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Oggi il supplemento

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

MOBY DICK

Le prossime elezioni e le sfide del XXI secolo

SEDICI PAGINE di e h DI ARTI c a n cro E CULTURA

Gli Usa rischiano di perdere la leadership del mondo

di Ferdinando Adornato

di Newt Gingrich dalla metà dell’Ottocento che gli Stati Uniti non si confrontano con una crisi grave come quella odierna. Allora, la mancata elaborazione (e attuazione) di riforme congrue ci trascinò nella più sanguinosa e difficile guerra della nostra storia. Oggi invece stiamo rischiando di sprofondare in un’impasse paragonabile a quella scatenata dalla Grande depressione negli anni Trenta, la stessa che ha spalancato le porte ai totalitarismi europei. Con una differenza sostanziale: che un’economia non globalizzata e un patrottismo forte e sano ci permisero di sconfiggere non solo la triade nazista (Germania), fascista (Italia) e imperialista (Giappone), ma anche quella sovietica dopo solo cinquant’anni. Quel mix di potere economico, vitalità culturale e professionalità istituzionale che ci portò alla vittoria è venuto meno nel corso dell’ultima generazione. E mentre noi abbiamo perso colpi, i nostri potenziali oppositori si sono moltiplicati e rafforzati. La supremazia militare amerticana ci ha spinto a sopravvalutare la nostra forza, e adesso scontiamo un ritardo di investimenti tecnologici e formativi. Come già scritto assieme a Bill Forstchen e Steve Hanser nei nostri Pearl Harbour e Days of Infamy, se nel 1941 l’ammiraglio Yamamoto avesse guidato la flotta giapponese a Pearl Harbor, la sua leadership aggressiva avrebbe danneggiato gli Stati Uniti. s eg u e a pa gi n a 8

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L’INCONTRO BERLUSCONI-VELTRONI

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Riforme istituzionali, sbarramento alle europee, Rai: si profila un patto sulle regole. Ma molti ci vedono solo un accordo di potere

Il tandem alle pagine 2 e 3

nell’inserto Creato

ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 20 maggio

SABATO 17

I maxicompensi delle aziende private

Il campionato visto da Paolo Rossi

All’orizzonte il rischio dell’eutanasia di Stato

Dagli al manager! L’ultima moda in Europa

Roma più bella, ma alla fine vincerà l’Inter

di Assuntina Morresi

di Gianfranco Polillo

di Cristiano Bucchi

Una legge sul testamento biologico non è nel programma del governo, che tuttavia ha dimostrato attenzione ai temi cosiddetti “eticamente sensibili” indicando Eugenia Roccella come sottosegretario al Welfare con delega proprio ai temi etici.

Agli inizi del nuovo millennio ci fu lo scandalo Enron. Oggi il fenomeno riemerge. E, come spesso capita in queste occasioni, in modo del tutto casuale. Ora il caso è stato sollevato in Olanda.

«Credo che l’Inter in queste ultime domeniche sia stata molto sfortunata». Paolo Rossi in questi giorni si trova in Toscana nel suo agriturismo dove produce vino e olio.

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I disegni di legge sul testamento biologico

MAGGIO

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

91 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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il tandem

Silvio e Walter si intendono subito sulla soglia di sbarramento per le Europee

Operazione mutuo soccorso di Errico Novi È durato circa quaranta minuti l’incontro di ieri mattina tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. Il leader del Pd ha assicurato che ne seguiranno altri

troni ma non la serenità del Cavaliere, giacché la Lega non vuol sentir parlare dei quesiti, rinviati al 2009.

ROMA. A Madrid è arrivata nitida eco della sferzata anti clandestini del governo italiano. Può darsi che abbiano anche avuto l’impressione di una sinistra in difficoltà. Certo è che ci ha dovuto pensare la vicepremier spagnola Maria Teresa Fernandez de la Vega ieri pomeriggio a fare un po’ di opposizione a Silvio Berlusconi: «Non condividiamo una politica di espulsioni e quei provvedimenti in grado di fomentare la violenza, il razzismo e la xenofobia, non possiamo approvare ciò che sta avvenendo in Italia». Ci voleva il braccio destro di Zapatero per movimentare un po’ la dialettica. Perché l’incontro a Palazzo Chigi tra il Cavaliere e Walter Veltroni non ha dato l’idea di un confronto impegnativo. Molti temi affrontati in quaranta minuti addolciti da pasticcini e succhi di frutta, pochi spunti di critica da parte del leader democratico: qualche rilievo su Alitalia, peraltro sterile visto che Veltroni si è limitato a rimarcare l’errore della rottura con Air France; un accenno breve da oppositore di sinistra: «Se il taglio dell’Ici deve andare a discapito di un sostegno a pensionati, lavoratori e precari diciamo di no»; una pregiudiziale sul «via libera alle norme per la sicurezza» nel caso in

cui dovessero essere compresse in un decreto; un discorso sospeso sulla Rai e in particolare sul rinnovo del mandato all’attuale cda, che Veltroni ha chiesto in nome dell’urgenza di «nuove regole» per il governo della tv pubblica. Il resto del colloquio, definito costruttivo da Berlusconi, è stato dedicato agli ammiccamenti istituzionali.

Nel pacchetto sicurezza potrebbe entrare un meccanismo preferenziale per i processi su mafia e criminalità

zionali di Luciano Violante: innanzitutto la riduzione dei deputati da 630 a 512 e dei senatori da 315 a 250; quindi il Senato federale con funzioni distinte da quelle della Camera, che resterebbe il solo ramo del Parlamento dotato di competenze legislative sulle materie di interesse nazionale; e soprattutto un primo passo verso via al disarmo del principale il rafforzamento dei poteri del opponente. Walter sembra premier, a cui sarebbe riconoSu una riforma infatti si è già guadagnarci una sorta di ren- sciuto il potere di nomina e red’accordo, senza bisogno di ul- dita di protezione: finché resta voca dei ministri. Di legge eletteriori approfondimenti: la so- in piedi il filo diretto con il pre- torale per le Politiche invece glia di sbarramento per le ele- mier e prosegue in modo profi- non si è parlato, ha detto Velzioni europee. In mattinata Fa- cuo il dialogo sulle riforme troni nella sala stampa di Pabrizio Cicchitto aveva avverti- ogni illusione destabilizzatrice lazzo Chigi. E in effetti al moto che «non si può andare al di di altre componenti del Pd re- mento non avrebbe alcuna sotto del 5 per cento». Al ter- sta tale. Uno scudo poderoso, particolare utilità affrontare mine del faccia a faccia con giacché ogni obiezione interna un argomento del genere, o Silvio l’ex sindaco di Roma ha passerà per sabotaggio alle in- perlomeno metterlo a tema: spiegato che «non si può anda- differibili riforme. sul sistema di voto nazionale re oltre il 3 per cento ipotizzaWalter sa di avere spalle poco to da Casini» e che va bene an- Altre innovazioni concorda- coperte nel suo partito, visto che il 2 chiesto da altre forze. te sono nel testo ereditato dal- che la rinvigorita alternativa Fatto sta che in questo modo le la commissione Affari costitu- dalemiana vedrebbe assai medue maggiori forze glio una soluzione si assicurano la tealla tedesca che il “Vi salverò dai comunisti”: il lupo perde il pelo... nuta del bipartitimodello spagnolo, smo anche nel caso Ma come: Walter è lì con il capo chino, si permetvantaggioso solo in cui il consenso te appena di chiedere un pensierino per pensionaper la Lega oltre per il governo, e più ti e lavoratori a reddito fisso e lui, Silvio, ci ricache per Pdl e Pd. in generale per l’assca? Lasciata la festa della polizia si tuffa tra la Sulla questione insetto uscito dalle urfolla e fa la solita promessa: «Vi salvo dai comunicombe poi l’incognine, dovesse vacillasti». E allora non è cambiato nulla? Ci sono semta referendaria, che re. È chiaro che il pre i cosacchi che marciano verso il confine? Siapuò forse asseconvero affare lo fa il mo a Mosca, altro che Londra e Camera dei lord. dare l’ambizione Cavaliere, che si avmaggioritaria di Vel-

Dall’incontro di ieri mattina in ogni caso è stato senz’altro Berlusconi a uscire con l’animo più disteso. Ha di fatto ricondotto la controparte al ruolo di rassegnato suggeritore. Non che le prospettive per il Pd potessero essere assai diverse, ma l’immagine di Veltroni mai come in questo momento è apparsa debole. Ne hanno approfittato gli esclusi della sinistra radicale. L’ex capogruppo del Pdci al Senato Manuela Palermi ha proclamato di intravedere «un colpo di stato» dietro l’innalzamento al 5 per cento della soglia per le Europee. Da Rifondazione si è forse levato l’avvertimento più preoccupante: Franco Giordano ha definito la proposta sullo sbarramento «un colpo a freddo che non trova certo giustificazione nella governabilità visto che a Strasburgo non ci sono certo problemi di governabilità». A questo punto, sostiene il segretario uscente del Prc, «sono a rischio le alleanze locali cob il Partito democratico». Nessuno può affermare che Veltroni sia in malafede quando dice che «non si può impedire l’accesso a Strasburgo a forze politiche che non sono presenti nel Parlamento italiano». Fatto sta che Berlusconi chiede di fissare il limite a quota 5 e difficilmente si potrà convincerlo a scendere sotto il 3. Soglia che di questi tempi può creare problemi a molti, a cominciare dalla Destra di Storace. Sarebbe paradossale però se la corsa alla semplificazione provocasse una moria di giunte di centrosinistra. Si semplificherebbe ulteriormente il quadro, è vero, ma nel senso di un quasi completo annichilimento degli stessi democratici. È comprensibile che Silvio guardi soddisfatto all’evolversi del confronto. Sulle prime iniziative concrete dell’esecutivo fissate per il Consiglio dei mini-


il tandem stri di mercoledì prossimo a Napoli, d’altronde, il Pd non potrà mettersi grandi strepiti: la detassazione di straordinari e premi era anche nel programma veltroniano, e difficilmente il contenuto del pacchetto in sicurezza potrà essere respinto. In queste ore a suscitare l’ansia del governo è casomai l’ufficio legislativo del Quirinale. Permane il pregiudizio, di fatto insuperabile, sia sulle modifiche alla legge Gozzini che sul reato di clandestinità. Sarebbero ancora più ferme, le obiezioni del Colle, se nel testo a cui lavora Niccolò Ghedini fossero introdotte novità riguardo ai tempi dei processi. Tra le ipotesi circolate nelle ultime ore infatti c’è anche quella di una corsia privilegiata per i procedimenti che riguardano la criminalità piccola e grande. In questo modo finirebbero per slittare molte altre materie. Il centrosinistra, ma soprattutto Antonio Di Pietro, potrebbe obiettare che in questo modo diventerebbe impossibile qualsiasi condanna per corruzione.

E tutto questo in nome di poche e peraltro già acquisite riforme istituzionali. È ancora più evidente che in questo modo il vantaggio per Veltroni è personale più che politico. Riguarda la tenuta della sua leadership piuttosto che il consolidarsi del Pd come unica opposizione. C’è qualche rischio sottovalutato: la reazione isterica di spezzoni ancora vaganti dell’ala post comunista. Ieri è riapparso il neoglobal Francesco Caruso, che ha parlato di «dittatura del Veltrusconismo» alla quale si risponderà con la «resistenza e lo scontro frontale: diversi milioni di cittadini saranno spinti sul terreno extra parlamentare, rendendo più fertile il terreno della rivolta e della sovversione sociale». Ambigua evocazione, peraltro infarcita con un riferimento alle iperboli di Bossi: «I 300mila fucili tanto cari al ministro saranno tutti protesi verso i loro corpi». I corpi sono quelli dei leader del Pdl e Pd. Si ascoltano per fortuna considerazioni più sobrie. Da approfondire quella del vicepresidente della Camera Pdl Maurizio Lupi, secondo cui il dialogo intrapreso da Silvio e Walter si mette nella scia di quello «avviato anni fa con alcuni amici dell’intergruppo per la sussidiarietà: Alfano, Casero, Volonté, Saglia, e dall’altra parte Bersani, Letta e Realacci». Di sicuro finora il ruolo dei cattolici, compresa la componente ciellina, è stato marginale. Ma il riferimento del deputato formigoniano guarda a uno scenario più ampio dell’intesa personale tra Berlusconi e Veltroni. Non si può escludere che lo spazio si allarghi.

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Il sospetto è che questa maggioranza si sia già accorta che i problemi sul tavolo sono tali e tanti che non si potrà affrontarli senza l’opposizione e senza la “pace sociale” col sindacato

Non c’è vera strategia: entrambi in difficoltà si sorreggono a vicenda

Se ci credessero davvero farebbero una grande coalizione di Enrico Cisnetto erto che l’Italia è proprio uno strano Paese. Dopo quindici lunghi, interminabili anni di guerra ideologica, di sputi e di cappi mostrati in diretta a Montecitorio, dopo campagne elettorali a cui gli stessi protagonisti delle vicende di oggi chiamavano gli italiani a scegliere tra il Bene e il Male, ora dovremmo spellarci le mani per applaudire coloro che, smessi gli abiti dei piromani, hanno indossato la divisa dei pompieri per spegnere il fuoco della contrapposizione frontale e della delegittimazione reciproca. E magari felicitarci con loro perché ci stanno regalando un’aria finalmente respirabile, che poi non è ne più ne meno che quel “clima normale”che c’era già nella vituperata Prima Repubblica, quando pur essendoci la Guerra Fredda e il più grande partito comunista d’Occidente fosse italiano, il rispetto e la collaborazione erano scontati. Oggi si grida al miracolo, e c’è chi si spinge a parlare di“nuova stagione politica”, se non addirittura dell’avvento della Terza Repubblica, solo perché Berlusconi ha dismesso il linguaggio di un tempo e Veltroni ha abiurato l’anti-berlusconismo come unico collante della sinistra. Ridicolo.

C

Intendiamoci, il fatto che i toni siano più distesi è positivo. Ma da qui a dire che siamo finalmente diventati – o ritornati, se si è un poco nostalgici del 1947-1992 – una “democrazia normale”, ce ne corre. In realtà, il sospetto è che questa maggioranza, pur uscita solidissima dalle urne, si sia già accorta che i problemi sul tavolo sono tali e tanti che non si potrà affrontarli senza un apporto da parte dell’opposizione e senza la “pace sociale” che viene richiesta al sindacato. Infatti, non basta convocare il consiglio dei ministri a Napoli per sciogliere il nodo drammaticamente sempre più intricato dell’immondizia campana (e non solo), ma bisogna avere idee chiare, strumenti operativi pronti e tanta, tanta capacità decisionale. E del dossier Alitalia – che con quello della spazzatura rappresenta il fronte più caldo dove si prenderanno le misure al Berlusconi IV – cosa vogliamo dire? Siamo di fronte non a un progetto industriale, bensì ad una“colletta”spacciata per cordata che, al di là della sua effettiva riuscita, non pare comunque in grado di dare sia una ri-

sposta strategica al problema della compagnia che organica al tema del trasporto aereo e del sistema aeroportuale nazionale. Eppure entrambe le vicende devono essere risolte entro l’estate, se Berlusconi non vuole giocarsi la faccia. E poi c’è, sempre meno sottotraccia, la situazione di declino dell’economia italiana che sta emergendo in tutta la sua gravità. I dati arrivati nelle ultime settimane, infatti, sono particolarmente pesanti: prima il crollo dei consumi (-1,7% a marzo, il dato più pesante del 2005), poi l’andamento dell’export, con un dimezzamento delle esportazioni verso i nostri partner Ue registrato nei primi due mesi dell’anno e il peggioramento della bilancia commerciale registrato a marzo, quindi un prolungato rallentamento della produzione industriale. L’Europa nel primo trimestre è andata meglio del previsto (+0,7%), trainata da una Germania che non cresceva così da 12 anni (+1,5%), mentre

L’asse Pdl-Lega ha vinto le elezioni ma ha prodotto un governo che non ha alibi e non può permettersi il rischio di deludere. Si rischia la fine di Prodi per noi sarà grasso che cola se il pil non dovesse regredire (i dati li avremo solo il 23 maggio). E’ l’effetto accumulo di ritardi decennali, proprio mentre sta venendo meno l’alibi della recessione mondiale e del disastro stile 1929. E con quali strategie si affronterà questo che è di sicuro il problema dei problemi? Prima e durante la campagna elettorale di idee se ne sono viste ben poche, il dibattito sulla fiducia non ha certo riempito questo vuoto. Insomma, l’asse Pdl-Lega ha vinto le elezioni ma ha prodotto un governo che non ha alibi e non può permettersi il rischio di deludere. La condizione è certo diversa, ma finire bruciati come Prodi si fa presto. E i rapporti tra Berlusconi e il suo “partito”, da un lato, e la Lega, dall’altro, non saranno certo facili se, com’è prevedibile, Bossi farà pesare il suo essere indispensabile tanto alla Ca-

mera quanto al Senato. Dunque, Berlusconi ha disperatamente bisogno di una sponda, e spera in Veltroni. Ma sull’altro fronte, il Pd è messo pure peggio: uscito male dalle elezioni, è preda di convulsioni interne che sarà difficile calmare, come dimostra l’insofferenza di D’Alema e dei prodiani. E dunque il “signor ma anche” sa che o trova una sponda di dialogo che gli consenta di apparire come l’innovatore della politica italiana, non più rissosa, o se ne va a casa.

Ecco, allora, che così inquadrato è più spiegabile l’appeasement di questi giorni tra Berlusconi e Veltroni: entrambi hanno interesse a sorreggersi l’un l’altro. Tuttavia, se così fosse, ai fini degli interessi del Paese, rischia di trattarsi di un dialogo fuori tempo massimo, perché ben diverso sarebbe stato profilare un’intesa durante la campagna elettorale, altro è farlo ora per motivi contingenti. Se avessimo visto Veltroni e il Cavaliere siglare prima delle urne un patto di concorso in solido alla soluzione dei problemi più scottanti – Napoli, Alitalia, crescita economica, e magari anche legge elettorale – gli elettori avrebbero potuto valutare quella convergenza attraverso il voto. Ben altra cosa, invece, sarebbe una sorta di grosse koalition “ex post”. Troppo comodo. La diagnosi, e la proposta di una ricetta condivisa, andavano fatte prima. Adesso, chi ha vinto ha il dovere di governare, anche perché il verdetto elettorale, almeno in termini di seggi, è stato netto. Questo non significa che per affrontare la dimensione e l’urgenza dei problemi italiani la Grande Coalizione non sarebbe necessaria. Anzi. Ma visto che il confine tra convergenza e inciucio è labile, e dato che per produrre la prima e non generare il secondo c’era lo strumento del parlar chiaro in campagna elettorale ma non si è usato, ora quella della grosse koalition sembra davvero un’ipotesi poco credibile. Più probabile che si tratti di una “kleine koalition”, una piccola coalizione, con la quale di certo non si apre la stagione nuova della Terza Repubblica, ma al massimo si riesuma un vecchio arnese della Prima, il consociativismo. Cosa della quale, francamente, non si riesce proprio ad avere alcuna nostalgia. (www.enricocisnetto.it)


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etica & affari

Dopo la denuncia olandese l’Ue lancia una campagna contro gli alti emolumenti delle aziende private. E Tremonti concorda...

Dagli al manager! di Gianfranco Polillo è voluto del tempo, ma alla fine i nodi stanno venendo al pettine. Lo scandalo Enron, agli inizi del nuovo millennio, non fu soltanto l’inizio di una lunga crisi che portò negli Usa a un drastico rafforzamento delle misure di controllo delle società. Fu anche il primo atto di una commedia, o si preferisce di una farsa, subito dimenticata.

C’

Allora si denunciarono i guadagni realizzati dal top management: milioni di dollari ottenuti, vendendo al momento giusto le proprie stock option, quando il titolo era sostenuto da operazioni truffaldine. Furono inquisiti. Il presidente Ken Lay, successivamente immortalato in un film di Spike Lee, colpito da infarto ci rimise la vita. Gli altri ottennero condanne che variarono dai 18 mesi ai 24 anni. Ma non finì così. La grande stampa internazionale fu co-

cutivi di perdite – realizzati. Poi, dalla semplice spigolatura, si passò alle indagini più serie. L’Economist, per In primo piano, esempio, calcolò che il top manager il ministro delle aveva guadagnato in una settimana Finanze sloveno e presidente quanto i comuni mortali realizzavano in di turno un anno di duro lavoro. dell’Ecofin, Roba da far impallidire Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella e i loro dati sulla Andrej Bajouk. È stato lui “casta”. Si dimostrò, ancora, che, intorad aprire, no al 2000, un superman della finanza guadagnava centodieci volte tanto un in sede europea, povero colletto bianco.Venti anni prima il tiro incrociato contro le alte questo rapporto era inferiore a 40. Dati che fecero scalpore. Sollevarono qual- remunerazioni dei manager. che indignazione. Un botto di CapodanSarkozy, la Spd no e nulla più. Oggi il fenomeno riemerge. E, come tedesca e Giulio spesso capita in queste occasioni, in Tremonti sono modo del tutto casuale. È stato sollevato dalla sua parte in Olanda, dopo che la stampa ha potuto sbirciare la busta paga di Jan Bennink: 51 anni, top manager di diversi

Oggi i dirigenti guadagnano cento volte rispetto a un colletto bianco. E spesso, per aumentare i bonus e le remunerazioni, prendono decisioni che fanno perdere utili agli azionisti e mettono le società a rischio scalata KEN LAY Il presidente di Enron e i suoi manager erano soliti annunciare finte operazioni ai mercati per valorizzare il titolo della società quando dovevano vendere le proprie stock option stretta ad aprire gli occhi sul fenomeno dei superman della finanza e dell’industria. E iniziarono le prime inchieste. Si scoprì, così, negli Usa ben 11 grandi compagnie – tra le quali AT&T, Merck e Time Warner – avevano pagato ben 15 milioni di dollari, e per due anni consecutivi, i loro manager nonostante gli scarsi risultati ottenuti. Nulla a che vedere con la retribuzione di Robert Nardelli, a cui la Home Depot garantiva un appannaggio di 210 milioni, nonostante i disastri – 5 anni conse-

gruppi industriali come Procter & Gamble, Danone, Kraft e Royal Numico.Tra stipendi, premi di produzione, stock option e liquidazioni è riuscito a raggranellare in un anno 80 milioni di euro.

Questi emolumenti sono apparsi eccessivi rispetto ai suoi stessi competitor. Che, per la verità, non sono da meno, se si considera che i guadagni di Wendelin Wiedeking della Porsche ammontano a oltre 70 milioni. Quelli di Matteo Arpe, ex amministratore delegato di Capitalia, a 37, 4. Per passare, infine a quelli più “modesti”: Joseph Ackermann della Deutsche Bank (con 13,98 milioni) o Brady Dougan del Credit Suisse (con 13,59 milioni. Decisamente, Sergio Marchionne, che pure ha salvato la Fiat, con i suoi 6,9 milioni di euro lordi appare come un manager “senza qualità”. Follie del mercato globalizzato? Nuova ventata di indignazione? Questa volta il caso sembra più serio. A scendere in campo sono state le grandi istituzioni europee. Ha cominciato il presidente di turno di Ecofin, lo sloveno Andrej

Bajouk, preannunciando che la questione sarà posta al prossimo semestre del Consiglio europeo. La presidenza, allora, sarà dei francesi e Sarkozy si è subito dichiarato d’accordo. Per quanto lo riguarda – le politiche fiscali sono prerogativa degli Stati nazionali – darà un giro di vite al trattamento delle stock option e porrà un tetto di un milione di euro per la detrazioni dei relativi costi. Lo stesso obiettivo è stato indicato dai socialisti tedeschi che premono su Angela Merkel per ottenere un

analogo provvedimento. Giulio Tremonti, a sua volta, si è dichiarato disponibile ad affrontare la questione. Insomma, il vento rischia di cambiare. E non soltanto per motivi che attengono all’etica degli affari. La teoria insegna che le regole di mercato possono esercitare il loro pungolo quando le imprese sono contendibili. In questi casi, per punire un management poco rispettoso dei diritti degli azionisti, la società viene scalata e i vecchi dirigenti rimossi senza remore.

MATTEO ARPE L’ex amministratore delegato di Capitalia, il manager che ha permesso alla banca di decuplicare il titolo, nel 2007 ha denunciato redditi per 37,4 milioni di euro, forte anche di una maxi buonuscita

Ma se il mercato non risponde a queste caratteristiche, allora il pericolo di un nuovo Enron è in agguato. Un management inamovibile può spingere l’azienda oltre le colonne d’Ercole del moral hazard per realizzare maxi profitti di breve periodo e spingere gli azionisti a remunerare il proprio operato oltre il dovuto. Basterà un tetto alle alte enumerazioni per scongiurare il pericolo? Non ne siamo così sicuri. La via maestra è un’altra. Quella di accelerare la costruzione del mercato unico europeo. Abbattere le paratie


etica & affari

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La reazione di uno dei più famosi dirigenti italiani

«Politici, giù le mani dagli stipendi privati» colloquio con Franco Tatò di Francesco Pacifico a è il libero mercato, dove c’è chi compra e c’è chi vende. Ora i politici vogliono mettere il naso anche in queste cose? Quando gli stipendi più scandalosi sono stati stabiliti da loro, come accade nelle società pubbliche». Franco Tatò, manager passato alla storia come rigido tagliatore di teste e di spese superflue, fa fatica a discutere della campagna lanciata dall’Unione europea – e subito accolta da Giulio Tremonti – contro le altissime remunerazioni dei dirigenti. «Ci sono situazioni che anch’io potrei ritenere scandalose, ma non l’ho mai esternato pubblicamente perché tutto rientra nella libera contrattazione tra aziende e manager», dice l’attuale amministratore delegato dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani. Resta il fatto che spesso c’è una sproporzione tra stipendi e risultati ottenuti. «E la responsabilità è degli azionisti. Quanto viene garantito contrattualmente ai manager, lo decidono i consigli di amministrazione, i quali si servono normalmente di un comitato nomine e un comitato remunerazioni. Questo è quanto accade nelle aziende quotate che applicano il codice di autodisciplina. E sono la stragrande maggioranza. Però le cose non vanno bene. Io non capisco l’approccio di questa discussione. Se i manager non funzionano, li si licenzi. Se le società non hanno comitati nomine adatti, li si cambi. Se i consiglieri dei Cda non fanno bene il loro lavoro, intervengano le assemblee per sostituirli. Anche perché è in questa sede che gli azionisti di minoranza hanno la possibilità di far sentire la propria voce. Veramente all’ultima assemblea delle Generali l’azionista di minoranza Davide Serra ha posto il problema dello stipendio del presidente Antoine Bernheim, ma senza risultati. Era suo diritto di azionista farlo. Di più, ha fatto benissimo a prendersela con chi ha la responsabilità. Ma la maggioranza degli altri soci ha detto che non c’erano problemi. Lo ripeto ancora una volta, si può avere una reazione interiore, ma la realtà è quella che dipingo io. In conclusione? È inutile prendersela con i dirigenti, perché i contratti – che non sono frutto di estorsione – prevedono oltre alla remunerazione anche eventuali collegamenti al profitto o al fatturato. Prenda il caso di Giancarlo Cimoli. Non vorrà giustificare anche lui e la sua maxi liquidazione da 7 milioni di euro? È stato chiamato all’Alitalia dal governo perché accettasse un incarico terribile. Una mission impossible. E gli è stata fatta un’offerta in relazione a que-

«M

JAN BENNINK Manager di diversi gruppi industrali (Procter & Gamble, Kraft e Danone) ha incassato tra stipendi e benefit circa 80 milioni di euro. Cifre che hanno fatto scandalo in Olanda

statuali – si pensi alla teoria dei “campioni nazionali” – che impediscono l’effettiva concorrenza. In un mercato più strutturato di quello attuale, anche le grandi imprese diventano contendibili. E la minaccia pesa come una spada di Damocle sul comportamento dei singoli. Purtroppo ci vorrà tempo. Nel frattempo accontentiamo di un vincolo di carattere puramente amministrativo. Un omaggio all’etica, in attesa che vinca una posizione liberale.

sto. Ora lo si accusa di aver guadagnato moltissimo e fatto pochissimo. È assurdo. Non è più assurdo che di fatto le stock option siano esentasse? Questo è un privilegio che è assolutamente fuori dal buon senso. Però leggendo i giornali sembra che la legge che prevede un’aliquota del 12,5 per cento sulle stock option, sia stata deliberata dai manager. È un’altra sciocchezza. Negli Usa è previsto che i manager possano esercitarle soltanto in un determinato periodo dell’anno e non in prossimità di decisioni strategiche per le aziende. Allora perché non ragioniamo su come applicare queste norme in Italia.Visto che funzionano così bene in America, non vedo perché non dovrebbe essere lo stesso anche da noi. Allora quella della Ue è soltanto una campagna moralista, estranea ai problemi delle aziende? Assolutamente estranea. Questi problemi non esistono. Scandalizzarsi non serve a nulla. Se mi offrono la presidenza di una società, io chiedo una remunerazione da 700mila euro e mi dicono: “Sei pazzo”, ho due scelte: o abbasso le mie pretese o ne prendono un altro. C’è chi dice che il vero obiettivo di Bruxelles sia introdurre, sfruttando un tema così scottante come i maxi stipendi, una più generale armonizzazione fiscale tra i 15? Mi creda, di questo non mi importa assolutamente nulla, sono polemiche inutili. L’Europa poi hai un processo decisionale abbastanza complesso. Tanto che alla fine non decide proprio su nulla. Da capoazienda, come riusciva a legare stipendi e risultati dei suoi manager? Davo degli obiettivi. Una volta all’anno presentavo un piano d’incentivi legato ai budget. In Italia, purtroppo, la parte variabile della remunerazione, e sto parlando dei manager non degli amministratori delegati, è estremamente modesta. La stessa caratteristica c’è anche in Germania. Altro Paese dove si sono lamentati per i maxistipendi come quello del presidente di Porsche, Wendelin Wiedeking. Wiedeking guadagna 75 milioni di euro con le stock option e li guadagna da parecchi anni. Forse è il più grande manager di automobili vivente, sicuramente il più pagato d’Europa. Ed è stato assunto dalla Porsche, quando questa era vicina al fallimento. Ora l’ha portata a comprare la Volkswagen. E lei, che pure ha lavorato in colossi come Olivetti, Mannesmann, Mondadori o Enel? Io non ho mai ricevuto offerte come queste. E all’epoca della Mondadori, Berlusconi non dava ancora le stock option. Di fronte a questi privilegi posso soltanto mangiarmi le unghie.

Le remunerazioni più scandalose sono quelle delle società pubbliche. Ma chi è che le stabilisce?


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pensieri

Una data, un impegno per ricordare la centralità del nucleo familiare nel destino dell’Italia

Generazione 15 maggio di Luisa Santolini n grande storico francese, Pierre Chaunu, accademico di Francia e professore emerito della Sorbona, ha scritto che la famiglia è uno di quegli istituti che hanno «un’origine naturale e che sembrano far parte dell’origine stessa dell’uomo». «È evidente – aggiunge – che lungo tutta l’epoca classica, greca e romana, la famiglia rappresentava già un riferimento importante» ed è vero che il più compiuto riconoscimento giuridico dell’istituzione familiare è maturata «soprattutto nel mondo da cui proveniamo, quello romano e giudeo cristiano». La famiglia è un «substrato naturale che genera storia ancora prima di essere inserito nella storia» ed oggi preoccupa «il legame evidente tra l’attuale calo demografico in Europa e la svalorizzazione della famiglia». Inoltre Chaunu, il primo a lanciare l’allarme per «il suicidio demografico dell’Europa», è attento al caso italiano e afferma «Non ci sono ragioni perché l’Italia scompaia. In questo momento è vero non si rie-

U

sce a rinnovare le generazioni, ma prima o poi l’emergenza salterà agli occhi di tutti. Ci sarà come in Francia una presa di coscienza. A un certo punto, in una società risorge e torna centrale l’evidenza, solo in apparenza banale, che si è in vita perché si è stati generati, prima ancora che educati, da una madre e da un padre». E prosegue dicendo «La fecondità tornerà anche negli altri Paesi europei, ma a condizione che ci siano persone che difendano con sincerità e convinzione la vita e la famiglia. La vita consiste nel saper ricevere questo dono, fino in fondo e nel saperlo trasmettere con la massimo intensità.

È da sempre stato così. Se non si rispettano le regole fondamentali della vita semplicemente si scompare». Sono parole di grande

rilievo, da prendere in seria considerazione e da meditare una per una da parte di tutti, senza eccezioni. «Semplicemente si scompare». È questo il destino dell’Italia? È questo il desiderio di un popolo carico di storia e di tradizioni, depositario di un immenso tesoro di valori ed ancora leader in moltissimi campi a livello internazionale? Certamente no, ma occorre che ci siano persone, e aggiungo io famiglie, che difendano con sincerità e convinzione la vita e la famiglia. In Italia queste persone e queste famiglie ci sono e si raccolgono e si riconoscono nel Forum delle Associazioni familiari che vanta ormai una lunga storia ed ha fatto un cammino, non facile e non scontato, ma sicuramente avvincente e vincente.il Forum delle famiglie ha presentato al capo dello Stato oltre un milione di firme raccolte in tutta Italia per un fisco a misura di famiglia, una conferma che il popolo del Family day c’è, è vivo e vitale e non ha nessuna intenzione di tornare nell’ombra dopo la straordinaria manifestazione di un anno

con la massima urgenza e se il Forum è chiamato a fare da battistrada sul piano della cultura, della formazione e della sollecitazione al mondo della politica, il Parlamento deve ascoltare le istanze della società civile e farle diventare normativa stringente.

Questo è stato il senso della manifestazione del 15 maggio, che il Forum ha organizzato per celebrare la Giornata internazionale della famiglia voluta dall’Onu nel 1994, Anno Internazionale della Famiglia. Una data sconosciuta ai più, ma che piano piano sta conquistando il posto che merita anche nel panorama italiano. Una data che il Forum ha voluto introdurre in Italia con caparbietà e costanza e che speriamo diventi presto una data, un appuntamento caro a tutti. Da qui è nata l’idea di una proposta di Legge che introduca la Giornata internazionale della famiglia nell’ordinamento nazionale. Molti Paesi stranieri l’hanno fatto e c’è da sperare che in Italia questa

Il Family Day è vivo e vitale e non ha nessuna intenzione di tornare nell’ombra dopo la straordinaria manifestazione di un anno fa

anche vero che le parole non bastano e allora occorrono gesti simbolici e fatti concreti per dire alle famiglie italiane che solo loro potranno salvare le famiglie e solo loro potranno salvare la società dal degrado e dalla mancanza di futuro in cui sta sprofondando.

Il 15 maggio dovrebbe essere un appuntamento importante, non come tante date che si celebrano sull’altare del consumismo, non come sterile celebrazione, ma come una preziosa occasione per discutere sulle tematiche e sugli interventi a favore dei nuclei familiari, per attuare una riflessione seria sui valori fondanti la famiglia, su cosa voglia dire essere padri, madri e figli per dare un rinnovato slancio verso i percorsi di genitorialità e di responsabilità, per

PIERRE CHAUNU

BAN KI-MOON

FAMILY DAY

Per l’accademico di Francia il compiuto riconoscimento dell’istituzione familiare è maturata soprattutto nel mondo da cui proveniamo: quello romano e giudeo cristiano

Le Nazioni Unite hanno definito la famiglia il nucleo naturale e fondamentale della società che ha diritto di essere protetta dalla società e dallo Stato

Il Forum delle famiglie il 15 maggio ha presentato al Capo dello Stato oltre un milione di firme raccolte in tutt’Italia per un fisco a misura di famiglia

fa. È indubbio che ripensando ai primi passi del Forum delle famiglie moltissima strada è stata fatta e gli va dato atto di avere raggiunto traguardi allora impensabili. È una buona notizia in un panorama avaro di buone notizie, ma al riconoscimento per il cammino fatto va aggiunta l’esortazione a non abbassare la guardia, dal momento che le sfide alla famiglia si moltiplicano, anche a livello internazionale, e si spostano sempre di più sul piano culturale e sulla corretta comprensione di cosa sia la famiglia a livello antropologico. La fatica e l’impegno non solo del Forum delle famiglie, ma di tutti noi si giocano prima di tutto sul piano antropologico e culturale, che solo successivamente si traduce sul piano politico ed economico. Ognuno deve fare la sua parte

proposta non incontri opposizioni preconcette. Il rischio obiettivamente c’è, ma opporsi ad una proposta del genere significa mettere la firma ad una dichiarazione di ostilità ideologica nei confronti di quella che l’Onu ha definito «il nucleo naturale e fondamentale della società che ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato» e che la Convenzione universale dei diritti del fanciullo dichiara essere «unità fondamentale della società ed ambiente naturale per il benessere e la crescita di tutti i suoi membri» che «deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività». Se le parole contano, ricordarle con una Giornata dedicata alla famiglia e al suo significato nella società mi sembra doveroso. Ma è

Il 15 maggio il Forum delle Famiglie ha organizzato una manifestazione per celebrare la Giornata Internazionale della famiglia voluta dall’Onu nel 1994

riconoscere la famiglia quale motore e destinatario dello sviluppo e del benessere di una comunità. Le rivoluzioni culturali e politiche si fanno anche così, con tenacia e fermezza, sapendo che il punto di arrivo è quello di riconoscere la famiglia non come un gruppo di consumatori e di poveri da aiutare in casi estremi, ma come un soggetto indispensabile che accoglie la vita, educa e pratica la solidarietà, un volano insostituibile, protagonista e partecipe dei processi decisionali che la riguardano. Contrariamente a quanto affermato da molti, amore, rispetto, tolleranza, altruismo sono i valori che fanno della famiglia un luogo privilegiato di solidarietà tra le generazioni, fondamento della società e delle Nazioni. Noi siamo qui per promuovere e difendere questi principi.


& parole La presidente di Scienza e Vita: il nuovo governo deve abolire la circolare dell’ex ministro

«Le linee guida Turco rischiano di aprire all’eugenetica» colloquio con Maria Luisa Di Pietro di Riccardo Paradisi

ROMA. Suscita dure polemiche il ritorno alle vecchie linee guida sulla legge 40 annunciato dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella. Un provvedimento che implicherebbe naturalmente lo stralcio delle linee guida emanate dall’ex ministro Livia Turco che aprivano alla diagnosi preimpianto sull’embrione. Roccella ha definito la circolare Turco sulla fecondazione assistita “una forzatura prima del voto” mentre Carlo Giovanardi a proposito dell’applicazione della circolare dell’ex ministro della Sanità ha parlato di introduzione di sistemi eugenetici: «Le linee guida Turco vanno contro tutta l’impostazione della legge 40, a partire dal limite dei tre embrioni:la legge è contro l’eugenetica, mentre ci devono spiegare a che scopo si fa la diagnosi preimpianto se non proprio a fini eugenetici, cioè per buttare l’embrione non sano». I radicali del Pd da parte loro parlano di una controriforma in atto, ma anche i laici del Pdl, come Benedetto della Vedova e il ministro Stefania Prestigiacomo contestano le posizioni espresse da Roccella e Giovanardi. Sulle ipotizzate modifiche alle linee guida della Legge 40 abbiamo intervistato la professoressa Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza e vita. Soddisfatta professoressa dell’annunciato ritorno alla Legge 40 originaria? La proposta di tornare alle precedenti linee guida della Legge 40 è giusta. Noi di Scienza e vita auspichiamo che lo si faccia presto anche perché il modo con cui sono state inserite le nuove linee guida è stato semplicemente sconcertante. La circolare Turco non sconfessa quello che il popolo italiano aveva richiesto astenendosi da un referendum abrogativo basandosi su alcune, discutibili sentenze. Sono sentenze del Tar del Lazio e di diversi tribunali italiani. Se è per questo esistono sentenze di segno diametralmente opposto ma non sono state prese in considerazione. C’è una nota sentenza del tribunale di Catania per esempio che afferma esattamente il contrario di quanto affermato dal Tar del Lazio. Il fatto che nessuno lo ricordi è significativo. C’è chi sostiene che le esternazioni di Giovanardi, prima della pronuncia della Corte istituzionale, possano ostacolare la strategia di chi vorrebbe tornare alla Legge 40 precedente alle direttive Turco.

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Non sono in grado di valutare le strategie migliori, non sono un politico ma sicuramente le voci che si sono espresse a favore delle vecchie linee guida subiscono non da oggi il coro di contestazioni di chi ha sempre avuto in mente la modifica alle legge che la circolare Turco ha determinato. Resta il fatto che la legge 40 vieta espressamente la diagnostica genetica pre-impianto e ciò che ad essa segue cioè la soppressione degli embrioni ritenuti malati. Per essere ancora più chiari la legge vieta la selezione degli embrioni a scopi eugenetici e indica che tutti gli embrioni prodotti vengano trasferiti nella donna. La circolare dell’ex ministro Turco è stata definita un colpo di mano. Lo è. Le linee guida che di solito fanno Maria Luisa Di Pietro riferimento a una legge servono per interpretarla meglio e tradurre nella prassi la legge nel modo migliore, non per stravolgerne il senso o addirittura per rovesciarlo. Tra l’altro parliamo di una legge, insisto, che è stata confermata da un referendum abrogativo. Chi ha proposto quel referendum è stato politicamente sconfitto e dovrebbe prenderne atto. Lei in altre occasioni ha notato la differenza di atteggiamenti tra le legge 194 sull’aborto e la legge 40. La prima è ritenuta intoccabile, anche a trent’anni di distanza dalla sua entrata in vigore, la seconda, pur molto recente, è già oggetto di una volontà revisionista. È un atteggiamento politicamente e culturalmente schizofrenico: da una parte la legge 194 è ritenuta intoccabile, non riformabile, perfetta: qualunque parola spesa su questa normativa viene letta e denunciata come un attentato all'autodeterminazione della donna. Al contrario la legge 40 è ritenuta sospetta perchè all’articolo 1 si è detto che il concepito è un soggetto che va tutelato e questo sarebbe un attentato all’autonomia e all'autodeterminazione. Un’altra obiezione di queste ore alla revisione delle linee guida Turco sulla legge 40 è che con la restaurazione della vecchia normativa riprenderebbe in Italia il turismo della fecondazione: i viaggi all’estero per avere una diagnostica pre-impianto. A parte il fatto che bisognerebbe valutare i numeri di questo fenomeno a me questa sembra davvero un’argomentazione debolissima. Il problema è che se il nostro stato garantisce una serie di diritti al concepito, tra cui quello alla vita, non si vede per quale ragione dovrebbe modificarli solo perché in alcuni Paesi si segue un’altra strada e un’altra logica. È come dire che siccome in Olanda esiste l’eutanasia non si capisce perché anche in Italia non debba essere legalizzata questa pratica. I temi etici sembravano spariti dal dibattito politico. Finita la campagna elettorale eccoli balzare fuori con forza. Era scontato che temi che riguardano la vita, la salute, il morire sarebbero tornati a rivestire una forte valenza politica. Si tratta di questioni che hanno a che fare con ciascuno di noi che chiamano in causa sensibilità diverse e confliggenti. La precedente legislatura non li ha affrontati, a nostro avviso, in modo adeguato. Ora attendiamo di vedere come si comporterà quella appena cominciata.


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scenari

Con le prossime elezioni gli Stati Uniti si giocano il futuro: l’opinione del più intransigente dei repubblicani

A rischio leadership Cina, Iran, Russia, Medioriente, Stati canaglia: le 5 minacce al potere americano nel XXI secolo di Newt Gingricht segue dalla prima Ma a dirla tutta, ciò che emerse dalle nostre ricerche fu la stupefacente portata dell’illusione britannica. I piani per proteggere la Malesia erano risibili ed impossibili. Le risorse necessarie ad arginare la crescente minaccia della Germania nazista gli impedì di provvedere alla difesa dei suoi interessi in Asia. E nessun cambio di marcia venne adottato. Il risultato fu una catastrofica ed umiliante serie di sconfitte: Hong Kong, Malesia, Singapore e Birmania. Oggi un’America disgregata si avvia a ripercorre quelle orme, dirigendosi verso una sconfitta simile a quella subita dai britannici nel 1941. Una visione strategica deve saper guardare oltre gli orizzonti contingenti del potere militare. E basarsi su una forza intellettuale ed economica capace di evidenziare non solo le possibili minacce ma anche gli strumenti atti a sconfiggerle. Possibilmente all’interno di un sistema istituzionale caratterizzato da merito e professionalità e non da inciuci e burocrazia. Ebbene, su tutti questi fronti l’America sta perdendo terreno e non sembra voler cambiare marcia.

In un grande Paese la pianificazione strategica dovrebbe avere un orizzonte temporale che va dai 15 ai 25 anni. Con la Commissione Hart-Rudman che ho avuto il privilegio di presiedere e che il generale Boyd ha guidato, abbiamo passato in rassegna gli ultimi 25 anni per cercare di capire cosa dovesse essere fatto. Il rapporto scaturito, pubblicato nel marzo 2001, è ancora valido, ma gli sforzi fatti per adeguarlo alle mutate condizioni sono stati deboli ed inefficaci. Le principali minacce strategiche per gli Stati Uniti arrivano da: • un’ascesa del sistema economico, scientifico e militare cinese;

• una rinascita dell’autocrazia russa che utilizza le proprie risorse energetiche per ricostruire il potere militare in un Paese demograficamente in declino e disgregato; • uno sforzo aggressivo e mirato dell’ala fondamentalista dell’Islam che mira a sconfiggere l’Occidente, eliminare Israele ed imporre una dittatura islamico fascista; • un numero crescente di cosiddetti “Stati canaglia” desiderosi di acquisire armi di distruzione di massa per tutelarsi nei confronti delle democrazie e consentire loro d’imporre il proprio volere sugli Stati confinanti; • un sistema emergente di pseudo-legalità sostenuta da un’élite burocratica internazionale che indebolisce le demo-

Abbiamo sconfitto nazisti, fascisti e imperialisti in meno di quattro anni. Oggi 23 non ci bastano per costruire una pista d’aerei crazie, tutela i delinquenti ed assorbe le energie virtuose e la dignità dei Paesi, convogliandole in manovre infinite di impotenza e disonestà. Queste cinque minacce si evolvono parallelamente e si coordinando fra loro. E l’America, quella con la A maiuscola, dovrebbe porsi l’obiettivo di sconfiggerle tutte. Questo non accade, anzi: nelle ultime due amministrazioni c’è stata una riluttanza a comprendere la portata delle sfide poste alla nostra sicurezza. Gli attuali sforzi sono limitati, privi di immaginazione e troppo timidi. Ecco perché è ora di avviare una profonda analisi e vagliare le opzioni strategiche necessarie. Il punto è solo uno: capire se è ora di ridimensionare i nostri obiettivi e

accettare un declino, oppure formulare un nuovo piano d’attacco. La mancata scelta fra queste due alternative ci porterà sull’orlo del collasso.

Desidero essere molto chiaro: l’America affronta il rischio reale di un sistema cinese scientificamente più avanzato, burocraticamente più snello e certamente dotato di maggiori risorse economiche. L’America deve contrastare la minaccia sempre più reale dell’autocrazia russa che fornisce armi tecnologicamente avanzate ad ogni nazione o movimento interessato ad intaccare ed erodere il potere americano e desideroso di creare alleanze contro di esso. L’America si trova ad affrontare il pericolo che le forze del fanatismo sciita (prevalentemente finanziato e guidato dall’Iran) e del fanatismo sunnita (prevalentemente saudita e finanziato a livello locale, ma sempre più coordinato dall’Iran), possano acquisire slancio strategico sia a livello politico che terroristico-militare. L’America si trova ad affrontare il pericolo che Stati e movimenti “canaglia” acquisiscano sistemi nucleari, biologici ed informatici che potrebbero arrecare enormi danni a lei ed ai suoi alleati. L’America deve affrontare il problema crescente di una pseudo-legalità che sostiene una burocrazia internazionale impenetrabile, irresponsabile e spesso corrotta, che ha reso più difficile risolvere i problemi in Rwanda, Sudan, Zimbabwe ed in altre zone caratterizzate da terrorismo, assassinio, cleptocrazia e brutalità. Di fronte a queste grosse sfide sistemiche, la generazione attuale dei leader di entrambi i partiti si rifiuta di comprendere la portata e l’urgenza dei problemi da affrontare per continuare a garantire all’America prosperità, sicurezza e libertà.

In basso il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad; guerriglieri sudanesi e Vladimir Putin durante un discorso

L’istruzione è una delle componenti fondamentali per sostenere il potere strategico americano.Venticinque anni fa, per la precisione nel 1983, nel rapporto A Nation at Risk si affermava che il livello di qualità delle nostre scuole era così basso che se una potenza straniera avesse fatto ai nostri figli ciò che noi stavamo facendo a loro lo avremmo considerato un atto di guerra. Sette anni fa, nel 2001, la Commissione HartRudman ammoniva che l’insuccesso della nostra istruzione matematica e scientifica ed i mancati investimenti a livello scientifico costituivano una minaccia maggiore rispetto ad ogni concepibile guerra convenzionale (si tratta della seconda minaccia più importante alla sicurezza americana, superata soltanto dall’utilizzo di un’arma di distruzione di massa). Non abbiamo conseguito alcun risultato nella modernizzazione dei nostri sistemi di apprendimento e con ogni probabilità la conseguenza sarà un lento decadimento, a meno che non si affronti questa crisi silenziosa. Dal punto di vista strategico, l’istruzione è un grande problema di sicurezza nazionale.

La forza economica non può essere garantita e sostenuta in un sistema giudiziario, normativo, fiscale, burocratico e sanitario caratterizzato da costi che sono semplicemente insostenibili. Il recente acquisto della Jaguar da parte di Tata è un simbolo significativo dello spostamento del potere economico mondiale. Il varo da parte della Cina di un’impresa commerciale e di costruzione nel campo aeronautico è un altro indicatore del fatto che la superiorità occidentale degli ultimi due secoli è al tramonto.

Nella Seconda guerra mondiale abbiamo sconfitto la Germania nazista, l’Italia fascista ed il Giappone imperialista in meno di quattro anni dalla nostra entrata in guerra. Per l’esattezza tre anni e otto mesi trascorsero fra Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, e la resa del Giappone nell’agosto del 1945. Oggi ci vogliono 23 anni per aggiungere una pista d’atterraggio all’aeroporto di Atlanta. Di recente il ministero dell’Energia ha annunciato che non completerà l’impianto sperimentale alimentato con carbone pulito la cui costruzione era stata annunciata nel 2003 e che


scenari

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saranno potenzialmente molte scoperte tecnologiche, ma nessuna di esse avrà un impatto nel breve periodo. La vertità è che si potranno trovare molte energie a patto che i politici lo vogliano. Nei 18 mesi passati il Brasile ha scoperto due grandi giacimenti di petrolio nell’Atlantico: due giacimenti che lo renderanno uno dei principali esportatori. Eppure, oggi, è illegale ricercare petrolio e gas nell’Atlantico al largo delle coste degli Stati Uniti.

avrebbe dovuto essere ultimato nel 2008. Ora prevede di varare una nuova versione di quel progetto con data di completamento nel 2016. I cinesi hanno annunciato che apriranno un impianto di questo tipo a Pechino nel 2009. La tecnologia che sarà brevettata e fornita in concessione a livello mondiale sarà probabilmente cinese e non americana. Il ministero del Commercio ha annunciato il fallimento di un progetto informatico da 1,3 miliardi di dollari e di dover ora effettuare il censimento del 2010 con 600mila lavoratori interinali armati di carta e penna per un costo di 15 miliardi di $ (rispetto ai 6,6 miliardi di $ che furono necessari nel 2000). Il divario fra il mondo che registra successi e quello che registra insuccessi è stato ben descritto nel mio recente libro, Real Change, e su YouTube in un video intitolato FedEx versus Federal Bureaucracy. L’erosione della nostra economia e del nostro sistema d’istruzione ci mette in forte competizione con la Cina e la Russia. L’incapacità di finanziare

appieno un sistema globale di sicurezza nazionale rende impossibile ricapitalizzare il sistema militare americano. Proprio perché disponiamo di un numero troppo limitato di uomini e risorse stiamo ipotecando il futuro per sostenere il presente.Troppo timidi, cauti e privi di immaginazione, dipendiamo dai nostri concorrenti. La storia ha dimostrato che questa è una scommessa pericolosa.

Ci ritroviamo ad essere danneggiati dal “politically correct” ed incapaci di avviare un dibattito onesto su come affrontare le

religiosa radicale che la sostiene e gli altri gruppi che costituiscono l’ala fondamentalista ed irriconcialibile dell’Islam. Chiunque non se ne renda conto non dovrebbe lavorare per il dipartimento della Sicurezza nazionale. Il fatto che il sistema informativo e diplomatico americano non sia riuscito a capire che apparentemente i nord-coreani ci mentivano da anni mentre aiutavano i siriani a costruire in gran segreto un reattore nucleare dovrebbe allarmarci tutti. Dopo un anno di sforzi e più di 500 milioni di dollari di aiuti all’esercito libanese, siamo rimasti inerti di fronte ad Hezbollah che mostrava la sua capacità d’intimidire e dominare il governo di Beirut. Dopo tutto il gran parlare che si è fatto della necessità di perseguire i siriani per aver assassinato politici libanesi; dopo tutte le promesse fatte alle Nazioni Unite sulla necessità di smantellare Hez-

Dopo un anno di sforzi e più di 500 milioni di dollari versati all’esercito libanese, siamo rimasti inerti di fronte ad Hezbollah che domina Beirut minacce mondiali. E se non saremo in grado di farlo non potremo elaborare strategie per combatterle. È semplicemente suicida considerare la rete di alQaeda soltanto come «un’organizzazione politica illegittima, sia terroristica che criminale» ignorando, al contempo, la base

bollah in cambio di moderazione da parte d’Israele, sono Siria ed Iran che vincono in Libano, mentre l’America e la democrazia sono in declino. Il consolidamento di Hamas a Gaza è un’ennesima vittoria del terrorismo ed una sconfitta della dignità e della democra-

zia. È certo uno dei misteri del nostro tempo come i nostri diplomatici possano parlare di ricerca della pace fra terroristi e Israele mentre riprendono slancio le forze del male. Soltanto coloro che vogliono scientemente illudersi possono guardare a quello che accade senza vedere che stiamo correndo rischi sempre più gravi. Nei Paesi più poveri del mondo una decennale campagna contro i generi alimentari geneticamente modificati con l’ausilio della scienza ha portato ad una catastrofica diminuzione delle riserve alimentari. Nei regimi dittatoriali, l’assenza dello stato di diritto riduce il desiderio degli agricoltori di produrre. Mentre gli europei ed i loro amici liberali attaccano volontariamente questo tipo di agricoltura potenziata dalla scienza, i poveri pagano con la vita questa ossessione. In mancanza di una seria e profonda strategia energetica nazionale, gli Stati Uniti hanno consentito che la domanda e l’offerta di energia diventassero decisamente squilibrate. Quest’anno saranno acquistate più auto in Asia che negli Stati Uniti. Un record storico che segna un aumento della domanda di energia da parte di quei popoli (Cina e India in primis) che arricchendosi auspicano una vita migliore. L’unica risposta pratica per il prossimo decennio sarà quella di aumentare notevolmente l’offerta. Nel lungo periodo vi

È illegale ricercare petrolio e gas nel Pacifico al largo delle coste degli Stati Uniti. È illegale ricercare petrolio e gas nel Golfo del Messico orientale. È illegale ricercare petrolio e gas nell’Alaska del Nord. Questa politica è irrazionale e pericolosa. Con un costo di 20 dollari al barile gli americani si possono permettere d’ignorare il loro potenziale in termini di risorse. Con un costo di 100 dollari al barile è pericoloso per l’economia e per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti adottare una politica che consenta deliberatamente ai dittatori stranieri di definire il sistema energetico mondiale. Un petrolio molto caro rende i dittatori più sicuri, potenti ed aggressivi. Un petrolio molto costoso indebolisce le economie dei Paesi democratici e rafforza quelle dei Paesi dove regnano dittatori ed autocrati. Un petrolio molto caro fornisce a Russia ed Iran molte più risorse da investire per competere con gli Stati Uniti. Un petrolio più costoso fornisce ai sauditi molti più fondi con i quali finanziare la propaganda estremista wahhabita in tutto il mondo. La mancanza di un’efficace politica energetica americana è un insuccesso strategico secondo soltanto al crollo dell’istruzione. Infine, dato che le armi nucleari, biologiche e dell’informazione continuano a diffondersi, continua a crescere il pericolo che gli americani ne vengano colpiti in modo disastroso. Abbiamo bisogno di un sistema di Sicurezza nazionale pratico, rafforzato e basato sul principio di realtà, in grado di gestire tre diversi eventi nucleari in tre diverse città nello stesso giorno. I nostri sforzi attuali in questo campo sono troppo limitati e burocratici. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare questi temi e proporre delle riforme se vogliamo garantire ai nostri figli e alle generazioni future di continuare a vivere nel Paese più prospero, libero e sicuro del mondo. Questa è la dura realtà. Guardiamola. Senior fellow presso l’Aei, già presidente della House of Representatives


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mondo Tenzin Gyatso, 73 anni, è il XIV Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989. Dal 1959 il leader tibetano vive in esilio in India, a Dharamsala. Nella foto piccola, Franco Frattini, 51 anni. Dal novembre 2004 al maggio 2008 è stato vicepresidente della Commissione europea. Attualmente è ministro degli Esteri del IV governo Berlusconi.

apocalittico terremoto cinese (da 50 mila a 100 mila vittime) ha oscurato le staffette con la fiaccola olimpica e i negoziati per il Tibet. Il Dalai Lama,dalla Germania dove si trova in visita, ha chiesto di concordare un vero e proprio round di incontri per accelerare i negoziati. La risposta delle autorità cinesi non si è fatta attendere: hanno chiesto ufficialmente alla guida spirituale dei tibetani di «rinunciare alla indipendenza del Tibet». Si tratta però di una richiesta inutile e che sembra voler ignorare il fatto che da almeno quattro anni il governo provvisorio, che ha sede a Dharamsala (India), e lo stesso Dalai Lama hanno ribadito che i tibetani non chiedono più l’indipendenza,cioè la separazione dalla Repubblica popolare cinese.

L’

Chiedono solo un’autonomia reale e non formale come si configura oggi per salvaguardare il patrimonio etnico,culturale e religioso della regione himalaiana. I negoziatori cinesi fingono di non capire. Nell’ultimo incontro fra le due delegazioni che si è svolto a Shenzen le conclusioni sono state sostanzialmente negative. «Un nulla di fatto. L’impressione che ne abbiamo ricavato - ha detto Geshe Gedun Tharchin, un lama tibetano che risiede a Roma - è che le autorità cinesi cerchino di strumentalizzare questi incontri: per dare un segnale di disponibilità nei confronti dell’opinione pubblica mondiale. In realtà vogliono far credere che il Dalai Lama non mantiene le promesse di fermare le azioni della resistenza tibetana». Non si dimentichi che la ripresa della trattativa è stata accettata da Pechino in seguito alla mobilitazione internazionale che ha accompagnato la fiaccola olimpica nel suo lungo e contrastato viaggio in Europa e in America. Certo, hanno contribuito anche le prese di posizione del pre-

Nessuna apertura da Pechino. il Dalai Lama è sempre più solo

Caro Frattini,non ripetere l’errore di Prodi di Aldo Forbice sidente francese Nicolas Sarkozy e dell’Unione europea, che hanno ripetutamente chiesto l’apertura di un confronto fra le parti. La linea del dialogo sembra che abbia vinto, ma porterà a qualche risultato positivo? «La realtà - dice sempre il lama Tharchin - è che i precedenti non ci incoraggiano. Anche nel 2002 vi fu un negoziato, per non parlare degli incontri fra le parti sin dai tempi di Mao Zedong, ma i risultati sono insignificanti, anzi totalmente negativi. I cinesi hanno continuato a fare quello che avevano deciso senza tener conto minimamente delle nostre richieste». E naturalmente è proseguita la repressione, con arresti di monaci e torture indiscriminate di uomini, donne e bambini tibeta-

Dalai Lama, che vive ad Hong Kong e che da anni gestisce i rapporti con Pechino.

Le questioni sul tappeto sono molte, anche perché i continui rinvii del dialogo li hanno resi sempre più di difficile soluzione. Giustamente un lama, che vuole conservare l’anonimato, ha dichiarato a un’agenzia: «I cinesi e i tibetani non potranno mai raggiungere un accordo perché sono storicamente divisi da almeno otto secoli. Forse l’economia potrà cambiare la situazione dei tibetani, ma non influisce in alcun modo sulla nostra storia. Nel frattempo, però, tutti ignorano quei tibetani che da più di 50 anni vivono a Dharamsala e in Nepal. Quale può essere il loro futuro, se

Resta la speranza di una vera autonomia, più rispettosa dei diritti di chi abita queste montagne da oltre tremila anni, ma ormai tutti si rendono conto che il “tetto del mondo” è destinato a rimanere un “territorio cinese” ni. E’ curioso poi che i cinesi si siano scelti i “negoziatori” tibetani, che sono i due rappresentanti diplomatici del governo provvisorio: Lodi Gyattsen Gyari (negli Usa) e Kelsang Gyaltsen (nell’Unione europea). E’ curioso che nella delegazione non vi fosse Kasur Gyalo Thondup,fratello del

il governo in esilio li vuole apolidi in attesa di un Tibet libero?». Un Tibet libero, che forse non vedremo mai, considerate le posizioni aggiornate del governo provvisorio tibetano e dello stesso Dalai Lama. Nella migliore delle ipotesi si potrà avviare un’autonomia di questa regione,

più rispettosa dei diritti di chi abita queste montagne da oltre tremila anni, ma ormai tutti si rendono come il “tetto del mondo” sarà destinato a rimanere un “territorio” cinese. Eppure il regime comunista cerca di pubblicizzare in Occidente la sua immagine di colomba portatrice di pace e tolleranza. Ma in realtà, soprattutto in Cina e Tibet, non fa cessare la sua politica aggressiva e denigratoria nei confronti del leader buddista. Il quotidiano “Tibet Daily” è il portavoce di questa campagna. Qualche giorno fa scriveva: «Dopo gli incidenti avvenuti in tutta la regione, il Dalai Lama non solo si rifiuta di ammettere i suoi crimini mostruosi, ma continua a portare avanti la sua frode nei confronti del governo centrale e della popolazione cinese. La guida dei tibetani e la sua cricca continuano a negare la realtà: il popolo è padrone della sua terra, gode di ampi diritti democratici e di una vasta crescita economica ed ha libero accesso alla sua cultura ancestrale». Queste accuse fanno seguito alle altre, ancora più oltraggiose,secondo cui i tibetani del dissenso sarebbero collegati ad al Quaeda Non credo che valga la pena confutare queste assurde affermazioni, che non trovano alcun riscontro con la realtà, ma quel che interessa è segnalare l’ostinata campagna, fatta di calunnie e falsità, orchestrata dai fiancheggiatori del regime di Pechino. Tutto

questo mentre all’estero e al Comitato olimpico internazionale le autorità cinesi continuano a dare garanzie che ogni problema legato al Tibet sarà presto risolto. Sappiamo che queste dichiarazioni “rassicuranti” non tranquillizzano la resistenza tibetana, ma è già significativo che vengano fatte.

Per quanto riguarda le accuse di terrorismo ci limitiamo a riprendere un commento di un giovane dissidente, Dhondup Dorjiee (è anche vice presidente del Congresso dei giovani tibetani): «Pechino sa bene che noi abbiamo un mandato politico, ricevuto dalla popolazione tibetana in esilio, ed ha paura di questo. La nostra diaspora interessa 83 regioni fra Cina,Tibet, India e Nepal e possiamo contare su 30 mila militanti. La Cina sa benissimo che non siamo terroristi. Noi rigettiamo il fondamentalismo e la nostra religione vieta in modo assoluto ogni forma di violenza». Queste cose sono note al governo di Pechino perché allora insistono su accuse così infamanti? E’ evidente che tutto questo rientra nella strategia dell’informazione che punta a mettere in cattiva luce il Dalai Lama e tutta le resistenza tibetana. Un ruolo importante può svolgere in questa situazione l’Ue, senza necessariamente ricorrere al boicottaggio delle Olimpiadi, che peraltro non viene più chiesto da nessuno. Non è quindi condividibile l’atteggiamento del ministro degli Esteri Franco Frattini che ha dichiarato di non voler incontrare il Dalai Lama, quando verrà in Italia, per non dare un dispiacere agli “amici cinesi”. D’altra parte anche gli esponenti del governo Prodi si rifiutarono di ricevere la guida spirituale del Tibet. Questo conferma il fatto che il businnes finisce sempre col prevalere sulla tutela dei diritti umani, al di là di tante dichiarazioni retoriche e di circostanza.


mondo

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Per la prima volta bin Laden dichiara che il problema palestinese è centrale nel conflitto tra al Qaeda e Occidente

La jiahd punta il dito su Israele d i a r i o

di Emanuele Ottolenghi

g i o r n o

Ballottaggio in Zimbabwe

ppena una settimana dopo la celebrazione del sessantesimo anniversario dello Stato d’Israele, e la mattina della partenza da Israele del presidente americano, George W. Bush, al Qaeda ha diffuso un messaggio radiofonico, attribuito a Osama bin Laden, in cui per la prima volta dichiara che il motivo principale e centrale del conflitto tra al Qaeda e l’Occidente è il problema palestinese. L’annuncio è senza dubbio curioso – e non solo perchè è ormai impossibile stabilire se questi occasionali pronunciamenti siano veramente di bin Laden o se il capo di al Qaeda, di cui non sono disponibili immagini da poco dopo l’11 settembre, sia ancora vivo.

A

Quello che più stupisce infatti è la centralità della questione palestinese nella retorica di al Qaeda – centralità mai prima d’ora affermata in maniera così chiara. Significa dunque un cambio di strategia? Al Qaeda non ha mai colpito Israele – pur avendo tentato tre volte di colpire obbiettivi israeliani. Il primo tentativo risale al capodanno 2000 e al fallito complotto di al Qaeda di colpire due grattacieli a Tel Aviv – le Azrieli Towers; il secondo fu l’attacco congiunto, a novembre del 2002, contro un albergo in Kenya, meta frequente di turisti israeliani, e contro un charter israeliano in fase di decollo da Nairobi. A parte questi tre attentati – due falliti e uno che causò tre vittime israeliane, al Qaeda è stata lontana da Israele, riuscendo ad avvicinarsi soltanto in un’occasione, per altro tragica – allorché una cellula suicida colpí un albergo egiziano nel Sinai a pochi chilometri dal confine israeliano, l’otto ottobre 2004, provocando decine di vittime. Nonostante questo, le attività di al Qaeda sono state lontane dal conflitto arabo-israeliano, in armonia con la retorica dell’organizzazione, che non ha mai dato priorità alla causa palestinese, concentrandosi invece su altri fronti – primi tra tutti l’Arabia Saudita e il Pakistan. In parte, il ruolo relativamente periferico della questione nell’ideologia e nella retorica di al Qaeda si spiega a cagione della natura globale del fenomeno jihadista e del suo concentrarsi contro prima di tutto “il nemico lontano”, cioè la superpotenza americana, a causa del suo sostegno dei regimi arabi ritenuti “apostati” da al Qaeda in virtù delle ingiustizie sociali e politiche di quei regimi e della loro mancanza di osservanza dell’Islam. Ispirandosi alla letteratura islamista di Sayyd Qutb tra gli altri, al Qaeda riteneva

d e l

Il presidente della commissione elettorale di Harare, George Chiweshe, ha comunicato che il 27 giugno si terrà il ballottaggio per decidere chi sarà il presidente dello Zimbawbe. Il primo turno è stato vinto dal leader dell’opposizione e capo del Movimento per il cambiamento democratico, Morgan Tsvangirai, che però non ha raggiunto la maggioranza assoluta.

Operazione antiterrorismo in Europa Venerdì Germania, Francia e Olanda, hanno arrestato dieci persone collegate ad una rete di militanti islamici uzbeki vicina ad Qaeda. Otto islamisti sono stati presi nella città alsaziana di Muelhausen vicino la frontiera tedesca, nella Francia meridionale. Un altro è caduto nella rete della polizia francese a Weil sul Reno. Il decimo lo hanno preso agenti olandesi a Tilburg. I servizi segreti francesi sospettano che il gruppo abbia raccolto finanziamenti per il movimento islamico dell’Uzbekistan, un’organizzazione che secondo gli Usa è legata alle strutture del fondamentalismo terroristico dell’Asia centrale.

I criminali di guerra consigliano i politici serbi

Sette anni dopo l’11/9 l’organizzazione ha bisogno di una causa forte per riaffermare la sua supremazia che l’Islam fosse la strada della riscossa per un mondo in declino, ma riteneva che la rivoluzione islamica potesse essere lo strumento attraverso il quale il mondo arabo e mussulmano potesse riacquistare potere e dignità – e quindi eventualmente imporre soluzioni islamiche alle piaghe della Cecenia, del Kashmir e della Palestina.

Se per Qut’b occorreva rovesciare i regimi, al Qaeda ha deciso di concentrarsi contro chi li protegge. La lotta contro gli Stati Uniti serviva quindi al proposito di indebolire i regimi responsabili del declino mussulmano per poterli poi abbattere una volta privati del loro nemico. Ma il fallimento di questa strategia e l’indebolimento generale di al Qaeda sui molteplici fronti della guerra santa potrebbe avere indotto un ripensamento nella strategia jihadista. Dopotutto, la questione palestinese, a livello retorico almeno, è regolarmente strumentalizzata nel mondo arabo per aizzare le folle e in Occidente, oltre che essere ancora

la cause celebre della sinistra radicale e radical chic, è ritenuta, anche tra le élites politiche essere il problema principale, della regione. Naturalmente, sarebbe curioso che l’Europa ci credesse, nella stessa settimana in cui Hezbollah ha attuato il suo colpo di stato in Libano e migliaia di rifugiati sono stati causati in Yemen dallo scontro tra truppe governative e guerriglia sciita. Ma il dato resta. Al Qaeda, sette anni dopo l’undici settembre, potrebbe essere arrivata alla conclusione che nessun altro strumento retorico è altrettanto forte che l’emotiva causa palestinese e che appropriarsene sia utile alla propria immagine nel mondo arabo e alla continua ricerca di sostenitori. Forse al Qaeda sta segnalando una nuova fase operativa – i cui segnali del resto c’erano già da tempo – in cui le sue forze, attive nel Sinai, potrebbero adesso vedere nell’avvento di Hamas, organizzazione islamista, a Gaza, un alleato nel ristabilire uno stato islamista amico da cui lanciare le proprie operazioni. Oppure al Qaeda – movimento sunnita salafita che ha recentemente attaccato Hezbollah in un messaggio del suo numero due Ayman al Zawahiri – teme la concorrenza sciita per la leadership globale della jihad e ha messo la sua ipoteca sul conflitto palestinese per riaffermare la sua supremazia.

I probabili partner di coalizione del futuro governo serbo vanno all’estero per capire quali possano essere le strategie da seguire. L’attuale leader del partito nazionalista radicale, Srs, Tomislav Nikolic, ha visitato il suo capo Vojislav Seselj, detenuto al tribunale per i crimini di guerra all’Aja. A sua volta il presidente del partito socialista, Sps, Ivica Dadic si trova a Mosca dove probabilmente incontrerà Mira Markovic, vedova del fondatore del partito Slobodan Milosevic.

Il Canada si scusa con i suoi indiani Con un gesto storico il governo di Ottawa chiederà scusa alla propria popolazione indiana per le sofferenze subite. Sono state decine di migliaia i figli degli originari abitanti del Canada costretti a seguire l’insegnamento impartito nelle scuole cristiane. Il primo ministro canadese, Stephen Harper, l’11 giugno in parlamento terrà il discorso di riconciliazione. «Le scuse sono un passo importante sulla via della pacificazione», ha dichiarato il ministro canadese per gli affari indiani, Chuck Strahl.

Attentato in Sri Lanka Una esplosione nel centro di Colombo, la capitale dello Sri Lanka, ha causato almeno sei morti e novanta feriti. Nel quartiere dell’esplosione si trova la residenza presidenziale e l’hotel Hilton, sede dei maggiori corrispondenti dei media stranieri.

Nicaragua paralizzato A causa di uno sciopero dei conducenti di camion, taxi e bus, il presidente del Paese centro americano, Daniel Ortega, si è visto costretto a rinunciare al vertice Ue-America latina per cercare una soluzione alla vertenza che coinvolge i mezzi di trasporto nazionale.

Sciopero in Francia Ieri gli impiegati pubblici francesi, insieme agli insegnanti delle scuole, le organizzazioni dei genitori e gli studenti hanno incrociato le braccia per protestare contro i provvedimenti economici del governo. L’esecutivo di Parigi ha comunicato che non intende fare passi indietro.


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speciale bioetica

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È pericoloso immaginare una legge in materia di testamento biologico

IL RISCHIO DELL’EUTANASIA DI STATO di Assuntina Morresi na legge sul testamento biologico non è nel programma del nuovo governo, che tuttavia ha dimostrato attenzione ai temi cosiddetti “eticamente sensibili”indicando l’on. Eugenia Roccella, deputato eletto nelle liste del PdL e già portavoce del Family Day insieme a Savino Pezzotta, come sottosegretario al Welfare con delega proprio ai temi etici. Quando le deleghe saranno formalizzate conosceremo l’ambito di azione di questo nuovo sottosegretariato, e nei prossimi mesi potremo verificare l’orientamento dell’esecutivo in queste tematiche.

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Decine di audizioni ed undici disegni di legge presentati nella scorsa legislatura non sono

tito pubblico negli scorsi anni ha riguardato comunque l’opportunità o meno di proporre un testo di legge ad hoc: l’articolo 32 della nostra costituzione, infatti, stabilisce la possibilità per ogni cittadino di rifiutare le cure mediche che vengono offerte, indipendentemente dal fatto che siano o meno salvavita; in altre parole, per la legge italiana non c’è obbligo al trattamento medico. Ricordiamo tutti, a proposito, il caso della signora che, anni fa, rifiutò di sottoporsi all’amputazione di una gamba pur essendo perfettamente consapevole di andare incontro alla morte per cancrena: la donna, capace di intendere e di volere al momento di dare il proprio consenso per l’operazione, si è potuta avvalere proprio della pos-

Il paziente ha sempre la libertà di rifiutare le terapie offerte bastati a portare in aula una proposta di legge sul testamento biologico, l’espressione usata comunemente per tradurre l’inglese “living will”, ovvero una dichiarazione scritta con cui una persona, in piena libertà e consapevolezza, esprime la sua volontà riguardo ai trattamenti ai quali vorrebbe o non vorrebbe essere sottoposta nel corso di una malattia, o a seguito di un evento traumatico improvviso. Gran parte della discussione politica e del dibat-

sibilità di scelta che il nostro attuale ordinamento giuridico già prevede. Uno dei maggiori problemi riguardo alla possibilità di interrompere o meno trattamenti medici sorge quando la persona malata non è in grado di esprimere il proprio consenso: in questa situazione, secondo alcuni, ci sarebbe in Italia un vuoto di normativa, da cui discenderebbe la necessità di una legge che preveda il testamento biologico, cioè la possibilità di

dichiarare anticipatamente quali trattamenti medici si vorrebbero rifiutare e quali no, in caso di malattia (da qui l’espressione più adeguata di “dichiarazioni anticipate di trattamento”). L’obiezione più importante alla formulazione di una legge viene da chi, osservando ciò che avviene in ambito internazionale, teme una deriva eutanasica, per via di una inevitabile burocratizzazione delle procedure. A questo proposito sarebbe stato molto opportuno se il dibattito politico avesse preso nella dovuta considerazione il parere espresso a riguardo dal Comitato Nazionale di Bioetica (Cnb) nel 2003 “Dichiarazioni anticipate di trattamento”. Nessun obbligo di redigere il “testamento biologico” per i cittadini italiani; per i medici nessun obbligo di seguire le indicazioni dei pazienti, ma il dovere di tenerne fortemente conto, tanto da dover giustificare per iscritto le motivazioni sia nel caso che le indicazioni del paziente fossero recepite, sia quelle per le quali eventualmente non lo fossero.

La quasi unanimità con cui è stato licenziato dal Cnb questo documento non si è ripetuta invece su un parere collegato ”L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente”, approvato a maggioranza due anni dopo: la nutrizione e l’idratazione artificiale sono considerati da alcuni – la maggioranza del Cnb che lo ha sottoscritto – un sostentamento vitale di base, e quindi da sospendere solo nel caso in cui si possa configurare una si-

tuazione di accanimento terapeutico. In questo quadro, quella della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale è una richiesta che non può essere inserita nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. Per altri, invece – la minoranza del Cnb, che ha espresso il proprio parere in una Nota integrativa molto articolata – il testamento biologico dovrebbe contenere anche questo tipo di indicazioni. Il quadro internazionale è molto complesso e variegato, come si può vedere nelle pagine a seguire: i percorsi proposti sono diversi: se il punto centrale è l’autonomia del paziente, le decisioni del medico sono vincolate alle dichiarazioni anticipate della persona malata. Se invece si vuole dare maggiore importanza alla responsabilità del medico, sarà questo ad avere l’ultima parola sulla possibilità o meno di interrompere i trattamenti così come espresso dalla volontà del paziente.


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Il Comitato bioetico sulla nutrizione di chi è in stato vegetativo

Acqua e cibo sono atti dovuti Pubblichiamo ampi stralci del documento del Comitato Nazionale di Bioetica “L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente” approvato a maggioranza il 30 settembre 2005. […] 4. Per giustificare bioeticamente il fondamento e i limiti del diritto alla cura e all’accudimento nei confronti delle persone in SVP, (stato vegetativo persistente) va quindi ricordato che ciò che va loro garantito è il sostentamento ordinario di base: la nutrizione e l’idratazione, sia che siano fornite per vie naturali che per vie non naturali o artificiali. Nutrizione e idratazione vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere (garantendo la sopravvivenza, togliendo i sintomi di fame e sete, riducendo i rischi di infezioni dovute a deficit nutrizionale e ad immobilità). Anche quando l’alimentazione e l’idratazione devono essere forniti da altre persone ai pazienti in SVP per via artificiale, ci sono ragionevoli dubbi che tali atti possano essere considerati “atti medici” o “trattamenti medici” in senso proprio, analogamente ad altre terapie di supporto vitale, quali, ad esempio, la ventilazione meccanica. Acqua e cibo non diventano infatti una terapia medica soltanto perché vengono somministrati per via artificiale; si tratta di una procedura che (pur richiedendo indubbiamente una attenta scelta e valutazione preliminare del medico), a parte il piccolo intervento iniziale, è gestibile e sorvegliabile anche dagli stessi familiari del paziente (non essendo indispensabile la ospedalizzazione). Si tratta di una procedura che, rispettando condizioni minime (la detersione, il controllo della postura), risulta essere ben tollerata, gestibile a domicilio da personale non esperto con opportuna preparazione (lo dimostra il fatto che pazienti non in SVP possono essere nutriti con tale metodo senza che ciò impedisca loro una vita di relazione quotidiana). Procedure assistenziali non costituiscono atti medici solo per il fatto che sono messe in atto inizialmente e monitorate periodicamente da operatori sanitari. La modalità di assunzione o somministrazione degli elementi per il sostentamento vitale (fluidi, nutrienti) non rileva dal punto di vista bioetico: fornire naturalmente o artificialmente (con l’ausilio di tecniche sostitutive alle vie naturali) nutrizione e idratazione, alimentarsi o dissetarsi da soli o tramite altri (in modo surrogato, al di fuori dalla partecipazione attiva del soggetto) non costituiscono elementi di differenziazione nella valutazione bioetica. Il fatto che il nutrimento sia fornito attraverso un tubo o uno stoma non rende l’acqua o il cibo un preparato artificiale (analogamente alla deambulazione, che non diventa artificiale quando il paziente deve servirsi di una protesi). Né d’altronde si può ritenere che l’acqua ed il cibo diventino una terapia medica o sanitaria solo perché a fornirli è un’altra persona (...) alimentazione e idratazione sono atti dovuti in quanto supporti vitali di base, nella misura in cui consentono ad un individuo di restare in vita. Anche se si trattasse di trattamento me-

dico, il giudizio sull’appropriatezza ed idoneità di tale trattamento dovrebbe dipendere solo dall’oggettiva condizione del paziente. […] 6. Non sussistono invece dubbi sulla doverosità etica della sospensione della nutrizione nell’ipotesi in cui nell’imminenza della morte l’organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze fornite: l’unico limite obiettivamente riconoscibile al dovere etico di nutrire la persona in SVP è la capacità di assimilazione dell’organismo (dunque la possibilità che l’atto raggiunga il fine proprio non essendovi risposta positiva al trattamento) o uno stato di intolleranza clinicamente rilevabile collegato all’ alimentazione. 7. Si deve pertanto parlare di valenza umana della cura (care) dei pazienti in SVP. Se riteniamo comunemente doveroso fornire acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo autonomamente (bambini, malati e anziani), quale segno della civiltà caratterizzata da umanità e solidarietà nel riconoscimento del dovere di prendersi cura del più debole, allo stesso modo dovremmo ritenere doveroso dare alimenti e liquidi a pazienti in SVP, accudendoli per le necessità fisiche e accompagnandoli emotivamente e psichicamente, nella peculiare condizione di vulnerabilità e fragilità. E’ questo un atteggiamento che assume un forte significato oltre che umano, anche simbolico e sociale di sollecitudine per l’altro. Non possiamo ricondurre la decisione di curare/non curare, assistere/non assistere un malato in SVP alla fredda logica utilitaristica del bilanciamento dei costi e dei benefici (considerando scarsi i benefici in termini di recupero e alti i costi economici di assistenza), del calcolo della qualità della vita altrui (e della propria, considerando il malato un “peso” familiare oltre che sociale), limitando le considerazioni alla convenienza e alla opportunità e non anche al dovere e alla responsabilità solidale verso gli altri. […] 9. Alla luce delle precedenti considerazioni, il CNB ribadisce conclusivamente che: a) la vita umana va considerata un valore indisponibile, indipendentemente dal livello di salute, di percezione della qualità della vita, di autonomia o di capacità di intendere e di volere; b) qualsiasi distinzione tra vite degne e non degne di essere vissute è da considerarsi arbitraria, non potendo la dignità essere attribuita, in modo variabile, in base alle condizioni di esistenza; c) l’idratazione e la nutrizione di pazienti in SVP vanno ordinariamente considerate alla stregua di un sostentamento vitale di base; d) la sospensione dell’idratazione e della nutrizione a carico di pazienti in SVP è da considerare eticamente e giuridicamente lecita sulla base di parametri obiettivi e quando realizzi l’ipotesi di un autentico accanimento terapeutico; e) la predetta sospensione è da considerarsi eticamente e giuridicamente illecita tutte le volte che venga effettuata, non sulla base delle effettive esigenze della persona interessata, bensì sulla base della percezione che altri hanno della qualità della vita del paziente

Idratazione e alimentazione non sono somministrazioni farmaceutiche


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speciale bioetica rchiviata la campagna elettorale nella quale Pd e Pdl per opportunità decisero di tenere i temi etici fuori dal dibattito politico, appare difficile scommettere che possa durare ancora per molto la mancata iscrizione degli stessi nell’agenda parlamentare. Chiamatela diffidenza o se volete preoccupazione, ma sembrano dispiegarsi sempre più all’orizzonte le temute nubi di una anarchia etica. Mentre infatti nel nuovo governo, disposto da poche ore ai blocchi di partenza, non hanno trovato posto i cattolici, dalle parti del Pd è arrivato l’annuncio che saranno ripresentate tutte le leggi sulle coppie di fatto, sulle differenze di genere e sul testamento biologico, amplificato, probabilmente per assecondare le istanze della sinistra arcobaleno, rimasta fuori dalle istituzioni, dall’introduzione del voto obbligatorio unanime, in sostituzione del voto di coscienza che, per dirla con le parole dell’ex presidente della commissione sanità del Senato Ignazio Marino e dell’ex ministro Barbara Pollastrini, ha impedito nella precedente legislatura, l’approvazione di tali leggi.

A

Di testamento biologico in Italia se ne parla da alcuni anni, utilizzando spesso anche nomi diversi quali: dichiarazione anticipata di trattamento, direttive anticipate o living will, che letteralmente significa testamento di vita. È un termine poco appropriato, quello di “testamento”, perché qui non si lascia nessun bene a nessuno, ma si esprime una volontà circa i trattamenti da ricevere prima di morire e non certamente dopo essere morti. Nel 2003 il Comitato Nazionale di Bioetica lo definiva: «Un documento con il quale una persona dotata di piena capacità esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe essere o non essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in

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In Parlamento ci sono 11 disegni di legge sul testamento biologico

L’anarchia etica della politica italiana

di Sandra Monacelli Quarantanove audizioni, undici disegni di legge presentati e trasversalmente sostenuti da quasi tutti i gruppi politici di maggioranza e minoranza, ad eccezione dell’Udc, che di fronte al rischio di una deriva eutanasica ha ritenuto non sufficientemente convincente aggrapparsi alla rappresentazione del testamento biologico come un semplice passaggio nel processo di coinvolgimento consapevole del paziente nelle diverse decisioni che riguardano lui e la sua salute. Sono tanti i rischi che possono

Solo l’Udc si oppone ormai all’idea di legiferare sui trattamenti di fine vita grado di esprimere il proprio consenso o dissenso informato». Sulla necessità o meno dell’approvazione di una legge si è concentrato gran parte del lavoro della commissione sanità del Senato, nel corso della XV legislatura.

trasformare livelli di informazione incompleta o distorta in decisioni irreversibili. Negli Stati Uniti dove la legge consente ai cittadini di esprimere anticipatamente le proprie volontà riguardo la fine della propria vita, dopo un anno oltre

un terzo delle persone - ha rivelato uno studio condotto dall’Università della California-Irvine e pubblicato dalla rivista Health Psychology- non ricorda quanto sottoscritto e prenderebbe perfino altre decisioni. I brillanti successi della scienza, le conquiste della tecnologia, l’età media raddoppiata in soli cento anni, il cambiamento radicale della storia di molte malattie giudicate inguaribili appena pochi anni fa e oggi controllabili con i nuovi farmaci, hanno generato una forte speranza nei confronti della medicina.

Ma la speranza non è certezza assoluta e dunque si chiede alla medicina più di quanto essa sia in grado di dare: compresa la garanzia che vita e morte si svolgano come e quando si desidera. Siamo ora di fronte ad un cambiamento di prospettive in cui il malato chiede al medico non più di allontanare la morte ma di accelerarne il processo. Il nascere e il morire erano fino a pochi anni fa eventi naturali da vivere in casa con le persone capaci di voler bene e condividere. Oggi è negli ospedali che si nasce si muore,

perché sembrano migliori le condizioni di sicurezza, ma è innegabile che ciò comporti un quadro di anonimato e spersonalizzazione che rende meno umano sia il venire al mondo che l’andarsene. La solitudine sembra accrescere l’angoscia del morire e dunque non può bastare l’apologia del consenso informato applicata al testamento biologico per risolvere il problema. L’eutanasia come risposta alla paura dell’accanimento terapeutico, sembra diventata l’ultima soglia dei diritti del malato. Eppure il vero rischio si ravvisa nel suo opposto: nell’abbandono, nell’essere cioè lasciati soli a vivere una condizione di insopportabile sofferenza con la morte ormai imminente. La morte è un fatto non un’opzione spendibile, per questo prima ancora di pensare alla sospensione dei trattamenti è necessario rinsaldare nel Paese la certezza che ognuno riceverà in tutte le fasi della sua vita: trattamenti, cure e sostegni adeguati. La vita è una buona ragione per vivere, ma occorre che accanto al malato ci sia chi la fa percepire come buona e sem-

pre meritevole di essere vissuta. Pensare che possa essere considerata non degna aumenta la solitudine dei malati e delle loro famiglie, introduce nelle persone più fragili il dubbio di poter essere vittima di un programmato disinteresse da parte della società e favorire soluzioni rinunciatarie. Potrebbe essere forte la tentazione, per molte categorie di medici e amministratori, di vedere, in virtù della consapevolezza delle restrizioni al bilancio sanitario, di buon occhio l’ondata a sostegno della «cosiddetta autonomia del paziente». Ma tante altre ombre e perplessità come l’astrattezza, la vincolatività, la figura del fiduciario gravano ancora sul testamento biologico. L’espressione di una volontà fuori da un contesto clinico espone al rischio inevitabile di fare riferimento non ad una situazione reale, ma astratta. Le decisioni prese “ora per allora” sono prive di un elemento essenziale: l’informazione sulla situazione reale per la quale vengono prese e diventano né consapevoli, né libere, né responsabili.

Il fiduciario, che compare in tutte le proposte di legge, dovrebbe farsi interprete delle volontà anticipate del paziente, dovrebbe guardare le cose attraverso i suoi occhi, ma chissà perché pur parlando di una figura generica il pensiero vola a Terry Schiavo, anzi a suo marito, al quale domanderei se, quando ha chiesto ed ottenuto per lei la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione, facendola morire di fame e sete, ha davvero guardato attraverso i suoi occhi. Per raccogliere i desideri del paziente e per sentirsi vincolati a cercare di relazionarli non servono leggi, ma rapporti sereni fatti di rispetto tra paziente e familiari, tra medico e paziente. Scienza e coscienza rappresentano il paradigma etico al quale i medici non possono sottrarsi e dunque non possono essere considerati come esecutori acritici di volontà generiche. Ancora una volta dunque il bivio è lo stesso: le fasi iniziali e finali della vita sono al centro del dibattito culturale e politico, suscitando impensabili speranze, e inquietudine delle coscienze. Ad essere formulate in maniera nuova sono le domande di sempre: cos’è la vità? Si può decidere di metterle fine per pietà? E’ evidentemente in discussione l’idea di persona e del suo destino e per questo servono nuovi modi, preferibilmente non inseriti in una cornice di anarchia etica, per affrontarli e per dare senso e valore alla persona


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I Paesi anglofoni pongono al centro i desideri del malato nelle decisioni di fine vita

Così ci si regola nel mondo di Laura Palazzani n rapido sguardo alla regolamentazione internazionale sul Testamento biologico mostra che vi sono percorsi diversi. Per quanto riguarda l’area nord-americana, sia in ambito giurisprudenziale che legislativo, predomina l’accettazione del diritto a rifiutare anticipatamente le cure mediche nel contesto dell’affermazione del primato dell’autonomia individuale: già nel 1976 il Natural Death Act in California legalizzava le “direttive anticipate”relative all’interruzione delle terapie di sostentamento vitale nel caso di un paziente nell’“estremo delle condizioni esistenziali”; nel 1991 è entrata in vigore la disciplina federale americana (Patient Self-Determination Act) che riconosce l’autonomia decisionale del paziente rispetto ai trattamenti sanitari. In Canada vige il Do not resuscitate order: si tratta della possibilità di esprimere in anticipo la propria volontà di non usare tecniche di rianimazione nel caso in cui l’applicazione sia considerata gravosa, oltre che costosa e inutile, anche se ciò comporta l’anticipazione della morte. Anche la normativa nei Territori Nord della Federazione australiana dal 1995 pone al centro l’autonomia del paziente nelle decisioni di fine vita.

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In Europa la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (nota come Convenzione di Oviedo) nel 1997 ha stabilito alcuni principi con la funzione di orientare la legislazione dei diversi Paesi: all’art. 9 la Convenzione stabilisce che “i desideri

precedentemente espressi”da un paziente divenuto incapace non siano vincolanti, ma che il medico ne debba tenere conto nella misura in cui si trovi a dovere decidere se applicare o non applicare determinate cure sanitarie ad un malato. E’una linea moderata che cerca un bilanciamento tra autonomia del paziente e dovere terapeutico del medico: non attribuisce un vincolo assoluto delle dichiarazioni (si

stato di incapacità ritenendo il medico non responsabile (se il medico ha dubbi nell’applicazione delle volontà si deve rivolgere ad un’autorità giudiziaria). In Danimarca non esiste una normativa generale, ma nell’ambito del Health Act del 2005 vi sono regole che riguardano l’efficacia vincolante delle dichiarazioni limitatamente ai malati terminali o con malattia progressiva degenerativa, ritenendo

In Europa esiste un bilanciamento tra autonomia del paziente e dovere terapeutico del medico parla di ‘desideri’ non di ‘diritti’) e si ritiene che il medico non sia obbligato ad eseguire le volontà passivamente, ma che debba decidere considerando le circostanze fattuali (che potrebbero cambiare rispetto al momento in cui è stato firmato il Testamento biologico) e in base alla propria coscienza sempre orientata al ‘miglior interesse del paziente’. Alcune legislazioni europee non hanno seguito la direzione tracciata dalla Convenzione, enfatizzando l’autonomia dell’individuo. L’ordinamento britannico con il Mental Capacity Act del 2005, entrato in vigore nel 2007, agli artt. 24-26 ammette il rifiuto da parte del paziente di qualsiasi trattamento sanitario in previsione di un futuro

non rilevanti le opinioni del medico; le dichiarazioni di malati non terminali non sono invece legalmente vincolanti lasciando la discrezionalità decisionale al medico.

Alcuni cantoni in Svizzera hanno emanato regole sulle dichiarazioni anticipate a favore dell’autonomia del soggetto. In Olanda la legge sul controllo dell’interruzione volontaria della vita e dell’assistenza al suicidio emanata nel 2001, ossia la legge che legittima l’eutanasia volontaria, riconosce anche la legittimità della richiesta anticipata di morire, purché espressa da un soggetto di età superiore ai 16 anni, alla presenza di testimoni, in condizione

di competenza, escludendo la punibilità del medico. Seguono la normativa olandese anche Belgio (2002) e Lussemburgo (2008). Francia e Spagna seguono invece le indicazioni della Convenzione europea. La normativa francese n. 370 del 2005 sui diritti dei malati e problematiche di fine vita, modificando alcuni articoli del codice della sanità pubblica, prevede che nel caso di rifiuto di una terapia che mette a rischio la vita di un malato incosciente il medico curante debba consultare un’equipe, tenendo conto dei desideri espressi dal paziente (non più di tre anni prima): tali dichiarazioni non sono vincolanti e il medico le può tenere in considerazione, motivando la sua decisione. La legge spagnola n. 41 del 2002 nell’ambito della disciplina sul consenso informato, all’art. 11 riconosce la legittimità delle dichiarazioni anticipate a condizione che non siano contrarie all’ordinamento giuridico (dunque non siano richieste eutanasiche) o che corrispondano alla situazione di fatto in cui il paziente si trovi; non sono assolutamente vincolanti per il medico. Da questo rapido sguardo si può giungere alla conclusione che non ci si trovi di fronte a soluzioni omogenee: alcune leggi pongono al centro l’autonomia del paziente che firmando il Testamento biologico vincola in modo forte il medico; altre leggi ritengono che il paziente possa (se lo vuole) esprimere le proprie preferenze rispetto ai trattamenti sanitari futuri, lasciano al medico la responsabilità ultima delle decisioni, sempre orientate al “miglior interesse”del malato.


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economia quistare Capitalia, ha grosse gatte da pelare: il pesante ribasso in borsa dovuto ai magri risultati del primo trimestre 2008, ma soprattutto il declassamento di Moody’s a seguito del pessimo andamento della consociata tedesca Hvb invischiata nella palude dei mutui subprime. Non sorride nemmeno Intesa-SanPaolo, sotto la scure del severo monito degli analisti di Dresdner-Kleinwort: «Non riteniamo più adeguatamente supportato il nostro giudizio favorevole». Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha messo le banche sotto osservazione per verificarne l’effettiva solidità; inoltre insiste poiché cedano le quote azionarie della stessa Banca d’Italia, ponendo fine all’anomalia di un sistema bancario in cui coloro che dovrebbero essere controllati sono i padroni, capitalisticamente parlando, del controllore.

Con l’arrivo di Tremonti si prefigurano nuovi scenari nel mondo bancario

Aspettando Godot, tutti alla corte di Giulio di Giancarlo Galli nore alla preveggenza per Corrado Passera, il “regista” del colosso bancario Intesa-SanPaolo. Un tempo braccio destro dell’Ingegnere (Carlo De Benedetti, pretendente alla tessera n. 1 del Partito democratico), è stato fra i pochissimi al pari di Cesare Geronzi dominus di Mediobanca, a fiutare il vento del dopo-Prodi. Fin dall’autunno del 2007, non aveva condiviso le scelte governative di svendere Alitalia ad Air France, voluta con tenacia degna di miglior causa dall’accoppiata Prodi-Padoa Schioppa. Sostenendo la Air One di Carlo Toto. Così entrando in rotta di collisione col suo super presidente Giovanni Bazoli.

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Enrico Salza (ex San Paolo e presidente del Consiglio di gestione) nonché lo stesso Bazoli sia pure con scarso slancio, hanno sposato la posizione del loro consigliere delegato.

Dunque una sostanziale disponibilità della Banca ad appoggiare il salvataggio di Alitalia. Esattamente come nei desiderata berlusconiani. Le novitànon finiscono qui. Giuseppe Guzzetti, ultra sessantenne democristiano di lungo corso, assunto con discusse manovre a presidente della Fondazione Cariplo (il più ricco fra gli Enti italiani ed importante azionista di Intesa-SanPaolo), nonché alla guida della galassia delle Fondazioni

tispecie il ritorno sulla plancia di comando del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. In passato per nulla tenero sia nei confronti del Sistema bancario che delle Fondazioni, che nella sua visione sarebbero dovute uscire dall’azionariato degli Istituti di credito.

Nel 2002, Tremonti voleva tra l’altro sostituire il potente Guzzetti con il già allora fedelissimo berlusconiano Bruno Ermolli, consulente finanziario di grido (è lui, oggi, a tessere le fila della nuova cordata Alitalia); e fu sconfitto, per il venir meno del sostegno di un paio di consiglieri di amministrazione leghisti in Cariplo. Tornerà alla carica Tremonti? Equilibrismi politici a parte, l’intero mondo bancario è in fibrillazione. La girandola di fusioni, oltre a non aver prodotto alcun vantaggio per l’economia reale, e semmai il contrario penalizzando il minuto risparmio e lesinando alle piccole imprese, rischia sgradite sorprese. Non era tutt’oro quel che si tendeva a far rilucere! Il mitizzato Alessandro Profumo di Unicredit, vicino aVeltroni che lo scorso anno lo convinse ad ac-

Per nulla tenero in passato con i banchieri, il ministro dell’Economia continua a considerarli corresponsabili del declino italiano. Ma il salvataggio dell’Alitalia potrebbe fargli cambiare idea

Non fosse intervenutala crisi di governo, la cessione sarebbe andata in porto. Invece tutto è saltato e l’intuito del bravo Corrado s’è rivelato provvidenziale. Infatti, con Berlusconi rientrato a Palazzo Chigi, la Lega di Bossi allo zenit, la difesa dell’italianità della Compagnia di bandiera e il mantenimento dell’hub di Milano Malpensa sono fuori discussione. Ma Corrado Passera non è più solo: accreditando le voci correnti, anche

bancarie, ha mostrato disponibilità ad intervenire nell’operazione Alitalia. Quanto meno riduttivo spiegare questi salti della quaglia con una captatio nei confronti del nuovo governo. Certamente, ma senza sottacere l’elemento sostanziale: l’intero sistema bancario-finanziario è… in attesa di Godot! Nella fat-

Dall’alto in basso: Bruno Ermolli, Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, Alessandro Profumo, ad di Unicredit, Enrico Salza, presidente del consiglio di gestione di Intesa San Paolo e Corrado Passera, ad del gruppo

Per altro il governatore Draghi ed il ministro Tremonti hanno visioni non proprio collimanti. Liberista ed internazionalizzatore il primo; “colbertista” il secondo. E Jean Baptiste Colbert, economista e ministro di Luigi XIV riorganizzò le finanze della monarchia francese, con piglio nazionale e centralista. D’altra parte è innegabile che Giulio Tremonti si collochi su questa linea. Nato a Sondrio nel 1947, carattere duro, fece ingresso in politica da tecnico, collaborando l’allora ministro delle Finanze e craxiano doc Rino Formica (siamo all’inizio degli anni Novanta). Notorie le simpatie di Tremonti per il Garofano. Scrisse in quel periodo un eccellente libro, Le 100 tasse degli italiani, sostenendo che spesso costano più di quel che rendono. Eletto nel 1994 col Patto Segni migra in Forza Italia. Ministro all’Economia e alle Finanze godrà della totale fiducia del Cavaliere, sebbene sia fra i pochissimi che non si presentano genuflessi e col cappello in mano. Duttile politico oltre che tributarista insigne, da montanaro valtellinese nutre un rapporto affettivo col leghismo; il che lo portò a propiziare la riappacificazione fra Silvio ed Umberto. Suggellata dall’impegno federalista. Il Gran Ritorno in via XX Settembre è quindi atteso col fiato sospeso dai banchieri.Tremonti, laico rigoroso refrattario alle etiche di comodo, non li ama e tende a considerarli corresponsabili del declino italiano per l’ossessiva autoreferenzialità, gli egoistici comportamenti verso la clientela e la piccola imprenditorialità. Appena insediato ha subito detto che saranno banche e banchieri, petrolieri e manager super pagati a doversi rimettere in riga. Quasi un pronunciamento da “vecchio cuore socialista”.


economia

17 maggio 2008 • pagina 17

Finita l’era dei furbetti si apre quella dei grandi fondi finanziari. Quelli degli immobiliaristi e degli enti pubblici

Dalle case in mattone ai castelli di carta d i a r i o

di Maurizio Sgroi Pubblichiamo uno stralcio dal libro Gli accaparratori (nameless editore, pagine 128, euro 15), l’interessante reportage di Maurizio Sgroi sulle speculazioni immobiliari registrate negli ultimi anni. Per richiedere una copia si può scrivere a redazione@ilfoglietto.it hi ha investito, o vuole investire, sul mattone, si è subito trovato un’altra valvola di sfogo. Durante l’estate si è consumata una guerra memorabile su due fondi immobiliari, in particolare Tecla e Berenice, peraltro costituiti con gli immobili della vecchia Telecom pubblica, che la dice lunga sul roseo futuro che ha davanti il mondo del real estate. A patto di sapere giocare con la finanza, però. Pirelli Re, proprietaria della sgr che gestiva i due fondi annuncia di voler comprare tramite un’opa totalitaria le quote in mano ai sottoscrittori “per creare uno strumento più grande e più liquido”. Un’idea bellissima. Pirelli e Morgan Stanley, coppia di fatto nell’immobiliare italiano da tempi immemori, costituiscono un veicolo societario per lanciare l’Opa, chiamato Gamma Re, che offre 540 euro per ogni singola quota di Berenice e 590 per le quote del fondo Tecla. Il consiglio di amministrazione della sgr che gestisce i fondi (che poi è la Pirelli sgr) giudica l’offerta congrua e l’approva, noncurante della circostanza di essere la Pirelli sgr una controllata della Pirelli Re che ha fatto l’offerta. Il mercato si fa un grassa risata. Tanto è vero che parte un gioco di rilanci che fa schizzare le offerte per Berenice a quota 913 euro. L’acquirente è un veicolo partecipato dall’Unione generale immobiliare di Caltagirone e da Goldman Sachs. Quanto a Tecla, viene comprato come era nelle intenzioni da Gamma Re, ma alla modica spesa di 690 euro per quota. Il giochino di comprare a basso costo, puntando sulla scarsa liquidità delle quote di un fondo immobiliare, non è riuscito. Stavolta. Ma c’è tempo e modo di rifarsi. Basta avere un pizzico di versatilità. Capire, vale a dire, che mattone non vuol dire soltanto compravendita o gestione di immobili – di beni reali quindi – ma anche di asset finanziari basati sul mattone.

C

Ed ecco che il cerchio si chiude: la crisi del credito, nata per aver venduto troppi mutui a chi non poteva pagarli e per averli impacchettati in strumenti finanziari esotici, di-

venta una crisi che investe anche le società immobiliari che nel frattempo hanno deciso di investire anche su questi strumenti, ossia obbligazioni cartolarizzate di NPL, che sta per non performing loan, che si potrebbe tradurre con l’espressione “mutui non performanti”. O subprime, se proprio vi piace l’inglese. Ma perché mai una società immobiliare dovrebbe investire su obbligazioni basate su subprime? Risposta facile: se il mattone tira poco, tanto vale diversificare e investire su crediti ipotecari, cartolarizzarli e spremere i mutuatari finché è possibile. Si guadagna sempre col mattone, insomma. Solo, indirettamente: un po’come fa una banca. Vi sembra strano? Pazienza. Certo è

Affittopoli, il peso delle banche, i trucchi in bilancio e i subprime. In “Gli accaparrattori” Maurizio Sgroi racconta quindici anni di speculazioni che la nostra Pirelli Re nel primo semestre del 2007 ha acquistato 268 milioni di euro di crediti ipotecari in sofferenza, che sono andati ad aggiungersi a 1,8 miliardi di stock di crediti subprime già in portafoglio. E che a dicembre 2007 si è comprata anche i NPLdi Banca Antonveneta, arrivando a un patrimonio gestito da 12 miliardi lordi, che a valore contabile equivalgono a circa 2,5 miliardi. Ciò in quanto Pirelli Re è entrata nel business della cartolarizzazione subprime già dal 2004. I rapporti fra finanza

e mondo immobiliare ormai sono talmente stretti che non si può parlare dell’uno senza tirare in ballo l’altra. E ancora di più lo saranno in futuro. Intanto contentiamoci di capire che non è vero che la festa è finita, come diceva Mediobanca. Al limite ha cambiato location.

Volete altre prove? E allora godetevi la nuova Affittopoli del 2007, stavolta ambientata a Milano, dove si è scoperto (ma lo si sapeva già nel ’95) che il Comune è proprietario di un patrimonio immobiliare affittato a cifre irrisorie. E cosa ha pensato bene il Comune? Di fare un bel fondo immobiliare ad apporto, sul modello Fip per intenderci, da affidare ad un privato che avrà l’incarico di gestirlo e vendere tutto, ossia 76 immobili e 758 appartamenti, nella speranza di fare incassare al comune 240 milioni. Lo schema si ripete, e la storia pure. A Roma, tanto per fare un altro esempio, scoppia l’ennesimo scandalo del genere Svendopoli, ma stavolta sul patrimonio dell’Ater, ossia il vecchio Iacp che ha un sacco di palazzi in zone centrali della città dove si paga un’inezia di affitto (quando si paga), spesso appannaggio dei soliti amici degli amici, mentre l’Ater affoga nei debiti. Anche qui, si rispetta il copione. Tutto inizia con un’intervista al neo presidente dell’Ater, Luca Petrucci che dice di essere costretto a vendere tutto per sanare i debiti. Ma di non poter fare da solo. Così ecco che arriva il solito global service che censisce e vende, mentre sui giornali esplode la polemica su case in pieno centro vendute ai prezzi di un box. Solita storia, soliti artiioli, solite furbizie. E se qualcuno avesse ancora dubbi circa la seria possibile che l’esperienza insegni poco o nulla, ecco allora un altro esempio che mostra che la festa continua, alla faccia di Mediobanca. Un altro sindaco, stavolta quello di Torino Chiamparino, ha deciso di costituire un fondo immobiliare dove conferire qualcosa come 300 milioni di euro di beni immobili, dopo aver fatto man bassa di cartolarizzazioni e derivati nel passato. Gli enti locali, insomma, e quelli territoriali come le Regioni, sono un’ottima location dove portare il ballo del mattone, vero o di carta che sia, in attesa di tornare a far man bassa del patrimonio dello Stato, che intanto l’agenzia del Demanio ha classificato e inventariato per bene. La festa è tutt’altro che finita.

d e l

g i o r n o

Trichet: controllo inflazione continua Per il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, tutti i Paesi di eurolandia devono «mantenere ferma» la linea del consolidamento delle finanze pubbliche nel solco di quanto previsto dal Patto di stabilità e di crescita dell’Ue. «La Banca centrale - ha aggiunto - è determinata ad ancorare fermamente le aspettative sull’inflazione» ribadendo che «la stabilità dei prezzi è una condizione necessaria per sostenere la crescita economica dell’eurozona e incrementare i posti di lavoro». Il presidente della Bce ha quindi assicurato che «le attese nel lungo termine sul fronte dell’inflazione restano ben ancorate» e che l’inflazione sopra il 2%, valore di riferimenmto della Bce, è solo un fenomeno «temporaneo».

Corsa inarrestabile del petrolio Il greggio sfonda la quota dei 127 dollari al barile, superando per la prima volta tale quota e fissando il massimo storico a 127,13 in rialzo di 3,02 dollari rispetto alla chiusura di giovedì. Il petrolio, che ha così superato il precedente massimo storico, fissato martedì a 126,98 dollari al barile, ha poi leggermente ritracciato ed è stato scambiato ora 126,93 dollari, in rialzo di 2,81 dollari al barile.

Auto, mercato in calo. Bene Fiat Torna il sereno sul mercato europeo dell’auto. Ad aprile, nell’Europa allargata (Ue a 27 più paesi Efta, cioè Islanda, Norvegia e Svizzera), le immatricolazioni sono infatti aumentate del 9,6 per cento su base annua, a 1.420.944 unità, dopo il netto calo del 9,5 per cento di marzo. È in controtendenza l’Italia, che scende del 2,9 per cento a 201.844 unità, ma questo non impedisce alla Fiat di segnare un progresso del 7,9 per cento in Europa occidentale a fronte di 110.064 vetture nuove, rispetto alle 101.977 unità registrate ad aprile del 2007. Il Lingotto rimane comunque al sesto posto nella classifica dei costruttori europei segnando in Europa occidentale una quota ad aprile dell’8,4 per cento, sostanzialmente stabile rispetto all’8,5 per cento di un anno fa.

Endesa, il 17 giugno la decisione Antitrust L’ufficio concorrenza della Commissione europea ha fissato il 17 giugno come deadline per l’inchiesta antitrust sull’operazione congiunta di Enel e Acciona su Endesa. L’esame dell’Antitrust europeo riguarda la cessione degli asset spagnoli da Enel e Endesa ad Eon a seguito della rinuncia di Eon all’operazione.

Indesit compra settore elettrodomestici GE Seduta positiva per Indesit al centro di interessanti indiscrezioni di stampa. Secondo un importante quotidiano economico la società controllata dalla famiglia Merloni potrebbe essere interessata a rilevare il settore elettrodomestici bianchi di General Electric. Sembra, infatti, che il colosso Usa abbia dato mandato a Goldman Sachs di organizzare una gara per la vendita della divisione, al fine di realizzare cassa da destinare al core business.

Monti contro i nazionalismi in economia «Per fortuna chia ha il compito di far applicare le regole, Commissione e Corte di Giustizia europea, vince la battaglia». È il commento del presidente della Bocconi, Mario Monti, parlando del crescente nazionalismo economico in alcuni Paesi, citando, tra gli altri, il caso «Banca d’Italia che nel 2005 resistette alle due scalate che hanno interessato Bnl e Antonveneta». Resistenza fallita, e conclusa con “una liberalizzazione delle banche italiane, alcune delle quali sono tra le più grandi del mondo».


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televisione

Il 18 e 19 maggio su RaiUno la fiction pensata e interpretata da Beppe Fiorello ”Il bambino della domenica”

Un gancio in faccia alla solitudine colloquio con Beppe Fiorello di Francesca Parisella

ROMA. Vite difficili che si incontrano per raccontare con sfumature neorealistiche la storia del pugile Marcello, deluso dalla vita, e del piccolo Carmine, orfano di genitori. Il bambino della domenica – per la regia di Maurizio Zaccaro in onda in due puntate su Rai Uno il 18 e il 19 maggio - è una fiction dove il pugilato fa da cornice a sentimenti veri come l’amore per una donna – Anna, interpretata da Anita Caprioli - e l’amicizia. Nata da una confidenza tra due amici, Beppe Fiorello e lo sceneggiatore Alessandro Pondi, la fiction dà voce a tutti quei bambini che, rimasti soli e in attesa di essere affidati, vivono la domenica come l’unico momento in cui sentirsi parte di una famiglia. A segnare una svolta positiva nella vita di Marcello -interpretato da Beppe Fiorello - è l’amicizia del piccolo Carmine - l’orfano dal passato misterioso rimasto nuovamente solo dopo la morte della donna che lo andava a prendere all’orfanotrofio ogni domenica – che trova in Marcello la figura paterna tanto desiderata. Il bambino della domenica è una fiction dove il tuo protagonista Marcello combatte sul ring e anche contro i suoi sentimenti... Marcello è un pugile che dopo essere stato un grande campione cade in disgrazia perché tradito dal suo fraterno amico Saro, David Coco. E’ lo stesso amico Saro a coinvolgerlo nel giro del pugilato clandestino dove Marcello diventa il campione della mafia. Un uomo ormai allo sbando, abbandonato da Anna - il suo amore di sempre - che trova nei tristi occhi di un orfano, interpretato dal giovanissimo Riccardo Nicolosi, la luce e la forza per miglio-

rare la propria vita. Sarà grazie al piccolo Carmine che Marcello ritrova la speranza che credeva di aver perso. Dopo tanti personaggi storici, in questa fiction dài vita a un personaggio di fantasia... Non dover portare sullo schermo un personaggio storico mi fa sentire più libero. Per interpretare Marcello non mi sono ispirato a nessun pugile famoso, ho preferito seguire il mio istinto e la mia fantasia che mi hanno suggerito il comportamento e i movimenti sul ring che poi sono stati molto apprezzati da chi segue con passione la boxe. Cosa significa per il tuo personaggio il ring? Salire sul ring per Marcello è la prima chiave d’accesso per affrontare la vita con coraggio. E per Beppe, invece, cosa è significato? Questa fiction è stata una bellissima esperienza. Un so-

gno che si è realizzato, perché da tanto tempo desideravo girare un lavoro ambientato nel mondo del pugilato. Sono sempre stato affascinato dalla boxe. Perché? E’ innegabile che sia uno sport molto duro dove c’è bisogno di tanta resistenza e forza per vincere. Quando ho iniziato gli allenamenti per le riprese della fiction, mi è stato subito chiaro che la boxe non è soltanto saper dare bene i pugni, ma soprattutto uno sport dove la velocità delle gambe e l’intelligenza sono fondamentali per ballare attorno all’avversario e colpirlo nel modo e nel momento giusto. E poi ho scoperto la filosofia che lo rende ancora più affascinante: la correttezza e il rispetto per l’avversario, un’etica di combattimento che porta i due sfidanti ad abbracciarsi al termine di un incontro. Uno

Attraverso storie di amicizie e incontri di boxe, «la serie tv dà voce a tutti quei figli rimasti senza famiglia ma con il coraggio di andare avanti»

sport che in fondo è anche una metafora della vita. E’ stato impegnativo calarti nei panni di un pugile? Con il personaggio di Marcello volevo dare qualcosa di diverso al pubblico, trasmettere oltre alle emozioni della recitazione anche la fatica e l’impegno fisico. Il bambino della domenica è una fiction che mi è nata dal cuore - essendo uno degli autori del soggetto - per poi arrivare al fisico. Infatti, per dare maggiore credibilità al mio personaggio mi sono allenato per circa un anno e mezzo. I primi sei mesi sono serviti a raggiungere una preparazione atletica che mi consentisse di sostenere l’allenamento successivo che si è svolto in parte a Los Angeles nella palestra di Freddy Roches – storico allenatore di Mike Tyson e Oscar de la Hoya - dove ho imparato la tecnica, e successivamente in Italia. Un allenamento impegnativo Sicuramente e oltre allo sforzo fisico ha richiesto una dieta mirata. Nella prima parte degli allenamenti, caratterizzata da esercizi cardiovascolari, la mia dieta era basata sui carboidrati per aumentare il volume, successivamente iniziando ad allenarmi con la pesistica è stata a base di proteine per potenziare la muscolatura. Nonostante io mi sia allenato tanto, temevo di sfigurare davanti ai pugili professionisti e invece sono stato molto felice di essere riuscito a girare le scene sul ring, affrontando il combattimento come un vero pugile. Continuerai ad allenarti? Per il momento mi sono fermato, ma conto di riprendere quanto prima per non perdere il risultato ottenuto con tanta fatica.


calcio ROMA. «Credo che l’Inter in queste ultime domeniche sia stata molto sfortunata. La scorsa settimana contro il Siena meritava sicuramente di più ma non è detto che la sfortuna le sia sempre avversa». Paolo Rossi, campione del mondo in Spagna nel 1982, l’uomo che con i suoi goal condannò il Brasile di Socrates e Falcao, in questi giorni si trova in Toscana nel suo agriturismo dove produce vino e olio. Partiamo dalle recenti intercettazioni che rischiano di avvelenare ulteriormente questo finale di campionato. Che idea si è fatto delle telefonate che ci sarebbero state tra alcuni giocatori dell’Inter e Domenico Brescia, il sarto fermato ieri dai carabinieri con l’accusa di traffico di stupefacenti? Non mi è mai piaciuto commentare fatti di questo tipo soprattutto quando c’è una indagine in corso. Non mi convince poi l’uso che una certa stampa ha fatto nei mesi passati delle intercettazioni solo per gettare fango addosso a determinati personaggi. Questa storia si sgonfierà come una bolla di sapone e torneremo a parlare solo di calcio, almeno me lo auguro. E poi sono del parere che conoscere una persona che ha problemi con la giustizia non è un reato, né penale, né sportivo. Cosa ne pensa delle trasferte vietate dall’Osservatorio per i tifosi di Inter e Roma? Proprio perché è un osservatorio dovrebbe osservare meglio. Non ho capito con quale criterio si sostengano certe tesi. Come si fa a parlare di un pericolo legato alla trasferta a Parma dei tifosi interisti? Credo che abbiano fatto confusione con la partita di Catania, dove c’è una situazione ambientale completamente diversa. Crede che questa decisione possa esasperare ulteriormente il clima? Sicuramente non lo aiuterà. L’Osservatorio che è dentro la materia e che conosce bene i tifosi dovrebbe evitare errori così grossolani. Mi auguro solo che domani possa essere una giornata di calcio come tante altre. Questa è l’occasione giusta per dare un esempio di civiltà. Servirebbero regole più chiare in vista del prossimo campionato? È esattamente questo il punto. Non si può decidere di volta in volta adottando sempre metodi differenti. Mi dispiace, ma questo è il solito papocchio all’italiana.

17 maggio 2008 • pagina 19

Paolo Rossi a tutto campo. Di scandali, di scudetto e del finale thrilling di domenica

Roma più bella ma vincerà l’Inter colloquio con Paolo Rossi di Cristiano Bucchi Veniamo al calcio giocato: si aspettava un finale di campionato così avvincente? È un finale bello, appassionante. Nessuno si aspettava che la Roma rimontasse undici punti. E’ la bellezza di questo sport. In tanto anni di calcio ho imparato che si gioca sempre fino all’ultimo minuto. È davvero difficile gestire così tanti punti di vantaggio? Nel nostro campionato non ci sono squadre cuscinetto, soprattutto nelle ultime giornate, quando in palio ci sono punti che valgono la salvezza. In quest’ultimo periodo ho visto un Inter in affanno, stanca e forse anche un po’ troppo nervosa. Avrebbe dovuto chiudere la pratica scudetto qualche tempo fa, ma non c’è riusci-

ta, e questo ha pesato all’interno dello spogliatoio. Fino a due mesi fa la squadra di Mancini sembrava invincibile, poi qualcosa si è rotto. Quanto può pesare il punto di vantaggio che i nerazzurri hanno sulla Roma in vista degli ultimi novanta minuti?

Come si fa a parlare di un pericolo legato alla trasferta a Parma dei tifosi interisti? Credo che abbiano fatto confusione con la partita di Catania, dove c’è una situazione ambientale completamente diversa

Un punto di vantaggio è sicuramente molto anche perché sono convinto che il Catania venderà cara la pelle. La squadra di Zenga ha bisogno di punti per restare in A e non si accontenterà di un pareggio. Però la Roma va a mille in questo momento... Il grande merito dei giallorossi è di non aver mai mollato. E’ giusto che sia arrivata fino in fondo. Se Spalletti avesse avuto qualche giocatore in più la situazione sarebbe diversa? Credo che la Roma abbia espresso anche quest’anno il miglior calcio di tutti, nono-

stante l’organico imponente dell’Inter. Se la società avesse messo a disposizione di Spalletti qualche giocatore in più, probabilmente ci troveremmo a commentare una classifica diversa. Non pensa che troppi campioni possano portare conflittualità all’interno di un club? Dipende naturalmente dal tipo di ambiente. Io ho giocato in squadre zeppe di grandi campioni e siamo riusciti a vincere tanto grazie all’equilibrio che c’era in campo, ma anche nello spogliatoio. Le squadre importanti si fanno solamente con i campioni anche perché solo in questo modo puoi pensare di competere con i grandi club internazionali.

Crede che il problema dell’Inter di quest’ultimo periodo risieda nel rapporto tra Mancini ed i giocatori? Ci sono stati alcuni momenti di questi stagione in cui la squadra è stata mal gestita. Si riferisce alle dimissioni del tecnico neroazzurro dopo l’eliminazione dalla Chiampions? Quello è stato un episodio determinante. Ma potrei ricordare anche come è stato gestito il caso Adriano, da lì sono iniziati i problemi nello spogliatoio. Se si vanno a vedere le colpe dell’allenatore, allora bisogna dire che c’è anche la responsabilità del presidente, che non è intervenuto quando era necessario farlo. Se la sente di dare un consiglio ai tecnici di Inter e Roma in vista dell’ultima partita? Certamente di crederci fino in fondo e non pensare a ciò che avviene fuori dal campo. L’importante è che ci sia la convinzione e la consapevolezza di ottenere il risultato. Lasciamo da parte il finale di campionato. Quanto è cambiato il calcio rispetto a quando giocava lei? Mi pare che ci sia una maggiore attenzione alla tattica e alla preparazione. Una volta non c’erano tutti questi preparatori e gli allenatori probabilmente si occupavano meno degli schemi. Adesso i giocatori che vanno in campo seguono direttive ben precise e così viene spesso a mancare la fantasia, la creatività e l’improvvisazione. Anche lei è convinto che il campionato italiano sia il più bello del mondo? Non so se il nostro torneo possa essere definito in questo modo. Certamente è il più difficile. Mentre mi diverto di più a guardare il calcio spagnolo e inglese. E’ più spettacolare ed emozionante. Certo anche nel nostro campionato capita di vedere delle belle partite, ma non è così frequente. A proposito di calcio estero la prossima settimana si conclude la Champions con una finale tutta inglese tra Manchester United e Chelsea. Visto che sarà tra i commentatori di Sky, se la sente di fare un pronostico? Il Manchester quest’anno ha dimostrato una grande solidità in tutti i reparti, mentre gli uomini di Grant, forse per colpa di assenze importanti, non hanno espresso la stessa brillantezza di gioco. Per questo dico Manchester, ma non dimentichiamoci che si tratta di una finale e quindi il risultato a sorpresa è sempre dietro l’angolo.


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personaggi

Venti anni fa fuggì dall’Unione Sovietica. È morto negli Stati Uniti

Jurij Druznikov

Il dissidente scettico che non rinnegò le idee di Massimo Tosti oveva essere un’intervista, ed è un “coccodrillo”. Un paio di settimane fa avevo chiesto a Jurij Druznikov di rispondere ad alcune domande, in occasione dell’uscita in Italia – in anteprima mondiale – del suo ultimo romanzo: Il primo giorno del resto della mia vita (Barbera editore, 430 pagine, 15,90 euro). Druznikov era fuggito dall’Unione Sovietica poco più di venti anni fa, quando la polizia politica aveva rinvenuto (durante una perquisizione in casa di un suo amico) una copia a ciclostile del suo romanzo Angeli sulla punta di uno spillo. Sarebbe stato internato in un manicomio criminale (secondo il costume in uso nell’Urss di Stalin e di Breznev) che si trascinava ancora nel primo periodo di Gorbaciov, nonostante la perestroika e la glasnost.

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Ma il suo arresto provocò una sollevazione nel resto del mondo. Molti intellettuali di grande prestigio (fra gli al-

Davis gli fu offerta la cattedra di letteratura russa. Si riservò di concedermi l’intervista dopo qualche giorno, perché non si sentiva troppo bene. Ricoverato in ospedale per una polmonite, era stato dimesso una settimana fa. La moglie promise che avrebbe mantenuto fede all’impegno preso. La morte, l’altro ieri sera, gli ha impedito di rispettare la parola data.

vera di Praga. Quando, per sconfiggere le parole (e le idee) i russi usarono le armi. Era già accaduto tredici anni prima in Ungheria: ma, allora, Druznikov, aveva soltanto ventitré anni, e gli mancavano gli elementi per giudicare.

L’avevo conosciuto – e intervistato – due anni fa, a Roma, dopo l’uscita in Italia di Angeli sulla punta di uno spillo. Portava molto bene i suoi 73 anni. Era vivace, acuto e brillante, esattamente come nella pagina scritta. Aggrappato alla propria fede, giovanile e polemico, violentemente polemico, con il “regime” poliziesco che nella Russia postcomunista si è sostituito (secondo lui) a quello che l’aveva preceduto. Era stato un dissidente, ma senza rinnegare le

Nel ’69 – mentre l’Occidente era ancora in subbuglio per la contestazione giovanile, e i ragazzi (a Parigi) invocavano «la fantasia al potere» – lui si rese conto che, nell’impero sovietico e nei Paesi del blocco comunista, al potere c’era spazio soltanto per i dirigenti del partito e i generali del Kgb. Che si controllavano a vicenda, si confrontavano e si combattevano nei palazzi del Cremlino, e si spartivano le spoglie del popolo, proletariato compreso. Fu allora, nel 1969, che Druznikov, infilò un foglio nella macchina da scrivere e scrisse le prime righe del suo romanzo-capolavoro, Angeli sulla punta di uno spillo. Ci mise parecchio tempo per completare l’opera, ma ne valse la pena. Il libro ha venduto oltre 250 mila copie in tutto il mondo. Aleksandr Solzenicyn lo definì «fondamentale», sostenendo che – in questo modo – «gradualmente tutte le bugie dell’Unione Sovietica verranno finalmente a galla». L’Observer scrisse che quel romanzo «sposa l’ampio respiro di Solzenicyn con l’umorismo graffiante di Bulgakov». I giudizi entusiastici della critica mondiale valsero a lanciare la sua candidatura al Nobel per la Letteratura nel 2001.

Il suo primo romanzo fu candidato al Nobel per la letteratura nel 2001. Solzenicyn lo definì «fondamentale» e sostenne che in quel modo «gradualmente tutte le bugie dell’Urss verranno finalmente a galla» tri: Bernard Malamud, Kurt Vonnegut, Arthur Miller, Elie Diesel) firmarono una petizione invocando la libertà per Druznikov. La fuga in Occidente fu in qualche modo agevolata dal regime, che chiuse un occhio. Dopo un breve soggiorno in Italia, Druznikov si rifugiò negli Stati Uniti, in California, dove nell’università di

idee. Rinnegava gli uomini. Non cancellava la rivoluzione d’Ottobre. Si limitava ad osservare che «invece di consegnare il potere al popolo, i capi della rivoluzione se ne appropriarono». Un errore, non un’eresia. La delusione, per lui, esplose nel 1969, quando i carri armati sovietici soffocarono la Prima-

Dopo di allora, Druznikov ha scritto altri due romanzi: Là non è qua e Il primo giorno del resto della mia vita, che uscirà

A sinistra lo scrittore dissidente Jurij Druznikov, qui sopra il capo del governo russo Vladimir Putin, a destra il dittatore sovietico Iosif Stalin

«L’impero sovietico si è dissolto, il comunismo è crollato, ma la Russia è ancora uno Stato di polizia. Il sistema fu inaugurato da Lenin, che non fece a tempo a realizzare il suo progetto. Stalin ci riuscì» postumo in tutto il mondo, eccetto l’Italia, alla quale lo scrittore aveva riservato il privilegio della prima pubblicazione. Perché amava il nostro Paese, e perché aveva stretto un rapporto molto solido con la casa editrice Barbera. Di quest’ultimo libro aveva detto che lo considerava il suo migliore, forse perché è persino più visionario e allegorico dei precedenti. Forse anche perché la denuncia contro la Russia di Putin e di Medvedev si è fatta trasparente e durissima.

« M i h a n n o chiesto molte volte, da quando vivo in California, perché non torno in Russia», mi disse nell’intervista di due anni fa. «Il fatto è che la Russia è così grande che è molto meglio vederla da lontano, dalla parte opposta del globo», spiegò con il sarcasmo che è un tratto distintivo dei suoi libri. «Con un telescopio, cercando di scrutarne le novità. L’impero

sovietico si è dissolto, il comunismo è crollato, ma la Russia è ancora uno Stato di polizia. Il sistema fu inaugurato da Lenin, che si pose l’obiettivo di arruolare un informatore in ogni azienda, in ogni organizzazione, e persino in ogni famiglia. Non fece a tempo a realizzare il suo progetto. Stalin ci riuscì, creando una seconda polizia segreta attraverso la struttura periferica del partito. In ogni struttura periferica c’era un informatore che rispondeva direttamente al vertice del partito». A metà degli anni Novanta, Druznikov illustrò nei dettagli questo sistema di spionaggio interno in un saggio, intitolato Informer 001, dedicato a Pavlic Morosov, un bambino che – nel 1932, quando aveva soltanto tredici anni – si guadagnò il titolo di eroe nazionale perché aveva denunciato il padre alla polizia politica. Alla fine degli anni


personaggi

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Pubblichiamo uno stralcio del suo ultimo romanzo

Quando Stalin capì che non era di ghisa di Jurij Druznikov Dacia di Kuncevo. Lunedì 17 dicembre martedì 18 dicembre 1945. In due mesi e poco più Stalin si era ripreso a stento dall’ictus. Ufficialmente nel 1945 avrebbe compiuto sessantasei anni. Erano in pochi a sapere che in realtà era nato un anno prima. Mentre stava ancora male aveva deciso che nelle nuove biografie bisognava spostare il suo anno di nascita, rendere il leader di cinque o, ancora meglio,

Settanta – secondo i calcoli compiuti da Druznikov – il Kgb aveva 800 mila ufficiali (professionisti dello spionaggio) e 11 milioni di informatori, uno ogni quattordici abitanti. «È chiaro che molti erano costretti a svolgere questo ruolo per sopravvivere. Erano ricattati, in qualche modo. Il sistema era semplicissimo. Se vuoi avere un appartamento migliore – gli dicevano – noi siamo disposti ad aiutarti, ma tu devi aiutare noi. Il Kgb non riuscì mai ad assumere il controllo politico totale dell’Unione Sovietica, ma ci andò molto vicino. Una volta un generale della polizia segreta disse, riferendosi ai leader politici: “Loro non sanno come comandare il Paese: noi lo sappiamo fare molto meglio”».

Il primo giorno del resto della mia vita offre uno spessore narrativo alle convinzioni dell’autore. La trama si sviluppa in due periodi molto lontani fra di loro. Ai tempi della Seconda guerra mondiale, quando Stalin progetta l’invasione dell’Europa, cercando l’appoggio dello sceicco del Kuwait, dal quale invia in missione diplomatica due agenti segreti (Mavra Besova e Timofej Pokusai) che diventano amanti e scappano in Occidente, mandando in fumo il progetto del dittatore. E ai tempi nostri quando l’autore in persona torna a Mosca e riesce a sbirciare l’archivio personale di Stalin, per ricostruire quella vicenda lontana e misteriosa, e può rendersi conto di quanto

ancora il Kgb sia padrone della vita privata (e del destino) dei poveri russi.

In Angeli sulla punta di uno spillo, Druznikov affidava a un personaggio, il marchese de Custine, vissuto nella prima metà dell’Ottocento, quello che potrebbe oggi essere considerato il suo testamento. Nel saggio La Russia nel 1839, il marchese descrive un Paese povero e opprimente, governato dallo zar Nicola I senza alcun rispetto per i sudditi, e ne prevede un altro – La Russia del XX (e del XXI secolo) – che riserverà al popolo il medesimo trattamento. «Questa è una nazione nata per la schiavitù, e che fieramente si oppone a ogni segno di libertà; costoro sono creature remissive quando vengono oppresse e non si ribellano davanti al giogo». «Non sono pessimista», teneva a precisare Druznikov. «Da giovane ero il presidente dell’unione degli scettici, e lì ero il capo del dipartimento degli ottimisti. Oggi, che sono vecchio, sono il capo dell’unione dei cinici, e mi sono riservato la guida del dipartimento degli scettici». Scettici e disincantati. «Dicono che la rotazione della Terra stia rallentando. Perché allora noi voliamo sempre più velocemente?». Sono le ultime parole del suo ultimo romanzo.

una decina di anni più giovane. Sarebbe bastato dire che l’età di prima era una mac¬chinazione dei nemici, una falsificazione della sua biografia da parte dei trotzkisti, e nessuno avrebbe fiatato. Il respiro, il movimento delle braccia e delle gambe non si erano ristabiliti del tutto, però aveva incominciato a passeggia¬re lentamente. Si trascinava a stento una gamba ma la cosa più importante era che il cervello non si fosse danneggiato. Aveva sempre avuto la meglio sul destino, ed ecco un’altra vittoria, la seconda quell’anno. Prima nella guerra contro Hitler e adesso contro l’ictus. Ciò che meravigliò coloro che non avevano perso la capaci¬tà di ragionare era un enigma: come era riuscito il lupo malato a sopravvivere dopo il primo ictus in mezzo agli

sciacalli affa¬mati che lo circondavano e poi a mantenere il potere assoluto fino all’ultimo malore per altri otto anni interi? La risposta può essere semplice: al momento dell’ictus fatale gli sciacalli ormai avevano fatto tesoro dell’ esperienza del primo, si erano preparati meglio e non si erano lasciati sfuggire l’occasione. Una volta tornato in sé, il leader si rivelò completamente soddisfatto di ciò che stava accadendo. Diede una scorsa ai giornali moscoviti freschi di stampa: in tutti si parlava dei tur¬ni di lavoro dei sovietici che stavano realizzando i programmi per il compleanno del condottiero. Dal lontano presente mi verrebbe una gran voglia di giudicare questi piani fasulli, ma è meglio astenersi: non è roba da romanzo. Era vivo, ma nella sua anima non c’era pace. Disprezzava gli uomini, si era arrampicato più in alto di tutti, e ancora più in alto di lui stesso chi rimaneva? In questa fase Dio lo stava ostacolando periodicamente, gli metteva i bastoni tra le ruote, e Stalin aveva iniziato a cambiare idea. Per gli altri Dio non esi¬steva, ma per Stalin Lui era apparso, aveva fatto tutto ciò che gli aveva domandato, tutto ciò che era in Suo potere. Restava solo una cosa da chiedere a Dio: un po’ più anni di vita. Il lea¬der ordinò che dalla chiesa più vicina gli portassero un’icona e si mise a pregare. Ma Dio, per la sua rabbia, non entrò in contatto diretto con lui. Stalin non amava ricordare la sua giovinezza, il seminario dove aveva studiato e dove spesso i coetanei lo picchiavano per le bugie e le piccole carognate. Però i versi del Salterio gli si erano impressi nella memoria per tutta la vita e si erano rivelati più forti degli slogan marxisti che aveva assimilato in seguito. Quando si sentiva male, alla sua coscienza affioravano a sproposito e non volevano andarsene le preghiere di Mosè, uomo di Dio: “Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio”. In modo del tutto inatteso il leader percepì che il suo cor¬po, a differenza della locomotiva “Iosif Stalin”, non era di ghisa, e i suoi anni stavano scivolando via.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Calcio: Roma o Inter, chi merita lo scudetto? IL CAMPIONATO PIÙ BELLO È DELLA ROMA DI LUCIANO SPALLETTI E FRANCESCO TOTTI Non c’è il minimo dubbio: lo scudetto quest’anno lo merita senz’altro la Roma. E’ vero, l’Inter ha disputato un campionato stellare, ma il vero calcio, quello nobile, di classe e di fuoriclasse lo ha dimostrato la Roma di quello splendido allenatore che è Luciano Spalletti e di quel re del pallone che è Francesco Totti. Che purtroppo non gioca già da parecchio, ma la Roma ha schiaffatto in faccia a tutti di potercela fare lo stesso. Sarò senz’altro di parte, ma io ci credo. Lo merita... e lo vincerà.

Gaia Miani - Roma

considerando l’intero campionato, la Roma abbia espresso il gioco più bello, piu’ fluido, più spettacolare. L’Inter adduce, a scusante del cedimento nel girone di ritorno, la serie interminabile di infortuni che ha colpito il suo parco giocatori. Questo è vero, però anche la Roma ha dovuto spesso e soprattutto nella fase più decisiva del campionato, fare a meno di Totti, il suo giocatore più rappresentativo. Tutto ciò detto, torno a rammaricarmi che la vittoria finale vada necessariamente a una sola squadra. Per me lo meriterebbero ambedue. Viva l’Inter, viva la Roma!

Flavio Zucca - Firenze

LO SCUDETTO DOVREBBE ESSERE EX AEQUO, LO MERITEREBBERO ENTRAMBE LE SQUADRE

L’INTER SI AGGIUDICHERÀ LA VITTORIA, È IN TESTA ALLA CLASSIFICA DALLE PRIME GIORNATE

Peccato che lo scudetto non possa essere assegnato ex aequo! Perché in fondo, lo scudetto, lo meriterebbero tutte e due le squadre. Sì, l’Inter per lungo tratto del campionato ha dominato, alla Roma, a Roma, ha rifilato un 4 a 1 che, insomma, qualcosa starà pure a significare. Però, però, c’è da dire anche che nel girone di ritorno la Roma ha incamerato più punti, è riuscita nell’impresa di recuperare da -11 a -1!! E inoltre non c’è dubbio che,

Sono un interista che ha la presunzione di essere imparziale... o quasi. Io credo che alla fine lo scudetto lo vincerà l’Inter. Del resto mi sembra che lo meriti ampiamente. Ricordo che è in testa alla classifica sin dalle prime giornate di campionato. Con la Roma, l’unica squadra che la contrasta nell’aggiudicazione dello scudetto, negli scontri diretti ha preso 4 dei 5 punti assegnati, ha una migliore differenza reti, ha un organico nettamente migliore. Se non ci fossero stati tutti gli infortuni che purtroppo sono venuti, ora non staremmo a chiederci chi merita di più; il distacco sarebbe stato incolmabile già da diverse giornate. Si potrà forse replicare che per dirla alla Totti - qualche «aiutino» l’Inter lo abbia ricevuto dagli arbitri, ma non tali da aver condizionato il campionato.

LA DOMANDA DI DOMANI

Fabio Mercuri - Milano

Credete all’efficacia della medicina alternativa? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

AL TRAGUARDO ARRIVERANNO I NERAZZURRI, MA IL VERO VINCITORE SARÀ DANIELE DE ROSSI Questo è il campionato di Daniele De Rossi. Punto. Potrà anche vincerlo l’Inter lo scudetto, ma spero vivamente di no (nutro per Roberto Mancini un’antipatia viscerale) e credo che, alla fine, agli atti rimarrà che la Roma ha fatto scendere in campo il vero calcio, senza favoritismi e vittimismo. Cordialmente ringrazio. Distinti saluti.

IL GOVERNO BERLUSCON-SOCIALISTA E L’”EMERGENZA DEMOCRATICA” Il completamento della squadra di governo da parte di Berlusconi conferma il dubbio di chi aveva visto nel nuovo corso di Forza italia una predominante o meglio assoluta conquista degli ex socialisti. Oggi di fatto il partito del Pdl si configura come un connubio tra la destra italiana e gli eredi della tradizione socialista. Riuscendo in un tentativo storico già da alcuni auspicato per il passato. Mai come in questo momento tanti socialisti occupano non solo posizioni di governo ma anche ruoli istituzionali di prim’ordine. All’apparenza Berlusconi restituisce alla memoria socialista craxiana tutto il peso e l’autorevolezza di un gruppo e del suo ex leader, che tanto ha dato al Berlusconi imprenditore. Il tutto a discapito dei democratici cristiani. Anche in questo senso Beriscioni fa una scelta di campo e restituisce agli ex Dc una visibilità e una disponibilità molto marginale considerandoli tra quelli che più pensano e perciò meno confacenti alla sua leadership solitaria. Questo pone un problema a tutti mo-

L’UOMO VOLANTE

Il volo sulle Alpi svizzere di Yves Rossy, conosciuto ai più come ”Fusion man”. L’ingegnosa invenzione, che arriva dopo cinque anni di duro ”addestramento” dotata di quattro piccoli motori e di altrettante ali, permette all’Uomo aereo di volare a 300 km all’ora

LE IDEOLOGIE SONO FINITE, ADESSO CI VUOLE IL DIALOGO Alcuni anni fa ero a Toronto in compagnia di un amico italocanadese. Gli chiesi: «Ma tu qui per chi hai votato?» e la sua risposta fu un poco imbarazzata: «Scusa, ma ora non ricordo i programmi presentati e di conseguenza non so a quale partito diedi il mio consenso». Rimasi di stucco, quando questo accadrà in Italia, per me che sono stato un anticomunista per tutta la vita, quel giorno sì che ci sarà una democrazia completa. Ora Berlusconi e Veltroni hanno già fatto molto, le idee estreme sono fuori dal Parlamento, speriamo siano seri al punto da far votare gli italiani per chi li saprà meglio rappresentare, l’uno o l’altro, o chi per loro, nell’interesse degli elettori. Demagogie e ideologie hanno

dai circoli liberal Sonia Campi - Rieti

derati fuori e dentro dal Pdl, a quelli che lo hanno già capito e che come l’Udc hanno cercato di arginare il problema anzitempo, e a quelli (vedi Pisanu, Formigoni eccetera) che fanno finta di non capirlo ma che lo sanno bene che va nel brevissimo tempo individuata una strategia e un progetto comune, per rimettere al centro dell’azione politica nazionale i valori e i contenuti che hanno garantito per 40 anni al nostro Paese di crescere e prosperare in totale serenità. La questione non sottrae dalle proprie responsabilità anche democratici cristiani presenti nel Pd. Insomma, si tratta di una vera e propria ”riconquista” comune, facendo capire e spiegando agli italiani che non è solo la cultura socialista berlusconiana ad avere le soluzioni ai problemi del Paese. Il percorso va avviato attraverso la Costituente di Centro, che non può e non deve essere (questo può sembrare paradossale) né di destra né di sinistra. Non può e non deve escludere i democratici cristiani di ogni ordine e grado, deve insomma essere inclusiva e soprattutto il riferimento dei problemi cui il Paese chiede risposte immediate ed

fatto il loro tempo, è il momento del dialogo nei rispettivi ruoli, ma attenti, che non sia un gioco delle parti, attenti, la ”furbata” la pagheremmo cara tutti e la libertà per prima.

L. C. Guerrieri - Teramo

FINALMENTE RIAPRE IL DIPARTIMENTO ANTIDROGA Ho letto che il ministro delle Politiche giovanili Meloni ha accolto «con favore la proposta di Giovanardi di riaprire il dipartimento nazionale per le politiche antidroga, chiuso dal governo Prodi nonostante gli importanti risultati raggiunti». Il ministero è dunque pronto «a offrire la sua piena collaborazione affinché la struttura possa trovare un’operatività immediata». Sì, questo governo mi piace.

Greta Gatti - Milano

efficaci. Tralasciando per un momento la ”filosofia” e retaggi storico-culturali poco confacenti con le emergenze quotidiane che vive il nostro Paese. Il campo di gioco è quello nazionale, ma la zona di attacco non può che essere il Sud del Paese. Fuori dalla portata degli interessi politici, economici e finanziari che muovono il Pdl, e lontano da quelli che muovono il Pd. Per questo storicamente attento e vicino ai valori dei moderati. Vincenzo Inverso PRESIDENTE ORGANIZZATIVO NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Stanotte ho riveduto i tuoi occhi Guardami! Guardami! Sento il colore d’amore, mentre ti scrivo, tutta la giovinezza mia, tutta la verginità, è tua... Dio! La parola è profanata! Tu lo sai come ti amo! Su, su, su, Arrigo Arrigo... ah l’angoscia del salire, l’angoscia del piacere è tua, venne da te! T’amo! Arrigo! Amore mio! Stanotte, ho dormito, sì, ho dormito stanotte, e ho riveduto gli occhi... il resto della fisionomia... non lo vedo più... è indistinto! Ahi! Che amore buono! Ahi! Aiuto... Saluto il sole. Saluto il mio lavoro, lo amo, lo amo. ”Il piccolo rettile” che sugge la nutrice addormentandola. Vedrai, vedrai! Amami, mai creatura ti si è donata tanto, lo sento, io, mai! Tè! Ti sorrido... e grazie... grazie... grazie! Grazie! Eleonora Duse ad Arrigo Boito

IMPEDIRE LE TRASFERTE? DECISIONE INCOSTITUZIONALE Come ex calciatore di football e di sportivo militante, rispondo molto volentieri alla domanda che avete posto sulla disciplina posta dall’Osservatorio per i tifosi in trasferta. Il divieto di trasferta del Viminale, cioè il divieto di posto a carico dei tifosi romanisti di andare a fare il tifo a Catania e lo stesso no entry del Prefetto di Parma per i tifosi interisti, mi sembrano al limite della tollerabilità calcistica, sportiva e civile. Quali sono le motivazioni che stanno alla base dei due provvedimenti impeditivi? Vi è, forse, quello della eccessiva prudenza per lo svolgimento regolare di due partite, che sono chiamate a decidere la vittoria del campionato di calcio di serie A, e forse anche questioni di sicurezza pubblica locali. Ma questi sono compiti ai quali devono provvedere istituzionalmente - senza scuse di sorta - le forze dell’ordine, gestite dai prefetti e dai questori, nonché se vogliamo dal comando dei carabinieri e dalla guardia di finanza. Gli è che, a mio modesto avviso, non sono state ravvisate ragioni di timore o di pericolo

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

17 maggio

per l’incolumità pubblica a carico dei tifosi dell’Inter e della Roma. Ragion per cui io, personalmente, considero i due provvedimenti di diniego alle trasferte assolutamente inidonei, inconsistenti e privi di alcun fondamento. Al limite, anche incostituzionali, in violazione dell’art. 13 e dell’art. 16. Grazie per l’ospitalità e cordiali saluti.

Angelo Simonazzi Poviglio (Re)

BENE MARONI, È L’ORA DELLA FERMEZZA Ha detto bene ieri il ministro degli Interni Maroni: «È il momento di intervenire con fermezza per evitare che la rabbia prevalga sulle regole della convivenza civile e che si possano ripetere episodi di ingiustificabile violenza come quelli che si sono purtroppo verificati a Napoli a seguito dell’orribile tentativo di rapimento di una neonata». Però mi raccomando: fermezza anche sull’immigrazione clandestina.

Romina Valli - Pescara

1510 Nel giorno del suo compleanno, muore a Firenze il pittore Sandro Botticelli 1630 Osservando Giove, Niccolò Zucchi avvista per primo le due cinture della superficie 1840 Muore a Nizza il compositore e violinista Niccolò Paganini 1890 A Roma va in scena la prima della ”Cavalleria Rusticana” di Pietro Costanzi 1949 Il governo britannico riconosce la Repubblica d’Irlanda 1972 Il capo della squadra mobile di Milano, Luigi Calabresi, viene ucciso da un gruppo di terroristi rossi. Il commissario stava seguendo le indagini per la strage di piazza Fontana 1976 I vescovi prendono posizione contro quei cattolici che vogliono candidarsi nelle liste del Partito comunista minacciandoli di scomunica 1996 Nasce il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

PUNTURE Berlusconi incontra Veltroni, Maroni incontra Napolitano, Brunetta incontra Lanzillotta. Viene in mente la battuta di Peppino De Filippo in ”Totò, Peppino e la malafemmina”: «Che ne sapevo che io ero un uomo che incontrava».

Giancristiano Desiderio

il meglio di BEGA TRA FORCAIOLI Hai voglia a ripetere le solite banalità! Che chi si spada colpisce di spada ferisce. Che a giocare con il fuoco del giustizialismo si rischia di bruciarsi le mani. Che le volpi finiscono in pellicceria. E via di seguito. Ma, diciamo la verità, chi se lo sarebbe mai immaginato che, a forza di usare il “metodo Travaglio” dei fatti separati dalla logica, anche lo stesso Travaglio si sarebbe ritrovato in mezzo a vicende assai travagliate? Nessuno. Nessuno, tranne, ovviamente, Giuseppe D’Avanzo, che, tanto per ribadire di essere il numero uno in fatto di giornalismo giudiziario giustizialista, ha raccontato che tra Travaglio e Schifani esiste lo stesso rapporto esistente tra il bue che dice cornuto all’asino. Il tutto a causa dell’ospitalità in un albergo siciliano offerta a Travaglio da un sottufficiale di polizia successivamente risultato colpevole di favoreggiamento nei confronti del mafioso Bernardo Provenzano. Minchia! Si direbbe a Bolzano. Ma che ha fatto Travaglio a D’Avanzo per essersi meritato una rasoiata sulla faccia di questa portata? In realtà sembra proprio nulla. Solo concorrenza tra forcaioli. Quello di Questura contro quello di Procura.

Orso di Pietra orsodipietra.wordpress.com

ERRORI DI PARTENZA

L’uomo che non coltiva l’abitudine di pensare perde il più grande piacere della vita THOMAS EDISON

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

Non amo i fustigatori di professione e mi guardo bene dal diventarlo. Però, lo spirito scettico/critico mi porta anche a parlare di ciò che non mi piace. Nelle prime fasi del Governo Berlusconi si possono sottolineare alcuni aspetti positivi: la coesione della maggioranza, la disponibilità alla discussione pacata ed aperta sui temi, la velocità nelle

operazioni di start-up, la scelta di alcune personalità in posti chiave. E poi si possono indicare i primi errori. 1) Stefania Prestigiacomo al momento dell’arrivo al Ministero dell’Ambiente ha detto che porterà avanti ciò che di buono ha fatto ”Alfonso”. Ha detto proprio così, riferendosi al suo predecessore Pecoraro Scanio. Diciamo che ci si poteva attendere un cambio di registro. D’altronde, il voto serve a cambiare ciò che non va bene. E Pecoraro Scanio era tra le cose che non andavano bene. 2) Franco Frattini, da oggi Cuor di Leone, non trova di meglio da fare che rifiutare l’incontro col Dalai Lama, per non scontentare gli amici cinesi. Il trionfo del coraggio! E il cambiamento? 3) Ignazio La Russa, a seguito della ripresa della guerra civile libanese, grazie ad Hezbollah (finanziato da Siria ed Iran), afferma che nulla è cambiato nel Paese dei Cedri e che quindi i soldati italiani non rischiano nulla. Ergo, nessun cambiamento in vista per le regole d’ingaggio: gli uomini dell’Esercito italiano non potranno sparare per difendersi, eventualmente. Ma Antonio Martino doveva proprio star fuori dall’esecutivo? 4) Gli attacchi ai campi rom sono da Paese incivile. Questo va detto e ribadito, senza timore. Anche perchè spesso (come è avvenuto a Napoli) a compierli sono delinquenti peggio degli stessi nomadi. Magari rivedere prima le leggi (introducendo il reato di accattonaggio), applicare le norme sullo sfruttamento minorile (bimbi impiegati in furti ed elemosine), le norme ambientali e di sicurezza (per cui non si potrebbe abitare in tali tuguri), porterebbe risultati più concreti. Senza violenze inutili.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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