QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
L’assurda ipocrisia dei media
e di h c a n o cr
Myanmar e Cina, due tragedie due misure
di Ferdinando Adornato
IL NUOVO CORSO POLITICO
di Vincenzo Faccioli Pintozzi
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Dopo il 25 aprile eravamo tutti antifascisti. Dopo Tangentopoli tutti antidemocristiani. Oggi, dopo 15 anni di “guerra civile”, di colpo il Parlamento sembra la Camera dei Lord. È vera svolta o l’ennesima, superficiale commedia all’italiana?
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Great Britain, improvvisamente dalla pagina 2 alla 7
Parla l’ex presidente messicano
«Un nuovo Sudamerica di libertà e democrazia» colloquio con Vicente Fox di Benedetta Buttiglione Salazar L’ex presidente del Messico, Vicente Fox, ha inaugurato ieri a Bruxelles un convegno dal titolo “Quo vadis, Cuba? –Scenari di transizione alla fine dell’era Castro.” L’oratore, il primo della lista, non è stato scelto a caso.
MAGGIO
c on ti n ua a p ag i na 23 nell’inserto Socrate
Settori in crescita malgrado la crisi
Dibattito su droga e bullismo
Banche e petrolieri: ecco perché sono nel mirino
Studenti italiani: la peggio gioventù?
Gianfranco Polillo
colloquio con Marzio Barbagli di Irene Trentin
Banche e petrolieri di nuovo nel mirino. In un mercato sempre più difficile, dove i consumatori sono costretti a stringere la cinta, questi settori macinano sempre più utili.
Vermi nelle classi e nei corridoi di un liceo romano, adolescenti viterbesi che bruciano i capelli a un loro coetaneo, baby gang che terrorizzano anziani e fanno sesso in una chiesa di Firenze.
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n disastro di proporzioni disumane, dice il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon davanti alle 200mila vittime provocate in Myanmar dal ciclone Nargis. Un disastro di proporzioni disumane, dice il primo ministro cinese Wen Jiabao davanti ai 15mila morti causati dal terremoto che ha sconvolto il Sichuan. Per la stampa internazionale, tuttavia, sembra che i due avvenimenti non siano neanche paragonabili. Aprendo i giornali dell’ultima settimana – italiani, britannici e statunitensi – si ha l’impressione di avere davanti una sorta di proporzione all’incontrario rispetto ai canoni base di quella che dovrebbe essere una notizia, intesa in senso lato. Mentre aumentano i morti birmani, diminuiscono le righe dedicate all’evento; davanti alla conta dei decessi cinesi (tragici allo stesso modo, ma in maniera non paragonabile ai loro cugini dell’ex Indocina), si rompono invece gli argini di un fiume fatto di inchiostro. Le cause di questo diverso trattamento sono molteplici. Bisogna considerare prima di tutto l’innegabile atteggiamento repressivo della giunta militare birmana, che governa con pugno di ferro il Myanmar, non permette agli stranieri di entrare nel Paese e censura in maniera feroce ogni mezzo di comunicazione, rendendo quasi impossibile ottenere notizie dall’interno.
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pagina 9 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
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WWW.LIBERAL.IT
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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great britain
improvvisamente
Il clima dell’aula di Montecitorio: in molti pensano che si tratti di una svolta effimera
Adesso siamo tutti inglesi? Per favore, dateci almeno un convegnuccio di Riccardo Paradisi ome è possibile che fino a qualche mese fa questo Paese sembrava essere sull’orlo di una guerra civile e oggi, così, come d’incanto, ci si sveglia tra il bon ton istituzionale e la civiltà del confronto? Meglio così, per carità, va benissimo ma insomma qualcuno ci dovrà pur spiegare che cosa è successo in questi mesi. Che cosa si è perso chi intanto osservava la politica italiana e in parlamento o negli studi televisivi vedeva le vene rigonfie, ascoltava voci alzarsi e sovrapporsi, registrava una violenza polemica cui non dispiaceva sfociare in rissa. Persino fisica. Ora è come se il cielo si fosse rasserenato dopo un lungo temporale ti viene da pensare sapendo però che non è questa la metafora più adatta: perché i partiti politici non sono fenomeni atmosferici, non sono dati di natura. Sicchè sembra almeno lecito domandare dove sia finito quell’antiberlusconismo militante che portava a ragionare del Cavaliere con categorie demonologiche piuttosto che politiche. E di converso si sarebbe curiosi di sapere dove sono finiti, dove sono andati a nascondersi, quei pericolosi comunisti da cui l’Italia secondo Berlusconi doveva essere liberata. Possibile che questa atmosfera da bipolarismo chiodato che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni si sia dissolta, esplosa come una bolla di sapone, svanita come grazie a un esorcismo? È finita, dicono tra le file di Pd e Pdl, la stagione dell’antiberlusconismo ma anche del pericolo rosso. Bene, bravi, magari. Ma spiegateci almeno come è accaduto. Come si fa a passare dalla contrapposizione frontale fondata sulla scelta di campo – ricordate? – dalla gioiosa guerra contro il partito di plastica – ricordate? – berlusconiano a questa atmosfera di cordialità affettuose. È cambiata la situazione politica direbbero i realisti più cinici, è avvenuto che una legge elettorale ha pacificato i campi. E però per chi crede che le culture politiche abbiano un senso e non siano solo retoriche per coprire degli interessi, per chi soprattutto teme che ciò che è rimosso senza essere razionalizzato prima o poi è destinato a tornare a galla, ecco per chi ancora coltiva questi pensieri una spiegazione del genere non può bastare. Anzi rischia di diventare un alibi pericoloso per l’antipolitica. Sicchè una riflessione su quanto è avvenuto e su quanto sta avvenendo in Italia sarebbe utile. Che ne dite di un convegno, un convegnuccio magari. Così, se non per pensare – che pare essere diventata un’attività improduttiva – almeno per sancire un passaggio, rendersi conto che è avvenuto.
C
di Errico Novi
ROMA. Prima di tutto bisognerebbe sfatare un mito: quello del Parlamento inglese. «Forse dovremmo assistere a qualche seduta della Camera dei Comuni, e renderci conto che in quel contesto pieno di suggestione ci si scaglia gli uni contro gli altri con attacchi di una ferocia inaudita». Margherita Boniver evoca la regale suggestione delle «poltrone verdi» e ci aiuta a guardare con occhi diversi le scene delle ultime ore. Berlusconi da una parte, i democratici dall’altra: forse persino troppo gentili e pieni di «aperture» per essere veri. O almeno assimilabili all’originale: che appunto non è necessariamente un luogo di estenuanti cerimonie, come ricorda la Boniver. E che nella versione italiana rischia di trasformarsi in debole caricatura.
A indicare il punto dove potrebbe celarsi la fragilità dell’improvvisa distensione è Mario Segni, che sperava in un bipolarismo sano e anglosassone già nei primi anni Novanta e oggi non è troppo sicuro di assistere al compimento del suo disegno: «In Italia il clima di consenso generalizzato è quello in cui storicamente sono avvenute le cose peggiori: c’è l’esempio abbastanza recente dell’indulto, decisione sciagurata. Mi pare che per adesso siamo al peana del metodo: non è che si sia trovato un accordo vero su qualche contenuto concreto». E allora davvero la rapida rimozione della guerra civile fredda degli ultimi quindici anni rischia di presentare
potere che toccano gli interessi di entrambe le parti. Ci vorrebbe un po’ di prudenza». Sorprende in effetti che i democratici abbiano concesso così grandi aperture di credito al nemico demonizzato fino all’altro ieri. Magari davvero dietro l’improvvisa svolta c’è il riflesso autoconservativo del sistema. C’è in ogni caso, come dice Segni, «la debolezza di una sinistra paragonabile a un pugile suonato che si aggrappa disperatamente all’avversario per non andare al tappeto. Berlusconi è molto abile a gestire uno stato d’animo emotivo particolare. Ma sembra davvero di essere nel ’45, quando il vecchio apparato burocratico si scoprì improvvisamente antifascista».
Chi non si associa ciecamente al linguaggio della distensione difficilmente allontana da sé il nuovo marchio di esclusione, quello di ”hater”, in italiano già tradotto con ”rinfocolatore”, nostalgico della
so Segni si mette in attesa per capire «cosa verrà fuori dal dibattito sul sistema televisivo: io non sono antiberlusconiano ma credo che sia inaccettabile la situazione in cui siamo ora». Aspetta la prova dei fatti prima di dire che il peggio è alle
SEGNI «Adesso siamo tutti buoni… ci vorrebbe un po’ di prudenza. Colpisce la debolezza di una sinistra che come un pugile suonato si aggrappa all’avvversario per non andare al tappeto» spalle anche Anna Finocchiaro: «Il governo ombra è uno strumento formidabile che però funzionerà se l’attenzione di Berlusconi non sarà solo di facciata». Nel Pd insomma già emerge il dubbio, l’impressione che da qualche parte il meccanismo potrebbe incepparsi. Si fa strada il retropensiero secondo cui la distensione è avvenuta in modo affrettato, incompiuto, che forse ci vorrebbe un processo di maturazione più lungo per dire che l’Italia è definitivamente libera dalla zavorra delle risse paralizzanti. La capogruppo del Pd al Senato cita un detto anglosassone: «Per sapere se un budino è buono bisogna assaggiarlo, noi ora abbiamo appena appoggiato la forchetta».
«Mai visto nulla di simile», dice la Boniver, «ma siamo solo ai preliminari». Anna Finocchiaro: «Non abbiamo ancora assaggiato il budino…»
scontro frontale. Ma Arturo Parisi per esempio parte dal presupposto che quelli come lui non devono farsi perdonare nulla, visto che non rientrano nella categoria messa al bando da Berlusconi: «L’anticomunismo? Nel momento in cui scompare dalla retorica del centrodestra, il sottoscritto non può PARISI: certo sentire il sollievo di «I fatti per ora uno sdoganamento, non esnon corrispondono sendo mai stato comunista. alle parole: sarebbe E in ogni caso non mi paiono stato diverso decisive le profferte di questi se la maggioranza primi passi della legislatura. avesse assegnato Giudicheremo il premier e il la presidenza suo governo dai fatti». E sedi una Camera condo Parisi le prime mosse all’opposizione. non autorizzano una visione È finito così rasserenante: «Con le l’anticomunismo? scelte non si è certo andati Io non sono mai nella stessa direzione delle stato comunista…» parole, sarebbe stato diverso se la maggioranza avesse aspiù in là un conto salato? «Sicura- segnato la presidenza di una Camemente sarà così: adesso siamo tutti ra all’opposizione. Finora i fatti dibuoni, ma non si capisce su quali ba- cono che non c’è una rottura con il si oggettive si sia creato questo cli- passato». ma», dice il leader referendario, «e presto si andrà alla verifica. Intanto Parisi intravede in nuce probabilc’è da chiedersi se davvero Pdl e Pd mente gli intoppi che si manifestesono in grado di mettersi d’accordo ranno più avanti. Quando cioè il prosu scelte impopolari come il licenzia- cesso di reciproca legittimazione mento dei fannulloni e la privatizza- farà i conti con le scelte vere, con zione delle municipalizzate, centri di quelle che possono dividere. Lo stes-
Eppure nel Pdl si è ben radicata la convinzione che saranno proprio i passi concreti della legislatura a confermare i propositi di partenza. Ci penseranno le decisioni comuni a scongiurare il rischio di un’improvvisa retromarcia, dice il portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone: «Non ho affatto questa preoccupazione perché il grosso del lavoro lo hanno già fatto gli elettori semplificando il quadro politico e avvicinando finalmente il Paese a uno schema bipartitico. Sarà naturale per i due maggiori partiti lavorare insieme, fermi restando i ruoli di ciascuno, alle riforme istituzionali, compresa quella della legge elettorale». Non sono in vista crisi di crescita per il sistema, dice Capezzone, anche perché «sarebbe un errore guardare all’oggi con gli occhi del passato, il Paese vuol sentir parlare di cose concrete, e io mi auguro
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improvvisamente
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Il giudizio di Stefano Folli sul nuovo corso politico
«Non è convinzione è convenienza» colloquio con Stefano Folli di Nicola Procaccini
ROMA. Spariti i cappi leghisti, le mortadelle ed i brindisi fra i banchi dei parlamentari. Come d’incanto il clima incandescente degli ultimi anni si è dissolto in una nube di suadente cortesia istituzionale. C’è un nuovo aplomb in città, anzi a Montecitorio. Stefano Folli, editorialista del Sole 24ore contempla divertito. Benvenuti nella Camera dei Lords. Ma sarà vero? Come fa la politica italiana a rimuovere un’epoca di veleni incrociati durata 15 anni, come se si trattasse di un banale litigio fra bambini? Credo che in Italia ci sia un modo piuttosto singolare di procedere per approssimazioni successive. Se era sincera la fotografia
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sconi ha detto basta con la guerra che dura da vent’anni. Io la interpreto così: Berlusconi ha una sua convenienza a mantenere questo rapporto col Pd. Vuole godere di una condizione di enorme privilegio in Parlamento. Non avrebbe senso per Berlusconi prendere a cannonate la Rai. Siccome la richiesta che gli ha avanzato Veltroni è di non distuggere gli equilibri televisivi e cedere qualcosa, lui ci sta in quanto rientra nel suo obiettivo. Ovvero? L’appeasement parlamentare era l’ultima cosa che gli mancava. Ha già avuto una maggioranza ampia e solida, una sufficiente omogeneità, un governo fatto secondo i suoi criteri, mancava solo l’accordo con l’opposizione. L’Udc non è in grado di mettersi di traverso, anche volendo, doveva trovare un modus vivendi con l’opposizione del Pd e ce l’ha fatta. Non avrà problemi ad offrire a Veltroni la riforma del sistema elettorale. Di Pietro pensa di fare il guastafeste. Molto semplicemente lui vede uno spazio libero e ci si infila. Punta ad ereditare quello spirito di sinistra che abbracciava gran parte del mondo prodiano e parte della sinistra radicale esclusa dal Parlamento. Conviene a Veltroni che sia lui l’erede legittimo dell’antiberlusconismo? Secondo me sì, il leader del Pd cercherà di fare l’altra opposizione, quella sociale. Nel sindacato, nella cultura e nella società. Mentre il giustizialismo, l’antiberlusconismo, i girotondi, i Travaglio, etc.. se li prenderà Di Pietro. Ma agli italiani piacerà questo nuovo corso della politica? Non c’è pericolo che lo percepiscano come un inciucio per pochi intimi e si allontanino da essa? Dopo tutto lo spirito di fazione fa parte del nostro dna. Non esageriamo. Non è che gli italiani si disinteressassero della politica negli anni scorsi. C’è la curiosità di vedere dove porterà tutto questo. Non so quanti italiani percepiscano l’appeasement parlamentare. Secondo me hanno percepito un clima civile e adesso dicono: stiamo a vedere.
Credo che in Italia ci sia un modo piuttosto singolare di procedere per approssimazioni successive. Se era sincera la fotografia di ieri non può essere troppo vera questa di oggi. Ma d’altra parte la nostra politica è fatta così
di vedere ogni giorno esponenti di maggioranza e di opposizione che lo fanno».
Più prudente è Margherita Boniver, che ricorda come il Parlamento sia «ancora ai preliminari» e non si sia ancora entrati nel merito dei provvedimenti: «Si tratterà di vedere se questo straordinario clima durerà: certo non si è mai visto nulla di simile». Anche della Prima Repubblica e del consenso tributato fino a un attimo prima al pentapartito ci si è dimenticati in fretta: «È vero, quella fase non ha uguali nelle democrazie dell’intero pianeta», dice il deputato del Pdl, «e ancora oggi è il caso di chiedersi chi è uscito vincitore da quello sconvolgimento: il Pci è scomparso anche se sopravvivono i suoi figli e i suoi epigoni, l’altro presunto vincitore, la sinistra Dc, oggi si trova diluita nel Partito democratico. Il vero innovatore è stato Berlusconi e non a caso è tornato alla guida del Paese». Oggi come allora è difficile prevedere cosa risulterà davvero dell’improvvisa svolta: «Non possiamo essere ottimisti su tutto: chi ci assicura che non ci saranno soccorsi al ’travaglismo’, per esempio? D’altra parte sarà difficile
assistere ad autocritiche sulla durezza dei toni di questi ultimi quindici anni: fare questo tipo di analisi non è molto di moda, si va avanti piuttosto per le spicce, con qualche dibattito nell’aula magna della televisione. Non ci sono schiere di politici capaci di guardare al passato con sincerità, e l’esclusione di De Mita è la controprova di questo. È anche vero che l’abilità di Veltroni e D’Alema va riconosciuta». Darà frutti significativi? La Boniver ricorre a una metafora affine a quella
CAPEZZONE: «La gente vuole sentir parlare di cose concrete, è importante che anche in televisione si parli di quello che interessa al Paese senza ragionare sull’oggi con gli occhi del passato» citata da Anna Finocchiaro: «Mi auguro che questo antipasto si riveli foriero di un pasto sostanzioso ed equilibrato. Certo è che gli italiani sono esausti di quesa lunghissima, interminabile transizione».
di ieri non può essere troppo vera questa di oggi. Ma d’altra parte la nostra politica è fatta così. Vive di convenienze più che di convinzioni. Basta vedere com’è nato il Pdl. Fino al giorno prima si parlava delle comiche finali... Anche il Partito Democratico è nato con la stessa approssimazione. Che cos’è se non la somma di due sigle, per quanto gloriose, che si mettono insieme nel tentativo di risolvere le contraddizioni interne con un artificio. Probabilmente è normale nella politica moderna e questo spiega lo scenario zuccheroso. Benissimo, ma cosa sarà in grado di produrre? Questo è il nodo. Finora c’è un clima positivo, però, prima di dire che siamo in una democrazia bipolare matura, bisogna vedere quali saranno i risultati. A chi conviene questa sorta appeasement parlamentare? A tutti. Innanzitutto a Veltroni, il quale ha un disperato bisogno della riforma elettorale in vista delle Europee. Una modifica del sistema in senso bipartitico eviterebbe al Pd una tremenda resa dei conti con la sinistra radicale. Sarebbe molto dolorosa e tale da compromettere il progetto veltroniano. Sarà il passaggio chiave. Dunque Veltroni è sotto scacco? Quanto ne approfitterà il Cavaliere? Beh, Berlusconi su questo è molto abile, un fenomeno direi. Anche la Rai è un argomento che sta molto a cuore al centrosinistra. Berlu-
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ignor Presidente, proprio perché dissento totalmente dalle cose che ha detto l’onorevole Di Pietro, vorrei ricordarle che i parlamentari non possono essere sindacati, fatti ascoltare o meno a secondo di quello che dicono, altrimenti si apre un precedente assai pericoloso. Presidente Berlusconi, secondo noi il Presidente del Consiglio del nostro Paese, dell’Italia, non può essere considerato dall’opposizione un nemico. Per troppi anni abbiamo tollerato una visione anti-nazionale, per troppo tempo abbiamo accettato di costruire le nostre fortune politiche sulla demonizzazione dell’avversario. Siamo lieti - lei ne ha concorso ieri - che sia finita questa stagione. Auguri per il suo lavoro e se lei lavorerà bene farà l’interesse dell’Italia e degli italiani. Anche per noi, che non voteremo il suo Governo in coerenza con l’impegno preso con più di due milioni di elettori, è difficile dissentire sulle dichiarazioni programmatiche. La questione è semplice: avete vinto largamente, il vostro compito è non deludere gli italiani; il nostro compito è aiutarvi a non deluderli. Ho sentito parlare tanto, però, di legittimazione reciproca: fondi sui giornali, un dibattito a mio parere stucchevole. Un conto è il rispetto, un conto è la correttezza, un conto è essere persone per bene nel dibattito politico, un conto è continuare a parlare di legittimazione. All’indomani dell’elezione del Presidente Fini, vi sono stati ancora caterve di articoli sulla legittimazione della destra e negli anni scorsi sulla legittimazione della sinistra. Vedete cari colleghi, non è l’onorevole Berlusconi che può legittimare Veltroni, né l’onorevole Berlusconi può pensare di essere legittimato da Veltroni, né noi pensiamo di aver bisogno di essere legittimati come opposizione di centro dalla benevolenza dell’uno o dell’altro. Ciascuno di noi è legittimato dagli elettori che hanno scelto di semplificare i partiti e il quadro politico.
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Distinguiamo la finzione dalla verità. In Italia non c’è il bipartitismo: undici milioni di elettori, più del 30 per cento, hanno votato per partiti diversi dal PdL e dal Pd, un terzo degli elettori si sono espressi fuori da questo schema. Ho sentito parlare di schema anglosassone e di bipartitismo anglosassone: è figlio di tradizioni che non sono nostre. Lo dico con grande rispetto per il “governo ombra”ma i partiti inglesi e americani sono figli di una storia nazionale comune. Non a caso invece in Italia e in Europa noi parliamo oggi di condivisione della memoria perché siamo figli di tradizioni e di identità culturali difformi. Siamo passati attraverso contrasti a volte laceranti.
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improvvisamente
La replica del presidente Udc a Berlusconi
«Saremo i guardiani della modernizzazione» di Pier Ferdinando Casini
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Signor Presidente, il destino e gli italiani le hanno dato più potere di quanto abbia mai avuto alcuno dei suoi predecessori. Nemmeno De Gasperi, in Italia, ha avuto il potere che lei ha. Ne faccia buon uso
Io credo che l’Italia sia questa storia, e basta col riporre attese messianiche su impossibili riforme. Mi riferisco, ad esempio, a riforme di leggi elettorali. Vorrei fare un’osservazione molto serena. Qualcuno riteneva che questa legge elettorale fosse la madre di tutti gli errori - la sinistra mentre molti altri - il Presidente Berlusconi ed io eravamo tra quelli - ritenevano che questa legge elettorale (io la criticavo per la mancanza di preferenze) non fosse affatto la madre di tutti i mali. Che cos’è successo? Che si è prodotto un evento politico. Non c’è stato bisogno di “alambiccare” come alcuni apprendisti stregoni stavano facendo sul “vassallum” per produrre una riduzione dei partiti. È stata la politica a determinare la riduzione delle forze politiche, dunque le grandi riforme in molti casi le produce la politica. È inutile che noi oggi ci avventuriamo su terreni di forzature istituzionali. Diverso invece è parlare di quello che è necessario per il Paese: ridurre il numero di parlamentari, dare più poteri al Presidente del Consiglio, differenziare il ruolo delle due Camere, un“federalismo solidale”. Lei ha usato questa espressione e noi controlleremo che non sia soltanto un’espressione nominale ma sia un qualcosa di profondamente calato in questo progetto. Questo è il punto. Dunque, penso che questo
dibattito istituzionale così sereno sia una conquista per chi come noi, a volte, è stato criticato proprio per aver condotto la sua azione politica nella rivendicazione continua, a volte ossessiva, di un clima che doveva cambiare. Presidente, ho detto che è difficile dissentire dalle enunciazioni programmatiche. Le avevamo già sentite in campagna elettorale: però oggi il problema non è cosa fare, ma come fare le cose. Su questo aspettiamo il Governo senza pregiudizi: dai rifiuti di Napoli all’Alitalia, alla sicurezza.
Noi condividiamo l’idea che la sicurezza sia una emergenza nazionale.Vi dico - da ex Presidente della Camera - pensateci bene se emanare un decreto-legge o presentare un disegno di legge perché l’opposizione, tutta l’opposizione, se facesse ostruzionismo sul tema della sicurezza dimostrerebbe una totale irresponsabilità e non c’è il clima dell’irresponsabilità grazie al cielo. Pensateci bene a questo aspetto. Ho sentito parlare di deportazione di rom, di espulsione di migliaia di cittadini comunitari, del reato di immigrazione clandestina, di trasformazione dei Cpt in luoghi di detenzione, di sospensione di Schengen. Ha detto bene Tabacci quando ha chiesto il collegamento anche con provvedimenti duri contro il lavoro nero e lo sfruttamento di uomini e donne che, se sono in
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una condizione di bisogno, non possono essere sfruttati da noi. Uno Stato non può essere forte con i deboli e debole con i forti: dobbiamo prendere provvedimenti seri contro il lavoro nero. Una questione che lei ha sollevato per me è sacrosanta: la questione demografica. È una grande questione civile, a cui una classe dirigente che guardi al futuro non può dichiararsi - diciamo così - indifferente. Ma qui le chiacchiere stanno a zero, come si diceva, e voi avete proposto (lo avete fatto voi, non noi che con la Santolini avevamo presentato altre proposte, ma vanno bene anche queste) il quoziente familiare. Dalla prossima finanziaria dire sì ad un grande evento demografico nuovo significa accettare l’idea di un quoziente familiare. Il “bonus bebè” è un palliativo. Se c’è il quoziente familiare si può anche rinunciare al “bonus bebè”. Il quoziente familiare è la grande trasformazione a favore della famiglia italiana che non ce la fa ad arrivare a fine mese e tutti coloro che mi ascoltano alla televisione lo sanno. Mi riferisco inoltre alle liberalizzazioni e al nucleare. Ministro Scajola lei ha parlato del nucleare: benissimo, ma non facciamo le centrali in Albania, facciamole in Italia. Per quanto riguarda i rigassificatori dico basta alla politica dei“no”. Per quanto riguarda le liberalizzazioni lei, Presidente Berlusconi, ha detto una picco-
lissima - mi consenta - bugia in campagna elettorale dicendo che noi le avevamo impedito di realizzarle. Va bene, non parliamo più del passato, diciamo che gliele abbiamo impedite ma oggi non siamo al Governo, quindi fate le liberalizzazioni! Fatele a partire dai servizi pubblici locali, fatele a partire da quel disegno di legge dell’onorevole Lanzillotta, sacrosanto, che fu bloccato in Parlamento per i veti di Rifondazione Comunista e della sinistra estrema. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali è la grande questione, perché in Italia abbiamo le tariffe di gas, acqua e luce più alte d’Europa in quanto abbiamo un monopolio nei servizi pubblici locali. Ciò richiede una grande trasformazione mentale degli enti locali, dei comuni e delle province, degli amministratori che si gestiscono le loro rendite di posizione su tante piccole Iri che hanno costruito in sede locale.
Economia: detassazione degli straordinari e abolizione dell’Ici. Ho una preoccupazione: lo dico sinceramente. Partire dalla riduzione delle entrate e non dalla riduzione della spesa non è un bel segnale. È giusto abolire l’Ici ma senza il reperimento preventivo di nuove risorse, significa obbligare i comuni ad aumentare la tassazione locale o a chiedere nuove risorse allo Stato centrale. Abolire le province o il Cnel, forse, sarebbe stato, a mio parere, un segnale iniziale molto forte. Il Ministro Sacconi ha detto una cosa che vorrei riprendere anche qui con grande serenità. Lui dice: «Non mettiamo mano alla riforma dello scalone». Secondo me fate bene, perché è ora di finirla che in ogni legislatura si smantelli per prima cosa quello che si è fatto nella legislatura precedente. Però stiamo attenti. Ripeto, stiamo attenti. Sappiamo tutti che il sistema pensionistico, così com’è, non regge e sappiamo tutti che se vogliamo fare le grandi riforme dobbiamo incidere sui centri di spesa, perché l’Europa su questo è un elemento virtuoso e ci incalza giornalmente. Se non incidiamo sui grandi centri di spesa - e questo è uno dei grandi centri di spesa rischiamo di fare delle piccole riforme, di inseguire delle grandi aspettative con dei piccoli strumenti che alla lunga dimostreranno tutta la loro inefficacia. La nostra sarà una opposizione repubblicana. Cosa significa? Saremo leali verso la Repubblica e saremo impegnati a valutare il Governo solo sulla base dei contenuti. Signor Presidente, il destino e gli italiani le hanno dato più potere di quanto abbia mai avuto alcuno dei suoi predecessori. Nemmeno De Gasperi, in Italia, ha avuto il potere che lei ha. Ne faccia buon uso.
politica
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Di Pietro: «Presidente, mi interrompono». Risposta: «È naturale, bisogna vedere cosa si dice»
Fini, esordio con gaffe Veltroni: sì al dialogo con la maggioranza. Riforme e nodo Rai primo banco di prova
di Susanna Turco
ROMA. Ironia della sorte. Destino cinico e baro. Molto altro, forse. Di fatto, dopo aver stigmatizzato con forza, nel suo discorso di insediamento, l’avanzarsi del relativismo culturale, Gianfranco Fini, neopresidente della Camera, finisce per scivolare su un «dipende», che è il trionfo verbale della relatività. È mattina, a Montecitorio, Silvio Berlusconi ha da poco terminato la sua replica nel dibattito sulla fiducia al governo. L’Aula rumoreggia contro Antonio Di Pietro. «Signor Presidente della Camera, darmi la possibilità di parlare è un suo compito», protesta lui mentre gli schiamazzi gli impediscono di continuare l’intervento decisamente antiCavaliere. «Onorevole Di Pietro», replica il presidente «lei non è nuovo di quest’Aula e sa che è abbastanza naturale che ci sia, nei limiti.. Ovviamente dipende unicamente da ciò che si dice». Quest’ultima osservazione fa subito rizzare le antenne di quanti tengono in particolare considerazione la terzietà dell’istituzione. Democristiani, anzitutto. «Cosa vuol dire: “dipende da cosa si dice?”», salta su l’ex diccì Bruno Tabacci, che di solito si tiene abbondantemente alla larga dalle polemiche d’Aula. «È una cosa gravissima», commenterà più tardi. «Io non protesto mai, ma stavolta non si poteva tacere. Il presidente deve tutelare tutti, il dissenso va contenuto: e se non si riesce, non si può rispondere che “dipende”». Nemmeno in Aula il caso si chiude così. Il rapido botta e risposta tra Di Pietro e Fini si conclude con il leader dell’Idv che commenta «dipende da quello che si dice perché non bisogna disturbare il manovratore».
sidente», esordisce, «proprio perché dissento totalmente dalle cose che ha detto l’onorevole Di Pietro, vorrei ricordarle che i parlamentari non possono essere sindacati, fatti ascoltare o meno a secondo di quello che dicono, altrimenti si apre un precedente assai pericoloso».Touché.
Finita la seduta, mentre Gianfranco Fini tenta di chiudere la questione spiegando ai giornalisti che le domande sul tema sono «fuori luogo», l’altro protagonista non rinuncia a portare fino in fondo il non detto della vicenda. «È stata una scivolata provocata dal fatto che è la prima volta per lui, non voglio pensare che è un istinto per il partito cui è appartenuto», dice Di Pietro. Ma quando torna di nuovo sulla vicenda, è più netto: «La verità è che la lingua batte dove il dente duole e queste sue parole gravissime denunciano la sua vera origine». Quella missina, è il sottointeso. Toni d’antan, nel clima ovattato di questo inizio legislatura. I parlamentari pidiellini Cicchitto e Bocchino rispondono per le rime. Non a Di Pietro, ma a Casini: «Le polemiche sono strumentali, il rispetto dell’aula nei confronti dell’oratore infatti, è direttamente proporzionale a quello del relatore nei confronti dell’Aula. Se poi Casini ha il complesso dell’ex non per questo può pensare di dare lezioni ad altri».
Casini: «Si può aprire un precedente pericoloso». Castagnetti: «Non parlo di riflesso condizionato. Ma la scivolata è stata molto grave»
Subito dopo è il turno di Pier Ferdinando Casini. L’ex presidente della Camera che si è fatto benvolere dall’opposizione per il suo atteggiamento bipartisan (causando acuti mal di pancia in casa Cdl); il leader di un partito che ha fatto dell’autonomia (anche necessitata) dalle logiche del centrodestra la propria bandiera; l’uomo politico che nella rottura con Berlusconi ha sofferto soprattutto l’atteggiamento dell’ex sodale Gianfranco Fini. Casini, insomma, è la persona giusta nel posto giusto. E l’occasione non se la fa scappare. «Signor Pre-
Nel Pd, invece, i più sono proprio con Casini. «Del tutto d’accordo con lui», spiega il popolare Pierluigi Castagnetti. Ex vicepresidente della Camera, regolamento alla mano spiega peraltro che «è stabilito si tolga la parola a chi fa attacchi personali, al capo dello Stato o ad altre istituzioni come il Senato. Per il resto il diritto di parola è sacrosanto, e quella di Fini è stata una scivolata molto grave». Errore da neofita? «Non voglio dire che sia stato un riflesso condizionato. Però Fini può accampare una inesperienza di funzione, ma non nel Parlamento, visto che in questi anni An ha usufruito grandemente della libertà di espressione». Più indulgente la teodem Paola Binetti, che in fondo nelle parole di Fini quasi si ritrova: «Forse poteva fare più attenzione alla forma. Ma oltre a essere garantito, il silenzio dell’Aula ognuno di noi se lo deve anche conquistare».
Durante il suo intervento di ieri alla Camera, il leader del Partito democratico ha rivendicato innanzitutto il ruolo del suo partito nella «non demonizzazione dell’avversario» e nel superamento della frammentazione politica. L’ex sindaco di Roma ha comunque mosso una critica al premier Berlusconi, che a suo giudizio ha rivestito un ruolo «importante rispetto a ciò che è avvenuto o non è avvenuto in questo Paese» negli ultimi quindici anni. Veltroni ha messo quindi in guardia la maggioranza sottolineando che «più che i numeri», nel discorso di Berlusconi «conta il disegno politico», e che «manca un disegno alto e forte per il cambiamento dell’Italia». Poi è arrivata l’apertura: «Il Paese deve cambiare pagina e ciascuno deve dare il suo contributo». E rivolto al presidente del Consiglio ha dichiarato: «Raccolgo il suo invito» al dialogo «e vorrei che si partisse subito con le misure per rendere più efficiente la macchina dello Stato, la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione dei costi della politica, l’autonomia e la libertà di informazione, a partire dall’indipendenza della Rai. Qui vedremo subito se il dialogo è vero».
Di Pietro: vogliono imbavagliarci. Ma Idv e Pd faranno un’opposizione forte Ha parlato subito dopo l’intervento del premier Berlusconi e lo ha fatto senza troppi peli sulla lingua: «Noi non abbocchiamo. Abbiamo memoria e non intendiamo perderla». Interrotto pressoché subito dalla maggioranza, imperterrito ha proseguito: «Silvio Berlusconi vuole un’opposizione morbida, quasi di governo», ma «noi dell’Italia dei valori non la faremo, né crediamo che la faranno gli amici del Pd. Sappia che da oggi esiste ed esisterà un’opposizione forte e che lavorerà senza compromessi». Di Pietro ha battuto forte sui temi del conflitto di interessi, sottolineando come «il silenzio» del presidente del Consiglio «ci fa capire che non vuole risolverlo». Poi è toccato alla giustizia: Berlusconi ne vuole una «debole con i forti e forte con i deboli» perché «odia i giudici che fanno il proprio dovere». Infine una stoccata ai conti lasciati dal centrodestra al precedente governo, quando «il povero Prodi si è dovuto far carico di farli quadrare e ne ha dovuto pagare le conseguenze». La chiusura dell’intervento, il giudizio del discorso del Cavalieri, un «un discorso furbo per cercare di imbavagliare l’opposizione» perché, ha detto Di Pietro, Berlusconi è dichiara di volere il dialogo con l’opposizione, «ma a una voce sola: la sua».
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sfide Umberto Croppi contro Vittorio Sgarbi: è lite a Roma
Identikit e prospettive del candidato assessore
Croppi, sulle orme di Nicolini
Una cultura
di Riccardo Paradisi
ROMA. Oggi Umberto Croppi è direttore generale della Fondazione Valore Italia, l’ Esposizione permanente del Made in Italy e del Design italiano. Domani dovrebbe diventare assessore alla Cultura del comune di Roma. Malgrado la fitta serie di riunioni e di incontri di questi ultimi giorni in vista dell’incarico il condizionale è d’obbligo. E non solo per scaramanzia ma perché ci son cose che devono ancora essere chiarite. Come il ruolo che potrebbe avere Vittorio Sgarbi nella giunta capitolina. Da parte sua il critico ha rassicurato tutti: non ci tiene a replicare i problemi che ha avuto prima con il ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani e poi con il sindaco di Milano Letizia Moratti: «Non vengo a Roma a fare la primadonna, non voglio che si creino situazioni di contrapposizione a Croppi». E Umberto Croppi di contrapposizioni non ne vuole. Vulcanico ma anche pacato, riflessivo, dialogante Croppi non è solo un’intellettuale, è un politico della cultura che della politica conosce rischi e opportunità. Uno che studia da assessore alla cultura di Roma dalla fine degli anni Settanta, quando era nel Movimento sociale e assessore alla cultura di Roma era Renato Nicolini del Pci.
È lo stesso Croppi a
tra i fondatori di ”Nessuno tocchi Caino”, lega internazionale per l’abolizione della pena di morte, e direttore editoriale della storica casa editrice Vallecchi. Ha anche collaborato con l’Ufficio Comunicazione del Comune di Roma durante la prima giunta Rutelli prima di curare la comunicazione del neo eletto sindaco di Roma Gianni Alemanno.
Un situazionista, dicono i suoi amici, uno che và là dove le cose avvengono. Uno che conosce la macchina politica dell’amministrazione capitolina e che ha buone frequentazioni anche con via del Collegio romano. Sponda decisiva per chi deve fare l’assessore alla cultura a Roma visto che parte del patrimonio – come il Vittoriano da cui verranno finalmente rimossi gli orribili ascensori – dipende sia dall’amministrazione comunale sia dal ministero di via del Collegio romano. Da assessore alla Cultura Croppi si troverà in eredità la società creata da Rutelli per i grandi eventi ma ne farà sicuramente un uso diverso. E non solo perché Alemanno ha costruito parte della sua campagna elettorale contro la fiction delle notti bianche, paravento e foglia di fico – testuale – di una realtà degradata, ma perché Croppi degli eventi culturali ha un’idea diversa da quella del semplice intrattenimento. Ciò che lo colpiva delle primavere romane di Nicolini – che restituì Villa Torlonia ai romani dopo la stupida damnatio trentennale – era questa estetica, questo colto e spontaneo legarsi degli eventi ai ritmi stagionali. Ma non ci sono solo feste ed eventi da organizzare e gestire a Roma. C’è da portare innanzi e dare nuovo vigore a una tradizione culturale pluralista e curiosa che ha visto assessori come Gianni Borgna, uomo di sinistra, organizzatore di mostre sul futurismo e patrocinatore di un convegno organizzato dall’istituto delle biblioteche romane per il centenario di Julius Evola nel 1988. E c’è, soprattutto, da lavorare in sintonia con l’urbanistica se si vuole mantenere, come ha promesso Alemanno, un vincolo ambientale alla cementificazione brutale della città e agli stupri estetici sul centro storico. D’altra parte non manca a Croppi una coscienza ecologista. Cresciuta tra i Verdi ma nata nel Msi. Molti anni prima che il Sole che ride spuntasse sulla politica italiana. Ma questa è un’altra storia.
Croppi erediterà la società creata dall’ex sindaco Francesco Rutelli per i grandi eventi ma ne farà sicuramente un uso diverso e più colto
sottolineare i tanti aspetti positivi di quella stagione politico culturale: «È anche grazie al moltiplicarsi delle iniziative culturali di Nicolini che migliaia di romani rompono il coprifuoco dettato dalla paura degli anni di piombo e riscoprono il piacere di stare all’aperto, di frequentarsi e divertirsi, riappropriandosi di aree della cultura popolare». Dalla musica pop al balletto cioè, dalle maratone cinematografiche di film popolari al teatro da strada, “eventi”, si direbbe oggi, tesi ad abbattere gli steccati culturali tradizionali. Del resto Croppi è uno che ha sempre guardato oltre il proprio confine e sta lì a dimostrarlo il suo nomadismo esistenziale. Politico precoce, ideatore e organizzatore nel Fronte della Gioventù dei mitici campi Hobbit Croppi, vicino alla Nuova destra di Marco Tarchi, esce dal Msi nel 1991 per impegnarsi nei nuovi soggetti della politica italiana di quegli anni: La Rete e i Verdi di cui diventa consigliere regionale del Lazio e capogruppo. «Prima di capire», dice lui stesso «che era necessaria a questo punto una lunga vacanza dalla politica e mettere su famiglia». Si sposa con Jennifer Vieley e ha due figli, Sofia e Giuliano. È stato anche
Lo Sgarbistan perde pezzi di Angelo Crespi Lo Sgarbistan, come ci era già capitato di dimostrare, è un reame che ha capitale nel sito dove sta in un dato momento Vittorio Sgarbi e i confini nelle terre che potrà raggiungere in quello stesso giorno. Come si può arguire, lo Sgarbistan è un luogo dell’anima i cui sudditi (critici, storici, politici, scrittori, registi, giornalisti, semplici amici, molte donne) sono sparsi ai quattro punti cardinali, ma tenuti insieme dalla rete di telefonate che il regnante coi suoi duplici cellulari moltiplica all’infinito giorno e notte. Per disegnarne la mappa e censirne i cittadini, servirebbe il migliore Eco, quello delle topografie impossibili, visto che nei confini mobili non si applica lo “ius solis”, semmai una cittadinanza elettiva che va al di là dello “ius sanguinis”.
Sappiamo di dire una cosa di solito scontata, ma Sgarbi in questi giorni è davvero, più di altre volte, nell’occhio del ciclone e, per ora, neppure lui sembra individuare la via d’uscita. Dopo che Letizia Moratti gli ha tolto le deleghe di assessore alla cultura di Milano,Vittorio si era arroccato su posizioni capricciose (“io da qui non me ne vado”), quasi in una sorta di autosvilimento definitivo della propria persona. Poi, la sterzata con l’apertura di Gianni Alemanno e la proposta di lavorare come consulente nel sindaco di Roma. Ma anche in questo caso, ci sono varie resistenze alla sua nomina. Vale dunque la pena un piccolo ragionamento sul tema: nessuno mette in dubbio il valore di Sgarbi e la capacità di generare consenso intorno alla sua persona. E anche le critiche lette in questi giorni sul suo presunto “assenteismo” sono ingenerose stupidate. Sgarbi è una macchina, lavora 17 ore al giorno, e in quelle 17 ore produce quanto un dipendente pubblico in
sfide
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per chi governerà le Belle Arti con Gianni Alemanno
Abbandonato dalla Moratti, cerca una mediazione
per due
Sgarbi: «Mi basta gestire l’Ara Pacis» di Marco Palombi i diano la direzione dell’Ara Pacis. Potrà Sgarbi bombardare l’edificio di cui è direttore? È una casa di merda, ma sarebbe la mia. Me la farei piacere». La soluzione alla querelle che vede il critico d’arte con un piede dentro e uno fuori dalla squadra con cui Gianni Alemanno governerà Roma la formula lui stesso: «Vede - spiega - io posso essere disinnescato, basta far esplodere la contraddizione. Croppi può stare tranquillo».Vittorio Sgarbi, ex assessore, ex sottosegretario ed ex molto altro, è oggi il principale sostenitore della conquista di Roma da parte del centrodestra: lui la vede, o meglio la auspica, come una sorta di invasione barbara della città da parte di una comunità umana non conciliata con l’unanimismo culturale degli anni di Veltroni e Rutelli: «Due personaggi abbastanza modesti, per cui la cultura è conoscere persone colte. Come se la cultura si trasmettesse per contagio». Quanto ad Alemanno, un appello: «Non faccia lo svenevole, rimanga tosto». La distruzione che simboleggi l’avvento dei barbari c’è già: via la famigerata Teca dell’Ara Pacis di Richard Meier. Sempreché Alemanno non la affidi a Sgarbi facendo «esplodere la contraddizione» invece della teca. Altrimenti? Io sono un bombardiere. Fuori sono pericoloso, dentro molto meno. Come diceva Jung, l’errore costituzionale della Trinità è nel non aver incluso il diavolo. Lei sarebbe il diavolo. In metafora. Se mi lasciano fuori bombardo, dentro sarò tranquillo. E anche Croppi potrà stare tranquillo. A Milano non è andata bene. Da Milano mi hanno cacciato perché ho fatto una delibera gay. Incredibile, com’è incredibile che Milano abbia un vicesindaco come De Corato. Quello andava bene per Goebbels: non perché sia nazista, ma perché non capendo niente è pericoloso a sé e agli altri. E così ora parliamo solo di rom e sicurezza. Invece ho trovato straordinario che la prima dichiarazione da sindaco di Alemanno sia stata quella contro l’Ara Pacis. Poi però il sindaco ha rettificato. L’errore non è aver detto quelle parole, ma essersele rimangiate. Non è prioritario? E chi se ne frega, è simbolico. Era un segno evidente di discontinuità e non vorrei che Alemanno fosse travolto dalla continuità, dal volemosebbene. Il modo migliore di volersi bene è dirsi tutto sinceramente, lo dico a Croppi e Alemanno. È vero che l’assessore alla Cultura in pectore non la vuole? Croppi mi vuole un gran bene, è il mio massi-
«M
“
mo sostenitore. Lui spera nella mia anima delicata, che pure c’è, ed è preoccupato che venga fuori l’Altro Sgarbi. Io gli ho detto: per voi sono un sostegno, non un contraddittore, ma io sostengo Alemanno perché sia lui, non per farlo diventare Veltroni. E invece… Pare si voglia sempre la par condicio: se inviti l’antimafia deve esserci pure la mafia. Per me Meier è la mafia e io non gli do voce, lo mando affanculo. Se lui pensa di farlo io sarò contro perché sono coerente. Non è molto conciliante. Meglio essere intransigente che conciliante. Alemanno non faccia come Berlusconi: rimanga duro e non diventi democristiano. Sì, ma i rapporti interni… Nessun problema. L’ho detto ad Alemanno: io sono un sostegno ed essendo un sostegno sono forte, duro. Loro mi vogliono, ma mi vorrebbero moscio: allora vedrò di arrivare a Roma moscio. Va bene, arriverà moscio. Per fare che? Noi non dobbiamo rincorrere i modelli di altre città, dove la sinistra s’è dedicata ad accarezzare l’establishment. La forza di una cultura nuova è fare ciò che non s’è fatto prima, quando Veltroni era occupato a coltivare i suoi orticelli. Un esempio? Che senso ha che il ministro dei Beni culturali, degnissima persona, citi alla sua prima intervista Fuksas, Eco e Moretti? Sono nomi che non vanno bene nemmeno per la sinistra. Perché Bondi non ha citato Elemire Zolla, Cristina Campo, Calasso o Flaiano? Perché non ha citato Guareschi? Gli fa schifo? Guareschi vale tre volte Biagi e almeno quanto Eco. Qual è il motivo? È il complesso di inferiorità del centrodestra che li spinge a giocarsi il riscatto su temi che gli sembrano più loro. E così si concentra l’attenzione sulla sicurezza, i rumeni, i rom e quant’altro. Ma Alemanno cosa deve fare? Non si lasci integrare. Integrità è l’opposto di integrazione. Bisogna perseverare nella differenza, eliminare ogni forma di integrazione e mantenere l’integrità: due integrità dialogano, un integrato è un rincoglionito. Quanto a lei… Vedremo. Il fatto che Alemanno si sia rivolto a me è un punto di congiunzione di cui l’Ara Pacis è un simbolo. Ora si parla delle esigenze dell’avversario: ma se sei Achille che te ne frega delle esigenze di Ettore? Questione di buona educazione. Bisogna rieducare chi è educato. Gli educati non sono integri.
Eco e Moretti? Sono nomi che non vanno bene nemmeno per la sinistra. Perché Bondi non ha citato Zolla, Campo, Flaiano o Guareschi?
un anno. Provare a seguirlo, per credere. Epperò Sgarbi da quando ha deciso di accettare ruoli tecnico-politici (come l’assessore o precedentemente il sotto-segretario), viene misurato, pesato, e alcune volte pure scartato, con valutazioni che non dipendono più dalla capacità culturale né dalla mole di lavoro, bensì dalla coerenza politica delle sue decisioni.
Spuntate sono le difese dello stesso critico quando insiste a spiegare che “la cultura non è di destra né di sinistra”. Perché se è in parte vera l’affermazione, altrettanto vera l’idea che la politica culturale ha un colore e una connotazione. Altrimenti non si capirebbe perché esistono i ministri alla Cultura di un governo eletto, o gli assessori alla Cultura di una determinata giunta eletta, né quale sia il loro compito se non quello di immaginare politiche culturali consone col mandato ricevuto dagli elettori. La cosa, ovviamente, può non piacere a Sgarbi, abituato ad essere monarca assoluto del suo regno. Se però metabolizzasse la questione, ne trarrebbe benefici. Altrimenti la prossima volta che esclameranno “ecco l’assessore Sgarbi” dovremo pensare alla sorella, Elisabetta, meticolosa, puntigliosa, geneticamente predisposta a capire i meccanismi della politica culturale e astro nascente della sinistra riformista che non avrei avuto dubbio a proporre ministro ombra della Cultura.
”
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pensieri
emo che per fare luce sui principali delitti della storia repubblicana la Commissione di storici e giuristi, proposta prima da Giovanni Pellegrino e ora, sul Corriere delle Sera, dal giudice Guido Salvini, non verrà mai a capo di nulla. In primo luogo, i componenti di tale commissione saranno sempre indicati da dirigenti di partiti che esigono fedeltà alle loro tesi storiografiche e ai teoremi giudiziari. Per rendersi conto del vincolo che lega forze politiche e consulenti delle commissioni, basterà citare un episodio. Un membro della Commissione sul dossier Mitrokhin, commentando il fatto che mi ero preso la libertà, in un dichiarazione all’Ansa, di esprimere un’opinione diversa da quella del presidente Paolo Guzzanti (che mi aveva scelto come consulente) mi confessò: «Non posso fare altrettanto. Io sono stato nominato dal centrosinistra, ma mi è stato fatto esplicito divieto di far acquisire all’archivio della Commissione che qualunque documento possa contraddire la tesi del centrosinistra per cui nei grandi delitti non c’entra il Kgb, ma solo la Cia e il Mossad». Il secondo motivo è il seguente: anche gli storici quando,in veste di consulenti, vanno negli archivi dei ministeri e dei servizi, si accontentano di quanto passa loro il convento. Accolgono, cioè, i faldoni, i dossier, le cartelline che vengono loro imbanditi su un tavolo d’occasione come se li avessero selezionati personalmente. In realtà sono, destinatari di un lavoro di perlustrazione e di scelta fatto da altri, cioè i funzionari o i bibliotecari di questi enti pubblici. Non si conoscono i criteri con cui costoro hanno
T
I consulenti delle Commissioni sono limitati da restrizioni assurde
Gli storici in Parlamento, che ci chiamate a fare? di Salvatore Sechi
L’impossibilità di accedere alle fonti più antiche e ricche (come l’archivio dei Carabinieri) rende impossibile il lavoro dei ricercatori italiani lavorato nel selezionare il materiale. In presenza di un’affidabilità che ha ben poco di scientifico,la conoscenza dei fatti delittuosi della nostra storia più recente non cresce. Si finisce per girare intorno alle stesse difficoltà, anche perchè è impossibile l’acquisizione di nuovi documenti e la consultazione di altre fonti. Per questa ragione in un saggio che ho pubblicato su Nuova Storia
a duplice e secca sconfitta subita dalla sinistra nelle elezioni politiche e nel ballottaggio di Roma ha sanzionato emblematicamente vizi antichi e recenti di una classe dirigente che ha sempre anteposto i compromessi e le commistioni necessarie alla conquista del potere alla capacità di scegliere e di provvedere rispetto alle questioni decisive per l’avvenire del paese. La sinistra postcomunista, fin dai primordi di questo bipolarismo zoppicante, indotto dalle riforme elettorali del 1993, ha perseguito le aggregazioni più ampie ed eterogenee nell’esclusiva preoccupazione di battere la destra berlusconiana e conquistare il potere, senza considerare che quel potere avrebbe dovuto rendersi funzionale all’assunzione di decisioni coerenti in termini di riforme e di governo. La stessa scelta di Veltroni, non priva di coraggio e di coerenza, di affrontare finalmente le elezioni politiche senza accettare alleanze con liste distinte da quelle del Pd - a parte la strana eccezione di Idv - non ha fugato ogni dubbio in ordine all’effettiva volontà di superare quelle contraddizioni che hanno provocato in meno di due anni il naufragio del secondo governo Prodi. La reiterata difesa di Bassolino e dei provvedimenti
L
Contemporanea, ho chiamato imposture le relazioni delle commissioni d’inchiesta al parlamento. C’è poi una ragione anche più corposa che accenno nella speranza che i neo-ministri Maroni e La Russa siano più sensibili alle ragioni degli studiosi di quanto non lo furono i loro predecessori Amato e Parisi. Noi storici siamo condannati a lavorare sulle carte meno affi-
dabili, anzi più vulnerabili da parte del potere politico. Mi riferisco agli archivi, riservati e no, della polizia. Senza gli “scarti”del Ministero dell’Interno e quelle delle questure, nessuno studioso di storia contemporanea può affrontare lo studio della politica italiana dopo l’unificazione nazionale. Salvo qualche eccezione, non possiamo consultare le carte dei Carabinieri. Eppure fin dalla formazione dell’Arma, essi svolgono compiti di prevenzione, di repressione, di polizia giudiziaria e anche di intelligence. Non solo a livello dei capoluoghi di provincia (in cui opera la polizia), ma di ogni centri abitato dove esiste una stazione dei carabinieri. Quindi agli studiosi è sottratta la documentazione più antica, ricca e analitica. Questa tenace, semplicemente ingiustificabile, indisponibilità del comando generale dei carabinieri a mettere a disposizione dei ricercatori il loro enorme, per quanto depauperato, archivio impedisce di compiere un’operazione fondamentale per gli storici: cioè di esercitare una comparazione incrociata tra le fonti (in questo caso della polizia, dei carabinieri e dei tribunali, per
L’Udc di fronte alla nuova fase politica
Come traversare il deserto di Alessandro Forlani fiscali promossi da Visco, la coabitazione di teodem e radicali, l’alleanza privilegiata con Di Pietro e la persistente intesa con l’estrema sinistra nelle elezioni romane, la negazione ai socialisti riformisti di ciò che è stato invece concesso a Italia dei valori, confermano ambiguità e incoerenze del tentativo di Veltroni di approdare ad una nuova sinistra, lontana da compromissioni, demagogie e faziosità del passato. Proprio in questi ultimi giorni il leader del Pd ha avviato un canale di comunicazione con Fava, nuovo leader di Sinistra democratica che alle elezioni era alleata con Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani sotto il simbolo dell’Arcobaleno. L’insuccesso romano della candidatura di Rutelli, ab-
di quella non parlare dell’intelligence) sullo stesso episodio o sugli stessi personaggi. Faccio solo due esempi. Si può accogliere come esaustiva e probante l’informazione sull’esistenza e la durata della struttura para-militare del Pci che nel tempo ha distillato il Ministero dell’Interno, senza fare una verifica su quanto hanno, sullo stesso argomento, accertato i carabinieri, le tre armi, i magistrati e i servizi? Come si possono misurare le dimensioni e la continuità nel tempo dello spionaggio sulla tecnologia militare-industriale effettuato dai servizi segreti sovietici ed europeo-orientale sulle nostre imprese pubbliche e private, se non di dispone dell’archivio del colonnello Renzo Rocca (sequestrato dal Sifar), dei controlli della Benemerita e della Guardia di Finanza come dei suoi interlocutori al Viminale e a Palazzo Baracchini? Di qui il carattere poco affidabile e per nulla esaltante di gran parte della storiografia sull’età contemporanea, che si pasce quasi esclusivamente di biada offerta dai corpi di polizia. Invece di un’ennesima commissione ci sarebbe bisogno di un legge che finalmente integrasse quella più recente liberalizzando l’accesso diretto degli studiosi al numero più ampio possibile di fonti, disponendone il versamento agli archivi dello stato e a quello del Senato. Proprio in queste ore la sua direttrice, Emilia Campochiaro ha trasferito online le 62mila pagine dell’ inchiesta parlamentare su Aldo Moro consentendone la consultazione a chiunque. Finalmente un atto di grande civiltà e democrazia.
bandonato anche da un’ampia porzione di elettorato di sinistra (come dimostra il confronto con i voti ottenuti da Zingaretti nella città di Roma) si rivela emblematico della stanchezza dell’opinione pubblica verso un’assordante esposizione mediatica dei sindaci di centrosinistra che sempre più lontana si è rivelata dai drammi che investono la città. Il cammino sarà ancora lungo e noi naturalmente ci auguriamo, nell’interesse del Paese, che queste contraddizioni possano essere, nel tempo, superate. Anche l’Udc ha davanti a sé una lunga traversata nel deserto. Deve ora intraprendere una seria riflessione sulla natura e le modalità della sua opposizione al quarto governo Berlusconi, costituito dai suoi ex alleati. Un’opposizione che sia funzionale a una rinnovata strategia che ci consenta di tornare, in futuro, al governo del Paese, secondo la naturale vocazione di un partito di centro. Se intendiamo ancora valorizzare il nostro patrimonio di pensiero e di programma, non solo in termini di testimonianza, ma di effettivo servizio al Paese, non possiamo sottrarci alla necessità di perseguire questa prospettiva. Per questa ragione il tema delle alleanze, sia pure senza precipitazione, deve tornare al centro del dibattito interno al partito e della imminente Costituente.
& parole
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Negli anni della crisi internazionale questi settori stati sono gli unici a crescere a dismisura grazie all’assenza di liberalizzazioni
Banche e petrolieri: perché sono nel mirino di Gianfranco Polillo anche e petrolieri di nuovo nel mirino. In un mercato sempre più difficile dove i consumatori sono costretti a stringere la cinta per il caro energia e il rischio di non poter pagare i mutui contratti, cresce lo sconcerto visto che questi settori macinano sempre più utili.
B
E lo sconcerto spesso si traduce in indignazione. Come spiegare la crescita dei prezzi alle pompe di benzina? Il costo di estrazione del greggio, nelle zone più difficili del globo, non supera i 70 dollari al barile. In quel grande catino, rappresentato dai giacimenti dell’Arabia Saudita, questo costo si abbassa di 5 o 10 dollari. Il resto è pu-
delle banche centrali, prese per scongiurare la grande crisi che ha colpito l’intero sistema finanziario. Banche e petrolio, quindi, marciano a braccetto. Sono speculari gli uni agli altri. Ed entrambi sono figli di uno stesso processo e degli eccessi di un mercato globalizzato al di fuori di qualsiasi controllo istituzionale. Chi paga? Risposta ovvia. Sono i consumatori a essere taglieggiati. Ed è su di essi che si scaricano le inefficienze diffuse di entrambi i mercati. Dalla loro i politici hanno la colpa di aver abbandonato, negli anni passati, lo sviluppo del nucleare. Avrebbe abbassato i costi di produzione dell’energia. Ma soprattutto avrebbe fat-
GIULIO TREMONTI Il ministro dell’Economia ha annunciato una stretta per banche e petrolieri, forse conscio degli altissimi utili che nell’attuale fase di crisi questi settori hanno registrato
ro guadagno. Ma fin qui non c’è nulla da dire. David Ricardo, uno dei più grandi economisti della storia, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, aveva svelato il meccanismo della formazione dei prezzi, in un libero mercato. Essi sono dati non dalle produzioni più efficienti, ma da quelle meno efficienti che comunque si rendono necessarie per soddisfare la domanda di beni. Ecco allora spiegato il perché dei 70 dollari al barile. Quello che, invece, è meno comprensibile è come mai il prezzo sia giunto al picco di 126 dollari al barile registrato in questi giorni. O meglio la spiegazione è ovvia. E si chiama speculazione ed eccesso di liquidità dei mercati, frutto delle decisioni
to da deterrente all’aumento speculativo del prezzo del petrolio.
Negli anni Settanta l’Arabia Saudita, il maggior produttore di petrolio, seguiva la politica dell’attenzione. Il prezzo di un barile di petrolio era mantenuto a livelli bassi, proprio per evitare la rincorsa alla costruzione delle centrali nucleari.Venuto meno questo deterrente, il fenomeno è esploso come dimostrano i dati di questi giorni, facendo la felicità dei signori del petrolio. Nel 2007 gli utili dell’Eni sono stati pari a circa 20 miliardi di euro: in leggera flessione rispetto all’anno precedente. Colpa degli oneri sostenuti in una serie di operazioni estere, non tutte andate come si spera-
va. Nonostante questa limatura, essi rappresentano il 45,6 per cento della totalità dei profitti dei gruppi industriali italiani. Certamente una buona notizia per gli investitori ed il ministero dell’Economia, che è l’azionista di controllo del cane a sei zampe. Non sembra una buona notizia per i consumatori, che sono stati le vittime sacrificali di questo trend.
E non è finita. Nel 2007 il prezzo medio del petrolio importato è stato di 67 dollari al barile. Nel 2008 supererà abbondantemente i 100. Di quanto aumenteranno i relativi profitti, visto il modo di operare di quella speciale scala mobile che determina il prezzo finale?
I colossi energetici hanno visto schizzare i guadagni con il barile ai massimi. Le banche hanno segnato nel 2007 profitti per 18 miliardi anche grazie agli sconti fiscali concessi da Prodi
PIER LUIGI BERSANI L’ex ministro dello Sviluppo economico ha messo in guardia l’attuale governo dal colpire banche e petrolieri: potrebbero rifarsi sull’utenza aumentando le tariffe
Ma l’Eni non è un caso isolato. Enel, nella classifica dei profitti per il 2007, si colloca direttamente al secondo posto. Qui l’incremento è stato più consistente, con una crescita del 31,6 per cento, inferiore soltanto alla Fiat (+ 96 per cento). Ma si sa che la casa torinese usciva, grazie alla cura Marchionne, da uno stato comatoso. Chi ha garantito questi proventi? È stato il libero mercato o la posizione di quasi monopolio che l’ex ente di Stato ancora mantiene? La risposta non dovrebbe essere difficile. Lo è ancor meno dopo le recenti dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che – evidentemente – conosce i propri polli. Per finire con le banche. Anche in questo caso, nonostante le
prime avvisaglie di crisi, una pioggia di profitti. I principali istituti italiani hanno messo in cascina utili per circa 18 miliardi di euro. In crescita del 20 per cento rispetto all’anno precedente. E questo grazie anche alla riduzione del cuneo fiscale. Prima negato dal Governo Prodi, quindi subito a causa del ricorso vinto contro l’azione del governo. Certo, non è tutto oro quella che brilla. Mediobanca ha calcolato le perdite ipotetiche derivanti dalla crisi dei mutui subprime. Si tratta di circa 4 miliardi, che le banche hanno finora contabilizzato per poco più della metà (2,4 miliardi). Per avere il quadro definitivo si dovrà attendere ancora. Nel
CHAKIB KHELIL Il presidente dell’Opec dice che il consumo di petrolio calerà. Ma se negli anni Settanta l’organizzazione teneva i prezzi bassi per evitare la concorrenza del nucleare, oggi non esistono più calmieri
frattempo tuttavia i profitti sono stati iscritti a bilancio.
Pier Luigi Bersani, interve-
L’utenza è stata taglieggiata, perché non ha visto migliorare i servizi di fronte al rincaro dei costi. I dividendi delle aziende non sono stati reinvestiti per migliorare l’offerta
nendo nel dibattito sulla fiducia al governo, si è chiesto polemicamente se veramente si volevano prendere i soldi dai petrolieri e dalle banche. Bilanci grassi: ha riconosciuto. Ma per dare a chi queste risorse? All’erario o ai consumatori? Se li prende il primo le banche reagiranno aumentando ulteriormente il costo dei servizi resi. Sarà come «mettere le mani in tasca ai cittadini per procura», ha concluso. Preoccupazione legittima. Ma forse tardiva. A quanto sembra, almeno per il 2007, quelle risorse non esistono più. Sono già nelle tasche dei manager e degli azionisti.
mondo
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Esclusivo. Per l’ex presidente del Messico, l’Europa è un esempio di libertà e democrazia
«Una nuova America Latina per la rinascita del continente» colloquio con Vicente Fox di Benedetta Buttiglione Salazar
BRUXELLES. L’ex presidente del Messico, Vicente Fox, ha inaugurato ieri a Bruxelles un convegno dal titolo “Quo vadis, Cuba? –Scenari di transizione alla fine dell’era Castro”. L’oratore, il primo della lista, non è stato scelto a caso. Fox, infatti, è stato protagonista del grande cambio democratico avvenuto nel suo paese nel luglio del 2000, quando il partito di opposizione Partido Accion Nacional ha guadagnó la presidenza della Repubblica dopo 71 anni di governo autoritario del Partito rivoluzionario istituzionale. Presidente, lei è qui per parlare della transizione di Cuba, crede davvero che con Raúl Castro i cubani possano finalmente raggiungere l’agognata democrazia? Io sono ottimista, credo sul serio che sia giunta per Cuba la grande opportunità. L’assenza di Fidel facilita senza dubbio la transizione, ma le dittature ed i governi autoritari non spariscono da soli, ci vuole sempre il contributo dei popoli democratici. Il futuro di Cuba è adesso in mano ai cubani, soprattutto di quelli che vivono a Cuba, che aspirano alla democrazia ed alla libertà. Esiste una struttura di partiti politici in formazione. Sono partiti della grande famiglia democristiana che fanno capo a due grandi leaders, Oswaldo Payá e Marcelino Miyares. Il popolo cubano deve agire in maniera istituzionale, dando un forte impulso alla libertà, al rispetto della sua dignità e dei diritti umani, chiedendo la liberazione dei prigionieri politici. Lei ne sa qualcosa della transizione pacifica verso la democrazia...
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beri i cubani di scegliere dove andare, ma appoggiandoli con la sua autorità morale, con l’esempio della democrazia, la libertà, l’apertura alla globalizzazione ed all’economia di mercato. È ora che l’Europa parli e parli forte e, con la sua autorità morale, chieda che la transizione di realizzi. Da parte loro gli Stati Uniti devono togliere l’embargo ed il Messico può dimostrare come l’economia di mercato abbia funzionato nella lotta contro la povertà. Sono convinto che la transizione cubana avrà il successo che merita e sarà pacifica.
L’assenza di Fidel facilita senza dubbio la transizione, ma le dittature ed i governi autoritari non spariscono da soli, ci vuole sempre il contributo di popoli democratici e istituzioni liberali Effettivamente mi è toccato lottare contro un governo autoritario, al potere da 71 anni in Messico e per questo posso dire che, nonostante le trasformazioni democratiche siano sempre in mano al popolo e ai cittadini, l’aiuto ed il sostegno che si ricevono fuori del proprio Paese possono essere fondamentali. Mentre portavo avanti la mia battaglia sapevo bene quanto fosse importante avere l’appoggio dell’Unione Europea, con le sue posizioni politiche chiare e ben definite. Ritengo perciò che l’Unione Europea debba giocare oggi un ruolo chiave nel processo di transizione cubano, senza intervenire, lasciando li-
Presidente, quali saranno le sfide che dovrà affrontare l’America Latina nel Ventunesimo secolo? Prima di parlare delle sfide del Ventunesimo secolo voglio spiegare cosa è accaduto nel secolo Ventesimo. Purtroppo l’America Latina ha perso moltissimo tempo in mano a dittatori, dittature militari, governi autoritari, corruzione e mancanza di trasparenza. Solo alla fine del secolo scorso i cittadini latinoamericani si sono ribellati e hanno deciso di incamminarsi sulla strada della democrazia, adottando negli anni ’80 e ’90 una serie di cambiamenti e riforme economiche che si sono poi estesi in quasi tutto il continente. La prima sfida che dobbiamo affrontare è promuovere e consolidare le nostre democrazie che oggi sono nuovamente minacciate, non da ideologie, ma da leader messianici che, nascondendosi dietro parvenze democratiche, sono in realtà populisti, mentono, ingan-
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nano e agiscono in maniera autoritaria. La seconda sfida è mantenere il cammino delle nostre economie all’interno dell’economia di mercato. L’America Latina ha oggi un tasso di crescita regionale pari al 6% annuo e questo ci fa essere molto ottimisti per il futuro. In dieci anni il numero di famiglie povere si è ridotto di 10 punti percentuali, riteniamo perciò di aver trovato la strada giusta verso la riduzione della povertà nel continente. La sfida numero tre riguarda la formazione del capitale umano: dobbiamo aumentare la qualità e la quantità dei processi educativi.
Per quanto riguarda la sfida numero quattro ci allineiamo con il resto del mondo nella protezione delle risorse naturali e nella difesa dell’ambiente. Quando parla di leader messianici populisti si riferisce alla triade Chávez-Morales-Correa? Crede veramente che rappresentino una minaccia per la democrazia in America Latina? Assolutamente sì. Stavo proprio pensando a Hugo Chávez in Venezuela, a Evo Morales in Bolivia, a Correa in Ecuador ed anche a Ortega in Nicaragua. Attenzione, io non ho nulla contro il socialismo o la social-democrazia, non è questo il punto. Il socialismo può avere anche i suoi lati positivi come abbiamo visto in Europa, per esempio in Spagna con Felipe González o in Cile con Lagos. Ma qui non stiamo parlando di ideologia, stiamo parlando di persone che farebbero e fanno di tutto pur di rimanere per sempre al potere, ingannano i propri cittadini, indeboliscono e svuotano di senso la democrazia, corrompono i processi economici. Questi signori hanno
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Bush sottolinea i rapporti tra Usa e Israele Il presidente degli Stati Uniti, arrivato ieri a Tel Aviv, ha messo in evidenza la particolarità dei rapporti tra i due Paesi. «Noi riteniamo la Terra Santa un luogo straordinario, e nel popolo ebraico vediamo un amico», ha detto Bush iniziando il suo tour mediorientale. Tre giorni che il presidente intende consacrare al tentativo dell’accordo di pace tra Israele e i palestinesi. Oltre ai dirigenti israeliani, Bush vedrà anche il presidente dell’Anp Mahmud Abbas. Dalla conclusione della conferenza di Annapolis, le trattative tra le due parti non hanno fatto passi avanti.
Scontri a sfondo razziale in Sudafrica Per la terza notte consecutiva una banlieue di Johannesburg è stata teatro di scontri xenofobi. Come ha riferito mercoledì mattina la radio della città, i disordini hanno coinvolto la polizia e gli abitanti dello slum di Alexandra. I sudafricani avevano attaccato i propri vicini, cittadini del Mozambico e dello Zimbabwe. L’intervento delle forze dell’ordine è stato accolto con lancio di pietre, barricate e incendi di pneumatici. I poliziotti hanno reagito sparando proiettili di gomma. Per paura molti stranieri hanno trascorso la notte nelle stazioni della polizia della città.
Kouchner ha evitato la guerra in Abkhazia «Se oggi siamo ancora in pace lo dobbiamo a lui». Secondo Temour Iakobaschvili, ministro georgiano della “reintegrazione” delle repubbliche separatiste di Tblisi, la pace si deve a Kouchner. Sarebbe stata una telefonata del ministro degli esteri di Parigi al suo collega russo Lavrov, a evitare il conflitto tra Russia e Georgia. Il ministro georgiano ha fatto queste dichiarazioni alla televisione di stato Roustavi-2.
Paesi Baschi: l’Eta uccide ancora
già tentato di cambiare la Costituzione per potersi far rieleggere a vita ed hanno già cercato di riformare il potere giudiziario e quello legislativo secondo i loro comodi. L’America Latina deve stare molto attenta a che non si diffondano in tutto il continente tali movimenti populisti che hanno vocazione ad estendersi e fare proseliti fuori dal proprio territorio
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sono più sviluppati di altri. Io direi che il più sviluppato di tutti è il Nafta, l’accordo di libero commercio tra Stati Uniti, Messico e Canada. Esiste anche l’Unione Centro-Americana che segue da vicino il modello dell’Unione Europea e di fatto ha già eliminato le frontiere tra El Salvador e il Guatemala. C’è anche il Caricom nel Caribe ed il Mercosur in Sudamerica. Purtroppo Chávez ha fortemente indebolito il Patto Andino e qui sottolineo nuovamente il pericolo che leader populisti possano distruggere non solo il futuro dei propri cittadini, ma anche dei propri vicini. Ovviamente l’aspirazione è ad un accordo continentale che includa anche gli Stati Uniti ed il Canada: sarebbe la strada migliore per l’America Latina. La prova è data dagli eccellenti risultati del Nafta che ha generato grandi benefici per i tre Paesi membri. Adesso la missione del Nafta per il futuro dovrebbe essere quella di un’integrazione più stretta sul modello europeo. Per fare ciò chi dovrebbe vincere le prossime elezioni negli Stati Uniti? Quando sono in campagna elettorale i candidati promettono qualsiasi cosa. E a volte è indispensabile che sia così. Chiunque sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrà realizzare cambiamenti radicali in politica estera: dovrà passare dal militarismo alla diplomazia, dalle imposizioni alle negoziazioni, dal fare orecchi da mercante ad ascoltare, dall’unilateralismo al multilateralismo e rispettare le decisioni delle Nazioni Unite. Per quel che riguarda l’America Latina gli Stati Uniti dovranno abbandonare la loro politica di indifferenza verso il nostro continente. Non hanno presenza, non esercitano nessuna leadership, non collaborano in nessun modo al processo di sviluppo latinoamericano. Avremmo bisogno di iniziative ed idee forti, come il piano Marshall in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale che aiutò la costruzione della Comunità Europea. Oppure come la convocazione del presidente Kennedy a la alianza para el progreso in America Latina. Qualcosa del genere ci aspettiamo adesso dal futuro presidente degli Stati Uniti.
Il Sudamerica ha oggi un tasso di crescita regionale pari al 6% annuo e questo ci fa essere molto ottimisti per il futuro. In dieci anni il numero di famiglie povere si è ridotto di 10 punti
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nazionale. Così, infatti, sta facendo Ugo Chávez, investendo i proventi del petrolio venezuelano nei processi elettorali di altri Paesi. O anche finanziando e sostenendo la guerriglia in Colombia. A proposito di Colombia, lei crede che Uribe contro le Farc ed il narcotraffico sia un po’ come Davide contro Golia o pensa che possa avere successo? Sta già avendo successo e molto anche. Prima di tutto perché la Colombia riesce ad avere una economia stabile ed in crescita all’interno di una situazione instabile ed irregolare. Poi perché Uribe ha guadagnato un bel po’ di terreno sulle Farc e sul narcotraffico. Non dobbiamo dimenticare che la guerriglia dura ormai da 45 anni e nonostante questo la perseveranza e l’energia del presidente Uribe hanno portato avanti la nazione. In piú Uribe ha anche la sfortuna di avere un vicino violento come Chávez, che certo non lo aiuta nella lotta al narcotraffico visto che continua a finanziare i narcotrafficanti. Si può parlare di integrazione latinoamericana? Che ruolo hanno o dovrebbero avere gli Stati Uniti? Fino ad oggi l’America Latina ha realizzato un’integrazione per blocchi regionali, muovendosi a tappe ed in modo troppo lento. Senz’altro alcuni blocchi
Un poliziotto è rimasto ucciso a Legutiano dopo un’esplosione avvenuta mercoledì mattina in una caserma di polizia. L’ordigno nascosto in un automezzo ha causato anche diversi feriti. Uno dei due agenti sepolti sotto i detriti di un edificio distrutto è morto. Il primo ministro spagnolo Zapatero ha messo la lotta contro l’organizzazione terrorista Eta, tra i punti centrali della sua azione di governo. Nella prima legislatura le trattative di pace tra l’Eta e l’esecutivo socialista erano fallite.
Coprifuoco in India La città di Jaipur, capitale dello stato federale indiano del Rajasthan, ha dichiarato il coprifuoco dopo aver accertato che le bombe esplose martedì hanno causato almeno ottanta morti. Mentre le forze di sicurezza di Bombay e Delhi sono state poste in stato di massima allerta, il governo ha invitato la popolazione a mantenere la calma. Secondo il ministero degli interni di Delhi e la polizia del Rajasthan si è trattato di un attacco terroristico che finora non è stato ancora rivendicato.
Steinmeier incontra Medvedev Il nuovo presidente della federazione russa si augura «strette relazioni con Berlino», che vadano oltre i pur «splendidi rapporti economici» in atto tra i due Paesi. Se il ministro degli esteri tedesco è stato il primo membro di un governo straniero a congratularsi personalmente con il nuovo leader del Cremlino, Medvedev ha scelto Berlino come prima tappa del suo viaggio in Europa, previsto all’inizio di luglio. L’incontro previsto per oggi tra ministro degli esteri tedesco e il capo dell’esecutivo di Mosca, Vladimir Putin, non avrà però luogo. Steinmeier vedrà invece il “primo vice-premier”, Igor Schuvalov. Secondo quanto riportato dai media russi e tedeschi, la Germania intende sostenere la modernizzazione russa e non ritiene opportuno inviare truppe Nato nelle enclave separatiste della Georgia. Lavrov ha criticato la politica della Germania in Kosovo.
Metà delle vittime birmane sono bimbi I bambini sono state le persone più colpite dalle conseguenze del ciclone Nargis. Secondo quanto riferiscono osservatori internazionali vicini alle Ong presenti in Birmania, molti bimbi sono morti per sfinimento ed altri sono stati uccisi dalla sete. Sono loro che pescano a mani nude nell’acqua putrefatta e puzzolente alla ricerca di pescetti e piccoli crostacei. Sono sempre i più piccoli che si lanciano dietro le auto in corsa nella speranza che cada qualcosa di commestibile o potabile. In molti sono rimasti orfani o sono alla disperata ricerca dei propri genitori.
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Anniversari. 50 anni fa il “maggio algerino”, il capolavoro del generale che portò alla nascita della Quinta Repubblica
«Vive de Gaulle!» I sedici giorni che sconvolsero la Francia di Michele Marchi Il monito del 1946 e la traversata del deserto «Abbiamo cominciato a ricostruire la Repubblica. Voi continuerete a farlo. In qualsiasi maniera voi lo facciate, io credo in coscienza di potervi dire - e senza dubbio si tratta dell’ultima volta che lo faccio in questa sede - che, se voi intendete farlo senza tener conto delle lezioni della storia politica dei nostri ultimi cinquant’anni, e in particolare di quello che è successo nel 1940, se voi non terrete conto delle necessità assolute di autorità, dignità e di responsabilità del Governo, arriverete ad una situazione tale che un giorno o l’altro, ve lo predico, vi pentirete amaramente delle decisioni assunte oggi». Con queste parole fortemente premonitrici, pronunciate il 19 gennaio 1946, il generale de Gaulle sbatteva la porta in faccia ai parlamentari della nascente IV Repubblica francese, rimproverando la loro tendenza ad edificare un nuovo sistema istituzionale fondato sul più ferreo primato del legislativo sull’esecutivo. Completato lo sforzo resistenziale, culminato con l’ingresso trionfale a Parigi del 25 agosto 1944 e dopo aver ottenuto un posto per la Francia nel novero delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, de Gaulle aveva tentato di scardinare il parlamentarismo assoluto che dominava la Francia fin dalla nascita della III Repubblica nel 1875. Nell’ottica del Generale lo strapotere del legislativo sull’esecutivo doveva essere contrastato in primo luogo per permettere quel processo di ricostruzione e rinascita nazionale necessario dopo la dura prova della guerra, dell’invasione tedesca e del collaborazionismo di Vichy. In secondo
luogo per creare le garanzie istituzionali per impedire nel futuro una tragica abdicazione dei poteri repubblicani come quella avvenuta nel giugno del 1940, con l’Assemblea Nazionale che aveva votato i pieni poteri al Maresciallo Pétain e quest’ultimo che, pochi giorni dopo, aveva firmato l’armistizio con la Germania. Nonostante il successo personale ottenuto il 21 ottobre 1945, quando la popolazione francese era stata chiamata ad eleggere l’Assemblea Costituente con l’incarico di produrre un testo da sottoporre poi a referendum, all’interno di quella stessa Assemblea era ricomparso il cosiddetto «regime esclusivo dei partiti». Si trattava dei comunisti, dei socialisti (di ciò che rimaneva dei radicali) e della nuova formazione cristiano-democratica, tutti più o meno contrari all’idea di un regime istituzionale fondato sulla centralità dell’esecutivo, ma soprattutto tutti concordi nel considerare conclusa la parabola storica aperta dal Generale con il famoso appello da Radio Londra del 18 giugno 1940. Nonostante i ripetuti interventi pubblici nel corso del 1946 (i più emblematici a Bayeux e a Epinal)
Francia avrebbe ancora avuto bisogno del suo Generale.
E poi, venne il «maggio algerino» Il ritorno sulla scena politica del generale Charles de Gaulle, dopo dodici anni di assenza e di ritiro nella residenza di campagna di Colombey-les-DeuxEglises, è tutto racchiuso nei sedici giorni che vanno dal 13 al 29 maggio 1958, tra i più intensi della storia repubblicana francese, ma forse tra i più decisivi di quella europea. La IV Repubblica, con le sue continue crisi ministeriali e i
Il ritorno sulla scena politica del generale Charles de Gaulle, dopo dodici anni di assenza, è racchiuso nei giorni che vanno dal 13 al 29 maggio 1958 per impedire il varo di un progetto costituzionale dominato dal regime d’assemblea, il nuovo progetto di Costituzione della IV Repubblica vide la luce il 13 ottobre 1946 e per de Gaulle iniziò la lunga «traversata del deserto», o per meglio dire la fase in cui, dopo aver tentato l’opzione del partito personale antisistema (quell’Rpf vero tarlo, insieme al Pcf, della fragile IV Repubblica), egli si posizionò «in riserva della Repubblica», certo che la
suoi ventidue esecutivi in dodici anni di vita, aveva comunque permesso al Paese di uscire dall’emergenza bellica e di superare crisi anche particolarmente laceranti come la sconfitta in Indocina del 1954. L’irrompere della guerra d’Algeria, formalmente esplosa nel 1954, ma avviatasi su una fase di non ritorno nel 1956, costituì l’acceleratore definitivo per l’entrata in crisi del regime. Non a caso fu proprio in contemporanea alla richiesta di fi-
ducia all’Assemblea Nazionale da parte del centrista Pflimlin che giunsero le prime notizie di insurrezione da Algeri. Un non meglio precisato Comitato di Salute pubblica, composto da sostenitori civili e militari dell’Algeria francese, chiedeva con un telegramma indirizzato alla presidenza della Repubblica la creazione di un governo di unità nazionale in grado di mantenere l’Algeria ancorata alla madrepatria. Sull’onda di quello che a tutti gli effetti sembrava un putsch militare, l’Assemblea Nazionale votò la fiducia a Pflimlin, il quale nel tentativo di prendere tempo decise di nominare il generale Salan, al momento comandante delle forze armate francesi in Algeria, delegato generale del governo ad Algeri. Le apparenze erano salve, ma solo formalmente, dato che quello di Algeri si stava caratterizzando sempre più come un vero e proprio
contro-potere guidato da Salan, il quale due giorni dopo la sua nomina, durante un discorso pubblico, pronunciò il famoso grido «Vive de Gaulle»! La storiografia non ha ancora definitivamente chiarito quanto nel putsch di Algeri vi sia stato di indotto da ambienti vicini al Generale, le carte d’archivio su un punto sono però state chiare: il Generale aveva categoricamente rifiutato l’opzione di forza strumentalmente indotta ad Algeri che uno dei suoi più stretti collaboratori, Jacques Soustelle, gli aveva più volte proposto nel corso della primavera del 1958. Certo è che dopo il grido di Salan, il «più illustre dei francesi» era nuovamente della partita. Anche in quest’occasione, il Generale agì in maniera volutamente ambigua. Da un lato raccolse l’invito degli insorti di Algeri dichiarando di essere pronto «ad assumere i poteri della Repubblica» (15 maggio 1958). Ma dall’altro, rendendosi conto di avere bisogno di una chiara legittimazione democratica, ribadì nella conferenza
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l’obiettivo di non legarsi le mani, dimostrando peraltro di aver ben compreso che la sua chiamata alla guida del Paese doveva molto ai sostenitori dell’Algeria francese, ma perlomeno altrettanto a quella maggioranza di cittadini che vedeva in lui l’unico politico in grado di chiudere la partita algerina, scongiurando la guerra civile. Per questo motivo dopo il viaggio ad Algeri dei primi di giugno, durante il quale pronunciò la famosa frase «je vous ai compris», la questione algerina venne volutamente mantenuta sottotraccia, per affrontare la vera priorità del momento: la riforma costituzionale. L’asse portante del progetto del Generale era il discorso di Bayeux del gennaio 1946, nel quale aveva parlato di un regime fortemente centrato sul primato dell’esecutivo e sulla figura del Presidente della Repubblica. A questo approccio si aggiungevano poi le idee del fedele Michel Debré, costituzionalista affascinato dal parlamentarismo razionalizzato all’inglese. Il lavoro di stesura del nuovo testo fu affidato ad una équipe «leggera», composta da un comitato di tecnici e da un nucleo ristretto di personalità politiche formato dagli stessi de Gaulle e Debré, dal vice-Presidente del Consiglio di Stato René Cassin (vera e propria anima giuridica del gollismo di guerra) e dai quattro principali ministri politici dell’esecutivo nato il 2 giugno, Mollet, Pflimlin, Jacquinot e Houphouët-Boigny. Grazie anche all’agile struttura il lavoro fu rapido e il 4 settembre 1958 il testo era pronto per essere presentato ai francesi, nella scenografia volutamente simbolica di Place de la République (piazza storica della gauche francese) e in una data altrettanto simbolica, quel 4 settembre anniversario della proclamazione della III Repubblica alla caduta di Napoleone III. La parentesi della fallimentare IV Repubblica (1946-1958) era definitivamente chiusa e la Costituzione della nascente Quinta poteva inserirsi nel solco del repubblicanesimo transalpino. Vero asse portante del nuovo testo era il Presidente della Repubblica, che disponeva dei tre poteri chiave: il diritto di scioglimento del Parlamento, la possibilità di rivolgersi alla Nazione per mezzo del referendum e i pieni poteri in caso di grave minaccia alle istituzioni della Repubblica (art. 16, sul
modello della Costituzione di Weimar). L’impossibilità, almeno per il momento, di vincere il timore bonapartista, impedì di introdurre l’elezione diretta del Presidente, che nel testo del ’58 veniva eletto da un collegio composto da circa 80.000 elettori (parlamentari, rappresentanti dei consigli generali e municipali). Ad uscire veramente sconfitto era il Parlamento, per la prima volta nella storia repubblicana costretto a rinunciare alla sua onnipotenza, stretto com’era tra le due tenaglie dell’esecutivo, rappresentate dal Presidente della Repubblica e dal suo Primo ministro. Il sistema, un ibrido tra il presidenzialismo e il parlamentarsimo razionalizzato all’inglese, pur centrato sulla figura del Presidente della Repubblica, manteneva il suo carattere parlamentare, considerata la responsabilità del governo di fronte alle camere. Come affermò il Gela nerale: struttura era equilibrata, molto nella sua evoluzione sarebbe dipeso dagli uomini che di volta in volta avrebbero incarnato il ruolo presidenziale. Il successivo referendum del 28 settembre 1958 fu un vero trionfo per il Generale e per il suo progetto costituzionale. Circa l’80% dei francesi rispose «sì» alla chiamata dell’uomo del 18 giugno ’40 e tra le forze politiche solo i comunisti si opposero, scoprendo però di aver perso per strada circa un milione di elettori, convinti dalla proposta costituzionale gollista. Confrontata alla Costituzione del 1946, quella del 1958 aveva ricevuto un sostegno perlomeno doppio. Le elezioni legislative del novembre successivo e la scontata elezione alla presidenza del Generale del 21 dicembre 1958 chiusero il cerchio della «rivoluzione» apertasi il 13 maggio. C’era ancora molta strada da percorrere sia nella questione algerina che nell’evoluzione delle istituzioni della V Repubblica, basti pensare al passaggio all’elezione diretta del Presidente dopo la riforma del 1962 e alla prima decisiva elezione del 1965, con l’inatteso ballottaggio tra de Gaulle e Mitterrand. Un dato era però chiaro: la Francia, sul ciglio della guerra civile, si trovava sei mesi dopo con una struttura costituzionale delle più stabili del panorama europeo. E tutto, ancora una volta, grazie all’intervento provvidenziale del «più illustre dei francesi».
Il referendum del 28 settembre 1958 fu un vero trionfo: l’80% dei francesi rispose «sì» e tra i partiti solo i comunisti si opposero
stampa del 19 maggio la sua totale professione di fede repubblicana (per altro ben ancorata al suo passato resistenziale) e concluse con la famosa domanda: «credete davvero che abbia intenzione di iniziare una carriera da dittatore a 67 anni?» Con la metropoli in preda al panico dopo le notizie confuse del presunto avvio di un’operazione militare di invasione di Parigi, la cosiddetta operazione «Resurrezione», e l’aviosbarco in Corsica di una compagnia di paracadutisti provenienti dall’Algeria, de Gaulle decise di rompere gli indugi. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio egli incontrò il Presidente del Consiglio Pflimlin e, pur non essendo giunti a nessun risultato, il giorno successivo decise di rilasciare un comunicato pubblico con il quale affermava di aver avviato le procedure di formazione di un governo repubblicano per garantire «l’unità e l’indipendenza del Paese». La IV Repubblica e il suo «regime dei partiti» erano a questo punto con le spalle al muro. Pflimlin rassegnò le dimissioni e
il Presidente della Repubblica Coty, il 29 maggio, dopo averle accettate, si rivolse al Parlamento annunciando che avrebbe chiamato l’uomo del 18 giugno ’40, «il più illustre dei francesi», a formare un nuovo governo. E aggiunse anche che un eventuale «no» dell’Assemblea Nazionale avrebbe comportato le sue dimissioni, con la Repubblica a quel punto destinata a restare senza governo e senza Presidente. Il cerchio era chiuso. In poco più di due settimane de Gaulle era passato dalla «riserva della Repubblica» ad ancora di salvezza del regime democratico. Il Generale formò in tre giorni un esecutivo molto poco «gollista» (tra i fedelissimi solo Michel Debré e lo scrittore André Malraux), al contrario quasi completamente composto di personalità dell’oramai moribondo regime della IV Repubblica (tra gli altri lo stesso Pflimlin, il socialista Mollet e l’indipendente Pinay) e per nulla aperto ai sostenitori dell’Algeria francese (Soustelle e Bidault). Questo gli garantì un sostegno massiccio dell’Assem-
blea Nazionale (votarono contro solo i comunisti, parte dei socialisti e personalità illustri quali Pierre Mendès-France e François Mitterrand, strenuo oppositore del regime gollista che nel 1964 arriverà a definire in un famoso pamphlet, un «colpo di stato permanente»). Il 2 giugno ottenne i pieni poteri per sei mesi e il mandato per redigere una nuova Costituzione, da ratificare poi per via referendaria. Dodici anni dopo le evocative parole pronunciate davanti all’Assemblea Nazionale, il Paese aveva nuovamente avuto bisogno del «suo Generale», che questa volta sarebbe riuscito a portare a termine anche il suo progetto di modifica del sistema istituzionale francese.
Novanta giorni per una Costituzione Nonostante la gerarchia delle priorità immediatamente avanzata, (cioè Algeria, problemi finanziari e nuova Costituzione), ben presto il Generale impose una diversa direzione agli eventi. Sull’Algeria si mantenne volutamente ambiguo, con
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speciale educazione
Socrate
Si moltiplicano episodi di bullismo filmati e immessi nella rete e aumentano i consumi di droghe pesanti. È ora di parlarne senza veli ideologici
STUDENTI ITALIANI: LA PEGGIO GIOVENTÙ? colloquio con Marzio Barbagli di Irene Trentin
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ermi nelle classi e nei corridoi di un liceo romano, adolescenti viterbesi che bruciano i capelli a un loro coetaneo, baby gang che terrorizzano anziani e fanno sesso in una chiesa di Firenze. Fino al pestaggio in cui ha perso la vita un ventinovenne di Verona. Ma per Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna, non è una società più violenta: «Bisogna ricorrere al modello americano – spiega – gratificando chi si comporta bene più che punire chi sbaglia, col rischio di emarginarlo. In questo modo si spingono anche gli altri compagni a imitare i comportamenti virtuosi». Ci troviamo di fronte a un’emergenza sociale? Bisogna distinguere innanzitutto tra casi come quello dell’omicidio di Verona, che rientra tra i reati gravi, di criminalità, con dinamiche diverse e magari personalità disturbate, e atti di vandalismo o bullismo, che ci sono sempre stati. Non è vero che la società attuale sia più violenta rispetto al passato, siamo nella media degli altri Paesi europei. Nel secolo scor-
di sopraffazione? Sono riti di passaggio all’età adulta, che fanno parte della storia della nostra umanità, in cui un maschio deve, secondo la propria intenzione, dimostrare che vale perché è coraggioso, forte, non importa se in un rapporto di disparità di un gruppo contro un singolo. Si verificavano atti di nonnismo, ad esempio, nelle università del 1200, 1400 a scapito delle matricole, nell’esercito si arrivava addirittura ad atti gravi come la sodomia. E tutto sommato erano accettati come un pegno da pagare per essere accettati come uomini. Qual è l’età più a rischio? Quella dei maschi tra i 15 e i 26 anni, col passaggio dalla famiglia di origine, che a questa età tende a rallentare il controllo sui propri figli, al mondo adulto, con la conquista di una certa indipendenza.
Piuttosto che punire chi sbaglia, si premi chi si comporta bene so, ad esempio, il tasso di omicidi o rapine era dieci, venti volte più elevato. Purtroppo per i casi di bullismo non esistono dati ufficiali, ma escluderei il rischio di una recrudescenza. Semmai è aumentata la risonanza tramite i media. Cosa spinge un ragazzo normale, magari di famiglia benestante, a un atto
Chi commette atti di bullismo è un soggetto a rischio? Sono molti gli adolescenti che compiono anche soltanto una violazione per dimostrare il proprio valore. La maggior parte di loro poi diventano adulti con una vita normale, addirittura cittadini modello. Poi c’è una piccola parte di ra-
gazzi a rischio, con personalità disturbata, fragili e immaturi, incapaci di controllare le proprie emozioni. Su questi va posta la massima attenzione fin da piccoli, stando ben attenti a non emarginarli.
Chi si deve assumere la responsabilità di un ruolo educativo? Il compito educativo è prima di tutto delle famiglie: bisogna insegnare ai bambini a controllare la propria aggressività, ma
Come individuarli? Sono stati fatti esperimenti di prevenzione in Paesi come Canada, Francia e Gran Bretagna, su piccoli gruppi. Psicologi e assistenti sociali cercano di individuare i ragazzi a rischio lavorando con le famiglie d’origine, spesso in conflitto con i propri figli. Il metodo educativo è quello di far integrare questi ragazzi nella scuola e nella società. Ma si tratta di progetti difficilmente realizzabili su larga scala. Il fatto che l’uso dei videotelefonini tenda a documentare questi episodi può far aumentare l’effetto emulazione? Il fatto che se ne parli di più non significa necessariamente che questi episodi siano più diffusi. Semmai si arriva prima a individuare i responsabili di queste azioni.
questo diventa difficile se si tratta di una famiglia con forti disagi alle spalle, incapace di rappresentare un modello autorevole per i figli. Se un ragazzo conserva un legame forte con i genitori, avrà più difficoltà a violare le regole perché sa di rischiare di perdere la loro fiducia. Allo stesso modo nella scuola, se incontrerà insegnanti carismatici che incutono rispetto. Come fare per favorire il processo d’integrazione? Servono progetti di collaborazione tra istituzioni, scuole e famiglie, con l’aiuto di psicologi e assistenti sociali, per i casi più gravi. Il problema però rimane quello delle risorse economiche piuttosto elevate per un intervento diffuso su tutto il territorio. Meglio essere severi o perdonisti?
Le sanzioni e le punizioni ci devono essere ma in funzione rieducativa.Va bene, quindi, allontanare un ragazzo dalla scuola quando serve, ma attenzione a come lo si accoglie al suo rientro. Il presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani ha chiesto di sanzionare i genitori indifferenti, è d’accordo? In base a quali criteri si possono individuare le responsabilità dei genitori? Meglio un intervento che tenda a responsabilizzarli. C’è chi propone ai ragazzi premi in cambio di azioni di solidarietà. È quello che da sempre fanno gli insegnanti a scuola, con i premi o le sanzioni. Ma è meglio un progetto globale in cui s’insegna il valore della vita e il rispetto degli altri, più che ricorrere a singoli espedienti. Quale pensa sia la proposta educativa migliore? Quella adottata nelle scuole degli Stati Uniti, dove più che punire un ragazzo per aver sbagliato, in un’età critica in cui si rischia di spingerlo sulla strada dell’emarginazione, si preferisce premiare chi si comporta bene o si impegna di più, anche se non arriva a risultati eccellenti. Faccio un esempio: se uno studente non studia e sbaglia il compito, anziché dargli tre o quattro, gli si dà la sufficienza, aumentando però i voti di tutti gli altri compagni. È un metodo che sta dando ottimi risultati: gratificando chi si comporta bene, si spingono anche gli altri compagni ad emularlo.
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e abbiamo viste volteggiare come stripper nei bagni, prendere a sberle e calci le proprie coetanee come in un trash movie tarantiniano, esibire le loro prodezze sessuali in video ispirati a Paris Hilton. I maschietti hanno scelto invece di farsi immortalare in blitz contro professori e disabili, in risse da pollaio e opere demolitorie d’ogni genere, mentre sghignazzano di deboli ed emarginati come su un set perenne ispirato ad Arancia Meccanica. Fondata su un machismo d’accatto a metà fra Corona e un legal thriller americano, tormentata da sogni di veline e reucci della mala, subissata da un immaginario mediocre e violento e da una realtà se possibile più sordida, la peggio gioventù italiana ha ormai compiuto nelle aule scolastiche un autentico rovesciamento dei ruoli. L’insegnante non rappresenta più per gli studenti un mediatore di conoscenze e stili di vita improntati allo sviluppo di una coscienza critica, ma soltanto un buffo pagliaccio che vocifera senza costrutto dinanzi ai loro occhi smaliziati.
Arroganza, soldi facili, modelli delinquenziali e vincenti, strapotere del business e del raggiro di cui pullulano i nostri programmi televisivi, si sono saldati a perfezione con il proscenio dell’Italia del secondo millennio, consegnata a nani, ballerine e furbetti di un quartierino sempre più fetido e degradato. Quando molti dei nostri studenti si presentano a scuola, non hanno più nulla da imparare. In una singolare inversione del motto pedagogi-
Breve cronistoria di due anni di soprusi on line
Piccoli orrori tra amici di Francesco Lo Dico co arendtiano, i bulli spiegano a professori e compagni meno avvezzi alla realtà, il mondo in cui sono piombati.
A volere ripercorrere la storia recente del bullismo, vero spin off casalingo di molti format televisivi, bisogna ritornare al 12 novembre del 2006. Alla voce “video divertenti”di YouTube fanno capolino 4 studenti di un istituto tecnico di Grugliasco, periferia di Torino, che umiliano un loro compagno di scuola portatore di handicap. Ne seguono sconcerto e indignazione, e nel volgere di pochi giorni il bullismo diventa una sezione di cronaca su tutti i giornali. Il circo dei bulli si sposta il 22 novembre a Bressanone, dove un insegnante di religione di scuola media viene colpito più volte ai genitali da un allievo. A dicembre irrompono in rete i video hot di due sedicenni di Molfetta. Una consenziente, che si lascia palpare i seni dai compagni. L’altra, spiata da un videofonino, nell’atto di consumare un rapporto ses-
suale in una cabina. Il 2007 si apre con una variante del bowling. Alcuni ragazzi di una scuola di Cusano, impilano alcune sedie nel tentativo di fare strike con quelle rimaste libere. Video in rete e grasse risate. Si diverte un po’ meno Pietro Mastrota, professore di inglese, il 7 febbraio.Viene accolto nella scuola torinese di San Viviano da tre studenti marocchini che lo picchiano. Sembra divertirsi invece Madame Web, insegnante di matematica a Monteroni. Un video la ritrae poco reattiva, mentre tre allievi le palpeggiano il sedere. Di nuovo scenario piemontese per la tragedia di Matteo. Ha sedici anni, ed è uno studente modello della II B dell’ Istituto Tecnico Commerciale Sommellier. I compagni lo deridono da tempo perché a loro modo di vedere è gay. È il 6 aprile. Matteo scrive un biglietto in cui spiega di sentirsi emarginato e si lancia nel vuoto. Il 31 ottobre aggiunge ai bulli anche le pupe. In una scuola nel cuore dei Parioli, Elena ed Elisabetta,
vengono aggredite da una task force di sei compagne inferocite.
Novembre replica lo spettacolo dell’anno precedente. Si torna a Lecce, dove un ragazzo down, ripreso, viene costretto a denudarsi e masturbarsi di fronte ai compagni. La corsa all’Oscar per l’orrore, aggiunge a quella del peggior video, la peggior fotografia. È metà novembre. A contendersi il primato, i giovani studenti di una scuola modenese. Assistono alla morte di una ragazza, uccisa da un autobus, e accorrono sulla scena a fotografarla. Il 9 febbraio una studentessa della Valconca viene filmata legata a un palo mentre viene ricoperta di escrementi. Video su YouTube, in marzo, anche nel caso di Alberto Burchielli, 57 anni, professore di ginnastica. Fuma in classe quello che pare uno spinello, ma è una semplice sigaretta. Altro caso di bullismo al femminile in un isituto tecnico del modenese, ad aprile. Tra gli ultimi episodi della serie, va invece citato quello dell’8 maggio. La chioma di un quindicenne del viterbese viene data alle fiamme tra le risa degli aguzzini. Si parla di rito iniziatico neonazista. Sembra piuttosto un infinito finale di partita. Gli esperti, sovente buonisti, parlano di loro come dei ragazzi della via Pal. Ma questo luogo dell’anima mancante, ipertecnologico e gonfio di rabbia, che è il bullismo, è semmai quello indicato da Ennio Flaiano. «Fra 30 anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi – disse un giorno – ma come l’avrà fatta la Tv». Ancora non conosceva i poteri dell’interattività.
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speciale educazione
Socrate
Federica Angeli ed Emilio Radice raccolgono in un libro inchiesta le testimonianze di ragazzi romani
Coca, una generazione in polvere di Pier Mario Fasanotti a città è Roma, sia centro che periferia. Ma potrebbe essere Milano,Torino, Bologna, eccetera. E in ogni città, dopo aver letto l’inchiesta che due giornalisti hanno tramutato in libro, la domanda è una sola: ma che generazione abbiamo messo al mondo? Sì, d’accordo, non bisogna generalizzare, i bravi ragazzi sono tanti, anzi sono la maggior parte. Ma resta il fatto che molti di loro, troppi, troppi sul serio, si fanno di coca –“pippano”è il termine giovanile – con la stessa leggerezza di chi, nato dal ’50 al ’70, fumava Marlboro o Gauloise nei gabinetti della scuola, per strada, alle feste, una dopo l’altra. La si chiama in tanti modi diversi: neve, polvere di stelle, polvere d’angelo, barella, merce, bamba, dinamite. In vena, fumandola, masticandone le foglie. Ormai si comincia anche a 12 anni. Ridicolo fare giri di parole. Una soltanto vale: allarme.
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Federica Angeli ed Emilio Radice hanno scritto Cocaparty (Bompiani, 163 pagine,13 euro). È una serie di testimonianze, di racconti che stupiscono per il tono di normalità di cui sono carichi. A parlare è una generazione che usa la polvere per “avere energia”, per vincere la timidezza, per allontanarsi da quel tugurio morale che spesso è la famiglia, o quel che resta della famiglia. Un uso che è dettato dalla superficialità, dall’imitazione, dal desiderio di “essere
all’altezza”. Attenzione signori della psicologia e della medicina che spesso, a quanto pare, capite poco: molte volte è una scemenza socializzare, cercare l’immancabile trauma infantile, il disagio esistenziale. Dice un quindicenne con un candore che fa paura: «Tutti credono ancora che solo chi ha problemi fa uso di droga, l’idea che io possa farmi di coca non sfiora nessuno». Lo stesso ragazzo, più volte ricoverato per “tachicardia parossistica” – cuore che
«Tutti credono ancora che faccia uso di droga solo chi ha problemi familiari» batte all’impazzata – è orgoglioso di aver imbrogliato cardiologi, endocrinologi e terapeuti. Addirittura un camice da duecento euro alla mezz’ora ipotizzava disturbi alla tiroide. Quelli che capivano davvero erano gli infermieri del pronto soccorso. Uno degli ultimi suoi tracolli è avvenuto quando la madre, che lavora in Parlamento, era alle Maldive con il secondo marito. Le madri: apprensive ce ne sono tante, ma preferiscono delegare ai grandi esperti dell’anima: scatta in loro il senso di colpa, allora coccolano con soldi e abiti grif-
fati il figlio fuori di testa credendo sia“carenza d’affetto”. E il ragazzino usa quei soldi per arrotolare dieci euro e“tirare una pista”dietro l’altra. E alla coca si aggiunge l’alcol, le canne, le corse in moto o in macchina, il sesso orgiastico che finisce nei telefonini e nei siti web. Tutti a filmare i due che hanno un rapporto intimo su un divano. Il sesso è gara, divertimento per gli altri, tracima dall’individualità. Incoraggiamento da stadio:«Cinzia, sei meglio di Paris Hilton». Il suo partner l’ha vista sul pc (pagando, s’intende), e la cosa non gli piace.
Francesca, un’amica di 14 anni: «’Mbè, che c’è di male? Almeno si diverte…Ma mica ci sei rimasto male? Che, ti eri innamorato?».
Gli autori del libro-inchiesta hanno fatto il giro dei locali della Roma di notte, da piazza Navona a Campo dei Fiori, tra i tavoli dei wine-bar, dei pub, delle discoteche. E pure vicino ai casermoni della periferia. Hanno chiesto la coca, imbrigliati nella goffaggine di non essere padroni di un gergo. «Mai nessuno che si scandalizzasse – riferiscono – a volte siamo stati spudorati e abbiamo chiesto cocaina direttamente al banco». Basta chiedere, poi si ottiene. Il ministro degli Interni Amato ha lanciato l’allarme per la droga sudamericana, che arriva a quintalate sotto il controllo della ‘Ndrangheta ( i siciliani pare siano in ginocchio). Le forze
LETTERA DA UN PROFESSORE
PROF, SI TORNI AL VECCHIO CONCORSO di Giancristiano Desiderio e cose buone della scuola italiana sono quelle che non ci sono più. Esempi: gli esami a settembre, il compito di italiano, il concorso per diventare docenti. Parliamo del concorso che non c’è più, visto che l’altra volta abbiamo parlato della“impossibilità”di insegnare ad insegnare. Una volta per diventare professori si doveva partecipare e superare un pubblico concorso. Se volevi insegnare latino e greco dovevi romperti la testa sui libri, sui dizionari e dimostrare di saper essere non solo un buon“traduttor dei traduttor d’Omero”, ma anche di Omero stesso. Volevi insegnare filosofia? Allora dovevi leggere i classici e non i manuali che parlano dei classici e all’esame non dovevi parlare per sentito dire ma dopo aver “conversato” con Platone, Aristotele, Kant, Hegel. Insomma, si doveva studiare e dimostrare sia allo scritto
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sia all’orale di averlo fatto. Quando è stato fatto l’ultimo concorso per diventare professori? Nel 2001. Poi è venuto il tempo delle Siss, il concorso è diventato corso e gli aspiranti professori hanno pagato altri professori per diventare professori. Risultato? Lasciamo perdere. Facciamo invece un’altra riflessione. I docenti che sono in cattedra - non tutti, naturalmente - non hanno fatto un concorso ossia un esame ma devono giudicare degli alunni che alla fine del loro corso di studi faranno un esame di maturità. Un totale controsenso. Gli alunni potrebbero dire: “Ma quale esame, vogliamo anche noi un corso a pagamento e già che ci siamo lo deve pagare lo Stato”. Non resta altro da fare che ritornare al caro, vecchio e buon concorso pubblico (almeno fino a quando in Italia esisterà quella strana cosa che si chiama“monopolio statale dell’istruzio-
ne”). Che il concorso sia serio, rigoroso, scrupoloso e si avranno così docenti che potranno legittimamente pretendere dai loro alunni serietà, rigore e scrupolo negli studi. Un docente preparato non sarà garanzia di buon insegnante, ma un docente impreparato è garanzia di pessimo insegnante. La preparazione non è sufficiente per ben insegnare, ma è senz’altro necessaria. Il docente preparato avrà più risorse, più frecce al suo arco e avrà maggiori possibilità di riuscire a catturare l’interesse dei suoi allievi. Un docente impreparato non saprà dove mettere le mani, non riuscirà ad intrattenere in modo intelligente, educativo e “simpatico”gli alunni. Il concorso per esami era un buon modo per accedere all’insegnamento. Gentile signora ministra, coraggio, migliori un po’ la scuola: ripristini il caro, vecchio concorso pubblico.
dell’ordine sono in allarme. Ma le famiglie dei ragazzini drogati non sussultano leggendo i giornali, se li leggono. Una volta si credeva che la “neve”fosse prerogativa di manager con ossessione carrieristica. Oggi è anche del sedicenne che vuole fare lo spiritoso in classe, smettere di essere smorto e finalmente notato dalle compagne e rispettato dai soliti duri del liceo. Ormai esiste un mondo parallelo che aspira “la polvere di stelle”. Sono gruppi di adolescenti ai quali il mondo non importa niente “perché il mondo sono loro e basta”. La cocaina fa saltare il muro di una comunicazione che altrimenti sarebbe difficile, annotano quelli dell’inchiesta. Ci sono poi ragazze che, dopo l’onda lunga di tanti “sballi”, s’inorgogliscono definendosi “mignotte”. Pare che questo sia diventato un titolo di emancipazione, una laurea sociale o comportamentale: l’intimità non è più un valore, semmai una merce da vendere attraverso la webcam.
«La cocaina – si legge nel libro – viene utilizzata per bruciarsi l’anima, per togliersi dal petto questa scomoda inquilina che altrimenti prende il nome di vergogna, di inadeguatezza, di amore o di malinconia…sentimenti di scarso prestigio tra i giovani di oggi». Si comincia presto a sniffare, ma anche a spacciare. Manolo è diventato baby-pusher. Il padre è scappato con una ragazzetta, la madre con l’amico dell’amica, il fratello in galera per droga. Ha imparato in fretta, con in testa l’idea di un attico in centro e una Ferrari. Ha iniziato ad alzarsi alle sei, si è appostato davanti ai licei-bene di Roma. Facile, tutto facile. Dopo alcune settimane il suo cellulare era intasato di chiamate. Il marchio comune è credere di potere fare tutto. Una psicologa americana, Jean M.Twenge, parla di “Generation me”(che è anche il titolo di un libro pubblicato dalla Excelsior 1881, casa editrice milanese. E aggiunge di non vedere alcun segnale di attaccamento al senso del dovere o alla coesione col gruppo. Pongono in primo piano i propri bisogni, si concentrano sullo stare bene con se stessi. Seguono la moda, vogliono piacere, adorano le cose. Un editorialista del Time ha parlato di “onde ambrate dell’autostima”. I ragazzini della ”Generation me”si credono infallibili. La coca è la benzina necessaria per questi motori senz’anima.
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Albert Bandura
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crivendo assieme a Valentina Gizzonio un dossier sul bullismo, per la rivista Educational (n. 19 del 2005), Riccardo Lancellotti ne ha così sintetizzato l’identikit: il bullismo «definisce un insieme di comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo, perpetrati da un individuo (o da un gruppo di invididui) nei confronti di altri individui più deboli. Rientrano dunque nel bullismo le violenze fisiche, ma anche le pressioni psicologiche o le maldicenze [...] che possono essere rivolte contro soggetti più deboli per caratteristiche personali (timidi, disabili) o socioculturali (minoranze etniche)». Gli studiosi del settore, come, ad esempio, S. Sharp, P.K. Smith, A. Fonzi, D. Olweus, hanno dato particolare risalto al modo reiterativo con cui il bullo perseguita e maltratta la sua vittima: la reiterazione, in verità, è il carattere più nefando e micidiale del bullismo, poiché innesca un circolo di violenza, difficile da spezzare, anche per la involontaria omertà della vittima. Il bullismo ha un nome recente ma un cuore antico. Nasce, potremmo dire, con il formarsi dei primi nuclei sociali, dando retta, così, a J. Favez-Boutonnier. Il quale sostiene che «l’atto criminoso assume il suo significato solo all’interno e ad opera del contesto sociale». Infatti, «è agli altri che il delinquente chiede, mediante l’odio e l’aggressione, di dare un senso alla sua esistenza, allo stesso modo in cui l’uomo “normale” lo chiede mediante la simpatia e l’amore»: così riporta il saggio di Jacques Selosse, Contributo della psicologia allo studio della delinquenza, nel Trattato di psicologia applicata, a cura di Maurice Reuchlin (vol. IX, Roma 1974).
Comunque, per dare uno sguardo al bullismo d’altri tempi, io non tenterò un lungo viaggio nel passato. Mi limiterò al salto di qualche secolo, per andare a sbirciare dentro i due libri più venduti della nostra letteratura per l’infanzia: Le avventure di Pinocchio (1883) di C. Collodi e Cuore (1886) di Edmondo De Amicis. Pinocchio lo scopriamo nel ruolo di vittima, perché è un burattino, cioè un “diverso”: quando gli altri alunni lo vedono arrivare a scuola, nasce «una risata che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro; chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll’inchiostro due grandi baffi sotto il naso, e chi si attentava perfino a legargli dei
Fra teoria e prassi
Anna Oliverio Ferraris
Insegnanti e genitori possono aiutarli solo con l’esempio
«Bisogna sentire con il loro cuore» di Giuseppe Lisciani André Gorresio e Grazia Honegger Fresco, che ebbero consuetudine di lavoro e di esperienza e di idee con Maria Montessori: «È violenza quella del genitore che vuol avere ragione “per forza”, solo perché adulto, ed è violenza non meno sgradevole quella imposta dall’affetto possessivo che impedisce ai figli di avere amici, iniziative, idee». Anzi, «è proprio la lotta tra l’adulto e il bambino la prima e più tragica scuola di violenza che questi riceve» (Questi nostri bambini, Roma 19743).
La psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris, in un recente volume (Piccoli bulli crescono, Rizzoli 2007) sostiene che la famiglia può fare molto per contenere e guidare un bambino impulsivo/aggressivo. A patto, però, di non sovrapporsi a lui, di non sovrastarlo, ma anzi creandogli intorno un “ambiente supportante” e incanalando la sua carica di aggressività verso obiettivi costruttivi. Anche la scuola – dice Anna Oliverio Ferraris – può fare molto per aiutare i ragazzi a controllare i propri impulsi e a riconoscere i limiti oltre i quali non devono spingersi. Ma, per far questo, un insegnante deve innanzitutto saper decodificare i fenomeni di bullismo, evidenziandone la struttura. Deve poter riconoscere i ruoli giocati dai protagonisti: ad esempio, Anna Baldry, oltre al bullo e alla vittima, indica il testimone, che incoraggia il bullo, ma finge estraneità ai fatti; la spia, che non interviene, ma cerca qualcuno che aiuti la vittima; il sostenitore della vittima, che interviene in difesa. L’insegnante in possesso di que-
La scuola di violenza comincia con la lotta fra adulto e bambino fili ai piedi e alle mani per farlo ballare». Entrando poi nelle pagine di Cuore, incontri Franti, il personaggio bullo, che prende in giro il compagno «con il braccio morto» o che sorride quando il Direttore gli ricorda quanto dolore dà alla madre. « – Franti, tu uccidi tua madre! – Tutti si voltarono a guardar Franti. E quell’infame sorrise». Ma cosa possono fare la famiglia e la scuola per questi “ragazzi infami” che sorridono? I genitori dovrebbero innanzitutto imparare a conoscere il proprio modo subdolo e sottile di essere violenti. Dicono Giulia
Libreria
Competenza o conoscenza?
ste cognizioni potrebbe applicare quello che Anna Oliverio Ferraris, nel libro già citato sopra, suggerisce come uno dei metodi più efficaci a scuola: il metodo dell’«interesse condiviso», messo a punto da Anatol Pikas e basato su una serie di colloqui individuali e di gruppo.
Sì, metodi di intervento nella famiglia e nella scuola ne sono suggeriti tanti. Sui quali, tuttavia, ho molta curiosità intellettuale e poca fiducia pratica. A ben rifletterci, mi sembrano troppo analitici per intervenire in dinamiche così complesse e totalizzanti, analitici al punto da rischiare la frammentarietà e perciò anche l’inefficacia. Credo, comunque, che esista la possibilità di un gesto educativo sintetico e capace di successo. È basato sulla nozione di “autoefficacia” (self-efficacy) descritta dallo psicologo canadese Albert Bandura nel volume Autoefficacia. Teorie e applicazioni (Erickson, 2000). L’autoefficacia deve essere percepita e consiste nella certezza di portare a compimento le proprie imprese (educative, in questo caso). Consiste, insomma, nella fiducia sulla propria capacità di successo. Genitori e insegnanti, muniti di questo “senso di autoefficacia” e ciascuno per il proprio ruolo, debbono immedesimarsi nel problema del ragazzo-bullo, fronteggiare con lui la situazione, guardare il mondo con gli stessi occhi, sentire con lo stesso cuore e con lo stesso sangue: debbono compiere un atto di “insight-empatia”. Di fatto, essi applicheranno così il metodo dell’educazione attraverso l’esempio, il metodo dei grandi educatori. Saranno essi stessi l’esempio. Esempio di autoefficacia. Cioè di forza propria. Cioè di forza interiore. Non di forza cercata attraverso la violenza sugli altri.
Il termine “competenza” è penetrato nel nostro linguaggio quotidiano fino a rappresentare un passaggio quasi obbligato per chiunque voglia affrontare i temi del mondo del lavoro, dell’educazione e della formazione. Con l’uso di questo termine viene messa in discussione la tradizionale cultura scolastica, intendendo superare la “separazione tra teoria e prassi” e recuperando “forme spontanee di apprendimento” che attingono all’esperienza come fonte di sapere. Si mette in crisi, cioè, il tradizionale rapporto con la conoscenza e l’apprendimento ma, tuttavia, non si riesce ancora a prospettare orientamenti chiaramente definiti e consolidati. Spesso al termine “competenza” viene attribuito un potere taumaturgico capace di risolvere tutti i problemi indotti dalla modernità sui sistemi educativi e formativi. Esso viene impiegato con significati talmente mobili e controversi da «costituire più occasione di confusioni che di chiarificazioni». Il testo di Cegolon è il frutto di una ricerca tesa a indagare il rapporto tra competenze personali maturate nei percorsi universitari e quelle richieste dal mondo del lavoro. È vero che le competenze professionali non sono insegnabili in percorsi formali, ma si possono promuovere soltanto in situazione di compito reale? Come si giustifica l’enfasi diffusa sulla necessità di passare da un sistema formativo centrato sulle “conoscenze” (sapere) e sulle “abilità” (saper fare) ad un sistema formativo centrato sulle “competenze”? Si tratta di interrogativi a cui si ha l’obbligo di dare delle risposte sensate. Risposte che l’autore considera una condizione preliminare in questo campo di ricerca. Lo scopo del testo non è, tuttavia, quello di «fornire la risposta risolutiva e definitiva», ma quello di tracciare un percorso che mette in luce i punti di forza e di debolezza di una ricerca ancora largamente in fieri. Andrea Cegolon Competenza, dalla performance alla persona competente Rubettino 2008
a cura di Domenico Sugamiele
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economia In basso, Gianni Rinaldini. Il leader della Fiom si presenta alla Conferenza nazionale di Cervia come “sospeso”. Dovrà fare quadrato in un’organizzazione che perde consensi nelle fabbriche per le aperture della Cgil alla riforma dei contratti e che è priva di una sponda politica dopo il fallimento della Sinistra Arcobaleno alle ultime elezioni
Riforma dei contratti e rapporti (conflittuali) con la Cgil: si apre oggi a Cervia la Conferenza della sigla dei metalmeccanici
Fiom, sindacato autonomo da Epifani di Vincenzo Bacarani
ROMA. Si preannuncia vivace, se non di più, la Conferenza nazionale di organizzazione della Fiom-Cgil in programma oggi e domani a Cervia. E non soltanto per la presenza del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Conferenza che giunge pochi giorni dopo il testo sulla riforma contrattuale approvato unitariamente dalle tre confederazioni: da Cisl e Uil con soddisfazione e dalla Cgil con soddisfazione mista a rassegnazione e qualche mal di pancia. E non ci saranno soltanto i contratti a tenere banco.
Si inizierà con la sospensione di sei mesi decretata dalla commissione di garanzia della Cgil lombarda nei confronti della segretaria Fiom di Milano, Maria Sciancati, a causa di un direttivo svoltosi nel febbraio dell’anno scorso – sul rinnovo contrattuale di categoria - a cui partecipò un delegato espulso dall’organizzazione. Un direttivo, peraltro, da cui sarebbe emersa la volontà di fare della Fiom un sindacato autonomo rispetto alla Cgil. Questa “sentenza” è arrivata a scoppio molto ritardato rispetto ai fatti, ma giunge in una fase sindacale caratterizzata da tensioni e cambiamenti. La questione potrà anche apparire secondaria, ma è di sostanza perché legata strettamente al futuro stesso dell’organizzazione dei metalmeccanici della Cgil.
Non a caso ha adottato un’importante e dura presa di posizione il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini. Il quale ha detto che «se verrà confermata la sospensione della segretaria Sciancati, anch’io mi riterrò sospeso dalla Cgil». Un annuncio di dimissioni? Molto improbabile, anche perché Rinaldini gode all’interno di quasi tutta l’organizzazione di grande stima. Piuttosto è un atto di forza da lui ritenuto necessario per ricompattare una Fiom recentemente stretta tra la morsa di
Non meno conflittuali i rapporti con gli altri due sindacati confederali: Fim-Cisl e Uilm. Rapporti difficili che spesso hanno portato in passato alla firma di accordi separati.
Le tute blu sono sempre più insofferenti per l’attendismo di Corso d’Italia e temono tentativi di “commissariamento” dopo la sospensione dei delegati di Milano. Così ritorna in auge l’ipotesi di un soggetto più slegato dalla Confederazione una Cgil sempre più normalizzatrice e di una fuga in avanti (o all’indietro?) della base che, non sapendo realmente dove andare, preferisce rifugiarsi in Fim, Uilm e addirittura Fismic e votare Lega alle Politiche. Una crisi, se vogliamo, riflessa a specchio su quella della Sinistra Arcobaleno, cui la maggioranza della dirigenza Fiom ha fatto recentemente riferimento. Un errore politico, quello di andare a braccetto con Rifondazione and company, il cui prezzo da pagare potrebbe essere presentato a breve.
La presenza di Epifani alla conferenza nazionale, se è sostanzialmente un atto dovuto, implica per la Cgil oggi più che mai una riflessione sull’ormai annosa questione dei suoi rapporti con la Fiom. Ultimamente sempre più conflittuali e di fatto precipitati nella data dell’accordo sul welfare del luglio dell’anno scorso. In quell’occasione Rinaldini e la maggioranza Fiom, dopo mesi e mesi di ricercato equilibrismi, espressero la loro contrarietà alla firma. Oggi Epifani potrebbe cercare
di riannodare le fila, cercando così di congelare la situazione in attesa di non meglio precisate soluzioni: forse un ricambio morbido alla guida della Fiom con una leadership meno irrequieta nei confronti della Cgil e tuttavia gradita all’interno dell’organizzazione. Ma resterà irrisolta sul tavolo la questione della riforma contrattuale, sulla quale i metalmeccanici si sono già espressi in maniera negativa. Il futuro della Fiom si gioca però anche sul tavolo delle rappresentanze sindacali unitarie, che in Fiat appaiono sostanzialmente in crisi, se si fa eccezione per le recenti elezioni agli Enti Centrali di Mirafiori (solo 600 operai, la maggioranza impiegati e quadri), dove l’organizzazione vicina alla Cgil ha compiuto un piccolo passo in avanti.
I segretari generali Giorgio Caprioli (Fim) e Antonino Regazzi (Uilm) interverranno a Cervia anche per fare il punto su una situazione che di unitario finora ha ben poco. Come se non bastasse, all’interno di Cgil e Fiom c’è la sinistra massimalista che fa riferimento a Rete 28 aprile, a cui il suo leader Giorgio Cremaschi, segretario nazionale dell’organizzazione dei metalmeccanici, ha impresso un’accelerazione consistente chiedendo più volte un congresso straordinario della Cgil per poter eleggere un nuovo segretario con un nuovo gruppo dirigente. «Se penso», dice Cremaschi, «che lo slogan dell’ultimo congresso era stato “Patto di legislatura con Prodi” viene da ridere». L’appuntamento di oggi e domani a Cervia è «molto importante», aggiunge Cremaschi, «per l’ipotesi di riforma contrattuale, di cui si discuterà, e per i rapporti tra Cgil e Fiom. E a questo punto sarebbe anche necessaria una riforma burocratica all’interno della Cgil». Tuttavia il seguito della Rete 28 aprile all’interno del gruppo dirigente del sindacato non è certo tale da condizionare scelte operative o di orientare documenti ufficiali.
economia
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L’Ecofin studia una stretta su maxi remunerazioni e stock options che Tremonti vuole importare in Italia
Gli stipendi d’oro sforano i parametri Ue d i a r i o
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Mutui, l’Antitrust indaga su dieci banche L’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha aperto dieci istruttorie nei confronti di altrettante banche sulla portabilità dei mutui. Lo ha annunciato il presidente Antonio Catricalà, nel corso di un intervento al Forum della Pubblica Amministrazione. Le istruttorie nei confronti degli istituti di credito sono state aperte per «pratica commerciale scorretta in quanto la legge sulla portabilità dei mutui è rimasta inattuata». «Abbiamo denunce di cittadini perché le banche negano la surrogazione e propongono un contratto analogo con costi insormontabili. Pensiamo che questo sia vero e abbiamo raccolto prove sufficienti su dieci banche». Le dieci istruttorie aperte dal Garante riguardano: UniCredit (che comprende Banca di Roma, Bipop Carire e Banco di Sicilia), Intesa Sanpaolo, Bnl, Mps, Antonveneta, Deutsche Bank, Ubi Banca, Bp di Milano, Banca Sella, Carige.
Sacconi convoca le parti sociali
di Maria Maggiore
BRUXELLES. Dopo banche e petrolieri Giulio Tremonti trova un altro obiettivo. «Gli stipendi d’oro vanno tassati in modo diverso rispetto a oggi», ha annunciato a conclusione della due giorni passata a Bruxelles per l’Eurogruppo. In realtà l’intento del ministro dell’Economia italiano segue il tentativo dell’Unione europea di tassare in maniera diversa – cioè più alta – stipendi d’oro, buonuscite e stock option. Se ne è parlato nella cena di martedì sera tra i ministri dell’Ecofin tanto che lo stesso Tremonti si è detto sorpreso, «perché quattrocinque anni fa non avrei mai immaginato che in questa sede si parlasse di remunerazione».
Per l’Eurogruppo si tratta di un «flagello sociale», fuori dal controllo del fisco e baluardo contro la trasparenza. Un rapporto della Commissione ha illustrato il problema. Stipendi fuori misura, privilegi giganteschi e buonuscite milionarie, somme spesso non imponibili. Eppoi una legislazione frastagliata tra i 27: soltanto sette Paesi, tra cui l’Italia, hanno norme contro i conflitti d’interesse. Più in generale si lamenta la stridente stonatura con il credo di questi tempi, che professa la moderazione salariale per frenare la corsa dell’inflazione, quest’anno tra il 3,6 e il 3,2 per cento contro il limite del 2 previsto. Circa l’Italia, Tremonti ha aggiunto che «qualche soluzione va adottata, ma adesso è troppo presto per decidere. Una volta, in campagna elettorale mi è scappato di dire in una trasmissione che quei tratta-
menti andrebbero tassati in modo diverso». Per esempio tassando le stock options. Il presidente dell’Eurogruppo e premier lussemburghese JeanClaude Juncker è andato giù anche più duro, definendo gli stipendi d’oro di alcuni manager «una cosa scandalosa che va affrontata con strumenti fiscali, perché non vogliamo più che remunerazioni e liquidazioni possano essere dedotte dalle tasse e presentate come spese generali e normali». Argomento spinoso e d’attualità in tutti i Paesi «ricchi». In Olanda il ministro delle Finanze Wouter Boss
Intanto il ministro dell’Economia lancia gli eurobond per la ricerca comune sull’energia. E annuncia: «A Bruxelles il clima è cambiato» ha appena presentato al Parlamento una proposta di legge che prevede di tassare del 30 per cento le buonuscite superiori a 500mila euro e di aumentare del 15 i contributi che le aziende dovranno sborsare per i dirigenti pagati più di mezzo milione di euro l’anno. Secondo l’International Herald Tribune, Boss ha proposto le nuove misure a seguito del polverone alzato dal caso del manager Jan Bennink, conosciuto dalla stampa olandese come l’uomo da 80 milioni di euro. Bennink ha accumulato
una fortuna attraverso bonus, vendita di pacchetti azionari e rendimenti di dividendi delle compagnie in cui ha lavorato.
In Italia il ministro Tremonti, oltre a eventuali nuove norme per i manager delle imprese private, dovrà affrontare nei prossimi giorni la questione del tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici. Una norma della Finanziaria 2007 ha introdotto infatti un tetto di stipendio di 250 mila euro l’anno per i top manager. Una materia molto delicata, come dimostra il caso di Poste Italiane che il 28 maggio rinnova i suo board. Se venisse confermato l’Ad Massimo Sarmi, il suo stipendio (secondo la dichiarazione dei redditi del 2005) verrebbe diminuito dell’80 per cento dall’attuale milione e 228mila euro che incassa ogni anno.Tutta colpa di una famigerata norma che il governo Prodi ha tentato di modificare l’anno scorso, senza successo, per la presenza della sinistra radicale. Gli uffici del ministro dell’Economia ci stanno lavorando. Intanto Tremonti torna da Bruxelles rinfrancato. «Il clima è cambiato», ha spiegato. Proprio di fronte ai suoi colleghi ha rilanciato un suo cavallo di battaglia come gli eurobond. «Un’operazione politica prima che economica», ha spiegato, «Dopo mercato unico ed euro occorre trovare un terreno comune, come una comune gestione dell’energia, una nuova Euratom, cominciando per esempio dal finanziamento comune della ricerca attraverso titoli di Stato europei».
Le parti sociali sono state convocate a Palazzo Chigi il 20 maggio. È lo stesso ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ad annunciare l’incontro. La riunione, presieduta dal sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta e dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, «sarà dedicata ad una disamina dello stato dell’economia e della finanza pubblica». Per il ministro si è aperta «una nuova fase di dialogo sociale».
Conti positivi per Enel L’Enel chiude il primo trimestre del 2008 con un utile netto di gruppo a 1,004 miliardi in crescita del 6,5 per cento dai 943 milioni dello stesso trimestre 2007. I ricavi sono cresciuti del 55 per cento a 15,082 mld , l’ebitda del 47,7 per cento a 3,44 mld. Il trimestre beneficia del consolidamento della spagnola Endesa. L’indebitamento netto è cresciuto del 2,3 per cento a 57,072 mld. «I risultati del primo trimestre 2008 di Enel - ha affermato l’ad del gruppo, Fulvio Conti - confermano la solidità dei fondamentali del mercato italiano, con margini crescenti per le attività retail, di distribuzione e per le attività di generazione».
Sabatini si dimette dal Cda di Alitalia Il consigliere di amministrazione di Alitalia, Giovanni Sabatini, si è dimesso dal Cda della compagnia aerea. «In relazione a quanto previsto nelle Istruzioni al regolamento dei mercati gestiti da Borsa Italiana - evidenzia una nota di Alitalia - si precisa che Sabatini era amministratore non esecutivo e non indipendente e che non risulta detenere partecipazioni nel capitale sociale della compagnia».
Köhler critica il capitalismo mondiale La finanza globale è, secondo il presidente della Germania, un mostro che non più nessuna relazione con l’economia reale. «Siamo molto vicini al crollo del mercato finanziario internazionale», ha dichiarato Köhler in una intervista pubblicata oggi dal settimanale Stern. L’ex direttore dell’Fmi, ritiene che la crisi legata ai mutui Usa lascerà forti conseguenze economiche sulla Germania che dovrà ristrutturare il proprio sistema bancario.
Volano gli utili di Telefonica Telefonica ha chiuso il primo trimestre con un incremento dell’utile netto del 22,4 per cento a 1,538 miliardi, in linea con le attese. Il margine operativo ha registrato un miglioramento del 5,3 per cento a 5,38 miliardi, mentre la crescita dei ricavi si è attestata all’1,1 per cento a 13,9 miliardi. Per fine anno il gruppo ha confermato i target di un margine lordo in crescita del 7,5-11 per cento e ricavi in aumento del 6-8 per cento.
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cultura Internet non è il diavolo. Non è un caso che Giovanni Paolo II definì lo sviluppo delle tecnologie come uno dei «segni» di progresso della società re economico o spaziale, che dia informazione e soprattutto faccia opinione, in genere alternativa rispetto a quella dei media più ufficiali». Una visione positiva ribadita anche da Giancarlo Zizzola, docente di Etica della Comunicazione all’Università di Padova, che ha affermato: «E’ necessario superare lo stereotipo che guarda il Web come qualcosa di massificante, portatore di un visione occidentalista del mondo». Il professore, però, non ha nascosto le ambiguità e i pericoli della “rivoluzione digi-
nternet non è il diavolo e la Chiesa lo aveva capito da tempo. Non è un caso che Giovanni Paolo II fosse arrivato a definire il rapido sviluppo delle tecnologie nel campo dei media come uno dei «segni» di progresso della società. Quindi l’atteggiamento del mondo cattolico verso i nuovi media non è tanto quello di un arroccamento pregiudiziale, di una censura preventiva, ma di un’apertura che cerchi, però, di arginarne le ambiguità. Ecco, in sintesi, le riflessioni elaborate ieri dal Forum Internet, informazione e democrazia, organizzato dall’Unione della Stampa cattolica italiana in collaborazione con l’Enel. Tra i relatori, rappresentanti del mondo laico e cattolico; vertici della Federazione del sindacato dei giornalisti e degli editori; professori universitari, esperti di diritto. Molto significativo l’intervento di monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Istituto delle Comunicazioni sociali, che ha posto agli interlocutori questa domanda: la sfida della comunicazione posta dalle nuove tecnologie è eticamente sostenibile?
I
La risposta è affermativa, ma la strada da fare per trasformare i media in strumenti di convivenza e di pace, non è poca. «Le insidie che la ostacolano - ha affermato il presule - sono l’individualismo esagerato, l’invasione della privacy, l’accesso dei giovani a contenuti, violenti». A suo avviso una delle principali finalità dei mezzi di comunicazione dovrebbe essere quello di «creare spazi di convivenza tra le persone». Ma affinché si possano creare questi spazi di convivenza è necessario non tanto e non solo insegnare alle nuove generazioni ad usare le nuove tecnologie. «Lo sanno fare meglio di noi – ha affermato il prelato - ma vanno offerte loro delle chiavi di lettura, dei valori per rapportarsi al progresso tecnologico. Basta pensare che
Rappresentanti del mondo laico e cattolico, vertici della Federazione del sindacato dei giornalisti e professori universitari concordano nel «non dover demonizzare Internet» e studiano insieme «un metodo che ne argini le ambiguità» poi utilizzano il telefonino per riprendere scene agghiaccianti di violenza e bullismo». Ecco quindi la sua ricetta: «Non bastano i controlli giuridici e tecnologici sui contenuti. Ma è necessario diffondere sempre di più la cultura del rispetto di se stessi e degli altri». Che il web possa essere uno strumento di scambio e di relazione, in grado di combattere l’individualismo, lo ha affermato anche padre Antonio Spadaro, professore universitario e scrittore di Civiltà Cattolica
Significativo l’intervento di Monsignor Celli, convinto che la principale finalità dei mezzi di comunicazione sia quella di «creare spazi di convivenza tra le persone» e che per riuscirci «occorre offrire chiavi di lettura e valori per rapportarsi al progresso tecnologico»
La proposta lanciata dal Forum Internet dell’Unione della Stampa cattolica italiana
«Una Carta costituzionale per il Web» di Francesco Rositano (la rivista dei Gesuiti), che ha promesso a pieni voti la cosiddetta “democrazia digitale”. Il sacerdote, per dimostrare la sua tesi, ha fatto vedere la copertina di Time, il prestigioso mensile americano che, ogni anno, dedica il numero di gennaio alla “persona dell’anno”. Nel gennaio 2007 al centro della copertina appariva un computer con il monitor argentato a specchio in modo da riflettere l’immagine del lettore. In basso compariva il titolo: You, cioè “Tu”, e proseguiva: «sì tu. Tu controlli l’era dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo». Per il sacerdote questo controllo avviene grazie alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie che stanno trasformando il pub-
blico da consumatore a produttore. Ha fatto l’esempio di Messenger di Microsoft, sistema utilizzato per scambiare messaggi in tempo reale. Poi ha dedicato ampio spazio del suo intervento ai blog, ai diari digitali, diventati non solo gli antagonisti più agguerriti dei giornali, ma realtà dinamiche nel quale si possono depositare video, scambiare commenti, aprire dibattiti. E quindi nascere rapporti, relazioni. «Fin dall’inizio – ha affermato il sacerdote – questa forma di espressione ha infatti rivestito una doppia funzione: mettere on line storie personali, riflessioni dell’autore; ma anche realizzare una forma di comunicazione diffusa dal basso, senza filtri di caratte-
tale”, ed ha affermato che essi sussistono «con gli aspetti positivi ed etici». Per Luca De Biase, direttore di Nòva, inserto settimanale del Sole24ore dedicato ai new media, Internet «ha permesso al cittadino comune di diventare più critico e di avere uno strumento di controllo nei confronti del potere». E ha continuato: «E’ stata una grande ribellione che ha liberato il sistema dell’informazione dal controllo in cui si era soffocato, facendo uscire i giornalisti tradizionali dalla torre d’avorio in cui si erano arroccati, diffondendo modalità diverse di fare informazione». Certo, De Biase, non ha mancato di esprimere anche delle critiche al web che nelle sue parole è diventato ormai metafora del mondo: «E’ terra di predatori e parassiti, bella e brutta gente».
Un mare aperto, in sostanza, difficile da controllare. Stefano Rodotà, professore universitario alla Sapienza ed ex presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, si è soffermato sulla necessità di dare delle regole dal punto di vista giuridico, illustrando lo sforzo che si sta verificando per arrivare ad una sorta di “Carta costituzionale per il Web”. Un percorso difficile, visto che il mondo virtuale è una sorta di “territorio senza confini”. «Siamo in mare aperto – ha continuato Rodotà – ma il compito per orientarci non è identificare confini ma regole certe». Ed esse sono da cercarsi nelle convenzioni internazionali e nell’autoregolamentazione, oltre che nelle leggi ordinarie. Alla fine del convegno, proprio per dimostrare che la diffidenza della Chiesa verso le nuove tecnologie è ormai superata, sono stati assegnati dei premi ai migliori siti cattolici italiani. Non sono mancate le sorprese: menzione d’onore al blog del cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano.
cultura uell’uomo alto, elegante e parecchio snob che morì a Firenze nel 1998 ne aveva viste tante. Come coloro che hanno attraversato la Mitteleuropa con occhi da archivio storico. Gregor von Rezzori, cognome siciliano prima con una zeta e poi con due - ma questo fa parte del miscuglio linguistico e culturale della sua famiglia - non ha scritto il resoconto di sé, ma ha “montato” spezzoni del film della sua esistenza che lo ha visto in molti luoghi. Sulle mie tracce s’intitola il libro-memoriale appena pubblicato dalla Guanda (318 pagine, 19,50 euro). Ricorda e riprende un’altra sua opera dal titolo curioso - Borbottio di un vegliardo, del 1994 - in cui von Rezzori fa un “rendiconto” sempre tenuto sul filo della provocazione. Viaggi, profili, ambienti, frasi: un impasto autobiografico dove l’autore confidenzialmente si rivolge al «collega Goethe». Oppure al «collega Kierkegaard» con una mirabile frase: «Malinconicamente colui che sono saluta colui che avrei potuto essere». Scrive nelle prime pagine di non essere «più curioso del domani: ho imparato che quel che deve venire viene, quel che deve accadere accade». La storia è percorso da ripercorrere. Fu Wolf, bizzarro astrologo tedesco diventato consulente del «supercattivo» Heinrich Himmler, a ricordargli la sua mobilità. A cominciare dalla nascita. Evento che «non fa tornare i conti». Infatti Gregor è nato (nel 1914) in movimento, ossia su un calesse lungo la strada che conduce a Czernowitz, ex capitale della Bucovina, ex possedimento della Corona asburgica. Terra passata alla Romania nel 1919: «Di colpo non fui più bambino austriaco orgoglioso del suo imperatore, quello vecchio e bonario con i favoriti da portinaio e l’uniforme bianca con la sciarpa rossa». Uno scombussolamento sociale, «capimmo che avevamo cessato di appartenere alla casta dei signori del paese».
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nel personaggio, era nell’immagine». Qualcuno era contro, ovviamente. Gregor incontra un conoscente dello zio Rudolf, un elegantone viennese. Ma che fai? «Sono tornato dalla Romania la scorsa settimana giusto in tempo per vedere questa merda!». Gregor gli fa notare che ha alzato il braccio e gridato «Heil Hitler», allora l’altro gli mostra il palmo della mano dove c’era scritto “Vfc”. Ma che vuol dire? «Semplice: vaffanculo».
Q
Nel 1922 cominciano le sue peregrinazioni a causa della separazione dei suoi genitori. Vienna, quindi. «Mia madre aveva perduto il suo patrimonio, mio padre in quanto non romeno aveva praticamente alcuna possibilità di carriera… non potevamo appellarci a nessun gruppo etnico, giacchè non eravamo autoctoni:
A dieci anni dalla scomparsa di Gregor von Rezzori esce per Guanda il memoriale ”Sulle mie tracce”
L’uomo che scriveva per vendetta di Pier Mario Fasanotti anche i genitori di mia madre venivano dalla Boemia». Un gruppo forzatamente mobile, ancorato alla cultura occidentale. Suo padre gli diceva: «Siamo venuti quaggiù come
mo secolo, «più o meno nello stesso periodo in cui i miei antenati paterni si erano trasferiti dalla Sicilia a Vienna». Zone europee dove fioriva un’intensa vita culturale ebraica,
Lo scrittore era lì, a pochi metri da quell’ometto «con il cappello da portiere d’albergo minacciosamente calato sugli occhi». Pensa che era proprio come in fotografia: «Gli esal-
Von Rezzori ricorda il cammino dei suoi libri, alcuni dei quali per niente capiti dalla critica tedesca. Ma lui va avanti: «Scrivere significa vendicarsi». Veleno da snob è pure «l’obbligo di dedicare all’infelice che per tredici anni è stata mia moglie, nonché madre dei miei figli, un affettuoso e contrito ricordo». E poi, inesorabilmente: «…la giovane rampolla aristocratica della società berlinese del tempo di guerra apparteneva in tutto e per tutto a una categoria di graziose, bionde, slanciate e tutte uguali figlie in età da marito in una situazione di sempre più accentuata mancanza di maschi per cause belliche…». Senza la passione per l’ippica sarebbe stata «una bambola Barbie». Contrito? Be’, un po’ quando ammette: «Io, sprezzante, ho lasciato sola una donna che non trovava accesso al mio mondo libresco». Altri paesi. L’Italia, la tanto amata «terra dei limoni». E gli italiani? «Sono un popolo ironico. Quando fanno i seri non muovono un muscolo. Totò è la dimostrazione di come ci si possa atteggiare a uomini fieri, virili ed eroici restando perfettamente seri». La Francia. Tre anni a Parigi, che non sono stati proprio una Lecon de sociologie, tuttavia a stretto contatto col mondo della moda capisce «come i francesi abbiano una particolare predisposizione genetica all’astrazione». Ah, i couturiers! «Quelli modificano non soltanto gli accessori che danno alla moda una sua particolare fisionomia, ma anche il tipo di donna, affinché possa indossare quegli accessori nel modo più convincente». Ciò può accadere, spiega von Rezzori, se ci sono i mezzi di comunicazione di massa «e i loro servi, i fotografi, i quali, forti della falsa credenza che la fotografia trasmetta la realtà, forniscono le prove documentarie di questo circo».
Nato nel 1914, ha attraversato il secolo dei totalitarismi peregrinando per tutto il mondo. Ha scritto dei suoi viaggi rivolgendosi confidenzialmente ai «colleghi Goethe e Kierkegaard» concime culturale, per questo ci hanno lasciato qua». Storia complicata, visto che la Bucovina era stata ottenuta dai turchi solo alla fine del diciottesi-
«…ma noi vivevamo ignari». La storia s’infila nella mentespugna di Gregor. «Anche l’ingresso di Hitler a Vienna e il suo discorso balbettante».
tati che al suo passaggio si erano buttati in ginocchio avrebbero con ogni probabilità fatto lo stesso dinanzi al suo ritratto. La magia non era
Si apre domani la seconda edizione del Premio Gregor von Rezzori
A Firenze i grandi della narrativa Arriveranno domani a Firenze dieci grandi nomi della narrativa internazionale per rendere omaggio allo scrittore Gregor von Rezzori, in occasione della II edizione del Premio internazionale a lui dedicato a dieci anni dalla sua scomparsa. L’incontro di apertura avverrà domani alle ore 17.30 presso il Sum (Istituto italiano di Scienze umane), nell’Altana di Palazzo Strozzi, e vedrà la partecipazione dgli scrittori finalisti: Josè Pablo Feinmann (autore dell’Ombra di Heidegger), Charles Lewinsky (La fortuna dei Meijer), Arturo Pérez-Reverte (Il pittore di battaglie), Gary Shteyngart (Absurdistan), e poi gli ospi-
ti della Santa Maddalena Foundation, Edmund White, Ornela Vorpsi, Colm Toibin, Daniel Kehlmann, Zadie Smith. Sabato 17, nella Sala Luca Giordano di Palazzo Medici Ricciardi, l’appuntamento è con la lectio magistralis del grande scrittore irlandese John Banville. Mentre domenica 18, alle 11 nell’Abazia di Vallombrosa (Firenze), la giuria presieduta da Ernesto Ferrero proclamerà il vincitore del Premio internazionale Gregor von Rezzori, anche quest’anno patrocinato dalla Provincia di Firenze, che alla fine della cerimonia riceverà anche un soggiorno di lavoro presso la Santa Maddalena Foundation.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Cosa pensate della politica di governo sulla sicurezza SE VERRANNO MANTENUTE TUTTE LE PROMESSE, C’È DA PENSARE CHE I PROBLEMI SARANNO RISOLTI
COMBATTERE L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA È L’UNICO MODO PER SCONFIGGERE LA VIOLENZA
Ben vengano tutti i provvedimenti atti a prevenire o punire l’immigrazione clandestina e a rispedire nei Paesi di provenienza coloro che,già in Italia, si sono resi responsabili di reati. Il problema vero però è capire se i provvedimenti presi saranno efficaci. Cosa fare di coloro - e sono tanti - di cui non si riesce a conoscere quale sia il Paese di provenienza? E dei romeni che sono attualmente la comunità più pericolosa, ma ormai comunitari e quindi liberi di circolare a loro piacimento? Grandi difficoltà che ci fanno condannare senza riserva il lassismo di questi ultimi anni che ha favorito l’invasione dei ”barbari”.Tuttavia, ammettiamo che il nuovo governo si sta muovendo davvero e sembra determinato a rispettare quanto ripetutamente promesso. Il Commissario previsto a Milano per il problema dei Rom, quasi sicuramente esteso a Roma, competenze di polizia attribuite anche ai sindaci, sono provvedimenti che si muovono nella direzione giusta. Sperare non costa niente, quindi speriamo. Del resto peggio di come stiamo... Cordialmente ringrazio e saluto.
Delle nuove politiche del governo di centrodestra in materia di sicurezza, penso tutto il bene possibile. Non a caso proprio la sicurezza è stato il tema centrale della campagna elettorale del centrodestra che poi ha vinto, anzi stravinto, le elezioni. In proposito non riesco a comprendere perché sia ancora in dubbio nelle stessa maggioranza la scelta di considerare reato l’immigrazione clandestina, dal momento che tutti sono d’accordo nell’affermare che essa costituisce la causa principale della criminalità. E non solo perché chi non ha mezzi di sostentamento finisce necessariamente per delinquere, ma perché contribuisce a far delinquere anche coloro che esasperati per dover subire furti, stupri e rapimenti, reagiscono violentemente. L’episodio di ieri a Ponticelli (Napoli) - la bottiglia incendiaria lanciata contro il campo Rom - è altamente emblematico.Il fatto che in Parlamento non siedano più i paladini del buonismo per forza, è garanzia, ma anche onere, per il mantenimento delle promesse fatte in campagna elettorale. Grazie per l’attenzione, distinti saluti.
Fausto Viggiani - Roma
LA DOMANDA DI DOMANI
Ultima di campionato, due pesi e due misure dell’Osservatorio per i tifosi in trasferta? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Leonardo Boni - Arezzo
IL CENTRODESTRA ORA HA LA POSSIBILITÀ DI DARE RISPOSTE SERIE SULLA SICUREZZA Proprio come ho letto sulle colonne del vostro giornale, l’introduzione del ”reato di immigrazione clandestina” è una delle possibilità che questo nuovo governo di centrodestra ha messo sul tavolo dei lavori. Ce lo ha fatto sapere Silvio Berlusconi in campagna elettorale e ce lo hanno confermato prima il ministro delle Politiche giovanili Giorgia Meloni (sìiegando che «questa maggioranza vuole affrontare e dare risposte concrete agli italiani su un tema fondamentale come quello della sicurezza), e poi il ministro degli Interni Roberto Maroni (annunciando duri pacchetti-sicurezza sia nazionali che sul piano locale). Bene. Era ora che qualcuno usasse davvero il pugno duro. L’Italia da tempo aspetta risposte serie.
IL GIORNO DEL GIUDIZIO E’ questo il dato vero dei risultati delle consultazioni politiche; un dato che trasuda stanchezza, voglia di risoluzione dei problemi, voglia di bipolarismo, che tenderà sempre più a un bipartitismo perfetto. L’unico esempio di stanza di compensazione, miracolati dal voto è l’Udc, che correndo sola ha avuto una buona pattuglia parlamentare. Ora però è necessario cambiare, costruire termovalizzatori al Sud e in Campania, rilanciare le infrastrutture, aumentare le pensioni minime e i salari. Impresa non da poco. Come trovare le risorse? E’ indispensabile ridurre tutti gli sprechi nella Pubblica amministrazione, chiedere tutti gli enti inutili, vendere il patrimonio immobiliare inutilizzato, costruire nuove carceri per aumentare la sicurezza. In un lasso di tempo di 24 mesi, perché poi anche questo governo, finita la spinta elettorale, arrancherà. E’ utile una reale Costituente parlamentare per costruire un Paese realmente europeo, è utile non sottacere i problemi ma discernerli per trovare le giuste soluzioni. E’ utile vedere una vera compagine di governo per una
BACCHETTA MECCANICA
Il robot Asimo della Honda mentre dirige l’orchestra sinfonica di Detroit durante il recente concerto ”Il sogno impossibile”. Il robottino, in grado di camminare e rispondere a semplici comandi vocali, ha imitato gesti e movenze di un direttore d’orchestra precedentemente videoregistrato
BRUNETTA FA BENE, PUNIAMO I FANNULLONI La risposta alla vostra domanda di due giorni fa è un indignato, limpido e perentorio sì! I fannulloni nella Pa esistono e sono una delle principali cause del malfunzionamento del nostro Paese. La battaglia annunciata dal neo-ministro Brunetta è sacrosanta: ogni sua vittoria sarà una vittoria dell’Italia. Dell’Italia che lavora e che non ne può più di trainare il carro anche per i ”signorini” che non vogliono faticare. Dell’Italia che ha capito che privilegiare il merito è una via maestra di riscatto. Dell’Italia che dice: «Basta!». Siccome sono un giovane, lancio l’allarme del pessimo esempio con cui gli adulti ci stanno crescendo: la logica del furbetto, di quello che «tira a fregare», di quello che «tanto lo fanno
dai circoli liberal Greta Gatti - Milano
nuova politica, questo sarà il primo banco di prova di Berlusconi, sarà utile costruire un nuovo clima parlamentare pronto al dialogo, a riguardo va dato atto a Veltroni di aver riconosciuto con stile e serietà la sconfitta. Il Mezzogiorno sarà il vero banco di prova del centrodestra: senza un progetto che faccia decollare il Sud del Paese, il Nord non potrà che essere condannato a una corsa lenta nello sviluppo della Nazione. Il Sud necessita di infrastrutture, meritocrazia, formazione d’eccellenza, una Banca del Sud e per il Sud, che non faccia assistenza, ma scommetta su imprenditori e idee valide per il rilancio di aree e distretti produttivi,con il rlancio dei patti territoriali. E’ possibile rialzarsi, crescere e diventare un vero traino per l’intera economia, anche europea. In politica sono necessari progetti, idee, uomini formati, valori condivisi, ideali, sinergia con il mondo dell’impresa, voglia di misurarsi con sfide innovative e questo voto va in questa direzione. Dopo l’esclusione della sinistra estrema, sarà comunque necessario costruire una nuova politica di sinistra in Italia per dare voce in Parlamento anche a chi ha altre idee po-
tutti». Se non si cambia oggi, avremo guai anche domani: chi semina vento, raccoglie tempesta. Buon lavoro a tutti, soprattutto ai fannulloni.
Francesco Masina - Bologna
CASINI LASCI PERDERE I DEMOCRISTIANI DI SINISTRA S’incomincia con l’olezzo delle viole, seguiranno i profumi delle ginestre e delle piacevoli rose. Più avanti verranno dolci fragranze di lavanda e rosmarino. Peccato che, or ora, ci arrivino sgradevoli odori a seguito degli incontri tra Casini, Follini,Veltroni e i capi e capetti delle opposizioni. Ditelo ai quattro venti: Pier Ferdinando Casini lasci perdere il centrosinistra, il Pd e i democristiani di sinistra. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Pierpaolo Vezzani
litiche, sapendo che non si governa con i ”no”. La Regione Puglia governata da Vendola, per ora aspetta ancora la primavera. I Circoli liberal potranno svolgere un utile ruolo politico e culturale per costruire un clima di dialogo e di proposte, atto a ridare voce anche a un Mezzogiorno che necessita di occupazione, sicurezza, infrastrutture e rilancio delle nuove tecnologie. Con una nuova politica per i piccoli comuni, oggi assente. Luigi Ruberto CIRCOLO LIBERAL MONTI DAUNI - FG
APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29
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TENIAMOCI ALLA LARGA DA ANTONIO DI PIETRO
Mi rallegravo mentre leggevi L’Eneide Dolce amor mio, la tua desiderata e baciata e ribaciata lettera in data del 7 non partì di Milano che l’8.Vuoi sapere che cosa facessi la sera del 7 alle 8 e mezza mentre tu eri indubbiamente in letto leggendo ”L’Eneide”? Amor mio, lo dirò non senza vergogna: quella sera e la appresso la passai bevendo per divertire la tetra malinconia che mi rattristava tutto e mi faceva cattivo. Sto male. La sera e la notte specialmente sto male, male, male: mille e mille orribili pensieri, freddi, avvelenati, striscianti, si contorcono in tutte le mie fibre. E la gelosia, la gelosia del presente e del passato, mi avvolge tutto e mi stringe e mi soffoca. E in quella stretta feroce avrei bisogno d’urlare, di sfogarmi, di far non so che. E son sempre solo; e nella mia solitudine nutro e alletto tutti quei mostri. Non posso, non voglio, non so confidarmi con nessuno. Ma vorrei almeno parlare di te con altri fuori che con l’anima mia. Giosue Carducci a Lidia (Carolina Cristofori Piva)
E SE CAPEZZONE FOSSE CAMBIATO? L’opposizione di Veltroni ha formato un gruppo, chiamato Governo ombra, alla maniera anglosassone: nessuno ha criticato, ha riso, ha preso come comica l’iniziativa; anzi, Berlusconi, in Parlamento, si aspetta da esso uno stimolo ed un contributo al miglioramento delle sorti dell’Italia. Rovescio della medaglia, Forza Italia ha nominato Capezzone portavoce del partito in attesa di futuri sviluppi nel Pdl. Tutto normale? No, la sinistra per criticare si rifà a quanto scritto sull’Avvenire, quotidiano cattolico dei Vescovi. Ma scusate, se non avete altro da dire, si potrebbe anche star zitti! L’ex radicale Capezzone ecc: per quale motivo la cultura di sinistra, del ferreo convincimento di essere sempre nel giusto, dovrebbe essere patrimonio di tutti? E se Capezzone fosse cambiato, avesse rivisto certe sue posizioni, sull’aborto, sulla droga, sulla fecondazione assistita, ecc? Non lo so, ma loro lo sanno? Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
Valeria Monteforte Roseto degli Abruzzi (Te)
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
15 maggio 1536 In Inghilterra la seconda moglie di Enrico VIII, Anna Bolena, viene accusata di adulterio 1886 Muore negli Stati Uniti la poetessa Emily Dickinson 1928 Debutta Mickey Mouse, nato dalla matita di Walt Disney 1946 La Regione Sicilia diviene autonoma 1958 Il generale Charles De Gaulle assume la carica di capo del governo francese 1973 A Milano si aprono le celebrazioni per il centenario della morte di Alessandro Manzoni 1976 L’Unione sovietica propone a Israele la ripresa dei rapporti diplomatici 1977 Dopo una prigionia di 40 giorni, viene liberato l’esponente socialista Guido De Martino; per il riscatto viene pagato un miliardo delle vecchie lire 1988 L’Unione sovietica avvia il processo di ritiro del proprio esercito, circa 115.000 uomini, dal territorio afghano
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
Su questo ”volemose bene”politico ho qualcosa da dire e sospettare. Uno, se la sinistra lo vuole, significa che c’è qualcosa sotto. Avrei capito con nuove generazioni, ma con Veltroni, Franceschini, D’Alema, e Bindi che volemose bene può nascere? Evidentemente il clima di oggi fa il loro gioco, non vedo altre spiegazioni: i miracoli appartengono al divino non agli atei o ai cattocomunisti. Ma ”il Capo” ha detto «state buoni» e allora, perché contraddirlo? L’importante è che non si abbia però qualcosa da perdere, perché, sia chiaro, nel mandato elettorale non era scritto alcun «scusi, prego, prima Lei, dopo di Lei» e nemmeno nel programma. Due, teniamoci almeno alla larga da Di Pietro, dalle sue banalità politiche, dal suo populismo anni ’50 (c’era attenti arriva Baffone): forse per il molisano, vista la lettera B non so se abbia capito fischi per fiaschi, tanto per adeguarmi al suo linguaggio, l’ossessione è «attenti a Berlusconi»! Comunque... alla larga, non ci sarà qualcuno, penso, che si aspetti un suo contributo culturale o intellettuale!
L. C. Guerrieri - Teramo
PUNTURE Nello spogliatoio dell’Inter, visti i risultati delle politiche, è vietato dire “si può fare”. Meglio “rialzati, Inter”.
Giancristiano Desiderio
“
Fare facilmente ciò che gli altri trovano difficile, è talento. Fare l’impossibile al talento, è genio HENRI FRÉDÉRIC AMIEL
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
Myanmar e Cina due tragedie, due misure di Vincenzo Faccioli Pintozzi In Cina, invece, una popolazione tecnologicamente più avanzata e soprattutto la presenza stabile di un massiccio contingente di corrispondenti esteri rende possibile una copertura mediatica dell’evento quasi impeccabile. Inoltre, il governo cinese ha brillantemente utilizzato il dramma per distogliere l’attenzione della comunità internazionale dalla crisi tibetana, ed indossa in questi ultimi giorni una maschera di permissivismo con cui cerca disperatamente di far tendere le simpatie del mondo dalla sua parte. A ben vedere, però, pesano molto di più altri fattori. Da una parte c’è lo squilibrio geopolitico che separa le due nazioni: la Cina, con l’economia più forte del mondo ed una popolazione che rappresenta un quinto di quella terrestre; il Myanmar, poverissimo ed abitato da un gruppo di persone che non ha presa sull’immaginario collettivo. Dall’altra parte, va considerato il “nuovo corso” che ha intrapreso la stampa occidentale, drogata di immagini e di storie da mostrare, più che da raccontare. Lo spartiacque di questa rivoluzione copernicana nel mondo dei media, che nasce dall’avvento della televisione commerciale, può essere individuato nel disastroso tsunami del 2004, che ha tenuto banco per settimane sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo soltanto per la presenza di stranieri al momen-
to del disastro. Questi hanno ripreso ogni fase della tragedia, mostrando la ferocia della natura ed il dramma della morte di decine di migliaia di persone. Eppure, le vittime dello tsunami sono state quasi 250mila in cinque Paesi diversi: oggi muoiono 200mila persone nel solo Myanmar. Da allora, scrivere una cosa non vale neanche la metà del mostrare una fotografia. Per esperienza diretta, si può citare la repressione operata dalla giunta militare di Yangoon sui monaci buddisti che protestavano per le strade del Paese contro la repressione della democrazia e la corruzione del governo. Davanti alle prime fotografie e riprese dell’evento, si sono scatenati giornalisti di tutto il mondo. Una volta depurato il Paese dalla presenza straniera, il mondo ha dimenticato. Mantenere viva l’attenzione del lettore è un’impresa, a volte disperata. Così come è spesso disperato il tentativo di scrivere qualcosa di nuovo che non siano cifre, sempre drammaticamente in salita. Eppure è proprio a questo che serve il giornalismo: a raccontare, e soprattutto a non dimenticare. Se è vero che la vita umana non ha prezzo e non può essere scambiata con nulla, è altrettanto vero che, negli ultimi giorni, per il nostro mestiere e per chi lo pratica hanno pesato molto di più i morti ancora in grado di essere fotografati rispetto a quelli sepolti sotto un lago di fango.
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