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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Come è nata la libertà dei moderni

Cristianesimo e politica: così l’Italia ha creato l’America

e di h c a n o cr di Ferdinando Adornato

di Michael Novak Italia ha dato quattro importanti contributi alla formazione della mentalità americana: il senso estetico, persone coraggiose e creative, l’etica stoica della Roma antica e medievale, il ruolo sociale dell’associazionismo laico e religioso. La bellezza estetica è senza pari. In quale altra parte del mondo si può godere la profusione di panorami delle città italiane? Magnifici palazzi pubblici come il Municipio di Siena; costruzioni sacre come la cattedrale di Firenze, maestose piazze, da S. Marco a Venezia a p.zza del Popolo a Roma, e che dire di quasi ogni singola chiesetta dei borghi umbri? Tutta l’Italia sembra essere stata progettata per sollevare lo spirito con i suoi intensi colori, le sue magnifiche statue, le imponenti facciate, le alte torri e i campanili. Inoltre, l’Italia ha raggiunto alti livelli artistici nei secoli precedenti Cristo, e da allora ha continuato a innovarsi e migliorarsi. Per gli architetti e gli artisti americani questo Paese è sempre stato il massimo, anche perchè ha insegnato all’America che gli spazi civili hanno bisogno della bellezza come il cuore dell’amore e i polmoni dell’aria. Come fanno le persone a migliorarsi se non vedono intorno a loro un lavoro artistico che rispecchi dei nobili ideali? L’effetto del post-modernismo è stato quello di disumanizzare gli spazi della vita quotidiana, di sottrarre alla nostra vista la forza morale, il dramma umano. s eg ue a pag ina 12 nell’inserto Carte

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L’ESERCITO E I RIFIUTI Berlusconi fa benissimo a ripristinare l’autorità dello Stato. Ma è giusto usare le Forze armate per compiti impropri come la difesa delle discariche? Non era meglio avvalersi delle forze di polizia?

I tappabuchi alle pagine 2 e 3

Applausi da politica e sindacati

Intervista a Rocco Buttiglione

Nuova ipotesi sull’arma del delitto

Paradossi della politica italiana

La Marcegaglia conquista tutti. Tranne la Cgil

Bufera alla Camera sulla norma “salva Rete4”

di Alessandro D’Amato

di Susanna Turco

di Errico Novi

di Valentina Magrin e Fabiana Muceli

Non c’è soltanto quel bacio sulla guancia a suggellare la loro vicinanza. Tutto fa pensare che tra Emma Marcegaglia e Silvio Berlusconi sia nato un feeling notevole.

«Se Berlusconi vuol fare l’uomo di Stato deve mettere in secondo piano i suoi interessi privati». Così, Rocco Buttiglione, nella giornata di un duro scontro tra maggioranza e opposizione alla Camera.

Ci sono nomi che contano più degli altri, in questo governo. Tremonti, Sacconi, Frattini, Brunetta non hanno solo il pregio di una maggiore esperienza.Vantano anche un’ascendenza socialista.

Un libro appena uscito (“La chiave di Cogne”, di Valentina Magrin e Fabiana Muceli) lancia una nuova pista sull’arma del delitto che ha sconvolto l’Italia. Liberal ne pubblica uno dei brani principali

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VENERDÌ 23

MAGGIO

Sembra proprio un governo alla Bettino

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

95 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

Cogne: è stato un mazzo di chiavi a uccidere Samuele

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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i tappabuchi

Soltanto in Italia è “normale”utilizzare i militari per le emergenze civili

Soldati prêt à porter Dubbi e malessere nell’esercito per il ruolo improprio di Stranamore e non fosse questione dannatamente seria, si potrebbe dare libera stura all’ironia. L’Italia definisce siti di “interesse strategico nazionale” le aree dove saranno stoccati i rifiuti campani e dispone lo spiegamento delle Forze Armate e dell’Esercito in particolare per proteggerle. Inutile dire che a livello internazionale l’idea, frutto in realtà dell’inventiva del governo Prodi, ma fatta propria da quello Berlusconi, ha già suscitato forti ironie. Già, in genere all’estero i siti strategici protetti dai soldati sono un po’ diversi dalle discariche di pattume. Bisognerà anche spiegarlo ai potenziali terroristi: da noi gli obiettivi veramente sensibili e super protetti sono questi, altro che centri di comando, impianti industriali, depositi di carburante, aeroporti, stazioni ferroviarie. Purtroppo in Italia tutto questo è considerato perfettamente normale. Ma normale non è. Prescindiamo pure un attimo dal discutere cosa avverrebbe se qualche banda di criminali/provocatori arrivasse a organizzare un “assalto” a questi importantissimi siti. Che fareb-

S

questo provvedimento, il ministro degli Esteri Frattini annunci che nel corso della “conferenza dei donatori” in programma per il 12 giugno l’Italia potrebbe assumere nuovi impegni per quanto riguarda la missione a guida Nato in Afghanistan, rivedendo alcuni dei caveat (qualcuno poi dovrà spiegare perché quelli italiani sono pesanti “caveat” mentre altri Paesi hanno imposto identici limiti ricorrendo alla soluzione politicamente meno impegnativa dei “remarque”) e chiedendo quindi ai nostri soldati un impegno ben diverso da quello attuale. Ma bisognerà prima verificare che non si debbano ridurre gli impegni militari all’estero per permettere ai soldati di diventare netturbini, pardon, operatori ecologici.

In realtà la questione essenziale riguarda il modo sbagliato con il quale in Italia si affrontano i temi della difesa e sicurezza. In quasi tutti i paesi, non parliamo delle democrazie europee, si mandano i soldati per le strade solo in caso di assoluta emergenza. E la cosa richiede dibattiti parlamentari e viene discussa e criticata dai media. Addirittura negli Usa l’impiego dei soldati “regolari” all’interno del paese ha creato problemi giuridici anche in caso di tragiche calamità, come nel caso dell’uragano Katrina. Persino in Libano il ricorso ai soldati per impedire una guerra civile è stato vissuto come atto estremo. In Italia no. Anzi, si è parlato di possibile utilizzo dei militari per combattere la criminalità e controllare il territorio. Come avviene in Afghanistan. Appunto, in Afghanistan, non in patria. Ed evocare l’esperienza dei Vespri Siciliani è doppiamente sbagliato. Perché si trattò di una operazione inopportuna e perché quanto avvenne nell’era della leva, quando i “najoni” erano considerati da tutti, a partire dai prefetti, come manodopera a buon mercato non è proponibile quando un soldato ha lo status e lo stesso stipendio di un poliziotto. In realtà non c’è nessun bisogno di ricorrere ai soldati per combattere il crimine o difendere la spazzatura. Bisogna invece definire una volta per tutte chi fa cosa. E non vi è dubbio

La sicurezza dovrebbe essere competenza del ministero degli Interni e delle forze di polizia. Anche perché i bilanci della Difesa sono già striminziti, soprattutto durante i governi di centrodestra bero i soldati? Aprirebbero il fuoco con fucili d’assalto e mitragliatrici? Si ritirerebbero? In entrambi i casi sarebbe un disastro.

Facciamo anche finta di non registrare il malumore dei militari che dovrebbero svolgere questo ambito compito: si tratta di professionisti e volontari che vengono lungamente preparati per svolgere delicate missioni all’estero e si vedono poi costretti a svolgere un compito ingrato e dequalificante. Fare la sentinella era già considerato poco appagante ai tempi della leva. Ma oggi la leva non c’è più e i soldati hanno uno stipendio e vengono addestrati a caro prezzo non certo per svolgere la “missione rumenta”. Ed è quantomeno ironico che mentre il governo vara

che la sicurezza interna sia competenza del ministero degli Interni e delle legioni del comparto forze di polizia. Ci sono 111mila Carabinieri, poliziotti, guardie di finanza. Ma poi anche forestali, promossi a tutori dell’ordine, uomini delle capitanerie di porto, circa 60mila addetti alla sicurezza municipale. E vogliamo dimenticare le decine di migliaia di vigilantes privati? L’Italia ha un rapporto tra cittadini e tutori della sicurezza senza eguali in Europa, più degno di un regime dittatoriale che di un paese democratico.Tuttavia si sente bisogno di ricorrere alle Forze Armate. Forze Armate la cui consistenza è di appena 185mila unità, delle quali 108mila nell’Esercito. E non è strano che il Generale Petraeus stia lentamente riprendendo il controllo dell’Iraq con 160mila soldati e che l’Italia non riesca ad affrontare la micro e macrocrinimalità con il doppio degli uomini?

Ev iden tem en te il vero problema, che nessun governo si è mai sentito di affrontare, riguarda l’organizzazione, distribuzione sul territorio, definizione dei ruoli e competenze del comparto sicurezza. Invece di toccare questo politicamente delicato bubbone, l’unica risposta che si riesce a dare è continuare ad potenziare la con-

Nella foto a destra, lo storico ed editoralista del “Corriere della Sera”, Sergio Romano. Secondo lui, «l’uso dell’esercito è in questo caso giustificato per ripristinare l’autorità dello Stato» sistenza delle forze di polizia. Non importa se poi non ci sono i soldi per permettere alle pattuglie di andare per strada o per pagare quei servizi che si tentò di esternalizzare, ma che ora per ragioni di bilancio tornano ad essere svolti da Carabinieri e Poliziotti. Per non parlare delle migliaia di uomini impegnati a produrre inutili scartafacci (nell’era dell’informatica) rintanati negli uffici. Questa è la vera emergenza, una emergenza che dura da decenni. Quanto alle Forze Armate, il problema essenziale consiste nell’eterna sottocapitalizzazione dello strumento militare. Come ha detto pochi giorni fa il premier canadese, se un paese vuole contare sul piano internazionale deve disporre di uno strumento militare adeguato al suo livello di ambizione e deve essere disposto ad utilizzarlo. L’Italia ha ambizioni smisurate in rapporto a quello che spende per la Difesa. Ma il bilancio 2008 prevede 15 miliardi di euro per la funzione difesa


i tappabuchi

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Parla Sergio Romano: non c’è altro modo per far valere lo Stato

«Deve essere un’eccezione ma oggi è necessario» di Riccardo Paradisi

propriamente detta, mentre utilizzando i rapporti corretti tra spesa per il personale, esercizio e investimento ne servirebbero ventitré o, a stringere, diciannove. In pratica o si aumentano gli stanziamenti e si avvia una vera ristrutturazione, o si riduce lo strumento militare, si mandano a casa 2030mila soldati (che sono dipendenti statali a tempo indeterminato o determinato) e si ridimensionano gli impegni.

I numeri della sicurezza Forze Armate

185.000 di cui: Esercito

108.000 Aeronautica

44.000 Marina

Ma d a lle pr ime dichiarazioni del ministro Tremonti, non sembra proprio che siano in vista aumenti degli stanziamenti. Anzi, uno dei terreni di caccia preferiti dal titolare dell’Economia quando si tratta di fare risparmi è proprio il ministero della Difesa, colpendo sia gli investimenti sia l’esercizio/spesa corrente. Che per la difesa vuol dire addestramento, supporto logistico, manutenzione. Non a caso i bilanci della difesa più striminziti degli ultimi lustri furono proprio quelli dell’era Tremonti/Martino. Nel precedente governo, Arturo Parisi riuscì a togliere le forbici a Padoa Schioppa nonostante la presenza della sinistra estrema al governo. Ma ora c’è il rischio concreto che sia la Difesa a pagare il conto per la detassazione degli straordinari e dell’azzeramento dell’Ici.

33.000 Carabinieri

111.600 Forze dell’Ordine

230.000 di cui: Polizia

110.000 Guardia di Finanza

67.000

Polizia Penitenziaria

45.000 Forestale

8.000

ROMA. Contrarietà e malumore serpeggiano nell’esercito e al ministero della Difesa per la decisione di impiegare le forze armate a Napoli di fronte all’emergenza dei rifiuti che stanno seppellendo la città. L’ambasciatore Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera è però favorevole alla soluzione adottata dal governo: «Forse non ci si rende pienamente conto che in Campania è arrivato il momento di ripristinare l’autorità dello Stato». Ambasciatore però facendo intervenire l’esercito non si dichiara la bancarotta delle forze dell’ordine, polizia e carabinieri in testa? Che peraltro hanno un numero di effettivi molto alto mentre i militari sono pochi: 185mila effettivi circa destinati, per mancanza di fondi, a scendere a 160mila. Bisogna ricordare che lo Stato italiano ha una lunga tradizione di interventi dell’esercito al sud. Si comincia con gli stati d’assedio e l’instaurazione della legge marziale nella prima fase post-unitaria. Ma l’esercito è intervenuto al sud anche all’epoca di Giuliano, poi con i vespri siciliani. È una costante storica. E poi perchè bancarotta delle forze dell’ordine? L’esercito in questo caso ha soprattutto una funzione simbolica. Serve a dare un segnale forte. Chi vuole invadere o attaccare i siti per lo smaltimento si scontrerà da domani contro il simbolo dello Stato. Già, ma se ci fosse un assalto alle discariche, come ce ne sono stati a decine in questi ultimi mesi, che farà l’esercito? La situazione non rischia di andare fuori controllo? Si potrebbe porre questo problema della qualità della risposta da dare, certo. E Dio non voglia che l’esercito si trovi in quella situazione. Immagino però, o mi auguro, che sia stata presa in considerazione l’ipotesi della presenza di forze di polizia. Ripeto l’esercito serve soprattutto a far salire di un gradino la strategia politica del governo, dà un segnale forte. E utile dal mio punto di vista. Perché vede a noi sfugge un particolare che negli ultimi tre decenni ci siamo persi la Campania, la Puglia e la Calabria. Persino nel Libano sull’orlo della guerra civile, ha scritto Andrea Nativi sull’ultimo numero di Risk, l’impiego delle forze armate sulle strade ha suscitato polemiche. E l’impiego dei soldati ha creato negli Stati Uniti problemi giuridici nel caso dell’uragano Katrina. Il caso degli Stati Uniti è un caso a parte. Lì esi-

ste la guardia nazionale. Un misto tra il popolo armato e la polizia.Una forza civico-militare che può sostituire l’esercito e ha lo stesso una valenza simbolica molto forte. In Italia invece come ho già detto abbiamo una vecchia tradizione di intervento degli eserciti. Certo si poteva sperare che fosse una tradizione del passato invece i fatti ci dicono che quel passato è presente e attuale. C’è un altro aspetto professore che è quello che procura un malcelato disagio nelle forze armate: questo compito di montare la guardia alle discariche non ne svilisce il ruolo? Considerando poi che nelle missioni all’estero i nostri militari sono costretti dentro regole d’ingaggio strettissime, che consentono un’operatività civile più che militare, non è paradossale inviarli a Napoli con compiti militari? Non è paradossale no. Lo ripeto: l’esercito viene impiegato a Napoli per restaurare l’autorità dello Stato. Noi siamo di fronte a un costante aumento di turbolenza popolare, siamo al punto in cui è necessario lanciare un messaggio forte: quello che si è fatto finora, blocchi stradali o ferroviari, assalti ai siti per la raccolta dei rifiuti, non sarà più consentito. Vede ai tempi dell’operazione vespri siciliani io ero contrario all’uso dell’esercito perché in quel caso il rischio era era quello di scontrarsi non con insurrezioni di massa ma con un’organizzazione criminale che si muoveva in un altro modo. Qui siamo di fronte a delle forme di jaquerie per cui far salire la soglia di ammonimento può essere molto utile. A parte l’esercito c’è l’imposizione al sindaco Jervolino di individuare in trenta giorni il sito per un nuovo termovalorizzatore, un piano per la raccolta differenziata di rifiuti, sanzioni per i comuni che non rispetteranno gli impegni. Bisognerà vedere se riusciranno ad applicarle. Ma ogni governo avrebbe questo problema operativo visto che prima di agire occorre in Campania restaurare la credibilità dell’esecutivo. Il fatto però che il governo si sia dato un’agenda con delle scadenze precise mi sembra un dato positivo. E del rifiuto opposto dalle regioni del nord di accogliere anche un solo chilo di spazzatura napoletana? I problemi non mancano nemmeno al nord. A Milano ci sono solo due termovalorizzatori. Non siamo in grado di smaltire dell’altro. Anche far passare la raccolta differenziata al nord non è mica facile: siamo ancora solo al 10 per cento. Più che a egoismi e chiusure questo ”no”mi sembra derivi da difficoltà politiche e logistiche serie.

La presenza dell’esercito in Campania torna necessaria per ripristinare l’autorità dello Stato. È un monito simbolico


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politica

Partiti e sindacati plaudono all’insediamento della Marcegaglia. Berlusconi: «Io, un vostro collega»

Emma conquista tutti.Tranne la Cgil d i a r i o Prima assemblea da presidente di Confindustria, ieri all’Auditorium di Roma, per Emma Marcegaglia. Il successore di Luca Cordero di Montezemolo ha ottenuto a conclusione del suo intervento un applauso di due minuti dalla platea di imprenditori e di politici

di Alessandro D’Amato

ROMA. Non c’è soltanto quel bacio sulla guancia a suggellare la loro vicinanza. Tutto fa pensare che tra Emma Marcegaglia e Silvio Berlusconi sia nato un feeling notevole. «Tutti noi siamo chiamati a una grande sfida. C’è uno scenario nuovo e irripetibile. Abbiamo la possibilità di far rinascere il Paese», ha dichiarato nella sua prima relazione da nuovo presidente di Confindustria la Marcegaglia, echeggiando nei toni quasi l’Antonio Fazio del miracolo italiano del 2001, anche se la situazione, rispetto ad allora, è oggettivamente molto più dura. E il premier, rivolto agli industriali presenti in sala per l’assemblea di viale dell’Astronomia, ha risposto: «Alla presidenza del Consiglio c’è un vostro collega, che conosce esattamente le cose che si devono fare affinchè la nostra economia possa svilupparsi, facendo venir meno tutti i vincoli che ci costringono a essere poco concorrenziali con gli altri. Prendo l’impegno a lavorare in questa direzione. Spero che mi darete il supporto per il vostro interesse e per quello dell’Italia». Anche qui, difficile non ricordare che le stesse parole vennero dette a ridosso delle elezioni nel 2001, all’epoca di Antonio D’Amato. Ma la Marcegaglia dice qualcosa di più: mentre l’anno scorso il palco di viale dell’Astronomia era stato lo scenario per la più dura requisitoria di Luca Cordero di Montezemolo nei quattro anni di presidenza degli industriali (e qualche eco se n’è sentita quando si è parlato di taglio dei costi e dei privilegi della politica), il nuovo presidente ha fatto un appello a una grande alleanza tra forze politiche, imprenditoriali a sindacali.

«La malattia dell’Italia è la crescita zero», ha spiegato, «ma nel Paese si è creata una situazione favorevole al cambiamento, grazie anche al nuovo governo sostenuto da una forte maggioranza parlamentare e da un clima di minore contrapposizione fra maggioranza e opposizione». Quindi ha chiesto una riduzione della pressione fiscale («superiore alla media europea»), per poi ribadire il sì a nucleare e termovalorizzatori, prendendosela con la politica del Nimby e i veti dei piccoli gruppi.

Non sono mancati richiami a Cgil, Cisl e Uil per chiudere la trattativa sulla riforma dei contratti: «Ai sindacati voglio dire: poniamo-

Il neo presidente annuncia di voler collaborare con il governo e chiede meno tasse, la riduzione della bolletta energetica e la riforma dei contratti ci davvero l’obiettivo comune, forti della nostra autonomia e del nostro ruolo di parti sociali, di raggiungere un’intesa entro pochi mesi. È alla nostra portata. Se ci riusciremo, scriveremo una pagina importante nella storia delle relazioni industriali e libereremo energie in favore dello sviluppo». Energie anche in favore di donne e giovani, perché in Italia ci sono «troppe donne a casa, troppe culle vuote». Non ha glissato sulle morti sul lavoro, anche ricordando l’operario che negli stabilimenti del suo gruppo è rimasto schiacciato dai tubi.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Discordi quelle dei sindacati, con Guglielmo Epifani (Cgil) che la accusa di essersi «dimenticata dei redditi», mentre Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) elogiano le parole su contratti e sindacati e parlano di svolta. «Buona la prima, totalmente da condividere e da sottoscrivere» per Carlo Sangalli di Confcommercio. Alessandro Ortis, presidente dell’Authority dell’energia, ha apprezzato i riferimenti ai temi energetici. Ottimi giudizi anche dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola: «Credo si sia colta la voglia di far cambiare l’Italia. La relazione è assolutamente condivisibile, e noi abbiamo dato risposte alle emergenze che abbiamo. Sul fronte dell’energia c’è una grande necessità di una politica energetica, col ritorno al nucleare per avere prezzi più normali». Meno entusiasta Pier Luigi Bersani: si attendeva il riconoscimento di meriti anche per il governo Prodi: «Bella relazione. C’è una forte continuità con il lavoro di Montezemolo, con qualche novità. Qui e là si sente profumo di fabbrica. Ma in un momento in cui c’è stata la riduzione dell’Irap e dell’Ires, del credito d’imposta e il via alla rigassificazione, almeno una parolina su questo avrebbero potuto dirla». Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, ha sentito «parole di grande spessore». Infine, l’industria e la finanza: per Carlo De Benedetti quella della Marcegaglia è stata «un’ottima scelta». Entusiasta Matteo Arpe: «Ha passione e forza per fare grandi cose». Per Giovanni Bazoli, invece, la relazione «rispetta bene l’orientamento dei presenti. Una ricognizione completa ed equilibrata».

d e l

g i o r n o

Schifani: «Nessun pericolo di razzismo» Per il presidente del Senato Renato Schifani non esiste un rischio di razzismo in Italia. «Credo che non vi sia alcuna preoccupazione, nessun pericolo, non la viviamo nel nostro Paese e ritengo che non si viva in Europa l’ipotesi di un Paese razzista, nella maniera più assoluta». Schifani, al suo arrivo a Strrasburgo nella sede del Consiglio d’Europa per la riunione dei presidenti dei parlamenti dei Paesi membri, ha inoltre aggiunto: «Siamo europei ed europeisti, è nel nostro Dna e nella nostra cultura della libertà».

Scajola: «Centrali nucleari entro il 2013» «Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro Paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione». Lo ha annunciato ieri il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, intervenendo all’assemblea di Confindustria. «Non è più eludibile - ha aggiunto il ministro tra gli applausi - un piano di azione per il ritorno al nucleare», chiarendo inoltre che non si tratta di affermazioni di principio, ma di un «solenne impegno assunto da Berlusconi, con la fiducia, che onoreremo con convinzione e determinazione». l ministro ha sottolineato anche che «occorre agire con forza lungo tre direttrici: diversificazione, infrastrutture e internazionalizzazione». Per raggiungere gli obiettivi e rilanciare gli investimenti, «semplificheremo gli iter autorizzativi, promuoveremo il dialogo con il territorio, premiando con incentivi e iniziative di sviluppo le popolazioni interessate ai nuovi insediamenti».

Bossi: «Ora federalismo fiscale» Sul federalismo fiscale «partiremo questa settimana. Prima abbiamo pensato alle misure sulla sicurezza». Lo ha affermato il segretario federale della Lega Nord, Umberto Bossi, annunciando dunque che in merito al federalismo fiscale il lavoro è partito e sono in corso riunioni operative. «Stiamo lavorando per mettere giù delle idee - ha quindi riferito il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega sul federalismo, Aldo Brancher - partendo dalla situazione dell’economia e quindi in raccordo con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, con il quale ho parlato ieri. Vorremmo accelerare, sarà una questione di giorni».

Fisco online, primo indagato a Roma Primo indagato a Roma per la commercializzazione degli elenchi, scaricati dal sito dell’Agenzia delle Entrate, con i redditi degli italiani riferiti al 2005. Si tratterebbe di un dipendente comunale della Toscana che avrebbe chiesto 20 euro per cedere gli elenchi via Internet. Violazione della privacy è il reato contestato all’indagato dal procuratore aggiunto Franco Ionta e dal sostituto Francesco Polino. L’elenco degli indagati sembrerebbe tuttavia destinato ad allungarsi.

Casini a Firenze per la ”Formazione Politica” L’associazione “Tempi Moderni” lancia la seconda edizione della Scuola di Orientamento e Formazione Politica. Due giorni a Vallombrosa di Reggello (provincia di Firenze) sabato 24 e domenica 25 maggio 2008. Sabato mattina sarà presente il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. «Se è vero che la meritocrazia deve essere il criterio per selezionare la classe dirigente spiega il consigliere provinciale dell’Udc, Federico Tondi - è altrettanto corretto affermare che non possono esistere persone meritevoli se non adeguatamente formate e preparate. Per chi crede nella politica questi corsi di orientamento e formazione politica sono un’occasione impedibile».


politica ROMA. «Se Berlusconi vuol fare l’uomo di Stato deve mettere in secondo piano i suoi interessi privati». Così, Rocco Buttiglione, nella giornata in cui le norme “salva Rete4” piombano sulla luna di miele tra maggioranza e opposizione provocando un duro scontro alla Camera. Al centro della polemica, la decisione del governo di inserire in un decreto (eredità del governo Prodi) all’esame del Parlamento un emendamento sulla normativa tv che rivede in parte la legge Gasparri e cerca di evitare una condanna da parte della Ue. Ma, secondo le opposizioni, finisce anche per cristallizzare l’attuale distribuzione delle frequenze tv, aggirando la sentenza della Corte di Giustizia europea che impone l’assegnazione delle frequenze di Rete4 a Europa7. «Quell’emendamento va ritirato», dice l’ex ministro, assicurando sul tema la disponibilità al dialogo da parte dei centristi, ma soltanto se «si lasciano le forzature e si percorre la via maestra». Allora, Buttiglione, per far litigare maggioranza e opposizione ci voleva Fede? Guardi, io sono per il dialogo. Sulla questione televisiva ho sempre pensato che fosse ragionevole trovare un bilanciamento di interessi. Ma oggi la questione è altra. È più importante, perché tocca il Parlamento. Il governo non può, per fare una riforma vitale, che è al centro del dibattito da 15 anni, usare come pretesto l’emendamento a un decreto che col tema in questio-

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Ieri ostruzionismo della sinistra alla Camera sulla norma “salva Rete4”

«Se Berlusconi è davvero nuovo, ritiri quell’emendamento» colloquio con Rocco Buttiglione di Susanna Turco ne ha solo una certa affinità di contenuti. Il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, ha spiegato si voleva «cercare di evitare una multa per il nostro Paese», «un pronunciamento della Ue che è imminente». Ma perché, quella procedura comunitaria è arrivata a uno stadio così avanzato, che c’è il pericolo che domani la Ue ci chieda un miliardo di euro? No, in realtà. Siamo ancora al parere motivato, c’è ancora tempo sufficiente. Sufficente a fare che? A dire che si può fare un disegno di legge ordinario che af-

fronta complessivamente il tema. Come aveva fatto a suo tempo il ministro Gentiloni. Il Parlamento esamina, prende le sue decisioni e vota. È questo il «contesto diverso» invocato dall’Udc durante la discussione in Aula? La scelta del governo è stata

tere il dialogo? Lo ha detto la Marcegaglia: questo Paese deve affrontare tempi difficili: la produzione industriale è calata, c’è una caduta dei consumi, bisogno di rilanciare la produttività, ridurre la spesa corrente.... Insomma, c’è bisogno di fare cose impopolari. E per questo serve che l’opposizione non si senta tentata di sfruttare polemicamente azione di governo. Ha senso rimettere in discussione tutto questo per un provvedimento sulla televisione? Romani dice che l’emendamento che è stato ribattezzato dall’opposizione “salva Rete4”, in realtà con Rete4 non c’entra nulla. Le sue osservazioni erano corrette, ma non toccavano il nocciolo della questione, che è la redistribuzione delle frequenze. Il sospetto è che il provvedimento presentato apra sì il mercato, ma per il futuro, senza intaccare le posizioni di monopolio che si sono illegittimamente costituite nel passato e sono ancora presenti. Insomma, chi a suo tempo non ha avuto le sue frequenze, continua a non averle, e chi ne ha

Io sono per il dialogo. Ho sempre pensato che, sulla questione televisiva, fosse ragionevole trovare un bilanciamento di interessi quella di far passare di nascosto una questione che invece merita un dibattito pubblico. Anche perché nel mondo moderno la televisione è la piazza dell’antichità: chi non può parlare là è escluso dalla vita pubblica. È giusto che su queste cose si legiferi senza forzature. E invece si è tornato a parlare di leggi ad personam. Pensa che questo episodio possa compromet-

avute più del dovuto continuerà a tenersele. È un modo per passare a lato della questione, senza affrontare il problema reale. Qui si cerca di fare di nascosto, gattopardescamente. Cambiare tutto perché non cambi niente. Il governo dovrebbe fare marcia indietro? Farebbe bene a ritirare l’emendamento. Non gli conviene pregiudicare il dialogo. Poi, noi dell’Udc possiamo vedere di contribuire a trovare una soluzione, perché sappiamo che Mediaset è un patrimonio della nazione e deve competere su un mercato difficile: siamo pronti a trovare soluzioni favorevoli per tutti, ma in un contesto diverso. Segnali come questo non pregiudicano l’immagine da statista che Berlusconi vuol dare di sé? L’impressione è che ci sia un Berlusconi uomo di Stato da un lato, e la tentazione, magari del suo entourage, di sistemare qualche conto che riguarda l’azienda. Ma Mediaset può uscirne bene indipendentemente da questi mezzucci. Il “Cavaliere di Stato” la convince? Mi convince perché è metà di Berlusconi. C’è un suo aspetto che davvero è così. Ma se vuol fare l’uomo di Stato gli interessi privati deve metterli in secondo piano.

Eletti i vertici delle commissioni parlamentari. Tutto da manuale, tranne uno scivolone su Stefano Stefani

Presidenze all’insegna del fair play (e del Cencelli) ROMA. Avrà anche dominato il fair play, come dice il vicepresidente vicario del Senato, Gaetano Quagliariello. Ma nell’elezione dei presidenti di commissione del Parlamento ha anche dominato una bilancia da precisione interna al centrodestra degna del manuale Cencelli. Alla Camera 7 presidenze sono andate a Forza Italia, 4 alla Lega e 3 ad Alleanza nazionale. Tutto secondo copione, insomma, tranne in un caso, dove il Pdl ha rischiato di perdere la commissione Esteri. La causa? I dissidi tra Pdl e Lega. I problemi sono nati quando il nome di Margherita Boniver di Forza Italia è stato scalzato da un accordo trovato su Stefano Stefani della Lega. Un patto debole: alla prima votazione il candidato Gianni Vernetti del Pd ha preso un voto in più del leghista. C’è voluto l’intervento del presidente e vicepresidente del Pdl alla Camera, Cicchitto e

Bocchino, per consegnare di misura, solo per due voti al ballottaggio, la presidenza della commissione Esteri a Stefani. Per il resto il partito di Veltroni ha sempre votato scheda bianca. E ha portato a casa la Giunta delle elezioni con Maurizio Migliavacca (ex-Ds) e quella per le Autorizzazioni con Pierluigi Castagnetti (ex popolari). Per il resto, ampiamente confermate le indiscrezioni della vigilia: Donato Bruno (Pdl-Fi) va alla Affari costituzionali. Giulia Bongiorno (Pdl-An) alla Giustizia; Edmondo Cirielli (Pdl-An) alla Difesa; alla Bilancio Giancarlo Giorgetti (Lega). Gianfranco Conte (Pdl-Fi) alle Finanze; Valentina Aprea (Pdl-Fi) alla Cultura; Angelo Alessandri (Lega) all’Ambiente; Mario Valducci (Pdl-Fi) alla Trasporti; Andrea Gibelli (Lega) alle Attivita’ produttive. Stefani a parte, stesso film al Senato: le presidenze sono andate tutte alla maggioranza: 9 a Forza Italia, 3

ad An, una (gli Esteri) al liberaldemocratico Lamberto Dini (inoltre è già stato deciso che la Politiche Ue spettera’ alla Lega). Al Pd è toccata per prassi la presidenza della Giunta delle elezioni (andata a Marco Follini). I Democratici comunque hanno fatto incetta di vice presidenze (11 su 26) e segretari (11 su 26). L’Italia dei valori ha ottenuto solo la vice presidenza della Giunta delle elezioni e 2 segretari. Quanto alle presidenze delle Commissioni Permanenti: agli Affari costituzionali è andato Carlo Vizzini (Pdl-in quota Forza Italia); alla Giustizia Filippo Berselli (Pdl- area An); alla Difesa Gianpiero Carlo Cantoni (Pdl-area Fi). Al Bilancio, Antonio Azzollini (Pdl-area Fi); alle Finanze presidente Mario Baldassarri (Pdl-area An); all’Istruzione Guido Possa (Pdl-area Fi); ai Lavori Pubblici Luigi Grillo (Pdl-area Fi); all’Agricoltura Paolo Scarpa Bonazza Buora (Pdl).


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politica

Paradossi della storia italiana

Sembra proprio un governo alla Bettino i sono nomi che contano più degli altri, in questo governo. Tremonti, Sacconi, Frattini, Brunetta non hanno solo il pregio di una maggiore esperienza. Vantano anche un’ascendenza socialista, anzi craxiana. Basterebbe questo. È il caso di notare che le scelte più qualificanti del nuovo esecutivo riguarderanno materie di loro competenza. A Brunetta guarda Emma Marcegaglia quando lancia l’anatema contro i fannulloni. Buona parte dell’opinione pubblica si aspetta che il sollievo nella vita quotidiana avvenga a spese del parassitismo. È in fondo una fedele riedizione di quell’alleanza «tra merito e bisogno» evocata da Martelli nella Conferenza socialista del 1982. Il tutto segnato dall’impronta decisionista del Berlusconi IV. È anche questa una chiara eredità craxiana.

C

E d’altronde il Cavaliere è stato l’imprenditore più vicino a Bettino, tanto da essere l’unico a farsi vedere al Raphael la notte delle monetine, tanto da doversi appartare lontano dalla scorta per piangere a dirotto il giorno del funerale a Tunisi. Nella sua squadra Berlusconi ha polasciato chissimo spazio agli eredi della Dc. Sembra aver voluto escludere gli uomini della mediazione. Ha preferito figure che appartenessero alla tradizione e allo stile del Garofano. Tremonti lavorava con Formica, Brunetta con De Michelis, Sacconi è stato deputato del Psi, Frattini si è affacciato alla politica con Giuliano Amato.

Sono loro a comporre il pacchetto di mischia in un governo che intorno a due parole chiave, decisionismo e modernizzazione sembra simboleggiare l’eredità storica del craxismo.

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Tra decisionismo e sogni di modernizzazione

Ma è un Silvio IV o il Craxi ter? di Errico Novi

ROMA.

Risuona un’eco, e sembra così fedele al timbro originale da restituirlo più nitido di com’era allora. Decisionismo accompagnato a soluzione dei vincoli, dei lacci che imbrigliano l’Italia, insomma a un tentativo di modernizzazione. Il sogno di Bettino Craxi. Ma nel quarto governo Berlusconi, quel timbro originale quanto è ricono-

scibile, ad esempio, per chi ha vissuto la storia del Partito socialista? Rino Formica trova due chiavi, e sembrano fatte apposta perché il paragone calzi: «C’è da una parte la tendenza a ripristinare un principio di autorità, dunque un decisionismo che è utile considerato che il Paese vede arrestarsi la sua crescita. Dall’altra vedo un filone di ispirazione social popolare, bene inFACCI terpretato da Non c’è paragone Tremonti: nessuin termini di statura, no ha notato quella dell’esecutivo davvero il suo di Bettino colpo di classe fu eccezionale, politica sui muoggi vediamo tui, un atto di goincompetenze verno con cui ha ininfluenti. Il punto di fatto risolto debole del governo un problema di attuale è il tasso class action». molto maggiore Eppure le due di vanità tendenze possono entrare in


politica

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Nel governo Berlusconi il pacchetto di mischia ha un’ascendenza decisamente socialista: Tremonti è stato consulente di Formica, Frattini si è avvicinato alla politica con Giuliano Amato, Sacconi e Brunetta sono stati collaboratori di Gianni De Michelis

conflitto o almeno in competizione tra loro, dice Formica. E questo spiega perché un socialista come l’ex ministro delle Finanze non si riconosca simmetricamente nell’esecutivo di Silvio. «Decidere è un metodo, bisogna quindi capire questo metodo a che indirizzo porta. L’attenzione sociale è uno sviluppo possibile, certo, ma bisogna capire in che forma si esprimerà, se riguarderà una redistribuzione del potere, oltre che delle risorse. Perché quando il principio di autorità si consolida fortemente si può creare

stica, di sistemazione del pensiero. Offre un’idea di debolezza impressionante, e le posizioni che esprime vanno bene per il chiacchiericcio della buvette, certo non per riformare il Paese. Il confronto più interessante», sostiene l’ex ministro socialista, «avverrà perciò all’interno della stessa maggioranza, anzi nello stesso esecutivo, dove c’è appunto una distinguibilità abbastanza chiara tra ministri sceriffi e ministri di lotta e di governo».

È t u t to un a l tr o c o n t es t o

in ogni caso secondo uno dei FORMICA più stretti collaNell’attuale boratori di Craxi governo ci sono nella fase ’83due tendenze: ’87, Gennaro Acripristinare «C’è quaviva. il principio di una situazione autorità e difendere molto diversa, un’ispirazione social perché oggi Berpopolare. Chi ha lusconi può conla nostra tradizione tare su una magspera che il secondo gioranza proindirizzo non resti pria, su un preschiacciato dominio assoluto in Parlamento. Bettino dianche la razionalità dell’auto- ventò invece presidente del Consiglio in seguito a un ritarismo». buon successo elettorale e alE un’evoluzione simile non l’insuccesso, ovviamente repuò essere in effetti nelle at- lativo, della Democrazia critese di un socialista. D’al- stiana. Gli fu dunque attritronde non è certo dalla sini- buito un riconoscimento in stra attuale, dice Formica, quanto principale nemico, o «che ci si può attendere un meglio concorrente del particontributo alla dialettica po- to di maggioranza». Il coeffilitica. Il Pd ha una crisi logi- ciente di difficoltà per il Ca-

valiere, fa dunque notare l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è assai più basso: «Craxi fu uno straordinario statista e nei quattro anni del suo doppio mandato riuscì a restare a Palazzo Chigi soltanto grazie alle sue capacità di manovratore: scelse un ministro delle Finanze come Bruno Visentini con cui era in stato in pieno disaccordo e che poi divenne uno dei pilastri, affidò il Tesoro a una figura non propriamente tecnica e indicata da De Mita come Giovanni Goria, in cui scoprimmo qualità politiche enorrmi. Oggi Berlusconi si circonda soprattutto di buoni collaboratori». E però ha un incedere decisionista che ricorda lo stile di Craxi, seppur esercitato in condizioni assai meno complicate. «Possiamo dire che è così, ma se ci riferiamo a una certa determinazione fondata sui fatti, sul pragmatismo: e comunque si tratta di un terreno su cui possiamo augurarci che Craxi venga imitato. C’è un aspetto che li avvicina ancora di più, comunque: è la drammaticità della situazione. Anche nel quadriennio ’83-’87 il Paese partiva da condizioni difficili, aveva grandi aspettative di crescita. Così oggi bisogna dare all’Italia un’impalcatura e completamente nuova quindi gestirla». Proprio le enormi difficoltà ono d’altronde il fondamento principale del decisionismo

berlusconiano. Secondo Acquaviva lo spessore politico del Cavaliere «in questi anni è cresciuto notevolmente, adesso ha la possibilità di esprimersi al meglio. Anche se il limite della sua squadra può essere nel fatto che, diversamente dal caso di Craxi, questo è davvero il governo del presidente. Mancano personalità politiche formate soprattutto sul versante del sociale. Abbiamo figure di governo consolidate all’Economia e agli Esteri, mentre al Welfare c’è una persona di grande bravura come Maurizio Sacconi sul quale ricade però una responsabilità spropositata. Nel senso che il Welfare è il settore sul quale ricadono le maggiori aspettative del Paese, e il titolare di quel ministero si troverà di fatto ad avere la stessa esposizione di Tremonti. Sacconi d’altronde era l’unico che aveva le qualità per assumersi un peso del genere. E io credo che non sia un caso se uomini importanti di questo governo provengono dalla scuola socialista. Il ministro del Welfare e lo stesso Brunetta sono cresciuti con De Michelis, Tremonti era un consulente di Formica, Frattini ha avuto un percorso più laterale ma anche lui è stato vicino al mondo socialista: c’è indubbiamente una riconoscibilità della nostra tradizione. Anche se è grave che non ci sia stata nell’attuale centrosinistra, che ha conservato un’incredibile faziosità

corsivista del Giornale è stato l’unico cronista giudiziario che all’epoca di Tangentopoli sfidò l’uragano e mise in didalle colonne scussione dell’Avanti le tesi giustizialiste. Oggi la possibilità che il governo possa avere «un piglio simile a quello di Craxi» è «un auspicio, visti i risultati raggiunti allora». E però per Facci «il punto debole dell’esecutivo attuale è il tasso di vanità decisamente maggiore. Bettino è stato un politico purissimo, uno degli ultimi a concepire la politica in funzione del bene del Paese, tale ovviamente dal suo punto di vista. Berlusconi è fortemente animato dall’idea di avere una chance per lasciare il segno, in una condizione in cui in fondo non ha molto da perdere. Possiamo dire che in politica non è mai esistito un unto del signore che sapesse di esserlo o che lo volesse essere».

Non c’è paragone in ogni caso «dal punto di vista della statura: quella del governo Craxi fu eccezionale». Ritorna il discorso di Acquaviva, rafforzato da Facci con un po’ di spietato sarcasmo: «Nel nuovo esecutivo ci sono sì eccezioni: sono quelle incompetenze assolutamente ininfluenti, di cui evidentemente non ci si preoccupa». Se è così è anche perché non ci sono le sfide da equilibristi a cui un leader doveva sottoporsi fino a venti anni fa. «È cambiato il mondo: oggi una legislatura viene vista in termini di amministrazione più che di politica vera. Craxi guardava a un disegno sul lungo termine, Berlusconi ha l’abilità di presiedere un Consiglio dei ministri come se fosse un consiglio d’amministrazione. Questo può dare buoni risultati entro certi termini, ma non permette di raggiungere obiettivi o di affrontare sfide ACQUAVIVA «Ci sono ministri paragonabili a quelle dell’eseimportanti che provengono dalla cutivo Craxi, per scuola socialista. esempio in politica estera». OgMa rispetto ad gi, dice l’editoallora ci sono meno personalità rialista del Giorpolitiche formate nale, «ci si colloca in uno scace molti buoni collaboratori del chiere fatto di re, regine, alfieri presidente» ma è concepito da altri. Bettino ebbe il coraggio di seguire nei confronti dei socialisti». una strategia filo-mediterraA rafforzare almeno una nea, simile a quella di Anparte dell’analisi di Gennaro dreotti, peraltro. Possiamo Acquaviva è Filippo Facci, anche dirla in altri termini: ”craxiano” in senso comple- Frattini è una bravissima pertamente diverso rispetto ai sona, ma politicamente moprimi due interlocutori: il desta».


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pensieri

Le richieste di 4 milioni e mezzo di lavoratori, storici elettori del Pdl

Ma dove è finito il popolo delle partite Iva? di Carlo Stagnaro ouché. La prima seduta del Consiglio dei ministri, col taglio dell’Ici e la detassazione degli straordinari, ha contemporaneamente mantenuto le promesse elettorali e consegnato al Paese una boccata d’ossigeno fiscale.

T

Forse si poteva fare di più, forse meglio, ma – come ha scritto Alberto Mingardi sul Riformista – si può tremontianamente dire che «piuttosto che niente è meglio piuttosto». Tanto più che si tratta, nello specifico, di un “piuttosto” abbastanza sostanzioso: l’aliquota secca del 10 per cento su straordinari e premi aziendali (benché solo per redditi al

di sotto dei 30mila euro) rappresenta una risposta a due gravi problemi italiani: il sommerso (che solo un regime tributario benigno può stanare) e la scarsa propensione al lavoro. Se, grazie a questo provvedimento del ministro Maurizio Sacconi, gli italiani si rimboccheranno le maniche e lavoreranno di più, il Paese farà un grande passo avanti. Le prime mosse dell’esecutivo, poi, cominciano a delineare quale sia la strategia di Silvio Berlusconi. Il premier intende muoversi su un terreno che sia il meno accidentato possibile. Per questo ha scelto, come inizio, due misure che strizzano l’occhio a quella parte dell’elettorato che tradizionalmente non si riconosce nel centrode-

stra, ma che, questa volta, ha fatto una significativa apertura di credito al Pdl. La rimozione dell’Ici e la mano tesa ai sindacati fanno parte di una trama precisa. La detassazione degli straordinari s’inserisce perfettamente nel solco di una convergenza tra le mire del Cav., i desideri di Confindustria e le esigenze dei lavoratori. Tutto perfetto, dunque? Fino a un certo punto. Tra gli interlocutori del premier, almeno in questo primo giro, si nota un’assenza: quella delle partite Iva, e in generale della parte produttiva del Paese, che storicamente poteva vantare un rapporto privilegiato con Arcore. È vero che la novità di queste

particolarmente nuovo, ma di quello che è stato la chiave del successo berlusconiano. Ossia, la promessa di pagare meno tasse. In pratica, il sogno berlusconiano – dal 1994 a oggi – è stato la riduzione delle aliquote e la semplificazione del sistema fiscale nel suo complesso. Nel primo programma del Polo, grazie all’influenza di Antonio Martino, era addirittura presente un richiamo alla flat tax, l’aliquota unica, che ha scandito il successo di molte economie ex sovietiche (anche l’Italia, a suo modo, lo è). Senza arrivare a tanto, Giulio Tremonti se ne andò da Via XX Settembre, nel 2004, spiegando: «Perché volevo taglia-

La detassazione degli straordinari viene incontro alle richieste di sindacati e imprese, ma non incide sulle necessità di altri importanti settori produttivi del Paese

UMBERTO BOSSI

ANTONIO MARTINO

Le Partite Iva si sentono rappresentate dalla Lega e sono elettori naturali del Cavaliere. Ma in questa fase il premier sembra guardare a settori della società più vicini a centrosinistra e a sindacati

Nel 1994 l’allora ministro degli Esteri propose di introdurre richiami alla flat tax. Altro storico difensore di autonomi e piccoli produttori è da sempre l’attuale ministro dell’Economia, Giulio Tremonti

elezioni è stato lo spostamento di una quota importante dell’elettorato, che dal centrosinistra si è mossa verso il centrodestra e in particolare, al Nord, verso la Lega. Ed è comprensibile che uno degli obiettivi tattici della maggioranza stia nel radicarsi su questo territorio elettorale. Ma tutto ciò non giustifica la disattenzione per i bisogni di quei ceti medi che tirano la carretta, e ai quali molti operai aspirano a iscriversi nel futuro. La mobilità sociale di certe aree – come il Nordest – consente una minore impronta ideologica tra i lavoratori, che sperano di potersi fare padroncini. È essenziale, quindi, lanciare subito un messaggio a queste persone. Non si tratta, d’altronde, di un messaggio

re le tasse e non me l’hanno lasciato fare». All’epoca, il mantra erano le due aliquote (23 e 33 per cento), poi divenute tre col ritorno di Tremonti all’Economia, cresciute a quattro nella traduzione pratica del 2005, e tornate a essere cinque per mano di Romano Prodi e Vincenzo Visco. Il giudizio unanime di chiunque si accosti al nostro apparato tributario è che la tassazione sul reddito personale sia troppo opprimente e troppo confusa. Essa va dunque domata. Questo significa anzitutto accorpare le aliquote (in modo tale da ridurre la pressione fiscale media) e poi – ancor più importante – ridurle a partire dall’aliquota più alta. Ridurre e semplificare le tasse, comprese quelle sui ricchi, ri-

sponde a innumerevoli esigenze, non soltanto di carattere elettoralistico. In primo luogo, un sistema fiscale meno invasivo scoraggia – cioè ne aumenta il costo-opportunità – l’evasione e l’elusione fiscale. Secondariamente, crea un incentivo implicito a lavorare di più e meglio (aumentano il numero di ore lavorate e la produttività). Quindi attira investitori stranieri, col risultato di rendere il sistema Paese più concorrenziale ed efficiente. E

RAFFAELE BONANNI Con il Berlusconi IV si conferma lo schema che vuole al tavolo delle trattative soltanto governo, sindacati e Confindustria, tenendo fuori i rappresentanti di altri settori produttivi

ne nascono le condizioni per una ripresa della crescita economica, dovuta proprio alla maggior propensione al rischio e all’emersione del nero.

Per commercianti, artigiani o padroncini è prioritario tagliare a monte Irap e Irpef per affrontare il forte aumento dell’inflazione e provare ad abbassare i prezzi e le tariffe

Come conseguenza di tutto ciò, nel medio termine, si registra un aumento del gettito fiscale, perché si allarga la base imponibile. Questo processo contribuisce ad accrescere gli investimenti in ricerca e innovazione: di solito i lavoratori ultra specializzati sono anche ben pagati; per questo le aziende non scelgono Paesi ad alto carico fiscale. Naturalmente, per vedere questi risultati i tagli devono essere massicci e credibili. Riusciranno, Berlusconi e Tremonti, a parlare la lingua delle partite Iva?


&

parole

ROMA. Prima di tutto, la cronaca di ieri. A Bari due ragazzini hanno preso in ostaggio un quindicenne e lo hanno liberato solo dopo il pagamento di un riscatto di dieci euro da parte di due amici del ”rapito”. Un ragazzo di 18 anni di Licata in provincia di Agrigento ha denunciato di aver subito per mesi vessazioni e violenze dai suoi compagni perché omosessuale. Tre giovani di Latina sono stati arrestati per tentata estorsione continuata. Taglieggiavano uno studente di 18 anni di un istituto superiore del capoluogo chiedendogli di consegnare denaro e gioielli. A Como un 13enne dopo aver litigato con un suo coetano è stato aggredito da 10 ragazzini armati di spranghe e coltelli. Sembra la cronaca quotidiana di Calì in Colombia, ed invece è una giornata qualunque nell’Italia di oggi. Paolo Crepet è uno psichiatra e sociologo di fama internazionale, oltre che autore di numerosi libri sulla devianza minorile. Tra gli intervistati fino ad oggi da liberal è il più critico di tutti ed il meno ottimista sul futuro dei giovani di questo Paese. Ma questa escalation di episodi di bullismo, secondo lei, è nei fatti o nell’amplificazione dei mass media? Magari fosse la seconda che ha detto. Questo è un fenomeno che c’è. Si tratta di una vera e propria emergenza ed è sotto gli occhi di tutti. Un’emergenza lasciata lì a giacere e a crescere, come succede sempre da noi. La realtà è che all’Italia non gliene frega niente di tutto questo. Beh, fino a un certo punto… Intendiamoci, vorrei non fosse così. Il bullismo è un problema sociale oltre che educativo che investe il futuro del nostro popolo. E di chi è la responsabilità maggiore? Va da se: famiglia, scuola, città. Di soluzioni ce ne sarebbero molte, e il bullismo finirebbe in 5 giorni, manca la volontà di prenderle in considerazione. Si dovrebbe cominciare con lo stabilire delle regole condivise. Innanzitutto si devono mettere d’accordo famiglia e scuola. Come se fosse facile. La scuola deve necessariamente diventare più autorevole, ma i primi a protestare sarebbero i genitori. Ci sono stati molti casi di genitori che minacciavano il preside reo di aver il telefonino al figlio. Altri che ricorrono al Tar per la bocciatura del figlio. Sinceramente, non nutro molte speranze in questo senso. Basta con gli educatori comprensivi? Guardi lascio il buonismo educativo ai poveri di spirito. E’il cancro di questa società. Ce l’ha di più col professore che fuma in classe o con la madre che si veste come la figlia? Ce l’ho con chiunque sia privo di autorevolezza. Sa da dove comincerei? Dagli insegnanti che si devono far dare del Lei dagli alunni. Sarebbe un buon inizio. Queste relazioni sfatte della se-

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La peggio gioventù. Viaggio nelle radici del bullismo/4 Paolo Crepet

«Cominciamo a far dare del lei agli insegnanti» colloquio con Paolo Crepet di Nicola Procaccini rie: ”diamoci del tu, siamo tutti amici”, per me sono vomitevoli. Dai bulli arroganti ai precari infelici, quanto sono confinanti le due generazioni? E’una generazione senza futuro, per colpa di un ottimo presente. La gran parte di questi ragazzi ha libertà e soldi in quantità, ma si accorge troppo tardi dell’arrivo della maturità. E quando arriva, diventa molto dura per loro. Si sono illusi che la vita sia tornare alle 7 di mattina dalle discoteche. D’altra parte, pagano un prezzo pesante in termini d’insicurezza e serenità. La loro colpa è quella non aver avuto dignità né determinazione e si sono fatti comprare con poco. La nostra colpa è

La scuola deve necessariamente diventare più autorevole, ma i primi a protestare sarebbero i genitori. Sinceramente, non nutro molte speranze in questo senso

” Nella foto a sinistra, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, 57 anni

quella di averli comprati per non assumerci delle responsabilità nei confronti loro e di noi stessi. Insomma, un “patto faustiano”, una cosa orribile. Di buono c’è che fin quando non si ha contezza dell’esistenza di un problema non si agisce per risolverlo. Oggi mi sembra che si riconosca quest’emergenza. Un po’ come è avvenuto Napoli: ci sono volute montagne di immondizia prima di avere una mobilitazione generale delle istituzioni. Mah! C’è un dato peggiore di Napoli. L’impossibilità del ricambio generazionale. Un terzo delle aziende italiane

muoiono per questo. Esco adesso da una riunione con degli imprenditori di Brescia che mi ha illuminato. Ma lo sa quante migliaia di imprese chiudono i battenti non per colpa dei cinesi, ma per colpa di ragazzi che non sanno far niente? D’altra parte, chi fa il bullo a 15 anni e tutto gli è concesso non sarà mai l’amministratore delegato di un’azienda a 32 anni. Insomma, nessuna speranza, nessuna volontà di reazione secondo lei? Pochissima, credo che bisognerebbe rivoluzionare delle abitudini consolidate, che fanno comodo a tutti. Pensi

alla ”rivoluzione del merito”. Tutti ne parlano, tutti la vogliono. Ma chi la fa? La meritocrazia è selezione e questa non può essere indolore. La selezione fa male ed è un prezzo che nessuno vuole pagare. Quando penso che le università italiane con le nuove leggi prendono tanti meno soldi quanti più fuori corso hanno. E’ chiaro che si tratta di un incentivo a promuovere tutti. Se lo Stato mi dà tanti più soldi quanto più promuovo studenti, quali spazi restano per la meritocrazia? Dopodichè ci sarà un medico che non sa la differenza tra ossigeno ed azoto. Ed anche questa è cronaca di oggi.


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urii Luzhkov, l’esuberante e chiacchierato settantaduenne sindaco di Mosca, da oltre un decennio infiamma i cuori dei nazionalisti russi con le sue dichiarazioni sulla Crimea e Sebastopoli (città fondata nel 1783, quando l’impero zarista annesse la Crimea, da sempre importante porto militare e in epoca sovietica comando della Flotta del Mar Nero). E dopo il suo ultimo proclama a favore di una restituzione della città sul Mar Nero, è stato messo al bando da Kiev. La risposta non si è fatta attendere: «La Russia risponderà in modo appropriato al divieto ucraino» ha fatto sapere il ministero degli Esteri, negando al contempo l’ingresso al viceministro della giustizia Korneychuku. Ma facciamo un passo indietro: l’Ucraina di oggi è uno Stato che ha scelto di staccarsi dal passato sovietico, di guardare verso Occidente, nella prospettiva di un accesso alle istituzioni comunitarie e transatlantiche (da qualche giorno è anche entrata a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio). Ma è una prospettiva che non piace a Mosca. A margine del recente vertice Nato di Bucarest, parlando con George W. Bush,Vladimir Putin è stato sprezzante.

mondo

Y

Il ministero degli Esteri di Kiev ha chiesto ufficialmente a Mosca di «sapere con precisione cosa ha detto il presidente russo». Ma per saperlo bastava leggere Kommersant: «L’Ucraina non è neppure uno Stato. Che cos’è l’Ucraina? Una parte del suo territorio è Europa orientale, e una parte, per giunta notevole, gliel’abbiamo regalata noi». Una chiara allusione alla Crimea, donata all’Ucraina nel 1954. Nei giorni successivi la dose è stata rincarata. Il capo di stato maggiore Yurii Baluevskii ha minacciato «misure militari e di altra natura», mentre il il ministro degli esteri Sergej Lavrov, intervistato dalla radio Ekho Moskvy, dichiarava che la Russia «farà di tutto per impedire l’accoglienza nella Nato di Ucraina e Georgia». E ancora Putin al riguardo: «saremmo costretti a puntare i nostri missili verso occidente». Queste ultime dichiarazioni della dirigenza moscovita fanno temere che al disgelo dei cosiddetti “conflitti congelati” (in particolare l’Abkhazia) si venga ad aggiungere, quale nuovo dossier scottante, anche la Crimea. Se così fosse, sarebbe un segnale inequivocabile sul cammino imboccato in politica estera dal nuovo presidente Dmitrii Medvedev. Nel corso degli anni (e delle numerose visite in Crimea) Luzhkov ha continuamente reiterato le sue affermazioni. Lo

La cartina dell’Ucraina, con in basso la penisola di Crimea; Sotto: Yuri Luzhkov, sindaco di Mosca, indicato come «persona non gradita» dal governo di Kiev per aver paventato la restituzione di Sebastopoli

Kiev mette al bando il sindaco di Mosca. Diplomazie in guerra

Crimea, alta tensione fra Russia e Ucraina di Fernando Orlandi scorso 10 maggio, arrivato in Crimea per le celebrazioni del 225° anniversario della flotta russa, si è visto notificare da funzionari del Servizio statale

Per queste dichiarazioni (che danneggiano «l’interesse nazionale e l’integrità territoriale dell’Ucraina»), il 12 maggio viene dichiarato persona non grata. Si apprende anche che è indagato per riciclaggio, probabilmente per le molte decine di milioni di dollari dispensati, nel corso degli anni, sotto forma di “contributi volontari” della municipalità di Mosca, a uomini di affari e cittadini della Crimea. La reazione del Cremlino è immediata. Il ministero degli Esteri accusa l’Ucraina di agire in modo non amichevole e aggiunge che Luzhkov «con le sue azioni ha aiutato lo sviluppo delle relazioni fra i due Paesi».

Konstantin Zatulin. Zhirinovskii aveva sostenuto: «L’Ucraina non esiste. A Kiev e Minsk dovrebbero sedere dei governatori russi. Le frontiere russe russe sono le frontiere del settembre 1917». Anche allora il ministero degli Esteri russo aveva condannato il gesto di Kiev come «non amichevole».

Nel 1954, con grande fanfara, Mosca trasferì la Crimea all’Ucraina, un “dono”per celebrare i 300 anni di fratellanza slava e il trattato di Pereyaslav. Al Cremlino nessuno pensava che il regime sovietico sarebbe potuto affondare e che questo avrebbe poi costituito un problema per Mosca.

Per l’immaginario identitario di una parte dei russi Sebastopoli è molto di più del Kosovo per i serbi o di Leopoli per i polacchi. E si teme che la penisola sul Mar Nero possa diventare “calda” tanto quanto Abkhazia e Ossetia in Georgia di sicurezza ucraino (Sbu) un invito a rispettare le leggi del Paese che lo ospitava.Viene avvisato anche Konstantin Zatulin, deputato molto influente di Russia Unita, il partito di Putin. Il giorno dopo il sindaco di Mosca pronuncia un discorso (lo si può vedere anche su YouTube) dove tra l’altro afferma che Sebastopoli in realtà non è stata trasferita all’Ucraina e che pertanto tutto è da ridiscutere.

In qualche modo si ripete lo scenario di un paio di anni fa: il 5 giugno 2006 Serhiy Yevtushenko, consigliere del ministero degli Esteri di Kiev e direttore dell’Istituto per la cooperazione euroatlantica, viene fermato all’aeroporto di Mosca e respinto in Ucraina. Il giorno dopo sono respinti, per «aver violato le leggi dell’Ucraina durante il loro precedente soggiorno» Vladimir Zhirinovskii e

Come a volte accade, le questioni dell’oggi affondano le loro radici nel passato. In questo caso sia nel passato più lontano (quello che ha significato Pereyaslav per l’Ucraina, con la russificazione) e in quello più vicino, con la trasformazione, dopo la pulizia etnica dei tatari, della Crimea, allo stesso modo degli Stati del Baltico, in luogo di buon ritiro di funzionari del partito,

ufficiali delle forze armate e agenti del Kgb, insomma della spina dorsale del regime sovietico. Nonostante il dato storico (la colonizzazione russa della Crimea è assai recente), osservava Ostap Kryvdyk sulla Ukrayinska pravda, per l’immaginario identitario di una parte dei russi Sebastopoli è molto di più del Kosovo per i serbi o di Leopoli per i polacchi. Già con il Memorandum di Budapest del 1994 e poi con il Trattato del 1997 Mosca metteva fine a qualsivoglia rivendicazione territoriale, riconoscendo la sovranità ucraina su Crimea e Sebastopoli. Ma ora si levano suggerimenti inquietanti. La Russia deve reclamare la Crimea se l’Ucraina accede alla Nato, ha sostenuto Aleksei Ostrovskii, capo della commissione per gli Affari della Csi della Duma. Si deve rivedere il Trattato del 1997, anzi, non rinnovarlo alla sua scadenza, facendo decadere il riconoscimento della sovranità di Kiev, ha aggiunto Luzhkov.

C’è poi il problema della base navale che i russi dovrebbero lasciare nel 2017. Ma già da tempo “suggeriscono” un prolungamento della loro permanenza. Non è difficile immaginare come le pressioni diverranno più insistenti man mano si avvicina questa data, anche perché un prolungamento (oltre che in violazione della Costituzione ucraina) impedirebbe all’Ucraina di accedere alla Nato. Intanto, prosegue la ripetizione dello scenario del 2006. Quale ritorsione per il provvedimento che ha colpito Luzhkov, all’aeroporto moscovita di Sheremet’evo è stato respinto Vladyslav Kaskiv, parlamentare e leader di Pora: era stato invitato da Ntv a partecipare a un dibattito televisivo con Zhirinovskii sullo stato delle relazioni fra Mosca e Kiev.


mondo

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Il Pakistan concede ad al Qaeda il controllo della frontiera nord occidentale. La sharia è legge

Benvenuti in Talebanistan d i a r i o

di Vincenzo Faccioli Pintozzi na concessione senza precedenti, un favore ad al Qaeda, la fine della democrazia in Pakistan. Sono le reazioni all’annuncio, confermato ieri mattina da Islamabad, dell’accordo siglato con i talebani del nord del Paese, che concede ai fondamentalisti islamici una parte consistente della zona al confine con l’Afghanistan e permette loro di dominarla con uno degli strumenti più pericolosi a disposizione di un fanatico religioso: la sharia, ovvero la legge coranica. La decisione è stata ufficializzata dopo un lungo braccio di ferro fra il premier della provincia della Frontiera nord-occidentale, i rappresentanti del ministero centrale dell’Interno ed il portavoce dei talebani, Ali Bakhat Khan. Le autorità centrali hanno poi annunciato che, grazie a questo accordo, potranno essere smantellate le numerose postazioni militari presenti nella zona, che da anni cercano di frenare gli attacchi suicidi ordinati dai signori della guerra contro la popolazione locale. Secondo il patto, infatti, a fronte di questa concessione territoriale gli estremisti si impegnano a fermare le violenze ed a smantellare i campi di addestramento fondamentalisti. La decisione non è piaciuta a Washington ed alla Nato, che la considerano «un aiuto di enorme portata per al Qaeda e i talebani, che da tempo cercano rifugio in queste parti del Pakistan». Secondo diverse fonti dell’intelligence statunitense, infatti, proprio in questa zona si troverebbe il rifugio di Osama bin Laden e del mullah Omar. Per la Gran Bretagna e l’Afghanistan, invece, la decisione ha i suoi lati positivi. Secondo un dirigente del ministero degli Esteri di Londra, «non si può sperare di ottenere di più. Con l’accordo, almeno cesseranno le violenze ai danni della popolazione e delle truppe internazionali presenti sul campo». Secondo Kabul, inoltre, «vi è la possibilità che questo territorio in mano talebana possa frenare l’esportazione dei terroristi islamici nell’area».

g i o r n o

Corano profanato, morti in Afghanistan

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Da parte sua, Islamabad difende l’accordo citando i 15 punti chiave concordati con i leader islamici. Fra questi spicca il divieto di attaccare membri di altre religioni e quello di imporre il velo alle donne, che dovranno avere inoltre libero accesso alle strutture provinciali sanitarie e di istruzione. Meno pubblicizzato invece uno degli obblighi imposti ai fondamentalisti, che dimostra in maniera lampante come la loro dittatura teocratica sia fuori

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Un soldato Nato e due civili afgani sono morti ieri nel corso di violente manifestazioni nel centro dell’Afghanistan, che intendevano denunciare la profanazione, in Iraq, di una copia del Corano da parte di un soldato americano.

Pechino vuole il dialogo con Taiwan La Cina si è detta pronta a riprendere le trattative con Taiwan. Secondo l’incaricato del Pcc per i rapporti con l’isola, Chen Yunlin, occorre sfruttare questa «importante e rare opportunità» nei rapporti tra i due Paesi. Il mandato del nuovo presidente di Taipei, Ma Ying-jeou, ha aperto sviluppi interessanti per i due Paesi. Nel 1995, la visita dell’allora presidente di Taiwan, Li Tenghui, negli Usa aveva portato alla fine del dialogo diretto tra le due Cine, con Pechino apparentemente pronta ad usare la forza. Per l’Impero di mezzo, Formosa è un’entità separatista che deve tornare a far parte della madre patria senza porre condizioni.

Dopo 27 anni segretario Onu in Birmania Ricevuto dal ministro degli Esteri della giunta militare, Nyan Win, Ban Ki Moon è arrivato giovedì a Rangun. Dopo un incontro col primo ministro Thien Sein, il massimo rappresentante delle nazioni Unite si è voluto recare di persona nei luoghi più devastati dalla catastrofe naturale che ha colpito il Paese: l’Irrawaddy Delta, e le città di Bogolay e Labutta. È molto probabile che vedendo il capo della giunta militare, generale Than Shwe, Ban Ki Moon chiederà il libero accesso delle Ong ai luoghi del sinistro e una migliore organizzazione nella distribuzione degli aiuti. Manifestanti pro talebani a Islamabad. Secondo l’accordo, potranno controllare la vita quotidiana delle persone e le scelte di carattere religioso dal mondo: Islamabad ha preteso (ed ottenuto dopo molti sforzi) di poter vaccinare tutti i bambini che nascono nella zona contro la poliomielite, il morbillo ed il tifo. Secondo Bakhat Khan, invece, doveva essere Allah a decidere quale bambino salvare e quale invece far morire di queste malattie, praticamente debellate in quasi tutto il pianeta.

La decisione è stata ufficializzata dopo un braccio di ferro fra il premier della provincia, il ministro dell’Interno e il portavoce dei talebani,Ali Bakhat Khan Bashir Bilou, premier provinciale, ha sottolineato nel corso della conferenza stampa successiva alla firma che non saranno tollerati atti di estremismo o di discriminazione religiosa o sessuale nella zona concessa agli “studenti del Corano”, ma non ha spiegato come intende far rispettare questo diktat senza soldati sul territorio. Più complicata la parte relativa all’applicazione della sharia nella zona. Secondo la proposta del governo, «sui rapimenti e gli omicidi, i talebani collaboreranno con le autorità centrali. Per i reati minori,

avranno libertà di giudizio». Questo significa però una completa cessione dell’autorità giudiziaria per tutto ciò che concerne la vita quotidiana della popolazione, per non parlare delle scelte di carattere religioso. Secondo diversi analisti, «la decisione è stata disastrosa. Smantellare l’esercito e dare autonomia giuridica ai talebani significa colpire in maniera indelebile l’autorità centrale, che invece dovrebbe essere il caposaldo del nuovo governo. In questo modo, dall’oasi islamica della valle dello Swat usciranno persone che nulla hanno a che fare con il resto del Pakistan».

Secondo alcuni, il patto rientra in un accordo fortemente voluto dal reggente del Partito popolare, il vedovo di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari, che avrebbe cercato l’indipendenza delle milizie islamiche in cambio di protezione in questa molto turbolenta fase, politica e giudiziaria, della sua carriera. Per il giovane Ali, studente di Ingegneria ad Islamabad che proviene da un villaggio della Swat, questo accordo crea di fatto «una provincia islamica, uno Stato dentro lo Stato retto non più da principi democratici ma da una teocrazia che ha già dimostrato di non poter governare, di non capire la popolazione e di preferire la violenza al dialogo. Insomma, crea un disastro».

In Georgia elezioni «incomplete ma valide» Il presidente della Georgia ha dichiarato che il suo partito, il Movimento per l’unità nazionale, ha vinto le elezioni parlamentari. Secondo quanto Saakaschvili ha affermato davanti ai giornalisti a Sugdidi, una cittadina nella parte occidentale del Paese, lo scrutinio si sarebbe svolto in «piena libertà e con la massima correttezza». Secondo i primi dati, il partito del presidente avrebbe raggiunto il 60 per cento dei voti. Per l’opposizione lo scrutinio sarebbe caratterizzato da brogli. L’Osce, presente in Georgia con 550 osservatori, parla di «irregolarità e incompletezze» del voto ma di risultato valido. Per i 150 mandati del nuovo parlamento erano stati chiamati a votare 3,5 milioni di persone.

L’Ue affronta il diritto penale europeo Per la prima volta, permettendo al diritto penale di sanzionare gravi delitti contro l’ambiente, Bruxelles entra in competenze che finora spettavano agli Stati nazionali. Il nuovo trend potrebbe essere rafforzato dal trattato di Lisbona. Mercoledì il parlamento della commissione ha approvato il progetto sulle nuove linee guida del diritto penale elaborato in precedenza dai deputati e dalla Commissione. Gli Stati membri hanno due anni di tempo per adeguare i propri diritti penali alle nuove disposizioni. Essenzialmente si sanziona l’inquinamento dell’aria, del territorio e delle acque. La produzione e l’uso di materiale radioattivo o che può acutizzare il problema dell’ozono. Il maltrattamento o la morte di specie animali o vegetali a rischio di estinzione e la distruzione di spazi naturali protetti.

Parigi approva la legge sugli Ogm Dopo settimane di violente discussioni la maggioranza del parlamento francese fa passare la legge sul mais modificato. La norma fissa le regole per la coltivazione di piante geneticamente modificate e recepisce direttive europee del 2001. L’approvazione della norma sulla quale il governo dell’Esagono si era spaccato diverse volte con accuse di viltà reciproche tra i ministri, rappresenta la fine di un incubo per Sarkozy. Due settimane fa la mancata ratifica del provvedimento aveva rappresentato una dura sconfitta per il presidente.


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speciale approfondimenti

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Le origini ideologiche ed estetiche della nostra libertà

CRISTIANESIMO E POLITICA Così l’Italia ha creato l’America di Michael Novak segue dalla prima Trattenute da cavi arrugginiti, le ali dello spirito non possono prendere il volo […] Poche culture hanno una tradizione più lunga di quella italiana nel volontariato e nell’associazionismo laico e cattolico. Per questo, Firenze ed altre città italiane hanno dato vita ad una istituzione cruciale della libertà occidentale: l’associazionismo civico, come ad esempio le confraternite di santi, i club, le organizzazioni locali o le fondazioni che si occupano della manutenzione di un ponte o di un tratto di strada, e le associazioni che aiutano i malati e si prendono cura dei giovani. Non era lo Stato italiano e neanche il Consiglio cittadino a pren-

nità è quella che persegue il completo sviluppo di ognuno in armonia con essa, e la persona totalmente evoluta è quella che, riconoscente per i doni e le nobili tradizioni ricevute, fa quello che può per costruire questa comunità. Questa reciproca definizione non è priva di collegamento con il mistero cristiano della natura divina: Communio divinarum personarum, la Comunione della Persona Divina. La Trinità è, per un verso, l’autentico modello della comunità cristiana: la particolarità di ciascuno, la Comunione in cui tutti sono uno. Questa metafora è presente nella liturgia comune dell’Eucarestia: da molti chicchi un solo Pane, da molti grappoli un solo Vino. Questi due concetti, secondo

Una calamita spinge gli europei occidentali verso il collettivismo dersi cura dell’insieme delle esigenze dei cittadini, ma l’ampia galassia delle associazioni locali. È stato grazie al principio dell’associazionismo volontario - non per imposizione governativa o per un ideale collettivista - che i cattolici medievali hanno costruito la società civile ed espresso la natura sociale del genere umano. Questo principio dell’associazionismo lega insieme la nozione cristiana di singolo individuo e di libera società. Nella tradizione cattolica, i due termini “persona”e “comunità”definiscono un terzo concetto; la vera comu-

me, nascono dalla bellezza di tutte le maggiori ricchezze di Firenze: la peculiarità di ogni persona e l’originale opera di un genio, il senso della comunità e l’interesse civico per la città che nutre ogni individuo. Entrambe queste visioni trovano riscontro in tutti i palazzi pubblici di Firenze, laici ed ecclesiastici, e da ispirazioni come queste gli americani hanno imparato l’arte dell’associazionismo, quella che Tocqueville definì “la prima legge della democrazia”: «Nei paesi democratici la scienza dell’associazionismo è la madre delle scienze; il progresso di tutto il resto dipende da quanta strada essa abbia fatto. Tra le leggi che regolano le società ce n’è una che sembra essere più precisa e chiara delle altre. Se gli uomini sono destinati a restare civili o a diventarlo, l’arte dell’associazionismo deve crescere e migliorare nella stessa misura in cui viene aumentata l’eguaglianza delle condizioni».

Lo Stato moderno: una distorsione del vero genio italiano Una visione distorta della relazione storica tra persona e comunità ha recentemente infetto l’Europa e persino Firenze. Una potente calamita spinge i cuori e le menti degli europei occidentali verso lo Stato collettivo; l’individuo conta poco, e l’iniziativa appartiene più allo Stato che alla persona umana. Sia il socialismo che il fascismo si basavano sull’idea che fosse missione dello Stato cambiare il carattere associazionista delle società antiche e medievali; gli individui non dovevano più, neanche nelle piccole città, essere al centro dell’organizzazione sociale; la sala di comando doveva essere creata, alimentata, nutrita e diretta dallo Stato. Non solo i comunisti e i socialisti, ma anche i socialdemocratici sembrano essere guidati dal magnetismo dello Stato, e perfino i cristiani democratici hanno trovato difficile resistere, essendo stati, fino a poco fa, forti

Il convegno del Circolo dei liberi ggi e domani presso la sala de’Dugento in Palazzo Vecchio a Firenze, si svolge un interessante convegno a cura de il Circolo dei liberi in collaborazione con la Fondazione Magna Carta. ”La Pira, Don Milani, Padre Balducci, Il laboratorio Firenze nelle scelte pubbliche dei cattolici dal Fascismo al Novecento”. Spiegano gli organizzatori che la struttura del convegno si presenta come un’occasione di riflessione lontana dalla polemica come dalla celebrazione politico-religiosa. Che cosa è sta-

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to il cattolicesimo fiorentino nella recente storia d’Italia? Come ha inciso nell’esperienza del cattolicesimo italiano? Che cosa è sopravvissuto di quell’esperienza fino ad oggi? Sono solo alcune delle domande cui saranno chiamati a rispondere i relatori dell’incontro. Fra questi il direttore di liberal da Washington, Michael Novak. In Carte di questa settimana pubblichiamo la sua relazione dal titolo: “Ragioni e criteri di un riesame critico del cattolicesimo politico”.


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di senso democratico ma piuttosto deboli nella comprensione del capitalismo. Diversamente e più che gli europei, gli americani sono stati obbligati a enfatizzare l’individuo perché ogni emigrante in America, all’inizio, ha dovuto prendere la decisione di lasciare la famiglia e il suo Paese per intraprendere uno scoraggiante, talvolta terrificante viaggio verso il Nuovo Mondo. Inoltre, il difficile stato di vaste regioni non sviluppate richiese uno sforzo estremo da parte soprattutto delle persone più valide; per questo, in America, viene prima la singola proprietà, poi il villaggio, eventualmente il Paese, e solo molto dopo lo Stato. Le persone si basano sulla saggezza pratica che acquisiscono e sui propri stimoli, ma così come hanno valorizzato l’individuo, ovviamente, gli immigrati americani non sarebbero sopravvissuti senza comunità. Furono loro a gettare le basi per costruire chiese e scuole, visto che non c’erano grandi palazzi dell’undicesimo o del quindicesimo secolo da ereditare; costruirono villaggi, poi città, poi comunità e alla fine

gli Stati Uniti. La maggior parte del loro lavoro fu erigere comunità, e per farlo contarono sulla genialità e le energie sovrumane delle persone creative, mentre gli europei di oggi tendono a elogiare il “sociale”, a deferire tutti i compiti allo Stato e a screditare l’individuo. Qualche esempio. Quando uno scrittore americano parlò a degli amici svizzeri dell’entità dei contributi individuali degli americani a sostegno delle università, degli ospedali e degli istituti di ricerca, i suoi ospiti rimasero sconvolti; definirono questa filantropia “immorale” e insistettero che è dovere dello Stato, non dei singoli, sostenere questo tipo di spese. Allo stesso modo i commentatori europei spesso parlano dimessamente dell’ “individuo”, mentre riservano tutte le loro lodi alla “comunità” e al “bene comune”. Spesso, peraltro, gli europei elogiano lo “stato sociale” senza richiamare l’attenzione sui rischi che esso comporta, sui costi e sulla diminuzione di responsabilità personale e di libera scelta che determina, e lo stesso fa, anche se non sempre, il Vaticano. Ma perché gli euro-

In America, viene prima la singola proprietà, poi il villaggio e dopo lo Stato

Sopra Alexis de Tocqueville A sinistra la Cattedrale di Firenze

pei ripongono così poca fiducia nell’individuo e così tanta nello Stato? Probabilmente la differenza è che gli europei sono nati all’interno di un sistema lungamente dominato dai grandi proprietari terrieri e dai nobili. Forse molti europei guardano allo Stato moderno come ad un liberatore dal vecchio regime, e vedono in esso un protettore, mentre, come Friedrich von Hayek, tanti americani guardano allo Stato come ad una nuova schiavitù, anche se la sinistra americana coltiva il desiderio di essere come quella europea. Anche gli economisti tedeschi del mercato sociale, che ebbero il grande merito di liberare la Germania dal controllo dei prezzi posto sulla dispera-

ta economia tedesca dalla vittoria degli alleati della seconda guerra mondiale, si inchinarono al pregiudizio statalista europeo chiamando il loro nuovo ordine economico “l’economia del mercato sociale”. Quando Friedrich von Hayek rimproverò il suo amico Ludwig Ehrhard che ogni mercato è per sua natura sociale, e per questo il nome scelto era superfluo, Ehrhard replicò che lo sapeva, ma sapeva anche che i tedeschi non erano aperti all’idea di “mercato”e basta; avevano bisogno di essere rassicurati che si trattava di un mercato “sociale”. Questo pregiudizio, questa idea secondo cui il mercato è freddo e impersonale, indegno di fiducia, è radicato in tutta Europa. Nella visione americana, il livello di fiducia tra le persone e nel rapporto con le istituzioni è molto alto. Ricordo un giovane amico italiano colpito dal fatto che, quando volle comprare un televisore, il proprietario del negozio glielo fece recapitare senza alcun anticipo, fidandosi che lui avrebbe pagato successivamente. Tuttavia, l’agostinismo che i protestanti americani hanno trasmesso agli Stati Uniti, l’idea della debolezza umana ereditata dal peccato originale, si proietta direttamente sul governo, che non è mai composto da angeli, e questo è il motivo per cui il potere dello Stato è suddiviso in legislativo, esecutivo e giurisdizionale, e ognuno di questi è a sua volta diviso internamente affinché ogni parte possa controllare le altre. Noi crediamo che non sia saggio riporre troppa fiducia nel governo; per questo il nostro motto nazionale è la “fiducia in Dio”, mentre tutti gli altri hanno bisogno di controlli e contrappesi. Non è questa la sede per discutere sulle principali misure necessarie per avere fiducia nel mercato così come nello Stato, ma chiaramente esistono regole per entrambi. Un buon equilibrio tra i due non è facile da trovare né da mantenere, ma attraverso gli esperimenti e gli errori se ne può raggiungere uno accettabile.

Un nuovo orientamento nell’ordine economico La maggior parte degli immigrati negli Stati Uniti, dall’inizio fino ad oggi, è arrivata povera, ma la vasta maggioranza delle prime due generazioni si è emancipata dalla povertà, e in qualità di ambasciatore in Francia - Thomas Jefferson osservò che la maggior parte degli schiavi dell’America del Sud viveva ad un livello superiore rispetto a les miserables francesi.

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speciale approfondimenti

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segue da pagina 13 Prima dell’era americana, gli studiosi davano per scontato che i poveri ci sarebbero sempre stati semplicemente perché era sempre stato così, ed erano convinti che «i poveri dovessero per forza avere a che fare con i poveri», ma quando un numero significativo di ex indigenti si emancipa rapidamente dal suo stato, una nuova visione morale si impone. Hannah Arendt, nell’opera Sulla rivoluzione, osservò che il successo americano nel risollevare le condizioni dei poveri costrinse gli europei del diciannovesimo secolo a porsi la famosa «questione sociale». Una volta che l’America aveva dimostrato che la povertà non era né universale né imposta da una superiore volontà, in cosa sbagliava l’Europa? Fino ad allora, una nazione che contava tanti poveri era considerata normale, tradizionale, non moralmente sbagliata, ma dopo il successo dell’America, la presenza di moltitudini di indigenti in Europa implicava una responsabilità morale. La povertà manifesta indirizzò le coscienze verso un nuovo dovere, il dovere rivoluzionario di abbattere il vecchio ordine e costruirne uno nuovo. Il Manifesto dei Comunisti apparve nel 1848, molte versioni del socialismo erano in competizione tra loro e sempre più aggressive, e tutte queste nuove ideologie erano guidate da speculazioni astratte, portate avanti come ideali intorno ai quali organizzare di nuovo la società, ma quasi tutte riposero le loro speranze negli Stati meno adatti. Per questo, tali “nuovi ordini” finirono in una tremenda delusione. Tre tesi della Rerum novarum del 1891 dimostrano che un pensatore preveggente aveva intuito cosa sarebbe accaduto nel secolo successivo: «I socialisti…che comandano, attraverso questo trasferimento della proprietà dai privati alla comunità raddrizzeranno l’attuale stato malefico delle cose, perché ogni cittadino avrà la sua giusta parte di qualsiasi cosa. Ma i loro propositi sono così chiaramente inutili per qualsiasi fine pratico, che se realizzati l’uomo sarebbe tra i primi a soffrire. Oltretutto, sono assolutamente iniqui, perché deruberebbero i legittimi proprietari portando lo Stato in una sfera che non gli appartiene, causando una confusione completa nella comunità». Un’altra questione che allarmava Leone XIII riguardava il fatto che queste nuove ideologie tendevano a trattare gli individui come unità identiche. Non capivano il grande pericolo di questa visione aritmetica dell’eguaglianza, non vedevano che le persone non

A lato Papa Leone XIII, ritenne che fra i compiti della Chiesa rientrasse l'attività pastorale in campo socio-politico. A destra don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano. In basso Giorgio La Pira, per tredici anni sindaco di Firenze

Un sistema politico che ruota intorno all’uguaglianza degli individui e allo Stato funziona male comunità; per portare avanti gli affari della comunità la vita esige varie attitudini e svariati servizi, e per portare a termine questi svariati servizi gli uomini sono spronati soprattutto dalle differenze tra le proprietà individuali». Leone XIII previde anche che, usando lo Stato per demolire le differenze naturali, lo scopo del socialismo è «non solo ingiusto, ma quasi certamente destinato a molestare e disturbare tutte le classi di cittadini, assoggettandoli ad una odiosa e intollerabile schiavitù. Aprirebbe le porte all’invidia, alla cattiveria e alla litigiosità; le fonti di benessere sarebbero prosciugate, nessuno avrebbe interesse a mettersi alla prova, e questo ideale di uguaglianza di cui si parla tanto porterebbe, in realtà, ad un livellamento di tutti alle stesse condizioni di miseria e disonore. Perciò è chiaro che il principio base del Socialismo, la comunione dei beni, deve essere interamente rifiutato; per lui sarebbero danneggiati coloro che si propone di beneficiare, sarebbe contrario ai diritti naturali dell’uomo, e porterebbe confusione e discordia all’interno della comunità».Queste parole sembrano un’acuta variante dal medesimo tono ed enfasi dell’enciclica di Polo VI Octogesima Adveniens, che, senza essere socialista, propende per quanto possibile nella direzione della “socializzazione” ed eguaglianza dei guadagni. L’idea cardine del Vaticano traballò un po’ dopo il magistero di Leone XIII.

Leone XIII: «Ingiusto e odioso il socialismo» sono nate uguali nel senso di identiche, ma che ognuno è nato diverso nel senso di unico, con diversi tipi di carattere e personalità, e con diverse abilità e caratteristiche. Trattare i figli di Dio “egualmente”, ammoniva Leone XIII, significa trattarli in modo inumano: «Perciò, lasciate cadere in primo luogo l’idea che nella società civile il più basso possa essere fatto uguale al più alto. I socialisti, certamente, sostengono il contrario, ma tutte le battaglie contro la natura sono vane. Ci sono davvero tante e tali differenze tra gli uomini; né le abilità, né le capacità, né la salute né le funzioni di tutti sono le stesse, e il destino ineguale segue necessariamente l’ineguaglianza di queste doti. Ovviamente questo stato di cose è in grado di portare benefici sia alle persone che alle

In ogni caso, le coordinate del nuovo dispositivo di orientamento globale sono centrate sullo Stato, e tendono a trattare le differenze (senza sufficienti distinzioni) come un’ingiustizia piuttosto che come una risorsa naturale. La varietà di talenti e caratteri che dona bellezza e umanità alla razza umana è data dalla natura, e questa varietà spiana la strada alla creatività, ai diversi livelli di dedizione personale ed all’iniziativa di diversi tipi di persone. Un sistema sociale che ruota intorno all’uguaglianza degli individui e alla responsabilità centrale dello Stato è organizzato male, così come un sistema rigido è più adatto agli armenti di bovini, agli sciami d’api e agli stormi degli uccelli che alle singole persone, libere e indipendenti. I pensatori cattolico-sociali, in futuro, dovranno ripensare seriamente realtà basilari quali la persona e la comunità, l’auto-governo e i beni comuni, lo Stato amministrativo contro la società associazionista, e soprattutto i diversi significati del concetto di “uguaglianza”. Si dovrebbe ragionare molto di più sui molteplici ruoli della creatività individuale nel servizio alla comunità, perchè Persona e comunità si definiscono al meglio a vicenda, come i beni comuni e l’appagamento personale. In Europa, mi sembra, un polo - l’individuo, la persona - non è ancora stato interamente e sufficientemente pensato.Troppo in fretta gli europei degli ultimi due secoli si sono dati al sociale (come nel caso del superfluo “mercato sociale”) e allo Stato; troppo rapidamente all’ “eguaglianza” (con tutte le sue ambiguità e aritmetiche, fredde connotazioni) è stato concesso di prendere il posto della “libertà con giustizia”come cardine principale del sistema sociale. Gli europei potrebbero essere aiutati dall’esperienza americana, che offre qualche indicazione per un nuovo modello. Per l’America, sin dalla sua fondazione, il lavoro principale è stato costruire villaggi, paesi, città e alla fine, nel 1789, un’unica nazione. Le nostre capacità di associazione sono state acuite dalla lotta per sopravvivere e costruire, in una terra praticamente desolata, una nuova comunità; gli americani sanno grazie all’esperienza quanto tutte le persone ri-


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cevano dalla comunità, e questo è il motivo per cui le costituiamo, ma le nostre comunità sono consapevoli, al contempo, di tutto quello che le singole persone producono per loro. Ci sono città e paesini sparsi per la nostra terra che non avrebbero potuto sopravvivere senza la fantasia e il lavoro di talenti e persone eccezionali, ma tali individui hanno bisogno, a loro volta, di essere nutriti e stimolati. Non sto sostenendo che l’America dovrebbe essere un modello per il cattolicesimo sociale in altre parti del mondo, ma osservo che l’esperienza americana è un tesoro quasi inesplorato dagli analisti sociali, specialmente da quelli alla ricerca di nuove idee e nuovi sistemi nel loro ambiente. Tuttavia, non c’è dubbio che i popoli di altre nazioni saranno in grado di fare un uso migliore di alcune di queste esperienze del passato di quanto abbiamo fatto noi stessi; Luigi Sturzo ne è un esempio.

dente è moralmente troppo debole per pretendere che gli immigrati interiorizzino i suoi valori e imparino le virtù che permettono alle sue istituzioni di funzionare bene. Non c’è più l’idea che l’Occidente abbia qualcosa da insegnare, da diffondere, da comunicare agli altri. Dove una volta c’era energia, vitalità e il senso di una missione, ora c’è l’apatia; dove una volta c’era il coraggio, ora c’è la paura.

Riformare il sistema Ho cercato di ripensare il sistema secondo le indicazioni dei maggiori pensatori cattolico-sociali italiani, e ho cercato di spiegare come dovrebbero essere le linee guida di un governo non centralizzato. Ironia della sorte, l’America ha ereditato molto del suo amore per l’associazionismo (la prima legge di una democrazia) dall’Italia medievale, nella quale tante associazioni condussero molte battaglie sociali prima dell’era degli stati-nazione. Questo nuovo sistema è centrato più sulla crescita della società civile, tramite il principio dell’associazionismo volontario, che sulla costante espansione dell’amministrazione statale. Ho cercato di descrivere brevemente le implicazioni di questo scambio per la moralità pubblica e privata, per il funzionamento dei controlli e degli equilibri in politica, per l’economia creativa e per il ritorno di alcune funzioni assistenziali dallo Stato alla responsabilità individuale. Questo sistema richiede una società solidale, una società in cui persone e famiglie si prendono sempre maggiori responsabilità per se stessi, ed una società che consideri veramente il benessere creato come la chiave indispensabile dell’autogoverno. Tracce precedenti di queste idee si trovano nella storia di Firenze e di molte altre città italiane. L’influen-

Sul relativismo e la libertà religiosa Non molti mesi prima di diventare Papa Benedetto XVI, Joseph Ratzinger e l’allora presidente del Senato italiano, Marcello Pera, scrissero un saggio sulla nuova crisi inflitta all’Europa dal relativismo morale. In una parola, il relativismo è la svalutazione dell’intelletto e la totale sottomissione alla volontà del potere ; è l’abbandono dell’idea di verità in ossequio alle preferenze della volontà. Questo relativismo è un gas invisibile infiltrato in tutto il mondo occidentale, emerso dalle fogne d’Europa, cui sta lentamente succhiando la fiducia e l’energia. Se ci si priva dell’idea di verità come indice di tutte le cose, tutti i valori e le virtù muoiono nell’equivalenza morale. Relativismo significa proprio equivalenza di tutti i principi morali; senza l’idea di verità, niente è morale o immorale, solo il potere fa la differenza. Questa è la ragione per cui il relativismo porta direttamente alla dittatura, una dittatura violenta e brutale. Immaginate un mondo in cui non ci sia la verità e la bugia, e poi supponete di protestare contro un governo che vi tratta ingiustamente. Un teppista al potere risponderà: “E allora? Non esiste una giustizia borghese, esiste solo la volontà del partito”. Allora voi direte: “Questo non è vero!”, ma lui replicherà: “Questa è solo la vostra opinione. Quello che diciamo, solo questo è vero”. In questo tipo di mondo, i termini “giustizia” e “verità” non avrebbero alcun significato e i detentori del potere stabilirebbero cosa è vero, e giusto e buono.Peraltro, se non esiste verità, nes-

Dove una volta c’era il coraggio, c’è la paura

suno può dire che qualche civiltà sia moralmente più avanzata di altre; nessuno può dire che le società libere sono migliori di quelle schiaviste, e questa sembra essere la posizione dei “multiculturalisti” contemporanei, che non possono dire che la civiltà occidentale ha raggiunto livelli maggiori di sviluppo rispetto ad altre, e non vedono molte ragioni per difenderla. Certo, il loro relativismo non è né accurato né coerente, perché molti continuano a dire che la civiltà occidentale è peggiore di tutte le altre, e in più ne possono propagandare gli errori, le colpe, i mali e le omissioni, ma

za socialista e comunista nel pensiero sociale europeo è stata una scorciatoia sbagliata, ma - avendo imparato molte dolorose lezioni da questo errore sarebbe liberatorio portare il sistema italiano da un’idea sociale statalista alla società solidale, la società della responsabilità personale e del capitale familiare, che lega le generazioni dai bambini ai genitori ai nonni in un antico vincolo. Come sottolineò una volta Giorgio La Pira, ogni azione politica rivela l’impulso dal quale nasce, ed ogni impulso sgorga da un principio che potrebbe all’inizio non essere chiaro, ma, quando se ne vedono le conseguenze, può essere esaminato criticamente. Dietro ogni tipo di politica c’è dunque un principio, e dietro ogni principio politico c’è un weltanshauung, un poema storico in cui un essere umano immagina di essere rappresentato. A seconda delle nostre azioni raccontiamo storie su noi stessi, anche se talvolta sono narrate meglio dagli altri. Allo stesso modo, dietro ogni crisi sociale si cela una crisi della visione del mondo; per questo in ogni crisi c’è una grande opportunità. Le esperienze difficili dovrebbero insegnarci a cambiare atteggiamento, a pensare la vita in modo differente e a dirigerci in una nuova direzione. Questo è l’intento delle persone ragionevoli, che cercano di fare la volontà di Dio all’interno della dolorosa, sanguinaria storia umana. La speranza di poter sempre cambiare, almeno un po’, è uno degli insegnamenti più preziosi che abbiamo ricevuto dall’ebraismo e dal cristianesimo.

Dietro ogni crisi sociale si cela una crisi della visione del mondo, ma anche una grande opportunità il loro “relativismo” non gli impedisce di discernere. C’è un assoluto nella loro visione: solo l’Occidente può essere giudicato immorale. Una conseguenza di questo relativismo è la perdita dell’entusiasmo per il futuro. I giovani hanno troppo pochi figli per rimpiazzare la loro generazione; ogni decennio la natalità diminuisce, l’età media si allunga e la maggior parte dei bambini che nascono non ha né fratelli né sorelle, cugini o zii. La grande famiglia con gli antichi legami rapidamente si sta restringendo; presto non ci saranno abbastanza giovani per pagare le pensioni dei lavoratori della precedente generazione, e lo stato sociale perderà il presupposto sul quale è stato costruito. Questo relativismo inoltre erode qualsiasi volontà di difendere la civiltà occidentale, sia entro i suoi confini che fuori. L’Occi-


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economia

Bruxelles vuole ridurre gli aiuti di Stato ma in tempi biblici uanto sta avvenendo alla politica agricola comunitaria (Pac) – con i tentativi di riforma del commissario europeo all’Agricoltura, Mariann Fischer Boel – è istruttivo, nel bene e nel male. E mostra come norme irrazionali siano destinate, prima o poi, a entrare in crisi, ma non necessariamente per lasciare il posto ad altre davvero migliori. Soprattutto se, come sta nel Vecchio continente, manca un ampio consenso tra i più diretti interessati sulle scelte che è necessario compiere.

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La Pac è sempre più vicina al fallimento per ragioni antiche, sulle quali si sono innestate le recenti vicende della crisi alimentare globale. Immenso marchingegno di trasferimento di risorse dai contribuenti europei agli agricoltori (una voce che assorbe circa il 40 per cento del bilancio Ue), ha comportato ogni genere di abusi. Soprattutto rappresenta una pesante ipoteca assistenziale sull’intero comparto. Un setto-

Agricoltura,la Ue si dà 30 anni per liberalizzare di Carlo Lottieri non soddisfatta. All’origine di tale crescita della domanda vi è lo sviluppo di Paesi tradizionalmente poveri che oggi iniziano a consumare di più (dall’India alla Cina) e qualche altro fattore (come la politica americana dei sussidi al bioetanolo), ma lo squilibrio è anche figlio del fatto che le agricolture più avanzate – in Europa come negli Usa – non sono in condizione di adattarsi dinanzi al mutare delle richieste dei mercati. Una classe dirigente responsabile dovrebbe accettare l’idea che l’economia è troppo complessa e mutevole per po-

Finiti gli anni delle quote, il commissario Fischer Boel vuole aumentare i livelli di produzione. Le imprese rischiano ulteriori vincoli ambientali. Intanto l’Italia chiede restrizioni in ambito Wto re che, dal momento che viene finanziato, finisce per essere limitato nella sua espansione: basti pensare alle quote di produzione. E così oggi ci si trova con un’Europa che non sa reagire di fronte a prezzi dei beni alimentari che sono giunti alle stelle, a testimonianza di una richiesta di prodotti agricoli

ter essere pianificata. Ma la storia raramente è maestra di vita e neppure stavolta lo sarà. Nel recente progetto di riforma elaborato da Mariann Fischer Boel, commissario europeo all’Agricoltura, è certo possibile riconoscere qualche elemento di ragionevolezza, ma insieme al protrarsi di vecchie logiche e all’emergere di

nuovi interventi dettati dalle parole d’ordine attualmente in voga. Un’idea-guida del testo (che conta ben 130 pagine!) è quella che si dovrà attenuare il sostegno pubblico e, di conseguenza, dare più libertà alle imprese. In tal modo i produttori di latte potranno contare su un aumento dal 2008 al 2014 del 7 per cento della loro quote di produzione, prima che si estingua definitivamente – ma soltanto dopo 30 anni! – l’intero sistema delle quote.

La direzione è giusta, ma i tempi sono biblici e nel prossimo anno, per esempio, l’incremento del diritto a produrre sarebbe solo dell’uno per cento. Complessivamente, l’Italia passerà dagli attuali 10,74 milioni di tonnellate agli 11,28 del 2014-2015. Non bastasse questo, la stessa riduzione degli aiuti agli agricoltori (con l’eliminazione di alcune reti di sicurezza) è volta a trovare risorse che dovranno servire all’agricoltura per «reagire ai cambiamenti climatici», oltre che per «migliorare la gestione delle risorse idriche e proteggere la biodiversità». In altre parole si passa da un assistenzialismo di stampo democristiano a uno di taglio

ecologista, ma senza mai sposare la logica del mercato. In un simile quadro, anche la giusta idea di concedere gli aiuti soltanto ai veri agricoltori, smettendola di sostenere le aziende energetiche e addirittura i club di golf. O l’azzeramento degli finanziamenti a comparti come il grano duro e le carni suine sono dati positivi, ma frammischiati a misure potenzialmente molto negative per l’Europa e per giunta destinate a durare. Da parte italiana non è lecito attendersi granché: specie alla luce delle prime mosse del nuovo ministro Luca Zaia. Basti vedere la sua reazione al testo presentato mercoledì a Ginevra, in sede Wto, dal presidente del Comitato agricoltura Crawford Falconer. Per il ministro la proposta andrebbe rigettata poiché «inserisce tra i prodotti tropicali (la cui importazione è a dazio zero, ndr) anche quelli propri delle nostre zone temperate, come le arance e i limoni o tutte e cinque le categorie di riso, dal risone al riso lavorato». Anche se espressione del Veneto, dell’area più dinamica del Paese, il responsabile delle Politiche agricole non pare affatto interpretare alcuna voglia di mercato (che pure esiste. Si schiera a difesa del-

le vecchie politiche stataliste, che tanti danni hanno causato ai consumatori (alle prese con prezzi alimentari altissimi), agli abitanti del Terzo Mondo (i quali spesso non possono produrre per l’esportazione e anche per questo sono indotti ad emigrare) e infine alla stessa agricoltura italiana, soffocata dagli aiuti, dalle burocrazia e dai vincoli alla produzione. Zaia viene dal mondo agricolo e quindi è legato a quella forma mentis che domina il mondo sindacale del settore, incapace di guardare in faccia la realtà anche solo per fare gli interessi autentici e di lungo termine della categoria.

Ma sbaglierebbe chi pensasse che l’immobilismo, in Italia come in Europa, sia tutto da addebitare al prevalere di interessi particolari e organizzati. Lo stesso Zaia, d’altra parte, è esponente di un partito che è sempre stato molto osteggiato dalle maggiori centrali dell’associazionismo agricolo. È quindi anche e soprattutto un fatto culturale. Se il Vecchio Continente è sempre più in declino lo si deve soprattutto alla sua incapacità di reagire alle sfide dei tempi nuovi (basti pensare al rigetto degli Ogm) e al suo essere tanto refrattario ad accettare l’idea che ognuno debba vivere del proprio lavoro e non sia lecito ottenere aiuti parassitari. Finché questi semplici principi non diverranno moneta corrente, l’Europa continuerà a sprecare carta in grande quantità nella redazione di nuovi piani riformatori di durata trentennale. Continueremo a ballare inconsapevoli senza avvederci che il nuovo nome dell’Europa è Titanic.


economia

23 maggio 2008 • pagina 17

Spinta per un decennio dal boom delle costruzioni, la Spagna fa i conti con lo scoppio della bolla immobiliare

Madrid scricchiola per la crisi del mattone d i a r i o

di Davide Mattei

d e l

g i o r n o

MADRID. Di frenata dell’edilizia,

Alitalia: Toto, siamo sempre interessati

in Spagna, se ne è parlato per tutto il 2007, ma in pochi sembravano preoccuparsene. Fino a prima dell’estate, si ipotizzava un morbido riequilibrio tra domanda e offerta. Poi, la crisi dei mutui subprime negli Usa ha cambiato tutto. Così si sono accelerati i problemi del settore edile e immobiliare spagnolo, facendolo passare da principale motore di crescita a pericolosa zavorra per l’economia. Tanto che negli ultimi tre mesi è difficile non parlare di crisi. Il governo, infatti, è stato costretto a rivedere al ribasso la crescita prevista per il 2008: con il Pil dal 3,8 al 2,2 per cento. E ora José Luis Zapatero – che preferisce non usare il termine crisi – deve provare a riattivare in ogni modo un settore chiave per il Paese, che rappresenta circa il 9 per cento del Pil e impiega un decimo della mano d’opera. I dati legati alla costruzione e alle compravendite di case sono in caduta libera. Nei primi tre mesi del 2008 sono diminuite circa del 25 per cento le vendite di nuove abitazioni e del 33 quelle di seconda mano rispetto all’anno precedente. Il numero dei mutui è sceso di più del 25 per cento. I permessi di costruzione fanno addirittura registrare un -49,5, un dimezzamento secco delle richieste. Sul versante del retail, nel 2007 hanno chiuso 32mila agenzie immobiliari – il 40 per cento del totale – e gli esperti indicano che nel medio termine si potrebbe salire al 75 per cento. L’atterraggio morbido è passato a chiamarsi «el frenazo del ladrillo», l’inchiodata del mattone, e si è tradotto in aumento della disoccupazione: ad aprile, mese nel quale è tornata a crescere la disoccupazione dopo 24 anni, si sono persi circa 40mila posti nel settore, ai quali vanno ne aggiunti 70 mila del trimestre precedente. Ma una simile caduta non si capisce senza valutare la precedente e sfrenata ascesa del mattone. Da almeno dieci anni betoniere, gru e cemento sono divenute figure imprescindibili dal territorio spagnolo: la crescita economica del Paese è stata letteralmente cementata. In questo lasso di tempo si sono costruite una media di 600mila case, quando la richiesta era di circa 400mila. Nel 2006, quando si è toccato l’apice con 800mila abitazioni, la Spagna costruì più di Germania, Francia e Inghilterra assieme. E i prezzi sono andati alle stelle grazie alle speculazioni: il Financial Times

«Abbiamo lavorato, e continuiamo a lavorare. Siamo interessati ad Alitalia, il nostro interesse non è mai venuto meno». Così Carlo Toto, numero uno di Air One, conferma l’interesse della compagnia per il dossier Alitalia. Nel frattempo, il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha prospettato che nei prossimi giorni «ci saranno novità importanti». Sulla stessa linea il commento del sottosegretario alle Infrastrutture, Roberto Castelli, «la compagnia ha due valori importanti, il brand e i diritti di volo. «Sicuramente - ha ribadito - se andasse sotto legge Marzano so che molti imprenditori si farebbero avanti». Per il presidente dell’Enac, Vito Riggio, a livello di gestione Alitalia «ha fondi sufficienti per continuare».

Pensioni: Sacconi, entro l’estate via il cumulo Il provvedimento di eliminazione del divieto di cumulo tra pensioni e reddito avverrà probabilmente entro l’estate. Lo ha dichiarato il ministro del lavoro Maurizio Sacconi al termine dell’Assemblea di Confindustria. «Credo che una verifica nel lungo periodo sia necessaria», ha detto Sacconi, precisando che ciò dovrà avvenire «senza modificare il graduale innalzamento dell’età pensionabile previsto dal precedente governo. La controriforma è stata un errore - ha aggiunto - ma non la modificheremo».

In calo le vendite al dettaglio

calcola che tra il 1995 e il 2007 le case abbiano triplicato il loro valore nominale.

Lo scoppio della bolla immobiliare, in Spagna, si somma alla crisi vissuto dall’economia mondiale. Le famiglie non investono e preferiscono risparmiare. Le banche, timorose dell’insolvenza, si mostra-

La vendita di nuove case è crollata del 25 per cento, due terzi delle agenzie ha chiuso e ritorna la disoccupazione. Il governo abbassa le stime del Pil no meno flessibili e rendono più difficile la concessione di mutui. Neanche i prezzi in diminuzione delle case (crescono meno dell’inflazione) riattivano le vendite, perché i compratori aspettano ulteriori cali. Così, con circa 600mila abitazioni che nessuno vuole, molte imprese edili iniziano a dichiararsi insolventi. Fenomeno che, nel primo trimestre 2008, ha registrato un boom del 78,6 rispetto a dodici mesi prima. Per contrastare il problema, il governo sta tentanto tutte le strade. Il

neoministro della Casa, Beatriz Corredor, punta sugli incentivi per la ristrutturazione di vecchie case, che dovrebbero assorbire parte della mano d’opera, e alla costruzione di case popolari, che impegnerebbe le imprese edili. Aiuti per l’affitto diretti ai giovani e ai proprietari di case sfitte. Ma se il premier socialista si ostina a parlare di «frenata» e non di crisi del settore, il ministro dell’Economia, Pedro Solbes, ha già convocato sindacati e aziende del settore. Preoccupa anche la disoccupazione degli immigrati senza specializzazione, che sono stati i più colpiti dalla crisi dell’edilizia. Lo stesso Zapatero ha proposto che i lavoratori extracomunitari possano riscuotere contemporaneamente tutti gli assegni di disoccupazione e usarli per tornare nel loro Paese con un po’ di risparmi. Il governo sta tentando di evitare che la crisi del mattone si estenda a tutta l’economia. Per il momento non sembra esserci riuscito. Gli spagnoli hanno smesso di comprare. Le vendite al dettaglio sono scese a marzo del 8,7 per cento (quelle di automobili del 19) e la fiducia dei consumatori è caduta a aprile al 63,8. Il 2009 la Ue prospetta una crescita dell’1,8: per Madrid significherebbe crescere meno della media Ue per la prima volta in quindici anni.

Le vendite al dettaglio a marzo sono calate dell’1 per cento su base annua e dello 0,5 per cento su base mensile. La variazione tendenziale, spiega l’Istat, deriva da un aumento dello 0,8 per cento delle vendite di prodotti alimentari e da una diminuzione del 2,3 per cento di quelle di prodotti non alimentari. La variazione tendenziale, precisa l’Istat, è la peggiore dal marzo 2006 (-1,8%).

Banche: Faissola contro super prelievo «Spetta al governo delineare la politica fiscale». È la secca dichiarazione di Corrado Faissola, presidente dell’Abi, che evidenzia come «le banche hanno già un carico fiscale elevato. Non si può estrarre dal conto economico degli istituti cifre particolarmente significative». Faissola ha aggiunto di poter «colloquiare col governo in modo sereno come già fatto per i mutui».

Petrolio da record. Allarme crescita Mentre il barile di petrolio vola oltre quota 135 dollari, il Fondo monetario internazionale ribadisce che i rincari dell’oro nero potrebbero ulteriormente compromettere l’andamento della crescita economica globale. È la tesi avanzata da David Hawley, primo advisor del dipartimento relazioni esterne dell’Fmi. Le quotazioni del greggio, ieri, sono state senza freni, sia il barile di Wti scambiato sul Nymex, sia il Brent scambiato a Londra, hanno stabilito nuovi primati storici, insolitamente con lo stesso valore: 135,09 dollari. E se la corsa dei prezzi del petrolio appare sempre più inarrestabile, sale anche l’allarme per le forniture globali degli anni a venire, che rischiano di non aumentare come finora previsto. È l’allarme dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie).


pagina 18 • 23 maggio 2008

delitti

Un libro appena uscito “La chiave di Cogne” lancia una nuova ipotesi sull’arma del delitto che ha sconvolto l’Italia. Ne pubblichiamo uno dei brani principali

Un mazzo di chiavi uccise Samuele di Valentina Magrin e Fabiana Muceli e Annamaria Franzoni ha ucciso Samuele, non lo ha fatto sicuramente con premeditazione. È impossibile ipotizzare cosa sia passato nella mente di questa madre, fino ad allora amorevole e completamente dedita alla cura della famiglia e dei figli. Quello che di certo sappiamo su Annamaria Franzoni è che è stata vittima di una serie di disagi psichici, ben più numerosi di quelli che lei stessa ha voluto raccontare. Sappiamo che anche quella mattina non è stata bene. Possiamo immaginare, poi, che il disagio non sia sparito con il sorgere del sole, e che l’affaticamento e la spossatezza l’abbiano accompagnata anche mentre preparava il figlio maggiore per la scuola. Nella sua condizione, un forte «elemento di disturbo» può aver funto da detonatore, innescando un raptus che l’ha portata a colpire, con l’intento di arrestare, la fonte di tale disturbo. Seguendo questo ragionamento, anche l’arma del delitto non può di certo far parte di un piano premeditato. È verosimile sostenere che l’oggetto utilizzato per colpire il piccolo sia un’arma impropria, un oggetto non comunemente usato per offendere, un qualcosa che si trovava lì vicino, a portata di mano. Finora nei processi ci si è soffermati sui dati tecnici collegati all’arma: si è cercato di giustificare la presenza di quella particella di rame e si è tentato, per quanto possibile, di trovare un oggetto la cui forma motivasse il tipo di ferite. Tuttavia, a nostro avviso, queste considerazioni non hanno tenuto conto della logica dei fatti. Se infatti, come si legge nell’autopsia, sono numerosi gli oggetti compatibili con l’arma utilizzata, bisogna prima di tutto capire che cosa fosse a disposizione di Annamaria in quel frangente, per poi valutare se l’oggetto in questione possa o meno essere identificato con l’arma.

nostante lei pubblicamente sostenga il contrario. [...] Se davvero Annamaria avesse lasciato la porta aperta, non si capisce perché al suo ritorno, quando era ormai già in casa, avrebbe dovuto chiuderla: «Nel momento in cui sono rientrata in casa, dopo aver accompagnato Davide alla fermata dello scuolabus, ho chiuso la porta di ingresso a chiave dall’interno […]».

S

La ricostruzione dettagliata della mattina dell’omicidio ci porta a collocare il momento in cui Samuele si sveglia proprio in coincidenza con il momento in cui la madre sta facendo uscire dalla porta l’altro figlio, Davide: «Dico a Davide di uscire, mentre giro la chiave sento Samuele, l’ho trovato nei primi gradini, mezzo addormentato». Considerato che i coniugi Lorenzi dichiareranno che nulla manca dalla loro camera da letto, è ipotizzabile che l’arma che ha ucciso Samuele provenga da un’altra stanza della villetta. Inoltre, viste le circostanze (la donna stava aprendo e richiudendo la porta), è facile supporre che Annamaria sia scesa tenendo in mano le chiavi. Questa possibilità è in linea con la non premeditazione del delitto: la Franzoni non è andata incontro a suo figlio portando con sé qualcosa che potesse ferirlo, ma ha utilizzato un oggetto che aveva casualmente in mano o a portata di mano nel momento del «raptus». Annamaria ha appena chiuso a chiave l’ingresso e sfilato il mazzo

La Franzoni ha utilizzato un oggetto che aveva a portata di mano nel momento del «raptus»

dalla toppa.Visto che deve ancora scendere a prepararsi, è inutile risalire. Uscirà dalla porta-finestra di camera sua: da lì, in un attimo, raggiungerà Davide in giardino e poi insieme andranno alla fermata dello scuolabus.

La Franzoni non ha mai detto di aver avuto intenzione di uscire dalla porta-finestra della sua camera, ma vista la disposizione delle stanze della casa è probabile che lei, una volta scesa al reparto notte, non avesse intenzione di risalire: da lì, infatti, aveva più

possibilità di uscita. Non solo la porta-finestra, ma anche il garage: in un passaggio del libro Cogne. L’intervista, la donna sostiene di aver pensato di prendere la macchina per accompagnare Davide a scuola. La donna avrebbe dunque potuto chiudere la porta d’ingresso con l’intenzione di dirigersi al piano di sotto portando le chiavi con sé, vista la possibilità di uscire dal garage. È verosimile, quindi, che Annamaria, una volta uscito Davide, abbia chiuso la porta d’ingresso, pensando di non doversene più servire. Non è sua abitudine, infatti, lasciare la porta aperta, no-

Stefano Lorenzi e la moglie Annamaria Franzoni. La donna ha sempre respinto l’accusa di aver ucciso il figlio Samuele

Samuele si sveglia quando lei è ancora sulla porta. Annamaria scende dunque le scale, portandosi dietro il mazzo di chiavi, prende in braccio il figlio minore e lo tranquillizza dicendogli che Davide è già a scuola. Mente. In realtà lei deve ancora finire di prepararsi e uscire per accompagnare Davide. E quel mazzo di chiavi che tiene nella mano sembra stare lì a ricordarglielo, metafora di un dovere, di un’aspettativa che rischia di essere delusa. Dieci minuti, un quarto d’ora sono più che sufficienti per commettere il delitto, sistemarsi velocemente, e uscire di casa in tempo per accompagnare Davide. Annamaria prova a calmare il piccolo.... Samuele però non smette, è sempre più agitato, forse urla. È un attimo: una furia cieca si impossessa di Annamaria....Afferra il mazzo di chiavi, come fosse un pugnale, e lo scaglia ripetutamente sulla testa di Samuele, che con un gesto disperato tenta invano di difendersi con una manina. Dura tutto pochi secondi, poi la rabbia inizia a scemare. I colpi sferrati perdono di intensità, la presa è meno sicura, il mazzo di chiavi ora è come una frusta, che picchia sulla testa del piccolo Samuele. Annamaria rimane ferma, immobile, quasi non capisce cosa sia accaduto. Poi si solleva e, con un gesto istintivo, ricompone il bimbo e lo copre con il piumone. Un po’ alla volta la donna riprende il controllo di sé.Va in bagno, in qualche modo ripulisce le chiavi, probabilmente mettendole sotto il getto d’acqua del lavandino, utilizzando un pezzo di carta igienica che poi getterà nel water o quel famoso calzino che poi farà sparire. A questo punto si toglie il pigiama, che poi lascerà sul letto, e si veste. Si è fatto tardi, deve sbrigarsi altrimenti Davide perderà il pulmino. ....


società apita di vederli il sabato o la domenica pomeriggio, mentre si incartano sulle loro tavole tentando qualche virtuosismo acrobatico che a volte finisce in un capitombolo, e viene spontaneo pensare a loro come a una tribù, un gruppetto di ragazzi uniti e chiusi, diffidenti verso chi non è come loro. Beh, se si riesce a conoscerli si scopre che non è sempre vero. L’universo degli skaters è parecchio diverso da come ce lo tramanda il senso comune. Innanzitutto quel termine, tribù, abusatissimo e mai usato tanto a sproposito. Le tribù, a qualunque latitudine e in qualunque periodo della storia, sono sempre state nomadi. Questi ragazzi invece sono il paradigma stesso della stanzialità. Lo skate non ha ancora avuto una grande diffusione in Italia, e gli skate-park si contano sulle dita di una mano. I ragazzi sono costretti a incontrarsi negli stessi posti e a mischiarsi di continuo, condividendo piste e postazioni. Anche quando sfruttano panorami «urbani» come scalinate e parcheggi, non è detto che gli skater si spostino di continuo. Sono perfezionisti in maniera ossessiva, e possono divertirsi per ore intere davanti allo stesso gradino perché tutta la loro spinta al cambiamento si esaurisce nei diversi trick, nei movimenti e negli esercizi che provano fino al parossismo. Se hanno deciso di tentare una certa figura in un determinato punto, continueranno a provare finché non riuscirà loro perfettamente. Se ci si demoralizza e si smette prima del successo, allora non si è portati per questa attività. La città per loro è uno sfondo intorno al quale divertirsi, non sono interessati a esplorarne continuamente nuove parti. Questo non significa che tra skater e territorio urbano non ci sia rapporto, anzi. Questi ragazzi concepiscono il panorama cittadino come una piattaforma da videogioco: gradinate, corrimano, marciapiedi e transenne non sono arredo urbano, ma «ostacoli» da sfidare. Per questo i videogiochi sullo skateboard sono del tutto inutili: è lo skate stesso segue una logica da videogioco. Persino i termini fondamentali di questa attività ricordano i videogame o i fumetti: se il trick è l’acrobazia, il salto si chiama ollie. La rotazione dello skate su se stesso è un flip, mentre le posizioni dei piedi sullo skate sono definite goofy o regular.

23 maggio 2008 • pagina 19

C

Fenomenologia di un gioco che è anche una filosofia di vita

Generazione skaters di Alfonso Francia

trucchi, salti ed esperienze, tecniche ed emozioni. Certo, ci sono anche le fazioni riccio, che si considerano una casta chiusa e rispondono con i grugniti a chi tenta di socializzare. Ma simili figuri so-

ziali della provincia Usa, i nostri ragazzi sono costretti ad affrontare le trafficatissime città italiane schivando autobus, auto, moto e pedoni. Non si accontentano di arrivare al punto di ritrovo e tirare fuori la tavola dallo zaino; a loro piace spostarsi con lo skate. Ce lo ha spiegato bene Luca, aficionado torinese di vent’anni, animatore del sito skaters.it. «Se vai in skate seriamente, non puoi più farne a meno. Girando per la città a questo modo, finisci con l’avere un occhio diverso nei confronti del panorama urbano: noi percepiamo in maniera stimolante un paesaggio che agli altri sembra assolutamente banale». Luca ha una vi-

In Italia non sono numerosi come in America, dove il fenomeno è esploso negli anni Settanta. Non hanno skate-park a loro disposizione, ma gradinate, marciapiedi e corrimano sono gli ostacoli ideali per le loro acrobazie

Oltre che gioco lo skate è anche sport e modo di socializzare. Lo stereotipo diffuso vorrebbe gli skaters atteggiarsi a moderni misantropi in pantaloni over-size, giovani odiatori dei loro coetanei non dotati di tavola a quattro ruote, ma la realtà è un po’meno macchiettistica. Chi fa skate, facendo parte di una comunità che nel nostro Paese è ristretta a poche migliaia di appassionati, si sente profondamente parte di una famiglia allargata, un po’ precaria ma pur sempre una famiglia. I diversi gruppi si incontrano nei luoghi di ritrovo comuni e condividono asfalto e

no presenti in tutte le categorie sociali, non sono certo un’esclusiva di questo mondo. Andrebbe poi rivisto il concetto di skaters che non usa mai la sua tavola come mezzo di locomozione. Falsità propagandata forse dall’oggettiva difficoltà di muoversi nelle città congestionate senza mezzi a motore. I nostri skaters hanno sicuramente più difficoltà a spostarsi rispetto a un emulo di Bart Simpson americano: quello gironzola per i larghi e spaziosi quartieri residen-

sione seria dello skate; non è ossessionato dalla sua passione ma non gli piace che si parli di un gioco. «È una filosofia di vita vera e propria, che ti assorbe del tutto se hai un carattere predisposto. È un divertimento, ma non un gioco né un passatempo. Mi assorbe per tutto il corso della giornata e condiziona i miei comportamenti. Bisogna

poi tener presente che chi gioca o pratica sport raramente rischia di farsi male come chi fa skateboard...». Anche se ci si concentra sul panorama tricolore, è bene ricordare che quello skate è un fenomeno americano. Non solo per questioni di origine (lo skateboard è nato negli anni Cinquanta in California, forse come succedaneo terrestre del surf), ma per la sua stessa filosofia d’utilizzo. È un mezzo di trasporto a metà, sembra un giocattolo per adulti, serve a farsi notare dal prossimo e richiede strani movimenti: caratteristiche che sono automaticamente associate all’estetica a stelle e strisce. Gli skaters italiani forse sanno poco dei loro colleghi d’oltreoceano, ma una volta appropriatisi di un vocabolario minimo (rigidamente in inglese) hanno saputo costruire una via italiana allo skate. In America quella dello skaters è un’attività lavorativa a tutti gli effetti; i più bravi sono campioni che vanno in televisione e si esibiscono a pagamento, sono pubblicizzati dalla testa ai piedi e raccolgono migliaia di dollari con le sponsorizzazioni. Una realtà che porta inevitabilmente a un agonismo spinto, a invidie e gelosie. In Italia no: da noi gli skaters, fatte le dovute eccezioni, si sentono amici e non pensano certo a fare soldi con le loro abilità. Partecipano alle esibizioni, dette contest, ma sono sempre pronti a manifestare la loro ammirazione per chi ha eseguito un movimento molto difficile battendo il ferro dello skate, detto truck, contro l’asfalto.

Vivono in un’atmosfera rilassata e condivisa, forse più vicina alla filosofia originaria dei primi skaters. Che salirono agli onori delle cronache negli Usa degli anni Settanta, quando la stampa li collegava all’estetica punk californiana. L’aspetto musicale è indispensabile per capirne la filosofia. La musica punk di quegli anni, dominata da gruppi losangelini come gli X e i Dead Kennedys, propagandava una modello di ideologia che è stata traslata senza cambiamenti dalle chitarre alle tavole ed è riassumibile negli slogan do it yourself, anyone can do it e «più velocità che tecnica». Gli skaters punk amano girare a grandissima velocità, saltando alti dislivelli a rischio di lasciare un po’ di loro stessi sull’asfalto. Gli skaters hip hop (riguardo ai quali resta ignoto come riescano ad andare in skate con gli enormi pantaloni calanti sotto il ginocchio), sono invece molto più lenti e più attenti all’esecuzione tecnica, alla perfezione formale dei movimenti. Ripetono quindi il genere di sonorità hip hop, che è rilassato, cadenzato e basato sui ritmi rigidi e perfettamente scanditi. Si può dire che le due categorie facciano skate replicando lo stile della musica che più amano. Non è un caso se l’evoluzione più visibile tra i gruppi sia stata, in questi anni, la proliferazione degli I-Pod. Sempre più ragazzi vanno in skate con la musica nelle orecchie e quell’aggeggio bianco in tasca; così facendo, senza dubbio rafforzano il collegamento tra i loro movimenti e la musica, ma mettono a repentaglio quei valori di condivisione e familiarità che li hanno tenuti uniti per anni.


pagina 20 • 23 maggio 2008

il caso

“Novecento”. Il romanzo dello scrittore italiano riadattato a fumetti sul settimanale della Disney

Pippo,Baricco e Topolino di Roberto Genovesi

l’analisi della trasposizione avvenisse esclusivamente sul rapporto tra fonte e prodotto finale. Ma se guardiamo all’obiettivo e cioè quello di far conoscere ai bambini un nome

ovecento, uno dei più celebrati romanzi di Alessandro Baricco, è apparso nelle scorse settimane sotto forma di fumetto sul settimanale Topolino. Non è certo una novità. La Disney Italia ci ha abituato da decenni a splendide trasposizioni a fumetti di grandi romanzi. Iniziative editoriali di alto spessore culturale che hanno aiutato tante generazioni di bambini a un approccio soft con la letteratura e hanno, diciamolo francamente, sopperito con spirito solare alle enormi deficienze della classe insegnante italiana.

N

Le tavole, affidate a due grandi firme come Cavazzano e Faraci, sono «un unicum rispetto al libro» e faranno conoscere ai bambini un nome nuovo della letteratura italiana «Per come abbiamo lavorato io e Baricco, il fumetto va considerato come un unicum rispetto al romanzo. E’ un’opera diversa. Il senso della perdita e

gentile conces sione di The Wa lt Disney Italia

S.p.A.

nuovo della letteratura italiana, che probabilmente incontreranno nei prossimi anni quando i loro gusti letterari saranno influenzati da una con-

© Disney - Per

Ma nel caso di Novecento non parliamo di un romanzo propriamente ”leggibile” per un pubblico di minori e non di un romanzo contemplato nelle antologie scolastiche. Insomma, se I Promessi Sposi o la Divina Commedia potevano essere conosciuti almeno nel titolo e in grandi linee per sentito dire dai bambini, difficilmente il romanzo di Baricco fa parte dell’immaginario collettivo delle nuove generazioni. Per questo l’elemento di novità dell’operazione sta nel rischio che la testata per l’infanzia si è accollata nella scelta editoriale. E per l’operazione, Topolino si è avvalso di due grandi firme del fumetto italiano. Giorgio Cavazzano, matite, chine e colori, è un nome che non si discute ma, come direbbero i tifosi della grande Roma calcistica, si ama. E tutti i veri appassionati di fumetti, non solo quelli che leggono Topolino, hanno per questo eccellente disegnatore una stima incondizionata che sfiora la deferenza. A lui la Disney ha affiancato Tito Faraci, quello che viene considerato il più eclettico tra gli sceneggiatori italiani. Assistito dal soggetto di Baricco, Faraci ha dato vita a una versione molto particolare di

dizione di maggiore maturità intellettuale, allora crediamo che Disney abbia fatto ancora una volta centro. A confortarci sulle nostre considerazioni, lo stesso Faraci, che a liberal dice:

© Disney - Per gentile concessione di The Walt Disney Italia S.p.A.

© Disney - Per gentile concessione di The Walt Disney Italia S.p.A.

Novecento che ha ricevuto molti elogi ma anche alcune critiche. Secondo AF News, la maggiore agenzia di informazioni del mondo del fumetto, la colpa sarebbe dello stesso Baricco che ha consegnato ai due autori delle tavole disegnate, un soggetto molto edulcorato che si ispira al romanzo, privandolo però degli episodi più drammatici per renderlo più digeribile a un pubblico under quattordici. E’ difficile dare torto alla squadra di Gianfranco Goria se

del ricordo che viene evocato nel romanzo si percepisce in modo chiaro anche nel fumetto, ma l’opera disegnata non va giudicata in rapporto a qualcosa d’altro ma presa in modo indipendente».

© Disney

- Per ge ntile conc essione di The

Walt Disn ey

Italia S.p. A.

In un panorama editoriale in cui i bambini sono centrifugati in un vortice che ha come parametri distonici da una parte le proposte troppo infantili di impostazione rodariana e dall’altra il Grande Fratello, sbirciato grazie ai gusti discutibili di molti genitori,


il caso

23 maggio 2008 • pagina 21

Le grandi opere trasformate dalle matite della editrice americana e del Giornalino dei Periodici San Paolo

Dalla Divina Commedia alla Leggenda di Papertù

Lo scrittore e giornalista Alessandro Baricco, autore del romanzo ”Novecento”

l rapporto tra romanzo e fumetto è molto antico e ci ha fatto vedere spesso eccellenti risultati. In Italia sono due le scuole principali su questo fronte. Da una parte la Disney Italia con le sue celeberrime parodie e dall’altra Il Giornalino dei Periodici San Paolo, che ha offerto ai più grandi illustratori del fumetto le sue pagine per trasformare in vignette i grandi classici della narrativa mondiale. Tra i due colossi, tanti esperimenti isolati, tanti editori di piccole e medie dimensioni con il coraggio di osare.

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Ita lia S.p .A .

Novecento rappresenta dunque solo l’ultimo, importante tassello di un percorso molto lungo che ha visto Disney Italia sempre in prima linea sul fronte della trasposizione in fumetti delle opere dei più celebri scrittori internazionali. Naturalmente la Disney ha da sempre lavorato con un occhio particolarmente attento ai più piccoli cercando di rendere digeribili ai bambini anche i romanzi più lunghi e complessi senza fermarsi davanti a

Jan Fleming non poteva che essere Paperino in Missione Bob Fingher così come Topolino ha avuto, per una volta, l’onore di vestire i panni di un grande della letteratura gotica grazie a I racconti di Edgar Allan Top. Parliamo di decine e decine di titoli in decine di anni di lavoro al servizio della didattica per il quale, prima o poi, qualche ministro della Pubblica Istruzione dovrebbe accorgersi. Così come una medaglia al merito per la cultura e la didattica per l’infanzia se la merita con tanto di standing ovation Il Giornalino. Il mitico settimanale fondato da don Giacomo Alberione nel 1924 e tutte le domeniche pronto ad attendere i bambini che escono dalla chiesa dopo la messa da quasi un secolo è stato protagonista di numerose operazioni editoriali di altissimo livello artistico. Dino Battaglia, Benito Jacovitti, Ferdinando Tacconi, Luciano Bottaro, Gianni De Luca e Sergio Toppi sono unanimemente riconosciuti tra i più grandi maestri del fumetto e dell’illustrazione nel mondo. Ebbene non c’è uno solo di questi maghi della matita che non abbia disegnato un romanzo a fumetti per Il Giornalino. Nessuna digressione rispetto ai testi originali ma un linguaggio di sintesi attento alla linearità del racconto hanno consentito al Giornalino di proporre ai suoi lettori le splendide trasposizioni de La Divina Commedia, Robinson Crusoe, Il Richiamo della Foresta, Taras Bul’ba e perfino le più belle tragedie di William Shakespeare. Ma non mancano perle isolate da ascrivere al coraggio di tanti piccoli e medi editori come detto. Viene in mente Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e adattato per le tavole disegnate da Stéphane Heuet e pubblicato in Italia da Il grifo Edizioni. Così come di impatto incredibile è il tratto che Alberto Breccia ha donato ai racconti del ciclo di Cthulhu di H.P. Lovecraft, pubblicati da Comma 22.

Il settimanale fondato da don Giacomo Alberione nel 1924 ha ospitato maestri del fumetto come Battaglia, Iacovitti,Tacconi o Bottaro

© Disney - Per gentile concessione di The Walt Disney Italia S.p.A.

un richiamo culturale di alto profilo non guasta. Il Novecento di Topolino e Pippo non è quello che ritroviamo nel libro o nel film, ma dobbiamo fare i conti con alcuni elementi non trascurabili che attengono alla policy Disney che vieta il trattamento di alcuni argomenti sulle pagine delle sue pubblicazioni e nelle storie dei suoi film.

La storia realizzata da Cavazzano e Faraci rappresenta dunque un compromesso tra l’esigenza di sintetizzare al meglio le sensazioni del romanzo e la volontà della Di-

© Disney - Per gentile concessione di The Walt Disney Italia S.p.A.

sney di non venir meno a quegli elementi di garanzia che hanno reso il suo marchio di sicura affidabilità per tante famiglie. Del resto gli autori mettono le mani avanti fin dal titostoria di lo: La vera Novecento. Senza dimenticare che, quando parliamo di operazioni di questo tipo, ci riferiamo quasi esclusivamente alla factory italiana della Disney che, da sola, produce gran parte del materiale dedicato a topi e paperi che circola in Europa. Uno sforzo economico ed editoriale che non può essere sminuito da sfumature.

nessun ostacolo e senza fare selezioni per età e contenuti. I Promessi Sposi, il romanzo che ha segnato l’inizio della storia del romanzo in Italia, è diventato I Promessi Paperi e I Promessi Topi. Jules Verne è stato ricordato con Topolino corriere dello Zar e Ventimila beghe sotto i mari. Emilio Salgari è arrivato prima del tempo nelle camerette dei più piccoli con Il corsaro paperinero e Sandopaper. Paperin Furioso, Paperin Babà e La leggenda di Papertù hanno affrontato il terreno insidioso dei classici più antichi e delle leggende archetipiche. Ma la Disney non ha avuto paura di tradurre in vignette le avventure degli eroi moderni dei thriller e delle spy story. L’agente segreto con licenza di uccidere creato da

Per gli amanti dei nuovi maestri della narrativa fantastica ci sono nelle fumetterie Apocalypse di Clive Barker per i tipi di Magic Press e Nessun Dove pubblicato da Planeta DeAgostini. Ma gli spazi per un articolo finiscono qui mentre ci sarebbe bisogno almeno di un altro paio di pagine di giornale per terminare un elenco sterminato. Una moda destinata ad esaurirsi nel tempo? Decisamente no. Almeno fino a quando usciranno grandi romanzi in grado di fornire ai disegnatori grandi storie e abili intrecci.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

Il governo sta rispettando gli impegni elettorali? LA STRADA INTRAPRESA È QUELLA GIUSTA, SPERIAMO CHE IL PAESE ESCA DALL’EMERGENZA

LE PROMESSE SARANNO MANTENUTE, MA CASINI ADESSO SI RIAVVICINI AL PDL

Se è vero che il buon giorno si vede dal mattino, è vero che il nuovo governo manterrà le promesse avanzate in campagna elettorale. Per dirla a spot, tanto cari al Cav, «detassazione straordinari: fatto. Emergenza rifiuti: problema affrontato seriamente con provvedimenti presi e dai più ritenuti realizzabili. Pacchetto sicurezza: fatto». Questo sarà sicuramente il provvedimento che più farà discutere per l’introduzione del reato di clandestinità che secondo me è giusto e sacrosanto e che è previsto nelle legislazioni dei Paesi più progrediti. Ricordiamoci inoltre che democrazia vuol dire «potere del popolo» e non c’è dubbio che il popolo non vuole essere invaso da immigrati clandestini quasi sempre pronti a delinquere e che per questo motivo ha conferito il potere al Pdl. Ma c’è stata una sorpresa - altamente positiva e di grande impatto - cioè l’accordo con l’Abi per la sopportabilità dei mutui. Insomma, la strada appena intrapresa va nella direzione giusta. Speriamo che si prosegua e che l’Italia riesca finalmente ad uscire da tutte le emergenze che l’attanagliano.

Riportiamoci al 2001. Alla scadenza dei primi cento giorni del secondo governo Berlusconi, la stampa tutta rivolse ai cittadini la seguente domanda: «Qual è il provvedimento del governo Berlusconi che ricordate di più?». Non ricordo con quale percentuale, ma fu altissima la risposta: «Non so». Prevalse su tutte le altre. Questa volta, son sicuro che tra cento giorni la risposta «non so» raggiungerà la percentuale dello zero virgola. In un solo giorno, a Napoli, sono stati presi provvedimenti tanti e tali che rimarranno, se realizzati, nella storia della nostra Repubblica. Non è neanche il caso di dire che la giornata di ieri è stata più proficua di due anni di governo Prodi. In questi due anni di proficuo non c’è stato proprio niente. E di positivo c’è stato anche il commento dell’opposizione che, seppur critica, ha riconosciuto che alcune disposizioni vanno nella direzione giusta e ha promesso su queste l’appoggio in Parlamento. In particolare ho apprezzato il commento di Casini, che ha promosso il Pacchetto sicurezza (a parte il reato di clandestinità). Da elettore Udc mi auguro che sia un primo passo verso il riavvicinamento con il Pdl.

Nicola Ronghi - Ancona

LA DOMANDA DI DOMANI

Favorevoli o contrari al nucleare in Italia?

Massimo Cruciani - Livorno

PRIMA DI CRITICARE IL GOVERNO BERLUSCONI IL CENTROSINISTRA ASPETTI ALMENO UN ANNO A una settimana dal suo insediamento, il governo di centrodestra già viene attaccato da coloro che ci hanno, in venti mesi, messo praticamente a terra. Ci vuole un bel coraggio a parlare! Se almeno aspettassero un anno, sei mesi... Ma dopo sette giorni, aprire bocca e dar fiato alle trombe, è proprio da paranoici (e per paranoia si intende una psicosi caratterizzata da un delirio cronico basato su un sistema di convinzioni ossessive). La loro missione è una sola: attaccare, attaccare, attaccare. Sarà che la caduta del governo Prodi, a molti dei loro portaborse, ha tolto il pane di bocca, ma è colpa nostra? Si diano una calmata, facciano qualcosa, un corso per imparare a lavorare!

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

NOI DI LIBERAL SIAMO RICCHISSIMI Non volevo intervenire sulla questione della pubblicazione dei redditi on-line. Poi il mio è apparso nel giornale della città in buona posizione. Non grandi cose sia chiaro, ma, diciamo, “classificato”. Le modalità di pubblicazione come tempismo non è stato certo dei più intelligenti, ma non per questo non se ne deve analizzare l’aspetto sociologico. Ora in una democrazia virtuosa, l’apparire con un buon reddito, ha prima di tutto il significato di un riconoscimento per il contributo che ognuno di noi, involontariamente forse per sopravvivere, dà alla società, e di conseguenza al benessere generale, e non tanto e solo per le imposte che paga. Se non si vede una società liberale, pur con le necessarie regole ed attenuazione, un “regno del diavolo”, si comprendere che il progresso generale passa attraverso l’impegno ed il sacrificio anche del singolo individuo. Solo una società che offre in modo legale queste opportunità a tutti, può permettersi un sostegno dignitoso, di diritto e non per carità, a chi è più sfortunato. Per distribuirla la ricchezza, bisogna

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

DALL’AMAZZONIA COL FURGONE Un manipolo di indiani del Brasile fotografato lo scorso 21 maggio mentre guidano un autobus ad Altamira. Gli indiani e gli attivisti del gruppo ”Amazon” continuano a protestare contro l’imminente costruzione di una diga idroelettrica proposta lungo il fiume di Xingu ANTONIO DI PIETRO, IL PROFESSIONISTA POLITICO La parola ”professionista” è sinonimo di preparazione, competenza, abilità, esperienza, capacità e serietà. Ma anche di equilibrio e stile. La politica ci pare, troppe volte, fare eccezione. Le ultime parole del capo dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, che ha richiamato Matteotti e il fascismo, per attaccare il presidente Fini e il governo, lo dimostrano. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Pierpaolo Vezzani

IL SINDACO DI ROMA ATTUI UN ”PIANO PIOGGE” Prima del prossimo autunno, sarebbe davvero opportuno che la nuova Giunta Alemanno prendesse i provvedimenti per dotarsi di un vero e proprio piano piogge

dai circoli liberal

prima produrla. E non voglio neppure entrare nella questione che nelle liste potresti non trovare amici o colleghi che sai che, essendo più bravi di te, hanno un più elevato tenore di vita. Il problema è un altro. Almeno qui nel Nord Est, i giornalisti hanno presentato i redditi con titoloni tipo: “Ecco i ricchi” e cosi via. Solo i giornalisti imbecilli, inconsapevoli molte volte dell’alto compito anche educativo morale che devono svolgere nella società, non hanno ancora capito che ricco potrebbe essere il detentore, magari in Olanda, delle partecipazioni di maggioranza della holding del quotidiano di cui sono dipendenti, e non certo chi è classe media, che ha la precarietà di poter scivolare in ogni momento in altre situazioni per una semplice malattia o qualsiasi incidente di percorso. Reddito in genere è lavoro e non ricchezza del patrimonio. Altrimenti la borghesia non sarebbe passata alla storia per il suo carattere schizofrenico dovuto dal timore di scivolare in giù. Andavano pubblicati senza alcun commento e se proprio doveva esserci, doveva essere di approvazione e incoraggiamento a far ancor di più e sti-

per contenere le situazioni critiche che sono dovute a piogge abbondanti, che possono creare allagamenti e disagi. Ad esempio, la pulizia delle caditoie è in tal senso fondamentale. Bisogna predisporre l’impiego di mezzi speciali e di squadre di operatori in relazione all’entità delle precipitazioni. Servono inoltre diverse squadre con spazzatrici per la pulizia delle caditoie, oppure delle bocche di lupo dove l’acqua confluisce per raggiungere la fognatura. Purtroppo lo stato del manto stradale della città di Roma, la pessima manutenzione delle buche e la sporcizia che ostruisce le caditoie, hanno reso la capitale d’Italia una sorta di ”città-palude”. Gli interventi di emergenza devono essere pianificati con urgenza e per tempo.

Federico Melia - Roma

molare la gara. Ma si sa, l’Italia è così, ferma ai giudizi sociali di Peppone e Don Camillo. E poi in verità mi sento ricco. Ricco dentro e questa folle avventura in tutti questi anni di Liberal, che mi ha offerto la generosa vicinanza con tante amiche ed amici che credono prima di tutto in “qualcosa”, ha la sua grande parte di merito. Perché questo alla fine è il “ senso” di tutto. Perché il senso del viaggio è viaggiare. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo Ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog IL NUOVO GOVERNO TRA SCORIE E MUNNEZZA

Chiudo gli occhi per non vedere ciò che amo Ma che succede? Cielo! Fiamme ovunque! Da dove viene questo incendio? Da dove verrà il soccorso? Povero cuore, povero cuore in pericolo! A cosa servirà la ragione? Lei che sa tutto, e sempre meglio di tutti, non sa come soccorrerti e, incapace di agire, lascia cadere le braccia. Quando la vita scorre fredda e vuota di senso, lo si definisce «stato di salute»; ma quando essa osa fare un passo in più nel sentimento, le passioni la travolgono e l’infiammano, e lei si consuma su se stessa. Devo chiudere gli occhi per non vedere ciò che amo. Ahimé, il minimo ricordo mi riempie di un desiderio iroso. Quando allungo le braccia, è verso pareti nude; quando parlo, è al vento; e quando ti scrivo, il cuore si rivolta per non potere volare oltre questo ponte di tre giorni e tre notti che mi separa da te, per sdraiarmi ai tuoi piedi, piena di calma benevolente, eterno desiderio dell’amore. Bettina Brentano a Johann Wolfgang Goethe

ANNAMARIA FRANZONI E LA PISCHE DEGLI ITALIANI Ci siamo. Annamaria Franzoni s’è definitivamente beccata sedici anni di galera. I più esultano, in base poi a quale criterio di giudizio nessuno lo sa. In molti si commuovono. E anche qui, in base a quale parametro di giudizio nessuno lo sa. Esultano: «E’ stata lei e merita la galera anche se non ricorda di aver ammazzato un bimbo di tre anni». Ammazzare, lemma sinonimo di uccidere, ma ad alto impatto fonico-emotivo per via della doppia ”m” e della doppia ”z”. Si commuovono: «Non è stata lei, una donna così non sarebbe stata mai in grado di uccidere suo figlio Samuele». Suo figlio Samuele, che è come dire un bimbo di tre anni, ma specificando così la discendenza di sangue più diretta in natura, quasi si vuole andare a indicare l’impossibilità di mettere a punto un’atrocità simile. In tanti poi hanno cercato di psicoanalizzare nei modi più disparati la mente della signora Franzoni. In pochi hanno immaginato di farlo con quella del pubblico italiano a casa. Buon lavoro. Cordialità.

Gaia Miani - Roma

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

23 maggio 1430 Giovanna d’Arco viene catturata dai Borgognoni a Compiègne e viene in seguito venduta agli inglesi 1592 Giordano Bruno è arrestato a Venezia 1831 Viene giustiziato a Modena il patriota italiano Ciro Menotti 1873 Il parlamento canadese stabilisce la costituzione della Polizia a Cavallo del Nord Ovest (che verrà ribattezzata Reale Polizia a Cavallo Canadese nel 1920), si tratta delle famose Giubbe Rosse 1915 Prima guerra mondiale: l’Italia si unisce agli Alleati dopo aver dichiarato guerra all’Austria-Ungheria 1934 Vicino al loro rifugio di Black Lake (Louisiana), i rapinatori di banche Bonnie Parker e Clyde Barrow vengono uccisi in un’imboscata dai Texas Rangers 1949 Viene istituita la Repubblica Federale Tedesca 2003 Il venticinquenne Pemba Dorjie Sherpa compie la più rapida ascensione di sempre dell’Everest in 12 ore e 45 minuti

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

«Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione». Lo ha dichiarato ieri il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, durante il suo intervento all’assemblea di Confindustria. «Solo gli impianti nucleari consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell’ambiente». Pare che l’impegno se lo sia preso il premier Berlusconi. Dice infatti il ministro: «E’ un solenne impegno assunto dal presidente Berlusconi all’atto della fiducia al nuovo governo. Onoreremo questo impegno con convinzione e determinazione». Vorrei solo capire una cosa: come mai questo governo di centrodestra, forse, risolverà il problema dei rifiuti a Napoli e simili, per poi creare in Italia un problema più grande come quello delle scorie e dell’enorme danno all’ambiente? Saranno pure fuori dal Parlamento, ma mi auguro che i Verdi si facciano sentire presto e forte.

Greta Gatti - Milano

PUNTURE Marco Travaglio nel suo ultimo libro, Il rompiballe, dice: «Se non fosse Berlusconi il capo della destra, io starei lì!». Meno male che Silvio c’è.

Giancristiano Desiderio

La ricchezza è fonte di grandi privilegi, e il più invidiabile di tutti è quello di poter intensificare all’estremo pensieri e sentimenti HONORÉ DE BALZAC

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di ENNESIMO INDICE GLOBALE Altra notiziuola che si trova un po’ dovunque oggi è che secondo il Global Peace Index il paese più pacifico del mondo sarebbe l’Islanda; il meno pacifico l’Iraq. L’Italia si trova ad un buon 28esimo posto, mentre gli Usa finiscono al 97esimo. C’è qualcosa che strusa nel modo in cui è calcolato l’indice - o meglio, negli indicatori usati per il calcolo. Passi per il fatto che il Bhutan sia considerato più pacifico dell’Italia, ma che Cuba, Rwanda e Cina vengano prima in classifica degli Usa è troppo sospetto. Un problema che salta subito all’occhio è che il Gpi mescola pace domestica con pace estera; forse questo ha il suo senso - e quindi non serve a stabilire in quale paese la vita da cittadino sia migliore - ma personalmente non mi pare la metodologia più adatta. Quali siano i veri problemi però si vede esaminando tutta la lista di indicatori con le loro descrizioni. Per esempio, la ”facilità d’accesso alle armi di minore distruzione” entra nel conto, e naturalmente la stretta regolamentazione delle armi da fuoco viene considerata virtuosa. Il ”rispetto dei diritti umani” viene calcolato sulla base dei rapporti di Amnesty International; quello che contribuisce a migliorare il punteggio è la ”uguaglianza di genere”, alte percentuali di donne in politica e partecipazione a trattati internazionali. Aspetti che peggiorano il punteggio, invece, sono il ruolo della religione nella vita pubblica; la disponibilità dei cittadini a com-

battere per il proprio paese; la deviazione della distribuzione di ricchezza da un perfettamente equa(!), eccetera. Ci sono anche voci condivisibili, come il tasso di criminalità, il livello di libertà civili, il Pil pro capita ed altri ancora, bisogna dirlo. Insomma, niente di nuovo sotto il sole: questo indice è buono più che altro per stabilire quale paese sia il più tranzista, pacifista e socialdemocratico - non uno dove sia preferibile vivere.

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MISTERI PETROLIFERI Ma perchè il petrolio aumenta tanto di prezzo e la benzina tanto poco? Semplice, siamo protetti dall’ euro forte. In più i nostri motori sono sempre più risparmiosi, merito dei vincoli ambientali. Entrando lì dentro capirete anche perchè quando il prezzo del petrolio s’ impenna, la benza subito si adegua felice; quando flette, cominciano i tentennamenti, le incertezze, le titubanze, eccetera. Insomma, il fenomeno razzi e piume, il fenomeno che viene sempre fuori al bar. Teoria numero 1: speculazione cattiva da parte di gente avida. In effetti il mercato petrolifero non è libero e le distorsioni abbondano. Teoria numero 2: poichè il trend dei prezzi viene giudicato in crescita, quando c’ è un calo lo si battezza come contingente e temporaneo. Verifiche: il trend è effettivamente in crescita. La cosa depone tremendamente a favore della seconda teoria.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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