquella del club, fino a darsi con successo ca, alla elaborazione dei conalla politica: restando al centro, naturalsenza perdersi. cetti base del gioco più popomente, con sfumate propensioni al cenDesidera il ritrodestra. In un seminario dedicato al “lintorno ma senza lare del mondo. Oggi, tempi guaggio della politica e la metafora la nostalgia duri, si sono inventati solo il desportiva” (Università di Teramo, facoltà di straziante delplorevole “bordocampista”, il Scienze Politiche) nella primavera del ’94, l’esule che si giornalista che col microfono in alla vigilia delle elezioni, mi servii del sente espulso mano fa questua di voci dal sen “centrocampista” per annunciare la dal suo centro. fuggite. Nonostante fosse il prorivoluzione che di lì a pochi giorni si Il centro è ovunfeta del “nazionalcomunismo” e sarebbe verificata con l’ingresso in politique abbiamo avesse già provveduto – inca dell’appassionato Berlusconi Silvio, detto, è un albesieme a Nereo Rocco – a ro che affonda
Elogio dei «centristi»: sono sempre
centro!
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La vita e il potere. L’unica scelta positiva è rifiutare il relativismo
Accomodamento? No, innovazione colloquio con Roberto Mussapi di Riccardo Paradisi
DANTE E ELIOT: IL CENTRO COME UNIONE DEGLI OPPOSTI
ROMA. Senza il centro siamo «pulviscolo», e ci neghiamo la vera conoscenza. Brancoliamo al buio, perdiamo «il senso del rapporto con l’altro, senza il quale non siamo nemmeno una persona». Molta parte dell’umanità è oggi in queste condizioni, avverte il filosofo Giovanni Reale, eppure non c’è nessun buon motivo per rinunciare al centro, anche nelle relazioni ”politiche”: «Perché il centro può essere compromesso, può determinare, è vero, un accordo in un consiglio accademico, in cui ognuno guarda al proprio interesse, ma può consentire anche una cosa straordinaria: cambiare il modo di pensare». Dal centro si può arrivare dunque a forme di grande innovazione, non si è per forza costretti all’accomodamento paralizzante. Il centro innovativo c’è ed è quello che i primi cristiani chiamavano metanoèin, cambiare modo di pensare appunto. La metafora viene da Platone, dal mito della caverna: tutti sono incatenati al fondo e devono voltarsi per trovare la verità. I cristiani trovarono la metafora stupenda per esprimere l’idea della conversione, che significa appunto rivolgersi a un’idea centrale, a Dio, come spiega Nietzsche, nel senso che Dio riassume in sè un sistema di ideali. Ma se manca questo centro ci perdiamo tutto per
è «l’uomo del centro» l’atleta decisivo per costrurie il risultato
i numeri 10 a decidere la partita tanto attento alla metafora suddetta da costruire un partito di netta impronta calcistica. Cito ancora Brera per dare un’ulteriore idea di quanto siano sovrapponibili l’immagine calcistica e quella politica: «I centrocampisti sono coloro che fanno il gioco, impedendolo agli avversari; avanzano a concludere solo quando l’azione diretta della punta incontra difficoltà; sono fra i più autorevoli della squadra: a loro, che ne fanno tanti, non si osa mai negare un passaggio». Il mio idolo, nei Sessanta, era Giacomo Bulgarelli, la bandiera del Bologna che recitava alla grande la parte di protettore della difesa e, quando necessario, di propulsore degli attaccanti, fino a farsi direttamente risolutore. La sua maglia portava il numero 8,
quello dei faticatori di classe; il 10 – numero dell’Idolo – toccava ai Pelé, ai Rivera, poi ai Baggio, ai del Piero, ai Totti, che hanno la fissazione d’esser attaccanti ma possono arretrare a trequartisti e, in caso di necessità, fino al centrocampo dove sanno essere suggeritori, registi, primattori totali. Così dal centrocampo-pensatoio sui campi verdi come dalla scena politica sono nati i centristi audaci, ora versati a destra, ora a sinistra; ora al centro centro: il migliore di questi ultimi è Kakà. Ripensatelo, Kakà, mentre fugge dalla propria area palla al piede e taglia il campo centralmente, a testa alta, saltando in dribbling avversari come birilli, fino a portarsi all’assist decisivo o al tiro-gol personale. Quanta strada ha fatto, l’Uomo del Centro.
strada, tutti i messaggi che ci arrivano sono come farfalle che non si posano mai su di noi, e questo davvero impedisce la conoscenza. Figuriamoci l’innovazione. E figuriamoci quanto è penoso sopravvivere senza un centro in una società che ti bombarda di messaggi. Ascoltare, mediare è invece utile a non essere travolti dalla comunicazione. Il centro è assolutamente indispensabile. Posso portare una prova certa. Una
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Si può cambiare modo di pensare solo se si crede in qualcosa: senza riferimenti, si tratti o no di Dio, si finisce per chiudersi agli altri
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decina d’anni fa il ministro della Pubblica istruzione Berlinguer mi telefonò e mi disse che anche se la pensava in modo diverso da me, lui è ateo mentre io sono credente, avrebbe avuto piacere se gli avessi dato una mano per la riforma. Entrambi amiamo la scuola e io con lui mi sono trovato benissimo, ma con i suoi collaboratori è stato un disastro. Non riuscivate a intendervi. Le spiego perché: erano per la maggior parte psicologi, sociologi, e partivano da un concetto esattamente contrario a quello del centro. Secondo il loro schema ci doveva essere la lingua straniera, con qualche materia insegnata in inglese, e bisognava dare ai ragazzi gli strumenti multimediali più aggiornati e raffinati. Aprire le porte della comunicazione, innanzitutto. Certo, solo che io posi la domanda: e che cosa vogliamo comunicare ai giovani? Mi risposero che i contenuti non c’entrano niente con la
scuola, e i valori, figurarsi, non sono dimostrabili, possono andare bene ad alcuni e non ad altri. Feci notare che in ogni branca dello spirito umano ci sono filoni d’oro, i classici, che consentono l’acquisizione di un’identità. Se manca questa, se non c’è un centro tutto si disperde. Ecco perché il più delle volte capita di spiegare agli studenti cose importantissime, sembra che abbiano anche capito, e il giorno dopo hanno dimenticato tutto. Si impone ormai il relativismo, secondo il quale tutte le idee hanno diritto di convivere ma nessuna ha valore. Possiamo citare Albert Camus. Camus, un ateo. Diceva di esserlo ma non era così. Diceva che la vita di Napoleone è uguale a quella del postino, dello scaricabarile e spiega perché: perché le loro vite valgono tutte zero, è zero è sempre uguale a zero. Non rimane nulla, se stringiamo la realtà nella morsa del relativismo. E se manca il centro, se non c’è un’identità spirituale in chi ascolta. L’identità spirituale è assente se non si crede in qualche valore. È chiaro che al vertice dei valori c’è Dio, ma si può anche non credere nel Dio cristiano e rivolgersi a un altro sistema: questo si è cancellato. L’alternativa oggi è comprimere la complessità del reale in un messaggio semplificato, in uno slogan. Dubito che si possa fare, che si possano mettere insieme idee che sono a loro volta degli slogan, delle farfalle appunto. Si prova a fare la sintesi magari in modo strumentale ma non è quella vera, perché bisognerebbe prima conoscere la radice delle idee. Quando con Dario Antiseri abbiamo scritto il manuale di Storia della filosofia non solo abbiamo ricordato cosa diceva ciascun pensatore ma anche perché lo diceva. Come siamo arrivati a questa chiusura della conoscenza? A volte cerco di spiegarlo ai ragazzi, dico loro che molto deriva dal ’68, dai laureati e dai professori del ’68, da chi sosteneva che all’università non era neanche necessario usare il libro. E invece in un corso universitario un libro dà un centro. I giovani non capiscono neanche un avviso nella bacheca della facoltà, guardano il generale ma non riescono a soffermarsi sul particolare. Se siamo senza centro nulla riesce a posarsi su di noi.
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politica Tutti pazzi per Totti
L’ultimo giorno di campagna elettorale stretto in un surreale dibattito sul capitano giallorosso
d i a r i o
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g i o r n o
Fini: i delinquenti non votano per noi «Ho letto con sorpresa che nelle carceri si invita a votare espressamente per chi chiede l’abolizione dell’ergastolo, ovvero per la Sinistra Arcobaleno». Lo ha detto il leader di An, Gianfranco Fini, nel corso di una videochat sul sito del partito. «I delinquenti - ha aggiunto Fini - non votano certo per il Pdl. Un delinquente che vota per il Pdl o non sa che c’è An o ha qualche problema».
Storace attacca il Pdl «C’è grande partecipazione, superiore a quella di ieri al Colosseo». Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra, prima dell’inizio del comizio conclusivo in piazza della Rotonda a Roma, marca il paragone con l’affluenza alla kermesse di ieri del Pdl. «Le molte persone - ha detto ieri - dimostrano che la destra è viva. Nonostante l’inclemenza del tempo, sono tante le fiamme che gli elettori ci faranno trovare sulle schede. La grande e appassionata campagna che ha fatto Daniela Santanché ci rende orgogliosi».
Voto all’estero/1: elezioni già finite L’affluenza degli italiani residenti all’estero per le elezioni politiche è stata del 41,66%, in lieve calo rispetto al 2006 quando fu del 42,07%. Lo ha reso noto il viceministro degli Esteri, Franco Danieli, nel corso di una conferenza stampa.
di Susanna Turco
ROMA. È andata come poteva, cioè così così. Una delle conquiste più significative di una campagna elettorale che i più non vedono l’ora di mettersi alle spalle è infatti questa: siamo passati dal “Più tasse per Totti” a “Totti dicono I love you”. Era il 2001 quando Silvio Berlusconi impostò la sua campagna elettorale coi manifesti 6X3 corredati dalla sua faccia e un semplice messaggio («Meno tasse per tutti»), scatenando gli irriducibili del taroccaggio. «Più tasse per Totti», era appunto una delle contraffazioni di maggior successo. Passati sette anni, siamo ancora su Totti. Stavolta però il capitano della Roma è stato preso in mezzo alle polemiche dell’ultimo giorno, quelle più urlate e inutili, per intendersi. E così siamo passati dalle offese alla santificazione, nel giro di un giorno. Bufera, come si dice: a tenere banco, il dibattito su Francesco Totti.
Comincia Silvio Berlusconi, giovedì al Colosseo. Criticando il manifesto col quale il capitano della Roma sostiene Francesco Rutelli, il Cavaliere commenta che «quando uno non ci sta con la testa, non ci sta». «Si fa strumentalizzare dalla sinistra», conferma e corregge il tiro ieri ai microfoni di Radio Radio. Spiegando che se chiedesse «ai giocatori del Milan» di fare campagna elettorale per il Pdl «sarebbero tanti quelli che lo farebbero visto il rapporto di fratellanza che io ho con loro. Molti sarebbero pronti a scendere in campo, tanti mi hanno chiesto di partecipare ai comizi. Io
ho vietato loro di farlo». Perché, spiega, «i campioni dello sport» hanno il dovere di conquistare «la stima e la simpatia di tutti» e quindi non devono dividere. Colpevole è dunque anzitutto la sinistra, che «strumentalizza» i personaggi famosi perché «si vergogna di apparire per quello che è». A Totti, invece, il leader azzurro manda «un bacio e un in bocca al lupo per la ricorsa sull’Inter»: «È un bravissimo ragazzo e un grande campione» e «gli voglio bene».
Nel frattempo, la politica tutta si solleva in difesa del capitano giallorosso, che peraltro è accolto con un boato al comizio di chiusura del Pd in piazza del Popolo. Per Veltroni «c’è qualcosa di inquie-
Dopo aver detto che è «fuori di testa», Berlusconi si corregge: «Si fa strumentalizzare dalla sinistra, ma gli voglio bene. E Ilary lavora a Mediaset» tante» negli insulti pronunciati dal Cavaliere agli elettori di centrosinistra e a Francesco Totti per il suo sostegno a Rutelli. «La destra italiana vive di odio, di antagonismo, di attacco personale» dice l’ex sindaco della Capitale a Rainews 24 e a Radio anch’io. «Dire di un uomo con tre ergastoli che è un eroe... Adesso se la
Voto all’estero/2: si indaga su brogli prende anche con Totti, e vuol far fare anche a lui dei test mentali. Mi domando dove voglia portare questo nostro Paese», dice.
Ma solidarietà a Totti arriva persino dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti («i calciatori vanno misurati su come colpiscono di testa il pallone») e dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che si spende per esprimere la sua solidarietà a «un grande calciatore e un uomo impegnato nella solidarietà, con un grande impegno personale, che è un cittadino libero di esprimere le sue opinioni politiche in un Paese democratico». Anche Giulio Andreotti boccia la sortita di Berlusconi: «È andato fuori gioco: perché commenta quello che ha detto o fatto Totti? La mia vecchia regola è questa: ognuno dovrebbe farsi i fatti propri». E mentre Gianni Alemanno sottolinea che, secondo lui, tifare per una parte è sbagliato «perché è un calciatore e rappresenta un’icona per Roma», Gianfranco Fini fa giustamente notare che «semmai l’imbarazzo dovrebbe essere di Rutelli, che è notoriamente tifoso della Lazio». Ma l’ex sindaco di Roma, come il suo successore, non si cura troppo di queste incoerenze. E dal palco di piazza del Popolo, accompagnato da un boato della folla» ringrazia «Totti e Ingrao». «Ha dimostrato di essere un grande campione nella vita e non solo nello sport», dice del calciatore. E Ingrao? «Un grazie per il sostegno». E questo è un altro segno dei tempi che corrono.
La Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha aperto un’inchiesta in merito alla possibilità di brogli elettorali sul voto degli italiani all’estero, in vista delle elezioni di domenica e lunedì prossimi. La notizia, riportata da alcuni quotidiani, ha trovato conferma ieri. Nessun particolare viene però fornito in ambienti giudiziari. Secondo quanto trapelato, l’inchiesta è stata avviata in seguito all’intercettazione dei colloqui di alcuni personaggi legati al clan mafioso dei Piromalli di Gioia Tauro. Il meccanismo ipotizzato per la manipolazione del voto prevederebbe la possibilità di votare alcune schede bianche inviate dai seggi esteri ed in particolare dall’America Latina. Dell’avvio dell’inchiesta, sulla quale a palazzo di giustizia si manifesta il massimo riserbo, è stato informato il Viminale.
Veltroni: se perdo, non scapperò «Se perdo continuerò a fare quello che faccio, cioè il segretario del Pd. Anche perchè - ha spiegato ieri Walter Veltroni - in quattro mesi abbiamo creato la più grande forza riformista nel Paese». Detto questo, il leader del Pd afferma di non sapere «come il Pdl farà a governare e, comunque, anche in caso di sconfitta, noi faremo un’opposizione molto concentrata sul nostro programma».
I giornali cattolici invitano al voto «Andare alle urne. Meglio votare con riserva che non votare. L’astensione è un grave sbaglio». È l’invito che accomuna molti editoriali delle 168 testate Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), dei quali fa una rassegna il Sir. Tutti gli editoriali sono firmati dai direttori.
Amato garantisce trasparenza Giuliano Amato lo garantisce: «il Viminale è come una casa di vetro, dove si lavora sulla base dei principi della legalità». Il ministro dell’Interno, in una conferenza stampa dedicata alle elezioni, ribadisce la necessità di tenere fuori il Viminale dalle polemiche elettorali e proprio per dimostrare che «al Viminale non ci sono cassetti all’interno dei quali si possono manovrare leve in grado di modificare il risultato elettorale», ha invitato gli ex ministri dell’Interno che lo hanno preceduto a stare con lui la notte dello scrutinio.
diritti umani i può separare lo sport dalla politica? Ed è giusto farlo nel caso delle Olimpiadi di Pechino? Si discute molto sui media di questo dilemma. Molti sportivi (e non solo) sostengono che le attività agonistiche non hanno colore politico e che anzi vanno vaccinate ancora di più dai contagi politici perché, come nell’antica Grecia, gli atleti esprimono solo valori che si chiamano pace, fratellanza, solidarietà. Tutto questo è assolutamente condivisibile sul piano teorico, ma la lunga storia delle Olimpiadi (antiche e moderne) contraddice quasi sempre questo principio. Intanto bisogna ricordare che la torcia portata dalle staffette di atleti a piedi per diverse nazioni fu inventata dai nazisti in occasione delle Olimpiadi del 1936 a Berlino. Il Terzo Reich, come è noto, voleva celebrare in grande stile l’evento sportivo utilizzando questa opportunità per pubblicizzare i fasti del regime. La retorica della fiaccola olimpica quindi va fortemente ridimensionata. Sono rarissime le edizioni dei Giochi che non abbiano avuto contestazioni, boicottaggi e subito anche attacchi sanguinosi (come è accaduto a Monaco nel 1972, con 11 atleti israeliani assassinati dai terroristi palestinesi di “Settembre nero”). Ripercorrendo le grandi tappe del lungo percorso olimpico ricordiamo le tensioni nel ’36, quando molti atleti ebrei si rifiutarono di andare a Berlino. Anche gli Usa tentennarono sino alla vigilia dell’apertura. La loro partecipazione venne però premiata con la vittoria di un atleta nero, Jesse Owens, che rappresentò uno smacco per Hitler. Dopo la seconda guerra mondiale non mancarono boicottaggi e ostruzionismi: ad Helsinki, nel 1952, gli atleti sovietici alloggiavano al di là del confine e si recavano nella capitale finlandese solo per gareggiare; a Melbourne nel 1956 Egitto, Iraq e Libano non parteciparono alle gare per protesta contro l’invasione del canale di Suez da parte di Francia e Gran Bretagna,mentre Olanda, Spagna e Svizzera abbandonarono i Giochi per dissentire dall’invasione sovietica dell’Ungheria. Nel 1964 il Sud Africa venne punito con l’esclusione per la sua politica di discriminazione razziale. Nel 1968 in Messico si registrò un eccidio di circa 200 studenti nel corso di una manifestazione; in quella edizione due atleti neri alzarono dal podio il pugno dei Black Power. Poi c’è stata la sanguinosa Olimpiade di Monaco del 1972. Nel 1976 a Montreal 26 paesi africani boicottarono le gare perché la Nuova Zelanda aveva giocato contro il Sud Africa. Seguirono ostruzionismi e tensioni ancora più estesi e clamorosi, come quello del 1980 a Mosca, quando 62 paesi. Usa in testa, disertarono le Olimpiadi in segno di protesta contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. I sovietici replicarono nel 1984 non recandosi a Los Angeles, con tutti gli altri paesi comunisti. Insom-
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L’evento più importante del mondo non può essere solo sport
Olimpiadi, una storia tormentata
di Aldo Forbice ma, alla fine le Olimpiadi “tranquille”sono state rarissime (sicuramente quelle di Roma del 1960 e quelle di Barcellona del 1992).
Chi dunque oggi si lascia andare a teorizzare valori esclusivamente sportivi, anche con riferimenti all’antica Grecia (dove le violazioni alle tregue olimpiche erano piuttosto frequenti), sbaglia perché non tiene conto della storia di questi importanti appuntamenti universali. In fondo le Olimpiadi sono una “vetrina”, un’opportunità che paesi, gruppi di opposizione dei regimi totalitari e illiberali cercano di utilizzare per conquistare una maggiore visibilità sui media (giornali,tv,radio,Internet ,ecc.). E’ per questa ragione che la Cina si propone di controllare i giornalisti (anche quelli stranieri), cercando di esercitare pressioni, censure, ma anche condanne severissime per chi scrive sulla rete Internet. Per citare solo
un caso clamoroso, ricordiamo Hu Jia, un giovane attivista dei diritti umani, condannato a cinque anni e mezzo di carcere solo perché aveva pubblicato su Internet un articolo dal titolo “La vera Cina e le Olimpiadi”, in cui denunciava la forte carenza dei diritti umani in un paese che aveva compiuto passi da gi-
ri con i telefoni tagliati e i computer disattivati. Ora però le contestazioni alla fiamma olimpica (Olimpia, Istambul, Londra, Parigi, San Francisco, Buenos Aires) già realizzate e quelle che si vanno prospettando nelle altre città in programma (compresa Lhasa, la capitale del Tibet) fanno immaginare un cambiamento di atteggiamento delle autorità cinesi. Finalmente una serie di capi di Stato hanno annunciato che potrebbero non essere presenti alla cerimonia di apertura dell’8 agosto (Sarkozy, Gordon Brown, il presidente polacco, il presidente ceko, ecc.), a cui si è aggiunto il segretario generale dell’Onu.
Il fronte del “no” comincia dunque ad allargarsi per effetto di manifestazioni, iniziative della società civile, di associazioni, club, giornali, radio e gruppi di singoli cittadini. Certo un posto particolare è occupato da Zapping che, sostenendo Amnesty Internazional nella campagna “Olimpiadi di Pechino e diritti umani”, ha già raccolto più di 20 mila adesioni. Un osservatorio quotidiano questo di grande importanza perché ogni sera gli ascoltatori esprimono solidarietà ai tibetani, denunciano le violazioni dei diritti umani in Cina e presentano proposte, anche fantasiose, su come boicottare i giochi olimpici. Crediamo, infatti, che stia maturando sempre più la necessità di non rivendicare la semplice diserzione della cerimonia inaugurale. Che pochi o molti capi di Stato decidano di non essere presenti l’8 agosto sarà certamente un segnale importante ma non così significativo per il vertice cinese. Più importante ci sembra l’appello di Hans Gert Pottering, presidente del parlamento europeo.”Chiediamo ai governi dei paesi dell’Ue - ha detto quindi al Consiglio dei ministri, di concordare una politica comune per la cerimonia di apertura dei giochi olimpici dell’8 agosto”. Non è molto, ma ci sembra una posizione più chiara, rispetto a tante reticenze, contorsioni e imbarazzi di Stati e organizzazioni politiche e sportive, a cominciare dallo stesso Cio. Molte cose però potrebbero ancora accadere. La torcia nella sua forsennata corsa verso Pechino, non può essere del tutto consapevole dei gravi rischi politici che potrà incontrare. E non potranno certo essere sufficienti i poliziotti mascherati con tute azzurre a proteggere la fiamma olimpica dalle mille mani che cercano di strapparla ai tedofori e spegnerla. Forse dovremo rassegnarci a considerare questo simbolo con i colori della politica, gridando senza reticenze ed ambiguità, che la Grande Cina si degni di dare un segnale credibile accogliendo almeno l’invito del paziente Dalai Lama per iniziare una trattativa al fine di fermare il genocidio culturale che non ha mai avuto pause in Tibet.
La retorica della fiaccola olimpica va fortemente ridimensionata. Sono rarissime le edizioni dei Giochi che non abbiano avuto contestazioni, boicottaggi e subito anche attacchi sanguinosi gante sul terreno dello sviluppo economico. Per questa “grave colpa” Hu Jia dovrà scontare un quinquennio nelle disumane carceri cinesi e poi probabilmente finirà in un laogai, mentre sua moglie, con la figlia di due mesi, continuerà a rimanere agli arresti domicilia-
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L’ITALIA AL VOTO
La comunicazione politica sotto esame
lessico e nuvole
Fischio finale: tutti nel pallone
Il comunista e il venditore di tappeti di Giancristiano Desiderio
di Arcangelo Pezza Ma sì, parliamo d’altro. Magari di calcio. Perché in conclusione, tutte le ossessioni degli italiani s’esaltano allo stadio. Sono i calciatori i nuovi idoli. A loro concediamo onori e riserviamo le migliori vergini italiche. In una sorta di paradossale eugenetica, ma all’incontrario, prepariamo nei laboratori dei Controcampo la super razza: da padre calciatore e moglie velina, nascerà una schiatta di nuovi eroi dai nerboruti polpacci e occhi languidi e bocche gonfiate. Celebreranno l’avvento i futuri commentatori di un domani che è già oggi. I supereroi metà centravanti e metà ballerina di lap dance, saranno adorati come i figli delle stelle, domineranno il mondo con lo stesso sprezzo con cui già oggi guadagnano milioni di euro solcando il prato erboso, con la stessa spocchia. Non è dunque un caso che anche questa modesta campagna elettorale finisca nel pallone. Con una classe politica di panem et circensis indaffarata a discutere se Totti ha fatto bene ad appoggiare Rutelli, o se per questo deve essere stigmatizzato. Se il capitano della Roma deve essere di tutti, un po’ come il sindaco, oppure può essere di un colore, magari rosso più che giallo. Se è giusto che un calciatore appoggi espressamente un politico, come dimostrano i manifesti di Totti per Rutelli, oppure se è meglio che si asten-
ga, limitandosi al cucchiaio e lasciando perdere l’urna. Nessuno che si è chiesto invece perché un politico ha bisogno di farsi appoggiare da un fantasista, perché nella ritualizzazione della guerra che è il calcio il pubblico creda più autorevole un terzino che un assessore, tenga in camera il poster di Ronaldinho e non di Berlusconi (supponiamo anche Berlusconi tra i due preferisca il primo), s’interessi alle vicende di una qualsiasi cartilagine di Kakà e snobbi i rappresentanti dei proprio municipi. Certo - diranno molti - è sempre successo. Anche nell’antica Grecia i discoboli erano tenuti in grande considerazione. Forse. Sta di fatto che Omero cantava gli strateghi e non i pallacestisti. Oggi Berlusconi e Rutelli per essere ricordati devono sperare in Maurizio Mosca e Sandro Piccinini.Totti e Ronaldinho permettendo.
Ciriaco De Mita nel suo finale comizio al teatro Partendo di Avellino (casa sua, in pratica) ha pronunciato questa frase che merita di essere riportata a conclusione della campagna elettorale più brutta che la storia d’Italia ricordi: “Berlusconi e Veltroni hanno cominciato accreditandosi l’un l’altro come grandi statisti, e ora sono tornati a darsi del comunista e del venditore di tappeti. Non era dialogo, erano convenevoli: preparativi dell’imbroglio. Veltroni oggi pare ubriaco. Il 14 aprile il risveglio dall’ubriacatura sarà brusco”. Il punto è: se il Walter perde, il Silvio vince? E se vince governa? Lo stesso Silvio al comizio al Colosseo, dopo essersi reso conto di non aver duettato con la piazza come suo solito, dice: “Madonna, sono vecchio, forse è vero che mi sto rincoglionendo”. Autoironia? Autoironia, che è sempre indice di intelligenza, ma quando ripete con Vespa la gag che fece già a suo tempo con Maurizio Costanzo, “annusi, odoro di santità”, i dubbi sul rincoglionimento sono legittimi. Ma anche il Walter non è da meno con quel suo “il principale esponente dello schieramento avversario” e con quella sua concezione della democrazia dell’alternanza in versione “vogliamoci bene, non facciamo i cattivi, stiamo insieme che è tanto bello”. Eh, sì, il risveglio dall’ubriacatura sarà brusco.
La campagna elettorale su Internet/ Sondaggi vietati, previsioni sul Senato e bookmaker inglesi
La lotteria online di Palazzo Madama di Andrea Mancia Una delle novità più interessanti che ha scosso questa soporifera (anche su Internet) campagna elettorale italiana sono senza dubbio i tentativi, compiuti da alcuni siti Internet, di analizzare l’andamento dei sondaggi elettorali e prevedere l’esito dell’incertissima (per colpa di uno strampalato sistema elettorale) corsa per Palazzo Madama. A parte le sortite di chi scrive, disponibili agli indirizzi www.rightnation.it e politiche2008.tocqueville.it, il punto di partenza obbligato per chiunque voglia addentrarsi tra i meandri del “Porcellum” è il sito “Noise From Amerika” (www.noisefromamerika.org), gestito da un «gruppo di italiani che vivono e lavorano negli Stati Uniti d’America» e che hanno «un Ph.D. in economia
preso negli Usa» e svolgono «attività di ricerca nello stesso campo e in istituzioni Usa». Già a febbraio, per Nfa, Sandro Brusco aveva scritto un illumi-
nante articolo titolato «Il Porcellum spiegato alle masse», in cui venivano analizzati - regione per regione - i possibili scenari elettorali e il loro impatto sulla composizione del prossimo Senato. Brusco ha anche
elaborato un foglio di calcolo per misurare l’effetto dei sondaggi nazionali sulle soglie di sbarramento regionali, permettendo a chiunque di “giocare” con i numeri per vedere il possibile risultato nelle diverse realtà locali. Un lavoro straordinario, che è subito stato raccolto ed utilizzato con profitto in vari angoli della blogosfera. Per la cronaca, la “previsione” di Nfa per il Senato assegna al PdL un numero di senatori che oscilla tra i 158 e i 168, con il Pd molto distante (126-141). Anche due blog in lingua inglese si sono esercitati in elaborazioni statistiche relative alla ripartizione dei seggi al Senato.
Per “Gravitas Free Zone”(gravitasfreezone.wordpress.com), la distanza tra PdL e Pd sarebbe più ridotta (159-141), ma la scoperta più interessante è la dimostrazione matematica di come, se il vantaggio della coalizione vincente resta inferiore al 10 per cento, la distribuzione dei seggi al Senato non dipende dalle performance dei due partiti maggiori ma soprattutto da quanti voti prendono Sinistra Arcobaleno e Udc. E questo è un dato di fatto che i lettori di Liberal conoscono già da tempo. Interessanti sono anche le analisi statistiche del blogger inglese Chris Hannety (chrishanretty.co.uk/blog/), che da quando la par condicio ha fatto precipitare i sondaggi nel precipizio del black-out si dedica alle
quote dei bookmaker (sempre inglesi) che scommettono sull’esito delle elezioni italiane. Per la cronaca, le probabilità di vittoria di Berlusconi sono quotate intorno al 75 per cento, mentre Veltroni si deve accontentare del 20 per cento. Per il rimanente 5 per cento è meglio affidarsi alla teoria del caos. Un altro sito che si è dilettato a lungo con sondaggi e previsioni sul Senato è “Politiche08” (www.politiche08.org) che ripete da settimane come il risultato più probabile sia un pareggio (tra i senatori del PdL e quelli di tutte le opposizioni). Ma ormai, anche tra i polljunkies della Rete, è chiaro a tutti che quella di Palazzo Madama sarà una lotteria. Anche per questo, qualcuno ha preferito darsi all’ippica.
L’ITALIA AL VOTO el pieno delle grandi turbolenze internazionali, occuparsi di ricchezza finanziaria è come parlare di corda in casa di impiccato. In troppi si sono bruciati le dita. Intanto quelli che si sono gettati nel trading domestico: un computer a disposizione e tanta buona volontà nel voler capire la Borsa e i suoi misteriosi arcani. Oppure coloro che si erano affidati alla presunta professionalità delle banche e dei promotori finanziari. Tutti speravano di avere un consulente personale a disposizione. Avevano, invece, davanti soltanto un travet che faceva gli interessi del proprio datore di lavoro. Che scaricava su di loro i costi delle operazioni più rischiose. Lo hanno dimostrato, non soltanto, i casi della Cirio e della Parmalat, ma la storia finanziaria più recente con il suo corredo di scalate e fallimenti, come dimostra quanto avvenuto, in termini di ricchezza bruciata, per Bnl o per Antonveneta. Ignorare il problema, tuttavia, sarebbe un errore. Almeno per due buoni motivi. Le crisi finanziarie sono come le stagioni. Alla lunga il brutto tempo, comunque necessario per la rigenerazione della Terra, finisce e arriva la primavera. La seconda ragione è tutta italiana. In un Paese disastrato come il nostro, c’è anche qualcosa di buono. Ed esso è dato proprio dalla ricchezza finanziaria accumulata dalla famiglie. In proporzione al reddito disponibile quella del Belpaese è la più alta delle nazioni del G7: circa 8 volte il reddito nazionale. Una risorsa immensa che, se fosse adeguatamente valorizzata, potrebbe dare un contributo determinante allo sviluppo del Paese.
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Com’è stato possibile? A monte di tutto sono soprattutto fatti di costume. Le generazioni più anziane hanno avuto una vita travagliata. Hanno lavorato sodo per ricostruire il Paese dalle macerie della guerra. Una volta conquistato un relativo benessere, agli inizi degli anni Settanta, hanno iniziato a subire il taglieggiamento di un’inflazione galoppante. Sconfitto il fenomeno, grazie alle manovre sul cambio e alla deindicizzazione dei salari – il raffreddamento della scala mobile voluto da Craxi – è iniziato il tormentone sulla crescita del debito pubblico. Si è dovuto fare i conti con un nuovo elemento di inquietitudine che ha spinto le famiglie a risparmiare, nel timore di quello che avrebbe portato il domani. Da lungo tempo le formiche italiane accumulano: dapprima comprando Bot e Ccct, quindi investendo nel mattone: solo bene rifugio della povera gente. Granello dopo granello, questo patrimonio è progressivamente cresciuto. Oggi il 70-80 per cento della popolazione possiede una casa in proprietà. In Germania, paese più ricco e solido, questa percentuale non arriva al 30. La casa non soltanto come tetto sotto cui vivere, ma come assicurazione personalissima contro le incertezze della vita, vista l’inaffidabilità della pubblica amministrazione e la precarietà implicita nelle altre forme di investimento. Una costanza che, ancora oggi, traspare nelle statistiche ufficiali. L’indebitamento medio delle famiglie italiane sfiora il 50 per cento. Contro il 100 per cento de-
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Le verità scomode/5 Lo stock di beni accumulati è superiore 8 volte al Pil
Nel Paese dove la rendita è uno status sociale di Gianfranco Polillo
l’80 per cento degli italiani è proprietario della sua casa. Il livello di risparmio, nonostante le truffe finanziarie, è alto. Anche perché non conviene investire diversamente gli altri Paesi, Stati Uniti in testa. Il 45 per cento è frutto dell’accensione di mutui per l’acquisto di un’abitazione. Le altre forme di rateizzazione – l’auto, il frigorifero, le carte di credito – sono solo marginali.
L’Italia è quindi un Paese fortissimo da un punto di vista patrimoniale. Debolissimo da quello economico. Una contraddizione che le impedisce di competere, a testa alta, con il resto del mondo. Come superarla? Puntando sull’individuo e non sulle strutture burocratiche che ne amministrano i destini. Occorre che ciascuno, nel suo piccolo, diventi “imprenditore di se stesso” e utilizzi quella ricchezza, oggi dormiente, per i propri progetti di vita. Perché questo avvenga è necessario creare quel mercato dinamico in cui ciascuno porta i suoi prodotti e ne riceve il giusto prezzo. Ma finora è accaduto solo sporadicamente. In genere, il trasferimento di valore avviene per causa mortis. L’eredità che i
figli ricevono dai loro genitori. Per il resto le transazioni sono limitate e non raggiungono quella massa critica indispensabile. L’abitazione si cambia solo quando non se ne può fare a meno: se nasce un figlio, se si cambia città. Non certo se si trova una nuova occupazione. Allora si prende l’automobile per percorrere le nuove distanze. Con quali conseguenze, in termini di inquinamento e intasamento urbano, è facile immaginare.
A scoraggiare gli scambi è soprattutto una legislazione fiscale che privilegia il semplice possesso rispetto al cambiamento. Vendere l’immobile costa. Si paga l’imposta di registro, si tassano le plusvalenze. Le parcelle notarili sono salate. Mantenerlo, invece, è quasi gratis. Il gettito dell’Ici è di poco superiore a quanto lo Stato riceve dal consumo di tabacco. In apparenza una scelta di civiltà. Di fatto un costo occulto, in termini di utilizzo irrazionale dello spazio abitativo, che pesa sulle tasche del con-
tribuente e sui conti dello Stato.
A fronte di un mercato asfittico, le banche operano con una prudenza estrema. Finanziano, per tutelarsi, soltanto una parte del costo dell’abitazione. La sua vendita coatta, in caso di insolvenza, determina, infatti, perdite di capitale. Si tutelano, pertanto, accorciando la leva finanziaria. Una parte di quel valore è quindi sterilizzato. Si trasferirà soltanto in caso di avvenimenti eccezionali, quando invece potrebbe rappresentare un volano permanente. Un asset da sfruttare per far fronte alle proprie esigenze finanziarie. Al pari di un deposito bancario. Se finora abbiamo accettato lo status quo, le ragioni sono soprattutto culturali. Nell’immaginario italiano, l’abitazione è considerata solo come un bene sociale: da tutelare e preservare. Il paternalismo fiscale ha fatto il resto, garantendo al cittadino un bene, solo apparentemente, esente da costi. Che gravano, comunque, sulla fiscalità generale. Costringendolo, invece, alla schiavitù del possesso. Si è perso così l’elemento più moderno e dinamico che avrebbe potuto portare quella ricchezza. E con esso un potenziale enorme che potrebbe essere, altrimenti, utilizzato.
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mondo Un soldato israeliano controlla due palestinesi arrestati, vicino al confine con Gaza, dopo i violenti scontri dei giorni scorsi che hanno visto un commando armato uccidere due civili israeliani e ferirne altri due. Israele ha riposto con un raid in cui sono morte tre persone
Egitto e Usa scelgono di mediare per non indebolire Abbas, il rischio è che anche la Cisgiordania esploda come Gaza
L’ambiguità di Israele rafforza Hamas di Emanuele Ottolenghi ercoledì scorso, due civili israeliani sono stati assassinati da un commando armato palestinese al terminale di Nahal Oz, dove passa tutto il combustibile da Israele per la Striscia di Gaza. Israele come sempre ha risposto con operazioni militari misurate, che non risolvono nulla nel lungo periodo. L’attacco contro due civili israeliani impegnati nella consegna di aiuti per i palestinesi da parte di terroristi palestinesi mette in luce l’assurdità della situazione in cui Israele si trova: dover rifornire di cibo, medicinali, elettricità e combustibile un territorio governato da un’organizzazione terroristica che d’Israele vuole la distruzione, promuovendola attivamente a dispetto delle ristrettezze economiche sofferte dalla popolazione civile. Insomma, la popolazione di Gaza soffre per mancanza di cibo ed elettricità, condizioni sanitarie inadeguate, disoccupazione e mancato accesso a mercati esterni per i prodotti locali. A tale ristrettezza contribuisce certo la politica israeliana di chiusura dei confini - ma essa a sua volta è la conseguenza degli attacchi giornalieri di Hamas contro obbiettivi civili israeliani, attacchi che perdurano grazie alle forniture d’armi che Ha-
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mas ottiene da Iran e Siria e che giungono a Gaza attraverso il Sinai egiziano.
La sofferenza della popolazione civile deriva insomma dalla decisione di Hamas di far la guerra invece che la pace - e la mancanza di merce non è del tutto attribuibile all’embargo israeliano visto che le armi non hanno difficoltà ad arrivare. Ma al di lá di reazioni e responsabilità, l’inevitabilità di un nuovo conflitto va riconosciuta. L’escalation tra Israele e Hamas può avvenire in qualunque momento, basta la scintilla. Il problema è che un conflitto aperto farebbe irrimediabilmente collassare il già fragi-
minuisce il danno - lo rende solo ostaggio di un calcolo statistico - mentre l’impatto psicologico è immenso, visto che la loro imprecisione ne fa arma atta non a conseguire obbiettivi militari ma solo a terrorizzare la popolazione. E secondo, perché a lungo andare la deterrenza israeliana ne esce danneggiata - più Israele tollera il bersagliamento giornaliero della sua popolazione civile senza rispondere, più incentivi ci sono per Hamas ad aumentare la frequenza e la gittata dei suoi lanci. Israele dovrebbe quindi lanciare un’offensiva, prima è meglio è. Ma la pressione americana per ora lo impedisce, perchè essa metterebbe a repenta-
tuare un accordo politico con Israele. Se non ci fosse l’esercito israeliano in Cisgiordania, l’Autorità sarebbe già caduta in mano a Hamas, come è avvenuto a Gaza. Né la via della tregua negoziata dall’Egitto serve a lungo termine, perchè rafforzerebbe il prestigio di Hamas ai danni dell’Autorità, non otterrebbe concessioni politiche da parte di Hamas e non impedirebbe sostanzialmente a Hamas di continuare a rafforzarsi militarmente. L’Egitto, come l’America, ha scelto una via di mezzo nella crisi di Gaza - non gradisce il rafforzamento di Hamas, non vuole indebolire il già debole presidente palestinese Mah-
La pressione americana impedisce una risposta militare forte, perchè metterebbe a repentaglio la sopravvivenza dell’Autorità Palestinese e potrebbe costringere Israele a rioccupare sia Gaza che Cisgiordania le e moribondo processo di pace inaugurato ad Annapolis, ma anche questo scenario non è necessariamente il peggiore. Per Israele, l’attuale guerra d’attrito è insostenibile per due motivi: primo, perchè si tratta di una roulette russa - prima o poi i missili che cadono giornalmente sulle comunità civili vicine al confine con Gaza faranno una carneficina. Il fatto che siano imprecisi non ne di-
glio la sopravvivenza dell’Autorità Palestinese e potrebbe costringere Israele a rioccupare sia Gaza che Cisgiordania, dovendosene quindi riaccollare la responsabilità. Ma più Israele attende, più si rafforza militarmente Hamas - e più difficile sarà l’operazione militare e i suoi esiti. Intanto è evidente che l’Autorità Palestinese non ha la forza politica, i mezzi e la volontà per raggiungere e at-
moud Abbas e teme un confronto aperto con Hamas a causa delle ripercussioni che esso avrebbe a favore della Fratellanza Mussulmana in Egitto. L’Egitto quindi non ha fatto abbastanza per impedire il flusso d’armi ed esplosivi che transitano dal Sinai a Gaza e fa troppo per ostacolare il possibile ridirezionamento degli aiuti umanitari da Israele al Sinai. Quest’ambiguità finisce
con il peggiorare la situazione, un autogol insomma, che l’Egitto dovrebbe risparmiarsi ma che non riesce ad evitare per questioni interne.
La mediazione egiziana e gli sforzi diplomatici americani però non solo sono destinati a fallire, ma renderanno la situazione molto più difficile. Hamas, legata a Hezbollah e all’Iran, sta diventando sempre più uno strumento di politica estera iraniano e il suo rafforzamento militare - complice l’attesa israeliana, una possibile tregua e la reticenza americana - non farà altro che aumentare l’ipoteca iraniana sul futuro del conflitto. Puntare sull’Autorità Palestinese come contraltare a Hamas è comprensibile - ma vista la sua impossibilità di produrre risultati la sua sopravvivenza non dovrebbe essere oggi un ostacolo a sconfiggere Hamas o una priorità da perseguire a tutti i costi. Se Hamas non verrà eliminata dalla scena come forza politica e militare, prima o poi quello che accade giornalmente a Gaza avverrà anche in Cisgiordania, con le ripercussioni drammatiche che un presa di potere di Hamas a Ramallah avrebbe per Israele e per il resto della regione. È ora di schiacciare Hamas dunque, nonostante i rischi che ne derivano.
mondo
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Dopo il passo falso di mercoledi, ieri Zapatero ha ottenuto la fiducia parlamentare
“Reconquista”a maggioranza semplice d i a r i o
di Massimo Ciullo
g i o r n o
Ponant: liberati gli ostaggi, uccisi tre pirati
omincia in salita il secondo mandato del premier spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero, che è riuscito ad ottenere la fiducia per il suo nuovo governo solo alla seconda votazione e con una maggioranza semplice. Nel primo scrutinio, mercoledì scorso, non aveva raggiunto la maggioranza assoluta di 176 voti su 350, necessaria per l’investitura al primo turno Nella storia della democrazia spagnola dopo la fine della dittatura franchista, si ricorda un solo precedente di mancata elezione in prima battuta a maggioranza assoluta: nel 1981 è stata necessaria una seconda votazione per l’investitura di Leopoldo CalvoSotelo, che si trovò a gestire la crisi innescata dal tentativo di golpe del tenente-colonnello Antonio Tejero. A favore di Zapatero ha votato compatto il Psoe (169 voti); 158 i voti contrari e 23 gli astenuti. Oggi, Zapatero giurerà davanti al re Juan Carlos, a cui comunicherà la composizione del governo in funzione lunedì.
C
La IX legislatura in Spagna si apre così con una sorta di “monocolore socialista” e in un clima di grande incertezza, a causa dello sfaldamento della precedente coalizione di centro-sinistra. Il voto contrario del Partido Popular e della ex-deputata socialista Rosa Diez, a capo dell’Upd, era scontato; meno quello dei tre deputati della Sinistra Repubblicana catalana di Erc, alleati dei socialisti nello scorso governo. Astenuti gli autonomisti catalani di Convergencia i Uniò, i baschi del Partido Nacionalista Vasco, e le altre formazioni nazionaliste minori, insieme alla sinistra radicale (Izquierda Unida). Zapatero ha lasciato la porta aperta ad altri gruppi parlamentari, in particolare ai catalani di CiU e ai baschi del Pnv: con queste forze, e con altre minori, come Izquierda Unida, il premier cercherà di volta in volta «luoghi di incontro» su singole politiche o alleanze per una «collaborazione stabile e prevedibile». Il primo ministro, nel breve discorso prima del voto, ha affermato che il governo risponderà agli effetti della crisi mondiale sull’economia spagnola «con urgenza, con misure congiunturali e riforme e misure a lungo termine». L’altro ieri il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita per la Spagna nel 2008, l’1,8 percento per quest’anno, contro il 3,8 per-
d e l
I trenta membri di equipaggio, di cui 22 francesi, del veliero di lusso Le Ponant, che da una settimana erano nelle mani di pirati somali, sono stati liberati ieri «senza incidenti» come dichirato da Sarkozy. Subito dopo, però, durante un’operazione elitrasportata contro un “covo” dei dirottatori, tre persone sono state uccise. Almeno sei, invece, i pirati arrestati. Il ritorno a casa degli ex prigionieri avverrà il più presto possibile, ha dichiarato il ministero degli Esteri francesei. Il battello invece arriverà martedi a Gibuti.
Pechino contro il Congresso Usa Il governo cinese ha rimandato al mittente la risoluzione sul Tibet con la quale il Congresso americano condannava il comportamento cinese in Tibet e invitava la leadership cinese a trattare col Dalai Lama. La portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Jiang Yu, ha definito «anticinese» l’atto dell’organo legislativo americano. Secondo la Cina la risoluzione capovolge la storia del Tibet e la realtà contemporanea e, «ferisce pesantemente» i sentimenti del popolo cinese. Attraverso il sito web della diplomazia l’Impero di mezzo «esprime il proprio sdegno e la più decisa opposizione» al passo americano.
Fiaccola sempre più blindata Nonostante le manifestazioni internazionali, la Cina è più che mai decisa a far si che la fiamma olimpionica prosegua il suo tour. Dopo la tappa di Buenos Aires, Pechino aumentarà le misure di sicurezza. Da parte sua il Giappone ha già annunciato che non tollererà la presenza sul suo territorio dei famigerati ”uomini in blu”, le squadre di ufficiali antisommossa che seguono passo passo il percorso della torcia di Olimpia. cento dell’anno scorso. Il premier ha ribadito di essere disposto a cercare «l’accordo con tutti», e in particolare col Partido popular (Pp) per «tracciare e appoggiare una strategia di lotta antiterrorista condivisa da tutti per battere l’Eta», procedere al rinnovo di alcuni organi giudiziari cruciali e preparare il semestre di presidenza spagnola dell’Ue nel 2010.
Zapatero tenta così di rompere il “cordone sanitario”che durante la precedente legislatura, aveva costretto all’angolo i popolari di Mariano Rajoy. I due partiti furono protagonisti di uno scontro costante e durissimo (la c.d. “crispaciòn”) soprattutto sul tema del terrorismo. Il leader dell’opposizione ha accolto positivamente l’apertura, confermando l’appoggio del suo partito per concludere nuovi accordi con l’esecutivo socialista, su lotta al separatismo basco, politica estera, giustizia e assetto dello Stato. Rajoy ha però insistito sulla crisi economica e l’impennata dei prezzi, asserendo che le misure proposte dai socialisti sono «insufficienti» e «non danno fiducia né credibilità». Il segre-
Solo nel 1981 l’esecutivo spagnolo aveva avuto la fiducia nel secondo scrutinio
tario del Pp ha anche criticato il governo per la gestione della siccità e dei problemi di approvvigionamento d’acqua a Barcellona. «Lavorerò per dare una risposta a quella che è una necessità nazionale» di accordo, ha concluso Rajoy.
Ma il capo del centrodestra si dovrà preoccupare anche di cercare un accordo che tenga unito il suo partito. Rajoy sarà impegnato nelle prossime settimane, in vista del Congresso annuale del Pp, a difendere la sua stessa leadership, messa in discussione da esponenti di spicco dei popolari spagnoli. La fronda interna è capeggiata da Esperanza Aguirre, presidente della Comunità di Madrid, che sembra intenzionata a dare battaglia al congresso di Valencia, contro il candidato popolare che per ben due volte è stato battuto da Zapatero e non ha ancora tratto le logiche conseguenze. Negli ultimi giorni due importanti esponenti del Pp, il presidente della regione di Valencia, Francisco Camps e quello di Murcia, Ramon Luis Valcarcel, si sono schierati pubblicamente con l’attuale segretario, sostenendo che «tutto il partito sta con Rajoy». Ma le sortite della combattiva governatrice di Madrid hanno scatenato una lotta interna per il potere dalle conseguenze imprevedibili.
Scandalo Germania-Libia «Nessuna tolleranza verso chi aiuta gli Stati-canaglia». Il presidente della Renania Settentrionale, Juergen Ruettgers (Cdu), ritiene che non vi debba essere alcun margine di tolleranza nei confronti di chi collabora segretamente con paesi in cui non viga lo stato di Diritto. Una serie di provvedimenti disciplinari hanno intanto investito sei dei trenta membri del team di istruttori tedeschi che hanno addestrato uomini dell’esercito libico.
Divieto di manifestare in Zimbabwe La mancata comunicazione dei risultati elettorali a due settimane dallo scrutinio, fa si che nel Paese la situazione sia sempre più tesa. Da ieri le forze di sicurezza possono attaccare ogni forma di protesta politica. A questo annuncio fatto dalla radio di Stato, il Movimento per il cambiamento democratico che aveva in programma una manifestazione per domenica, ha reagito parlando di «regime di polizia» in Zimbabwe.
Al presidente del Camerun il potere piace Dopo 26 anni alla testa della repubblica camerunense, Paul Biya vuole la presidenza a vita. Le modifiche richieste dal capo dello Stato all’Assemblea nazionale del Paese, potrebbero trasformare il Camerun in una monarchia di fatto. In questo caso, il presidente, al potere dal 1982, nel 2011 potrà sollecitare un nuovo mandato. L’assemblea nazionale, dominata dal partito presidenziale, non sembra impressionata dalle accuse dell’opposizione che accusa il regime di «testardaggine contro la volontà della maggioranza del popolo».
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I DATI DEL MINISTERO DELLA SALUTE Seppur lacunosi dimostrano che ci sono più centri, più coppie che vi ricorrono e più gravidanze
SORPRESA LA LEGGE 40 FUNZIONA di Assuntina Morresi onostante sia definita “cattolica” dai suoi detrattori, la legge 40 che in Italia regola la procreazione assistita, è doppiamente ingiusta proprio per i cattolici. In primis per la pesante abortività intrinseca alle metodiche utilizzate: è noto che per ogni “bimbo in braccio” sono soppressi mediamente nove embrioni, in parte lasciati estinguere in laboratorio - per gravi anomalie irreversibili che fanno ritenere inopportuno un loro trasferimento in utero - e in parte per l’elevato tasso di gravidanze che non giungono a termine, che però non possono essere considerate come aborti spontanei. Anche se non voluti da chi si sottopone a queste procedure, tuttavia sono aborti messi in conto, che si sa per certo che avverranno, che non sono una casualità della natura, come avviene per gli aborti spontanei, ma sono previsti e intrinseci alle tecniche di fecondazione assistita. In altre parole: il prezzo da pagare per ogni bambino concepito in vitro è – in media – quello di nove embrioni che prima o poi interromperanno il loro sviluppo. C’è poi da considerare che per un cattolico le tecniche di fecondazione artificiale non sono accettabili da un punto di vista morale, analogamente a quanto avviene per la contraccezione: ponendo una separazione fra i due significati dell’atto sessuale, quello unitivo e quello procreativo – figli senza sesso nelle tecniche di procreazione assistita, sesso senza figli
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nella contraccezione - si mina la relazione naturale fra l’uomo e la donna. Nonostante ciò, in Italia i cattolici non solo non hanno rifiutato una legge sul tema, ma hanno partecipato attivamente alla stesura del testo normativo sulla procreazione medicalmente assistita, pur consapevoli del fatto che una legalizzazione di queste procedure ne avrebbe necessariamente portato a una legittimazione: la normativa che ne è risultata è un compromesso alto con le componenti non cattoliche del nostro paese. Insomma, una buona legge.
La massiccia astensione al referendum di tre anni fa ha permesso di mantenere in vigore la 40, ma quel risultato non è mai stato accettato dal fronte sconfitto: fin da subito gli attacchi alla legge sono proseguiti, con campagne mediatiche in cui la disinformazione la fa da padrona, spesso con strumentalizzazioni di dolorosi casi personali, e a colpi di sentenze dubbie e compiacenti. L’accusa principale è che la legge che non funziona, cioè che impedisce a chi ne avrebbe necessità di accedere a queste tecniche, e che ha fatto calare le nascite da procreazione medicalmente assistita. I dati forniti al Parlamento dal Ministro della Salute Livia Turco alla fine di giugno dello scorso anno, riguardanti lo stato di attuazione della legge, sono fortemente lacunosi, ma per quanto possibile dimostrano il contrario. Invece proprio la presentazione
in Parlamento del Ministro Turco è finalizzata a dimostrare, contro le evidenze dei dati stessi, che la legge ha fallito i suoi scopi. Innanzitutto bisogna chiarire che quella del giugno 2007 è stata la prima relazione con dati ufficiali sull’applicazione delle tecniche di fecondazione assistita: proprio grazie alla legge 40 è stato istituito un Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita, presso l’Istituto Superiore di Sanità, che raccoglie annualmente i dati relativi ai trattamenti di fecondazione assistita da tutti i Centri che la praticano. Il 2005 è stato il primo anno intero di attuazione della legge – varata nel febbraio 2004 - e quindi la relazione al Parlamento dello scorso giugno era tutta centrata sul paragone fra quanto succedeva prima (2003) e dopo (2005) l’entrata in vigore della 40. Innanzitutto mancano i dati per verificare con esattezza quanti e quali tentativi di concepimento sono andati a buon fine: per via delle norme della privacy i dati sono presentati nel loro complesso, e non nel dettaglio necessario per valutare con precisione l’efficacia delle tecniche. Comunque i dati disponibili, relativi ai trattamenti Fivet (concepimento in vitro e successivo trasferimento degli embrioni in utero) ed Icsi (fertilizzazione per iniezione di uno spermatozoo all’interno dell’ovocita) - i più significativi ai fini della valutazione della legge - ci dicono sostanzialmente che nel 2005 in 169 centri autorizzati sono state
trattate 27254 donne, mentre nel 2003 c’erano solo 120 centri, e le donne erano 17125. Le gravidanze ottenute nel 2005 sono state 6235, mentre due anni prima ce n’erano state 4807. Più centri per questo tipo di procedure, più donne assistite, più gravidanze: questo il primo dato evidente. Un aumento consistente, di circa diecimila donne trattate in due anni, difficilmente può corrispondere a un aumento della sterilità in Italia: più probabile che un maggior numero di coppie con problemi di infertilità si sia affidata a questo tipo di percorso. Ma il termine “gravidanza” non significa avere poi il cosiddetto “bimbo in braccio”: questi numeri ci dicono il numero di gravidanze iniziate, che non coincide con quelle portate a termine, perché la maggior parte degli embrioni trasferiti in utero interrompe il proprio sviluppo. Solo il numero dei bambini nati vivi darebbe quindi l’idea di quanto effettivamente l’applicazione della legge abbia influito sulle nascite mediante procreazione assistita. Ma il condizionale è d’obbligo, perché del 41% di queste gravidanze non si conosce l’esito: solamen-
te poco più della metà delle gravidanze registrate sono monitorate fino alla fine.
Dire quindi, come fa il Ministro Turco, che “l’aumento degli esiti negativi delle gravidanze è direttamente correlato all’obbligo di impianto di tutti gli embrioni previsto dalla legge 40/2004”, è, ad essere buoni, fuorviante. Che senso ha considerare variazioni del 3% del tasso di abortività, quando addirittura del 41% delle gravidanze si perdono le tracce? “Una perdita di informazioni così elevata è inaccettabile e non permette di fare analisi sulla reale efficacia e sulla sicurezza dell’applicazione di tali tecniche”: recita così, onestamente, in questo caso, la relazione ministeriale. Quindi il dato dei 3398 bambini nati vivi dopo trattamenti Fivet e Icsi è sicuramente incompleto. Non solo: anche volendo considerare solo il passo intermedio, e cioè le gravidanze iniziate, senza verificare quante ne giungono a termine, è necessario disporre di un altro dato, fondamentale: l’età delle donne che accedono a queste tecniche. Il ministro, commentando le percentuali di
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Nel 2005 sono diventati 169 i luoghi dove si fa fecondazione assistita contro i 120 del 2003. Le gravidanze hanno raggiunto quota 6235 contro 4807
Cronologia della fecondazione assistita AUTUNNO 1984 Il ministro della Sanità Costante Degan nomina una commissione per preparare un progetto di legge che regolI le nuove pratiche di fecondazione in vitro. Viene presieduta da Fernando Santosuosso. FEBBRAIO 1985 Con il decreto Degan si cerca di disciplinare la fecondazione assistita nelle strutture pubbliche. AUTUNNO 1986 La commissione Santosuosso conclude i lavori e presenta la proposta di legge. MARZO 1997 Il Ministro della sanità Rosy Bindi emana un decreto di divieto generale di clonazione, a seguito dell’annuncio della nascita della pecora Dolly. La presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Marida Bolognesi (Pds), annuncia l’impegno della commissione per un testo di legge unificato. GIUGNO 1998 Il testo Bolognesi viene dichiarato costituzionale. FEBBRAIO 1999 Il testo Bolognesi viene presentato alla Camera. MAGGIO 1999 Approvazione alla Camera del testo di legge di cui intanto è diventato relatore
Alessandro Cè (Lega Nord), dopo le dimissioni della Bolognesi dovute a profonde modifiche della normativa. GIUGNO 2000 Affossato in parlamento il testo Cè. GIUGNO 2002 Approvata in aula una versione modificata del testo Cè. DICEMBRE 2003 Approvazione del testo finale di legge al Senato. 10 FEBBRAIO 2004 Approvazione definitiva della legge sulla procreazione medicalmente assistita. 10 MARZO 2004 Entra in vigore la legge 40. LUGLIO 2004 Depositati in Corte di Cassazione i quattro quesiti referendari parzialmente abrogativi della legge 40. SETTEMBRE 2004 Termine della raccolta delle firme per la richiesta del referendum. GENNAIO 2005 La Corte Costituzionale dichiara ammissibili i referendum. GIUGNO 2005 Netta vittoria del fronte astensionista, sostenitore della legge 40. 25.9% i partecipanti al voto.
gravidanze ottenute rispetto ai trattamenti, ammette che “non è possibile conoscere l’associazione di queste percentuali con l’età delle pazienti, in particolare con età inferiore a 35 anni. Questo dato, viceversa, risulta essenziale per una corretta valutazione dell’efficacia e sicurezza delle tecniche”. In altre parole, poiché la probabilità di concepire un figlio diminuisce fortemente con l’età, per valutare correttamente quanto le tecniche di fecondazione in vitro abbiano funzionato nell’ambito della legge 40 è necessario conoscere il numero dei tentativi riusciti rispetto a quelli falliti rispetto all’età delle donne che a quei trattamenti si sono sottoposte. Fino a che il rilevamento dei dati non sarà completo, le valutazioni sul funzionamento della legge saranno per forza di cose anch’esse incomplete e parziali. Quanto di peggio per imbastire inutili polemiche. Finora quel che è certo è che le coppie che decidono di affidarsi a questo tipo di tecniche per poter avere un figlio sono in forte aumento nel nostro paese. E già su questo fatto ci sarebbe molto da riflettere, e da indagare.
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Tutte le critiche alle linee guida proposte dal ministro Turco e che non hanno ricevuto ancora il parere favorevole del Consiglio superiore di Sanità
Ma c’è chi vuole lo spreco degli embrioni di Carlo Casini i domando spesso il perché di tanta asprezza contro la legge n°40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), approvata a larga maggioranza, dopo un lungo lavoro parlamentare protrattosi per tre legislature e confermata in un successivo referendum. La singolarità dell’ opposizione è che essa ricorre a insistite e indimostrate falsità, che raggiungono anche il livello della ufficialità ministeriale e a
M
2003 a 6.235 nel 2005. Non si capisce perciò per quale mai irragionevole motivo ci si senta costretti a non chiedere in Italia la PMA, dove i fatti dimostrano una cresciuta capacità di accoglienza dei centri operanti nel settore. Probabilmente si tratta di “fughe esclusivamente televisive” dirette ad aumentare il giudizio negativo sulla legge a qualsiasi costo, anche a costo, appunto, di mentire. Così non è vero che è aumentata la gemellarità. E’ vero il contrario, com’ è logico che dovesse
Il punto decisivo della legge che si cerca di aggirare è il non-congelamento censure sugli argomenti e i dati a favore di tale legge. Ad esempio secondo la relazione del Ministro della salute Livia Turco, presentata al Parlamento il 28 giugno 2007, gli aspetti negativi della legge sarebbero la diminuzione delle nascite, l’ aumento della gemellarità, la “fuga” all’ estero delle coppie desiderose di avere un figlio. Sono tre notizie assolutamente false. Paradossalmente é proprio la relazione ministeriale a smentirle. Essa espone che le coppie rivoltesi ai vari centri per ottenere una gravidanza a seguito di una fecondazione extracorporea (Fivet) erano state 17.125 nel 2003, quando non esisteva la legge 40, e sono diventate nel 2005, dopo la legge, ben 27.254, con un parallelo aumento delle gravidanze, passate da 4.807 nel
accadere. Se prima della legge si trasferivano in utero più di tre embrioni, è ovvio che si avevano talora gravidanze con 4 o 5 feti. Se, come ora avviene, il trasferimento non può riguardare più di tre embrioni, ovviamente al massimo vi saranno tre gemelli, ma mai più di tre. In ogni caso l’ aumento tra il 2003 e il 2005 dei due gemelli (dal 18,8% al 20,7%, pari all’1,9%) non è così pericoloso per la madre e per i bambini come le gravidanze trigemine e più che trigemine. E il più grande numero dei bambini nati? Il Ministro sottolinea la diminuzione percentuale delle gravidanze (- 3,6%), ma tace sull’ età delle donne che nel 2003 e nel 2005 hanno fatto ricorso alla PMA: le donne al di sotto dei 35 anni erano il 43,6% nel 2003 e sono
diventate il 39,3% nel 2005, con una diminuzione del 4,3%. Inevitabilmente sono aumentate del 4,3% le donne anziane ultratrentacinquenni ed è noto che la capacità di avere e portare a termine una gravidanza diminuisce enormemente con il crescere dell’ età della donna.
Si dimentica deliberatamente il giusto criterio di valutazione scelto dal legislatore. Esso è indicato, addirittura, nell’ art. 3 della Convenzione universale dei diritti del fanciullo (20 novembre 1989): “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche e private, dei tribunali e degli organi legislativi, l’ interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente”. Non può essere usato come unico criterio di giudizio la realizzazione dei desideri degli adulti di avere un figlio. La legge intende tutelare anche il diritto alla vita dei nuovi essere umani, tanto più che essi sono generati proprio per opera della scienza e delle tecnica. Sono, cioè, letteralmente nelle mani dell’ uomo e le mani dell’ uomo devono proteggerli. La legge dà valore anche al desiderio degli adulti di avere un figlio superando le cause di sterilità e tenta perciò un’armonizzazione tra le due esigenze: la tutela della vita dei figli e la soddisfazione degli adulti di avere dei figli. La linea di equilibrio è stabilita accogliendo l’ invito del Parlamento europeo (risoluzione del 16 marzo 1989) a non consentire lo “spreco” di embrioni, evitando al massimo ogni possibilità di generazione di embrioni soprannumerari e la distruzione
di embrioni ad opera diretta e premeditata della scienza e della tecnica. Il punto decisivo della legge è perciò il divieto di congelamento degli embrioni. Questo solo limite ha evitato tra il 2003 e il 2005 l’ uccisione deliberata, premeditata ed eseguita in concorso di più persone, di circa 7.900 embrioni, cioè esseri umani nella fase più povera e debole della loro esistenza. Eppure la menzogna e la censura cercano di erodere il vasto consenso formatosi intorno alla legge, ricorrendo a tecniche di comunicazione idonee a muovere le emozioni, più che la ragione. In effetti l’ attacco cerca di aprire una breccia sul fronte della diagnosi genetica preimpianto (DGP). Si domanda: per quale mai crudeltà si impedisce ai genitori di conoscere l’ eventuale malattia genetica del figlio generato in provetta allo scopo di poter avere alla fine un figlio sano? Ecco il Ministro Turco che presenta linee guida che permettono la DGP e che conseguentemente distruggono l’ impianto essenziale della legge 40. Ma il Ministro non dice come avviene la DGP. A parte l’ orrore di una selezione che combatte non la malattia ma il malato, bisogna sapere che per effettuare la DGP occorre avere a disposizione molti embrioni, congelane molti, distruggerne molti, taluni dei quali assolutamente privi di anomalie. Infatti per poter selezionare non bastano tre embrioni, ma bisogna averne -dicono i manuali- nove, dieci, dodici.Vi è poi una possibilità di errore nella diagnosi che porta alla eliminazione anche di embrioni“sani”. La tecnica consi-
ste nel prelievo di una o due cellule dall’embrione che ha soltanto sei o otto cellule ed è dunque una tecnica altamente invasiva, che in un certo numero di casi produce essa stessa la morte del concepito. Se poi vengono subito scoperti in numero sufficiente gli embrioni “sani”, gli altri, magari anch’ essi “sani”, o vengono buttati via o sono congelati. Ma anche il congelamento ha come prospettiva la morte. Insomma viene capovolto il principio della legge 40 che, se proprio si deve ricorrere a queste tecniche che dimenticano la ricchezza umana del generare, almeno non si uccida in modo premeditato e in concorso di più persone. Per questo la DGP è vietata anche in altri Paesi europei (Germania e Svizzera) ed è comunque raramente usata in tutta Europa.
Fortunatamente il Consiglio Superiore di Sanità non ha ancora dato un parere favorevole alle linee guida preparate dal Ministro della salute e non resta che attendere l’ atteggiamento che sarà tenuto da chi sarà Ministro in futuro. Resta la domanda iniziale: perché tanta aggressività? Io credo che il cuore della questione sia quanto è scritto nell’ articolo 1 della legge 40, dove si riconoscono al concepito gli stessi diritti degli altri soggetti coinvolti nella PMA. Questo è il grande problema antropologico epocale e planetario della modernità. Chi è l’ uomo? Perché l’ eguaglianza? In che consiste la vita umana? E’ in gioco tutta la dottrina dei diritti umani. E’ comprensibile che chi persegue fini di utilitarismo pratico non voglia sentirne parlare.
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Alcune ricerche segnalano l’aumento di importanti malattie nei bimbi così concepiti
I pericoli della provetta di Carlo Bellieni u un’importante rivista scientifica (Clinical Endocrinology and Metabolism) è comparso uno studio che mette a confronto i nati da fecondazione in vitro con gli altri bambini per due problemi particolari: la possibilità di avere una predisposizione al diabete e all’ipertensione. E’ risultato che, seppur in maniera lieve, questa tendenza sarebbe maggiore nei nati da fecondazione in vitro. Non è un dato di poco conto: vuol dire che non è “indifferente” il modo in cui siamo concepiti. Non è neanche scientificamente un dato nuovo, se non per il tipo di patologia che questo studio investiga: sappiamo infatti da molti studi che i nati da FIV (fecondazione in vitro) hanno una possibilità maggiore degli altri di avere una serie di problemi di salute. Per approfondire, si può leggere una bella rassegna dei dati al riguardo disponibili in letteratura scientifica sulla rivista Lancet
ovaie. D’altra parte sempre più bambini con queste tecniche nascono altamente prematuri, portatori di severi handicap neurologici”. Questi dati fanno riflettere sul fatto che il metodo di fecondazione ha un rapporto con la salute: non trascurabile. Ad esempio sappiamo anche che certe malattie –l’infertilità stessa, per esempio- a ragione della incapacità naturale che i loro portatori hanno di riprodursi si autolimiterebbero, mentre con l’intervento umano questa barriera viene aggirata. Per questo ad esempio la rivista scandinava Acta Paediatrica incoraggia a seguire nel tempo proprio i bambini FIV, per scoprire in tempo possibili problemi di salute. Dunque, in un quadro riproduttivo che finora considerava solo i diritti della coppia, entrano in primo piano i diritti dei concepiti ad essere seguiti e curati con attenzione.
stesso: è quanto mostra la moderna genetica: le stimolazioni esterne provocherebbero un silenzio di alcuni geni, in modo da far esprimere in modo unico e specifico la cellula. Si capisce come un certo allarme venga sollevato ogni volta che stimoli non previsti dalla evoluzione naturale possano arrivare alle nostre cellule primarie, cioè all’embrione. E’una nuova branca scientifica chiamata “epigenetica”, su cui si stanno accentrando le attenzioni per molti sviluppi della medicina e della biologia. Dove è ancora più chiaro la delicatezza che si affronta quando si mette mano al “centro”della vita è nella diagnosi preimpianto. Questa è l’analisi del DNA che si esegue in una cellula sottratta ad un embrione fatto in totale di otto cellule, al fine di scartarlo se il DNA analizzato non ci soddisfa. Quest’analisi si fa per scartare gli embrioni malati e anche quelli imperfetti, in modo da aumentare le possibilità
d’oggi che vivono in questo clima selettivo? Benoit Bayle, psichiatra francese, parla di “sindrome del sopravvissuto” per indicare il rischio di questa generazione di accumulare sensi di colpa o di onnipotenza, sapendo di aver superato il suddetto esame. Ma in fondo non sarà proprio questo alla base di quell’assenza di ideali che i sociologi riscontrano sempre più nella generazione presente?
del giugno 2007. Già: molti studi sono stati fatti per valutare la salute a distanza di anni dei nati da FIV, e quasi tutti hanno mostrato che questi bambini non hanno sostanziali differenze cognitive rispetto agli altri. D’altronde molti altri studi mostrano che esiste un rischio maggiore per i nati da FIV di avere basso peso alla nascita, prematurità, malformazioni. In realtà entrambi i dati possono coesistere, dato che i bambini con malformazioni non è detto che abbiano un problema neurologico, e i problemi neurologici mostrati dai neonati FIV sono in media maggiori degli altri, ma solo in via statistica: l’incremento è presente ma è limitato. Tuttavia Didier Sicard, ex presidente del Comitato Nazionale di Bioetica francese, recentemente scriveva: “Esiste un paradosso. Da una parte si ricorre a tecniche sempre più sofisticate, fino al dono o al trapianto di
Certamente richiede particolare cautela trattare con la primissima fase della vita: infatti si moltiplicano gli studi su come l’interferenza estranea possa agire sullo sviluppo in un periodo della vita – la fecondazione- estremamente fragile. Studi recenti mostrano come addirittura la luce stessa possa interferire in qualche modo con lo sviluppo dell’embrione, e sappiamo quanto grande sia l’importanza del dialogo ormonale tra embrione e tuba uterina sin dal momento del concepimento… ma nel caso della FIV la tuba uterina non è presente. Sappiamo anche come delle tecniche di fecondazione siano piuttosto invasive, penetrando con un ago per quanto minuscolo la parete dell’ovulo per trasportare là lo spermatozoo. Non dobbiamo dimenticare a questo proposito l’importanza dell’ambiente sullo sviluppo del DNA
di impianto dell’embrione. Invece l‘autorevole New England Journal of Medicine ha di recente pubblicato uno studio che mostra che gli embrioni dopo questo espianto si impiantano peggio, diminuendo le possibilità di gravidanza. Ma c’è un ulteriore problema che non interessa l’immediata sopravvivenza o lo sviluppo di patologie organiche, ma riguarda le ricadute psicologiche sulla generazione attuale. Ormai viviamo in un’epoca in cui si può eliminare l’embrione o il feto non perfetto. E questo i nuovi giovani lo sanno. Già: chi nasce oggi sa di essere nato in un’era in cui prima di nascere si deve passare un esame. Nel caso della diagnosi prenatale questo è chiaro, così come nel caso della diagnosi preimpianto. Nella maggior parte dei casi chi non supera questo esame viene “scartato”. Ora, qual è il sentimento dei ragazzi
le aspirazioni di mamma e papà, che non sono riusciti a fare da giovani… senza ideali propri, senza aspirazioni proprie. Impariamo allora a guardare le novità procreative dalla parte dei bambini, e non solo da quella dei diritti degli adulti! Domandiamoci se è buona una società dove si fanno i figli solo dopo i 30 anni, pensando che “tanto c’è la FIV”, per poi rimpiangere il tempo perduto; pensiamo se è bene la politica sociale del figlio unico e perfetto che sentirà su di sé tutto il peso delle aspettative di due genitori e quattro nonni! Domandiamoci infine se forse, come chiedeva la “defenseur des enfants” del Parlamento francese, Claire Brisset, non sarebbe stata più sensata un’attesa –una moratoria – delle tecniche di procreazione assistita fino ad attuarle quando fossero in tutto garantite come una gravidanza comune.
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Non sarà che la certezza di essere nati perché si soddisfacevano i desideri dei genitori porterà a sentirsi come una sorta di prodotto che è uscito dalla fabbrica solo perché perfetto, e dovrà continuare ad essere perfetto per il mercato? L’attuale generazione viene descritta come “echo-boomers”cioè come i figli dei nati nel “boom” degli anni ’60, ma che vivono solo di “eco”, cioè di “riflesso”degli ideali dei genitori, cercando di soddisfare
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speciale bioetica
Creato
Come la fantascienza ha raccontato la fecondazione artificiale e i problemi che crea
Le paure del “mondo nuovo” La fecondazione artificiale ha sempre provocato timori e paure. Qui sotto riproduciamo una parte de Il mondo nuovo Aldous Huxley, un capolavoro di fantascienza del 1932 che anticipa però alcuni stati d’animo attuali.
l Processo Bokanovsky» ripeté il direttore: e gli studenti sottolinearono queste parole nei loro taccuini. Un uovo, un embrione, un adulto: normalità. Ma un uovo bokanovskificato germoglia, prolifica, si scinde. Da otto a novantasei germogli, e ogni germoglio diventerà un embrione perfetto, e ogni embrione un adulto completo. Far crescere novantasei esseri umani dove prima ne cresceva uno solo. Ecco il progresso. «Nella sua essenza» concluse il Direttore «il processo di bokanovskificazione consiste in una serie di arresti dello sviluppo. Noi arrestiamo lo sviluppo normale e, benché possa sembrare un paradosso, l’uovo reagisce germogliando».
«I
“Reagisce germogliando” Le matite si diedero da fare. Alzò la mano. Su di un nastro in lento movimento una specie di rastrelliera carica di provette stava entrando in una grande cassa
metallica, mentre un’altra ne usciva. Si sentiva un leggero ronzio di macchine. Le provette impiegavano otto minuti per attraversare la cassa, egli spiegò. Otto minuti di Raggi X non attenuati costituiscono infatti quasi il limite estremo di resistenza per un uovo. Un piccolo numero ne moriva; altre uova, le meno sensibili, si scindevano in due; la maggior parte emetteva quattro germogli; qualcuno otto; tutte poi tornavano agli incubatori, dove i germogli cominciavano a svilupparsi; indi, dopo due giorni, venivano sottoposte al freddo; al freddo e all’arresto dello sviluppo. A loro volta i germogli producevano due, quattro, otto germogli; e dopo aver così germogliato venivano trattati con una dose di alcool quasi sufficiente a ucciderli: in conseguenza essi germogliavano ancora, e avendo prodotto questi ultimi germogli – i germogli dei germogli dei germogli – essendo ogni ulteriore arresto generalmente fatale, li si lasciava sviluppare in pace. In quel momento l’uovo primitivo era sulla buona strada per trasformarsi in numero variabile di embrioni compresi tra otto e novantasei: «un prodigioso miglioramento rispetto alla natura, ammetterete. Dei gemelli identici, ma non in miseri gruppi di due o tre per volta come negli antichi tempi vivipari, quando talvolta un uovo poteva acciden-
talmente scindersi; ma proprio a dozzine, a ventine per volta…» «A ventine» ripeté il Direttore: e allargò le braccia come se stesse distribuendone con abbondanza. «A ventine». Ma uno degli studenti fu abbastanza sciocco da chiedergli in che cosa consisteva il vantaggio. «Ma caro il mio ragazzo!» Il Direttore si voltò rapidamente verso di lui. «Non vedete? Non vedete?» Alzò la mano: la sua espressione era «Il Processo solenne. Bokanovsky è uno dei maggiori strumenti della stabilità sociale!»
“Maggiori strumenti della stabilità sociale” Uomini e donne tipificati; a infornate uniformi. Tutto il personale di un piccolo stabilimento costituito dal prodotto di un unico uovo bokanovskificato. «Novantasei gemelli identici che lavorano a novantasei macchine identiche!» La voce era quasi vibrante d’entusiasmo. «Adesso si sa veramente dove si va. Per la prima volta nella storia.» Citò il motto planetario: «Comunità, Identità, Stabilità». Grandi parole. «Se potessimo bokanovskificare all’infinito, l’intero problema sarebbe risolto». Risolto per mezzo di individui Gamma tipificati, di Delta invariabili, di Epsilon uniformi. Milioni di gemelli identici. Il principio della produzione in massa applicato finalmente
alla biologia. «Maa, ahimè,» il Direttore scosse il capo «noi non possiamo bokanovskificare all’infinito». Novantasei sembrava essere il limite; settantacinque una buona media. Fabbricare il maggior numero possibile di gemelli identici con la medesima ovaia e coi gameti dello stesso maschio, questo era quanto di meglio (e purtroppo un meglio di gran lunga inferiore all’ottimo) si potesse fare. Del resto era già difficile riuscire a questo. «Infatti in natura ci vogliono trent’anni perché duecento ovuli giungano a maturazione. Ma il nostro scopo è di stabilizzare la popolazione adesso, in questo preciso momento. Produrre dei gemelli col contagocce durante un quarto di secolo, a che servirebbe?» Evidentemente, a nulla. Ma la Tecnica di Podsnap aveva enormemente accelerato il processo di maturazione. Si poteva contare su almeno centocinquanta uova mature in due anni. Fecondate e bokanovskificate – cioè, in altre parole moltiplicate per settantadue – e otterrete una media di quasi undicimila fratelli e sorelle in centocinquanta gruppi di gemelli identici, tutti nello spazio di due anni. «E in casi eccezionali possiamo ottenere oltre quindicimila individui adulti da una ovaia sola». Facendo cenno a un giovane biondo e rubicondo che passava
in quel momento, gridò: «Signor Foster!». Il giovane rubicondo si avvicinò. «Potreste indicarci la cifra massima di una singola ovaia, Signor Foster?» «Sedicimila e dodici in questo Centro» rispose Foster senza esitazione. Parlava rapidamente; aveva due occhi azzurri vivaci, e provava un evidente piacere nel citare numeri e dati. «Sedicimila e dodici: in centottantanove gruppi di individui identici. Naturalmente però» continuò tutto d’un fiato «si sono ottenuti dei risultati molto migliori in qualcuno dei Centri tropicali. Singapore ne ha spesso prodotto più di sedicimilacinquecento: e Mombasa è riuscita perfino a raggiungere i diciassettemila. Ma laggiù hanno delle condizioni ingiustamente vantaggiose. Dovreste vedere come risponde alla pituitaria un’ovaia di negra! E’ sorprendente quando si è abituati a lavorare su materiale europeo. Tuttavia,» egli aggiunse ridendo (ma aveva una luce energica negli occhi e il mento gli si era levato come per sfida) «tuttavia abbiamo l’intenzione di batterli, se possiamo. Sto lavorando in questo momento su di un’ovaia di Delta-Minus meravigliosa. Ha soltanto diciotto mesi ed ho già ottenuto oltre dodicimilasettecento bambini, fra quelli già travasati e quelli ancora in embrione. Ed è ancora in piena forza! Riusciremo a batterli!»
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economia Crescono le critiche al patron dell’azienda di Cupertino per il suo strapotere
vil/genius», diavolo e genio, ha stabilito Wired, la bibbia dell’Ict. Sono tutti contro Apple. Saranno i continui successi sul mercato dei computer come su quello della musica, che hanno spinto i concorrenti a buttarsi su prodotti molto simili. Oppure saranno le continue critiche che arrivano dagli utenti “geek” a causa dell’implementazione di sistemi sempre più chiusi nei suoi prodotti. Ma di certo, dal punto di vista dell’immagine, Steve Jobs e soci non è che se la passino tanto bene.
«E
Sono finiti i tempi in cui l’azienda di Cupertino rappresentava l’alternativa smart e à la page a Microsoft. Dalla Rete si alzano sempre più cori di protesta nei confronti di Apple. Soprattutto per quell’”oggetto del desiderio” – ufficialmente non ancora in vendita in Italia – che risponde al nome di IPhone. Che che fin dal primo momento è stato presentato come sistema operativo chiuso, senza kit di sviluppo pubblici, per impedire di installare autonomamente nuove applicazioni. Non solo: le voci di dissenso si sono concentrate sin da subito sull’impossibilità di installare schede telefoniche diverse da quelle predisposte da Apple – in Italia, dove sbarcherà alla fine di giugno, salvo sorprese dell’ultima ora dovrebbero essere quelle della Tim –. E il gap di scelta ha generato la nascita di varie comunità come quella Zi-Phone, nota per aver diffuso un software di sblocco del telefonino della Apple, in grado di abilitarlo all’uso con qualsiasi fornitore di accesso. Allo stesso modo sono scoppiate molte proteste per l’assenza di funzioni come la ricezione di mms e il bluetooth, che vanno di gran moda in Europa e potrebbero frenare, per lo meno all’inizio, le vendite nel Vecchio continente. Insomma, con il passare del tempo nei confronti di Apple (come anche di Google) sembra stia nascendo la stessa ostilità che è toccata alle aziende leader del mercato, e che aveva colpito nel tempo prima Ibm e poi Microsoft. Proprio Redmont, al confronto della Grande Mela, sembra quasi diventata una specie di “gigante buono”, molto meno aggressivo del concorrente, anche se la guerra scatenatasi per l’acquisizione di Yahoo, che secondo il WsJ vedrebbe la potentissima News Corp di Murdoch schierarsi con Ballmer e Gates, potrebbe cambiarne le sorti. Addirittura su siti e blog americani cominciano a fioccare recensioni che giudicano Vista, più performante rispetto al Mac Os X, ribaltando i giudizi molto negative che l’ultimo sistema operativo di Redmond aveva ricevuto. In ogni caso, dal punto di vista dei conti, per l’azienda va più che bene: a breve presenterà un bilancio del primo trimestre 2008 con dati sui Mac, che segnano una crescita nelle vendite in crescita del 25 per cento rispetto allo scorso anno. E la quota 10 milioni di iPhone commercializzati– promessa per la fine dell’anno – dovrebbe arrivare nei tempi stabiliti, soprattutto se la Apple presenterà rapidamente la sua versione 3G. Che, secondo le indiscrezioni, sarebbe dotato
Diavolo di un Jobs, ora l’America gli volta le spalle di Alessandro D’Amato
Il fondatore e Ceo di Apple, Steve Jobs. Per la casa della Mela si prospetta un brillante 2008, nonostante le forti critiche che arrivano da utenti ed esperti. In basso, lo storico concorrente, e padre di Microsoft, Bill Gates
L’iPhone che funziona soltanto con alcune compagnie telefoniche o le vendite on line record di musica: il nuovo corso di Apple fa apparire simpatico persino Bill Gates. E gli analisti chiedono più investimenti
di un chip che abilita il videofonino di Apple a tutta una serie di servizi e possibilità legate alla terza generazione delle reti e all’adozione di un modulo Digital Video Broadcasting-Handheld: ci sarà la possibilità, per esempio, di usufruire della ricezione TV, di attività Gps, di ripresa e scambio di foto ad alta risoluzione.
Chissà se questo basterà per confermarsi leader e battere la concorrenza di Nokia, che sta preparando un suo prodotto concorrente. Si chiamerà Tube e sarà molto simile all’iPhone, con il touch screen e il grande display: presentato durante una conferenza nel quartier generale di Redwood in California, è il primo touch device prodotto dalla compagnia finlandese, anche se ancora non è stato annunciato quando sarà reso disponibile sul mercato. Invece, la famosa concorrenza di Redmond nei lettori Mp3, con lo Zune che doveva rosicchiare quote di mercato dell’iPod, sembra lontana dal raggiungimento di risultati apprezzabili. Per lo meno nel breve termine. Per Jobs i dati più positivi però arrivano dall’iTunes Music Store: per la prima volta Apple ha superato WalMart (la principale catena di grandi magazzini Usa) nella vendita di musica in America. Secondo Ars Technica, che cita dati riguardanti gennaio e provenienti dal NPD MusicWatch Survey, per la musica è il definitivo trionfo della vendita in rete rispetto a quella nei negozi. Nonostante questo, non tutti gli analisti sono concordi nel regalare scenari positivi nel breve termine: Tavis McCourt di Morgan Keegan, per esempio, ha assegnato ad Apple una valutazione negativa, citando una sempre maggiore evidenza di indebolimento della spesa tecnologica negli Stati Uniti e in Europa.
economia
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La stima dell’Ad dell’Eni, Paolo Scaroni: «Nel 2012 a quota 55 dollari»
Petrolio verso cali record? di Vincenzo Bacarani
ROMA. Petrolio in mano alla speculazione. Oggi è a 110 dollari al barile, ma domani, e già a partire dal 2009, potrebbe invertire la direzione. Ne è convinto l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni. E non è il solo, anche se in termini meno ottimistici, tra gli osservatori del settore a fare questa valutazione. L’anomala e velocissima crescita delle quotazioni dell’oro nero è stata dovuta in gran parte all’enorme afflusso monetario che si è riversato sulle materie prime: non soltanto sul petrolio, ma anche sull’oro come sull’uranio o sul rame. Ma secondo Scaroni, a partire dal 2012 il prezzo potrebbe scivolare a 55 dollari al barile, alla metà esatta di oggi. È attendibile l’ipotesi di un calo così significativo? Sì, secondo l’economista ed ex ministro dell’Industria Alberto Clò. «Però», spiega, «non bisogna esagerare sull’entità del
calo. La domanda, nonostante l’aumento dei prezzi, continua a essere intensa». Tuttavia, grazie alle ultime quotazioni, gli investimenti nel settore sono aumentati in maniera consistente e la ricerca di siti per nuovi pozzi petroliferi sta dando buoni frutti. Aumento della produzione
governa in un modo o nell’altro la situazione: ogni volta che l’euro si rafforza sulla divisa americana, gli investitori abbandonano il dollaro e investono in materie prime. A New York in una giornata sono stati trattati 400 milioni di barili di petrolio, quando la produzione mondiale giornaliera è di 85 milioni. Insomma, si investe sul petrolio virtuale. E quello concreto? «Gli investimenti ci sono, ci saranno», segnala l’economista bolognese, «ma l’offerta stenta ancora». Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma-Energia, «il prezzo potrebbe anche scendere in futuro, ma non mi stupirei se nel 2008 salisse ancora a 150 dollari al barile. Il problema è che la domanda non cala quanto dovrebbe. E fino ad allora il prezzo del petrolio non scenderà». E per ora l’Aie ha tagliato le stime sulla domanda di 100mila barili all’anno.
A riequilibrare i livelli dei prezzi al barile gli sforzi nella ricerca per cercare nuovi giacimenti uguale calo dei prezzi. Equazione corretta? «Negli ultimi anni», nota Clò, «la disponibilità è stata di 2-3 milioni di barili al giorno a fronte di una capacità produttiva di oltre 6. Se ci fanno nuovi investimenti, questo rapporto, va da sé, sarà diverso». Ma è sempre la crisi del dollaro che
d i a r i o
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g i o r n o
Padoa-Schioppa: serve più produttività Tommaso Padoa-Schioppa, da Washington per il G7, critica le previsioni di crescita zero per l’economia italiana lanciate dal Fmi. «La nostra stima è migliore e dobbiamo ancora capire qual e’ il ragionamento del Fondo». Quindi, ha spiegato che, «purtroppo, che l’economia italiana cresca meno rapidamente della maggioranza delle altre economie dei Paesi industrializzati non è una novità». Per l’ex membro del board della Bce c’è un’unica ricetta: «Dobbiamo fare ancora uno sforzo sull’incremento della produttività per la ripresa della crescita in Italia».
Consob: lista Edizione non è di minoranza Nuova puntata nella presentazione della lista di Edizione Holding per il rinnovo del collegio sindacale di Generali. Per la Consob la lista non è da considerarsi di minoranza in quanto c’è un controllo congiunto sulla compagnia assicurativa della società dei Benetton tramite Mediobanca, primo azionista del Leone. Tutto era iniziato con un esposto del fondo attivista Algebris. Per la cronaca, gli organi del Leone di Trieste avevano ammesso la lista.
Pirelli presenta candidati per il Cda Il patto di sindacato di Pirelli ha presentato la lista con 20 candidati per il consiglio di amministrazione della società, il cui rinnovo è previsto per il prossimo 29 aprile. Oltre al presidente Marco Tronchetti Provera, Carlo Alessandro Puri Negri, Alberto Pirelli, Gilberto Benetton, Carlo Secchi e Bernardino Libonati. Tra le novità, il prorettore della Cattolica Luigi Campiglio come indipendente e Renato Pagliaro in rappresentanza per Mediobanca.
Ok al rigassificatore di Porto Empedocle Ok definitivo della commissione Via del ministero dell’Ambiente al rigassificatore che l’Enel vuole costruire a Porto Empedocle. L’impianto potrà lavorare 8 miliardi di metri cubi di gas, a fronte di un investimento di 600 milioni.
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storia Il Museo dei due orrori A Budapest le tragiche memorie del nazismo e del comunismo
di Valentina Meliadò
entre in Italia, a pochi giorni dalla ricorrenza del 25 aprile, si riaccende la polemica sul revisionismo storico, sui testi scolastici e sulla decennale egemonia culturale della sinistra, tra le cupole e le guglie variopinte dei cieli di Budapest spicca un’imponente cornice nera a decoro di un grigio palazzo recante la scritta TERROR. E’ il Museo del Terrore, un cubo in stile neo-rinascimentale che per dodici anni, tra il 1944 e il 1956, è stato sede della polizia politica nazista, prima, e di quella sovietica poi. Ma non è questa la sua peculiarità. E’ il suo messaggio forte, chiaro, potente, unico e universale ma ancora così lontano dalla sensibilità collettiva e così imbarazzante per tanta storiografia contemporanea. Sono quelle due enormi lastre di granito poste una accanto all’altra, una nera e una rossa, su cui campeggiano una croce uncinata e una stella, ad eterna memoria delle vittime del nazismo e del comunismo. Il significato profondo del museo è tutto qui, anche se bisogna ancora entrare nella prima sala, ma non è una sala quella che si apre alla vista dopo un brevissimo corridoio; piuttosto un enorme disimpegno circondato dai ballatoi e dalle scale di due piani, al centro del quale giace, a pelo d’acqua, un carro armato sovietico. Nessuno che non abbia prestato servizio militare o non abbia fatto la guerra può immaginare le dimensioni di un carro armato, della sua enorme bocca di fuoco. Davanti a questo mostro il pensiero corre inevitabilmente a piazza Tian’anmen, a quel giovane dritto, impettito, immobile di fronte al cannone del carro armato che lo minacciava, ma al Museo del Terrore non c’è tempo per pensare; lo sguardo viene catturato dalle migliaia di foto in bianco e nero che tappezzano le pareti intorno, senza lasciare uno spiraglio di muro. Facce e nomi che si perdono, impossibile memorizzarne qualcuno, ed è così che milioni di individui diventano numeri.
Nelle foto a sinistra: in alto l’entrata di Auschwitz, sotto un gulag sovietico; a fianco l’edificio dove è ospitato a Budapest il Museo del Terrore
M
Al primo piano si apre la mostra vera e propria, una stanza piena di schermi, un vociare fastidioso e incessante. Sono le immagini dell’occupazione nazista, da un lato, sovrastate dallo stridolio dei
discorsi di Hitler, e di quella comunista, dall’altro, costellate dalla massiccia presenza fisica e verbale di Stalin. Guardando da vicino, prima uno schermo e poi l’altro, queste immagini e questi personaggi appaiono desolatamente uguali, con il loro carico di distruzione e di teatralità, con i corpi delle vittime dei campi di concentramento cumulati a migliaia come detriti, con le strade, i palazzi e gli abitanti di Budapest annientati dai carri armati sovietici durante la rivoluzione del 1956. Ci vuole un po’ prima di accorgersi che la visione è accompagnata da un sottofondo musicale inquietante, incalzan-
comunisti ungheresi e del capo della polizia politica, manifesti propagandistici e pubblicitari, documenti e cancelleria, tutto rigorosamente bianco, nero, grigio. Unica nota di colore: il rosso smagliante degli interni della macchina, nerissima, che per anni ha volteggiato come un corvo sulle case degli ungheresi portandosi via migliaia di persone e di vite. Si attraversano poi le sale dedicate alla repressione religiosa, con l’esposizione di alcuni abiti talari crivellati di colpi, e ai gulag, dove scorrono le immagini delle fucilazioni mentre si cammina su un pavimento che riproduce la cartina geografica dell’ex Unione Sovietica con
Girando per le segrete del palazzo, la prima sensazione è il freddo nelle ossa, l’umidità. La seconda è il terrore puro te, in alcune sale quasi insopportabile. La mostra è decisamente ben studiata e ben allestita, ma nulla è eccessivo, perché nessuna ricostruzione e nessun allestimento sarebbe proporzionato alla realtà di quanto successo tra quelle mura. Le pareti, le stanze e gli oggetti che si incontrano durante il percorso sono rimasti gli stessi: utensili da cucina, macchine da scrivere, tavoli e sedie di legno, telefoni, radio che rimandano incessantemente i discorsi dei dirigenti
l‘ubicazione di tutti i campi. Si lancia un’occhiata ai miserissimi oggetti ed effetti personali esposti: qualche tazza, qualche scarpone, qualche lettera e taccuino ingialliti e divorati dall’umidità.
Il senso di oppressione è tale che scendere nelle segrete del palazzo, nelle sale di tortura, è quasi una violenza. La prima sensazione è il freddo nelle ossa, l’umidità. La seconda è il terrore puro, l’angoscia di fronte alle porticine aperte delle minuscole celle, alle loro macabre peculiarità. Si parte da quelle corredate di tavolaccio per stendersi a quelle totalmente spoglie e lisce; si
procede con quella dal soffitto troppo basso per stare in piedi e si finisce in una cella agghiacciante, totalmente ricoperta da venti centimetri d’acqua. Quando si arriva alla stanza del patibolo per l’impiccagione la resistenza è al limite, ma c’è ancora lo stanzone dedicato alla rivoluzione ungherese, con l’esposizione delle bandiere bucate, qualche arma, le immagini degli scontri e della distruzione, una bicicletta arrugginita accanto ad un impermeabile crivellato e, sotto, la fotografia di un uomo in bici che scappa, immortalato appena qualche istante prima di essere colpito a morte. In chiusura, prima di tornare al punto di partenza, a quel carro armato che fa molta meno impressione di un’ora prima, una parete con decine di fotografie di aguzzini e collaboratori dei regimi che hanno martoriato un popolo che non dimentica, anzi. E’ a questo che si pensa uscendo dal museo, alla lezione di valore universale che l’Ungheria ha saputo trarre dalle tragedie che l’hanno colpita. Non esistono regimi buoni e cattivi. Non ci sono giustificazioni per ideologie che perseguono utopistici scopi di bene assoluto sacrificando la libertà, la vita, la dignità, la speranza, la volontà e l’unicità di milioni e milioni di individui. Il nazismo e il comunismo sono le due facce di una stessa medaglia, gli epigoni della presunzione di una qualsiasi ideologia di essere totalizzante ed esaustiva, per questo legittimata ad imporsi sulla coscienza e sulla libertà dell’uomo.
costume Uomo Ragno, Batman, Superman e tutti supereroi i americani che hanno accompagnato la nostra infanzia di voraci lettori di fumetti amavano ripetersi e ripeterci che possedere grandi poteri comportasse anche avere grandi responsabilità. Per questo siamo cresciuti, grazie a loro, con la convinzione che un eroe abbia il dovere di mettere i suoi poteri al servizio dei più deboli, dei più poveri e dei più indifesi. Abbiamo visto i nostri supereroi americani al fianco delle truppe che liberarono l’Europa dal nazifascismo e al fianco dei pompieri che, più di recente, cercavano di salvare i pochi superstiti del disastro delle torri gemelle. Li abbiamo visti, nei loro costumi sgargianti, lottare anche nel mondo della fantasia contro il male assoluto e piangere disperandosi per l’impossibilità di uscire dalle vignette che li imprigionavano. Ma erano sempre lì a ricordarci che l’America poteva essere il simbolo di un sogno. Oggi non riusciamo però ad accostarli a quei soldati americani di stanza in Iraq che, complici alcuni video rimbalzati su YouTube, ci hanno fatto vedere che la guerra può essere una scusa per seviziare e uccidere dei poveri cani indifesi o a colpi di M16 o gettandoli in un fosso tra gli sghignazzi generali mentre un anonimo operatore riprende queste gesta oscene che di eroico hanno ben poco.
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L’
Come appassionati di videogiochi, non possiamo dimenticare che le divise dei marines sono spesso protagoniste di prodotti che simulano, talora con freddezza e quasi indifferenza, conflitti internazionali ancora in corso, né possiamo negare che molti video autoprodotti che appaiono su YouTube vengano usati dai level designer per costruire quegli spettacolari conflitti a fuoco che monopolizzano le nostre nottate e i pomeriggi dei nostri figli e nipoti alle consolle. Ma se la vera sofferenza, l’ingordigia del più forte, l’impunità di una divisa non portata più con rispetto devono ispirare un ap-
Un invito a boicottare chi sfrutta le guerre contemporanee per fare business
Videogiocate con le Termopili, non con l’Iraq di Roberto Genovesi
Un videogame ispirato alle gesta dell’Impero Romano o alle grandi battaglie che hanno fatto la storia del mondo è un utile strumento didattico. I conflitti in corso, però, sono tutta un’altra cosa proccio asettico alle guerre, perfino a quelle giuste, per poi magari trasformarle in un gioco per bambini allora non ci stiamo più. Per questo crediamo che le case produttrici che mettono sul mercato questi giochi dovrebbero fare una seria riflessione affinché quella spirale inche governabile vuole a tutti i costi rincorrere la violenza della realtà trasformandola immediatamente in un gioco commerciabile, che vuole filtrare la morte, perfino quella più ingiustificata e ingiustificabile, attraverso una fredda interfaccia utente, si fermi per riflettere sulla validità degli strumenti al servizio degli obiettivi. Un videogioco ispirato alla Guerra di Secessione, alle ge-
sta dell’Impero Romano o alle grandi battaglie che hanno fatto la storia del mondo è un utile strumento didattico, di conoscenza e perfino un modo per avvicinare gli studenti più recalcitranti alla Storia, quella con la “s” maiuscola. I morti di queste guerre non hanno più orfani o vedove che piangono la loro scomparsa e nessuno specula sulla loro solitudine, sulla loro tristezza. I videogiochi sui conflitti in corso invece, raccontano tutta un’altra storia, quella che ha ancora la “s” minuscola e nella quale i protagonisti sono fatti di carne e anima e il loro sangue, simulato dai pixel, ancora scorre per le strade del Libano, dell’Iraq e dell’Afghanistan.
Da una parte c’è un problema morale perché le ferite fresche, ancora non rimarginate e, in molti casi, mortali non possono generare guadagni secondo una logica da mattatoio. Dall’altra c’è un problema etico perché tutti sanno che i video messi su YouTube diinevitabilventano mente fonte creativa. Così come sembra moralmente giusto rifiutare l’uso dei cosmetici che hanno visto la sperimentazione sul corpo di cavie inermi, appare moralmente sacrosanto rifiutare quei giochi costruiti su sequenze che arrivano direttamente dal fronte dove ancora si spara. Non è possibile che un ragazzino alla consolle subisca il gap tra realtà e finzione senza un contributo di riflessione, senza che qualcuno gli suggerisca che cio’che per lui e’un gioco, in quello stesso istante, per qualcun altro è morte e sofferenza, da qualunque parte della barricata si trovi.
Per questo motivo ci si aspetterebbe dalle più illuminate tra le riviste della stampa specializzata, e ce ne sono, una riflessione, un dibattito che coinvolga, perché no, gli sviluppatori e gli editori di videogiochi per assumere un approccio critico all’uso creativo dei conflitti, che tenga conto dell’alto costo umano che ogni guerra porta con sé, affinché una partita ad un wargame possa essere non solo spunto di divertimento ma anche momento di autentica autocritica sociale. I videogiocatori italiani dimostrerebbero un definitivo salto di qualità verso la maturità attuando un digiuno, a partire dai prossimi acquisti, dai videogiochi che fanno delle guerre in corso uno strumento di business. E speriamo non solo che episodi come quelli apparsi su YouTube e rilanciati dai Tg non si debbano più vedere ma anche che i game designer decidano di utilizzare altre fonti, magari meno realistiche, per immortalare le gesta dei soldati virtuali dei loro giochi affinché i nostri figli possano tornare a immedesimarsi in un marine credendo di vestire davvero i panni di un eroe.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Quale tema influenzerà di più il vostro voto? IL TEMA DELLA SICUREZZA È FONDAMENTALE, SOLO UNA POLITICA RIGOROSA PUÒ TUTELARCI Voterò e so per chi voterò. Ma so anche perché voterò e come ho deciso di votare. La mia preferenza andrà al Pdl perché tra i partiti che più contano è quello che maggiormente ha assunto impegni precisi per la sicurezza.Tanti sono i problemi che affliggono l’Italia, a cominciare da quelli economici. La sindrome della terza settimana (non più della quarta) non è un’invenzione, è una drammatica realtà. Ma se una avveduta politica economica verrà realizzata e se la congiuntura mondiale darà una mano, la situazione potrebbe cambiare; insomma l’attuale condizione economica attraversata dalla nostra Patria non è incontrovertibile. Diverso è il problema della sicurezza. La colonizzazione dell’Italia da parte africana, dei mussulmani, è già in stato avanzato e solo una politica molto rigorosa potrà rallentare l’invasione. Solo severità e certezza della pena potranno, se non proprio fermare - ormai non ci spero più - almeno fronteggiare con qualche speranza di successo la criminalità, la micro e quella organizzata, ormai diffusa capillarmente in tutto il territorio. Sia la Lega, sia An hanno sempre posto questo problema al primo punto del loro programma. Non per niente
LA DOMANDA DI DOMANI
Bullismo, quali provvedimenti dovrebbe adottare il nuovo governo? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
l’unica legge che è riuscita a limitare i danni è la Bossi-Fini. Il mio voto andrà certamente a loro. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità. Distinti saluti, a presto e buon lavoro.
Domenico Presutti Sulmona (Aq)
CERTAMENTE LE POLITICHE PER LA FAMIGLIA, C’È BISOGNO DI VALORI, ETICA E SOLIDARIETÀ La mia scelta l’ho fatta da tempo e, senza rivelare per chi voterò, dico che il motivo che mi ha spinto a scegliere un partito diverso da quello a cui ho dato la mia adesione nel 2006 è questo: tra tutti coloro che promettono mari e monti ho individuato in un solo leader la persona che ha avanzato proposte concrete e realizzabili: aiuto alla famiglia, sia economico sia nei valori che devono essere di sostegno alla crescita del nucleo familiare. Il nostro Paese ha certamente bisogno di ripartire economicamente, non ha futuro un popolo il cui Pil è uguale a zero, ma non ha futuro anche se non è capace di trasmettere ai giovani valori e principi saldi di etica e di solidarietà. E questi principi non sono stati neppure sfiorati, mai enunciati dai grandi partiti. Quindi no a Pd e no a Pdl.
Marco Valerio Trecca - Pisa
IL PRECARIATO È SENZ’ALTRO IL PROBLEMA PIÙ GRAVE E URGENTE DA RISOLVERE E’difficile immaginare solamente un tema. In questa campagna elettorale s’è detto tutto e il contrario di tutto, e i diversi schieramente (soprattutto i maggiori, Pdl e Pd) sembra abbiano fatto il possibile per rincorrersi, raggiungersi, contraddirsi praticamente su qualsiasi argomento. Sulla sicurezza entrambi puntano molto, anche se in modo differente; così come premono su pensioni e salari più adeguati. Io sono una giovane e francamente ciò che mi preme di più è il mondo del lavoro. Il precariato è insomma a mio avviso la problematica più grave e urgente da risolvere. Sarà dunque questo il tema cartina tornasole, l’ago della bilancia che influenzerà il mio orientamento politico alle elezioni di domenica e lunedì. Cordialità.
TORNA IL CULTO DELLA PERSONALITÀ Oggi il culto della personalità torna alla ribalta grazie al Pdl e al Pd. Qualche giorno fa era in tour per la provincia senese il camper del Pdl. Su una fiancata, la scritta “Meno male che Silvio c’è”. La stessa che compare sulle felpe dei giovani militanti. Lo stesso slogan della canzoncina composta dalla Brambilla per osannare il leader assoluto e indiscutibile del Pdl. Il Cavaliere si crogiola in un’autoammirazione tanto spudorata quanto fastidiosa. Qualsiasi cosa il Cavaliere dica, è giusta per principio, anche se è l’esatto contrario di quanto affermato due ore prima. E così ecco che i colonnelli passano le loro giornate impegnati in contorsionismi verbali per rincorrere le boutade di Silvio. D’altronde occorre ricordare che molte di quelle vallette e camerieri devono tutto a Silvio, e devono rimanere nelle grazie del Re Sole (lui s’immagina così) per restare a galla. Il culto della personalità ha raggiunto nel Pdl livelli davvero preoccupanti. E da questo deriva il problema principale dei partiti di Berlusconi: la mancanza di democrazia interna. Al culto del-
LIBERIAMO LE BALENE Un’attivista australiana del gruppo Animal Liberation Victoria protesta contro la caccia alle balene sostenuta dal Giappone, accucciata su un telo che riproduce una bandiera nipponica grondante di sangue LA PROVINCIA DI ROMA NON ANDRÀ A ZINGARETTI
COSA PENSA VELTRONI DELLE OLIMPIADI DI PECHINO?
Il candidato alla Provincia di Roma Zingaretti non vincerà al primo turno e ne è conscio, tanto che già sta preparando il secondo. Bisognerebbe però ricordargli che, nonostante abbia fatto di tutto per nascondere la sua coalizione (che è la stessa che Veltroni ha definito «litigiosa» e «disomogenea»), al secondo turno avrà già raschiato il barile, e di conseguenza il risultato sarà la vittoria del Pdl. Non bastano calciatori, cantanti e soubrettine per vincere le elezioni, ma servono idee e progetti sostenuti da coalizioni che garantiscano la governabilità, e soprattutto dare risposte alle esigenze delle comunità locali. Grazie per l’attenzione, distinti saluti.
Il Parlamento europeo si è espresso a favore di un boicottaggio della cerimonia di apertura dell’Olimpiade di Pechino, qualora la Cina non aprisse un dialogo con il Dalai Lama. Onde evitare le solite polemiche in cui la sinistra è maestra, si chieda subito al signor Veltroni cosa ne pensa nel malaugurato e sciagurato caso in cui vinca le elezioni. Sì, perché dopo la vittoria di Berlusconi mi sembra di sentirlo, insieme al suo staff, prendere posizioni opposte al buon senso ed alla logica, per quel che costa, pur di essere contro! Ha parlato tanto in questa campagna elettorale, vorrei sapere il Veltroni pensiero, non il politichese. Sarà possibile? Non credo.
dai circoli liberal Flaminia Longo - Napoli
Emilio Campi - Roma
Paolino Di Licheppo Teramo
la personalità si accompagna la soppressione di ogni forma di democrazia. E poiché parliamo del più grande partito italiano, c’è da preoccuparsi. E Veltroni? Ostenta meno il culto della personalità, ma che il partito liquido sia un’imitazione nella forma e nella sostanza dei metodi di “selezione” della classe dirigente propri del Cavaliere, è evidente. Giorgio Masina
Andrea Rubegni. Con l’ingresso di Ferdinando Adornato e di liberal nell’Unione di Centro, Masina tiene a precisare che «si è aperta oggi una nuova fase costituente per tutti coloro che credono in un centro moderato alternativo alla sinistra e ancorato saldamente ai grandi valori (cattolicesimo liberale, difesa della vita e degli ideali di democrazia). Il Circolo di Siena, impegnato a sostenere Casini premier, rivolge un appello a tutti i simpatizzanti a votare per l’Unione di Centro alle prossime elezioni».
Il Circolo liberal di Siena è lieto di informare che Giorgio Masina, 29 anni, avvocato, è stato eletto quale nuovo Presidente. Il Circolo, organizzatore dal 2004 insieme alla Fondazione liberal delle Giornate internazionali del pensiero storico, è tra i primi a essersi costituiti in Italia e rappresenta l’avamposto sul territorio sense della Fondazione liberal di Ferdinando Adornato. Contestualmente all’elezione del Presidente, il Circolo ha rinnovato anche il Consiglio direttivo, composto da: Paolo Barbagallo, Marco Belloni, Mauro Bruni, Cristina Di Cola, Salvatore Rizzo,
APPUNTAMENTI
CIRCOLO LIBERAL SIENA
ROMA - VENERDÌ 18 APRILE 2008 Ore 11, a Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna Riunione nazionale dei Presidenti dei Circoli Liberal.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Sei dentro di me come le piante sulla terra Amor mio, mi sono svegliata alle sei questa mattina. Sono corsa in pigiama fino al lago, per bagnarmi le zampe. Un sole amaranto giunge da dietro la montagna vicina. E penso a te, mio amato. E sono felice di pensarti, di sognarti. Malgrado la paura che ho di sapere che sei il pilota più vecchio del mondo, mio diletto, se tutti gli uomini ti assomigliassero. Devo correre fino al villaggio, a una chisetta, e sedermi sulle panche deserte. Oggi, giorno del tuo compleanno, è tutto quel che posso regalarti. Allora corro, marito mio, e devo vestirmi, ho una mezzora di strada a piedi. A presto. Se non ti vedo più su questo pianeta, sappi che mi troverai comunque accanto. Tu sei dentro di me come la vegetazione è sulla terra. Ti amo, tu mio tesoro, tu mio mondo. Io, tua moglie Consuelo de Saint Exupéry a suo marito Antoine
L’ETERNO ESEMPIO DI PRIMO LEVI Ci sono voluti ventuno anni (l’anniversario è l’11 corrente mese, giorno della morte di Primo Levi) per onorare degnamente uno scrittore che ci ha lasciato la testimonianza della sua prigionia ad Auschwitz dal 1943 al 1945, con la costituzione a Torino del Centro internazionale di studi Primo Levi. Vorrei ricordare il suo viaggio dal campo di concentramento di CarpiFossoli ad Auschwitz, iniziato nel mese di febbraio 1944. Dalla fine del ’43, dopo Stalingrado, la carenza di manodopera in Germania è tale che diventa indispensabile utilizzare anche gli ebrei (e tale era Primo Levi), serbatoio di manodopera a prezzo nullo. «I disagi materiali, la fatica, la fame, il freddo, la sete - scrive Levi - tormentano il nostro corpo, paradossalmente riuscivano a distrarci dalla infelicità grandissima del nostro spirito. Non si poteva essere perfettamente infelici... Le urgenze quotidiane ci distraevano dal pensare al suicidio: potevamo desiderare la morte, ma non potevamo pensare di darci la morte. Io sono stato vicino al
e di cronach di Ferdinando Adornato
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ACCADDE OGGI
12 aprile 1204 Quarta Crociata, sacco di Costantinopoli
1633 Galileo è accusato di eresia (Index Librorum Prohibitorum) 1782 Muore Pietro Metastasio, poeta e drammaturgo italiano 1944 Italia, re Vittorio Emanuele III di Savoia annuncia alla radio la sua abdicazione in favore del figlio, non appena gli alleati entreranno a Roma 1945 Harry S. Truman inizia il suo mandato come 33.mo presidente degli Stati Uniti 1961 Urss,Yuri Gagarin è il primo uomo nello spazio: a bordo della Vostok I resta in orbita per 108 minuti 1970 Italia: il Cagliari è campione d’Italia per la prima volta 1975 Guerra del Vietnam: l’ambasciata Usa a Phnom Penh, Cambogia, è evacuata per l’accerchiamento della città da parte dei Khmer rossi 1981 Usa: viene lanciato il primo Space Shuttle: il Columbia fa parte della missione STS-1 1995 Italia: La voce, fondato e diretto da Indro Montanelli, sospende le pubblicazioni
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
suicidio, all’idea del suicidio, prima e dopo il Lager, mai dentro il Lager».Per tutta la durata della permanenza nel Lager, Levi riesce a non ammalarsi, ma contrae la scarlattina, proprio quando nel gennaio 1945 i tedeschi evacuano il campo, abbandonando gli ammalati al loro destino. Gli altri prigionieri vengono deportati verso Buchenwald e Mauthausen e moriranno quasi tutti. Al suo rientro in Italia, nel 1946, Levi trova lavoro presso una fabbrica di vernici nei pressi di Torino. E’ però ossessionato dalle traversie subite ad Auschwitz e scrive quel meraviglioso libro Se questo è un uomo. Nel quale ha cercato di scrivere le cose più grosse, più pesanti e più importanti. Ed è davvero una prfonda e veritiera testimonianza, che dovrebbe essere letta e conosciuta nelle scuole e nelle università. Altro che riscrivere la storia d’Italia, come ha chiesto il senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri. Se mai dovrà essere corretta in alcune sue parti e completata su altre. Ma giammai riscritta. Grazie per l’ospitalità e cordiali saluti.
Angelo Simonazzi Poviglio (Re)
PUNTURE La campagna elettorale è finita, ma c’è qualcuno che sappia dire quando è iniziata?
Giancristiano Desiderio
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Chi scrive come parla, anche se parla benissimo, scrive male comunque CHARLES BUKOWSKI
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di NÉ BERLUSCONI NÉ VELTRONI L’Italia si avvicina al voto, dopo una campagna elettorale trita, dimessa e incolore; durante la quale gli unici ad aver creduto davvero nei loro programmi di governo, sono stati i cosiddetti partiti minori. Ebbene, nonostante si tenda a sminuire il ruolo fondamentale della pluralità politica, il numero di cittadini indecisi a recarsi o meno alle urne, è salito. Forse proprio a causa della presenza dei due maggiori schieramenti di plastica (Pd e Pdl), incapaci di avvicinare i cittadini alle loro altisonanti promesse da marinaio. (...) L’ex sindaco di Roma sta dimostrando sicuramente una presa maggiore sui cittadini, recuperando velocemente un consenso popolare ridotto ai minimi termini dopo la fallimentare esperienza di Romano Prodi al governo. I sondaggi, però, riconoscono che tale sforzo non sarà sufficiente. D’altro canto, il Cavaliere è sicuro di vincere le imminenti elezioni politiche con notevole vantaggio. Lo ha ribadito pubblicamente soltanto ieri, con quella presunzione tipica del personaggio al quale il Paese è ormai fin troppo assuefatto. Già, perchè la banale diatriba sul voto utile e sul voto inutile, non fa onore a Berlusconi, un uomo che, sin dal 1994, non ha mai dimostrato il dovuto rispetto per le Istituzioni del nostro Paese. L’illiberale tentativo di svilire la presenza dei molti partiti presenti sulle schede elettorali, denota infatti una pressoché mancanza di senso democratico. Per fortuna, l’elettorato italiano ha smesso di credere alle favole; prediligendo i fatti alle parole. Com’è chiaro che sia; in special modo alla luce di una crisi economica e sociale evidente e fin troppo tangibile. La scelta di inventare un partito da un predellino di un’automobile in piazza San Babila a Milano, è poi un dato di fatto che induce
ad una profonda riflessione su quello che sarà il Popolo delle Libertà. Ovvero un contenitore vuoto e senza storia, utile soltanto ad assicurarsi il potere. Gli slogan berlusconiani, inoltre, non cambieranno mai: in quanto rappresentano, senza indugio, la bieca demagogia populista di sempre. Sfruttando il pesante malcontento del Paese, il Pdl, presenta agli elettori lo stesso programma di quindici anni fa, assicurando la presenza di varie culture politiche al proprio interno. Così da riunire maldestramente i liberali, i socialisti, i cattolici, i missini, i leghisti e buona parte dei moderati. Un tentativo che, oltre ad essere una menzogna, non ha alcun senso pratico, se non quello di dimostrare una profonda ignoranza sia sul piano ideale che su quello politico. Il centrodestra ha perso anche quel barlume di credibilità che aveva acquistato negli ultimi dieci anni. Con il partito unico, la cui leadership è stata imposta e non eletta dalla base, sono state cancellate in breve tempo, le più importanti culture politiche del Paese, riconducibili alla gloriosa destra storica. Così ha voluto Silvio Berlusconi, con il consenso tacito e benevolo del suo vice Gianfranco Fini. Il vero problema, però, concerne il raggiungimento di un difficile obiettivo: riuscire a governare. Per questo, con tutta la buona volontà, non credo che le due nuove forze politiche di scarso valore, possano in alcun modo porre rimedio ai guasti che loro stesse hanno contribuito a creare. Ritengo, pertanto, che la soluzione naturale all’attuale caos italiano, consista nell’attuare riforme autenticamente liberali, applicate alle diverse realtà del nostro territorio. Amo l’Italia e vorrei vederla risorgere come merita. Il resto può attendere.
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PAGINAVENTIQUATTRO Il fenomeno delle mamme-bambine, dal grande schermo alla vita reale
Angelina Jolie e le altre, cioè:
IL BABY BOOM li americani, che hanno una definizione bella e pronta per tutto, le chiamano teen mothers. Non diremmo madribambine, ma suona meno bene. E non abbiamo, come loro, 750mila ragazze tra i quindici e i diciannove anni che decidono di avere un figlio, con tanto di esempi nel mondo delle celebrity. Jamie Lynn Spears, sorella della chiacchierata Britney, oltre che protagonista della premiatissima serie televisiva Zoey 101, incinta a sedici anni, sarà mamma tra poco: felice lei, felice la zia, felice la nonna, trattative riservate per l’esclusiva (non sappiamo molto del padre, il diciannovenne, bellozzo Ca-
G
Roselina Salemi
menti e associazioni con la sua silhouette da scricciolo panciuto sulla carta intestata.
In maniera meno esplicita, dopo aver finanziato le campagne a favore dell’astinenza ( finite con il baby boom), l’America suggerisce una rilettura della maternità: la sciocchezza di una notte può essere l’inizio di una crescita personale. Sullo sfondo rimane il tema della vita, l’angoscia per la scelta: fermare o no la gravidanza? Nel film Vogliamo anche le rose, la regista Alina Marazzi racconta la storia di un aborto clandestino, con il senso di colpa che comporta: siamo negli anni Settanta, la legge 194 non c’è ancora e Teresa ha sbadatamente fatto l’amore. Decide che non è il momento di avere un figlio e lo cancella, di nascosto. Di quel momento resterà traccia su un diario. Dall’esperienza dolorosa di Teresa e tante altre, è nato poi il consenso alla 194. E si torna a discutere, in nome della politica, dell’etica, della scienza. Eppure, il segnale più forte arriva, non dalla riflessione filosofica, ma dalla galassia hollywoodiana, capace di intercettare i mutamenti degli umori collettivi. Non è un caso l’exploit delle adozioni seriali nello star system (da Madonna ad Angelina Jolie), l’esaltazione della famiglia da parte di signore il cui sti-
Negli Stati Uniti, in controtendenza rispetto al resto del mondo industriale, il tasso di fertilità è salito del 2,1 per cento. Il settimanale People ha dedicato un ampio servizio alla voglia di maternità sey Aldrige), insomma, un esempio da seguire. Una tendenza sociale. Ginger Francois, preside della Ketnwood High School dice che in California molte adolescenti non vedono male l’idea di avere un bambino. E dove i casi sono già tanti, cioè a Denver, nel Colorado, un comitato ha chiesto orari flessibili nei licei per venire incontro alle necessità delle studentesse-madri.
Negli Stati Uniti, in controtendenza rispetto al resto del mondo industriale, il tasso di fertilità è salito al 2,1 per cento, la punta più alta dal 1971. Il settimanale People dedica un ampio servizio alle teen mothers: hanno volti teneri, infantili e una di loro, tiene in braccio la sua minuscola fotocopia, chiamata Felicity. Altre sono incinte e contente. In questo clima così favorevole, anche il cinema ha cominciato a raccontare storie di maternità positiva. Dopo Molto incinta, di Judd Apatov, dove lui e lei non potrebbero essere più diversi, ma si trasformano e cambiano, causa l’imprevisto bambino, frutto di una notte brava, è arrivato il ciclone Juno, geniale film che è costato sette milioni di dollari e ne ha incassati 130, ha rivelato il talento della giovanissima Ellen Page e la strabiliante capacità di sintonizzarsi con il mondo contemporaneo di Diablo Cody (Oscar per la migliore sceneggiatura). La sceneggiatrice Diablo Cody, un nome da spogliarellista (e lo è stata davvero), tiene a precisare che il suo «non è un film pro-life», ma l’effetto è quello. Juno è diventata l’icona del movimento antiabortista americano: sono nati club, movi-
le di vita si può definire, con gentilezza, sciagurato. Tutte vogliono figli (Salma Hayeck e Jennifer Lopez, Julia Roberts e Nicole Kidman), e l’averli non è sinonimo di distrazione, ma di status. Mentre nel mondo reale,“la maternità è priva di valore sociale”, spiega Elena Rosci, autrice del saggio Mamme acrobate,“al punto che per una donna significa mettere in conto uno stop più o meno lungo sul lavoro”. Accettare l’idea di essere divisa in due, tenerona in casa e rampante in ufficio. Le teen-mothers spiazzano tutti. Non sono “in carriera”, non hanno ancora cominciato. Sono incoscienti, o forse no. Hanno Jamie Lynn Spears, hanno Juno e hanno la loro madonna cinematografica, quell’Angelina Jolie che ormai nelle rare interviste parla solo di bambini, profughi o figli suoi. Parliamone, alla prossima Festa della Mamma.