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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Promemoria per governo e Ue

e di h c a n o cr

Attenti, sta esplodendo l’emergenza alimentare

di Ferdinando Adornato

di Carlo Lottieri economia ha le leggi lineari, ma al tempo stesso capaci di rivelarsi spietate se vengono ignorate con pervicacia. Così l’attuale crisi agricola rende palesi i disastri che da decenni la Politica agricola comune (Pac) sta causando. Interventi pubblici in agricoltura sono presenti in molti Paesi, per una ragione assai semplice. Ancora un secolo fa, la maggioranza degli europei lavorava nei campi, ma lo fa soltanto una piccola parte (meno del 10 per cento). Di fronte a tale esodo la classe politica è intervenuta. In Europa, in particolare, fino al 1992 sono stati introdotti montanti compensativi associati alle produzioni e successivamente si è provveduto a scoraggiare ogni iniziativa con altri strumenti. Al fine di limitare i costi di questo sistema di sovvenzioni a favore dei “poveri contadini” (i primi beneficiari sono però le case reali, dai Windsor ai Grimaldi) si sono dati soldi anche a chi accettasse di non coltivare i propri terreni. Il risultato è che oggi vi sono mobilieri che acquistano terreni per fare un investimento, anche contando sui 350 euro annui a ettaro garantiti dal fatto di tenere i terreni inattivi. In più sono state introdotti limiti alla produzione. Com’era prevedile, il meccanismo ha moltiplicato imbrogli e abusi. Ma la situazione europea non è però troppo diversa da quella Usa. Eppure le alternative esistono e, quando applicate, producono risultati notevoli, come insegna la Nuova Zelanda.

L’

VINCE ALEMANNO LA SINISTRA PERDE ROMA

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80429

Non è solo una sconfitta elettorale: è la fine di una storia lunga quindici anni. Perciò la débacle di Rutelli chiama in causa anche Walter Veltroni

The End

continua a pagina 12 nel l’ inse rto N ordSu d

alle pagine 2, 3, 4 e 5

Viaggio tra i sindaci leghisti

Il Giuliani di Cittadella di Nicola Procaccini Massimo Bitonci, rappresenta bene il prototipo dell’amministratore “padano”. Per alcuni si tratta del possibile erede di Umberto Bossi. Per altri è soltanto il leghista noto alle cronache per l’ordinanza anti-sbandati che pochi mesi or sono ha provocato un terremoto di polemiche.

pagina 9

La storia inedita tra il vecchio attore e Marilyn Monroe

Evviva Croccolo tra Kennedy e Miller di Angelo Crespi pagina 19

MARTEDÌ 29 APRILE 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

78 •

Mariano Rajoy ed Esperanza Aguirre

Contratti e divario tra Nord e Sud

Braccio di ferro ”popular” in Spagna

La solitudine della Cgil in un’Italia divisa

di Enrico Singer

di Giuliano Cazzola

Mariano Rajoy sarà confermato presidente del partito popolare, ma dal congresso potrebbe uscire una novità assoluta: l’introduzione delle primarie per scegliere il candidato per il 2012.

Un merito a Guglielmo Epifani bisogna riconoscerlo. In zona Cesarini è riuscito a evitare che la Cgil (o buona parte di essa) finisse per allearsi con la Sinistra-Arcobaleno e per condividerne la disfatta.

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pagina 16

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 29 aprile 2008

the end Il ballottaggio premia il candidato del Pdl e punisce il centrosinistra anche nei municipi

ROMA. Tanto tuonò che venne giù un diluvio. Dopo quindici anni d’ininterrotto governo della capitale d’Italia, la sinistra ammaina la sua bandiera dal pennone del Campidoglio e per il Popolo della Libertà questo turno elettorale si conferma strepitoso, al di là di ogni più rosea aspettativa. Gianni Alemanno è il nuovo sindaco di Roma, Francesco Rutelli è un semplice senatore del Partito Democratico, costretto all’opposizione anche a Palazzo Madama. Eppure, il vero sconfitto di queste elezioni, per tutti, è Walter Veltroni. Il risultato del Partito Democratico alle politiche aveva inferto un duro colpo al consenso di Veltroni, dentro e fuori dal Pd. Ma la sconfitta di Roma, già nelle dichiarazioni a caldo di gran parte del centro sinistra, viene caricata tutta sulle spalle del leader democratico. In queste ore, in quella parte del campo, si consuma un dramma che è politico ed umano insieme. «Quella di Roma è una sconfitta molto grave, molto pesante – sono state le prime parole di Veltroni ai cronisti – che io non posso non sentire con particolare acutezza e amarezza personale e politica». Una cosa è certa: se si sono svolte le elezioni a Roma è perché il sindaco in carica si è dimesso con tre anni d’anticipo. E sono in molti a farglielo notare in queste ore, ancor di più sono quelli che lo pensano. A parziale discolpa di Veltroni, analizzando i dati a caldo, bisogna riconoscere che Rutelli si è rivelato un candidato debole per il centrosinistra. Con il forte traino del Partito Democratico nel primo turno di votazioni sarebbe bastata una candidatura che non perdesse voti rispetto al proprio schieramento per raggiungere la vittoria subito, senza la roulette del ballottaggio. D’altra parte, la scelta di Rutelli è stata quasi imposta dal leader del Pd: di sicuro non è stata concordata con i partiti della sinistra radicale. Lo scarso appeal del cattolicissimo Rutelli certamente ha pesato molto, soprattutto in quella parte di elettorato. Veltroni, lo ha comunque ringraziato «per il suo lavoro generoso e per il suo impegno e il suo amore per la città». «Sono contento – ha aggiunto – d’altro lato, per il successo

Sicurezza e degrado le ragioni della vittoria di Gianni Alemanno di Nicola Procaccini

Elezioni sindaco di Roma Centrosinistra

Centrodestra

Francesco Rutelli

Giovanni Alemanno

46,3%

ottenuto da Nicola Zingaretti», ma solo per concludere amaramente che «i risultati complessivi dei ballottaggi confermano i problemi emersi nel voto politico nazionale». No, neppure la vittoria del candidato Pd alle provinciali di Roma (per altro con un margine ridottissimo ri-

53,7%

Neppure il successo di Zingaretti alle provinciali di Roma (con un margine ridottissimo rispetto al primo turno) può lenire il dolore di questa disfatta

spetto al primo turno) può lenire il dolore di questa disfatta bruciante, amplifica le recriminazioni. Casomai, è soltanto la dimostrazione di quanto l’apparato Ds si sia sentito coinvolto molto di più dalla campagna di Zingaretti, ex segretario regionale del partito, rispetto a quella del-

l’ex presidente della Margherita. Francesco Rutelli ha seguito i risultati dello scrutinio chiuso nel suo studio al Comitato elettorale del quartiere Ostiense, con gli esponenti Pd Paolo Gentiloni, Linda Lanzillotta, Renzo Lusetti ed Ermete Realacci.

L’atmosfera si è ben presto guastata, fin dalle prime schede scrutinate. Ed il fatto che la sconfitta fosse nell’aria, non poteva predisporre gli animi del centrosinistra capitolino alla sopportazione del malaugurato evento elettorale. «Provo una profonda amarezza – ha detto Rutelli nella sua prima dichiarazione pubblica, dopo essersi complimentato telefonicamente con il suo avversario – Il centrosinistra deve riflettere sul tema della sicurezza. Adesso cercheremo di capire chi sono i 100.000 elettori che si sono astenuti nel ballottaggio e chi sono quelli che hanno votato per Zingaretti e per Alemanno». Ecco ciò che in queste ore rende ancora più dolorosa la sconfitta per Rutelli: non già il voto disgiunto del primo turno tra lui e la sua coalizione elettorale, ma il voto disgiunto di oggi con Luca Zingaretti. Non si capacita Rutelli di come tanti romani possano aver votato contemporaneamente per il candidato sindaco del Pdl e per quello a presidente della provincia del Pd. Un dato che punisce oltremodo la sua candidatura. «Almeno Nicola ha vinto – ha sorriso a denti stretti Rutelli, che poi ha aggiunto: «Spero che si vinca in tutti quei municipi che sono ancora in ballo». Macchè. La famosa legge di Murphy ieri si è accanita brutalmente sul Pd. Dei nove municipi andati al ballottaggio, otto sono andati al Pdl e soltanto uno al centrosinistra. Nonostante fosse in vantaggio al primo turno. E così ad aggravare la frustrazione di Rutelli sono giunte le parole del Cavaliere: «Una vittoria storica, grazie Roma! Il mio primo pensiero di fronte alla storica vittoria di Alemanno, che per la prima volta porta il Popolo della Libertà alla guida della capitale d’Italia, è un grazie commosso ed entusiasta per gli elettori di Roma». Silvio Berlusconi ha commentato così in serata la vittoria del candidato del Pdl nel ballottaggio per il Campido-


the end glio. Nel frattempo, caroselli di auto, bandiere tricolori e vessilli di An e del Popolo delle libertà invadevano il centro di Roma. Sui muri della Capitale già ieri sera sono apparsi i manifesti con la faccia del nuovo primo cittadino e la scritta: «Alemanno Sindaco, Roma cambia». Il trionfatore della giornata di ieri si è affacciato da una delle finestre del Campidoglio e ha celebrato la vittoria insieme a tanta gente che ha cantato la propria gioia fino a tarda notte. Tra di loro, ben visibili, c’erano anche i taxisti romani, vera e propria legione d’onore alemanniana.

Il nuovo sindaco di Roma ha comuncato così la propria felicità: «Questa lunga battaglia è stata vinta. La mia ferma intenzione è di essere sindaco di tutti i romani. Ringrazio tutti coloro che mi hanno votato ma anche a chi ha fatto un’altra scelta che io rispetto». Alemanno ha poi indicato la vera urgenza della sua azione amministrativa: «La priorità per noi è la sicurezza. Dopo essere andato a trovare il marito della signora Reggiani per dirgli “mai piu una cosa simile”, andrò dal prefetto. Il mio primo impegno sarà la lotta al degrado». Ed infine: «Voglio portare Roma dentro l’Europa e al centro del Mediterraneo». Per riuscire nell’impresa di non far rimpiangere la scelta ai romani, Alemanno potrà contare su una maggioranza di 35 consiglieri comunali. Mentre per la giunta capitolina non si sbilancia: «Per ora non voglio dare nessun nome ma faremo squadra per lavorare bene», però ai microfoni del Tg di La 7 anticipa qualcosa: «saranno nomi di alto profilo e di alto livello». In conclusione: c’è spazio per le parole di Gianfranco Fini che oggi ottiene una nuova vittoria per il suo vecchio partito, salendo sullo scranno più alto di Montecitorio. «È una gioia enorme – ha commentato Fini raggiante, mimando con le mani un enorme sorriso sul volto - È una delle pagine più belle di sempre per il centro destra e per Alleanza Nazionale». «Per An questa è una vittoria storica». Le vittorie più belle a pochi mesi dallo scioglimento. È davvero uno strano destino quello della destra italiana.

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L’ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, e il segretario del Pd, Walter Veltroni: molti vedono in loro i responsabili delle sconfitte del centrosinistra

Dopo la sconfitta di Rutelli a Roma vacilla la leadership di Veltroni

Pd,si apre la resa dei conti di Riccardo Paradisi

ROMA. «Una sconfitta molto grave, molto pesante che io non possono non sentire con particolare acutezza e amarezza personale e politica». Walter Veltroni parla della rotta di Francesco Rutelli alle elezioni comunali di Roma, ma in filigrana ci leggi la preoccupazione ”personale” appunto, che lo smottamento del Campidoglio finisca addosso al Partito democratico, seppellisca sul nascere insomma il nuovo corso del centrosinistra italiano. La vittoria di Gianni Alemanno a Roma d’altra parte segna la seconda grande sconfitta, dopo il 14 aprile, del Partito democratico. Rutelli infatti non era un candidato qualunque: è l’esponente di maggiore rilievo, assieme a Veltroni, del Partito democratico. Per il Pd Rutelli, già vicepremier di Prodi, aveva sciolto la Margherita, da Veltroni aveva preso direttamente l’investitura della successione al governo della Capitale.

troni e Bettini. Espressione di un’alleanza tra gli eredi del Pci e quelli della Democrazia cristiana che erano riusciti a stabilire un buon vicinato con i poteri forti della capitale. Questo modello ha resistito quindici anni ora si completamente è usurato» Quali saranno adesso i riflessi nel Partito democratico? «Saranno seri e severi», dice ancora Caldarola: «prevedo un ridimensionamento importante di Veltroni anche se non mi auguro una sua defene-

Peppino Caldarola: «I riflessi nel partito ora saranno seri e severi: prevedo un ridimensionamento della dirigenza»

Una sua sconfitta nella corsa per Roma era temuta ma non era preventivata. Negli ambienti vicini a Veltroni questa ipotesi era scacciata come un pensiero impronunciabile perchè, si diceva, avrebbe prodotto una messa alle corde dello stesso segretario del Pd. Ermete Realacci, responsabile della comunicazione del Pd, prima ancora della slavina del voto romano aveva anticipato l’esigenza di azzerare l’esecutivo che ha portato il Pd verso le elezioni, «che non ha più ragione di esistere». I dalemiani tacciono invece: telefonini staccati, silenzio di gelo. C’è chi parla di una volontà di regolare dei conti, a partire da quello con Goffredo Bettini, regista e teorico del veltronismo e dei suoi lustri. Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità e dalemiano, è molto severo con la classe dirigente del Pd. «La sconfittta di Roma», dice Caldarola a liberal è netta ed è da attribuire interamente al gruppo dirigente romano: a Rutelli, Vel-

strazione. Il Pd è un partito con pochi mesi alle spalle, non resisterebbe a un atto di dimissioni del suo segretario». E però l’insuccesso del Pd è a tutto campo: manca il voto moderato, non c’è il voto cattolico, non paga, anzi si rivela un formidabile boomerang, l’antifascismo fuori tempo massimo esibito dalla sinistra radicale, che aveva tappezzato Roma di manifesti sulla marea nera, nemmeno fossimo ai tempi di Via Tasso e della resistenza. La sinistra, fa notare poi Caldarola, perde anche la provincia di Foggia «rossa da sempre. Siamo di fronte a un voto strategicamente rilevante, che richiede un’analisi senza sconti».

Meno severo con Veltroni e Rutelli il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari: «Il segretario del Pd ha dovuto giocare il ruolo del perfetto continuatore, sia rispetto al governo Prodi sia rispetto all’amministrazione Veltroni. E per questo», prosegue Cacciari», l’ha pagata cara. Fare una campagna elettorale in difesa del passato è sempre più arduo che farla in attacco». E alla domanda: Veltroni dovrebbe dimettersi? Cacciari risponde così: «Soltanto un pazzo potrebbe chiedere a Veltroni ge-

sti di questo tipo. Ma neanche la benchè minima autocritica. È una cosa che razionalmente si poteva mettere in conto. Si potrebbe discutere, invece, se Rutelli ha fatto bene o male ad accettare la candidatura, visto che doveva sobbarcarsi l’onere e l’onore di fare il difensore delle precedenti amministrazioni romane e del governo Prodi, che non mi pare sia stato molto apprezzato dagli elettori». Nè Rutelli nè Veltroni avrebbero dunque qualcosa da rimproverarsi dunque? La sinistra radicale è di altro avviso: anzi si avventa sui vertici del Pd con la foga di chi ha la possibilità di presentare il conto sulle scelte degli ultimi mesi: «Rutelli paga colpe non sue ma di una strategia dissennata del Partito Democratico», dice la senatrice Manuela Palermi della Segreteria nazionale dei Comunisti Italiani: «a Roma si è aperto un grave vulnus democratico. La sinistra, quella democratica e quella di classe, è stata spazzata via». Ancora più dura Patrizia Sentinelli, responsabile della campagna elettorale della Sinistra Arcobaleno: «Il veltronismo deve essere messo in discussione insieme al modo in cui si è affermato il Pd, che contribuisce a livello nazionale e locale a non portare al governo di centrosinistra e favorisce una rivoluzione verso la destra». Stessa musica da parte dei Verdi: «Siamo in presenza di un errore strategico e tragico per l’Italia e per la città di Roma. Ora è necessario riaprire un dialogo tra sinistra, verdi e Pd». Insomma un richiamo dalla foresta, l’invito a Veltroni da parte della sinistra più estrema a tornare indietro, a riavvolgere la pellicola della storia del Pd. Magaria tornare tutti assieme. Ma tornare indietro come si fa. Certo è che il cammino di Veltroni ora è tutto in salita. Imparerà a tenere botta? come gli si consiglia dalle parti della sinistra più dalemiana e realista? Capirà che la festa è finita e che è l’ora della traversata nel deserto?


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the end

ROMA. Lo shock delle elezioni comunali a Roma ha fatto passare in secondo piano i risultati dei ballottaggi nelle province e nei comuni interessati al secondo turno elettorale. Eppure si tratta di risultati interessanti e non del tutto omogenei con quelli delle elezioni politiche di due settimane fa. Ma andiamo con ordine.

Province Netta affermazione del centrodestra ad Asti. Il candidato di PdL e Lega Nord, Maria Teresa Giovanna Armosino, ha conquistato il 58% dei voti, contro il 42% di Roberto Peretti, appoggiato da Pd e Idv, che al primo turno era riuscito ad approdare al ballottaggio superando (non di moltissimo) Mariangela Cotto, espressione di un paio di liste civiche. La giunta provinciale uscente di Asti era di centrodestra. Sandro Bondi, invece, candidato del PdL a Massa-Carrara, non è riuscito ad andare oltre al 44,6% dei voti, perdendo lo scontro con il presidente uscente, Osvaldo Angeli, appoggiato da Pd, Idv e Socialisti. A Foggia, il centrodestra strappa la % presidenza della Centrodestra provincia al Pd, con Antonio Pepe Asti 58,0 (PdL, Udc, Rosa Bianca e un diCatanzaro 60,1 screto assortimento di liste civiche) Foggia 54,0 che conquista il 54% dei consensi, Massa-Carrara 44,6 contro il 46% del suo avversario, Roma 48,5 Francesco Paolo Campo (Pd, Idv, Socialisti, Sinistra Arcobaleno). Il centrodestra si conferma visto, perché Zingaretti partianche a Catanzaro, dove Wan- va con un vantaggio vicino al da Ferro (PdL, Destra, Pri, dieci per cento dopo il primo Nuovo Psi e liste civiche) è turno. riuscita ad ottenere il 60,1% Bilancio finale: il centrodestra dei voti, contro il 39,9% di Pie- si conferma in due province tro Amato (Pd, Idv, Ps, Verdi e (Asti e Catanzaro); il centrosinistra si conferma in due proliste civiche). Il centrosinistra si consola, si vince (Massa-Carrara e Rofa per dire, con l’affermazione ma); il centrodestra si prende di Nicola Zingaretti alla pro- una provincia che era del cenvincia di Roma. Il candidato trosinistra (Foggia). di Pd, Idv, Sinistra ArcobaleComuni no, Lista Bonino e alcune liste civiche si è imposto su Alfre- Le cose vanno meglio, per il do Antoniozzi (PdL, Pri e liste centrosinistra, nei comuni caciviche) con il 51,5% contro il poluoghi di provincia che so48,5%. Un successo, per la ve- no andati al ballottaggio. A rità, molto meno netto del pre- Pisa, il candidato di Pd, Idv,

Socialisti e una lista civica, Marco Filippeschi, si è imposto con il 53,1% su Patrizia Paoletti Tangheroni (PdL, Lega Nord, Udc, Destra) che ha raggiunto il 46,9%. Il Pd ha vinto anche a Sondrio, strappando il sindaco al centrodestra, con Alcide Molteni (Pd, Sinistra Arcobaleno, Ps e liste civiche) che ha conquistato il 54,2% dei voti, contro il 45,8% di Aldo Faggi (PdL, Lega Nord e liste civiche). Sindaco che passa da centrodestra a centrosinistra anche a Vicenza, con Achille Variati (Pd e liste civiche) che ha battuto in una sfida all’ultimo voto Amalia “Lia” Sartori (PdL, Lega Nord e una lista civica). Alla fine dello spoglio, solo 473 voti separavano i due avversari. Dolori, invece, anche se “da sinistra”, arrivano per il Pd da Massa-Carrara, dove Roberto Pucci, il candidato della Sinistra Arcobaleno e di alcune liste civiche, ha sconfitto Fabrizio Neri (Pd, Idv e liste civiche): 54,3% contro 45,7%. di Andrea Mancia Uno smacco difficile da digerire per il Pd. Il centrosinistra si conferma a Udine, dove Furio Honsell (Pd, Idv, Sinistra Arcobaleno e liste civiche) ha battuto con il % Amministrazione 52,7% contro il 47,2% di Enzo Centrosinistra uscente Cainero (PdL, Lega Nord, Udc e liste civiche). centrodestra 42,0 Si conferma invece il centrodestra a Viterbo, con Giulio centrodestra 39,9 Marini (PdL e due liste civiche) che ha ottenuto uno centrosinistra 46,0 schiacciante 62% contro il 38% raggiunto dal suo avvercentrosinistra 55,4 sario, l’ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, candidato del centrosinistra 51,5 Pd e di una lista civica. Bilancio finale: il centrodestra si conferma a Viterbo; il centrosinistra si afferma a Pisa e Udine; il centrosinistra strappa al centro% % Amministrazione destra Vicenza e Centrodestra Centrosinistra uscente Sondrio; la Sinistra Arcobaleno centrosinistra Massa-Carrara* 54,3 45,7 conquista al centrosinistra Massacentrosinistra 46,9 Pisa 53,1 Tutto Carrara. sommato, sarebbe centrodestra 45,8 Sondrio 54,2 stato un risultato decente per il Parcentrosinistra 47,2 Udine 52,8 tito democratico e i suoi alleati, se sulcentrodestra 49,5 Vicenza 50,5 la coalizione guidata da Walter Velcentrodestra Viterbo 62,0 38,0 troni non si fosse * A Massa-Carrara il ballottaggio era tra il canditato del centrosinistra abbattuto lo tsunae quello della Sinistra Arcobaleno mi Roma.

Il centrosinistra strappa Vicenza e Sondrio al PdL

Negli altri ballottaggi il Pd evita la disfatta ELEZIONI PROVINCIALI

A Massa-Carrara la Sinistra Arcobaleno toglie il sindaco agli ex-alleati. Il PdL conquista la provincia di Foggia e si conferma ad Asti e Catanzaro. A Roma, vince Zingaretti ma con un margine inferiore al previsto

ELEZIONI COMUNALI


the end

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Alemanno ha vinto perché ha saputo interpretare il disagio popolare mentre la sinistra si occupava solo dell’immagine di superficie

Il voto del sottosuolo, la routine dei salotti di Gennaro Malgieri facile dirlo ora, ma la vittoria di Gianni Alemanno era una vittoria annunciata. Da molti segni lo si coglieva. Segni che non venivano certo dagli apparati politici. In particolare a sinistra si ostentava una tranquillità del tutto immotivata. Se gli uomini di Rutelli e di Bettini avessero scavato nel profondo dell’elettorato romano avrebbero avuto la percezione che le storie del sottosuolo della Capitale facevano presagire un ben altro risultato rispetto a quello che si attendevano.

È

Erano e sono storie di ordinario disagio, di degrado insop-

che essa è stata la naturale derivazione di un apprendistato nell’inquietudine. E Roma, negli ultimi decenni, la si è potuta certamente definire in tanti modi, ma senza dubbio è stata il laboratorio del degrado, non diversamente da Napoli, dove una sinistra cinica e contraddittoria si è negata alle fasce più deboli per aprirsi a quelle più garantite. Gauche caviar? La si può definire in tanti modi. Va da sé che la Roma di Alemanno ha voluto marcare una discontinuità profonda con la Roma di Rutelli e Veltroni: il popolo contro ii salotti, probabilmente, e i cosiddetti poteri forti. In questo Goffredo Bettini, coordinatore nazionale del Pd, come tutti gli esponenti del centrosinistra non hanno saputo comprendere il malessere e le richieste arrivate dai ceti meno tutelati dal veltronismo

portabile, di insicurezza vissuta con l’angoscia che genera l’impotenza, dell’irrilevanza di ceti dinamici e produttivi messi ai margini dalle amministrazioni di Veltroni e del suo predecessore, di emarginazione perfino rabbiosa in periferie neppure prese in considerazione dalle faraoniche e velleitarie bonifiche immaginate dalla sinistra. Alemanno, da vero militante politico e conoscitore profondo della città, si è immerso per due anni, con tenacia e intelligenza, in quelle storie del sottosuolo, interiorizzandole al punto da ingaggiare contro i tormenti cittadini in cui s’imbatteva una vera e propria battaglia morale e culturale, oltre che civile. La politica è venuta dopo e di conseguenza. Anzi, si può dire

momento c’è posto per tutte le interpretazioni. Compresa quella che vuole la vittoria del Pdl legata a una immagine della capitale, faticosamente è passata: che rifiuta l’assistenzialismo, perfino quello ludico, per diventare protagonista di trasformazioni segnate dalla vocazione alla modernizzazione, senza rinunciare alla propria identità. Alemanno ha saputo interpretare tutto questo. E per di più ha saputo mettere al centro della sua “sfida” la sicurezza e lo sviluppo. È innegabile che la «paura liquida», come la definisce Zygmunt Bauman («La civiltà è vulnerabile: basta un solo colpo per spedirla all’inferno»), sia stata assunta quale riferimento dell’insicurezza dei cittadini e interpre-

tata non soltanto come una richiesta di maggiore e migliore tutela, ma come ordine culturale, civile, capace di opporsi alla decrescita sociale ed economica. Analisi di questo genere nel loft veltroniano non ne sono state fatte. E il povero Rutelli è stato mandato allo sbaraglio facendogli intendere che la sua elezione sarebbe culminata in una passeggiata sul red carpet della Città del cinema. La pochezza culturale e analitica di questa sinistra, incarnata dal Pd, ha contribuito a far crescere il senso di sfiducia nei romani. Tanto che Alemanno ha vinto in aree tradizionalmente

L’esponente di An ha saputo intercettare il bisogno di sicurezza, trasformandolo nella spinta per creare un nuovo ordine morale e culturale nelle periferie

Il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, a riprova della sua capacità di comprendere umori e pericoli politici, ha chiesto a Veltroni un approccio differente verso la base

di sinistra e prima ancora comuniste. Mentre Alemanno si godrà la meritata vittoria e, per come lo conosco, non perderà neppure un giorno nell’approntare un coerente programma d’interventi e una credibile squadra che lo coadiuverà nell’amministrare la città, dalle parti del Pd si aprirà una guerra dagli esiti imprevedibili.

Due sconfitte pesantissime in quindici giorni, non le aveva messe in conto neppure il più pessimista dei collaboratori di Veltroni. Forse soltanto D’Alema – il primo a comprendere umori e problemi politici – aveva subodorato la disfatta e cominciato a tessere altre tele, diverse dallo schema veltroniano, fedele alla consegna che

L’esito del voto della Capitale può ribaltare i timori nati con le Politiche di un’Italia sempre più spaccata a metà tra le richieste del Nord e i bisogni del Sud

qualche ponte alle spalle bisogna pure conservarselo. Ma i dioscuri della vecchia Quercia, non saranno i soli a doversi confrontarsi. È tutta la breve esperienza del Pd che dovrà essere riconsiderata. Magari, cominciando col chiedersi dove e chi ha sbagliato immaginando una “fusione a freddo” che non ha incontrato, visti gli esiti, i favori dell’opinione pubblica. Ma non potrà neppure essere evitata la domanda: se la sinistra è franata in che modo è cambiata la società italiana, o quantomeno quella consistente porzione di essa, che si riconosceva nel massimalismo temLe periferie romane sono da tempo teatro di crescente degrado. Dimenticate dalla sinistra, non sono mai rientrate nei piani di riqualificazione lanciati dall’ex sindaco e leader del Pd

perato e nel riformismo mai realmente definito? Insomma, tenere insieme tutto e il contrario di tutto, fa un partito unico oppure un guazzabuglio nel quale è difficile identificarsi per chi ha un minimo di cultura politica di riferimento e vorrebbe tenersela stretta non certo in maniera nostalgica, ma per superarla in una nuova identità? Nel loft gli interrogativi si affastellano. Sul Campidoglio tira aria nuova. Le due Italie uscite dalle Politiche rafforzano la loro distanza. Non è detto che non sia un bene per la democrazia. E per la ricomposizione in un’Italia sola finalmente pacificata dalla fine delle egemonie e dalla speranza che il sistema dell’alternanza possa diventare realtà.


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politica

Eliminato il problema del Centro con la fuoriuscita dalla coalizione dell’Udc dalle parti di via Bellerio ora l’idea è quella di non delegare più a nessuno la rappresentanza per le trattative politiche

ROMA. Non sembra avere nessuna fretta Silvio Berlusconi di formalizzare la squadra di governo della nuova legislatura. Anche perchè ci sono ancora le variabili aperte in grado di rendere ancora mobile per qualche giorno il quadro della futura compagine ministeriale. La più importante, la dirimente si potrebbe dire, è il punto d’equilibrio in cui si assesterà il confronto tra l’asse lombardo della nuova maggioranza e quello romano, tra cioè il ticket Leghista-tremontiano e il cotè romano del Partito delle Libertà, la cui orbita gravitazionale ruota intorno alle figure di Gianni Letta – consigliere del Cavaliere – del suo portavoce Paolo Buonaiuti e di Sandro Bondi. Che esista una dialettica tra queste componenti e che l’asse del nord voglia guadagnare per sè la centralità della scena romana lo dimostra il confronto dei giorni scorsi sul vicepremierato. Confronto vinto dalla Lega, malgrado si parli di un compromesso, frutto dei veti incrociati su Letta e Calderoli. Bossi infatti sacrificando il suo esponente, un falso scopo, come si direbbe in artiglieria, ha ottenuto l’abolizione della figura del vicepremier già destinata a Gianni Letta. La ratio di questa cosa la spiegavano ieri ambienti interni al Pdl: eliminato il problema del centro con la fuoriuscita dalla coalizione dell’Udc di Pier Ferdinando Casini dalle parti di via Bellerio ora l’idea è quella di non delegare più a nessuno la rappresentanza per le trattative politiche. Insomma la Lega non vuole avere dei sostituti di Casini

L’asse lombardo e il Pdl romano si confrontano sul nuovo esecutivo

Governo, la golden share è della Lega di Riccardo Paradisi interni al Pdl. Per questo il Carroccio accetta anche l’ipotesi di una permanenza di Roberto Formigoni al governo della Lombardia, rimandando di pochi anni soltanto la raccolta del frutto, e intanto come dice Calderoli badando al concreto: «A tagliare i nastri ci pensi qualcun altro. La Lega farà quel che deve». A cominciare dal garan-

riforme. Le attività produttive resterebbero invece a Claudio Scajola mentre i Beni culturali andrebbero ormai sicuramente a Sandro Bondi che dovrà rimediare ai disastri di una riforma infelice e a due anni di sbando. Gianni Letta rientra nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, carica che ricoprì nei 5 anni del

ministeri: la Difesa – a Ignazio La Russa – le infrastrutture o l’Ambiente – ad Altero Matteoli (ma c’è chi parla di Stefania Prestigiacomo a questo ministero che non dovrebbe più essere accorpato con le infrastrutture) e il Welfare – che dopo l’ascesa al Campidoglio di Alemanno resta una casella con un punto interrogativo la

Manovre per la formazione della squadra di Silvio Berlusconi: Franco Frattini ha rifiutato lo scranno di Montecitorio per rimanere Commissario europeo e permettere al Cavaliere la nomina del suo successore a Bruxelles tire il dicastero dell’economia a Giulio Tremonti a cui Berlusconi forse avrebbe preferito qualcun altro (chiunque altro, magari più accomodante e meno autonomo) per continuare con le riforme del federalismo, con il ticket Bossi-Calderoli al federalismo e all’atttuazione delle

precedente governo Berlusconi mentre dopo la vittoria di Gianni Alemanno a Roma e la presidenza di Gianfranco Fini alla Camera la componente di Alleanza nazionale all’interno del Pdl sembra sostanzialmente pacificata. Alla destra infatti dovrebbero andare anche tre

cui risposta forse è Maurizio Sacconi. All’ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone (An) potrebbe andare in questo caso il ministero delle politiche comunitarie.

Anche Raffaele Fitto potrebbe entrare nella squadra di

governo di Silvio Berlusconi con la delega agli affari regionali. È un’indiscrezione che gira da qualche giorno e che non è stata nè confermata nè smentita. Sta lì in attesa di verrifiche. Più sicure invece sembrano le nomine del leghista Luca Zaia all’Agricoltura quella di Paolo Bonaiuti ai Rapporti col Parlamento, certa quella di Franco Frattini alla Farnesina. Il quale per non dimettersi subito dalla poltrona di commissario europeo si dimetterà da deputato, in attesa che il Cavaliere nomini da primo ministro il nuovo commissario a Bruxelles. Una volta dimessosi dall’incarico europeo Frattini riceverà quello di ministro degli Esteri dallo stesso Berlusconi. Molto probabile ormai anche la nomina al ministero della Solidarietà sociale o alla famiglia a Mara Carfagna. Ipotesi che giovedì scorso faceva scrivere un lungo articolo di colore al quotidiano di centrodestra spagnolo El Mundo, che parla dell’ostinazione del Cavaliere di volere ministro l’ex finalista di Miss Italia e questo con buona pace di chi, anche all’interno del Pdl, manifesta, molto discretamente, delle perplessità per questa scelta. L’esercito degli aspiranti ministri del resto è foltissimo: «Che ci sia un ministero affidato all’Mpa», ha dichiarato il leader del Movimento per l’autonomia Raffaele Lombardo, insediatosi ieri alla presidenza della Regione, «farebbe parte della logica dell’alleanza. Anche se non ne facciamo una questione di vita o di morte». Insomma bontà vostra. Noi siamo a disposizione.


politica

29 aprile 2008 • pagina 7

Pur travolto dal voto, Veltroni avvia le consultazioni per confermare Soro e Finocchiaro

Capigruppo, il Pd si attacca al telefono d i a r i o

d e l

g i o r n o

Casini verso la presidenza del gruppo Potrebbe essere Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, a guidare il gruppo dei parlamentari centristi alla Camera. Non c’è ancora una decisione definitiva, ma, spiegano in via dei Due Macelli, «una valutazione in corso». L’alternativa è che Casini torni alla segreteria del partito e che l’attuale segretario, Lorenzo Cesa, guidi invece i 36 eletti a Montecitorio. Non si tratta di una spaccatura interna al partito, la decisione dipende solo da valutazioni politiche: «L’unica cosa da capire- sottolinea Mauro Libè, deputato considerato molto vicino al leader- è se sia più opportuno che Casini rivesta il ruolo di segretario o di capogruppo». Nel caso Casini dovesse convincersi per Montecitorio, a Cesa toccherebbe anche il compito di guidare il processo della “Costituente di centro” tra Udc e Rosa bianca. Il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione dovrebbe invece assumere l’incarico di vicepresidente della Camera.

Parlamento, oggi al via la XVI legislatura di Susanna Turco

ROMA. Dice chi l’ha ben conosciuto, sia da politico che da giornalista, che arrivato al punto più basso della sua breve vita politica, il Pd sconfitto pure nella roccaforte di Roma avrà bisogno in prima istanza di riprendersi dalla batosta: poi, certo, partirà la resa dei conti, e se ne vedranno delle belle. Di certo, la strada attendista e low profile - ossia riconfermare gli uscenti Antonello Soro ed Anna Finocchiaro - presa ieri mattina da Walter Veltroni (in accordo con gli ex popolari) sul capitolo capigruppo sarà comunque la prima a risentire della pesante sconfitta subita al Campidoglio. In che modo, però, resta ancora da vedere, perché non è detto che la guerra fra bande, che pure presto comincerà, avrà inizio proprio da qui. Ma andiamo con ordine.

Ieri mattina, al Loft di Piazza Sant’Anastasia, Walter Veltroni ha riunito prima l’ufficio politico del Pd, il cosiddetto caminetto, e poi i gruppi parlamentari, per una prima analisi della situazione. Tema caldo, quello appunto dei capigruppo, sul quale in questi giorni ha pesato fra l’altro la «disponibilità» di Pierluigi Bersani che, spalleggiato da D’Alema, aveva invitato il segretario del partito ad evitare «scelte calate dall’alto». Ebbene ieri, dopo un giro di tavolo nel quale i più si proclamavano d’accordo con la linea veltroniana di «non muovere una pianta» in attesa degli eventi, e dopo che D’Alema - a differenza di Bersani - aveva preferito non pronunciarsi sul tema, a passare è stata la linea veltroniana. «La mia proposta è quella di verificare, attraverso una consultazione tra i parlamentari, se c’è la condivisione nel riconfermare i capigruppo uscenti di Camera e Senato», ha spiegato Veltroni ai parlamentari del

gruppo. Se i gruppi parlamentari del Pd di Camera e Senato decideranno di eleggere dei nuovi capigruppo, non confermando quindi Anna Finocchiaro e Antonello Soro, questi non dovranno appartenere a un’unica «area culturale» ha spiegato ancora Veltroni. Il leader del Pd ha proposto la riconferma dei capigruppo uscenti, spiegando che però se, dopo una consultazione, i due gruppi si pronunceranno per una innovazione, «allora delle persone nuove si candideranno senza nessun problema». «Tra l’altro - ha proseguito Veltroni - tutti i nomi che ho letto sui giornali a me vanno benissimo».Veltroni ha posto però una clausola: «Nel nostro partito - ha ricordato - ci sono tante culture; se nella scelta dei

Nonostante i ripetuti inviti del segretario, i radicali non hanno ancora deciso se entrare o no nei gruppi del Pd. E la scelta non è così scontata capigruppo ne prevalesse una sola, il Pd ne sarebbe danneggiato. Serve una intelligenza politica - ha concluso - che forse non serve nemmeno ricordare qui».

Così, proprio a un passo dall’ultimo terremoto elettorale, un paio d’ore prima della chiusura delle urne dei ballottaggi il Pd ha deciso di procedere con consultazioni telefoniche di tutti i parlamentari. E, con un effetto vagamente surreale, nel tardo pomeriggio, proprio mentre Veltroni parlava della necessità di una seria e profonda riflessione sulle ragioni

della sconfitta, Francesco Rutelli si batteva il petto, e i sostenitori di Alemanno marciavano festosi verso il Campidoglio al grido di «Veltroni dacce le chiavi», i quattro “saggi” incaricati iniziavano le «consultazioni», incontrando personalmente i neo-eletti nelle sedi dei due gruppi parlamentari: Antonello Giacomelli e Michele Ventura alla Camera, Antonello Cabras e Maria Pia Garavaglia al Senato. In quale clima, c’è solo da immaginarselo.

Capigruppo a parte, il Pd ieri ha stabilito che non avrà candidati di bandiera alle elezioni dei presidenti di Camera e Senato: «Voteremo scheda bianca», ha spiegato D’Alema al termine dell’incontro al Loft. Ancora aperto, invece il dibattito sul gruppo unico alla Camera. La pattuglia di radicali eletta col Pd non si è ancora iscritta ai gruppi parlamentari del partito di Veltroni («c’è ancora tempo fino a venerdì», spiegano). Al fondo, c’è la polemica sul caso dell’Italia dei Valori, che farà gruppo a sé nonostante le indicazioni date in campagna elettorale. Una scelta che ieri Veltroni è tornato a difendere: «In caso di vittoria era necessario avere un gruppo unico ma all’opposizione può perfino tornare utile avere diverse opposizioni in Parlamento», ha spiegato. Per poi aggiungere: «Abbiamo rivolto un invito ai Radicali a far parte del gruppo del Pd e gli abbiamo chiesto di condividere i contenuti politici della nostra opposizione. Adesso rinnovo quest’invito. So che è in corso una discussione tra di loro su questo mi auguro che si concluda positivamente». Pronta la risposta della Bonino: «Non abbiamo ancora deciso». E, a quanto si dice, la scelta finale non è poi così scontata.

Over 50 (la media è di 53,35 anni), senza “ali” estreme in Aula, drasticamente ridotto quanto a numero di gruppi parlamentari (da 28 a poco più di 10) e quindi anche un po’ meno costoso (si parla di -11 milioni di euro annui). Si presenta cosi’ la XVI legislatura del Parlamento repubblicano, che da stamattina inizia con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato.

Prodi dice no all’offerta Gazprom Il presidente del Consiglio Romano Prodi si dice lusingato ma declina l’offerta di guidare la joint venture tra Gazprom-Eni denominata South Stream. Lo riferiscono fonti di Palazzo Chigi, al termine dell’incontro tra il premier uscente e il numero uno della società russa Gazprom, Alexey Miller, e l’ad di Eni Paolo Scaroni. Durante l’incontro si è analizzato l’ottimo e amichevole andamento delle relazioni politiche e commerciali tra l’Italia e la Russia ed è stata avanzata al premier la proposta di assumere la presidenza della joint venture tra Gazprom e Eni; come però aveva avuto modo di anticipare nel corso di un recente colloquio telefonico con Putin, Prodi, pur lusingato per l’importanza della proposta, ha ribadito la sua intenzione di non interrompere il periodo di riflessione apertosi con l’annuncio della sua uscita dalla vita politica italiana e quindi ha preferito declinare l’offerta.

Allarme Ue per l’Italia: «Pil giù, deficit su» Nelle sue previsioni si primavera, la Commissione europea stima un taglio dello 0,5 per cento del Pil italiano per il 2008 e la crescita del deficit al 2,3 per cento.Aumenta così il differenziale fra il nostro e gli altri Paesi europei. Timori per l’inflazione: «A rischio le famiglie a basso reddito».

Afghanistan, Parisi: «Avanti con impegno» Una «aggressione occasionale e circoscritta», che non farà uscire gli italiani «con le mani in alto» dall’Afghanistan; al contrario «ci impegneremo ancora di più sul versante delle formazione dell’esercito afgano». Così dal Kosovo il ministro della Difesa, Arturo Parisi, parla dell’attentato a Kabul, al quale è scampato lo stesso presidente Karzai. Ai militari schierati Parisi dice di sentirsi come «una guardia che smonta», ma con la consapevolezza che c’è «chi si appresta a sostituirci al servizio della stessa Repubblica. È un cammino che continua» e «i soldati devono stare tranquilli», perché alle spalle hanno «un Paese che, pur nelle legittime differenze di opinione, e’ unito sulle cose essenziali».


pagina 8 • 29 aprile 2008

pensieri

La sfida della Marcegaglia per superare il nodo dell’accesso al credito

Un patto tra imprese e banche per le Pmi di Ettore Gotti Tedeschi uando una dozzina di anni fa conobbi Emma Marcegaglia, lei si occupava della gestione finanziaria del suo gruppo industriale e rimasi impressionato dalle sue doti. Mi rassicurai sulle prospettive delle donne nella vita pubblica: se fossero state tutte così il sistema non poteva che guadagnarci. Fui profeta. Ma mettiamo da parte il necessario flattering dovuto al Presidente di Confindustria e vediamo i problemi che dovrà affrontare con il sistema bancario. Inquadriamo, per cominciare, in quale ciclo del sistema bancario italiano ci troviamo e quali sono i suoi caratteri. Vor-

Q

guente disponibilità finanziaria, non era mai nato. Pertanto mancavano capitalisti e soldi per il processo di privatizzazione, che doveva esser domestico. Furono le grandi banche a dover assicurare sostegno ai gruppi che stavano soffrendo la fine del mercato protetto e a dover finanziare quasi totalmente le privatizzazioni per un nuovo capitalismo sprovvisto di risorse. E questo nella fase in cui dovevano a loro volta privatizzarsi e imparare a stare sul mercato.

Devo riconoscere che sono stati fatti miracoli da parte di molti nuovi managers bancari. Ma in questo contesto gli impieghi delle banche hanno priLa neo presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Nel suo programma c’è la difesa delle prerogative del tessuto di piccole e medie imprese manifatturiere

rei definire questo periodo il più complesso mai vissuto: oggi le maggiori banche italiane sono riuscite, con uno sforzo immane, a uscire da una fase durata cinquant’anni di sostegno al sistema pubblico (il maggiore e più inefficiente d’Europa). E dove le banche avevano un ruolo semi sociale, erano a loro volta pubbliche (in Italia praticamente non c’erano banche private) e non si ponevano obiettivi di redditività ed efficienza. A partire dal 1993, con la prima privatizzazione di Credit (e poi di Comit, San Paolo, Imi etc) le banche cominciano una nuova era. Che coincide anche con il processo di liberalizzazione del mercato italiano e le necessarie privatizzazioni. Dopo cinquant’anni di statalismo scopriamo che un vero capitalismo privato, con conse-

vilegiato le grandi operazioni di privatizzazione e sostegno. Molto meno, rispetto a quanto necessario, è andato a finanziare i bisogni di crescita delle medie e piccole imprese, meno conosciute nel loro rischio delle grandi, perciò con una politica creditizia più prudente e cara. Il recente consolidamento ha poi modificato il modello di offerta. Oggi tre banche hanno raggiunto in tempi brevi circa il 60 per cento del mercato, rendendo più complessa la prossima dinamica di competizione per le altre banche, sostanzialmente le Popolari, che dovranno concentrarsi su un territorio circoscritto con il massimo della quota e capacità per poter aver un ruolo effettivo per le medie e piccole imprese. Un ruolo che mi pare a loro più proprio, soprattutto se le tre grandi avranno come vocazio-

ne la ricapitalizzazione del sistema industriale che deve restare domestico per scelta di politica economica (come per Alitalia). Non credo che ciò sia quello che realmente avverrà, ma lo scenario va considerato. I problemi però saranno tanti, per due fatti principali: intanto, la crisi finanziaria in corso e il conseguente cambio di modello competitivo richiesto; quindi, la riduzione dei prezzi dei servizi bancari che l’Autorità imporrà al sistema. Vediamoli. Dopo la sbornia di illusoria liquidità e credito senza rischio degli ultimi tempi, le banche dovranno tornare al reale. Il reale significa quattro cose in pratica: primo, privilegiare il “retail”perché è mestie-

È necessario un compromesso: se gli istituti devono ridimensionare le loro aspettative di redditività le aziende dovranno presentare piani più trasparenti

Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Da tempo la Vigilanza, insieme con l’Antitrust, si batte per ridurre i costi bancari a carico dell’utenza

re meno volatile, permette di fare economie di scala e di dare più stabilità alla raccolta e impiego (perciò gli sportelli costano così tanto e le banche così poco…);secondo, ritornare ai fondamentali di gestione bancaria (Roe, gestione del rischio, riduzione costi, etc); terzo, riformulare un modello di crescita di valore più verosimile, credibile e sostenibile nel breve e lungo termine; quarto, accelerare la nascita dei modelli bancari low-cost soprattutto per i nuovi segmenti emergenti di clientela (giovani, immigrati, precari…). Queste quattro azioni dovrebbero in parte facilitare gli impegni di Emma Marcegaglia per sostenere politiche di credito verso le medie imprese: il retail crescerà i rapporti con le Pmi. La banca low-cost privilegerà i rapporti con le Pmi. Pos-

Incentivare l’attività retail e il lancio di offerte low-cost serviranno per venire incontro alle realtà più deboli e meno tutelate in questi anni dal sistema

so aver dubbi sul fatto che la grandi banche conoscono poco il rischio delle Pmi e pertanto necessitano soluzioni. Una raccomandazione, certo inutile, al nuovo presidente di Confindustria è proprio di affrontare questo problema: le banche grandi devono imparare a conoscere meglio il loro rischio Pmi e attrezzarsi a gestirlo. Per reciproco vantaggio.

Il problema incombente della riduzione prezzi dei servizi in Italia può diventare un problema grave. In Italia sono molto più alti che in Europa. Non perché i costi siano più alti – anzi sono stati ridotti – ma perché sono cresciuti i prezzi al pubSergio Siglienti, presidente della Comit all’epoca della privatizzazione della banca. Una scelta epocale che cambiò le regole di gestione del settore

blico per compensare il calo di redditività dovuto al finanziamento del sistema da sostenere e privatizzare. Senza commissioni così alte che succederà alla redditività del sistema bancario italiano? Forse è necessario un “compromesso” dettato da una adeguata politica economica, compensato da ridimensionamento delle aspettative di redditività del sistema e dalla capacità innovativa del nostro management bancario. Ma anche le medie imprese dovranno fare più di uno sforzo per permettere alle banche di capire bene i loro piani industriali, attrezzandosi adeguatamente nelle strutture manageriali o nella governance. So per esperienza che certe cose succedono solo quando si è in difficoltà, ma le difficoltà non mancheranno…


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parole

29 aprile 2008 • pagina 9

Gli sceriffi del Nord. Viaggio tra i nuovi sindaci leghisti/1 Massimo Bitonci

Il Giuliani di Cittadella per molti è l’erede di Bossi colloquio con Massimo Bitonci di Nicola Procaccini

ROMA.

Comincia oggi un viaggio nel nord del Paese. Si andrà alla ricerca del cosiddetto modello Lega, ovvero di quel filo conduttore che unisce le amministrazioni comunali guidate dal partito di Umberto Bossi e delle ragioni che hanno permesso al Carroccio di radicarsi così profondamente e diffusamente nel popolo del nord. Giovane, laureato, poco diplomatico ma efficiente, generalmente è questo l’identikit del sindaco leghista. Massimo Bitonci, rappresenta bene il prototipo dell’amministratore “padano”. Per alcuni si tratta del possibile erede di Umberto Bossi. Per altri è soltanto il leghista noto alle cronache per l’ordinanza anti-sbandati che pochi mesi or sono ha provocato un terremoto di polemiche. Per gli abitanti di Cittadella in provincia di Padova è il sindaco. Massimo Bitonci ha 44 anni e sta svolgendo il suo secondo mandato da primo cittadino. Guida un monocolore leghista, e paradossalmente il Popolo della Libertà si trova all’opposizione dopo aver visto il proprio candidato sconfitto al primo turno. In queste ore si trova a Roma per lo svolgimento degli adempimenti parlamentari. Così si chiamano le operazioni di routine che devono compiere i nuovi deputati prima dell’insediamento ufficiale a Montecitorio. Già, perché il sindaco Bitonci è stato appena eletto tra le file della Lega Nord ed ora dovrà dividersi tra l’impegno politico nazionale e quello territoriale. Sono davvero molti gli amministratori locali candidati in parlamento dalla Lega. Come mai? Siamo un partito vero che orienta le sue scelte in virtù del territorio che si deve rappresentare a Roma. La Lega ha scelto i suoi candidati soprattutto tra gli amministratori locali perché sono quelli maggiormente radicati, mica li è andati a cercare nel mondo dello spettacolo o in altri ambienti che non hanno niente a che fare con la politica. Uomini e donne preparati e collegati col territorio. Dove la preparazione è

Massimo Bitonci è sindaco di Cittadella dal 2002. È stato rieletto nel 2007. Nelle foto a destra due immagini della cittadina in provincia di Padova: In alto la cinta muraria con le 32 torri e sotto, il castello di Porta Bassano

fatta di titoli di studio, ma anche d’esperienza. Vero, però spesso l’esperienza è direttamente proporzionale all’età anagrafica. La Lega è un partito fatto di giovani e votato dai giovani. Uno dei pochi rimasti con degli ideali di fondo, con dei programmi chiari: federalismo, sicurezza, lotta all’immigrazione selvaggia. Sono argomenti che fanno molta presa a livello giovanile, d’altra parte basta vedere la differenza di voti presi dal

della spesa. Se ci sono delle spese che vanno tagliate, lo si fa, senza remore. Meno sprechi dappertutto a Roma, come nelle nostre città. Le voci dello sperpero pubblico come le consulenze o il personale o le società miste pubblico – privato, noi le riduciamo all’osso. La politica, secondo Lei è un lavoro? Io sono un commercialista, ho uno studio, un socio, una decina di collaboratori. Quello è il mio lavoro, ma parallelamente c’è l’impegno politico. Quando finirà tornerò ad occuparmi esclusivamente

Noi raccogliamo consensi dovunque, senza distinzioni sociali. La gente che ci vota vuole indicazioni serie: federalismo, sicurezza e immigrazione. Non gli interessa nient’altro nostro partito tra Camera e Senato. Un segnale dal mio punto di vista positivo. Eppoi molti dei nostri amministratori hanno fra i 30 e i 40 anni. A differenza di quanto avviene da altre parti si matura una notevole esperienza senza bisogno di diventare ottuagenari. In effetti, si tratta di esperienze che spesso incontrano il favore dell’elettorato, ma tecnicamente quali sono gli elementi principali di una buona amministrazione. Noi cerchiamo di applicare il controllo

del mio lavoro. I politici non devono dipendere dalle istituzioni, dalla“seggiola”. Qualche tempo fa’ Lei è salito alla ribalta nazionale per aver firmato un’ordinanza “anti-sbandati”. Ci può spiegare di cosa si trattava? E come è andata a finire con la Procura che l’ha messa sotto inchiesta per usurpazione di funzione pubblica? Mi sono accorto di un forte incremento della criminalità nella mia città dopo l’apertura indiscriminata delle frontiere. E

così ho redatto un’ordinanza che in estrema sintesi dispone una verifica delle residenze anagrafiche e reddituali. La valutazione dell’idoneità dipende da una serie di condizioni: un reddito minimo, la fedina penale pulita e un alloggio che non sia una grotta, un ponte o una tenda. Questa ordinanza mi è valsa un avviso di garanzia per usurpazione di funzione pubblica. Sono stato ascoltato in procura dove hoesposto le mie ragioni e nel giro di un mese e mezzo circa il procedimento è stato archiviato. E Lei è diventato un eroe… Ma la Lega Nord è di destra, di centro o di sinistra? La Lega è un partito territoriale, senza alcuna connotazione ideologica vecchio stampo. D’accordo, ma il suo elettorato? Noi raccogliamo consensi dovunque, senza distinzioni sociali. La gente che ci vota vuole indicazioni serie: federalismo, sicurezza e immigrazione. Non gli interessa nient’altro. Una provocazione finale. Si sente più italiano, padano o cittadellese? Mi sento cittadellese, veneto e padano. E italiano? D’accordo anche italiano, ma rigorosamente nella progressione che le ho appena detto, lo scriva per favore.


pagina 10 • 29 aprile 2008

opo quasi due anni di governo il presidente del Messico Felipe Calderón presenta al Congresso il progetto di riforma energetica del Paese e scatena il finimondo. La proposta vede infatti una riforma della legge che regola la compagnia di petrolio messicana - Pemex- e una modifica dell’articolo 27 della Costituzione. Il Messico è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e il terzo fornitore di greggio degli Stati Uniti. La sua politica in materia di energia e di esplorazione del petrolio è sempre stata fortemente protezionista. Dopo la scoperta dei giacimenti nel 1901 il petrolio divenne rapidamente una delle principali fonti di sussistenza dell’economia messicana, anche se la maggior parte delle compagnie petrolifere erano statunitensi. Nel 1934 nasce Petróleos Mexicanos, la compagnia di petrolio messicana e nel 1938 il Presidente della Repubblica Lazaro Cárdenas espropria a favore della nazione tutte le compagnie straniere, dichiarandosi disposto ad indennizzarle. Da allora e per sempre il petrolio es y seguirá siendo de los mexicanos.

mondo

D

L’articolo 27 della Costituzione non permette infatti a nessuno che non sia di nazionalità messicana di appropriarsi in alcun modo delle risorse naturali, comprese ovviamente quelle del sottosuolo. Ma praticamente non permette neanche di lavorarle, di raffinarle o di aiutare ad estrarle. Gli stranieri insomma, al petrolio, non ci si devono proprio avvicinare. Con il passare del tempo però stanno cominciando ad emergere non pochi problemi legati allo sfruttamento di questi giacimenti di oro nero. Sembrerebbe infatti che i messicani da soli non siano più in grado di sfuttarli al meglio. In particolar modo manca loro la tecnologia adeguata per estrarre il petrolio in acque profonde, per i processi di raffinazione ed anche per lo stoccaggio. Questa situazione comincia a penalizzare pesantemente il Paese, basti pensare che il Messico importa oggi il 40 percento della propria benzina. Calderón questo lo sa bene, ma bisogna dargli atto che per riformare Pemex ci vuole molto coraggio e molta autorevolezza politica. Il petrolio per i messicani ha a che fare con il concetto stesso di sovranità e di nazionalismo. Per essere sovrani nel proprio stato si deve essere sovrani sul proprio petrolio. Stando così le cose, è facile ca-

Il Paese è uno dei maggiori produttori mondiali e il terzo fornitore di greggio degli Usa

La sfida di Calderón, privatizzare il petrolio messicano di Benedetta Buttiglione Salazar

La Costituzione non permette agli stranieri di appropriarsi delle risorse naturali, ma nemmeno di lavorarle, raffinarle o estrarle. Proposta una riforma pire che aprire Pemex ad investimenti stranieri non deve essere proprio un gioco da ragazzi. Ed infatti Calderòn ci va con i piedi di piombo. In realtà tutta la bagarre scoppiata al Senato, con il partito dell’opposizione Prd - Partido de la Revolución democrática che denuncia la riforma come minaccia alla sovranità nazionale e già profetizza la trasformazione del Messico in una colonia americana, non ha nessun vero motivo di esistere. Non si tratta di vera privatizzazione, semmai di una mini-privatizzazione, nel senso che finalmente Pemex potrà assumere imprese private - messicane e straniere - per la raffinazione del petrolio e, soprattutto, per la esplorazione in acque profonde, dove ormai non riesce più ad arrivare. Anche i con-

di estrazione e di esplorazione verrà stabilito a lavoro terminato. Il petrolio rimarrà sempre di proprietà messicana e viene sottolineato con enfasi che il mezzo di pagamento sarà sempre e soltanto il denaro, mai il greggio estratto.

tratti legati alla lavorazione del petrolio cambieranno e verranno introdotti i cosiddetti contratti flessibili: in pratica, non potendo sapere da prima quanto petrolio verrà davvero estratto e quanto profonde dovranno essere le esplorazioni, il prezzo da pagare per il lavoro

Ovviamente i più interessati a questa nuova iniziativa sono i vicini del nord, gli Stati Uniti : Secondo il New York Times questo è un piccolissimo passo avanti «stanno facendo 50 piccoli passi nella giusta direzione, è certamente meglio di niente, ma non molto meglio di niente». Certamente gli americani vorrebbero di più, vorrebbero poter intervenire direttamente con le proprie compagnie, ricavandone maggiori vantaggi. E non ci sono solo loro. Una vera privatizzazione del mercato petrolifero messicano - e a seguire del settore energetico - fa

gola a molti imprenditori stranieri, compresi gli italiani. Per adesso, se la riforma verrà approvata, le imprese straniere che si lanceranno nell’avventura del petrolio messicano potranno essere proprietarie delle infrastrutture che costruiranno per la sua estrazione e raffinazione e potranno gestire il trasporto degli idrocarburi. La riforma contempla anche la vendita di parte del patrimonio di Pemex ai messicani - e solo a loro - attraverso la emissione di “Bonos ciudadanos”, sostanzialmente una sorta di azioni. La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale hanno salutato positivamente questa prima proposta. Vedono in essa, infatti, la possibilità per il Messico di migliorare lo sfruttamento delle sue risorse energetiche, creando più ricchezza per il paese. Augusto de la Torre, economista della Banca Mondiale a capo dell’unità sull’America Latina ed il Caribe, afferma addirittura che una riforma energetica di questo tipo potrebbe aiutare il Messico a difendersi dalla influenza della recessione americana. Come si sa i legami economici tra i due Paesi sono molto stretti. Almeno l’ottanta per cento del commercio del Messico è con gli Stati Uniti e una buona percentuale del prodotto nazionale messicano è data dalle rimesse dei quasi 20 milioni di messicani che vivono e lavorano negli Usa e che risulteranno senz’altro penalizzati dalla sfavorevole congiuntura economica americana.

Adesso il dibattito è aperto. Il Presidente Calderón è già intervenuto in televisione in alcuni messaggi pubblicitari in cui cerca di spiegare ai messicani i vantaggi di questa parziale apertura ai mercati stranieri. Poche ore dopo è stato denunciato all’Istituto federale elettorale da parte del partito di opposizione che ha giudicato incostituzionali queste sue apparizioni televisive. E non è tutto, perché pare che verrà chiesto alla Camera dei Deputati di sottometterlo ad un giudizio politico, sempre per comportamento anti-costituzionale. Insomma, si deduce che la approvazione della riforma non sarà proprio una passeggiata per il governo. I senatori del Prd hanno per il momento occupato i banchi del Senato in segno di protesta, si è parlato anche di sottoporre la riforma a referendum, ma sembra che alla fine stia per essere raggiunto un accordo tra tutte le forze politiche per organizzare un dibattito di 50 giorni sul tema petrolifero.


mondo

29 aprile 2008 • pagina 11

Primarie in stile americano dopo il compromesso tra Mariano Rajoy ed Esperanza Aguirre

Braccio di ferro “popular” in Spagna d i a r i o

di Enrico Singer

g i o r n o

Nuovo governo in Ungheria

ariano Rajoy sarà confermato presidente del partito popolare spagnolo, ma dal congresso che si terrà tra poco più di un mese a Valencia potrebbe uscire una novità assoluta: l’introduzione delle primarie per scegliere il candidato che, nel 2012, dovrà contendere ai socialisti la guida del Paese. Come dire che Rajoy, battuto già due volte da Luis Zapatero nelle elezioni del 2004 e del marzo scorso, sarà un leader a tempo: gestirà il partito nella lunga traversata del deserto, ma dovrà conquistarsi in una sfida a colpi di voti tra i 700mila iscritti l’opportunità di presentarsi per la terza volta al giudizio degli spagnoli. La mozione di riforma dello statuto che dovrebbe consentire le primarie è già pronta. L’ha preparata Inigo Henriquez de Luna che è il segretario del Pp in uno dei quartieribene di Madrid (Salamanca) e che, soprattutto, è un fedelissimo di Esperanza Aguirre, la principale avversaria interna di Mariano Rajoy. La mozione ha già raccolto l’adesione di una buona parte dei big del partito e molti giurano che passerà.

M

La crisi politica iniziata con la vittoria del partito ungherese di opposizione, Fidesz, al referendum di marzo, con il quale la destra intendeva bloccare il programma di riforme del governo social-liberale ha raggiunto un primo risultato. Al governo di coalizione, finito con le dimissioni del ministro della Salute, Agnes Horvath, è subentrato un monocolore socialista di minoranza guidato sempre da Ferenc Gyurcsany e sostenuto dall’esterno dai liberali. I tre ministri uscenti dell’Economia, Sanità e Ambiente saranno sostituiti da personalità socialiste. Il nuovo esecutivo dovrà adempiere tutte le procedure previste dalla costituzione di Budapest, prima di avere il via libera del parlamento danubiano. Il governo non potrà essere nella pienezza delle sue funzioni prima della settimana prossima.

Gruppi di fondamentalisti uccisi in Iraq A Bagdad negli scontri tra militari americani e soldati iracheni da una parte ed estremisti dall’altra sono stati uccisi 38 terroristi. Gli scontri, i più duri da settimane, sono iniziati quando le truppe governative hanno attaccato un punto di controllo nella zona nordorientale della capitale. Gli insorti, cercando di utilizzare una tempesta di sabbia per non essere notati, hanno attaccato non solo diversi punti di controllo ma anche la super protetta “zona verde”. Domenica la battaglia si è concentrata soprattutto nel quartiere di Sadr City, un feudo della milizia del Mahdi, il predicatore sciita Muktada al Sar.

Coalizione nero-verde in Germania

Anzi, l’idea di barattare la conferma dell’attuale presidente del partito con l’introduzione del sistema di scelta del candidato da presentare alle elezioni in stile americano sarebbe frutto di un compromesso proprio tra i due principali contendendenti. Da quando il socialista Zapatero è stato rieletto premier, nel partito popolare si è aperta una crisi profonda. Mariano Rajoy ha rifiutato di indossare i panni del capro espiatorio. Ha rivendicato alla sua leadership un successo almeno relativo perché è pur vero che il Pp ha conquistato più seggi (153) di quanti ne aveva ottenuti nel 2004 e il psoe ha vinto (ora ha una maggioranza di 169 seggi) perché è riuscito a togliere consensi all’estrema sinistra e ai partiti locali. Ma anche questi numeri innegabili non bastano a far digerire la sconfitta ai popolari e le spinte per un cambiamento del gruppo dirigente sono diventate più forti in vista del prossimo congresso. La stessa Esperanza Aguirre, fino a pochi giorni fa, aveva meditato di dare battaglia subito. Di presentare una sua candidatura alternativa a quella di Rajoy già di fronte ai 3.025 delegati che si riuniranno a Valencia in giugno. Il tono della polemica aveva raggiunto toni molto aspri. La Aguirre era arrivata a dire che «i socialisti preferiscono uno come Rajoy

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Esperanza Aguirre in visita dal Papa come avversario» e la risposta del presidente del Pp non si era fatta attendere: «Se qualcuno vuole andare via dal partito, si accomodi pure». Poi, però, è scoppiata la tregua dopo un chiarimento telefonico tra i due che, guarda caso, è stato seguito a distanza di 24 ore dall’annuncio della mozione per introdurre le primarie come meccanismo di scelta del candidato premier.

Finora in Spagna la tradizione della democrazia post-franchista vuole che sia il presidente del partito a guidare anche la campagna elettorale e a correre per la carica di primo ministro. In pratica, quindi, è il congresso del partito a designare non solo il suo massimo dirigente, ma anche il candidato premier. Nel caso dei popolari questo significa che Mariano Rajoy ha ancora un vantaggio: già responsabile della macchina del partito ai tempi di Aznar, l’attuale presidente del Pp ha il controllo dell’apparato e la Aguirre si è resa conto che la strategia di tentare subito un attacco sarebbe stata molo probabilmente suicida. Ecco, allora, l’idea del compromesso: al congresso non ci sarà can-

La sconfitta non digerita spinge i conservatori iberici a rinnovare le proprie leadership

didatura alternativa a Rajoy, ma la scelta del candidato premier per le prossime elezioni sarà affidata alle primarie che daranno voce direttamente agli iscritti togliendo potere all’apparato. E questo sistema dovrebbe aprire la strada ad Esperanza Aguirre che nasce politicamente nel partito liberale (confluito nei popolari nel 1987) e che, a 56 anni, è stata già la prima donna presidente del Senato (dal 1999 al 2002), ministro dell’Educazione nel primo governo Aznar (dal ’96 al ’99) e che, dal 2003, è presidente della Regione autonoma di Madrid, uno dei bastioni del partito popolare che esprime anche il sindaco della capitale, Alberto Ruiz Gallardon, altro leader emergente del Pp. Se la Aguirre, un po’ come Hillary Clinton negli Usa, spera di diventare la prima donna a guidare la Spagna, il compromesso non decreta automaticamente una condanna per Rajoy. Nel 2009 ci saranno importanti appuntamenti elettorali - dalle regionali in Catalogna e nel paese basco fino alle europee - che Rajoy affronterà da presidente del partito e se il ”suo” Pp riuscisse a risalire la china, la battaglia delle primarie potrebbe anche riservare delle sorprese. Di sicuro al congresso di giugno Mariano Rajoy si presenterà come un leader che si ricandida alla presidenza del partito e alla sfida con i socialisti nel 2012. Poi si vedrà.

Domenica la base del partito ecologista di Amburgo ha dato il proprio assenso alla formazione della prima coalizione con i democristiani per il governo della città anseatica. L’assemblea cittadina dei verdi ha votato a schiacciante maggioranza, 80 per cento dei 440 dirigenti, per l’inedita alleanza. Lunedì sarà la Cdu ad esprimersi. Se, come tutto lascia prevedere, anche i democristiani diranno “ja”, il sette maggio il nuovo Senato eleggerà Ole von Beust, Cdu, per la seconda volta sindaco della città.

Strage di bimbi a Gaza L’esercito israeliano afferma di non essere responsabile dell’esplosione in cui sono rimasti uccisi una donna e i suoi quattro figli avvenuta, secondo Gerusalemme, dopo aver colpito due uomini che trasportavano esplosivo nelle borse. Hamas ha accusato l’esercito israeliano per la strage.

Iran e Pakistan uniti sul gasdotto Teheran e Islamabad, nonostante la dura opposizione di Washington, hanno deciso la costruzione in comune di un gasdotto del valore di 7,5 miliardi di dollari. Il ministro degli Esteri pachistano Shah Mahmood Qureshi in una visita nella capitale iraniana, ha detto che i due Paesi si augurano che il progetto energetico rafforzerà la pace e l’amicizia comune e nella regione. Il gasdotto lungo circa 2mila chilometri dovrebbe rifornire Pakistan e India col gas iraniano. Lunedì Ahmadinejad si è recato nello Sri Lanka, dove ha visitato una raffineria. Al ritorno si è fermato in India per alcune ore.

Scontro tra treni in Cina, 66 morti Gravissimo incidente ferroviario nell’est del Paese. Due treni passeggeri si sono scontrati. Il bilancio è, per ora, di 66 morti e 247 feriti ma potrebbe peggiorare. Almeno cinquanta feriti versano in gravissime condizioni.


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speciale

economia

NordSud

Ottocento milioni di persone rischiano di ingrossare le fila degli indigenti. Regole rigide e protezionismi, come in Europa, alla base di una fortissima emergenza alimentare

PIÙ FAME PER TUTTI di Carlo Lottieri s eg u e da ll a pr i ma

Un convinto sostenitore dell’esperienza neozelandese (stop degli aiuti pubblici e libertà di produrre) è Giorgio Fidenato, agronomo friulano che – quale segretario dell’associazione Agricoltori Federati – da tempo va conducendo una convinta battaglia contro la Pac. Ed è un assertore della necessità di aprire la strada all’innovazione in ambito agricolo: a partire dall’uso degli Ogm. La tesi di Fidenato è difficilmente contestabile: «Avere finanziato le aziende agricole europee ha rallentano quei processi di ammodernamento che, specie in Italia, passano dalla fine di un’agricoltura fatta di appezzamenti troppo piccoli. Perché sia possibile uno sfruttamento migliore delle risorse i protagonisti del settore vanno indotti a fare scelte imprenditoriali. Ma il sistema degli aiuti e

Come rileva Fidenato, politici e burocrati pensavano di prevedere il futuro e hanno progettato l’agricoltura europea del domani, ma sono stati travolti dalle trasformazioni in atto. «Per anni ci hanno detto che bisognava indirizzarsi verso la logica dello Slow food e dell’aristocrazia culinaria, e ora non abbiamo grano o mais da vendere a Paesi che lo comprerebbero volentieri». L’attuale incremento dei prezzi dei cereali trae origine dal sommarsi di un’annata cattiva per ragioni meteo (in Australia, per esempio), della crescita economica di Paesi poveri che iniziano a nutrirsi meglio (accrescendo la domanda) e del crescente utilizzo dei prodotti agricoli – indotto dagli incentivi statali, specie negli Usa – per la produzione del biofuel. In questo quadro le imprese europee appaiono spesso incapaci di cogliere le opportunità po-

La Pac ha bloccato la produzione e introdotto pericolose restrizioni le logiche dettate dagli ecologisti (a partire da quanti hanno promosso il biologico) hanno impedito tutto ciò. Oggi il mercato ci chiederebbe di aumentare le produzioni, ma in realtà la Pac ci blocca». Per varie ragioni oggi i prezzi sono alle stelle, ma l’agricoltura europea (imbrigliata da un gran numero di regole) non è in grado di dare risposte.

sitive del presente, bloccate da un sistema iper-regolato che ne frena la crescita. Anche perché la Pac le ha rese più esperte nel seguire le trasformazioni del sistema normativo comunitario che non ad adattarsi alle esigenze del mercato. Il bilancio sulla Pac, insomma, è solo negativo: dato il gran numero di vittime che ha prodotto. In primo luogo hanno subito

gravi conseguenze di tale strategia i contribuenti, tassati per sostenere questa politica di sprechi. Ma ugualmente danneggiati sono stati i consumatori, dato che la Pac ha tenuto artificiosamente alti taluni prezzi. E per lo stesso motivo sono stati penalizzati gli agricoltori del Terzo Mondo (dove ancora si muove di fame, anche a causa della Pac), che non possono esportare i loro beni.

Per questo, se in passato la lotta contro il protezionismo era combattuta per lo più da pochi liberisti, oggi vi sono organizzazioni umanitarie di varia tendenza che avvertono l’urgenza di offrire a quanti vivono nelle aree più povere la possibilità di guadagnarsi onestamente da vivere e di esportare da noi i loro prodotti. D’altra parte, una quota del-

l’immigrazione clandestina è anche da addebitarsi alla Pac, che impedendo a quanti stanno in Africa di costruirsi un futuro li induce a venire da noi. Essi non vogliono vivere alle nostre spalle: ci chiedono solamente di poter venderci quei prodotti che, poiché gravati da dazi altissimi (140 per cento sul burro, 150 sullo zucchero e così via), ora non possono giungere nei nostri mercati. In apparenza, gli agricoltori sono i grandi beneficiari della politica agricola europea. E in qualche caso è così. Però nell’insieme – dopo un periodo di tempo ormai abbastanza lungo – possiamo dire che anche loro hanno finito per pagare un prezzo altissimo. In cambio dei finanziamenti hanno dovuto accettare una crescente limitazione delle produzioni e più in genere un freno

a loro sviluppo. Per questo motivo il settore appare in larga mostra arretrato. Un vantaggio netto dalla Pac, invece, hanno ricavato i professionisti del sindacalismo agricolo e le burocrazie comunitarie. Come rileva Fidenato, «c’è una tragica alleanza tra le comprensibili paure di tanti agricoltori (consapevoli dei guasti della Pac, ma timorosi di fronte al libero mercato) e gli interessi di chi gestisce il sistema. È questo intreccio che va sciolto, mostrando come gli aiuti ostacolino la libertà d’impresa e quindi finiscano per distruggere il settore». Il guaio è che una voce come quella di Fidenato, capace di formulare analisi razionali e a lungo termine, sia sommersa dal rivendicazionismo demagogico di chi non vuole cambiare nulla. Anche a costo di togliere ogni prospettiva all’intero mondo agricolo.


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ultimo segnale allarmante arriva dal commercio del riso: la corsa al rialzo dei prezzi internazionali dei prodotti agricoli di prima necessità ha investito anche l’alimento base per quasi un terzo della popolazione mondiale. Le sue quotazioni sono raddoppiate su tutti i più importanti mercati: nel caso della Chicago board of trade il prezzo di 100 libbre viaggia verso un aumento del 70 per cento da gennaio 2007 e ha superato la quota di 25 dollari. Ma non è un caso isolato. Il prezzo del frumento americano è salito del 130 per cento (481 dollari la tonnellata), quello del mais argentino del 35 per cento (216 dollari la tonnellata), mentre in Thailandia il riso bianco è balzato del 75 per cento, fino a 567 dollari.

L’

E in tutti questi Paesi, ricchi o in via di sviluppo che siano, sono tornati i razionamenti su cibi che sono basilari nell’alimentazione del mondo. Gli organismi internazionali sono concordi che, se non si ferma la crisi alimentare in atto, circa 100 milioni di persone rischiano di entrare sotto la soglia di povertà. E morire di fame. Di fronte a questo quadro poco incoraggiante vacillano i Millennium Goals: dimezzare entro il 2015 la percentuale di chi vive in povertà estrema sembra oggi un obiettivo davvero sfidante. Malgrado il loro numero sia diminuito di 278 milioni di unità tra il 1990 e il 2004, secondo la Fao, in tutto il mondo sono circa 800 milioni le persone che soffrono di fame cronica. E ogni giorno si registrano 40mila decessi correlati alla malnutrizione.

Negli Stati Uniti come in Thailandia ritornano i razionamenti

Riso e mais,l’oro del terzo millennio di Filippo Poletti Così la Commissione europea ha deciso di stanziare 117,25 milioni di euro. È stato il commissario allo Sviluppo, il belga Louis Michel, ad annunciarlo: «L’aumento dei prezzi sta per diventare un disastro umanitario a livello mondiale. Gli attuali programmi umanitari per la distribuzione del cibo stanno subendo fortissime pressioni, perché c’è sempre meno cibo per persone già sull’orlo della fame». Stessi toni dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon: «L’emergenza rappresenta un problema globale, contro il quale bisogna adottare misure immediate affrontando innanzitutto l’aspetto umanitario, che ha un impatto diretto sui più poveri dei poveri. Secondo Michel «questa non è una crisi alimentare classica ma di potere d’acquisto».Tra le cause, l’accento della domanda nei Paesi emergenti, il record del petrolio, l’aumento del prezzo dell’energia che ha ricadute sui trasporti e, infine, la scarsità dell’offerta legata al cambiamento climatico.

L’economista Giacomo Vaciago, durante un recente Forum di Coldiretti e Studio Ambrosetti a Venezia, ha notato come i prezzi molto elevati non siano legati a una domanda reale delle famiglie, ma a meccanismi di contrattazione dei mercati finanziari. «Gli speculatori fanno debiti in dollari e comprano petrolio o grano vendendoli al momento più opportuno. Siamo di fronte a un comportamento opportunistico degli operatori economici che mette in crisi i più poveri».

Il dibattito è aperto. E che non si tratti di un fenomeno passeggero lo dice anche la Banca mondiale: i prezzi degli alimentari rimarranno alti fino al 2009, poi cominceranno gradualmente a scendere grazie agli aggiustamenti tra domanda e offerta. Non si tornerà indietro: la maggior parte dei prodotti alimentari resterà più cara di quanto non fosse nel 2004. Per Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale, «la comunità internazionale deve mobilitarsi non solo per

offrire un supporto immediato, ma anche per aiutare i governi a identificare le misure e le politiche più appropriate per ridurre l’impatto sui consumatori più vulnerabili». Su come affrontare realmente il problema è intervenuto il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, al Forum di Venezia. Per Marini l’Italia e l’Europa devono decidere immediatamente di interrompere le agevolazioni destinate alla costruzione di grandi impianti industriali per la produzione di biocarburanti che utilizzano prodotti agricoli importati con un bilancio energetico fortemente negativo: «È necessario investire nello sviluppo di bioenergie prodotte attraverso impianti di piccole dimensioni che utilizzano materia prima locale all’interno di distretti energetici territoriali». Il presidente della Coldiretti ha sottolineato che occorre fermare i trasporti a lunga distanza di materie prime agricole e loro derivati destinati a megacentrali industriali per la produzione di biocarburanti che sprecano energia, influenzano negativamente le disponibilità alimentari e hanno un impatto negativo sul territorio nazionale. Secondo quanto è emerso nel corso del Forum della Coldiretti, per biocarburanti come l’olio vegetale di origine brasiliana il chilometraggio percorso con la nave per arrivare in Italia è di oltre 9mila chilometri con un consumo energetico che corrisponde al 6 per cento dell’energia contenuta nei prodotti trasportati, mentre per quello in arrivo dal Congo (per una distanza di oltre 5mila chilometri) si consuma il 3,3 per cento dell’energia trasportata.


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economia

NordSud

Organismi internazionali, politici e ambientalisti accusano questi combustibili. Dopo averli sponsorizzati

Che sorpresa, i biocarburanti sono inutili. E inquinano di Carlo Stagnaro ultimo ad aggiungersi alla lista dei detrattori è stato Romano Prodi. Intervenendo all’International Energy Forum, il premier uscente ha spiegato che «si sta delineando un conflitto tra cibo e carburante con disastrose conseguenze sociali a fronte di dubbi benefici ambientali». Al grido che «non possiamo stare a guardare», ha correttamente suggerito «di evitare che le politiche adottate per risolvere un problema ne creino un altro. L’aumento dei prezzi stimolato, oltre che dalla crescente domanda alimentare, dall’incremento della coltivazione dei biocarburanti, sta producendo forti tensioni in molti Paesi». Viene da chiedersi se sia lo stesso Prodi, o se si tratti di un omonimo, che nel 2007 al Consiglio europeo di primavera dava l’entusiastico endorsement alla nuova politica energetica europea, che contiene un ambizioso target del 10 per cento per la quota di mercato dei biocarburanti entro il 2020.

L’

Ma quel che è peggio è che le bioenergie – che hanno incassato le critiche bipartisan della maggior parte dei Paesi europei e delle organizzazioni ecologiste, oltre che dell’Ocse e delle Nazioni Unite – sono in realtà frutto di un tacito compromesso bipartisan. Da ministro dell’Agricoltura, Gianni Alemanno ne fu un acceso supporter, vedendovi un’occasione di ulteriore sussidio delle lobby agricole a lui legate. E gli stessi che oggi si lamentano, ambientalisti in primis, sono quelli che in passato hanno creato le condizioni perché le politiche di incentivazione fossero adottate e hanno contrabbandato i biocarburanti come l’uovo di colombo carbon-free per sal-

bustione diretta di biomasse per la produzione di elettricità è più efficiente del loro impiego per produrre biocarburanti. che Assumendo l’intento della legislazione nazionale e comunitaria sia quello di incoraggiare una produzione domestica dei biocarburanti (non l’importazione da paesi extra Ue), per soddisfare l’obiettivo del 5,75 per cento entro il 2010 fissato dalla direttiva sui biocarburanti le colture apposite dovranno occupare tra il 4 e il 13 per cento della superficie agricola totale dell’Ue25. Se a questo scopo dovranno essere impiegati terreni rimasti a lungo tempo incolti, l’emissione di CO2 dovuta all’aratura potrebbe annullare o ridurre significativamente, per molti anni, il beneficio del passaggio ai biocarburanti. E la diffusione delle colture energetiche potrebbe impattare negativamente la biodiversità in Europa. Dall’elenco era rimasto fuori solo l’impatto sui prezzi, ma non perché questo non fosse prevedibile: semplicemente perché l’Agenzia di Copenhagen si era focalizzata sulle questioni di rilevanza ambientale, lasciando da parte quelle strettamente economiche. Il fatto però che un aumento repentino della domanda, a fronte di un’offerta relativamente rigida, comporti una crescita significativa dei prezzi non dovrebbe stupire nessuno. Anche in Italia un rapporto dell’agenzia nazionale per la Protezione dell’ambiente (del 2002, pubblicato per volere del commissario Renato Angelo Ricci) afferma che «se il biodiesel dovesse essere miscelato al 5 per cento in tutto il gasolio consumato in Italia, nella migliore delle ipotesi la produzione agricola nostrana, per far fronte alla domanda, sarebbe costretta ad aumentare del 200 per cento, occupando il 50 per cento di terreno in più. Crescerebbero del 20 per cento anche l’acqua consumata e i pe-

Provocano l’aumento di emissioni dovute all’abbandono dei campi varci dalla schiavitù del petrolio. Non avevano fatto i conti con una realtà che non era difficile prevedere: i biocarburanti si contraddistinguono per un impatto ambientale molto pesante, contribuiscono all’escalation dei prezzi del cibo (con nocumento soprattutto dei Paesi più poveri), sono deludenti dal punto di vista competitivo ed energetico. Chi oggi cade dal pero, stupendosi delle conseguenze innescate dalla crescente domanda di biocarburanti, merita la massima riprovazione. È almeno dal 2004, infatti, che tutto era stato messo nero su bianco nei documenti ufficiali europei. Un briefing di quell’anno dell’agenzia europea per l’Ambiente spiegava che la com-

i convegni MILANO Martedì 29 aprile Palazzo Besana Federazione Anie (Confindustria), Unioncamere e IntesaSanpaolo e presentano l’Osservatorio congiunturale dell’industria elettrotecnica ed elettronica in Italia. Discuteranno dei problemi del settore Enrico Salza, presidente del consiglio di gestione di IntesaSanpaolo, Guidalberto Guidi, presidente della Federazione Anie, Mauro Moretti, Ad di Ferrovie dello Stato e Stefano Parisi, Ad di Fastweb. ROMA Martedì 29 aprile Università Luiss All’universtità Luiss Guido Carli ci si sofferma sul rapporto tra “Globalizzazione e Welfare state”, su come cambiano i bisogni nell’era moderna. Tra gli intervisti sono previsti quelli dell’economista Jean-Paul Fitoussi e di Ignazio Visco, vicedirettore generale della Banca d’Italia.

sticidi immessi nell’ambiente». Questi dati non tengono conto del bioetanolo che andrebbe analogamente prodotto per essere miscelato alla benzina. Naturalmente questi impatti potrebbero essere mitigati dall’impiego di sementi Ogm, esistenti o in via di sviluppo.

Anche dal punto di vista economico, i biocarburanti non rappresentano certo una scommessa vincente. Dice la Commissione: «Il mercato dei biocarburanti non è come gli altri, perché il suo sviluppo è strettamente legato alla parziale o totale esenzione fiscale». Inoltre, l’apparentemente crescente competitività dei biocarburanti dipende dal livello dei prezzi del petrolio, molto alti negli ultimi anni. Se scenderà, gli investimenti nei biocarburanti potrebbero essere meno attraenti, pur tenendo conto dei sussidi presenti e futuri e di altri incentivi. Il tutto al netto delle tasse, perché i biocarburanti non importati possono avere un mercato soltanto grazie a una fiscalità di favore e alla presenza di sussidi alla produzione. Le sovvenzioni ai biocarburanti sono un caso da manuale di regolamentazione sbagliata, inefficace rispetto ai suoi obiettivi dichiarati (ridurre le emissioni), dannosa sotto altri punti di vista. Chiedere ai responsabili di questa folle scelta le scuse pubbliche è forse troppo, ma almeno un po’ di pudore non guasterebbe.

ROMA Martedì 29 aprile Auditorium Enel La Flaei Cisl organizza, in occasione dell’insediamento degli organi sociali dell’associazione“Azionisti dipendenti del gruppo Enel”, una tavola rotonda sul futuro del “Capitalismo associativo”. Tra gli altri interverranno Leonardo Becchetti, presidente del comitato etico di Banca popolare Etica e professore di economia politica dell’università di Roma Tor Vergata, Massimo Cioffi, direttore personale e organizzazione di Enel, Carlo De Masi, segretario generale della Flaei Cisl. Conclude il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. BRINDISI Mercoledì 30 aprile Porticciolo turistico Nell’ambito del Salone nautico Snim, Confindustria Brindisi promuove il convegno“Industria nautica e turismo: un mix per lo sviluppo”.Tra gli altri partecipano Massimo Ferrarese di Confindustria Brindisi, Maurizio Beretta, direttore generale di Confindustria, e Costanzo Jannotti Pecci, presidente di Federterme. ROMA Giovedì primo maggio Palazzo dell’Inail Nel giorno della festa dei lavoratori, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, conferisce le onorificenze al merito del lavoro.


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I Paesi produttori si trasformano in consumatori. E si ribalta la domanda

Verso una nuova geopolitica del cibo di Vincenzo Bacarani

MERCATO GLOBALE

L’era delle fertili speculazioni di Gianfranco Polillo

na crisi quasi improvvisa, un cambiamento repentino che sta modificando il panorama mondiale del mercato agricolo e alimentare. Cresce in maniera esponenziale la domanda di materie prime e l’offerta quasi stenta a tenerne il passo. Risultato: aumenti considerevoli dei prezzi e una probabile, in un prossimo futuro, “selezione naturale” dei compratori a favore dei più ricchi e a scapito ovviamente dei più poveri.

U

Questo scenario mondiale allarmante ha cominciato a delinearsi soltanto da qualche mese. «Dopo anni», dice Ersilia Di Tullio, responsabile di Nomisma Agricoltura, «in cui si è registrata una sostanziale stabilità tra domanda e offerta, ora siamo di fronte a una situazione in cui si è rotto un equilibrio e c’è una domanda più elevata rispetto all’offerta». A risentire maggiormente di questa dinamica sono materie prime come cereali, soia e riso (elementi essenziali dell’alimentazione) e a determinare tali sconvolgimenti sono stati diversi fattori. Innanzitutto un cambiamento sostanziale del peso economico di vari Stati. La geografia delle capacità di sviluppo si è modificata in maniera significativa. Quelli che ieri erano Paesi in via di sviluppo ora sono Paesi emergenti. Quelli che erano Paesi emergenti ora sono attori quasi primari in produzioni e acquisti. E quelli che erano Paesi del terzo Mondo ora sono entità che rischiano di retrocedere nella povertà assoluta. «La situazione», dice Di Tullio, «è allarmante. C’è una parte del pianeta, e parliamo del Sudamerica, produttrice e un’altra parte, India e Cina per esempio, compratrice che guadagna in potere d’acquisto ogni giorno di più. La crescita di questi due giganti asiatici è impressionante: il loro potere d’acquisto aumenta del 4 per cento quando la media mondiale è del 3 per cento». Non solo, bisogna fare i conti anche con un costante sviluppo demografico dell’Asia che oggi conta quattro miliardi di persone con un incremento annuo stimato per il prossimo decennio dell’un per cento annuo. Il che vuol dire 40 milioni di persone in più all’anno da sfamare. «Non soltanto da sfamare semplicemente», aggiunge l’economista, «perché ormai la domanda asiatica si rivolge non più limitatamente alle materie prime, ma anche ai prodotti trasformati. Diretta conseguenza di un’economia che in Cina e India sta viaggiando a gonfie vele: aumenta il loro export, aumentano gli stipendi, aumenta il potere d’acquisto e quindi le richieste di prodotti a valore aggiunto». Una situazione difficile da gestire. Il prezzo del grano da gennaio a marzo 2008 è aumentato di oltre il 20 per cento e si prevedono notevoli aumenti in conseguenza anche della forte siccità australiana dell’anno scorso. Quello del riso ha

superato ormai il 50 per cento. «Inoltre», spiega di Tullio, «lo stoccaggio del grano è calato del 10 per cento, nonostante la produzione cresca». E l’Europa come si difende? L’Unione aveva adottato fino a poco tempo fa una politica di contingentamento, ma ora è tutto diverso e la Comunità si trova in una posizione imbarazzante tanto da assumere a volte decisioni contraddittorie. Da una parte cerca di incrementare la produzione agricola, dall’altra incoraggia la coltivazione per l’utilizzo di biocarburanti. Una tendenza sulla quale la Fao è intervenuta recentemente, addossando la colpa dello stellare aumento dei prezzi proprio agli investimenti di terreni agricoli sui biocombustibili, che finirebbero per sottrarre risorse all’alimentare facendo così lievitare i prezzi. «Questo aspetto in parte è vero», afferma Carlo Cafiero, docente di politiche agricole all’università di Napoli, «se pensiamo che l’80 per cento dell’autotrazione in Brasile è a base di etanolo, che si ricava dalla fermentazione del mais». Questo comporta un’altra conseguenza che incide sull’aumento dei prezzi: crescono le estensioni coltivate a granoturco a scapito di quelle a grano. «In più», sostiene Cafiero, «Cina e Brasile continueranno a investire sugli Ogm, nonostante le perplessità a livello mondiale, in quanto il mais Ogm potrà essere usato senza remore per l’etanolo». Ma il futuro nel decennio che ci attende, non è certamente roseo. Ci sono quelli che cominciano a proporre razionamenti di esportazioni e di acquisti e quelli che vogliono introdurre regole rigide agli investimenti di futures sulle commodities, ritenuti in parte corresponsabili di una bolla speculativa. «In effetti», dice Cafiero, «c’è un grosso volume di speculazione nelle commodities che investono nel grano. Ma il prezzo del grano continua a crescere anche perché viene tenuto alto quello del petrolio».

Aumenti che vanno a incidere moltissimo nelle tasche dell’utente finale. Bisogna tuttavia fare alcune distinzioni: per il consumatore europeo la spesa alimentare rappresenta più o meno il 10 per cento della sua spesa globale, per il consumatore di uno dei Paesi in via di sviluppo (termine che probabilmente non sarà più adeguato) la spesa alimentare rappresenta il 95 per cento di quella generale. «A pagare il prezzo più alto», conclude il professore napoletano, «saranno gli abitanti dei sobborghi delle città, quelli delle bidonville tanto per intenderci. Chi vive in zone rurali produce direttamente e quindi riesce a sopravvivere». Le attenzioni delle organizzazioni internazionali sono rivolte alle future, possibili vittime della crisi: l’Africa subsahariana (Sudan, Congo, Ruanda, Burundi, Tanzania, etc.) e parte del Sudest asiatico, in prima battuta il Bangladesh.

aradossalmente, il forte rialzo nei prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari è anche conseguenza del crack finanziario. Un modo come un altro per riversare i costi della crisi bancaria sugli ignari consumatori.

P

Naturalmente il processo non è meccanico. Passa attraverso sentieri tortuosi e poco trasparenti. Ma il risultato ultimo è quello indicato. E alla fine saranno i cittadini a pagare il conto dell’imperizia mostrata da general manager e finanzieri che, con il loro gigantesco castello di carta, hanno partorito un mostro che non hanno saputo addomesticare. Per evitare il ripetersi di una crisi devastante, che rischiava di far impallidire il ricordo del 1929, la banche centrali hanno dovuto continuamente immettere liquidità nei mercati internazionali. Abbassando i tassi di interessi, speravano di poter rifinanziare a basso costo le banche aggredite dalle perdite. Ed evitare che il profondo rosso dei loro bilanci potesse distruggere quel poco di fiducia che ancora sono in grado di catturare. Finanziamento a costo zero, almeno in termini reali, visto che il tasso di inflazione supera, almeno negli Stati Uniti, quello del debito. La speranza era che queste facilities favorissero un processo di ristrutturazione, grazie al quale le banche più solide fossero in grado di conquistare gli istituti di credito più esposti. E assorbirli, dopo averli ristrutturati e depurati delle perdite ancora nascoste. Un processo che verrà. E che potrà iniziare solo a partire dal momento in cui il quadro diverrà più chiaro e le perdite, grazie anche alle direttive elaborate da Mario Draghi per il Fondo monetario, saranno evidenziate a bilancio. Ma per il momento è buio assoluto.

Intanto l’eccesso di moneta produce quegli effetti collaterali che sono tipici di ogni medicina somministrata in dosi massicce. La borsa ne assorbe solo quantità minime. Le aspettative sono al ribasso. I corsi sono depressi. In Europa, ma negli Usa è peggio, le previsioni per il 2008, misurate dall’andamento del price/earning, mostrano cadute che vanno dal 2 al 30 per cento (banche, servizi finanziari e turismo). E sempre del 30 per cento sono le perdite del valore degli immobili. Ed allora non rimane altro che investire nelle commodity e nel comparto alimentare. Secondo calcoli aggiornati questo mercato vale oggi 250 miliardi di dollari: 6 o 7 volte tanto il valore del 2004. Si dice che a ogni barile di petrolio ne corrispondano cento di carta. Una domanda che preme e che lancia verso l’alto il prezzo dei singoli prodotti. Una speculazione che, come sempre accade, non inventa il mercato, ma ne esalta le più intime contraddizioni: lo squilibrio tra domanda e offerta che deriva da una crescita dei consumi indotta dal prepotente ingresso di popolazioni, fino a ieri condannate nell’inferno del sottosviluppo.

Quanto durerà? Non è facile fare previsioni. In un mercato, teso come una corda di violino, basta un nonnulla per scatenare una tempesta. Oggi i costi di estrazione del petrolio ammontano, al massimo, a 70 dollari il barile. La differenza, rispetto ai 120 dollari di ieri, è data da speculazione e aspettative al rialzo. David Ricardo, uno dei più grandi economisti del passato, studiando la rendita fondiaria, aveva compreso come si formano i prezzi: erano dati dai costi di produzione delle terre meno fertili. Nulla a che vedere con gli eccessi, indotti dalla globalizzazione, di oggi.


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economia Il segretario generale della Cgil, Gugliemo Epifani. A lui l’arduo compito di ridare un ruolo alla confederazione in seguito alle manifestazioni d’intesa registrate tra la Cisl e Confindustria

Giorgio Cremaschi, leader di Rete 21 aprile, l’ala dei duri e puri che trova spazi soprattutto nella Fiom. Il sindacalista ha criticato la scelta di Epifani di appoggiare il Partito democratico

Corso d’Italia non può più nascondersi sulla riforma dei contratti e sulle differenze nel costo della vita tra Nord e Sud

La solitudine della Cgil in un’Italia divisa di Giuliano Cazzola n merito a Guglielmo Epifani bisogna riconoscerlo. In zona Cesarini è riuscito a evitare che la Cgil (o buona parte di essa, ben oltre i soliti metalmeccanici) finisse per allearsi con la Sinistra-Arcobaleno e per condividerne, quindi, la disfatta. Si vede che il “giovane Werther”(soprannome che a Corso d’Italia hanno dato al segretario) ha fatto tesoro dell’esperienza del suo predecessore Sergio Cofferati, che, in uno degli ultimi congressi della Quercia, schierò la Cgil con la minoranza di Giovanni Berlinguer, riuscendo a portare ben poco valore aggiunto alla causa.

U

Ora, per il leader della confederazione «rossa», sta per arrivare l’ora delle scelte. Il parlamentino dell’organizzazione, riunito in queste ore, è chiamato a valutare la situazione post voto e ad assumere le decisioni conseguenti. Molte cose sono cambiate dopo la stipula del protocollo del 23 luglio 2007, sottoscrivendo il quale la Cgil – volente o nolente – ha rinunciato a parecchie sue posizioni di bandiera. La vittoria del Pdl, poi, è stata tanto schiacciante e uniforme (ormai il Pd rischia di trasformarsi in un’espressione territoriale, quasi una sorta di Lega rossa radicata nelle aree centrali del Paese) che per gli avversari diventa difficile reagire – a meno di non prevedibili errori tattici di Berlusconi – nel tentativo di

ribaltare il gioco entro breve tempo, come avvenne nel 1994. Il governo – ringalluzzito dai tanti consensi ottenuti dai lavoratori in carne e ossa – farà il possibile per non scontrarsi con i sindacati. E agirà nel modo più subdolo e pericoloso per loro: con misure destinate a convincere i lavoratori (come la detassazione del lavoro straordinario, per esempio) ancor prima delle loro organizzazioni rappresentative. Nel contempo Cisl e Uil non sembrano più disposti a farsi carico di una Cgil, immobile e reticente. Così anche la

lavoro fosse meno onerosa per i datori e più pesante in busta paga per i lavoratori, questo livello di contrattazione diventerebbe comunque prevalente, a prescindere dalle regole esistenti o da quelle che si andranno a definire.

Nel Paese, poi, è aperto un altro problema ben più significativo di quello attinente all’actio finium regundorum tra la contrattazione centrale e quella decentrata. La questione è stata individuata – autorevolmente – da Il Sole 24 Ore, il quale ha calcolato come e in che misu-

La scelta di Epifani di non aderire alla Sinistra-Arcobaleno apre spazi di movimento inaspettati. A patto che si comprenda la necessità di affrontare il nodo della produttività senza dogmi Confindustria, dopo che la linea pro Cgil di Montezemolo si è rivelata un clamoroso e inutile fallimento. L’agenda della ripresa pone al primo posto la riforma degli assetti contrattuali, una materia in cui – al di là delle apparenze e degli omaggi rituali alla concertazione – l’iniziativa è nelle mani del governo. Basterebbe infatti stabilire per legge delle agevolazioni fiscali a favore del salario variabile (straordinario, premi, incentivi, etc.) legato alla produttività per orientare la stessa contrattazione collettiva in quella direzione. Se la retribuzione erogata nel posto di

ra una contrattazione uniforme a livello nazionale favorisca il Sud, grazie al differenziale del costo della vita. Per uscire da questo cul de sac, che genera soltanto lavoro sommerso, occorre mettere in discussione il principio della inderogabilità (il suo superamento è all’ordine del giorno in tutta Europa) delle norme contrattuali in forza del quale due livelli di negoziazione continuano a essere contemplati, da noi, in una prospettiva aggiuntiva e di progressivo miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro, non già in un’ottica di flessibilità e di deroga.

In Germania questa ricerca si concretizza nelle “clausole di apertura”(applicate nel 35 per cento delle aziende e nel 22 degli uffici), che consentono di scendere al di sotto degli standard previsti dai contratti collettivi (è frequente la prassi delle retribuzioni agganciate agli utili). È per fronteggiare tale situazione di logoramento del “contratto collettivo d’area” che settori di Spd e Dgb studiano una legislazione sui minimi, estranea alla tradizione tedesca. Anche in Italia, nel 1997, la Commissione presieduta da Gino Giugni studiò – per incarico del governo Prodi di allora – il problema della riforma della contrattazione (ne facevano parte sia Massimo D’Antona sia Marco Biagi) e arrivò a prefigurare un’ipotesi derogatoria incentrata sulle “clausole d’uscita”rispetto a quanto definito dalla contrattazione nazionale. Si tratta di un’esigenza tuttora valida e divenuta più pressante in un ordinamento federalista e a fronte dei problemi dello sviluppo del Sud nel contesto dell’Europa a 27 nazioni. A questo proposito è sufficiente lasciare la parola alla Svimez, che suggerisce di «trovare nuove modalità con cui rendere compatibili i meccanismi regolativi centralizzati a tutela dei diritti generali dei lavoratori con strumenti di regolazione flessibile a livello decentrato che sostengano le imprese nel loro sforzo di competere sui mercati concorrenziali».


economia

29 aprile 2008 • pagina 17

La battaglia di Algebris contro la lista di Edizioni dimostra quanto è lontano un pieno riconoscimento delle minoranze

Governance,vittorie di Pirro per i piccoli d i a r i o

di Giuseppe Failla Nelle assemblee delle grandi quotate le minoranze fanno sempre più fatica a far valere il proprio peso a causa del proliferare di liste civette legate ad azionisti di maggioranza, come dimostrano i tentativi di Edizione Holding in Generali

MILANO. Sicuramente Davide Serra, il fondatore del fondo Algebris, non ha fatto una figura degna delle aspettative che le aggressive lettere spedite alle Generali avevano generato nella platea di giornalisti, presenti sabato scorso all’assemblea di Trieste. Dal confronto con Bernheim, Serra, tradito anche da un’evidente emozione, è uscito a pezzi. Al di là della contesa assembleare, comunque ha ottenuto più di una vittoria. Con il ricorso contro la presentazione della lista di Edizione Holding per il consiglio sindacale, non soltanto ha dato peso alle norme per la tutela delle minoranze, ma ha “stanato” la Consob.

La commissione, nella lettera inviata alla finanziaria di Ponzano Veneto per chiedergli come mai si ritenessero nelle condizioni di indipendenza richieste dalla legge per presentare una lista di minoranza, ha sottolineato che i Benetton, partecipando al patto di Mediobanca, hanno il controllo congiunto della merchant bank e di conseguena delle Generali, che di Piazzetta Cuccia sono la principale partecipata. La Consob ha affermato che il patto di sindacato di Mediobanca è un patto di controllo. E questa affermazione porta in sè a fare alcune considerazioni. In primo luogo spinge a chiedersi come mai la Commissione tolleri che le Generali – principale partecipata di Mediobanca – faccia parte con una quota del 2 per cento al sindacato di Piazzetta Cuccia. In sostanza la compagnia è cocontrollante di Mediobanca, che a sua volta è la sua controllante. Ma sulla Consob si fa notare anche che l’organismo, se da un lato ha introdotto o annunciato forti palet-

d e l

g i o r n o

Lufthansa nuovi accordi con Sea «Abbiamo sempre detto di considerare l’Italia e in particolare il Norditalia un mercato interessante e molto importante e non escludiamo nuovi passi dopo la partnership con Sea». È quanto afferma una nota della compagnia aerea tedesca, nell’ambito del Mou (memorandum of understanding) siglato con Sea, annunciando che posizionerà a Malpensa sei nuovi aeromobili ”Embraer 195” operati dalla sua controllata Air Dolomiti per destinazioni europee che saranno precisate in seguito. Lufthansa ha poi ribadito il suo non interesse verso Alitalia. Per Giuseppe Bonomi, presidente della Sea, la firma dell’accordo con la compagnia tedesca «è l’inizio di un percorso».

Terna vuole investire nel wireless Il nuovo Consiglio di amministrazione di Terna ha confermato Flavio Cattaneo come amministratore delegato. Cattaneo fa sapere che Terna guarda a eventuali investimenti nel settore wireless ma non è interessata alla rete Telecom. La rete Telecom , ha spiegato rispondendo a un azionista, «non è tra le nostre priorità» anche perché «funzioniamo bene e prima di disfare i nostri asset ci penserei mille volte». Il manager ha invece chiarito che Terna sta guardando «con attenzione» alle ultime gare del Ministero sul wireless «per l’utilizzo delle nostre reti e tralicci».

Rcs, Strazzera perplessa sui conti «Esprimo compiacimento per l’indirizzo multimediale e lo sviluppo internazionale, ma esprimo qualche perplessità sull’elevato indebitamento e le conseguenze di natura patrimoniale ed economica che comporta». Sono le dichiarazioni di Anna Strazzera, esponente della famiglia milanese di commercialisti, nel corso dell’assemblea dei soci di Rcs. Strazzera è intervenuta all’assemblea degli azionisti del gruppo editoriale in proprio e per delega della Pandette, la finanziaria di Giuseppe Rotelli. Per l’amministratore delegato Antonello Perricone «i primi mesi dell’anno di Rcs MediaGroup sono stati positivi.

Bonanni favorevole al Ponte sullo Stretto ti contro i cumuli degli incarichi e le sovrapposizioni, dall’altro, non ha potuto chiedere d’imperio ai Benetton di ritirare la lista. C’è quindi una sproporzione tra i poteri a disposizione e l’obiettivo che, come ricorda Marcello Messori, resta quello di bloccare «le liste che rappresentano grossi azionisti di minoranza, ma non le minoran-

La Consob prova a porre duri paletti, ma non ha poteri tali per farli rispettare dai soci forti. Difficili da scalfire gli intrecci societari ze di mercato». È quanto, per esempio, accade in Telecom. Dove, tra l’altro, i fondi stranieri votano per le liste di maggioranza.

Qualche perplessità, poi, è stata sollevata da osservatori presenti all’assemblea delle Generali, sull’abitudine, ormai consolidata, di Assogestioni di presentare delle liste di minoranza. In particolare, spiega un azionista del Leone, «non si ve-

de in nome di cosa l’associazione chieda tutto questo spazio». Il motivo dello scetticismo è legato alla non eccessiva vivacità dell’associazione guidata da Marcello Messori nel rampognare, quando ci sono, atteggiamenti o storture che vadano a inficiare il mercato o l’andamento dei titoli quotati. Soltanto per fare un esempio la voce di Assogestioni non si è levata alta per sottolineare l’impatto che le esternazioni dei singoli ministri del governo Prodi hanno avuto su Autostrade, Telecom o Alitalia, quando i rispettivi dossier sono finiti nell’occhio del ciclone. Ciò che è rimasto sullo sfondo dell’assemblea delle Generali di sabato è il fantomatico dossier di integrazione con Axa. Un dossier, a detta di qualcuno, tornato in auge. In realtà, spiega una fonte assicurativa, sono almeno dieci anni che il top management di Axa, Allianz e Generali ha sulla scrivanie dossier che ipotizzano ogni possibile via di integrazione fra le compagnie. Ad oggi nessuna di quelle soluzioni è praticabile se non come reazione rispetto a un attacco esterno. Così, in tempo di pace, nessuno avrebbe interesse a proporle, pena il rischio di innescare una guerra degli esiti imprevedibili.

«Abbiamo sempre sostenuto la realizzazione del Ponte sullo Stretto, farlo significa trascinare anche le altre opere, quelle autostradali e quelle portuali». È il parere del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, a Palermo per il consiglio generale del sindacato. Bonanni ha aggiunto: «Molti hanno detto che prima bisognava fare le altre opere infrastrutturali e poi il Ponte, insomma la vecchia storia se prima viene l’uovo o la gallina. La verità è che in questi anni non è stata fatta alcuna opera».

Petrolio a 120 dollari al barile I prezzi del petrolio hanno toccato ieri il nuovo record, scambiando vicino ai 120 dollari al barile dopo che due scioperi, uno nella raffineria britannica Grandemouth gestita della Ineos e l’altro in una struttura della Exxon Mobil in Nigeria, unitamente a un nuovo attacco contro un ”terminal” della Royal Dutch Shell sempre nel paese africano, riducendo così l’offerta mondiale di greggio del 2,5%, pari a 2,14 milioni di barili al giorno. Il prezzo del greggio potrebbe anche arrivare a toccare i 200 dollari al barile. Non esclude questa possibilità il presidente dell’Opec e ministro dell’energia algerino Chakib Khelil, che spiega che ormai a spingere verso l’alto il prezzo del greggio è la debolezza del dollaro.


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polemiche

”Il Giornale” accusa di plagio Umberto Galimberti ma dotti e sapienti prendono la copiatura con filosofia

Lo strano vizietto del professor G. di Renato Cristin l plagio è un reato, sancito e punito dalla legge, e chi lo commette viene condannato. Chi copia e pubblica ciò che ha copiato spacciandolo per proprio è dunque colpevole. Si può incappare in un errore a causa di una disattenzione e non per cattiva intenzione, e in questo caso ci sono due possibilità: si viene trattati con umana indulgenza e perdonati oppure con l’imparzialità della giustizia e condannati. Ma chi, dopo aver già subìto condanne per questo illecito, lo reitera, non è più colpevole in buona fede, ma è un delinquente, perché la giustizia, comminandogli la pena, lo aveva già reso consapevole della sua colpa e dell’errore del suo comportamento. Pochi giorni fa è stato scoperto un tale reato commesso da un professore di filosofia noto al grande pubblico per comparsate televisive, rubriche su svariati quotidiani e periodici, commenti e “rimedi per l’anima” propinati attraverso i media. Il caso è acclarato, il reo è confesso ed è, in relazione a questo illecito, recidivo, come dimostrano almeno due sentenze conosciute che lo hanno in precedenza condannato per plagio e che hanno visto vittime altrettanti autori (oltre ad Alida Cresti, il cui caso è stato reso noto dai giornali in questi giorni, Guido Zingari, di un cui libro Galimberti copiò intere pagine pubblicandole nella sua monografia su Heidegger).

I

Detto ciò, questo ennesimo e squallido episodio di scopiazzatura del professor G. non meriterebbe, in sé, altri commenti,

perché la parola dovrebbe passare alla giustizia. Tuttavia, poiché il colpevole è un docente universitario, ritenuto (non solo da tutto l’apparato culturale e mediatico della sinistra, ma anche da alcuni intellettuali e giornalisti di destra) un depositario di indicazioni morali e un maestro di vita, sulla questione non si può sorvolare. La scorsa settimana alcuni importanti quotidiani hanno ospitato articoli e interviste su questo caso. I giornalisti ne hanno scritto, i docenti di filosofia sono stati interpellati e, pur senza giustificare il misfatto, hanno parlato di “colpe veniali”, di un “vizietto” galimbertiano che non andrebbe “demonizzato”. Tranne alcune eccezioni, si tende a gettare acqua sul fuoco. La “casterella” dei filosofi, come dice Zecchi, è sotto osservazione e, disorientata, cerca di difendere ciò che giustamente di essa va difeso ma, soprattutto, cerca di evitare un allargamento della polemica. E così facendo perde un’occasione, non perché il reato del professor G. sia diffuso nella ricerca filosofica, ma perché esso nasce dal vuoto di coscienza che ha pervaso la nostra società, dal baratro sul quale anche la corporazione dei professori di filosofia, come tutti gli apparati che hanno sancito ciò che è culturalmente e politica-

Con le idee donna Prassede si regola come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata

Alessandro Manzoni

mente corretto, ha condotto l’Italia. E questa corporazione, invece di iniziare, come la vera filosofia imporrebbe, proprio da qui, cioè dalla risoluta condanna del comportamento del professor G., una critica del conformismo culturale, un’autocritica e una catarsi, si accomoda nell’acquiescenza.

Chiunque abbia responsabilità didattiche ammonisce i suoi studenti a non copiare. Questa non è solo una regola scolastica, che però gli studenti possono infrangere senza sanzioni civili al di fuori delle note di demerito da parte degli insegnanti, ma anche una fondamentale norma scientifica, che costituisce invece un dovere morale e profes-

senta un oltraggio alla filosofia come tale oltre che alla deontologia dei filosofi. Le conseguenze sull’opinione pubblica e sulla coscienza civile causate da reati come quelli commessi dal professor G. sono incalcolabili. Egli ha infranto due precetti morali, perché il plagio è sia menzogna sia furto. La magistratura ha risarcito due degli autori defraudati, ma chi risarcirà i molti professori onesti che si vedono sporcati da un comportamento indecente e indegno? E chi ripagherà i giovani ricercatori e docenti precari che continuano, con passione e perseveranza, a credere nella loro missione e in quell’istituzione che non può assumerli anche perché deve mantenere chi, come il professor G., pur la offende e discredita? Chi inden-

Lo scrittore era già stato condannato per aver copiato brani di Alida Cresti e Guido Zingari sionale a cui non si deve contravvenire, pena l’esclusione o l’emarginazione dalla comunità degli studiosi. Ora, come si può insegnare la rettitudine nello studio e nella ricerca se si infrange, ripetutamente, questo precetto? E soprattutto se si insegna non una qualche disciplina più o meno neutra sul piano etico, ma la filosofia, che dovrebbe essere al tempo stesso sapienza e saggezza, teoresi e morale? Insegnare filosofia implica un’obbligazione di grado superiore, e il reato del professor G. rappre-

nizzerà gli studenti, traditi nella loro fiducia e spinti così a guardare tutto con indifferenza e cinismo, perché tanto vale comportarsi onestamente o imbrogliare, perché i truffatori non solo la passano liscia ma vengono anche considerati scaltri. E chi risarcirà le migliaia di persone, frodate nella loro buona fede, che prendevano per buoni i sermoni di morale sociale che il professor G. fino a ieri (e si spera non più) diffondeva in continuazione? In un’immaginaria causa, ci sarebbero gli estremi per costituirsi parte civile. Per questo reato, in altri Paesi si ver-

LA FORZA

Ha ragione quel collega che, al Giornale, ha dichiarato: «è sbagliato dare l’impressione che in Italia la copiatura sia prassi diffusa», tuttavia l’Italia è, sotto il profilo della coscienza culturale e civile, una nazione alla deriva, che ha perduto i criteri con cui giudicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, distinguere ciò che vale da ciò che non ha valore, capire chi è onesto e chi è un impostore. Giusto dunque volere che l’Italia si rialzi, ma risollevare l’Italia deve significare, oltre che restituire agli italiani energia economica, sicurezza individuale e fiducia sociale, ricordargli l’altezza della loro tradizione, insegnargli la nobiltà dei valori che hanno forgiato lo spirito italico, obbligarli a rispettare, difendere e diffondere i princìpi della correttezza civile e dell’onestà intellettuale. Perciò, questo dovrà essere uno dei punti irrinunciabili del programma del terzo Governo Berlusconi.

DELLE IDEE

C A M P A G N A

❏ semestrale

rebbe semplicemente licenziati. Da noi, invece, illeciti come questo vengono accettati dalle istituzioni, mitigati dai media, insabbiati dalle corporazioni e assorbiti dalla coscienza collettiva. Nel suo insieme, il caso del professor G. è un sintomo e al tempo stesso una causa della perdita di orientamento, dello smarrimento morale e della confusione intellettuale che affligge oggi la società italiana, schiacciata fra il buonismo di sinistra e il rampantismo da showbiz, avvilita da un’ideologia egualitarista che ha cancellato addirittura il senso della proprietà intellettuale.

A B B O N A M E N T I

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personaggi

29 aprile 2008 • pagina 19

La rivelazione del vecchio caratterista italiano è «una passione durata tre mesi»

Evviva Croccolo tra Kennedy e Miller di Angelo Crespi e dovessimo inventarci un titolo, tenteremmo con la Bella e la Bestia. Ovviamente senza nessuna offesa per Carlo Croccolo, il quale sa bene che la Bestia, perfino nella versione disneyana, non era poi neppure una brutta bestia, appena un introverso leone dal cuore d’oro. Per quanto riguarda la Bella, invece, non ci sono dubbi, lei è stata la più Bella del reame, cioè Marilyn Monroe che di Cenerentole e Bianca-

S

nevi e Belle addormentate se ne è mangiate una schiera. A pensarci, il titolo più appropriato potrebbe essere La rivincita dei nerds, perché se Croccolo, attore, doppiatore, scultore, nonché stampato nella memoria collettiva per essere stato la spalla di Totò in 47 morto che parla, nei panni del vessato cameriere Gondrano, riesce alla veneranda età di 81 anni ancora a stupirci raccontando una sua liason con l’icona del Novecento, allora significa che anche gli “sfigati” possono avere prima o poi la loro rivincita e quando se la prendono, la prendono fino in fondo: «Sì, purtroppo è vero – ha rivelato Croccolo in una intervista a Tv Sorrisi e Canzoni Marilyn Monroe e io abbiamo avuto una storia d’amore. È durata soltanto tre mesi ma io ero pazzamente innamorato di lei. Solo che stare con lei era un inferno e io, alla fine sono fuggito». Affermazione che nella senile ingenuità, ribalta lo star system come un guanto, soprattutto per quel «purtroppo è vero» che non si capisce se frutto di riservatezza, oppure di manifesta superiorità. «Purtroppo abbiamo avuto una storia d’amore», dice Croccolo che oggi dà il

volto al marinaio Totonno nella serie televisva Capri e nessuno, compresa Marilyn, lo può smentire su quel «purtroppo”». E neppure può la dea bionda ribellarsi quando Croccolo aggiunge con una punta di malizia che «Marilyn era stupenda anche se aveva un po’ di cellulite», un «po’ di cellulite»!, come la massaia del piano di sotto, come la commessa del supermercato all’angolo, come una qualsiasi. Cosa abbia trovato Marilyn in Croccolo non è dato sapere, anche perché l’attore napoletano che ha interpreato oltre 118 film tra Italia e America, quasi sempre nella parte del caratterista, e che ha dato la voce all’Oliver Hardy italiano, cioè Ollio, e che ha avuto i massimi riconoscimenti a teatro, sorvola: «Ho conosciuto Norma (il vero nome di Marilyn era Norma Jean Baker) nel periodo peggiore della sua vita: sarebbe morta circa un anno dopo, nel 1962. Lei era appena uscita da una casa di cura e stava combattendo con una brutta depressione arrivata dopo la fine della storia con Yves Montand. Lui l’aveva trattata malissimo e lei aveva sofferto molto, come

era accaduto anche con Arthur Miller, il suo terzo marito, un mascalzone che la maltrattava e la picchiava. L’ho incontrata a una festa a Los Angeles, attraverso Sammy Davis e l’entourage del presidente John Fitzgerald Kennedy. Io me ne stavo in disparte finché non ho visto lei. Abbiamo iniziato a parlare e poi... È cominciata così, come cominciano tante storie». Come tante storie. Ma la strategia «me ne stavo in

Si conobbero nel 1961 a Los Angeles, nel periodo peggiore dell’attrice: «Appena uscita da una casa di cura, stava combattendo con una brutta depressione» disparte…», se abbiamo capito, è quella giusta, quella della spalla che come altre celebri spalle hanno fatto grande il cinema italiano nel mondo, essendo il caratterista l’anima di un film e anche un protagonista senza nessuno a fianco non può brillare. Forse Marilyn dopo il più grande

chansonnier del mondo, Ives Montand, dopo il più grande drammaturgo, Arthur Miller, dopo il più grande giocatore di baseball capace di 2.214 colpi vincenti, Joe di Maggio, e un presidente degli Stati Uniti e si mormora il fratello di un presidente degli Stati Uniti, aveva bisogno di qualcuno con cui semplicemente “parlare”. Può darsi. Nell’incredibilità di questo scoop di Tv sorrisi e canzoni che sa di fiction caprese sta il senso di come le star del pop, nel mondo dei mass media, incidano nella nostra vita e alla fine diventino parte di noi. I vip sono nostri modelli, potenziali amici nella solitudine del video, perfino amanti inconsapevoli. E gettano dietro loro scie che perdurano nel tempo. Pochi giorni fa un uomo d’affari newyorkese ha acquistato per 1,5 milioni di dollari un video sexy di 15 minuti in cui Marilyn è protagonista di una scena di sesso orale. Con più delicatezza Croccolo, uno dei maestri della comicità italiana, ci ha invece regalato una scena di amore orale indimenticabile.

Fotografi, cantanti, sportivi, scrittori e presidenti Usa: le relazioni-scandalo della star più venerata di Hollywood

Tutti gli uomini di Marilyn Monroe Ha appena 16 anni Norma Jean Baker quando nel 1946 sposa l’operaio ventunenne Jim Dougherty, ma già si prepara a diventare la sinuosa Marilyn Monroe quando di lì a poco, all’inizio della carriera artistica, tradisce un debole per quei fotografi che possono aiutarla ad affermarsi come modella: André de Dienes e Laslo Willinger, poi Henry Rosenfield, stilista newyorkese, e Johnny Hyde, vicepresidente di una delle più importanti agenzie di Hollywood, che per lei ottenne scritture di successo e che, si dice, morì per il dolore che gli provocò l’abbandono di Marilyn. Nella vita dell’attrice più venerata della storia del cinema si susseguono diverse e nel tempo discutissime nozze, come quelle con il campione di baseball Joe Di Maggio e subito dopo con lo scrittore Arthur Miller, ma tra un matrimonio e l’altro, anche da coniugata, non disdegna mai le attenzioni di altri celebri uomini come Marlon Brando, Frank Sinatra e il giornalista Robert Slatzer, con cui ha un’«intima amicizia» sin da quando, nel 1946, lo vede per la prima volta nell’atrio degli studi della Fox, tenendo stret-

ti in mano curriculum e foto per ottenere una scrittura. Poi c’è quella relazione-scandalo nata sul set di Facciamo l’amore con il cantante e attoreYves Montand (lei ancora moglie di Miller, lui marito dell’attrice Signoret): ci volle tutta la diplomazia della Signoret per far troncare la storia e allontanare il marito dalla Monroe riportandolo in Francia. Infine, il terremoto dei fratelli Kennedy, John prima e Robert dopo, con cui intreccia storie controverse, oscure, conflittuali, che la accompagnano lungo tutto il peggioramento del suo già precario stato psicologico, sino alla sua prematura scomparsa nel 1962. Ma la notizia più curiosa è degli ultimi giorni: nel 1961 Marilyn sembra si sia concessa tre mesi di passione con Carlo Croccolo, attore napoletano e storica spalla di Totò, che a Tv, sorrisi e Canzoni ha affidato le sue confessioni: «Nel ’61 ormai Hollywood l’aveva scaricata. Resistetti poco, era impossibile starle dietro, seguirla nelle sue follie. Quando finii i soldi e capii che nel suo inferno sarei caduto anch’io, presi il primo aereo per l’Italia».


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cultura

Una due giorni a Firenze per ricordare le figure più rappresentative

Che ci fa Antigone con Madame Bovary? di Mario Bernardi Guardi e fuggi inseguo, se insegui fuggo”, proclama la bella sigaraia Carmen. Esibendo, nella sua sfrontatezza, una femminilità “elementare”, tutta pulsioni naturali e gioiosa carnalità. Un’energia che, venendo dal sangue e dal sole, urta contro le regole, offende la legge, ferisce l’orgoglio maschile che chiede l’esclusività del possesso. Carmen, invece, non ha e non vuole legami, e si ribella a chi intende ricattarla con gli affetti, dunque imprigionarla: la sua terribile innocenza è devastante e ne fa una vittima designata. Una femmina, Carmen, una di quelle che, appena le incontri, sei bruciato per tutta la vita. Capitò anche al Nietzsche fuggitivo dal gelo delle accademie nordiche verso le chiarità azzurre del Mediterraneo: nel 1881, assistette per la prima volta, a Genova, alla “Carmen”di Bizet, se ne innamorò e rinnegò per lei tutte le eroine wagneriane. Femmina, Carmen, e istintivamente donna-contro: contro la moralità codificata, il buon costume, il ruolo egemone degli uomini nella vita di coppia. E se tutto questo grida vendetta, bene, vendetta sia: il pugnale che l’ammazza, tra il tripudio della corrida, restaura il tessuto ideologico “maschilista”, che fonda la convivenza sociale. Senza però garantirla dalla pericolosa irruenza delle “ribelli” . Di esse si parlerà a Firenze, oggi (Palazzo Strozzi) e domani (Piccolo Teatro del Comunale, Corso Italia), al convegno “Donne in rivolta tra arte e memoria”, organizzato dall’Istituto Italiano di Scienze Umane e dal Maggio Musicale Fiorentino. Dà l’avvio ai lavori Gae Aulenti, li chiude Francesco Orlando, con una “lectio” dedicata, per l’appunto, a Carmen, dea dal fascino conturbante: domani sera, poi, l’opera che stregò Nietzsche sarà rappresentata al Teatro Comunale in una edizione di gran pregio (direttore d’orchestra Zubin Mehta, regia di Carlos Saura, protagonista Julia Gertsaeva). Se Carmen è questa vitalità femminile tanto esplosiva che perfino la morte è compresa nel gioco e viene quasi sfidata perché onori l’appuntamento, di altre “donne in rivolta”si dibatterà nella duegiorni fiorentina. Donne create dalla letteratura e lontane nel tempo e nello spazio, ma con qualcosa che le accomuna:

“S

il destino della rivolta. E cioè del “no” gettato in faccia all’uomo, in un groviglio di ragioni e di emozioni. Un “no” cui seguono sanzioni particolarmente dure, perché si resta spiazzati di fronte a chi rifiuta un ruolo in apparenza fissato “ab aeterno”. Scattano censure, ripudi, persecuzioni contro chi trasgredisce. Più che mai contro chi si assume delle “responsabilità”, non per negare la propria “identità”, anzi per meglio affermarla. È inevitabile per la donna questo conflitto? Un’eventuale vittoria non costa troppe lacrime e troppo sangue, non lascia impresse troppe ferite, per consentire di affermare: ne è valsa la pena? Quante ambiguità, poi, se alla fine, tutto si risolve nella resa, più o meno incondizionata, a lui, il “vincitore”! Quanto rancore “dietro”e “dentro”! E allora: è possibile trovare una immagine appagante senza perdere l’anima? E qual è la differenza da rivendicare? Non c’è il rischio di esasperarla per amore di ideologia? Di negare la femminilità vedendo in essa un punto di debolezza su cui l’uomo gioca? E finendo col favorire una sorta di ostilità permanente tra i sessi? O peggio di stravolgimento, con una donna che va all’assalto ed un uomo sulle difensive? O di appiattimento, con due esseri omologati e interscambiabili? Variamente formulati, questi ed altri interrogativi si ripropongono da anni e si riproporranno al convegno fiorentino. E non potrebbe essere diversamente, visto che, sì, i personaggi affrontati dalla relatrici (Eva Cantarella, Monica Centanni, Nadia Fusini, Clara Mucci) sono frutto della crea-

La celebrazione del femminismo «creato dalla letteratura e lontano nel tempo, ma con lo stesso destino della rivolta»

Monica Guerritore leggerà una serie di testi da Virgiania Woolf a Sylvia Plath, da Anna Maria Ortese ad Alda Merini. A fianco una stupenda Lady Macbeth; a destra: in alto un’immagine della Carmen di Bizet; sotto a sinistra Anna Karenina, interpretata da Greta Garbo e a destra la Monaca di Monza

zione letteraria, e dunque “inventati”, ma restano ampiamente “rappresentativi”, in azioni e reazioni, di “caratteri” femminili esemplari e universali. A partire da Antigone la cui etica avversa le ra-

gioni della politica: se l’odio e il furore omicida hanno messo l’uno contro l’altro i suoi fratelli Eteocle e Polinice e se il crudele zio Creonte vuole che gli onori funebri siano tributati solo alle spoglie di Eteocle, minacciando di morte chiunque dia sepoltura al corpo di Polinice, lei, paladina di leggi non scritte, coraggiosamente ricompone lo strappo familiare: bisogna “placare” il sangue versato grazie a una “pietas” che non escluda, ma comprenda. Ma non sempre un appello pacificatore viene a risolvere tragiche lacerazioni familiari: per un’al-


cultura

29 aprile 2008 • pagina 21

Alle ore 10 nell’Altana di Palazzo Strozzi

”Donne in rivolta” grinta ed eleganza a convegno

tra donna del mito greco, Clitennestra, il sangue della figlia Ifigenia, sacrificata alle ragioni della politica, chiama il sangue del re e sposo assassino, Agamennone, in una sequenza di orrori che lei affronta impavida. Come è impavida Lady Macbeth , al punto da ghiacciarci il cuore quando esorta il vacillante consorte ad andare avanti sulla via del delitto: eppure anche “la quarta strega”- questo è il “riconoscimento” che le viene dato come segno di appartenenza alla sanguinosa congrega - è una vittima. Si consacra al male, ma strazio e rimorso non le danno tregua. Né streghe né madonne, ma solamente donne Anna Karenina e Madame Bovary, spose tentate dall’avventura, tormentate giocatrici d’amore, adultere abbandonate dalla sorte? La loro rivolta

nasce dalla noia, dalla vanità, dalla ricerca della passione o del piacere, o da un oscuro fondo di voluttà trasgressiva? E fino a che punto è colpevole la manzoniana Gertrude, condannata alla monacazione più dalla paura del conflitto familiare e sociale, che dall’imposizione esplicita, ancora familiare e sociale? La sua ribellione e il suo uso - e abuso - del potere, come Monaca di Monza, sono

Critiche esperte di testi teatrali, analizzeranno figure diverse di ”eroine contro” proposte dal mito una “rivalsa”della donna? E la condanna (e dannazione) che ne segue è la conferma, per volontà dell’uomo-potere, di uno “status”? Per venire poi alle altre relazioni, che

tipi di donna sono le montanare spagnole, le “belle virili” raccontate da Lope de Vega e da Tirso de Molina? E Moll Flanders di Defoe, Effi Briest di Fontane, Hedda Gabler di Ibsen, Agathe,la sorella dell’”uomo senza qualità” Ulrich- Musil? Donne, donne eterni dèi! A render loro omaggio, a Firenze, anche Monica Guerritore, da sempre intrigante miliziana della femminilità piuttosto che sciamannata femminista, che leggerà una scelta di testi selezionati da Ernestina Pellegrini: fuochi e fiamme, lacrime e sangue di Virginia Woolf, Anne Sexton, Sylvia Plath, Djiuna Bartes, Anna Maria Ortese, Alda Merini ecc. Mancano però all’appello provocatrici del sublime come Simone Weil e Cristina Campo; manca l’eccellenza statuaria di Margherite Yourcenar; manca l’ironia estrosa e dissolutrice di Gertrude Stein; manca una grande peccatrice; manca una grande santa. Perché?

Inizia oggi alle ore 10, nell’Altana di Palazzo Strozzi, il convegno Donne in rivolta tra arte e memoria, organizzato dalla Fondazione Sum, Istituto Italiano di Scienze Umane, in collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino. Il convegno, che proseguirà mercoledì 30 nel Piccolo Teatro del Comunale (Corso Italia, mercoledì 30) e introdotto da Gae Aulenti, vedrà la partecipazione di nove studiose del livello di Eva Cantarella, Monica Centanni, Maria Grazia Profeti, Clara Mucci, Marisa Sestito, Sandra Teroni, Nadia Fusini, Daniela Brogi, Anna Maria Carpi. La relazione di chiusura è affidata a Francesco Orlando, che parlerà della Carmen, opera che sarà di scena la sera stessa e diretta da Zubin Mehta (regia di Carlos Saura). Monica Guerritore leggerà una scelta di testi classici della contro-scrittura femminile, selezionati da Ernestina Pellegrini. «Il convegno è frutto di una inedita collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino» afferma Aldo Schiavone, direttore dell’Istituto Italiano di Scienze Umane. «L’intenzione è di proporre al pubblico una riflessione non convenzionale sul nucleo tematico del programma di questa stagione. Voci diverse di donne, critiche esperte di testi letterari e teatrali, cui si unisce la voce di un grande teorico della letteratura, analizzeranno figure diverse di “donne contro”proposte dal mito, dalla letteratura, dal teatro. Ad altre figure di donne in rivolta darà voce una protagonista delle scene quale Monica Guerritore. Il Sum, impegnandosi nella costruzione di questo convegno, ha avvertito la responsabilità e al tempo stesso ha vissuto la soddisfazione, di dare un proprio contributo a una istituzione culturale di cui Firenze e l’Italia sono giustamente orgogliose. La collaborazione è nata quest’anno: auspichiamo che diventi una consuetudine». Anche per Francesco Giambrone, Sovrintendente del Maggio Musicale Fiorentino, «l’importanza della nuova sinergia tra l’Istituto Italiano di Scienze Umane e il Maggio Musicale Fiorentino è testimoniata dall’alto profilo del convegno Donne in rivolta e dal valore di tutte le illustri studiose che vi interverranno per approfondire, in vari ambiti, il tema suggerito quest’anno dal Festival. Mi piace sottolineare il punto di contatto nel campo delle performing arts trovato dalle nostre due istituzioni e costituito dalla presenza di una grande attrice come Monica Guerritore che leggerà pagine letterarie ispirate a varie figure di “Donne contro”.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Un ambientalismo non di sinistra è possibile? CON PECORARO SCANIO AL MINISTERO NON C’È STATA ALCUNA POLITICA AMBIENTALE Premesso che in teoria non dovrebbe esistere l’ambientalismo di sinistra o di destra, alla domanda di liberal rispondo sì, ci sarà più spazio. Questo perché con Pecoraro Scanio alla guida del dicastero dell’Ambiente, non c’è stata alcuna politica ambientale, ma solo politica di sinistra estrema e basta. Una serie ininterrotta di no che ha contribuito non poco a relegare il nostro Paese agli ultimi posti nella Unione Europea. Lo stesso Di Pietro, suo collega di governo, disse più volte che le infrastrutture in Italia sono rese fatiscenti per i continui divieti posti dai Verdi nostrani. Ora cambia governo e, speriamo, politica ambientale. Che non sia dissennato assalto all’ambiente, ma ordinato rinnovo alle nostre infrastrutture, secondo le direttive ecologiche in vigore nella Ue. Quando penso ai no dei nostri Verdi mi viene da ricordare il commento di un nostro politico alla mitica scena finale del film americano di Michelangelo Antonioni Zabriskie Point, dove si vede scoppiare una villa con televisori frigoriferi e auto in primo piano. Era il sogno dei giovani protagonisti del film contrari al consumismo e alla politica dell’ambiente in America. Il

LA DOMANDA DI DOMANI

Ora che cosa accadrà nel Partito democratico? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

commento del politico, forse Andreotti, presso a poco fu questo: «Sì, togliete agli italiani televisore, frigorifero e auto, e poi vedrete».

Flavio Turchetti - Milano

L’AMBIENTALISMO IN REALTÀ È DI CENTRO, SENZA I VERDI ORA SARÀ PIÙ EVIDENTE Secondo me l’ambientalismo non è né di destra né di sinistra, ma caso mai di centro. In tutte le realtà europeee in cui è rappresentato a livello istituzionale si colloca su posizioni riformiste. In Italia abbiamo questa anomalia dei verdi che prima abbaracciano una cultura radical chic poco connaturata alle loro tematiche, mentre ultimamente si sono accodati ad una sinistra ideologica e massimalista che li ha fatti scomparire dal Parlamento. Bel risultato: i verdi da soli raggiungevano il 3%; il caravanserraglio della sinistra estrema non arriva al 4%. Le conclusioni mi sembrano evidenti. Con cordialità.

Pippo La Barba - Palermo

LA NATURA NON HA COLORE POLITICO, VA DIFESA SEMPRE E CON PASSIONE Sinceramente non credo che esista un ambientalismo di sinistra o di destra, anzi con queste definizioni si rischia solo di far del male alle tematiche care a chi vuol rispettare la natura e la nostra terra. Bisogna altresì avere il coraggio di dire che i militanti e gli eletti del sole che ride solo in minima parte erano ambientalisti tout court. Il resto del partito era solo un’accozzaglia di estremisti di sinistra, ex radicali (come il pessimo rutelli) e in qualche caso anche ex terroristi. Se fossero stati veramente ambientalisti non avrebbero dato il via libera ad alcune operazioni semplicemente vergognose. Sono di destra e il mio motto è sempre stato «la natura è la tua vita, difendila». E proprio per questo credo che serva immediatamente ripensare il nostro modello di sviluppo e la nostra società del consumo. Non è il nucleare, caro direttore, la panacea di tutti i mali. Prima di andare a cercare nuovi problemi (come le scorie radioattive), pensiamo a come risolvere quelli già esistenti. Facendo tutti un bel passo indietro.

L’ILLUSORIA PROSPETTIVA DELLA VELOCITÀ La fretta di arrivare, di raggiungere l’obiettivo, oramai condiziona la nostra quotidianità: investe il mondo lavorativo, gli affetti familiari ed il sistema educativo. E’ una velocità capace di raggiungere e confondere i bambini e gli adolescenti per trasportarli precocemente in un mondo che non è solo da conoscere, ma è già da affrontare e soprattutto da aggredire. Una velocità che sconvolge i percorsi educativi, ideati oggi più come “percorsi ad ostacoli”che come viaggi di conoscenza e di formazione; una fretta che porta a strutturare iter formativi quasi obbligati, scanditi da continui traguardi che si ha l’obbligo di raggiungere affannosamente, per potersi ritenere soddisfatti; che sovverte l’idea stessa di famiglia, quale società naturale sì di amore e di aiuto reciproco, ma anche di fedeltà e di rispetto per l’intera vita. Si rifletta,“per l’intera vita”, non a giorni o a periodi alternati: una velocità dunque che diventa semplice prospettiva illusoria e che non riesce a coniugarsi con l’impegno, la fatica e la voluntas. E’ infine, a ben vedere, la stessa fretta che isola gli anziani lasciati soli in compagnia della loro

A TUTTO JAZZ Tra danze e costumi stravaganti è iniziato l’attesissimo ”New Orleans Jazz&Heritage Festival”, annuale appuntamento con la musica jazz d’autore. Come sempre, la rassegna si protrarrà fino ai primi di maggio

25 APRILE, SPIEGHIAMO IL SENSO DELLA RICORRENZA Leggo su più quotidiani: «25 Aprile, Giorgio Napolitano accolto a Genova da lunghi applausi (mentre fischi sono stati rivolti al cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana)» Ecco, se qualcuno avesse ancora dei dubbi, questo è un corretto esempio del fatto che si tratta di una ricorrenza che, con la chiave di lettura che ha, alimenta odi, intolleranze, istigazioni alla discriminazione, pericolosi rigurgiti di razzismo (sì, il razzismo a sinistra c’è stato e continua ad esserci e per rinfrescare la memoria dei distratti basterebbe rileggere qualche pagina della storia). In tutto ciò non ho letto una parola di riprovazione esplicita in relazione al fatto, da parte del Capo dello Stato: sicura-

dai circoli liberal Augusto Curino - Roma

inesorabile fragilità. Ma questa velocità fine a se stessa, da sola, finisce per svilire sia il cammino, sia il risultato. La fatica e la soddisfazione per un percorso gradatamente compiuto e l’appagamento per la maturità acquisita devono essere preservate con cura. La coscienza individuale delle proprie capacità quanto quella dei propri limiti deve permettere alle qualità specifiche di ognuno di trovare adeguato sbocco. E deve poi risorgere la capacità di emozionarsi per la costruzione di un progetto, per il suo raggiungimento e soprattutto – cosa assai più ardua – per il suo mantenimento. La fretta che scandisce la nostra esistenza porta invece la maggior parte delle volte a considerare il traguardo come semplice boa da doppiare, nella corsa verso un successivo effimero obiettivo immediato, e non come un’emozionante esperienza di vita da custodire gelosamente nel tempo. Occorre sempre coltivare una passione costante e durevole, in qualsiasi campo noi decidiamo di portare la nostra esperienza e la nostra fantasia: i modelli da imitare, in ogni ambito e settore, dovrebbero essere in grado di instradare verso questi valori, essendone loro stessi

mente mi è sfuggita o Napolitano non li ha sentiti, per questo è più che comprensibile spiegare almeno meglio il significato di una tale ricorrenza.

L. C. Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)

VELTRONI DOVREBBE DIMETTERSI E INVECE.… Il Pd è secondo al traguardo. Niente male come debutto. Ma il conductor Veltroni, d’alta e coraggiosa coscienza, non ha raggiunto l’obiettivo del 35% dei suffragi. Dovrebbe esserne consapevole e dimettersi. Anche perchè ciò gioverebbe alla sua lode. Invece, lo slancio del Nostro, al pari di quello della Nike di Samotracia, resto distaccato, atarassico e da vincitore. È forse un perdente che s’ignora?

Pierpaolo Vezzani

espressione. Ma ecco il problema. La realtà dimostra quotidianamente che la fatica, l’impegno e la preparazione servono per raggiungere risultati che, seppur di pregio, non superano mai la contingenza. Mentre il ‘potere’, il ‘comando’ (è brutto, va cambiato, è brutto dire che si punta al potere)successo, al pari della più effimera ma tanto anelata popolarità, sembrano invece dipendere da tutt’altri fattori, non solo slegati al merito e alla serietà, ma talvolta con essi confliggenti. Michele Ghiggia CIRCOLO LIBERAL TORINO

APPUNTAMENTI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio 800.91.05.29 Avvocato Massimo Golino


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il meglio di

29 aprile

Tesoro, faremo una casa a metà strada Caitlin tesoro tesoro, ho preso molti autobus e mi ci sono addormentato sopra e ho masticato gomma sul treno e sono arrivato qui maledettamente tardi in una specie di tempesta. Stamattina non riesco a fare niente se non star seduto col mal di testa e col fegato dolente in una stanza disordinatissima e guardare la pioggia, e ora sto cercando di tener ferma la mano per scriverti una lettera pultita che non sia tutta tragica perché non sono con te in qualsiasi pazzo posto tu ora ti trovi senza di me. Ti amo Caitlin. Ti amo per milioni e milioni di cose, orologi e vampiri e quadri di sgorbi e e bei capelli e giramenti di testa e sogni di cadute. Desidero che tu sia con me; puoi avere tutti gli spazi fra le case, e io posso avere una camera senza finestre; faremo una casa a metà strada. Cercherò di renderti felice evitando di fare il mezzo scemo. Tutto il mio amore ora e per sempre, per ogni sempre in cui ci sarà Dylan. Dylan Thomas a Caitlin MacNamara

L’UDC È UN CENTRO MODERATO E RIFORMATORE Nell’intervista del 26 aprile scorso Giovanni Sabatucci afferma: «Le ultime elezioni hanno dimostrato che l’insediamento elettorale dell’Udc è un insediamento moderato liberale più che cattolico». Mi rammarico che anche su liberal si rimarchi questa presunta contrapposizione laici-cattolici. In realtà, almeno in politica, la contrapposizione non c’è mai stata. Il popolarismo di Sturzo fu un movimento di laici e cattolici, la Democrazia Cristiana di De Gasperi e di Moro non fu mai il partito dei cattolici. Quindi, ritornando all’Udc, io parlerei di un centro moderato e riformatore senza aggettivi. Certo, l’attuale legge elettorale non favorisce il potenziamento di una politica centrista, ma se verrà introdotto un sistema alla tedesca l’elettorato centrista potrà avere senz’altro una adeguata rappresentanza. E questo non in nome di una visione cristiana della politica, ma piuttosto di un liberalismo per-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

meato dei valori sociali del cristianesimo.

Lettera firmata

1429 Guerra dei cent’anni: Giovanna d’Arco libera Orléans dall’assedio 1945 Nel bunker sotto la Cancelleria di Berlino Adolf Hitler sposa Eva Braun, sua compagna da lungo tempo, e designa il Grandammiraglio Karl Dönitz come suo successore. Il campo di concentramento di Dachau viene liberato dalle truppe statunitensi 1961 Luciano Pavarotti debutta nel mondo dell’opera nel ruolo di Rodolfo ne La Bohème, al teatro dell’opera di Reggio Emilia 1967 Per il suo rifiuto ad arruolarsi nell’esercito il pugile Cassius Clay è defraudato del titolo mondiale 1975 Guerra del Vietnam: Operazione Frequent Wind - gli ultimi cittadini americani iniziano l’evacuazione da Saigon in vista di un possibile attacco finale nordvietnamita. Per gli Usa è l’inizio del disimpegno dal sud-est asiatico 1988 Si fa strada la Glasnost. Mikhail Gorbaciov promette maggiore libertà religiosa in Unione Sovietica

STATO INEFFICIENTE E DOPPIAMENTE INSENSATO Lo Stato italiano è un monopolio (centrale e locale) invadente, dirigista e prepotente in economia; al contrario, è molto manchevole nel suo compito primario di garantire inflessibilmente ordine, legalità e sicurezza. E’ imbelle, pietista e perdonista verso trasgressori, assassini e criminali recidivi.Tale resa dello Stato sembra favorita dalla circolazione di teorie pericolose e malsane. Una di queste spingerebbe per eliminare o ridurre assai la pena carceraria (come se gli assassini fossero angeli); un’altra teoria (giustificazionista) addebiterebbe il crimine – non all’autore – ma alla società, alla povertà e al degrado ambientale. In questo modo, le vittime del crimine subiscono nuova violenza. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale. A presto e distinti saluti.

Gianfranco Nìbale

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

PUNTURE Tutti contro Beppe Grillo perché parla da solo senza contraddittorio e senza ascoltare nessuno. Ma è normale: da che mondo è mondo esiste il Grillo Parlante, ma non il Grillo Ascoltante.

Giancristiano Desiderio

Il vero amico è quello a cui non si ha niente da dire. Soddisfa al contempo la nostra selvatichezza e la nostra socievolezza

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

AL-ZAWAHIRI TOCCATO NELL’ONORE Se non fosse che la tragedia delle Twin Towers è costata la vita a più di 2.000 persone, morte in modo orrendo, le leggende e le controleggende fiorite intorno al terribile attentato, farebbero sorridere, se non ridere. Al Qaeda infatti è dovuta scendere in campo a difendere la paternità dell’attacco dell’11 settembre 2001, punta nell’onore dalle tesi complottistiche che non credono alla versione ufficiale e imputano la responsabilità dell’accaduto a Cia e Mossad il cui fine era fornire al presidente Bush (manovrato dalle solite “lobby plutogiudaico-massoniche”) l’opportunità di colonizzare il Medioriente per motivi petroliferi e/o geopolitici. In stile “Giù le mani dal più noto e sanguinoso attentato terrorista della storia”, il movimento jihadista di Bin Laden si é ribellato a cotanto ingiurioso tentativo di scippargli il “merito”. Per alZawahiri, il principale responsabile della diffusione delle menzogne cospirative è il regime islamico iraniano, e a sua volta, ha elaborato una contro-teoria del complotto, una sorta di complotto del complotto: “Il proposito di questa bugia è chiaro - dichiara Zawahiri -: “Suggerire che fra i sunniti non ci sono eroi capaci di colpire l’America come nessun altro ha fatto nella storia”. L’Iran avrà tante colpe, ma il primo libro uscito con le vergognose tesi negazioniste, è stato “L’incredibile menzogna di Thierry Meyssan, pochissimo tempo dopo l’attentato. Quel che al-Zawahiri forse ignora è che in Europa si grida al complotto americano per riflesso condizionato perché l’antiamericanismo ideologico europeo è forte tanto quanto quello islamico. Ma i complottisti cosa dicono di al-Zawahiri? Come difendono le loro tesi anche di fronte a confessioni così plateali come quelle di Al

Qaeda? Il più famoso in Italia, Maurizio Blondet, semplicemente mette in dubbio la veridicità del messaggio di Al Qaeda, avvalendosi di un’ altra tesi complottistica… stia ben attento però, se gli Usa perdonano, al-Zawahiri, colpito nell’onore potrebbe aversene a male.

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GIUSTIZIA RUSSO-EUROPEA Thomas Hammarber, l’inviato del Consiglio d’Europa nel Caucaso, dopo essersi congratulato con Putin per i progressi in Cecenia e perché non esisterebbe più la tortura nelle carceri cecene (come faccia a saperlo rimane un mistero...), esprime però la sua preoccupazione per quello che ha visto in Daghestan e in Inguscezia. Le madri di Beslan, come era già intuibile fin dal primo giorno dall’attacco alla ormai tristemente nota scuola nr.1, non otterranno giustizia e verità. Per loro hanno versato fiumi di lacrime e inchiostro da tutto il mondo, ma ora non gli da una mano nessuno. La stampa russa ha osato parlare un po’troppo della la presunta relazione tra il presidente Putin e la campionessa olimpica Alina Kabaeva ed è scattata subito la purga: ci sono editori che licenziano i direttori di giornali e la Duma che promulga nuove leggi restrittive sulla libertà di stampa per cui ora si rischia grosso non solo per ”estremismo” ma anche per ”diffamazione”. Indicativo è il rapporto dei voti tra i favorevoli e non. Il prossimo passo sarà probabilmente quello di mettersi alla pari con la Cina, cioè di applicare gli stessi metodi censori passando dalla carta stampata ad internet. Kadyrov annuncia: «Licenzierò chi non rispetta i diritti umani». Aspetto ansioso le sue dimissioni.

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PAGINAVENTIQUATTRO Solo il 14 per cento sa che Mosè è un personaggio dell’Antico Testamento

Gli italiani non conoscono di Francesco Rositano li italiani non conoscono la Bibbia, preferiscono pregare con parole proprie e sono più propensi ad ascoltare le prediche e le messe in tv. Solo 14 per cento sa che Mosè è un personaggio dell’Antico Testamento oppure è in grado di contestualizzare la famosa caduta da cavallo di San Paolo. Ecco cosa risulta da una semplice lettura quantitativa dello studio effettuato dal centro di ricerca Eurisko su commissione della Federazione Biblica cattolica, in vista del Sinodo dei Vescovi del prossimo ottobre che avrà come tema ”La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. In realtà non ci sarebbe tanto da stupirsi se si considera che recentemente lo stesso Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio in pectore, aveva scambiato San Pietro per San Paolo a proposito della conversione sulla via di Damasco. Certo le perplessità sono giustificate se si pensa che la ricerca ha preso in esame Paesi tradizionalmente cristiani, in cui la Bibbia - che comunque si conferma il libro più diffuso al mondo con il maggior numero di traduzioni - è il testo religioso di riferimento negli Usa, Regno Unito, Olanda, Germania, Spagna, Francia, Italia, Polonia e Russia. In una ipotetica “top ten”,

G

Dall’indagine i migliori conoscitori della Bibbia sono risultati i polacchi: 20 su 100 hanno dato tutte le risposte esatte. Mentre soltanto il 7 per cento degli ortodossi russi conosce l’abc dell’Antico Testamento. Nella foto Charlton Heston nel film

I dati di una ricerca Eurisko commissionata dalla Federazione Biblica cattolica per il Sinodo dei Vescovi i più bravi sarebbero risultati i polacchi: 20 persone su 100 hanno dato tutte risposte esatte. Soltanto il 7 per cento degli ortodossi russi conosce “l’abc”della Bibbia.

Per gli esponenti del mondo accademico ed ecclesiale che ieri hanno presentato i risultati di questo studio presso la Sala Stampa Vaticana non ci sarebbe poi tanto da disperarsi: la Bibbia è ancora un punto di riferimento importante dei fedeli; riesce ad arginare il rischio del relativismo e ha una grandissima capacità di aggregare le persone e quindi di fare “la Chiesa”, cioè l’Ecclesia, la comunità dei cristiani riuniti dalla fede in Cristo. Questo, in sintesi, il giudizio dei relatori che ieri hanno presentato lo studio presso la Sala Stampa della Santa Sede: monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; monsignor Vincenzo Paglia,Vescovo di Terni e Presidente della Federazione Biblica Cattolica. E il Prof. Luca Diotallevi, Coordinatore del grup-

la BIBBIA po di ricerca, Docente di Sociologia all’Università di Roma 3.

Nel suo articolato intervento monsignor Paglia si è soffermato sull’importanza di leggere in gruppo le Sacre Scritture. «La Bibbia – ha detto il vescovo - è davvero il libro della Chiesa; ogni individualismo la impoverisce. Non si può leggere da soli la Sacra Scrittura. Certo, è sempre importante leggere la Bibbia in modo molto personale, in un colloquio personale con Dio, ma nello stesso tempo è importante leggerla in una compagnia di persone con cui si cammina». Sul legame positivo tra appartenenza ad una comunità e maggio-

re conoscenza del testo biblico si è soffermato anche il professor Luca Diotallevi, coordinatore del gruppo di ricerca.“La analisi sociologica – ha detto il prof. Diotallevi - mostra che la pratica della lettura biblica statisticamente dipende, più che dalla condivisione di credenze religiose, dalla partecipazione a eventi e gruppi che già praticano questo comportamento. La lettura della Bibbia, come ogni altro comportamento ha bisogno di essere introdotta ed accompagnata”. Infine il professore ha detto che la maggior parte degli intervistati è favorevole all’insegnamento della Bibbia nelle scuole. Un’implicita ammissione che c’è ancora tanta strada da fare?


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