QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Innovazione e mercati globali: parla l’ambasciatore americano
e di h c a n o cr
Cara Italia, ecco come puoi tornare a crescere
di Ferdinando Adornato
colloquio con Ronald P. Spogli di Pierre Chiartano
alle pagine 2 e 3
’è un’etica del capitalismo, libera da gabbie ideologiche e da antichi pregiudizi, che guida l’operato di tantissimi imprenditori e che aiuta a mantenere sempre vivo quello spirito collettivo che è una delle basi fondanti degli Stati Uniti». È un ambasciatore statunitense in Italia senza peli sulla lingua quello che emerge dal colloquio con Liberal. Ronald P. Spogli è sinceramente interessato a far sì che lo sviluppo del nostro Paese riprenda. È convinto che «c’è la necessità di sviluppare, nella cultura italiana, un atteggiamento favorevole verso gli investimenti. Il Paese del Rinascimento e del Risorgimento deve risvegliare i suoi istinti per gli affari! Gli elementi istituzionali chiave esistono tutti: università di prim’ordine, manodopera qualificata e menti imprenditoriali e finanziarie piene di talento. Questi elementi, tuttavia, non interagiscono in un circolo virtuoso». Da anni le istituzioni consolari e l’ambasciata Usa di Roma hanno cercato di creare un clima favorevole alle partnership fra imprese italiane e americane, utili anche agli investimenti. Per troppo tempo posizioni ideologiche, interessi localistici e una certa miopia hanno bloccato le relazioni transatlantiche nel campo degli affari. Perciò abbiamo chiesto all’ambasciatore una testimonianza sulla sua esperienza italiana, in un momento in cui il sistema del libero mercato viene messo sotto la lente d’ingrandimento. c on t in ua a p a gi na 8
La proposta dell’Azione Cattolica
Dopo il deferimento della Ue
«C
Cari amici che ci odiate 9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80507
IL NUOVO ANTISEMITISMO. LETTERA APERTA AI CONTESTATORI DI TORINO DELLO SCRITTORE ISRAELIANO MICHAEL SFARADI
«Se vogliamo la pace dobbiamo fermare i portatori d’odio, smettere di bruciare bandiere e di boicottare libri ed idee»
Dopo la (finta?) semplificazione
Il ritorno di An e dei partiti di Nicola Procaccini
Clinton cerca il passo falso di Obama
«Adesso serve Rifiuti: Alemanno una Costituente lancia l’allarme educativa» anche per Roma
La speranza di Hillary: l’effetto Dukakis di Michael Novak
di Francesco Rositano
di Giancristiano Desiderio
«Tensione tra An e Berlusconi» titolavano i quotidiani italiani del 7 giugno 2001. Erano i giorni che precedevano la nascita del secondo governo guidato dal Cavaliere.
Mentre l’infinita campagna del Partito democratico si sta rapidamente dirigendo verso le sfide cruciali in Indiana e nella Carolina del Nord, l’orizzonte si fa sempre meno nitido.
Di fronte a fatti deplorevoli come quelli di Verona, agire ognuno con il proprio metodo non è sufficiente. Monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, lancia l’idea di una Costituente educativa.
Anche Gianni Alemanno ha lanciato l’allarme. Ed esprime la sua «preoccupazione per il problema dello smaltimento dei rifiuti a Roma» dopo il deferimento della Regione Lazio da parte della Ue.
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MERCOLEDÌ 7 MAGGIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
83 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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cari amici che
ci odiate
Lettera aperta ai contestatori di Torino di uno scrittore membro della delegazione israeliana alla Fiera del libro
Noi vogliamo la pace.E voi? di Michael Sfaradi Cari Amici, Prendo spunto dalla contestazione che state organizzando, contro la presenza di Israele come ospite d’onore alla fiera del libro di Torino, per esternare alcuni pensieri sulla situazione mediorientale, considerazioni che spero possano servirvi come materia di riflessione. Sinceramente non sono ancora riuscito a capire se siete amici dei Palestinesi perché odiate noi, o se odiate noi perché siete amici dei Palestinesi. Se si tratta del primo caso alzo le mani e mi arrendo, perché se ci odiate “a prescindere” non c’è davvero nulla che si possa fare per arrivare ad un punto d’incontro. Se si tratta del secondo, possiamo per una volta lasciare da parte i nostri sentimenti e provare a ragionare. Molti di voi si dicono pacifisti, quindi sono sicuro che nessuno pensa ad uno Stato Palestinese che debba nascere al posto di Israele; perché così facendo scambieremmo una guerra con un’altra e ci sarebbe un altro popolo senza terra da accasare. Sono tante le cose riportate dai mezzi d’informazione in maniera incompleta o volutamente stravolta e proprio perché noi israeliani veniamo dipinti spesso in malafede, che peggio non si potrebbe, mi sembra giusto fare un po’ d’ordine.
ci raggiunte con l’Egitto dopo la guerra del 1973 e più recentemente con la Giordania sono la prova di quanto la pace è importante per ogni israeliano. Gli stessi accordi di Oslo, che poi sono finiti che peggio non si poteva, hanno comunque dimostrato il desiderio da parte di Israele di arrivare ad una soluzione che potesse permettere ad ognuno dei due popoli di vivere secondo le sue tradizioni. Non fatevi ingannare, cari amici, da chi dice che gli Israeliani non hanno diritto di stare dove stanno e che dovrebbero tornare nei loro paesi di origine, costoro commettono uno sbaglio enorme perché probabilmente non conoscono la storia. Gli israeliani di oggi sono i figli, i nipoti e i pronipoti di quelli che bonificarono le
se. Combatterono contro i tedeschi nazisti e gli italiani fascisti, contribuendo alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Se oggi si vive in libertà, un po’ del merito è anche di quei giovani che sacrificarono la loro vita sotto la bandiera che sarebbe poi diventata quella del loro stato. Quando il 25 Aprile vedete sfilare gli striscioni con la bandiera di Israele, smettetela di fischiare e insultare perché quella bandiera sta lì di diritto. Se davvero amate la pace, non fatevi ingannare da chi vi dice che Israele dovrebbe accettare al suo interno tutti i profughi palestinesi o presunti tali, perché le due popolazioni hanno dei bisogni che non sono conciliabili. Gli israeliani da una parte hanno bisogno di Israele così com’è,
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“
Vi dite pacifisti: perciò penso che nessuno voglia uno Stato palestinese che nasca al posto di Israele perché così comunque ci sarebbe un altro popolo senza terra
Siamo stati chiamati i nuovi nazisti e questa è un’offesa all’intelligenza degli esseri umani. Il governo dello stato d’Israele non ha mai costruito campi di sterminio e credetemi non ha mai pensato di farlo. Non ha mai perseguitato nessuno per credo politico, religioso o per qualsiasi altro motivo. In Israele si registra la presenza di diverse comunità religiose, oltre all’ebraica ed alla musulmana vivono liberamente comunità arabo-cristiane, buddiste, induiste, testimoni di Ge-ova ed altre ancora fino ad arrivare ad alcune centinaia di seguaci di Ari Krishne. Oltre alla maggioranza ebraica Sefardita ed Aschenazita e agli arabi israeliani, vivono liberamente in Israele: Beduini, Drusi, Armeni e Samaritani. Tutte queste religioni ed etnie hanno la piena libertà di svolgere le loro funzioni ed insegnamenti; non sarebbe un peccato spazzare via questo tesoro? Si è più volte affermato che Israele non vuole la pace, altra menzogna detta da chi mente sapendo di mentire. Tutti i governi israeliani, dalla fondazione dello stato 60 anni fa ad oggi, hanno sempre cercato il dialogo e le pa-
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paludi e irrigarono i deserti che stavano lì dove oggi c’è Israele. Molti di quei pionieri subirono pogrom e persecuzioni nelle nazioni d’origine e se i loro discendenti dovessero tornare nei posti che un tempo furono abitati dai loro avi, diventerebbero rapidamente minoranza minacciata. Questa francamente non mi sembra una buona soluzione. Dovreste sapere che i primi a fregiarsi del nome “Combattenti Palestinesi”sono stati proprio gli ebrei residenti nel mandato britannico, che si arruolarono volontari, durante la seconda guerra mondiale, come brigata autonoma nell’esercito ingle-
brevissimo tempo il mondo si ritroverebbe davanti ad una guerra civile devastante. I palestinesi poi non hanno bisogno di vivere in uno stato che abbia una cornice ebraica, per loro è incompatibile come è incompatibile un regime politico di democrazia.
Non nascondiamoci dietro un dito, il mondo arabo non ha ancora adottato la democrazia come metodo di vita… anzi la combatte. Io credo che l’unica soluzione che possa portare un po’ di calma stabile nella regione è la creazione di due stati che imparino a vivere uno accanto all’altro. Due stati che sappiano collaborare e che crescano insieme portando tranquillità in una terra che tranquilla non è mai stata. Cari amici che ci odiate perché siete amici dei palestinesi, fate un favore a noi e a loro, fategli capire che se continuano a pensare ad una Palestina senza Israele riusciranno solo ad ottenere Israele senza Palestina. Cercate di convincerli che le utopie farneticanti dei manipolatori che li spingono a distruggere prima di costruire, hanno sempre portato e continueranno a portare lutti e disgrazie a tutti. Se vogliamo la pace, cari amici, dobbiamo bloccare questi portatori d’odio ed imparare il rispetto per gli altri. Bisogna smettere di bruciare bandiere, di boicottare i libri e le idee che essi rappresentano e trovare degli accordi che consentano a tutti di vivere dignitosamente. Un caro saluto
Se vogliamo la pace dobbiamo fermare i portatori d’odio e rispettare gli altri. Non bruciare bandiere, non boicottare libri e costruire due Stati autonomi cioè una nazione dove la democrazia e la laicità sono e saranno per sempre le fondamenta di uno stato moderno e occidentale, ma dall’altra vogliono una nazione che deve anche racchiudere in sé un’anima di tradizione e religiosità ebraica che la renda unica al mondo.Visto che l’antisemitismo è ancora molto duro a morire, Israele deve continuare ad essere un porto d’approdo e una ciambella di salvataggio per tutti gli ebrei ancora sparsi nel mondo. Un’immigrazione palestinese sconvolgerebbe questo status creando attriti insanabili e tensioni che sfocerebbero in violenze. In
Il pensiero dei “nuovi antisemiti”
Non solo Vattimo a sinistra odia Israele
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ROMA Il più famoso dei boicottatori della fiera del libro di Torino è proprio lui, Gianni Vattimo, il filosofo del pensiero debole e persona umanamente anche simpatica seppure incline al delirio. Pensiero debole e duttile il suo. Dice di essere cristiano, perchè Dio è amore, sicchè ne discende che a lui fanno orrore le repressioni israeliane contro i palestinesi. Non si è sentito però da Vattimo pronunciare una parola anche per le vittime degli attentati antisraeliani portati a segno dai palestinesi sulla popolazione civile. Non solo. Lui che è così sensibile per le sorti degli oppressi nel caso della repressione cinese in Tibet ha cambiato prospettiva. Insieme al professor Domenico Lo Surdo, dell’università di Urbino, ha firmato un appello contro la criminalizzazione della Cina erede della rivoluzione culturale di Mao Tse Tung. Nell’appello si denunciava la macchinazione occidentale contro la Cina e la violenza controrivoluzionaria dei monaci tibetani. Deve trattarsi della vecchia storia per cui la violenza commessa in nome del proletariato è una violenza diversa, rispetto a quella consumata in nome di qualcos’altro. Vecchie storie appunto. Che si ripetono. I riflessi condizionati di certa sinistra son duri del resto a mo-
cari amici che
ci odiate
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Parla il politologo Gian Enrico Rusconi
La nobile Torino? Non esiste più colloquio con Gian Enrico Rusconi di Riccardo Paradisi
ROMA. Alla vigilia dell’apertura del salone del libro di Torino la tensione in città è molto alta. Si teme che le contestazioni annunciate superino il livello di guardia e che il capoluogo piemontese – ancora scosso per gli incidenti di sabato scorso in Piazza Vittorio Veneto esplosi per le multe inflitte dai vigili urbani ad alcuni automobilisti – si trasformi in un teatro di violenza diffusa, come accadde a Genova nel luglio 2001 in occasione del G8. Intanto continua a montare la polemica sul boicottaggio della fiera. L’ambasciatore israeliano a Roma Gideon Meir ha dichiarato che la presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Fiera dove ospite d’onore è Israele «è una posizione morale molto importante. Gli estremisti che vengono a Torino per boicottare
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rialità istituzionale di cui la Fiera del libro dovrebbe godere. È una dabbenaggine come l’idea della Torino colta, civile e antifascista che ormai è solo un mito, un lontano, sbiadito ricordo. Ecco questa doppia idea di una città civile violata dai contestatori e di una fiera del libro come zona franca dalle tensioni politiche è una cosa ridicola. Non mi sorprende affatto quello che sta accadendo. A cosa attribuisce questa esasperazione del conflitto? A Torino come in altre città italiane c’è un tasso di violenza, di involgarimento spaventoso. Il problema è che i vecchi correttivi, quelli legati alla grande città dell’azionismo e dell’antifascismo, non funzionano più. Il presidente Napolitano dovrà parlare a porte chiuse a Torino. Non è un bel segno. No, ma è una misura ragionevole di sicurezza. È deplorevole lo so ma le cose vanno così e non si vedono gli strumenti culturali e politici in grado di evitarli. Ci sono intellettuali, come Gianni Vattimo, che appoggia boicottaggio e contestazioni. Come Vattimo ci sono altre decine di intellettuali che sostengono le stesse posizioni. Che dire: che a Torino o altrove non c’è un antivattimo abbastanza forte. Umberto Eco per esempio dov’è? Perchè non parla? Eppure è pericoloso cedere alla piazza. Oggi un dito, domani tutto il braccio. Ma la risposta a questa violenza non è la repressione di polizia che ha il compito di garantire il conflitto dentro certi argini, la risposta deve essere politica e culturale. Ecco io mi domando il nuovo governo avrà gli strumenti culturali per contenere questo conflitto? La cultura tradizionale di sinistra ha mostrato la corda sulla questione della sicurezza. Ha mostrato i limiti di una democrazia progressiva che fa fatica a gestire i conflitti. Ma questa svolta di destra che c’è stata in Italia avrà gli strumenti per contenre questa conflittualità. Saprà farlo il leghismo? Questa maggiorazna ha vinto perché ha puntato moltissimo sul tema della sicurezza ebbene che avrebbe fatto a Torino? Nel merito ideologico la sinistra si scopre però più contraddittoria della destra su Israele. A contestare la fiera ci sarà anche la sinistra radicale che siede nella giunta di Chiamparino a Torino. La sinistra ha interiorizzato questo conflitto più della destra è vero e una gestione di sinistra dell’evento si porta con sè questa contraddizione.
La sinistra ha mostrato i limiti della democrazia progressiva a gestire i conflitti, ma la destra ha gli strumenti politici e culturali per affrontare l’emergere della violenza nella società italiana? la Fiera vogliono delegittimare lo stato di Israele». Di quanto sta accadendo ne parliamo con il professor Gian Enrico Rusconi, politologo torinese ed editorialista della Stampa.
a sinistra lo scrittore israeliano Michael Sfaradi; in basso il filosofo Gianni Vattimo
rire. Valerio Evangelisti, giallista e autore di fantascienza nel suo intervento contro la Fiera del Libro di Torino su Carmilla on line scrive tra le altre cose: «I vari governi israeliani hanno assassinato moltissimi scrittori, poeti, intellettuali palestinesi, da Ghassan Kanafani, a Wael Zwaiter, traduttore in italiano de Le mille e una notte a Naïm Khader, che era solo un uomo di pace. Più decine di altri, uniti dal torto di dare alla causa palestinese un’intelligenza. Domanda: è giusto glorificare in un Salone del Libro uno Stato che esilia scrittori propri ed elimina, tramite sicari, scrittori appartenenti a una diversa etnia che si intende cancellare?». Il giorno clou delle contestazioni dovrebbe essere il 10 maggio come fanno pensare i messaggi nei siti di Indymedia che invitano a manifestare «tutti i giorni a partire da giovedì», quando alla cerimonia d’inaugurazione interverrà il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. «Dal Presidente della Repubblica ai governi di questi anni – spiega Indymedia – dalle istituzioni locali a quelle militari o commerciali, l’alleanza strategica con Israele non viene mai messa in discussione, nonostante il tributo della popolazione palestinese. È ora di scendere in piazza».
Professore che ne è della nobile e colta Torino? La Torino a cui lei fa riferimento non esiste più da decenni. È scomparsa. Sopravvive nella memoria di alcuni anziani signori. È una cosa che fu e che ora non è più.Torino ormai è una città si insorge per una contravvenzione. Questo è il clima di violenza endemica che si respira direi in tutta Italia. Ma sono paragonabili le contestazioni antiisraeliane alla fiera del libro con gli incidenti di Piazza Vittorio Veneto dello scorso sabato? Noi siamo di fronte a un forte, oggettivo problema di sfaldamento culturale e sociale. Una tensione diffusa che come una molla è pronta a scattare all’occasione. Può trattarsi di violenza politica o comune ma resta sempre l’incapacità della politica di governare il conflitto ormai. D’altra parte come si poteva pretendere che un problema così scottante quale è l’anniversario della fondazione di uno stato come Israele non provocasse quello che ha provocato? Lei dice che è normale Dico che era prevedibile, non normale. È grave ma era prevedibile. E poi a me. dico la verità, fa un po’sorridere questa pretesa di extraterrito-
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politica
Rivendicazione del Cencelli nei posti di governo, il nuovo ruolo di Alemanno che comincia a porre problemi: dopo le elezioni riemerge la voglia di identità
Il ritorno di An di Nicola Procaccini ensione tra An e Berlusconi» titolavano i quotidiani italiani del 7 giugno 2001. Erano i giorni che precedevano la nascita del secondo governo guidato dal Cavaliere. Erano i tempi in cui Berlusconi, esasperato dalle trattative con i partiti alleati della Casa delle Libertà, dichiarava alla stampa: «Tutti pretendono, tutti mi chiedono. Le cose non possono andare avanti così. Basta! Non posso essere soltanto io a sacrificare i miei». Curiosamente, «Tensione tra An e Berlusconi» è lo stesso titolo utilizzato dai giornali di ieri negli articoli dedicati al Totoministri 2008. Non stupisce e non scandalizza nessuno che ci siano difficoltà e nervosismi in una fase delicata come quella che precorre la formazione di un esecutivo, peraltro sacrificato dalla legge del precedente parlamento (della serie: i pozzi avvelenati). Sorprende il fatto che nonostante la nascita del Popolo della Libertà, le trattative vengono ancora condotte dai partiti che lo compongono, come se nulla fosse successo nel frattempo. Non solo Umberto Bossi rivendica spazi adeguati al governo per la Lega, ma anche Gianfranco Fini punta i piedi e non accetta di vedere i dirigenti di An esclusi dalla compagine governativa. L’unica differenza rispetto a sette anni fa è che non c’è più Pierferdinando Casini con il Ccd, ma a trattare con il Cavaliere al posto suo c’è Gianfranco Rotondi della Dca, oltre a Lombardo, Nucara, Giovanardi, Mussolini, etc…
«T
Insomma, passata la campagna elettorale, vinte le elezioni, sembra tornata la voglia di preservare le proprie identità dal melting pot berlusconiano. Anche i giornali più vicini al Pdl se ne sono accorti. Fausto Carioti su Libero di ieri notava con molta onestà che «le vecchie abitudini non sono passate di moda, il partito di Berlusconi e quello di Fini continuano a ragionare come semplici alleati di un cartello elettorale, ognuno con i suoi voti e le sue vittorie da rivendicare di fronte all’altro». Già, proprio Alleanza Nazionale sembra essere il partito più riottoso ad accettare i diktat berlusconiani. Formalmente le trattative per An sono condotte da Altero Matteoli, ma le indicazioni di Fini restano inderogabili. C’è da immaginare che la pretesa aennina di avere tre ministri con portafoglio verrà disattesa da Berlusconi con una parziale compensazione mediante l’as-
Msi in poi, è (forse) destinato a terminare nel Pdl, ma fino all’ultimo giorno di esistenza di An, i colonnelli con Fini alla loro guida intendono fare fronte comune contro Silvio Berlusconi e gli uomini di Forza Italia. Costi quel che costi. E non escludono più, forti anche dell’insuccesso de La Destra di Storace, di conservare la propria identità a prescindere dall’evoluzione del Pdl.
Domenica prossima si terrà l’Assemblea Nazionale in cui Gianfranco Fini lascerà il timone del partito. Sarà un passaggio storico per Alleanza Nazionale. Ma non è detto che sarà l’ultimo segnazione di due ministeri senza portafoglio. Ma non è questo il punto. Molti considerano le pretese aennine – probabilmente anche Berlusconi – come figlie delle divisioni correntizie che hanno dilaniato il partito di Fini in questi anni. Sbagliano. La verità è che mai come in questo mo-
mento sembrano passare in secondo piano le divisioni tra La Russa e Matteoli o tra Gasparri ed Alemanno. Anzi, proprio la vittoria di quest’ultimo a Roma ha sancito una sorta di ricomposizione antropologica tra gli uomini di An. Le scene di esultanza di tutto il partito per l’affermazione capitolina sono parse davvero sincere. Il percorso comune, per quanto burrascoso, in tanti anni di militanza dal
Gianni Alemanno è stato uno dei più chiari in questo senso, conosce bene i vantaggi di credito e popolarità della sua nuova posizione ed ora vuole giocarsi la partita a modo suo. Vuole vederci chiaro su come si procederà alla realizzazione del partito Pdl, vuole sapere tutto del tesseramento, dei congressi, delle nomine, etc… Per questo, nella prima conferenza stampa da sindaco di Roma, Alemanno ha pronunciato parole che per tutti sono suonate come un mezzo stop al percorso di scioglimento di Alleanza Nazionale nel Pdl. Alemanno sa pure che la sua corrente all’interno di An è la meno incline a dissolversi dentro la nuova creatura berlu-
politica
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L’editorialista del “Sole”: il bipartitismo fa i conti con la realtà
Il Pdl ora non esiste, Veltroni sta peggio colloquio con Stefano Folli di Errico Novi
ROMA. Veltroni? «Le primarie sono state un gioco, la leadership di Walter è tale finché i notabili la accettano, va costruita ora». E il Pdl, dice Stefano Folli, «in questo momento non esiste più, poi vedremo se si riprenderà». L’editorialista del Sole-24Ore non è sorpreso più di tanto eppure si sarebbe aspettato dalle due formazioni maggiori «una minore discontinuità rispetto alla retorica pre-elettorale: adesso la realtà si prende la sua rivincita e i partiti ritirano fuori la testa». Tutto accade con sorprendente simultaneità: le rivendicazioni di An, il riemergere dell’identità diessina, la stessa repentina archiviazione del gruppo unico tra Pd e Di Pietro. Dopo la semplificazione tanto sbandierata si comincia a vedere che non è tutto oro quello che luccica. Basta fare caso alle parole: è curioso sentir dire ”noi di An” dopo che il Pdl è stato presentato come un’iniziativa forte a cui mancava solo il crisma della fusione, il sigillo formale. Adesso appare come un cartello elettorale, in cui Via della Scrofa prova a trattare da pari a pari con Berlusconi e a mettersi sullo stesso piano della Lega: eppure il rapporto si era instaurato con uno spirito completamente diverso, tanto che Casini era stato messo in condizione di andarsene da solo. Non si capisce proprio il Pdl che fine abbia fatto… E in più c’è Alemanno che quasi si muove da leader autonomo. Non hanno una figura accreditata a parlare a nome del partito, quindi di fatto può farlo chiunque. Non c’è dubbio che per loro la vicenda di Roma abbia rappresentato una svolta, non si aspettavano la vittoria e sono stati rimessi all’onore del mondo. Al di là del fatto che non otterranno il Welfare, è lo spirito che conta: evidentemente il Pdl in questo momento non esiste più, magari si riprenderà dopo, rinascerà, ma ho l’impressione che dopo la vittoria di Roma sarà molto più difficile arrivare al partito unico. Così difficile che il progetto potrebbe fallire? Diventa sicuramente un percorso più
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sconiana. Viceversa, Gasparri e La Russa sono da sempre accesi sostenitori del partito unico del centrodestra, la loro base è ideologicamente più compatibile con quella di Forza Italia, ma sono entrambi troppo esperti per non vedere tutte le incognite che si celano nel futuro del Popolo della Libertà. E per questo frenano anche loro.
Emblematiche in questo senso sono state le parole di un “gasparriano Doc” come il piemontese Ugo Martinat. L’ex viceministro aennino alle Infrastrutture si è rivolto a Sandro Bondi, che celebrava il gruppo unitario del Pdl come la nascita del partito unico, con parole inequivocabili: «Il Pdl è una lista elettorale, niente di più». Detto dei colonnelli, la vera incognita è rappresentata da Gianfranco Fini. L’atteggiamento del neopresidente della Camera, come sempre, prescinderà dalle intenzioni dei dirigenti di An. E, come al solito, dipenderà molto dalle contingenze del momento. La sua strategia si modella sul quotidiano modificarsi della realtà circostante. Lo sanno bene i colonnelli che spesso sono rimasti spiazzati dalle mosse del leader. Nell’immediato, l’unica certezza
per tutti è che domenica 11 maggio presso l’Hotel Summit di Roma si terrà l’Assemblea Nazionale di An. Sarà un passaggio storico per Gianfranco Fini e per il partito che da sessant’anni rappresenta la destra italiana. Colui che ne assunse la guida nel lontano 1987, e la mantenne ininterrottamente dal 1991, colui che trasformò il Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale nel 1994, dopo averla traghettata dall’emarginazione politica al governo della nazione, lascerà ufficialmente il timone del partito. Al suo posto verrà nominato dall’assemblea Ignazio La Russa, il quale, insieme ad un gruppo ristretto di dirigenti, sarà chiamato a guidare il partito fino al prossimo congresso nazionale, previsto ad ottobre. Sarà il congresso di scioglimento di An? Forse, ma non è detto. Lo stesso Fini ha tenuto a precisare che l’avvicendamento resta soltanto formale e dovuto al fair play istituzionale che, per meglio rappresentare l’intero Parlamento, impone al presidente di Montecitorio di lasciare la guida del proprio partito. Dal destino di An dipende quello del Pdl, dal destino del Pdl dipende quello del governo di Silvio Berlusconi.
complicato. Con la vittoria a Roma, An ha scoperto di avere una forza che credeva di aver perso più e ora ambisce a qualcosa di più sostanzioso rispetto all’ingresso nel partito berlusconiano. Insomma si è rincuorata, anche se da qui a pensare di avere lo stesso peso della Lega ce ne corre. Ci siamo illusi per un po’ di poter assimilare lo schema anglosassone. Non è così, inevitabilmente. In Gran Bretagna c’è un modello consolidato addirittura nel corso di secoli, non si poteva pensare di arrivarci con un paio di colpi ben assestati. Oggi i partiti ritirano fuori la testa e saranno ulteriormente incentivati a farlo dalle Europee che prevedono il sistema proporzionale. Nel Pd la debole identità fa segnare passi indietro. Il Pd non è un’operazione organizzativa, rappresenta un modo di presentarsi alle elezioni o poco più. Non vorrei infierire ma non credo ci sia una differenza così grande tra Partito democratico e Pdl. Non c’è stata una vera fusione, Ds e Margherita restano due entità distinte. Le elezioni sono andate come sappiamo e questo pesa, certo, ma oggi il dibattito è tutto interno agli ex Ds. Non mi sorprende il ritorno alla realtà ma il modo in cui è stata sconfessata la retorica pre-elettorale. Come si costruisce un’identità, nel Pd, ora che è sotto tiro l’unica cosa certa, ossia il leader? C’è stata un’operazione molto fragile, molto mediatica. Adesso si scopre che il processo politico è decisamente più arretrato rispetto a come lo si era presentato agli italiani. Non solo c’è il peso della sconfitta, ripeto, ma anche l’imbarazzo a sconfessare la retorica pre-elettorale. Le primarie sono state un gioco, uno scherzo, nulla di paragonabile a quelle americane. Veltroni esiste come leader finché è accettato come tale dai big del partito. Mentre Berlusconi è un leader vero, discusso quanto si vuole ma sostenuto dal modo in cui ha reagito alle sconfitte, Walter non può limitarsi a dire di essere legittimato dalle primarie: può darsi che riuscirà a imporsi, ma la sua battaglia politica si apre ora.
An ha ripreso coraggio e il partito unico non è più scontato, nel Pd il dibattito è limitato ai diessini
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politica Il Carroccio fa pesare i suoi voti. Bossi incassa quattro ministeri
Governo a egemonia leghista d i a r i o
d e l
g i o r n o
Eletti i vicepresidenti della Camera Antonio Leone e Maurizio Lupi (Pdl), Rosy Bindi (Pd) e Rocco Buttiglione (Udc) sono stati eletti vice presidenti della Camera. È questo l’esito della votazione di ieri a Montecitorio per la composizione dell’Ufficio di presidenza. Il gruppo dell’Idv, salvo due voti, ha scelto Silvana Mura, candidato di bandiera, replicando quanto fatto al Senato con Patrizia Bugnano. L’Aula ha eletto anche i tre questori, (Francesco Colucci di Fi, Antonio Mazzocchi di An per il Pdl, Gabriele Albonetti per il Pd), e gli otto segretari: sono Pippo Fallica e Gregorio Fontana (Fi), Donato La Morte (An) e Lorena Milanato per il Pdl; Renzo Lusetti, Emilia De Biasi, Mimmo Lucà e Gianpiero Bocci per il Pd.Altri tre segretari aggiuntivi saranno eletti prossimamente, uno per l’Idv, uno per il Misto, uno per la Lega.
Rutelli: “sì” al consiglio comunale di Roma?
di Riccardo Paradisi
ROMA. A portare a casa il bottino maggiore nella redistribuzione delle casematte governative è la Lega di Umberto Bossi. Al Carroccio infatti vanno quattro ministeri, un numero pari a quelli che prenderà Alleanza nazionale. Riforme federalismo, interni e agricoltura rispettivamente: a Roberto Calderoli, Umberto Bossi, Roberto Maroni, Luca Zaia. A questi va aggiunto il viceministero alle Infrastrutture per il quale è stato indicato Roberto Castelli. E in qualche modo anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti visto l’asse strategico che unisce ormai sempre di più l’economista al movimento di Umberto Bossi. E che sia la Lega a imporre ormai l’ordine del giorno al dibattito dentro la maggioranza lo dimostra l’invito rivolto al governo dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni a prestare attenzione alla questione settentrionale: «Ciò che abbiamo realizzato in Lombardia ha capacità di insegnamento per tutto il Paese. Mi auguro, anzi sono sicuro, che chi governa il Paese saprà rendere effettiva, anche per l’intera Italia, quella capacità di dialogo con le parti sociali, con le altre istituzioni, con la capacità di mettere al centro le persone, la famiglia, le imprese come abbiamo fatto noi». Anche l’invito che Berlusconi ha fatto a Formigoni di presentarsi nuovamente nel 2010 per la presidenza della Lombardia, per accompagnare la Regione verso l’Expo andrebbe letta dentro la preoccupazione di arginare l’espansione
della Lega da parte del leader del Pdl. Al quale del resto Bossi ha ancora ricordato come Berlusconi non ce l’avrebbe fatta a vincere le elezioni senza l’appoggio della Lega. Berlusconi lo sa bene e per questo ha dovuto limitare appetiti e ambizioni dei ”suoi” sacrificando sia il suo portavoce Sandro Bonaiuti sia Marcello Pera. Il Cavaliere manda alla giustizia Angelino Alfano, al Welfare Stefania Prestigiacomo, all’Ambiente Michela Brambilla, al ministero dei Beni culturali Sandro Bondi, all’istruzione Maria Stella Gelmini.
Nella composizione del governo Berlusconi ha sacrificato appetiti e ambizioni di Forza Italia e Alleanza nazionale che rinuncia al welfare Carlo Giovanardi (ex Udc) diventerebbe invece ministro per l’Attuazione del programma, con la delega sulla droga. Per Giovanardi, che nel precedente governo Berlusconi era stato ministro per i Rapporti con il Parlamento già con delega alla droga, si tratta di riprendere un lavoro già svolto. Resta un po’ frustrata la volontà di potenza di Alleanza nazionale che prende tanti ministeri quanti ne ha la Lega: Ignazio La Russa alla Difesa, Giorgia Meloni alle Politiche giovanili, Altero Matteoli alle infrastrutture.
Di certo An non ha gradito le parole di Umberto Bossi, convinto del fatto che a Lega e An debba spettare lo stesso numero di ministeri anche se il partito di Fini sembra definitivamente rassegnato a rinunciare al Welfare che invece per giorni aveva indicato come un suo obiettivo. I due ministeri senza portafoglio spetterebbero invece a Giorgia Meloni (Politiche Giovanili) e Andrea Ronchi. Resterebbe fuori il nome dell’ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone a cui come battevano ieri persino le agenzie servirebbe una poltrona da ministro per arrivare alle prossime Regionali in Puglia con il massimo della visibilità. Alleanza nazionale prenderebbe anche tre viceministeri: Alfredo Mantovano agli Interni e Adolfo Urso al Commercio Estero. Mario Landolfi potrebbe andare alle Comunicazioni.
Non mancano naturalmente le polemiche all’interno del Pdl, divisioni che Dario Franceschini vicesegretario del Partito democratico non ha mancato di rilevare: «Al di là dei simboli con cui si sono presentati alle elezioni - spiega il vicecoordinatore Pd - leggiamo di Alleanza nazionale che vuole più ministri, di contrasti con Forza Italia, della Lega che alza la voce. Sapevamo - osserva - che era inevitabile fosse così poichè da quelle parti non c’è stato un reale cambiamento». Saranno i prossimi mesi a dimostrare quanto è fondata l’accusa che viene da un’esponente della coalizione governativa più rissosa della storia repubblicana.
Francesco Rutelli con molta probabilità non rinuncerà al suo posto nel consiglio comunale di Roma. Diversi esponenti vicini al vicepremier uscente, infatti, fanno sapere che «non c’è ancora una decisione ufficiale a riguardo, ma probabilmente ci sarà un suo impegno diretto» nella Capitale, nonostante la sconfitta subita dal suo sfidante del Pdl per la poltrona di sindaco, Gianni Alemanno. «Il suo amore per Roma - spiegano all’agenzia Dire le fonti vicine a Rutelli - continuerà ad esserci». E potrebbe essere sancito con il suo ingresso nell’aula Giulio Cesare. Oggi, intanto, l’ufficio elettorale del Comune di Roma proclamerà ufficialmente i nomi dei 60 consiglieri: a parte la decisione di Rutelli, in bilico c’è ancora il nome di Serenetta Monti, candidata a sindaco della lista civica “Amici di Beppe Grillo”. Al primo turno s’è fermata al 2,66%, poco distante dal 3% necessario per assicurarsi l’ingresso in Campidoglio, e per questo ha richiesto la verifica dei verbali provenienti da alcune delle 2.600 sezioni capitoline.
Fisco online: il pm di Roma sentirà il Garante Il parere dell’Autorità Garante per la privacy sulla pubblicazione online degli elenchi dei contribuenti italiani sarà acquisito dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta per violazione della privacy avviata in seguito all’iniziativa dell’Agenzia delle Entrate. Il procuratore aggiunto della repubblica Franco Ionta ed il sostituto Francesco Polino, titolari degli accertamenti, chiederanno all’Authority copia del provvedimento con il quale hanno dichiarato l’illegittimità della messa in rete dei dati riguardanti i redditi dichiarati dagli italiani per l’anno 2005. A breve sono previste le prime iscrizioni nel registro degli indagati per i fatti avvenuti la scorsa settimana. Dalla documentazione attualmente nelle mani degli inquirenti emerge una ricostruzione che consente già di attribuire ruoli e responsabilità nella vicenda.
Prodi: «Non mi sono pentito di nulla» «Ho avuto molte soddisfazioni, ed ero disposto a guidare il paese per qualche altro anno. Ho fatto la mia politica in modo d’avere dei risultati lungo tutta la legislatura, questa è stata interrotta... Pazienza, non è certo la mia responsabilità».Romano Prodi parla ai microfoni dell’inviato a Bologna della trasmissione ”Ballarò”. Il premier uscente, che ha deciso di abbandonare la politica, riflette sul ruolo che ha avuto in Italia e sul futuro del nostro paese, ora che a guidarlo è tornato Silvio Berlusconi. «Non mi sono pentito di nulla - osserva Prodi - Ho fatto nuove proposte politiche, veramente nuove, una grande coalizione riformista, e ho vinto due volte le elezioni. Nessuno lo ha fatto in Italia, vincere tutte le elezioni che ha fatto, in un paese di 60 milioni di abitanti».
proposte
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Monsignor Sigalini (nella foto) propone una «costituente educativa» per arginare il «partito dell’individualismo» e, soprattutto alla luce della recente tragedia di Verona dove ha perso la vita Nicola Tomassoli (a sinistra il luogo dell’aggressione), «offrire ai giovani delle ragioni di vita»
Dopo i fatti di Verona e di Viterbo l’Azione Cattolica lancia una proposta
«Facciamo una Costituente educativa» colloquio con monsignor Domenico Sigalini di Francesco Rositano na «costituente educativa». E’ questa la proposta lanciata da monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente nazionale dell’Azione Cattolica, convinto che per restituire ai giovani delle vere ragioni di vita (soprattutto alla luce di deplorevoli fatti come quelli di Verona e Viterbo) occorra edificare un tavolo cui si siedano tutti coloro che si occupano di educazione: lo Stato, la scuola, la Chiesa, il mondo dello Sport. E studino insieme un modo per accompagnare in modo efficace le nuove generazioni. Afferma il vescovo: «I giovani hanno bisogno di essere educati, devono essere offerte loro delle ragioni di vita. E anche i genitori devono essere aiutati a seguirli». E aggiunge: «Il partito trasversale che bisogna combattere, è l’individualismo». Il vescovo di Palestrina interviene per liberal dopo un incontro che ha coinvolto l’Azione Cattolica, che non solo ha festeggiato il 140° anniversario dalla fondazione, ma ha eletto il nuovo Consiglio Nazionale. E domenica scorsa, dopo quattro giorni di lavori, ha partecipato alla grande festa con Benedetto XVI in piazza San Pietro. Presto l’Ac avrà il suo nuovo presidente nazionale. Quello attuale, il professor Luigi Alici, ha deciso di non ricandidarsi. Eccellenza, come giudica i fatti di Verona e Viterbo? La riprovazione non basta più. Pensavamo che queste violenze portate avanti dall’estrema destra fossero definitivamente cessate anche perché c’era stato un ripensamento politico. Ma, purtroppo, non è stato così. C’è bisogno di ponti tra le parrocchie e le strade, di luoghi educativi in cui alla violenza venga con-
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trapposto l’insegnamento del rispetto reciproco. E’ urgente cambiare il tessuto connettivo della società, entrare nei vari ambiti della vita civile, come le scuole, i quartieri, le università, il mondo dello sport. Certo, noi dell’Azione Cattolica, non pretendiamo di avere le forze per cambiare da soli questo tessuto connettivo. Ecco perché i vari soggetti che si occupano di educazione hanno la necessità di lavorare insieme. Cosa fare contro episodi di questo genere? Il problema non è tanto quello di controllare il mondo giovanile, ma di creare degli spazi “puliti”in cui i ragazzi si possano ritrovare. Una sfida in cui si devo-
sociazione è quella di insegnare a essere cittadini. D’altra parte le parrocchie sono la cartina di tornasole dell’Italia reale. Basta pensare che in Italia ce ne sono 27.000. E alle parrocchie fanno riferimento moltissime persone: i pendolari che lavorano, le mamme e i padri di famiglia, le casalinghe, i giovani, gli anziani. Lavorare a questi livelli significa già cominciare seriamente a cambiare il tessuto connettivo di una città sfilacciata. Quali sono i nervi scoperti della società attuale? Questi nuovi modi di vita. Soprattutto un’eccessiva indipendenza dai genitori che poi può diventare abbandono. Ormai si vedono i ragazzi delle scuole me-
Per il vescovo di Palestrina occorre edificare solidi ponti tra parrocchie e strade, luoghi educativi in cui alla violenza venga contrapposto l’insegnamento del rispetto reciproco no coinvolgere anche gli adulti. Lanciamo una Costituente educativa alla quale partecipino tutti quelli che hanno a che fare con i ragazzi: lo Stato, le scuole, le famiglie, il mondo dello sport, la Chiesa. Ritroviamoci intorno a un tavolo per il bene di questa umanità che rappresenta il nostro futuro. Se questa iniziativa andasse in porto, noi dell’Azione Cattolica ci saremmo sicuramente. Quali sarebbero i valori sui cui laici e cattolici dovrebbero convergere? Se si riuscisse a trasmettere alle nuove generazioni i valori della Costituzione italiana sarebbe già un grandissimo risultato. Noi saremmo certamente d’accordo. Uno dei compiti della nostra as-
die completamente soli. Girano la città in lungo e in largo, ma sono lasciati soli. Soli nel gestire le loro pulsioni. I genitori tra l’altro non sono più in grado di seguirne lo sviluppo. Certo anche quella dei gruppi parrocchiali ha dei “buchi”. Ecco perché cerchiamo di essere presenti nelle scuole, nelle università, nelle periferie. Molto significativa è ad esempio la presenza dell’Ac nel sud d’Italia. Comunque, di fronte a fatti come quello di Verona e di Viterbo non ci si può non mettere in discussione. E soprattutto domandarsi se, a fianco alla nostra presenza importantissima nelle parrocchie, ci sia bisogno di immaginare nuovi spazi missionari. Soprattutto nelle grandi città, dove la vita della parrocchia è sfi-
lacciata. E dove i valori trasmessi al suo interno fanno fatica a penetrare. Il Papa nell’incontro di domenica scorsa è ritornato sulla necessità di far fronte all’emergenza educativa. Voi che farete? Punteremo sulla formazione dei bambini che saranno gli adulti di domani. Il nostro compito è creare dei “piccoli apostoli”, che siano “sale”per i propri amici, che abbiano voglia di costruire e realizzare qualcosa per gli altri. È stato un grande gesto quello compiuto da tanti dei nostri giovani che hanno passato parte del loro tempo a vendere palloni per contribuire alla costruzione di due scuole in Sierra Leone e Brasile. Uno di loro domenica ha presentato la planimetria al Papa. Il presidente della Cei, il cardinal Bagnasco, vi ha richiamato «a prendere il largo», ad esplorare luoghi diversi dalle parrocchie. Sicuramente è nostro compito di cristiani difendere la vita dal concepimento alla sua fine naturale; tutelare la famiglia fondata sul matrimonio. La sfida è essere cittadini degni del Vangelo. E lo faremo con il nostro stile. Noi non facciamo un partito per difendere un valore. Ma ci impegniamo a trasmettere questi valori nelle famiglie, nelle scuole, nelle università, nei campi sportivi. Quindi cosa ne pensa della scelta di Giuliano Ferrara di costituire una lista contro l’aborto? Un partito è certamente troppo poco per affrontare una sfida tanto grande. Certamente stimo il suo coraggio. Il voto però non educa la coscienza. E’il frutto di una coscienza già formata. Quindi: formiamo prima le coscienze, poi gli altri decidano liberamente.
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pensieri I consigli al nostro Paese dell’ambasciatore americano per evitare il declino
Italia, cresci così colloquio con Ronald P. Spogli di Pierre Chiartano
segue dalla prima L’Italia è il fanalino di coda europeo per l’attrazione d’investimenti stranieri. Per fare buoni affari serve intendersi, parlare la stessa lingua. Quindi la cultura è una pietra angolare per far sì che il mondo dei numeri e delle cifre possa trasformarsi in progetti concreti per uno sviluppo equilibrato e durevole. Per troppo tempo posizioni ideologiche, interessi localistici e una certa miopia hanno impedito che le relazioni transatlantiche nel campo degli affari non riuscissero a sviluppare le grandi potenzialità che possono esprimere. Per questi motivi abbiamo chiesto all’ambasciatore Spogli, buon conoscitore dei mercati finanziari, una testimonianza diretta sulla sua esperienza italiana, in un momento in cui il sistema del libero mercato viene messo sotto la lente d’ingrandimento. Quanto conta l’etica nel capitalismo di mercato e negli affari negli Usa? Vorrei citare il commento di un investitore italiano che, con altri, abbiamo accompagnato negli Stati Uniti per illustrare l’attività dei ”colleghi” americani. Dopo aver assistito ad un incontro di venture capitalist, l’investitore italiano è rimasto colpito dal senso di appartenenza alla comunità, dalla costante ricerca di un valore più ampio da dare ai propri investimenti, in termini di ricadute economiche e sociali per l’intera popolazione locale. C’è un’etica del capitalismo, libera da gabbie ideologiche e da antichi pregiudizi, che guida l’operato di tantissimi imprenditori e che aiuta a mantenere sempre vivo quello spirito collettivo che è una delle basi fondanti degli Stati Uniti. Qualche tempo fa ha tracciato in tv alcune linee che caratterizzano le differenze fra il modo di fare impresa in America e in Italia...
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Si, quello di cui abbiamo parlato durante il programma sono le «idee per fare business». Ero in compagnia del rettore dell’Università di Stanford l’Università in cui mi sono laureato - il Professor John L. Hennessy. Insieme, abbiamo discusso di quel che ha da insegnare l’università nel campo della capacità innovativa riferita alle imprese. I punti chiave riguardavano la necessità di sviluppare, nella cultura italiana, un atteggiamento favorevole verso gli investimenti. Il Paese del Rinascimento e del Risorgimento deve risvegliare i suoi istinti per gli affari! Gli elementi istituzionali chiave esistono tutti: università di prim’ordine, manodopera qualificata e menti imprenditoriali e finanziarie piene di talento. Questi elementi, tuttavia, non interagiscono in un circolo virtuoso. Da voi funziona diversamente? Negli Stati Uniti le università svolgono un ruolo estremamente importante nel mettere le parti in collegamento. Nella relazione annuale 2007 della Commissione Europea sul raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, l’Italia si colloca insieme al Portogallo e a Malta agli ultimi posti in Europa per i progressi ottenuti, in particolare nel settore «ricerca e sviluppo». Con quale spirito avete avviato l’iniziativa Partnership for Growth? Abbiamo osservato l’economia italiana ed il suo livello relativamente basso di crescita rispetto ad altri grandi Paesi industrializzati e, dato ancora più importante, rispetto ai suoi principali concorrenti economici. Abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sulle aree in cui riteniamo d’avere un vantaggio competitivo e in cui le nostre iniziative avrebbero potuto stimolare un cambiamento. Per questa ragione, uno dei pilastri principali dell’iniziativa Partnership for Growth riguarda proprio due temi di grande rilevo: il rapporto tra università e imprese ed il potenziamento
Oggi diventa sempre più urgente sviluppare un atteggiamento favorevole verso gli investimenti e gli affari
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del trasferimento tecnologico. L’Italia vanta ottimi ricercatori e centri di ricerca d’altissimo livello. L’obiettivo è quello di trasferire i risultati delle attività di ricerca dai laboratori ai mercati. Il sistema statunitense punta molto sul rapporto tra università e imprese. Quali sono i punti strategici del progetto? Le altre aree sui cui abbiamo concentrato le attività sono basate su considerazioni analoghe: la flessibilizzazione dei mercati di capitale per finanziare imprese innovative, e l’apertura verso un nuovo concetto di imprenditoria nella cultura italiana. Ma torniamo un attimo al motivo per cui ho pensato di lanciare questo programma. Quando ho assunto l’incarico d’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, quasi tre anni fa, ho constatato che i nostri rapporti economici non rispecchiavano l’ottimo stato delle relazioni bilaterali a livello politico. L’Italia, nostro alleato storico e impegnato insieme con noi in diversi fronti internazionali, ha difficoltà nell’attirare un consistente numero d’imprenditori americani, che preferiscono invece investire in altri Paesi europei come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e perfino la Spagna. I dati purtroppo confermano una tendenza negativa. Secondo l’ultimo rapporto Ocse, nel 2006, l’Italia ha registrato un calo da 20 a 16,6 miliardi di dollari nei flussi d’investimenti in entrata. La Partnership for Growth è nata proprio per stimolare il mercato italiano e per sollecitare quelle riforme necessarie alla creazione di un ambiente economico più favorevole agli investitori stranieri. Può spiegare tutti i vantaggi per le imprese italiane, che siano delle start-up, oppure società consolidate, a farsi coinvolgere in questo modo di fare impresa? L’Italia è un Paese con una grande tradizione economica e ricco di aziende leader nei mercati internazionali. Il nostro obiettivo non è quello di coinvolgerle nelle dinamiche americane, ma quello di convogliare le energie e le competenze verso la creazione di un sistema che dia spazio alle nuove iniziative, che sostenga le imprese più dinamiche, che favorisca gli investimenti stranieri e che punti sulla
ricerca e sull’innovazione. Negli Stati Uniti abbiamo maturato molta esperienza in processi come il trasferimento tecnologico tra università e imprese, la tutela dei brevetti o gli investimenti in start-up, che hanno dato ottimi risultati in termini di crescita economica. Crediamo che possano essere modelli positivi ai quali ispirarsi. In un’altra iniziativa, «Mind the bridge», avete cercato di creare una sorta di incubatore per le idee innovative da proporre al mercato delle imprese e agli investimenti. «Mind the bridge» è una delle nuove iniziative che ci vede coinvolti per dare basi ancora più solide al ponte virtuale che unisce Italia e Stati Uniti. Creata e gestita da un gruppo di imprenditori e manager italiani che lavorano in America, Mind the Bridge è un network che aiuta le imprese italiane a presentare idee innovative agli investitori americani. Attraverso una speciale selezione, sono stati recentemente scelti sei progetti che saranno promossi presso la comunità finanziaria ed imprenditoriale della Silicon Valley, dove sono sicuro che la creatività e l’ingegno italiani saranno apprezzati e sostenuti. Vorrei aggiungere che abbiamo continuato a lavorare con quegli aspiranti imprenditori che non sono ancora entrati nel round finale della competizione, ospitando un evento qui a Roma durante il quale abbiamo offerto loro consigli su come presentare le loro idee agli investitori e su come avviare un’impresa in proprio. La crisi dei subprime e della finanza strutturata sta indebolendo il sistema finanziario internazionale, il venture capital è ancora disponibile a rischiare sulle buone idee? La fase d’assestamento della finanza internazionale sta avendo ovviamente delle ripercus-
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sioni sul sistema imprenditoriale, anche nelle aree del cosiddetto miracolo economico. Come ad esempio a Silicon Valley, dove si è verificato uno sviluppo senza freni negli ultimi anni. Eppure, nonostante la congiuntura poco favorevole, i dati dimostrano che proprio nella Silicon Valley il venture capital è ancora uno degli strumenti più utilizzati. Il motivo è che il fondamento del venture capital investire sulle idee innovative rimane una base solida che non viene messa in discussione dalle crisi finanziarie. L’aumento del costo del rischio può essere neutralizzato attraverso l’accuratezza nella scelta degli investimenti e del capitale umano da valorizzare. Può dare un consiglio ai giovani imprenditori italiani su come avviare un percorso attraverso la vostra iniziativa? Abbiamo creato diversi canali per i giovani con idee e voglia di intraprendere un percorso imprenditoriale innovativo. La prima opportunità è il programma Fulbright-Best per ricercatori che intendono portare i loro progetti sul mercato. Grazie al sostegno di partners privati, abbiamo lanciato un bando per 15 borse di studio, che danno la possibilità di frequentare corsi di economia presso le università di Santa Clara, Stanford e Berkeley, di lavorare in aziende ad alto potenziale tecnologico della Silicon Valley e di entrare in contatto con investitori americani. Per chi ha già un’impresa consiglio invece di partecipare alle selezioni di «Mind the bridge», per avere l’opportunità di presentare le proprie idee alla comunità di investitori americani. L’ambasciata inoltre organizza visite negli Usa per far conoscere il nostro sistema e per facilitare la creazione di un network tra i nostri imprenditori e quelli italiani, promuovendo nuove opportunità di business.
Occorre dare vita a un sistema che sostenga le imprese più dinamiche e crei un network tra gli imprenditori Usa e italiani
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parole
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Il futuro del Pd. Viaggio dopo la sconfitta /2 Enzo Bianco
«Veltroni non faccia l’uomo solo al comando»
ROMA. «La sua leadership è salda, ma Veltroni deve evitare di circondarsi solo di collaboratori, invece che di dirigenti. La leadership del Pd non può essere solitaria, ci vuole collegialità». Con un puntuto consiglio, che gli deriva anche dalla sua esperienza di sindaco, ma che non è scevro dei veleni che circolano in questi giorni, il senatore Enzo Bianco, animatore e presidente dell’associazione Liberal Pd si addentra in quella terra spinosa che è il Partito democratico. Con la sincera convinzione che il responso delle urne spinga, nonostante tutto «ad andare avanti con maggior velocità». E con in più la necessaria certezza che, in esso, ci sarà lo spazio sufficiente non solo per la tradizione cattolico-popolare, ma anche, appunto, per quella tradizione laico-liberale di cui insieme ad altri - si fa portatore. Bianco, ma è proprio sicuro che nel Pd infarcito dei Fioroni, dei Sarubbi e delle Binetti, ci sia tanto spazio per voi? Noi crediamo che insieme ai cattolici e ai socialisti, ci sia uno spazio enorme anche per il liberal-democratici. Se così non fosse, il Pd sarebbe un tavolo a due gambe: da che mondo è mondo un tavolo a due gambe non sta in piedi. E la terza gamba quali obiettivi ha? Essere liberal oggi significa per esempio coniugare il merito, le liberalizzazioni, il mercato. Prioritario, per il Pd, deve essere contrastare uno dei problemi più grossi del nostro Paese: quello di essere frenato da caste e corporazioni che bloccano ogni tentativo di diventare competitivi. Ecco, ci vuole la forza per contrastare le corporazioni, in ogni campo. In concreto? Destinare una parte dei vari tesoretti al recupero del potere d’acquisto dei salari ma, dall’altra parte, esigere che nell’organizzazione del lavoro si punti a un aumento di produttività, il che vuol dire chiedere al sindacato di avere più coraggio. Oppure in tema di sicurezza: ci vuole un una seria riforma dell’ordinamento di pubblica sicurezza, e per farlo occorre toccare interessi consolidati. Ma lei lo sa, per esempio, in mare quante motovedette delle forze ci polizia ci sono? Non ne ho idea. Ci sono i carabinieri, la polizia di Stato, la Guardia di finanza, perfino il corpo forestale dello Stato, poi la guardia costiera, la marina militare e la polizia penitenziaria. Ognuno con la sua barca. Ecco bisogna imporre una organizzazione più razionale, vuol dire toccare lobby organizzate. E lei ritiene che nel Pd ci sia spazio per tutto questo? È nella sua ragion d’essere: se così non fosse si tratterebbe di una somma di partiti, associazioni, esperienze varie e non di una vera e propria forza politica nuova. Del resto, è da questa consapevolezza che nasce la positiva scelta di andare soli alle elezioni, senza quella sinistra che si è dimostrata non essere in sintonia con noi per quel che riguarda la cultura di governo, dalla politica estera a quella salariale. Dunque lei non concorda con il
colloquio con Enzo Bianco di Susanna Turco
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La sua leadership è salda, ma gli consiglio di circondarsi di dirigenti, non solo di collaboratori. Dopo la sconfitta c’è bisogno di risposte, non solo di iniziative come il governo ombra Massimo D’Alema che dice che il Pd non è autosufficiente e che deve pensare ad allearsi? D’Alema pone un problema vero reale, che è quello della scelta di un modello: se fare un partito democratico all’americana, al cui interno convivano tutte le varie declinazioni, dai conservatori ai radicali; oppure essere un partito-faro, che debba stringere alleanze. La sua preferenza? La mia idea è che questo non può significare un ritorno all’Unione, intesa come coalizione di sette-dieci partiti. Non è più possibile. I dalemiani vanno spiegando a destra e sinistra che non è questa l’aspirazione. Allora il sistema non è sbagliato. Guardiamo per esempio all’Udc. Penso che sia giusto coltivare un rapporto di collaborazione: anche loro sono portatori di una esigenza di trasformazione. Certo, si tratta in qualche modo di un partito in fieri, perché fino a ieri era organico al centrodestra, ma questa evoluzione va guardata con attenzione. Il dalemiano Nicola Latorre sostiene che, fatti salvi programmi e progetti che sono diversi, non si può
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escludere per principio una qualche futura convergenza. Dico anche di più: c’è un grosso spazio per la collaborazione parlamentare. E poi c’è l’enorme terreno della riforma costituzionale, con la legge elettorale cui bisognerà rimettere mano. Già: è lei il padre dell’arcinota bozza Bianco. Pensa che, dati i numeri di questa legislatura, ci sarà presto spazio per una riforma? In qualche modo, andando soli abbiamo anticipato per scelta politica uno degli obiettivi della mia riforma. Ma oggi quelle scelte vanno tradotte in legge. Bisogna abolire il premio di maggioranza, introdurre una soglia di sbarramento al cinque per cento e recuperare il rapporto tra eletto ed elettore, con lo strumento delle preferenze o almeno con la reintroduzione dei collegi uninominali. Così come è oggi il sistema è vergognoso: nel medio periodo si consegna il Parlamento alle oligarchie di partito. Ma cosa dovrebbe spingere Berlusconi a metter mano a una legge che non pare disprezzare poi tanto? Beh, a parte i dubbi di costituzionalità espressi dalla Corte costituzionale, re-
sta comunque un problema politico. Se passa il referendum, infatti, il premio di maggioranza andrà alla lista - e non più alla coalizione - che prende più voti: e allora come la metterà il Pdl con la Lega? Lei è d’accordo con Franceschini che vuole introdurre uno sbarramento anche per le elezioni europee? Certo, anche se deve essere più basso del cinque per cento. L’obiettivo è solo quello di impedire la nascita di partiti fai da te, quindi dovrebbe essere al 2-3 per cento. Non possiamo avere l’atteggiamento schizzoide per cui da un lato riduciamo la frammentazione e dall’altro la incoraggiamo. E dobbiamo fare presto, entro l’autunno. A proposito di atteggiamento schizzoide: c’è chi sostiene che quello del Pd è stato un successo, chi un mezzo successo, chi una tragedia. Lei? Le elezioni le abbiamo perse. Non si può trasformare il risultato in una vittoria, per quanto possa essere bravo l’illusionista. Facciamo bene a interrogarci, ci vorrà tempo, risposte e queste non possono essere soltanto iniziative come quella del governo ombra. Tuttavia? Il risultato è incoraggiante, la percentuale è maggiore della somma dei partiti che hanno fatto nascere il Pd. Questo ci consente di dire che dobbiamo procedere con maggiore velocità su quella strada. Tuttavia, il Pd puntava a conquistare voti al centro e ha finito per prenderli a sinistra. Certo, quello è un recupero paradossale sul quale bisognerà riflettere seriamente. Perché alla fine è al centro che noi dobbiamo vincere e riusciremo a farlo solo convincendo, per esempio, il popolo delle partite Iva. E su quel fronte quante ne dobbiamo recuperare! La riflessione va avviata secondo lei anticipando il congresso? No, c’è già in atto un confronto vero, serio, abbiamo alle spalle scelte coraggiose e Veltroni deve soltanto evitare la tendenza che hanno tutti i leader eletti direttamente dalla gente. Lo so bene, perché da sindaco di Catania lo sono stato anche io. La tendenza è quella di trasformare gli organi esecutivi nel proprio staff. Circondarsi di collaboratori invece che di dirigenti. Invece la leadeship di un partito non può essere solitaria: ci vuole collegialità, ci vogliono persone autorevoli. Veltroni non deve aver paura di coinvolgere pienamente tutti coloro che rappresentano le diverse realtà del partito democratico.
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entre l’infinita campagna del Partito democratico si sta rapidamente dirigendo verso le sfide cruciali in Indiana e nella Carolina del Nord previste per oggi, il mare s’ingrossa e l’orizzonte si fa sempre meno nitido. È difficile per tutti capire a che punto siamo. Dieci giorni fa coloro che si basavano sui freddi calcoli numerici affermavano che, matematicamente, il senatore Obama non avrebbe potuto perdere. Ma poi il furbo ed intraprendente pastore di Chicago, che si auto-promuove facendosi propaganda da solo, il reverendo Jeremiah Wright, è apparso sulle reti nazionali per ben tre volte consecutive ed ha quasi fatto deragliare la campagna del senatore Obama. Furbescamente e malignamente, il reverendo Wright ha continuato a sciorinare le sue strane teorie razziste con orribili farneticazioni. Come se non bastasse, questo tronfio reverendo, che così tanto si compiace di sé, ha annunciato di fronte alle telecamere che Obama si stava ora dissociando dal suo Pastore, guida spirituale ed amico degli ultimi venti anni, soltanto per motivi politici. I Pastori dicono la verità, i politici devono dissimularla con ipocrisia. Questa accusa ha colpito Obama nel vivo, in quanto ha distrutto in pochi minuti quell’immagine che Obama si era andato costruendo e ritagliando in questi lunghi e duri mesi di campagna elettorale, vale a dire del giovane Senatore “al di sopra delle parti” , che “dice la verità”e che va oltre “i metodi vecchi e datati della politica.”
mondo tutti parte del fronte di Obama. Il grande teologo protestante Reinhold Niebuhr soleva riferirsi ai liberal protestanti ed ai santi laici definendoli “figli della luce,” che immaginava in lotta contro “i figli delle tenebre”(vale a dire, Repubblicani, grandi imprese ed elite economiche ed aziendali).
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In verità sono stati questi i cardini della campagna di Obama. La sua campagna è stata (ed è) tutta imperniata su di lui e sul suo essere superiore, che in virtù delle stesse circostanze della sua vita trascende le “vecchie divisioni”fra neri e bianchi, Repubblicani e Democratici, governo e cittadini. Praticamente non vi sono differenze politiche fra Obama e la senatrice Clinton. Entrambi sono a sinistra in seno al loro partito, e forse Obama lo è soltanto un po’ di più (sulla guerra in Iraq). Non si registrano casi in cui il senatore Obama abbia svolto un significativo ruolo bipartisan in Senato. Obama ha condotto e sta conducendo una campagna basata sulla sua identità personale. Improvvisamente si trova a dover prendere una decisione angosciante. Si può facilmente comprendere l’intenso lacerarsi della sua anima - in pubblico, inevitabilmente, e per chiunque lo osservi attentamente. Non c’era altro da fare per Barack se
Alla Clinton serve disperatamente un passo falso di Obama
La speranza di Hillary: il fattore Dukakis di Michael Novak non dissociarsi apertamente, sulle reti televisive nazionali, dal reverendo Wright e dai suoi principi, con quanta più passione potesse permettersi di mostrare. Su questo punto le opinioni dei giornalisti divergono. Alcuni hanno scritto che il volto di Obama, mentre parlava, era via via sempre più pallido e che aveva l’aspetto di un uomo affranto, sconfitto e ridimensionato. Naturalmente sapeva che questo momento sarebbe arrivato; lui e Wright ne avevano
e coraggioso, e che aveva fatto ciò che doveva fare e che pertanto ora la campagna sarebbe potuta andare avanti lasciandosi tutto alle spalle. Ma nei sondaggi Obama è iniziato a scendere. Hillary precede Barack di cinque punti in Indiana e lo tallona in Carolina del Nord. Come avrebbe potuto tutto questo non avere effetto sui sondaggi? Obama ri rivela non essere più il cavaliere bianco, l’eroe imperturbabile e magistrale, ma soltanto un uomo.
E’accaduto con McGovern, Carter, Dukakis, e persino con l’oscuro governatore dell’Arkansas, Bill Clinton. Inoltre, la maggior parte degli americani che dibattono animatamente in pubblico – professori di scienze sociali ed umanistiche, giornalisti, stelle televisive e cinematografiche, artisti, attivisti e militanti - favoriscono il Partito Democratico, o addirittura movimenti spostati ancor più a sinistra. Queste persone tendono ad avere un’immagine idealizzata
La vicenda del reverendo Wright ha danneggiato la campagna elettorale del senatore dell’Illinois e la sua credibilità. Ma il vero problema per i Democratici è la loro tendenza ad idealizzare i candidati più improbabili parlato mesi prima. Ora finalmente Obama stava facendo ciò che avrebbe dovuto fare: stava denunciando Wright ed i suoi pessimi principi, per paura di dover abbandonare ogni speranza di diventare Presidente degli Stati Uniti. Non era riuscito ad apparire forte e risoluto in quanto era troppo intimamente ferito. Altri giornalisti - per lo più quelli della stampa nazionale, a quanto pare - hanno interpretato differentemente questo rituale di denuncia. Hanno scritto che Obama appariva sincero
Inoltre, da oggi sino alle elezioni presidenziali di novembre, il reverendo Wright si potrà permettere ancora di attaccare la credibilità di Obama, in reazione al fatto che quest’ultimo se ne è dissociato ed ha denunciato i suoi principi fondamentali. In fondo, anche questo sarebbe umano. Tuttavia, i numeri sembrano voler dire che Obama non può essere fermato. I Democratici hanno l’abitudine di infatuarsi di candidati presidenziali relativamente sconosciuti, che in poco tempo idealizzano.
e nobile della loro professione e di se stessi. Amano i leader che appaiono essere figure ideali, eroiche, morali. Delle sette reti televisive nazionali – Abc, Cbs, Nbc, Pbs, Cnn, Msnbc e Fox – sei sono governate dai sogni e dalle percezioni della sinistra. Quasi tutti i principali quotidiani delle grandi città, per lo meno quelli della East Coast e della West Coast, definiscono gli standard nazionali di ciò che dovrebbe essere onorato e di ciò che dovrebbe essere ignorato. In pratica fanno
Niebuhr ammoniva sul fatto che questa costante tendenza a sentimentalizzare la realtà, senza ironia e senza tragedia, è destinata di per sé a sfociare in ironia e tragedia. Una sorta di inesorabile e spietato Fato da tragedia greca si dispiega, irresistibilmente, davanti ai nostri occhi, di generazione in generazione. Indipendentemente dall’aritmetica elettorale e dal flusso metafisico, la sola speranza effettiva per Hillary Clinton è che Obama faccia un tale passo falso da indurre i leader del partito democratico a ritenere che la sua causa alle elezioni presidenziali di novembre sia senza speranza. Considerato che, a questo punto, nessun candidato può aggiudicarsi un numero sufficiente di punti da considerarsi vincitore, questi“super-delegati”daranno il loro voto decisivo, non appena saranno terminate tutte le elezioni previste, vale a dire i primi di giugno. Tremano al pensiero di dover negare l’elezione ad Obama dopo gli ottimi risultati conseguiti (finora), per il timore che i neri - che rappresentano uno dei più grossi gruppi di sostenitori del Partito - possano abbandonare per rabbia la Senatrice Clinton. Inoltre, uno degli aspetti più sorprendenti delle primarie di quest’anno è stato vedere in che modo la stampa ed il Partito democratico si siano rivoltati contro Hillary. Sebbene alcuni abbiano persino tentato di fingere che non esistesse più, la Clinton continua a lottare strenuamente. Qualora la Clinton dovesse vincere in modo netto in Indiana (uno stato che confina con l’Illinois di Obama) e ridurre il largo margine che Obama precedentemente aveva in Carolina del Nord, avrà più che un motivo per rivendicare la sua candidatura. E la campagna di Barack risulterà ancor più danneggiata. Ma potrebbe accadere anche il contrario. Qualora Barack sconfiggesse Hillary in modo netto nella Carolina del Nord e riuscisse a vincere, pur se di misura, in Indiana, sarebbe la campagna di Hillary ad uscirne gravemente ridimensionata. Ma chi può dire quale piega il destino farà prendere a questa? Entrambi i candidati appaiono per ora malconci e con le ossa rotta, non riuscendo ancora bene a capire che cosa li abbia colpiti.
mondo
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Birmania: si ipotizzano 50mila morti, ma la giunta militare non posticipa il voto del 10 maggio
Il ciclone non ferma il referendum d i a r i o
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g i o r n o
Oggi si insedia Medvedev Dopo Eltsin e Putin è venuto il momento di Medvedev. Il terzo presidente della federazione russa prende oggi possesso della carica. Voluto fortemente da Putin, il «presidente eletto», per un futuro indeterminato, si muoverà sicuramente all’ombra di Vladimir Vladimirovic. Quello che avverà in seguito è più difficile da predire. Putin sarà non solo capo del governo ma anche leader di Russia Unita, partito di maggioranza alla Duma. Alcuni analisti e organi di stampa locali suggeriscono che l’ex presidente sposterà il baricentro del potere russo dalla presidenza federale al governo. Per raggiungere questo obiettivo servirebbero anche sostanziali revisioni costituzionali che Putin, finora dentro la formalità giuridica del Paese, non sembra avere in programma.
Hezbollah, un pericolo per il Libano
di Vincenzo Faccioli Pintozzi a strage compiuta dal ciclone Nargis non ferma la dittatura militare del Myanmar e il suo desiderio di chiudere una volta per tutte la questione democratica nel Paese. Nonostante l’ultimo dato ufficiale - al momento della chiusura di liberal alle 19 parli di 22.464 morti e 41mila dispersi e quelli non ufficiali ipotizzino oltre 50mila vittime, la giunta guidata dal generale Than Shwe ha confermato per il 10 maggio il referendum costituzionale. Previsto soltanto un posticipo parziale, fissato per il 24, nelle aree più colpite: il territorio dell’Irrawaddy e 40 circoscrizioni di Yangon. La tempesta tropicale di categoria 3, che sabato si è abbattuta sulle coste meridionali della ex Birmania con raffiche di vento a 190 chilometri orari, ha spazzato via interi villaggi e lasciato senza energia elettrica e acqua potabile cinque regioni, dichiarate in stato d’emergenza: la città di Yangon, Irrawaddy, Pegu e gli Stati Karen e Mon. Gli abitanti condannano l’atteggiamento del governo militare che, al corrente del disastro che si stava abbattendo sul Paese, non ha avvertito in modo adeguato la popolazione né varato misure di sicurezza. Secondo alcuni analisti, questo atteggiamento si spiega con il desiderio dei militari di non interrompere in alcun modo i preparativi per il prossimo referendum costituzionale, già definito “una farsa” dall’Onu e dai dissidenti birmani. A conferma, arrivano diverse testimonianze della popolazione locale, raccolte da AsiaNews, che parlano di mi-
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nacce e raggiri per i votanti delle zone rurali e di vere e proprie truffe ai danni di quelli delle aree urbane. In questi giorni, raccontano dei testimoni (anonimi per motivi di sicurezza), gli impiegati degli uffici pubblici accolgono coloro che chiedono il rinnovo dei documenti con le schede elettorali in mano. Se non si vota in senso favorevole, non si ottiene il documento richiesto. I trucchi, dicono alcuni abitanti di Yangon e Mandalay, «sfiorano il ridicolo: i funzionari del governo vanno in giro dicendo che dobbiamo partecipare a delle esercitazioni di referendum. Così fanno vota-
Il regime è accusato di non aver avvisato la popolazione del disastro imminente. Mentre circolano voci di brogli nelle zone rurali del Paese re la gente per prova, mettendo la croce sul sì, poi ritirano la scheda e dicono ai partecipanti che non hanno più bisogno di recarsi alle urne il 10 maggio». Nel frattempo, rimane ambigua la posizione della giunta circa le offerte di aiuto internazionale: per ora sembra che il via libera dei generali, seppur prudente, sia stato concesso solo alle agenzie Onu, i cui membri però aspettano ancora il visto. Il World Food Programme, conferma il portavoce delle Nazioni Unite Paul Risley, ha ricevuto dai
leader birmani un «cauto via libera». Mobilitate anche le nazioni confinanti. Surin Pitsuwan, segretario generale dell’Asean (Associazione dei Paesi del Sud-est asiatico), ha chiesto ai Paesi membri di offrire al Myanmar «urgente assistenza». Stando all’agenzia Associated Press, il governo di Bangkok ha già ricevuto una richiesta dai generali di Naypydaw di «cibo, medicine e materiale per la ricostruzione». Il primo carico aereo di aiuti dalla Thailandia dovrebbe essere già arrivato, ma le linee telefoniche interrotte e la mancanza della rete Internet nell’ex Birmania rendono impossibile un controllo reale sui beni inviati e sul loro utilizzo. La Federazione della Croce Rossa internazionale - già operativa nelle zone colpite - e le Società della Mezzaluna Rossa hanno stanziato 190mila dollari per l’emergenza. Anche la Casa Bianca e l’Unione Europea hanno annunciato l’invio di aiuti; Washington, però, ha sottolineato che prenderà precauzioni per evitare che i fondi possano essere usati in altro modo dalla giunta militare birmana. Diversa, e ben più traballante, la situazione delle Organizzazioni non governative straniere, lo strumento più efficace per raggiungere le popolazioni colpite da disastri naturali. Gli analisti birmani all’estero si dichiarano scettici circa l’apertura concessa dal regime e sui suoi effetti: questi, dicono, saranno debolissimi in confronto ai bisogni reali della popolazione, almeno fino a che non si concluderanno tutte le operazioni di voto per il contestato referendum sulla nuova Costituzione.
Il portavoce del governo di Beirut, Ghasi al-Aridi, ha dichiarato ieri dopo una seduta dell’esecutivo che il capo delle forze di sicurezza dell’aeroporto della capitale, il generale Wafik Schukair, è stato esonerato dai suoi compiti e deve tornare all’esercito. Schukair è accusato di essere vicino al movimento islamista Hezbollah, sostenuto da Iran e Siria. Il governo controllerà anche se corrisponde a verità quanto affermato nei giorni scorsi, ossia che il partito sciita abbia illegalmente installato telecamere all’aeroporto e creato una rete telefonica clandestina. Secondo al-Aridi si tratterebbe di una «violazione della sovranità dello Stato». Il progetto era però noto all’esecutivo di Beirut sin dall’agosto 2007.
Un ping-pong molto diplomatico Un’incontro atteso ma preceduto da una vigilia disincantata. Questo lo scenario in cui è iniziata la prima visita in Giappone dopo dieci anni, del capo dello Stato e del partito comunista cinese, Hu Jintao. Secondo il governo di Tokio infatti, nessuno dei punti importanti in discussione tra i due Paesi verrà affrontato. I cinque giorni del soggiorno a Tokio di Hu, saranno contrassegnati dalla retorica della fiducia reciproca e del miglioramento dei rapporti tra i due giganti asiatici. Il Giappone intede però spingere la Cina ad aprire al Dalai Lama. La partita di tennis da tavolo in programma tra Fukuda e Hui, i capi dei governi, si richiamerà alla diplomazia del ping-pong, con cui gli Usa, alla fine del 1971, aprivano alla Cina in funzione antisovietica.
Scientology sotto osservazione L’ufficio federale tedesco per la protezione della Costituzione può continuare a tenere Scientology sotto osservazione. Questo verdetto emesso a febbraio è stato confermato dalla magistratura amministrativa del Land della Nordrhein Westfalia. Secondo i giudici la setta religiosa americana viola in molti punti l’ordine liberal-democratico del Paese. Il verdetto di febbraio affermava che Scientology aspira a creare una società nella quale valori costituzionali fondamentali per la Germania, come la dignità umana o la parità dei cittadini di fronte alla legge, possano essere aboliti o fortemente limitati.
Ahern e Paisley festeggiano la pace Il primo ministro irlandese, Bertie Ahern, ha trascorso l’ultimo giorno del suo mandato insieme al capo del governo nordirlandese Ian Paisley. I due ex avversari politici hanno inaugurato il centro turistico nato nel luogo, vicino alla capitale Dublino, dove nel 1690 si è svolta la storica battaglia di Boyne. La prossima settimana anche Paisley dovrebbe abbandonare oltre alla carica di leader del governo di Belfast, anche quella di presidente del Partito democratico unionista, Dup, la forza politica che negli anni scorsi ha guidato la battaglia protestante nell’isola a maggioranza cattolica.
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speciale esteri
Occidente
Lo scioglimento dei ghiacci non è soltanto un disastro ecologico, ma l’inizio di un grande business
LA CORSA ALL’ORO DELL’ARTICO Gli effetti del surriscaldamento del pianeta sono al centro del dibattito ambientale, ma avranno presto anche ricadute strategiche ed economiche. E a questo tema è dedicato ”Occidente” che si apre con un articolo del capitano di corvetta Scott G. Borgerson che è International Affairs Fellow del Council on Foreign Relations.
di Scott G. Borgerson Oceano glaciale artico si sta sciogliendo a ritmi rapidi. L’estate scorsa la superficie coperta dal mare di ghiaccio si è ridotta di più di un milione di miglia quadrate e la calotta polare artica è oggi alla metà delle sue dimensioni di 50 anni fa. Per la prima volta il cosiddetto passaggio a Nord Ovest – la mitica rotta marittima per l’Asia che gli europei cercarono invano per secoli – è stato aperto alla navigazione. Anche se la comunità internazionale riuscisse immediatamente a rallentare notevolmente il ritmo dei cambiamenti
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“corsa all’oro”dell’Artico. Mosca ha chiesto alle Nazioni Unite 460.000 miglia quadrate di acque dell’Artico ricche di risorse: una superficie quasi pari a quella di stati quali la California, l’Indiana ed il Texas messi insieme.
Le Nazioni Unite si sono opposte a questa ambiziosa annessione; tuttavia lo scorso agosto il Cremlino ha inviato una nave rompighiaccio nucleare e due sottomarini a deporre la sua bandiera sul fondale del Polo Nord. Per non essere superato, il primo ministro canadese, Stephen Harper, ha annunciato
Già entro dieci anni sarà possibile sfruttare un tesoro di minerali e di petrolio climatici, una certa quantità di riscaldamento è irreversibile. Il problema non è più se, bensì quando, l’Oceano glaciale artico sarà aperto al trasporto marittimo regolare e allo sfruttamento dei suoi ricchi giacimenti di risorse naturali. Così il riscaldamento globale ha dato vita anche a una nuova lotta fra le cinque potenze che si affacciano sull’Artico per accaparrarsi territori e risorse. La Russia è stata la prima, nel 2001, a rivendicare il suo ruolo in questa grande
finanziamenti per nuove navi da perlustrazione e pattugliamento nell’Artico, per un nuovo porto d’altura e un centro di formazione e addestramento in condizioni atmosferiche estreme lungo il passaggio a NordOvest. La Danimarca e la Norvegia, che controllano rispettivamente la Groenlandia e le isole Svalbard, sono anch’esse ansiose di far valere i loro diritti e le loro rivendicazioni. Mentre le potenze che si affacciano sull’Artico hanno avviato la corsa
per spartirsi questa regione, gli Stati Uniti sono rimasti notevolmente ai margini. Il Senato non ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Unclos), il principale trattato internazionale sui diritti marittimi, anche se George W. Bush, le organizzazioni non governative che operano nel settore ambientale, e i capi di stato maggiore della Marina e della Guardia Costiera, nonché autorevoli esponenti del settore privato, sostengono la Convenzione. Pertanto, gli Stati Uniti non possono formalmente rivendicare alcun diritto sulle incalcolabili ricchezze al largo delle coste settentrionali dell’Alaska al di là della loro zona di interesse economico esclusivo – che si estende per sole 200 miglia nautiche dalle rive di ciascuno Stato artico – né possono far parte della Commissione delle Nazioni Unite che decide l’esito di queste rivendicazioni. Peggio ancora, Washington ha rinunciato alla possibilità di rivendicare la propria sovranità sull’Artico riducendo all’atrofia la sua flotta di navi rompighiaccio. Oggi gli Stati Uniti finanziano una Marina di dimensioni pari a quella delle 17 principali Marine messe insieme, eppure hanno soltanto una nave rompighiaccio bene attrezzata per solcare gli oceani che, tuttavia, è stata costruita più di dieci anni fa è non è stata pensata e progettata per le missioni artiche. Al contrario, la Russia ha una
flotta di 18 navi rompighiaccio e anche la Cina dispone di una rompighiaccio, pur non avendo acque nell’Artico.
La corsa al Nord. Il Polo artico ha sempre conosciuto fasi di raffreddamento e riscaldamento, ma l’attuale scioglimento dei ghiacci non ha precedenti nella storia. In Alaska e nel Canada occidentale, le temperature invernali medie sono salite di sette gradi Fahrenheit negli ultimi 60 anni. Le conseguenze del riscaldamento globale nell’Artico sono ben maggiori che altrove, a causa della maggiore angolazione con la quale i raggi solari colpiscono la regione durante l’estate e a causa del fatto che il mare di ghiaccio che si ritira si sta trasformando in mare aperto che assorbe una maggior quantità di radiazioni solari. Questa dinamica sta creando un circolo vizioso di fusione dei ghiacci noto come ice-albedo feedback loop. Ogni nuova estate batte il record di quella precedente. Fra il 2004 ed il 2005, l’Artico ha perso il 14% di ghiacci perenni – vale a dire quello strato denso e spesso di ghiaccio che costituisce il principale ostacolo alla navigazione. Negli ultimi 23 anni, il 41% di questo ghiaccio è scomparso e l’Artico diventerà come il Mar Baltico, coperto soltanto da un sottile strato di ghiaccio stagionale in inverno e pertanto completamente navigabile tutto l’anno. Alcuni anni fa, importanti modelli climatici supercomputerizzati avevano previsto che, entro la fine del secolo, si sareb-
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Il passaggio a Nord-Ovest ridurrà di molti giorni il viaggio transoceanico be arrivati ad un Artico senza ghiacci durante la stagione estiva.Tuttavia, considerato l’attuale ritmo di contrazione dei ghiacci, è ragionevole pensare che i viaggi trans-artici potrebbero essere possibili già entro i prossimi 5-10 anni. I modelli più avanzati, presentati in occasione della riunione 2007 dell’American Geophysical Union, hanno previsto un Artico senza ghiacci durante la stagione estiva già nel 2013.
L’impatto ambientale dello scioglimento dei ghiacci nell’Artico è stato di notevoli dimensioni. Gli orsi polari stanno diventando una specie in pericolo; pesci che mai prima d’ora si erano visti nell’Artico stanno migrando verso le sue acque sempre più calde e le foreste temperate stanno prendendo il posto della tundra in fase di disgelo. La Groenlandia sta registrando un vero e proprio boom agricolo, in quanto terre che in passato erano aride ora producono broccoli, fieno e patate. Ma una minore quantità di ghiaccio significa anche maggiore accesso alle ricchezze artiche quali risorse ittiche, legname e minerali (piombo, magnesio, nickel e zinco), per non parlare delle immense riserve d’acqua dolce che potrebbero ri-
velarsi sempre più preziose in un mondo in fase di surriscaldamento. Se I’Artico è il barometro con il quale misurare la salute della terra, in verità questi sintomi indicano che il pianeta è molto malato. Ironia della sorte, probabilmente il grande disgelo produrrà una quantità maggiore di quelle stesse risorse che lo hanno accelerato: i combustibili fossili. Man mano che il prezzo del petrolio supera i 100 dollari al barile, i geologi si affannano per determinare con esattezza quanto petrolio e quanto gas si trovino al di sotto della calotta polare che si sta sciogliendo. Si sa di più della superficie di Marte di quanto si sappia delle profondità dell’Oceano glaciale artico, ma i primi risultati indicano che l’Artico potrebbe avere in serbo le ultime risorse di idrocarburi non ancora scoperte sulla terra. L’U.S. Geological Survey e la società norvegese Statoilhydro stimano che nell’Artico si trovi un quarto dei restanti giacimenti di petrolio e gas non ancora individuati al mondo. I maggiori depositi si trovano nell’Artico a largo delle coste russe. La società petrolifera di stato russa Gazprom ha circa 113 trilioni di piedi cubici di gas in fase di sviluppo nei giacimenti che possie-
de nel Mar di Barents. Il ministero russo per le Risorse naturali calcola che il territorio che Mosca rivendica potrebbe contenere 586 miliardi di barili di petrolio, sebbene non si abbiamo prove certe dell’esistenza di questi giacimenti. Al confronto, tutte le attuali riserve di petrolio già comprovate dell’Arabia saudita – che dichiaratamente escludono le risorse non ancora esplorate, ma della cui esistenza si parla – ammontano ad appena 260 miliardi di barili.
Il Polar Express. Un premio ancora maggiore saranno le nuove vie marittime create dal grande disgelo. Nel XIX secolo, la rotta artica rappresentava il Santo Graal delle esplorazione dell’età vittoriana e la potenza navale dell’Impero britannico non badò a spese pur di assicurarsi una sorta di scorciatoia per raggiungere i ricchi mercati asiatici. Non appena apparve chiaro che il passaggio a NordOvest era perennemente ostruito dai ghiacci e pertanto impraticabile, l’interesse per l’Artico delle potenze dell’epoca venne meno. L’interesse strategico per questa regione si riaccese durante la seconda guerra mondiale e la guerra fredda, quando i sottomarini nucleari ed i missili intercontinentali lo trasformarono nello spazio marittimo più militarizzato al mondo, ma è soltanto adesso che le rotte marittime artiche così tanto bramate ed agognate dagli esploratori del XIX secolo stanno diventando realtà. Le scorciatoie di navigazione della rotta del Mare del nord (verso l’Eurasia) e del passaggio a Nord-Ovest (verso il Nord-America) ridurrebbero di giorni gli attuali tempi di transito oceanico, risparmiando alle società di
navigazione – per non parlare delle Marine militari e dei contrabbandieri – migliaia di miglia di viaggio. La rotta del Mare del Nord ridurrebbe la distanza di navigazione fra Rotterdam e Yokohama da 11.200 miglia nautiche – attraverso la rotta attuale che passa per il Canale di Suez – a sole 6.500 miglia nautiche, con un risparmio di più del 40% di navigazione. In egual misura, il passaggio a Nord-Ovest accorcerebbe il viaggio da Seattle a Rotterdam di 2.000 miglia nautiche, rendendolo più breve di quasi il 25% rispetto a quello con la rotta attuale, attraverso il Canale di Panama. Considerando gli oneri di pedaggio del canale, i costi per il combustibile e le altre variabili che determinano i noli, queste scorciatoie ridurrebbero i costi di ogni singolo viaggio effettuato da una grossa nave container del 20% -- da circa 17,5 milioni di dollari a 14 milioni di dollari – facendo risparmiare all’industria delle spedizioni vie mare miliardi di dollari l’anno. I risparmi potrebbero essere anche maggiori per le meganavi che non possono attraversare il Canale di Panama e quello di Suez e pertanto sono costrette a circumnavigare il Capo di Buona Speranza e Capo Horn. Inoltre, queste vie artiche consentirebbero altresì alle navi commerciali e militari di evitare di transitare nelle acque mediorientali politicamente instabili ed in quelle infestate dai pirati del Mar della Cina meridionale. Una provocazione iraniana nello Stretto di Hormuz, come quella che si è verificata lo scorso gennaio, sarebbe considerata poco meno che una minaccia nell’era della navigazione trans-artica.
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segue da pagina 13 La navigazione artica potrebbe anche influenzare enormemente i modelli commerciali mondiali. Nel 1969, le compagnie petrolifere spedirono la nave Manhattan attraverso il passaggio a Nord-Ovest al fine di verificare se potesse essere una rotta valida e praticabile per trasportare il petrolio dell’Artico verso la direttrice orientale. La Manhattan completò il viaggio con l’ausilio di rompighiaccio al seguito, ma le compagnie petrolifere ritennero subito che la rotta fosse impraticabile e che avesse costi proibitivi e optarono per un oleodotto in Alaska. Eppure, oggi questi viaggi stanno diventando rapidamente possibili. Non appena le compagnie di assicurazione marittima ricalcoleranno i rischi insiti in questi viaggi, la navigazione trans-artica diventerà commercialmente fattibile e potrà essere praticata su larga scala.
In un’epoca di consegne just-in-time, e con i costi crescenti per i combustibili che intaccano i profitti delle società di spedizione, ridurre le distanze di navigazione a lungo raggio del 40% potrebbe avviare una nuova fase di globalizzazione. Le rotte artiche porterebbero forzatamente ad ulteriore concorrenza fra il Canale di Panama e quello di Suez, riducendo i pedaggi attualmente praticati dai canali. Quando i ghiacci si saranno ritirati a sufficienza, probabilmente entro questo decennio, si materializzerà un’autostrada del mare direttamente verso il Polo Nord.Tale rotta, che andrebbe dall’Islanda al Dutch Harbor in Alaska, collegherebbe i megaporti del Nord-Atlantico a quelli del Nord-Pacifico. Per navigare su queste rotte e trasportare il petrolio e il gas naturale dell’Artico, i cantieri navali di tutto il mondo stanno già costruendo navi capaci di muoversi fra i ghiacci. Il settore privato sta investendo miliardi di dollari in una flotta di navi cisterna e petroliere artiche. Ma la rapida contrazione dei ghiacci sta rinfocolando numerose rivalità fra Stati e attira nella regione nuovi Paesi affamati di energia, quali la Cina. Le potenze artiche si stanno avvicinando ad una sorta di stallo diplomatico, il che potrebbe in ultima analisi portare a quella specie di politica armata del ”rischio calcolato”che assilla altri territori, quali le desolate, ma ricche di risorse, isole Spratly, delle quali vari Stati rivendicano la sovranità, ma per le quali non esiste un quadro chiaro in termini di sovranità e proprietà. Sono pochi i quadri giuridici che possano fungere da guida. Esiste il Consiglio Artico per affrontare le questioni ambientali, che tuttavia è rimasto in silenzio sulla maggior parte delle questioni pressanti che assillano la regione in quanto, di proposito, gli Stati Uniti lo hanno depotenziato sin dalla sua creazione, nel 1996. Molti osservatori affermano che la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare (Unclos) è lo strumento più corretto per gestire la questione dello scioglimento dei ghiacci nell’Artico. La convenzione fornisce agli Stati meccanismi per la definizione delle dispute e considera le risorse in mare aperto patrimonio comune dell’umanità. Tuttavia, l’Unclos non può essere applicata all’Artico nella sua forma attuale. L’unicità delle caratteristiche geografiche della regione non consente un’applicazione pura e semplice di questo quadro giuridico. Nell’Artico si concentra tutta una serie di questioni difficili e pressanti che, considerate nel loro insieme, lo rendono un caso davvero speciale. ©2008 Council on Foreign Relations, publisher of Foreign Affairs. All rights reserved. Distributed by Tribune Media Services
Tra russi, inuit, eschimesi 700mila persone vivono nell’Artico e chiedono diritti
Si sveglia il popolo di ghiaccio di Maurizio Stefanini i sono le potenze artiche, ma ci sono anche i popoli artici. E, una volta tanto, non è una mera petizione di principio. Nel Consiglio Artico, costituito con la Dichiarazione di Ottawa del 1996 per coordinare le politiche ambientali, sociali ed economiche relative allo sviluppo sostenibile nella regione, sono rappresentati i governi di otto Paesi: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia, Stati Uniti. Ma sono membri permanenti anche sei associazioni di popoli indigeni. L’Associazione russa dei popoli Indigeni del Nord (Raipon): 34 associazioni, 41 etnie, 250.000 persone. La Conferenza circumpolare Inuit: 50.000 eschimesi della Groenlandia, 50.000 del Canada, 50.000 dell’Alaska statunitense e circa 2000 russi. Il Consiglio Saami, con le Associazioni dei Parlamenti lapponi di Norvegia, Svezia e Finlandia, le associazioni culturali lapponi norvegese e svedese, l’associazione degli allevatori di renne norvegesi e le due associazioni dei Saami russi della Penisola di Kola e della Regione di Murmansk: un “bacino di utenza” che riguarda 60.000 cittadini norvegesi, 35.000 svedesi, 6400 finlandesi e 2000 russi. Il Consiglio artico Athabaska, con 40.000 indiani residenti sia nello stato Usa dell’Alaska che nei canadesi Yukon e Territori di Nord-Ovest. L’Associazione internazionale Aleuta, con 17.000 persone in Alaska e 700 in Russia. Il Consiglio internazionale Gwich’in, etnia indiana i cui 9000 membri sono anch’essi sparsi tra Alaska, Yukon e Territori di Nord-Ovest. In tutto, un po’meno di 700.000 persone, in un passato anche recente spesso pedine e vittime delle rivalità internazionali attorno al Polo Nord, e non solo. Tra gli anni ’30 e ’50, ad esempio, la politica staliniana dimezzò la popolazione indigena siberiana. Nel 1950 nel Quebec Settentrionale 17 famiglie eschimesi furono deportate oltre il Circolo Polare, per sostenere le rivendicazioni del governo di Ottawa su un gruppo di isole: i 10 milioni di dollari di in-
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dennizzo infine arrivati nel 1996 ai discendenti non furono accompagnati da scuse, nell’assunzione che «il governo operò con intenzioni lodevoli nel perseguire ciò che all’epoca venne ritenuto il miglior interesse degli stessi Inuit». Negli anni ’60 e ’70 i territori delle etnie indigene siberiane furono massicciamente inquinati da esperimenti nucleari e dal carburante di missili spaziali. Nel 1986 gli allevamenti di renne dei Saami furono vittime delle ricadute radioattive di Chernobyl. Nel 1997 la nuova normativa “ecologista” dell’Unione Europea sulle pellicce mise in crisi la tradizionale attività di caccia degli Inuit del Canada. Malgrado ciò, quella dell’ultimo mezzo secolo per i popoli artici è una storia di crescente protagonismo. Del 1971 è la legge con cui lo Stato dell’Alaska istituì 13 Regional Corporations per permettere ai popoli indigeni di autogestire le utilità economiche dei loro territori. Nel 1973 nacque il Parlamento Saami finlandese, con diritto di veto sulla gestione del sottosuolo. Nel 1979 fu concesso dalla Danimarca alla Grornlandia un ampio autogoverno. Nel 1987 fu istituito il Parlamento Saami norvegese. Nel 1990 nacque la Raipon russa. Nel 1993 fu istituito il Parlamento Saami svedese. Nel 1999 il Territorio Inuit del Nunavut divenne il tredicesimo membro della confederazione canadese, mentre la Raipon era riconosciuta dal governo di Mosca come “organizzazione pubblica” e riceveva dalla Duma uno status consultivo. Nel 2005 la Provincia canadese di Terranova e Labrador ha istituito per gli Inuit l’Area del Nunatsiavut. Il prossimo 25 novembre ci sarà poi in Groenlandia un referendum che esclude la separazione completa da Copenaghen, ma dovrebbe includere un ventaglio di altre possibilità tipo una Federazione con la Danimarca, o un regime di Stato liberamente associato, o un’unione personale sotto lo stesso sovrano. E dal 2011 anche gli 11.000 Inuit del Nunavik diventeranno regione autonoma del Quebec.
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Artico non è solo il termometro del mondo. Quello che un tempo era chiamato il “Grande Nord”, è un sub-continente oceanico a tutti gli effetti. Non sono state le traversate del Passaggio a NordOvest (coste nord del Canada e dell’Alaska) o “la rotta del Mare del Nord” (via potenzialmente navigabile che passa dalla parte russa del Circolo polare Artico) a renderlo tale, ma la caratterizzazione geografica della regione artica e i miglioramenti delle rotte interne di navigazione. Le terre di tre continenti Europa, Asia e Nord America - circondano l’Artico, i cui mari periferici, negli anni, hanno portato alla nascita di aree portuali strategiche: le città russe di Murmansk e Arcangelo, Churchill in Canada e Prude Bay in Usa. Lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico oltre a disastrose conseguenze ambientali - sta aprendo rotte finora sconosciute e non raggiungibili dall’uomo. La “corsa all’Artico” sta modificando gli equilibri della geopolitica mondiale e la sicurezza del XXI secolo e rappresenta il successo della “geopolitica dell’orto” ovvero dell’approccio glocal alle relazioni internazionali, per il quale l’approdo ad una competitività sulla scacchiera globale passa per successi sul locale. Ciò è tanto più vero se il player competitivo è il sistema-Paese. Le cinque potenze sub-artiche - Stati Uniti, Canada, Danimarca, Norvegia e Russia - hanno modificato la propria “grande strategia”, basata sulla definizione e la dinamica degli interessi nazionali, sul presente e futuro assetto dell’Artico.
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Lo scioglimento dei ghiacci sta facendo emergere un immenso tesoro ancora inesplorato, fatto di ricchi depositi di metalli, oro, argento, rame, diamanti; di uranio, combustibile per le centrali nucleari; e, secondo le ultime stime, di circa il 20-25% delle riserve di petrolio e gas del pianeta. Per molti esperti sarà una corsa contro il tempo, visto anche il vuoto del diritto internazionale sulla sovranità dei fondali artici e sullo sfrutta-
Rivendicazioni territoriali incrociate Mosca-Washington E l’Italia è fuori anche dai programmi scientifici
Tra Russia e Usa è scontro al Polo di Strategicus mento delle sue risorse. In realtà, più che una questione di tempo si tratta di giocare al “gioco della globalizzazione”, per la spartizione in zone di influenza tra le potenze sub-artiche. La globalizzazione garantisce guadagni per tutti a fronte di successi locali basati su collaborazioni strategiche. L’attrazione dell’Artico è troppo forte per credere che gli Stati sub-artici intendano agire fuori dalle regole della globalizzazione e degli equilibri geo-strategici, innescando possibili mini-guerre fredde. Il rischio è la perdita dei vantaggi economici e di rango geopolitico che l’Artico destinerà nel medio-lungo periodo. Le acque del Polo Nord sono considerate “mare internazionale”. Tutti gli Stati hanno uguali diritti nello sfruttamento delle risorse presenti. La Convenzione di Montego Bay del 1982 dispone che uno Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare le risorse della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva fino a 200 miglia marine dalla costa. Tra i cinque Stati sub-artici, la Russia si colloca, per storia, dimensioni e cultura, in posizione privilegiata. La spedizione scientifica, costata circa 70 milioni di euro, che ha piantato una bandiera russa sui fondali della banchisa artica voleva dimostrare che la dorsale Lomonosov - catena sottomarina lunga 1.700 km - è il prolungamento del territorio della Federazione. Sarebbe la dimostrazione della teoria geopolitica -
libri e riviste
i fronte al comportamento del governo cinese che calpesta diritti civili e libertà di ogni tipo ci sarebbe da alzare la voce. I gruppi per la difesa dei diritti civili vorrebbero agire, ma hanno anche pochi strumenti per incidere. Almeno non quelli classici. I boicottaggi economici non funzionerebbero nei confronti delle seconda economia mondiale. L’Occidente non può comportarsi nei confronti della Cina, che perseguita i tibetani, imprigiona gli uiguri e non garantisce un regolare processo a migliaia di dissidenti, come ha fatto con despoti locali e i regimi autoritari del vecchio Sud Africa, della Bielorussia o del Sudan. La tesi dell’articolo verte sull’incredibile sensibilità del popolo cinese al giudizio dei media o al comportamento membri dello show busi-
D
ness come Bjork, che al termine di un concerto a Shangai, gridava «Tibet, Tibet». Sono molto più attenti alla classifiche della Cnn di quanto non dimostrino politici, come Valdimir Putin o Robert Mugabe. Un altro utile esempio è la decisione di cancellare la presenza di numerosi capi di Stato alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Pechino ha ammorbidito subito la posizione sul Tibet rendendosi disponibile ad un colloquio col Dalai Lama. Insomma, con i cinesi funzionerà un lavoro costante e di lungo periodo. William F. Schultz The rignt way to pressure Beijing Foreign Policy April 2008 – web exclusive
denominata “Artico Sovietico”- secondo la quale la Russia ed il Polo Nord sarebbero parte della stessa piattaforma continentale. Se la tesi del Cremlino fosse confermata dall’apposita commissione delle Nazioni Unite, la Russia otterrebbe la sovranità non solo sulla dorsale e i fondali, ma anche sulle risorse naturali del sottosuolo artico. Sarebbe un successo per la politica post-zarista di Putin per il ritorno alla grandeur della Vecchia Russia (non è un caso che Putin abbia dato il titolo di “Eroi della Russia” ai membri della spedizione e che il neopresidente Medvedev abbia ribadito la volontà che la Russia torni ad essere una potenza marittima e navale). Visto che la dorsale Lomonosov taglia il Mar Glaciale Artico, collegando la piattaforma eurasiatica a quella nordamericana, anche Canada e Danimarca acquisirebbero gli stessi diritti di Mosca. Gli ultimi dati sullo sfruttamento del giacimento di gas Stockman, nel mare di Barents, più accessibile di quelli dell’Artico centro-settentrionale, indicano che la Russia non possiede le necessarie capacità tecnologiche estrattive. La corsa contro il tempo non sarà per la sovranità sull’Artico, ancora incerta, quanto sugli investimenti in tecnologie in grado di sfruttare l’off-shore profondo, cioè le risorse dei fondali artici, e sulla protezione di quelle su cui ciascuno Stato sub-artico rivendica la propria sovranità. Il Canada - non avendo mezzi rom-
e l’Iran dovesse lanciare un attacco nucleare su Israele, quale sarebbe la nostra risposta? Voglio che gli iraniani sappiano che, da presidente, farei attaccare l’Iran (…) saremmo in grado di cancellarli totalmente». Sembrerebbe la dichiarazione di un falco repubblicano candidato alla Casa Bianca, invece sono le parole di Hillary Clinton. Affermazioni che hanno stupito molti e sollevato non poche critiche. Secondo l’autrice è più uno stratagemma per mettere in difficoltà Obama che un messaggio ad Ahmadinejad. Un modo per distrarre il Paese dall’agenda dei problemi reali, dove invece svetta l’exit strategy per l’Iraq.
«S
Ximenia Ortiz Bomb, Bomb Iran? The National Interest – May 2008
pighiaccio adeguati - sta investendo nella costruzione di un centro di addestramento al combattimento in condizioni estreme, di un porto a nord dell’isola di Baffin per il rifornimento dei vascelli di pattugliamento, e di 6-8 pattugliatori d’altura di V classe. Gli Stati Uniti - che non hanno ancora ratificato la Convenzione di Montego Bay - rivendicano il diritto su 480 mila kmq di fondali vicino l’Alaska. Washington ha due dispute territoriali con Mosca: la prima è la International Date Line, linea di confine tra Usa e Russia nello Stretto di Bering, tracciata nel 1867; la seconda è la dorsale Lomonosov. L’Artico - e l’apertura del passaggio a Nord-Ovest che consentirebbe di accorciare di 5mila miglia le rotte dall’Artico al Pacifico, rappresenta una sfida anche per gli equilibri geopolitici dell’Europa, in particolar modo per gli Stati portuali del Mediterraneo e, soprattutto, dell’Adriatico del Nord, che hanno una posizione privilegiata per gli scambi con l’Asia.
E l’Italia? Nel marzo 2007 è stato istituito l’Anno Polare Internazionale (Ipy). E’ un’iniziativa di ricerca scientifica internazionale per il periodo marzo 2007 marzo 2009, che riguarda 200 progetti e coinvolge circa 50mila ricercatori di oltre 60 nazioni. L’obiettivo è comprendere le regioni polari attirando l’attenzione del mondo sulla loro importanza. Il nostro Paese ha dimostrato ancora una volta enormi capacità di ricerca, ma evidenti incapacità decisionali. Nonostante siano stati presentati 35 progetti, non è passata la legge di finanziamento da parte del governo. In generale, nel 2006, tutta la ricerca italiana nell’Artico ha risentito della fase di riforma del Cnr, con conseguente perdita di fondi. Risultato: l’Italia - con un tempismo tutto nostrano - è uscita dall’Artico proprio quando la comunità internazionale sta facendo sistema con il linguaggio universale della scienza. La mancanza di fondi rischia di far evaporare per l’Italia anni di ricerche, esperienze e riconoscimenti da parte di tutto il mondo.
sperto dell’American Enterprise, Falcoff svela i falsi miti della Cuba comunista. Un’isola un tempo ricca e con una società attiva, oggi vive un’involuzione demografica, è pervasa dalla cultura della dipendenza e ha paura per il futuro. Difficilmente si trasformerà in una democrazia di mercato, una volta morto Fidel Castro, né cesserà di essere di colpo un’insidia per gli Usa. Un’analisi, quella del libro, che affronta molti aspetti della vita cubana, da quelli sociali e politici alle valutazioni sulla realtà economica e culturale. In attesa che l’eredità di Castro passi sulle pagine dei libri di storia.
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Mark Falcoff Cuba the morning after Aei Press – 285 pagine – 25 $
a cura di Pierre Chiartano
pagina 16 • 7 maggio 2008
economia
L’Ue deferisce l’Italia
Siamo un Paese premoderno: Alemanno lancia l’allarme anche per Roma di Giancristiano Desiderio nche Gianni Alemanno ha lanciato l’allarme: «Devo, purtroppo, esprimere la grande preoccupazione per il problema dello smaltimento dei rifiuti a Roma: l’avvertimento che l’Unione europea ha inviato alla Regione suona come un ultimo treno prima che anche il Lazio finisca come la Campania». Insomma siamo un Paese in bilico. In Europa e contemporaneamente fuori dall’Europa. Qualche anno fa, quando era di moda l’allora famoso Trattato di Maastricht, si diceva: «Ci vorrebbe Maastricht anche per la giustizia». L’economia, il welfare, la sanità, la scuola, tutti i settori centrali di una moderna e aperta società, in Italia, sono ben al di sotto degli standard europei. Purtroppo, è così. I burocrati di Bruxelles saranno anche dei formalisti quando decidono la lunghezza delle banane, ma qualcuno si sente di dare del burocrate al commissario Ue all’Ambiente, Stravos Dimas, quando ha affermato che «le montagne di spazzatura sono l’emblema di un’inadeguata amministrazione». L’Italia è stata ufficialmente deferita dalla commissione europea per la gestione dei rifiuti in Campania. Ma nel mirino c’è anche il Lazio e si teme anche per altre regioni che sono privi di un razionale, pratico e funzionante piano di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Siamo un Paese che sa benissimo come si consuma, ma non sa come si crea smaltisce ciò che il benessere produce. Siamo un Paese al di sotto della modernità. La Campania in questo specialità non prende lezioni da nessuno: è prima in Italia. Non a caso è l’ultima regione d’Italia in fatto di reddito, sanità, rifiuti. La catastrofe campana non è un cataclisma della natura, ma una forza della inciviltà della politica. Le dimensioni del disastro politico, presto diventato disastro ambientale, igienico e sanitario, sono pari e superiori a quello del terremoto in Irpinia. L’emergenza dura da quattordici anni e uscire dall’emergenza è a sua volta un’emergenza. Il governo Prodi è finito con la «guerra di Pianura» e il governo Berlusconi inizia con la «guerra di Chiaiano». Mentre Antonio Bassolino, il cui ciclo politico coincide in maniera geometrica con l’emergenza dei rifiuti, è lì, ancora al suo posto dopo aver annunciato le sue dimissioni entro un anno. Solo in Italia un politico può apertamente dichiarare il suo fallimento e, al contempo, restare al suo posto. Se siamo un Paese alla deriva è perché chi deve risolvere problemi, li crea per poter continuare a dire che li risolverà. Il proclama bassoliano, «tra un anno mi dimetto», è funzionale a questa logica. Come sono funzionali gli stipendi dei commissari, dei subcommissari, dei vicecommissari, dei consiglieri di amministrazione senza alcuna amministrazione. Appunto, un Paese in bilico. Alla deriva. Che si stacca dall’Europa.
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Il sindaco di Acerra ripropone l’sos sull’emergenza rifiuti in Campania
De Gennaro non basta colloquio con Espedito Marletta di Cristiano Bucchi commissari straordinari servono a ben poco nel momento in cui dalle stanze ovattate di un ministero vengono catapultati dentro realtà che non conoscono». Il sindaco di Acerra, Espedito Marletta non è affatto sorpreso dalla nuova emergenza spazzatura che sta interessando Napoli e le zone limitrofe. Lo aveva detto qualche tempo fa a Romano Prodi, torna a ripeterlo oggi nella speranza che non si commettano gli stessi errori. «La situazione del nostro territorio è diventata di estrema drammaticità. I commissari, in 14 anni, hanno sterilizzato le istituzioni, di fatto esautorandole. Questo è il vero dramma». Quindi non è sorpreso da questa nuova emergenza? Assolutamente no. Se un commissario viene nominato per la semplice emergenza, vale a dire per trovare unicamente qualche buco dentro cui nascondere tonnellate di spazzatura, è chiaro che non si va da nessuna parte. In questi anni con i commissari che si sono succeduti ho ripetuto sempre la stessa cosa, e cioè che bisogna lavorare su due piani differenti. Vale a dire? Credo sia necessario affrontare da una parte l’emergenza e dall’altra creare le condizioni di un piano industriale di raccolta di rifiuti solidi urbani. Tutto questo per arrivare nei prossimi cinque anni al superamento dell’emergenza. Cosa ne pensa dell’apertura della discarcia di Chiaiano? Se De Gennaro pensa di risolvere il problema aprendo una nuova discarica, dimostra di non aver capito nulla. Sorpreso dal deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia del Lussemburgo? E’una cosa che mi aspettavo. Come si può pensare di uscire dall’emergenza se non si mette in campo una strategia. Tra qualche giorno ad Acerra partirà la raccolta differenziata porta a porta. E’ ottimista?
«I
In questi gironi stiamo mettendo a punto il progetto che partirà il 26 maggio. In alcuni punti della città abbiamo già iniziato la raccolta con dei volontari. Per il momento la popolazione ha risposto con grande disciplina e partecipazione. Sempre ad Acerra si sta costruendo uno dei termovalorizzatori previsti dal commissariato per l’emergenza rifiuti e dal governo Prodi. Lei si è da sempre opposto a questo progetto, perché? Il problema è che si vuol far credere al popolo campano che il termovalorizzatore di Acerra possa risolvere, d’incanto, un’e-
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Se il commissario di governo pensa di risolvere il problema aprendo una discarica, dimostra di non aver capito nulla: non si può pensare di uscire dall’emergenza se non si mette in campo una strategia
”
mergenza che, invece, non potrà mai essere risolta se la logica e l’azione delle istituzioni, e non solo di esse, resterà dettata da interessi non sempre chiari e leciti. Perché per la camorra è meno rischioso e più redditizio infiltrarsi nel settore dei rifiuti? Perchè i rifiuti sono un’emergenza infinita. E dove c’è emergenza c’è il crimine organizzato. Perchè emergenza è, giocoforza, sinonimo di attenuazione o evanescenza dei controlli di legalità: si rischia meno e si guadagna di più. E’ mai stato minacciato? No, su questa vicenda dei rifiuti mai. Piuttosto che minacce da parte della camorra,
sono state le amministrazioni pubbliche a chiudermi spesso la porta in faccia. Torniamo al termovalorizzatore. A che punto è la costruzione dell’impianto? La struttura è stata completata al 90 per cento. Quello che manca ancora è l’individuazione di un gestore. Sono state fatte tre gare per scegliere il soggetto ma sono andate tutte e tre deserte. Evidentemente c’erano dei problemi. Di che tipo? Prima di tutto è necessario capire che cosa si intende bruciare con questo impianto.Vede, una cosa sono i cdr vale a dire i combustibili da rifiuti, altro è l’immondizia nuda e cruda. Questo termovalorizzatore è stato costruito per bruciare il cdr, ma mancando in Campania gli impianti per la produzione di questo materiale è chiaro che la macchina non può funzionare. Sindaco Marletta, lei ha presentato un esposto-denuncia contro Romano Prodi in merito alle ultime ordinanze sull’incenerimento dei rifiuti. E’ pentito? Bruciare ecoballe non trattate come voleva Prodi, significa provocare emissione di diossina pericolosissime per la popolazione.Trovo che tutto questo si commenti da solo. Questa è la dimostrazione che Napoli e la Campania sono state messe in ginocchio perché non si è governato per il bene della popolazione ma si è gestito un potere: è una differenza enorme. La politica ha cancellato il riferimento etico e morale.Vedo troppi segnali di non democrazia, di una libertà che stiamo perdendo troppo in fretta. Berlusconi ha più volte ripetuto che il problema dei rifiuti sarà una delle priorità del futuro governo. E’ fiducioso? Sono fiducioso nella misura in cui il neo presidente del Consiglio oltre alle sue idee, si sforzerà di ristabilire un corretto rapporto democratico con le amministrazioni locali.
economia
7 maggio 2008 • pagina 17
C’è un rischio inflazione dietro la richiesta dei sindacati di adeguare i salari secondo parametri specifici
Contratti, il ”paniere” è una trappola d i a r i o
di Giuliano Cazzola a coalizione di centrodestra ha già conseguito dei risultati di portata storica: una clamorosa vittoria elettorale in tutte le realtà di un Paese complesso, caratterizzato da tanti e profondi divari; la conquista netta ed emblematica del Comune di Roma; l’elezione alla presidenza della Camera di una personalità come Gianfranco Fini che è stata capace di trasformare un partito - ghettizzato nel corso di mezzo secolo - in una forza di governo, riconosciuta come tale. Di converso, la sinistra ha incassato una sconfitta epocale, da cui sarà molto difficile riprendersi, se gli avversari non commetteranno errori capitali. Il dato nuovo delle elezioni del 2008 risiede nel delinearsi – è la prima volta che accade dal 1994 – di una formazione moderata capace di rappresentare un vasto arco di forze popolari che sempre più si riconoscono in un nuovo progetto interclassista. Mutatis mutandis, il Popolo della libertà occupa lo spazio - sociale prima ancora che politico - che fu della Dc e ne rivive e ripropone le migliori performance. Per la compagine di Silvio Berlusconi si aprono, dunque, prospettive interessanti e destinate a durare, nella misura in cui, dopo un indubbio successo elettorale, il Pdl saprà piantare stabilmente le radici nella società italiana.
g i o r n o
Italia, finisce la procedura di deficit
L
Per comprendere se la legislatura nasca effettivamente sotto buoni auspici ci sono due passaggi cruciali. Il primo chiama in causa la composizione della squadra di governo. Devono essere invitate a farne parte personalità in grado di esprimere una visione competente ed autonoma delle scelte politiche da compiere nei settori strategici per l’azione dell’esecutivo. Berlusconi lo ha già fatto sicuramente per alcuni dicasteri d’importanza fondamentale come gli Affari esteri, l’Interno e l’Economia.Vi sono altre due pedine essenziali che ancora «ballano»: la Giustizia e il Welfare. Nel primo caso occorre porre rimedio ad una situazione dell’ordine giudiziario divenuta non solo insostenibile, ma pericolosa per i diritti fondamentali dei cittadini. Nel secondo caso – ecco l’altro passaggio cruciale - occorre riprendere e consolidare – nel campo del lavoro, della previdenza e delle politiche sociali – la positiva azione che il centrodestra aveva intrapreso e realizzato nella precedente esperienza di governo. L’impegno prioritario riguarda sicuramente il rapporto con le parti sociali, a partire dalla ridefinizione di un modello di regole contrattuali più aderente ai nuovi profili del lavoro. In altre parole, un diverso assetto della struttura della contrat-
d e l
La Ue chiude la procedura ma avverte il governo italiano: «Crescita in calo, spese in aumento. Intervenire per restare nei parametri di Maastricht». L’Italia negli ultimi anni è riuscita a ridurre il deficit in maniera credibile portandolo nel 2007 all’1,9%, ben al di sotto del tetto del 3% del Pil. Per questo il commissario Ue Almunia chiederà all’Ecofin l’abrogazione della procedura per deficit eccessivo aperta nel 2005 nei confronti del nostro Paese. Tuttavia, ci sono ancora dei rischi legati al calo delle tasse e agli aumenti dei salari. Nel testo che il commissario agli affari e monetari, Joaquin Almunia, presenterà alla Commissione Ue si ricorda come il rapporto deficit Pil dell’Italia si è attestato all’1,9% nel 2007, dopo il 3,5% del 2004, il 4,2% del 2005 e il 3,4% del 2006. Bruxelles prevede che il disavanzo si attesti al 2,3% nel 2008 e al 2,4% nel 2009.
Alitalia, banche pronte a investire Le Fondazioni bancarie potranno valutare di investire in Alitalia se ci sarà un progetto industriale. È l’affermazione di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, precisando però anche che al momento ogni valutazione al riguardo risulta prematura. «Nessuno ci ha chiesto niente», ha detto. «E qui si tratta di investire patrimonio, non di un’erogazione. Se ci sono progetti industriali le valutazioni che le fondazioni potranno fare saranno basate sul rischio e sulla redditività dell’investimento», ha continuato Guzzetti, che è anche presidente dell’Acri, l’associazione delle casse di risparmio e delle fondazioni di origine bancaria. tazione e del modello di relazioni industriali. I leader sindacali ne hanno parlato (con maggiore enfasi Raffaele Bonanni della Cisl), a Ravenna in occasione della manifestazione del 1° Maggio, annunciando un accordo già raggiunto e prossimo ad essere sottoposto alla ratifica degli organi dirigenti e dei lavoratori.
Tale patto – oltre a prevedere i nuovi assetti contrattuali – dovrebbe pure disciplinare le regole della rappresentanza alle quali era molto interessata la Cgil. In attesa di capire meglio i contenuti dell’intesa (di per sé significativa dopo anni di false partenze e di sostanziale immobilismo), è il caso di esprimere qualche valuta-
Dopo le richieste delle organizzazioni dei pensionati arrivano anche quelle dei lavoratori: potrebbe innescarsi una deriva pericolosa zione sulle anticipazioni recenti (si veda per tutte l’articolo di Enrico Marro sul Corriere della Sera di ieri 6 maggio). Sembrerebbe, infatti, che la mediazione intervenuta tra Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra, si sia tradotta sostanzialmente in una sommatoria di rivendicazioni, da cui esce rafforzato tanto il livello nazionale quanto quello decentrato. Ciò
mentre si era sempre manifestata l’esigenza di potenziare il secondo ovviamente a scapito del primo. Il contratto nazionale continuerà a salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni non più prendendo a riferimento l’inflazione programmata ma un indice «realistico».
Una scelta siffatta sembrerebbe ragionevole, se non fosse che la scelta dell’inflazione programmata (salvo successivo adeguamento a quella effettiva) non corrispondeva, nel protocollo del 1993, ad una volontà punitiva nei confronti dei lavoratori, ma ad un impegno di contenimento dell’inflazione (un fenomeno che, fino a pochi mesi or sono, si considerava debellato e che invece si sta ripresentando in termini seri). In ogni caso pare che anche i datori di lavoro siano disposti a trovare soluzioni ragionevoli in materia. Più discutibile, al contrario, è l’idea - che traspare dalle proposte sindacali – di uno specifico paniere riferito ai consumi delle famiglie di lavoratori (peraltro, già adesso si adopera l’indice FOI ovvero quello delle famiglie di operai ed impiegati). Si sta diffondendo, infatti, la rivendicazione di «panieri» di beni e servizi su misura. Lo hanno fatto le organizzazioni dei pensionati. Ora lo lasciano intendere anche i sindacati degli attivi. Ma per questa via non si arriverebbe da nessuna parte, salvo dar vita ad un susseguirsi di pretese di ogni categoria inevitabilmente pronta a sbandierare la propria specificità.
Telecom e Vodafone, accordo con Apple L’accordo è ufficiale: l’iPhone entro l’anno sbarcherà in Italia. Presumibilmente a giugno. E a portarlo non sarà una sola società ma due:Telecom Italia e Vodafone. Dopo mesi di trattative ora è arrivata la firma. A chiudere la partita con il colosso Apple sono stati il nuovo ad Paolo Bertoluzzi per Vodafone e Franco Bernabè per Telecom.
Nuovo record del petrolio Oro nero senza più freni. Il petrolio non arresta la corsa sfiorando a New York i 121 dollari, esattamente 120,93 e a Londra a 119,07. Si tratta ovviamente di ennesimi massimi storici. Arjun N. Murti, l’analista di Goldman Sachs che sorprese un po’ tutti quando nel marzo del 2005 previde che il prezzo del petrolio sarebbe arrivato oltre i cento dollari, vede adesso le quotazioni del greggio proiettate addirittura fino a 200 dollari al barile. Sono queste infatti le indicazioni date da un gruppo di analisti di Goldman Sachs capeggiato appunto da Murti, secondo cui nel giro di due anni il prezzo potrebbe arrivare fra i 150 ed i 200 dollari.
Redditi ondine, stop del Garante Arriva lo stop definitivo alla diffusione online dei redditi. Secondo il Garante della Privacy, Francesco Pizzetti, il comportamento dell’Agenzia delle Entrate, che ha pubblicato su Internet le dichiarazioni dei contribuenti, è «illegittimo». Questo il risultato dell’istruttoria aperta. Sarà necessario eliminare quelle informazioni dal web. Secondo la legge l’Agenzia deve solo comporre gli elenchi dei contribuenti.
Piazza Affari in calo La Borsa di Milano ha archiviato gli scambi con il Mibtel e l’S&P/Mib in calo rispettivamente dello 0,41 e dello 0,57 per cento. Acquisti su Stm e Saipem, vendite corpose su Seat e Unicredito. Nuovo record del petrolio. Dopo una partenza quasi invariata e una seduta dominata dall’incertezza e dalla mancanza di spunti, gli indici della Borsa milanese hanno chiuso in calo di circa mezzo punto percentuale.
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cultura
Breve storia del saluto romano: imposto da Hitler nel ’33, per i nazisti era carico di valenze magiche e simboliche
L’infausto braccio del Führer di Giancristiano Desiderio Il Mulino ha appena dato alle stampe il libro di Tilman Allert Heil Hitler. Storia di un saluto infausto (sotto la copertina), che spiega il significato del saluto romano istituito dal Führer (a sinistra)
n giorno, precisamente il 3 marzo 1937, durante un viaggio in Germania, Samuel Beckett vide una scritta sopra l’ingresso della chiesa dei domenicani a Ratisbona, in Baviera, e nel suo diario scrisse: «Me ne vado, passo davanti alla chiesa dei domenicani senza visitarla, ma noto che, sul cartello sopra la porta nord, Grub Gott è stato cancellato e sostituito con Heil Hitler!!!». Il Fuhrer al posto di Dio. In questo scambio c’è la storia infausta della Germania del Novecento. Fu Theodor W. Adorno a dire una volta che Hitler aveva confiscato il diritto di ridere. Confiscò anche il saluto. E così chiuse la Germania al resto del mondo e il resto del mondo alla Germania, perché cos’altro significa“salutare”se non dichiararsi bendisposti verso l’altro? Attraverso quel saluto privo di mondo - HH - si può raccontare l’infausta storia tedesca del Terzo Reich.
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Oggi in Italia, per una serie di coincidenze, il saluto romano o saluto fascista, è ritornato agli onori della cronaca. Il tribunale di Milano in una recente sentenza ha condannato nove persone a pene comprese fra gli otto e i due mesi per aver fatto il saluto romano in piazza San Babila. Qualche giorno fa la scena si è ripetuta al Campidoglio: gli elettori di Gianni Alemanno hanno salutato la vittoria del neosindaco di Roma alzando il braccio destro. A Verona - e qui la vicenda diventa, purtroppo, drammatica - un gruppo di fanatici neonazionalsocialisti ha aggredito un giovane, massacrandolo di botte fino alla morte. I fanatici di estrema destra di Verona sono soliti salutarsi tra loro con il gesto hitleriano? Non si può di certo fare l’equazione «saluto romano uguale criminale», ma sa-
pere cosa significhi storicamente quel saluto e perché fu usato in Germania può senz’altro aiutare a capire i meccanismi che regolano la fanatica violenza di gruppo. Tilman Allert insegna Sociologia all’Università di Francoforte. Ora la casa editrice Il Mulino ha appena pubblicato un suo interessante libro sul significato e la storia del saluto voluto e imposto da Hitler a tutti i tedeschi: Heil Hitler. Storia di un saluto infausto. Il capo del regime nazionalsocialista volle praticamente subito, appena sei mesi dopo la presa del potere, che il nuovo saluto fosse un dovere civico universale: il 13 luglio 1933, un giorno prima di mettere al bando gli altri partiti, il Reich promulgò un decreto che sanciva l’obbligatorietà del
voro». Con il saluto hitleriano il regime totalitario si infiltra in ogni minimo aspetto della vita quotidiana dei tedeschi. «Heil Hitler» era sull’uscio di casa. C’è posta per te? E il postino esordisce: «Heil Hitler». In un negozio: «Heil Hitler». Tra i giocattoli dei bambini ci sono i soldatini con il braccio alzato. A scuola e nelle università il saluto è un dovere. E’ pedagogia.
Del resto, il saluto venne introdotto anche nella celebre fiaba Bella addormentata nel bosco. Ma cosa significa «Heil Hitler»? Si tende a tradurre così: «Salve Hitler/ Ave Hitler». Senz’altro si tratta di significati possibili.Tuttavia, la cosa è un po’ più complessa. Il verbo tedesco heilen - fa
Il significato del braccio teso nazista spiega come i tedeschi tentarono di sfuggire alla responsabilità dei normali rapporti sociali e rigettarono il dono del contatto con gli altri saluto «Heil Hitler» nel partito, negli uffici statali e nei luoghi della memoria. L’obbligo non ammetteva eccezioni e chi, per cause fisiche, non poteva alzare il braccio destro doveva alzare il braccio sinistro. Due anni dopo, 22 gennaio 1935, il ministro degli Interni, precisava: «Ordino quindi che d’ora in poi i dirigenti, gli impiegati e gli operai dei pubblici uffici ottemperino al saluto tedesco durante il servizio e all’interno di edifici e strutture sollevando il braccio destro - in caso di impedimento fisico il sinistro - declamando al contempo in modo chiaro “Heil Hitler”. Mi aspetto da funzionari, impiegati e operai dei pubblici uffici che salutino nello stesso modo anche nelle relazioni al di fuori nell’orario di la-
notare Tilman Allert - significa in primo luogo “guarire”, mentre il sostantivo Heil significa “felicità”, “prosperità” o ancora “salvezza”. Non si sa se la parola nel saluto «Heil Hitler» sia sostantivo, aggettivo o verbo e se è verbo non si sa se a sua volta Hitler sia da considerarsi il soggetto o l’oggetto. Ma al di là delle interpretazioni, ciò che è ferma è la presenza di Hitler nel momento in cui due tedeschi o più tedeschi si incontrano e si salutano. Un incontro è un inizio, un aprirsi, un conoscersi, un donarsi: in questa esperienza sociale che è l’uomo ecco spuntare il saluto «Heil Hitler» e il capo del regime prendere il posto del Signore. Il saluto voluto da Hitler, con il gesto plateale e visibile del braccio alzato e
della mano tesa, è un continuo giuramento pubblico: «Era l’equivalente sul piano degli incontri individuali di ciò che i raduni del partito erano per le masse: l’offerta dell’illusione di un potere magico». Un saluto al contempo arcaico e moderno, privato e pubblico, militare e etico. In due parole tutta una nazione, un popolo, una società, uno stato, un partito. Tutto in un uomo.Tutto in Hitler. Che cos’è un gruppo di fanatici se non l’idea esaltata di essere tutti in uno e uno in tutti? «Il Fuhrer abita nel cuore di ogni tedesco». Il Terzo Reich ebbe coscienza di cos’era e cosa doveva essere il saluto hitleriano per differenziarlo dal saluto del pugno chiuso dell’Internazionale socialista, ma anche dal “saluto romano” o “saluto fascista”. La stessa cosa, del resto, accadde a Roma: qui ci si poteva rifare all’antica Roma e vedere nel saluto romano il vero mito delle origini, la Roma imperiale.
Il saluto fascista ha un significato nazionale e di disciplina («fare gli italiani») e manca della fondamentale parte verbale: «Salve Mussolini o Ave Mussolini» suona male e gli italiani, dopotutto, hanno quello spiccato senso del ridicolo che, invece, fa difetto ai tedeschi, nel bene e nel male. In quel saluto infausto e privo di ironia si espresse una cattiva coscienza. Ecco perché - e ripetiamo le parole di Tilman Allert - la storia del saluto hitleriano è la storia di come i tedeschi tentarono di sfuggire alla responsabilità dei normali rapporti sociali, rigettarono il dono del contatto con gli altri, permisero che i costumi sociali decadessero e rifiutarono di ammettere la natura necessariamente aperta e ambivalente dei rapporti umani e dello scambio sociale.
cultura dorava Michelangelo. Un’ammirazione “passatista” per uno come lui che – di lì a poco – avrebbe aderito al movimento futurista. Nel 1908 (quando aveva ventisei anni) scrisse in una pagina del suo diario: «Come posso arrischiarmi con le mie parole a parlare di Lui. Chi sono io?... Oh! Misteriosa potenza del genio! lo non posso seguirlo in tutto. V’è un punto in cui lo vedo varcare una soglia ed entrare nel Mistero. Adoro e basta! E pure mi è caro – e non so il perché – tra tanta voragine di lavoro di passione di dolore di calma pensarlo umile e mesto recarsi agli appuntamenti che la divina Vittoria Colonna gli dava nella chiesa che sta su a Monte Cavallo in Roma. Cosa avrà detto Michelangelo alla vedova del Marchese di Pescara? So che la esortava a sperare in Dio... Oh infinita poesia del mondo!».
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A
Umberto Boccioni non immaginava, allora, che qualcosa (oltre alla pittura e alla scultura) lo avrebbe accomunato al grande Maestro del Rinascimento. Cioè proprio il rapporto con Vittoria Colonna, un’altra Vittoria naturalmente, una lontana discendente della marchesa di Ferrara che nel Cinquecento aveva stretto un sodalizio intellettuale con Michelangelo. Due relazioni molto diverse, va detto. Perché la Vittoria Colonna del Rinascimento era una donna austera e religiosissima. Figlia di Fabrizio Colonna, signore di Paliano e nipote (per parte di madre) di Federico di Montefeltro, duca di Urbino, rimasta vedova di Ferrante Francesco d’Avalos, divideva i propri interessi tra la fede e la poesia. La relazione – di carattere squisitamente spirituale – con Michelangelo (che era un misantropo) durò un decennio, dal 1536 al 1547 quando lei morì. Si incontravano ogni domenica nella Cappella di San Silvestro, dove il frate Ambrogio Caterino Politi li intratteneva leggendo le lettere di San Paolo. La liaison fra Boccioni e la duchessa Vittoria Colonna, sposata con Leone Caetani, discendente del papa Bonifacio VIII (che, nel 1300, indisse il primo Giubileo), durò poche settimane, e fu di tutt’altra natura: un «meraviglioso crescendo», come scrisse Boccioni in una lettera all’amata, «che ci ha condotto di castità in castità alla
Pubblicate da Adelphi le lettere galanti di Umberto Boccioni e Vittoria Colonna
Corrispondenze d’amorosi sensi (clandestine) di Massimo Tosti
Un epistolario segreto, dolce e minimalista che rivela «il gioco delle distanze e una reciproca nostalgia»
nostra casta voluttà». La loro relazione clandestina (di cui si mormorava all’epoca nei salotti dell’aristocrazia e nei circoli artistici), rivelata una decina di anni fa da Gino Agnese in una biografia del pittore (Vita di Boccioni, Camunia
editore), viene oggi raccontata per filo e per segno da Marella Caracciolo Chia in un bel saggio (Una parentesi luminosa – L’amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Adelphi editore, 178 pagine, 18 euro). L’autrice ha avuto acces-
so all’archivio Caetani dove è custodito il carteggio fra Vittoria e il marito e (in un pacchetto «tenuto assieme da un pezzo di corda legato stretto») la raccolta delle lettere che si scrissero i due amanti fra la metà di giugno (dopo il loro primo incontro) e il 17 agosto del 1916, quando Boccioni morì in seguito a una caduta da cavallo.
L’epistolario è tenero e banale (a tratti sembra ricavato da un «segretario galante», uno di
quei volumetti che andavano in voga nella prima metà del Novecento come prontuari per saldare un rapporto a distanza, indispensabili per non quanti avessero sufficiente dimestichezza con la parola scritta). Nelle lettere tra Umberto e Vittoria impera il minimalismo: la cura dei fiori in giardino, gli incontri, il tempo che fa, qualche breve frase in codice, destinata a evocare ricordi fugaci e intensi. Si danno del lei, e si salutano «devotamente» e «rispettosamente». Lui le bacia le mani, e lei gliele tende. Forse hanno anche paura che qualcuno (i familiari di lei: la suocera, il marito) intercettino quelle lettere; o forse è il gioco delle distanze ad acuire la nostalgia reciproca. Soltanto nelle ultimissime lettere il pittore passa al tu e sottolinea l’«infinita comunione di corpo e di spirito», spingendosi oltre la decenza mondana («Ti bacio con tutto il mio ardore»).
Il minimalismo è intrinseco al loro rapporto, consumato tutto nell’isolino di San Giovanni, la più piccola delle Borromee, sulla sponda orientale del Lago Maggiore, che Vittoria Colonna ha preso in affitto per straniarsi dal mondo, mentre è scoppiata la guerra, e il marito si trova al fronte. I racconti più ghiotti sono quelli che Marella Caracciolo dedica al passato di Vittoria, protagonista della mondanità europea, amica (soltanto?) di Edoardo VII d’Inghilterra e dell’Aga Khan (amica soltanto?). Un’esistenza frivola, vissuta con ammirevole leggerezza. Per fuggire dal marito (che la tradiva, con le donne e con gli studi monumentali sull’Islam) e dal figlio Onorato. E dalla famiglia Caetani, antica quanto squattrinata, con il nonno di Leone (Michelangelo) che – nell’Ottocento – si scusava con i conoscenti: «Sarei lieto di invitarla anche a pranzo ma sa, purtroppo il mio cuoco è morto… alla fine del Cinquecento». Lei,Vittoria, non si riconosceva in quel clima tetro e spartano, cresciuta com’era nello splendido Palazzo Colonna. Fortunata, ma non fino in fondo. «Sono una donna come molte altre», scrisse il 31 luglio a Boccioni, «alla quale la vita ha dato tutto il buono, ma non il meglio di quello che poteva dare». Il meglio le fu strappato appena diciotto giorni più tardi.
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a prima definizione americana di libertà usata regolarmente dai Padri Fondatori - si riassume in un concetto fondamentale: se non procuro danno ad alcuno, sono libero di perseguire la mia volontà. Il discorso inaugurale di Thomas Jefferson fece riferimento alla necessità di limitare l’arbitrarietà delle proprie azioni con queste parole: «un governo saggio e razionale deve scoraggiare gli uomini dal ferire gli altri, deve lasciarli liberi di coltivare i propri obiettivi di progresso economico e sociale, ma non deve togliere il pane di bocca ai lavoratori». Capire la libertà non è una cosa poco importante. I Padri Fondatori la consideravano uno dei tre fondamentali diritti donati da Dio, insieme alla vita e alla ricerca della felicità, e questi diritti sono strettamente correlati perché non solo la libertà dipende, chiaramente, dalla vita, ma la ricerca della felicità dipende dalla libertà, dunque libertà e felicità camminano di pari passo. Ma quale tipo di libertà rende gli americani felici? E qual è la cosa migliore che un governo possa fare per promuovere la libertà ed aiutare i cittadini a realizzare la felicità in quanto diritto inalienabile?
L
Negli scorsi decenni sono stati effettuati molti studi a riguardo. In linea generale, i ricercatori si sono affidati ad una personale misura della felicità, che – supportata dal consistente lavoro di psicologi, statistici e neuroscienziati – è
focus questi risultati non sono sorprendenti per gli Stati Uniti, ma il Gss ha anche rivelato che le persone che hanno detto di sentirsi completamente o molto libere erano due volte più propense ad affermare di essere molto felici rispetto a chi si sentiva libero solo in parte, poco, o per nulla. A prescindere da variabili come stato economico, sesso, istruzione, razza, religione, orientamento politico e status familiare, quindi, è stato rilevato che la percentuale di coloro che si sentivano liberi, e che hanno dichiarato di essere felici, era il diciotto percento in più degli altri. Libertà e felicità sono dunque fortemente connesse. In un famoso esperimento del 1976, alcuni psicologi del Connecticut decisero di offrire ai residenti di un piano di una casa di cura la possibilità di decidere quale sera della settimana vedere un film, come pure di scegliere un determinato momento per curare le piante del pianerottolo, mentre agli ospiti di un altro piano della stessa casa di cura non venne concessa la stessa possibilità. Il primo gruppo, che inizialmente non era più felice o in salute dell’altro, sviluppò rapidamente un alto grado di attenzione, un maggior livello di attività ed un umore migliore. Un anno e mezzo dopo l’esperimento, i componenti del gruppo erano ancora in buone condizioni, e persino il tasso di mortalità era diminuito della metà rispetto ai residenti dell’altro piano. Studi successivi hanno ripetuto tale esperimento in altre situazioni e in altri Paesi; nel 2003, ad esempio, in Germania, fu richiesto ai partecipanti anziani di tenere un diario delle loro attività e del loro umore. I ricercatori appurarono che la percezione di un basso livello di libertà induceva inevitabilmente ad uno stato depressivo, e raccomandarono quindi di aumentare il livello di libertà personale dei residenti di case di cura per migliorare la qualità della vita.
Le persone che dicono di sentirsi libere sono due volte più propense ad affermare di essere felici rispetto a chi non si sente libero risultata piuttosto accurata e applicabile a livello di massa. L’esito positivo è stato dimostrato da un’indagine in cui le risposte delle singole persone sono state confrontate con le relative valutazioni psicologiche, le risposte dei membri delle famiglie e l’esame dell’attività cerebrale. Negli ultimi trent’anni, l’Ente Nazionale di Statistica (Gss) è stato uno dei pochi organi ad effettuare ripetuti sondaggi sulla felicità, i cui risultati hanno prodotto studi molto qualificati, e nel 2000 la Gss ha anche chiesto agli americani adulti in che termini percepissero la libertà; circa il 70 per cento ha risposto di sentirsi completamente o molto libero, mentre il 25 percento ha detto di sentirsi moderatamente libero. Certo,
I dati e l’esperienza, tuttavia, non dimostrano che ogni tipo di libertà comporta uguale livello di felicità, o che maggiore libertà sia meglio di per sé. Cosa avviene, ad esempio, per la libertà economica? I politici orientati a sinistra spesso sostengono che un’economia libera comporta il rischio di una popolazione infelice, perché le distruzioni provocate dal capitalismo rendono insi-
Un esperimento sociologico americano e nuovi dati statistici dimostrano l’origine del benessere umano
La ricetta della felicità?
LIBERTÀ E FEDE di Arthur C. Brooks
curi ed è dunque preferibile la certezza di un programma di welfare generoso e dell’assistenza sanitaria. Per molti individui, tuttavia, questo non è vero. Per cominciare, coloro che sono in favore di un ridotto intervento dello Stato nelle questioni economiche sono più felici di quelli favorevoli ad un suo maggior ruolo. Nel 2004 fu svolta una indagine chiedendo se fosse responsabilità del governo migliorare le condizioni di vita degli americani; solo il 26 percento dei favorevoli si definì molto felice, contro il 37 percento dei contrari. Quando, nel 1996, fu chiesto se «fosse responsabilità del governo controllare i prezzi», coloro che affermarono «assolutamente si» furono meno inclini a dire di essere molto felici rispetto a quelli che risposero «assolutamente no». Vi è la tendenza ad attribuire tale correlazione ai meno abbienti, che sono generalmente favorevoli agli interventi statali, ma - se si guarda all’insieme delle nazioni - appare evidente che le economie più libere producono in linea di massima popolazione più felice. Nel 2002 il Programma internazionale di statistiche sociali ha misurato il grado di felicità in circa tre dozzine di Paesi. Nello stesso anno, il Wall Street Journal e la Heritage Foundation formularono
– come sempre dal 1995 - un indice di libertà economica. Applicando questi dati alle nazioni membri del Programma internazionale di statistiche sociali, si nota che un punto percentuale di aumento di libertà economica determinata un aumento di due punti percentuali della popolazione che si dichiara completamente o molto felice.
Ovviamente i regimi dietro la cortina di ferro non si limitavano a imporre restrizioni alla libertà economica, ma anche a quella politica. Come la libertà economica infatti, la democrazia e la partecipazione al processo politico comportano un significativo numero di cittadini felici. Gli economisti svizzeri Bruno Frey e Alois Stutzer affermarono questo principio con convinzione nel 1990, confrontando il livello di felicità nei vari cantoni svizzeri, e accorgendosi che questo variava sensibilmente in base al grado di partecipazione politica concessa ai cittadini. I cantoni che garantivano maggiori diritti, come pure incontri con esponenti istituzionali per discutere questioni politiche e finanziarie, rivelavano maggiore grado di felicità rispetto ai cantoni con un più ristretto accesso politico. La libertà religiosa, sentita dai Padri Fondatori come la “pri-
ma libertà”, determina anch’essa, probabilmente, felicità. Questa affermazione, però, è difficile da dimostrare in quanto non c’è modo di testare su base internazionale il livello di libertà religiosa. Men che mai negli Stati Uniti, dove nessuno è privato di tale libertà e dunque nessuno può testimoniare la sua infelicità per questo. Tuttavia, sappiamo
focus
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aveva fatto sentire maggiormente liberi, circa l’11 percento degli adulti mise le esperienze religiose e spirituali al primo posto, e queste persone erano maggiormente disponibili ad affermare di essere felici rispetto a coloro che menzionavano altri tipi di esperienze. Sorprendentemente, una delle ragioni per cui l’esperienza re-
sesso prematrimoniale, la legalizzazione delle droghe o la presenza della religione nella vita pubblica, i tradizionalisti che limitano la loro libertà risultano maggiormente felici dei modernisti che si fanno poche o nulle imposizioni. Molti ritengono che le regole governative, e non le restrizioni religiose, siano il modo migliore per evitare il peso eccessivo della libertà, ma ci sono molte proibizioni statali che si ispirano alla religione e alle disposizioni morali. La prostituzione, ad esempio, è illegale perché molti, forse la maggioranza, degli americani la ritengono indecente, come pure l’incesto.
Viceversa, tanti divieti, in particolare quelli relativi alla vendita di alcolici la domenica, rimangono lettera morta in numerosi Stati, ma usare la legge per imporre un comportamento morale - e quindi in teoria promuovere la felicità – può rivelarsi inutile per varie ragioni. Dunque è appropriato per un governo limitare la libertà morale? Ovviamente è giusto quando la licenza del singolo tende a danneggiare gli altri, quando è necessario proteggere un altro da me, ma non me da me stesso. Thomas Jefferson chiarì questo principio quando disse che per «chiudere il circolo delle libertà», il governo deve «impedire ad un uomo di ferirne un altro». La ricetta della felicità è una combinazione di libertà individuale, decenza personale e moderazione. Lo Stato protegge la nostra libertà al meglio quando non interviene nelle nostre scelte morali, ma difende con forza il nostro diritto di restringerle alla sfera personale. Se il ruolo della libertà per la felicità vi sembra ovvio quanto l’importanza della vita per la libertà, è probabile che siate americani, ma in molti Paesi sareste contestati, imprigionati o peggio, se voleste affermare il vostro diritto al voto o iniziare un’attività economica. L’America è un’oasi di felicità che produce libertà in un mondo che generalmente non crede che i cittadini possano gestirla, e non permette loro di tentare. Come americani, noi crediamo che le persone abbiano diritto alla libertà e per questo la proteggiamo così gelosamente, ma la felicità richiede un uso responsabile della libertà, e questo implica, sia a livello individuale che collettivo, un giusto equilibrio tra libertà privata e moralità personale.
La religione, indica e limita le scelte personali in fatto di morale, rappresenta per molti una strada per alleviare il peso della libertà ligiosa risulta soddisfacente dipende dal fatto che la religione impone dei limiti comportamentali, e tali limitazioni si riferiscono ad un tipo di libertà che non comporta felicità. In questo ambito infatti, troppa libertà ci rende insicuri e indecisi, incapaci di distinguere il bene dal male, e di conseguenza infelici. La religione, che spesso indica e limita le scelte personali in fatto di morale, rappresenta per molti una strada per alleviare il peso della libertà.
che chi sostiene il diritto alla libertà religiosa anche per coloro che praticano religioni particolari, è più felice di chi vi si oppone. In una indagine condotta nel 2006, in cui si chiedeva di sostenere o meno il diritto di coloro che hanno idee antireligiose di parlare in pubblico, quelli che si espressero per il no furono un terzo dei favorevoli, e si dichiararo-
no non molto soddisfatti della propria vita. In altre parole, la tolleranza religiosa - spinta fino all’accettazione di opinioni contrarie al sentimento religioso - è fortemente collegata alla felicità. Peraltro, molti degli americani che si dichiarano più felici hanno raggiunto l’obiettivo per mezzo della fede. Quando, nel 2000, il Gss chiese di descrivere l’esperienza che
I Padri Fondatori (nel dipinto in alto) consideravano la libertà uno dei tre fondamentali diritti donati da Dio, insieme alla vita e alla ricerca della felicità
Sempre il Gss conferma tale asserzione. Credete che una donna abbia il diritto di praticare un aborto per qualsiasi motivo? Avete 9 punti percentuali in meno di possibilità di essere felici rispetto a coloro che non credono nell’aborto a comando, e tale differenza rimane invariata a prescindere dall’età, livello di benessere, educazione, razza e stato coniugale. Se ritenete che il tradimento sia “sempre sbagliato”, avete il 10 percento di probabilità in più di essere felici rispetto a chi non lo crede. Riguardo tanti argomenti come il
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LA DOMANDA DEL GIORNO
La Festa del cinema è un’inutile passerella? È SBAGLIATO IL PERIODO DI SVOLGIMENTO E LA FORMULA È TROPPO HOLLYWOODIANA
INUTILE NO, MA MOLTO DISPENDIOSA E NON SUFFICIENTEMENTE PRODUTTIVA
La festa del cinema a Roma non è una «inutile passerella». La capitale ha sicuramente bisogno di un rilancio culturale e la Festa veltroniana contribuisce senz’altro a raggiungere questo obiettivo. Forse è sbagliato il periodo di svolgimento e la formula è troppo hollywoodiana. Il periodo di svolgimento senza alcun dubbio mette la Festa romana in competizione con il Festival veneziano e questo non è né corretto né producente. Sia per Roma sia per Venezia i rispettivi Festival cinematografici costituiscono una importante vetrina e culturale e turistica, pertanto la competizione non giova né a l’una né all’altra città. Mi sembra giusta quindi l’osservazione di Alemanno quando afferma che «sarebbe opportuno spostare la Festa in un periodo turisticamente morto». Solleciterebbe il turismo in un periodo appunto ”nero” e nel contempo non turberebbe i sonni di Cacciari. Per quel che riguarda la formula, credo che il denaro speso per la passeggiata sul red carpet dei divi di Hollywood non abbia reso quanto previsto e quindi riterrei più opportuno puntare sui nostri attori e sul nostro cinema in generale.
Inutile no, ma troppo dispendiosa e non sufficientemente produttiva dal punto di vista culturale, sì. In definitiva queste due edizioni non sono state altro che duplicazioni del Festival del cinema di Venezia. In laguna, si sa, approdano le opere interpretate dai grandi divi delle grandi case cinematografiche affianacate da tante altre vetrine che forse andrebbero dimensionate nel numero, e magari trasferite alla Festa romana. Mi riferisco in particolare alla ”rassegna del cinema indipendente” che negli Stati Uniti ha raggiunto ottimi livelli, e anche notevoli successi commerciali. In tal modo la rassegna capitolina avrebbe una sua precisa identità e la meritoria opera di promozione dell’arte cinamegografica. Un modesto consiglio a chi avrà la responsabilità di organizzare la manifestazione: non rinunciare alla collaborazione di Goffredo Bettini, ha esperienza e poteri che certamente non potranno che giovare alla Festa romana.
Adriano Melis - Cagliari
LA DOMANDA DI DOMANI
Stop dell’Authority ai redditi online, a cosa serve il Garante se interviene così in ritardo? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Giulio Maselli - Torino
POLEMICHE A PARTE, È IMPORTANTE PUNTARE SULLA CINEMATOGRAFIA ITALIANA Ho apprezzato la lettera che Gianni Alemanno ha inviato al Corriere della Sera. Sono d’accordo quando dice che negli anni passati la Festa del cinema ha mostrato dei limiti di significato e di struttura ben noti agli stessi organizzatori, «in particolare la seconda edizione è stata caratterizzata da defezioni, cedimento nell’impianto organizzativo, sforamenti di budget». Sono certa che Alemanno saprà riparare. Ma soprattutto mi piace il voler puntare sulla cinematografia italiana, da sempre «veicolo di identità e di cultura, un laboratorio di avanguardia in cui hanno trovato ragione di sviluppo una infinità di generi e di attività: scrittura, regia, scenografia, musica, nonché tutte le espressioni di arte, artigianato e tecnologia a queste connesse». L’Italia e Roma hanno costituito e costituiscono uno dei set privilegiati per le produzioni di tutto il mondo.
AL FIANCO DI ISRAELE Sta assumendo contorni stucchevoli la polemica sulla presenza di Israele come ospite d’onore al Salone del Libro. Una polemica veramente non degna di un Paese serio, come l’Italia dovrebbe essere. Perché Israele è un faro della cultura mondiale. E non un faro della sola cultura ebraica, quello va da sé, ma protagonista della cultura mondiale in senso generale. E in tutti i campi: musica, spettacolo, cinema e, naturalmente, letteratura. Ed è un paese faro per tutto l’oriente, per la sua democrazia che permea la società a tutti i livelli. Israele è un esempio, un’isola felice in mezzo ad un mare tempestoso di dittature più o meno sanguinarie e di estremismo inarrestabile. Israele è dunque meritatamente ospite d’onore, e il bello è che lo è non in quanto grande democrazia occidentale (che comunque secondo noi sarebbe già un motivo più che sufficiente), ma perché è un paese protagonista della cultura mondiale. Chi oggi boicotta Israele perché opprimerebbe il valoroso popolo palestinese, dov’era e dov’è mentre in
L’ATTESA UCCIDE Ennesima curiosità berlinese, la stazione metropolitana Bundestag, che fino al 25 maggio ospiterà scheletri e altre stranezze scenografiche per una rivisitazione de “Il flauto magico” di Mozart, curata dal regista Christoph Hagel REPORT SCOPRE L’ACQUA CALDA La trasmissione Report di qualche sera fa ha messo a nudo i gravi limiti dell’urbanistica romana, fatta di decine di milioni di metri cubi concessi a un ristretto oligopolio di grandi gruppi imprenditoriali, di continue deroghe a presunte regole che non vengono mai rispettate, regole che diventano vincoli invalicabili per piccole e medie imprese o per semplici cittadini, ma che vengono elasticamente superate da accordi di programma quando si tratta di grandi investimenti. Dispiace che per far conoscere questa verità al grande pubblico si sia dovuto attendere 15 anni e la caduta del sistema di potere veltroniano. Bastava leggere il programma di Alemanno per trovare riscontri: da questo punto di vista con il nuovo sindaco la città potrà cono-
dai circoli liberal Greta Gatti - Milano
tante parti del mondo i diritti umani vengono sistematicamente calpestati da regimi brutali? E perché non trova niente da dire dinanzi alle minacce e alle aggressioni che sistematicamente vengono portate all’esistenza stessa di Israele da regimi nazislamici (ad esempio l’Iran) e movimenti terroristi (come Hamas ed Hezbollah)? E poi: al Salone del Libro partecipano fior di intellettuali israeliani che sono fautori di una politica più morbida nelle relazioni con i palestinesi, e siamo sicuri che la loro voce risuonerà forte in tale occasione. Dunque, come si vede, l’invito ad Israele non significa appoggiare la politica del suo Governo, che comunque chi scrive in gran parte condivide. Gli intellettuali che lanciano appelli per il boicottaggio potrebbero impiegare meglio il loro tempo ricordandosi di quel che avviene in Cina e in Tibet, della tragedia senza fine della Birmania, o perché no del perdurante genocidio in Darfur. Si lanciano invece in un boicottaggio culturale che ricorda purtroppo iniziative tipo la notte dei cristalli. La verità è che questi cosiddetti intellettuali sono
scere finalmente una nuova stagione per l’urbanistica fatta di rispetto delle regole, trasparenza e tutela dell’interesse pubblico.
Gaia Miani - Roma
FRANCESCO RUTELLI È SCAPPATO IN AMARO Non lo si riconosce più Francesco Rutelli, è scappato in amaro. Nonostante sia passato per la dura e severa selezione dei migliori, è appassito troppo, non è più dolce. Quella sua tangibile dolcezza, tutta zuccheri, è fermentata in alcool. E’venuto meno il suo sorriso da elisir per l’aristocrazia ancien régime, s’è fatto aspro, senza spinta, calore e propulsione. Non gli resta che tornare a parlare di tensione morale con le damazze rosse, le saputelle salottiere e le signore più esclusive.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
fuori dal tempo e dalla storia e non hanno ormai più nulla da dire. Così starnazzano solo per farsi un po’ di pubblicità e dimostrare di esistere ancora. Che però la loro esistenza porti qualche beneficio alla cultura italiana e mondiale, questo è tutto da dimostrare. Giorgio Masina CIRCOLO LIBERAL SIENA
APPUNTAMENTI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio 800.91.05.29 Avvocato Massimo Golino
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Vetro in cambio di bronzo Marchesina gentilissima, la di lei lettera del 17 corrente mi viene tutt’ad un tratto a svelare una verità molto sconsolante per me. Grazie infinite signora mia. L’amicizia che dunque ella si compiacque di darmi è tale che qualunque inezia me la può far perdere, e perdere in eterno? No, l’amicizia che io le professo non può rivaleggiare in disinvoltura con quella che da lei è sentita per me, non può vantarsi di tanta fragilità. Sia come si vuole, non pretendo, né desidero, né potrei alterare i miei sentimenti; ed anche a rischio di pigliar vetro in concambio di bronzo, m’ostino a credere impossibile per me il cessar d’esserle amico, anche s’ella in eterno mi dimenticasse. Oh! Quella parola «anche in eterno», e l’altra «richiamarmi importunamente» gliele voglio far rientrare in gola se mai la fortuna mi dà di rivederla. Le pare che le avrebbero mai dovuto uscir dal labbro? Giovanni Berchet a Costanza Arconati
ALDO MORO TRA FICTION E POLEMICHE Alla vigilia del 30° anniversario del prossimo 9 maggio, data del ritrovamento a Roma del cadavere del presidente della Dc Aldo Moro, a conclusione di una lunga prigionia e un turpe ”processo” da parte delle Br, è apparsa in televisione una fiction di Canale 5 dal titolo Aldo Moro, il presidente, con Michele Placido. Non è la prima volta che il cinema si occupa di Moro e di quei terribili 55 giorni. Il caso Moro interpretato da Gian Maria Volonté ha costruito uno svolgimento della vicenda molto ”fisica”, da cui emergeva la grande dignità dello statista pugliese, mentre invece in Buongiorno, notte Herlitzka ha privilegiato un registro introspettivo, che lo faceva apparire come un padre amareggiato per gli sbagli dei suoi figli. Dal canto suo Michele Placido si è lasciato trasportare dall’emozione che la lettura delle lettere di Moro gli hanno procurato. Spiega Placido: «Ho cercato di immaginare un uomo che si sente tradito dagli amici più cari e che, nonostante tutto, riesce fino alla fine a mantenere una straordinaria lucidità su quanto gli sta accadendo». Un
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
7 maggio 1824 Per la prima volta eseguita la Nona sinfonia di Beethoven, alla Porta di Carinzia a Vienna 1934 Filippine: viene ripescata la perla di Laotze. Peso: 6kg 1937 La Legione Condor nazista, equipaggiata con dei biplani Heinkel He-51, arriva in Spagna per aiutare le forze di Franco 1946 Viene fondata la Tokyo Telecommunications Engineering (in seguito ribattezzata Sony). Conta 20 dipendenti 1960 Guerra Fredda: Crisi degli U-2 - il premier sovietico Nikita Khruscev annuncia che la sua nazione tiene prigioniero Gary Powers, il pilota statunitense abbattuto sui cieli sovietici con il suo U-2 1978 L’alpinista Messner raggiunge senza l’ausilio dell’ossigeno la vetta dell’Everest 1999 Guerra del Kosovo: In Jugoslavia, durante l’Operazione Allied Force, tre diplomatici cinesi vengono uccisi e altri 20 feriti, quando un aereo della Nato bombarda per errore l’ambasciata cinese a Belgrado.
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
altro aspetto della fiction è la religiosità dello statista. «Sono convinto - dichiara l’interprete - che se Moro non avesse avuto una fede così incrollabile non sarebbe riuscito a resistere con una forza d’animo e una dignità che gli furono riconosciute pure dai suoi carcerieri, ai quali non chiese mai pietà. Era solo addolorato di dover abbandonare i suoi cari». Per ultimo, si sa che la fiction non tace sugli errori commessi dalle Istituzioni durante quei terribili 55 giorni, e su questo punto Placido ha un’opinione tutta sua e, da parte mia, molto criticabile (io ero all’epoca per la trattativa con i brigatisti, come sosteneva Craxi, convinto che «lo scambio poteva essere anche studiato in modo da non far apparire l’operazione come una capitolazione dello Stato ai brigatisti). Dice Placido: «Si poteva fare di più per salvare Moro, ma tutti (?) i protagonisti di quei giorni furono mossi nelle loro azioni dalla volontà di fare il bene del Paese (sic!); al di là di tutte le critiche, la classe politica di allora aveva una statura non paragonabile a quella di oggi». E su questo posso essere d’accordo.
Angelo Simonazzi Poviglio (Re)
PUNTURE Veltroni ha detto che nel 2006 fu una vittoria finta. In compenso, nel 2008 c’è stata una sconfitta vera.
Giancristiano Desiderio
“
Mai ti è concesso un desiderio senza che ti sia dato anche il potere di farlo avverare RICHARD BACH
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di MAFIOSI E FASCISTI Il primo è stato Giulio Tremonti, che ha mandato in stampa un libro in cui la globalizzazione è dipinta come un complotto di menti avide e senza scrupoli e l’Organizzazione per il commercio mondiale è definita «il comitato d’affari delle multinazionali». La sinistra e gli editorialisti di Repubblica hanno gradito. Bene. Poi è toccato a Gianfranco Fini, che nel discorso d’insediamento alla presidenza della Camera ha detto tutto quello che ci voleva per farsi applaudire dalla sinistra. Bravo. Allora Gianni Alemanno ha voluto far vedere a tutti che lui quando ci si mette è più a sinistra del Pd e di metà Sinistra Arcobaleno, tanto che per darcene la prova visibile - assolutamente non necessaria - ora medita di mettere il menestrello di Veltroni e Totti nella commissione per Roma Capitale. Ottimo. Quindi è sbucato Renato Schifani, seconda carica dello Stato, che per recuperare Fausto Bertinotti, Enrico Boselli e gli altri trombati dagli elettori propone di farli riapparire in Parlamento inventandosi il cosiddetto ”diritto di tribuna”. Molto intelligente, molto sensibile, fanno sapere da sinistra quelli che volevano rendere Silvio Berlusconi ineleggibile. L’importante è essere superiori: sublime Schifani. Chiude (per ora) Giano Accame per dire che i centri sociali non devono essere toccati, perché fanno «aggregazione comunitaria». Ok, nessun problema. Va bene tutto, va bene la voglia di non apparire più quelli che non intendono fare prigionieri, va bene la smania di scimmiottare Nicolas Sarkozy anche se non si sa una parola di francese. L’importante è non montarsi la testa e non
iniziare a credersi davvero padri della patria, nobili figure bipartisan apprezzate da tutti. Per la sinistra, loro sono i protettori dei mafiosi e i difensori dei fascisti, e lo saranno sempre. Ora gli sorridono e se li intortano, ma alla prima occasione utile glielo ricorderanno nel modo più duro possibile.
A Conservative Mind aconservativemind.blogspot.com
I ”BUCIARDI” DELL’UNITÀ L’ansia da prestazione gioca brutti scherzi. Ne sanno qualcosa i gazzettieri dell’Unità costretti, ogni giorno, a inventarsi notizie che non esistono. Bisogna pur riempirlo, il giornale, d’altra parte, per giustificare i 6.817.231 euro sottratti allo Stato sotto forma di finanziamenti all’editoria. Ma domenica scorsa hanno esagerato. Troppa fantasia. O, forse, l’ansia di spararla grossa: ”la Guida spirituale della Repubblica islamica, l’ayatollah Alì Khamenei, ha affermato - scrivono i cronisti dell’Unità - che Teheran tiene «sott’occhio» l’Italia in vista della possibile nomina a ministro del leghista Roberto Calderoli”. Passano poche ore. E dall’Iran arriva una risposta che è uno schiaffo in piena faccia ai cronisti del quotidiano. L’ambasciatore iraniano in Italia smentisce ”categoricamente” quanto riportato dall’Unità ricordando anche, per somma disgrazia dei giornalisti comunisti, che la Guida spirituale Alì Khamenei non rilascia interviste ai giornalisti da 10 anni. Quindi è anche piuttosto improbabile che nelle ultime ore abbia fatto uno squillo ad Antonio Padellaro per farsi quattro chiacchiere su Calderoli.
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PAGINAVENTIQUATTRO nuano ad accusarlo di poca esperienza amministrativa, ha mostrato di essere agguerrito. Il piano per rendere il Tube «a misura d’uomo» verrà messo a punto con la collaborazione di polizia e vigili del fuoco. Uno dei primi incontri del neo-sindaco è stato con Ian Duncan, il responsabile della polizia metropolitana, con il comandante dei vigili del fuoco di Londra e con il responsabile della rete metropolitana e del trasporto urbano. Debellare il fenomeno del bullismo tra i teenager è ciò che sta più a cuore a Johnson. «Non pretendo di trasformare Londra in una sola notte - ha dichiarato al quotidiano Independent - ma è dovere del sindaco indicare la via, e io non mi darà pace finché non inizieremo a migliorare questa città».
Il nuovo sindaco annuncia le prorità del suo programma
Boris Johnson
LONDRA la vuole così di Silvia Marchetti otta alla criminalità, trasporti più sicuri, integrazione sociale delle fasce deboli e protezione degli spazi verdi cittadini. Il conservatore Boris Johnson, eletto pochi giorni fa nuovo sindaco di Londra, si è già messo al lavoro per rendere la capitale «una città migliore». Ieri è stato il suo primo giorno di lavoro a City Hall e non ha perso tempo. Le promesse che ha fatto in campagna elettorale contro il malgoverno del suo predecessore Ken Livingstone ha intenzione di trasformarle presto in realtà. La priorità numero uno per il nuovo primo cittadino è il contrasto all’ondata di violenza che sta colpendo Londra, soprattutto per mano delle baby gang.
L
Sabato è accaduta l’ennesima tragedia: una quindicenne, Lyle Tulloch, è stata pugnalata a morte a Southwark, facendo salire così a dodici il numero di adolescenti uccisi a Londra dall’inizio dell’anno. L’offensiva contro la criminalità parte dall’aumento della sicurezza sui trasporti pubblici. Nei prossimi giorni partiranno i
primi provvedimenti firmati da Boris: i passeggeri della metropolitana non potranno più consumare alcol all’interno delle vetture e nei pressi delle fermate e verranno reclutati 440 nuovi agenti di polizia per il pattugliamento di treni,
L’obiettivo è implementare una serie di programmi sociali, educativi e sociali per tenere i giovani lontani dalle strade. Il sindaco Tory intende riutilizzare i soldi derivanti dal traffico di droga sequestrati dalla polizia per rafforzare e ristrutturare le forze dell’ordine, oltre a investirli in programmi di recupero contro la droga per i minorenni. Nel più ampio manifesto contro la violenza cittadina - presentato alla vigilia delle elezioni insieme al leader Tory David Cameron - prevede una “mappatura” del crimine e una strategia comunicativa per sensibilizzare e informare i londinesi sul livello di delinquenza quartiere per quartiere. Le forze di polizia dovranno pubblicare delle statistiche mensili sugli atti di violenza e saranno previsti degli incontri periodici durante i quali i cittadini potranno “interrogare” gli agenti sulle misure di prevenzione messe in campo. La mappatura del crimine seguirà il modello adottato nelle grandi città americane e venerdì il sindaco di New York, il miliardario Michael Bloomberg che seguendo l’esempio di Rudolph Giuliani ha fatto della lotta al crimine la sua missione, visiterà Boris Johnson a Londra per discutere insieme delle sfide nell’amministrare le grandi capitali del mondo. Quello con Bloomberg è il primo incontro internazionale per il neo-sindaco di Londra, destinato ad avere un impatto positivo sulla sua reputazione e credibilità. La seconda priorità di Boris è lanciare un’investigazione contro gli sprechi burocratici del Comune, destinata a tagliare del 20 per cento i fondi destinati alla promozione dell’immagine del sindaco (che Livingstone aveva aumentato). Tra gli altri punti dell’agenda Boris ci saranno interventi a favore delle periferie e a sostegno delle fasce deboli, contro l’emergenza abitativa e il caro-casa, iniziative per preservare le aree verdi della città (quali il Green Belt) e aiutare i pensionati. Insomma, il lavoro non manca ma Boris Johnson viene già indicato come colui che insieme all’amico David Cameron affosserà il governo laburista di Gordon Brown, in crisi dopo la batosta elettorale. Il premier si trova in difficoltà. I laburisti gli giurano fedeltà ma a settembre si terrà l’assemblea del partito e se Brown non avrà portato a casa dei risultati concreti, probabilmente sarà costretto a rinunciare alla leadership del New Labour.
Modello Giuliani per la lotta alla criminalità, più sicurezza nella rete dei trasporti pubblici, integrazione sociale per le fasce più deboli della popolazione, protezione degli spazi verdi cittadini, interventi contro il caro-casa autobus, tram e stazioni. Il famoso Tube di Londra, che si estende per chilometri e chilometri con più di dieci linee metropolitane è un network vastissimo spesso teatro di atti vandalici. Ai varchi delle stazioni verranno installate delle cabine di accesso con controllo scanner automatico contro eventuali armi, coltelli e pistole. Boris Johnson, nonostante quanti conti-