QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Le polemiche sui rifiuti in Campania tra dialogo e pugno di ferro
di e h c a n cro
C’è un limite alla trattativa: rimetterci la faccia
di Ferdinando Adornato
di Gennaro Malgieri
S
IL NUOVO CORSO DEL LIBANO Prima Kouchner poi Frattini danno credito alla svolta politica degli integralisti sciiti. Ma Suleiman non sembra in grado di disarmare le milizie del “partito di Dio”
9 771827 881004
80527
e mediare, comporre i contrasti, affinare i punti di vista viene ritenuto indispensabile per giungere ad una decisione condivisa (sia pure con qualche mal di pancia) e per evitare esplosioni d’insofferenza degeneranti in violenza, non si può che essere d’accordo sulla strada intrapresa. Ma se il tutto dovesse trasformarsi in indecisionismo, ripercorrendo consuetudini che conosciamo assai bene, allora diciamo subito che non siamo d’accordo. Il sottosegretario Bertolaso, con grande disponibilità, ce la sta mettendo tutta per “dialogare” con le popolazioni interessate allo sversamento dell’immondizia nelle aree dove vivono. Ma non è possibile non vedere dietro certe proteste la mano degli stessi che per anni hanno ostacolato l’opera di bonifica di parte della Campania. Vogliamo chiamarla camorra? E sia. Una camorra singolare, comunque. Travestita, insomma. Si presenta, in qualche modo, come paladina dei più deboli, di coloro che dovrebbero caricarsi del peso di una condizione certo non invidiabile, ma lo stato delle cose è quello che è e proseguire nell’estenuante rimpallo delle responsabilità non farebbe altro che aggravare la situazione già ben oltre i limiti dell’umana sopportazione. Perciò, nell’ammirare la fatica, la tenacia e l’intelligenza strategica di Bertolaso, non possiamo fare a meno di osservare che l’alibi della “verifica”dei siti chiesta da alcuni sindaci suona tanto di antica presa in giro.
Il generale Michel Suleiman, nuovo presidente del Libano
La trappola di Hezbollah
alle pagine 2 e 3
s eg u e a pa gi n a 4
Contro la crisi dei consumi
Conti sempre più in rosso
Vivere low cost la rivoluzione delle aziende
Alitalia, l’ultima spiaggia è Air France?
di Andrea Cinosi
di Alessandro D’Amato
di Nicola Procaccini
di Massimo Tosti
Non soltanto prezzi bassi, ma anche maggiore efficienza nei livelli di produzione: questa la sfida che sta coinvolgendo tutti: compagnie aeree, auto alimentari, prodotti per la casa, libri scolastici e banche.
Dal milione di euro di perdite al giorno che fece scalpore tempo fa, ora se ne bruciano quasi 1,5 milioni. Ecco le prime stime sul bilancio, arrivate dopo un Cda drammatico che è stato rinviato a oggi.
Immigrazione, sicurezza, bioetica, ma anche bullismo, rifiuti e salari. Sono alcuni dei temi affrontati dal cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione alla 58esima assemblea generale della Cei.
Nel portale sono riportati non solo i documenti e la vita dei nostri soldati durante il Primo conflitto mondiale, ma anche i tanti giornali che venivano stampati e diffusi tra i militari.
da pagina 12
pagina 17
MARTEDÌ 27
MAGGIO
Da oggi è attivo il sito www.14-18.it
Il richiamo del presidente della Cei
Bagnasco al governo: no ai ghetti per gli immigrati
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
pagina 7 NUMERO
97 •
WWW.LIBERAL.IT
Grande guerra, la memoria diventa online
pagina 20 • CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 27 maggio 2008
l palazzo presidenziale di Baabda, sulle colline a Sud di Beirut, ha ripreso a vivere dopo sei mesi di desolato vuoto politico che aveva precipitato, ancora una volta, il Libano nell’anticamera della guerra civile. Già oggi, a ventiquattr’ore dal suo insediamento formale dopo l’investitura ricevuta domenica dal Parlamento, Michel Suleiman, cristiano maronita ed ex comandante in capo delle forze armate libanesi, comincerà a giocare la prima mano della sua partita da presidente: la scelta del premier e del governo di unità nazionale che segnerà il ritorno di Hezbollah nella coalizione che dovrebbe restituire al Paese la pace. Tutto secondo il copione fissato nei cinque punti dell’accordo firmato mercoledì scorso a Doha, capitale dell’emirato del Qatar. Ma non per questo, tutto scontato. Perché nei fatti Suleiman è ostaggio del Partito di Dio che, pur tecnicamente all’opposizione, si è già guadagnato il diritto di veto su qualsiasi decisione e che punta a un riconoscimento politico ancora più sostanziale. E che, soprattutto, può contare su una forza militare che il piccolo esercito libanese nemmeno si sogna e che è armata e addestrata dall’Iran e dalla Siria. Proprio il ruolo futuro di Hezbollah è il nodo-chiave della soluzione della crisi libanese. E non solo. Il gruppo integralista islamico guidato dallo sceicco Hassan Nasrallah - che è nella lista nera delle organizzazioni terroristiche di Stati Uniti e Israele, ma non in quella della Ue - ha una strategia ormai abbastanza chiara.Vuole accreditarsi come un interlocutore politico presentabile senza rinunciare, tuttavia, alla sua milizia che è, al tempo stesso, lo strumento del ricatto a Michel Suleiman e della minaccia dichiarata a Israele. Non è un caso che, ieri, il primo colloquio ufficiale del neo presidente libanese nel palazzo di Baabda è stato con il ministro degli Esteri iraniano, Manushehr Mottaki. I grandi protettori, e burattinai, di Hezbollah hanno voluto ripetere che l’alleanza tra il Partito di Dio e Teheran non si tocca e che l’accordo di Doha - e quindi la stessa elezione di Suleiman - è stato possibile perché anche l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad ha dato la sua luce verde. Come dire che il neo presidente deve stare bene attento nella trattativa con il movimento dello sceicco Nasrallah.
I
Ma che cosa vuole davvero Hezbollah? La sua apertura a una soluzione politica, dopo sei mesi di veti e di combattimenti nelle strade, è sincera? Prima il ministro degli Esteri francese,
la trappola di
hezbollah
In Libano gli estremisti si accreditano come forza di governo, ma non rinnegano la lotta armata
I due volti del Partito di Dio: Suleiman è un ostaggio di Enrico Singer
Soldati libanesi pattugliano il centro di Beirut. Da quando, il 24 novembre del 2007, l’ex presidente Emile Laoud ha concluso il suo mandato, nel Paese è esplosa la violenza. Per venti volte il Parlamento non è riuscito a eleggere un nuovo capo dello Stato e ci sono stati anche scontri armati nella capitale e in altre città fino a che, mercoledì scorso, è stato raggiunto un accordo. Hezbollah ha accettato la nomina del cristiano maronita Michel Suleiman che deve gestire adesso una difficile transizione
Bernard Kouchner, poi il nostro ministro degli esteri, Franco Frattini, che erano a Beirut domenica per l’elezione del presidente in Parlamento, hanno dato credito alla svolta riconoscendo che Hezbollah si è assunto una «nuova responsabilità politica» scegliendo di accettare l’elezione di Suleiman. Ma la scommessa è molto più complessa. La posta in gioco non è, tanto, la formazione del
nuovo governo di unità nazionale. L’intesa interconfessionale che regola la divisione del potere in Libano è stata confermata anche dall’accordo di Doha e prevede che la presidenza della Repubblica spetti a un cristiano maronita (come Michel Suleiman), la guida del governo a un musulmano sunnita e la presidenza del Parlamento a un
musulmano sciita (adesso è Nabih Berri, leader di Amal, il partito storico degli sciiti). Per la carica di premier sono in corsa l’attuale primo ministro dimissionario, Fuad Siniora, e Saad Hariri, capo della maggioranza parlamentare e figlio dell’ex premier Rafik Hariri ucciso nel febbraio 2005 in un attentato che, secondo molti e consistenti sospetti, è stato organizzato dalla Siria, l’altro
grande burattinaio di tutto quanto accade in Libano. A Hezbollah andranno undici dei 30 ministeri della coalizione governativa e Suleiman cercherà di non concedergli almeno i quattro più importanti: Difesa, Interni, Esteri e Giustizia. Già questa fase della trattativa non sarà di facile e rapida soluzione. Ma più che alle poltrone di ministro, Hassan Nasrallah punta a ottenere una nuova leg-
la trappola di ge elettorale. Con le regole attuali Hezbollah è condannato a rimanere minoranza. L’intesa interconfessionale assegna la metà dei 128 deputati ai cristiano maroniti e l’altra metà ai musulmani sunniti, sciiti, drusi e alawiti. Gli sciiti di Hezbollah e Amal vogliono rompere questo schema e vogliono farlo in fretta perché le prossime elezioni politiche si terranno nel 2009. Propongono un sistema proporzionale che rivoluzionerebbe i tradizionali equilibri e che, nella strategia dello sceicco Nasrallah, potrebbe essere la prima pietra per costruire uno Stato islamico anche in Libano. E che sarebbe comunque, nell’immediato, un altro punto a favore di Hezbollah che cerca di dimostrare di non essere soltanto una milizia armata, ma un un movimento politico con un forte radicamento popolare. Proprio come Hamas nei Territori palestinesi. Ed ecco che si ritorna al nodo-chiave della reale natura di Hezbollah.
Il Partito di Dio libanese ha nel suo programma la ”guerra totale a Israele con tutti i mezzi fino alla sua distruzione”. E dal Sud del Libano, prima dell’intervento della forza multinazionale dell’Onu che ora è sotto il comando italiano, sono partiti centinaia di attacchi e di lanci di razzi contro il territorio israeliano. Ancora adesso, attraverso la Siria, nonostante l’azione dei caschi blu, arrivano a Hezbollah dall’Iran rifornimenti di armi che ne hanno ulteriormente accresciuto la potenza militare. E’ vero che nell’accordo di Doha, al quarto punto, è scritto che «i partiti libanesi non dovranno più impiegare le armi o la violenza per realizzare obiettivi politici». Ma questo, secondo Hezbollah, vale all’interno dei confini del Libano e non nella ”lotta al nemico sionista”. La contraddizione di fondo è evidente: il Partito di Dio vuole accreditarsi come forza politica, ma non rinuncia al suo esercito e all’uso di ”tutti i mezzi”- quindi anche del terrorismo - nella sua guerra dichiarata a Israele. A Michel Suleiman tocca adesso il difficile compito di essere il garante di un governo di cui farà parte anche Hezbollah. Ne sarà capace? Gli ottimisti ricordano che, da capo delle forze armate, il neo presidente non ha esistato ad attaccare la milizia Fatah al Islami, vicina ad al Qaeda, nel campo profughi di Nahr el Bared, azione apprezzata anche dagli Usa. I pessimisti notano che lo stesso esercito libanese molto poco ha fatto contro gli uomini di Hezbollah che negli ultimi mesi erano riusciti a prendere il controllo di buona parte di Beirut e di Sidone.
hezbollah
27 maggio 2008 • pagina 3
L’ex ambasciatore Usa all’Onu sulle aperture di Barack a Corea del Nord, Iran e Hamas
Anche Obama rischia di caderci di John R. Bolton ra le dichiarazioni di Barack Obama che hanno maggiormente aizzato i media vi sono quelle relative alla politica estera e in particolare quelle relative alla sua disponibilità ad incontrare «al netto di ogni preconcetto» i leader degli Stati canaglia, Iran e Corea del Nord su tutti. Un approccio, il suo, naif e pericoloso, che sarà senza meno tema di legittimo dibattito elettorale nei prossimi mesi di campagna presidenziale, visto che presuppone un confronto con quegli uomini che guidano i cosiddetti “Paesi paria”. Non che queste sue dichiarazioni siano le uniche ad essere finite sotto i riflettori della critica: altrettanto superficiale è stato il suo commento al primo incontro viennese fra il presidente Kennedy e il leader sovietico Nikita Krusciov del 1961, che di fatto rappresentò una gaffe americana di tale portata - per inesperienza e faciloneria di Kennedy - da aver probabilmente incoraggiato Krushev a tentare di installare i missili sovietici a Cuba, provocando così una delle crisi più pericolose della guerra fredda. Alla luce di questi precedenti, ci si sarebbe aspettato che Obama ne avesse fatto tesoro diventanto un pochino più cauto in tema di sicurezza nazionale e più “avaro” nel concedersi digressioni di carattere storico, strategico e diplomatico. E invece no: il senatore dell’Illinois ha fatto esattamente il contrario, continuando a mostrare vistose lacune nella sua conoscenza e comprensione delle questioni del mondo.
F
Sfortunatamente, queste esternazioni sono state così numerose e varie da non ricevere l’attenzione che avrebbero meritato; quello che emerge, infatti, è che le carenze in politica estera del candidato democratico sono molto più gravi di quanto i suoi critici abbiano precedentemente immaginato soprattutto tra coloro che all’estero bramano la fine dell’amministrazione Bush e la vittoria dei democratici e dunque dovrebbe esserci maggiore preoccupazione su quello che una presidenza Obama potrebbe significare per la sicurezza europea. Soffermiamoci su questa dichiarzione e vediamo cosa implica: «Iran, Cuba,Venezuela: questi Paesi sono poca cosa rispetto agli Stati Uniti. Né rappresentano per noi una seria minaccia, come è stata l’ex Urss; l’Iran spende la centesima parte di quanto destiniamo noi alle forze armate. E se mai provasse a costituire una seria minaccia, non avrebbe alcuna possibilità». Il senatore Obama ha ragione quando dice che gli Stati canaglia non rappre-
sentano una minaccia paragonabile a quella posta dall’Unione Sovietica con il rischio di una guerra nucleare, che fortunatamente per tutti noi non c’è stata. Tuttavia, non va dimenticato che sotto la minaccia globale della guerra fredda abbondavano i conflitti minori tra le superpotenze, perché la minaccia dell’Urss all’Occidente fu più ampia e complicata del semplice rischio della guerra nucleare. Sovversioni, guerriglie, sabotaggi e propaganda erano alcuni dei mezzi attraverso cui questi conflitti venivano alimentati e gli interessi in gioco erano alti, anche o forse soprattutto nei Paesi “piccoli”. Nell’emisfero occidentale, per esempio, i sovietici usarono la Cuba di Castro come delegato per sostenere le attività rivoluzionarie in El Salvador e Nicaragua, e in Europa occidentale forti partiti comunisti guidati da Mosca sfidarono le democrazie a casa loro, mentre in Africa molti regimi dipendevano dall’assistenza militare sovietica per rimanere al potere, minacciare i propri vicini o resistere all’opposizio-
«L’affermazione più naif del senatore? Che la mancanza di trattative Usa con Ahmadinejad sia la ragione che ha spinto l’Iran a puntare sul nucleare»
Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah ne anticomunista. Entrambi i contendenti della guerra fredda, peraltro, erano ansiosi di non trasformare questi conflitti in una guerra nucleare, dunque la posta in gioco non è mai stata l’intera civiltà, ma dire che queste minacce “asimmetriche” agli Stati Uniti, ai suoi amici e alleati erano “marginali”, suonerebbe come una novità a tutti quelli che hanno combattuto per mantenere o estendere il bene della libertà durante la guerra fredda. Se in Italia, per esempio, fossero andati al potere i comunisti negli anni Cinquanta o Sessanta, per gli Stati Uniti sarebbe stata
solo una sconfitta, mentre per il popolo italiano si sarebbe trattato di una catastrofe terribile, perché una “minaccia” asimmetrica all’America può essere, e spesso è, una minaccia esistenziale ai suoi amici, e questo noi, ai tempi del Muro, non lo abbiamo mai dimenticato mentre il senatore Obama sembra ignorarlo completamente; ironia della sorte, è proprio il candidato che sta portando avanti un approccio politico unilaterale, minimizzando i rischi e le sfide agli alleati degli Usa quando la diretta minaccia nei nostri confronti è “contenuta”.
Ciò che è implicito nel riferimento di Obama a tali minacce, è che esse siano abbastanza insignificanti da poter essere risolte solo con i negoziati, e pochi giorni fa si è spinto oltre, sostenendo che fosse la mancanza di trattative la causa stessa delle minacce: «Il fatto che non abbiamo parlato con loro li ha portati a sviluppare le armi nucleari, a finanziare Hamas ed Hezbollah». Questa, forse, è l’affermazione più incredibilmente naif di tutte, secondo la quale in verità sarebbe la politica americana a motivare l’Iran, piuttosto che le ambizioni e i precisi interessi di questo Paese; una simile idea suona certamente nuova ai mullah di Teheran, per non parlare delle leadership di Hamas ed Hezbollah. Il senatore Obama, comunque, ha dimostrato di credere – come fa gran parte della sinistra americana e straniera – che sono gli Stati Uniti i maggiori responsabili dei mali del mondo. Quasi venticinque anni fa, nel 1984, l’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Jeanne Kirkpatrick, ribattezzò le persone di siffatte opinioni «i democratici di S. Francisco», dopo che la città candidò Walter Mondale alla presidenza degli Stati Uniti. Ma ancor più, accusandoli di biasimare la nazione per ogni male del mondo, li bollò per sempre con un gioco di parole They always blame America first che traeva spunto dal movimento contrario all’ingresso Usa nella seconda guerra mondiale, America first, per l’appunto. Un appellativo che ai democratici è rimasto cucito addosso ancora oggi. Questa è un’altra parte di storia che il senatore Obama ignora o non ha mai imparato, ma è un pezzo di storia degno di attenzione, che lui lo capisca o meno. Nel 1984, Mondale subì una delle peggiori sconfitte della storia politica americana. Adesso vedremo se Obama seguirà lo stesso percorso.
pagina 4 • 27 maggio 2008
rifiuti
Mediare con i sindaci delle discariche è doveroso: ma non a costo di tornare indietro dalla linea della fermezza
Il rischio del “dialogo“ di Gennaro Malgieri
segue dalla prima All’inizio della trattativa, quando il responsabile governativo, ha messo tutte le parti (fin troppe) attorno ad un tavolo, c’è stato chi ha chiesto dieci giorni di tempo; poi settantadue ore; infine, trentasei. L’accordo, che ci sembra inutile, rivela la disponibilità estrema di Bertolaso, a voler evitare lo scontro, posto che esso è stato sottoscritto con rappresentanti delle istituzioni locali, comitati dei cittadini e gentiluomini dei centri sociali i quali, com’è noto, per principio non accetteranno mai nessuna possibile soluzione: per loro l’immondizia è parte del paesaggio che hanno contribuito a formare nel corso di anni scanditi dall’intolleranza ambientalista e dall’imbecillità di alcuni amministratori ai quali non è parso vero trovare nei noglobal una “sponda” che è arrivata, attraverso verdi e comunisti, fino al governo.
Temere un cedimento è più che normale. Abbiamo comunque fiducia in Bertolaso. Senza considerare che su Serre, Chiaiano e dintorni Berlusconi ci rimetterebbe la faccia. Dunque si va avanti. Con o senza l’appoggio popolare. Appoggio che va cercato, com’è giusto che sia, ma non a prezzo di svendere l’autorità dello Stato. Pertanto isolare i violenti è prioritario, mentre si cerca di comprendere le ragioni della gente alla quale va fatto capire che la degenerazione provocata all’ulteriore accumulo dei rifiuti produrrà effetti talmente nocivi neppure paragonabili a quelli delle discariche a cui si oppongono. Lo Stato deve esercitare la forza e la persuasione, dunque. Non prima di aver isolato chi soffia sul fuoco per i motivi più vari. Ma anche dando prova di voler seriamente non tamponare un’e-
mergenza, ma risolvere una volta per tutte un’incresciosa quanto abnorme situazione dalla quale dipendono i destini di intere popolazioni, oltre l’immagine complessiva del nostro Paese.
Da ciò discende la necessità di porre mano ad un’operazione di sensibilizzazione e di coazione al fine di rendere obbligatoria la raccolta differenziata; poi di smaltire in Germania o altrove ciò che non può essere gettato nelle discariche; infine, presentare i progetti per la costruzione a tempo di record di almeno tre termovalorizzatori, individuando le aree senza contrattare con nessuno, impedendo a sindaci e ad amministratori di chiedere verifiche, stipulare patti, imporre condizioni. Se i termovalorizza-
Isolare i violenti è prioritario. Dobbiamo cercare di comprendere le ragioni della gente ma spiegare che l’ulteriore accumulo dei rifiuti produrrà effetti più nocivi di quelli dei depositi
tori non piaceranno a qualcuno vuol dire che se ne farà una ragione, ma non deve essere consentito neppure un accenno di rivolta contro di essi anche se li si volesse edi-
ficare in piena piazza Plebiscito. Tutto questo, sia chiaro, non attiene ad una logica “decisionista”, come frettolosamente è stato detto e scritto da osservatori a corto di argomenti. Il decisionismo è altro (e ne parleremo al più presto). Nella circostanza si deve più modestamente e verosimilmente dire che si vuole attivare un metodo fondato sulla buona amministrazione, richiamando in vita, se del caso, il vecchio Stato burocratico bismarckiano, le cui tracce da tempo immemorabile sono andate perdute.
Tuttavia, è innegabile che la volontà del governo è nel segno del risanamento e se si prende perfino l’applauso di Antonio Bassolino non si può che esserne soddisfatti. La contrapposizione a tutti i costi, soprattutto su certe materie, non paga e non è degna di una società civile. Ed è alla civiltà dei rapporti che vanno richiamati tutti, oltre che al senso di responsabilità, nel venire a capo, costi quel che costi, della
rifiuti
27 maggio 2008 • pagina 5
Una giornata di tregua mentre Bertolaso punta al dialogo con la popolazione
A Chiaiano il gioco delle tre carte di Giovanni De Cicco
NAPOLI. Questa vince, questa perde. Il gioco d’azzardo delle tre carte, d’invenzione napoletana, trova la sua applicazione anche nella vicenda della spazzatura. Il sottosegretario con delega ai rifiuti, Guido Bertolaso, ha spiazzato e disorientato tutti. Ha prima annunciato i 10 siti da trasformare in discarica e che dovrebbero risolvere, dopo ben 20 anni di disastri, l’emergenza in Campania. Senza escludere l’uso della forza. E lo scorso fine settimana, il resoconto di ciò che è successo a Chiaiano, quartiere degradato di Napoli dove è ubicata la cava della discordia, somiglia molto ad un bollettino di guerra. Insomma, quando tutto sembrava fatto, quando le incertezze del passato sembravano aver lasciato il passo ad un decisionismo supportato, all’occorrenza, dall’uso della forza, si torna clamorosamente indietro. Punto e a capo. Le forze dell’ordine non hanno sfondato i blocchi dei manifestanti, che nonostante la tregua armata, continuano a resistere. Le mediazioni dei sindaci e dei rappresentanti politici del territorio, stabilite domenica durante la riunione in Prefettura con Bertolaso, non sono servite a nulla. La gente non si lascia più rappresentare. Ormai la situazione è sfuggita di mano. E allora, si torna nel vicolo cieco. O meglio, al gioco delle tre carte.
individuare dieci siti, trasformarli tramite decreto in aree militari e dichiararli di interesse nazionale, e solo in un secondo momento procedere con le analisi ed i rilievi per verificare la loro compatibilità con una discarica. Di solito prima si valuta il territorio, ed in base a dei dati concreti si sceglie la soluzione migliore. Ma non è tutto.
È evidente che il progetto del commissariato non può essere attuato perché ho fatto dei rilievi nella cava ed ho riscontrato una forte instabilità delle pareti, costituite da tufo fratturato. Inoltre, il suolo della voragine dista dalla falda acquifera 150 metri, ma la distanza è annullata dalla fratturazione della roccia, la quale consente infiltrazioni di acqua piovana proprio nella falda. Ecco perché anche durante giornate di forte pioggia, il fondo della cava non si allaga mai. E con l’allestimento della discarica, la situazione peggiora perchè nelle falde si infiltrerà l’acqua piovana mischiata al percolato. Ora procederemo ad ulteriori rilievi, come i carotaggi, la qualità dell’aria e del suolo, ma la situazione non cambierà. E quindi si dovrà individuare una soluzione diversa: Io ce l’ho: ma non posso rivelarla. Sono a disposizione delle istituzioni per essere ascoltato». Il gioco delle tre carte ormai non risparmia più nessuno. Si continua a giocare sulla pelle dei cittadini in un contesto dove la Stato continua a collezionare figuracce, a perdere terreno, a scontrarsi con i residenti senza avere nemmeno le idee chiare. Nel frattempo la camorra acquisisce sempre più consensi “schierandosi”dalla parte della gente, dalla parte del territorio, a difesa di un quartiere che lo Stato vuole devastare. Comunque sia, la criminalità organizzata rischia di vincere. Se la discarica non si farà, il merito andrà ai camorristi e ai rampolli dei boss che sono scesi in piazza a scontrarsi con le forze dell’ordine. Se, invece, attraverso l’uso della forza, Chiaiano si trasformerà in una mega pattumiera, lo Stato si è schierato, di fatto, contro i residenti. Che ora più che mai hanno un unico alleato: la camorra appunto.
Lo Stato continua a collezionare figuracce. E la camorra rischia di conquistare sempre più consensi tra i cittadini
questione rifiuti. Il tempo stringe, com’è chiaro a chiunque. Tergiversare significa ampliare il danno già irreparabile. Perciò la proposta governativa, perseguita da Bertolaso, è la sola praticabile. Indugiare sul “dialogo” tra idee contrapposte non porterebbe a niente. Il che è esattamente ciò che si prefiggono coloro che lavorano affinchè nulla cambi, compreso il disagio.
Governo, amministrazioni locali, popolazioni hanno l’obbligo di guardare ad un solo orizzonte, anch’esso perso di vista da decenni purtroppo: il bene comune che giustifica politiche di rigore talvolta temperate con il senso dell’opportunità. Ai rappresentanti della cosa pubblica non si chiede di più. Ed è francamente un po’ triste che l’orizzonte di un presunto grande Paese come il nostro, al momento, debba essere un cassonetto dell’immondizia. Alla decadenza non c’è limite, ricordava Nietzsche, e nessuno può dire dove e quando s’arresterà.
Bertolaso e i comitati civici hanno formato un tavolo tecnico, coinvolgendo esperti nominati dal commissariato e dai residenti per effettuare dei rilievi, delle analisi approfondite in modo da capire se la cava può essere adibita a discarica senza nuocere alla salute e all’ambiente. Una presa in giro. Tant’è che nel pool di esperti trova posto pure il professore Franco Ortolani, che sin dai primi giorni, contro tutto e tutti, ha bocciato il progetto del commissariato. Una tesi supportata da rilievi e dati, ora solo da approfondire. Questa vince, questa perde. A Chiaiano c’è la sensazione che stia accadendo ciò che già si è verificato qualche mese fa nel quartiere di Pianura, dove la discarica annunciata non è stata mai realizzata: le istituzioni vogliono rimediare all’ennesimo sbaglio. Un dubbio che trova d’accordo proprio Ortolani. «È una tesi legittima per diversi motivi – spiega a liberal Ortolani -. Innanzitutto, non capisco come si possano
d i a r i o
d e l
g i o r n o
Rifiuti, Maroni: «No a uso dell’esercito» Il ministro dell’Interno Roberto Maroni non vuole impiegare l’esercito in funzione di tutela dell’ordine pubblico nell’emergenza dei rifiuti in Campania. Lo ha dichiarato a margine dell’assemblea di Confindustria a Varese. «Non sono d’accordo con l’utilizzo dell’esercito per funzioni di ordine pubblico». Infatti «diverso è presidiare siti come è stato in Sicilia per la missione ”Vespri siciliani”». Quanto alle discariche in Campania, ha assicurato che «Polizia e forze dell’ordine sono in grado di garantire l’ordine pubblico».
Afghanistan, Frattini: «Flessibilità operativa» Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha dichiarato la disponibilità ad allentare le restrizioni per «uno spostamento temporaneo e caso per caso» delle truppe italiane in Afghanistan. «Ho espresso posizione favorevole alla modifica di alcuni ”caveat”, quello che occorre è dare flessibilità all’impiego operativo del contingente in Afghanistan», ha spiegato il titolare della Farnesina al termine del colloquio nella sede dell’Alleanza atlantica, a Bruxelles.
Mastella: «Mi hanno tagliato fuori» «Siamo in una fase in cui c’è un governo di larghe intese e un’opposizione mielosa; ma spero che si ottengano risultati più dignitosi di quelli che ho cercato di raggiungere io nell’ambito della giustizia». Così l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella ieri durante un convegno organizzato dalla corrente di Magistratura indipendente sul rapporto tra mass media e giustizia. Tra gli interventi del nuovo governo sulla giustizia, Mastella ha auspicato un’attenzione maggiore in materia di intercettazioni e, «affinché ci sia una giustizia davvero giusta per i cittadini, si intervenga presto sulla durata dei processi». Poi ha aggiunto: «Ho provato a cambiare le regole del gioco e per questo mi hanno fatto fuori. Sono stato vittima di processi mediatici, in pratica una persona sbattuta come un mostro in prima pagina, umiliato e malfamato».
Sicurezza: in corso notifica a Ue Il dl sulla sicurezza, per la parte che riguarda la libera circolazione dei cittadini, è in corso di notifica alla Commissione europea. Ne ha dato notizia il ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi, ieri a Bruxelles per partecipare alla riunione dei 27 coordinatori nazionali per la strategia di Lisbona e per una serie di incontri bilaterali. Il decreto legge, già pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale, sarà notificato entro un paio di giorni.
Alemanno: «Bilancio di Roma drammatico» Le condizioni del bilancio di Roma «sono molto gravi». Lo ha affermato il sindaco di Roma Gianni Alemanno nel suo discorso al consiglio comunale. «Devo dare una cattiva notizia - ha esordito il sindaco - rispetto al bilancio e al patto di stabilità: la situazione è molto deficitaria, presenta problemi seri. Per questo ho chiesto una attenta verifica alla Ragioneria e al ministro del Tesoro e tra 15 giorni sapremo l’esatta situazione sui conti comunali e sullo stato di salute delle società controllate». Secondo Alemanno, dalle prime verifiche la situazione è «assolutamente negativa». Si sapeva che esisteva un debito di circa sette miliardi di euro, ma non si conosceva lo stato effettivo, che è necessario conoscere per costruire le politiche future. «Studieremo a fondo con l’opposizione - ha quindi assicurato il sindaco di Roma - le risposte da dare a questo stato grave e pericoloso del Comune di Roma».
pagina 6 • 27 maggio 2008
politica
Verdi, Sinistra democratica, Comunisti italiani e Rifondazione: dopo il disastro elettorale ognuno andrà per conto proprio?
Quattro anime in pena nella Sinistra arcobaleno di Arturo Gismondi
a rotta della sinistra estrema appare, a tutt’oggi, senza remissione e il dibattito per porvi un rimedio, o per invertire la rotta, non dà segni di vivacità. Si discute ancora delle ragioni, e il segno è quello di una disapprovazione totale degli elettori, da destra come da sinistra. Da una parte è stato un fallimento il far parte di un governo dal quale non si è riusciti a ottenere nulla, perché non c’era nulla da ottenere a parte ruoli onorifici nelle istituzioni. E in ogni caso, e al contrario, che senso ha avuto il far parte di un governo e su ogni cosa dire di no, mettere i
L
bastoni fra le ruote, qualche volta addirittura agitando la piazza? Nel primo caso la via di fuga sarebbe stata l’astensione, nel secondo un voto difforme. Insomma, una sconfitta anunciata, e un po’ voluta.
La reazione al risultato, è stata fin qui ispirato a impotenza, in qualche caso a tentativi di fuga. E nei fatti, la prima reazione politica del gruppo che, ultimo ad abbandonare il partito dei Ds, ove occupava il famoso “correntone”, ha conservato qualche rapporto con la vecchia casa. Si tratta della Sinistra Democratica, di Mussi, Angius, Salvi, del resto avviata, subito dopo la scissione, in direzioni diverse, sembrando a qualcuno, è il caso di Angius, insostenibile l’aver spiegato
l’abbandono del partito per il rifiuto di aderire al socialismo europeo, e aver poi concluso il percorso alleandosi con Diliberto e Giordano. Ed è di qui, dal gruppo di Sd che è venuta la prima mossa: l’elezione a coordinatore del partito di Claudio Fava, giovane e legato a un passato di movimento, è stato usato plenipotenziario di possibili intese future. Che per l’ intanto hanno partorito un “patto di consultazione”. Questo abbozza nel Pd una strategia, o un movimento, sia pure embrionale, in direzione di un centro-sinistra più organico, e controllabile della vecchia Unione prodiana. Siamo agli albori, niente
perstiti propone, o solo accenna, a soluzioni diverse che non vanno , almeno per ora e a motivo della sterilità del dibattito a un mese dalle elezioni, al di là della sopravvivenza.
C’è intanto, più a disagio di altri, la “infelice banda di fratelli”dei Verdi condotti da Pecoraro Scanio al naufragio. Al punto che ciò che nascerà dalla confusione odierna non sarà più una leadership dell’ex-ministro, sarà forse un ritorno alla Grazia Francescato, sarà forse una eredità di Bonelli. Si sa comunque che per il Pd si occupa attivamente dei Verdi, Ermete Realacci, che con la pro-
quale è parte un anti-berlusconimo viscerale, appare il più legato a un giustizialismo storico che ne fa un proseguimento naturale a sinistra del mondo del quale Di Pietro resta il campione. Nella sinistra, in effetti, l’anti-berlusconismo ha le radici più antiche e profonde in una militanza allevata al culto della superiorità morale della sinistra, e alla conseguente abiezione del nemico prescelto come tale: Craxi ieri e ie-
Spena e Migliore. La contesa per la nuova segreteria, però, almeno per il momento si raccoglie attorno a due candidati: Nichi Vendola, governatore della Puglia e un po’ delfino a suo tempo di Bertinotti, e il ministro per le questioni sociali Ferrero. Lo spartiacque politico fra i due è reso un po’ complicato dal fatto che Vendola è governatore della Puglia, intende restarlo dopo le elezioni del prossimo anno, de-
ERMETE REALACCI
NICHI VENDOLA
CLAUDIO FAVA
Il “ministro ombra” sta cercando di portare in primo piano le tematiche ambientali nel Pd. Per neutralizzare definitivamente i Verdi?
Il governatore pugliese e l’ex ministro del Welfare del governo Prodi, Paolo Ferrero, si contendono la segreteria di Rifondazione comunista
Giovane e legato a un passato di movimentismo: a lui Sd ha affidato il ruolo di coordinatore del partito e di plenipotenziario per possibili intese future
di più, ma Veltroni qualcosa deve pur farla visto che si comincia a chiedergli conto in modo aperto, lo ha fatto nei giorni scorsi Monaco, prodiano, di una politica delle alleanze che deve ancora spiegare la scelta dell’Idv di Di Pietro (che si è mosso subito a contrastare il “clima nuovo”con il governo Berlusconi) mentre si è impedito ai radicali di presentarsi come lista e si sono lasciati alla loro sorte i socialisti, certo i più vicini, nonostante tutto, alle ragioni democratiche del Pd. La rotta della sinistra massimalista non ha accresciuto la solidarietà di coloro che restano sotto un tetto il quale, peraltro, li ha così mal riparati nella bufera elettorale. La sinistra Arcobaleno è stato solo un cartello elettorale, e ognuno dei su-
blematica ambientalista ha la maggiore consuetudine. E vale per il Pd, a proposito di ambientalismo, il discorso appena avviato con la Sinistra Democratica. Con l’aggravante che qui, nel caso dei Verdi, è più difficile identificare interlocutori accreditati. Restano le componenti comuniste vere e proprie, il Pdci di Diliberto e Rizzo, e Rifondazione. Diliberto si è da tempo accreditato come il campione di un comunismo superstite, manifesta l’intenzione di conservare, nel panorama politico italiano, il simbolo della falce e del martello. Il calcolo è quello di raccogliere la parte più chiusa, anche sotto il profilo simbolico, del vecchio mondo comunista. Il Pdci, tuttavia, nella conservazione del passato, del
ri l’altro, il Cavaliere ieri, oggi e nel futuro. Resta il partito di Rifondazione Comunista, che pur essendo stato travolto, e sotto il profilo numerico più di altri nel disastro, mostra nei suoi epigoni, di conservare la capacità di un dibattito politico. Le dimissioni di Bertinotti restano una cosa seria, quello che fino a poco più di un mese fa era il leader indiscusso non potrà che restare un punto di riferimento politico e culturale.
Per il resto, la battaglia per la leadership in Rifondazione è ripresa con una certa gagliardia. Con Bertinotti il peso della sconfitta ha colpito un po’ tutto il vertice del partito, dal segretario Franco Giordano ai capi dei gruppi parlamentari Russo
ve bongré malgreé conservare un qualche rapporto con Veltroni e il Pd . Ferrero non ha di queste preoccupazione, pensa a rimettere insieme le residue forze di Rifondazione, con particolare riguardo per le minoranze una volta trotzkiste, per i transfughi alla Turigliatto e per quelli andati a costituire il Partito Comunista dei Lavoratori. Oltreché, vi è da credere, per i gruppi allontanatisi da Rifondazione per la sua compromissoria e improduttiva presenza al governo. Ferrero, a guardar bene, si ripropone il partito di Bertinotti dopo il Congresso di Venezia del 2006, senza compromissioni, almeno sul piano nazionale, col potere governativo, Una incognita, il ritorno a un movimentismo del quale è difficile prevedere il futuro.
politica
27 maggio 2008 • pagina 7
“Va bene l’esigenza di sicurezza, ma bisogna rispettare i diritti di civiltà”. Stoccata anche all’ex ministro degli Esteri
Il richiamo di Bagnasco al governo di Nicola Procaccini
ROMA. Immigrazione, sicurezza, bioetica, ma anche bullismo, rifiuti e salari. Sono alcuni dei temi affrontati dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione alla 58esima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Il suo discorso era molto atteso, si trattava del primo intervento ufficiale dall’insediamento del nuovo governo. Non ha deluso, chiaro, schietto, in certi momenti Bagnasco è stato persino trascinante: nel rivendicare il diritto della Chiesa ad intervenire nel libero confronto pubblico, rispondendo indirettamente a Massimo D’Alema che ha recentemente polemizzato con il Vaticano. «Esprimere liberamente la propria fede, partecipare in nome del Vangelo al dibattito pubblico, portare serenamente il proprio contributo nella formazione degli orientamenti politico-legislativi, accettando sempre le decisioni prese dalla maggioranza: ecco ciò che non può mai essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato»: così il cardinale Bagnasco ha aperto i lavori dell’assemblea generale della Cei. Sbrigata la pratica D’Alema (poco rispettoso, ma rendeva bene il senso del passaggio), il presidente della Cei si è addentrato senza timori fra i temi al centro della discussione politica. Ha parlato di sicurezza, ha riconosciuto l’esistenza di una crescente richiesta di protezione da parte dei cittadini italiani, ma ha chiesto al governo di Silvio Berlusconi di dare risposte “calibrate”, senza esagerare con il pugno di ferro. In particolare, Bagnasco si è soffermato sulle misure adottate nei confronti degli immigrati: «Segnaliamo l’urgenza di approntare e affinare delle buone politiche volte ad una reale integrazione dei cittadini immigrati che legittimamente soggiornano sul nostro suolo». Riguardo ai clandestini ha poi aggiunto: «Per ciascuno di quelli che tentano di entrare nel nostro Paese bisogna trovare un continuo equilibrio tra esigenze e attese, tenendo alto il rispetto dei diritti delle persone, che sono poi doveri di civiltà». «Pare a me che si debba evitare, per questi nuovi venuti e le loro famiglie, il formarsi di enclave a loro destinate che, se in un primo momento potrebbero apparire
Ma davvero D’Alema pensa che la religione sia solo potere? di Giuseppe Baiocchi orse aveva proprio ragione l’indimenticato intellettuale cattolico-liberale Giorgio Rumi (maestro di storia anche per chi scrive) quando liquidava così ogni dibattito sull’allora futuro Partito Democratico: «non si mettono insieme le pere con le mele». Come sa bene ogni contadino, quando si portano in dispensa i frutti dell’autunno, non si tengono mai insieme le mele con le pere, altrimenti le une fanno marcire le altre. L’evidente e palese difficoltà di convivenza nel Pd fa sì che in altre forme questa si ripercuota sull’altro versante. Dall’“anarchia etica”alla composizione della compagine governativa, l’assenza cattolica lascia aperti interrogativi inquietanti sulla tenuta di un sistema, nonostante (o forse proprio per) una esibita corrispondenza di amorosi sensi all’insegna dei ruoli di potere. Il paradosso che da entrambe le parti si è arrivati a riconoscere e ad accettare almeno culturalmente (dopo due secoli di tentativi in senso contrario) come ineliminabile e positivo il ruolo pubblico della religione. E nel Paese che ospita la sede di Pietro, questa obbligata consapevolezza suscita una certa inquietudine per la propria e reciproca fragilità. Certo, tramontata per sempre la lunga stagione democristiana (della quale in troppi si riscoprono orfani e orbati), e confinati i credenti in posizione apparentemente secondaria, si sa che è con la Chiesa, italiana e universale, che bisognerà in ogni caso fare i conti, e non saranno “conti facili”. Sembra averlo compreso, più in fretta di tanti altri, D’Alema che, nell’ultimo convegno della sua Fondazione, ha sparato a palle preventive, mettendo in guardia la Chiesa italiana dallo stringere un patto di potere con la destra al governo. Se insegue una politica di potenza - ha aggiunto - dovrà poi chiedere perdono come ha fatto al cambio di Millennio Papa Wojtyla… Questa sincerità tradisce però la dannata incomprensione con la quale da una parte e dall’altra si vede la presenza pubblica della religione: ovvero utilizzabile come efficacissimo “instrumentum regni”, ma con evidente gelosia se l’altra parte sembra goderne i presunti favori. Non può essere così: altrimenti non si spiegherebbe come mai, nonostante gli infiniti errori dei suoi uomini, la Chiesa sia viva ed operante da ben duemila anni. Nel campo di Cesare, a differenza di quello di Dio, non esistono dogmi (neppure quello del patriottismo costituzionale); ci sono però due ambiti nei quali la richiesta dei cristiani è forte e ineludibile e mette, per sua natura, in difficoltà le forze politiche diversamente ispirate. L’intransigenza sui valori comuni del patrimonio umano (la vita, la famiglia, la libertà educativa) ed il primato, da sempre rivendicato, della società sullo Stato. Il principio di sussidiarietà (che mette in soffitta il nobile statalismo di matrice dossettiana) interpella con durezza e pone alla politica alta la sfida più forte, dalla quale è impossibile scantonare. Un’ultima notazione: stupisce che proprio un autorevole ex ministro degli Esteri non si sia accorto di un fenomeno con il quale è entrato in contatto di recente, anche se solo per dovere d’ufficio: le ripetute crisi di libertà negata in Birmania e nel Tibet hanno visto protagonisti proprio i monaci di quei due infelici paesi. E colpiva la meraviglia con la quale tutta la stampa occidentale notasse come fossero uomini consacrati alla spiritualità a incidere sulla società civile e sulla politica molto di più di coloro che nel mondo vi erano immersi dentro. E’mancata l’equazione semplice semplice che questo apparente paradosso è già stata l’origine e la fortuna della nostra Europa: dalle abbazie medioevali alla storia educativa e persino sanitaria, i parametri di civiltà sono stati costruiti da chi stava “nel mondo”senza essere “del mondo”. E, forse, un po’ più di “monastero benedettino” (sempre per citare la metafora dalemiana) anche alla nostra politica farebbe solo bene.
F
Il cardinale Angelo Bagnasco. In basso, Massimo D’Alema una soluzione emergenziale, diventano presto dei ghetti non tollerabili». La questione immigrati e sicurezza è stato il tema su cui Bagnasco si è soffermato
teressate dall’emergenza. Infine, il presidente della Cei si è fatto promotore delle attese dei cittadini sul fronte degli stipendi, delle pensioni, del potere d’acqui-
La questione immigrati e sicurezza è stato il tema su cui il presidente della Cei si è soffermato più a lungo, ma i messaggi politici sono stati molti e distribuiti accuratamente lungo tutta la sua prolusione più a lungo, ma i messaggi politici sono stati molti e distribuiti accuratamente lungo tutta la sua prolusione. «E’da auspicare che i criteri ispiratori e le disposizioni della legge 40 non siano oggetto d’interventi volti a stravolgere il punto di equilibrio raggiunto dal Parlamento, e poi chiaramente confermato dall’esito referendario, ma al contrario possano trovare piena attuazione in uno spirito di condivisa attenzione alla vita», queste le parole del cardinale sulla fecondazione assistita. Ha poi parlato dei rifiuti in Campania invitando le autorità pubbliche ad incontrarsi con le popolazioni in-
sto, dell’emergenza abitativa, delle iniziative di sostegno della maternità. Praticamente, un discorso d’insediamento quello del cardinal Bagnasco che solo in minima parte ha ricordato quello del nuovo premier italiano in In parlamento. questa considerazione finale potrebbe esserci il destino del rapporto tra la Chiesa di Roma ed il quarto governo di Silvio Berlusconi.
pagina 8 • 27 maggio 2008
società
L’Italia delle comunità religiose. Viaggio nelle associazioni cattoliche/1 Azione Cattolica
Le classi dirigenti italiane sono nate tutte qui Francesco Rositano enza quel 16 marzo 1978 via Mario Fani sarebbe rimasta una delle tante strade di Roma. Anonima e trafficata. Invece fu proprio in quella strada, dal nome apparentemente qualunque, che quel giorno si scriveva una delle pagine più drammatiche della storia di tutto il Paese: le Brigate Rosse rapivano Aldo Moro e trucidavano i cinque uomini della sua scorta. Il leader della Dc fu trovato morto due mesi dopo, il 9 maggio, nel cofano di un’auto in un’altra strada della Capitale, via Caetani. Eppure è a via Mario Fani che Aldo Moro era legato a doppia mandata. Sembra uno strano scherzo del destino, forse una coincidenza voluta, che il leader democristiano venisse rapito proprio nella strada dedicata al fondatore dell’Azione cattolica di cui, proprio lui, era uno dei più illustri rappresentanti. Già cinque volte presidente del Consiglio, Moro, infatti, era stato presidente della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici, articolazione giovanile di quella che in sigla viene comunemente chiamata Ac.
S
Bisogna fare un salto nel tempo di più di cento anni per risalire agli albori di questa grande associazione del laicato cattolico - l’unica fino al Concilio Vaticano II - nata nel 1867 in forma embrionale e del tutto spontanea per iniziativa di due giovani universitari: Mario Fani, viterbese, e Giovanni Acquaderni, di Bologna. Nell’Italia post-unitaria e liberale, i cattolici più attivi che militavano nelle parrocchie, sentivano l’esigenza di tendere la loro mano al Papa e di combattere con lui la sfida che sentivano più urgente: impedire che Dio fosse“scalzato”fuori dal Paese e che l’Italia mantenesse la propria identità cristiana. E la Chiesa aveva bisogno di un alleato fedele, soprattutto della gente comune, che riportasse il Vangelo nella vita di tutti i giorni: il lavoro, la scuola, l’università, la famiglia.Tra Chiesa e Ac fu amore a prima vista, tanto che l’Associazione di Fani e Acquaderni il 2 maggio 1868 ottenne il riconoscimento pontificio.
L’Ac crebbe in maniera rapidissima e nel giro di pochi anni cominciò a diffondersi nelle parrocchie di tutta Italia, dal nord al sud. In principio conservava una divisione in sezione maschile e femminile che negli anni fu superata.
Nata nel 1868, fino al Concilio Vaticano II è stata l’unica grande associazione del laicato cattolico. Nell’Italia post-unitaria e liberale, quello tra Ac e la Chiesa del non expedit fu amore a prima vista
de, attraverso la catechesi nelle parrocchie, i giochi di gruppo, i campi estivi. Ma non poteva sottrarsi alle sfide lanciate dalla società cui i cattolici volevano dare il proprio contributo. Se si volesse sintetizzare lo spirito dell’Ac si potrebbe dire che è sempre stata «tra le piazze e i campanili». Un’espressione che sa di manifesto programmatico e che è diventata anche il titolo del recente documentario dedicato al 140° anniversario dalla sua fondazione.
fascismo alla nascita della Repubblica. Si fece attraversare dal Vento del Concilio Vaticano II; non rimase indifferente al terremoto culturale rappresentato dal ’68. E fin dall’inizio dovette pensare in maniera attenta alla propria identità. Voleva essere un luogo di educazione alla fe-
L’Ac si pone come primo scopo quello di educare i propri aderenti ad una fede matura e consapevole, alimentata da una partecipazione alla vita della Chiesa, alla liturgia, alla catechesi. Ecco il campanile, cioè la parrocchia, da sempre terreno privilegiato dell’impegno del-
I militanti dell’Azione cattolica non si limitarono mai a fare da spettatori al film del proprio paese. Ma ne scrissero, in maniera indelebile, le pagine più importanti.Venivano, infatti, dalle sue fila uomini come Aldo Moro, Oscar Luigi Scalfaro, Giulio Andreotti. Ma anche espo-
nenti di spicco della Chiesa come Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, per anni assistente nazionale dell’Associazione. Una realtà che è stata protagonista di due secoli di storia d’Italia: dal non expedit di Pio XII alla Grande Guerra; dal
Parla Luigi Alici
«Siamo bipartisan, ma i valori non sono negoziabili»
Sopra, il presidente, Luigi Alici; in alto, il popolo dell’Azione Cattolica festeggia Benedetto XVI; a destra, Aldo Moro uno degli illustri militanti dell’associazione
ROMA. «La discrezione è la firma di Dio». È in qualche modo questa citazione del filosofo Emmanuel Mounier il motto di Luigi Alici, presidente emerito dell’Azione cattolica e professore ordinario di Filosofia Morale all’Università di Macerata. Cinquantotto anni, sposato, due figli, ha abbracciato l’Ac da quando era poco più di un liceale, lì a Fermo, nelle sue Marche. Prima come studente delle scuole superiori, poi come universitario della Fuci (Federazione Universitari Cattolici). Una militanza che negli anni lo ha portato fino alla carica di presidente nazionale, ottenuta nel 2005, dopo il mandato di Paola Bignardi, prima donna a capo dell’Associazione. Contrario alla militanza urlata e fermo avversario del partito dell’individualismo «che trasversalmente minaccia l’Italia», è da sempre in prima linea per difendere quell’ethos condiviso che accomuna laici e cristiani, credenti e non credenti. Dal suo punto d’osservazione afferma di aver sempre vigilato con attenzione il lavoro della classe politica, presentando interventi mirati ogniqualvolta lo ha ritenuto opportuno. Ultimo caso, la presentazione del Manifesto al Paese, consegnato nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano. Poco più di una pagina nella quale si ribadisce la volontà dell’Ac di essere la «sentinella» dei valori non negoziabili. Valori permeati nella Costituzione italiana, scritta anche grazie al contributo decisivo di alcuni cattolici dell’Ac come Aldo Moro, Oscar Luigi Scalfaro e Giulio Andreotti. Professor Alici, quando ha conosciuto l’Associazione? Il primo contatto lo ebbi da ragazzo, ai tempi delle scuole superiori e dell’università, nell’ambito di quell’attenzione educativa che l’Azione cattolica ha sempre riservato ai giovani. Per di-
l’Associazione. È lì che si riunisce l’Italia reale: l’uomo che lavora, il padre di famiglia, il pendolare, lo studente, i giovani. Da questo punto di partenza poi l’Ac ebbe modo di diffondersi ovunque: tra i banchi di scuola, conquistando gli studenti; nelle università; nel mondo del lavoro; nelle fabbriche. Senza tralasciare, però, la vita civile, «la piazza», in cui i cristiani si devono comunque dimostrare citta-
verso tempo, nella mia diocesi di Fermo, mi è stato chiesto di dedicarmi alle giovani coppie; poi sono divenuto presidente diocesano. Con la presidenza di Paola Bignardi sono stato invitato a dirigere la rivista culturale Dialoghi. Tre anni fa, in occasione della XII Assemblea nazionale, sono stato nominato presidente nazionale. Il ’68 in che modo influenzò l’Associazione? Quel vento soffiò forte anche nell’Ac. Ricordo benissimo quell’anno. Era appunto l’anno in cui ottenni la maturità classica. Erano anni sofferti anche nel mondo cattolico. Anche lì c’era una fitta contestazione di tutte le forme non spontanee di associazionismo. Un’insofferenza che presto arrivò anche a Fermo, nel mio paese. Si era assolutamente contrari a tutte le forme organizzate che prevedevano uno Statuto, un responsabile, una quota associativa. Quindi si decise di interrompere le adesioni formali all’associazione e di autogestire le quote delle tessere. Non è un caso che in quegli anni nacquero diversi gruppi giovanili spontanei che, però, in seguito si sono persi. Gli unici gruppi a rimanere in piedi sono stati quelli che hanno deciso, in qualche modo, di strutturarsi anche se in forme diverse dall’Ac. Ha avuto modo, in questi anni, di condividere l’impegno in Associazione anche con la sua famiglia? A livello diverso io e la mia famiglia abbiamo vissuto l’esperienza dell’Ac. E questo è stato per noi un grande collante perché ci ha permesso di condividere, ognuno nel proprio ambito, gli stessi ideali. Sicuramente se c’è un veto da parte di uno dei due coniugi, risulta impossibile portare a termine un impegno che richiede una grandissima dedizione. Invece, se c’è una
società
27 maggio 2008 • pagina 9
sa sulla gente comune, di arrivare all’operaio, alla casalinga. Così Luigi Gedda, che fu anche presidente nazionale, ebbe l’intuizione, rivelatasi decisiva, di organizzare i Comitati Civici. E di rivolgersi innanzitutto agli iscritti dell’Azione cattolica, «il piccolo esercito dei baschi verdi», «le sentinelle del Vangelo», per portare voti alla Democrazia Cristiana. Due milioni e mezzo di voti erano un “bottino”da non farsi sfuggire. E Gedda ci riuscì. La Dc stravinse le elezioni politiche, imponendosi come il primo partito italiano. Questo fatto produsse, però, anche una scossa decisiva, una sorta di terremoto all’interno dell’Azione Cattolica, che si trovò costretta a
non poteva diventare la roccaforte degli atei di Stalin. Così Gedda, ancora in prima linea, lanciò l’idea di un’alleanza politica tra Dc, Msi e Partito monarchico. Uno spostamento netto verso destra non venne tollerato da molti vertici dell’Ac, che lasciarono l’Associazione. Questi sono gli anni più travagliati: l’Ac deve rapidamente ripensare a se stessa e trovare ancora una volta quell’equilibrio indispensabile tra piazza e campanile.
È, nel 1964, con la presidenza di Vittorio Bachelet, professore universitario e vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che l’Ac compie la “scelta religiosa” e decide di
Oggi, dopo un processo di rinnovamento, continua ad essere un punto di riferimento fermo per i cattolici. Il 4 maggio erano in centomila a San Pietro a ricevere l’abbraccio di Benedetto XVI dini maturi del Vangelo. Il frutto di questo impegno, che ha avuto anche una declinazione in politica, è scritto anche nella Costituzione italiana del ’48, dove permearono i principi cristiani attraverso l’impegno di uomini dell’Ac: Il ’48, per diverse ragioni, è l’anno d’oro dell’Ac, che già contava due milioni e mezzo d’iscritti. Un piccolo esercito al seguito di un generale del tutto speciale: il
Papa. «I baschi verdi», come vennero ribattezzati dal tipo di copricapo che indossavano, furono una grande risorsa per portare la testimonianza cristiana nella società civile. Ma anche nelle piazze e nella vita pubblica. L’Azione cattolica nel ’48 divenne l’argine principale contro il comunismo. In quell’anno si eleggevano, per la prima volta, i membri del Parlamento italiano e la Dc aveva bisogno di far pre-
disponibilità a fare un cammino di fede che coinvolga moglie e marito questo è un aiuto fortissimo. La sua fede cristiana in che modo è entrata nel suo lavoro? Da docente universitario ho sempre cercato di rispettare i miei studenti senza mettere in discussione l’autonomia di un ambiente di lavoro e di ricerca. La mia prima preoccupazione è stata quella di far bene il mio mestiere: penso che sia implicitamente annunciare il Vangelo. L’Ac è presente anche all’estero. Quali realtà ha potuto conoscere direttamente? Ho conosciuto soprattutto la vita della Romania, un paese che ha vissuto l’esperienza drammatica della persecuzione comunista. E sono rimasto colpito dal fatto che la nostra presenza sia riuscita a tener accesa una fiammella che ora sta crescendo molto. In particolare, la nostra associazione in questo Paese sta facendo un’importante azione di collegamento tra i cattolici di rito romano e quelli di rito greco-bizantino. Quali sono i vostri pilastri educativi? I cardini dell’Ac rimangono gli esercizi spirituali, la preghiera personale, la partecipazione a campi scuola, la vita di gruppo, che ha carattere comunitario. Senza tralasciare l’attenzione alla storia, al dibattito culturale del Paese; alla sofferenza del Sud; allo studio dell’insegnamento sociale della Chiesa. Un ambito decisivo è poi quello della formazione responsabile: è un modo di dare forma alla vita e non un mero indottrinamento meccanico. Un percorso di crescita personale, innanzitutto. Quali sono stati, secondo lei, i contributi più significativi che l’Ac ha dato all’Italia? Non si può non citare il Codice di Camaldoli, documento in cui a livello embrionale confluì il
ripensare alla propria identità. Cosa voleva essere: rimanere un luogo comunitario di educazione ad una fede matura oppure un’associazione collaterale alla Dc? La corda si fece tesa nel 1951, con le elezioni comunali di Roma. Lo spettro del comunismo era ancora alle porte. Paolo VI non poteva concepire che i comunisti salissero al Campidoglio. Roma, la sede del Papa,
contributo dei credenti alla Carta Costituzionale. Oppure non si può non riferirsi alla formazione dei Comitati Civici di Luigi Gedda, che ebbero un ruolo fondamentale e decisivo per la vittoria della Dc nelle elezioni del ’48. Questo forte impegno pubblico creò diversi problemi all’associazione.Vero? Certamente. E fu proprio questo forte coinvolgimento nella politica a causare diversi abbandoni. Pensiamo a Mario Rossi o a don Arturo Paoli. Costoro lamentavano il rischio che l’Associazione si riducesse ad una semplice espressione di collateralismo politico della Dc. Attualmente qual è la posizione dell’Associazione nei confronti della politica? Il nuovo atteggiamento non è di agnosticismo verso la politica. La nostra attenzione si ferma a garantire la tutela di quei valori non negoziabili che devono essere bipartisan. Poi si lascia liberi i propri soci di operare una scelta responsabile. Abbiamo imparato il fatto di non trasformare il bipolarismo politico in bipolarismo associativo. Certamente quello che ci sta a cuore è, innanzitutto, accompagnare le persone nella ricerca e riscoperta della fede; di sensibilizzarli alla ricerca del bene comune; di avere gli occhi sempre aperti a ciò che accade nella vita pubblica; e soprattutto di curare i legami che nascono tra le persone. D’altra parte l’Associazione non è solo una casa editrice, ma è innanzitutto esperienza di fraternità e di condivisione della fede. Un’esperienza di relazione, rara, in un Paese sempre più diviso. F. Ro.
non essere più collaterale a nessun partito politico, concentrandosi solo sull’educazione alla fede. Nel 1969 viene emanato un nuovo statuto secondo il quale l’Associazione viene organizzata in due settori, uno per i giovani e uno per gli adulti, al posto dei precedenti quattro Rami (Gioventù Maschile, Gioventù Femminile, Unione Donne, Unione Uomini), mentre le Sezioni minori sono sostituite con l’unica struttura dell’Azione Cattolica dei Ragazzi (ACR). Eppure questa scelta, troppo legata alle parrocchie, ne mette in crisi l’assetto: tra il 1964 e il 1974, passa da 3 milioni e mezzo di iscritti a 600 mila. A ciò si aggiunse l’«autonomia» della Fuci e del Centro Sportivo Italiano, oltre che alla totale separazione con le Acli, la Cisl e la Coldiretti, avvenuta, però, già negli anni Cinquanta. Questo calo fu conseguenza, non prevista, del Concilio Vaticano II che diede l’avvio allo sbocciare di Movimenti ecclesiali dalla presa più forte sulle giovani generazioni. E soprattutto più radicati nella società civile, in particolare nelle scuole o nelle università, come Comunione e Liberazione fondata da don Luigi Giussani (che fu parte dell’Ac sino alla fine degli anni ’60). Oppure la Comunità di Sant’Egidio, altro frutto dello spirito del Concilio che si radicò soprattutto tra le persone più povere. Oltre a queste difficoltà tra il ’78 e l’80, l’Ac dovette misurarsi con due gravissimi lutti: prima il rapimento e l’uc-
cisione di Aldo moro; poi il 12 febbraio 1980, l’assassinio di Vittorio Bachelet.
Tutti questi mutamenti portarono ad una conseguenza dal sapore storico: l’Ac degli anni Ottanta e Novanta non era più l’unica Associazione dei laici cattolici. Quella che fino a prima era stata considerata «la pupilla degli occhi» del Papa, nel tempo, perse terreno in favore di nuove aggregazioni. Nel complesso il numero di laici cattolici impegnati non era diminuito, ma si era spalmato tra realtà diverse. Mentre l’Ac continuava a mantenere un fortissimo legame con le gerarchie ecclesiastiche ed era principalmente dedita all’impegno parrocchiale, gli altri movimenti avevano fatto proprie scelte più specifiche: la comunione e l’unità i Focolari e Sant’Egidio; la preghiera ispirata il Rinnovamento, l’impegno nelle università e nel mondo economico-lavorativo Cl. Oggi l’Azione Cattolica, dopo un processo di rinnovamento culminato con l’aggiornamento dello Statuto nel 2003, continua ad essere, insieme ad altre associazioni e movimenti, un punto di riferimento fermo per i cattolici. I numeri sono ancora di tutto rispetto: il 4 maggio scorso, in occasione dei 140 anni dalla fondazione, erano centomila i militanti dell’Ac arrivati in piazza San Pietro per ricevere l’abbraccio di Benedetto XVI. In quell’occasione il Santo Padre ha rinnovato loro il mandato di essere «cittadini degni del Vangelo». Un invito implicito a difendere i cosiddetti valori non negoziabili sui quali atei e credenti devono trovare un terreno di azione comune. In questa cornice va inserito il Manifesto al Paese, presentato dall’Associazione al Presidente della Repubblica Napoletano. Una sorta di vademecum che ribadisce l’obiettivo di voler essere sentinella dei valori non negoziabili, di quell’ethos condiviso cui si possono riconoscere indifferentemente tutti gli italiani. Recentemente Luigi Alici, professore universitario e presidente nazionale nello scorso triennio, aveva affermato: «Il vero problema del Paese è che sta crescendo un partito trasversale: l’individualismo. E questo sta delegittimando il senso di una partecipazione ad una storia comune, scritta nella Costituzione. Noi vigileremo su questi valori e controlleremo chi ci governerà». Come? «Certamente non useremo le forbici, non favoriremo le contrapposizioni. A noi, invece, piace lavorare di ago e di filo perché siamo certi che solo in questo modo il paese può crescere». Ora toccherà al nuovo presidente continuare a percorrere la strada del predecessore o voltare pagina in maniera netta.
pagina 10 • 27 maggio 2008
mondo Foto piccola, Alfonso Cano, nuovo leader dell’organizzazione e condannato in contumacia per 40 omicidi. In basso, Uribe con Chavez
uillermo León Sáenz Vargas, è questo il vero nome di Alfonso Cano, è nato a Bogotá sessant’anni fa, il 22 luglio 1948. Padre agronomo, madre pedagoga, famiglia medio alta di tradizione conservatrice, quarto di sette fratelli. Tre mesi prima, il 9 aprile, l’uccisione del popolare leader della sinistra liberale Jorge Eliécer Gaitán da parte di un conservatore aveva scatenato una guerra civile durata per nove anni, fino alla storica riappacificazione tra liberali e conservatori del 1957. Una riappacificazione, però, non accettata dall’ala più irriducibile dei guerriglieri liberali, che rinnegata la vecchia identità ottocentesca si sarebbero messi sotto l’ombrello del Partito comunista, costituendo le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia: Farc. Tra loro c’era anche un taglialegna della regione andina del Quindío, di cui non si sa neanche bene se fosse nato nel 1928 o nel 1930. Il suo nome era Pedro Antonio Marín, ma avrebbe poi assunto lo pseudonimo di Manuel Marulanda Vélez, dal nome di un sindacalista assassinato. E sarebbe passato alla storia soprattutto con l’altro nome di battaglia di Tirofijo, “Tiro preciso”.
consegnata Nelly Ávila Moreno “Karina”: una 47enne con tale fama di ferocia che l’avevano ribattezzata “la Nikita delle Farc”. E domenica, infine, il ministro della Difesa Juan Manuel Santos ha rivelato che il 26 marzo era morto anche Tirofijo. E le Farc hanno dovuto confermare. Il più antico guerrigliero del mondo sarebbe morto di infarto, tra le braccia di una fidanzata che aveva la metà dei suoi anni.
G
Alfonso Cano, successore di Tirofijo, è l’ideologo del movimento
Un antropologo alla guida delle Farc di Maurizio Stefanini
Andato alla macchia assieme a diciotto cugini, Tirofijo vi sarebbe restato per tutta la vita, passando dalla guerriglia a gestione familiare a quella a gestione industriale, alla testa di un esercito di oltre 22mila uomini. Nel 2007 le entrate delle Farc sono state stimato in 1,3 miliardi di dollari all’anno, al 78 percento provenienti dal narcotraffico.
E in mano alle Farc sono anche 774 ostaggi, a partire da Ingrid Betancourt. Proprio gli sforzi di mediazione per liberarla, tentati da due personaggi altrettanto mediatici come Chávez e Sarkozy, hanno finito per proiettare una inusitata attenzione mondiale su una guerriglia feroce, ma in passato non proprio sotto i riflettori dei me-
dia mondiali. Eppure, proprio questa notorietà ha coinciso con un’improvvisa crisi, sotto i colpi che le Forze armate colombiane hanno lanciato dopo l’elezione alla presidenza di Álvaro Uribe Vélez. Così adesso le Farc sarebbero ridotte a non più di 8mila uomini, e da ultimo è venuto meno anche il mito dell’invulnerabilità del cosidet-
to “segretariato” che dirige le Farc. Il primo marzo con l’uccisione in territorio ecuadoriano del numero due del movimento, il sessantenne Luis Edgar Devia Silva “Raúl Reyes”. Poi, appena due giorni dopo, con la morte per mano di un disertore del quaranteseienne Manuel de Jesús Muñoz Ortiz “Iván Ríos”. Domenica 19 maggio si è poi
Designato ufficialmente successore di un personaggio che stava alla macchia da prima ancora della sua nascita, l’exstudente in antropologia Alfonso Cano è a sua volta in clandestinità dal 1983. Considerato l’ideologo delle Farc, rappresenta un po’ una sorpresa, visto che dopo Tirofijo e Reyes il numero tre delle Farc era considerato il 45enne Victor Julio Suárez Rojas alias Jorge Briceño Suarez alias ”Mono Jojoy”: nato in clandestinità da un padre a sua volta guerrigliero, e combattente da quando aveva 12 anni. Se non è segnale di una ipotetica lacerazione tra falchi e colombe, la preferenza per l’intellettuale rispetto all’ammazzasette sembra comunque confermare l’impasse dell’opzione militare, e quella necessità di percorrere nuove vie di cui proprio la crescente immagine internazionale del gruppo sarebbe un segnale. Che ciò possa però portare presto a un processo di pace o per lo meno a un rilascio di ostaggi come la Betancourt, è ancora da dimostrare. Cano ha certamente più cultura di Jojoy, ma è uno che nel gennaio del 2008 è stato condannato all’ergastolo per 40 omicidi.
Retroscena. Perché Marulanda è diventato la “pedina” di una complessa partita tra Chavez e Uribe
Come diventare presidente per la terza volta
Dopo sessant’anni nella jungla, è stato proprio sul finire della sua vita che Tirofijo ha paradossalmente internazionalizzato la sua figura, divenendo l’oggetto di una complessa partita tra il presidente venezuelano Hugo Chávez e il colombiano Álvaro Uribe Vélez. Dopo la sconfitta al referendum costituzionale che gli avrebbe permesso di ricandidarsi alla presidenza, infatti, Chávez per rilanciare il proprio prestigio interno
e internazionale ha puntato in modo forte su un suo ruolo di mediatore tra il governo colombiano e le Farc, con l’obiettivo anche di condizionare Uribe, e costringerlo ad abbandonare l’asse preferenziale con Washington. E le Farc, sempre più in crisi per le offensive dei militari colombiani, nell’intento di mettere in crisi Uribe con un’internazionalizzazione della crisi gli hanno fatto volentieri sponda, iniziando a liberare qualche ostaggio dei più mediatici. Non è chiaro se il blitz che ha colpito Reyes sia stato motivato dalla logica politica di rompere questo gioco o abbia riasposto a una semplice logica militare. Ma il colpo per la strategia di Chávez è stato devastante, e ancora di più la scoperta degli immensi archivi con-
tenuti nei laptop di Reyes. Adesso, la rivelazione della morte di Tirofijo è venuta proprio a una settimana dall’inizio di una raccolta di firme per permettere stavolta a Uribe di ricandidarsi una terza volta. In realtà il capo delle Farc l’ha ucciso la natura, ma l’impressione generale della vittoria sulle Farc sta pompando le sottoscrizioni. E adesso si sa già che la proposta di referendum per rieleggere Uribe ha raccolto 350mila firme in 6 giorni. Ci vogliono 1.403.609 firme, gli organizzatori ne vogliono raccigliere 2.100.000, ma a questo ritmo arriverebbero a 3 milioni, e d’altronde con la sempre più evidente sconfitta delle Farc e il boom economico, il presidente ha un margine di popolarità compreso tra il 79 e l’83 percento. (M.S.)
mondo
27 maggio 2008 • pagina 11
Per Earthrights international la compagnia versa 972 milioni di dollari l’anno. Non ci sono smentite
La Total finanzia il regime birmano Le accuse alla società hanno già prodotto i primi effetti economici. La banca belga Kbc ha sospeso la partecipazione di Total ai fondi d’investimento belgi, un mercato da 7 miliardi di euro l’anno. La Kbc ha giudicato che «seppur Total neghi qualunque sua implicazione, la sua collusione con il regime birmano è così grande e compromettente, da dover allontanare Total dai propri investimenti»
di Maria Maggiore
BRUXELLES. La società petrolifera Total finanzia la giunta birmana e quindi, indirettamente, è responsabile delle atrocità commesse dai militari di Rangoon. Dei proventi che ricava dall’estrazione di gas nel mare d’Andagan, Total verserebbe il 42 percento circa alla Giunta, più del bilancio intero di tutto l’esercito birmano, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità, impedendo alle Ong di soccorrere le vittime del ciclone Nargis. È l’accusa pesantissima, appena confermata, seppur in parte, dai vertici dell’azienda, che l’associazione Earthrights International ha lanciato in un rapporto pubblicato due giorni prima che il ciclone Nargis distraesse l’opinione pubblica mondiale da quest’imbarazzante verità. Che Total facesse affari con la Birmania è conosciuto da tempo, visto che dal 9 luglio ’92 la società francese ha firmato un contratto (segreto) con le autorità birmane per l’estrazione di 140 milioni di metri cubi di gas, assopiti nel campo marino di Yadana e per la costruzione di un gasdotto di 400 chilometri capace di trasportare il gas birmano fino alla frontiera thailandese. Un progetto che coprirà trent’anni di lavori.Total si lancia nell’avventura e imbarca dei partner: l’americana Unocal (poi diventata Chevron Texaco), per il 28 percento, la società pubblica birmana Moge, per il 15 percento e la thailandese PTT, per il 25 percento.Total con il suo 31,24 percento incassa di più e gestisce i lavori di costruzione del gasdotto. Tra il ’95 e il ’98 vengono istallate quattro piattaforme sopra il mare d’Andagan, a 60 km dalla costa birmana e 63 km di gasdotto attraversano i fondali
dell’Andaman. Altrettanti, e questo è il dato più sconcertante, attraversano la giungla, tra il Golfo di Martaban e le montagne della frontiera thailandese. Un gasdotto che ha arricchito le casse di Total, ma ne sta distruggendo l’immagine, perchè per imporre i lavori, sarebbero state commesse le peggiori atrocità, spostamenti della popolazione locale, lavori forzati, torture, stupri ed essazioni di qualunque genere. Lo dice la Federazione Internazionale delle leghe per i diritti dell’uomo: «La costruzione di 63 chilometri di gasdotto ha coperto gli atti di barbarie, orchestrati dall’esercito birmano con la complicità del petroliero
Nel 1992 la società francese ha firmato un contratto (segreto) per estrarre 140 milioni di metri cubi di gas e costruire un gasdotto di 400 Km francese». La società americana Unical (Chevron Texaco), partner di Total in Birmania ha ammesso i fatti. Denunciata da alcuni profughi birmani negli Usa, ha preferito pagare 30 milioni di dollari a queste famiglie, piuttosto che subire una condanna pubblica in un Tribunale statunitense. Proprio da questo processo è partito lo studio di Earthrights International che ha calcolato, attraverso i dati disponibili, quanti soldi versa ogni anno Total alla Giunta birmana. Il 15 percento di proventi della compagnia pubblica
d i a r i o
d e l
g i o r n o
Tensioni nella grosse Koalition In Germania l’elezione del prossimo presidente federale, mette i bastoni tra le ruote al faticoso cammino della grosse Koalition. Nei giorni scorsi l’annuncio della Spd di voler candidare Gesine Schwan aveva provocato piccate risposte da parte dell’alleato democristiano. La Cdu è per rinnovare il mandato dell’attuale capo dello Stato Horst Köhler. Ieri direzione e presidenza socialdemocratica hanno unanimemente votato a favore della politologa. Gesine Schwan ha dichiarato di credere nella vittoria. Per poter vincere avrà bisogno dei voti della sinistra estrema, e potrebbe mettere in moto quello che la Faz ha definito un «maremoto» nelle alleanze politiche di Berlino.
Terremoto: stop al controllo delle nascite La morte di migliaia di bambini durante il terremoto nello Sichuan ha sconvolto la Cina. Le autorità di Pechino hanno mostrato di capire la disperazione del Paese ammorbidendo la severa politica del figlio unico nei territori devastati dal cataclisma. Nella città di Chengdu 1200 famiglie saranno esentate da questo limite attraverso la presentazione di un certificato. In Cina la regola del figlio unico è stata imposta alla fine degli anni ’70 del secolo scorso per limitare la crescita esponenziale della popolazione.
Moge sono infatti solo una minima parte del bottino birmano. A questi si deve aggiungere il 10 percento di «royalties» al regime e circa il 66 percento del prezzo di vendita del gas. L’Ong ha fatto un calcolo. Il risultato è spaventoso. Circa 972 milioni di dollari l’anno, il 42 percento dell’intero budget dello Stato birmano (2,3 miliardi nel 2006). Un tesoro enorme, che aumenta al ritmo dell’aumento del prezzo degli idrocarburi.
Drone abbattuto, la Svezia accusa Mosca
Se si considera che la parte destinata dalla Giunta all’esercito è il 40 percento del bilancio totale – contro l’1,5 percento per la sanità e il 45 percento per l’educazione - Total finanzia in toto i costi e le operazione dei 400 mila militari birmani che di fatto comandano il Paese asiatico. Il 16 maggio, messo sotto pressione dagli azionisti, il Presidente di Total, Thierry Desmarest, ha ammesso davanti all’assemblea generale degli azionisti a Parigi, che l’impresa «versa 125 milioni di euro l’anno d’imposte alla Birmania». Alias 196 milioni di dollari. Ma molti intellettuali e ricercatori franco-belgi (Total ha intanto comprato la belga petrofina e la francese Elf) si sono rivoltati. «Desmarest mente per omissione, nasconde informazioni in suo possesso, manipola le cifre», scrivono sul quotidiano belga Le Soir un gruppo di scrittori e universitari, rappresentanti di «Azione Birmania». E a poco serve il tentativo di Total di «rifarsi una faccia» offrendo gratuitamente la benzina alle Ong che tentano di soccorrere le vittime del ciclone Nargis, o sovvenzionando la Croce Rossa, prestando anche elicotteri. Il danno è fatto.
Etiopia, condanna a morte per Menghistu
Mentre Tblisi era percorsa da una manifestazione dell’opposizione che protestava per le manipolazioni dei risultati elettorali, il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ieri durante una riunione dei ministri degli Esteri della Ue ha detto che il 20 aprile è stato un caccia russo ad abbattere il drone di ricognizione georgiano sui cieli dell’Abkhazia. Bildt ha presentato una relazione che smentisce la versione russa dei fatti. «La Georgia, incolpando Mosca, ha dimostrato di essere nel giusto. Questo è molto importante», ha dichiarato il ministro. L’Ue si è detta preoccupata da una possibile escalation tra i due Paesi.
La Corte Suprema di Addis Abeba ha condannato a morte in contumacia l’ex dittatore etiopico Menghistu Hailè Mariam, e diciotto gerarchi del passato regime. La nuova e definitiva sentenza, modifica il verdetto precedente, con cui nel gennaio 2007 all’imputato per il crimine di genocidio, era stato inflitto l’ergastolo. Il “Negus Rosso”, era diventato presidente del Paese africano nel ’77 dopo un golpe che tre anni prima aveva rovesciato l’ultimo imperatore Selassiè. Nel 1991 Menghistu era stato a sua volta costretto alla fuga dai guerriglieri del Tigrè e dell’Eritrea, allora territori etiopi. Il dittatore si sarebbe rifugiato nello Zimbawe, dove risiederebbe tuttora.
Ue, partenariato con i Paesi dell’est Il partenariato tra Unione europea e Paesi dell’est si farà. La proposta presentata oggi da Polonia e Svezia ai ministri degli Esteri della Ue riuniti a Bruxelles, ha trovato il sostegno della presidenza di turno della Ue, «entusiasta di estendere i valori europei», ha detto Dimjtri Rupel, ministro degli Esteri di Lubiana. Anche l’appoggio francese è certo. Parigi è la promotrice dell’Unione per il Mediterraneo. La proposta di Polonia e Svezia intende bilanciare le relazioni internazionali della Ue. Per il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski, si tratta di «aiutare Ucraina, Moldavia, Georgia, Azerbaijan, Armenia e Bielorussia a entrare nell’Unione. La formula di cooperazione multilaterale, è quella più adatta allo scopo». Mosca non prenderà parte al progetto.
Atomiche israeliane L’ex presidente americano Jimmy Carter ha detto che Israele possiede 150 bombe nucleari. Le sue dichiarazioni, a margine del festival letterario di Hay-on-Wye nel Galles, colpiscono particolarmente dato che Israele non ha mai ammesso di avere armi nucleari.
pagina 12 • 27 maggio 2008
speciale
economia
NordSud
Contro la crisi dei consumi le aziende lanciano sul mercato beni e servizi più accessibili. La sfida dei grandi gruppi come Fiat e Oviesse
VIVERE LOW COST di Andrea Cinosi entiamo tutti i giorni parlare di low cost. Inizialmente legato ai voli aerei, è ormai sinonimo di risparmio in quasi tutti i settori produttivi. Un termine peraltro mal interpretato. Low cost non si riferisce direttamente al prezzo del prodotto o del servizio, ma alla capacità dell’azienda di ottimizzare i processi di produzione per ridurre i costi e, di conseguenza, i prezzi al consumo mantenendo elevata la qualità. Questo equivoco relativo all’interpretazione del termine, ha portato a sottovalutare quella che può essere considerata una rivoluzione del modo di produrre e commercializzare, che ha importanti riflessi sul tessuto produttivo e distributivo del nostro Paese.
S
Esistono in realtà due fattori che legano le aziende che hanno saputo affermarsi in questo settore: l’efficienza, l’ottimizzazione dei processi e la riduzione dei prezzi al consumo. Pensiamo alle compagnie ae-
guidata sia dalle tecnologie di produzione e di trasporto più avanzate ed efficienti sia dalle tecnologie di informazione, di comunicazione e di coordinamento. Che hanno trasformato la natura di produrre e commercializzare in un modo più efficiente e adatto alla rivoluzione che la globalizzazione ha portato nel mondo. Se prima l’organizzazione delle aziende poteva essere rappresentata come un insieme di funzioni deputate alla gestione dei processi aziendali, oggi, grazie alla crescita dell’Ict, dirigenti aziendali, lavoratori, clienti e fornitori sono tutti coinvolti nelle attività di progettazione, produzione, consegna e uso di prodotti e servizi in tutto il mondo. Insomma, siamo in presenza di fenomeno che è ritenuto ormai da molti economisti come il nuovo paradigma che guiderà la gestione di molte imprese nei prossimi venti anni. Non si tratta quindi di un semplice basso prezzo, ma di efficienza e capacità di fare impre-
Non soltanto prezzo basso, ma maggiore efficienza nei livelli di produzione ree low cost, un’idea di business semplice e vincente: eliminare i costi superflui, i passaggi e gli intermediari inutili, lasciando elevata la qualità del servizio e tenendo il prezzo più basso possibile. Facile a dirsi, ma più complesso da realizzare. Più approfondiamo il fenomeno e più ci rendiamo conto che alla base di tutto c’è sempre un High Value in termini d’impresa. Siamo ormai in una nuova era,
sa. È per questa ragione che non posso fare a meno di sottolineare quanto sia importante analizzare il fenomeno non soltanto dal punto di vista del consumatore, ma anche e soprattutto da quello del sistema produttivo e distributivo. I consumi premiano sempre di più gli operatori che hanno saputo interpretare al meglio questo nuovo paradigma produttivo. Ma in un sistema che vive di vantaggio competitivo,
il ritardo può essere fatale per le aziende che non saranno in grado di ripensare il loro modo di fare impresa con il rischio, nei casi più gravi, di vedersi escluse dal mercato con pesanti conseguenze anche sull’occupazione. Il problema riguarda principalmente le aziende posizionate nella cosiddetta “terra di mezzo”: prodotti e servizi standard caratterizzati da un prezzo medio di mercato e da un brand non in grado di suscitare appeal emotivo. È utile analizzare brevemente come le aziende italiane si stanno ponendo di fronte al fenomeno. Se, per esempio, proviamo a chiederci quali siano i primi marchi che ci vengono in mente se parliamo di low cost, probabilmente penseremmo a Ryanair, Ikea, Zara, H&M, Ing Direct, Decathlon, Skype, Lidl, forse Renault che è stata la prima casa automobilistica, attraverso la Dacia, ha lanciato la prima auto low cost e pochi altri. Dei veri giganti a livello mondiale. E le imprese italiane?
Fortunatamente anche l’Italia può vantare esempi virtuosi. Nel settore assicurativo siamo leader: Genertel (Gruppo Generali) e Genialloyd (ora Allianz ma nata sotto RAS) sono le compagnie dirette che per prime hanno aperto la strada all’assicurazione low cost in Italia. Alle quali si sono aggiunte realtà come Linear (Gruppo Unipol) e Dialogo (Gruppo Fondiaria Sai). Tenendo conto che le altre due compagnie dirette sono Zuritel e Direct Line, possiamo affermare che in tale settore le imprese italiane sono già presenti in maniera importante. Nel settore alimentare Eurospin è la catena di discount che vanta il maggior numero di punti vendita in Italia e regge la concorrenza di un colosso in-
ternazionale quale Lidl. Nel settore abbigliamento e accessori tra gli italiani si stanno affermando ed espandendo a livello internazionale diversi marchi come Carpisa, Extyn, Tezenis e Camicissima: aziende che hanno saputo reingegnerizzare i processi produttivi nell’ottica dell’efficienza, della convenienza e della qualità. Altrettanto possiamo dire per Oviesse che da retail dal posizionamento generalista ha saputo riposizionarsi proponendosi come competitor di Zara ed H&M. Non è casuale il cambiamento abbia condotto ad una nuova scelta in termini di naming “OVS industry”. Nell’immobiliare Mondo Convenienza o Mercatone e Semeraro, con il recente lancio del marchio Mister Convenienza, stanno dimostrando vivacità e capacità di interpretazione del nuovo fenomeno. Certo, la multinazionale Ikea leader del settore, è all’avanguardia per quanto riguarda la filosofia produttiva low cost-high value e per quanto riguarda l’impegno in termini di etica e responsabilità sociale. Ikea ha conquistato fette di mercato trasversali dando una connotazione emotiva al proprio prodotto, facendo leva oltre che sul prezzo anche su un’ampia offerta di referenze su un format innovativo. I suoi competitor italiani più diretti si sono soffermati maggiormente
sulla convenienza ormai irrinunciabile, ma potrebbero puntare anche sull’aspetto emotivo e sull’esperienza di acquisto per incrementare la loro quota di mercato.
Per quanto riguarda l’auto Renault, attraverso il marchio Dacia, ha dimostrato al mercato quanto sia elevata la potenziale domanda in questo settore. Anche la Fiat guarda al low cost, almeno stando alle dichiarazioni del Ad Marchionne, che ha ipotizzato tale possibilità attraverso l’utilizzo di un brand dedicato, forse quello Innocenti. Nel settore aereo, poi, le compagnie italiane Blu Express, Myair e WindJet si stanno affermando sul mercato nonostante la concorrenza di vettori di grandi dimensioni come Ryanair, Easyjet e TuyFly. Potrei continuare con l’analisi degli altri settori, ma ciò che in realtà emerge è che c’è, al di là di qualche esempio virtuoso, sia ancora molta la strada da percorrere. Assolowcost ha anche questo obiettivo: mettere a disposizione anche della piccola e media impresa, e cioè alle aziende che non sono in grado di rivolgersi alle grandi società di consulenza, sia le informazioni sia gli strumenti che consentano di cogliere al meglio quanto il progresso scientifico e tecnologico offrono. Presidente di Assolowcost
27 maggio 2008 • pagina 13
l low cost trionfa? Forse sì, «anche se oggi non parlerei soltanto di scelta del mondo produttivo per allargare la base della domanda», spiega l’economista Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica e ordinario di Politica economica. il quale nota quanto in questa fase, per spendere meno, si arrivi anche a sacrificare la qualità. Cosa accade professore? C’è uno spostamento dei consumi verso fasce di costo più basse e questo è rilevabile da varie fonti. Il fatto è che la questione del low cost è in relazione assai stretta con quella della qualità. Prendiamo il caso di un volo no frills, senza fronzoli: a parità di controlli e di sicurezza si decide di non avere alcuni servizi pagando meno e questo è effettivamente un guadagno per il consumatore. Ma altra questione è se al basso prezzo corrisponde una diminuzione significativa della qualità. Quindi? Se parliamo di beni alimentari, per esempio, si capisce che il low cost potrebbe essere associato a condizioni di qualità non più di sicurezza. Un altro segno della povertà che l’Istat fatica a registrare? Il paniere Istat è inadeguato, coglie poco sia i pesi sia la varietà degli acquisti. È come cercare pagliuzze d’oro con un setaccio per sassi: si finisce per pensare che non ci siano pagliuzze soltanto perché non se ne trovano. Un esempio? Prenda la spesa per abitazione (affitto, bollette e quant’altro) stimato dall’Istat: secondo loro rappresenta media-
I
Per l’economista Campiglio «si risparmia anche sulla qualità»
«Un’indicatore di un’Italia povera» colloquio con Luigi Campiglio di Marco Palombi mente il 9 per cento del reddito degli italiani. Così, se uno guadagna 3mila euro al mese, dovrebbe spendere per la casa 270 euro… Che cosa non funziona? Il problema è che le nostre ricerche dovrebbero individuare gruppi sociali che non siano facilmente manipolabili e il reddito lo è. Davvero? Non cito nemmeno l’evasione, ma il reddito medio non è un buono strumento per cogliere quello che succede. Faccio sempre un esempio partendo dalla distinzione tra reddito medio e reddito mediano: il primo è una media matematica, il secondo la cifra che spacca a metà i cittadini (il 50 per cento guadagna di più, il 50 di meno). Se siamo in cento in una stanza avremo probabilmente due cifre diverse per reddito medio e reddito mediano. Se poi in quella stanza entrasse Bill Gates, il primo schizzerebbe in alto, il secondo rimarrebbe invariato. Soluzioni?
Le medie matematiche annegano le singole storie. E quando si calcolano gli indicatori, ci si deve chiedere perché lo si fa. Due sono i grandi obiettivi: misurare le dinamiche dell’inflazione in modo che siano un segnale per la politica dei governi e misurare il reale tenore di vita. Oggi invece… … Non abbiamo abbastanza informazioni per disaggregare adeguatamente i dati. Vanno individuate le differenze tra le situazioni di rischio, che sono molte ma vengono colte solo in minima parte. E non cogliamo le differenze di stili di vita e la varietà di beni e servizi tipici di un’economia avanzata come la nostra. Per dare indicazioni utili bisognerebbe poter ricavare sottoinsiemi che tengano conto sia delle diverse abitudini di consumo sia delle varie aree geografiche. E come si fa? L’Istat in parte già lo fa partecipando da tre anni ad EuSilc, inchiesta europea molto buona che si basa su domande specifiche. Per esempio: nell’ultimo mese ha avuto difficoltà a pagare le bollet-
te o comprare beni? In questo modo le percentuali sulla difficoltà dei nuclei familiari sono notevolmente più varie, ma forniscono un indicatore assai più preciso sullo stato dei fatti che consente poi, dal punto di vista delle politiche, di calibrare il da farsi. Se ne deduce che finora non abbiamo fatto buone politiche. Basta vedere i numeri. È la percentuale di famiglie a rischio prima e dopo il trasferimento monetario dello Stato che misura l’efficacia di una manovra: in Italia la situazione mediamente migliora di 4 punti, in Francia e Germania di 12 e 13. Il welfare non funziona? L’impiego di risorse senza un obiettivo è uno spreco di soldi. Il modo meno efficace di intervenire è trasferire i soldi e basta, come si è fatto finora. Tipo alzare le pensioni. Esatto. Parlare di pensionati genericamente non vuol dire nulla, ci si affida alla lotteria sociale: uno può avere una pensione minima ma magari vivere in casa propria, avere risparmi o figli che lavorano e sono presenti. Invece un pensionato da 1.500 euro, solo e bisognoso di assistenza domiciliare, non arriva davvero a fine mese. Il processo redistributivo dovrebbe essere il più possibile mirato. Ripeto: ma è possibile? Intanto, come ho detto, servono ricerche il più possibile precise e articolate per aiutare i governi centrali. Poi, nelle incongruenze tra la media matematica e la vita, sta lo spazio d’azione fondamentale del livello locale. Dove si può agire con vere e proprie misure ad personam. Soltanto così saremo efficaci.
pagina 14 • 27 maggio 2008
speciale
economia
NordSud
Auto, alimentari, prodotti per la casa e ora anche libri scolastici e conti corrente
Non solo viaggi, il business ora vale 100 miliardi di euro di Giuseppe Latour nato nel settore dei viaggi. Prenotazioni last minute e voli a prezzi stracciati (o teoricamente gratuiti). Adesso è un’epidemia che invade tutti i settori del commercio. Prodotti finanziari, automobili, cibo: quella del low cost sta diventando una filosofia industriale più che un fenomeno di nicchia. Grazie ai suoi comandamenti, contenimento dei costi di filiera e prezzi stracciati al consumatore, sta conquistando fette di mercato ormai vastissime. In Usa il fenomeno già rappresenta il 5 per cento del prodotto interno lordo. A causa della crisi dei consumi, in pochi anni in Italia la quota di mercato dei prodotti a basso costo è salita al 7 per cento del fatturato nazionale, quasi 100 miliardi di euro.
È
Il mercato più consolidato è quello dei viaggi. Non c’è soltanto la moltiplicazione delle compagnie low cost, generate dal modello Ryanair: si muovono anche agenzie e tour operator. Attualmente per pacchetti di volo più albergo si spendono in un anno circa 8 miliardi di euro. Il 20 per cento di questa domanda viene ormai assorbita dalle fasce basse di prezzo. Non mancano singolari combinazioni tra low cost e lusso, al quale spesso i cittadini non rinunciano. Questo ha creato come effetto la quasi completa erosione dei prodotti intermedi. In altre parole, o si spende pochissimo o non si bada ai prezzi. A seguire voli e pacchetti di agenzie c’è sicuramente l’elettronica che, soprattutto nella telefonia, domina il mercato. Per gli elettrodomestici, i low cost hanno già mangiato il 15 per cento del mercato tota-
ROMA Martedì 27 maggio 2008 Parco dei Principi Presente, passato e futuro della Rai nel convegno organizzato da Slc/Cgil, nel quale sarà presentato uno studio sugli ultimi bilanci dell’azienda di Stato. Tra gli altri, commentano i risultati Marco Bassetti, amministratore delegato di Endemol; Ettore Bernabei, presidente di Lux; Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil; Giancarlo Leone, vicedirettore generale Rai. MILANO Mercoledì 28 maggio 2008 Circolo della Stampa Confinmprese organizza un incontro sul tema “Azioni di Gruppo e Class Action. Profili teorici e soluzioni pratiche per il mercato italiano”. Con il presidente Mario Resca, intervengono, fra gli altri Paolo Rubini, risk manager di Telecom e Aurelio Donato Candian, docente di diritto delle assicurazioni della Bocconi.
aspetta un incremento dei volumi di vendita del 30 per cento. Il vero new comer di questo settore è il mercato delle automobili: qui il low cost vale circa 5 miliardi. Al quale ormai guardano fasce ampie di consumatori. Secondo uno studio del Sole 24Ore sono 185mila le famiglie che oggi comprerebbero un auto con un prezzo sotto i 2.500 euro. E quasi 400mila quelle che rinuncerebbero a qualche confort pur di potersi accomodare su una vettura da meno di 8.500 euro. Insomma, il modello lanciato in India dalla Tata sta facendo scuola. Renault lo ha capito subito ed è stato il primo produttore del vecchio continente ad avviare una produzione low cost con Dacia Logan. Ma risultati in Italia sono ancora interlocutori: il modello base (8.141 euro) ha venduto pochissimi esemplari e l’intera gamma ha toccato complessivamente quota 5mila esemplari. Numeri non spettacolari che, secondo gli analisti, subiranno di qui a venire una decisa inversione di tendenza. Soprattutto se sul mercato dovesse entrare qualche big come Fiat. Ma di fatto il Lingotto è già low cost: la sua 600 base è l’auto più economica su piazza: costa appena 7.600 euro e viaggia al ritmo di 30mila esemplari venduti all’anno. In futuro, comunque, avrà un ruolo decisivo la saturazione del mercato dell’usato che, da noi, fino ad oggi ha fatto in ogni senso le veci delle auto a basso costo. Ma le grandi novità sono due. La prima, e più recente, è rappresentata dal settore dei libri scolastici. Sono molte le case edi-
Dopo il successo di Ing sfidano il mercato anche Mediobanca e Unicredit le (quasi 2 miliardi di euro). Una tendenza consolidata grazie alla grande distribuzione. E l’accoppiata tra prodotti molto sofisticati e prezzi contenutissimi ha appiattito le differenze tra le offerte, rendendo il mercato troppo deflativo. Capitolo a parte quello della casa. Alimentari, igiene, accessori low cost valgono circa 6 miliardi di euro con un trend in decisa crescita. È proprio in questo settore che il basso costo sta facendo registrare un boom. La distribuzione dei discount, infatti, sembra l’unica scialuppa di salvataggio per gli italiani, che si sentono ormai vessati proprio dal boom del “cibo di lusso”. Proprio per questo motivo in futuro l’istituto di ricerca Indicod si
i convegni
trici che, per contenere il caro libri, stanno creando edizioni miste, in parte su carta e in parte su supporti informatici. Mondadori education ha creato il libro “light plus”, una parte su cd rom e su web e una parte “tradizionale”. Anche Rcs ha creato i suoi testi in versione slim, con una parte accessoria consultabile soltanto su internet. Questo per ottenere anche un altro effetto, oltre a quello dell’alleggerimento immediato delle tasche delle famiglie. Non sarà più necessario comprare ogni volta un tomo nuovo, ma si potrà scaricare di volta in volta i diversi aggiornamenti.
L’altra novità riguarda il mondo delle banche. Il fenomeno del basso prezzo e dell’offerta qualitativamente alta sta coinvolgendo anche i prodotti finanziari. Tra i primi, Ing Direct, che ha lanciato un modello così strutturato: costi operativi inferiori grazie alla massiccia presenza online rispetto alla media delle banche tradizionali, prodotti con le migliori condizioni economiche del mercato sia in termini di tassi di interesse sia di spese aggiuntive. E nel futuro su questo fronte si prospetta una guerra. Sono entrati in campo Alberto Nagel e Mediobanca con la nascita di CheBanca!, progetto dedicato al retail che si propone il raggiungimento di oltre 400mila clienti, 8 miliardi di impieghi, 13 miliardi di depositi, 200 milioni di ricavi e 110 filiali (contro le 9 di partenza). Operazione simile, anche se non sovrapponibile, a quella di Unicredit con “Agenzia Tu”, progetto che porterà in Italia entro la fine dell’anno 10 filiali e che avrà prezzi contenuti, personale multilingua e condizioni contrattuali di assoluto favore.
MILANO Mercoledì 28 maggio 2008 Università Bocconi Tavola rotonda su “Meritocrazia. Per rilanciare la società italiana”. Sono attesi gli interventi di Alessandro Profumo, A.d. UniCredit, e di Andrea Guerra, A.d. di Luxottica. TRENTO Giovedì 29 maggio 2008 Castello del BuonConsiglio Al via la terza edizione del Festival dell’Economia. Quest’anno la rassegna ha come tema “Mercato e Democrazia”. Partecipano, fra gli altri, Innocenzo Cipolletta presidente di Ferrovie; Corrado Passera, Ad di Intesa; Paul Krugman, professore dell’università di Princeton e della Lse. ROMA Venerdì 30 giugno 2008 Università Luiss Convegno sul tema “Patria, lavoro, carriera: ha ancora senso impegnarsi per un Paese che si ama”? Risponderanno a questa domanda Pietro Modiano, Dg di IntesaSanpaolo, Anna Maria Artoni, e il presidente di Fiat, Luca Cordero di Montezemolo.
27 maggio 2008 • pagina 15
Yoox o D-mail, quando il risparmio si lega al commercio elettronico
Da pioneri della rete allo sbarco in Borsa
MERCATO GLOBALE
Le nuove vie della seta
di Alessandro D’Amato
di Gianfranco Polillo ll’inizio fu il low cost. La ricerca di acquisti a prezzi più bassi attraverso il computer, maggiormente utilizzata per viaggi e vacanze, ha dato il la a una moda – quella dell’acquisto on line – che oggi si sta espandendo sempre di più, raggiungendo alti livelli di utenti attivi: ormai sono 5,2 milioni, in crescita del 37 per cento in soli due anni. Ma non basta: secondo le ricerche della Bocconi presentate all’E-commerce Forum di Milano in Francia, che ha più o meno il nostro stesso numero di utenti, quelli che si buttano nell’acquisto in rete sono uno su due, mentre da noi sono uno su tre. Senza contare gli Usa, dove il 5-7 per cento degli acquisti è effettuato in rete. Anche perché da noi c’è maggiore diffidenza: spesso si usano i web shop come sportello informazioni su un prodotto, che poi si finisce per comprare in un negozio tradizionale. Se non altro, per l’idiosincrasia verso la moneta elettronica e la paura del phising.
A
In cima alla classifica degli acquisti ci sono i biglietti di aerei e treno con il 42 per cento: oltre a usufruire di sconti e occasioni, fa gola soprattutto il risparmio di tempo che si ottiene con l’on line. Seguono high tech, abbigliamento e libri. Anche il marketing si sta accorgendo della progressiva differenziazione del consumo, e capisce che d’ora in poi il consumatore sarà in grado di effettuare scelte sempre più consapevoli, sia dal lato del costo sia da quello della qualità. Scrive Giampaolo Fabris nel suo ultimo Societing libro, (Egea): «La centralità del consumo sostituisce la centralità della produzione che caratterizzava l’epoca che stiamo lasciando alle spalle. La diffusione delle nuove tecnologie consente, per la prima volta, di valorizzare un diffuso sapere del consumatore che se, da un lato fa giustizia della tradizionale asimmetria informativa, dall’altro prospetta all’impresa scenari di collaborazione, co-creazione, dialogo difficilmente configurabili alla luce dei consolidati schemi concettuali». E le aziende italiane lo stanno comprendendo sempre di più. «Anche se», dice Riccardo Mangiaracina, ricercatore dell’Osservatorio sull’ecommerce del Politecnico di Milano, «soltanto quando la grande distribuzione ne capirà le potenzialità e imparerà a sfruttarlo, allora potremo arrivare ai livelli degli Stati Uniti. Quel che manca è che le grandi aziende sbarchino sul web. L’era del low cost ha dato l’avvio, ora però, proprio per fare in modo che il consumatore si fidi di più della rete, c’è bisogno della garanzia di qualità delle grandi marche. Un campo interes-
sante è quello del food, dove Esselunga si sta già muovendo molto bene». Ma, a parte i grandi marchi, sono sempre più frequenti le case history di successo nel commercio elettronico, anche in Italia. Due, in particolare: D-mail è la digitalizzazione del mercatino sotto casa. Un’idea geniale che ha collegato le tradizioni commerciali della piccola distribuzione alle potenzialità di internet, perché la clientela fosse infinita. E infatti oggi, a parte l’Italia, D-mail raggiunge i clienti di 23 paesi europei e ha sul territorio nazionale sei negozi situati a Firenze, Genova, Milano, Roma e Torino. La peculiarità del sito è vendere oggetti d’uso quotidiano definiti «introvabili» perché abbelliti da forme particolari o creati da un’idea del tutto originale. Altra caratteristica di successo è l’ampiezza dell’offerta: si possono trovare gadget per la casa, l’auto, il computer, abiti e addirittura libri. Insomma, l’efficacia del modello D-mail è insita proprio in questo: dare al cliente la possibilità, in un’unica spesa, di poter effettuare tutte le spese di casa a prezzi contenuti. E, magari, dando anche un tocco di simpatia all’ambiente domestico grazie al design originale della merce che acquista. Yoox, invece, è esattamente il contrario. Il concept del sito gira attorno alla definizione degli stessi ideatori: «Y e X, il cromosoma maschile e quello femminile, racchiudono al proprio interno lo “zero” del codice binario, linguaggio fondamentale dell’era informatica».
In poche parole, Yoox è una boutique virtuale multimarca che permette agli utenti di costruire il proprio look completamente online, per poi ricevere comodamente a casa i capi scelti, e a un ottimo prezzo. A oggi conta circa tre milioni di visitatori mensili e, nel 2007, ha smistato un milione di capi e registrato un fatturato lordo di circa 70 milioni di euro, con una crescita media fra il 30 e il 40 per cento all’anno. Il successo di una simile iniziativa non si spiega soltanto con la possibilità di personalizzare totalmente il proprio guardaroba, con capi firmati e di alta moda, spendendo meno che nelle normali boutique.Yoox in più si propone come service provider nei confronti di grandi marche come Armani. Ora, per l’azienda guidata da Federico Marchetti, si parla persino di uno sbarco a Piazza Affari: «Deciderà il Cda, ma la quotazione dovrebbe avvenire fra la fine 2008 e l’inizio del 2009. Siamo quasi pronti».
n un mondo che cambia così rapidamente, un Paese senza progetti e visioni del proprio futuro è destinato ad una lenta ma inesorabile agonia. Stiamo parlando dell’Italia. Di quell’Italia che – con uno Stivale sorretto da mille stampelle in copertina – soltanto qualche anno fa l’Economist definì il «grande malato d’Europa».
I
Cosa è cambiato da allora? C’è stato un miglioramento del paziente o il suo stato di salute si è aggravato? Qualcosa, in effetti, è cambiato. L’ottimismo della volontà è diminuito. I toni, da parte dei dirigenti della politica nazionale, si sono fatti più seri e pensosi. Basta tutto questo per dire che siamo a una svolta? Che si è aperto un nuovo ciclo? Rispondere è difficile. La politica nazionale sembra aver definitivamente archiviato quel clima di guerra civile che aveva caratterizzato gli anni precedenti. Ora c’è più dialogo. Manca, invece, la capacità di progettare il futuro, di individuare le sfide dei prossimi anni. Da cui dipenderà quasi tutto: la posizione internazionale dell’Italia, il suo prestigio, i suoi stessi livelli di benessere. Ci si illude se si pensa che sia sufficiente uno stanco tram tram. Che tutto possa continuare come prima. Al di fuori dei confini nazionali si muovono forze politiche ed economiche che cercano, fin da ora, di tracciare nuove mappe di potere. O l’Italia cerca, in qualche modo, di intercettare questi progetti oppure rischia di essere tagliata fuori almeno per i prossimi decenni. L’ultima sfida riguarda i nuovi equilibri geopolitici tra l’Europa, la Russia e la Cina. Nel ’400 la Repubblica di Venezia costruì la sua potenza economica, politica e finanziaria sul controllo assoluto della “via della seta”. Erano i grandi traffici con
l’Oriente, quando ancora il canale di Suez non era stato aperto. Grazie alla lungimiranza della sua classe dirigente, la Serenissima divenne la potenza egemone del tempo. E il più ricco Stato europeo, come dimostrò qualche anno fa un grande economista come Charles Kindleberger in un libro di successo quale I primi del mondo: l’egemonia economica dalla Venezia del quattrocento al Giappone di oggi. Forti di quella esperienza si poteva immaginare che l’Italia, di fronte allo sviluppo impetuoso della Cina, avrebbe tentato di seguire quell’esperienza. Le condizioni oggettive ci sono tutte: collocazione geopolitica a metà strada tra l’Oriente e l’Occidente europeo; una grande disponibilità di capitali assicurati dal quadro comunitario; l’enorme serbatoio di mano d’opera nel Sud; due grandi porti – Taranto e Gioia Tauro – a disposizione per l’attracco delle grandi navi transoceaniche provenienti dal nuovo hub industriale del mondo.
C’è tutto meno l’essenziale: le grandi infrastrutture nazionali – strade ferrate e autostrade – capaci di smaltire il carico delle navi verso i mercati del centro Europa. E ora quella grande occasione rischia di fallire. Due grandi progetti di investimento rischiano di insidiare questa posizione di privilegio. Due lunghe reti ferroviarie destinate a unire Pechino con Amburgo e Shanghai con Istanbul. Saranno questi i due grandi terminali del commercio Nord-Sud. In grado di realizzare ciò che, in tutti questi anni, l’Italia non è riuscita nemmeno a pensare. Una grande finestra sta, quindi, per chiudersi. Mentre da noi restano solo le chiacchiere della retorica sul Mezzogiorno, come grande opportunità di sviluppo.
pagina 16 • 27 maggio 2008
economia La tassazione sulla casa come leva per liberalizzare il mercato
eglio tardi che mai. Qualche giorno fa – si veda liberal del 21 maggio – avevamo espresso dubbi sulla riduzione dell’Ici. Ricordando però che era un atto dovuto, considerate le promesse elettorali fatte da entrambi gli schieramenti. E che quella di Silvio Berlusconi è stata una scelta conseguente, visto che un primo taglio all’imposta, seppure di importo limitato, era stata già assunta con la Finanziaria per il 2008 dal governo Prodi.
M
Il decreto legge che proprio ieri è approdato alla Camera è quindi coerente con queste premesse. Ma è altrettanto valido ai fini di una politica di sviluppo? La nostra risposta era stata negativa. Come negativo è stato il giudizio di Vincenzo Visco, dell’ex responsabile della Finanze, dalle colonne de Il Sole 24Ore di sabato scorso. «Una distorsione bipartisan», recitava il titolo. Concetti analoghi a quelli contenuti nel nostro intervento. Che succede quindi nel mondo degli economisti, cui lo stesso Vincenzo Visco si richiama? Rispetto alle nostre tesi, l’analisi dell’ex viceministro è in parte diversa. Il suo approccio, poi, è rigorosamente fiscale. Ma come spesso accade, quando i ragionamenti sono corretti, fisco e sviluppo economico possono andare a braccetto senza confliggere. L’uno è complemento dell’altro e viceversa. «Il problema teorico e logico – secondo questa seconda impostazione – riguarda le modalità più adeguate per la tassazione degli immobili all’interno di un sistema fiscale che andrebbe concepito come un insieme organico di strumenti ed istituti». Se si accetta questa impostazione di metodo, sempre secondo Visco, «i redditi degli immobili ancorché non monetari dovrebbero far parte della base imponibile dell’imposta personale del reddito». Il lupo perde il pelo, ma non il vizio: verrebbe voglia di dire, ma sarebbe un errore. Vi sono, infatti, robuste ragioni teoriche e pratiche alla base di questa posizione, com’è dimostrato del resto dall’evoluzione storica di questa imposta. Lungo excursus che è richiamato nello stesso articolo dall’ex viceministro: dall’Isi del 1992, quindi alla tassazione Irpef sul suo reddito virtuale o meno e, infine, alla sua trasformazione nell’imposta che conosciamo. Oggi abolita. Rigurgito di fiscalismo? Non proprio. Il problema non è il gettito di questa imposta, che
Ici, i buoni propositi di Visco arrivano tardi di Gianfranco Polillo
L’ex viceministro delle Finanze, Vincenzo Visco, che si è detto contrario al taglio dell’Ici fatto dal governo Berlusconi. Per l’esponente del Pd i redditi derivanti dagli immobili dovrebbero far parte della base imponibile che colpisce i redditi personali, in modo da alleggerire le compravendite abbiamo visto essere modesto in relazione alla ricchezza finanziaria degli italiani, quanto la sua base imponibile. Come ogni imposta, essa può essere correlata al possesso del
L’Ici colpiva il semplice possesso dell’abitazione. L’imposta di registro, l’Iva e la tassazione delle plusvalenze il momento della compravendita. Con un onere aggiuntivo, in questa se-
cato immobiliare. Le famiglie italiane detengono la casa avita “a prescindere”, come avrebbe detto Totò. Invece di cambiare dimora, in relazione alle alterne vicende della vita, si sposta-
Difficile dare torto all’ex viceministro quando rileva che la fiscalità sugli immobili ha appesantito i costi di transazione rendendo complesse le compravendite. Sarebbe stato meglio intervenire sulle imposte di registro bene. Oppure può colpire direttamente il trasferimento di valore. Finora, in Italia e sul versante immobiliare, si è scelta questa duplice strada.
condo caso, direttamente proporzionale al valore rivalutato, oggetto della transazione. Quale sono state le conseguenze? Una forte rigidità del mer-
no personalmente e quotidianamente da un capo all’altro della città. Nonostante il traffico, le perdite di tempo ed i maggiori costi di trasporto.
Di primo acchito sembrerebbe un comportamento irrazionale. Ma al contrario, esso trova una fondamentale motivazione economica, nel fatto che i cosiddetti costi di transazione – gli oneri contrattuali aggiuntivi – sono eccessivi, a causa del trattamento fiscale e dell’afasia del mercato immobiliare. Grazie a questo perverso meccanismo, l’immobile è sottratto dal circuito virtuoso del suo completo utilizzo finanziario. Diventa un semplice e inerte deposito di valore che si materializza – la realizzazione delle plusvalenze – soltanto nei casi di estrema necessità o di mortis causa (l’eredità che i padri lasciano ai figli). Avevamo criticato questo assetto del mercato, specie in una fase nella quale la leva finanziaria, sviluppatesi vorticosamente in questi anni, era in grado di offrire al singolo – ormai imprenditore di se stesso – opportunità sconosciute in un passato anche recente. Proprio su questo problema era intervenuto lo stesso Mario Draghi. Il governatore di Bankitalia aveva fatto notare come, in Italia, il cosiddetto «effetto ricchezza», legato alla rivalutazione degli immobili, aveva operato in modo meno efficiente rispetto alle esperienze registrate negli altri Paesi occidentali.
Vincenzo Visco conferma questa diagnosi. «La riduzione», scrive sul Sole 24Ore, «(e in alcuni casi l’eliminazione) delle imposte sui trasferimenti (registro), favorendo mobilità, compravendita ed edificabilità potrebbe completare il quadro in un contesto di razionalità economica, di efficienza e di equità». Difficile non essere pienamente d’accordo con lui. Ma l’ex viceministro non è soltanto uno studioso di problemi fiscali. È stato, soprattutto, uno dei principali responsabili delle politiche fin qui seguite. Perché queste idee, assolutamente condivisibili, non sono state lanciate nel momento giusto? Lo diciamo senza acrimonia, ma per dare a Cesare quel che è di Cesare. Forse, durante la sua permanenza a piazza Mastati, forse le condizioni non lo consentivano? Ci voleva allora una dura sconfitta elettorale per costringere parte della sinistra a ragionare in termini diversi? Fosse questa la ragione, non potremmo che prenderne atto con soddisfazione. E accettare l’auspicio che viene formulato. La speranza cioè che un cambiamento «possa avvenire almeno per il futuro».
economia
27 maggio 2008 • pagina 17
Il Tesoro e i sindacati caldeggiano il ritorno dei francesi, che per ora non si sbilanciano. Peggiorano i conti della Magliana
Alitalia,l’ultima spiaggia è Air France? d i a r i o Nonostante i tagli previsti dal piano di Maurizio Prato, e che hanno ridimensionato soprattutto lo scalo di Malpensa, peggiora la situazione finanziaria di Alitalia: la compagnia perde circa 1,5 milioni di euro al giorno. Si teme che la disponibilità di cassa non vada oltre l’estate
di Alessandro D’Amato
ROMA. Dal milione di euro di perdite al giorno che fece tanto scalpore qualche mese fa, ora si è passati a bruciare quasi 1,5 milioni nell’arco della giornata. Per Alitalia la situazione la situazione è sempre più tragica, tanto che ieri è stato aggiornato a questa mattina il Cda che doveva approvare il bilancio. I dati, come dimostrano i primi numeri sui quali si è discusso ieri, sarebbero sempre più negativi sul fronte dei conti. Così, per il futuro, resta qualche spiraglio soltanto sul nuovo acquirente: si vocifera, o forse semplicemente si spera, di un ritorno di fiamma di Air France. Unica soluzione per una compagnia che registra perdite per 364 milioni prima del pagamento delle imposte, mentre quello dell’anno precedente, il 2006, si era chiuso con un rosso di 626 milioni di euro (con perdite per oltre 1,7 milioni al giorno) anche per una svalutazione di 197 del valore della flotta iscritto a bilancio.
spone di una politica di copertura, è impensabile poter ricavare valore» con un’acquisizione da parte di Air France-Klm, ha detto il numero uno della compagnia franco-olandese, facendo riferimento alla non copertura in futures di via della Magliana.
Per far tornare Spinetta – nella speranza di rafforzare un’intesa prima commerciale e poi societaria – Tremonti qualche carta in mano ce l’ha. Alitalia è ancora partner di Sky Team, e i francesi hanno ancora in pancia – pur avendola svalutata – una partecipazione azionaria
Tremonti lavora per rafforzare l’intesa commerciale in Skyteam, quindi spera in un aumento della quota dei transalpini nella compagnia italiana
Non a caso Carlo De Benedetti, proprio l’altroieri, ha ribadito che l’offerta di Spinetta è l’unica credibile, ma ha anche aggiunto che l’amministratore delegato di Air France è un «formidabile negoziatore». Come a dire che la mossa dei francesi, alla fin fine, potrebbe anche essere soltanto tattica. E in quest’ottica si potrebbero anche leggere le dichiarazioni che sono venute da Oltralpe, le quali parlavano di una prima offerta per Alitalia formulata «con un prezzo del carburante sugli 83 dollari al barile. Tenuto conto del livello del petrolio e del fatto che Alitalia non di-
del 2 per cento della compagnia italiana. Ma la strada che porta a Parigi è in salita, ma non impossibile. E la soluzione ormai viene accettata – se non caldeggiata – anche dai sindacati, passati alla storia come quelli che fecero saltare l’accordo in aprile. Proprio in quest’ottica sarebbero da inquadrare le dichiarazioni del leader Cgil Guglielmo Epifani («Preoccupati perché non c’è notizia di cordate, il governo ci convochi prima possibile») e di quello della Uil, Luigi Angeletti («Bisogna che si trovi una soluzione urgente-
d e l
g i o r n o
Eni, trattativa in esclusiva per Distrigas Eni è in trattativa esclusiva con la francese Suez per l’acquisto del 57,25 per cento della belga Distrigas. «Il periodo di trattativa in esclusiva - si legge in una nota - si estenderà fino al 29 maggio, data della chiusura». L’accordo, che è soggetto all’approvazione della Commissione Europea, sarà condizionato alla fusione tra Suez e Gaz de France e alla rinuncia del diritto di prelazione di Publigaz, azionista pubblico belga che detiene il 31,25 per cento di Distrigas.
Accordo di Finmeccanica con Boeing Intesa Boeing-Finmeccanica per il mercato internazionale degli aerei da addestramento. L’accordo prevede attività congiunte di marketing, vendita, formazione e supporto al prodotto nell’ambito dei mercati internazionali, sia per l’M-346, addestratore avanzato, che per l’M-311 addestratore basico/avanzato, entrambi progettati e costruiti da Alenia Aermacchi. Combinando le capacità di supporto e addestramento di Boeing con quelle di Alenia Aermacchi, si legge in una nota, «si incrementeranno ulteriormente l’efficacia e l’affidabilità delle missioni addestrative, riducendo i costi totali della vita operativa e rafforzando i vantaggi dell’M346 e dell’M-311».
Il prezzo del Diesel supera la verde mente per l’azienda»). Intanto, a Montecitorio si scaldano i motori: il decreto sul prestitoponte di 300 milioni di euro per Alitalia «verrà approvato così com’e», fa sapere Mario Valducci (Pdl), presidente della commissione Trasporti e relatore al decreto. Oggi il decreto legge, che è stato approvato dal Senato, sarà proprio oggetto dei lavori della commissione di Montecitorio. «Ci attendiamo che il rappresentante del governo che prenderà parte ai lavori», ha aggiunto Valducci, «riferisca delle novità decise nell’ultimo consiglio dei ministri, ma in ogni caso il decreto non cambia perché la novità consiste solo nella facoltà che si è riservata l’azionista di considerare una parte del prestito come patrimonio netto».
E la commissione si attende comunque che Tremonti si presenti in aula per rispondere alle domande dell’opposizione (e a qualche mal di pancia sotterraneo della maggioranza, soprattutto dell’area lombarda e aennina). «Il ministro Tremonti ha le idee chiare su cosa fare», ha detto il responsabile delle Politiche comunitarie, Andrea Ronchi, dopo aver incontrato a Bruxelles il commissario all’Immigrazione, Jacques Barrot, l’ex titolare dei Trasporti che conosce bene il dossier. Ma il tempo stringe: entro il 30 maggio l’Italia dovrà fornire alla Ue tutte le informazioni richieste sul prestito ponte concesso, ed eventualmente apportare le correzioni che verranno richieste (soprattutto per il tasso d’interesse).
I prezzi del gasolio, per la prima volta, superano quelli della benzina verde e il Codacons ha annunciato una class action in favore degli automobilisti che di recente hanno acquistato una vettura diesel. «Numerosi automobilisti negli ultimi mesi - ha sottolineato l’associazione dei consumatori - sono stati spinti a comprare una vettura a gasolio persuasi dal risparmio sulla spesa per il carburante. Un risparmio che, come attestano i dati odierni, è stato del tutto annullato». I nostri avvocati, ha rimarcato il presidente di Codacons, Carlo Rienzi, «stanno studiando la possibilità di intentare una class action contro le case produttrici di automobili e dei rivenditori».
Banche, in Italia è boom di rapine Maglia nera in Europa. L’Italia detiene il primato delle rapine in banca. Stando ai dati del 2006, gli ultimi per i quali è possibile una comparazione con l’Europa, nel nostro Paese i “colpi” sono stati 3092, contro i 582 della Germania, i 438 della Spagna ed i 271 della Francia. In pratica, ogni 100 sportelli in Italia ci sono state 9,67 rapine, contro 1,37 in Germania, 1,14 in Spagna e 0,97 in Francia. Per contrastare questo fenomeno è stato siglato un protocollo d’intesa tra l’Abi e il dipartimento di Pubblica sicurezza. L’intesa prevede l’impegno a rafforzare il dialogo, lo scambio d’informazioni e il lavoro congiunto in tema di sicurezza tra i due organismi.
Hera, con Iride ed Enia per avviare fusione Si è svolta ieri pomeriggio una riunione a Piacenza fra le utilities Hera, Iride ed Enia per la firma di una lettera d’intenti al fine di una trattativa in esclusiva finalizzata alla fusione. Secondo quanto appreso, le tre società dovranno poi procedere alla nomina di advisor che dovranno occuparsi del progetto di aggregazione.
De Agostini lancia Opa su Zodiak Goldcup D 3924, società controllata da De Agostini Communication, ha lanciato un’Opa amichevole sull’intero capitale di ZodiaK Television, una delle principali aziende di produzione di contenuti Tv del Nord Europa, quotata a Stoccolma. L’offerta, del valore di circa 137 milioni di euro, prevede il pagamento in contanti di 40 corone per ogni azione o obbligazione convertibile Zodiak, con un premio del 33,8% sull’ultima chiusura del titolo in Borsa.
pagina 18 • 27 maggio 2008
cinema
I cinquant’anni di Annette Bening: da moglie compita di Warren Beatty a star hollywoodiana
L’allegra tragedia della vita di Priscilla Del Ninno
Nella foto piccola Annette Bening insieme con il marito Warren Beatty e Dustin Hoffman alla cerimonia dei Golden Globe Awards
affinata, intelligente, versatile, alla soglia dei cinquant’anni, splendidamente oltrepassata proprio oggi che l’attrice spegnerà le fatidiche candeline, Annette Bening può finalmente dirsi emancipata dal blasonato quanto riduttivo ruolo di moglie di Warren Beatty: un marchio, per quanto ambito, che a lungo l’ha fasciata in un abito professionale troppo stretto sebbene glamour.
R
Eclettica, intensa, capace di prestare volto regolare ed esili fattezze a personaggi dai tratti caratteristici ora drammaticamente taglienti, ora tragicamente ingombranti, dal plot cinico al sofisticato noir, dalla ricostruzione d’epoca all’odierno apologo amorale, passando per la commedia sentimentale e la rivisitazione fantascientifica, l’attrice ha dimostrato nel tempo, dagli esordi teatrali sulle ribalte di Broadway ai più kolossali set hollywoodiani, una capacità d’impegno, una caparbietà professionale e una versatilità istrionica possenti, a dispetto di quella sua apparenza elegantemente filiforme e di un’immagine divistica che dal matrimonio con Warren Beatty alle quattro maternità inanellate dal ’92 al 2000, l’ha sempre voluta più donna e madre schiva che capricciosa star da gossip. A riprova, un carnet scandalistico decisamente scarno e, di contro, un curriculum artistico denso in cui spiccano titoli come American Beauty di Sam Mendes e Being Julia di Istvan Szabo, e nomi di registi del calibro di Mike Nichols, Barry Levinson, Neil Jordan,Tim Burton, Stephen Frears e Milos Forman, solo per citarne alcuni. Momenti apicali di una carriera iniziata tra i banchi della San Patrick Henry High School di San Diego, città dove la
Bening – nata il 29 maggio del ’58 a Topeka nel Kansas – si era trasferita con la famiglia quando era ancora una bambina. Proseguita poi al San Diego Mesa College, fino alla laurea alla San Francisco State University, conseguita – fedele a un copione di vita dal sapore cinematografico - pagandosi gli studi lavorando come cuoca. Poi, dopo la laurea, la Bening viene ammessa al San Francisco American Conservatory Theater, dove ha modo di muovere i primi passi semiprofessionali nella compagnia dell’Accademia, partecipando ad alcuni festival estivi di teatro shakespeariano. A quel punto, dalla ribalta classica ai riflettori di Broadway il passo è breve: e nel 1987, trasferitasi a New York, Annette si esibisce nella produzione di Coastal Disturbances, vincendo un premio
Fischer, dove lavora accanto a protagonisti come Meryl Streep, Gene Hackman, Richard Dreyfuss e alla futura cognata Shirley MacLane.
Intanto l’attrice nel 1984 si è sposata con Steven White, un matrimonio che passa inosservato ai paparazzi almeno quanto le sue performance recitative. Performance che non sfuggono però all’occhio perspicace di Milos Forman che, colpito dalla sua sensuale bellezza, nel 1989 sceglie la Bening per il ruolo della perfida e libertina marchesa de Marteuil in Valmont, sua personale rivisitazione cinefila del romanzo epistolare di Choderlos de Laclos, Le relazioni pericolose. Il film non ottiene gli sperati riscontri, ma offre alla Bening l’opportunità di farsi notare per la prima vera
Un’attrice che dagli esordi teatrali sulle ribalte di Broadway ai kolossal hollywoodiani, ha mostrato una capacità d’impegno, una caparbietà professionale e una versatilità istrionica possenti di settore come il Clarence Derwent Award per la migliore interpretazione esordiente. Da questo momento – a conferma di un karma attoriale che da sempre la vuole vedere faticare molto prima del riconoscimento spettacolare - passeranno cinque lunghi anni prima di essere notata sul grande schermo. Anni in cui, nel frattempo, l’attrice si cimenta in ruoli dai complessi contorni in pellicole come Non è stata una vacanza… ma una guerra! di Howard Deutch, con Dan Aykroyd e John Candy, o come Cartoline dall’inferno di Mick Nichols, il film tratto dal libro autobiografico di Carrie
volta. Bisognerà aspettare il 1990 e il copione di Rischiose abitudini, firmato Stephen Frears, per l’ufficializzazione della sua bravura: è quel cinico ma raffinato noir che, nel racconto di tre scommettitori dediti a colpi grossi e gare truccate, (accanto a lei Anjelica Huston e John Cusack), apre una finestra cinefila sul rovescio del sogno americano di successo e ricchezza,
ad offrire alla Bening l’opportunità di rivelare pienamente intensità drammatica ed equilibrismo sarcastico. Corde magistralmente toccate poi nel film forse più celebre della sua carriera, American Beauty, (spietata analisi del vuoto etico della moderna società a stelle e strisce incoronato da ben 5 Oscar), ma raffinate anche in titoli come Mars Attack, di Tim Burton, film rutilante, tragicomico e ironicamente macabro che mette in scena un’invasione aliena della Terra come punizione per l’idiozia umana. Di tono squisitamente più commerciale, invece, le performance sentimentali della Bening rese in titoli come Love Affair. Un grande amore, (di Glenn Gordon Caron, in cui recita accanto a Warren Beatty, sposato nel ’92), Il presidente una storia d’amore di Rob Reiner, con Michael Douglas, ai quali seguono il rifacimento moderno del dramma di Shakespeare, Riccardo III, di Richard Loncraine, il fantapolitico Attacco al potere di Edward Zwick, (con Bruce Willis e Denzel Washington), e l’inquietante thriller onirico-psicologico diretto da Neil Jordan, In Dreams. Manca solo il western, così nel 2003 Kevin Costner la chiama per il ruolo di Sue Barlow nel suo Terra di confine. Il suo più recente impegno davanti la macchina da presa, Correndo con le forbici in mani di Ryan Murphy, ha anticipato il ritorno sulla ribalta dopo dieci anni di assenza nel dramma di Henrik Ibsen, Hedda Gabler, andato in scena a Los Angeles. Il prossimo capitolo dell’impegno e del riconoscimento di un’attrice poliedrica quanto sottovalutata, è ancora tutto da scrivere…
musica romette luci sfavillanti e ombre sepolcrali, Tom Waits, col suo Glimmer And Doom Tour che plana sull’Arcimboldi di Milano il 17, 18 e 19 luglio prossimi. Chi ha il portafoglio abbastanza gonfio per procurarsi un biglietto – 103,50 euro per un posto in galleria, 143,75 in platea: prezzi da jet set – si godrà un evento raro e speciale. Il lupo mannaro di Pomona, contea di Los Angeles, da noi finora s’era palesato due volte soltanto: nel 1986 fece un blitz a Sanremo per ritirare un Premio Tenco, nel ’99 si esibì per tre sere al Teatro Comunale di Firenze davanti a una platea ricolma di vip del cinema e della musica, Ivano Fossati e Piero Pelù, Irene Grandi e Vinicio Capossela (“il Waits italiano”), Silvio Orlando e Lella Costa, Nicoletta Braschi e Benigni, amicone dai tempi di Daunbailò con cui dopo lo spettacolo tirò tardi in trattoria tra una bruschetta e un piatto di spaghetti aglio olio e peperoncino. Allora aveva un disco nuovo da promuovere, il gagliardo Mule Variations in bilico come sempre tra irsuto romanticismo e suoni da bottega degli orrori, oggi la sua opera più recente è una collezione di canzoni minori (“orfane”, le chiama lui) raccolte in un triplo cofanetto uscito sul finire del 2006.
27 maggio 2008 • pagina 19
Per tre serate, il teatro Arcimboldi ospiterà Glimmer And Doom Tour, lo spettacolo dell’artista californiano autore dell’indimenticabile album Blue Valentine
P
Con Waits tutto questo non ha importanza: la performance prescinde dal repertorio, il marketing non rientra nell’equazione. E’ sempre stato così, il vecchio Tom, allergico a qualsiasi lusinga commerciale. In epoca di pop star griffate e sponsorizzate dalla testa ai piedi, lui continua a sfuggire come la peste i brand e i pubblicitari. In tempi diversi, Lancia, Opel e Audi – curiosamente, sempre di marche di automobili si tratta – hanno cercato di convincerlo a concedere le sue canzoni come sottofondo per qualche campagna pubblicitaria in tv. Ai suoi ostinati rifiuti hanno furbescamente cercato di ovviare con i soundalike, falsi e imitazioni che a volte traggono in inganno anche gli ascoltatori più scafati: salvo poi vedersi trascinare in tribunale, costrette a pagargli i danni e a fargli tante scuse.
Sbarca a Milano, dal 17 al 19 luglio, il tour del grande cantautore americano Tom Waits
Il vecchio leone di Los Angeles ruggisce ancora di Alfredo Marziano «Finalmente mi lasceranno in pace», ha sibilato il Nostro dopo l’ultima sentenza a suo favore. «E che diamine, non mi metterò mai a fare le fusa sul cofano di un’auto. Per quella gente io voglio diventare radioattivo». Detesta cordialmente anche il “progresso”, lui che va in giro col cappellaccio e l’impermea-
bile spiegazzato alla Marlowe, la testa ancora immersa nei classici della Beat Generation, il cinema hollywoodiano anni ’40 e le canzoni di Brecht e Weill. «L’iPod, l’mp3, Internet hanno atrofizzato l’interesse del pubblico», dice. «E gli artisti hanno perso quel senso di avventura che li spingeva a sperimentare». «Sapete cosa
Resta il cantore dei diseredati, dei rain dogs che hanno perso la strada di casa e delle prostitute dal grande cuore c’è che non va nel mondo, al giorno d’oggi?», ha sentenziato in un’altra occasione. «Che siamo sepolti sotto il peso di una massa di informazioni che qualcuno confonde per conoscenza. La quantità viene confusa con l’abbondanza, la ricchezza con la felicità. Ma in
realtà siamo solo delle scimmie provviste di denaro e pistole». Ha la voce di un orco e le sembianze di un diavolo - ne vestirà i panni in The Imaginarium Of Doctor Parnassus, il nuovo film di Terry Gilliam annunciato nelle sale l’anno prossimo - ma è un burbero buono e di sani principi, recentemente sdoganato anche da Civiltà Cattolica per il suo essere «vicino agli emarginati e agli incompresi», come ha scritto padre Antonio Spataro in un articolo dell’anno scorso.
Resta il cantore dei diseredati, dei rain dogs che hanno perso la strada di casa e delle prostitute dal cuore grande che scrivono cartoline natalizie (Christmas Card From A Hooker In Minneapolis, anno 1978, è una delle pagine più toccanti del suo quaderno). Ma anche un poeta fabbro ferraio della musica contemporanea: mastica da sempre il jazz, il blues e il vaudeville e da molti anni coltiva l’estetica del rumore, con la sua “orchestra da di-
scarica”che recupera strumenti inusuali e obsoleti e quello specchio sonoro deformante che rispecchia la sua visione del fare musica. «Soffro di una forma di audiostigmatismo che mi fa sentire le cose nel modo sbagliato. Coltivo illusioni sonore, ho un rampicante nel cervello che trasforma le parole in un alfabeto farfallino e me le restituisce così». Un bohémien d’altri tempi, Waits. Ma anche un uomo di famiglia (la moglie Kathleen Brennan, da tanti anni al suo fianco, è coautrice delle sue canzoni; il figlio Casey, batterista e percussionista, gira in tournée con lui), di palato fine e cultura insospettabile.
Cita spesso e volentieri Fellini e Caruso, tra gli artisti che ne hanno forgiato la personalità artistica, accanto a Kerouac, Bukowski, James Dylan, Brown, Harry Belafonte, Howlin’ Wolf, Leadbelly, Lee Marvin, Thelonious Monk, John Ford, Jagger & Richards, Willie Dixion, Johnny Cash, Hank Williams, Frank Sinatra, Louis Armstrong, Robert Johnson, Hoagy Carmichael e cento altri. Un raffinato estimatore dell’arte europea che non ha perso la sua americanità. «Cos’è il paradiso, per me?», si chiede in una divertente autointervista pubblicata di recente su Internet. «Io e mia moglie in viaggio sulla Route 66, alloggiati in un Motel 6 con una caffettiera, una chitarra da pochi soldi e un registratore da banco dei pegni. E una macchina affidabile parcheggiata giusto vicino alla porta». Un uomo, una donna, un motel e un’automobile (magari una Ol’55), come nel più classico degli on the road. Non chiedetegli solo di trasformarlo in uno spot pubblicitario, il diavolo del commercio è l’ultimo a cui venderebbe l’anima.
pagina 20 • 27 maggio 2008
storia
Novità. Da oggi attivo il sito www.14-18.it Documenti e vita dei nostri soldati nel Primo conflitto mondiale
Cartoline dalla trincea di Massimo Tosti i sono pagine talmente ingenue da riscattare persino la retorica. Come questa: «E tu, vecchio fante, ricordati che hai da essere: obbedienza, pazienza, esattezza, prontezza, coraggio. Sopportazione. Hai da esserlo perché la patria ne ha bisogno. E la patria sei tu, i tuoi figlioli, la tua casa. In fondo alla tua anima, bene in fondo però, che nessuno te lo veda, tu vecchio fante ci puoi avere questo orgoglio: tu sei nato in una stalla forse come Cristo. Tu sei stato ferito quanto Cristo. Tu hai digiunato quanto San Francesco. Nella tua solitudine tu provi più tentazioni di Sant’Antonio e resisti a tutte. Tu hai più pidocchi di San Giuseppe Labre, più pazienza di Giobbe. E tu ch’eri nato buono, hai anche dovuto uccidere. Perché sul mondo non s’instaurasse il regno di Caino. E se tu in questa lotta soggiaci, Cristo t’eleggerà tra i suoi perché tu segui la sua traccia: santo come tutti i santi, soffri e combatti anche tu, per la salvezza e la redenzione del genere umano».
C
È il testo (scritto a mano, in stampatello) che figura – accanto al ritratto di un fante – nella copertina del numero del 13 settembre 1918 (quaranta giorni prima della Vittoria) de La trincea, periodico a ciclostile dell’Armata del Grappa (“Non si passa!… Passeremo noi!”, proclama la sottotestata). Ma ci sono anche migliaia di foto e di documenti, annate intere di giornali italiani e stranieri del periodo fra il 1914 e il 1918, la rassegna
stampa curata dallo Stato maggiore delle forze armate italiane (con i relativi commenti alle operazioni militari appena compiute e a quelle in preparazione), i giornalini di trincea, che raccontavano la vita quotidiana al fronte e si proponevano anche di tenere alto il morale delle truppe. Tutto questo da oggi (esattamente da oggi) è alla portata di tutti. Da oggi è attivo sul web un portale sulla Prima guerra mondiale. Si chiama www.14-18.it, ed è stato realizzato in tre anni di lavoro di schedatura e riordino dei do-
ra Mondiale», si legge nella home page del nuovo sito, «illustrazione e fotografia rivestono particolare importanza: esse infatti avevano un potere di suggestione e di presa su un pubblico, in larga misura illetterato, che la parola scritta o parlata non aveva. Si tratta di un patrimonio ricchissimo al quale i nuovi indirizzi della ricerca storica si rivolgono con sempre maggiore interesse perché offre uno spaccato dei cambiamenti della società, della cultura e della mentalità dell’epoca che altri documenti colgono con minore immediatezza». Una delle curiosità più stimolanti è rappresentata dai giornali di trincea: le collezioni sono (ovviamente) incomplete. Ma è già un miracolo che si siano salvate parecchie copie di quelle pubblicazioni semiclandestine, e assolutamente artigianali, che circolavano al fronte. Le testate hanno nomi spesso improbabili che descrivono lo spirito con il quale erano redatti i testi: gli avvenimenti, Il grappa, Il grigio verde, Il lapis, Il montello, Il respiratore, L’Astico, L’eco caricaturista, La baionetta, La bomba a penna, La cornata, La ghirba, La giberna, La giberna dei lettori, La notizia al fante, La potenza, La tradotta, La trincea, San Marco, Sempre avanti, Signor Sì. Nel numero datato 3 novembre 1918, Il Grigio-verde, Periodico Settimanale di Propaganda (edito nella Caserma De Cristoforis di Como) celebra “La Vittoria”. Con queste parole: «Travolta dai nostri eserciti, l’Austria ha chiesto l’armistizio. Soldati, mostriamoci degni con la no-
Nel portale riprodotti i giornali che venivano stampati e diffusi tra i militari come ”La potenza”, ”il Fante, ”La bomba a penna”, ”La Tradotta”
cumenti, provenienti dalle collezioni di quattro istituti: la Biblioteca di storia moderna e contemporanea, il Museo Centrale del Risorgimento di Roma, la Biblioteca Nazionale di Roma e la Biblioteca Alessandrina (dellaSapienza). «Durante la Prima Guer-
stra calma degli eroici nostri fratelli che hanno vinto la più grande battaglia della guerra! Calma e fiducia, e non dimentichiamo che quel nemico che ora si china davanti a noi è il nemico della menzogna e del tradimento. Il nemico che ha fatto un deserto dei nostri paesi che invase. Calma e fiducia! In quest’ora l’Italia scrive la pagina più bella e più grande della guerra».
Il Grappa, “giornaletto settimanale del 138 fucilieri” (Zona di guerra, 12 luglio 1918) raccomanda ai suoi soldati: «Quando sei in trincea, osserva quanto segue: I. Dormi con un occhio aperto: eviterai sor-
prese. II. Nella trincea sii astuto come la volpe; fuori serpe e leone. III. Trova tempo per un saluto alla famiglia; orgoglio tuo mandarlo; suo riceverlo. IV. Non farti inutile bersaglio, è bravata che non merita premio. V. Non scordare la preghiera; la trincea è il più bell’altare della Patria. VI. Il nemico guata dalla sua trincea e, se ti coglie, ride; fai altrettanto. VII. Ama e cura la tua trincea, ma ricorda che dovrai abbandonarla. VIII. Spara a colpo sicuro, se la cartuccia sparata a caso potesse parlare, ti direbbe una bestemmia. IX. In trincea due cose a te vicine: fucile, cartucce; due cose unite: nervi, lin-
storia
27 maggio 2008 • pagina 21
Da Carrà a Ungaretti: come il fronte ispirò artisti, poeti e scrittori
Gli esteti armati della Grande guerra e foto – novant’anni fa – non raccontavano quel che sono in grado di raccontare al giorno d’oggi, con il colore, il digitale, lo zoom, gli scatti a ripetizione che consentono di fissare l’immagine più crudele, il momento culminante di un’azione, il senso di una condizione. Potevano farlo i versi di un poeta (“Si sta come d’autunno / sugli alberi le foglie”, scrisse il soldato Giuseppe Ungaretti), oppure le tavole a colori di un grande artista, Achille Beltrame, che – nei tre anni e mezzo della Grande Guerra – dedicò tutte le copertine e le controcopertine della Domenica del Corriere agli episodi salienti del conflitto. Beltrame (che si recò spesso al fronte, come i bravi reporter, per comprendere il clima e le atmosfere) fu il Cartier-Bresson della Prima guerra mondiale: descrisse agli italiani le battaglie, le vittorie, le sconfitte, gli atti di eroismo, il dolore, la gloria. Raccontò il fango delle trincee, la vita durissima al fronte, le imprese di D’Annunzio, il sacrificio di Enrico Toti, le incursioni delle motosiluranti, gli scontri nei cieli di Francesco Baracca, le esecuzioni di Cesare Battisti e Nazario Sauro, la ritirata di Caporetto, la vittoria finale. Beltrame non fu il solo pittore impegnato al fronte, anche se fu l’unico a proporre una cronaca settimanale, mentre altri fissavano le immagini per i posteri, per la storia, e per la storia dell’arte. Alcuni artisti si arruolarono e andarono al fronte proprio con il proposito di narrare (con il pennello o con la matita) le vicende belliche. Un eccezionale diario per immagini che oggi è (in larga misura) conservato dall’Istituto per la storia del Risorgimento, al Vittoriano. I nomi di molti di loro sono finiti nel dimenticatoio, anche se furono soldati coraggiosi e artisti di grande talento: Italico Brass, Anselmo Bucci, Aldo Carpi, Tommaso Cascella, Angelo Landi, Vito Lombardi, Cipriano Efisio Oppo, Lodovico Pogliaghi.Tre anni fa l’Istituto ha pubblicato un catalogo delle opere dei pittori-soldato della Grande Guerra. Il curatore Marco Pizzo suggeriva una distinzione fra “i pittori-soldato che ritraevano la guerra alla quale prendevano parte”e i pittori di guerra, che al contrario prendevano spunto dagli eventi bellici per comporre le loro opere. In questo secondo caso la guerra diventava ‘un soggetto’ da considerare alla stessa stregua di altri soggetti, seppur con una carica di documentazione e di attualità. Diverso è il caso dei pittori-soldato. La loro militanza sul fronte provocò, infatti, una serie di opere fortemente im-
L
pregnate di emotività, in cui il paesaggio esteriore muta in maniera radicale a seconda del soggetto che lo percepisce: si tratta nel loro caso di ‘emozioni di guerra’più che di ‘visioni di guerra’”. Pizzo ricordava anche l’opera dei fotografi al fronte, che – a dire il vero – erano già maggiorenni (anche se a noi le loro immagini appaiono ingiallite e sperimentali). Esistono antichi dagherrotipi che documentano la Repubblica Romana del 1848, la campagna di Crimea del 1855, la presa di Roma del 1870. Nella Grande Guerra ci furono interi reparti dell’esercito attrezzati per impressionare le lastre fotografiche con fatti, persone e panorami. Spesso l’attività dei pittori-soldato «si intrecciò assai saldamente con quella dei fotografi confluendo in un continuo interscambio di tematiche ed ispirazioni». Ci furono poi opere “a posteriori”: i disegni e i dipinti di artisti straordinari, come Sironi, Rosai, Carrà, Previati. E ci fu infine l’influenza che la guerra ebbe su alcune correnti artistiche: il cubismo e – soprattutto – il futurismo. La guerra fu l’incubatrice delle avanguardie: una tragedia epocale, nella quale persero la vita milioni di uomini, che divenne lo spunto per riflessioni, intuizioni, invenzioni. Un discorso che vale anche per altre forme d’arte come la poesia e la letteratura. I versi di Ungaretti, ma anche le imprese (e le pagine) di Gabriele D’Annunzio, il Vate che fu protagonista di gesta (la beffa di Buccali, il volo su Vienna, la contrastata occupazione di Fiume) che ne fecero – agli occhi di moltissimi italiani – il prototipo dell’eroe, l’uomo che sapeva fondere pensiero e azione. Ma vale la pena di ricordare anche gli scritti di Ardengo Soffici (Kobilek, giornale di battaglia, e la Ritirata del Friuli), il Diario di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda, Vent’anni di Corrado Alvaro, Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, Giorni di guerra di Giovanni Comisso. O le opere di due autori che attraversarono sia la Prima che la seconda guerra mondiale: Curzio Malaparte, autore della Rivolta dei santi maledetti (ma anche, dopo il secondo conflitto mondiale, di Kaputt e La pelle) e Paolo Monelli che scrisse Le scarpe al sole (e, quasi trent’anni dopo, Roma 1943).
Alcuni militari andarono a combattere proprio con il proposito di narrare in prima persona le vicende belliche
gua; due cose forti: anima e cuore. X. La vittoria non è nella tua trincea, ma in quella del nemico – devi strappargliela. I periodici ufficiali (non solo italiani) sono tutti riconducibili alle forze armate dei vari Paesi impegnati nel conflitto. Fra le testate italiane in raccolta, figurano la rivista quindicinale Bianco, rosso e verde, Il soldato, Il giornale del soldato, l’Eco del prigioniero, Savoia, la Rivista eroica, e persino pubblicazioni in italiano edite all’estero, come – per esempio – La guerra illustrata, stampata in Inghilterra dalla London News & Sketch.
Nella pagina precedente un supplemento all’Illustrazione italiana e quella del quindicinale ”Bianco, rosso e verde”. Sopra tre copertine della ”Domenica del Corriere” illustrate da Achille Beltrame; e due quadri: ”Il rancio in trincea” di Anselmo Bucci e ”Il ponte distrutto” di Vito Lombardi
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Sicurezza,ha fatto bene Ronchi a riferire alla Spagna? IL MINISTRO RONCHI HA DECISAMENTE SBAGLIATO, DOVREBBE COORDINARSI CON I SUOI OMOLOGHI UE
MAI DARE GIUSTIFICAZIONI A CHI NON LE RICHIEDE, LE CRITICHE SONO ARRIVATE SENZA MOTIVAZIONE
Se una iniziativa del genere fosse partita dal governo Prodi, non mi sarei stupito più di tanto. Da un esecutivo calabraghe c’era da aspettarselo, ma da un ministro del governo Berlusconi, non me lo sarei mai immaginato.Tra l’altro mi sembra che nessuno aveva chiesto giustificazioni, almeno in via ufficiale. Solo qualche commento di un paio di ministri in cerca di notorietà. La verità è che la Spagna, che tra l’altro da quanto si legge ha da tempo intrapreso la via del rigore nei confronti degli immigrati, ha il terrore che i giusti provvedimenti presi dall’attuale governo italiano favoriscano la migrazione (precipuamente quella africana) in terra spagnola. Andrea Ronchi farebbe meglio a coordinarsi con i suoi omologhi Ue per stabilire una univoca politica capace di affrontare con efficacia il problema della immigrazione clandestina.Va bene baciare le mani delle signore e dei Cardinali, ma i piedi dei ministri di Zapatero no, proprio no. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sulle pagine del vostro quotidiano. Distinti saluti e a presto.
Non sono assolutamente d’accordo. Se di qualcosa bisognava davvero rispondere, si dovevano prendere contatti con i vertici Ue e non con un Paese isolato della Comunità europea. Giusto quindi il risentimento di Bossi, giuste le distaccate assicurazioni di Fini a Strasburgo. Molto grave volare a Madrid per fornire giustificazioni ad un singolo Paese membro, in particolare alla Spagna, che risponde a cannonate all’arrivo delle carrette africane. Ma soprattutto mai fornire giustificazioni a chi non le ha richieste ufficialmente. Le critiche sono arrivate da ministri in cerca di visibilità e peraltro smentiti dal loro Primo ministro. Inoltre mi chiedo: l’iniziativa è partita dallo stesso ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi, oppure da qualcuno più in alto? Spero proprio che si sia trattato di una gaffe del neoministro, per inesperienza o per esibizionismo. Sarebbe veramente grave se l’ordine fosse partito dal Cav. o da Frattini.
Alessandro Lorenzetti Sulmona (Aq)
LA DOMANDA DI DOMANI
Emergenza rifiuti, basta davvero la Polizia o c’è bisogno dell’esercito? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Giulio Flavoconte - Torino
DICIAMO CHE COMUNQUE NON HA FATTO MALE, IN FONDO HA DATO UNA LEZIONE DI STILE A TUTTI Francamente non capisco tutto questo sdegno nei confronti del ministro Ronchi. Su tutti i giornali ho letto commenti al vetriolo, da una parte come dall’altra, la cui teoria era quella del non dover andare a giustificarsi col governo spagnolo circa il pacchetto sicurezza dell’esecutivo Berlusconi. E perché mai non avremmo dovuto? Andrea Ronchi è il ministro delle Politiche comunitarie e la Spagna è lo Stato membro dell’Ue che più di tutti ha avuto da ridire sulle nostre politiche in materia di sicurezza. Si può discutere sui modi, sui toni e sul perché i ministri spagnoli abbiano tanto alzato la voce contro di noi, ma non sul fatto di aver preso un aereo e aver chiarito tutto quello che c’era da chiarire. Credo insomma che il governo italiano non si sia chinato di fronte a nessuno, che abbia dato una bella lezione di stile e di pubbliche relazioni diplomatiche.
CEMENTO TELEFONICO Se non fosse per la situazione difficile del nostro Paese, saremmo veramente in una situazione grottesca. Colui che per anni è stato il Diavolo (Berlusconi), è Primo Ministro con una solidissima maggioranza e un’allegra scolaresca di ministri a cui manca solo il grembiulino. Ministre carine da copertina con facce seriose per sembrare più adeguate all’alta responsabilità e ministri con problemi gravi sorridenti e rassicuranti. Tv e giornali allineati come non mai, nonostante i primi interventi sia in tema di sicurezza che di economia non tocchino minimamente i problemi del Paese. Ne viene percepito solo il carattere mediatico-anestetico del “giro di vite” in tema di sicurezza, senza toccare l’illegalità strutturale sul cui humus si amplificano i problemi di quel tipo, o di ipotetiche maggiori entrate nelle tasche dei cittadini senza mettere mano nella sostanza: la perdita di competitività e produttività del Paese. Il potere politico ha compreso che oramai si era giunti al capolinea. Per cui ora “facciamo i bravi tutti finché passa il temporale”, visto che i citta-
NO DOG NO PARTY
Questo ”gentledog” inglese si chiama Romi, è un Vizsla ungherese e sta prendendo il tè durante un ”tea party” a dedicato ai cani. L’evento è organizzato da un’associazione che si occupa della tutela degli animali e ha lo scopo di raccogliere fondi per i cani abbandonati e randagi
ALTRO CHE PILLOLE PER LA DEPRESSIONE I lavori di casa? Fanno bene. I super esperti non hanno dubbi: altro che pillole per combattere l’ansia e la depressione, basta passare l’aspirapolvere per venti minuti a settimana. Così facendo, cala del venti per cento il rischio d’ammalarsi. Che dite, lo sapranno le graziose smorfiosette chic e le nostre arroganti donne in carriera che vivono all’insegna del modello Sex & the city? Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Pierpaolo Vezzani
TV: NON ESAGERIAMO CON GLI SPAZI CONCESSI A Napoli e dintorni (ad esempio Chiaiano) è di nuovo guerriglia contro le forze di polizia, che chiedono il rispetto della legge. Ho provato più volte, e per giusta
dai circoli liberal Giovanna Di Gennaro - Napoli
dini ci hanno dato l’occasione (che ha tutte le caratteristiche per essere l’ultima). Oppure effettivamente è cambiata la politica? Beh, se è cambiata, una volta usciti dall’emergenza bisognerebbe fare l’assalto all’arma bianca! E’ bastato così poco? Perché abbiamo aspettato tutti questi anni di sofferenze e confusione visto che comunque il pallino è sempre stato in mano alle stesse entità politiche e di leadership a sinistra quanto a destra? Forse c’è dell’altro. Qualcosa che ha cementato gli avversari egemoni negli schieramenti, in un’alleanza per salvare prima di tutto se stessi e poi con esso, ma solo di conseguenza, il Paese. E’ importante fare ipotesi sulla struttura chimicomolecolare di questo eventuale “cemento”. Se non è prima di tutto la difesa dell’interesse generale, si potrebbe prevedere qualcosa sul futuro e fare scelte più opportune. Le cose andranno un pochino meglio, ma perdurerà l’arretratezza del sistema e ci saranno nuovi problemi. Se non guardiamo le ombre proiettate nella caverna, ma la realtà, qualcuno potrebbe pensare a un armistizio tra Berlusconi e il suo mancato sicario: la
causa, a riunire delle persone in un luogo, durante diverse manifestazioni politico-elettorali: solo chi non l’ha mai fatto non sa la fatica che si fa per convogliare un nutrito gruppo in una piazza o un teatro. La domanda è: chi sono questi potenti e preparati primi inter pares che sanno così bene organizzare la contestazione? Lo Stato ha o non ha la possibilità di prendere i caporioni e dissuaderli da azioni che vanno contro la legge? Vogliamo arrivare a qualche incidente tipo il G8 di Genova? E poi, va bene il dialogo, va bene il governo ombra, ma ora cosa facciamo, ci mettiamo a fare ombra in Tv e sulla stampa alle istituzioni ufficiali? Non esageriamo con gli spazi concessi!
L. C. Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)
classe dirigente ex Fgci del Pci post occhettiana. Ancora non mi avvedo di come i Ds siano riusciti a evitare lo smottamento franoso e travolgente della vicenda Unipol e Bnl, che poteva avere una forza annullante e polverizzante come lo è stata tangentopoli per il Psi. Ancora non mi avvedo di come Berlusconi non abbia potuto, saputo o voluto approfittare fino in fondo. O si è accordato nel non “intercettare” l’opportunità? Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE
APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo Ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Bacio per te il mio impietoso guanciale Tesoro, Caitlin, mia cara Cat. E’ orribile scriverti perché, anche se amo scriverti, ti porta così vicino a me che potrei quasi toccarti e allo stesso tempo so che non posso toccarti, sei così lontana nella fredda e crudele Ringwood e io sono nell’insipida Barnet in un pub sulla strada con niente che tenga compagnia al mio cuore tranne la tua assenza e la tua distanza. Penso sempre tutto il tempo a te. Bacio per te il mio impietoso guanciale nelle notti maligne. Ti vedo con la nostra scimmietta mongola al seno; ti vedo in quella casa ingrata che ascolti con disgusto le notizie; ti vedo a letto, più bella di qualsiasi cosa sia mai esistita in ogni tempo. Ti amo. Scrivimi e dimmi due cose: che mi ami e che ritornerai mercoledì, che è come un giorno pieno di uccelli e campane. Scrivi. Dà il mio affetto alla bebè pigmea e baciami sulla fronte Llewelyn, mia Caitlin. Tuo. Dylan Thomas a Caitlin MacNamara
L’UNITÀ E LE MARTELLANTI TESI DI XENOFOBIA E RAZZISMO l’Unità continua ad alimentare, con martellante irresponsabilità, la tesi della xenofobia e del razzismo. Per l’intellighentia di sinistra non esistono i delinquenti, gli imbecilli, i colpevoli di efferati misfatti, gli ignoranti figli di una sottocultura di quartiere, i cretini influenzati da fenomeni di stupido protagonismo, no, per la sinistra esistono gli xenofobi e i razzisti. Se chiamassimo tutti insieme i deficienti-deficienti ed i violenti-violenti, forse faremmo un passo avanti. E’ mai possibile che dopo decenni, solo in Italia riemergono sempre, ad orologeria, simili termini? Come mai in altre nazioni, dove le sinistre sono sparite, in galera finiscono i colpevoli di reati e non i razzisti, eccetera? Ci sarà una spiegazione o è troppo difficile comprenderla? Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
Lettera firmata
IN CONDIZIONI VERGOGNOSE I FIORAI DEL VERANO DI ROMA E’ veramente incredibile. Sono senza luce, senza acqua e senza servizi igienici, le condizioni di lavoro degli undici fiorai che ope-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
27 maggio 1703 Lo Zar Pietro il Grande fonda la città di San Pietroburgo 1840 Muore Niccolò Paganini, violinista e compositore italiano 1905 Guerra Russo-Giapponese: decisiva sconfitta della flotta russa nella battaglia di Tsushima 1937 In California, il Golden Gate Bridge apre al traffico pedonale, creando un collegamento tra San Francisco e Marin County 1960 In Turchia, il Generale Cemal Gürsel guida un colpo di stato militare, che rimuove il Presidente Celal Bayar e il resto del governo democratico 1993 Attentato dinamitardo di origine mafiosa in via dei Georgofili a Firenze 1999 Il Tribunale Internazionale dei Crimini di Guerra dell’Aia, incrimina Slobodan Milosevic e altre quattro persone per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel Kosovo 2004 Muore Umberto Agnelli, imprenditore, dirigente sportivo e politico italiano
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
rano nel piazzale antistante l’ingresso al Verano, a Roma, sono insostenibili. E pensare che si pagano circa sette o ottomila euro annui per un’occupazione di suolo pubblico per chioschi, di proprietà del Comune di Roma, e dati in concessione, in stato di abbandono e pieni del super tossico eternit, a esercenti ai quali non è neanche permesso di migliorali e metterli a norma. Se a tutto questo aggiungiamo la concorrenza sleale dei venditori ambulanti, i quali invece di sostare per poche ore e a rotazione, sono ormai permanenti, e il fatto che la zona è ormai ricovero notturno di barboni e tossicodipendenti, credo che l’assessore al commercio Davide Bordoni debba intervenire. Bisognerebbe poi denunciare la vergognosa condizione dell’aiuola dov’è situata la statua di Papa Pacelli, abbandonata a se stessa, dormitoio per sbandati di ogni genere e con i servizi igienici interrati completamente ostruiti anche al semplice accesso. Cordialmente ringrazio.
Giuseppe Tosti - Roma
PUNTURE Nel cantiere della Legacoop gli operai sono senza casco, rischiano ogni giorno la vita. I sindacalisti Cgil commentano il video e le dicono di tutti i colori, ma non sanno che si tratta di un loro cantiere. La Coop sei tu.
Giancristiano Desiderio
“
La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore VOLTAIRE
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di INDIANA JONES: NON È MAI TROPPO TARDI? A 65 anni si può ancora essere un credibile archeologo dell’avventura? Harrison Ford, fascinoso divo hollywoodiano, ci prova, interpretando per la quarta volta il leggendario ruolo di Indiana Jones. Cominciata nel 1981 con Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta, la saga diretta da Steven Spielberg è proseguita con Il tempio maledetto (1984) e L’ultima crociata (1989). Sei Oscar (tutti in categorie minori), 94 milioni di dollari di budget, un miliardo e duecento milioni di dollari al botteghino, riconoscimenti in tutto il mondo da parte di critica e pubblico, per una trilogia che è rimasta, giustamente, nella storia del cinema. A distanza di quasi vent’anni dall’ultimo episodio, Spielberg ha voluto riproporre la popolarissima figura dell’archeologo scavezzacollo, scegliendo ancora Harrison Ford come interprete. Pochi dubbi sul fatto che si tratti di un’operazioni prettamente commerciale. Ma c’è da chiedersi se ha davvero senso ripresentare sullo schermo un Indiana Jones ultrasessantenne, alle prese con fughe spericolate, inseguimenti mozzafiato, esplosioni e rocambolesche scene d’azione. E’ credibile? E soprattutto: per Harrison Ford si tratta di una scelta giusta o no? Steven Spielberg, che di certo non è un avventato e scriteriato regista, ha dalla sua la certezza di fare centro, perlomeno al botteghino. I fan di Indiana Jones sono tanti e variegati, trasversali per età e nazionalità, diffusi in tutto il mondo e frementi in attesa del ritorno del loro beniamino. Ma non si tratta di discutere sul successo, facilmente prevedibile, al box office. Harrison Ford, classe 1942, non è più l’aitante giovanotto di Guerre Stellari (1977) o Blade Runner (1982) e, sebbene le donne continuino, a ragione, a definirlo
uno degli uomini più sexy del pianeta, non ha più il fisico di una volta. Che senso ha, dunque, rischiare di ridicolizzare una figura che era rimasta scolpita nell’immaginario collettivo? Indiana Jones era sinonimo di astuzia e intelligenza, ma anche di coraggio, sprezzo del pericolo, prestanza fisica. Lo stagionato Ford, pur conservatosi bene, non può reggere il confronto. E non si tratta di carenze recitative, ovviamente. Il suo talento non si discute. L’archeologo dell’avventura Ford, dunque, viene riesumato dall’archeologo del cinema Spielberg. Il regista tenta di inserire nella storia qualche elemento che funga da diversivo, in modo tale che la freschezza della saga di Indy non venga intaccata. Ecco allora che l’ormai professore universitario Henry “Indiana”Jones viene affiancato, e spronato all’azione, dal giovanissimo e iperattivo Mutt Williams (interpretato dal promettente Shia LaBeouf). E poi dalla splendida Cate Blanchett, tanto talentuosa quanto “prezzemolina” in una quantità ormai incalcolabile di pellicole, a interpretare l’algida nemica assetata di potere. Diversivi di qualità, che potrebbero funzionare, almeno in parte. Ma l’attempato archeologo riuscirà davvero a salvarsi dalla facile ironia sulla sua età? Spielberg, riportandolo alla luce dopo 19 anni di gloriosa naftalina, ha corso un rischio e lo sa perfettamente. Ma se Harrison Ford è riuscito a non intaccare l’adrenalinica carica di Indy, allora la scommessa sarà vinta. In fondo, e lo diciamo davvero senza snobismo alcuno, il pubblico di Indiana Jones vuole scene mozzafiato, effetti speciali, musica coinvolgente e poco più. E Steven Spielberg è un maestro anche, e soprattutto, in questo.
Il Megafono www.ilmegafono.net
Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma
Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via Vitorchiano, 81 00188 Roma -Tel. 06.334551
Amministratore Unico Ferdinando Adornato
Diffusione e abbonamenti Ufficio centrale: Luigi Dulizia (responsabile) Massimo Doccioli, Alberto Caciolo 06.69920542 • fax 06.69922118
Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Lagrotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza
Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro
Abbonamenti
Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc
Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania
e di cronach
via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it
Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30
PAGINAVENTIQUATTRO Secondo la tv satellitare al Arabia il capo di al Qaeda si troverebbe addirittura sul K2
Come fioriscono le leggende su di Angelo Crespi uona fortuna”: è l’unica cosa sensata da dire ai servizi segreti americani che, secondo la Tv satellitare alArabiya, starebbero organizzando un’operazione militare per stanare il fantasmagorico Osama bin Laden, avvistato alle pendici del K2, la montagna maledetta. E se qualcuno avesse dubbi in merito alla “sfiga”, basta un’occhiata alle statistiche. La vetta, come è noto e ci torneremo, fu conquistata da una spedizione italiana nel 1954. Per la seconda scalata, si dovrà però attendere il 1977. Dal 1977 al 2007, solo 278 persone hanno avuto la fortuna di toccare gli 8.611 metri del Karakorum2. (Sull’Everest che è la montagna più alta al mondo, tanto per fare paragoni, c’è un traffico tipo Roma raccordo anulare. Almeno 3000 persone l’hanno già scalata con o senza ossigeno). La questione è che vie facili per ascendere il Monte GodwinAusten, altresì detto ChogoRi in lingua Baltì,
“B
nalistici e umani soprattutto tra Achille Compagnoni e Walter Bonatti, le due star dell’alpinismo internazionale: il primo sostenne che il secondo aveva quasi compromesso la spedizione per ambizione personale cercando di raggiungere la cima beffandosi degli altri, il secondo si difese sostenendo che la relazione del primo era falsa e anzi la sua condotta aveva messo in pericolo i compagni. Bisognerà arrivare addirittura al 2008, per avere una versione ufficiale del Cai che approvi la relazione Bonatti. Orbene, è
Un po’ come succede per Jim Morrison che non sarebbe deceduto bensì, sulla falsariga di Arthur Rimbaud,“alive”, scappato dalla modernità e nascosto in Africa a scriver poesie, oppure per Elvis Presley che molti ancora sostengono rapito dagli alieni
BIN LADEN non ci sono, e anche la “normale” non è poi tanto semplice sferzata da continue e prolungate tormente . Sarà per questo che 66 alpinisti sono morti mentre tentavano l’impresa. E se non bastasse il dato a certificare la nomea di “maledetta”, si aggiunga che le prime 5 scalatrici che hanno raggiunto la vetta del Dapsang sono morte subito dopo o in breve tempo.
Auguri dunque ai servizi segreti americani. A noi italiani il K2 evoca una delle più annose polemiche del Dopoguerra. Nel 1909 la spedizione guidata da Luigi Amedeo duca degli Abruzzi, tentò senza riuscirci la salita lungo cresta sud-ovest, il cosiddetto e leggendario “sperone degli Abruzzi”, e così si dovrà aspettare il luglio 1954 per vedere piantato il tricolore sulla sommità, quando un manipolo di alpinisti al comando di Ardito Desio, soprannominato per i modi decisi e rudi “Il Ducetto”, riuscì a sconfiggere la maledizione. Salutata come l’impresa di una nazione che stava risorgendo dalle macerie del conflitto mondiale, l’ascesa lasciò strascichi giudiziari e gior-
difficile dire se il redivivo bin Laden sia davvero nascosto nei pressi dello sperone degli Abruzzi in territorio Pakistano. Oppure sverni, più prosasticamente nei pressi di Montenero di Bisaccia, magari all’imbocco del Parco degli Abruzzi o su la Sila in qualche covo dell’andrangheta. Certo non è la prima volta che la Cia dichiara di aver localizzato il pericoloso capo di Al Qaeda, scomparso ormai da prima dell’11 settembre 2001. A noi italiani la cosa imbarazza poco, pensando alle trentennali latitanze di alcuni boss mafiosi, sorpresi ed arrestati dopo inenarrabili indagini, guarda caso, nella cantina di casa propria, o in un casale poco distante.
Bin Laden, no. Non sta in cantina, semmai rifugiato in una delle zone più impervie del mondo. Di lui non si sa più niente da anni, e le poche immagini che abbiamo assomigliano troppo alla parodia di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu per spaventare l’opinione pubblica nostrana. Gli americani invece sembrano soffrire questa sorta di Che Guevara islamico, dal
turbante e dalla bella barba, ineffabile come il pirata dei sargassi. E a ben pensarci, questi avvistamenti periodici, hanno più a che fare con le idiosincrasie dei mass media che non con le strategie militari. Dopo un paio di nazioni invase e riportate alla libertà, l’esistenza di bin Laden acquista i contorni del mito. E anche se fosse morto, sarebbe vivo. Un po’ come succede per Jim Morrison che non sarebbe deceduto bensì, sulla falsariga di Arthur Rimbaud, “alive”, scappato dalla modernità e nascosto in Africa a scriver poesie, oppure per Elvis Presley che molti ancora sostengono rapito dagli alieni. Negli Usa le cose vanno così. I casi di “abduction”, cioè di rapimento ad opera di alieni, sono all’ordine del giorno e secondo gli ufologi dalla fine degli anni Ottanta sono almeno 3 milioni i casi ”ambigui” solo negli Stati Uniti. Derrel Sims, di professione “alien hunter”, è una vera celebrità: ex agente Cia (toh!), anch’egli rapito all’età di 17 anni, gira il mondo raccogliendo prove.Varrebbe la pena chiamarlo per dirimere definitivamente la questione.