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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Oggi incontro governo-sindacati: sotto accusa i professionisti del veto

e di h c a n o cr

Patto sociale, si può andare avanti anche senza Cgil

di Ferdinando Adornato

di Giuliano Cazzola ggi, prima di partire per Napoli (dove il governo dovrebbe assumere le prime importanti decisioni in tema di lavoro), il ministro Maurizio Sacconi incontrerà le organizzazioni sindacali alle quali sottoporrà le misure che il governo intende adottare per la detassazione del lavoro straordinario e dei premi incentivanti. I sindacati hanno tenuto, fino ad ora, una linea di condotta prudente che esprimeva un evidente imbarazzo: quello di gruppi dirigenti che avvertono di non potere opporsi a provvedimenti (che non piacciano) solo perché, altrimenti, rischierebbero di essere scavalcati dai lavoratori i quali, invece, guardano con favore alle proposte annunciate. C’è da aspettarsi, quindi, un incontro dall’esito interlocutorio che, tuttavia, sarà molto utile per valutare le reazioni delle diverse confederazioni, per ora riunite intorno a posizioni comuni. Cisl e Uil hanno lasciato chiaramente intendere di non essere disposte a scendere in campo contro un governo forte e dotato di un consenso tanto ampio. La Cgil, dal canto suo, non ha ancora scelto un indirizzo preciso. Avverte su di sé il peso di un’opposizione politica ripetutamente sconfitta e intenta a leccarsi le ferite e non si sente di portare avanti in perfetta solitudine (essendosi autoaffondata anche la sinistra radicale) una guerra aperta al nuovo esecutivo (a meno che esso non gliene dia il destro).

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VIAGGIO IN UNA CITTÀ ORMAI ALLO STREMO alle pagine 2, 3, 4 e 5

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Vedi Napoli che muore

s e gu e a pa gi n a 1 6

I maître à penser si affidano a Silvio

nell’inserto Nord-Sud

Bullismo: parla Simonetta Matone

Afghanistan, sentenza il 23 maggio

«Genitori, cercate

Kabul, Sayed “il blasfemo” va in appello

Lo spettro dello statalismo

Berlusconismo: arriva la resa degli intellettuali

Trasporti: di conoscere meglio le altre Alitalia i vostri figli»

di Riccardo Paradisi

di Carlo Lottieri e Cesare Pozzi

di Nicola Procaccini

di Vincenzo Faccioli Pintozzi

A interpretare Berlusconi con categorie demonologiche è rimasto solo qualche ministro zapaterista. In Italia è difficile trovare qualcuno che sia disposto a dirsi antiberlusconiano.

Ferrovie, Tirrenia e Fincantieri: tre aziende carrozzoni che dovrebbero finire sul mercato e che bloccano il sistema dei trasporti. Colpa di uno statalismo forsennato e di un sindacalismo ottuso.

Simonetta Matone è probabilmente il giudice minorile più famoso d’Italia. Sostituto Procuratore al Tribunale dei minori dei Roma, è ospite assidua e ricercata nelle trasmissioni televisive.

Alla fine, persino i giudici islamici della Corte provinciale di Kabul l’hanno dovuto ammettere: il primo processo contro il giornalista Sayed Perwiz Kambaksh è stato una farsa.

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MARTEDÌ 20

MAGGIO

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

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Viaggio tra i commercianti, gli industriali e gli intellettuali di una città in agonia

Aspettando il miracolo di Errico Novi

NAPOLI. Si possono tirare mo-

volontà, ma ora le istituzioni devono dare una risposta forte, e in tutti c’è un sentimento di attesa per l’arrivo del governo». Ecco: perché Napoli non crede mai di potercela fare da sola? A Gentile rimane solo la speranza flebile di chi si è piegato troppe volte. «È vero, tra i napoletani è comparsa una certa rassegnazione. Ma i cittadini si sono trovati davanti a problemi che non potevano risolvere da soli, ne avevano affidato la soluzione ad amministratori che non hanno compreso quanto fosse grave l’emergenza». Vittime dell’inganno. Probabilmente è così. Ma quanto tempo ci vorrà, se sarà possibile, a rialzarsi? «La ripresa sarà lenta e si avrà negli anni, certo non dall’oggi al domani». Il presidente degli MADDALONI albergatori non (CONFCOMMERCIO) scarica rancore «Si è creato un contro nessuno. sistema di interessi Non cita Antonio reticolare, che ha Bassolino, Rosa cloroformizzato la Iervolino, e magaclasse dirigente ri la cosa gli fa della città. Gli esclusi onore. Realismo, hanno cercato di equilibrio, l’esatto sopravvivere. contrario di ogni Abbiamo un stereotipo: «Ci reconsiglio comunale stano quei pochi fantasma, serve una turisti che ancora pulizia enica» arrivano e fotografano magari i cumuli d’immonrisollevarsi da questo disastro? dizia, ma ci dicono anche che Io dico di sì, ci sono lavoratori, abbiamo un patrimonio inestiimprenditori, cittadini pieni di mabile, meraviglioso. E ci danlotov, fare barricate. E serve solo ai boss. Si può assistere inermi, con il capo chino. Ed è la cosa più devastante. Peggio delle sassaiole, più inquietante delle squadracce di camorra con il volto coperto e le spranghe. La Napoli che mette angoscia è quella che si lascia sommergere dall’immondizia senza indignarsi davvero. Da otto anni, ormai. Dal Golfo arriva una voce flebile, rassegnata, timida. Il contrario di quello che Napoli sarebbe nell’immaginario universale. Parla con accento intimorito anche il presidente della Federalberghi cittadina, Pasquale Gentile. Il più colpito di tutti. «Mi chiede se la città può reagire, se ha ancora la forza di

Lo scrittore esule: “Non ho più fiducia”

«Il consiglio dei ministri a Napoli serve solo per andare in Tv» colloquio con Ermanno Rea di Cristiano Bucchi

no la forza di andare avanti. Se non ci fossero loro forse davvero saremmo travolti da quella rassegnazione di cui lei parla».

Eppure Napoli dovrebbe essere un’altra. Avremmo preferito risposte teatrali piuttosto che la razionale compostezza di Gentile. Ci rivolgiamo all’ottantunenne Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto italiano per gli studi filosofici, forse il più rappresentativo centro culturale della città. E la sentenza di Marotta ha un tono inappellabile: «I napoletani non esistono più. Ci vuole tanto a capirlo?». Perché? Cosa è successo? «Semplice, lo hanno detto i magistrati in un recente convegno a Sorrento: oggi la borghesia dominante della città è la borghesia dei rifiuti». È un’espressione disincantata per dire che la camorra si è fatta classe dirigente. Marotta va nel dettaglio: «Parliamo di una ”borghesia”che per gestire l’emergenza immondizia ha nominato a centinaia i consulenti che le facevano comodo. Ha corrotto e omologato tutta la politica, ha innescato una corsa alla ricchezza che ha condizionato la borghesia delle professioni. D’altronde parliamo di due tipologie ben descritte già nel secolo scorso: da Giuseppe Saredo, che con la sua commissione d’inchiesta per Napoli individuò una camorra dedita agli appalti, e da Francesco Saverio Nitti, secondo il quale la classe

ROMA. «Conosco troppo bene Napoli per sorprendermi ancora. Penso però che il problema riguardi più in generale tutta la Campania che sul tema rifiuti è molto indietro: sulla carta il piano di smaltimento esiste e sembra essere adeguato. Ma non viene applicato, per una serie di problemi di ordine pubblico e politico». Ermanno Rea, 81 anni, non sembra avere molta fiducia sul problema rifiuti che ormai da cinque mesi attanaglia Napoli. Dalla sua casa romana guarda al futuro prossimo dell’intera regione con sufficiente pessimismo. «Ci troviamo di fronte a un emergenza che è figlia della mondezza della questione meridionale. È così che la mitezza del popolo napoletano si è trasformata in aggressività, colpa dei processi an-

dirigente meridionale è endemicamente mediocre». Marotta descrive «una mutazione antropologica della borghesia napoletana, che non è più quella capace comunque di esprimere menti illuminate come gli Anfolla, i De Nicola, i Cardarelli, come i grandi ingegni del Politecnico». Ma individua l’origine del processo «nell’avidità e irresponsabilità degli

ci. Berlusconi non potrà risolvere da solo questo problema, potrà liberarci della spazzatura comune ma non da questi veleni, che rappresentano una questione europea».

tropologici che non si fermano mai». Secondo lei in Campania una corretta gestione dei rifiuti è un utopia? E’ una necessità. Basti solo pensare che la corretta gestione dei rifiuti è strettamente connessa alla corretta gestione delle risorse ed in una fase in cui la necessità di preservare le risorse per le future generazioni è un imperativo inderogabile. Credo però che bisogna tornare presto alla normalità. Basta con le leggi eccezionali ed i super poteri: si faccia quello che deve essere fatto per legge e basta. E soprattutto si sanzioni chi deve essere sanzionato. In questo senso non pensa sarebbe importante una maggiore collaborazione tra le istituzioni?

Credo che se tutti remassero dalla stessa parte, mi riferisco a Regione, Province, Comuni e Governo nazionale, senza che ci siano bastoni tra le ruote o tentativi di fare entrare acqua nella barca, riusciremo a fare di più. Penso che il dialogo al di là degli schieramenti sia un dovere per tutti. Nel libro “Napoli ferrovia” ha descritto un città che imbarbarisce a vista d’occhio. Conferma questa impressione? Trovo che questo imbarbarimento sia più a livello nazionale che non locale. Più in generale è in atto un processo di degrado sociale che a Napoli appare più

Cosicché viene il sospetto

che un organismo sovranazionale dovrà commissariare Napoli e la sua borghesia antropologicamente mutata. Non foss’altro perché il caso è unico nel TROMBETTI continente. Guido (RETTORE) Trombetti, rettore «Siamo esagerati del principale atenelle nostre neo cittadino, bellezze, nelle conferma l’idea nostre eccellenze dell’eccezionalità: come nelle nostre «Napoli è esagecrisi. Tutto nasce rata sempre: nelle da un’abitudine sue eccellenze coalla tolleranza, me nei suoi moma non c’è vera menti di crisi. Abrassegnazione: se biamo bellezze fosse così ineguagliabili cosaremmo morti» me centri di ricerca straordinari. E però abbiamo industriali del Nord, che da oltre battuto tutti anche nei tempi quarant’anni inviano in Campa- dell’emergenza rifiuti, che c’è nia e nel resto del Mezzogiorno stata anche in città come New i loro rifiuti tossici. Sono loro i York e Londra ma che non è duresponsabili della corruzione rata tanto». In tutto questo temoriginaria, sono stati loro a tro- po la città non si è rassegnata, vare conveniente smaltire il ve- dice Trombetti, casomai è rimaleno delle fabbriche attraverso sta vittima della propria «abitula malavita anziché in modo le- dine alla tolleranza: un aspetto gale. A Pianura c’era un cratere che forse può dare il segno delenorme, ben visibile sulle carte la rassegnazione, ma che non è geografiche e oggi invisibile la stessa cosa». Forse è anche perché riempito da rifiuti tossi- peggio, perché dal segno di una


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fragilità senza anticorpi. «Se davvero fossimo rassegnati saremmo morti», esclama il rettore della Federico II. Che subito allontana da sé l’immagine dell’ottimista: «Certo il momento è veramente difficile. Siamo come storditi, come un pugile che ha preso un uppercut e non se lo aspettava. Perché poi abbiamo fatto ottimi passi avanti nei trasporti come in altri settori e invece non siamo riusciti a risolvere il nodo dei rifiuti. Tutto è complicato perché a causa dell’emergenza abbiamo perso appeal, vediamo colpito il turismo. Se aggiungiamo il più generale impoverimento del Mezzogiorno ci spieghiamo perché molte delle nostre migliori intelligenze vanno a cercare gratificazioni altrove».

ma significativa delle imprese e delle professioni. Ha creato consensi diffusi ma cloroformizzati». Chiaro, chiarissimo. Ma perché non reagito hanno nemmeno quelli esclusi dal circuito? «Chi non faceva parte della consorteria era guardato come un ladro o una spia… nella maggior parte dei casi gli estranei al meccanismo del consenso hanno cercato di sopravvivere. Si sono lasciati andare a una rassegnazione complice o a una rassegnazione rassegnata. Cambia poResta la domanda: perché co». Forse non basta a spiegare Napoli non ha reagito prima? tutto. «La maggioranza dei naPerché si volge lo sguardo al- poletani è per bene: ma è stata l’arrivo del governo Berlusconi scoraggiata dall’assoluta ascome a un esercito della salvez- senza di una classe dirigente za? «Perché in questi anni si è capace di dare l’esempio. Non creato un sistema reticolare di ha nemmeno saputo esprimerinteressi», sostiene il presiden- ne una, questo è vero». Come si te della Confcommercio cam- fa a rimediare adesso? arriverà pana Maurizio Maddaloni, «un il governo, ma lo stesso Maddasistema fondato sul meccani- loni ammette che «quella stessa Napoli fatta di persone perbene, GENTILE escluse dal potere (FEDERALBERGHI) e rassegnate, «Le istituzioni guarda adesso aldevono dare un l’arrivo del nuovo segnale. C’è grande vate come a un attesa per l’arrivo taumaturgo». Il del governo. È vero miracolo. E pure che negli ultimi se si avverasse il tempi si è respirata miracolo può avun’aria di sconforto, venire una volta, ma i cittadini si sono non si protrae nel trovati di fronte a tempo: «Appunproblemi che non to: non ci si può potevano risolvere» affidare al taumaturgo che venga da Afragola o smo delle consulenze, che ha da Milano». Che si tratti di Basattratto una parte minoritaria solino o di Berlusconi. «Perché

grave che altrove. Tutto questo perché lo scenario napoletano è uno scenario di desolazione che inevitabilmente colpisce di più. L’insicurezza, la sofferenza sociale, il disagio civile ci dicono che le istituzioni, a tutti i livelli, e la politica avrebbero dovuto fare di più per i grandi quartieri popolari di Napoli. Non è che siamo arrivati a questo punto perché la camorra ha sbagliato qualcosa? Se non ricordo male di emergenze ce ne sono state tante negli ultimi anni. La camorra non ha sbagliato niente. Più semplicemente non

ha previsto che il precedente Governo mandasse l’esercito a rimuovere l’immondizia. Credevano che avrebbero di nuovo chiamato i loro mezzi per l’intervento a terra. Quindi è del parere che ha tenere la regia della protesta sia la camorra? C’è chi protesta e chi ha interesse ad inquinare il clima sociale con la violenza. E naturalmente dietro questi ultimi c’è la camorra che intimidisce. Cosa sarebbe necessario fare? Rivoltare la città come un calzino. Sarebbe stato necessario orientare la città verso un impegno collettivo nel senso di un recupero della legalità. Ma anche questa occasione è stata persa. La politica avrebbe dovuto scuotere la città, e invece l’ha rassicurata.

Anche numerosi intellettuali, tra cui lei, hanno preferito andarsene. Non sono d’accordo. La gente va via da Napoli come da qualsiasi altra città. Quando sono andato via a metà degli anni cinquanta l’ho fatto non come atto di protesta ma di speranza. D’altronde anche Ulisse lasciò Itaca con il desiderio prima o poi di farvi ritorno. Torniamo alla politica. Rosa Russo Jervolino ha detto di non voler essere il capro espiatorio. Credo che il sindaco abbia ragione ma avrebbe dovuto sollevare il problema prima che l’emergenza esplodesse. Domani a Napoli si terrà il Cdm proprio sulla questione rifiuti. E’ fiducioso?

il governo può farci uscire dall’emergenza ma poi dovremo piangercela da soli. E per affrontare la situazione dobbia-

MAROTTA (ISTITUTO STUDI FILOSOFICI) «I napoletani non esistono più. La borghesia ha subito una mutazione genetica, innescata dagli industriali del Nord che hanno smaltito i loro rifiuti tossici in Campania attraverso la camorra»

mo fare una pulizia etnica nella nostra classe dirigente. In senso non cruento, per carità… ma dobbiamo liberarci di chi per anni ha assecondato ogni minima insofferenza del più piccolo bacino elettorale, che si rifiutava di accogliere l’immondizia nel proprio giardino».

Maddaloni è lucido, rivendica con qualche ragione di essere stato tra i pochi a lanciare l’allarme negli anni in cui si parlava di Rinascimento napoletano: «Provai a far notare che stavamo dando una mano di intonaco a una parte della città, e che problemi strutturali come quello dei rifiuti giacevano in attesa di essere affrontati. Non è successo nulla, l’opposizione non ha avuto gli attributi per farsi valere e a parte singoli casi ha preferito perseguire i propri interessi personali. La rassegnazione è la cosa più pericolosa perché fa pensare che al peggio non c’è mai fine. Oggi abbiamo un consiglio comunale fantasma. Dobbiamo spazzare via questa classe dirigente, e ricostruirla». Stiamo parlando di un colpo di teatro che agli italiani piace molto.Organizzare un consiglio dei ministri a Napoli non serve a nulla se non a fare un po’ di televisione in più. I nostri governanti si devono mettere in testa che i problemi non si risolvono con delle sceneggiate ma semplicemente tornando a fare politica. Come se non bastasse la scorsa settimana è arrivato anche il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia del Lussemburgo? Credo che l’Europa sia stata sufficientemente paziente. Le autorità italiane devono agire rapidamente per mettere fine ad una situazione che presenta alti rischi per la salute pubblica.


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Mentre la Ue minaccia sanzioni, Berlusconi presenta il piano

Il governo cerca i siti,forse salta la Iervolino di Marco Palombi

ROMA. Se la questione dei rifiuti in Campania non fosse la tragedia che è, sarebbe il caso di puntare l’attenzione sulla fine dell’asse politico tra regione e comune, ovvero tra Bassolino e Russo Iervolino: il primo in totale e quasi amorosa sintonia con Berlusconi, la seconda attardata pasionaria del no alla discarica di Chiaiano. Il sindaco di Napoli però non deve preoccuparsi tanto degli attacchi dell’assessore regionale al Turismo, Claudio Velardi, quanto dell’infastidita sorpresa con cui il commissario del governo (in odore di proroga) ha accolto il suo voltafaccia sulla nuova discarica del capoluogo: De Gennaro infatti, forte dell’appoggio del governo, dopo aver annunciato la nomina di 22 commissari ad acta per altrettanti comuni inadempienti sul fronte della raccolta differenziata, sta valutando in queste ore se fare altrettanto con la giunta di Napoli. È evidente che sarebbe un colpo durissimo per Rosa Russo Jervolino, che ora si ritrova forse in sintonia con parte della piazza e della classe politica partenopea (e magari non della migliore), ma del tutto fuori asse rispetto agli umori nazionali, mentre Antonio Bassolino – politicamente morto fino alla scorsa settimana – pare aver ritrovato una sua centralità grazie al buon feeling col presidente del Consiglio. A Roma, comunque, sulla questione dei rifiuti, come d’altronde sul decreto sicurezza, non potrebbe esserci più confusione. «Ci siamo messi in una brutta situazione con questo Consiglio dei ministri di Napoli», ammette un importante esponente del Pdl. E infatti domani rischia di essere una brutta giornata per il nuovo governo. Napoli è ancora in piena emergenza: per strada non c’è solo l’immondi-

zia, ma pure un mix incendiario tra la rabbia dei cittadini e i blitz interessati della camorra. A questo, per completare i fattori ambientali, va aggiunta l’annunciata manifestazione dei centri sociali. Ma non basta: il fatto è che non esiste un nuovo piano per risolvere la faccen-

Il premier immagina una uscita in tre anni dall’emergenza. E De Gennaro potrebbe commissariare la giunta Iervolino per la differenziata da, ma solo idee per rendere più scorrevoli le situazioni già individuate da Guido Bertolaso (a breve potrebbe arrivare la sua nomina in un ruolo governativo ad hoc, ma qualcuno fa anche il nome di Barbara Contini) e Gianni De Gennaro. Almeno è quello che si spera. Le discariche “fantasma” non si sa da dove siano saltate fuori; dei dieci nuovi siti annunciati dai giorna-

li ne verranno fuori al massimo cinque, ma si tratta di nomi vecchi; sull’impiego del Genio, con quali compiti e – tanto per restare nel vocabolario caro al premier – con quali regole d’ingaggio, al di là delle petizioni di principio, buio fitto. Per questo alcuni ministri hanno tentato di convincere Berlusconi a rimandare, a portare il governo a Napoli quando saranno più chiare le risposte da dare a una città in crisi di nervi. Il nostro però non è tipo da spaventarsi, né da retrocedere davanti alle difficoltà. E poi ci tiene a dare un segnale di cambiamento. L’operazione è già iniziata: questa settimana verrà attivato un call center per segnalare le situazioni di difficoltà e già ieri il titolare della Salute, il milanese Ferruccio Fazio, ha chiarito dalle colonne del Mattino che respirare i fumi dei rifiuti incendiati non fa poi così male. Infine partirà un’offensiva mediatica che chiarisca come, col caldo che si avvicina e il conseguente rischio epidemie, non è il caso di boicottare l’apertura di nuove discariche o la costruzione di termovalorizzatori. E veniamo alle misure che do-

L’alternativa/ I tedeschi di Remondis

La Remondis è attiva in 25 Paesi con 17mila dipendenti e un fatturato annuo di 2,3 miliardi di euro nel 2006

vrebbero arrivare sul tavolo del pre-Consiglio di oggi. Berlusconi immagina un’uscita in tre anni dall’emergenza, che per ora va quindi gestita con quello che c’è. Si punterà sui siti individuati da De Gennaro e, incrociando le dita, quasi pronti: Chiaiano, come detto, Savignano Irpino e Sant’Arcangelo Trimonte, forse Chiaggiano, che però è a pochi metri dalla Basilicata dove già fanno fuoco e

empo di smaltimento e quantità di rifiuti, queste le incognite. « Firmiamo e si parte. Noi siamo pronti. L’unica cosa che ci serve sapere sono le tonnellate, il periodo di tempo in cui vanno smaltite e a quali condizioni». Robert Schneider non ha nessun problema a ricominciare a lavorare con la Campania, con cui del resto il suo gruppo ha rapporti dal 2001. Il portavoce di Remondis, colosso tedesco del riciclaggio e dell’incenerimento dei rifiuti, attivo in 25 Paesi con 17mila dipendenti e un fatturato annuo di 2,3 miliardi di euro nel 2006, per chiarire le capacità della sua azienda fa un esempio concreto. «Se domani arrivasse una commessa che ci chiede di smaltire 50mila tonnellate di rifiuti, dovremmo solo organizzarci per capire in quanto tempo deve essere fatto il lavoro e dove farlo. L’ultimo contratto prevedeva l’incenerimento di 30mila tonnellate di rifiuti. Utilizzando i nostri impianti a Bremenhaven, nel nord della Germania, in sette mesi, da ottobre all’inizio di maggio abbiamo risolto tutto. Ora potremmo utilizzare i nostri inceneritori nella Sassonia Anhalt e anche quelli di Bremenhaven. Non abbiamo problemi di impianti, in tutta la Germania ne possediamo 71». Anche in un nuovo, futuro, coinvolgimento dell’a-

T «Pronti a riciclare altri rifiuti» di Francesco Cannatà

fiamme da un paio di mesi. Bertolaso, dal canto suo, riproporrà probabilmente l’utilizzo dell’enorme invaso di Valle della Masseria (almeno due milioni di tonnellate), quello vicino all’oasi Wwf di Serre che fu bloccato dalle barricate e dalla “perplessità” di Pecoraro Scanio. Nel frattempo bisogna far partire i termovalorizzatori: il ministro delle Infrastrutture Matteoli ha recentemente spie-


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I clan fomentano le popolazioni esasperate dal degrado del territorio

Scontro aperto tra camorra e Stato di Giovanni De Cicco

NAPOLI. Il primo Consiglio dei ministri, che apre la quarta esperienza di governo targata Silvio Berlusconi, si terrà a Napoli. Così come aveva promesso il premier durante la campagna elettorale. Ma proprio alla vigilia della riunione, l’iniziativa del premier assume un significato molto particolare, sicuramente inatteso: per la prima volta lo Stato rischia uno scontro aperto, quasi militare, con la camorra. Non la solita guerra, quella per fermare le faide tra i clan per la spartizione del territorio e la gestione degli affari illeciti. Non sono in ballo inchieste per catturare boss e latitanti. È un altro tipo di conflitto: la contrapposizione sul campo, lo scontro frontale, un corpo a corpo innescato dalla catastrofe dei rifiuti. Il motivo della contesa può apparire banale. L’apertura di una discarica nelle cave di Chiaiano,

gato che «ci vogliono venti mesi per costruirne uno dal momento dell’autorizzazione» e che in Campania ne verranno realizzati tre (oltre, si presume, a quello di Acerra già in costruzione). Per evitare problemi, niente società miste e appalti a chiamata diretta decisi a Roma dal governo. L’idea, alla fine della ristrutturazione del ciclo, è arrivare all’eliminazione dei consorzi semipubblici che ad

oggi gestiscono la filiera. Nei prossimi mesi, infine, senza immondizia in strada, si procederà allo smantellamento della struttura commissariale. Quanto all’esercito dovrebbe aiutare ancora a preparare i siti e poi, forse, proteggerli. Assente, finora, ogni accenno a un piano straordinario per la raccolta differenziata. E non è una buona notizia.

zienda tedesca, il partner italiano di Remondis non sarebbe direttamente la regione Campania, ma la Ecolog, una controllata dalle Ferrovie dello Stato. In precedenza tutto ha funzionato alla perfezione. «Non abbiamo mai avuto problemi, i treni arrivavano regolarmente». Anche stavolta i rifiuti campani potrebbero arrivare con i treni. Da uno a cinque a settimana. Schneider non vuole dare nessun giudizio sulla situazione italiana e sulla politica italiana. Mette solo in evidenza, l’importanza della responsabilizzazione dei cittadini e della raccolta differenziata dei rifiuti. Non si può fare una cosa escludendo l’altra. Senza raccolta differenziata non vi è coinvolgimento dei cittadini, senza coinvolgimento dei cittadini non è possibile la raccolta differenziata. Un affare per la sua azienda. L’incenerimento in Germania costa tra i 170 e i 200 euro a tonnellata. Anche dal punto di vista politico Schneider si dimostra tranquillo. Il responsabile degli strutture di smaltimento è un verde. «Tecnicamente gli impianti sono estremamente sicuri. E con i rifiuti si guadagna. Come con il maiale, non si butta nulla. La cenere che rimane la utilizziamo per rifare il manto stradale. Aspettiamo con piacere la “munnezza“ di Napoli. In Germania cambierà nome. Per noi è energia».

Napoli, Rosa Russo Iervolino. Il primo cittadino ha sposato l’idea di Chiaiano, l’ha giustificata, l’ha spiegata all’opinione pubblica chiedendo un sacrificio indispensabile per evitare una nuova emergenza. Ed è arrivata a contestare persino la rivolta della gente del posto dicendo: «In quella protesta ha visto molte facce brutte». Un chiaro riferimento ai camorristi che in periferia da anni hanno imposto il loro dominio, sostituendosi in tutto e per tutto allo Stato.

Quando, però, tutto sembrava fatto, è arrivato il dietrofront dopo un consiglio comunale acceso che, si è chiuso con una dichiarazione del sindaco: «Prendo atto che la gente e il civico consesso sono contrari alla discarica. Domani spiegherò i motivi al commissario straordinario Gianni De Gennaro che impediscono l’attuazione della proposta». Il classico esempio di istituzioni deboli, incapaci di reagire. Senza tralasciare un interesse politico di parte: passare la patata bollente nelle mani del nuovo governo di centrodestra. L’esecutivo si troverà da solo a combattere sul campo la rivolta fomentata dalla camorra e soprattutto sarà obbligato ad applicare l’unica soluzione per risolvere un problema creato da altri. Infatti, attorno alle cave di Chiaiano ci sono migliaia di ettari di terreno, gli ultimi liberi a Napoli, che hanno suscitato l’appetito dei clan per una nuova speculazione edilizia nonostante i vincoli ambientali e paesaggistici imposti dalla sovrintendenza. Si tratta di un’area protetta e il nodo della matassa è tutto qui. Un retroscena che trova uno scudo nelle giuste ragioni dei residenti del quartiere e che sono state sollevate anche dalle relazioni di tecnici di fama internazionale come il professore Franco Ortolani. Il suolo della cava dista soli 20 metri dalla falda acquifera mentre le pareti di tufo presentano pericoli di crollo, come ha attestato la relazione redatta dai tecnici del bacino dell’area nord. Eppoi la discarica dovrebbe sorgere proprio nella zona ospedaliera, a ridosso delle principali strutture sanitarie della città. Lo scontro sarà duro, la rivolta ha già mostrato i muscoli. Nei giorni scorsi, prima del dietrofront del sindaco, per le strade del quartiere le scene erano da brividi. Da un lato, lo Stato, gli agenti in assetto antisommossa; dall’altro, la gente, in particolare i giovani del quartiere, che hanno costruito le barricate per bloccare il traffico e prepararsi alla guerriglia. In queste ore si respira una calma apparente. Si attende l’esito del Consiglio dei ministri e le dichiarazioni di Silvio Berlusconi. Se non si torna indietro sarà guerra. Un corpo a corpo tra il governo, le istituzioni locali, l’Antistato e i residenti. Le motivazioni sono diverse, ma c’è una sola certezza: il governo dovrà combattere da solo una battaglia mai vista prima.

A Chiaiano, area verde vicino alla città, c’è qualcuno che studia una maxi lottizzazione edilizia sugli stessi terreni che per De Gennaro dovrebbero ospitare il centro di stoccaggio periferia degradata di Napoli. Un invaso che, secondo le previsioni del commissariato, potrebbe risolvere almeno per tre anni il problema dell’immondizia. Un periodo abbastanza lungo che consentirebbe alle istituzioni pure di mettere a norma gli impianti di compostaggio e di realizzare gli inceneritori previsti dal piano senza l’assillo delle proteste popolari dovute a città sommerse dai rifiuti.

Insomma, per la prima volta in vent’anni di emergenza si comincia a vedere uno spiraglio. Ma tutto passa attraverso una scelta obbligata, frutto di una politica scellerata delle istituzioni locali che ha portato la Campania e Napoli in un vicolo cieco: la discarica di Chiaiano. Nessuno ha mai pensato a scelte che potessero risolvere il problema prima che degenerasse. Il territorio è stato abbandonato totalmente nelle mani dell’illegalità tra il silenzio e la rassegnazione della gente. La trasformazione delle cave in discarica innescherebbe un meccanismo a catena che consentirebbe una gestione dell’emergenza più ragionata, contando sulla solidarietà di altre realtà campane, a cominciare dall’Alta Irpinia, area i cui sindaci sono pronti ad accettare la riapertura della discarica di Vallata soltanto se Napoli si dimostra a sua volta disposta al sacrificio. Insomma, la soluzione è dietro l’angolo ma c’è un ostacolo: la camorra, per l’appunto. Che appare insormontabile, anche alla luce degli ultimi eventi che hanno visto protagonista il sindaco di


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il caso

Aveva cominciato Venditti con Alemanno. Ora scendono in campo Celentano e Cavani, ovvero due dei più acerrimi critici del Cavaliere

La resa Adesso i maître à penser si affidano a Berlusconi di Riccardo Paradisi

ROMA. Ormai a interpretare Silvio Berlusconi con categorie psichiatriche o demonologiche sembra essere rimasto qualche ministro zapaterista nella lontana Spagna. In Italia – soprattutto in quel settore a cavaliere tra lo spettacolo e la cultura – è diventato difficile trovare qualcuno che sia disposto a dirsi antiberlusconiano militante. Se si escludono gli irriducibili della ridotta morale – Dario Fo e Franca Rame, Marco Travaglio e Nanni Moretti, Paolo Flores D’Arcais e Pancho Pardi, i fratelli Guzzanti, Paolo Rossi e Massimiliano Fuksas – da Liliana Cavani ad Adriano Celentano, da Gigi Proietti a Massimo Ghini è tutto un aprirsi di crediti nei confronti di Berlusconi: ”è cambiato”annunciano. E poi «di fronte all’emergenza si va tutti insieme, come ai tempi dell’alluvione di Firenze», dichiara la regista Liliana Cavani, «basta con i sarcasmi di Nanni Moretti, è l’ora dell’incoraggiamento: meglio usare parole di sostegno per chi ci prova piuttosto che fare un piacere ai francesi e parlar male del governo italiano da Cannes». D’altra parte il cavaliere è cambiato, garantiva sul Corriere della Sera di domenica appunto Adriano Celentano, e poi è ora di uscire «da questa logica da tifoseria politica», aggiunge Massimo Ghini «stanco di faziosità» ma infaticabile nella campagna pro Veltroni alle primarie del Pd.

A Roma, dopo la vittoria di Gianni Alemanno si è assistito allo stesso fenomeno: l’architetto Carlo Aymonino che si dice a disposizione del neo-sindaco per risolvere il problema della teca che ricopre l’Ara Pacis – «È orribile ha ragione Alemanno», trattato dall’intellighentia come un lanzichenecco solo un anno prima per aver detto la stessa cosa – e persino Mario Capanna, il capo dei Katanga ai tempi del Movimento

studentesco, spezza una lancia per Alemanno: «Persona interessante: sugli Ogm è stato fermissimo, Rutelli è solo un mandarino». Ma che succede? Come è possibile che il nemico numero uno della cultura e dell’intelligenza sia diventato altro? Che si spieghi tutto con una sindrome di Stoccolma politica o più volgarmente con quella dolorosa constatazione di Ennio Flaiano secondo cui gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore? Possibile che stia davvero tutta qui la chiave interpretativa di questo rompete le righe di massa, di questo crollo da demolizione controllata del paradigma antiberlusconiano? O c’è qualcosa di più profondo, di più radicale di ulteriore a questo opportunismo che peraltro è un tratto storico distintivo degli intellettuali italiani «C’è, dice, Pierluigi Battista, vicedirettore del Corriere della Sera, che la sconfitta del 14 aprile stavolta è definitiva. Finisce una partita che è durata quindici anni tutta giocata su berlusconismo-antiberlusconismo. L’antiberlusconi-

ecco che rotto il fronte viene giù tutto. Questa è la resa di una classe intellettuale che aveva confuso l’Italia con l’Ambra Jovinelli». Incapacità d’analisi dunque, smarrimento, resa incondizionata. «Nel 2001», aggiunge Battista, «quando Berlusconi vince le eleALDO zioni, la sinistra GRASSO italiana resta traUna volta mortita per un anpreso atto no, sembra essere che è impossibile diventata preda di tagliare la testa un torpore ipnotial toro si scende co profondo. Poi a patti con lui. invece di fare È molto umano un’analisi, di cerPiuttosto è il tono car di capire i moa dare fastidio tivi della sua quello resta sconfitta si fa detsempre stentoreo tare linea e ritmo dai girotondini di Nanni Moretti. Lì smo ha perso e ha vinto Berlusco- ricomincia tutto daccapo, trova ni. Il fronte che gli si opponeva s’è in D’Alema il capro espiatorio insfaldato, è stato disarticolato, ciucista e riparte con il disco anspazzato via. E siccome quel fron- tiberlusconiano. Non gli viene in te non aveva dietro un pensiero, mente di fare come i laburisti inma solo una comune avversione a glesi: incassare la sconfitta, riBerlusconi, l’odio per il Caimano, compattarsi, ricostruire l’azione

alla luce di una lettura della società. Veltroni questo errore l’ha capito ed è stato sconfitto su un progetto politico. Questa sinistra di cui parliamo, e che ora presenta questi casi di resa incondizionata, non ha nessun progetto, solo l’idea, alimentata dal grande contenitore dell’intellighentia antifascista, che l’avversario in fondo è un criminale». Insomma una minore capacità d’alimentazione di questo mito porta ai collassi che abbiamo registrato. Non si stupisce affatto di questa metamorfosi Aldo Grasso, saggista e critico televisivo del Corriere: «Una volta preso atto, dice, che è impossibile tagliare la testa al toro si scende a patti. È una cosa molto umana. Anche perchè, diciamocelo chiaramente, in Italia la cultura dipende interamente dallo Stato. Se si pensa al cinema poi. Qui i film li fai se vogliono Rai e Medusa. Ora Medusa è di Mediaset, la Rai qualche influenza dal governo la subisce, la Mondadori, la maggiore casa edtrice del Paese è di Berlusconi. Dunque...»

Dunque nessuno stupore, anche se resta quella perplessità di fronte ai toni comunque asseverativi malgrado si dica oggi il contrario di quello che si diceva ieri: «Cambiare idea è un diritto, dice ancora Grasso, però ogni vero cambiamento dovrebbe portare con sè un processo di trasfomazione. Invece si cambiano idee ma non si cambiano temperamento e atteggiamento. Come il convertito che spiega il vero cristianesimo al vecchio parroco». Non dà troppo peso ai ripensamenti di Adriano Celentano e di Liliana Cavani invece Francesco Merlo, corsivista di Repubblica: «Celentano è bravissimo quando canta Azzurro, Liliana Cavani quando gira il suo Milarepa ma ecco, io mi stupirei che Asor Rosa, o Flores D’Arcais o Umberto Eco oggi dicessero, che insomma, dopo tutto Berlusconi è cambiato. Che lo dicano Venditti o Pippo Baudo – persone degnissime di rispetto per carità – beh non è così significativo». Resta però il problema, e la presa di posizione della Cavani può costituire una spia, di


il caso

20 maggio 2008 • pagina 7

Come e perché Umberto Eco rimane “irriducibile”

Il nome del romeno di Renato Cristin a programmata azione di contrasto alla criminalità e di espulsione degli immigrati clandestini proposta, fin dai suoi primi passi, dal governo Berlusconi, accanto a nuove “aperture”di credito intellettuali fino a ieri inimmaginabili (Celentano e Cavani sopra a tutti) ha suscitato anche le classiche levate di scudi dei maître à penser della sinistra che hanno estratto dal vecchio archivio delle polemiche ideologiche l’infamante marchio del razzismo. È sceso in campo il più grande di tutti, Umberto Eco, con un discorso magistrale sotto il profilo della dissimulazione e dell’obliquità ideologica. Alcune considerazioni storico-culturali sull’individuazione del nemico come legittimazione del proprio agire e come collante dell’identità sono servite da sfondo per mirare al vero obiettivo politico della conferenza: il governo di destra e la determinazione con cui sta affrontando la questione dell’immigrazione. Più o meno questo è stato il ragionamento di Eco (cito da la Repubblica del 16 maggio): «le recenti elezioni ci hanno mostrato quanto può la paura dei nuovi flussi migratori. Allargando a un’intera etnia le caratteristiche di alcuni suoi membri che vivono in una situazione di marginalizzazione, si sta oggi costruendo in Italia l’immagine del nemico rumeno, capro espiatorio ideale per una società che, travolta in un processo di trasformazione anche etnica, non riesce più a riconoscersi».

L

Nelle foto alcuni dei personaggi che sono intervenuti in questi giorni nella polemica. A sinistra Adriano Celentano; sopra Liliana Cavani e a destra Umberto Eco una sinistra smarrita, alla ricerca di un nuovo linguaggio: «Una sinistra senza parole e capacità di rappresentare e mediare culturalmente il disagio è un problema per tutti. Perchè espone le fasce più disagiate del Paese al plebeismo, alle

Sandro Curzi, consigliere d’amministrazione della Rai ed ex direttore di Liberazione quotidiano di Rifondazione comunista. «Gli stessi risultati elettorali dimostrano che c’è stata una frana, anche di idee. Io che pure sono stato e continuo a essere critico nei confronPIERLUIGI ti di Belrusconi BATTISTA non l’ho mai deQuesta è la resa monizzato, non ne di una classe ho mai fatto la mia intellettuale ossessione preferiche aveva ta. Vedo invece», confuso aggiunge ironico l’Ambra Jovinelli Curzi, «che chi ha con l’Italia. praticato questo E la sconfitta atteggiamento ha stavolta appare delle resipiscenze storica, molto forti, come definitiva dei collassi psicologici e ideologici. Un fenomeno che intemerate di Di Pietro, alle pero- la sinistra deve capire. Prendendo razioni di Grillo e Dario Fo. Un atto che l’estremismo parolaio non plebeismo pericoloso per l’Italia». serve a nulla. Serve semmai tornaLe dichiarazioni pro berlusconi di re ad ascoltare le persone le loro Cavani-Celentano rientrano in un esigenze. La rappresentanza degli malessere generale e nella più va- intellettuali viene dopo. Ma Gramsta crisi della sinistra anche per sci chi se lo ricorda più».

Talmente verosimili da sembrare vere, queste tesi in realtà insinuano che “la destra”ha vinto perché ha seminato fra gli italiani un’immotivata paura per una criminalità tutto sommato limitata (“alcuni membri”) e in fondo causata dalla società italiana stessa che li “emargina”. E ora che è al potere, la destra fomenterebbe un odio preconcetto verso gli immigrati (Eco ha addirittura alluso al “nemico” ebreo). Ma fino a quando sarà lecito ragionare seguendo questi assurdi preconcetti? Ricordiamo ancora come, nel 1994, Eco dichiarò, dinanzi agli italiani di Buenos Aires che riempivano il Teatro Coliseo, che si vergognava di essere cittadino italiano perché Berlusconi aveva vinto le elezioni. Da allora sono passati quindici anni, Berlusconi ha vinto altre due volte, Prodi ha distrutto il Paese ed Eco è rimasto qui, continuando però a praticare un disarmante cocktail tra buonismo e cinismo. In una fase di declino generalizzato del Paese, l’ultima cosa di cui c’è bisogno è di costruirsi un nemico per affermare la nostra identità. All’opposto, è proprio perché ci sono pericoli veri, interni ed esterni, che l’identità italiana, come quella europea, è minacciata. Affermare che gli italiani stiano cercando capri espiatori è dunque insieme

facile e bugiardo. Chi sostiene che gli elettori hanno votato sulla spinta di una paura insensata offende i propri connazionali definendoli incapaci di ragionare. Invece, è un tangibile disagio civile ad aver fatto sì che la riflessione sul tema della sicurezza si sia non solo estesa orizzontalmente alla consapevolezza collettiva dei cittadini e all’attenzione delle strutture organizzate, ma anche radicata verticalmente nell’elaborazione specialistica di chi se ne occupa sotto svariati profili e a qualsiasi livello, dai giuristi ai sociologi, dai magistrati agli organismi di polizia.

Inoltre, proprio perché nel concetto di sicurezza – e nella sua espressione concreta – si manifesta il rapporto fra libertà individuale e diritto alla tutela personale, di questa nozione va evidenziato il significato, il ruolo e l’importanza nel processo di formazione degli individui e in quello di costituzione del sistema sociale. I toni svalutativi e spesso irridenti con cui certa ideologia egualitarista commenta l’esigenza di rispondere alla domanda di sicurezza dei cittadini, rivelano l’equivoco, più o meno consapevole, nel quale una certa sinistra (forse ora in via di estinzione) tiene la questione, presentata come un affare di mero ordine pubblico, di sensibilità manipolata, insomma, nel migliore dei casi una questione di gusto. La virata normativa e pragmatica che il nuovo governo sta imprimendo a questo tema, e che risponde alla richiesta che il popolo italiano ha formulato esplicitamente, esprime invece una nuova coscienza civile. L’insicurezza, quel sentimento cioè che sconfina nella paura, non è una sensazione infondata indotta negli italiani da abili e malintenzionati fomentatori, ma è un giudizio razionale che traduce uno stato di cose reale. Non si tratta allora di rilevare come i cittadini italiani si sentano insicuri, ma di prendere sul serio la loro percezione attestando il fatto che essi sono oggi maggiormente esposti alla violenza della criminalità comune e, di conseguenza, insicuri. Se sul piano culturale va criticato il devastante influsso della sinistra, sul piano politico vanno analizzate anche le esitazioni e le inadeguatezze del centrodestra negli anni dal 2001 al 2005. Perciò, sulla questione dell’ordine pubblico, il quarto governo Berlusconi deve avviare un nuovo inizio. Bisogna liberarsi da quell’impasto fra solidarismo e terzomondismo che è l’atteggiamento con cui, in generale, è stato finora considerato non solo il problema dell’immigrazione ma pure quello della cosiddetta microcriminalità. Quella cattiva lezione ha modificato la nostra percezione della realtà spostando la collocazione dei valori. Dove si trovano infatti i veri valori? Nella falsa propaganda antirazzista, nelle pseudoidee sulla malvagità dell’io e sulla bontà dell’altro, nelle pseudoetiche della fratellanza universale, oppure nella dignità concreta delle persone, degli individui che operano, cristianamente e quotidianamente, per migliorare la società in cui vivono e che sono costretti a soffrire le violenze e i soprusi alimentati da questa ormai insostenibile situazione di permissivismo?

In una fase di declino generalizzato, l’ultima cosa di cui c’è bisogno è di costruirsi un nemico per affermare la nostra identità


pagina 8 • 20 maggio 2008

politica

Ancora irrisolto nella maggioranza il puzzle delle presidenze di Commissione

Senato, tramonta la “carta“ Ichino d i a r i o

di Susanna Turco

d e l

g i o r n o

ROMA. Chiusa la partita del gover-

Pd, «no al reato di clandestinità»

no, con la sua buona eredità di malumori per gli esclusi, il Pdl si prepara al rush finale sulle presidenze di commissione, ultima spiaggia per ottenere un posto che conta: siamo agli sgoccioli per un accordo, visto che il voto è previsto per giovedì in entrambi i rami del Parlamento. Ma mentre il puzzle resta ancora irrisolto per via della difficoltà di trovare un punto di equilibrio che accontenti tutte le componenti, la vera novità è che l’ipotesi Ichino appare tramontata. Quella di affidare al giuslavorista, senatore del Pd, la presidenza della commissione Lavoro era una carta importante negli equilibri con l’opposizione, sarebbe stata l’indicazione della volontà di affrontare il tema delle riforme con spirito bipartisan. Un assaggio di bicamerale, ad essere ottimisti. Ma, su questo fronte, la trattativa appare bloccata. Ed è proprio il Pd a fermare il treno.Tanto da far dire al vicecapogruppo del Pdl Gaetano Quagliariello: «La questione non è chiusa, e bisogna vedere piuttosto se sia mai aperta.Vediamo se qualcuno la apre». Toni ancora più agguerriti arrivano dagli ambienti della presidenza del gruppo Pd del Senato: «È una questione che non esiste. Nessuno ci ha fatto una proposta, quindi di concreto non c’è traccia di nulla». Il punto, fanno capire nell’opposizione, è che serve semmai intavolare un dialogo complessivo, sull’insieme delle presidenze ma anche sulle nomine da fare in molti organismi. Insomma, una presidenza di commissione non basta: limitarsi a questo sarebbe anzi come «un cazzotto nello stomaco», una forzatura. Che tutto sommato non vale la candela.

Il Pd dice no al reato di immigrazione clandestina, che potrebbe far parte del pacchetto sicurezza su cui sta lavorando il governo. Lo afferma in una nota il segretario dei democratici,Walter Veltroni: «Sarebbe una misura inutile e dannosa, che avrebbe il risultato di intasare le carceri». Meglio, auspica il Pd, ripartire con eventuali integrazioni, dal pacchetto Amato.

Gay pride, Carfagna sotto attacco Centrosinistra e comunità gay attaccano Mara Carfagna, il ministro delle Pari opportunità che, in un’intervista, ha annunciato che il governo non concederà il patrocinio al Gay Pride nazionale, affermando che in Italia gli omosessuali non sono discriminati. Franco Grillini, socialista e leader storico del movimento: «Quelle del ministro sono solo battutacce da bar, che confermano quanto la destra italiana sia omofoba e non ami la diversita». Voci di difesa, invece, dalla maggioranza. Luca Volontè dell’Udc definisce «corretta» la decisione di negare il patrocinio.

Ronchi in missione a Madrid Missione spagnola per il ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi, che in settimana andrà a Madrid per incontrare il suo omologo e illustrare le politiche in materia di immigrazione e sicurezza del governo italiano. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, sulla scia delle ultime polemiche fra Italia e Spagna dopo le accuse da Madrid di xenofobia: «Le ultime dichiarazioni sono il frutto di una non conoscenza delle nostre iniziative».

soltanto una questione di nomi a far friggere il partito democratico. Nella riunione dei capigruppo tenutasi ieri nel tardo pomeriggio alla Camera, i vertici del partito democratico hanno infatti spiegato a Di Pietro che, soprattutto per quel che riguarda la Vigilanza, nulla si avrebbe in contrario: a patto però che l’Idv cambi il suo atteggiamento in Parlamento e la smetta di «alzare muri» e «tirare bordate». Se Tonino vuole qualche poltrona, insomma, regoli il suo atteggiamento di conseguenza.

Per il Pd, l’ipotesi di dare al giuslavorista la presidenza della Commissione Lavoro senza aprire «un dialogo più ampio», sarebbe come un «cazzotto nello stomaco»

Non vanno tanto meglio i rapporti tra Pd e Italia dei Valori, per quel che riguarda ciò che spetta all’opposizione, ossia commissioni di garanzia e giunte. Il partito di Antonio Di Pietro ha chiesto senza mezzi termini la Vigilanza Rai - per il quale fa il nome di Leoluca Orlando - e la presidenza della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera - dove vorrebbe Nello Formisano. «Richieste irricevibili», è la replica del Partito democratico. Per quanto riguarda la prima poltrona, nel Loft si era ipotizzato Marco Follini o Fabrizio Morri, in pole position per la seconda invece Pierluigi Castagnetti. Ma non è

Per quel che riguarda il Pdl, la partita sulle commissioni permanenti si giocherà nella riunione di maggioranza che è prevista per oggi. Il quadro, nelle ultime ore, non è cambiato molto, anche se nulla sarà certo fino all’ultimo. Per quanto riguarda la Camera, in pole position per la commissione Affari Costituzionali c’è Donato Bruno (Fi), che ha già ricoperto l’incarico nella legislatura 20012006. La Giustizia potrebbe andare all’avvocato di An Giulia Bongiorno

(che Fini avrebbe voluto al governo), mentre per la Difesa si fanno i nomi di Antonio Martino (Fi) ma anche di Filippo Ascierto (An). Praticamente sicuri il leghista Giancarlo Giorgetti alla commissione Bilancio, l’azzurra Valentina Aprea alla Cultura e il suo collega di partito Domenico Di Virigilio alla Affari sociali. Per quel che riguarda gli Esteri il nome più gettonato è quello di Margherita Boniver (ma il Carroccio vorrebbe Stefano Stefani, responsabile di un memorabile incidente diplomatico con la Germania nel luglio 2003), alle Finanze Gianfranco Conte, alla Trasporti Mario Landolfi.

Ancora più complesso ,il puzzle del Senato. Al posto di Ichino potrebbero andare il leghista Massimo Garavaglia o in subordine dal senatore del Pdl Oreste Tofani. Per gli Affari Costituzionali, è sempre in pole position Carlo Vizzini, alla Giustizia dovrebbe spuntarla l’avvocato di An Giuseppe Valentino. Agli Esteri, tiene la candidatura solitaria di Lamberto Dini, anche in virtù del “disimpegno” di Marcello Pera. Sulla commissione Difesa è sempre gara a due tra l’ex generale Luigi Ramponi e Sergio De Gregorio. La Bilancio dovrebbe andare al forzista Antonio Azzollini, mentre il competitor Mario Baldassarri finirebbe per guidare le Finanze.

Famiglia Cristiana: «In Parlamento ci sono i numeri per sgretolare il mito della 194» Così Famiglia Cristiana, in un editoriale: «Oggi non è più sufficiente proporre una migliore applicazione senza toccare nulla dal punto di vista legislativo. Tutti ormai, se si escludono frange femministe fuori dalla storia, Pannella e la solita rumorosa pattuglia radicale (sempre più esigua), hanno abbandonato la vecchia formula che l’aborto è questione di coscienza, affare privato che non attiene alla sfera del bene comune». «In Parlamento - prosegue l’editoriale - ci sono i numeri per sgretolare il mito della 194». Si tratta di «una maggioranza trasversale che, in primo luogo, fa appello ai politici cattolici».

Pacchetto sicurezza, Casini: «Sì a certe condizioni» Pronti a votare sì in Parlamento al pacchetto sicurezza ma a determinate condizioni. È questa la posizione dell’Udc, espressa dal suo leader Pier Ferdinando Casini. La prima condizione è il no al reato di immigrazione clandestina. «Avrebbe la natura di slogan propagandistico che intaserebbe sia il sistema giudiziario, sia carcerario», spiega Casini, auspicando «che solo parzialmente il pacchetto assuma la forma del decreto legge e che la maggior parte sia contenuto in un ddl che dia spazio al confronto parlamentare». Altra condizione, la regolarizzazione per alcune categorie, a cominciare dalle badanti «che svolgono un ruolo essenziale nel nostro sistema assistenziale e che svolgono un’azione di supplenza rispetto alla latitanza delle strutture pubbliche».

Rai, Romani: «Travaglio è incompatibile» Dichiarazione di intenti del sottosegretario con delega alle Comunicazioni, che delinea la sua televisione: no all’amministratore unico, sì a un direttore generale forte; con il digitale terrestre la questione di Retequattro è superata; la par condicio è «da abolire», Agostino Saccà «deve tornare al suo posto», mentre «Travaglio è incompatibile con la Rai». Spostare Primo Piano? «Fa male al servizio pubblico».


società

20 maggio 2008 • pagina 9

La peggio gioventù. Viaggio nelle radici del bullismo/1 Simonetta Matone ROMA. Simonetta Matone è probabilmente il giudice minorile più famoso d’Italia. Sostituto Procuratore al Tribunale dei minori dei Roma, è ospite assidua e ricercata nelle trasmissioni televisive che trattano la devianza giovanile. D’altra parte, il suo è un osservatorio privilegiato, seppur estremo, sulla fenomenologia in questione. La nuova serie settimanale di liberal dedicata all’emergenza generazionale non poteva che cominciare da lei, dalla sua esperienza, dalle sue analisi. Dott.ssa Matone, partiamo da qui: esiste un’emergenza giovanile? C’è davvero qualcosa di diverso in questa generazione rispetto alle precedenti? Guardi, io faccio il pubblico ministero da 17 anni, e le dico di sì: esiste un’emergenza. Nel senso che la deriva educativa è sempre più forte ed evidente. Assistiamo allo scollamento di quelli che erano i valori fondanti della società: la famiglia e la scuola. Io sono molto pessimista. Dunque non si tratta di un’esagerazione dei mass media? Basta guardare l’aumento vertiginoso degli atti di bullismo. Non è un’esagerazione mediatica, ma qualcosa di molto diverso e la cosa che più mi preoccupa è l’impressionante numero di ragazze che si dedicano a questi atti. E’ come se ci fosse una rivendicazione di parità attraverso l’emulazione del peggio di quei comportamenti tipicamente maschili. Personalmente, nella mia vita non ho mai alzato le mani nei confronti di una compagna perché lo ritenevo un gesto orribile, volgare, un tabù. Un tabù a scuola o in famiglia? Ovunque. La mia era una famiglia borghese: padre ingegnere e madre professoressa. Sono stata educata con criteri che oggi comporterebbero l’intervento degli assistenti sociali. Ma la di là delle esagerazioni rigoriste dei miei, questo valeva anche per le mie compagne di tutte le classi sociali. Quando vivevo a Viterbo sono stata abituata a frequentare un ambiente sociale misto e non è mai esistita una cosa del genere. Quando sono venuta a Roma è stato lo stesso, neanche in borgata le femmine si picchiavano fra di loro. Sono stata dalle suore alle elementari, poi al liceo Mamiani, e quando mai si vedevano quelle cose. Era impensabile nel mio universo giovanile, se vuole anche trasgressivo. Detto che il problema esiste e non per colpa dei mass media, non ritiene che questi possano comunque favorire un effetto emulativo? Al di là del diritto di cronaca, il problema è doppio. Se giornali e tv non ne parlano, fanno male perché gli sciagurati devono sapere che c’è una sanzione per chi commette degli atti

L’Italia è malata, non c’è più autorevolezza colloquio con Simonetta Matone di Nicola Procaccini

Simonetta Matone, dal maggio 1991 ad oggi è Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma, con il grado di Consigliere di Cassazione

Spesso i figli sono degli illustri sconosciuti. Padre e madre non li conoscono neppure. Quando arrestiamo i ragazzi ed arrivano i genitori, questi ti guardano sbigottiti e dicono: non è possibile criminali. Mi spiego meglio: i mass media hanno una grossa responsabilità nel comunicare che se fai una cosa grave vieni punito, anche pesantemente. Dall’altra parte c’è il problema vero dell’effetto emulativo. Ricordo il caso dei sassi dal cavalcavia che per fortuna sono passati di moda, ma c’era un effetto ripetizione terribile. Quindi il ruolo dei comunicatori è molto delicato. Deve essere svolto con grande senso di responsabilità. Come linea educativa per le famiglie, la scuola o le istituzioni è meglio usare la severità o la comprensione? L’autorevolezza. Il problema dei genitori di adesso è che sono autoritari o permissivi, mai e poi mai autorevoli. E soprattutto per loro i figli sono degli illustri sconosciuti. Non li conoscono. Quando arrestiamo i figli e loro arrivano, e noi gli diciamo che stavano spacciando, rubando, etc… I genitori ti guardano sbigottiti e dicono: non è possibile. A me paradossalmente sono

capitati casi di genitori che supplicavano di tenere i figli in carcere. L’ingovernabilità del ragazzo era tale che ci hanno detto: «Meno male che l’avete fermato». Ma c’era bisogno del carcere? Era loro dovere arrestare un trend negativo. Mi rendo conto che il mio osservatorio è drammatico più che privilegiato, io vedo solo i casi patologici, non vedo l’ordinaria amministrazione. Ma quello che vedo io è terribile. Nei casi di devianza minorile, il carcere può avere un effetto rieducativo? Certe volte, paradossalmente, l’arresto è un’esperienza talmente catartica che interrompe una serie di comportamenti devianti. In casi estremi è una salvezza insperata. Ma ne devi aver fatte talmente tante per finirci… Qual è l’età più a rischio? Secondo me, il periodo più delicato si ferma a 17 anni, va dai 14 ai 17. Lì bisogna essere estremamente attenti nella gestione dei figli

Il suo consiglio ai genitori? Dico loro di non essere ansiosi, ma attenti. Devono capire chi c’è dentro casa, sapere cosa fanno i figli quando escono, dove vanno, quali sono i loro amici. Insomma, devono conoscere cosa gli passa per la testa, e possono servirsi dei film che vede come dei videogiochi che ha sul computer. In conclusione, cosa può fare la politica per aiutare le famiglie italiane nell’educazione o nella correzione di comportamenti giovanili deviati? Innanzitutto mandare dei messaggi non demenziali. Com’è stato fino a adesso. Mi riferisco alle solite campagne della serie: “tutto è lecito”,“tutto è possibile”. Bisogna ristabilire il senso del limite. Creare delle strutture di vero sostegno ai genitori. Formare degli assistenti sociali capaci di aiutare le famiglie, senza danneggiarle. Servono dei messaggi culturali che vadano nel senso di una parità tra maschi e femmine attraverso le differenze che pure ci sono. Mi rendo conto che si tratta di un discorso difficile, con implicazioni culturali complesse, ma bisogna invertire la tendenza. Ora o mai più.


pagina 10 • 20 maggio 2008

mondo Il senatore dell’Arizona, John McCain (a sinistra) e quello dell’Illinois, Barack Obama (a destra)

on il voto di oggi in Kentucky e Oregon, Barack Obama spera di chiudere una volta per tutte la pratica con Hillary Rodham Clinton per la candidatura del partito democratico alla Casa Bianca. Le speranze che questa operazione riesca, però, sono oggettivamente poche. La media dei sondaggi della vigilia vede Obama in testa di una decina di punti percentuali in Oregon (51,4 a 40,6), mentre la Clinton conduce comodamente in Kentucky, con un margine che sfiora i 30 punti (58,4 a 28,8). Secondo Michael Barone, su U.S. and World Report, in questi due stati Obama dovrebbe raccogliere una cinquantina di delegati che, sommati ai 1.900 conquistati finora, porta il suo totale intorno ai 1.950. Per raggiungere il “numero magico” di 2.025, insomma, al senatore junior dell’Illinois mancherebbero almeno 75 “superdelegati”. E con il ritmo attuale di “espansione”(circa 4-5 al giorno), raggiungere la certezza della nomination nelle prossime 24 ore sembra davvero una sfida impossibile. L’incoronazione “ufficiale” di Obama, dunque, non dovrebbe avvenire prima del 3 giugno, giorno delle elezioni primarie in Montana e South Dakota (due giorni prima si voterà a Porto Rico, ma Hillary è largamente favorita).

C

È ormai chiaro a tutti, però, che a meno di clamorose e - a tutt’oggi - imprevedibili sorprese, Barack Obama è destinato ad essere lo sfidante di John McCain nella corsa alla Casa Bianca. Già, McCain... Con i mezzi d’informazione americani ed europei ossessionati (e non senza motivo) dalla lunghissima lotta intestina nel partito democratico, la figura del candidato repubblicano sembra essersi un po’persa nelle nebbie mediatiche della politica statunitense. Se, da un lato, il calor bianco dello scontro tra Hillary e Obama potrebbe, in vista di novembre, scottare il “prescelto” dei democratici, è anche vero che una prolungata assenza dalle prime pagine dei giornali e dai palinsesti televisivi potrebbe, a lungo andare, nuocere gravemente al candidato repubblicano, che già parte da una posizione strutturalmente sfavorevole visti i bassi indici di gradimento del suo partito e del presidente George W. Bush. I repubblicani partono anche sfavoriti nella “corsa al dollaro”, perché la campagna di Obama sfruttando molto intelligentemente le possibilità offerte dalle nuove tecnologie - è riuscita a raccogliere una grande quantità di denaro con piccole e piccolissime donazioni via Internet. Una parte (consistente) di

Obama e Hillary si litigano gli ultimi delegati in Oregon e Kentucky

E McCain? Cerca soldi e i voti del centro di Andrea Mancia questo divario potrebbe essere colmata direttamente dal partito repubblicano che, tramite il suo braccio finanziario (il Republican National Committee) ha raccolto circa 40 milioni di dollari ad aprile e conta di raccoglierne altri 150 (20 al mese) da qui a novembre. Frank Donatelli, che si occupa di mantenere i rapporti tra Rnc e campagna di McCain, ha dichiarato al New York Times che il partito

Per Dick Morris, è inutile che il candidato repubblicano insegua la base conservatrice, perché la vera partita sarà tra gli indipendenti

repubblicano si propone di «garantire un supporto sostanziale e senza precedenti» al candidato del Gop.

Con l’aiuto del partito, insomma, il gap economico che separa attualmente McCain da Obama potrebbe essere parzialmente annullato, almeno per mettere in condizione il senatore dell’Arizona di essere competitivo a novembre. E il

problema, per l’eroe pluridecorato della Guerra in Vietnam potrebbe restare “solo” quello di battere un candidato più giovane e più coccolato dai media. Impresa difficile, ma non impossibile, almeno secondo il parere di Dick Morris, il “guru” che ha praticamente fatto rieleggere Bill Clinton nel 1996, a soli due anni dalla rivoluzione conservatrice del “Contract with America” di Newt Gingrich. Nell’ultimo editoriale pubblicato dal Washington Post, Morris delinea una possibile strategia vincente per McCain. Il suo consiglio è quello (contro-intuitivo, per la verità) di smettere di inseguire la base conservatrice - da sempre scettica, per adoperare un eufemismo, nei confronti del Maverick - per concentrarsi su moderati e indipendenti. «La base - scrive Morris - si mobiliterà comunque, con numeri massicci. Il Reverendo Wright è diventato il presidente onorario dell’organizzazione get-out-to-vote della campagna di McCain. Sarebbe carino pensare che la razza non sia più un fattore nella politica americana, ma non è così. La crescente paura nei confronti di Obama, che rimane qualcosa di sconosciuto, trascinerà fino all’ultimo repubblicano bianco alle urne per votare McCain. Senza nessun bisogno di sforzarsi troppo per convincere i cristiani evangelici o i fiscal conservatives». Visto il suo passato, per seguire questa strategia “centrista”, McCain non dovrebbe faticare troppo,. E anche l’argomento su cui, secondo i sondaggi, il senatore dell’Arizona è più vulnerabile (la guerra in Iraq), dopo la “cura Petraeus” sta lentamente perdendo il suo status di punto di forza per il partito democratico. Quello repubblicano, in ogni caso, resta un partito attraversato da una profonda crisi, che a novembre, con ogni probabilità, perderà molti seggi sia alla Camera che al Senato. La candidatura “anomala” di McCain, però, rende la corsa alla Casa Bianca competitiva anche in queste condizioni estremamente sfavorevoli. Ieri, entrambi gli istituti di ricerca che da qualche settimana effettuano quotidianamente sondaggi a livello nazionale (Gallup e Rasmussen) hanno registrato un vantaggio minimo e statisticamente insignificante - per McCain nei confronti di Obama. Non è molto ma, rispetto al “disastro annunciato”, è almeno qualcosa su cui iniziare a lavorare.


mondo

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Il 25 maggio l’Alta Corte afgana deciderà se confermare o meno al reporter 23enne la sentenza di morte

Kabul,Sayed “il blasfemo”va in appello d i a r i o

di Vincenzo Faccioli Pintozzi lla fine, persino i giudici islamici della Corte provinciale di Kabul l’hanno dovuto ammettere: il primo processo contro Sayed Perwiz Kambaksh, giornalista afgano di 23 anni condannato a morte per blasfemia, è stato una farsa. Per non rischiare di dare troppo spazio alla difesa, però, hanno concesso al giovane soltanto sette giorni per cercare di commutare la sua sentenza e salvarsi la vita. Sayed è stato arrestato lo scorso ottobre davanti alla sua università, a seguito di una denuncia presentata da alcuni suoi colleghi, studenti di una madrassa che si trova nei pressi dell’ateneo. Le autorità sostengono di averlo trovato in possesso di materiale contrario ai precetti religiosi islamici: a quanto è trapelato, i testi riguardavano la condizione della donna nell’Afghanistan ancora sotto la schiavitù dei talebani. Nel giro di tre mesi è stato arrestato, messo in stato di accusa e condannato a morte per blasfemia durante un processo durato meno di trenta minuti. Secondo alcuni, il vero motivo dietro all’arresto di Sayed sarebbe da ricercare nel fratello Ibrahimi, anche lui giornalista, famoso per le sue critiche alla corruzione del governo Karzai, alla talebanizzazione del Paese e soprattutto agli usi immorali dei “custodi dell’islam”. Fra i suoi articoli più famosi vi è quello sui “ragazzi danzanti”: la storia vera di bambini e adolescenti costretti a vestirsi da donne e ballare durante le feste dei signori della guerra e dei talebani della parte settentrionale del Paese. La terribile conclusione dell’articolo parla di ragazzi rapiti e violentati dai guerriglieri, che non torneranno più a casa.

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Birmania, arrivano i trafficanti di bimbi

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La prima udienza dell’appello di Sayed si è tenuta due giorni fa nella capitale afgana, dove il ragazzo è stato trasferito perché rischiava di morire in carcere per mano dei suoi compagni di cella. La detenzione nella provincia settentrionale di Balkh, infatti, gli ha procurato gravi danni fisici che secondo la polizia «si è procurato da solo tentando di fuggire». Nel corso del procedimento, Sayed si è dichiarato non colpevole ed ha sottolineato la sua fede nell’islam, che non gli permetterebbe mai di commettere blasfemia. I giudici gli hanno concesso una settimana per preparare la sua difesa. Il 25 maggio, infatti, il suo caso sarà giudica-

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Bande di trafficanti di esseri umani si stanno dirigendo verso i campi dove si ammassano gli sfollati del ciclone Nargis in Myanmar (ex Birmania) per reclutarvi soldati bambini o rapire bambine da vendere. L’allarme è lanciato dagli attivisti della Lega nazionale per la democrazia, (Lnd), il partito “d’opposizione” alla giunta militare ed è stato rilanciato da AsiaNews. In un appello diffuso in questi giorni la Lnd ricorda inoltre l’emergenza umanitaria e sanitaria nelle zone del delta dell’Irrawaddy dove i pochi aiuti governativi non sono adeguati. Gli attivisti denunciano, corredando il documento con foto, che il riso distribuito tra i superstiti è avariato e in condizioni immangiabili ma – dicono gli sfollati – «siamo costretti a cucinarlo, non abbiamo altro».

Sarkozy, smantellare le 35 ore

Sayed Parwiz Kambakhsh, condannato a morte per aver offeso Maometto. Nel riquadro, la copertina di ”liberal” del 1° febbraio to dall’Alta corte afgana, che dovrà decidere se commutare o meno la sentenza di morte. Nel corso della sua udienza, il giovane ha dichiarato: «Sono stato costretto a firmare dichiarazioni che non rispondono al vero. Sono musulmano, e non farei mai nulla per insultare la mia religione». Dopo di che, ha rilanciato accusando la polizia di torture disumane ai suoi danni, tese a strappargli una “confessione” che non ha mai pronunciato: «Sono stato torturato fino a perdere i sensi, ed ho firmato carte che non ho neanche potuto leggere. Questa non è giustizia».

«Sono stato torturato fino a perdere i sensi ed ho firmato carte che non ho potuto leggere. Non è giustizia. Non farei nulla contro la mia religione» D’altra parte, il primo processo aveva brillato per iniquità. All’udienza erano presenti tre giudici ed uno scrivano, ma nessun avvocato; inoltre, a Sayed erano stati concessi soltanto quattro minuti di tempo per la propria difesa. I familiari del giovane erano stati tenuti fuori dal tribunale dalla polizia, mentre era stato permesso l’ingresso in aula di alcuni ulema che, a gran voce, avevano chiesto la morte del blasfemo. Il caso ha suscitato lo sdegno della comunità internazionale e dei gruppi di difesa della libertà di

stampa, fra cui liberal che il primo febbraio scorso ha lanciato un appello internazionale in suo favore firmato da Ferdinando Adornato, André Glucksmann e Michael Novak. Pur non volendolo, il giovane giornalista è divenuto un simbolo della lotta all’oscurantismo religioso ed alla giustizia sommaria, ed un pretesto per riaprire il dibattito sul futuro dell’Afghanistan. Il Paese, infatti, ha una nuova Costituzione di stampo laico ma si ispira alla legge coranica, la sharia, per quanto riguarda la materia penale. Pur rappresentando una contraddizione in termini, questo avviene anche in altri Paesi dell’area, come il Pakistan. È quindi sempre più frequente assistere a sentenze che contraddicono la Costituzione (di norma base del diritto), ma vengono considerate intoccabili perché collegate in qualche modo al diritto divino.

Ne è un esempio lampante proprio l’art. 130 della Costituzione afgana, che prevede, in caso di vuoto legislativo su una materia, di attenersi alla giurisprudenza Hanafi. Questa è una scuola ortodossa di giurisprudenza sunnita, seguita nell’Asia centrale e del sud. La diffamazione dell’islam, appunto, è un reato non previsto nel codice penale e quindi perseguibile secondo la legge islamica. Una mentalità che il caso di Sayed può aiutare a scardinare: d’altra parte, non avrebbe alcun senso aver combattuto un regime islamico per instaurare un governo democratico “di facciata”, ma dominato dalla stessa ideologia dei suoi predecessori.

L’Ump, il partito del presidente francese Nicolas Sarkozy, chiede lo «smantellamento definito» della settimana di 35 ore a partire da quest’anno e il negoziato azienda per azienda dell’orario di lavoro, che non dovrebbe più essere fissato a livello nazionale. Per proporre l’abolizione di quello che fu il cavallo di battaglia del governo socialista di Lionel Jospin, il partito di maggioranza ha scelto la giornata di ieri, decennale del varo della legge Aubry, che fissava la durata legale dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali.

Zimbabwe, cecchini pronti per Tsvangirai Il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), all’opposizione nello Zimbabwe, ha denunciato l’esistenza di un complotto dell’intelligence militare per uccidere il suo leader Morgan Tsvangirai. «Sappiamo che vi sono 18 cecchini e che se ne occupa il direttorato dell’intelligence», ha detto il segretario generale del partito, Tendai Biti, parlando con i giornalisti a Nairobi. «L’intelligence militare di Mugabe ha compilato una lista di 36-40 persone da assassinare - ha aggiunto - In cima vi sono Morgan Tsvangirai, io stesso e il nostro portavoce Nelson Chamisa». Tsvangirai doveva tornare questo fine settimana dal Sudafrica per partecipare alla campagna elettorale per il ballottaggio del 27 giugno, ma sabato ha rinunciato dopo essere stato avvertito del complotto.

Messico, narcotrafficanti contro militari Scontri fra bande di narcotrafficanti e fra queste e le forze dell’ordine hanno prodotto ieri in Messico almeno 34 morti e 17 sequestri in nove Stati soprattutto del nord del Paese. Particolarmente dura è la situazione in Chihuahua, dove nei giorni scorsi il governo centrale ha inviato 2.700 uomini per contenere la criminalità e dove tuttavia ieri il bilancio era di almeno 13 morti (fra cui tre agenti di polizia), cinque a Ciudad Juarez e otto a Villa Ahumada. A complicare il lavoro dell’autorità di quello Stato si sono aggiunte le dimissioni del responsabile della polizia di Ciudad Juarez, Guillermo Prieto, che “ha gettato la spugna” dopo aver ricevuto ripetute minacce di morte.

Georgia mercoledì alle urne Sullo sfondo delle forti tensioni con Mosca, in Georgia si eleggerà mercoledì il nuovo parlamento. Al voto tre coalizioni e nove partiti per i 150 seggi della “monocamera” del Paese caucasico. La frammentarietà dell’opposizione - i vari partiti si presentano separatamente nei collegi elettorali e non in tutti - favorisce de facto il Movimento Nazionale Unito che fa capo al presidente Mikheil Saakashvili, favorevole all’integrazione euroatlantica e avversato da Mosca. Il Cremlino, intanto, non fa certo mistero dei crescenti dissapori alimentati dal problema delle regioni separatiste filorusse di Abkhazia e Ossezia del Sud.


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speciale

economia

NordSud

Ferrovie, Tirrenia e Fincantieri: tre aziende carrozzoni che dovrebbero finire sul mercato e che con i loro ritardi bloccano il sistema nazionale dei trasporti

LE ALTRE ALITALIA di Carlo Lottieri opo il tonfo rovinoso di Alitalia (della quale speriamo di scrivere al più presto l’ultima parola sulla vicenda), attendiamoci altre catastrofi del tutto simili. Anche perché sembra di tornare ai decenni segnati da uno statalismo forsennato e da un sindacalismo ottuso. All’indomani del boom realizzato negli anni Cinquanta grazie agli “istinti animali” del capitalismo italiano, il Paese si è progressivamente chiuso su se stesso proprio nel momento in cui l’Italia costruiva al proprio interno una vasto arcipelago di kolchoz industriali affidati a manager di partito. È allora che l’Italia inizia a declinare, accartocciandosi in un sistema di relazioni che toglie ogni spazio alla concorrenza e alla corsa verso il profitto puro, ottenuto tramite la soddisfazione del consumatore.

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Com’è noto, un personaggio cruciale della nostra storia quale fu Pietro Nenni, più volte ministro e anche vicepremier, avrebbe voluto lasciare in mani ai privati solo le botteghe dei barbieri. E se non si è giunti a tanto è pur vero che l’espansione di complessi produttivi co-

per accrescere il potere (gli uni) e ottenere extraprofitti in assenza di competitori (gli altri). Per non parlare del sogno di un ordine economico controllato da pochi illuminati pianificatori e presuntuosi ingegneri del futuro. Chi volesse sposare una tesi tutta neomarxiana e basata interamente sugli interessi, non comprenderebbe quanto è avvenuto davvero e qual è ancora oggi la situazione. L’Europa, in generale, e in modo particolare l’Italia, in effetti, conoscono nella loro cultura una forte attrazione per un’economia di tipo mercantilista (o colbertista che sia), e tendono a leggere le relazioni tra imprese soltanto entro un quadro geopolitico fatto di scontri tra blocchi. Nella cultura anche accademica di un’Italia molto spaventata di fronte a ogni novità, e timorosa nei riguardi del futuro, è radicata la convinzione che un sistema decisionale centrato sullo Stato nazionale possa salvaguardare valori essenziali. Quando politici di lungo corso e tra loro assai diversi come il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e Paolo Cirino Pomicino proclamano senza pudore «il primato della politica», è proprio questo modo di inten-

timo istante di non accettare lo sconquasso e quindi si continuerà a mettere le mani nelle tasche degli italiani per dare ancora qualche mese e infine qualche giorno a un’impresa pubblica che è agonizzante. Non è colpa della destra né della sinistra: hanno sbagliato tutti i fronti, perché è l’Italia intera che fino a oggi ha rigettato le logiche di mercato. Perfino quando negli anni No-

soltanto la conseguenza di intrallazzi, ma anche di un deficit culturale. Perché quando si è privatizzato lo si è fatto senza convinzione: esattamente come si prende una medicina amara.

Questa vocazione statalista emerge chiaramente anche dal fatto che ben pochi in Italia paiono consapevoli, per esempio, della necessità di aprire un mercato come quello postale. Dato che i

a orologeria saranno le Ferrovie, e anche nella prospettiva di tale azienda è importante che la chiusura della vicenda Alitalia non sia indecorosa. Nel 2007 il gruppo ha registrato una perdita superiore ai 400 milioni di euro (e la quasi totalità del buco è da addebitarsi a Trenitalia). Altri settori vanno un poco meglio, semplicemente perché quelle aziende pubbliche si trovano in contesti maggiormente espo-

vanta si è operata una massiccia privatizzazione di parti del settore pubblico, non soltanto lo si è fatto a favore degli amici, ma per giunta controvoglia. Obbligati a fare cassa e contrastare in qualche modo il dissesto del bilancio pubblico, si è deciso di dare la Telecom ai “capitani coraggiosi” e le autostrade ai Benetton. Se prendiamo per esempio il caso delle telecomunicazioni, il fatto che non ci si sia posti il problema di quale statuto attribuire alla rete e di come favorire una vera concorrenza, non è

conti di Poste Italiane sono a posto grazie al Bancoposta, nessuno vede il problema. E nessuno neppure è informato del fatto che per i servizi di posta entro i 50 grammi di peso il gruppo di Stato gode di un vero monopolio. Ma siccome la società produce profitti e gli italiani pagano un conto salatissimo sostanzialmente senza accorgersene, Poste Italiane non è un problema. E poco importa come sia gestita o quanto ci danneggi. Così, mentre la Rai delle mille inefficienze è già travolta da mille tempeste, la prossima bomba

sti alla concorrenza. Oppure perché la quota in mano allo Stato si è ridotta. È questo il caso dell’Enel, dell’Eni o di Finmeccanica. Ma è evidente che pure in questi casi il legame incestuoso tra Stato ed economia, tra partiti e affari, è destinato a produrre in futuro molti frutti velenosi. C’è bisogno di coraggio: entro il nuovo governo e anche tra i responsabili delle imprese di Stato. Ma c’è soprattutto bisogno di una svolta morale e culturale in favore della responsabilità e del profitto, e contro ogni forma di protezionismo e parassitismo.

Riappare di nuovo lo spettro di uno statalismo forsennato e di un sindacalismo ottuso me l’Iri e l’Efim ha per decenni caratterizzato lo scenario industriale e gli ingarbugliati legami tra una politica desiderosa di mettere le mani sull’economia e un’impresa ben felice di costruirsi solide rendite, grazie ai collegamenti con il denaro pubblico e i meccanismi della regolazione. Quel socialismo retorico e confusionario non è del tutto scomparso. Non soltanto perché troppi politici e imprenditori vedono nelle connessioni tra Stato e mercato la migliore opportunità

dere le relazioni tra Stato ed economia (e la subordinazione della seconda alla prima) che essi vogliono difendere. Prima o poi i nodi verranno al pettine, com’è avvenuto con Alitalia: e questo è consolante. Ma purtroppo non saremo nelle migliori condizioni per reagire, perché ancora non sappiamo guardare nel modo giusto la realtà. Come nel caso ancora aperto di questa Alitalia in via di putrefazione: a causa di ossessioni ideologiche del tutto ingiustificate si cercherà fino all’ul-


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La vicenda della compagnia di bandiera dimostra la mancanza di una strategia complessiva sulla mobilità

Storia di un Paese che non sa volare di Cesare Pozzi a crisi di Alitalia è forse uno dei casi più emblematici del (mal)funzionamento del nostro Paese. Mostra in maniera drammatica l’incapacità di affrontare i problemi in modo strutturale e di prendere decisioni che superino la logica dell’emergenza. Alla base di tutto manca una visione strategica del trasporto e della mobilità complessiva per il Paese. Le vicende della compagnia di bandiera non possono essere ridotte a una conduzione inefficace, talvolta scriteriata, dell’azienda né questa può essere alibi per le mancan-

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aziendali e possibili acquirenti prescindendo da un quadro chiaro delle politiche di mobilità del Paese. Allo stato attuale, in una situazione di assoluta indecisione, vendere Alitalia e assumere degli impegni con chi la gestirà, vuol dire vincolarsi alle decisioni dell’acquirente, lasciandogli il potere di influenzare le scelte sul trasporto del Paese. Quali sono i problemi rilevanti? C’è in primo luogo un problema di regole che riguarda l’intero assetto istituzionale del settore del trasporto aereo, i cui esiti paradossali sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia ha la più al-

Prima o poi bisognerà decidere chi ha il compito di costruire le infrastrutture necessarie ze della politica. Se le istituzioni pubbliche non hanno una visione dello sviluppo del trasporto, la gestione di Alitalia non può che essere una corsa a ostacoli, affidata alla speranza che prima o poi salti fuori un Mattei dei cieli in grado di accollarsi decisioni che spettano alla classe politica.

Proprio gli aspetti dell’organizzazione del trasporto aereo e della mobilità della penisola sono stranamente rimasti ai margini del dibattito, pur essendo cruciali per i destini della compagnia. Partiamo dal fondo, e quindi dai criteri di scelta dei potenziali acquirenti e partner di Alitalia. Nel balletto delle cifre sul suo “reale”valore, siamo abituati a invocare una valutazione di “mercato”, pensando che corrisponda una stima oggettiva. In realtà, fuori dalla mente di qualche economista, mercato non è altro che libera contrattazione tra le parti. Quello che si verifica in un confronto tra stime soggettive e valutazione di una società, è innanzitutto cosa può farci chi si propone di comprarla. Nel trasporto aereo non ha senso parlare di cifre, strategie

ta densità di aeroporti per chilometro quadro e conserva due hub, Fiumicino e Malpensa, in due città che saranno collegate dall’alta velocità in 3 ore. Le scelte contraddittorie che hanno seguito la liberalizzazione del 1996 hanno consentito che a un modello nazionale di collegamenti punto a punto si sovrapponesse un’organizzazione dell’aerotrasporto basata su uno snodo centrale di smistamento delle rotte nazionali e internazionali. Anzi, vista la tipica fantasia italiana, unici in Europa abbiamo optato non per uno ma per due snodi aerei. A monte poi non si è mai chiarito chi decide quali e quante infrastrutture aeroportuali realizzare, favorendo in questo modo una curiosa proliferazione provinciale e comunale degli scali. Oltre al federalismo fiscale serve anche una devolution degli aeroporti? C’è un’enorme confusione che porta a ritenere che la fondamentale necessità di raccogliere istanze dal basso si debba tradurre nella negazione dell’indispensabile attività di coordinamento e pianificazione dal centro. Questo significa anche decidere se i nostri aeroporti devono operare in concorren-

za tra loro oppure in maniera coordinata. In Spagna, per esempio, esiste un’unica società di gestione, pubblica, per tutti gli aeroporti iberici, che li considera in rete. Non avendo noi optato per un modello di società di gestione aeroportuale, occorre almeno chiarire che relazione devono esserci tra enti locali e società di gestione. Gli aeroporti sono una fonte di finanziamento, come sembrerebbe dai 200 milioni di euro di dividendi distribuiti l’anno scorso da Sea agli azionisti Provincia e Comune di Milano, o altro? E che rapporti vogliamo con i vettori? È implicito che il successo di questi rispetto alle società di gestione dipenda fortemente dall’impianto regolatorio. È dal 1999 che non si riescono a regolare in modo compiuto le tariffe e gli investimenti delle società di gestione. Non riusciamo a decidere né chi deve farsi carico dei costi delle società – collettività con trasferimenti a fondo perduto o i passeggeri con i biglietti – né si è scelto con chiarezza quali investimenti siano destinati a coprire le tariffe. Il fenomeno del low cost è un altro punto su cui occorre far chiarezza. Queste compagnie riescono a vendere biglietti a tariffe irrisorie grazie ai sussidi mascherati (dei quali non si riesce peraltro a conoscere la reale entità) che ricevono dagli enti locali, spesso attraverso le società di gestione. Il risultato è che finanziamo con soldi pubblici vettori privati in barba alla concorrenza.

Chiunque abbia a cuore il corretto funzionamento del mercato dovrebbe chiedere che i prezzi dei biglietti non siano drogati di nascosto. Possiamo decidere che vogliamo un’elevata mobilità aerea a prezzi bassi per i passeggeri e siamo disposti a finanziare gli spostamenti di lavoro e le vacanze dei nostri figli nelle capitali europee con i soldi pubblici, ma dobbiamo dirlo ed essere chiari sul costo. Se è così che gli enti locali cercano di promuovere il territorio, probabilmente potremmo utilizzare meglio le stesse risorse nell’interesse della mobilità e del contribuente. Tutto questo però richiede che si rifletta sulle esigenze di mobilità complessive del Paese, al suo interno, dentro l’Europa e

verso gli altri continenti. Ma senza un piano dei trasporti e delle infrastrutture che guardi all’Italia del futuro, non possiamo prendere decisioni sull’organizzazione del trasporto aereo. Per farlo è necessario aver chiare le scelte strategiche compiute negli ultimi venti anni, a partire dall’Alta Velocità ferroviaria e dalle decine di miliardi di euro spesi e impegnati per realizzarla. Tale scelta vincola ormai a massimizzarne l’utilizzo. Per progettare il futuro della nostra mobilità interna è quindi fondamentale aver ben presente il ruolo che le ferrovie assumeranno, i tempi di percorrenza e i punti serviti. Le linee aeree interne, se vorranno essere remunerative, dovranno necessariamente coordinarsi con la rete AV (compreso il famoso corridoio 5 che attraverserà il Nord), servendo le distanze del Paese lasciate scoperte. La provocazione del premier di far comprare Alitalia da Ferrovie non è poi così bizzarra. In una logica di efficienza del sistema di trasporti interno, avendo già scelto per un numero rilevante di tratte l’AV, una rete di aeroporti diffusa sul territorio come la nostra può essere valorizzata come base per un trasporto rapido su quelle che rimarranno gioco forza scoperte. In questa ottica le rotte internazionali dovrebbero essere lasciate ad altri. Per la nostra mobilità esterna la scelta dell’interlocutore dipende dalla capacità di attrazione e dal sistema di relazioni economiche che immaginiamo per l’Italia di domani. In fondo si tratta di scommettere sul ruolo che il Paese avrà nel futuro e sul numero di italiani e stranieri che avranno necessità e disponibilità economiche per affrontare viaggi in aereo più o meno lunghi. Avere un vettore nazionale che garantisca i collegamenti diretti verso mete importanti non è solo una questione di marketing per il Paese. Una fusione tra Air One e Alitalia, focalizzata sulla gestione delle tratte internazionali, sarebbe una soluzione di assoluto interesse, che non andrebbe a ledere in alcun modo la concorrenza in un mercato ipercompetitivo come quello internazionale. Si tratta di una scommessa industriale. Oltre al necessario rinnovamento della flotta, che Air One sembrerebbe garantire, il successo di qualsiasi compagnia nazionale e del suo hub è dato dalla possibilità di riempire gli aerei da e per il Paese. Per questo pensare che due hub per un Paese piccolo come il nostro è quantomeno “ardito”.

C’è il rischio però o che il nostro sistema retroceda nella competizione globale o che il mercato internazionale nei prossimi anni richieda dimensioni e capacità di gestione alla portata solo di grandi vettori. In questo caso l’unica possibilità per l’eventuale “nuova” compagnia nazionale sarebbe chiudere un accordo con un partner europeo e, dato che il maggior interscambio commerciale l’abbiamo con la Germania, è difficile non pensare a Lufthansa. Una soluzione che sia da una lato coerente con le decisioni del passato e con le condizioni attuali e dall’altro sia capace di rispondere alle sfide del Paese di domani non è più rimandabile. In qualche modo la situazione va sbloccata, dimostrando che l’Italia è in grado di elaborare una visione strategica del suo futuro. Magari potremmo iniziare a cedere la divisione cargo di Alitalia all’unico operatore di logistica che abbiamo, le Poste Italiane. Docente di Economia dell’impresa dell’università Luiss


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speciale

economia

na sostanziosa iniezione di liquidità, almeno un miliardo di euro nel 2008, da ripetersi l’anno dopo. Oppure tagli alla corse, con risultati per il servizio pubblico difficilmente prevedibili. Ferrovie dello Stato è a un bivio. E a differenza delle sue ultime stagioni, industriali e politiche, stavolta ha davvero poco tempo per decidere che strada imboccare. Perché i primi segnali in arrivo dall’asse Tremonti-Berlusconi non vanno in direzione di una nuova stagione del laissez-faire. «Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti», ha detto l’Ad Mauro Moretti, presentando l’ultimo bilancio di Trenitalia. E, in effetti, nel 2007 si è registrata una performance inaspettata: il passivo, da più di 2 miliardi di euro, è calato ad appena 409 milioni, con un miglioramento in percentuale dell’80 per cento. Aumentano i ricavi da traffico, crescono le entrate da contratto di servizio (che per il presidente Innocenzo Cipolletta devono diventare quinquennali), resta stabile il costo del lavoro. Ed entrano soldi per partite straordinarie pari a più di un miliardo di euro. Insomma, il piano di risanamento 20072011 ha fatto registrare un primo capitolo decisamente positivo. Nonostante le mancanze del governo uscente. Dopo aver presentato i suoi risultati, Moretti presentava quelli dell’esecutivo Prodi: 70 milioni meno di quanto promesso

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NordSud

Ferrovie chiede 2 miliardi di euro

Alta capacità di fare debiti di Giuseppe Latour in trasferimenti, 400 in meno per la Rete e quasi altri 400 per il trasporto regionale. Un segno meno che ha inciso soprattutto sullo stato patrimoniale della società. Per riempire le ormai vuote casse, Trenitalia aveva chiesto di sottoscrivere un aumento di capitale di un miliardo di euro subito, per aggiungere un altro miliardo nel 2009. Accompagnando l’operazione a una ridefinizione del contratto di servizio.

L’arrivo di concorrenti potrebbe mettere in ginocchio il vettore

Ma al nuovo governo, oltre ai soldi, Fs chiede di sapere quali treni far sopravvivere sul mercato e quali, invece, andranno sostenuti con denaro pubblico. Perché l’alternativa è il taglio di molte corse. Secondo un piano riservato della compagnia, saranno ridimensionati sia

gli Eurostar sia gli Intercity, con un elenco di tratte che non salva nessuno: tagli su Roma-Salerno, Roma-Firenze, Milano-Roma, Genova-Milano, Adriatica e Venezia-Milano, per esempio. Si va verso un incremento, naturale visti i margini di profitto, dei treni da alta velocità. In futuro il principale versante di espansione sarà proprio la Tav, orientata strategicamente a fare da concorrente ai vettori aerei, soprattutto sulle linee “business”. Soltanto sulla Roma-Milano c’è in progetto, nelle ore di punta, di arrivare a un treno ogni quarto d’ora. Sullo sfondo, comunque, restano i tagli e alla fine potrebbe saltare fino al 15 per cento dei treni. E non naviga in acque più tranquille il settore cargo. Dice Moretti della divisione: «Su 800 scali, almeno 650 sono inutili e ci danno un traffico pari all’1 per cento del totale, a fronte di un costo del 30». Oltre alle tratte meramente di servizio, è allora il settore merci il cancro di Trenitalia: «Per ogni miliardo di fatturato realizziamo 650 milioni di perdite, se fossimo un’azienda privata avremmo già dovuto portare i libri in tribunale». A rendere più urgenti le azioni di risanamento c’è l’arrivo di concorrenti molto temuti. Come la compagnia statale francese, Sncf, che sta pensando di fare spese in Italia acquistando le Ferrovie Nord Milano. Da tempo si sta invece muovendo Luca Cordero di Montezemolo per «fare concorrenza alle ferrovie». Nel 2011 cominceranno a circolare in Italia i treni ad altissima velocità di Ntv, la compagnia dell’ex presidente di Confindustria. Realizzati dalla francese Agv, saranno in un primo momento 25. Ma se le cose dovessero andare secondo le attese, c’è già in progetto un ampliamento del parco. Un duro colpo per quello che oggi è l’unico mercato in espansione di Fs.

Negli ultimi sette anni Tirrenia è costata allo Stato un miliardo in mezzo

Il monopolista del mare di Alessandro D’Amato ra le tante aziende di Stato che si reggono in piedi a fatica – come la più famosa Alitalia – spicca Tirrenia navigazione spa. L’ultimo “sgarbo” gliel’ha fatto Stazioni Marittime spa, escludendola – insieme con Costa Crociere – dal consiglio di amministrazione, per decisione dei maggiori azionisti Autorità portuale di Genova, Finporto e Comune. Questioni di rappresentanza, viste le poche quote dell’azienda e la riduzione dei consiglieri decisa ai piani alti.

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Ma non si può dire che per la compagnia controllata al 100 per cento da Fintecna (ex Iri) sia un periodo buono. Prima gli attacchi al suo presidentepadrone Franco Pecorini, nel mirino della stampa in quanto boiardo di Stato first class e virtualmente inamovibile nonostante gli scarsi risultati. Eppoi c’è un bilancio che continua a essere pessimo: nonostante i continui trasferimenti statali alla società – soltanto nel periodo 2000-2007 sono arrivati a un miliardo e mezzo di euro – anche quest’anno i numeri non sono stati per nulla

lusinghieri: 9 milioni di euro (erano 23 nel 2006 e 14 nel 2007) di utile netto. Anche se il calo viene spiegato con le plusvalenze legate nell’anno precedente alla vendita di alcune navi della flotta. Calo nella compensazione, come si diceva, che è passata da 66 a 46 milioni, ma anche l’indebitamento – per fortuna – è sceso a 716 dai 792 milioni di euro. Situazione difficile, ma ancora sostenibile. Il problema è che nel frattempo le decisioni sulla compagnia sono ancora ferme. Il governo in carica deve ancora procedere al rinnovo dei vertici, così come per tutte le altre aziende di Stato.Tutte le previsioni dicono comunque che l’“eroico” Pecorini rimarrà al suo posto ancora una volta, inamovibile. Ma il governo non rinuncerà a porre il suo marchio per quanto riguarda i consiglieri del Cda. Incombe però la privatizzazione: lo impone di fatto la Ue, l’ha confermato il presidente durante l’assemblea, dicendo che è prioritaria la ristrutturazione societaria (a cui sta lavorando Credit Suisse). Lo schema prevede la costituzio-

ne di una holding senza le quattro compagnie che oggi sono la base di Tirrenia (Caremar, Siremar, Toremar, Saremar), destinate alle rispettive regioni (Campania, Sicilia, Toscana, Sardegna).

Poi arriverà la fase della vendita, sulla quale però le idee non sono chiarissime. La scelta di Credit Suisse come advisor, secondo alcuni, sarebbe propedeutica alla ricerca di investitori stranieri, per concludere l’acquisto. Ma anche qui – altro parallelo con Alitalia – ci sarebbe invece una cordata di armatori nostrani pronta invece a lanciare l’offerta. È capeggiata proprio da quella Confitarma, sempre durissima con l’azienda statale. «L’Italia registra un ritardo sul cabotaggio notevole, considerando coste e posizione geografica nel Mediterraneo. La presenza di Tirrenia ha fatto da tappo e ha impedito lo sviluppo», dichiarava il presidente Nicola Coccia qualche tempo fa. Ma ci sono ancora molti altri problemi da superare oggi per poter fare di un carrozzone di Stato un boccone appetibile per lo straniero: per

esempio, stesse regole Ue. Le quali prevedono la liberalizzazione delle tratte sociali, ovvero di quei collegamenti essenziali tra le aree del Paese che vengono mantenuti attivi perché considerati bene pubblico anche se sono in perdita dal punto di vista economico. Soltanto che questo creerebbe problemi enormi a tutti quei collegamenti che oggi Tirrenia assicura, e presto dovrebbe bloccare. Ma anche l’apertura di tutta una serie di mercati da tempo fermi: il governatore della Sardegna Renato Soru, da anni chiede di fare cessare la convenzione statale con la Tirrenia e poter così varare una legge sulla continuità marittima sulla falsariga di quella che già esiste per i voli aerei.

MERCATO GLOBALE

Liberismo e dirigismo, vecchi rottami di fronte alla crisi di Gianfranco Polillo


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Per recuperare risorse (e competere in Usa) l’Ad Bono è pronto da tempo per sbarcare in Borsa. Ma la Fiom si oppone

Fincantieri,una privatizzazione fantasma di Vincenzo Bacarani resto sul tavolo del nuovo governo arriverà un altro nodo da sciogliere: la privatizzazione di Fincantieri. Ci aveva già provato il governo Prodi, ma senza risultati. Il piano di privatizzazione, con conseguente Ipo del 49 per cento del capitale, scritto dall’Ad Giuseppe Bono aveva trovato forti opposizioni da una parte del sindacato (Fiom-Cgil) e da parte dei partiti della sinistra radicale (Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi), in maggioranza la scorsa legislatura. Ora il problema torna a riproporsi, perché la controllata di Fintecna, a detta del management, soltanto così può trovare le risorse per affrontare la concorrenza. Intanto il resto del mondo non è stato a guardare: il colosso coreano del settore, la Stx, ha acquisito il 39,2 per cento della norvegese Aker Yards. Una mossa, all’esame di Bruxelles, che ha allarmato

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ne si sposta verso il Nordamerica. Dove, e non soltanto per le commesse militari, è necessario acquisire degli asset per partecipare alle gare. Ma la Fiom invece vede soltanto rischi dallo sbarco in Borsa. E ripete – forse con qualche ragione – che il settore è troppo ciclico. Eppoi finora Fincantieri ha potuto usufruire, grazie a buone relazioni internazionali, dell’ombrello statale e governativo per ottenere commesse all’estero.

Basti pensare soltanto all’ultimo accordo per la costruzione di quattro pattugliatori per la guardia costiera turca, che verrà completata entro il 2012: un accordo firmato agli inizi di maggio con il primo ministro turco Erdogan. In caso di privatizzazione, un nuovo management dovrebbe essere pertanto in grado di operazioni di marketing a tutto campo, anche con i regimi di Paesi stranieri. Insomma, per i sindacati sarebbe più sicuro “navigare” tranquilli con la protezione dello Stato, che, in caso di crisi, potrebbe intervenire. Sul mercato europeo, Fincantieri detiene il primato per le navi da crociera con il 40 per cento, davanti alla norvegese Aker (29). Parti invertite sui traghetti. Una fetta consistente di navi da crociera viene commissionata da Costa Crociere, nominalmente società italiana con sede a Genova ma di fatto appartenente al gruppo americano Carnival Corporation & Plc, con sede a Miami. Ebbene, Costa sta garantendo una sorta di “stipendio fisso” a Fincantieri con la programmata consegna di 5 navi da que-

L’ipotesi di alleanza con Aker Yards potrebbe rallentare la quotazione l’industria cantieristicha occidentali. Ma questa mossa potrebbe intrecciarsi con il futuro di Fincantieri: per lei si fa sempre più strada l’idea di un’alleanza con gli scandinavi per tamponare l’agguerrita concorrenza coreana e che non dispiace ai sindacati perché potrebbe rinviare la privatizzazione. E poco importa se l’operazione non piace al mercato: l’armatore Gianluigi Aponte ha promesso di mettersi di traverso. Eppure Bono continua a guardare alla privatizzazione, visto che la competizio-

egli Usa la Fed fa trasparire, seppure in modo soft, una nuova filosofia. Basta con l’eredità di Greenspan e il suo modo di operare: briglie sciolte al mercato e interventi ex post per gestire le crisi derivanti dagli eccessi speculativi. Ben Bernanke, attraverso uno dei suoi principali collaboratori, parla di prevenzione e regole per evitare nuovi fenomeni di moral hazard. Meditazione indispensabile dopo la crisi dei subprime e tutti i guasti prodotti dal mito della deregulation. In Islanda nuovo intervento dirigista delle banche centrali di Svezia, Norvegia e Danimarca. Sull’esempio inglese e americano, hanno concesso a Reykjavik

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uno swap di 1,5 miliardi di euro per sostenere un sistema bancario cresciuto troppo in fretta rispetto alle proprie fragili basi. Con un giro d’affari pari a dieci volte il reddito della piccola isola e una gigantesca esposizione internazionale, l’eventuale crack coinvolgerebbe tutti i Paesi limitrofi.

Notizie migliori sul fronte del gas. Un compromesso, a livello europeo, potrebbe sbloccare la questione della gestione delle reti. Una delle criticità del puzzle energetico. Fin’ora ogni operatore (la francese GdF, la tedesca E. On e l’Eni) ha mantenuto il controllo sulla propria infrastruttura, impedendo di fatto qualsiasi ipotesi di concorrenza.

st’anno al 2012. Il gruppo di Fintecna, che conta circa diecimila addetti, ha ottenuto comunque ottimi risultati negli ultimi tempi. L’assemblea degli azionisti di fine aprile ha approvato il bilancio 2007 e per il quarto anno consecutivo è stato distribuito un dividendo di 10,3 milioni di euro, pari al 3 per cento del capitale sociale. La produzione è aumentata dell’8,4 per cento rispetto al 2006 e l’utile netto è stato di 45 milioni. Per quanto riguarda l’attività produttiva, in particolare per il sito di Monfalcone, Fincantieri prevede l’assunzione di oltre mille lavoratori a partire dal 2009

Con gli effetti che tutti i consumatori possono vedere. Stando al nuovo accordo, le reti rimarrebbero proprietà delle singole compagnie petrolifere. Sarebbero tuttavia gestite da un nuovo soggetto economico (Trasmission system operator) in grado di introdurre un primo barlume di liberalizzazione. Fenomeni, come si vede, contraddittori. Da un lato forti dirigismi, dall’altro timide aperture. Sullo sfondo la necessità di un qualche ripensamento: le crisi succedutesi in questi anni, hanno messo a dura prova le diverse “teorie generali”. La vecchia impostazione dirigistica, tipica del socialismo europeo, è stata messa in crisi dalla velocità del cambiamento e dai

per far fronte alle nuove commesse. L’indirizzo strategico sembra quello di un potenziamento della capacità impiantistica con conseguenti ricadute positive sull’indotto.

Nel frattempo, si pensa a privatizzare. L’ingresso di denaro fresco e la prospettiva di un cambiamento nella politica commerciale, magari sfruttando anche joint-venture e acquisendo clienti privati che non siano soltanto Costa Crociere, potrebbe essere la risposta giusta a un mercato che si presenta ogni giorno sempre più aggressivo.

nuovi ritmi del mercato globalizzato. Una sfida impari che ha visto soccombere il vecchio Stato e la sua struttura novecentesca. Uguale sorte, però, è toccata alla scolastica del vecchio liberismo. Non a caso antecedente al formarsi di una cultura socialista. Le mani libere, il “laisser fair, laisser passer”, hanno creato mostri che hanno arricchito alcuni e danneggiato molti. Fino alla resa dei conti di questa crisi.

Come uscirne? Non è facile. L’unico dato certo è che le “teorie generali” non rappresentano più un vero antidoto. Sono tutte, anche se in misura diversa, inadeguate di fronte agli attuali e radicali cambiamenti. E allora me-

glio rifugiarsi nel pragmatismo. Vedere caso per caso, nel tentativo di arginare i fenomeni più vistosi e governare al meglio le situazioni di crisi. Ecco allora la Banca d’Inghilterra che critica la politica americana, ma a distanza di pochi giorni ne segue le orme per nazionalizzazione un importante istituto di credito. Mentre la Francia di Sarkozy continua a ostacolare ogni processo reale di integrazione del mercato europeo. E l’Italia di Silvio Berlusconi ricorre al prestito ponte per salvare l’Alitalia, in attesa di una cordata di soccorso. Fenomeni indubbiamente distinti. Ma significativi di quel regno dell’incertezza, con il quale dovremmo a lungo convivere.


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economia Da sinistra, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, e il suo omologo della Cisl, Raffaele Bonanni. In basso, Maurizio Sacconi. Il nuovo ministro del Welfare vedrà oggi le parti sociali per illustrare le misure di detassazione su straordinari e incentivi e per avviare un confronto costruttivo con gli attori della contrattazione

Oggi Sacconi vede le parti sociali per discutere di detassazione su straordinari e premi segue dalla prima Intanto la crisi del rapporto con la Fiom si è fatta più acuta e preoccupante. La potente federazione dei metalmeccanici si è apertamente schierata contro il progetto formulato da Cgil, Cisl e Uil sulla riforma delle regole della contrattazione nazionale. Questa presa di posizione è molto più gravida di conseguenze negative di quella assunta nell’autunno scorso nei confronti del protocollo del Welfare. E non soltanto perché inciderà sulla consultazione dei lavoratori. Questa volta non potranno essere i pensionati a salvare le segreterie confederali. Se una delle più importanti categorie dell’industria (ormai caduta nelle mani di un gruppo dirigente estremista) rifiuta i nuovi assetti, in nome della difesa a oltranza della contrattazione nazionale, significa che al momento della messa in pratica dei nuovi criteri non ci sarà modo di trovare intese ragionevoli con le controparti. Potrebbe mai la Confindustria prendere sul serio un negoziato e un accordo, già sconfessati anticipatamente

Troppo debole la Cgil per chiudere su salari e contratti di Giuliano Cazzola

Corso d’Italia è nell’angolo tra il riformismo di Cisl e Uil e le richieste di Confindustria. Per Epifani sarà difficile mantenere gli impegni sul secondo livello se la Fiom si metterà di traverso nel settore metalmeccanico? È chiaro, dunque, che la «trattativa del secolo» non partirà neppure questa volta. O, se anche dovesse iniziare per motivi di prestigio, uno dei principali interlocutori, la Cgil,

sarà talmente condizionata dai propri problemi interni da somigliare di più a un classico «convitato di pietra» che ad un soggetto pronto a cogliere le sfumature e le opportunità offerte dal negoziato. Che cosa faranno a quel punto Ci-

sl e Uil? E quale sarà l’atteggiamento della nuova leadership di Confindustria? È difficile ipotizzare una svolta radicale nel campo delle relazioni industriali in cui venga messa in conto anche la scelta di accordi «con chi ci sta». Ma non sarebbe neppure opportuno darla vinta ai «professionisti del veto». Spetterebbe, allora, al fronte padronale di drammatizzare una situazione ormai non soltanto insostenibile, ma sul punto di marcire. Le maggiori organizzazioni imprenditoriali dovrebbero – con l’appoggio del governo – decidere la disdetta del protocollo del 1993, proclamando nel contempo la propria intenzione di cercare direttamente accordi con i lavoratori. A quel punto qualcosa si metterà pur in moto. Certo, si aprirebbe un periodo di conflittualità «a macchia di leopardo», limitato alle realtà nelle quali la Cgil avrebbe la forza di «fare da sola». Ma prima o poi si arriverebbe a un auspicato chiarimento. Anche mettendo in conto la ridefinizione di un diverso pluralismo sindacale, che finisce per presupporre una scissione a corso d’Italia e la costruzione, alla sua sinistra, di un polo più radicale, capace di ricomprendere le organizzazioni del sindacalismo corporativo ed estremista.

Con Il decreto fiscale arrivano il taglio dell’Ici sulla prima casa e meno tasse in busta paga

Pronto un intervento da 4 miliardi ROMA.

Una bozza definitiva dovrebbe vedere la luce soltanto dopo l’incontro tra governo e sindacati, ma a Palazzo Chigi tirano un sospiro sul decreto fiscale, che domani dovrebbe essere approvato in consiglio dei ministri. Quattro miliardi in tutto, di cui più della metà per il taglio dell’Ici sulla prima casa e un miliardo e mezzo

per per la detassazione di straordinari e dei premi. Il provvedimento prevede una cedolare secca del 10 per cento che verrebbe applicata sulla parte variabile del salario fino a soglia vicina ai 5mila euro e un paletto da 35mila euro per usufruire della detassazione. Difficile poi che la misura venga estesa al pubblico impiego. Non si escludono interventi a favore di Anas e Ferrovie, slitteranno bonus bebè e divieto al cumulo pensionistico. Per la copertura, almeno un miliardo arriverà da un inasprimento della tassazione Ires per le banche soprattutto per la deducibilità degli interessi passivi, il resto da tagli alle spese dei ministeri e dallo stop ad alcune misure del decreto milleproroghe.


economia

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Luca Zaia, che in passato ha sfilato con gli allevatori a Vancimuglio, chiede di aumentare i livelli di produzione

Quote latte,il ministro Cobas sfida la Ue d i a r i o

di Irene Trentin

d e l

g i o r n o

Pmi: primo trimestre negativo Gli allevatori del Nord sono pronti a tornare a protestare se l’Unione non aumenterà il livello di quote latte a favore dell’Italia e non concederà loro sconti e agevolazioni sul pagamento delle multe. Una difficile mediazione attende il ministro Zaia

ROMA.

«Queste vacche non le vuole nessuno? Portatele a casa mia». Fu così che l’allora presidente della provincia di Treviso, Luca Zaia, aveva dato ospitalità a dieci mucche sotto il porticato del suo ufficio. Era un modo per protestare contro il regime delle quote latte e assicurare appoggio agli allevatori del Nordest. E ora che da ministro delle Politiche agricole affronta la prova del nove al consiglio dei ministri di Bruxelles, il piglio deciso non è cambiato: «Non vogliamo celebrare il funerale di molte imprese. Le nostre stalle non devono chiudere». In sede Ue la situazione è complessa. Non a caso Zaia ha spiegato: «Non siamo qui col lanciafiamme, vogliamo cercare di capire. La divisione che è stata fatta, per cui stiamo dando più latte da produrre a Paesi che non riescono a produrlo e meno a chi ha bisogno, non mi piace. L’Italia ha il peggiore rapporto tra produzione e autoconsumo».

Eppoi c’è il problema delle multe: su tre miliardi comminati, l’Italia ne deve da pagare ancora due, 560 milioni di euro solo per il 2008. «Eppure in Europa c’è ancora margine per produrre di più. L’Unione dovrà darci una mano per permettere ai nostri allevatori di mettersi in regola, concedendo sconti e tempo supplementare per pagare le multe, perché la via della rateizzazione delle sanzioni scelta in passato è stata pesante. Altrimenti si potrebbe arrivare allo scontro». La fitta agenda del ministro prevede oggi a Strasburgo anche la di-

scussione della riforma della Pac la Politica agricola comune - che segnerà proprio la fine del sistema delle quote latte, entro l’aprile 2015. Fino a allora, e per ogni anno, i singoli Paesi potrebbero ottenere un aumento di produzione dell’uno per cento: l’Italia passerebbe dalle attuali 10,74 milioni di tonnellate a 11,17 milioni nel 2014-2015. Il ministro è intenzionato a difendere duramente questa proposta. Anche perché se l’Italia regolarmente sfora le quote di produzione, altri Paesi dell’area producono meno e vorrebbero mantenere le quote. Tra questi la Francia che non è disposta a cedere agli altri Stati le quantità inutilizzate.

Sul tavolo le multe pregresse da 2 miliardi, con l’Italia che punta a ottenere dall’Unione sconti e più tempo per mettersi in regola «Chiediamo che fino all’abolizione completa delle quote», interviene il presidente dell’Anpa Veneto, già leader dei Cobas del Nordest, Paolo Casagrande, «si consideri la produzione complessiva in ambito europeo. Siamo convinti che Zaia lo abbia capito. Finalmente c’è un ministro che capisce i nostri problemi. Per questo siamo fiduciosi che saprà presentare le nostre richieste e si batterà fino alla fine per tutelare i nostri diritti e la nostra produ-

zione». E in molti ricordano che nel periodo caldo di Vancimuglio, a fine anni Novanta e poco prima di diventare il numero due della Regione Veneto, Zaia si era schierato con i Cobas, salendo sui trattori e rischiando addirittura un processo per aver bloccato l’autostrada dell’aeroporto Marco Polo di Venezia. Ora, da Bruxelles, si batte per la sicurezza alimentare, chiedendo «una linea di prudenza» sui prodotti transgenici «definendo le sperimentazioni perché l’Italia non ha piani di coesistenza». E si trova d’accordo col collega greco Alexandros Kontos sulla necessità di salvaguardare le aziende comunitarie del tabacco.

Appena rientrato in Italia, dovrà affrontare la protesta dei prosciutti Dop, con obiettivi e priorità che saranno individuati nel tavolo di settore assieme ai produttori delle sedici denominazioni protette italiane, per il rilancio della filiera. Ma tra i suoi obiettivi principali rimane la difesa della tipicità dei prodotti veneti. Su questo punto era arrivato a scontrarsi, due anni fa, con il suo predecessore Paolo De Castro arrivato a Conegliano a inaugurare l’ispettorato contro le frodi. Zaia, nato lì, voleva far diventare sede nazionale dell’Authority di tutela dei prodotti alimentari, che l’ex ministro aveva invece deciso di portare a Foggia, la sua terra. Ma i due si sono riconciliarsi al passaggio di consegne del nuovo governo, scambiandosi un cesto di radicchio trevigiano con uno di orecchiette pugliesi.

Produzione e ordinativi in calo per le piccole e medie imprese italiane (fino a 500 dipendenti) nel primo trimestre dell’anno. Il consuntivo del periodo, fornito dalla consueta indagine congiunturale del Centro studi di Unioncamere, evidenzia un andamento della produzione di segno negativo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (-1,6 per cento) indicando quindi una inversione di tendenza rispetto alla media relativa ai quattro trimestri del 2007 (+1,2 per cento).

Eni: accordo in Congo Eni ha firmato un accordo con il governo della Repubblica del Congo per lo sfruttamento di oli non convenzionali in sabbie bituminose a Tchikatanga e TchikatangaMakola, due aree da complessivi 1790 kmq. I primi rilievi su una porzione di 100 kmq hanno portato a stimare riserve di 0,5-2,5 miliardi di barili (7mld le riserve attuali del gruppo). La produzione prevista a regime, dal 2014, sarà di 40mila barili al giorno, l’investimento un miliardo.

L’Arabia non frena la corsa del greggio È durata poco la tregua del petrolio. Appena i mercati Usa si sono risvegliati, i prezzi hanno ripreso a salire e a New York, il contratto scadenza giugno sul Wti crude oil, ha segnato un valore di 126,5 dollari al barile in rialzo dello 0,35 per cento rispetto alla precedente chiusura di venerdì. Non sembra avere avuto effetto la dichiarazione da parte dell’Arabia Saudita di un aumento della produzione di 300mila barili al giorno.

Benetton: nessun nuovo socio in Sintonia Alessandro Benetton, vicepresidente di Benetton Group e consigliere di Edizione Holding fa sapere che «al momento non sono all’orizzonte ingressi di nuovi soci in Sintonia, la società dei Benetton che si occupa di investimenti nelle infrastrutture». Questo non frena però le ipotesi di altri accordi in altri settori. «Dovremo - afferma Benetton - cominciare a vedere gli effetti della joint venture con il gruppo Tata sul marchio Sisley in India e ne abbiamo in mente un’altra che annunceremo prima della fine dell’anno». Questi i piani di Benetton Group che «fra qualche settimana» dovrebbe annunciare anche «un’intesa in Centro America con un importante partner». Sul caso Alitalia, il manager, non fa trapelare niente, anzi con una battuta evidenzia «siamo rimasti a terra» dichiarandosi però favorevole a un «progetto italiano» per la compagnia di bandiera.

Germania: la crescita rallenterà nel 2008 La crescita economica tedesca dopo l’inatteso +1,5 per cento del I trimestre rallenterà nel resto dell’anno, mentre il tasso di inflazione resterà elevato fino all’autunno. E’ la previsione della Bundesbank che, nel suo rapporto mensile, sottolinea come il forte inizio anno evidenzi l’intatto potenziale dell’economia tedesca. Il ritmo di crescita, secondo l’istituto, frenerà visto anche il ”business sentiment” espresso dalle società che prevede una fase di espansione più tiepida.

Quote rosa nelle public company Oman e Kuwait meglio dell’Italia. Nei consigli di amministrazione delle public company, le società ad azionariato diffuso, presenti in Oman e Kuwait, ci sono più donne che in Italia e Giappone, e questo nonostante nei due Paesi arabi le donne imprenditrici non siano proprio così comuni. Secondo un articolo pubblicato dal Financial Times in Oman e Kuwait le donne costituiscono il 2,7 per cento dei consigli di amministrazione delle public company, contro il 2 per cento dell’Italia e lo 0,4 per cento del Giappone. I dati sono tratti da una ricerca di TNI, una banca d’investimenti di Abu Dhabi.


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calcio L’Inter vince ma la sua sofferenza ha radici antiche

on sarà più la Beneamata. O perlomeno , dopo questo “benedetto sedicesimo” scudetto, (il paragone è blasfemo, ma in troppi lo sentono come un miracolo) lo sarà molto meno. D’altronde l’aveva spiegato chiaramente il mitico avvocato Peppino Prisco a chi scrive, (e che si onora di esserne stato l’unico biografo e talvolta il confidente discreto): «L’Italia è un Paese che ha nostalgia di un re: ha trovato un succedaneo in Agnelli, e, nel calcio che è la fotografia della nazione, si è abituati ad inchinarsi a sua maestà…». Tornata, dopo Calciopoli, la repubblica, e finita la dittatura dolce del Milan berlusconiano, l’Inter è ridiventata la candidata più logica all’effimero trono del pallone: sia per il nobile pedigree di una storia centenaria, sia perché oppressa dal tifo rumoroso di molti “perdenti di successo”. Negli ultimi anni infatti si è trovata dall’amore avviluppata immaginario dei divi della canzone, dello spettacolo, dell’informazione; tutti attirati, oltre che dalla virata “buonista” della società all’insegna del “politically correct”, dalla sua natura di squadra “bella e impossibile”, capace di dilapidare risorse di ogni genere e nel sentirsi quasi sempre destinata alla bellezza inarrivabile della romantica sconfitta.

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Un a si mp ati a p erico lo sa , sul modello di chi “piace alla gente che piace” e che faceva rimpiangere a non pochi quel sangue popolare che ne aveva contraddistinto nella storia la forza e il fascino e che aveva sempre dato sana concretezza e realistico cinismo alla natura nevrotica e imprevedibile impressa da un secolo nella genetica nerazzurra. Anche questa volta il rischio di vedersi sfuggire l’obiettivo dalle mani era quantomai presente, con tutti quei precedenti: neutralizzato soltanto dal ritorno improvviso di quel vichingobalcanico, Ibrahimovic, che proprio dalla sua seria dimensione popolare sembra ritrovare in ogni occasione il genio della vittoria. Chissà, forse questo appassionante finale di campionato

Bella senz’anima: una società da rifare di Giuseppe Baiocchi

tutto il quantum di faziosità e di risentimento che ciascuno si porta dentro. E se è davvero completo lo sfogo trasgressivo, poi si ritorna in tutto il resto della vita più lucidi, più moderati, più comprensivi e magari più compassionevoli.

Tornando all’Inter, è certamente la squadra che ha il primato nel far soffrire: e anche il simpatizzante più lontano già s’interroga sulle sfide aperte e irrisolte. La squadra, dopo anni di tentativi e di correzioni, c’è, ma è incompiuta, non è ancora “grande”. Le tensioni con l’allenatore e lo spogliatoio non sono sanate. La società appare inquieta: dal conflitto con i sanitari per i troppi infortuni alle sgradevoli vicende delle intercettazioni traspare un clima non sereno che non si lascia nascondere sotto il mantello dell’immagine e dell’impegno sociale… E, a cominciare dal-

Anche l’avvocato Peppino Prisco, storico vicepresidente, avrebbe avuto difficoltà a inquadrare la stagione della sua ”Internazionale” quasi sempre destinata alla bellezza inarrivabile della romantica sconfitta

(con la Roma bella e tenace, la crescita della Juventus operaia, la voglia di riscatto di un Milan esausto) restituirà un po’ di magìa a un calcio italiano scosso dalla mutazione genetica provocata un decennio fa dall’infelice legge Veltroni-Melandri , che accettando lo scopo di lucro per le società sportive (con conseguente quotazione in Borsa) ne ha avallato la preminenza del business e ne ha incattivito le tifoserie, più o meno organizzate.

Dopo gli scossoni di assestamento, forse tornerà davvero

il gioco, la forza accettata delle regole (“anche se copyright Prisco – tra arbitri e arbitrìi è solo una questione di accento”), il fascino autentico del rettangolo verde dove si consuma l’umana metafora della guerra: quando cioè si scarica, nell’irrazionale passione sportiva,

l’appassionato presidente Moratti, tutti sono consapevoli che la vera ambizione non può non essere che l’Europa. D’altronde è un destino che l’Inter si porta con sé perfino nel nome. Cento anni fa, fu fondata da soci secessionisti del Milan che rifiutavano l’autarchia calcistica e volevano, in una città già allora metropoli europea, una squadra con calciatori di nazionalità diverse. E per questo da subito si chiamò “Internazionale”. Ma se non sono più i tempi del fascismo (quando fu costretta dal regime ad appiccicarsi anche l’etichetta di “Ambrosiana-Inter”), questa Champions League bisogna vincerla, dopo più di quarant’anni di digiuno.

Il traguardo è chiaro, l’impresa è ardua, ma non scantonabile: certo ci sono i giocatori, lo staff tecnico è da irrobustire, la società potrebbe essere più coesa e determinata. Ma forse occorre anche un’altra “anima”. E chissà, se al riguardo può metterci una buona parola anche Peppino Prisco da lassù, dal “nerazzurro dei cieli”.


cinema Sopra e in basso alcune scene di ”Sanguepazzo”, il film del regista Marco Tullio Giordana interpretato da Luca Zingaretti e Monica Bellucci. Sotto, i personaggi che hanno ispirato la pellicola: la ”coppia diabolica” Osvaldo Valenti e Luisa Ferida

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Presentato a Cannes il film di Marco Tullio Giordana ispirato alla coppia Ferida-Valenti

Il ”Sanguepazzo” dei vinti di Priscilla Del Ninno gli inizi della mia carriera non fu possibile trovare qualcuno disposto a investire tanti soldi su di me. Il progetto di un film su Luisa Ferida e Osvaldo Valenti girò per i tavoli di una mezza dozzina di produttori, due o tre volte cominciai addirittura la preparazione, poi tutto s’insabbiava. C’è da dire che all’epoca la televisione non voleva assolutamente intervenire in un progetto giudicato pericoloso: il fascismo, Salò, il sesso, la cocaina, i partigiani che fucilano senza processo… meglio lasciar perdere, meglio non cercare grane! Si sarebbe, semmai, potuto farlo proponendolo a due star americane, girandolo quindi in inglese. Non che fossi contrario per principio, ma questa storia mi sembrava troppo nostra, troppo italiana per andare così lontano»… Così Marco Tullio Giordana racconta la genesi e la tormentata evoluzione del progetto di Sanguepazzo, la sua ultima fatica d’autore presentata ieri a Cannes nella vetrina delle proiezioni speciali. Il film, una coproduzione italofrancese, in collaborazione con Raifiction, Raicinema e Canal+, e realizzato con il contributo del Ministero dei Beni Culturali e il sostegno di Euroimages, sarà distribuito dalla 01 Distribution già a partire da venerdì 23 maggio. A tenere le fila del racconto in un cast che nella coralità della narrazione annovera prestigiosi ruoli secondari come Alessio Boni, Mattia Sbragia, Maurizio Donadoni, due protagonisti come il camaleontico Luca Zingaretti e la fatalissima Monica Bellucci, chiamati a far rivivere sul grande schermo divismo maledetto e tempe-

«A

ramento drammatico di due protagonisti del cinema dei “telefoni bianchi”, due personaggi discussi le cui biografie, ancora oggi, vengono raccontate in maniera diametralmente opposta da destra e da sinistra.

Stupisce, allora, la curiosità filologica, il desiderio storico e il bisogno cinematografico di un cineasta come Giordana, che riavvolgendo il nastro di celluloide arrivato all’epilogo della Meglio Gioventù, torna indietro al prologo messo in scena fino al tragico finale da quegli eroi anni Trenta, belli e dannati, protagonisti di una stagione in cui «nelle pellicole rassicuranti e perbeniste del cinema dei “telefoni bianchi”, avevano sempre recitato la parte dei cattivi, turbando l’Italia piccolo-borghese con personaggi che avevano eco anche nella spregiudicatezza della loro vita privata». Protagonisti, e al tempo stesso vittime giustiziate dai partigiani, senza che «durante la loro detenzione venisse mai formalizzata un’accusa precisa. Nella loro storia, allora, più che contestazioni di fatti – prosegue il cineasta de I cento passi - furono decisivi nella condanna elemen-

Maria Volonté o di Giangiacomo Feltrinelli. O ancora, ipotizzare un film di Pasquale Squitieri che ripercorra le vicende, umane e politiche, dei fratelli Rosselli. Difficile? Eppure queste azzardate ipotesi non sono altro che l’immagine speculare di performance saggistiche e artistiche di uomini di cultura schierati a sinistra, e di cui risuonano ormai da tempo le cronache e i commenti. I libri di Pansa sul “sangue dei vinti”, fiction televisive come quelle sulle foibe, e ora la pellicola di Giordana che racconta l’ascesa, e soprattutto il tragico declino, della “coppia diabolica”Valenti-Ferida, rappresentano un importante momento collettivo di rilettura del nostro recente passato. Un’esigenza, questa, avvertita dalle intelligenze più avvedute del Paese, e caratterizzata dal fatto che legittimata ad assolverla sembra essere soprattutto una parte di esso: vale a dire tutti quegli intellettuali dotati di un impeccabile pedigree progressista. Insomma, del fascismo e dei suoi personaggi-simbolo, può scrivere soltanto chi è o è stato sul fronte contrapposto. Certo, va detto che nel fascismo vi fu tutto e il contrario di tutto: Dio, Patria e Famiglia insieme con le trasgressioni elitarie a base di sesso e droga; la celebrazione dell’Italia rurale e le frenesie del Futurismo; il bacchettonismo baciapile e il mangiapretismo più becero; Strapaese e Stracittà; il fascino della scienza e il sotterraneo richiamo dell’esoterismo; il cinema fatuo dei “telefoni bianchi” e le retoriche celebrazioni della romanità, accanto ai primi esperimenti del Neorealismo.

L’ascesa e il declino di due discussi protagonisti del fascismo e di Salò, attraverso storie di sesso, cocaina e arbitrarie fucilazioni partigiane ti di natura leggendaria. Valenti e la Ferida avevano prestato il loro fascino al Regime fascista, aderito a Salò, collaborato coi tedeschi, lucrato al mercato nero. Si erano sempre comportati al di sopra di qualsiasi legge, contraddicendo ogni buonsenso e decenza, perfino orgogliosi della loro dubbia fama». Come a dire che i due divi – tenebroso, ambiguo, istrionico, irriverente e cosmopolita lui; sensuale, appassionata e ammaliante lei - colpevoli ideali, avrebbero pagato per dare il buon esempio a tutti. Angolazione prospettica che, scelta da un cineasta come Giordana, suona un po’ come immaginare un saggio di Marcello Veneziani sulla vita di Rosa Luxembourg. O cercare di pensare a un romanzo di Pietrangelo Buttafuoco dove si narrino la carriera artistica e l’impegno politico, che dire, di Gian

Va notato, però, che in questo ricco trovarobato, mentre il regista Renzo Martinelli, nel più recente film attualmente nelle nostre sale, ha rispolverato il mito solare dell’eroe, personificato in quegli anni da Primo Carnera, il collega Giordana è andato a ripescare gli amanti dannati, acclamati divi degli anni del consenso e reprobi cocainomani, nonché sospetti torturatori con la banda Koch nel periodo della Repubblica sociale, a Salò. Angolazioni prospettiche, cinema, storia e filologia a parte, la scelta di campo è inequivocabile comunque…


cultura

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Parla John Banville, lo scrittore che torna a mettere insieme gli umori della verde terra di Dublino e la grande cultura mitteleuropea

Praga? È in Irlanda di Filippo Maria Battaglia n Giano bifronte o, se preferite, un romanziere piuttosto eclettico. Le definizioni su John Banville, scrittore irlandese di punta della generazione nata nel secondo Dopoguerra, si sprecano. Per dirne solo due: George Steiner lo ritiene uno «tra gli scrittori più eleganti e intelligenti di lingua inglese». Don DeLillo ha parlato invece di «un talento quasi feroce nel leggere l’anima degli uomini». Descrizioni distanti, ma entrambe veritiere, per uno scrittore difficilissimo da circoscrivere in una casella critica o in una sintetica definizione, capace però di coltivare anche in Italia una folta schiera di aficionados ai suoi libri, tutti pubblicati per l’editore Guanda. La produzione di Banville oscilla tra romanzo di formazione, cahier di viaggio e giallo, quest’ultimo genere scritto sotto l’eteronimo di Benjamin Black. L’ultimo libro, un sofisticato noir ambientato in una Dublino cattolica e un po’ perbenista, si intitola Dov’è sempre notte, anche questo è stato stampato per i tipi della casa editrice diretta da Brioschi, ma in Italia è apparso senza il suo tradizionale eteronimo. Su questa doppia vita di scrittore è la prima domanda dell’intervista che liberal gli ha fatto a margine della seconda edizione del Premio Vallombrosa Gregor Von Rezzori, organizzato da Beatrice Monti della Corte e dalla provincia di Firenze e dedicato allo scrittore cosmopolita scomparso nel 1998. Che rapporto c’è tra lei e Benjamin Black. E perché in libreria siete due persone diverse? L’identità di Benjamin Black è nata da un atteggiamento più giocoso nei confronti della narrativa e per un genere, il giallo, decisamente più “leggero”. Era inevitabile quindi che, per poter fare questo, dovessi neces-

U

sariamente travestirmi con un altro personaggio. Ma tra i due autori a chi si sente più legato e con quale si diverte di più? Posso confessarle una cosa: non mi piace nessuno dei due. A parte gli scherzi, credo però di divertirmi a scrivere di più come Benjamin Black. E per una semplice ragione: Black scrive in modo più rapido e più fluente. John Banville è invece uno scrittore lento: se scrive due o trecento parole in una giornata è già molto fortunato; Benjamin, al contrario, se ne verga due o tremila non ha fat-

Dietro la fiction dovrebbe sempre esserci una testa pensante, ma la narrativa non è uno strumento usato per fare pensare in generale

dell’autenticità - questione che alla base del mio tempo e che verte più precisamente su come vivere la vita in modo autentico – è certamente centrale nella nostra epoca. Personalmente, credo che uno degli effetti del violento e distruttivo secolo che è appena finito sia stata la frammentazione identitaria, o meglio il fatto che abbiamo perso il senso di noi stessi. A proposito di identità, spesso nei suoi libri c’è un personaggio incaricato di indurre il protagonista a fare i conti con sé stesso, e quindi a rivalutarsi. E tale personaggio è sempre piuttosto eccentrico. Come mai questa scelta? Perché sono un romanziere. Se devo essere sincero, io non ero affatto consapevole di questa mia predilezione finché lei non me lo faceva notare. Anche perché gli artisti, scrittori compresi, non sono interessati alla vita, ma all’arte. E qui bisognerebbe evitare un fraintendimento: la gente, ma anche molti tra gli addetti ai lavori, pensano che i libri nascano dalla vita. Nulla di più falso: i libri non nascono dalla vita, nascono semplicemente da altri libri. E l’ambizione della maggior parte degli scrittori è di scrivere libri che nascano dal nulla: era questo il desiderio di Gustave Flaubert, era questo il desiderio di James Joyce. Ma questo, purtroppo, è quasi sempre irrealizzabile: i romanzi, nella maggior parte dei casi, devono nascere infatti da qualcosa, e quindi nascono dalla realtà. Il fatto è che la realtà non è un aiuto, ma un ostacolo. Ed è per questo che i personaggi dei miei romanzi non sono delle persone vere, ma piuttosto delle invenzioni, anche se costituiscono tutti una piccola parte di me. Quindi, tutto ciò che scrive uno scrittore su un personaggio è in qualche modo una versione modificata di sé stessi. Esatta-

to nulla di eccezionale. Il rapporto identitario domina tutti i suoi libri, dall’Intoccabile all’Eclisse. Secondo lei, al giorno d’oggi, uno scrittore può scegliere di non porsi questo tema nella stesura di un romanzo? È vero: io scrivo di questo tema piuttosto spesso. La questione

Il motto di John Banville (a destra) è una frase letta sui diari di Kafka: «L’artista è un uomo che non ha assolutamente nulla da dire». Lo scrittore non è molto informato sulla narrativa italiana, ma considera il suo amico Claudio Magris (sopra) un grande scrittore. Nella pagina accanto dall’alto Franza Kafka, Milan Kundera e Thomas Mann

mente alla stesso modo per cui i nostri sogni non sono popolati da persone altre, come noi spesso pensiamo, ma di molte varianti di noi stessi. Ma nei suoi libri, oltre all’identità, c’è anche spesso l’aspetto rievocativo, che però per sopravvivere sembra debba essere sempre protetto dal ricordo. Una sorta di zona incontaminata, pronta ad infran-

gersi appena si passa dall’immaginazione all’azione. Il nostro rapporto con il passato e con il ricordo è piuttosto controverso. Io non penso che noi ricordiamo il passato. Per me, la memoria è già di per sé immaginazione. Le faccio un esempio chiaro: ieri sono tornato a Lucca dopo venticinque anni e credevo di ricordarmi molto bene della città, credevo


cultura

20 maggio 2008 • pagina 21

stimoni, Angelo Maria Ripellino, che con la sua Praga Magica ha scritto un libro straordinario, come solo un’invenzione letteraria poteva essere. Nella mia formazione, la letteratura mitteleuropea ha avuto un ruolo centrale sin dai primi anni. Quando ero giovane, ho cominciato a leggere i grandi “romanzieri di idee”come Franz Kafka e Thomas Mann. E mi hanno subito folgorato. Anche perché sono stato sempre convinto che la migliore narrativa sia quella che, per così dire, “pensa”. Sono un amico di Milan Kundera e gli sento spesso ripetere che gli esseri umani seguono il cuore (addirittura lui si raccomanda che essi lo facciano sempre). Ma il problema è che quello che ha creato più disastri del mondo è stato il cuore. Forse, è arrivato il momento di seguire la mente. Allo stesso tempo il mio motto è una frase meravigliosa che ho letto sui diari di Kafka: «L’artista è un uomo che non ha assolutamente nulla da dire». Ma tutto ciò non è contradditorio con il suo amore per i cosiddetti “romanzieri di idee? Nient’affatto. Una volta, Eliot ha detto, sapendo di dire un paradosso, che non è un compito dell’artista pensare. Sono d’accordo con lui: non penso che la narrativa debba essere didattica. Ecco perché quando parlo di “romanzieri di idee”alludo al fatto che dietro la fiction dovrebbe sempre esserci una testa pensante, ma non di certo all’idea che la narrativa sia uno strumento usato per fare pensare in generale. Sono due cose molto diverse. Per parafrasare la frase di Kafka e per spiegarmi meglio, forse si potrebbe dire che l’artista è un uomo che non ha opinioni. E che tutti gli artisti non hanno né dovrebbero avere opinioni. Un esempio? Tempo fa, ho chiesto a Cormac McCarthy, autore di romanzi ambientati nel west, qualcosa sui cavalli. Ebbene, lui mi ha risposto sbalordito: «Ma io non ho mai saputo niente di cavalli!». Quando chiesero a James Joyce perché avesse usato il parallelo omerico con l’Ulisse, lui rispose candidamente: «perché è un mezzo per raccontare una storia». Allo stesso modo, quando ho scritto un libro che aveva una materia scientifica (La notte di Koeplero, n.d.r.) mi vennero fatte delle domande di scienza, ma io le posso assicurare che non so proprio nulla in tal senso. Ritratti di Praga racconta anche il rapporto tra città

profondità mentre patisce la fame in una soffitta. Le opere migliori, sostiene l’autore di 1984, si scrivono in una stanza confortevole, con un bel fuoco che arde nel caminetto e qualcuno che ti serve con regolarità salutari tazze di tè forte e caldo. Nulla di più vero. Personalmente devo però integrare questa versione. Io posso scrivere infatti i miei libri soltanto a Dublino, nella mia stanza, sulla mia scrivania, e in particolare davanti al mio pezzo di muro. Mentre posso scrivere altrove - ad esempio in un posto suggestivo come Santa Maddalena - tutto il resto: i gialli di Benjamin Black, le recensioni per la New York Riview of Books e altri vari pezzi. Ma sono due cose diverse. Perché per scrivere i miei libri ho bisogno di una concentrazione assoluta, e riesco a concentrami così solo in un posto particolare e definito. Santa Maddalena, che per quarant’anni è stata la residenza dello scrittore Gregor Von Rezzori, ha offerto e continua a offrire ricovero ed ospitalità a grandi scrittori stranieri. Ed il premio Vallombrosa è proprio dedicato a Von Rezzori. Ha un suo ricordo in particolare? Ho incontrato Gregor una sola volta, anni fa, a Torino. Abbiamo trascorso un pomeriggio insieme, c’erano anche altre persone e l’ho apprezzato moltissimo. Spiritoso, vagamente misterioso e con una particolare sensibilità per l’assurdo. Anni dopo, ho goduto dell’ospitalità della fondazione Santa Maddalena a Donnini, con una vista davvero magnifica e con l’affettuosa disponibilità di Beatrice von Rezzori. Di suo marito Gregor, in questi giorni, sto rileggendo Sulle mie tracce, una sorta di autobiografia mascherata con le storie di atri personaggi. È la seconda volta che lo leggo, ed è un libro che sto ammirando ancora di più (il che, beninteso è un grande complimento per un libro). È denso, profondo, commovente. E sulla narrativa contemporanea italiana? Che giudizio ne dà? Tra gli italiani, il mio amico Claudio Magris è certamente un grande scrittore. Danubio è un capolavoro. Per il resto, non sono molto informato: il problema è che quando uno raggiunge la mia età non legge più molto narrativa contemporanea, per cui non mi sono tenuto aggiornato né sulla produzione irlandese né su quella europea e quindi neppure si quella italiana.

Quando ero giovane, ho cominciato a leggere i grandi “romanzieri di idee” come Franz Kafka e Thomas Mann. E mi hanno subito folgorato

di avere delle immagini molto nitide e specifiche nella mia mente. Ebbene, non corrispondevano affatto a quello che ho rivisto. Ciò mi ha confermato il fatto che noi, quando ricordiamo, in realtà inventiamo e rielaboriamo. Tuttavia, per creare un mondo che sia reale, dobbiamo sempre immaginarlo come se esistesse. E questo processo di ricordare il passato si svolge e si completa tutto nel-

l’immaginazione. Un processo talmente fondamentale a tal punto da poterlo identificare con quello di cui noi viviamo. In Ritratti di Praga, lei dedica ampio spazio alla letteratura cecoslovacca, ed anche ai suoi più abili divulgatori ed ammiratori. Che rapporto ha con quella tradizione? Fortissimo. In Italia è vissuto uno dei suoi più importanti te-

e scrittori, e più in generale la relazione che nasce tra scrittura e luoghi. Come le dicevo, il vero problema di chi fa narrativa è che la gente pensa che il lavoro dello scrittore sia descrivere esattamente ogni cosa. Ed invece la narrativa non ha un rapporto così diretto con la realtà, è solo un pretesto, come testimoniano tutte le opere dei più grandi scrittori degli ultimi secoli. Ma c’è anche un altro “luogo”, quello cioè dove lo scrittore vive e lavora. In un suo saggio, George Orwell, sfata bruscamente il mito dell’artista che genera capolavori di ineguagliabile


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

Ma voi credete all’efficacia della medicina alternativa? MEGLIO LA MEDICINA TRADIZIONALE, QUELLA OMEOPATICA GIOCA SULL’EFFETTO PLACEBO Ho sperimentato per un annetto la medicina alternativa. Per la precisione, quella omeopatica. Devo ammettere che per i primi sei, sette mesi dall’inizio della cura (nulla di che, semplici allergie e intolleranze alimentari) l’omeopatia ha funzionato. Dopodiché, niente di niente. Effetto placebo iniziale? Probabilmente sì. E forse tutto il business economico che gira intorno alle cure alternative fa leva proprio su questo.

Gaia Miani - Roma

MA VE LA SENTIRESTE DI AFFIDARE UN TUMORE A CURE NON CONVENZIONALI? L’espressione ”medicina alternativa” è piuttosto vaga, perché comprende tutte le medicine non conformi a quella cosiddetta ”convenzionale”. Alcune di esse hanno storia millenaria e forse anche una certa validità. Per esempio l’agopuntura per alleviare un dolore o per migliorare una contrattura muscolare, ma di certo non per curare patologie importanti. L’omeopatia, che si basa sul similia similibus curantur, dovrebbe curare una malattia con quantità infinitesimali della stessa sostanza che la pro-

LA DOMANDA DI DOMANI

Giusta la decisione del ministro Carfagna di negare il patrocinio ai gay pride? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

voca. Ma ve la sentireste di affidare a questa scienza un tumore maligno? E’ recentissima la morte di quella ragazza diabetica a cui è stata sospesa l’insulina, sostituita con vitamine da una donna che usa medicina alternativa. Credo a questo punto che la risposta alla vostra domanda sia scontata. Cordialmente ringrazio.

Stefania Salvati - Padova

NON CREDO SIA COSÌ SEMPLICE CAPIRE LA VALIDITÀ SCIENTIFICA DI MEDICINE ALTERNATIVE Ci sono molte medicine alternative a quella convenzionale, alcune orientali che vengono usate da centinaia di anni, ma non credo che sia facile capire la loro validità scientifica e onestamente mi chiedo: ma se fossero in grado di curare le malattie, perché la medicina tradizionale, che è molto più recente, esiste? E soprattutto, perché ancora esistono malattie non curabili da questa? Certo la recente morte di quella ragazza i cui genitori si erano affidati a una ”medicina alternativa” pone molti dubbi sulla validità della stessa, anche solo empirica. Grazie per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale. Cordialmente, distinti saluti.

Agnese Viola - Bologna

PENSO CHE ALCUNI FARMACI OFFICINALI SIANO PIÙ EFFICACI DI MOLTI ALTRI TRADIZIONALI Credo fermamente nelle cure officinali, omeopatiche e alternative. Ovvio, credo anche nella medicina convenzionale. Ma penso che quest’ultima serva soprattutto per le diagnosi e per le indagini mediche, come tac, risonanze, radiografie. Ma per quanto riguarda le vere e proprie cure, i medicinali, sarebbe opportuno contare di più sulla medicina alternativa. Ci sono farmaci molto meno invasivi di quelli tradizionali eppure efficaci lo stesso. Certamente, per le malattie più importanti occorre un connubio di entrambe le soluzioni, è evidente. Ma per curare sintomi e malattie più comuni, come tosse o traumi minori, possono davvero bastare (e bene) le piante. Grazie per l’attenzione. Cordialità e distinti saluti.

UGO LA MALFA E I FANNULLONI Uno dei Padri delle Patria, patrimonio culturale di quello che dovrebbe essere un’alleanza di centro alternativa, se non cambia la legge elettorale, è Ugo La Malfa. Cosa diceva sul tema dell’efficienza della struttura pubblica negli anni ’60? Il problema del funzionamento in termini di efficienza ed economicità delle strutture pubbliche, riteneva già allora, può condizionare l’avvenire e lo sviluppo dell’Italia. Pensava che il considerare da parte dei partiti e loro rappresentanze, le Istituzioni terreno di conquista e di manovra partitica, determinava il loro deterioramento. La ragione di fondo? L’italiano è di per sé individualista, asociale ed egoista e se la struttura pubblica non dà l’esempio di gestione severa, saranno guai per tutti. Lo spirito partitico può fondersi quindi con questo spirito genetico caratterizzato da scarso senso collettivo dell’italiano e trasformarsi in clientelare e personalistico, facendo perdere obbiettività e correttezza nella gestione. Inoltre invitava a porre attenzione alla tendenza al decentramento in quanto potrebbe, natu-

GLI OCCHI DI SHIVA

Il volto truccato di un abitante del villaggio indiano di Sona Palasi, così dipinto per prendere parte a un rito dedicato alla divinità Hindu Shiva. Scopo della cerimoina, che si ripete tutti gli anni, dissotterrar cadaveri a ritmo di danza e stringendo in mano teschi e ossa umane

SILVIO BERLUSCONI CAMBIA, ADRIANO CELENTANO NO Adriano Celentano scrive al Corriere: «Silvio Berlusconi è cambiato, io ci credo». E io scrivo a Lei, Direttore: Adriano Celentano è un opportunista e ha capito bene che se non avesse cambiato ”musica” non avrebbe cantato per cinque anni, salvo proroghe. Questo signore è un altro di quelli che appartengono alla famiglia dei ”tuttologi”. E i risultati culturali nei mass media si possono toccare con mano. I Grillo, i Parietti, Moretti, Celentano, prendono un microfono e parlano. Ti chiedi da dove venga tanto sapere, che percorso di studi abbiano fatto e via discorrendo. Poi accendi la Tv e trovi chi ti dice se sbagli e cosa devi fare: e questo e quello, e sopra e sotto! Ma voi chi siete? Da dove venite? Chi vi ha

dai circoli liberal Sonia Campi - Rieti

ralmente senza per questo considerare di per sé il decentramento un male, creare difficoltà alle politiche economiche di piano e programmazione e quindi di bilancio: la situazione ragionieristica insomma potrebbe diventare incontrollabile e inibire gli effetti delle politiche di governo. Non ritenendo che le strutture pubbliche di per sé fossero un bene, aveva l’impressione che stessero diventando troppo costose rispetto al servizio garantito al cittadino. Considerava la lotta tra partiti il germe che creava la cattiva e disordinata amministrazione e la moltiplicazione degli enti. Il problema, diceva, sta nella capacità da parte del pubblico di accompagnare il cambiamento e la trasformazione in una società industriale moderna. Motivo: per quanto l’economia italiana si sia sviluppata in modo insperato, è complessivamente squilibrata, debole e fragile. «Se le strutture pubbliche, nella loro efficienza, funzionalità ed economicità, non sono adeguate a questa condizione complessivamente fragile, e il tutto non è governato con estrema saggezza e senso di responsabilità, possiamo traversare brutti momenti di

abilitato a parlare? Fate il vostro lavoro, fatelo bene se ne siete all’altezza e non continuate a creare illusioni in generazioni intere che credono si possa fare tutto, subito e bene. Balle! Basta vedere Voi! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

APPELLO A SCUOLA: IERVOLINO? ASSENTE Leggo: «A Napoli ottantaquattro incendi di monnezza, Bassolino chiede aiuto a Berlusconi, le discariche sono sature». Qualcuno avvisi il sindaco Iervolino che nel suo comune c’è qualche problema! Chi tace acconsente e Iervolino non solo tace, ma è assente! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

Valeria Monteforte - Teramo

fronte a imprevedibili congiunture sfavorevoli». Era convinto che si stava costruendo un vestito inadatto ed eccessivamente costoso che poi in termini di benessere finirà per ricadere sulle classi popolari. L’inefficienza condizionerà la crescita e il potere d’acquisto, penalizzando soprattutto i ceti medi e bassi, si direbbe oggi. E lo deridevano dandogli della “Cassandra”. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo Ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Micettona, non fuggire dietro a una scialuppa Mia cara diletta amatissima Micettona. Questo pomeriggio ho gettato una lettera nella cassetta e adesso è sera e io ho già di nuovo una terribile nostalgia di te. Passeggiavo sul ponte superiore, dove ci sono soltanto macchine e nessun essere umano, quando all’improvviso mi è venuta incontro una gatta grigia e molto giovane, che fino ad allora non avevo mai visto. Mi sono avvicinato per accarezzarla un poco come se fossi tu, ma mi è sfuggita dietro a una scialuppa. Micina, tu però non mi sfuggirai così, dietro a una scialuppa, vero? Io ti amo tantissimo, è terribile quanto io ti ami. Ti salutano i due cagnetti giapponesi e una levrierina spagnola. Capiscono tutto benissimo e con me parlano in russo. Ogni giorno, alzandomi, mi chiedo perché tutto mi vada così schifosamente e perché mai tu non ti stia alzando dalla cuccetta n. 104, che è vuota.Ti bacio, mio diletto, e ti amo. Tutto il tuo cucciolo. Vladimir Majakovskij a Lili Brik

SE VIVESSI AL NORD CERTO VOTEREI LEGA Premetto di non essere della Lega, ma se abitassi al nord, questo sarebbe il mio voto. Ciò detto leggo di Moretti, un signore di sinistra con manie di protagonismo: «Quelli della Lega, ora che sono ministri, sempre con quelle cose sempre verdi addosso, non sono credibili». Campando di film a colori nel terzo millennio, questo signore conoscerà anche l’esistenza della parola policromia e certamente saprà che l’uomo primitivo iniziò dal marrone della terra al verde delle foglie per tracciare immagini sulle pareti delle grotte. Solo più tardi, scoprendo il sangue, passò al rosso. Sapete perché i garibaldini avevano le camicie di quel colore? Per mimetizzare il sangue delle ferite in battaglia. Nella Lega il verde, a sinistra il rosso: questo dice qualcosa a Moretti?

L. C. Guerrieri - Teramo

CHARLIZE THERON E L’UMILTÀ DEI VIP «Non sono bella ma normale», dice l’incantevole e bellissima attrice Charlize Theron. Che modestia, che umiltà e semplicità. Ci pare proprio l’atteggiamento che

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

20 maggio 1506 In Spagna muore il navigatore genovese Cristoforo Colombo 1960 Al Festival di Cannes ”La dolce vita” di Federico Fellini riceve la Palma d’oro 1974 La Corte d’Assise d’Appello di Genova concede la libertà provvisoria ai membri della banda ”22 ottobre”. La richiesta era stata formulata dalle Brigate rosse come riscatto per la liberazione del Pm Mario Sossi 1975 A Lisbona viene chiuso il quotidiano Repubblica, dopo il sequestro di ieri del direttore da parte dei lavoratori del giornale. Deciderà il Tribunale Speciale per la Stampa 1990 Il telescopio spaziale Hubble trasmette la sua prima fotografia 1999 In un agguato viene ucciso Massimo D’Antona, insegnante di diritto del lavoro all’Università La Sapienza di Roma e consulente della Cgil. L’attentato viene rivendicato dalle Brigate rosse

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

caratterizza i big del cinema, della musica e dello spettacolo nostrano. Ad esempio, quella dell’attore e regista Nanni Moretti in questi giorni sulla Croisette a Cannes, in Francia. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

il meglio di

Pierpaolo Vezzani

LA GIUNTA ALEMANNO SIA SVOLTA DI CAMBIAMENTO

HAMAS ED HEZBOLLAH, FIGLI LEGITTIMI DELL’IRAN

La giunta Alemanno sia degna della fiducia dei cittadini romani che hanno scelto il cambiamento. Che sia un esecutivo attento alle richieste del consiglio comunale, organo sovrano della rappresentanza politica cittadina, che sia sostenuto dalla forza della gente, una forza che non avrà mai prezzo. Un esecutivo che non fa accordi con i poteri forti, né stringe obblighi con lobby e corporazioni, che non sia asservito alle caste né agli sperperi, che cancelli i privilegi e allontani illegalità e l’insicurezza. Il voto popolare ci ha finalmente resi liberi di difendere la gente comune che attende da anni un cambiamento dei codici della Politica. Cordialmente ringrazio per l’attenzione. Saluti e buon lavoro.

Hezbollah, Hamas e Jihad Islamica sono figli legittimi della rivoluzione iraniana. Lo ha dichiarato l’ex ambasciatore iraniano in Siria Mohamed Hassan Akhtari, egli stesso uno dei fondatori di Hezbollah. Intervistato il 7 maggio scorso dal quotidiano arabo edito a Londra al-Sharq alAwsat, Akhtari ha dichiarato: “L’imam Khomeini e la Repubblica Islamica iraniana consideravano il problema palestinese come un loro problema; per questo istituirono la Giornata mondiale di Gerusalemme nel mese di Ramadan, a sostegno della causa palestinese. Come tutti sappiamo, il movimento Hamas e la Jihad Islamica vennero costituiti dopo la vittoria della rivoluzione islamica in Iran, ispirati dall’imam Khomeini e dalla lotta da lui condotta”. A proposito della presenza iraniana in Libano, Akhtari ha detto che “questa lotta si è concretizzata in Libano con la creazione di Hezbollah, e più tardi ha avuto luogo in Palestina. Pertanto, i figli della lotta armata palestinese e libanese sono i figli legittimi della Repubblica Islamica d’Iran, spiritualmente e moralmente”. Akhtari è stato ambasciatore di Teheran a Damasco tra il 1986 e il 1997, e tra il 2005 e il gennaio 2008. Durante questi due mandati era considerate il diplomatico in assoluto più influente in Siria. Terminato il secondo mandato a Damasco, ha assunto l’incarico di con-

Alida Gelli - Roma

PUNTURE Travaglio ha detto di votare Di Pietro. Di Pietro ha detto di leggere Travaglio.

Giancristiano Desiderio

Futuro. Quel periodo di tempo in cui gli affari prosperano, gli amici sono sinceri e la felicità è assicurata AMBROSE BIERCE

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

sigliere del leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, ruolo che in passato aveva già ricoperto per due anni. Akhtari è considerato uno degli uomini responsabili delle complesse relazioni fra Iran e Siria, e in particolare colui che avrebbe forgiato i legami fra Teheran e la decina di fazioni terroristiche palestinesi che fanno base a Damasco. Interpellato circa gli aiuti dati a Hezbollah in Libano da membri della Guardia Rivoluzionaria iraniana, Akhtari ha risposto: “Le condizioni erano quelle di un’occupazione [riferimento alla presenza delle Forze di Difesa israeliane nel Libano meridionale]. A quel tempo questi gruppi [le Guardie iraniane] portavano aiuto a Hezbollah in termini di addestramento e ordini speciali. Non ricordo che abbiano preso parte diretta ai combattimenti”. Circa i suoi rapporti operativi come rappresentante dell’Iran, Akhtari ha detto: “Facevamo riunioni con Hezbollah. Loro arrivavano, facevano rapporto sulla loro situazione, dicevano cosa facevano e di cosa avevano bisogno. Ci facevano rapporto e noi riportavamo i rapporti in Iran. Lo stesso avveniva con le fazioni palestinesi. Incontravamo alti esponenti palestinesi e loro ci presentavano i loro rapporti e una serie di questioni, che noi riportavamo in Iran”. (Tratto da YnetNews, del 14 maggio 2008)

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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