Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
Il decreto Tremonti può funzionare solo se torna in campo Air One
SEDICI PAGINE i he d c DI ARTI a n o r c E CULTURA
Piano Alitalia, gli errori che il governo non deve fare
di Ferdinando Adornato
di Enrico Cisnetto litalia, si ricomincia. Dopo il silenzio “operoso” dei primi giorni, ieri il governo ha deciso di procedere a passo militare con un decreto che se da un lato offre opportunamente la sensazione che l’esecutivo ritiene la situazione della compagnia di bandiera non meno grave di quella dei rifiuti napoletani, dall’altro però riporta la cosiddetta privatizzazione – in realtà, il salvataggio – di Alitalia al punto zero. Certo, nel frattempo un uomo di Berlusconi, il consulente Bruno Ermolli, ha lavorato per allestire una cordata di pronto intervento, il prestito ponte ha portato un minimo di liquidità, e il ruolo latente di Banca Intesa ha trovato una puntualizzazione con l’incarico formale di advisor per conto del governo. Insomma, proprio daccapo non si ricomincia, ma è pur vero che siamo al terzo tentativo, e questo senso di essere nel pieno di un gioco dell’oca che rimanda sempre alla casella iniziale non si cancella. D’altra parte, guardiamo in faccia la realtà: Alitalia ha chiuso l’esercizio 2007 con un buco di 495 milioni di euro, e ha liquidità sufficiente solo per una decina di mesi, forse 12 (salvo che la Ue non bocci come illegittimo il prestito ponte appena stanziato), dopodiché bisognerà davvero portare i libri in tribunale.
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DALLA CAMPANIA Nessun decisionismo riesce a risolvere il dramma dei rifiuti. Berlusconi torna a Napoli ma ora dice che ci vorranno «almeno tre anni»
L’Italia unita 9 771827 881004
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AL PIEMONTE Possono venti giorni di pioggia mettere in ginocchio una delle zone più evolute del Paese? Una volta cessato l’allarme si porrà finalmente mano alla prevenzione?
alle pagine 2 e 3 Bossi vuole il referendum, Pdl in imbarazzo
Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 3 giugno
Boom dell’inflazione, mai così alta da 12 anni
Draghi, richiami su famiglia e spesa. Tensione con Tremonti
di Nicola Procaccini
di Vincenzo Bacarani
di Alessandro D’Amato
Si è consumato ieri il primo strappo tra Pdl e Lega di questa nuova legislatura. C’erano già state incomprensioni, trattative difficili, imbarazzi legati alle esternazioni di Bossi, ma un’autentica crisi politica, anche se per adesso solo in nuce, non si era mai vista.
A guidare l’impennata sono pealimentari trolio (+12,9%) e (+5,7). La pasta è rincarata del 20,4%, il pane del 12,9, la frutta del 6,8, il latte dell’11. Parla l’economista Giacomo Vaciago.
Sarà un sabato speciale questo per l’establishment economico, finanziario e politico italiano. Il governatore di Bankitalia leggerà in un preferiale le sue Considerazioni Finali.
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pagina 7 SABATO 31
Oggi le Considerazioni di Bankitalia
I prezzi sono saliti del 3,6%
Trattato europeo: arriva il primo strappo della Lega
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ
segue a pagina 4
MAGGIO
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
101 •
WWW.LIBERAL.IT
pagina 17 • CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
l’Italia unita «Ci vorranno almeno tre anni»
pagina 2 • 31 maggio 2008
Berlusconi torna a Napoli ma stavolta la preoccupazione prevale sull’ottimismo
di Errico Novi
ROMA. Non si vede la luce. Davanti agli occhi di Silvio Berlusconi c’è una voragine, assai più profonda di quanto potesse immaginare. Napoli è unica. E infatti con la sua irripetibile vocazione al suicidio la città del Golfo conquista un primato assoluto: costringe il premier a ridimensionare gli obiettivi. Ne usciremo nel giro di qualche settimana, aveva assicurato prima e dopo le elezioni. Ieri ha detto che «entro tre anni» la Campania sarà definitivamente fuori dell’emergenza. Il Cavaliere si rende conto dei danni accumulati proprio come l’immondizia per le strade: «In passato per troppe volte lo Stato si è tirato indietro, stavolta non ci fermeremo. Sarò a Napoli una volta a settimana». Determinazione assoluta, che però deve sempre più irrigidirsi di fronte alle enormi difficoltà. Impressiona la sorte spietata che induce la sostanziale paralisi degli impianti di cdr. L’inchiesta dei pm partenopei ha decapitato gli staff che dirigono le strutture, finite nel più assoluto marasma. I dipendenti scelgono forse il momento peggiore per annunciare uno sciopero, fissato per venerdì prossimo. Rimasti senza «riferimenti dirigenziali», dicono di temere per il loro futuro. Prenderanno ordine dai soldati.
cordo con l’opposizione è nei fatti, nessuno vuole la modifica del decreto sui rifiuti». Nessuno tranne i l’Italia dei valori e, soprattutto, i magistrati. Ma i pm, secondo Silvio, «spesso non hanno una visione globale». E in ogni caso «Guido Bertolaso è un uomo vero, che non si farà intimidire. Certo dopo le inchieste c’è stata demotivazione in alcuni», dice ancora un Berlusconi quasi furioso, «ma c’è da sperare che non si ripetano gli episodi che si sono verifica-
Il combinato disposto è micidiale. Il presidente del Consiglio prova a rimettere una per una le questioni in ordine. Dice ai magistrati che «la Superprocura serve, per evitare che giudici locali fermino quello che di positivo viene fatto». Nessuna particolare concessione all’Anm, dunque, che anche con il suo presidente nazionale Luca Palamara ha ribadito i dubbi di costituzionalità, l’inopportunità formale e sostanziale dell’accorpamento di competenze nei soli uffici del capoluogo campano. Non è escluso che la verifica dei reati resti comunque alle singole Procure territoriali della Regione. Al governo interessa che non ci siano più gip che decidono da soli di accogliere le richieste dei pm. Resta dunque lo schema dei collegi che si sostituiscono al singolo giudice per le indagini preliminari. «Con noi ci sono anche gli amministratori di centrosinistra», avverte Berlusconi, «e soprattutto l’ac-
ti negli ultimi giorni». Si scava la trincea per una probabile battaglia con le toghe. E non è una prospettiva rassicurante.
È chiaro a tutti, nel governo – anche a Roberto Maroni e Ste-
scomparire d’incanto le intercettazioni sui cdr usati in modo improprio. Lo Stato avrebbe dovuto pensarci prima, anni prima, e Berlusconi lo riconosce: adesso è impossibile convincere i vertici della Fibe, l’azienda che gestisce gli impianti di vagliatura dei rifiuti, a restare in trincea. Nei sette impianti campani si lavora sempre più a rilento. Non sarebbe il giorno migliore nemmeno per un corteo di no global attorno alla cava di Chiaiano. E invece la rete
campana convoca proprio per domani gli antagonisti di mezza Italia, compresi quelli del comitato vicentino “No Dal Molin”. Arriveranno con pullman e treni, la situazione rischia di degenerare. Berlusconi non ha
Messaggio duro ai magistrati: «Non si ripetano certi episodi, Bertolaso non si farà intimidire. E la Superprocura si farà». Napolitano: «Provo angoscia» fania Prestigiacomo, presenti come Bertolaso e Gianni De Gennaro alla lunga serie di riunioni tenute ieri nella prefettura di Napoli – che dopo gli arresti di subcommissari e manager dei rifiuti lo Stato è più debole di prima, è delegittimato. Ed è dunque una preda più fragile per le frotte di cittadini refrattari alle discariche, per sindaci gelosi delle loro boscaglie. Non tutto è riconducibile all’unità, e anzi i mille pezzi impazziti della crisi sembrano sfuggire di mano. Non si può far
intenzione di arrendersi alle intemperanze: «I rilievi scientifici dicono che la discarica a Chiaiano si può fare. La apriremo e per farlo useremo la forza dello Stato». Si rischia davvero una nuova Genova, Bertolaso se ne rende conto e forse per questo prova ad ammorbidire i toni: «Le analisi nella cava sono ancora in corso», dice. A questo
punto correggere il tiro serve a poco. Di sicuro ci sarà bisogno di ricorrere sul serio alle Forze armate, tanto che ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha individuato e messo a disposizione «altri 32 ufficiali e marescialli altamente qualificati». In buona parte dovranno supplire all’assenza dei direttori degli impianti di cdr. Faranno da amministratori e manager straordinari. Altre unità saranno chiamate, come da decreto, a sorvegliare le discariche 24
ore su 24. Già domani si capirà se lo scontro tra lo Stato da una parte e le comunità locali, i no global, le bande di ultras di periferia, dovrà essere innalzato a livelli da guerra civile. Il presidente della Repubblica si dice «pieno di angoscia» per le sorti di Napoli, ricorda che i rifiuti non possono restare per strada e che «bruciarli è una cosa folle». E ancora: «Non bisogna avere una visione ristretta, del tipo che gli impianti non devono essere realizzati nella zona in cui si abita». Altre volte Giorgio Napolitano si era detto in pena per le vicende della città d’origine e pronto a impegnarsi in prima persona perché potessero volgere al meglio. Adesso capisce che ci sarà da combattere una battaglia difficile come mai avrebbe potuto immaginare. Risale a giovedì l’incoraggiamento di Papa Benedetto XVI all’arcivescovo del capoluogo campano, Crescenzio Sepe. Tutti si mobilitano, ma nulla appare semplice.
Stasera dal porto di Napoli dovrebbe salpare l’ultimo traghetto carico di 2000 tonnellate di rifiuti in direzione Cagliari. Poi nemmeno la Sardegna potrà più dare ossigeno al comatoso sistema di smaltimento della Campania. Eppure ieri Berlusconi ha detto che le altre regioni dovranno dare una mano. Visto lo scarso clima di collaborazione riscontrato persino con i governatori di centrodestra, si preannuncia un conflitto pesante anche su questo fronte. Resta aperta una sola discarica, quella di Macchia Soprana, a Serre, dove peraltro ieri hanno lavorato i carabinieri del Noe, chiamati dal sindaco del piccolo centro salernitano per verificare se tra le montagne di spazzatura ci sia materiale radioattivo. Prima della metà del mese non sarà aperto nessuno degli altri sversatoi individuati da Bertolaso, vale a dire Ferrandelle, Savignano Irpino, Sant’Arcangelo Trimonte. Nei cdr si continuerà probabilmente a procedere con passo lento, giacché nessuno, tantomeno gli ufficiali dell’esercito, può più assumersi la responsabilità di
l’Italia unita
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Ora servono idee chiare e investimenti sulla programmazione
La minaccia del fiume, le colpe dell’uomo di Bruno Babando opo giorni di pioggia leggera ma costante, è bastato un vero e prolungato acquazzone, quello di due giorni fa, per mettere ancora una volta in ginocchio il Piemonte. Ieri le acque del Po sono uscite dall’alveo del fiume nei pressi del parco del Valentino invadendo l’area del Parco Fluviale, poco distante. La situazione, però, si sta avviando verso la normalità. È forse il momento giusto, dunque, per interrogarci su questa debolezza strutturale. È un dato interessante che una delle regioni locomotiva del Paese venga piegata per la terza volta in meno di quindici anni, trovandosi in molte sue zone crudelmente ferita e coperta da una distesa di fango ed acqua. Fiumi in piena, case crollate, danni per milioni di euro, vittime, sfollati e ponti chiusi: è questo lo scenario che emerge dal Pinerolese, dalla Val Chisone e dalla Val Susa. Per due settimane gli agenti atmosferici non hanno dato tregua, manifestandosi con una noiosa continuità, provocando prima semplici fastidi, seguiti con il peggiorare delle previsioni da ansie, paure e timori. Ancora troppo forte il ricordo di quel maledetto autunno del ’94, con esondazioni, danni e morte. Specie tra la gente di montagna. Zone, per la maggior parte non a vocazione turistica, che nel corso degli anni hanno dovuto subire pesanti cali demografici, l’abbandono di pratiche secolari di prevenzione e necessaria manutenzione, pochi interventi strutturali, ma anche scelte sbagliate da parte delle amministrazioni locali. Come la Regione stessa, andata negli ultimi tre anni letteralmente in letargo nell’avvio di percorsi e strategie per il mantenimento idrogeologico di aree potenzialmente a rischio. Vero: le responsabilità non sono solo recenti, vanno ricercate indietro nel tempo. Specie sul finire degli anni Settanta, quando il progressivo venir meno del lavoro manuale dei valligiani non venne opportunamente compensato con adeguate normative ed opportuni interventi.
D
zazione degli interventi necessari al ripristino dell’assetto idraulico, all’eliminazione delle situazioni di dissesto idrogeologico e alla prevenzione dei rischi idrogeologici nonché al ripristino delle aree di esondazione. Ma evidentemente manca ancora molto, se ci si trova sempre in queste condizioni e fiumi. Specie se dal Palazzo di piazza Castello a Torino, sede della giunta regionale piemontese, si pensa più a partorire cervellotiche trovate pseudo ambientaliste che a sforzarsi di avviare veri provvedimenti di salvaguardia, ripristino e rilancio idrogeologico. Sono necessari programmazione, idee chiare ed opportuni investimenti. Il Governo ha prontamente stanziato 5 milioni di euro, indispensabili per fronteggiare la situazione di emergenza, almeno nella sua fase iniziale, con l’immediato intervento - tra gli altri - del sottosegretario piemontese (alla Difesa) Guido Crosetto. La ricostruzione post-alluvione è sempre stata orientata, sulla spinta dell’emergenza, alla riproposizione di identiche strategie di intervento. Ora è necessario un cambio di rotta rispetto al passato. Un passagio definitivo dalla strategia del tira a campare, del fronteggiare l’emergenza a quella della propulsione alla prevenzione, riprendendo quanto avviato dalla Giunta Ghigo e lasciato cadere negli ultimi anni senza particolari giustificazioni, né piani alternativi.
Il calo demografico ha provocato l’abbandono della manutenzione, ma ci sono state anche scelte sbagliate da parte delle amministrazioni locali
produrre ecoballe fittizie, dopo i venticinque arresti ordinati dalla Procura di Napoli. Restano i treni per la Germania, ma ci vorrebbe maggiore fluidità, per liberare soprattutto la cintura urbana di Napoli dalle migliaia di sacchetti di spazzatura ormai marci per il caldo.
Berlusconi ha ribadito che la farsa dei cdr non conoscerà ulteriori rappresentazioni: «Diventeranno impianti di compostaggio, non ci saranno più balle senza trattamenti». È uno dei punti qualificanti del piano, come è noto. È anche una strada inevitabile per evitare nuove incursioni della magistratura. Altro aspetto evocato ancora
ieri dal presidente del Consiglio è il rilancio della differenziata: «Deve andare a regime, nella regione già ci sono posti dove arriva al 73 per cento e ovunque va raggiunto questo obiettivo, anche educando bambini e ragazzi nelle scuole». E soprattutto bisogna trasformare i siti destinati allo smaltimento dei rifiuti in aree militari. A Chiaiano sarà dura, se si considera che in realtà l’ingresso principale alla cava non è stato affatto liberato, e che nei giorni scorsi i tecnici indicati dagli abitanti hanno detto che il sito non è idoneo a diventare una discarica. Esattamente il contrario di quanto ha sostenuto ieri Berlusconi.
Ma è altrettanto vero che dopo il dramma del 1994 ed i fatti del 2000 più canali si erano mossi, nel tentativo di correggere leggerezze, errori e gravi irresponsabilità del passato. Prima l’istituzione delle autorità di bacino, enti incaricati di pianificare e coordinare gli interventi sull’intero ciclo delle acque dei bacini idrografici, poi, attraverso la legge regionale 22/95 la realiz-
Una volta cessato l’allarme, presumibilmente passato il peggio, ora ad attendere migliaia di piemontesi c’è l’opera di ricostruzione del tessuto connettivo di interi centri che in una manciata d’ore si sono visti travolti da melma, massi e detriti. Tanti anni di lavoro, risparmi, fatiche, sono periodicamente messi in crisi da fatti che andrebbero prevenuti. Per riemergere da queste difficoltà bisognerebbe attingere alla concretezza ed al pragmatismo. I maggiori problemi vengono dai fiumi. Una proposta: perché non fare come in altre nazioni europee, dove si ricorre senza pregiudizi ai privati, ai consorzi di cavatori esperti, cogliendo i classici “due piccioni con una fava”, salvaguardando da una parte i letti dei fiumi e dall’altra, portando a casa un vero abbattimento dei costi nel prelievo di inerti, forndamentali nel quotidiano lavoro dell’edilizia? Oltre confine il risultato è sotto l’occhio di tutti.
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alitalia
Il governo presenta il decreto sulla compagnia di bandiera: ma per riuscire occorre una precisa “road map”. Ecco quale
Tremonti, non sbagliare volo Qui bisogna richiamare Air One di Enrico Cisnetto segue dalla prima ra, dopo le decisioni di ieri, ci si domanda: siamo di fronte a quello scatto in avanti che la situazione richiederebbe, non solo per salvare la compagnia di bandiera, ma anche per risolvere la situazione del trasporto aereo e del sistema aeroportuale nazionale? E questo ricominciare, è davvero propedeutico a quella scelta definitiva e strategica che ci si aspetta da una maggioranza che in campagna elettorale ha fatto del “caso Alitalia” uno dei suoi cavalli di battaglia? Naturalmente la risposta a queste domande la daranno i fatti, e anche nel giro di poche settimane. Cioè, ci accorgeremo assai presto se il governo ha solo preso tempo, non avendo nulla di serio in mano, o se davvero siamo sulla strada giusta. Dal mio punto di vista la distinzione avverrà sulla base di un preciso discrimine: la misura della vicinanza, o meno, alla road map delle cose da fare che è ormai chiara da tempo.Vediamola.
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ture di terra insufficienti) e per la sua naturale vocazione turistica, ha bisogno di una compagnia di bandiera. Accettato dunque il fatto che l’offerta di Air France è stata ritirata, non si tratta adesso di trovare un’altra compagnia internazionale che si sostituisca ai francesi: difficilmente le condizioni sarebbero diverse. E del resto l’Alitalia, per come è messa oggi, non interessa a nessuno: non a Iberia, che stava molto peggio di noi in passato ma che nel frattempo si è
zione di Carlo Toto, è evidente che la “soluzione italiana” non può che chiamarsi AirOne. Dunque, la prima mossa da fare è richiamare in campo Toto e il sistema finanziario con cui si era presentato all’assurda gara messa in atto dal Tesoro per salvare Alitalia (perché di questo si trattava e si tratta, non di una privatizzazione), sperando che nel frattempo le disponibilità di Banca Intesa e degli altri istituti internazionali non si siano troppo raffreddate. Con AirOne si ripeschi poi il suo piano industriale, che era valido non fosse altro perché a parità di rotte e sommando i voli delle due compagnie si riducono fortemente i costi. E si fissi con precisione il ruolo degli azionisti finanziari, che almeno in una prima fase dovrà necessariamente essere – di questo Toto deve farsene una ragione – preponderante. Poi, se qualche gruppo italiano (la girandola di nomi, più o meno probabili, comprende Benetton, Colaninno, Riva, Fossati, Aponte, Ligresti, Radici) deciderà di uscire allo scoperto e confermare la sua disponibilità ad essere della partita, ben venga, ma sapendo che per sua fortuna e per fortuna di Alitalia il ruolo sarà solo quello di “socio sostenitore”. Quello che mancherebbe, invece, è un partner aereo internazionale, ma ci sarebbe tempo
Primo: richiamare in campo Carlo Toto. Secondo: la cordata può essere solo un socio sostenitore. Terzo: trovare un partner internazionale
Punto primo: per Alitalia una soluzione nazionale rimane preferibile. Questo non certo per patriottismi d’accatto ma perché l’Italia, per la sua conformazione geografica e geologica (un paese tra due mari, lungo e stretto, con infrastrut-
ristrutturata e oggi macina utili, né alla Aeroflot del compagno Putin, che dopo le promesse fatte al sodale Berlusconi, oggi si è volatilizzata. Il punto dunque non è trovare ora un salvatore forestiero, bensì individuare chi può mantenere in Italia le funzioni strategiche di Alitalia. Ma, perché rimanga italiana, non serve una cordata di imprenditori che hanno altri interessi, chiamati a mettere una fiche per ragioni “patriottiche” (si fa per dire), bensì serve un padrone che conosca bene il business.
E siccome in Italia chi si è cimentato con il trasporto aereo è fallito, ad ecce-
Tra cordate, banche e governo
Bruno Tabacci. In alto, Tremonti dopo il Cdm di oggi; a destra Corrado Passera
Tabacci: «Sta partendo un festival di conflitti d’interesse» colloquio con Bruno Tabacci di Susanna Turco
di individuarlo anche in un secondo momento (parlo di qualche mese, non di più) se non si dovesse palesare subito.
Questa soluzione non piace perché a chi sostiene che AirOne è troppo debole e che si sommerebbero due debolezze? Se così fosse, per il governo sarebbe una ragione in più per fare questa fusione, visto che ad essere coerenti con l’assunto si dovrebbe immaginare che prima o poi anche AirOne andrebbe comunque in crisi, e sarebbe un altro dramma. Punto secondo: occorre creare una nuova, grande compagnia cargo. Qui si tratta di scorporare le attività merci di Alitalia ed AirOne, aggiungerci
ROMA. Ieri il Consiglio dei ministri no che il governo vorrebbe garantire, ha riattivato la procedura di privatizzazione di Alitalia, assumendone direttamente la gestione. E giorni fa ha trasformato in un contributo patrimoniale il prestito-ponte di 300 milioni. Onorevole Bruno Tabacci, la procedura seguita dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti le sembra trasparente? È tutt’altro che limpida: rappresenta la copertura tardiva della speculazione politica fatta da Berlusconi in campagna elettorale. Tende a coprire l’ennesimo autogol: buttare in politica anche un tentativo serio come quello di trovare una collocazione adeguata per Alitalia. Sostiene il governo che quel prestito patrimonializzato «testimonia la volontà politica di salvaguardare per i prossimi 12 mesi la continuità aziendale di Alitalia». Questo la rassicura? Tremonti dice in realtà una cosa preoccupante: perché questo anno di ossige-
pesca direttamente nelle tasche cittadini. Il prestito ponte patrimonializzato vuol dire che questi soldi in caso di default non saranno restituiti, è chiaro no? Lei cosa avrebbe fatto? Avrei legato il prestito ponte all’applicazione della legge Marzano, al commissariamento, perché è chiaro che così si tratta soltanto del prolungamento di un’agonia. Al contrario, il ministro parla di «velocizzare». «Soon is better», prima è meglio è. Se Tremonti adesso vuol far presto, non venga a dirlo a me. Nel 2004 è andato in Europa a chiedere l’autorizzazione per un prestito garantito di 400 milioni, nel 2005 ci è tornato per un aumento di capitale di oltre un miliardo di euro: tutte risorse bruciate, e ora sta ripetendo lo stesso schema. Una amministrazione straordinaria avrebbe bloccato l’indebitamento e avviato una ristrutturazione
alitalia
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Il governo sceglie Passera come advisor
Ora la partita è in mano a Intesa di Marco Palombi
la Mistral di Poste e individuare gruppi che abbiano interessi nella logistica e nei trasporti per dar vita ad una società leader in un settore di attività che è fondamentale per il nostro import-export e per sviluppare il ruolo dell’Italia come hub dell’Asia verso l’Europa. Punto terzo: non commettiamo di nuovo l’errore di discutere separatamente di Alitalia e di aeroporti (Malpensa, ma non solo), che sono parti dello stesso problema. Dunque, si colga l’occasione per fare quattro cose: a) fare di Malpensa un hub passeggeri del Nord (unica società di gestione con Torino e Genova), dirottando da Linate tutti i voli nazionali e internazionali, tranne la tratta Milano-Roma-Milano; b) fare di Linate un city air-
profonda, che è la premessa per un rilancio. Così, invece, i contribuenti continuano a pagare. E intanto si lavora a una cordata composta da signori che hanno interessi con lo Stato. Concessionari di autostrade, assicuratori, soggetti insomma che lavorano in mercati che dovrebbero essere organizzati in tutela dei consumatori. Intesa-Sanpaolo è stata nominata advisor del governo. Rischio di conflitto di interessi? Non è un rischio, è una regia di conflitti di interesse che si fanno combaciare. E la Consob? Non è il caso che a questo punto blocchi il titolo per evitare speculazioni? Il titolo l’avrei bloccato da tempo. Ma vorrei che la Consob aprisse un’inchiesta per capire come mai dal 18 al 27 di marzo il titolo è passato da 0,26 a 0,64 euro, proprio in coincidenza con il preannuncio della cordata. Già mi chiedo come sia possibile immaginare che in procinto della cessione ad Air France
port con voli di linea solo per e da Roma e con voli privati (potenziando questo servizio); c) fare a Malpensa l’unico hub cargo nazionale, prioritariamente collegato (terzo valico ferroviario) con il porto di Genova; d) fare di Bergamo l’aeroporto dei voli low cost.
ROMA. Di Air France e della procedura d’asta pubblica - e forse della necessaria trasparenza - non c’è più traccia. E così, almeno su questo, il governo ha messo fine agli equivoci. Ieri il il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto, scritto da Giulio Tremonti, che cambia le regole della partita e soprattutto dimostra che la partita è più lontana di quando si possa immaginare. Stando al testo, sarà il consiglio dei ministri - e non più il Cda di Alitalia come voleva Padoa-Schioppa - a vagliare le migliori offerte per il vettore e a scegliere l’acquirente. Per farlo il Tesoro è anche intervenuto sulle regole per le privatizzazioni, riducendo al minimo i paletti imposti dalla
Sarà il Cdm (e non il Cda Alitalia come voleva Padoa-Schioppa) a scegliere l’acquirente
Questa è l’agenda di quella che impropriamente continuiamo a chiamare privatizzazione dell’Alitalia e della risistemazione del sistema aeroportuale. Sappia, Palazzo Chigi, che se si discosterà da questa linea, non le rimarrà che il prestito-ponte, a quel punto buono solo a prolungare l’agonia. E che da quel “ponte”finirà per precipitare. (www.enricocisnetto.it) la Consob non abbia sospeso titolo, ma trovo ancora più grave che una volta accertate oscillazioni vistose e non ragionevoli, che si muovevano sulla base di voci, non abbia aperto un’inchiesta. Tutto ciò mi porta a pensare che fanno tutte queste cose perché si sono sporcati le mani in campagna elettorale. Come mai la partita della cordata non si è ancora definita? Ma quale cordata? Intascheranno i vantaggi, se si tratta di concessionari - come è chiaro da quello che ho chiamato il lodo Ermolli. Altrimenti che senso avrebbe mettersi in questa partita? Se ci sono signori disposti ad entrare in un capitale quando è scientifico che chi mette i soldi li perde, vuol dire che ci sono vantaggi da altre parti, il che rende torbida la vicenda. Esclude che Tremonti avvierà il risanamento? Molti considerano questa operazione sostanzialmente una bufala, una copertura a posteriori che non porterà da
legge sulle vendite del patrimonio pubblico e dal Testo unico bancario. Se non bastasse, Tremonti ha affidato a SanpaoloIntesa, proprio il maggior sostenitore della corsa a Carlo Toto, il ruolo di advisor. Ma Corrado Passera, oltre a verificare la migliore offerta, potrebbe anche entrare nella nuova compagine azionaria. Non proprio il massimo del rispetto del mercato, ma la situazione, ha spiegato Tremonti, presenta eccezionali criticità e va gestita quindi a colpi di eccezioni. È improbabile che la mossa del governo abbia però tranquillizzato Bruxelles, che ha ricevuto sempre ieri le spiegazioni di palazzo Chigi sul famigerato prestito da 300 milioni invocato da Berlusconi e concesso da Prodi. Nel frattempo però, grazie a un emendamento, non solo quei soldi non sono più un prestito ponte ma una ricapitalizzazione. Eppoi la procedura di privatizzazione messa in piedi con Air France non c’è più e la cordata italiana è di là da venire. Insomma è improbabile che la Bruxelles si faccia convincere così, ma intanto si guadagna tempo sperando nel soon is better (prima è meglio è) invocato dal ministro dell’Economia. La situazione sarebbe già abbastanza nera così, ma al quadro pubblico va aggiunta una spaccatura nel governo sulla strategia futura. Come si sa, Berlusconi vuole la cordata italiana: gente che metterebbe i soldi in Alitalia perché glielo chiede il premier, con l’eccezione di AirOne, che avrebbe qualche motivo industriale e qualcuno finanziario. Soluzione, va segnalato, che essendo molto “politica”, piace assai anche ai sindacati (vedere le reazioni di Angeletti, Polverini, eccetera), convinti di poter continuare a dettar legge davanti a proprietari così eterogenei e demotivati. Gli imprenditori, dal canto loro, cominciano a sentire l’aria della fregatura. Basti citare le parole di ieri di Fausto Marchionni, amministratore delegato di Fonsai (gruppo Ligresti), che ha detto in sostanza: calmi e vediamo i conti. Altri nell’esecutivo e nel mondo imprenditoriale - tra cui Tremonti e Marcegaglia - pensano ancora a un grande partner internazionale. Per far arrivare un player tipo Lufthansa però l’azienda va prima risanata, in particolar modo eliminando gli esuberi. Tattica, strategia, visione. Nei Palazzi ne hanno tutti a bizzeffe, resta da vedere se qualcuno mette i soldi. Non l’ultimo dei problemi.
nessuna parte. Perderemo ancora tempo, bruceremo risorse senza affrontare i nodi di carattere strutturale. Abbiamo già buttato via piani importanti, e i privati che si sono permessi di investire negli aumenti di capitale ci hanno rimesso le penne. Quindi che credibilità ha tutta questa operazione? Zero. Come si comporterà l’Ue? E che deve fare, contesterà gli aiuti di Stato. Ho visto che già da un paio di giorni c’è tutto un atteggiamento che sembra precostituirsi un alibi, con la Lega che randella l’Europa «matrigna». E Tremonti? Tremonti sta tentando di utilizzare le sue armi immaginifiche, la sua grande fantasia. L’uomo è colto, cerca di dare vestizione alle strumentalità di Berlusconi. La paura e la speranza, insomma: il suo libro per ora lo interpreta mettendo le mani nelle tasche degli italiani, che questi soldi qui non li recupereranno mai.
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politica
PALERMO. Una guerra di tutti contro tutti. Questo lo scenario che si offre a chi volesse dare una occhiata al governo della regione siciliana di Raffaele Lombardo. Siamo ancora agli inizi, sia chiaro, ma gli elementi sono già sufficienti per stilare un giudizio che non può che essere negativo. Le divergenze e le liti che si registrano tra i diversi partiti che compongono la giunta e tra le correnti degli stessi partiti hanno dell’inverosimile. Don Raffaele non riesce a formare la sua squadra di governo e sino ad ora si è impegnato, con un discreto successo, per lasciare insoddisfatti tutti. Ma procediamo con ordine e iniziamo subito col dire che per arrivare alla indicazione dei nomi dei dodici assessori è stato necessario inanellare una serie infinita di incontri e di riunioni, superare una serie infinita di veti incrociati, di invidie, ritorsioni e vecchi conti da regolare. E’ necessario infatti ribadire che il “matrimonio a quattro” delle varie anime che compongono il governo del successore di Totò Cuffaro - Forza Italia e Alleanza nazionale, Udc e Movimento per l’Autonomia - non è frutto dell’amore o anche di qualcosa che vi assomigli ma di una necessità malvissuta. E cosi accade che a poche settimane dalla sua elezione a presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo da Grammichele in provincia di Catania debba fare i conti con l’Udc del segretario regionale Saverio Romano che lamenta, a buon diritto, una scarsa o nulla considerazione del suo partito dal momento che si è proceduto, ad esempio, alla nomina del vicepresidente della regione, carica numero due, senza alcuna consultazione dei partiti della coalizione. Stiamo parlando di Titti Bufardeci, sindaco di Siracusa, assessore, e vice di Don Raffaele. Ma fosse solo questo...
gruppo di onorevoli scontenti e per sedare la ribellione siciliana. Degna di nota l’autospensione dal Pdl del bellissimo deputato trapanese Giulia Adamo, non contenta di non essere stata inclusa tra gli assessori e ormai fuori dai giochi per la presidenza della provincia di Trapani dove il candidato è l’Udc Mimmo Turano. Ora minaccia di far votare per la presidenza della provincia addirittura il candidato della sinistra. Sì perché in Sicilia si vota per il rinnovo dei consigli provinciali e l’unica isola felice in questo contesto di “giungla permanente” nel centrodestra è stata rappresentata a Palermo dalla candidatura alla presidenza della Provincia di Giovanni Avanti, uomo Udc ma più che altro amministratore stimato e avveduto, e, cosa quanto mai importante in questo momento storico, politico collegiale e aperto al confronto con gli alleati.
Secondo gli esperti di politica questo governo ha vita breve. Troppi conflitti e gelosie e numerose ripercussioni dovute al fatto che la compagine di governo nazionale è diversa da quella regionale. Ancora una volta sembra essere l’Udc il problema dei problemi. C’è chi giura che il cavaliere Berlusconi, nonostante l’indiscusso successo politico, non abbia rinunciato al suo malcelato disegno di disintegrare quello che rimane dell’Udc e che è tutto in Sicilia. Sono novanta i deputati all’Assemblea regionale siciliana e Lombardo può contare su una maggioranza di 61 deputati ma questo è secondario: le divisioni sono molteplici, le correnti ancora di più, di lotte intestine e poco nobili ne nasce una al giorno e riuscire a governare in simili condizioni diviene un’impresa. I temi politici sembrano essere passati in secondo piano e occupa poco spazio nell’agenda politica la questione degli ex Fondi Fintecna che dovevano essere destinati alla realizzazione di infrastrutture e di opere viarie in Sicilia ed in Calabria e che il governo Berlusconi vuole dirottare per coprire il taglio dell’Ici, un misfatto, questo, denunciato dal segretario siciliano dell’Udc, Saverio Romano, e non preso nella giusta considerazione dal presidente Raffaele Lombardo che si fida delle rassicurazioni del presidente del Consiglio che ha garantito un ripristino dei fondi in tempi brevi. Ride sotto i baffi chi ha sempre sottolineato il cinismo di Raffaelo Lombardo e la sua naturale incapacità di rispettare gli impegni con chicchessia. Vuole l’autonomia per la Sicilia, ma finora sta lavorando per quella del suo partito-movimento dagli alleati. Se, come dicono alcuni, si avvicinerà ancora di più alle strategie di Gianfranco Micciché vorrà dire che non ha mai creduto al patto stipulato con l’Udc a Caltanissetta il 7 dicembre 2007 ed alla intesa programmatica sottoscritta con entusiasmo. Hitler diceva che i patti sono carta straccia. E Lombardo che ne pensa?
Non una buona partenza per il nuovo governatore della Sicilia
Lombardo ha nominato i suoi dodici assessori senza ancora aver attribuito loro alcuna delega ma solo in ossequio a rigide logiche di appartenenza di partito che non tengono conto, per molti di essi, della eventuale presenza di specifiche qualità di governo o di competenze di sorta. Ma non finisce mica qui: Lombardo ha provveduto alla nomina di due magistrati, impropriamente definiti tecnici, Massimo Russo e Giovanni Ilarda, per conferire, come sostiene qualche maligno tra cui l’esponente del Pd Antonello Cracolici, «alcune credenziali di legalità ad una giunta di governo». Solo in pochi riescono a capire quali criteri siano stati seguiti nella scelta dei dodici assessori se è vero come è vero che, ad esempio, un politico come Nino Dina, eletto all’Assemblea regionale siciliana con 25mila voti, è stato tenuto fuori mentre delle matricole provenienti direttamente dal consiglio comunale del proprio paesino d’origine sono state catapultate direttamente nella giunta di governo. Misteri della fede o della politica, come quello che ha spinto lo stesso presidente della Regione a dichiarare, dopo la
Lombardo mette tutti contro tutti di Alfonso Lo Sardo nomina dei dodici assessori, che avrebbe verificato il curriculum di ogni singolo assessore designato per appurarne le vocazioni, le qualità o, più volgarmente, «quello che sanno fare e quello che vogliono fare». Una specie di provino, non televisivo stavolta, bensì politico-amministrativo. Una garanzia per lo sviluppo e la crescita della Sicilia! Ma la guerra di tutti contro tutti in cosa consiste e da cosa è motivata? Da una parte c’è l’Mpa che cerca un proprio consolidamento di potere e che teme sia gli attacchi non tanto nascosti di Forza Italia che mira a bloccarne la crescita, dall’altra c’è lo stesso Movimento per l’Autonomia che vuole svuotare l’Udc dei propri voti - ancora molti e tutti in Sicilia sfruttando l’onda lunga della condanna inflitta a Cuffaro. In questa strategia rientrerebbe anche la mancata nomina
di Nino Dina, uomo di Totò vasa vasa, ad assessore. Ma il conflitto è anche altrove: in Forza Italia vivono due correnti, l’una rappresentata da Gianfranco Micciché che al primo posto dei suoi sogni ha messo l’eliminazione dal pianeta Terra dell’Udc, e quella ormai più istituzionale e da sempre più responsabile guidata dal presidente del Senato, Vito Schifani e dal guardasigilli Angelino Alfano, sempre attenti ad un dialogo con Saverio Romano e con l’Udc regionale e con le altre forze politiche. Nel Pdl poi si consuma una lotta interna a quella che fu Alleanza Nazionale con l’ala dell’ex assessore al Lavoro Santi Formica, non riconfermato nel governo, e quella di Luigi Gentile e Carmelo Incardona, novelli assessori designati dallo stesso La Russa per calmare i bollori di un
Dice di volere l’autonomia, ma finora sta lavorando per quella del suo partito dagli alleati. E il patto con l’Udc?
politica
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Il partito di Bossi vuole il referendum sul Trattato europeo e le opposizioni attaccano. Il Pdl in imbarazzo
Il primo strappo della Lega d i a r i o
di Nicola Procaccini
d e l
g i o r n o
Vigilanza Rai: un escamotage per l’elezione di Orlando? Eleggere Leoluca Orlando senza votarlo. È questa una delle ipotesi in campo in casa Pdl per sbloccare l’empasse che si sta creando sulla presidenza della commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai. Secondo l’agenzia di stampa “Il Velino”, nel centrodestra si cerca un escamotage parlamentare per sbloccare la situazione, ribadendo contemporaneamente la propria contrarietà alla elezione di Orlando, in quanto esponente dell’Italia dei Valori. Come architettare l‘escamotage? Semplice. Nelle prime due votazioni per l’elezione del presidente servono i tre quinti dei voti (24 su 40); nella terza occorre la maggioranza semplice (21 su 40); nella quarta votazione infine si va al ballottaggio tra i più votati nella terza votazione. Il tutto dando per acquisito il numero legale (la presenza di 21 commissari su 40). Al centrodestra basterebbe dunque partecipare a tutte le votazioni con un’astensione. Alla quarta risulterebbe eletto Orlando. Un modo per non sancire uno strappo sul terreno del dialogo con il Partito democratico, suggeriscono le colombe del Pdl; un modo - questa invece la provocazione dei falchi - per mettere alla prova gli umori del loft e far emergere i malumori.
Catania verso il ballottaggio? ROMA. Si è consumato ieri il primo strappo tra Pdl e Lega di questa nuova legislatura. Sì certo, c’erano già state incomprensioni, trattative difficili, imbarazzi legati alle esternazioni di Bossi, ma un’autentica crisi politica, anche se per adesso solo in nuce, non si era ancora mai vista. Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge per la ratifica del Trattato di Lisbona, che modifica quello sull’Unione europea, ma la Lega ha detto no. O meglio, ha accettato con riserva il ddl. Ad annunciare la posizione del Carroccio, è stato il ministro per la Semplificazione normativa. Lasciando Palazzo Chigi, Roberto Calderoli, pur ammettendo che il nuovo trattato è «notevolmente migliorato rispetto al testo originario varato dalla Convenzione», ha parlato di «una cessione di sovranità pesante». Per questo la Lega pensa ad una legge costituzionale ad hoc che consenta al popolo italiano di esprimersi attraverso un referendum. Risultato: Pdl in grande imbarazzo, opposizioni all’attacco e Lega Nord a sguazzare nell’acqua che gli è più congeniale. «Sul consentire il referendum dovrebbero essere tutti d’accordo – ha dichiarato Roberto Cota, presidente dei deputati leghisti a Montecitorio. Che poi aggiunge: «E’ l’unico modo per far riflettere la gente su questa Europa dei burocrati che stanno costruendo e per portare un po’ di democrazia».
Scandalizzare, far parlare di sé, sollevare gli umori popolari: è il “mantra” leghista. Le opposizioni ci vanno giù duro, ed è tutta vita per il popolo del Car-
roccio. «Ecco il vero volto di questa Lega che qualcuno aveva erroneamente rivalutato come forza moderna e liberale, come se ormai si fosse lontani dai fasti ultranazionalisti e razzisti degli anni `90», a sostenerlo è il presidente vicario dell’Italia dei Valori alla Camera Fabio Evangelisti. Persino i parlamentari centristi non possono esimersi dal commentare duramente la posizione leghista. Per il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa: «La Lega compie un atto di grave irresponsabilità e met-
Per il Carroccio: «E’ l’unico modo per far riflettere la gente su questa Europa dei burocrati e per portare un po’ di democrazia» te a repentaglio la politica estera del Paese». Mentre per il portavoce Pionati: «La logica referendaria e antieuropeista della Lega va sconfitta dentro e fuori la maggioranza di Governo».
Gli uomini di via Bellerio si divertono un mondo a metter sotto sopra la politica del governo, quella estera in particolare, la più delicata di tutte. Ma dalle parti del Pdl ci si diverte molto di meno. Il più tranchant di tutti è il ministro Rotondi: «L’ipotesi del referendum non è in campo, né mi sembra che la Lega abbia una linea diversa da quella decisa all’unanimità dal go-
verno». Il più diretto è Italo Bocchino: «Il rapporto con le istituzioni europee non deve sempre essere messo in discussione attraverso percorsi referendari che rispondono a logiche di pancia più che istituzionali». Il più imbarazzato è naturalmente il ministro degli esteri Franco Frattini: «Il disegno di legge sul trattato di Lisbona, approvato all’unanimità nel Consiglio dei Ministri, sarà confermato in Parlamento senza nessun problema».
All’interno del Pd, non aspettavano altro. Dopo tutte le difficoltà affrontate in campo internazionale per colpa delle divisioni nello scorso esecutivo, ieri per loro è stato un gran giorno. «Il referendum che propone Calderoli è una follia. Dall’Europa non si torna indietro», ha detto Maria Paola Merloni, ministro per i Rapporti con l’Unione europea del governo ombra. Mentre l’alter ego di Frattini, Piero Fassino si è liberato con queste parole del senso di frustrazione covato nei due anni precedenti: «Il lupo perde il pelo, ma non il vizio: l’antico umore antieuropeo di settori leghisti riemerge, offrendo un’immagine del nostro Paese che non può che suscitare inquietudine nei nostri partner europei e danneggiare l’affidabilità dell’Italia». Il centrosinistra vive la sua catarsi e pregusta i mesi a venire. Se davvero la Lega Nord insisterà col suo proposito di consegnare al popolo italiano la scelta sul Trattato di Lisbona ne vedremo delle belle. Presumibilmente il Carroccio si batterà per il suo respingimento, e per il governo di Silvio Berlusconi sarà una gran bella seccatura.
Potrebbe decidersi al ballottaggio la sfida per la conquista della poltrona di sindaco di Catania. Questo il responso dell’ultimo sondaggio per Palazzo degli Elefanti condotto dall’istituto Euromedia Research. Lo studio ribalta completamente una rilevazione di Demopolis pubblicata nei giorni scorsi che dava in nettissimo vantaggio il candidato del Pdl, Raffaele Stancanelli, che dal 60 per cento delle preferenze scende al 31,7-37,7 per cento secondo quest’ultimo sondaggio.Al secondo posto si collocherebbe Nello Musumeci, esponente de La Destra, con una percentuale che si attesta tra il 31,3 e il 37,1 per cento dei consensi. Solo terzo Giovanni Burtone del Pd, (24-29,4 per cento).
Butti: «Al Giornale radio dal “panino” alla “supposta”» «Il “panino” informativo: un terzo del tempo alla maggioranza, un terzo all’opposizione e un terzo al Governo, con qualche scampolo alle istituzioni e ai partiti minori. Questa regoletta è stata adottata dai notiziari Rai ormai da anni. Oggi però - scrive in una nota Alessio Butti, responsabile per l’informazione di Alleanza Nazionale che al governo il centrosinistra non c’è più, Radio Rai ha inaugurato una nuova formula, che possiamo definire solo come della “supposta”. Basta ascoltare i Gr nelle ultime settimane per rendersene conto, non ultimo quello di oggi: il pezzo con le reazioni alla relazione di Manganelli? Chiude Veltroni, con un tempo doppio rispetto alla maggioranza. La pagina sui fatti del Pigneto? La conclude una bella intervista a Serra (Pd). E il confronto/scontro tra Brunetta e i sindacati? A trarre le conclusioni è ovviamente Epifani. Sulla vicenda Alitalia? Il commento finale è di Bersani, non prima però di aver riportato il pensiero di Veltroni».
L’avvocato di Contrada: «Rivedere il concorso esterno» «È necessario rivedere il reato di concorso esterno in associazione mafiosa creato dalla giurisprudenza, anziché dal legislatore”. È quanto spiega l’avvocato Giuseppe Lipera, legale di Bruno Contrada. La proposta è stata ufficialmente inviata anche ai presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. «Non ci arrenderemo mai - ha dichiarato Lipera - una accusa formulata in base al reato di concorso esterno in associazione mafiosa è troppo generica, solo fumo negli occhi».
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società
L’Italia delle comunità religiose. Viaggio nelle associazioni cattoliche/4 Neocatecumenali
Una famiglia in Cammino di Francesco Rositano ontro le sabbie mobili della secolarizzazione, che rischia di ridurre il Vangelo a lettera morta, propongono la riscoperta del battesimo. Ecco il cuore del Cammino Neocatecumenale, realtà vivace e in forte crescita, nato a Madrid quarantaquattro anni fa e oggi radicato in più di novecento diocesi del mondo. Ne fanno parte oltre 20.000 comunità in 6.000 parrocchie e 63 seminari, chiamati “Redemptoris Mater” e sparsi per il globo, con il compito di formare nuovi sacerdoti. Per i neocatecumenali il battesimo non è “una roba da bambini”, ma rappresenta la via-maestra per arrivare ad essere adulti nella fede e protagonisti delle sfide della contemporaneità. Da sempre, gli aderenti al Cammino sono in prima linea per combattere battaglie eticamente sensibili, come quella contro l’aborto e l’eutanasia. E soprattutto per difendere la famiglia tradizionale. D’altra parte, loro, che tradizionalmente formano nuclei familiari che somigliano a squadre di calcio (con otto, dieci, dodici figli) ne hanno tutte le ragioni. Di continuo, poi, hanno teso le mani alla Chiesa per sostenerla nella sua missione in tutte le frontiere del mondo. Proviene dal mondo neocatecumenale, infatti, la proposta delle “famiglie itineranti”, che vanno in missione per offrire la loro testimonianza e il loro aiuto alle necessità della Chiesa.
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Lasciano tutto nel nome dell’evangelico “vieni e seguimi”, e partono dove gli viene indicato con i propri bambini al seguito. Il Movimento è stato molto apprezzato anche da Giovanni Paolo II che, il 30 agosto 1990, in una lettera all’allora monsignor Paul Josef Cordes (oggi cardinale) scrisse: «Accogliendo la richiesta rivoltami, riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni». Nel gennaio 2006 anche Benedetto XVI, incontrando il Cammino in Vaticano, ave-
va dato mandato a duecento famiglie, partite per predicare il Vangelo e offrire la loro testimonianza nelle zone più povere del pianeta. «Care famiglie ha affermato il Papa - continuate a diffondere il Vangelo della vita». Tra le destinazioni: la Cina, dove i cattolici sono l’1% della popolazione o paesi a maggioranza islamica come il Sudan. Sono più di 4.000 le neocatecumenali che si sono date alla vita religiosa. La direzione mondiale del Cammino è a Roma. Ma un altro centro importante si trova in Galilea, sul luogo del “discorso della montagna” di Gesù. L’ha inaugurato Giovanni Paolo II il 24 marzo 2000, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il desiderio di annunciare la Buona Novella cristiana ai poveri, ai deboli, agli “ultimi della terra”, ha animato i fondatori del Cammino fin dagli inizi. È il 1964 quando, in forma embrionale e non ancora per niente strutturata, il pittore spagnolo Francisco (Kiko) Argüello e Carmen Hernández, laureata in chimica, cominciano la loro missione tra i baraccati di Palomeras Altas, a Madrid. Iniziano in due, soltanto con una Bibbia e una chitarra. Avvicinano le prostitute, gli alcolisti, i delinquenti, cantando i Salmi e predicando il Vangelo. I risultati
al contributo di don Mario Pezzi, tra gli attuali responsabili del Cammino. Insieme a lui, Argüello e la Hernández, elaborano una sintesi catechetica, in vigore ancora oggi, e fondata su tre pilastri: parola di Dio, liturgia, comunità.
Oggi i neocatecumenali hanno sviluppato un forte radicamento nelle parrocchie, dove si stanziano, collaborando con i sacerdoti e con i vescovi locali. Anche se nel tempo, proprio per la natura fortemente strutturata di questo itinerario di fede, non sono mancati anche aspri dissensi tra alcuni parroci e i responsabili del Movimento. Tra le accuse più pesanti, rivolte dai religiosi, quella di «aver dato vita ad una Chiesa parallela, del tutto separata dal resto della comunità parrocchiale». Del resto, pure la Santa Sede ha mostrato prudenza nel concedere il riconoscimento pontificio, arrivato nel 2002, e tra l’altro solo ad experimentum, per un periodo di cinque anni. Le gerarchie vaticane, infatti, avevano manifestato una certa perplessità sul modo di celebrare l’eucarestia: l’uso di una mensa addobbata, con pane azzimo (invece delle ostie) e calici di vino, posta al centro della chiesa invece dell’altare dedicato in presbiterio»; il fatto che la Comunione venga ricevuta
sione «Dio ti ama», che Argüello e la Hernández cominciarono a pronunciare ai baraccati di Madrid negli anni ‘60. Una frase che ha questa immediata
Da sempre, gli aderenti al Movimento sono in prima linea per combattere battaglie eticamente sensibili, come quella contro l’aborto e l’eutanasia. E soprattutto per difendere la famiglia tradizionale sono sorprendenti: quella gente comincia a cambiare vita, ad abbracciare la fede in maniera profonda, accantonando definitivamente comportamenti contrari alle Sacre Scritture. In sostanza, diventano uomini nuovi, realizzando il significato profondo delle promesse battesimali. È in questa circostanza che i due fondatori comprendono la strada da percorrere: portare gli uomini ad essere degni del battesimo ricevuto. Una strada che, pian piano, diventa sempre più chiara anche grazie
da «seduti», con il celebrante che la porta a tutti i fedeli e non in processione e in piedi come avviene nelle liturgie tradizionali. Nel gennaio 2006, Benedetto XVI, mentre conferiva con gioia il mandato missionario alle “famiglie itineranti” raccomandava: «Sono certo che le norme previste nei libri liturgici approvati dalla Chiesa, saranno da voi attentamente osservate». Ma in cosa consiste questo itinerario di fede? Punto di partenza del Cammino è l’espres-
traduzione: il peccato è sempre in agguato, ma la misericordia del Creatore è più grande di esso. Quindi, quello che l’uomo deve fare è appunto “mettersi in cammino”, per sperimentare sulla propria vita la concretezza dell’amore evangelico e i doni del battesimo ricevuto. Un cammino che, di fatto, non finisce mai, essendo la strada verso la santità cristiana un percorso sempre in salita. A chi chiede, quando si conclude il “cammino”, molti aderenti al Movimento, scherzosamente,
rispondono così: «Mezz’ora dopo la morte». Quasi a dire che la strada da fare verso Dio non finisce mai.
Il Cammino dichiara di ispirarsi al catecumenato antico (Scrutini battesimali, Iniziazione alla preghiera, Redditio e Traditio Symboli, ecc.). Tra gli aspetti caratterizzanti, una grande attenzione al mondo ebraico, e in particolare alle letture dell’Antico Testamento. Una particolare predilezione per i canti tratti dalle Sacre Scritture ed eseguiti con una semplice chitarra e qualche strumento di percussione (solitamente piccoli tamburi) o addirittura “a cappella”, cioè solo con la voce. E per una evangelizzazione “a tappeto”, naturalmente concordata con il parroco, che porta il Vangelo e la testimonianza personale nelle case, sul modello dei primi apostoli. Significativo ricordare che, alla
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L’avventura esistenziale di una donna del movimento
Così salvai la mia vita dopo il Sessantotto
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di Angela Pellicciari accontare la propria vita a sconosciuti, sconosciuti che per di più non si hanno davanti agli occhi, non è cosa facile. Ci proverò perché mi è stato chiesto e perché mi sembra giusto rispondere alla richiesta. La mia vita è legata al Cammino neocatecumenale nel senso che è rinata grazie alla predicazione e all’affetto di Kiko e Carmen. Questo avveniva quando avevo 23 anni e mi ero letteralmente persa. Avevo cercato la giustizia e la verità, ma lontano da Dio che non conoscevo, e mi ero imbattuta nel ’68 vissuto con passione. Ribelle per temperamento e storia, ero precipitata senza accorgermene in un vortice distruttivo di non senso e disprezzo per me stessa e per gli altri. Una storia sentimentale finita nel peggiore dei modi mi aveva gettato in una disperazione cupa che mi rendeva difficile, la mattina, iniziare la giornata. A vent’anni la mia vita doveva ancora cominciare e per me era già finita. Questo il contesto in cui Dio ha deciso di farsi conoscere. Una notte, mentre prendevo in mano i pezzi della mia vita (soffrivo di una lucida forma di pazzia, era come se il mio io fosse “andato in pezzi”e non riuscissi più a convivere con me stessa), mentre contemplavo la catena dei “peccati” che inesorabilmente mi aveva condotto al punto in cui ero, mentre in una parola toccavo il fondo dell’angoscia, mi è apparso come un mare di fuoco. Un fuoco vivo. Sapevo che in quel mare c’era Dio. Ma come potevo incontrarlo? L’ascolto della predicazione in una catechesi per adulti mi ha ridato speranza: mi veniva annunciato che Dio è amore. Che Dio mi amava così come ero e mi donava gratuitamente la possibilità di essere guarita dalle ferite e liberata dalla disperazione. Quell’amore che avevo cercato con tutte le mie forze senza riuscire ad incontrarlo mi veniva incontro come l’Assoluto e si faceva garante della possibilità di amare. Il Cammino è la comunità. La comunità è quanto avevo cercato senza trovarla. La comunità è un gruppo di fratelli che non si sono scelti, che casualmente (ma il caso non esiste, è Provvidenza) si sono trovate ad ascoltare insieme una predicazione, l’hanno accolta, ed hanno acconsentito a fare un percorso di conversione insieme. Insieme vuol dire conoscendo le debolezze gli uni degli altri, le insopportabilità, le insofferenze, le stoltezze, le idiosincrasie, le invidie, le gelosie, eppure continuare a riunirsi perlomeno due volte a settimana per pregare e passare una giornata al mese insieme in “convivenza”.Tutto questo è possibile perché c’è Dio come garante. Perché piano piano si impara a volersi bene. Perché si impara il perdono. Perché si impara, anche, a dare la vita. Sia nel senso di metterla a dispo-
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fine del catecumenato, i fedeli, diventati “uomini nuovi”, compiono un pellegrinaggio in Terra Santa, nei luoghi di Gesù. In questo percorso, di formazione e di evangelizzazione, rimane decisivo il contributo dei laici, in particolare dei catechisti. Altro aspetto sul quale la Santa Sede in persona ha esposto le sue critiche è il fatto che le liturgie dei neocatecumenali si celebrassero “a porte chiuse”. E quindi senza possibilità d’accesso per chi non apparteneva al Movimento. Non è un caso che negli Statuti approvati nel 2002 sia stato inserito il fatto che le celebrazioni devono essere apertie anche ai non aderenti. Interpellati sui motivi di questa scelta, i responsabile hanno esposto le loro ragioni. Ma, di fronte alle decisioni vaticane, hanno umilmente accettato di cambiare la regole. Segno evidente di un’unita con la Madre Chiesa.
Nella foto a destra una manifestazione del ’68. Il Cammino Neocatecumenale è un itinerario di formazione cattolica nato in Spagna nella metà degli anni sessanta del Novecento su iniziativa del pittore Kiko Argüello e di Carmen Hernández. È un itinerario di fede che si prefigge la riscoperta del battesimo
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sizione per l’evangelizzazione, sia nel senso di mettere al mondo tutti i figli che la generosità di Dio manda.
Il Cammino è come un fiume che risana. Risana e rende possibile la vita insieme. A cominciare dalle coppie che non si separano. Dalle famiglie che si riuniscono. Dai figli che restano in comunità, nonostante il mondo vada da un’altra parte, perché vedono l’eroicità della fede dei loro genitori. Imparano che la fede non è una sovrastruttura e che non si tratta di prediche: si tratta di vivere nella quotidianità comportamenti impossibili alle sole forze umane. Quanto a me, con gli anni, anzi, con i decenni, la mia vita è stata risanata. Da tutti i punti di vista, a cominciare dalla sessualità. Essendo separata, ero chiamata a vivere in castità. Ma senza un concreto e costante aiuto di Dio, bisognosa di affetto come sono, mi sarebbe stato impossibile praticarla. Mi è stato dato anche - e a cinquant’anni! - un discreto successo professionale. Quando molti vanno in pensione ho cominciato una nuova attività: quella di storica e di saggista. Ho visto che è possibile morire sperando nella risurrezione e non dubitare dell’amore di Dio in agonie lunghe mesi. Terrorizzata da sempre dalla morte che mi fa orrore e che nessuna catechesi del mondo è riuscita a farmi sembrare “naturale”, mi è stato concesso di vivere un’esperienza di tumore che avrebbe potuto essere molto seria (anche se poi così non è stato) in pace. Che dire? Il Cammino è un fiume in piena. Ricco di acque. E’ una seria “iniziazione per adulti” alla fede, stracarico di frutti: itineranti, famiglie in missione, seminaristi e preti (più di 70 sono i seminari del Cammino nelle varie parti del mondo), monache di clausura (circa 4000 le sorelle entrate in convento), missioni ad gentes, evangelizzazione a tappeto di tutti i quartieri delle città, missioni popolari: fratelli che vanno due a due (come insegnato da Gesù) ad annunciare ovunque che il regno dei cieli è arrivato con la vittoria sulla morte di Gesù. Il Cammino è anche una predicazione inesauribile, assistita in modo manifesto dagli incredibili doni dello Spirito Santo. La predicazione di Kiko e Carmen è sempre fresca, nuova, profonda. Esistenziale, viva. Come l’ultima immagine che Kiko ci ha consegnato per il Family Day di Madrid (di cui è stato l’inventore): il mondo, ha detto, ci vuole far credere che la nostra vita sia come un transatlantico che non va da nessuna parte. Ma non è vero.“Non è vero che questo transatlantico sta fermo in un mare oscuro. Non è vero che la nave che è la nostra vita non va da nessuna parte! La nostra nave sta camminando verso la Gerusalemme celeste”. Potrei dire di più? Posso solo aggiungere che non ho esagerato.
Il Cammino è la comunità. La comunità è quanto avevo cercato senza trovarla
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mondo
Caso Politkovskaja: per la Novaja Gazeta l’omicida è stato aiutato a scappare
L’assassino di Anna in fuga dalla Russia di Francesco Cannatà Con la morte di Anna è scomparsa la «coscienza della nazione». Queste parole che appaiono nel manifesto della foto a lato, lasciate sul luogo dove la giornalista russa è stata assassinata, sono diventate quasi uno slogan per definire quanto accaduto in Russia nell’ottobre 2007
utto è in moto in Russia. Mosca è una delle capitali europee più effervescenti e stimolanti per gli animal spirits del continente. Esiste però un luogo davanti al quale il dinamismo nevrotico della rinascita politica, economica e sociale del Paese rischia di fermarsi per diventare un buco nero stagnante. E fatiscente. L’oscurità dove può annegare la coscienza della federazione, parte da una strada nei pressi della stazione Bielorussia nel centro della metropoli slava e ortodossa. Sabato 7 ottobre 2006, nel condominio 8-12 della Ljensaja Uliza, Anna Politkovskaja veniva abbattuta mentre attendeva l’ascensore di casa. Era una mattina d’autunno e il sangue di Anna usciva di nascosto, seppellito dalla spesa appena fatta dalla giornalista. Il giorno della condanna a morte della giornalista della Novaja Gazeta, segna anche la nascita di un rebus che nessuno sembra in grado, o vuole, risolvere. Un labirinto fatto di dichiarazioni di stima, anche da chi prima odiava, nei confronti della donna che aveva spalancato le porte dell’inferno riservato ai civili dalla guerra cecena.Vere vittime di una geometria dell’orrore in cui chi combatteva di giorno, la notte si accordava per spartirsi bottini futuri. Un maelstrom dal quale le indagini non riescono a venirne fuori. L’inchiesta sull’assassinio di Anna Politkovskaja inizia subito con delle singolarità. A dieci mesi dall’omicidio della giornalista, il rullo dei tamburi della procura annuncia l’arresto degli assassini. Ma si capisce subito che l’arma è scarica. I sospettati più importanti, molti di loro appartengono alle forze di sicurezza del
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Paese, vengono subito rilasciati. Per alcuni mancano le prove, altri hanno alibi apparentemente a prova di bomba.
La Novaja Gazeta distingue subito tra procura e investigatori. I colleghi di Anna sospettano la prima di sabotare il lavoro dei secondi. Annunciando precipitosamente l’arresto dei sospetti il procuratore della repubblica Juri Tchajka, non avrebbe fatto altro che ostacolare il lavoro degli inquirenti. Roman Chlejnov, giornalista alla Novaja, dichiara di non capire perché il procuratore abbia annunciato prima della fine delle indagini, che i mandanti dell’omicidio sarebbero «all’estero» e avrebbero agito per «destabilizzare la Russia». Nel numero che il giornale dedicava all’anniversario del-
vengono ostacolate», formulate nel 2007, precisando però che era un «alto funzionario russo» a «ostacolare le indagini». Pochi giorni dopo arrivava il resto. «Sappiamo che l’assassino di Anna non si trova più sul territorio russo», afferma Sergej Sokolov della Novaja Gazeta. Questa volta nessun problema a fare il nome dell’uomo che avrebbe ucciso la collega. «Si tratta di Rustan Machmudov» ribadisce Sokolov. «Il suo nome lo conoscevamo da sei mesi. Non lo abbiamo mai pubblicato come non abbiamo fatto uscire la quantità di informazioni che noi abbiamo raccolto.
Eravamo contenti del lavoro degli inquirenti e non volevamo dare loro problemi». Per le polizie internazionali Rustan Machmudov non è uno sconosciuto. Era ricercato da tempo ma solo con il coinvolgimento dell’Interpol, diventato chiaro il legame con il caso Politkovskaja, i suoi dati sono apparsi su tutti i giornali russi. Le autorità del Paese lo hanno aiutato a scappare? Per la Novaja non ci sono dubbi. È la ciliegina sulla torta della strategia iniziata subito dopo l’omicidio dicono a Mosca. «È evidente che i nostri responsabili mentono, ma imbarazza di più che i dirigenti occidentali facciano finta di credere», ha scritto a settembre su Le Monde Sergej Kovaljov, uno dei fondatori dell’Ogn Memorial. A febbraio 2007 alla Conferenza per la sicurezza di Monaco, Vladimir Putin ha detto che chi agisce basandosi sulle menzogne viene da queste «razrushajet iznutri», svuotato da dentro. Parole che il nuovo capo del governo russo sicuramente ricorda.
Si chiama Rustan Machmudov ed era ricercato da tempo, ma solo con il coinvolgimento dell’Interpol è diventato chiaro il suo legame con il l’assassinio della giornalista. Chi lo ha aiutato a scappare? la morte di Anna, la Novaja intervistava Petros Garibian. Il funzionario incaricato delle indagini affermava che se il caso era praticamente risolto, «altro è conoscere la catena di comando, dai mandanti agli esecutori, e fornire prove indiscutibili al tribunale». Il funzionario chiudeva il colloquio in modo enigmatico. «L’omicida può fare quello che vuole, noi sappiamo chi è». Pochi giorni fà, il mosaico si è arricchito di una nuova tessera. In un articolo redazionale, il periodico russo riprendeva le accuse «le indagini
Tensione alle stelle per le elezioni
Macedonia al voto tra Europa e disgregazione di Angelita La Spada a giovane repubblica balcanica della Macedonia è giunta al rush finale di una campagna elettorale aspra e caratterizzata da numerosi incidenti. Alla vigilia del voto legislativo del 1° giugno, la tensione è alle stelle. La lunga strada dell’integrazione euro-atlantica è punteggiata da risse, sparatorie e attacchi a sedi di partito, abitazioni ed esercizi commerciali di rappresentanti politici, senza distinguere tra le differenti fazioni del blocco politico albanese. Il segretario dell’Unione democratica per l’integrazione (Dui), Ali Ahmeti, è uscito indenne da un attentato commesso nei pressi della città di Tetovo. Bruxelles ha stabilito che elezioni libere e democratiche, con il monitoraggio di osservatori dell’Osce, siano uno dei requisiti indispensabili per l’avvio di negoziati di adesione. Pertanto, la Commissione europea ha deciso di adottare una politica a tolleranza zero verso eventuali irregolarità e incidenti elettorali, evitando di reiterare situazioni e brogli che hanno funestato votazioni passate. Il destino di semi-protettorato occidentale dell’ex-repubblica jugoslava è nelle mani di circa 1,8 milioni di elettori. Si tratterà di un test elettorale semplificato e anticipato che vede la coalizione guidata dal Vmro e dal premier Nikola Gruevski scontrarsi con l’Unione social-democratica (Sdsm). La decisione di anticipare le elezioni ha fatto seguito al fallimento dell’ultimo summit Nato e al mancato invito a partecipare all’Alleanza a causa dell’ennesimo veto greco riguardo l’annosa diatriba sulla titolarità del nome storico di Macedonia. Gli ultimi sondaggi elettorali sembrano dare ragione a Gruevski, consacrato come il politico più popolare del paese, con il 32 per cento delle preferenze contro al 5 per cento ottenuto da Radmila Sekerinska, leader dei social-democratici. Più risicato lo scarto nel campo albanese, dove la Dui è in vantaggio sul Dpa, anche se in caso di vittoria del Vmro, quest’ultimo sceglierebbe come partner il Dpa, suo tradizionale alleato. Come è accaduto più volte dal momento dell’indipendenza di Skopje, il Paese è davanti a una svolta. Se le elezioni dovessero finire male, l’Ue non avvierà i negoziati di adesione. Un scenario che il Paese, ancora in affanno e bisognoso di progresso e di investimenti stranieri, non può permettersi di affrontare. Senza contare che gli scontri tra albanesi macedoni aumentano le minacce alla sicurezza dello Stato già destabilizzato dalla precaria situazione kosovara. In questo caso a Skopje non resterebbe altro che raccogliere i cocci di un processo democratico frantumato.
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mondo
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Dopo il tracollo dei laburisti alle amministrative, la popolarità del premier è ai minimi storici. Anche a casa sua
La Scozia rifiuta Brown lo scozzese d i a r i o
di Silvia Marchetti n Gran Bretagna (ri)scoppia la questione scozzese. A poche settimane dalla disfatta del Labour alle elezioni amministrative Gordon Brown si trova ad affrontare una nuova crisi. I rapporti con la Scozia, da sempre la cuginanemica dell’Inghilterra, sono tornati a essere tesi. Stando a un recente sondaggio effettuato dall’istituto di rilevazione YouGov per il Daily Telegraph, nell’eventualità di un referendum sul futuro dell’assetto istituzionale della regione una maggioranza consistente di scozzesi, il 38 per cento, voterebbe per devolvere maggiori poteri al governo locale mentre il 25 per cento sceglierebbe l’indipendenza e la nascita di un nuovo Stato. Certo, la possibilità di staccare la Scozia dall’Inghilterra resta un’opzione lontana: nonostante le relazioni altalenanti e le storiche rivalità tra inglesi e scozzesi le due parti hanno mai voluto portare i contrasti fino allo scontro aperto. Ma lo spettro dell’indipendenza continua ad aleggiare.
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di Gordon Brown, la leader dei laburisti scozzesi Wendy Alexander ha lanciato la proposta di tenere un referendum sull’indipendenza della Scozia, adottando quello che è sempre stato il cavallo di battaglia dei nazionalisti. Ad aprile Alexander ha istituito una commissione istituzionale mista insieme a conservatori e liberaldemocratici con l’obiettivo di delineare un piano d’intervento per dare maggiori poteri al parlamento scozzese e migliorare le relazioni tra Scozia e Inghilterra. I risultati dei lavori della commissione sono attesi per l’anno prossimo. L’uscita estemporanea di Alexan-
Alexander è stata così costretta a fare marcia indietro. A Edimburgo l’impopolarità del partito laburista va imputata soprattutto a lei: il 60 per cento degli scozzesi giudica negativa la sua leadership. Sta di fatto che la questione scozzese è riesplosa non soltanto perché Gordon Brown è malvisto (paradosso vuole che sia proprio nato a Glasgow). I dati YouGov parlano chiaro: la maggioranza degli scozzesi vuole una maggiore autonomia, che non significa tuttavia l’indipendenza tout court. Il 20 per cento degli intervistati vorrebbe dare al parlamento locale più poteri in campo fiscale, tra cui la libertà di introdurre
g i o r n o
Il Golan si avvicina alla Siria Nelle trattative tra Gerusalemme e Damasco per la restituzione delle alture del Golan le parti sembrano andare verso l’accordo. Secondo recenti indiscrezioni se le questioni della definizione delle frontiere, la sicurezza e delle acque restano incerte, per il Golan la prospettiva è quella del ritorno alla Siria. Questo almeno è quanto afferma il giornale arabo in lingua inglese, a-Sharq al-Awset, pubblicato a Londra. Un politico siriano che ha preferito restare anonimo, ha riferito al giornale che nei prossimi giorni Siria e Israele dovrebbero trovare l’accordo anche su altri punti. Il presidente siriano Asad avrebbe però minacciato di interrompere le trattative nel caso venisse messa in discussione l’alleanza tra il suo Paese e l’Iran.
Birmani scacciati dai campi profughi La giunta militare birmana ha iniziato lo sgombero dei campi dove si trovano le vittime del ciclone Nargis. Secondo il portavoce del governo di Rangoon, gli sfollati starebbero tornando ai loro luoghi d’origine. Mentre l’Onu ha messo in guardia i militari dal respingere la popolazione vittima della catastrofe naturale verso luoghi inadatti alla sopravvivenza, il regime ha usato parole dure verso gli aiuti stranieri. «Il popolo birmano è in grado di liberarsi da solo dal peso di tali disgrazie», ha scritto il giornale del regime, New Light of Myanmar.
Anche lo sport è utilizzato per distinguere le tradizioni scozzesi da quelle britanniche. Nella foto un tifoso della Nazionale
In Iraq contestato l’accordo con gli Usa
Da un anno la Scozia non è più roccaforte laburista. Nel maggio 2007, pochi giorni prima dell’insediamento di Gordon Brown a Downing Street, il Labour perdendo le elezioni ha aperto la strada alla cocente sconfitta elettorale di alcune settimane fa. La guida del governo locale è passata nelle mani del partito nazionalista scozzese guidato da Alex Salmond, una personalità che piace molto agli scozzesi. Salmond ha annunciato che nel 2010 lancerà un referendum sull’indipendenza della Scozia e già oggi fa tutto il contrario del governo inglese: taglia le tasse e dice no alle centrali nucleari. Più aumenta il gradimento per i nazionalisti, più scende quello per il Labour. Stando ai risultati YouGov, il 53 per cento degli scozzesi è soddisfatto dell’operato di Salmond e il 63 per cento boccia Gordon Brown come primo ministro britannico. Il sondaggio è stato effettuato prima delle elezioni amministrative e oggi, dopo la batosta elettorale, l’antipatia verso i laburisti è cresciuta. Se domani si votasse in Scozia il Labour subirebbe una sconfitta ancora più amara di quella dell’anno scorso. Secondo un sondaggio apparso su The Economist, il partito nazionalista scozzese gode di un vantaggio di 14 punti percentuali (alle elezioni di un anno fa era avanti di un solo punto). Inoltre, oggi un 13 per cento in più di scozzesi rispetto a 12 mesi fa voterebbe per i conservatori. Nel tentativo di ridare popolarità al partito
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Le trattative tra Washington e Bagdad per l’aiuto militare e il trattato di partnenariato con il Paese del golfo si rivelano difficili. Ieri dignitari sciiti di differenti tendenze hanno contestato l’ipotesi di accordo. I religiosi hanno dichiarato che se il governo iracheno dovesse sottoscrivere l’accordo nella forma desiderata dagli Usa, l’Iraq perderebbe la propria sovranità per un periodo imprevedibilmente lungo. Nella predica del venerdì, anche un consigliere del grande Ayatollah, Ali al-Sistani, ha criticato l’accordo.
Modifiche costituzionali in Francia
La roccaforte laburista del Nord è solo uno sbiadito ricordo del passato. I rapporti con la nazione sorella della Gran Bretagna potrebbero rivelarsi l’ennesima patata bollente per Brown der è stato un duro colpo per Brown, impegnato a risollevare le sorti del Labour.
Il premier ha sempre temporeggiato in merito alla questione scozzese, ribadendo in questi giorni che prima di un anno non prenderà nessuna decisione e che il partito non può permettersi di spaccarsi su questo tema. Anche perché aprire all’indipendenza della Scozia farebbe perdere a Brown ulteriore consenso tra gli inglesi. Wendy
nuove tasse. Attualmente la quasi totalità delle entrate locali è rappresentata dalla pensione annuale riconosciuta da Londra. Inoltre, il 35 per cento dei cittadini incolpa il governo nazionale britannico dei contrasti politici: secondo loro gli inglesi non hanno a cuore la Scozia, non danno alla regione sufficienti finanziamenti e sono insensibili ai bisogni dei cittadini scozzesi. Insomma, gli scozzesi si sentono sempre più discriminati da parte dei loro cugini, offesi e maltrattati. La maggioranza concorda con il loro primo ministro Alex Salmond, che ha più volte accusato il governo Brown di «bullismo» nei confronti dell’esecutivo e dei cittadini scozzesi.
Con 48 voti contro 21 l’Assemblea nazionale francese ha proposto una modifica costituzionale che lega ogni all’allargamento dell’Unione europea alla consultazione popolare. Il referendum è obbligatorio se il Paese candidato all’ingresso ha una popolazione che supera il cinque per cento del totale dell’Ue. Con questo stratagemma per l’ingresso dell’Albania sarà sufficiente un voto del parlamento di Parigi. L’eventuale ingresso turco dovrà invece passare per l’approvazione diretta del popolo francese. Per diventare legge costituzionale, la proposta dovrà essere approvata in prima lettura insieme ad altre proposte di modifica costituzionale il tre luglio.
Le ferrovie tedesche in parte privatizzate Il ministro federale dei trasporti tedesco, Wolfgang Tiefensee, parlando al Bundestag per illustare il piano di privatizzazione parziale delle ferrovie, ha detto che i clienti avranno solo vantaggi dal progetto. Ieri Unione e Spd hanno votato favorevolmente, approvando a maggioranza la mozione che dava via libera alla privatizzazione. L’idea che privatizzando le prestazioni delle ferrovie peggioreranno è falsa, ha detto il politico socialdemocratico. «È vero il contrario, tutto il comparto ferroviario ne trarrà miglioramenti». Così il ministro ha concluso il suo intervento in parlamento.
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speciale bioetica aradosso della diagnostica prenatale: lo stesso medico che cura la mamma cura anche il figlio. Già: la ginecologa che misura la pressione della mamma allo stesso tempo deve essere esperta in patologia del nascituro (non uso la parola feto, che trovo anacronistica): è una bella sfida, se non altro; e siamo fortunati che le persone addette siano oltremodo coscienziose. Ma che responsabilità!
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Perché il nascituro può essere assolutamente sano, ma può avere problemi multiformi: da alterazioni cromosomiche (normalmente di pertinenza del genetista) a danni cerebrali (in cui interviene il neurologo o il neurochirurgo); da malattie delle ossa (e qui dovrebbe esser presente l’ortopedico) a malattie del sangue come la talassemia (che sono curate dall’ematologo). Invece no: nella medicina avveniristica del 2000 un solo medico è incaricato di curare (diagnosticare) tutte le malattie possibili, mentre appena il frugoletto salta fuori… diventa degno di avere una serie di specialisti e sottospecialisti che se ne disputano (virtuosamente) la salute. Il nostro documento “Accesso informato alla diagnosi prenatale” (pubblicato a pag. 14), si basa proprio su questo: sul diritto alla cura. Ovviamente il diritto è del nascituro, ma certo è tutta la famiglia che si gioverebbe di una attenta e approfondita analisi specialistica in caso di dubbi sulla salute del bimbo. La “novità”sta proprio nel pretendere che la diagnosi prenatale non sia conclusa con una stretta di mano e un foglio in cui sta scritto una possibile patologia, ma che tassativamente rimandi ad un percorso assistenziale in cui nessuna donna possa dire di essere stata lasciata sola. È un percorso che deve comprendere lo specialista della malattia ri-
Creato Dopo l’esame manca quasi sempre un percorso di sostegno medico e psicologico dei genitori
UN’ETICA PER L’ANALISI PRENATALE Carlo Bellieni mazioni scientificamente attendibili e conseguenti indirizzi razionali, liberandosi dalle paure immotivate».
E vi si aggiunge: «Vi sono alcuni aspetti tecnici di questo test [i test genetici fatti sul sangue materno, ndr]che hanno una rilevanza etica: l’esigenza che l’esecuzione venga concentrata in centri nei quali la numerosità delle determinazioni raggiunga un livello (1500 test/anno) sufficiente per un affidabile risultato statistico; il problema dei dati falsamente negativi che nelle gestanti al di sotto dei 30 anni superano il 50 per cento; il problema dei dati falsamente positivi che aumentano con l’età materna creano ingiustificato allarme in una percentuale di gestanti che arriva al 40 per cento nelle quarantenni; un elevato numero di perdite di feti connesse alla procedura invasiva che la positività del test induce» Significativamente, anche per quanto riguarda la prima nostra proposta, ovvero l’accesso informato e consapevole e soprattutto non routinario, il Comitato veneto ci dà ragione: «(…) le Regioni devono individuare appositi centri dove si possano concentrare le determinazioni assicurando le dovute garanzie di qualità. In tali centri è importante rendere disponibile una consulenza, preliminare a qualunque diagnosi prenatale, nel corso della quale la gestante venga informata adeguatamente sul rischio a priori di Sindrome di Down in rapporto all’età materna e sul rischio di aborto provocato dalle procedure invasive cui dovesse sottoporsi, nonché sulla scarsa attendibilità dei test biochimici sul siero materno attualmente praticabili e sulle possibili gravi conseguenze delle decisioni prese sulla base dei risultati dei test medesimi». Questo è proprio quanto chiediamo: che l’accesso
All’estero il servizio di assistenza ha fatto crollare il numero degli aborti scontrata, per far capire, spiegare, essere vicini. Questo percorso all’estero ha fatto crollare il numero degli aborti per certe patologie. Certo, vari ginecologi oggi lo fanno, ma questo non può essere un’eccezione, lasciata magari all’iniziativa personale, ma deve essere la regola. Questo principio è accennato anche in un documento del Comitato di bioetica della Regione Veneto che così recita: «Nel caso di risultati patologici questi dovranno venire comunicati alla paziente nel corso di un colloquio di consulenza da parte di un’equipe comprendente anche uno psicologo». Il parere di questo Comitato merita la lettura, e vi leggiamo dei passaggi che concordano con quanto da noi affermato nella premessa del nostro Documento: «Una regolamentazione dell’accesso alla diagnosi prenatale attraverso procedure invasive sembra tanto più necessaria quanto più se ne diffonde tra le gestanti la domanda, connessa molto spesso a condizioni d’ansia per paura, anche non chiaramente motivata, di una qualche patologia fetale. È urgente, pertanto, istituire nel territorio regionale dei Centri specifici di consulenza cui le coppie possano rivolgersi in fase preconcezionale e prenatale, per ricavarne anzitutto infor-
venga garantito a tutti ma che sia realmente un accesso informato, e non una routine. Il suddetto comitato infatti prosegue: «La Regione dovrebbe predisporre con urgenza e sottoporre al Comitato di Etica gli ”specifici programmi” previsti dal decreto citato, nell’intento di evitare che le procedure di cui trattasi vadano applicate in forme indiscriminate di screening di massa, secondo le spinte degli interessi prevalenti». L’intero documento è scaricabile dal sito dell’ordine dei medici di Padova, ed è molto interessante anche per le disposizioni pratiche che offre. Resta dunque l’attesa per come verrà accolta la proposta fatta col Documento, di offrire al bambino anche non ancora nato tutto il supporto degli specialisti cui avrà diritto una volta venuto all’aria aperta; e di offrire alla mamma tutte le informazioni sulle possibilità e i limiti delle diagnosi che sono disponibili, spiegandone l’utilità e anche la non obbligatorietà; facendo vincere tante paure che la società del figlio-perfetto ha creato. Abbiamo registrato tanti commenti favorevoli a queste semplici proposte, da varie sponde culturali e di pensiero diverso. È un buon inizio.
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Troppe volte diventa un mezzo di selezione eugenetica
Il lato oscuro dell’amniocentesi di Assuntina Morresi no studio svolto in Olanda e pubblicato dalla rivista scientifica Prenatal Diagnosis ben tre anni fa, mostrava che su un campione di donne in gravidanza solamente il 53 per cento aveva accettato di sottoporsi ad un esame ecografico, e solo il 38 per cento si era servita di un test del sangue, entrambe per accertare la presenza nel nascituro della sindrome di Down. Fra quelle che hanno rifiutato, una percentuale limitata – il 15 per cento – ha dichiarato di farlo perché contraria all’aborto: la maggior parte ha motivato il proprio rifiuto con sostanziali giudizi negativi nei confronti di questo tipo di test i quali, secondo le donne intervistate nello studio, non sarebbero necessari, e procurano ansietà. In Olanda, a differenza di quanto avviene in Italia, gli screening prenatali per accertare la presenza di difetti congeniti non vengono offerti di routine alle donne in gravidanza; una
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alte percentuali di rischio per il feto – si stima che uno su cento, o uno su duecento, a seconda degli studi considerati, siano gli aborti non voluti, causati dall’amniocentesi, per esempio – diffusi routinariamente senza un’adeguata consulenza prima e dopo la diagnosi: il risultato è che questo tipo di diagnostica prenatale finisce per essere sempre più utilizzata per eliminare i nascituri malati o disabili.
Un ricorso eccessivo a questo tipo di esami - anche quando non invasivi, come ad esempio le ecografie – non significa necessariamente una gravidanza migliore e più sicura: spesso invece è il sintomo dell’ansia di chi percepisce i nove mesi di attesa come un percorso oscuro e pericoloso, per sé e per il figlio che sta crescendo in pancia. Una consulenza adeguata significa valutare il rischio eventuale a cui ci si sottopone con alcuni di questi test, confrontarlo con il beneficio che si può trarre dall’informazione cercata, poter stimare l’attendibilità delle informazioni ottenute, la percentuale di errore, i falsi positivi e negativi, verificare la possibilità di percorsi terapeutici nel caso di diagnosi infauste: un percorso informativo in cui i futuri genitori non devono mai essere lasciati soli. I dati a disposizione mostrano che quando questo avviene, il ricorso all’aborto cosiddetto “terapeutico” diminuisce. Il documento “Per un accesso consapevole ad una diagnostica prenatale”, firmato da bioeticisti, medici, rappresentanti di associazioni familiari e di disabili – del quale è riportato a fianco il testo integrale - vuole mettere in guardia proprio dalla deriva eugenetica di tanti esami prenatali, salvando invece la buona diagnostica, quella cioè che cerca di individuare la malattia per curarla, e non per sopprimere il malato. Non è un caso che nel parlar comune spesso si scambi la diagnostica prenatale – cioè tutta quella serie di esami clinici che si possono effettuare in gravidanza, dalle ecografie alle analisi del sangue a test più sofisticati – con la diagnosi preimpianto, che è invece un esame intrinsecamente eugenetico: si effettua su embrioni nei primissimi giorni di vita – quindi solamente nei casi di fecondazione in vitro – e consiste nell’analisi del patrimonio genetico di una o due cellule delle otto di cui è costituito l’embrione a quello stadio di sviluppo, quando ancora non esiste nessuna possibile terapia per l’eventuale difetto genetico rilevato. L’unico scopo di questo tipo di analisi è quello di selezionare gli embrioni sani e trasferirli in utero, scartando quelli “difettosi”: una procedura eugenetica, quindi, nel senso letterale del termine.
La diagnosi preimpianto apre spesso la strada all’interruzione di gravidanza prassi che ne determina una minore richiesta da parte delle donne. Non a caso, sempre in Olanda si registra il maggior numero di parti in casa, mentre l’Italia è ai primi posti per il ricorso al taglio cesareo: evidentemente le politiche sanitarie olandesi sono in qualche modo orientate a ridurre la medicalizzazione della gravidanza, vista non come una malattia da curare ma come un evento naturale da seguire e accompagnare. In Italia la situazione è diversa: interessante a proposito uno studio condotto presso l’ospedale di Siena da un gruppo di neonatologi, ginecologi e psicologi, e pubblicato di recente con il titolo “Consumismo nella diagnosi prenatale?”, nel quale si dimostra che il ricorso diffuso ad esami diagnostici prenatali spesso non è giustificato dalla presenza di fattori di rischio clinico. Ad esempio, fra le donne prese in considerazione che si erano sottoposte ad amniocentesi, l’85 per cento di quelle con meno di 36 anni ha dichiarato di averlo fatto semplicemente per scelta personale, e solo il 15 per cento lo ha motivato con fattori di rischio.
Un dato sconcertante, visto che per le donne di quella fascia di età l’amniocentesi è indicata solamente in presenza di particolari fattori di rischio e non può essere certamente considerata un esame routinario. Esami diagnostici anche invasivi, talvolta con
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speciale bioetica associazione CiaoLapo Onlus si occupa di sostegno ai genitori colpiti da lutto in gravidanza. Nata per dare conforto ai genitori vittime di morte intrauterina, da subito si è posta al fianco di tutti i genitori che in epoca prenatale e perinatale, per cause le più disparate, perdono i loro figli. Nella comunità in crescita di CiaoLapo, che oggi conta circa 500 iscritti, accogliamo con la stessa apertura basata sul rispetto e sul non giudizio tutti i genitori che necessitano di condividere il peso del lutto, e che cercano di ricominciare a vivere dopo la morte dei loro figli.Tra questi, molti sono i genitori che vivono la disperazione di un lutto successivo ad un interruzione terapeutica di gravidanza, o che restano vittime di complicazioni successive ad una diagnosi prenatale invasiva.La letteratura scientifica pone in evidenza come il lutto successivo a amniocentesi o ad interruzione terapeutica di gravidanza sia estremamente difficoltoso da elaborare, e incida spesso pesantemente sulla qualità della vita della madre e della coppia.
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Tra gli aspetti che rendono questo lutto “difficile” troviamo “il fantasma” della patologia del bambino: la malattia diagnosticata, qualunque essa sia, si scontra con la fisiologica “idealizzazione”intrapsichica del bambino immaginato, e fa precipitare i genitori in una vera e propria fase di shock e di annichilimento, fortunatamente passeggeri se la coppia è saldamente sostenuta nel percorso diagnostico. La fase di shock, che colpisce i genitori al momento della diagnosi, necessita di tempo, spazio e contenimento per poter lasciare il posto ad una fase di maggiore reazione e di progettualità: è quindi ovvio che la diagnosi non può mai avvenire velocemente, superficialmente, quando la donna è sola, senza punti di riferimento vicini, senza fornire spiegazioni accurate e senza poter dare la possibilità ai genitori o ai parenti di comprendere realmente tutto ciò che sta avvenendo, se esistono e quali sono le opzioni terapeutiche possibili per quella specifica patologia. Lasciare precipitare i genitori nel vuoto di una diagnosi di patologia fetale, senza sostenerli e guidarli verso le opzioni possibili, compromette sia la capacità di reazione dei genitori all’evento, sia la loro capacità di affrontare il lutto, nelle sue diverse accezioni: nell’esperienza di CiaoLapo, i genitori di bambini con patologia fetale che sono stati accolti e aiutati a comprendere e a capire l’entità della patologia, le possibili terapie e le reali possibilità di vita del loro bambino, hanno potuto prendere decisioni, anche estremamente diverse da caso a caso, senza che il loro lutto fosse complicato da rimorsi, sensi di colpa, paure di avere preso decisioni errate, sensazione di non avere avuto il tempo o la forza di informarsi meglio e rivolgersi ad altri medici. Quando invece i genitori sono lasciati soli e la disinformazione prende il posto di un atteggiamento scientificamente chiaro e conforme agli standard della medicina attuale, allo smarrimento dello shock si unisce il peso della decisione da pren-
Creato Ciao Lapo, un’associazione che non lascia soli i genitori
Quello che il medico troppe volte non dice
Claudia Ravaldi dere, che essendo basata sulla paura e sulla cattiva informazione non può essere mai definita una decisione consapevole e dunque derivante da un “consenso” informato. Ci dice una mamma: «Mi hanno detto che c’era una malformazione al cuore, che poteva essere Down, ma che per saperlo meglio sarei dovuta tornare il giorno dopo, fare di nuovo l’ecografia
patologia fetale, qualunque essa sia, si passa al “lutto”di dovere fare i conti con una nuova realtà, diversa da quella attesa che richiederebbe il giusto tempo ed i giusti modi per essere “compresa a livello psichico”. I genitori spesso si trovano a fare i conti con diagnosi mal poste, fatte frettolosamente e scarsamente spiegate. Ad esempio: «dal cariotipo sembrerebbe risultare un mosaico, ma forse no, bisogna che magari torni a farsi il prelievo del liquido perché potrebbe essere un problema grave». Molte volte accade che si pongano dubbi diagnostici di gravità estrema sulla base di dati scarsi, e che i genitori vengano messi in allarme e in qualche modo “spinti” a considerare la strada dell’aborto, come unica soluzione possibile: «Signora, l’ernia diaframmatica è una malattia gravissima ma non è ereditaria: quindi se lei abortisce adesso, non le ricapita più».
Le famiglie si trovano a fare i conti con diagnosi spiegate male con un dottore più esperto, e poi decidere se tenerlo o meno». Questo, secondo noi genitori ed operatori sanitari di CiaoLapo, non può intendersi come un esempio di assistenza e di informazione scientificamente valida. L’esito di questo intervento è stato la fuga di questa madre disperata, e non l’accompagnamento verso una diagnosi accurata. Dallo shock di una diagnosi di
Altre volte accade che le spiegazioni siano scarsissime, e si riassumano in un: «fossi in lei abortirei, mi faccia sapere», o ancora: «se decide di proseguire la gravidanza, sappia che io non posso
seguirla». Queste sono solo alcune delle testimonianze che quotidianamente ci vengono segnalate da colleghi o da genitori. La disinformazione incrementa la paura dell’ignoto e minaccia la presenza di una patologia “spaventosa”, spesso resa più spaventosa dalla superflua meccanizzazione di un percorso fisico e psichico complesso, quale appunto quello della genitorialità. Si continua ad esempio a minimizzare il rischio di aborto post-amniocentesi, (che è circa di 1 su 100) e, quel che è addirittura peggio, se avviene l’aborto, ci si nasconde dietro al consenso informato, che menziona tra i rischi quello di morte del feto. La letteratura purtroppo ci conferma che queste perdite sono un lutto grave che viene elaborato faticosamente e costellato da numerose ricadute e da rischi di lutto complicato. L’associazione CiaoLapo Onlus si prende cura di genitori stravolti dall’incertezza, dal dubbio e dalla paura, e si batte da sempre, insieme ad altre associazioni di genitori e di medici, per una sana ed equa comunicazione tra personale sanitario e utenti, che possa informare i genitori e permettere loro una decisione consapevole e realistica in ogni passo della diagnostica prenatale.
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informazione su limiti, rischi, implicazioni e possibilità terapeutiche nell’ambito di una adeguata consulenza pre-diagnostica (Oms, 1995), affinché la donna possa compiere una scelta informata ed autenticamente consapevole, conservando la piena libertà di accettare o rifiutare lo screening o il test. Mai devono essere usati termini generici (“piccolo”, “trascurabile”, “grande”) quando si spiega il tasso di rischio, ma vanno forniti dati numerici, nonché il significato di tali dati. Deve essere richiesto chiaramente il consenso informato ed esplicito su numero, tipologia e finalità degli accertamenti.
sottoscritti medici, bioeticisti e responsabili di associazioni di disabili, a fronte dell’utilizzo sempre più frequente della diagnosi genetica prenatale nei Paesi occidentali, preoccupati per le conseguenze che l’impiego diffuso ed indiscriminato di questa pratica può avere sia a breve che a lungo termine nella popolazione, ritengono doveroso richiamare l’attenzione sui seguenti fattori:
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A) Pericoli dell’uso generalizzato e selettivo della diagnosi prenatale: La comunità scientifica ha più volte reagito preoccupata della diffusione della diagnostica genetica prenatale proposta/imposta come screening: «“È come se con lo screening delle trisomie 18 e 21 (Down) […] la scienza avesse ceduto alla società il diritto di stabilire che la nascita di certi bambini non è più desiderabile. [In tale contesto] i genitori che ne desiderano la nascita devono esporsi, oltre che al dolore dell’handicap, al rimprovero sociale per non aver accettato la proposta della scienza legittimata dalla legge. In Francia, la diffusione generalizzata dello screening è basata su una proposta, ma nella pratica è divenuta quasi obbligatoria”. (D. Sicard, Presidente Comité National d’Ethique francese, Le Monde, 2007). Merita ricordare che in Italia le interruzioni di gravidanza dopo i 90 giorni sono aumentate di 5 volte dal 1981 al 2006 (0.5 per cento vs 2.6 per cento dei parti). B) Carenza di limiti istituzionali nell’impiego selettivo della diagnosi prenatale: un esempio di limitazione dell’uso della diagnosi genetica prenatale è stato proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha chiarito come la metodica invasiva non debba essere regolata dalle pure leggi di mercato, in un quadro definito da Henn di “consumismo prenatale” che riguarda anche le metodiche non invasive:«La diagnosi prena-
Un manifesto di medici e bioeticisti per un’amniocentesi responsabile
Diagnosi prenatale: accesso consapevole siva equivale a quello di avere un figlio affetto da Sindrome di Down (Prenat Diag 2002), dunque si basa su un calcolo costi-benefici, dove i costi sono la perdita di feti sani in seguito alla procedura e i benefici l’individuazione di feti affetti da Sindrome Down.
Tuttavia in alcune condizioni patologiche l’uso di procedure invasive per la precisazione diagnostica si rende necessario proprio per opporsi all’ansia del rischio di anomalia cromosomica che la diagnostica genetica non invasiva – con i suoi falsi positivi - può ingenerare.
C) Uso equivoco del termine “prevenzione”: ad oggi esistono poche terapie prenatali per malattie genetiche individuate dalla
D) Rischi delle procedure diagnostiche: In base ai dati più recenti pubblicati dall’Associazione dei Ginecologi Canadesi, il rischio di perdita fetale in seguito all’impiego di procedure diagnostiche invasive (amniocentesi o prelievo dei villi coriali) è di 1 aborto non voluto ogni 200 procedure e di 1 su 100 secondo il Royal College of Obstetrics and Gynecology, o valori intermedi secondo altri. Inoltre, considerando che in Italia si eseguono circa 100.000 amniocentesi ogni anno e che la maggior parte dei feti sottoposti ad indagine prenatale risulta sana, appare sconcertante l’elevato numero di bambini (probabilmente sani) persi in seguito alla procedura.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha denunciato la routine dell’esame tale deve essere eseguita solo per dare ai genitori e ai medici informazioni sulla salute del feto». «La diagnosi prenatale per alleviare l’ansia materna, in assenza di indicazioni mediche che la giustifichino, deve avere una priorità secondaria nell’allocazione delle risorse rispetto alla diagnosi prenatale con indicazioni mediche». (OMS, Geneve 1998). Si consideri che il limite di 35 anni introdotto per consigliare l’amniocentesi è stato scelto perché oltre detta età il rischio di aborto legato alla tecnica inva-
diagnosi genetica prenatale. Diversi studiosi evidenziano da tempo l’equivocità insita nell’espressione medica“disease prevention”: «Prevenzione significa prevenire la nascita di individui diagnosticati come geneticamente aberranti» (B.L. Eide, 1997). Poter accedere ad una diagnosi di patologia genetica fetale non costituisce, se non in rari casi, un presupposto per poter intervenire preventivamente e in maniera più efficace sulla malattia, rispetto alla diagnosi effettuata al momento della nascita.
E) Pericoli per l’autonomia delle donne: vari studi dimostrano che chi si sottopone a diagnosi genetica prenatale (sia nella forma invasiva che in quella di screening con ecografie mirate o integrate con analisi del sangue materno) raramente ha piena consapevolezza dei limiti, dei rischi, delle moda-
lità di esecuzione e degli scopi degli screening per la sindrome di Down (Am J Obst Gyn 2008) e che l’informazione al momento della proposta o dell’esecuzione dell’esame è talora carente (Fetal Diagnosis and Therapy, 2008) anche con riguardo agli esami combinati con ecografia e test su sangue che hanno la finalità di individuare feti a maggior rischio di anomalie cromosomiche, e rispetto ai quali spesso le donne non sanno che possono dare risultati Falsi Negativi (rassicurazione falsa) o Falsi Positivi (preoccupazione falsa) con i conseguenti rischi.
Ciò premesso, si ritiene opportuno fornire le seguenti proposte affinché la diagnosi genetica prenatale sia impiegata secondo criteri eticamente accettabili: in caso di diagnosi prenatale genetica (tramite screening sanguigni o ecografici e procedimenti invasivi), con scarse possibilità terapeutiche, l’esecuzione va attentamente valutata alla luce dei possibili rischi e benefici per entrambi i soggetti (madre e bambino/a), e: A) Non può mai essere routinaria né proposta sistematicamente, nemmeno nel caso della diagnosi genetica ecografica (per esempio misurazione dello spessore della plica nucale), ma deve essere sempre preceduta da una dettagliata
B) In caso di riscontro di una patologia, la diagnosi prenatale non è da considerarsi terminata (salvo esplicito diniego da parte della donna) senza il coinvolgimento di uno specialista della patologia riscontrata (consulenza post-diagnostica, Jama 2007), in grado di fornire informazioni sulla patologia, sulla possibilità di un percorso terapeutico e su possibili agevolazioni socio-economiche in grado di assistere la famiglia, e senza informare sulla possibilità di partorire in anonimato e dare il figlio in adozione. Sarà compito del ginecologo indirizzare verso tale consulenza specialistica. La nostra richiesta di integrare sistematicamente la diagnostica prenatale con una “fase pre-diagnostica” e una “post-diagnostica” si basa sulla constatazione che la diagnosi genetica prenatale non è eticamente neutra: come tutti gli atti umani è una scelta e le scelte richiedono una reale conoscenza dei dati e implicano una responsabilità. L’autonomia delle donne nelle decisioni sulla loro gravidanza può essere seriamente compromessa da un uso routinario (dunque una“non scelta”) della diagnosi genetica prenatale, che spesso proviene da una pressione sociale per non far mettere al mondo figli con anomalie genetiche. Occorre garantire nei fatti la libertà nella scelta. A tal fine, politiche sociali e dinamiche culturali nuove dovranno essere varate perché mai la donna venga costretta a considerare l’interruzione di gravidanza come l’unico sbocco possibile in caso di malattia genetica fetale. Carlo Bellieni, neonatologo Guido Cocchi, neonatologo Margherita Gravina, psichiatra Marco Maltoni, medico palliativista Giuseppe Noia, ginecologo Patrizia Vergani ginecologa Gabriella Gambino, bioeticista Claudia Navarini, bioeticista Paolo Arosio, neonatologo, presidente associazione “Amici di Giovanni” Luigi Vittorio Berliri, presidente associazione “Spes contra Spem” Loris Brunetta, presidente associazione ligure talassemici Sabrina Paluzzi, presidente associazione “La Quercia Millenaria” Claudia Ravaldi, psichiatra, presidente associazione “Ciao Lapo”
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economia In basso, Giacomo Vaciago, ordinario di politica economica e direttore dell’istituto di Economia e finanza dell’università Cattolica di Milano
L’inflazione è effetto delle speculazioni: il petrolio fa segnare rincari per alimentari e bollette
Dopo 12 anni il carovita oltre il 3,6 per cento colloquio con Giacomo Vaciago di Vincenzo Bacarani
ROMA. Inflazione del 3,6 per cento su base annua: un rialzo che non si registrava da 12 anni. E a guidare l’impennata sono il caro-petrolio (+12,9 per cento) e gli alimentari (+5,7). Alcuni esempi: la pasta è rincarata del 20,4 per cento, il pane del 12,9, la frutta del 6,8, il latte dell’11. E sul fronte energetico tra elettricità e combustili ogni famiglia italiana spende mediamente il 6,8 per cento in più rispetto all’anno scorso. Una situazione difficile che però presenta alcuni aspetti chiari e altri un po’ più oscuri. «Per ora», dice Giacomo Vaciago, professore di Politica economica e direttore dell’istituto di Economia e finanza dell’università Cattolica di Milano, «assistiamo al trasferimento ai consumi del boom dei prezzi che si è registrato negli ultimi due anni sui settori alimentare ed energetico». Un aumento dei prezzi determinato soprattutto dalle speculazioni. «E’ un dato di fatto», spiega il professore, «Più di dieci anni fa c’era stata la bolla speculativa sulla new economy, poi negli ultimi anni sui mutui e sulle case e ora c’è quella sul settore food and energy. Speculazioni che nascono però su basi concrete, su aumenti della domanda in quei settori. Ora abbiamo a che fare con il petrolio e le materie prime». Insomma fornai e benzinai non hanno colpe, così come non hanno colpe i componenti delle filiere. Però la spesa alimentare da qualche mese per i consu-
matori sta diventando un problema per molte famiglie italiane che in alcune occasioni non riescono nemmeno ad arrivare a fine mese. Ma il problema, secondo Giacmo Vaciago, va affrontato in altri termini: «Il consumatore italiano medio spende per alimentari ed energia un quarto del proprio reddito, cioè il 25 per cento. Parliamo di consumatore medio. Se poi andiamo nei dettagli vediamo che il ricco spende per le stesse voci il 10 per cento e quelli che guadagnano circa mille euro al mese il 50 per cento».
che qualcuno dimentichi che negli anni Ottanta eravamo al 21 per cento, altro che il 3,6 per cento di oggi. Negli anni Settanta il petrolio costava molto meno di quanto costa attualmente, eppure l’inflazione era molto più alta rispetto a oggi». La prospettiva di rincorrere la risalita dell’inflazione, facendo leva sull’aumento dei salari preoccupa la Banca Europea e proprio il governatore Trichet sta cercando di bloccare la rincorsa all’aumento salariale. Ma come mai? Se i prezzi aumentano e gli stipendi restano
Spiega l’economista Vaciago: «La bolla, dopo New economy e mattone, si sposta verso le materie prime, sfruttando la maggiore domanda. L’unica soluzione è aumentare la nostra produttività» Magari la crescita dell’inflazione può anche essere dovuto all’effetto negativo di una liberalizzazione del mercato che consente eccessiva mano libera a molti operatori. Secondo l’economista della Cattolica, «la liberalizzazione in Italia è in linea con quella dell’area Ue». L’aumento dei prezzi è dovuto in massima parte a questi aspetti, ma è anche un aumento che rientrerebbe nella norma. «Tutti dicono», afferma, «che l’inflazione dichiarata dall’Istat al 3,6 per cento è la più alta da dodici anni a questa parte, ma nessuno dice che è la più bassa da decenni e bisogna considerare che anche in Germania c’è stata. Mi sembra
bassi, potrebbero diminuire ancora di più i consumi e ci potrebbe essere il rischio di una recessione. «Eppure», spiega Vaciago, «Trichet non ha torto. Se nel decennale dell’euro tutti si mettono a rincorrere gli aumenti, esplode l’inflazione europea e torniamo ai livelli degli anni Ottanta».
Tuttavia è un dato che i lavoratori italiani abbiano salari tra i più bassi d’Europa. «È una questione di produttività», replica il professore, «Nel nostro Paese la produttività non è più cresciuta da 15 anni a questa parte. E se la produttività non aumenta, non aumentano nemme-
no gli stipendi. Abbiamo dipendenti pubblici che hanno ancora come strumenti di lavoro la matita e la gomma per cancellare e nelle dotazioni degli uffici pubblici, ma anche privati, c’è ancora la carta carbone. I tassisti in Italia sono proprietari delle loro auto che usano per lavoro, come nel 1900 i conduttori di vetture a cavallo. Quando il ministro Bersani ha cercato di liberalizzare le licenze dei tassisti, è scoppiata una rivolta memorabile. La struttura retributiva italiana è legata alla produttività. Se la produttività non cresce, non crescono neanche gli stipendi». Eppure qualcosa si sta muovendo. Basti pensare all’annunciata riforma contrattuale che vede Confindustria e sindacati d’accordo, almeno sulla carta, a due livelli di contrattazione di cui uno legato alla produttività. «Questa sì, che è una rivoluzione», afferma Vaciago, «La paragonerei addirittura al 1789, alla rivoluzione francese quando ghigliottinavano reali e nobili. Il sindacato italiano che decide insieme con gli industriali gli aumenti salariali in base alla produttività e al merito è veramente una rivoluzione. Il nostro Paese per anni è stato bloccato dagli scatti di anzianità. Da noi più uno diventava vecchio, più guadagnava. Non contava il merito, la capacità, l’impegno. Il fatto che da noi venga introdotto un concetto meritocratico, è un fatto eccezionale. Sì, una vera rivoluzione perché in effetti i nostri sindacati in questo caso».
economia
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Oggi le considerazioni finali del governatore di Bankitalia in un clima sempre più teso con il ministro Tremonti
Draghi, richiami su famiglie e spesa d i a r i o
di Alessandro D’Amato
d e l
g i o r n o
Sindacati pronti al confronto sugli statali I leader di Cgil, Cisl e Uil (Epifani, Bonanni e Angeletti) sono pronti al dialogo con il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, sulla riforma degli statali. In una lettera definiscono il suo piano industriale «oggetto di interesse».
Mps: concluso acquisto di Antonveneta Monte dei Paschi di Siena e Banco Santander ieri hanno concluso le operazioni per la compravendita di Antonveneta. I presidenti dei due gruppi, Giuseppe Mussari e Emilio Botin, hanno siglato a Madrid l’accordo definitivo che chiude un’operazione da 9 miliardi di euro. Mussari ha annunciato di voler sviluppare con il colosso spagnolo un’alleanza commerciale, soprattutto in Sud America, sul versante del corporate banking, di servizi di tesoreria e bancari. «Abbiamo molti clienti», ha spiegato, «che hanno interessi in quella parte del mondo così come in Spagna e in Portogallo, dove il Santander è ben radicato, ma c’è anche un interesse di Botin per i loro clienti in Italia».
Brunetta: trasparenza sui ministeriali Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. L’appuntamento di oggi segna il giro di boa del suo mandato
ROMA. Sarà un sabato speciale questo per l’establishment economico, finanziario e politico italiano. Perché, per la terza volta, il governatore di Bankitalia leggerà in un preferiale le sue Considerazioni Finali. Sono quelle di “metà mandato”, visto che con l’avvento di Mario Draghi si è inaugurato il mandato a sei anni per il ruolo di responsabile di via Nazionale. Soprattutto a Draghi toccherà l’onere di parlare con un Parlamento appena eletto, ma stavolta con una forte maggioranza. Ma anche, e questo per lui è una novità, con un ministro dell’Economia con il quale il rapporto si preannuncia difficile. Giulio Tremonti aveva già portato la guerra ad Antonio Fazio su molti temi, e non sembra avere alcuna intenzione di fare sconti nemmeno all’attuale governatore. Che l’atmosfera sarebbe stata elettrica lo si è capito dalle parole spese dal responsabile di via XX Settembre nei confronti del Financial Stability Forum (presieduto proprio da Draghi), che sui provvedimenti da prendere per la crisi dei mutui subprime «aveva scoperto l’acqua calda». Una battuta sintomatica dell’elettricità tra Palazzo Koch e il Tesoro. Per questo l’invito a «non sparare sulle banche» rivolto da Enrico Salza a mezzo stampa soltanto un paio di settimane fa probabilmente cadrà nel vuoto: anche perché è comprensibile il clima di rivalsa nel centrodestra contro il “banchierismo ulivista” degli ultimi anni, ampiamente ripagato con le esenzioni fiscali che Tremonti si appre-
sta a eliminare. Infatti a nulla è valso l’ok al decreto mutui da parte dell’Abi per fargli cambiare idea. In questo clima, senz’altro teso, è difficile che Draghi si faccia trascinare nella polemica: più probabile che si limiti a un augurio – freddo, come vuole il personaggio – di buon lavoro di prammatica e all’auspicio di trovare soluzioni condivise. Ma, se l’attualità lo richiederà, lo scontro tra il Tecnocrate e il Politico potrebbe farsi davvero più vivo.
Via Nazionale chiede sforzi al governo per coniugare risanamento e aiuti ai più bisognosi. Strali agli istituti su duale e credito al consumo Per il resto, il rituale di Via Nazionale potrebbe essere dedicato ai timori sulla crescita economica. Il Pil mondiale rallenta e quello italiano ondeggia ormai tra recessione e una leggera tenuta, mentre la crisi dei mutui si è abbattuta anche sui mercati finanziari e le banche italiane, falciando gli utili e la capitalizzazione. Anche perché sembra accertata da tutti la minore esposizione del nostro sistema rispetto a quanto avvenuto negli Usa e in altri paesi europei. Probabile un richiamo sul tema salari, corredato da dati e statistiche sulle differenze con la Ue. Nei suoi interventi, a iniziare dal-
l’assemblea dell’Abi l’anno scorso, Draghi ha poi sempre sottolineato l’eccessivo peso delle rate dei mutui per le famiglie italiane: facile che prenderà spunto dall’attualità per complimentarsi con esecutivo e banchieri. Sicuramente ritornerà su un suo pallino, il taglio della spesa corrente, segnalato più volte nel corso delle audizioni parlamentari così come l’opportunità di scelte condivise per ridare fiato alla produttività in stallo negli ultimi dieci anni (un tema caro anche al suo predecessore, Antonio Fazio). Il fronte bancario è quello dove si scenderà più sul tecnico: ci si aspettano parole allarmate per il risparmio gestito, con l’auspicio a intervenire sugli squilibri fiscali con il resto d’Europa e sull’assetto proprietario. Probabilmente si dirà anche molto sulla governance duale, dopo i regolamenti emanati da Bankitalia che però, ad oggi, non hanno avuto molta eco.
Poi c’è il tema dell’assetto proprietario di via Nazionale: la legge varata nel 2005 prevedeva la dismissione delle quote entro il 2008, ma ancora nulla è stato fatto. Probabilmente si andrà verso una proroga temporale. Infine, il riordino delle authority finanziarie: il testo di legge giace alla Camera, e l’invito a un razionamento è arrivato anche da Donato Masciandaro sul Sole 24Ore di una settimana fa. Il testo progetto la Banca così come la Consob, che dovrebbero assorbire i poteri delle altre vigilanze. Un auspicio a fare presto, magari sottinteso, arriverà.
Il ministro per la Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha scritto a tutti i colleghi di governo per invitarli a condividere l’iniziativa, da lui messa in atto in questi giorni, di pubblicare sul sito Internet del proprio ministero i dati sulle retribuzioni dei dirigenti e le statistiche sulle presenze del personale negli uffici. «Eliminare», scrive il ministro Brunetta, «le “zone d’ombra” che ancora si frappongono tra la Pubblica amministrazione e i cittadini è essenziale se si vuole ricostruire un rapporto di fiducia che serve a far ripartire il Paese. Occorre dimostrare che l’apparato pubblico non ha nulla da nascondere ed è disposto a mettersi in gioco quotidianamente».
Piaggio rivede al ribasso i target Stime al ribasso nel piano industriale 2008-2010 presentato dalla Piaggio agli analisti. Si prevedono un target di 1,71 miliardi per il fatturato 2008 (in precedenza 1,8 miliardi) e un Ebitda al 13,2 per cento (da 13,5) e di 1,8 miliardi per il fatturato 2009 (da 1,96). Spiega il numero uno Roberto Colaninno: «La revisione dei target di fatturato ed Ebitda è legata all’andamento del mercato generale. Quando abbiamo elaborato il piano, ci basavamo su assunzioni di sviluppo delle economie diverse da quelle emerse dopo lo scorso settembre». Intanto a Pontedera si studia un veicolo a 4 ruote in stile Ape.
Svimez: cresce divario tra Sud e Nord È ancora ampio il divario tra Nord e Sud. Lo Svimez ha calcolato che nel 2007, per il sesto anno consecutivo, il Mezzogiorno segnato un andamento peggiore del resto del Paese, con una crescita in termini reali dello 0,7 per cento contro l’1,7 del Centro-Nord.
A2A: Brescia fa rinviare l’assemblea Ancora problemi con i soci pubblici per A2A, utility nata dalla fusione tra Aem e Asm. Il comune di Brescia, durante l’assemblea di ieri, ha avanzato la proposta di rinviare la seduta quando si discuteva del buyback fatto dall’azienda per «acquisire in tempi rapidi ulteriori elementi per esprimere un consenso adeguato» sul tema. Proposta passata anche con l’avallo del comune di Milano. Non si è scomposto il 79enne presidente del Consiglio di sorveglianza di A2A, il bresciano Renzo Capra, che, per quanto non si sia sentito offeso, ha detto di essere stato «sorpreso certamente da questa posizione che non è né cattiva né perfida. Certamente, è qualcosa su cui dobbiamo riflettere». Non ha fatto una piega neppure l’Ad, Giuliano Zuccoli, per il quale «il duale sta funzionando bene».
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cultura
Mentre esce in libreria ”Rieducarsi al cristianesimo”, il vicario di Ratzinger rilancia l’intesa con i laici
Ruini: oltre Cristo c’è il nichilismo di Francesco Rositano resto lascerà anche il ruolo di Vicario del Papa per la diocesi di Roma. Ma il ritiro a vita privata, almeno per ora, sembra lontano. Il cardinal Camillo Ruini, 77 anni, e quindi in età da pensione, continua a lavorare instancabilmente. A breve dovrebbe essere ufficializzato il suo nuovo incarico presso il neocomitato di vescovi per il Progetto culturale della Cei. E in libreria continuano ad arrivare suoi lavori: non ha fatto in tempo a dare alle stampe il suo ultimo volume, Rieducarsi al cristianesimo - Il tempo che stiamo vivendo (Mondadori, 102 pagine), che è stata già annunciata l’uscita di un altro testo. Probabilmente un faccia a faccia con lo storico e politologo Ernesto Galli Della Loggia, sulla possibilità di un’intesa tra laici e cattolici nell’ambito dei cosiddetti valori non negoziabili. Ma tornando a Rieducarsi al cristianesimo, ecco cosa scrive su questi temi: «Da una parte l’incontro delle culture è possibile e avviene continuamente perché, nonostante tutte le loro differenze, gli uomini che le producono hanno in comune la stessa natura e la medesima apertura della ragione alla verità». Di fronte al nichilismo e a un progresso scientifico che rischia di ridurre l’uomo a una semplice «sporgenza» della natura (priva di una dignità inviolabile e di un destino eterno), Ruini propone di tornare agli aspetti essenziali del cristianesimo, inteso non tanto come una mera dottrina, datata e non più al passo coi tempi, ma una risposta alla modernità. E soprattutto come una fonte inesauribile di valori, ritenuti il sale della democrazia: «Una democrazia senza valori - scrive - impregnata di agnosticismo e relativismo scettico si converte facilmente in un totalitarismo apertamente subdolo come dimostra la storia».
P
Il libro si compone di cinque interventi risalenti ai mesi del 2007 immediatamente successivi al termine del suo mandato alla presidenza della Cei, e le presentazioni di due libri: Gesù di Nazaret di Papa Ratzinger e Il mondo della fede cattolica. Verità e forma del teologo tedesco Leo Scheffczyk, tra-
dotto in italiano nello stesso anno. Sembrerebbero riflessioni separate eppure esiste un sottile filo conduttore: quello del superamento del relativismo e della secolarizzazione, tanto a cuore anche
a papa Ratzinger, pericoli emergenti anche all’interno della stessa Chiesa, «fattori di una crisi - per Ruini - certo assai grave ma destinata a essere superata», anzi, «nella sostanza profonda già in via di superamento» fin dal pontificato di Giovanni Paolo II. Il cristianesimo per Ruini è una cultura, intesa nel senso più alto del termine: «La cultura - scrive il cardinale - è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo,“è”di più, accede sempre di più all’essere. Che un simile concetto alto e profondo di cultura possa affermarsi profondamente nel nostro mondo è un obiettivo di primaria importanza, se non vogliamo che diventi troppo grande la distanza tra la forza e la rapidità del progresso tecnologico e quella debolezza culturale e spirituale che sembra caratterizzare oggi proprio la civiltà nel cui seno è nata la razionalità scientifico-tecnologica, come ha sottolineato ripetutamente Benedetto XVI, ad esempio nel discorso al convegno di Verona. Questo è infatti il genere di distanza che non possiamo più permetterci, quando il soggetto umano diventa esso stesso oggetto delle nostre capacità scientifico-tecnologiche». I progressi scientifici, tecnologici e cognitivi dell’età moderna non implicano affatto un declassamento dell’uomo e la negazione di Dio, ma lasciano intatta, e anzi rilanciano, l’attualità dei grandi interrogativi sulle origini dell’uomo e del mondo e delle risposte che a essi dà il cristianesimo. «È incominciata, con l’applicazione all’uomo delle biotecnologie e con tutti gli altri sviluppi tecnologici connessi - si legge
nel suo libro - una fase nuova della nostra esistenza nel mondo, della quale siamo solo agli inizi e che appare destinata ad accelerarsi e a produrre effetti estremamente rilevanti e potenzialmente pervasivi di ogni dimensione della nostra umanità, effetti che oggi è ben difficile, per non dire impossibile, prevedere nei loro concreti esiti e sviluppi». Una fase inarrestabile e che, seppure «carica di rischi» - scrive Ruini - «va sinceramente favorita e promossa, perché rappresenta uno sviluppo di quelle potenzialità che sono intrinseche all’uomo, creato a immagine di Dio. Occorre però - conclude il suo ragionamento - liberarsi da una visione deterministica degli sviluppi che ci attendono: in quanto opera dell’uomo, e non astrattamente delle tecnologie, essi possono e devono essere orientati in modo che vadano a favore, e non a detrimento, dell’uomo stesso».
Riscoprire il legame tra l’uomo e Dio è per Ruini la sola via per sfuggire a «quell’ospite inquietante» che è diventato il nichilismo che - dichiarando la morte di Dio - ha di fatto dichiarato anche la morte dell’uomo, inteso come una creatura «a immagine e somiglianza del suo Creatore». Il porporato comunque mantiene un atteggiamento positivo. «A mio modesto parere il nichilismo non costituisce il nostro destino epocale non superabile positivamente, come ha ritenuto Heidegger dopo Nietzsche, ma rappresenta pur sempre una specie di spirito del nostro tempo (Zeitgeist), che si riconduce anzitutto a ciò che Nietzsche ha denominato la “morte di Dio”». Fortunatamente, aggiunge il cardinal Ruini «due millenni di cristianesimo hanno risvegliato in maniera difficilmente sopprimibile quella nostalgia di un senso assoluto che è al fondo del nostro essere uomini […]. E continua, con un’affermazione che ha il sapore della sintesi: «Né la riduzione dell’uomo alla natura né un totale relativismo, né una prospettiva nichilista possono affermarsi pienamente e diventare davvero egemoni finché la fede cristiana è viva e riesce a generare cultura».
L’incontro delle culture è possibile perché gli uomini hanno in comune la stessa natura e l’apertura della ragione alla verità
cultura
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A sinistra Ida Dalser con il figlio Benito. Considerata una donna spregiudicata, ebbe il disprezzo di Rachele
E
siste un altro libro con lo stesso titolo, scritto qualche decina di anni fa da un compagno di scuola di Mussolini, Rino Alessi. Il giovane Mussolini di Alessi era un ragazzo turbolento, e poi un socialista passionale, e infine un interventista convinto e un soldato al fronte. Quello di Enrico Veronesi (Il giovane Mussolini, 1900-1919, Book Time editore, 220 pagine, 16 euro) è – ovviamente – lo stesso uomo, ma interpretato non con il filo diretto dei ricordi personali, ma con le ricerche minuziose e imparziali dello storico. Riservate a un personaggio sul quale sono stati scritti migliaia di libri, in Italia e all’estero, un protagonista del XX secolo, fascinoso (fino ai primissimi anni di governo) per i biografi di mezzo mondo, condannato poi dalla storia, che non fa sconti a nessuno. Difficile, dunque, scoprire qualcosa di inedito, o esprimere giudizi che non risultino ripetitivi rispetto alle ricerche d’archivio (e alle analisi politiche e umane compiute nell’ultimo mezzo secolo). Dopo il lavoro monumentale di Renzo De Felice, per intenderci, è rimasto ben poco da scoprire e da raccontare. Enrico Veronesi c’è riuscito, nell’ultima parte del suo libro, dove racconta gli “amori milanesi”: Margherita Sarfatti, Leda Ravanelli, Angela Cucciati Curti, e – soprattutto – Ida Dalser, la macchia nera nella vicenda personale dell’uomo che avrebbe guidato, per un ventennio, i destini dell’Italia.
La storia di Ida è poco conosciuta, e piena di ombre, che non sono state illuminate dai memoriali scritti negli anni dell’immediato dopoguerra quando fu rimossa la censura che aveva accompagnato l’intera vicenda durante il regime. Anzi: come era logico che accadesse, ogni testimone dei fatti cercò di fornire una versione di comodo, in aperto contrasto con la verità documentabile e documentata. La Dalser, trentina di Sopramonte (pare che il padre fosse stato sindaco del paese), era una donna indipendente e volitiva, abbastanza spregiudicata per quei tempi. Nel 1914 (quando l’Europa era già in guerra, mentre l’Italia conservava una posizione neutrale) il suo nome comparve in un elenco inviato dal prefetto di Milano alla direzio-
secuzione scientifica contro Mussolini. Scrisse una quantità di lettere (persino al re e a parecchi ministri). In una lettera del 1917 a Vittorio Emanuele Orlando, giunse ad accusare Benito di incesto sostenendo che Rachele fosse la figlia illegittima di Alessandro Mussolini (nella trattoria del quale lavorava la madre di Rachele).
”Il giovane Mussolini”, ultimo libro di Enrico Veronesi
L’armi e gli amori del giovane Duce di Massimo Tosti ne generale di pubblica sicurezza, che conteneva i nomi di possibili sospetti di spionaggio. Va ricordato che la Dalser (che viveva allora a Milano, dove aveva aperto un salone di bellezza), in quanto trentina era una cittadina austriaca. La segnalazione rispondeva a criteri di routine. Altre indagini furo-
oltre un anno a Parigi, «centro e focolare di ogni corruzione», recitava la sentenza, per rientrare poi a Milano dove aveva aperto il “Salone Orientale d’Igiene e Bellezza Mademoiselle Ida”) erano in totale contrasto con la sua pretesa di accreditarsi come una fanciulla ingenua e pudica, ingannata dalle promesse di un uomo. All’inizio del 1914, la Dalser avviò una relazione con Mus-
naio successivo, Mussolini riconobbe anche questo figlio, ma nel frattempo (il 17 dicembre) aveva sposato Rachele, che la Dalser trattava con assoluto disprezzo definendola “la figlia dell’amante di suo padre”. I parenti della Dalser, nel dopoguerra, hanno raccontato che Mussolini avesse sposato Ida, prima del
Dalla relazione con la Dalser, disprezzata da Rachele, nasce nel 1915 Benito Albino, che prende il nome della madre. Una storia tragica che si conclude nel 1937 no aperte contro di lei per una vicenda molto personale: fu lei stessa a mettere in moto il meccanismo con una denuncia civile contro un certo professor Brambilla da lei accusato di averla sedotta con una promessa di matrimonio. Il tribunale le dette torto, sottolineando come i precedenti della donna (che aveva vissuto per
solini (allora direttore dell’Avanti) già legato con Rachele Guidi (dalla quale aveva avuto la primogenita Edda, registrata all’anagrafe con il cognome del padre, ma senza il nome della madre).
Anche dal rapporto con la Dalser nacque un figlio (l’11 novembre del 1915) che ebbe il nome di Benito Albino, ma fu registrato all’anagrafe con il cognome della madre. L’11 gen-
matrimonio civile con Rachele (che sarebbe stata, quindi, una concubina). Veronesi ha compiuto indagini molto approfondite su questo punto, giungendo alla conclusione che quelle nozze non fossero mai state celebrate, e che fossero soltanto il frutto dei vaneggiamenti della donna che – sentendosi abbandonata – avviò una per-
Come aveva fatto con il professor Brambilla, la Dalser trascinò in tribunale anche il capo del fascismo, sostenendo di essere stata – anche in quel caso – sedotta e abbandonata. Ma sostenne anche di aver prestato al proprio amante una ingente somma di denaro, che era stata da lui utilizzata per fondare il Popolo d’Italia. Anche questa circostanza è smentita dalle ricerche compiute da Veronesi, dalle quali risulta che dopo aver chiuso il salone di bellezza, Ida era ridotta in condizioni di assoluta indigenza. Le persecuzioni della donna (che – a più riprese – si abbandonò a scenate pubbliche) non giustificano, tuttavia, il comportamento di Mussolini, che garantì alla donna un assegno mensile per il mantenimento del figlio che non volle però mai conoscere, e del quale si disinteressò totalmente. Una volta diventato capo del governo, Mussolini adottò le maniere forti per chiudere la “pratica Dalser”, Nel 1926 dalla carta d’identità di Benito Albino sparì il cognome Mussolini. Il ragazzo fu affidato prima alla tutela dello zio e poi di un gerarchetto, uomo di fiducia del Duce. Nel 1926 la Dalser fu ricoverata in manicomio, sulla base di una diagnosi compilata da un otorinolaringoiatra. Morì nel 1937 in un manicomio di Venezia. Anche al figlio toccò la stessa sorte: morì nel manicomio di Mombello il 26 agosto 1942. Nessuno dei parenti fu informato della scomparsa. «Del padre – conclude Veronesi – possiamo dire che gli fece quattro grandi regali: gli trasmise la sifilide durante il concepimento, lo privò brutalmente dell’affetto della madre e degli zii che, non avendo figli, lo adoravano, lo privò del proprio cognome durante l’adolescenza, gli riservò un letto in manicomio come sudario per la morte».
memorie
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In un saggio di Edoardo Novelli ricostruito il clima dell’Italia del primo dopoguerra
La guerra psicologica Il ‘48 da spin doctor di Longanesi e Guareschi di Filippo Maria Battaglia i hanno celebrati come il prodotto della politica fatta immagine, i nuovi aedi della comunicazione di uomini di Stato e di governo del terzo millennio. In realtà, esistono da più di un secolo e negli ultimi sessant’anni hanno svolto un ruolo decisivo per le sorti del Belpaese. Diciamolo subito, quindi, e a scanso di equivoci: non è vero che i cosiddetti “spin doctor” - o nella variante nostrana piuttosto dispregiativa “stregoni della notizia” - sono il frutto moderno e piuttosto perverso della gestione della cosa pubblica negli ultimi anni. A far fede potrebbe bastare un esempio su tutti, che riguarda proprio il Belpaese: le elezioni del ‘48, con l’epico scontro Dc Fronte Popolare. Una data decisiva ed insieme il punto di non ritorno per le campagne elettorali degli anni seguenti. «Dal punto di vista della propaganda e della comunicazione politica le elezioni del 1948 segnano una netta rottura, uno spartiacque: nessun confronto è possibile con le esperienza precedenti… Al momento comizi, manifesti, fumetti, rotocalchi, processioni, teatri dei burattini, staute, radio, cinema e anche, in minima parte, sondaggi. In seguito televisione, spot, marketing, convention» scrive lo storico Edoardo Novelli nel saggio Le elezioni del Quarantotto, da poco pubblicato per Donzelli (euro 16, pp.189).
L
Perfino su questo campo, a spuntarla tra comunisti e diccì, sono quest’ultimi. Anche perché, nei mesi precedenti al voto, la campagna del Fronte popolare nei confronti dell’elettorato cattolico non è di certo tra le più tranquillizzanti. «I messaggi – sostiene sempre Novelli nel saggio - sono troppo radi, forse anche troppo sofisticati, per poter sperare di avere successo nei confronti della propaganda avversari».Tutta un’altra
musica, quella dei moderati. Insieme con vescovi e alti prelati, a fargli da consulenti è il fior fior del giornalismo del secolo scorso. Lo testimonia, ad esempio, un giovanissimo Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che nel suo diario annota: «Elkan mi dice che a Bologna i Comitati civici sono scatenati. L’arcivescovo Lercaro ha autorizzato i preti e i frati a costituire, in borghese, pattuglie volanti di propaganda. I manifesti di Vasile sono sublimi. Sotto un grande coniglio, vi è la scritta: “Non vota”. Ancora più bella è il fumetto dell’elettore che vota: “Dio ti vede, Stalin no”. E così via. Dovunque si segnala un grande attivismo femminile. Longanesi mi invia: L’altra faccia della Luna. Già ad una prima vista appare
Alcuni esempi di propaganda elettorale stile 1948 Gli spin doctor non sono un’invenzione recente. Erano al lavoro anche nell’immediato dopoguerra da una parte e dall’altra dei due schieramenti in lotta. Il Fronte popolare agitava l’antiamericanismo la Dc paventava il rischio dei cosacchi a San Pietro
molto efficace». Certo: a contribuire alla vittoria c’è anche l’azione decisiva dei porporati. Novelli ricorda la lettera dell’arcivescovo di Milano, cardinale Schuster, datata febbraio ’48 e indirizzata al clero milanese: «Non si possono disporre gli aderenti al comunismo o ad altri movimenti contrari alla professione cattolica: 1) quando aderiscono formalmente agli errori contenuti nelle loro dottrine; 2) quando prestino cooperazione, anche solo materiale, specie mediante il voto e, ammoniti, rifiutino di desistere… è gravemente illecito ad ogni fedele dare il proprio voto a candidati, o a una lista di candidati, che siano manifestamente contrari alla Chiesa, ovvero all’applicazione dei principi religiosi e morali cristiani nella vita pubblica».
Ma accanto ai prelati ci sono però pure i comitati civici. Come ricorda lo storico, «le linee guida della campagna elettorale si limitano a due: combattere l’astensionismo, combattere i nemici della fede. Due obiettivi contro dunque e non a favore, che favoriscono la visione dicotomica e l’estrema semplificazione dei loro messaggi. La principale novità dei Comitati civici consiste però in una differente idea degli obiettivi della propaganda e dei meccanismi che vi sottostanno. Già dai primi manifesti contro l’astensionismo è chiaro che si gioca con registri e valori differenti da quelli solitamente utilizzati dalla comunità politica.
Attivissimi, contro il cartello togliattiano Leo Longanesi, Giovanni Guareschi e Indro Montanelli
Turi Vasile, responsabile della Sezione psicologica e ideatore di molti di quei manifesti, è convinto che «la propaganda
memorie non deve dare tutto, deve dare lo stimolo, deve dare la provocazione, perché l’oggetto a cui è indirizzata possa integrarla con la propria immaginazione, con la propria fantasia, di modo da sentirsi con creatore dell’idea». Di qui, la radicale differenza coi manifesti di Togliatti e compagni: «Mentre molti manifesti, in particolare quelli del Fronte popolare, argomentano, spiegano, forniscono cifre, tabelle, convinti che il voto sia la risultante di un atto razionale, di una presa di conoscenza, i manifesti dei Comitati civici mirano a “suscitare uno shock capace di procurare un’emozione, di ispirare, di richiamare e di far pensare”, facendo leva sulla paura, evocando gli affetti materni, smuovendo l’autostima e l’orgoglio”».
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sogna gli articoli scritti con le erre rivoltate». Il più attivo, però, è forse Leo Longanesi. Disegna manifesti, idea slogan e fa persino il ghostwriter: sua è l’idea di scrivere diversi pamphlet propagandistici, ora in via di pubblicazione per la casa editrice Le Lettere nella collana del salotto di Clio diretta dallo storico Francesco Perfetti. È il caso ad esempio di Non votò la famiglia di De Paolis, un libretto a firma di due impiegati del Ministero degli Esteri. Per capirne la genesi è meglio affidarsi a ciò che scrive Giovanni Ansaldo, un altro che – sebbene in maniera piuttosto defilata – porta in quelle settimane idee e giudizi taglienti al fronte democristiano. Nel suo diario, il giornalista genovese annota: «Longanesi s’è buttato
I manifesti del Fronte erano assertivi, quelli Dc, più persuasivi, facevano leva sul sentimento
Comitati civici a parte, per la Dc e il fronte moderato il parterre di consulenti resta comunque vasto, e tutto composto da prime lame del giornalismo nostrano: oltre al citato Leo Longanesi, tra gli altri ci sono anche Indro Montanelli, Giovanni Ansaldo e Giovannino Guareschi. Da diversi mesi, quest’ultimo bacchetta senza tregua tic e conformismi del Fronte. Sua, come ricorda Guido Conti nella biografia pubblicata da Rizzoli (pp.586, euro 21,50) è l’invenzione dei «trinariciuti, che proprio sul settimanale satirico viene spiegata dal suo direttore: “Perché nel mio concetto base, la terza narice ha una funzione completamente indipendente dalle altre due: serve di scarico in modo da tener sgombro il cervello dalla materia grigia e permette nello stesso tempo l’accesso al cervello delle direttive di partito che, appunto, debbono sostituire il cervello. Il quarto cervello, lo si vede, appartiene oramai ad un altro secolo. Non dico, come i miei nemici personali desidererebbero, ad un’altra era. Perché la terza narice esisteva anche nell’altra era, ma era proibito mostrarla, e tutti dovevano portarla mascherata». Ma l’ideatore del Candido non si limita ad invenzioni e a calembour ad effetto: spesso, i suoi sono veri e propri attacchi al vetriolo. Come quando, racconta sempre Conti, «se la prende con Vittorini e il suo Politecnico e scrive: «Elio Vittorini. Il suo grande dolore è che la sua rivista comun-russaproletaria Il Politecnico debba essere composta in caratteri arabi e non cirillici. Di notte
sono state tirate duecentocinquantamila copie, che saranno distribuite dalla DC; e sono poche». La vicenda è semplice semplice, tutto il contrario di certi criptici messaggi comunisti: narra la sorte del povero signor Gualtiero De Paolis, professore romano di una scuola media superiore, che decide di non recarsi a votare il 18 aprile. La motivazione, abbastanza banale, la spiega proprio De Paolis in una lettera indirizzata ad un amico: «Si fece la fila per un’ora, ma partiva il treno per Frascati e abbiamo rimandato al ritorno. A Frascati invece mia suocera ci ha persuasi a passare la notte da lei e goderci il lunedì della vigna perché tanto non c’era scuola. E cosi è andata. Del resto, voto più, voto meno, in tanti milioni…».
anima e corpo nel lavoro di propaganda: manifesti, volantini eccetera. Di manifesti ne ha fatti alcuni molto efficaci: una testa di soldato russomongolo (da fotografia) con la legenda: “Questi sono quelli
che comanderanno”, di grande effetto... E infine, per conto della Dc ha stampato un opuscolo ”Non votò la famiglia De Paolis”, scritto da due giovanotti del ministero degli Esteri; un piccolo capolavoro. Ne
Il “borghese” De Paolis pecca così del più tipico difetto del suo ceto sociale: l’indifferenza, che presto però scotta con la presa del potere da parte del gruppo socialcomunista. A poco a poco, infatti, «il pane sulle bancarelle sale a 80 lire lo sfilatino», «il decreto del mese scorso fa obbligo a tutti i giornalisti di denunciare il partito a cui appartengono, e di iscriversi a uno se non lo fossero già», «i mercati sono un pianto», e via di questo passo fino
ad arrivare all’estromissione dei socialisti dall’esecutivo (il mite Nenni viene incarcerato) e ad un nuovo governo Longo, con un giovanissimo Berlinguer nei panni di occhiuto inquisitore. Il destino di De Paolis, del resto, non è da meno di quello dell’Italia intera: per una banale querelle viene sospeso dall’insegnamento ed arrestato insieme alla moglie e al figlio. La conferma che dietro alla storia ci sia l’estro del genio di Bagnocavallo proviene da un aneddoto che Perfetti svela nella prefazione al libro. Anni dopo, Longanesi autograferà infatti una copia di un altro libello, sempre a firma dei due scrittori, scrivendo: «Matteucci e Ranieri sono io… ma non lo dire a nessuno». Dell’“allegra brigata” come qualcuno la definisce in quei mesi – fa parte anche Indro Montanelli. Anni dopo, nella sua biografia scritta con Tiziana Abate (Soltanto un giornalista, Rizzoli, pp. 356, euro 16), il fondatore del Giornale racconterà così il clima preelettorale: «Siccome i miei accordi col “Corriere” m’impedivano di occuparmi di politica, sposai sotto pseudonimo la battagli anticomunista del “Candido”: E giunsi a presentarmi nelle piazze più scatenate per il Fronte al seguito del “microfono di Dio”, un certo padre Lombardi celebre per la sua oratoria torrentizia. Con Longanesi, poi, allestii una radio piazzata su una camionetta per denunziare i borghesi che, timorosi dell’affermazione rossa, s’accingevano a trasferire i loro capitali in Svizzera. Restammo convinti che questa trovata avesse contribuito in modo decisivo alla vittoria fino a quando il questore ci avvertì che delle nostre denunzie nessuna era arrivata a segno, perché con quella radio ci avevano imbrogliato: non trasmetteva». Significativo e piuttosto amaro l’epilogo: «Grazie a quello zelo, però, io e Leo fummo invitati a seguire lo spoglio dei risultati nella sede provinciale milanese della Dc. Quando il successo apparve incontrovertibile, spuntò un gigantesco panettone sul quale i militanti s’avventarono con voracità, senza degnarsi di offrircene neppure una briciola. Leo mi dette di gomito: “Ecco quel che dobbiamo aspettarci dalla vittoria della Dc”».
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Neofascismo,pericolo vero o informazione distorta? L’INFORMAZIONE ORAMAI È TROPPO DI PARTE, DOVREMMO PARLARE DI PERICOLO NEO-S-FASCISTA ”Pericolo neofascista”? Forse faremmo bene a parlare di ”pericolo neo-s-fascista”! Perché sicuramente brutti ceffi dell’estrema destra in Italia ce ne sono, e pure molti purtroppo. Ma l’uso che ne fanno i media, soprattutto di sinistra, per portare acqua al proprio mulino nel tentativo di alzare il tiro e l’attenzione contro l’ampio consenso della destra, anche quella moderata intendo, francamente è ancora più allarmante. C’è davvero da diffidare della stragrande maggioranza dei giornali (e dei giornalisti) che ogni giorno ci prendono in giro raccontandoci solo e soltanto le ”loro verità”. Cercano di fare leva sulla nostra emotività, pensando di scatenare in noi quelle reazioni a loro necessarie per sentirsi legittimati nel proseguire con le battaglie antifasciste. In nome poi di chissà quale moderna resistenza. Sulla storia ad esempio dell’aggressione al quartiere Pigneto di Roma, poi, i media hanno fatto davvero una gran brutta figuraccia. In molti hanno cercato di far finta di nulla, come se i titoli ”violenza fascista xenofoba in capitale” nessuno li avesse mai neanche immaginati. I più scaltri hanno invece trovato una credibile e poco imbarazzante (ma solo ai
LA DOMANDA DI DOMANI
loro occhi) via d’uscita. Come ad esempio Repubblica.it, che ha avuto l’idea di comunicare al mondo, con una videointervista all’aggressore, che la matrice del fattaccio non era né politica né tanto meno neofascista. L’autore dell’aggressione ha il ”Che”tatuato addosso ed è sempre stato di sinistra.
Flavia Damiano - Torino
I MEDIA NON FANNO CHE STRAVOLGERE I FATTI PER POI POTER GRIDARE ”ALL’ARMI, SON FASCISTI!” Finalmente una domanda che ci fa parlare dell’informazione in Italia. Come la giudico? Molto male. Prima di tutto in generale, visto che ci stiamo sempre di più avvicinando al modello gossipparo e scandalistico inglese (proprio sembriamo non riuscire a stare lontani dagli affari privati dei personaggi in vista). Dopodiché, la giudico male sul profilo politico. Quello che per intenderci genera l’allarme e il ”pericolo neofascista” senza prima essersi informati, come ad esempio è accaduto sui fatti del Pigneto a Roma. Gli sta proprio bene, a quei media là, quelli che non vedono l’ora che un qualsiasi extracomunitario venga aggredito per poter gridare ”all’armi, son fascisti!”. Ma insomma basta. Non ne possiamo più. Naturalmente critico l’aggressione di qualche giorno fa a Roma, ma almeno ha fornito l’occasione per sbugiardare tutti quei giornali di parte (molto di parte) che come al solito hanno preso la palla al balzo e strumentalizzato un fatto certamente deprecabile, ma che davvero niente aveva a che fare con il mondo dell’estrema destra dei cosiddetti neofascisti.
Filippo Agostini - Latina
Quali sono le misure più efficaci per ridurre l’inflazione? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
IL GIORNALISMO DOVREBBE ESSERE UN LAVORO, CERTO NON UNA SMACCATA MILITANZA POLITICA Che il ”pericolo neofascista”in Italia, e soprattutto a Roma, sia sempre stato amplificato e strumentalizzato dai media, è cosa risaputa. Il vero problema è che non solo quello viene distorto. Accade nella cronaca come nella politica, nella cultura come nello sport. L’informazione dovrebbe essere un lavoro e svolto con serietà. Non una militanza politica.
FONDAMENTALI DIREI! Da sempre l’esperienza giovanile non solo arricchisce ma riempie di contenuti e testimonianze gli incontri di liberal, sia in termini qualitativi che quantitativi. Lo sanno bene tutti i giovani che, in diversi momenti della nostra storia politico-culturale, hanno “frequentato” il nostro movimento. Giovani cui va il mio personale ringraziamento e quello di tutto il coordinamento nazionale dei circoli liberal per il contributo che quotidianamente viene dato, al di là delle singole scelte, anche di chi è andato via, seguendo o meglio “inseguendo” il sogno in brutta copia di Berlusconi dopo la svolta di San Babila. A quest’ultimi voglio ricordare che, il partito unico del centro destra che liberal aveva immaginato e progettato prima di tutti e che, forse i giovani sentivano proprio ancora prima dei dirigenti, non è quello inventato da Berlusconi sul “predellino” della propria automobile. Quello è un “cartello elettorale” senza regole né partecipazione democratica per questo non in grado di contenere idee diverse e giovani in cerca di soluzioni qualitative e meri-
MOCIO CANE
Buffo scatto di un cane di tre anni appartenente alla razza Puli al momento di saltare un ostacolo durante uno show a Dortmund. L’animale non ha vinto la gara di bellezza né quella di abilità, ma senza dubbio ha acciuffato lo scettro della simpatia
SE I COMUNISTI OGGI NON SANNO FAR DI CONTO
C’È IL RISCHIO DI UN RITORNO AGLI ANNI DI PIOMBO?
I comunisti più non sanno far di conto: Sgobio ricorda che nel 1997, ventuno anni fa, gli italiani dissero no al nucleare con un referendum. Peccato che fosse il 1987. Il compagno Nobile protesta contro la eventuale intitolazione di una via ad Almirante ”perché- dice a 30 anni dal ’68...”. Da allora di anni ne son passati 40. Capiamo la delusione della sconfitta, l’amarezza per l’estromissione dal Palazzo. Ma prima di provare a ritornarci, almeno facciano una capatina alle elementari: un ripasso di matematica non farebbe male. Cordialmente ringrazio per l’attenzione. Auguro un buon lavoro alla redazione di liberal e porgo i miei saluti.
Gentile direttore, la notizia dell’aggressione al professor Stefano Pescosolido, preside di Lettere della Sapienza, mi ha fatto ritornare con la memoria agli anni di piombo. Già gli episodi di intolleranza per la visita del Papa mi avevano lasciato molto perlesso, poi la rissa tra esponenti di destra e sinistra dei giorni scorsi e adesso l’aggressione al professor Pescosolido fotografano una situazione che sta degenerando giorno dopo giorno. mentre le forze politiche cercano di dialogare, nelle università e nelle piazze sale la tensione: studenti di destra contro quelli di sinistra, abitanti delle periferie contro immigrati. E ora anche i professori finiscono nel mirino.
dai circoli liberal Gaia Miani - Roma
Sabrina Fantauzzi - Roma
tocratiche e che al di là dei gazebo trovano poco spazio. Il lavoro di liberal con i giovani e per i giovani continua oggi come prima nella costituente di centro,verso il nuovo partito unico dei moderati italiani, ponendo la questione giovanile come vero “focus”su cui innestare l’esperienza e la storia di uomini e donne che hanno fatto grande la nostra nazione, qual’è stata quella del popolo dei moderati, dei democratici, cristiani, laici e liberali italiani in riferimento al partito popolare europeo. Tanti sono quelli con cui quotidianamente mi confronto, consapevoli e convinti che questa sia la strada giusta e che, come tutti noi, continuano come prima è più di prima nel loro quotidiano impegno verso il traguardo finale, senza pettegolezzi, recriminazione o quanto possa escludere e non includere consenso, partecipazione e forza al nostro lavoro politico, sociale e culturale. Questi sono i valori che rappresentano lo “stile” giovane dei circoli liberal su tutto il territorio nazionale e per i quali i giovani vivono e partecipano all’esperienza liberal con autonomia ed autorevolezza sicuri di contare nella forma ma an-
Ambrogio Proietti Viterbo
che nei contenuti. I nostri giovani ricoprono ruoli e promuovono iniziative etiche e sociali, importanti e fondamentali discussioni per il territorio e le proprie legittime aspettative, sia esse di tipo politico che culturale, ecco perché sono riferimento per le comunità in cui vivono e lavorano facendo concretamente vivere liberal come riferimento anche locale da cui partire per un futuro migliore... dentro e fuori dai palazzi della politica e del potere istituzionale. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo Ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Tu sei il mio decimo tentativo Cara Anna, ho forse detto che gli esseri umani possono essere archiviati in categorie? Allora, se l’ho detto, lasciami fare una precisazione: non tutti gli essere umani. Tu mi sfuggi. Non riesco a classificarti, ad afferrarti. Posso indovinare nove volte su dieci a seconda delle circostanze, quelle nove volte su dieci posso riconoscere le pulsazioni dei cuori. Ma al decimo tentativo rinuncio. Tu sei il decimo tentativo. Mai sono esistite due anime così simili e così incomprensibilmente assortite! Possiamo andare d’accordo, certamente, ma quando non siamo d’accordo, ce ne accorgiamo subito e immediatamente non usiamo più lo stesso linguaggio. Qualche volte siamo attraversati da un lampo, tu ed io, abbiamo quel qualcosa in comune che ci fa respirare insieme. Sebbene siamo così diversi. Riesco a farmi capire? Riesci a sentire la mia voce? Temo di no. Ce ne sono tanti di posatori. Io sono il migliore di tutti. Jack London ad Anna Strunsky
EMERGENZA A NAPOLI: OCCORRONO GLI ISPETTORI? Voglio esprimere la mia profonda solidarietà a Bertolarso e alla Di Gennaro e voglio rendermi disponibile a qualunque sforzo mi sia richiesto per contribuire a risolvere la catastrofe napoletana. Una classe politica allo sfascio. Un sistema delle istituizioni che lascia senza parole chi dovrebbe rappresentare, tutelare e sostenere. Quando c’è un minimo spiraglio di uscita da una crisi umanitaria, ambientale e sanitaria c’è qualcosa che si oppone. Dopo la popolazione arriva la magistratura, che attraverso gli strumenti messi a disposizione dall’attuale statuto legislativo inoltra avvisi di garanzia, arresta e rende possibile la pubblicazione delle intercettazioni di Bertolaso, Di Gennaro e Panza i quali prima di essere membri a vario titolo delle istituizione della repubblica sono privati cittadini. Conversazioni pubblicate come se fossero telecronaca di una partita di calcio e che diventano pettegolezzo tra chi li legge, con l’aggravante che generano confusione e contribuiscono a creare un clima da preguerra civile. Il buon senso, l’amore per il popolo non esistono.
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
31 maggio 1884 John Harvey Kellogg brevetta i corn flakes 1902 Seconda guerra boera: Le ultime forze di resistenza degli Afrikaner firmano un trattato di pace con il Regno Unito a Pretoria, mettendo fine alla guerra, ed assicurando il controllo britannico sul Sudafrica 1916 Prima guerra mondiale: Battaglia dello Jutland 1942 La Luftwaffe bombarda Coventry, Inghilterra 1960 Theodore Harold Maiman sperimenta il primo laser 1961 Creazione della Repubblica del Sud Africa 1972 A Peteano una pattuglia di carabinieri, accorsa in seguito ad una telefonata, incappa in una bomba: tre le vittime. L’attentato è impropriamente noto come strage di Peteano 1974 Siria e Israele firmano un accordo di disimpegno che risolve la guerra del Kippur
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
Ma questi magistrati e procuratori dove sono stati in questi 14 anni di sfacio evidente? Se ci sono responsabilità vanno prima accertate e poi perseguite a norma di legge. Ma spero che chi contribuisce a fermare la macchina che cerca con tutti i suoi limiti di portare Napoli, la Campania e l’Italia intera fuori da questa vergogna finalmente accerti la verità attraverso prove, fatti e non supposizioni. E che in caso di errore questi personaggi paghino. Che il ministro della Giustizia mandi gli ispettori alla Procura di Napoli per verificare e monitorare il grande lavoro svolto di questi anni ma anche per accertare ed eventualmente punire severamente chi si è reso complice dello sfascio e adesso, a discapito del popolo, vuole solo salvare la faccia di una magistratura che ha perso il senso dello Stato.Chi vuole un po di gloria basta che denunci qualcosa e tutti i giornali divengono cassa di risonanza dei nuovi delatori di turno (napoletani non napoletani, cioè che non vivono a Napoli da anni): da Saviano a Pino Daniele, da Gigi D’Alessio ai magistrati, da Borriello a Chiaiano City.
Ubaldo Molinari - Napoli
PUNTURE L’aggressore del Pigneto non era di destra ma di sinistra. Quando si dice fare di tutta l’erba un fascio.
Giancristiano Desiderio
“
il meglio di SAPIENTI FASCISTI Quanto dovremo aspettare ancora per sentir dire da qualcuno che le nostre università sono un ricettacolo di nostalgici fascisti che non indossano più le camice nere, ma gli idumenti slargati e straccioni che vanno molto di moda nei covi dei giovani sinistrorsi? Quanto dovremo aspettare perchè qualcuno si indigni per il clima di tensione che si respira nei nostri atenei, dove i militi del comunismo intimidiscono chiunque abbia qualcosa da dire che suoni un minimo diverso dai soliti slogan contro Berlusconi, l’America e Israele che si sentono nei corridoi delle facoltà? Quanto dovremo aspettare perché qualcuno si scusi di tutte le volte che ha puntato l’indice contro chi non voleva far altro che esprimere una propria idea ed è stato per questo costretto a difendersi dalle aggressioni fisiche e verbali dei Collettivi. L’hanno chiamato provocatore. Ma hanno accettato che venisse messo a tacere. Ammettiamolo: in Italia si grida al ritorno del fascismo per distrarre l’opinione pubblica dalle vere intolleranze e dal vero razzismo che viene giorno per giorno perpetrato da chi è ideologicamente portato ad imporre le proprie idee credendole senza dubbio migliori di quelle degli altri.
Il Pensatore ilpensatore.wordpress.com
E’ possibile fallire in molti modi, mentre riuscire è possibile in un modo soltanto ARISTOTELE
UNIVERSITÀ “COLLETTIVA”
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
Dei sei fermati e poi arrestati per gli scontri davanti all’Università La Sapienza a Roma, tre sono stati messi agli arresti domiciliari. Francamente non si capisce ancora bene da quale parte sia giunta l’aggressione. Quello che è certo è invece come si è arrivati all’instaurar-
si del clima che ha fatto bollire gli spiriti. Tutto nasce quando il movimento politico Forza Nuova (per il quale qui non si nutre nessuna particolare simpatia, ma non è questo il punto) annuncia che parteciperà a un convegno, che si doveva tenere appunto nelle aule dell’Università, riguardo alla vicenda storica delle foibe. Gli studenti della Facoltà di Lettere e i Collettivi insorgono. No al convegno, l’Università è antifascista, dicono. Al di là di chi organizza i convegni, si pensava che sulle foibe non ci fosse da questionare nè di fascismo nè di antifascismo, trattandosi (si pensava, si sperava) di una vicenda passata sotto silenzio per decenni e su cui finalmente c’era una memoria condivisa. Viene poi da chiedersi se l’Università non debba allora dichiarsi anche anticomunista, dopo quello che è successo il secolo scorso. Ma dovrebbe dichiararsi anche anti-tante-idee-e-cose-funeste-o-dannose-o-antipatiche e, quindi, tanto vale che si accettasse una buona volta che essa è e non può non essere, semplicemente, al di là dei proe degli anti-, che il luogo del libero e scientifico confronto delle idee. (...) Tutto molto inquietante purtroppo, mentre nel frattempo si sta in pensiero per la terribile deriva xenofoba e neonazista di cui è preda ogni angolo della Capitale, problema che diventa ancora più pressante ora che si è scoperto che il responsabile dei fatti del Pigneto ha tatuato Ernesto ”Che” Guevara sul braccio. Ora, se si deve seguire la stessa logica, qualcuno dovrà dire che l’aggressione era di matrice comunista vero?
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