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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Il candidato repubblicano risponde alla linea di politica estera di Obama

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La mia America fermerà la minaccia di Ahmadinejad

di Ferdinando Adornato

colloquio con John McCain di Jeffrey Goldberg estremismo islamico è, per John McCain, il pericolo più grave del Medio Oriente. Per Obama, ad essere centrale, è il conflitto israelo palestinese, vera priorità internazionale dell’America. E ancora: il senatore Obama considera gli insediamenti israeliani “non utili” al processo di pace. McCain, di contro, non interviene nel merito, ma identifica gli attacchi missilistici di Hamas verso Sderot come un problema pressante. Entrambi hanno posizioni siffatto differenti su Philip Roth. McCain vuole mantenere una linea dura con l’Iran (come Obama, dopo le dichiarazioni di mercoledì), e accusa Teheran non soltanto di volere la distruzione di Israele, ma di sponsorizzare gruppi terroristici – Hamas ed Hezbollah – entrambi tesi (anche) alla distruzione degli Stati Uniti. Motivo, quest’ultimo, che rende a suo giudizio assolutamente centrale per gli Usa la politica di difesa di Israele. Obama potrebbe sedersi al tavolo con Ahmadinejad se fosse necessario, McCain mai se prima non si verifica un netto e duraturo cambio di rotta. E si è spinto oltre: «Gli Stati Uniti d’America hanno promesso a se stessi di non permettere mai più un altro olocausto». E ancora «Ho avuto l’impressione, nulla di speciale, ma solo l’impressione, che la pazienza del governo israeliano e del suo popolo sia colma».

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LA LEGA CONTRO NAPOLITANO

Scontro di Stato alle pagine 2 e 3

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80606

Prima l’assenza alla festa del 2 giugno, ora la pretestuosa polemica sui rifiuti: il partito di Bossi non perde occasione per attaccare il Quirinale e l’unità nazionale. Berlusconi da che parte sta?

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Federalismo, parla Savino Pezzotta Zeffirelli contro il nuovo presidente

Prestito ponte: la Ue apre la procedura d’infrazione

I fallimenti dell’economia pianificata

«Modello Lombardia? Bisogna proteggere le regioni deboli»

«Rondi? Bene per chiudere la Festa»

di Susanna Turco

di Riccardo Paradisi

di Gianfranco Polillo

di Enzo Reale

«Il modello Lombardia mi lascia perplesso. Serve un meccanismo di compensazione per le aree più deboli: altrimenti ha ragione Vendola, si tratta di una dichiarazione di guerra al Sud».

Gian Luigi Rondi: sarà lui il direttore della festa del Cinema di Roma, l’evento voluto da Goffredo Bettini ai tempi dell’era Veltroni. La conferma arriverà solo lunedì, ma ormai il dado è tratto.

Semplificazione legislativa da un lato, caos parlamentare dall’altro. E mercoledi 11 giugno, la Commissione europea aprirà una procedura d’infrazione contro il prestito-ponte.

Dieci anni dopo l’ultima grande crisi alimentare che tra il 1996 e il 1999 uccise più di un milione di persone, lo spettro della carestia aleggia nuovamente sulla Corea del Nord.

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GIUGNO

Alitalia, in volo verso il baratro

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

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WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

Corea del Nord: lo spettro della carestia

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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scontro di stato

Il Carroccio antiunitario si inventa il fantasma dell’immondizia campana in viaggio verso il Nord

Il Gran Rifiuto della Lega di Errico Novi

Nella guerra Bossi-Colle rischia di logorarsi la sua nuova immagine

Ma Berlusconi con chi sta? uello tra il Capo dello Stato e la Lega Nord è uno scontro inevitabile. I pretesti sono puri accidenti e possono variare da un giorno all’altro, ma arrivano facilmente alla ribalta perché le ragioni dello scontro hanno radici strutturali. Già l’assenza dei ministri del Carroccio alle celebrazioni per la festa della Repubblica lo scorso 2 giugno aveva acceso le polveri. Ieri la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’emergenza rifiuti in Campania. Con un intervento, se vogliamo brutale, Napolitano ha lanciato ieri un violento j’accuse contro la camorra, ma anche contro quelle imprese del nord che se ne servono per trasferire in Campania “rifiuti tossici altamente pericolosi”. Da queste dichiarazioni – ineccepibili, anche perché pronunciate da chi, come il Presidente della Repubblica, è costituzionalmente il garante dell’unità nazionale – non poteva che montare una polemica con un partito, la Lega, che da sempre si è sentita depositaria del destino di rappresentare la volontà di una parte del Nord del paese.

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La Lega non parla più da tempo di secessione ma certamente non è un movimento che faccia dell’unità nazionale la propria bandiera. Probabilmente nemmeno la classe dirigente leghista ha mai creduto veramente di poter realizzare una vera e propria secessione formale. Del resto non si vede nemmeno in quale forma avrebbe potuto raggiungere un tale obiettivo: ponendo forse fine al rapporto con il resto d’Italia da parte di due o tre regioni? Ma via, si tratta solo di fantasie. Il fatto è però che la secessione è stata sempre e solo uno slogan, un’operazione di pressione politica, morale e costituzionale. Da questo punto di vista la Lega è da sempre un movimento secessionista. Un secessionismo certamente virtuale che costituisce però la sua carta d’identità. Un documento al quale la Lega non può rinunciare ma con il quale, appunto, non può che cozzare il pensiero di chi, per ufficio, è tenuto a farsi carico dell’unità nazionale. Perciò lo scontro Lega-Napolitano, al di là delle diplomazie, è inevitabile. Il caso in questione è un esempio di scuola. Il presidente della Repubblica Napolitano non ha attaccato il Nord: ma la camorra che per tramite di certe aziende del settentrione d’Italia fa confluire al sud rifiuti considerati tossici. E, cosa ancora più importante, non ha mai proposto di inviare i rifiuti della Campania al Nord. Eppure il sottosegretario Castelli, agitando un puro sospetto, ha trovato politicamente importante attaccare ugualmente il Capo dello Stato. Appunto, come dicevamo: un puro pretesto per dar voce ad uno scontro simbolico che, probabilmente, non è destinato ad esaurirsi con qualche smentita. Se così stanno le cose il problema non si fermerà davanti alle porte del Quirinale né dalle parti di Pontida, ma si scaricherà per intero su Silvio Berlusconi. E’ noto a tutti, ed anche al presidente Napolitano, come il premier stia studiando da statista, probabilmente per salire lui stesso al Quirinale una volta terminato il mandato dell’attuale inquilino del Colle. Eppure il partito che è il suo principale alleato non perde occasione per accendere “scontri di Stato” che hanno per oggetto un’unità nazionale nella quale Bossi e compagni non credono affatto. Sarà possibile per Berlusconi mantenere l’equilibrio tra l’alleanza politica con la Lega e l’idillio con il Capo dello Stato? E’ verosimile che Berlusconi ci provi, che continui a “barcamenarsi”tra il tenere insieme “i cocci”dell’alleanza e il suo profilo di statista. Ma è altrettanto verosimile che non ci riesca.

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ROMA. Alla fine arriva anche qualche dichiarazione dal tono più suadente. Ma la rivendicazione localista non manca mai: «I rifiuti vanno smaltiti nelle rispettive regioni, questo è un principio stabilito anche dalla legge». Lo dice Roberto Cota, che assicura sì «la stima di Umberto Bossi e della Lega per il presidente Napolitano, verso il quale non facciamo nessuna polemica», ma ci tiene innanzitutto a marcare il territorio pa-

politano sulle imprese settentrionali che hanno smaltito i rifiuti tossici in Campania. Sembra impossibile una vera conciliazione tra lo spirito unitario del Capo dello Stato e le urgenze propagandistiche del Carroccio. Anche se un altro esponente del Pd, Stefano Ceccanti, ricorda a liberal che «il presidente della Repubblica si impegna molto nel tenere la Lega all’interno delle regole del gioco, lo ha fatto pochi giorni fa con l’in-

ADRIANA POLI BORTONE «Il presidente della Repubblica ha voluto ristabilire un principio di verità, certo non ricorda le responsabilità delle aziende settentrionali per dividere il Paese. Il Carroccio fa il proprio mestiere, ma è ora che il Sud ritrovi l’orgoglio»

dano. E lo stesso Roberto Castelli cede alla distensione solo nel pomeriggio, ore dopo l’invito del Capo dello Stato a «leggere la relazione della commissione parlamentare sui rifiuti» e la sua interpretazione autentica: «Sono venuto a Napoli per sollecitare soluzioni sul posto, non al Nord». Parole magiche che finalmente rassicurano anche Castelli: «Registro con favore che il Capo dello Stato auspica un intervento sul territorio campano». L’importante per il Carroccio è ricordare che il Settentrione «ha pagato troppe volte le inefficienze del resto del Paese». Ai “nordisti” evocati l’altro ieri dal presidente della Repubblica interessa sbandierare il proprio ruolo di difensori dell’interesse padano. Non sarebbe stato impossibile per Castelli accertarsi che nel piano di Guido Bertolaso «non c’è alcun treno in partenza per la Lombardia o il Veneto», come spiegano fonti vicine al capo della Protezione civile.

Dare torto a Ermete Realacci è difficile: «È bene che la Lega moderi i toni e lasci perdere la propaganda». Il nodo è qui, nella campagna elettorale permanente che il partito di Bossi conduce. Tutto può tornare utile allo scopo, anche la libera interpretazione delle parole di Na-

tervento sul federalismo fiscale. È il partito di Bossi ad avere a volte un linguaggio extraparlamentare, a esprimere posizioni irrazionali». Quando questo accade, dice il costituzionalista e deputato democratico, «quando ci sono affermazioni inaccettabili, i leghisti vanno attaccati duramente. Ma è anche vero che seppur con toni sbagliati, Bossi e i suoi individuano un problema vero, l’inefficienza dello Stato centrale. Bisogna rispondere con una nuova unità

mi della Campania sono un problema di tutta Italia, nessuno di noi intende lasciare sola quella regione», assicura Roberto Formigoni dopo il vertice a Palazzo Chigi sul federalismo fiscale. Non ci sarà bisogno di trasferimenti da Napoli agli impianti lombardi, in ogni caso. Nel giro di dieci giorni saranno aperte tre discariche tra Caserta e Avellino, le oltre 30mila tonnellate di spazzatura ancora non raccolta ricominceranno a viaggiare sui treni diretti in Germania.Tutte cose che la Lega di governo sa bene, anche se la Lega di lotta impersonata per esempio dal presidente della commissione Agricoltura Angelo Alessandri si rivolge così verso il Capo dello Stato: «Forse non ha letto bene le relazioni del Parlamento, se vuole gli do una mano io a capire meglio: non si può dare la colpa a un’azienda del Nord che paga e riceve un certificato legale, se l’affare viene poi gestito con la camorra».

Non tutti i leghisti assolvono i produttori di rifiuti tossici. Ma anche chi li accusa lo fa con tono di sfida verso il Colle: «Faccia i nomi», dicono dalla Liga Veneta. Richiesta simile arriva dal senatore padano Lorenzo Bodega. Al suo intervento in aula si aggiunge quello di Adriana Poli Bortone del Pdl, che spiega il suo sconcerto «per la gravità delle affermazioni fatte dal presidente della Repubblica, di fronte alle quali non si può fare finta di niente». L’ex sindaco di Lecce chiede che il governo porti al più presto un’informati-

STEFANO CECCANTI «I leghisti usano a volte un linguaggio extraparlamentare e in questi casi va attaccata duramente. Pone con un linguaggio sbagliato un problema vero, l’inefficienza dello Stato centrale: bisogna risponderle con un nuova unità basata sulle autonomie»

nazionale costruita a partire dalle autonomie».

È un clima pesante, in cui ci sono dissociazioni più o meno esplicite di big del Pdl dal “gran rifiuto”del Carroccio: «I proble-

va a Palazzo Madama ed esclude che con la frase sulle aziende del Nord «Napolitano abbia cercato di introdurre un elemento di divisione: ho lavorato con lui in commissione e ho apprezzato personalmente», dice


scontro di stato

a liberal la senatrice, «la sua attenzione ai principi di garanzia istituzionale: è intervenuto per ristabilire un principio di verità». Adesso il Mezzogiorno «dovrebbe reclamare una forma di risarcimento», dice la Poli Bortone, «lo stesso presidente della Repubblica è comunque animato da un orgoglio meridionale. Certo è inaccettabile

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Fraintese ad arte, le parole di Giorgio Napolitano sullo smaltimento dei rifiuti tossici prodotti da aziende settentrionali: gli esponenti del Carroccio hanno messo in relazione l’intervento del Capo dello Stato con un’inesistente ipotesi di trasferimento della spazzatura campana negli impianti del Nord l’idea che le stesse aziende del Nord che hanno fatto accordi con la camorra per smaltire i rifiuti tossici si siano sempre guardate bene dall’investire nel Mezzogiorno». Eppure la Poli Bortone mette in conto che la

Lega «faccia il proprio mestiere: conosciamo bene la ragione sociale di questo partito e trovo che sia assolutamente legittima. È il Sud che deve darsi a sua volta una scossa, e guardare al federalismo in chiave

competitiva». Intanto c’è il’avvicendamento definitivo tra Bertolaso e Gianni De Gennaro, che dal 10 giugno lascerà il commissariato all’emergenza e passerà definitivamente il testimone al sottosegretario. Berlu-

sconi ha invitato entrambi a accelerare la raccolta nelle zone turistiche. Lunedì il Csm valuterà le proteste delle toghe napoletane sulla Superprocura, con una accelerazione sui lavori dovuta proprio al pressing di Napolitano. Che si batte mentre altri giocano per fare la loro legittima propaganda a spese dell’unità nazionale.

Cui prodest la polemica tra Lega e Quirinale? Per Stefano Folli la querelle sui rifiuti tossici dal Nord rivela lo scontro in atto per l’indirizzo del governo

«In gioco è la leadership del Cavaliere» colloquio con Stefano Folli di Nicola Procaccini

ROMA. La polemica tra la Lega Nord di Umberto Bossi ed il capo dello Stato si è arricchita ieri di nuovi capitoli. Le parole del presidente della Repubblica sulla provenienza nordista dei rifiuti tossici in Campania ha scatenato reazioni da ogni direzione politica, a cominciare dagli uomini del Carroccio. Sulla diatriba in corso di svolgimento, siamo andati a raccogliere l’opinione di Stefano Folli, attento osservatore delle dinamiche politiche nazionali. Che idea si è fatto di questa querelle? Penso che Napolitano stia svolgendo un ruolo di equilibrio rispetto alla legislatura, senza uscire dai suoi ambiti, naturalmente. La mia impressione è che tra lui è Berlusconi ci sia una convergenza di interessi e di intenzioni politiche. In politica è così, quando c’è una sintonia ci si trova d’accordo senza bisogno di parlarne. Berlusconi ha bisogno del Quirinale, e Napolitano ha accettato di farsi garante di questa fase politica. In che senso? Mi sembrava che la disputa avesse messo in difficoltà il premier? Certamente la questione è piuttosto delicata. Ma io ho l’impressione che la legislatura sia cominciata nel segno di questo rapporto. Napolitano asseconda le mosse del“cavaliere” e lo aiuta a stare in

una cornice politica nella quale si possano riconoscere anche le forze dell’opposizione. E’ chiaro che si tratta di una situazione instabile e la Lega deve stare attenta a definire la propria linea politica perché non è l’unica ad avere delle buone carte in mano. La legislatura è appe-

ziale, Berlusconi vuole far intendere alla Lega che il gioco lo comanda lui. Il suo contributo sarà determinante nell’azione dell’esecutivo, ma non è il governo della Lega. Questa è la stagione in cui si vuole ricostruire il senso dello Stato in Italia. Un obiettivo che sta a cuore a tutti, particolarmente a Napolitano. Nel merito della vicenda, come ti poni rispetto alle parole del presidente della Repubblica e alle reazioni della Lega? Mah! Che alcuni rifiuti tossici giungano in Campania dal nord non è mica una novità. E’ assolutamente vero, e ci sono gli studi della Commissione bicamerale a certificarlo. Infatti se ne discute da anni. E che ne pensi della parola “nordisti”citata da Napolitano? Non ha un suono strano? Soprattutto se usata da uno dei presidenti più attenti della storia repubblicana? Non ci avevo pensato… e forse c’è un duplice significato in questo. Lui ama molto Napoli e sente davvero questo dramma dei rifiuti con un pathos non indifferente. Ma penso pure che abbia parlato in questi termini per dare un minimo di soddisfazione morale ai napoletani. Pensa che possa servire a far risvegliare la coscienza civile della città.Tutta

La legislatura è appena cominciata e Bossi deve stare al gioco, ben attento a scegliere i momenti giusti per forzare i toni

na cominciata e Bossi deve stare al gioco, ben attento a scegliere i momenti giusti per forzare i toni e le posizioni. Ho la netta impressione che la posta in gioco sia lo scettro del comando in questa legislatura. Attraverso la sponda presiden-

Italia li biasima, li considera responsabili del disastro, inerti ed incapaci di fronteggiare l’emergenza. Sembra proprio che il Presidente abbia voluto dire: «Attenzione, ci sono responsabilità diffuse che attraversano tutta la penisola. In troppi hanno considerato la Campania come la pattumiera del Paese. Non è vero che c’è un settentrione tutto virtuoso ed un meridione tutto peccatore». Insomma, non penso che Napolitano volesse scaricare sul nord i problemi del sud, ma fargli capire che anch’esso ha la sua responsabilità. Mentre parliamo ho sotto gli occhi le ultime dichiarazioni leghiste di giornata: mi sembrano molto più morbide delle precedenti nei confronti del capo dello Stato. Pensi sia intervenuto Berlusconi? Sicuramente. D’altra parte, io penso davvero che sia in atto, seppur in forme ancora abbastanza soft, un certo modo di mettere i puntini sulle i. E’come se il premier dicesse: «Calma, perché chi comanda in questo Paese ed in questa coalizione sono io». Il rapporto costruito con Napolitano è funzionale a questo. Immaginavo che gli uomini del Carroccio avrebbero stemperato i toni. Non deve essere sottovalutata l’intelligenza di Umberto Bossi; il leader della Lega sa di non poter disperdere inutilmente la sua forza polemica. La discussione accesa e sterile con il presidente della Repubblica consuma il credito istituzionale del Carroccio con grave nocumento del suo obiettivo principale: il federalismo.


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alitalia

Gli sforzi del ministro Tremonti e una scommessa sempre più difficile da vincere

In volo verso il baratro Resta il nodo dello strapotere sindacale e manca una strategia industriale di Gianfranco Polillo emplificazione legislativa da un lato, caos parlamentare dall’altro: è il nuovo paradosso della vicenda Alitalia. Il Governo, al fine di migliorare la legislazione in materia, aveva accorpato le norme che riguardano la compagnia di bandiera in un unico decreto legge, in discussione alla Camera dei deputati. Il testo originario era quello del 28 aprile 2008, firmato da Romano Prodi, ma concordato con Silvio Berlusconi, ormai candidato a succedergli. Le nuove norme, invece, erano in parte contenute nel decreto sull’Ici. Quindi elaborate successivamente e comunicate dal ministro dell’Economia in uno degli ultimi Consigli dei ministri. Ed era già stato questo episodio motivo di scandalo.

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regole e delle prassi costituzionali. Doveva tranquillizzare gli animi, invece è successo il contrario. L’ostruzionismo, nell’aula di Montecitorio, è portato avanti dal partito di Di Pietro sotto lo sguardo infastidito dello stesso Pd di Veltroni. Troppo protagonismo in una vicenda così delicata. Ma Di Pietro – si sa – è alla ricerca di visibilità, pronto a cavalcare qualsiasi occasione gli consenta di smarcarsi dall’alleato e presentarsi al Paese come l’unico, vero,

quindi opportuno che il ministro ci ripensasse». Valutazioni pesanti: come si vede. Assolutamente condivisibili se Alitalia fosse una società normale, in una situazione normale. Ma è questo il caso? Sul Sole 24Ore, Gianni Dragoni ricordava ben 5 anni di anomalie: dalle dichiarazioni inopportune del ministro Lunardi del 2003, passando per quelle di Romano Prodi fino all’ultima norma, contenuta nel decreto legge, che limita gli interventi della Consob. Ma si poteva fare diversamente? In una situazione per molti versi disperata, il ricorso a una procedura ad hoc, forse – il condizionale è d’obbligo – era necessario. L’importante è conseguire un risultato. E solo dopo sarà possibile un giudizio definitivo.

Ci potrà essere una rinascita se la compagnia saprà riportare i conti in equilibrio. E per farlo è necessario partire con dolorosi tagli al personale

La stampa, riportandone i lavori, aveva chiosato sulla procedura seguita.Tremonti – era stato scritto – non consegna nemmeno il testo del nuovo decreto legge ai suoi ministri. Che sono costretti a votarlo a scatola chiusa. Poi si è visto che non si trattava di un nuovo decreto, ma di un semplice emendamento da depositare presso la Commissione trasporti. Nessuna violazione quindi delle

oppositore del governo e dell’asse privilegiato tra i due principali leader. In questo è aiutato da una parte dell’opinione pubblica pronta ad anteporre il primato delle regole rispetto all’effettività dei risultati. Esempio illuminante di questo atteggiamento è stato il commento di Francesco Giavazzi, sulle colonne del Corriere della sera. «Per procedere alla scelta di un concorrente senza gara», ha notato, «il governo ha dovuto adottare un decreto legge (in deroga alle norme generali, ndr). Sarebbe

Nell’attesa vale la pena ricordare gli ingredienti principali di questo disastro da tempo annunciato e mai affrontato. A partire dal fallimento di tutti coloro che, per anni, si sono occupati a vario titolo della compagnia di bandiera. La cui endemica debolezza è stata soprattutto il frutto di un management e di un gruppo dirigente che tale non è mai stato.

Mercoledì la bocciatura di Bruxelles

Per la Ue il prestito ponte è fuori legge Nuova procedura contro l’Italia di Maria Maggiore

Non dimentichiamo che l’azienda è stata gestita – da almeno trent’anni a questa parte – per conto del sindacato. Poteva favorire la scalata ai vertici dei propri iscritti; condizionare le decisioni operative, specie in tema di assunzione; negoziare carichi di lavoro del tutto eccentrici rispetto alle regole imposte dalla concorrenza internazionale. L’aver subito per troppo tempo queste condizioni ha portato l’azienda prima alla paralisi e poi al disastro, scardinando ogni equilibrio di bilancio. Se non si parte da qui non si capisce la natura della crisi e non si risolve il problema.

BRUXELLES. Dicono sia un atto dovuto, vorrebbe rivivere il dramma di tre anni un modo per proteggersi di fronte all’assalto delle compagnie aeree contro Alitalia. È probabilmente anche una maniera ufficiale per concedere più tempo al governo Berlusconi nella ricerca affannosa di un compratore per Alitalia. Ma mercoledi prossimo, l’11 giugno, la Commissione europea aprirà una procedura d’infrazione contro il prestito-ponte di 300 milioni, concesso alla moribonda compagnia di bandiera. Prestito poi convertito in un’iniezione nel capitale che ancora di più fa storcere il naso agli esperti di Bruxelles, che ne vedono un chiaro profilo da aiuto di Stato illeggittimo.

Le date non sono una coincidenza e spiegano un fine gioco politico che si sta attuando in Europa e di cui l’Italia è un’utile pedina. L’11 giugno è la vigilia del referendum irlandese sul nuovo Trattato di Lisbona. Unico referendum indetto tra i 27 soci del club europeo per la ratifica per nuovo testo costituzionale, per il momento tiene i palazzi comunitari con il fiato sospeso. Nessuno infatti

fa, quando il doppio no franco-olandese ai referenda sulla Costituzione, fece piombare l’Unione europea in una crisi di funzionamento, ancor prima che d’identità, senza precedenti. «Il «Sì» nel referendum irlandese deve vincere a tutti i costi, pena la fine dell’Europa», sentenziano i più pessimisti a Bruxelles. E seppur il fronte del «Sì» sembra maggioritario, i «No» stanno crescendo negli ultimi giorni e, soprattutto, c’è un pericoloso 30 per cento d’indecisi che si aggira nell’urna. Ecco perchè mostrare il pugno duro verso l’Italia può servire a recuperare qualche indeciso o qualche moderato euroscettico. Tra l’altro una delle compagnie aeree più accanite contro la difesa delle compagnie di bandiera e, in particolare Alitalia, è proprio l’irlandese Ryanair, di Michael O’Leary. Inoltre aprire una procedura d’infrazione su Alitalia, toglie un’enorme gatta da pelare al neo-commissario italiano Antonio Tajani, che dopo quattro giorni, il 16 giugno, deve presentarsi davanti alla Commissione Trasporti dell’Europarlamento per un’audizione e il successivo


alitalia

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Di Pietro spinge il Pd all’ostruzionismo sul decreto

Sfida all’ultimo emendamento di Irene Trentin

ROMA. «Confidiamo in Sant’Intesa e

Alitalia può rinascere soltanto se il suo nucleo vitale è in grado di assicurare un equilibrio di bilancio. E poiché il fatturato, almeno nel breve periodo, non può crescere, è prioritario tagliare i costi. Partendo – dispiace dirlo – dal personale. Quindi approntare un mini piano industriale che, con queste premesse, si ponga il compito di far crescere l’azienda, riassumendo progressivamente i lavoratori posti in cassa integrazione. Se questo sarà l’esito finale, importa poco che a gestirlo, come advisor, sia IntesaSanpaolo, ieri competitor di Air France. L’importante è questo risultato preli-

voto di fiducia. Ora, la sua nomina è stata già accompagnata da un mare di polemiche, sullo spessore, assai scarso, del personaggio (finora capodelegazione di Fi all’Eurocamera), e ancora di più sulla sua sudditanza al Cavaliere. Sottoporsi all’esame dei deputati, portando l’apertura dell’infrazione a Alitalia come esempio d’indipendenza del nuovo commissario, è quindi una trovata geniale del presidente della Commissione Barroso, che aspira a un secondo mandato alla Commissione e tenta, in questi mesi, di evitare qualunque conflitto con governi e Parlamento. Il prestito-ponte ha tanto l’aria di un aiuto di Stato, per giunta non strumentale a un piano di privatizzazione, che potrebbe, forse, farlo digerire. Ma le procedure europee sono lunghe, tra richiami, risposte del Governo e inizio di una causa, passeranno almeno diciotto mesi. Poi qualche anno prima di arrivare a un obbligo di rimborso. Intanto o si saranno trovati i famosi compratori di Alitalia o la società non esisterà più. Non a caso la Corte di giustizia del Lussumbergo sentenzierà il prossimo 9 luglio sulla ricapitalizzazio-

minare. Poi si potrà di nuovo trattare con la compagnia francese, nella giusta ricerca di un sistema di alleanze, capace di reggere alla concorrenza del mondo globalizzato.

Una minestra riscaldata? No, qualcosa di diverso da una trattativa in cui Alitalia era solo soccombente. Lo dimostrano le ultime dichiarazioni di Vincent Bollorè, l’uomo di finanza francese e amico di Sarkozy, che ha plaudito alla possibilità di una nuovo incontro, invitando, tuttavia, l’Italia a rimanere un azionista attivo nella nuova partnership. ne di Alitalia del 1997 da 2.750 miliardi di lire. A 11 anni di distanza.

L’Italia è anche al centro del dibattito sul tema caro-greggio, dopo la proposta del ministro Tremonti di adottare una tassa «Robin Hood» sui petrolieri per aiutare le fascie più povere della popolazione, gravate dall’aumento dei prezzi alimentari. A Lussemburgo, dove è stato presentato il progetto, molti ministri delle Finanze si sono detti a favore e anche la Commissione europea ha escluso che una nuova tassa settoriale sia discriminatoria verso la concorrenza. Ma il consenso era più per disinteresse che per una reale motivazione. La tassazione è infatti materia nazionale, quindi Bruxelles non ha niente da dire. Se invece sia la soluzione auspicabile in Europa per fronteggiare l’inarrestabile aumento del prezzo del petrolio, lì pochi si schierano a favore dell’Italia. Il tema verrà discusso al prossimo vertice europeo del 19 e 20 giugno. I francesi cercheranno di far resuscitare la loro idea di diminuire l’Iva per la benzina, accolta con molta freddezza da quasi tutti i governi.

San Paolo», aveva scherzato il ministro Claudio Scajola. Ma ora, neppure l’intera schiera di santi sembra fare il miracolo per l’Alitalia. Di certo, non ci crede il segretario del Pd, Walter Veltroni, che parla di una «situazione sempre più drammatica» e di «condizioni per mettere a rischio la compagnia di bandiera». Toni accesi e interventi infuocati hanno continuato fino a notte fonda alla Camera a rallentare il provvedimento per la conversione in legge del decreto sul prestito ponte da 300 milioni all’Alitalia, seppellendolo sotto decine di emendamenti. Per bloccare il provvedimento, l’opposizione ha scelto la strada dell’ostruzionismo, con l’effetto immediato di far slittare la votazione finale a martedì prossimo. A far propria questa strategia l’Italia dei valori, con continui interventi. una rimarcare «Vogliamo sperequazione e un’ingiustizia per la quale si tolgono soldi dalle tasche dei cittadini per darli alle lobby», ha detto il leader del partito, Antonio Di Pietro, «La nostra proposta è che si fermi il decreto a come era stato varato dal governo Prodi e non si utilizzino fondi dis-

togliendoli da quelli per le politiche sociali». Levata di scudi anche da parte dell’Udc, che ha ribadito il proprio voto contrario. È toccato a Gianluca Galletti, capogruppo della commissione Bilancio alla Camera, esprimerne le obiezioni nella relazione. E ora ribadisce: «Siamo molto preoccupati dalle scelte di un governo che si definisce liberale e presenta un provvedimento che di liberale non ha niente. Si sta creando una società con licenza di uccidere, sottratta a qualsiasi tipo di regola. Questo costituisce un pericolo per tutto il sistema». Il nuovo testo del decreto, esaminato dalla commissione Trasporti di Montecitorio, presenta modifiche rilevanti rispetto a quello approvato dal precedente governo e recepisce altri due decreti dell’attuale esecutivo: la capitalizzazione del “prestito ponte”per far fronte alle perdite della compagnia di bandiera, l’individuazione di un advisor, individuato nella figura di IntesaSanpaolo, che potrà presentare un’offerta per conto terzi ma anche in proprio, l’esonero dagli obblighi informativi al mercato. Ma sul provvedimento che dovrebbe facilitare la privatizzazione dell’Alitalia, pende la spada di Damocle della Consob, che ne ha sospeso il titolo, e della Commissione europea, che potrebbe aprire una procedura d’infrazione e chiede un piano credibile di privatizzazione.

Galletti (Udc): «Così il governo sta creando una società con licenza di uccidere, sottratta a qualsiasi regola»

«Sarebbe la misura più sbagliata, perchè non spinge a consumare di meno, quindi a diminuire l’inquinamento», ha commentato il Segretario di Stato tedesco alle Finanze Thomas Mirow. «La verità è che non ci sono bacchette magiche», spiega una fonte della Commissione. «I prezzi resteranno alti, perchè non c’è equilibrio tra domanda e offerta e alcuni paesi, come Cina e India, hanno aumentato i consumi energetici, in parte anche la gente è più ricca», spiega la stessa fonte. Bisogna quindi rimboccarsi le maniche e mettere in piedi misure a lungo termine, «le tassazioni una tantum non risolvono il problema della dipendenza energetica dell’Europa» ; si legge nella nota che i ministri dell’Economia hanno inviato ai capi di governo come base per il summit di giugno. La Commissione al vertice ribadirà il suo credo. Consumare meno energia, costruire meglio gli edifici, investire sulle rinnovabili e aumentare le riserve di petrolio. Per sganciarsi dall’isteria del barile. Le Robin Hood Tax hanno il fiato corto. Tranne che servano a altri scopi immediati. Come coprire il taglio dell’Ici.

Ad alimentare le polemiche l’assenza di gran parte dei parlamentari dell’opposizione, che ha evitato che saltasse il numero legale. L’emendamento presentato dall’Italia dei Valori non è passato grazie alla mancanza di 18 deputati assenti che avevano preso la parola prima del voto. La querelle si è spostata subito dopo sulla presunta irregolarità del voto, denunciata dall’Idv, per la presenza di alcuni “pianisti” tra la maggioranza. Ma rimane l’intero provvedimento a non convincere l’opposizione. «Trecento milioni di prestito a fondo perduto - puntualizza Galletti - corrispondono al bilancio di un comune di 180mila abitanti, chiamato a fornire in cambio servizi per tutta la comunità. Questo decreto è immorale. Manca del tutto la risposta al tipo di piano industriale che verrà scelto e sulla destinazione di questi fondi. L’Udc non è disposta a concedere all’Alitalia ulteriori risorse, ne chiediamo piuttosto il commissariamento».


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politica Giancarlo Galan (a sinistra), Roberto Formigoni (a destra), Savino Pezzotta (in basso)

ROMA. Si scaldano i motori del federalismo fiscale. Dopo il rilancio del modello Lombardia fatto domenica a Pontida dal ministro Umberto Bossi, proprio in coincidenza dell’incontro tra governo e Regioni interviene a gamba tesa Giancarlo Galan. Dalle colonne di Libero Mercato, il governatore del Veneto si scaglia contro il modello Formigoni tanto caro alla Lega: «Prima bisogna garantire i livelli minimi a tutte le Regioni, e poi parliamo del gettito locale», dice, bocciando il progetto di legge secondo il quale l’80 per cento dell’Iva e il 15 per cento dell’Irpef dovrebbero restare alle regioni. Intanto, da Roma, il leader del Pd Walter Veltroni chiede chiarimenti: «La nostra disponibilità a discutere della materia resta ma vogliamo capire, dal governo e non dalla Lega, di che cosa parliamo. Noi siamo per un federalismo che non sia un secessionismo mascherato». Immediata la replica di Bossi: «Il nostro modello non gli piace? Peccato per lui». Intanto il vertice con le Regioni finisce con un segno positivo: «Il governo si è impegnato a incontrarci in via preventiva, prima di emanare il provvedimento», dice il governatore della Lombardia Roberto Formigoni: «E comunque sta lavorando sulla base del documento che le Regioni hanno approvato all’unanimità»rispetto al quale «la proposta di legge del Consiglio regionale lombardo» è soltanto «una possibile esemplificazione». «Il punto di partenza sarà il documento sui principi elaborato nel 2007 dalle Regioni», precisa Errani, contribuendo a dare l’impressione che, dopo i roboanti annunci di campagna elettorale, il modello Formigoni rischia di non avere poi tanto spazio. Del resto, fuori e dentro il governo i critici non mancano. A parte Galan, prudentemente perplesso sul progetto lombardo è il ministro delle Regioni Raffaele Fitto, che nei giorni scorsi ha invitato a trovare «un punto di equilibrio con l’opposizone» proprio con l’obiettivo di frenare lo slancio leghista. «La legge lombarda vorrebbe cominciare a costruire la casa dal tetto» ha spiegato invece il ministro ombra delle Riforme Sergio Chiamparino. Raggiunto da Liberal, anche il deputato uddiccino Savino Pezzotta non è entusiasta del modello Formigoni: «Qualche dubbio ce l’ho», spiega. Perché? Presenta un federalismo a

Savino Pezzotta boccia il modello Lombardia

«Federalismo fatto per le Regioni forti» colloquio con Savino Pezzotta di Susanna Turco geometria variabile. Ossia? Mantiene la maggior parte delle risorse alle regioni, ma questo penalizza le aree del paese che sono più deboli. Secondo alcuni ciò potrebbe favorire la competitività. Si può anche vederlo come un sistema competitivo, ma la competizione è fra diseguali. Tante risorse alle Regioni ”ricche”, poche risorse alle regioni ”povere”: che razza di gara è? Il governatore della Puglia Nichi Vendola dice che il progetto bossian-formigo-

Serve un modello che sia anche solidale, con meccanismi di compensazione per le Regioni più deboli niano è «una dichiarazione di guerra alle regioni del Mezzogiorno». È d’accordo? Beh, sì. Questo tipo di federalismo è costruito per le regioni forti, mentre un modello che sia anche solidale deve mettere in gioco dei meccanismi di compensazione che tengano

conto delle diverse realtà. Ma c’è un altro punto che non mi convince. Prego. Non si possono lasciare alle regioni delle risorse se non sulla base delle competenze che le amministrazioni sono disponibili ad assumere. Bisogna stabilire una correlazione. Vuol dire che in questo modo non si fanno i conti con la garanzia dei livelli essenziali di assistenza che devono essere dati a tutti? Bisogna cominciare a dire quali compiti sono in grado di svolgere le Regioni senza mettere in discussione i diritti universali di ciascuno. Se non c’è questo, trattenere soltanto le risorse probabilmente non porta da nessuna parte. Ci si aspetta che sulla riforma federalista, quando arriverà nell’agenda politico-parlamentare, ci sia quella convergenza tra maggioranza e opposizione che, oltre

ad evitare la necessità di un referendum sulla riforma, dovrebbe segnare questa legislatura come “costituente”. Lei come la vede? Per la verità, non ho visto grandi prove di dialogo su questa questione. Né

sul resto, a partire da Alitalia: siamo inchiodati in Assemblea da due settimane , qui non mi pare che ci sia qualcuno che vuol dialogare. Veltroni dice che resta disponibile al dialogo. Ma per dialogare, vista l’articolazione dell’opposizione, bisogna essere più di due: si deve essere in quattro. E comunque su Alitalia non vedo nessuna prova di intesa: si fa ostruzionismo, si continua a votare, non si accolgono le proposte dell’opposizione. Se è dialogo, lo è a senso unico. La probabilità di approdare a una riforma federalista condivisa è dunque bassa? Per arrivarci bisogna aprire dei confronti seri. Le riforme istituzionali vanno concertate con tutti: ora siamo solo alle dichiarazioni, di reale non c’è niente. Si discute tanto di dialogo, ma trovo solo prove di non dialogo. Una situazione abbastanza strana. Quanto al federalismo, fino a qualche anno fa c’era chi lo metteva in contrapposizione all’unità nazionale. Ritiene che quella visione sia superata? Il federalismo è un modo per realizzare l’unità: in tutti gli Stati federali è stato utilizzato per questo, solo qui in Italia qualcuno ha pensato che servisse ad altro. Pezzotta è un fan del federalismo? Per la verità io preferirei l’autonomismo, in senso istituzionale: accentua maggiornmente il senso di responsabilità.


politica

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Il nuovo presidente della kermesse di Roma non convince intellettuali e registi

«Rondi? Bene per chiudere la Festa» d i a r i o

di Riccardo Paradisi Per Franco Zeffirelli: «Gian Luigi Rondi è bravissimo, ha un’esperienza straordinaria. È la persona più adatta per portare a termine l’esperienza della Festa del Cinema di Roma»

d e l

g i o r n o

Berlusconi: Ogm in paesi non autosufficienti Ricorrere all’Ogm in tutti quei Paese dove non c’è autosufficienza alimentare. L’idea è del premier Berlusconi che, commentando i lavori del vertice Fao a Roma, ha aggiunto: «Il futuro si risolve solo con maggiore formazione e con una più ampia messa a disposizione delle varie tecnologie». Il presidente del Consiglio, intervistato da Radio Vaticana, ha poi sottolineato che l’Italia ha portato i suoi contributi per la lotta contro la fame nel mondo da 60 milioni a 190 milioni di euro.

Maroni: l’Ue con noi sull’immigrazione

ROMA. Gian Luigi Rondi: sarà lui il direttore della festa del Cinema di Roma, l’evento voluto da Goffredo Bettini ai tempi dell’era Veltroni. La conferma arriverà solo lunedì prossimo, ma ormai il dado è tratto. Dado tratto, ma polemica ancora aperta. Sul nome di Rondi nessuno eccepisce frontalmente, ma sui criteri della scelta, sul fatto che si siano scartati altri nomi la critica c’è e non è nemmeno troppo sottile. Quella più diretta arriva addirittura dal deputato del Pd Roberto Giacchetti che obietta alla giunta di Alemanno il fatto di non avere scelto per la festa del Cinema di Roma un nome chiaramente di destra come quello di Luca Barbareschi. «Lungi da me criticare lo spessore e le qualità di Rondi», dice Giacchetti «ma credo che nel panorama culturale che fa riferimento al centrodestra sarebbe stato auspicabile individuare anche altre personalità in grado di gestire, magari in maniera dinamica ed innovativa, un evento cosi importante. Mi riferisco a Luca Barbareschi, che credo avrebbe potuto contribuire ad offrire una visione originale, libera e anticonformista nelle scelte e nell’interpretazione della festa. Considero la decisione del sindaco Alemanno un’occasione mancata, per il centrodestra e per la citta». Ma nel Pd non tutti la pensano così: il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo e quello della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, benedicono la scelta di Alemanno e la salutano come un atto di continuità: «Dopo un grande presidente come Bettini con Rondi si prosegue per la strada giusta». La continuità appunto. E del resto

vuoi per il clima di appesement vuoi per il fatto che i ranghi della destra nel mondo del cinema sono scarni era ben difficile immaginare un atto di rottura. Pietrangelo Buttafuoco, inviato di Panorama, la spiega così: «La destra è stata fuori da tutto quanto riguarda la cultura e la produzione delle idee. Per l’impalpabile mondo dell’immaginario e del cinema poi ha un totale disinteresse. Di quale rottura o scelta originale avrebbe dunque dovuto essere capace? Ecco, io per esempio, rottura per rottura avrei scelto Tatti Sanguinetti per la festa del Cinema di Roma.

Sorrentino: «Mi sembra risibile che il presidente pensi di italianizzarla». Buttafuoco: «La destra non si è mai interessata al cinema» Intellettuale di grande versatilità e senza chiusure mentali». E in effetti Sanguinetti è talmente aereo che alla domanda di liberal su che cosa ne pensi della nomina di Rondi risponde: «Dica che non mi ha trovato, che sono in Tanzania, anzi no, in Asia a fare campagna acquisti per l’Inter. Abbia pietà di me». È più diretto invece Paolo Sorrentino, il regista del Divo: «Non so cosa vorrà fare il prossimo presidente, ma quelle che ho sentito finora mi sembrano ipotesi sconclusionate e risibili, mi riferisco in particolare alla presunta necessità di italianizzare la Festa».

Ma l’analisi più articolata e perfida è quella di Franco Zeffirelli: «Meglio di Rondi non potevano scegliere. Rondi è bravissimo, ha un’esperienza straordinaria. È la persona più adatta per portare a termine questa esperienza». E se chiedi al Maestro di spiegare meglio quel ”portare a termine” meglio, lui chiarisce: «Ha capito bene è meglio che la festa del Cinema di Roma sia soppresso. E che a portarlo alla tomba sia un uomo accorto come Rondi. A cosa serve questo festival se non a fare concorrenza indebita al festival di Venezia?. È un prodotto di quei fasti veltroniani che hanno rovinato Roma, su cui sono state stornate montagne di denaro pubblico, mentre Cinecittà rovinava». Se così fosse, se l’intento dovesse essere quello di portare a chiusura il festival allora si spiegherebbe anche una scelta interlocutoria come quella di Gian Luigi Rondi.

Anche se Giano Accame, intellettuale di destra storico, è d’accordo con l’analisi di Buttafuoco: «La destra non ha dei quadri di riferimento nel mondo del cinema. È sguarnita. È dunque costretta a ricorrere a giovani e brillanti emergenti che cambiano idea o a vecchie glorie come Rondi, peraltro bravissimo e aperto alla cultura di destra anche in anni in cui era tabù esserlo». Accame fa poi dei confronti: «Quando Mussolini abbandona l’Avanti e con quattro redattori crea Il Popolo d’Italia sceglie il partito della cultura. La sinistra ha studiato bene quella lezione e l’ha messa in atto. I ceti riflessivi sono ancora suoi. La destra se l’è dimenticata».

La direttiva Ue sui rimpatri conferma che quella del governo italiano sull’immigrazione è «la strada giusta». Lo ha affermato il ministro dell’Interno Roberto Maroni, a margine dei lavori dei ministri degli Interni Ue, che hanno dato il loro via libera all’intesa raggiunta sulla direttiva per i rimpatri degli immigrati clandestini extracomunitari. La presidenza di turno slovena punta a far approvare la direttiva dal Parlamento europeo, in prima lettura a giugno.Ieri Austria e Belgio hanno sciolto la riserva, che avevano mantenuto nella riunione dei rappresentanti permanenti di due giorni fa. La direttiva punta ad armonizzare la normativa europea circa i rimpatri e prevede, tra l’altro, la possibilità di detenere un immigrato clandestino fino a 18 mesi in appositi centri, in caso di rischio di fuga, non collaborazione nel rimpatrio e nel caso in cui non siano disponibili i suoi documenti.

Riforme, incontro tra Letta e Veltroni Incontro mattutino ieri a Montecitorio tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e il leader del Pd Walter Veltroni. Il colloquio, durato circa mezz’ora, è iniziato poco dopo le otto nello studio di cui Veltroni dispone, quale leader dell’opposizione, al piano Aula. «Abbiamo proseguito una discussione sulle riforme istituzionali per portare il pacchetto Violante prima possibile in Parlamento e questo è stato il cuore e il centro dell’incontro», ha spiegato Veltroni.

De Magistris, indagati magistrati e giornalisti Magistrati, giornalisti e politici, fra i quali un parlamentare, sono coinvolti nelle inchieste avviate dalla Procura di Salerno per il presunto «clima di ostilità» che si sarebbe creato intorno al sostituto procuratore di Catanzaro, Luigi de Magistris. I procedimenti penali sono stati inseriti in nuovi filoni d’inchiesta. I reati ipotizzati, a vario titolo, vanno dal concorso in abuso d’ufficio alla rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, passando per calunnia, diffamazione, corruzione in atti giudiziari e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Tutti questi reati vedono come persona offesa il pm catanzarese.

Mussolini «relegata in piccionaia» E’ scoppiata ieri nell’aula della Camera la protesta dei deputati in ”piccionaia”, cioè di coloro che sono seduti nell’ultima fila dell’emiciclo. A sollevare il problema Alessandra Mussolini, che ha criticato l’assegnazione definitiva dei posti decisa dal suo gruppo parlamentare e, sostenendo la scomodità di seguire i lavori dal suo posto, è andata a sedersi tra i banchi del governo. Il presidente di turno, Maurizio Lupi, le ha ricordato che da quella postazione non poteva né votare né parlare. La polemica a quel punto è divampata. L’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, è intervenuto sottolineando la «novità inedita» che addirittura venisse messa in discussione l’assegnazione dei posti nella cosiddetta ”piccionaia”: «Mussolini ha sollevato una questione mai posta dal ’48. Se quello che dice è vero, vuol dire che dal ’48 si ledono i diritti dei deputati che siedono in ”piccionaia”. Qui si sta finendo nel ridicolo».


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società

L’Italia delle comunità religiose. Viaggio nelle associazioni cattoliche/6 Comunità di Sant’Egidio

L’Internazionale della carità di Francesco Rositano hanno ribattezzata “l’Onu di Trastevere” per il ruolo decisivo giocato nel promuovere i diritti umani e nel risolvere alcune delicatissime controversie internazionali. Ultimo risultato il lancio di una moratoria mondiale contro la pena di morte, approvata recentemente dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. È la Comunità di Sant’Egidio - associazione internazionale laicale della Chiesa cattolica - da quarant’anni in prima linea per difendere i più deboli e per promuovere la pace. Attività con i più poveri, comunicazione del Vangelo e attenzione alla preghiera sono i suoi pilastri. Pilastri che in pochi anni l’hanno portata ad essere protagonista per tutte le questioni di alta diplomazia. In assoluto il più grande successo di Sant’Egidio rimane la mediazione tra il governo del Mozambico e la guerriglia della Renamo: due anni di trattative a Trastevere (dal ‘90 al ‘92), insieme all’ex sottosegretario agli Esteri Mario Raffaelli, che pongono fine a quindici anni di guerra civile con un milione di morti. Ma i fronti sono tanti: Burundi, Guatemala, Liberia, Uganda, Darfur, fino alla Costa D’Avorio pacificata riunificata all’inizio del 2007 dal lavoro del Burkina Faso e della Comunità dopo cinque anni di divisione dovuta alla guerra civile. Da non dimenticare anche la decisiva svolta nella trattativa per far cessare la guerra civile in Libano. È il 1983 quando le milizie druse assediano i villaggi cristiani sulle montagne dello Shouf, a sud est di Beirut, e la situazione nel Libano è vicina al collasso. Per i cristiani accerchiati non sembra esserci scampo. Poi, improvvisa, la svolta. Maximos V, patriarca melchita cattolico di tutto l’Oriente, incontra il leader druso a Trastevere, nel cuore di Roma. I due si parlano, trattano, e dall’aristocratico signore della guerra parte l’ordine. Via l’as-

L’

sedio, i cristiani possono fuggire. Il colloquio avviene nell’antico convento di Sant’Egidio, e la Comunità, nota fino al quel momento per le iniziative di solidarietà sociale e il lavoro nelle borgate romane, irrompe a sorpresa sulla scena internazionale.

Attualmente il suo ruolo è riconosciuto dai grandi della terra. A partire dagli Stati Uniti. Non è un caso che il presidente in carica Gorge W. Bush, in occasione della sua visita a Roma del giugno scorso, abbia incontrato i vertici di Sant’Egidio e avrebbe voluto visitarne la sede. Motivi di sicurezza l’hanno impedito. Ma il presidente americano ha portato con sé un’antica stampa del convento che la Comunità gli ha regalato. Recentemente anche il prestigioso settimanale americano Time ha manifestato un grande apprezzamento per la tecnica di peacemaking di Sant’Egidio che, si legge, «non è un semplice mercanteggiamento ma un’azione di conversione, che ha la forza di trasformare una persona da nemico in semplice avversario politico». È fondamentale affermare, però, che Sant’Egidio non è un’organizzazione laica tipo “Médecins sans frontières”, ma è nata come comunità cattolica integrale. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant’Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant’Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani. Da allora, Sant’Egidio replica il modello di Assisi ogni anno. La “spiritualità dell’unità”, la forte tensione all’ecu-

menismo, l’idea che tra gli uomini i punti in comune siano più forti delle differenze culturali e religiose, la accomuna al movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Infine va ricordato l’impegno per combattere l’Aids in Africa oppure altre iniziative umanitarie, come quella contro le mine anti-uomo, ovvero il concreto aiuto ai profughi e alle vittime di guerre e carestie, come in Sud Sudan, Burundi, Albania e Kosovo, o le recenti azioni a sostegno delle popolazioni colpite in Centro America dall’uragano Mitch, o per la liberazione di schiavi, dove questa pratica inumana è ancora utilizzata. Oggi la Comunità di Sant’Egidio conta più di 60.000 aderenti ed è diffusa in 70 paesi. Ma tutto nasce “dietro casa”, a Roma, da un gruppetto di ragazzi del liceo romano, tutti di origine borghese, che nella bufera del ’68, decidono a loro modo di essere protagonisti di una loro personale rivoluzione. Decidono di prendere l’autobus al contrario per andare non al Colosseo, a Fontana di Trevi, ma dal centro verso le borgate romane dove il degrado era assoluto. Così, quando ancora gli immigrati venivano dal Sud

insegna Storia Contemporanea a Roma Tre - in occasione della visita del Papa nella basilica trasteverina di San Bartolomeo, ricordando gli anni della fondazione ha affermato: «Cercavamo un mondo nuovo e comprendemmo di doverci rinnovare personalmente e sempre». «Siamo stati preservati – ha aggiunto – dal freddo delle ideologie di quegli anni, dal calore bruciante del vivere per sé, per guardare agli altri, ai più poveri». Uno dei loro slogan era «dalla parte dei figli delle donne di servizio», che dimostra sia le origini borghesi sia le aspirazioni cristianamente “rivoluzionarie”

Siamo stati preservati dal freddo delle ideologie del secolo scorso, dal calore bruciante del vivere per sé, per guardare agli altri, ai più poveri d’Italia e non dall’Africa o l’Est europeo, quei ragazzi con i vestiti in ordine scendevano sul greto del Tevere, tra i baraccati.

Questa grande tensione verso i più poveri conduce questi giovani del “Virgilio”, guidati da Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio a staccarsi da Gioventù Studentesca, il gruppo che faceva capo a don Luigi Giussani che presto sarebbe diventato Comunione e Liberazione. Il 7 aprile Andrea Riccardi - che oggi ha 58 anni ed

dei primi militanti e la scelta chiave di stare dalla parte dei poveri come il “Buon Samaritano”. Cominciarono dalle baracche,“il Terzo mondo sotto casa”. La prima missione fu a ponte Marconi, nella baraccopoli sotto il Cinodromo, con la “scuola popolare” per i bambini delle baracche, esperimento poi esteso alla Garbatella, a Primavalle e a molte zone calde della periferia romana. Oltre alle baracche, i giovani della comunità, (che ancora non si chiamava “di Sant’Egidio”) si occu-

pavano di barboni, immigrati, nomadi, malati. Nel 1973, grazie a don Vincenzo Paglia (oggi vescovo di Terni e presidente della commissione Cei per il dialogo ecumenico, allora viceparroco di Santa Maria in Trastevere), il movimento trovò la sua attuale sede nell’ex convento a piazza S.Egidio, ormai abbandonato dalle monache di clausura.

Oltre alla Chiesa di Sant’Egidio e a quella di Santa Maria in Trastevere, Giovanni Paolo II affidò all’associazione fondata da Riccardi anche la basilica di San Bartolomeo, dove lo scorso 7 aprile Benedetto XVI ha celebrato la messa per i martiri del XX e XXI secolo, approfittando della ricorrenza del quarantesimo anno dalla fondazione della Comunità di Sant’Egidio. La basilica ospita memorie e reliquie di molti santi dei nostri tempi: dal vescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, assassinato sull’altare dagli squadroni della morte il 24 marzo 1980, al cardinale messicano Posadas Ocampo, ucciso dai narcotrafficanti all’aeroporto di Guadalajara, dal monaco Sofian Boghiu, oppositore del regime comunista in Romania, a don Andrea Santoro, il prete romano ucciso a Trebisonda, in Turchia, come il prete francese Andre’ Jarlan in Cile, testimoni del dialogo e dell’amicizia con i


società

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La storia della Comunità raccontata da monsignor Vincenzo Paglia

«Macché Onu di Trastevere siamo Vangelo-dipendenti» ROMA. «L’impegno per la trasformazione della so-

più poveri. Dopo la celebrazione il Pontefice ha affermato: «Vi ringrazio per questa vostra opera apostolica; vi ringrazio per l’attenzione agli ultimi, per la ricerca della pace, che contraddistingue la vostra Comunità. L’esempio dei martiri, che abbiamo ricordato, continui a guidare i vostri passi, perché siate veri amici di Dio e autentici amici dell’umanità». Oltre alle luci, che sono tante e pubblicamente riconosciute, su questa comunità sono state gettate anche delle ombre. E diverse critiche. La prima è quella di essersi spesso avventurata in una “diplomazia freelance”, per certi versi antagonista e non del tutto concordata con la Segreteria di Stato Vaticana. Le altre invece, riguardano la vita interna della comunità. E in particolare un’ingerenza eccessiva nella vita dei suoi aderenti che arrivava a influenzare anche le scelte più private. Come gli studi da intraprendere, la persona da sposare, e addirittura la decisione se avere o meno figli. Indipendentemente dalle critiche restano tanti fatti: quotidianamente i membri di Sant’Egidio sono per strada accanto ai poveri. Siano essi senza tetto, persone con handicap fisici o mentali, anziani. Il loro è un “Vangelo di strada”, lontano dai privilegi e dalle gerarchie. Restano i limiti, ma essi sono connaturati agli uomini.

Per la Comunità di Sant’Egidio, il cambiamento della società non deriva da un progetto politico, ma dall’annuncio e dalla testimonianza del Vangelo. Un impegno che si è sempre caratterizzato per l’attenzione alle ”membra ferite” della società: i poveri, gli anziani, i soli. In alto una manifestazione di Sant’Egidio dopo il ’68. Nella pagina a lato monsignor Vincenzo Paglia, assistente ecclesiastico della Comunità

cietà non nasce da un’ideologia o da un progetto politico. Per Sant’Egidio sgorga dall’incontro con Dio nella preghiera, nella liturgia e nell’aiuto ai più poveri. Solo Lui ci libera dalla schiavitù dell’individualismo, del materialismo e da quella falsa libertà che in realtà ci rende schiavi del proprio io». Parole di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-NarniAmelia. Uno dei primi a seguire, negli anni successivi al ’68, quei “ragazzi del Virgilio”, quando era giovane sacerdote. Da allora non li ha più lasciati. Eccellenza, qual è secondo lei il contributo originale che la Comunità di Sant’Egidio può dare alla missione della Chiesa? Senza volermi dilungare troppo rimanderei all’intervento che l’allora cardinal Joseph Ratzinger fece al primo convegno dei movimenti alla vigilia del Grande Giubileo. Giovanni Paolo II aveva apertamente detto che nei nuovi movimenti si poteva scorgere una nuova primavera della Chiesa. Il cardinale sottolineava che l’esperienza dei movimenti era interna alla stessa apostolicità della Chiesa. Potrei dire che in questo versante storico il carisma della Comunità di Sant’Egidio è quello di mettere in evidenza il primato dell’amore di Dio nella storia degli uomini, un amore che non conosce alcun confine e che tutti abbraccia a partire dai più deboli. A Sant’Egidio abbiamo compreso che l’universalità dell’amore è sperimentato dall’attenzione che si ha anzitutto alle membra più fragili della società umana: gli anziani, i zingari, i più deboli, i soli, la difesa della vita, la lotta contro la pena di morte. Nella storia della comunità c’è stato il rischio di essere travolti da una tentazione secolarista? All’inizio c’era il rischio di farsi travolgere dall’ideologia di sinistra, oppure da un consumismo esasperato. E non possiamo non considerare anche la tentazione di una libertà sciolta da ogni vincolo, o la tentazione della dittatura della scienza e della tecnica, come pure della politica. L’esperienza della Comunità, fatta di preghiera e di solidarietà con i poveri, ci ha spinti verso un nuovo umanesimo, ossia un modo nuovo di comprendere l’uomo e di vivere nella complessità della società contemporanea. L’attenzione all’uomo, a partire da quello più debole, ci ha fatto maturare un bagaglio di esperienza umana e spirituale che permette di tessere rapporti di amicizia o comunque di pacifico confronto tra persone di culture e fedi diverse. I frutti sono straordinari, come quello, per fare un solo esempio, della pace raggiunta in Mozambico tra le due parti avverse che si combattevano da diciassette anni con un milione di morti e un milione e mezzo di profughi. Tra le critiche rivolte alla Comunità c’è quella di aver messo in piedi “una diplomazia paralle-

la”a quella vaticana. Che ne pensa? Si tratta di un fuoco giornalistico più che di un fatto reale. Certamente possono aversi talora delle increspature dovute a personalismi, ma parlare di “parallelismo” è un’interpretazione del tutto gratuita. Nessuno è così ingenuo da sostituirsi alle istituzioni, divenendo parallele ad esse. È anche vero però che talune iniziative possono essere prese da chi non è parte istituzionale. Ecco perché è invece utile trovare le vie per una effettiva collaborazione tra tutti, comprese ovviamente le istituzioni, per raggiungere obiettivi di utilità comune. Le persone che oggi non fanno più parte della Comunità hanno mosso aspre critiche. Tra queste un peso eccessivo dei laici rispetto ai sacerdoti ed un condizionamento eccessivo anche sulle scelte private degli aderenti. Cosa risponde? C’è stato in passato qualche episodio di tale genere. Ma risponde anche a quei momenti che si potrebbero definire “adolescenziali”, ossia di crescita delle realtà associative, non solo ecclesiali. Penso a tutte le realtà aggregative comprese le congregazioni religiose. Ma c’è una osservazione da fare che diversifica le parrocchie dai gruppi aggregati. Mentre le parrocchie sono chiamate ad accogliere tutti, i movimenti sviluppano un forte profilo identitario. Ciò significa che, proprio in virtù di questa caratterizzazione, essi non rispondano alla sensibilità di tutti. D’altra parte, è indispensabile costruire prima una realtà ben salda se si vuole poi accogliere con sapienza ed efficacia. E per quanto riguarda il ruolo dei laici? Vorrei rilanciare con un’altra domanda: la Chiesa è forse roba di preti? No, rispondo: la Chiesa è di tutti, anche dei laici. La Comunità non ha fatto altro che applicare il Concilio Vaticano II alla lettera: i laici devono avere la responsabilità di evangelizzare. La settimana scorsa, partecipando a Roma all’Assemblea generale della Cei, è emersa la necessità che siano gli stessi giovani ad annunciare Cristo ai loro amici. Sant’Egidio lo fa dalla nascita. L’importanza dei laici all’interno della nostra comunità, inoltre, ci ha liberato dalle accuse di anticlericalismo. Negli anni ’60-70, per fare un solo esempio, mentre tutti si scagliavano contro il Vaticano e contro i soldi dei preti, il nostro impegno è stato dire: «La Chiesa rinasce se cambia il cuore dell’uomo, se ci mettiamo insieme a leggere il Vangelo, e non se cambia il Vaticano». Sognavamo una Chiesa che raccoglieva la gente attorno al Vangelo e che andasse verso i deboli. E questo accadeva perché dei laici ascoltavano e comunicavano il Vangelo agli altri in prima persona. Non fece così anche San Francesco? E non è un laico anche lui? F.R.

L’importanza dei laici all’interno della nostra comunità, inoltre, ci ha liberato dalle accuse di anticlericalismo


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mondo

Fallita l’economia pianificata di Kim Jong Il, si contano i primi morti

Lo spettro della carestia aleggia sulla Corea del Nord di Enzo Reale ieci anni dopo l’ultima grande crisi alimentare che tra il 1996 e il 1999 uccise più di un milione di persone, lo spettro della carestia aleggia nuovamente sulla Corea del Nord. Allora furono inondazioni di grande portata a dare il colpo di grazia ad una nazione già fortemente provata dal fallimento dell’economia pianificata, causando uno sterminio di massa che il regime comunista non potè occultare a lungo. Oggi le condizioni atmosferiche giocano un ruolo marginale rispetto alle responsabilità dirette del governo di Pyongyang. Dopo la grande depressione il Paese potè evitare il collasso solo grazie all’ingente quantità di aiuti provenienti dai fratelli separati del Sud e dall’alleato cinese.

D

Dal 2000 al 2006 Seoul fornì annualmente e senza condizioni 450mila tonnellate di beni di prima necessità e materiale per l’agricoltura; Pechino non fu da meno, riuscendo però a sfruttare la leva alimentare per accrescere la sua influenza sugli equilibri geopolitici della regione. Allo stesso tempo la nascita di un’economia di sussistenza parallela, costituita da piccoli commerci agricoli e urbani, più tollerata che promossa dal regime, consentì a buona parte della popolazione di ovviare all’evidente incapacità dello Stato di provvedere alle sue necessità basiche. La resa dei campi migliorò progressivamente fino a raggiungere nel 2005 quei 4,5 milioni di tonnellate che, pur al di sotto delle stime degli organismi internazionali sul raggiungimento dell’equilibrio alimentare, rappresentavano pur sempre un segnale incoraggiante. Fu allora che Kim Jong II decise di sferrare un attacco siste-

matico ai mercati e di reintrodurre il sistema di distribuzione pubblica degli alimenti, oggi nuovamente al collasso. Seguirono le inevitabili confische e l’obbligo per uomini e donne sotto la cinquantina di dedicarsi esclusivamente al lavoro nelle fattorie collettive. Il programma di aiuti alimentari del

esperti di affari nordcoreani, il disastroso raccolto dello scorso anno riduce il margine tra necessità nutrizionali minime e riserve alimentari a 100mila tonnellate e l’assenza di fertilizzanti fa prevedere un biennio 2008-2009 potenzialmente catastrofico. Che fare? Per adesso si sono mossi solo gli

In meno di tre anni la produttività dell’agricoltura ri-collettivizzata è calata a 3,8 milioni di tonnellate e la tendenza è al ribasso. Nelle campagne molti contadini si nutrono di erba e radici World food program venne drasticamente ridotto e le rimesse dalle nazioni confinanti risultarono compromesse da una serie di sconsiderate mosse politiche, prima fra tutte il test nucleare dell’autunno 2006. Risultato: in meno di tre anni la produttività dell’agricoltura ricollettivizzata è calata a 3,8 milioni di tonnellate e la tendenza è al ribasso. Secondo Stephan Haggard e Marcus Noland,

Stati Uniti con un’offerta di mezzo milione di tonnellate che Kim ha graziosamente accettato. Anche se Washington nega, il negoziato sul nucleare c’entra eccome: poco prima dell’accordo, Pyongyang aveva consegnato alla controparte importanti documenti sulle sue centrali nucleari. Resta da vedere che libertà di azione avranno i funzionari del Wfp cui sarà affidata la distribuzione. Visti i prece-

denti meglio non trattenere il respiro. Più complicato il caso sudcoreano. Le recenti elezioni presidenziali hanno portato al potere un presidente meno disposto a concedere aperture di credito al regime comunista. Anche se Lee Myong-bak non ha legato l’invio di aiuti a particolari impegni di Pyongyang in tema di disarmo o diritti umani, per muoversi attende che dal Nord arrivi una richiesta ufficiale di assistenza.

Per adesso Kim Jong Il ha preferito rispondere con invettive contro il «governo reazionario di Seoul» e con un test missilistico a poca distanza dalla costa, chiudendo la porta ad una collaborazione quantomai necessaria. Ma nel momento dell’emergenza acuta è improbabile che la Corea del Sud si tiri indietro: l’uso di canali di smistamento indiretti potrebbe essere una soluzione capace di salvare la forma. È invece dalla Cina che, paradossalmente, potrebbero arrivare le sorprese più sgradite per il Caro Leader. Pechino ha una serie di problemi

legati all’inflazione e all’approvvigionamento interno: dal 2005 al 2007 il carico di aiuti inviati oltre confine si è ridotto della metà e i dazi sulle esportazioni sono sensibilmente cresciuti. Non è un segreto poi che i cinesi si siano sentiti traditi dal test nucleare di due anni fa e soprattutto dalle mancate riforme economiche. Ma l’ultima cosa che nell’anno olimpico il Partito Comunista Cinese può permettersi è un’ondata di rifugiati in cerca di cibo da rispedire al mittente senza troppi complimenti. È anche per questo che Pyongyang ha intensificato i controlli e la repressione sui rifugiati e sui traffici clandestini: la recente esecuzione pubblica di quindici persone sorprese ad attraversare la frontiera non lascia dubbi sulle intenzioni di entrambi i governi. Alcuni osservatori speculano sulle conseguenze politiche che la nuova penuria alimentare potrebbe provocare. Il controllo del regime sulla società resta ferreo ma la fedeltà dei quadri del Partito e dell’esercito si compra anche con i privilegi. Per la prima volta la carestia potrebbe coinvolgere almeno in parte anche le élites: nella stessa capitale le razioni destinate agli ufficiali di grado intermedio sono state sospese e alcuni funzionari cominciano ad abbandonare le sessioni di propaganda. I prezzi dei generi di prima necessità sono alle stelle: il triplo di quelli di un anno fa e un salario medio compra oggi pochi chilogrammi di riso. Ai soldati intanto si distribuiscono le riserve accumulate in previsione di un conflitto e casi concreti di denutrizione si sono registrati anche in prossimità della zona demilitarizzata. Ma in generale sono il nord-est del Paese e le aree rurali quelle che stanno sperimentando le privazioni più evidenti. Chongjin, centro industriale e tessile affacciato sul mar del Giappone, è stato teatro del più chiaro caso di insubordinazione di cui si abbia notizia ad oggi. Gruppi di donne hanno sfidato le forze di polizia che tentavano di far rispettare il divieto di commercio imposto dal regime. Nelle campagne molti contadini si stanno nutrendo di erba e radici e in alcune contee quasi ogni villaggio conta già i suoi morti per fame.


mondo

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La nuova legge sull’infanzia osteggiata dai Fratelli musulmani: è troppo occidentale

Egitto, il matrimonio baby s’ha da fare d i a r i o

di Federica Zoja

g i o r n o

Fao, chiuso il vertice del fallimento

IL CAIRO. Al vaglio dei deputati dell’Assemblea popolare egiziana da più di un mese, la nuova legge sull’infanzia suscita aspri dibattiti e inaspettate alleanze trasversali fra le file dei conservatori. La ragione è semplice: «Questa legge non ha a che vedere con la politica, ma con la cultura». Con queste parole, Moushira Khattab, segretario generale del Consiglio nazionale egiziano per l’infanzia e la maternità (Nccm), spiega perché a contrastare alcuni articoli non siano solamente i Fratelli musulmani – ancora ufficialmente banditi dalla vita politica, eppure presenti in parlamento con un “blocco” di 88 deputati eletti come indipendenti – ma anche numerosi esponenti della maggioranza. La nuova “piattaforma legislativa”, così la definisce Khattab per rendere l’idea della complessità e dell’ampiezza della normativa, affronta di petto alcuni tabù della società egiziana fra i più duri a morire. Ed ecco, infatti, che l’innalzamento dell’età minima per il matrimonio trova aspre critiche su più fronti: anche fra i banchi del Partito nazionale democratico (Ndp), che controlla più di due terzi dell’emiciclo ed ha un Dna laico, sono in molti a ritenere che le ragazze debbano potersi sposare già a 16 anni. Per i giovani, invece, il limite anagrafico è già fissato a 18 anni. Nei contesti extra-urbani, nel Saïd (il Sud dell’Egitto, ndr) in particolare, una giovane donna non sposata sarebbe esposta ad abusi o tentata da rapporti pre-matrimoniali, sostengono gli oppositori dell’emendamento in questione. Chi lo avversa, Corano alla mano, fa notare che nel testo sacro dell’I-

d e l

«Il documento finale è assai deludente rispetto alle premesse. Purtroppo è stato molto diluito rispetto alle ambizioni iniziali». È categorico il ministro degli Esteri Frattini sul contenuto delle conclusioni ufficiali del vertice Fao. E aumentano le critiche all’organizzazione dell’Onu guidata dal senegalese Jacques Diouf, che invece di dare risposte urgenti alla crisi alimentare e agli 860 milioni di affamati, litiga e trova compromessi di facciata, soprattutto con il blocco dei Paesi Latino americani e il problema dei biocarburanti.

Hillary pronta a lasciare Hillary Clinton, l’ex first lady che puntava alla Casa Bianca, sospenderà la campagna elettorale sabato offrendo il proprio appoggio ufficiale al rivale per le primarie democratiche Barack Obama, il senatore dell’Illinois. Lo ha confermato ieri lo staff della senatrice di New York,

Turchia, cancellata legge sul velo

slam non si fa riferimento a un limite d’età. Conclusione: un articolo di legge in tal senso è ispirato alla cultura occidentale e non tiene conto del contesto locale. Al termine di una votazione a dir poco infuocata fra opposte fazioni, l’emendamento è stato bocciato: dovrà essere rivisto dalla commissione legislativa, così come molti altri. «Ripresenteremo quell’articolo riformulato, non ci diamo per vinti», ha ribadito Moushira Khattab. E sottolinea che il testo complessivo è già stato approvato dalla camera alta, la Shura, ed è stato firmato dal presidente Hosni Mubarak prima che ap-

Tutte le riforme del nuovo testo al vaglio dell’Assemblea

Una legge culturalmente rivoluzionaria La nuova Legge sull’Infanzia è destinata a riformare la precedente normativa, datata del 1996, snellendola – si passerebbe da 144 a 100 articoli – e potenziando i diritti dei minori egiziani. Le novità di rilievo rispetto al passato riguardano l’innalzamento da 7 a 12 anni dell’età minima per la responsabilità criminale di un bambino; la dura condanna delle pene corporali, anche se impartite dai genitori, con l’introduzione di pene severe per tutti i responsabili; la criminalizzazione della pratica delle mutilazioni genitali femminili, con pene e multe definite dalla legge; il divieto, per le ragazze, di sposarsi prima dei 18 anni, così come già previsto per i ragazzi; l’introduzione di un check-up medico prima del matrimonio per verificare lo stato di salute dei futuri coniugi. Inoltre, se la legge sarà approvata, una donna senza marito potrà dare ai figli il proprio nome: i bambini senza padre avranno finalmente un certificato di nascita e documenti in regola, e potranno chiedere il test del Dna per accertare chi sia il padre biologico.

La piattaforma legislativa affronta di petto alcuni tabù della società egiziana duri a morire prodasse in Assemblea. È vero però che anche su altri punti lo scontro in parlamento è acceso. Sulle mutilazioni femminili, innanzitutto: la nuova legge stabilisce che «qualsiasi persona è punibile con il carcere per non meno di 3 mesi e non più di 2 anni, o con una pena pecuniaria di non meno di mille lire egiziane (circa 150 euro, ndr) e non più di 5mila lire egiziane, se pratica o intende praticare mutilazioni genitali femminili. Questo fatta salva la riserva di far valere altre pene previste da altre leggi». Un articolo «volutamente essenziale affinché non ci siano ambiguità», precisa il segretario generale del Consiglio nazionale egiziano per l’infanzia e la maternità. Ma ad alcuni deputati il carcere è parso eccessivo: «Allora bisognerebbe mettere in prigione migliaia di cittadini, nel Saïd”, tradizionalmente più legato ad usi e pratiche vecchi di millenni». Ma per tutti coloro che, dal 2003 ad oggi, hanno lavorato alla stesura della nuova legge, sensibilizzando classe politica e opinione pubblica con un intenso lavoro sul campo, questo è solo l’inizio e perdere alcune battaglie non vuol dire perdere la guerra.

La Corte costituzionale turca ha bocciato la legge che consentiva di indossare il velo islamico nelle università. L’abrogazione del divieto di portare il velo negli atenei, varata a febbraio dal partito di radici islamiche al governo Giustizia e Sviluppo (Akp), è incostituzionale. Quindi il divieto resta in vigore. Il ricorso alla Corte costituzionale era stato presentato dal partito Repubblicano del Popolo (Chp, laico di sinistra e all’opposizione) che aveva visto nella legge un tentativo di islamizzazione della società. Nel breve comunicato con cui hanno reso nota la loro decisione gli 11 membri della Consulta hanno sottolineato che il principio di laicità dello Stato è intoccabile. La decisione di abrogare il divieto del velo è una delle 17 accuse che lo scorso 14 marzo il procuratore generale della Corte di Cassazione ha mosso all’Akp, chiedendo alla Corte Costituzionale la chiusura del partito e l’interdizione dalla politica di 71 suoi dirigenti, inclusi il premier Tayyip Erdogan e il presidente della Repubblica Abdullah Gul.

Zimbabwe, attaccato convoglio Gb e Usa Diplomatici americani e britannici sono stati attaccati in Zimbabwe. Lo indicano fonti diplomatiche statunitensi. In particolare, è stato preso di mira un convoglio motorizzato che trasportava, tra gli altri, gli ambasciatori di Stati Uniti e Gran Bretagna. Lo ha denunciato Paul Englestad, portavoce dell’ambasciata Usa, secondo cui l’aggressione «viene direttamente dai vertici» del regime: un’accusa nemmeno troppo velata al presidente, Robert Mugabe, al potere ininterrottamente da 28 anni e nei giorni scorsi a Roma per il vertice Fao. Nel racconto del Englestad, un diplomatico Usa sarebbe stato picchiato e a tutti chiesto di consegnarsi pena la messa al rogo. La Casa Bianca ha reagito alla notizia dell’arresto bollandolo come «oltraggioso» e «completamente inaccettabile». Gli undici arrestati sono stati rilasciati nel tardo pomeriggio di ieri.

Ucraina, ingresso Nato non è un pericolo Se Mosca, in conseguenza dell’ingresso ucraino nel programma di pre-adesione alla Nato, dovesse denunciare il trattato di partnership con Kiev, commetterebbe un grosso errore. Così si è espresso il presidente ucraino Yuschenko durante la visita in Slovenia. «Kiev è uno Stato sovrano che sceglie la politica di sicurezza più in linea con i propri interessi nazionali». La presa posizione del presidente viene dopo la richiesta della Duma russa di uscire dal trattato.


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speciale esteri

Occidente Il candidato repubblicano alla Casa Bianca parla delle sfide che attendono gli Stati Uniti

LA MIA AMERICA FERMERÀ AHMADINEJAD colloquio con John McCain di Jeffrey Goldberg segue dalla prima

Fondamentale per McCain la volontà di impedire il ripetersi dell’olocausto sotto ogni forma, compresa quella del genocidio. Ma il candidato repubblicano ritiene che la politica Usa non debba mai perdere la componente del realismo. Sopra Olmert e Sderot, nella pagina a fianco, dall’alto Ahmedinejad, Barack Ehud, Mahmoud Abbas e Petraeus

Senatore McCain, la causa sionista è giusta? Si. Chiunque abbia studiato la storia del popolo di Israele e del sionismo in generale, non può che ammirare i fondatori di Israele. Ricordiamoci che il sionismo si è sviluppato nel mezzo della guerra e di grossi conflitti e che si è nutrito di ideali democratici, equità e giustizia sociale e diritti umani. Credo che lo Stato di Israele rimarrà sotto la spada di Damocle delle organizzazioni terroristiche fintanto che gli iraniani continueranno a volerlo cancellare dagli atlanti geografici. La causa palestinese è giusta? Dipende a chi si da conto. Se parliamo di Mahmouud Abbas, che tende ad un pacifico rapporto con Israele, pur nel rispetto delle differenze culturali, si. Se parliamo di Hamas ed Hezbollah, che tendono solo alla distruzione dello Stato di Israele, no. Barak Obama mi ha detto che la disputa arabo-israeliana è una «piaga costante» che infetta la nostra politica estera. È così? Crede che la disputa arabo israeliana sia centrale nella nostra sfida al Medio Oriente? Si, ma certamente non ho la stessa visione di Obama. Non credo che il conflitto sia una “piaga costante”. Piuttosto una sfida alla sicurezza nazionale. È importante arrivare a una pace in Medio Oriente molto am-

pia, relativa non solo ad Israele. A dirla tutta, se il conflitto israelo palestinese si risolvesse domani, ci troveremmo ancora a dover affrontare il drammatico impatto dell’estremismo islamico radicale. Non mi fraintenda, è vitale arrivare a una pace fra i due. È per questo che mi sono recato in Israele da trent’anni a questa parte. Ci andai con Scoop Jackson e altri senatori mentre ancora ero in Marina. È per questo che ho visitato lo Yad Vashem (il museo dell’olocausto di Gerusalemme) con Joe Lieberman in occasione della mia ultima visita. La mia determinazione alla pace stabile fra i due è fuori discussione. Ma il pericolo che affrontiamo in Medio Oriente con il radicalismo islamico è gravissimo. Israele sta meglio oggi che otto anni fa? È più forte economicamente e anche politicamente ha fatto progressi: oggi è possibile perseguire chi ha commesso reati, come la corruzione. L’economia è in pieno boom, la democrazia è robusta. Ma non per questo l’odio di bin Laden verso gli Usa che sostengono la causa di Gerusalemme è venuto meno. Più che altro la sua è una domanda che vorrebbe portarmi a criticare l’operato di Bush. Non è vero. Si, lo è. Ma io le rispondo e le spiego: l’estremismo islamico, il fallimento della democrazia, i diritti umani negati e anche molto altro, mirano consapevolmente alla negazione dello Stato di Israele, ne mettono in discussione la legittimità ad esistere. Sono soprattutto gli iraniani ad avere alla base della loro politica nazionale la distruzione dello Stato di Israele. Un tema a cui si stanno dedicando anima e corpo da molto prima dell’arrivo di Bush alla Casa Bianca. Cosa spinge e motiva l’Iran? L’odio. Io non preconizzo il pensiero altrui. Io guardo alle azioni e alle parole. Non pretendo di essere un esperto delle emozioni del popolo iraniano. Non so quale sia il loro obiettivo, so solo che continuano a portare avanti un programma nucelare e a finanziare i terroristi che lavorano per la distruzione di Israele. Per un approfondimento psicologico deve intervistare un esperto della materia.


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Il senatore Obama ha calibrato le sue vedute sui negoziati incondizionati. Crede esistano circostanze in cui si possa negoziare con l’Iran oppure questa leadership è impermeabile al dialogo? Mi diverte il forte cambiamento che ha fatto il senatore Obama da quando ha deciso di candidarsi alle primarie e poi alle elezioni presidenziali. Mutamenti che gli ho già visto fare su diverse questioni e che evidenziano la sua ingenuità e inesperienza in tema di sicurezza nazionale. Per quanto mi riguarda, e proprio per la sicurezza nazionale, non mi sembra proprio il caso di sedersi di fronte a chi propaganda il terrorismo. Al senatore Obama piace ricordare la visita del presidente Kennedy a Vienna. Molti storici lo considerano un errore madornale, che incoraggiò Krushchev a costruire il muro di Berlino e a mandare i missili a Cuba. Stessa cosa per quanto riguarda la visita di Richard Nixon in Cina. Non ricordo quante visite in Cina avesse fatto Henry Kissinger e comunque ci andò perché la

to seria per le famiglie americane - è impegnata a fornire ordigni esplosivi per uccidere i soldati americani. Da presidente, quanto si impegnerebbe nei negoziati tra Israele e palestinesi e chi invierebbe - un paio di nomi, non chiedo di più, in Medio Oriente? Opterei per un approccio approfondito e sarei il negoziatore principale. Sono stato in Israele per trent’anni e conosco i suoi leader estremamente bene. Con Ehud Barak c’è un’amicizia consolidata nel tempo. Conosco Olmert da quando era sindaco di Gerusalemme. Ho incontrato tante volte Nettanyahu, ho conosciuto Mahmoud Abbas. Riguardo agli inviati, ci sono molte persone che potrebbero essere estremamente adatte. Mi scuso se la prendo alla larga, ma credo che la risposta debba essere dettata dallo stato delle relazioni del momento. Per esempio, sappiamo degli incontri dietro le quinte tra Israele e la Siria. Ora è di dominio pubblico. Se i dialoghi avressero successo, cosa che al momento non è, si dovrebbe pensare ad una figura ad hoc. Quale sarebbe allora la differenza tra un presidente americano che intende negoziare con Ahmadinejad ed Ehud Olmert che lo fa con i siriani? Lei crede che il primo ministro israeliano abbia intenzione di prendere il tè con Bashar?(Bashar al Assad è il presidente siriano). La questione è tutta qui. Nulla da dire, quando Ryan Crocker tratta con l’ambasciatore iraniano a Bagdad. Il problema è che non bisogna legittimare questi personaggi, dandogli il prestigio che deriva da incontri a due senza precondizioni. Ma Obama ha abbandonato questa posizione. Già e la prossima volta farà lo stesso. Riconoscerà di aver sbagliato e cambierà posizione. La questione è che non capisce. Guardi che anche se ora lui si è accorto di aver sbagliato, nelle primarie aveva detto proprio quello. Ora afferma che allora non aveva detto cose molto acute. Io comunque non lo ritengo un politico stupido. Lei crede che continuare con la politica degli insediamenti, impedirà la pace tra Israele e Anp? Vi sono molti punti su cui le parti sono distanti, dalle risorse idriche al diritto al ritorno per i rifugiati. Gli accordi di Oslo, non sono altro che un punto di partenza per risolvere le questioni più importanti. Gli insediamenti sono uno di questi, ma ora occorre concentrarsi su quanto avviene a Sderot. Ci sono stato e ho visto i missili cadere. Come tutti sanno, i bombardamenti partono dall’altra parte della frontiera. Se gli Stati Uniti fossero sottoposti a lanci di missili da una delle nostre frontiere, questa probabilmente diventerebbe la questione più importante del Paese. Ritiene che lo Stato ebraico debba invadere Gaza per impedire, anche con l’uso della forza, ulteriori bombardamenti e, in caso Gerusalemme lo facesse, lei sarebbe al suo fianco? Dipende che si intende per uso della forza. Finora la risposta è avvenuta con attacchi aerei, colpendo i leader di Hamas. Risposte proporzionali agli attacchi. Lei mi chiede cosa farei se iniziassero ad usare la forza in modo massiccio? Non lo so. Quello che posso dire, e che parlando con loro ho capito che sono profondamente preoccupati. Israele è una democrazia. Come risponderebbe un governo americano, come risponderebbe l’opinione pubblica americana se il Paese fosse costantemente sotto assedio, se i bambini avessero quindici secondi, quindici secondi, per correre a rifugiarsi. Non so cosa farà il governo israeliano. Dipende se gli attacchi proseguiranno o se nel frattempo accade qualcosa. Ho avuto l’impressione, nulla di speciale, ma solo l’impressione, che la pazienza del governo israeliano e del suo popolo sia giunta al limite di tolleranza.

Il conflitto palestinese è solo una parte, non la fonte di tutti i mali mediorientali Cina era allora il contrappeso ad una minaccia maggiore, l’Unione Sovietica. Al giorno d’oggi cosa rappresenta una minaccia maggiore dell’Iran per l’Occidente? Obama palesa la sua inesperienza (e dimostra di non comprendere l’impatto di un simile evento) quando afferma che si siederebbe di fronte di Ahmadinejad. Oppure a Hugo Chavez o Raul Castro. Non esistono motivi di real politik per sedersi al tavolo con l’Iran? Sì. In un prossimo futuro sarebbe una situazione possibile ed auspicabile se gli iraniani cambiassero le politiche di cui io e lei abbiamo appena parlato, ma ci dovrebbero essere negoziati e discussioni e tutta quella normale e legittima “trafila” necessaria prima di concedergli il prestigio di un faccia a faccia con il presidente degli Stati Uniti d’America. Come sa, il nostro ambasciatore in Iraq, Ryan Crocker, ha avuto un paio di incontri con l’ambasciatore iraniano a Baghdad. Secondo l’ambasciatore Crocker, questi incontri si sono rivelati assolutamente improduttivi perché l’Iran è determinata a distruggere Israele, è determinata a cacciare gli Stati Uniti fuori dall’Iraq, è determinata a sostenere le organizzazioni terroristiche e – cosa mol-


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speciale esteri

Occidente Obama nella sua corsa presidenziale riferendosi indirettamente a Kennedy cerca di utilizzare la costante del sogno americano che accompagna sempre i momenti di svolta della storia americana. È stata però la gaffe di Hillary Clinton, richiamandosi alle primarie democratiche del ’68, a riportare in primo piano la famiglia Kennedy

Ritorniamo all’Iran. Alcuni analisti ritengono che l’America confonda i suoi problemi con l’Iran con quelli che Israele ha con Teheran. L’Iran non minaccia l’estinzione degli Stati Uniti, sta minacciando l’esistenza di Israele. Perché gli Usa dovrebbero brandire l’arma militare contro l’Iran, se le minacce sono dirette principalmente contro Israele?

Lei davvero crede che la loro intenzione sia distruggere gli Sati Uniti? Difficile per me di dire quali siano le loro intenzioni, ma effettivamente – se fossero in grado di buttarci fuori dall’Iraq, e al Qaeda riuscisse a mettere li delle basi, e le milizie sciite esplodessero e l’influenza iraniana crescesse, secondo me le conseguenze sulla sicurezza americana sarebbero profonde. Non so se l’intenzione sia distruggere l’America,

Trattare va bene, ma un incontro con il presidente Usa viene solo dopo concessioni Gli Stati Uniti hanno preso l’impegno, innanzi tutto con se stessi, di non permettere mai più un altro Olocausto. Un giuramento fatto nel momento in cui abbiamo scoperto l’aspetto orrendo della Shoah. Oltre a ciò, io risponderei dicendo che ritengo che le organizzazioni terroristiche, i loro sponsor, Hamas e gli altri, vogliano anche la distruzione degli Stati Uniti d’America. In questo, d’accordo con il generale Petraeus, ritengo l’Iraq il fronte centrale. Perché le milizie shiite vengono inviate in questi gruppi speciali, come loro li chiamano, rifornite di armi, per contrastare l’influenza Usa ed espellerci dall’Iraq Ecco il loro scopo finale. Tutta questa retorica, il Grande Satana, etc., sono tutte chiacchiere. Il loro primo obiettivo è la distruzione dello Stato di Israele, ma quello che alla fine vogliono, è colpire noi.

non so quello che veramente ci aspetta, ma credo che le conseguenze di una eventuale distruzione dello Stato di Israele, associata al sostegno delle organizzazioni terroristiche, tutto ciò avrebbe profonde conseguenze sulla sicurezza nazionale Usa. Una domanda riguardo la democratizzazione del Medio Oriente. Immaginiamo una linea di continuità che vada da Brent Scowcroft fino a Paul Wolfowitz. A cinque anni dall’invasione dell’Iraq lei, in questo spettro, che posto occuperebbe? Penso che dovremmo sempre bilanciare il realismo

di una situazione con l’idealismo. Io mi riconosco nella convinzione fondamentale che tutti noi siamo stati creati uguali e siamo portatori di diritti inalienabili. Ma ci sono momenti in cui anche il realismo deve far parte dell’equazione. Pensi al Darfur, noi non vogliamo che quello strazio prosegua, ma come fermarlo? E quali sarebbero le conseguenze di un’eventuale invasione? E dopo i primi successi, quali sarebbero le conseguenze a lungo termine? Mi piace ascoltare le opinioni

al riguardo. Non c’è nulla al mondo che ami più di Brent Scowcroft. È una delle persone più generose che io conosca, senza tracce di ambizioni personali, la cosa più rara che si possa vedere a Washington. Ma io sono piuttosto portato verso l’idealismo storico dell’America. Ciò significa che in ogni situazione con cui ci confrontiamo, dobbiamo mantenere l’equilibrio. Non direi di aver sempre avuto ragione. Ma ho sempre cercato di apprendere dalle lezioni della storia. Dicendo mai più all’Olocausto, lei ha sollevato una questione interessante. Questo vuol dire che si impegna a impedire il genocidio ovunque accada? Questo dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale ma, come ho detto, deve essere equilibrato dall’idea che poi si sia veramente in grado di impedirlo, che questo agire sia coronato dal successo. Se invece si fallisce, anche una sola volta, gli altri saranno incoraggiati e in America cresceranno le tendenze verso isolazionismo e protezionismo. Sarà difficile convincere gli americani a mandare i propri giovani ad affrontare i pericoli. Sembra stia parlando dell’Iraq.

Beh, abbiamo parlato di quattro anni di guerra condotti male, devastanti soprattutto per le famiglie. Un’ultima questione. Il senatore Obama, ha raccontato di come la sua vita sia stata influenzata dagli scrittori ebrei Philip Roth e Leon Uris. Lei invece…? Per me ci sono stati Elie Diesel e Victor Frankl. Soprattutto Frankl mi viene spesso in mente. «Alla ricerca del significato dell’uomo», è una delle cose più profonde che io abbia mai letto in vita mia. E, a un livello leggermente inferiore, «Guerra e ricordi» e «Venti di guerra». Sono i miei due libri favoriti. Le posso dire che una delle ambizioni della mia vita è incontrare Herman Wouk. «Guerra e ricordi» per me è il massimo. Poi c’è Joe Lieberman, che vive la vita come una religione e lo fa nel modo più umile. Non è un fan di Philip Roth? No, non lo sono. Ho amato Leon Uris. Viktor Frankl è importante. L’ho letto prima della prigionia. Mi ha fatto sentire una profonda compassione per la mia stessa vita. Una differenza fondamentale tra la mia esperienza e l’Olocausto, è il fatto che i vietnamiti non volevano che noi morissimo. Ci vedevamo come una merce utilizzabile al tavolo delle trattative. Il contrario dell’Olocausto che voleva solo sterminare. Ogni tanto, quando io provavo compassione per me stesso, pensavo: «Questo non è nulla in confronto a quello che ha passato Victor Frankl». © 2008 The Atlantic Monthly Group, as first published in The Atlantic.com. Distributed by Tribune Media Services


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Dream ticket a confronto, Condoleezza Rice e Hillary Clinton ai blocchi di partenza

La corsa dei vicepresidenti di Pierre Chiartano elle prossime ore, con ogni probabilità, Hillary Clinton riconoscerà la sua sconfitta nella lunga ed estenuante corsa alla candidatura democratica alla presidenza. Finita una battaglia è subito partita la corsa per la vicepresidenza. Il veep running, come l’hanno ribattezzato negli Usa. In casa repubblicana il clima è relativamente più tranquillo, ma la scelta per il ticket non suscita meno interrogativi. I candidati, fra democratici e repubblicani non sono pochi, ma preferiamo ridurre l’elenco e tastare il polso di politici e media. Appare evidente come i sentimenti dell’opinione pubblica divergano dalle analisi e dalla volontà della politica. Un trend che caratterizza da qualche hanno gli Usa, dove sempre più spesso i politici sono visti lontani dalla realtà del Paese. La scelta della formazione del team presidenziale pare non faccia eccezione. Una chiave di lettura potrà quindi essere quanto ogni coppia potrà “sembrare”formata da outsider rispetto al potere di Washington.

N

Una supporter del dream ticket fra Obama e la Clinton è la senatrice californiana Dianne Feinstein. «Hanno un elettorato distinto», ha recentemente dichiarato all’Ap, per cui in molti Stati, quest’accoppiata potrebbe fare la differenza contro McCain. Da una parte un elettorato femminile molto motivato e dall’altra quello afroamericano. Stessa passione per la coppia condivisa da Jim Spencer un bostoniano cofondatore del DraftObamaClinton.com. I 18 milioni di voti presi da Hillary alle primarie pesano. I sondaggi sono favorevoli, il parere di alcuni autorevoli democratici un po’ meno. «Il coinvolgimento dei cittadini in

queste fasi cruciali della campagna di Obama è francamente una pietra angolare della nostra democrazia», ha dichiarato Spencer. Gli altri candidati sarebbero l’ex senatore della Georgia, Sam Nunn o i governatori di Pennsylavania e Ohio, gli Stati dove Obama ha perso e che potrebbero riequilibrare geograficamente la sua forza elettorale, secondo molte analisi. Una regola che non sempre ha funzionato. Per la presidente (speaker) della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, invece, si tratta di un matrimonio «impossibile». Insomma, un candidato sentito come appartenente all’establishment non potrebbe portare alcun vantaggio al gran-

libri e riviste

iviamo tempi difficili dove il terrorismo è una metastasi globale. Molte agenzie federali Usa ci spiegano quanto e chi dobbiamo temere. L’autore del libro The Post-American World, ci spiega che finalmente sarebbe arrivata un’analisi indipendente sul terrorismo. La canadese Simon Fraser University ha prodotto uno studio che Zakaria ha trovato sorprendente. Cambia il metodo e il triste conteggio delle vittime. L’Iraq è considerata una zona di guerra e compaiono “sviste”e “dimenticanze”di analisi precedenti. Fra queste il caso sudanese e le stragi delle milizie janjaweed, non registrate in precedenza. Tutti però tenevano conto del conflitto iraqueno. Tolta quest’ultima rilevazione, le statisti-

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che potevano nascondere delle sorprese. Dal 2004 ci sarebbe stato un calo verticale della violenza terroristica, causato da due fattori. Prima le azioni di contrasto all’interno dei Paesi mediorientali, poi il calo straordinario di consenso nell’opinione popolare. Un esempio è il Pakistan, dove nella provincia nordoccidentale il favore nei confronti di al Quaida sembra essere crollato dal 70 per cento, nell’agosto 2007, a solo il 4 per cento del gennaio di quest’anno. Fareed Zakaria The only thing we have to fear... Newsweek – May 24, 2008

de riformista Obama, che ha riportato al voto larghe fasce di americani, soprattutto l’elettorato più giovane. Chris van Hollen, democratico del Maryland è più o meno dello stesso parere, ma per un motivo diverso: «non è necessario per tenere unito il partito democratico».

La Clinton sarebbe invece necessaria proprio per lo stesso identico motivo, l’unità dei democratici, secondo Norman J. Ornstein esperto dell’American Enterprise Institute. Jim Webb, senatore della Virginia, è l’altro nome che circola come possibile vice di Obama. Chi lo sostiene diffida della Clinton. Con Webb sarebbe più difficile per McCain

riginale analisi sulla globalizzazione iniziata ben prima degli anni Novanta. Nata nel Medioevo dall’amore degli europei per le spezie e dalla passione degli arabi per le porcellane e i profumi, costruì legami economici attraverso oceani e deserti e provocò immensi cambiamenti politici e sociali. La via della Seta che fu anche veicolo di espansione e conoscenza del buddismo e del trionfo dell’islam. Un background storico che rivela l’inevitabilità del fenomeno, di quanto sia saggio cercare di governarlo e di come sia folle volerlo impedire. Nayan Chanda Bound Together: How Traders, Preachers, Adventurers and Warriors Shaped Globalization Yale University Press 416 pagine – 27,50 dollari

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giocare la carta della naivité in politica estera del candidato democratico. Ci sarebbe un dream ticket anche per i repubblicani del Gop. Si chiama Condoleezza Rice. Lei ha sempre negato di aspirare a tanto «non correrei neanche per la presidenza di un liceo» aveva affermato alla Reuters in febbraio. Dan Senor, stratega politico repubblicano, e noto commentatore politico di Fox News, la pensa diversamente. La Rice avrebbe lavorato attivamente per conquistare i favori di alcuni ambienti repubblicani che contano, come i membri dell’associazione The Americans for Tax Reform di Grover Norquist. Inoltre gode di una grande popolarità fra tutti i repubblicani. Controbilancerebbe il fattore etnico, conquistando anche il favore del voto indipendente, come ha scritto Nicholas von Hoffman su The Nation. «Penso sia una grande americana» è ciò che ha affermato lo stesso McCain. Anche se non pare esistere una short list dei candidati, i nomi che si fanno più frequentemente non sono moltissimi. Ci sono i governatori di Minesota, Florida, Utah e South Carolina. Oltre agli ex avversari Mitt Romney e Mike Huckabee o “l’indipendente” Joe Lieberman. Tutte candidature di bianchi, maschi e con esperienze d’amministrazione, in genere ex governatori, per compensare quelle che McCain non possiede. Anche l’ex segretario di Stato, Colin Powell, era comparso nell’orizzonte dei papabili. McCain dovrà continuare a miscelare le due componenti che lo rendono forte. Essere un cane sciolto, un maverick, e un conservatore. Essere dentro e fuori le regole del potere. La scelta del vice non dovrà alterare questa formula.

autore è innamorato del sistema americano, senza retorica e senza apologia. Descrive la storia di una moderna superpotenza, di come gli Usa siano un gigante inconsapevole e de facto rappresentino il governo del mondo. Al suo servizio, per garantire la sicurezza e lo sviluppo di un sistema che ha solo incrementato e democratizzato ciò che aveva già fatto l’Impero britannico nel Diciannovesimo secolo. Per l’autore le ricadute positive sono state tante, allora come oggi, e ci spiega perché. Michael Mandelbaum The case for Goliath: How America acts as the world’s government in the 21st century Public Affairs – 14,85 dollari

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a cura di Pierre Chiartano


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economia Nel 2007 il settore tessile ha retto parzialmente la concorrenza dei Paesi emergenti come Cina e India: cresce il fatturato (+2,6 per cento) ma soltanto il comparto moda evita una débacle nelle esportazioni, che pure calano del 4,5 per cento. Proprio questa situazione ha spinto le aziende ad accelerare sul rinnovo dei contratti e i sindacati a recedere dalle richieste di un passo avanti sul secondo livello

Le parti, dopo lo scontro di un mese fa, vicine a siglare un’intesa su 94 euro di aumento. E senza un giorno di sciopero

Tessili, rinnovo a tempo di record? di Vincenzo Bacarani

ROMA. È vicina la fumata bianca per il rinnovo del contratto dei tessili che interessa circa mezzo milione di lavoratori. L’intesa potrebbe essere siglata nei prossimi giorni e comunque sembrano lontane le polemiche che vedevano i sindacati chiedere passi avanti sul secondo livello e le imprese frenare su questo punto. Le organizzazioni di categoria (Femca-Cisl, Filtea-Cgil e UiltaUil) dopo gli incontri di martedì e mercoledì con Sistema Moda Italia (la federazione delle imprese tessili) hanno sospeso lo stato di mobilitazione e lo sciopero generale indetto per oggi. Un prossimo incontro, probabilmente decisivo e che proseguirà a oltranza, è previsto per lunedì sera. Se dovesse essere raggiunto un accordo, saremmo di fronte quasi un record di velocità per i tempi dei rinnovi contrattuali italiani, visto che il precedente contratto era scaduto soltanto il 31 marzo scorso: poco più di due mesi di trattative e senza un giorno di sciopero. Una metodologia di rinnovo contrattuale che potrebbe fare scuola per altri settori. Rimangono cauti sia i sindacati sia la controparte per prudenza, ma anche per scaramanzia. Sergio Spiller, segretario generale della FemcaCisl, spiega: «E’ meglio non aggiungere altro rispetto al comunicato unitario che abbiamo concordato con Filtea e Uilta. Ci sono stati significativi passi in

avanti sull’orario, sul rispetto delle esigenze delle aziende e dei lavoratori. Insomma, ci sono degli elementi di positività, ma non voglio dire di più». All’inizio della trattativa sembrava che ci fossero resistenze da parte delle industrie tessili a sviluppare una contrattazione di secondo livello, una contrattazione di filiera più che aziendale. «Non intendiamo ora», replica

Spiller, «sovrapporci ad argomenti che sono in discussione a livello generale». Comunque, sulla parte salariale, la proposta della federazione tessili di 94 euro omnicomprensivi è vicinissima alla richiesta della piattaforma sindacale (95 euro). Differenza minimissima. «Si tratta tuttavia di vedere», spiega Pasquale Rossetti segretario generale della

I sindacati premevano per il secondo livello, le aziende no. Ma una svolta sul contratto, scaduto a marzo, è arrivata con l’ipotesi di un ente bilaterale

Uilta-Uil, «la ripartizione e l’eventuale scaglionamento di questa cifra». Un altro timido passo in avanti riguarda i rapporti tra sindacati e controparte e potrebbe avere non pochi riflessi per il secondo livello di contrattazione. «Lavoriamo per la costituzione di un ente bilaterale di settore», aggiunge il segretario Uilta, «Potrebbe essere una svolta nelle relazioni sindacali». L’ente bilaterale di settore aprirebbe di fatto le porte a una partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori alle scelte strategiche aziendali. «Sono stati affrontati i nodi

L’uscente Caprioli si spende per Farina, ma all’improvviso spunta la candidatura di Spagnolo

Fim Cisl si spacca sul nuovo segretario ROMA. «Lascio perché è ora di rinnovare la segreteria». Così Giorgio Caprioli, bergamasco 56 anni, da nove segretario generale della Fim-Cisl, spiega le ragioni delle sue dimissioni dal vertice dell’organizzazione dei metalmeccanici di ispirazione cattolica (195 mila iscritti, oltre ottomila delegati). Una decisione che ha sorpreso un po’ tutti. «L’ho maturata», dice, «poco più di un mese fa. Stanco? Diciamo che è ora di cambiare». Caprioli si occuperà di Agi Lavoro, la nuova agenzia della Cisl che avrà il compito di intervenire nel mercato del lavoro, ma la cui fisionomia è ancora da decifrare. Dovrebbe inoltre interessarsi di un progetto di rilancio della contrattazione aziendale. Insomma, una sorta di pensionamento anticipato. Caprioli ha voluto però designare un suo ere-

de. È Giuseppe Farina, della Fim di Roma che assicurerebbe una certa continuità nella linea di gestione della Fim e che – secondo il leader uscente – ha tutte le carte in regola per avviare quel processo di rinnovamento della segreteria generale che Caprioli auspica. Ma a rompere le uova nel paniere ci pensa il campano Cosmano Spagnolo, segretario nazionale che si occupa del settore avio. «Diverse strutture della Fim», ha spiegato, «hanno manifestato una preferenza per la mia candidatura e pertanto ho accettato di sottopormi al voto del Consiglio generale». Lunedì i 159 componenti dell’organismo dirigente della Fim accoglieranno le dimissioni di Caprioli e procederanno a eleggere, con votazione a scrutinio segreto, il nuovo segretario generale.Vin.Ba.

di merito», spiega Valeria Fedeli, segretario generale FilteaCgil, «che riguardano la competitività e l’efficienza in un rapporto che possa favorire il dialogo tra impresa e sindacati». E non è poco, anzi è molto fa capire il leader della Filtea in un contesto come quello attuale che vede al centro del dibattito proprio il ruolo delle organizzazioni dei lavoratori nel confronto con la controparte.

Bocche chiuse alla Federazione tessili. Nemmeno ieri, durante l’assemblea generale a La Triennale di Milano, nessun dirigente è voluto intervenire sul rinnovo contrattuale di categoria. Sono state formalizzate le dimissioni del presidente Paolo Zegna, chiamato dal nuovo presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, alla carica di vicepresidente per l’Internazionalizzazione. A governare Smi-Federazione tessile e moda, sarà Michele Tronconi, vicepresidente vicario, fino all’assemblea del prossimo autunno quando saranno ridefiniti gli assetti di vertice dell’organizzazione. Sono stati forniti anche i dati del settore per quanto riguarda il 2007. Dati positivi per il fatturato (+2,6 per cento), ma non per l’export (-4,5) che ha risentito dell’euro forte. In controtendenza il settore moda (+6,3 per cento). La concorrenza dei giganti emergenti (Cina e India) continua a giocare un ruolo non indifferente.


economia

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Gli agenti della Postale, l’Abi, l’Unione consumatori e la Microsoft lanciano la “Settimana della sicurezza in rete”

Polizia e imprese,patto contro gli hacker d i a r i o

di Francesco Rositano

g i o r n o

Bce: è allarme inflazione. Invariati i tassi

ROMA. I mezzi sono virtuali, ma i risultati, nella sicurezza informatica, sono concreti. Grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie e di una particolare piattaforma importata dal Canada, la polizia postale italiana nel 2007 ha portato a segno ottanta arresti, quasi tremila denunce e trecento perquisizioni. Numeri che hanno spinto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a premiarla con il conferimento della medaglia d’oro. Restano comunque molti limiti da colmare, soprattutto nella sensibilizzazione all’informatizzazione di base. L’Italia, infatti, è fanalino di coda a livello mondiale per quanto riguarda la sicurezza dei personal computer: non a caso, soltanto un terzo di essi è dotato di un normalissimo antivirus. Proprio per rimettere l’Italia al passo con gli altri Paesi del Vecchio Continente è stata organizzata la “Settimana nazionale della sicurezza in Rete”, al via dal prossimo 7 giugno. A partire da questa data verranno diffusi a tamburo battente, due volte al giorno, filmati esplicativi sull’importanza di proteggere il pc da spamming, virus e hacker. E grande spazio sarà dato ai siti internet delle realtà più interessate a puntare sulla sicurezza informatica: associazioni di tutela dell’infanzia, imprese, associazioni dei consumatori, banche. L’iniziativa è stata promossa dall’Unione nazionale consumatori con Polizia Postale, Abi Lab, SicuramenteWeb, Skuola.Net e Agr, con il sostegno di Microsoft. Non a caso, durante la presentazione della campagna, tutti hanno sottolineato che da un miglioramento della sicurezza informatico è indispensabile per un rilancio più generale dell’economia italiana. Maurizio Masciopinto, direttore della divisione investigativa della Polizia postale, si è scagliato contro i pirati informatici. «Pirata è un termine romantico. Loro sono, invece, veri e propri criminali che si intromettono nel sistema informatico per rubare, per vendere merce illegale e per difendere i loro interessi». E si è detto «orgoglioso del fatto che poliziotti di Paesi come la Grecia vengano in Italia a studiare il nostro sistema di lotta alla pedopornografia on-line che abbiamo importato dal Canada». Fu infatti la polizia canadese che, preoccupata per l’aumento vertiginoso dei casi di pedofilia in rete, chiese a Bill Gates in persona di elaborare un sistema apposito di contrasto di questa piaga sociale. È nato il Cets (Child exploitation

d e l

«I rischi per la stabilità dei prezzi sono aumentati ulteriormente». È questo l’allarme lanciato dal presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, che ribadisce: «L’obiettivo primario della Bce continua ad essere il mantenimento della stabilità dei prezzi». Inoltre, il consiglio direttivo della Bce ha deciso di lasciare invariato i tassi di interesse al 4 per cento, il massimo da quasi sei anni. Fermi al 3 per cento e al 5 per cento anche il tasso sui depositi e il tasso marginale. «Una decisione - puntualizza Trichet - che non è stata unanime». Diversi membri, infatti, hanno sostenuto la necessità di un rialzo dei tassi.Alla fine, come spiega il numero uno della Bce, il consiglio ha votato per tassi invariati «basandosi sul consenso».

Enel sbarca in Romania per il nucleare «Il primo ministro romeno mi ha assicurato che Enel sarà protagonista nella realizzazione dei nuovi impianti nucleari di Cernovoda». È la dichiarazone del ministro dello Sviluppo Claudio Scajola al termine del colloquio con il premier romeno. Enel, insieme ad altri big europei, è già stata selezionata tra i possibili partner dello stato romeno per la realizzazione dei blocchi 3 e 4 dell’impianto, per un investimento complessivo di due miliardi.

Volkswagen, Ue avvia procedura d’infrazione La Commissione Europea ha deciso di aprire una procedura di infrazione contro la Germania perché non si è conformata alla sentenza di ottobre della Corte di giustizia relativa alla legge del 1960 che privatizza la Volkswagen. Secondo la Corte i diritti speciali concessi ai poteri pubblici sono «ingiustificati». La Commissione Europea ha così chiesto al governo tedesco di eseguire la sentenza della Corte in relazione alla legge Volkswagen.

Contratti, martedì incontro tra sindacati e Confindustria

Italia fanalino di coda nel mondo per la protezione dei Pc. Il successo del sistema “Cets” nella lotta alla pedofilia

quelli nel “grande magazzino di Internet”. In entrambi i casi i cittadini devono essere in condizione di difendersi. E non cambia molto tra l’affidare la propria carta di credito a un commerciante disonesto o metterla a disposizione di criminali informatici che possono tranquillamente rubare».

tracking system), baluardo per indagare con maggior efficacia gli individui e i siti internet sospetti. «Finora», ha continuato Masciopinto, «c’è stato un abbattimento dell’80 per cento di questi reati. Ma la sicurezza informatica ha mille altre applicazioni: dalla tutela contro i virus e i famigerati hacker in grado di mettere a soqquadro il pc alla difesa degli acquisti on line da parte dei consumatori». Il sottosegretario al Ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano, dopo aver illustrato i risultati positivi raggiunti nella lotta alla criminalità online, ha insistito sulla necessità della prevenzione. Come ha spiegato l’avvocato Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione consumatori, «non c’è una grande differenza tra la tutela del consumatore negli acquisti tradizionali in un normale negozio e

Carlo Rossanigo, responsabile della Comunicazione di Microsoft, colosso informatico che ha fornito alla polizia postale italiana il Cets, ha insistito sulla necessità di puntare sulla protezione: «La nostra mission è quella di offrire quello che in inglese si chiama “the wall and the garden”, un giardino protetto, che permetta alle fasce più deboli, soprattutto ai bambini, di accedere alle risorse positive evitando intrusioni nella loro vita privata. Per raggiungere questo obiettivo è necessario creare network con le istituzioni e con i vari soggetti della società civile». Concludendo i lavori, Raffaele Barberio ha insistito ancora sulla necessità di proteggere una risorsa così importante: «Internet è come l’aria: ci accorgiamo della sua importanza quando solo quando siamo costretti a privarcene».

È fissato per martedì pomeriggio il primo incontro tra Confindustria e sindacati per affrontare il nodo della riforma contrattuale. Secondo quanto si apprende, l’associazione degli industriali ha accolto con soddisfazione la lettera dei leader di Cgil, Cisl e Uil e, all’incontro di martedì, sarà rappresentata dal presidente Emma Marcegaglia, e dal vicepresidente con delega alle relazioni industriali,Alberto Bombassei. I segretari generali Epifani, Bonanni e Angeletti, nella lettera inviata al presidente di Confindustria, si dicono «pronti ad avviare una trattativa per addivenire ad un nuovo accordo, capace di cogliere le nuove esigenze dei lavoratori, delle imprese e del Paese».

Sanità, Sacconi lancia la cabina di regia È necessaria una «robusta cabina di pilotaggio e regia» per la razionalizzazione e riorganizzazione della spesa sanitaria: una cabina che sia «nazionale e che veda la collaborazione piena con le regioni». E’ l’indicazione del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, intervenuto ieri in commissione Sanità al Senato per illustrare le linee guida del governo in materia sanitaria.

Pininfarina: accordo con Fortis Il gruppo Pininfarina ha raggiunto un accordo con la banca Fortis che si era opposta al riscadenziamento del debito, propedeutico all’aumento di capitale per 100 milioni di euro. Sono le indiscrezioni emerse durante la presentazione dell’accordo tra Alenia Aeronatica, Sukhoy e la stessa Pininfarina. L’aumento di capitale potrebbe partire nel prossimo autunno. L’operazione sul capitale vedrebbe la disponibilità di alcuni imprenditori esterni quali Bollorè, Bombassei, presidente della Brembo, Piero Ferrari, erede della società di Maranello, la famiglia Marsiaj e il gruppo Tata. In questi giorni si dovrebbe quindi concludere l’iter che vede le banche interessate al riscadenziamento del debito.


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a puntata di Report sull’urbanistica romana sembra aver destato più scalpore di quanto non avesse fatto quella, analoga, su Milano. Forse perché, sebbene probabilmente preparata prima, dopo il risultato delle elezioni, quando è andata in onda, è sembrata correre in soccorso dei vincitori. Ben venga comunque anche lo scandalo, se serve a far parlare, e magari a discutere, dell’urbanistica e dei problemi delle città, temi che in genere non godono di audience così ampia, salvo quando si toccano i “centri storici”, o magari il “paesaggio toscano”. A parlare, insomma, di temi considerati in genere noiosi, e difficilmente “comunicabili”. Un po’ meno bene, forse, se si mischiano troppo le carte. Ad esempio, attribuendo alla cattiva amministrazione del singolo comune – o comunque dando così a intendere – situazioni e condizioni che per il nostro Paese sono di fatto ormai strutturali. Scoprire, anche attraverso confronti internazionali (Parigi, Madrid, Londra), che nella nostra Penisola mancano politiche per l’abitazione sociale da venti anni e politiche urbane almeno da settanta, è un po’ come scoprire l’acqua calda. Così come scoprire che diversa è altrove la fiscalità locale, in qualche modo anche il “regime dei suoli” (comunque acquistati a prezzi di mercato), il cosiddetto “sistema di pianificazione”, l’efficienza delle amministrazioni e quella della giustizia. Per tacere dell’abusivismo, e dei condoni, termini che facciamo perfino fatica a tradurre in altre lingue. E da considerare acqua calda, se si vuole, la problematica che a Roma i ”traffici”edilizi abbiano sempre avuto un peso strutturalmente maggiore che in altre città.

polemiche Nelle foto, tre immagini della nuova Fiera di Roma, progettata dall’architetto Tommaso Valle

L

Nessuna difesa d’ufficio, comunque, delle (pen-)ultime amministrazioni romane, per altro tra loro alquanto diverse – se non altro per attivismo e determinazione – e comunque articolate al loro interno, e tanto meno del “nuovo piano” che faticosamente sono riuscite a mettere insieme: in un numero certamente eccessivo di anni sotto la pressione, per altro sostanzialmente inevitabile, dei “diritti pregressi” dei proprietari di aree. Infine, pagando agli stessi un prezzo, probabilmente eccessivo, che l’abbozzo delle pratiche “compensative”messe in campo “in corso d’opera” ha consentito, forse, un po’ di “spalmare”, e un po’ di dilazionare, ma non di “cancellare”del tutto. Sarebbe bello poter dire, come dice qualche buontempone: “il piano dà, il piano (un altro piano) toglie (edificabilità)”. Pec-

Il nuovo piano non decolla e risente delle carenze del vecchio

Roma, città senza politica urbanistica di Paolo Avarello cato non lo dicano anche i Tar, soprattutto dopo che per anni si è pagata l’Ici sulle aree “fabbricabili”(da piano generale), e magari la Corte costituzionale, che per la verità, sull’Ici, ci ha provato, ma subito “smentita” dalla successiva finanziaria (ultimo anno del precedente governo Berlusconi). Così come sarebbe bello che il Comune espropriasse le aree, ormai necessariamente a “prezzi di mercato” (e questo la Corte costituzionale lo ha detto), realizzasse servizi e infrastrutture, per poi rivenderle a cooperative, costruttori e opere di beneficenza, per fare le case,

magari a prezzi “calmierati”, o magari vincolate all’affitto (ancora magari, per più di otto an-

Nella capitale si continua a parlare di ”metri cubi” invece che di un progetto di rigenerazione generale della metropli ni). Ma sarebbe bello davvero? Si direbbe proprio di no, almeno stando alle critiche che pio-

vono ancora sulle “vecchie 167”, che di fatto strutturavano il “vecchio piano”di Roma, e dove per altro si è esercitata a lungo la cultura urbanistica e quella architettonica. Sempre nella stesso programma televisivo, Report, si è parlato del “nuovo piano” di Roma, ma si sono fatti vedere gli “aggiustamenti”, certo tutt’altro che felici, del vecchio.

E si sa che fatalmente le immagini prevalgono sulle parole. Si è promosso inoltre lo scandalo per gli accordi di programma, definiti «necessari» per variare il piano, come se fossero un’in-

venzione romana, e come se prima che venissero inventati non si facessero ugualmente varianti, per altro del tutto fisiologiche con piani tanto vecchi (nel caso Roma di ben oltre quarant’anni) e troppo rigidi. Almeno finora, ma ancora oggi nel Lazio, grazie alla legge regionale voluta dall’assessore Bonadonna (Rifondazione) per garantire il primato del pubblico, facendo barriera sui nuovi strumenti di concertazione, comunque utilizzati, da più tempo e più massicciamente in altri Paesi europei, che ci vengono portati ad esempio. Dimenticando che gli strumenti sono solo strumenti, e tutto dipende da chi e da come li usa: il martello è senz’altro utile, ma ci si può anche ammazzare il coniuge: colpa del martello? E poi, non sono strumenti anche i piani?

Il senso profondo di questa puntata di Report, comunque, andava ben oltre i comportamenti eventualmente scorretti e/o scandalosi dell’amministrazione romana. Citando “dati” costruiti sulle vecchie tecniche di dimensionamento dei piani, per ovvi motivi ormai di fatto desuete, si è fatto capire che a Roma (solo a Roma?) si sono costruite, e si costruiranno ancora “troppe” case, ad esempio rispetto agli andamenti demografici. Subito dopo, però, venivano intervistati i cittadini che le case le avevano comprate, e semmai, oltre che del prezzo, che pure avevano pagato, si lamentavano della incompiutezza delle strade, della carenza dei servizi e, naturalmente, del traffico automobilistico. Sembra per altro normale, invece, che finché le case si vendono, i costruttori le fabbrichino: è il loro mestiere. In una cosa, comunque, il nuovo piano di Roma ha certamente fallito: a Roma si continua a parlare di “metri cubi”, invece che di urbanistica. Presidente dell’istituto nazionale di Urbanistica


costume

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Il successo di ”Grand Theft Auto IV” e di ”Jackass” riapre le polemiche sugli adolescenti violenti

«Va’ e uccidi»: la legge dei videogame di Pier Mario Fasanotti

iò che ha scritto lo psicologo Paolo Fuligni su liberal (il 29 maggio) è sacrosanto, e non mi vien proprio la tentazione di smentirlo. A proposito dei videogiochi, che stanno per ore nelle mani di adolescenti, Fuligni ha scritto:«Smettiamo di considerarli come un’attività malsana o addirittura pericolosa o nociva». Ovviamente l’esperto ha fatto dei distinguo: «Ci sono dei giochi utili e bellissimi, come ce ne sono di stupidi, demenziali o francamente ignobili». Ecco, è sull’aggettivo “ignobile” che vorrei soffermarmi. Dando informazioni: punto di partenza per varie considerazioni. Su questa materia c’è un gran dibattito e molti sono in disaccordo. Quel che spiace rilevare è che il tema non vede le famiglie così allertate o sensibili. È sempre molto comodo, per i genitori, usare le “babysitter elettroniche” senza indagare o domandarsi che cosa ci sia sullo schermo.

C

In America si grida ora allo scandalo per il gioco Grand Theft Auto IV (imperniato sul furto di auto, appunto). In una sola settimana sono state vendute sei milioni di copie (incasso: mezzo miliardo di dollari). È ambientato a New York, dove chi ha il joystick in mano può rubare, ferire e ammazzare. Anzi: più si uccide più si è “fighi”, e il punteggio sale. Una New York che ricorda le atmosfere di Blade Runner. Se ne discute molto, negli States. Anche Hillary

Clinton e Barak Obama, per una volta d’accordo, hanno messo il dito sulla piaga: «Il Gta IV ha reso più difficile il mestiere del genitore». C’è chi lo assolve dicendo che tutto è virtuale e i ragazzi lo sanno bene, mai tentati a confondere i due piani, la fantasia e la realtà, e lontani come sono da qualsiasi imitazione. C’è però uno psicologo che dice: «Quel gioco non è pericoloso, è letale». È certo che, come nella letteratura e nel cinema, scatta il meccanismo di identificazione. Nel caso specifico il ragazzo si sente ladro e non poliziotto. Ovviamente. La cosa più ipocrita è comunque la scritta “vietato ai minori di 18 anni”. Tutti sanno che anche i ragazzini di sette-nove anni lo usano, magari per-

gli va proprio male invece di finire in acqua finisce i suoi giorni sulla dura terra. La didascalia informa sulle ferite, meticolosamente. In basso a sinistra dello schermo compare un ventenne dall’aria cretina il cui volto si riempie di sangue man mano che il protagonista si fa male. Una bussola vivente del dolore. La vittoria – ecco il punto! – sta nel maltrattare il più possibile chi rotola giù.

Ho chiesto a Carlo, un ragazzo di tredici anni: «Non ti sembra che Jackass sia diseducativo?». Risposta: «La scuola dev’essere educativa, quella

A sinistra, la copertina di Jackass, presentato con queste parole: «Fa la cosa giusta o spaccati tutte le ossa, provaci, è solo questione di spettacolo» tacolo». Non mancano le istruzioni di massima: «…cerca di infliggere il massimo del dolore per ottenere un punteggio record». Nel retro di copertina della custodia c’è una strana avvertenza: «Gli stunt mostrati in questo gioco sono eseguiti da professionisti, quindi né tu né i tuoi stupidi amichetti dovete provare a imitarli».

Perché piacciono tanto questi videogames? Una psicologa, Simona Rivolta, mi ha chiarito un po’ le idee, a proposito delle peculiarità dell’adolescenza: «In quella fascia di età c’è la sensazione di poter fare ogni cosa. E questo si unisce a un altro aspetto fondamentale dell’età evolutiva: quello del limite. L’adolescente più che pensare agisce. Le tensioni e gli stati d’animo si traducono il più delle volte in azioni piuttosto che in riflessioni. Il videogioco è la risposta a queste istanze. È insomma uno strumento potente, perché descrive una situazione attraverso cui si realizza l’onnipotenza. Si capisce come questi giochi elettronici risultino più convincenti rispetto alla lettura o ai film. Appunto per la facoltà di interagire». Insisto: «Ma questi games sono pericolosi o no?». Risposta della psicologa: «Personalmente sono sospettosa, direi prevenuta, anche perché ho vissuto l’adolescenza con altri strumenti. Video come Jackass o Theft Auto favoriscono uno stato mentale in cui si può far tutto».

Ho chiesto a Carlo, un ragazzo di tredici anni: «Non ti sembra che questo gioco sia diseducativo?». Mi ha risposto: «La scuola dev’essere educativa, quella e basta» ché fratelli di chi l’ha comprato (con il placet dei genitori?). I giornali non hanno ancora parlato di un altro gioco in voga in Italia. Si chiama Jackass (to jackass significa fare un lavoro faticoso). Ecco il contenuto: ci sono varie prove, tutte imperniate sul rischio. Alcuni giovani si trovano sulla terrazza di un grattacielo e spingono i carrelli della spesa fino al bordo: vince chi frega l’altro facendolo precipitare. Due uomini, poi, si trovano in cima a una collina stile Arizona, sotto la quale c’è un pendio desertico, massi rocciosi, e alla fine un baratro con un lago. Uno dà un calcio all’altro, e la vittima rotola, urta contro le rocce e i cactus e se

e basta». Come dire: confiniamo la pedagogia e i buoni sentimenti in un cortile ben definito. Oltre c’è il divertimento virtuale, che non è proprio quello di Alice nel paese delle meraviglie, semmai di Johnny in blu jeans che sanguina o che spara (guarda caso) in una scuola, all’impazzata. A incuriosirmi, o indignarmi, è stato quel che ho letto sulla copertina e sul retro del giochino. Jackass viene presentato così: «Tutto il dolore, la stupidità e le bassezze morali che ci si può aspettare (sintassi traballante, ma fa niente, ndr) da questo eccentrico gruppo di degenerati». E ancora: «Stunt demenziale, buffonate e atti osceni….e questa volta il regista sei tu…fa la cosa giusta o spaccati tutte le ossa, provaci, è solo questione di spet-


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tendenze

Il romanzo di Clive Cussler ”Il tesoro di Gengis Khan” e il film di Sergei Bodrov rilanciano il mito del conquistatore

Il Signore di Mongolia di Massimo Tosti on solo il film, e non solo la splendida mostra di Treviso (intitolata Gengis Khan, Il tesoro dei mongoli) chiusa il mese scorso. È appena uscito in libreria anche un romanzo di Clive Cussler (assistito questa volta dal figlio Dirk) che ha già scalato le classifiche di vendita in molti Paesi, come sempre quando ci mette la penna (o il computer) il mitico Cussler. Si intitola Il tesoro di Gengis Khan (Longanesi editore, 535 pagine, euro 19,60), e rappresenta – per ora – l’ultima avventura di Dirk Pitt e del suo aiutante Al Giordino (protagonisti di altre storie di successo, come Vento nero, Odissea, Walhalla). Tutta la vicenda prende le mosse da un giorno lontano di settant’anni fa, quando un archeologo (inevitabile il paragone con Indiana Jones, incoraggiato dal particolare che anche Leigh Hunt, impegnato per conto del British Museum in una missione di scavi in Cina, «al posto del classico casco coloniale» si ripara la testa con «un malconcio cappello floscio») rinviene una scatola di legno laccata di giallo, al cui interno trova un rotolo di seta di un azzurro pallido sul quale è raffigurato un paesaggio con alcune scritte in uighur, l’antica lingua mongola.

N

anni (si presume nell’anno 1175) si trovò a capo della tribù degli Yakka (o Grandi Mongoli) e quindi signore di quarantamila tende. Il nome – come spesso accade nelle storie antiche, sempre in bilico fra realtà e leggenda – annunciava il suo destino. Nella sua lingua voleva dire «fabbro», ma anche «il più bell’acciaio». Nella versione cinese (T’ie mou jen) aveva un altro significato: «L’uomo più eccelso della terra». Un giorno sarebbe diventato l’uomo più potente del mondo, for-

raccontata da Cussler, che si svolge ai giorni nostri: fra le acque gelide del lago Bajkal, nella Siberia meridionale (lo specchio d’acqua dolce più profondo (1.620 metri nella zona centrale) del nostro pianeta – dotato di un fascino misterioso, che ha indotto molti romanzieri ad ambientarvi le loro storie: l’ultimo è stato Folco Quilici ne La fenice del Bajkal – e la sabbia rovente del deserto del Gobi. È in questi scenari inquietanti che Dirk Pitt dà la caccia a uno spietato imprenditore che conduce trattative segrete per la fornitura di petrolio alla Cina, e semina disastri che sconvolgono le borse mondiali dell’oro nero. Il tycoon è un mongolo che sogna di restaurare l’impero di Gengis Khan. Ovviamente c’entra – in tutto questo – la tomba del condottiero e il tesoro in essa conservato. Ma non è davvero il caso di raccontare come e perché. Quel che merita di essere sottolineato è il susseguirsi di emozioni, ma anche il fascino legato a un passato remoto nel quale persino l’Europa corse il rischio di finire sotto la dominazione di un guerriero forte e saggio come pochi altri nella storia. Gengis Khan era un analfabeta, come suo padre, sua moglie, i suoi generali. Ma dimostrò la sua statura di governante imponendo al suo popolo un codice di leggi, come Giustiniano.

Di lui scrisse Marco Polo: «Morì, e fu grande sventura, poiché egli era prudente e saggio. Uomo di grande senno e prodezza»

Vi si legge: «Sulla cima del Burkhan Khaldun, annidato fra i monti Khentii, dorme il nostro imperatore con il fiume Onon a placarne la sete fra le vallate dei predestinati». Al centro del rotolo è raffigurato un cammello che piange, sulla cui gualdrappa spiccano due parole: «Temujin khagan». Per chi non lo sapesse (o non lo ricordasse), Temujin era il nome di un fanciullo mongolo che a tredici

se il più grande condottiero e conquistatore della storia: Gengis Khan.

Il nostro Indiana Hunt, messo al corrente da un aiutante-traduttore del significato di quelle iscrizioni, non ha dubbi: quel rotolo di seta era la mappa del luogo segreto della sepoltura di Gengis Khan. Questo è, per così dire, l’antefatto della vicenda

Lo Jassa (così si chiamava in lingua mongola la Legge) era un’accorta combinazione di norme da lui studiate e di articoli che conferivano valore giuridico alle consuetudini già in vigore nelle tribù. Il linguaggio era discorsivo, se non infantile: niente a che vedere con

In alto e a destra, alcune scene dell’ultimo film del regista russo Sergei Bodrov ”Mongol”; a sinistra, la copertina dell’omonimo romanzo dello scrittore Clive Cussler, da cui è stato tratto il film


tendenze

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Sul grande schermo è marito amorevole, attaccato ai valori dei padri

Sorpresa: Gengis Khan non era un sanguinario di Francesco Ruggeri orpresa. Di quelle che ti costringono a fare i conti con i vecchi manuali scolastici e i miti duri a morire. Parliamo di Gengis Khan. La Storia ce l’ha presentato in un certo modo. E a ogni esclamazione del suo nome, non si poteva non pensare a teste staccate di netto, massacri virulenti e occhi infiammati di sangue. Ebbene, sbagliavamo.

S

A dimostrarcelo è Sergei Bodrov, bella promessa (mantenuta in pieno) del nuovo cinema russo che dopo una bella riflessione sull’amicizia (Il prigioniero del Caucaso, premio Oscar) e una sull’adolescenza (Il bacio dell’orso), ha rotto gli indugi alzando un bel po’il tiro e passando dal minimalismo tenue delle sue opere precedenti all’irruenza epica di questo suo ultimo Mongol. Che c’èntra dunque Gengis Khan? C’entra, eccome. Nel film

Sin da bambino riceve dalla famiglia un’educazione salda alla morale: rispettare sempre il prossimo, seguire sani principi e non abbandonare mai la via dell’onestà. Costi quel che costi

quello arido e pomposo dei costituzionalisti d’oggigiorno. La storia, scritta dai suoi nemici, definisce ancora Gengis Khan come un barbaro sanguinario. Ma alcuni testimoni del tempo concordano nel dire che la pax mongolica garantì sicurezza e prosperità per alcuni decenni. Marco Polo (che arrivò in Cina mezzo secolo dopo la morte del condottiero) scrisse: «Morì, e fu grande sventura, poiché egli era prudente e saggio». Il Capitolo LIII del Milione racconta come Gengis divenne Khan. Il nome è storpiato in Cinghys, i Mongoli vengono chiamati Tartari, le date sono inesatte, Toghrul viene chiamato Prete Giovanni (nel rispetto di una leggenda medievale secondo la quale un religioso occidentale era diventato un capo mongolo).

Ma la testimonianza è comunque suggestiva. «Ora avvenne che nel 1187 anni gli Tarteri feciono uno loro re ch’ebbe nome Cinghys Cane. Costui fue uomo di grande valenza e di senno e di prodezza; e si vi dico che, quando costui fu chiamato re, tutti gli Tartari, quanti n’erano al mondo, che per quelle contrade erano, si vennoro a lui e tennolo per si-

figlio di appena dieci anni a scegliere la futura moglie, la ragazzina che potrà sposare dopo cinque anni. E fornisce al figlio una gran bella lezione di morale: rispettare sempre il prossimo. Non abbandonare per nulla al mondo i valori tramandati dai padri. Seguire sempre la via dell’onestà. Costi quel che costi. Antropologia cinematografica? No, ma ci andiamo vicino. Perché il regista russo va pazzo per i dettagli, per lo studio dell’ambiente e con pochi tocchi ci restituisce appieno il nitore selvaggio e incontaminato di un popolo nomade e fiero come pochi altri. La prima parte di Mongol è tutto un affare di volti, di corpi inquieti, di leggi vecchie come il mondo che non vanno trasgredite. L’educazione del futuro Gengis comincia e finisce negli occhi del padre, autentico monumento bigger than life di un’etica condannata a rimanere affare di pochi. Quando l’uomo muore avvelenato, il piccolo Temugin si fa una promessa. Vendicarlo? Assolutamente no. Ma far sì che la barbarie muti nelle forme di una nuova civiltà. La seconda parte del film nasce sotto il segno dell’estraniamento, dell’isolamento. E Bodrov fa la pensata giusta: rappresentare il protagonista come un uomo in lotta. Prima di tutto contro il suo tempo. Uno spirito capace di precorrere i tempi e destinato a seguire il tracciato di un calvario di matrice quasi cristologica. Gli rapiscono la moglie due volte, rischia continuamente di venire ucciso, per poi essere ridotto in schiavitù e gettato in gabbia per diventare oggetto di scherno da parte dei suoi aguzzini. I mesi passano, ma lui resiste. E, per dirla alla Bazin, continua oscenamente a ”non” morire. Diavolo d’un Gengis. Senza contare che, una volta fuggito grazie alla complicità preziosa della moglie, non può certo godersi la famiglia.Tempo di rivedere i figli e di giocare con loro qualche ora, che il destino lo richiama all’ordine. Quale? Quello di riunire la sua gente in un unico popolo, dando loro regole precise.

gnore. E questo Cinghys Cane tenea la signoria bene e francamente; e quivi venne tanta moltitudine di Tarteri, che non si potrebbe credere. Quando Cinghys si vidde cotanta gente, apparecchiossi con sua gente per andare a conquistare altre terre».

non viene mai nominato così (il suo nome è Temugin), ma si tratta della sua storia, dall’infanzia sino alla capitolazione avvenuta con la morte. Revisionismo cinematografico? Diciamo di sì. Bodrov non ha preso il compito alla leggera, ma ha scartabellato in fretta e furia centinaia di volumi sull’argomento, fino a mutare il progetto del film sul Khan in una vera e propria ossessione: quella di raccontare prima di tutto l’uomo. Quindi il padre di famiglia, il marito innamorato, il padre affettuoso e dedito ai proprio figli. Senza dimenticare chiaramente il perno di tutto il suo discorso: la trasformazione di un semplice abitante delle praterie mongole nell’uomo che riunì le tantissime tribù sparse sul territorio, trasformando la periferia in centro. E creando uno Stato. Si parte da lontano, per la precisione dall’infanzia del capo. Bodrov non perde tempo nei preliminari, didascalizza il contesto storico (ci troviamo alla fine del 1100) e apre le danze incollandosi agli occhi del piccolo Temugin. Giovane, certo, ma con le idee già molto chiare. In primis quella di seguire le orme del padre. Il quale, a differenza degli altri uomini del suo clan, vede in grande, ma senza dimenticare mai le leggi che presiedono alla morale. Nella prima sequenza importante del film accompagna il

Dov’è andato a finire dunque il Gengis sanguinario tramandato ai posteri? Bodrov ce lo mostra sul campo di battaglia, dove non ce n’è per nessuno. Imbattibile nel corpo a corpo e infallibile quando c’è da allestire una strategia con cui sopraffare il nemico. Ecco dunque l’altra faccia di Mongol, quella legata allo scontro diretto, al faccia a faccia fra eserciti senza bandiera pronti a tutto. Il regista russo si è ripassato per bene la lezione wellesiana (quella del Falstaff della battaglia di Shrewsbury), ma anche quella di Kurosawa (Kakemusha su tutto), organizzando alla grande la scena e non lesinando davvero in nulla. Arti tagliati di netto, schizzi di sangue a go go, fango, terra e polvere. La vera anima di un cinema che punta all’idealismo, sporcandosi le mani con le radici insanguinate di una Storia ancora tutta da scoprire.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Ogm: possibile soluzione alla fame nel mondo? NON SAPPIAMO SE POSSONO ESSERE DANNOSI, SERVONO STUDI APPROFONDITI E NORMATIVE AD HOC

NONOSTANTE I LEGITTIMI DUBBI DEL CASO, NON SI POSSONO PREGIUDIZIALMENTE BOCCIARE

Certamente con l’uso degli Ogm si potrebbe realizzare una produzione enorme di generi alimentari capace di risolvere il problema della fame nel mondo. E allora perché tanti pregiudizi, tanta ostilità per la immissione in commercio di prodotti geneticamente modificati?Semplice: ancora non sappiamo con esattezza quali effetti, anzi quali sarebbero i rischi per la salute umana. Nonostante le smentite dei Paesi che già commercializzano nel campo agricolo, alimentare, zootecnico e persino medico i prodotti geneticamente modificati, sarebbero stati accertati numerosi casi di allergie e abbassamento delle difese immunitarie. Inoltre leggo su Internet che «poiché gli Ogm sono organismi del tutto nuovi, inesistenti in natura, la loro immissione nell’ambiente potrebbe provocare reazioni impossibili da prevedere nell’intero ecosistema». E’probabile che ancora molti anni dovremo aspettare per avere la certezza che l’uso degli Ogm non apporterebbe danni all’uomo e all’ambiente. E naturalmente sarà necessaria l’emissione di una normativa che ne regoli la produzione e l’uso.

Forse sì. Di certo c’è che la fame nel mondo è sempre più diffusa e che in certe zone del pianeta - in Africa e in India principalmente - una grande percentuale delle varie colture vanno perdute a seguito dell’aggressione di parassiti che, invece, vengono respinti da piante geneticamente modificate. In Giappone, in Canada e negli Stati Uniti d’America, è già stata autorizzata la produzione di grandi quantità di soia, mais, riso, colza, patate, pomodori e altri generi di alimenti geneticamente modificati e non si hanno notizie di danni subiti dai consumatori. Certo si tratta di un mondo ancora tutto da sperimentare e soprattutto da monitorare e governare con leggi ben ponderate. Una cosa però mi sembra doveroso affermare: non si può pregiudizialmente bocciare una iniziativa che davvero potrebbe costituire la soluzione di quello che forse è il problema dei problemi che affliggono l’umanità: la fame di milioni e milioni di esseri.

Salvo Lo Giudice - Palermo

LA DOMANDA DI DOMANI

Chiusura della centrale nucleare in Slovenia, allarme vero o soltanto allarmismo? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Stefano Schiavo - Padova

I RISCHI IN REALTÀ SONO ANCORA TROPPO ALTI, GLI OGM POTREBBERO PRODURRE SOSTANZE TOSSICHE L’inserzione artificiale di un transgene può interferire fisicamente con l’espressione dei geni adiacenti alla zona d’inserimento. Una volta inserito in una cellula, infatti, il gene è incorporato nel genoma in modo casuale, ma sempre in regioni attive dove ne è possibile l’espressione. L’inserimento può impedire, deprimere o stimolare l’espressione dei geni associati alle regioni attive del Dna dell’ospite ed è quindi in grado di influire anche su caratteristiche legate con la comparsa di sostanze impreviste. I motivi cui è legata la possibilità che negli organismi ”gm”compaiano sostanze allergeniche o tossiche possono essere ricondotti ai seguenti aspetti principali: al fatto che tecniche attuali non permettono un’inserzione mirata dei geni estranei nel genoma ospite implicando la possibilità che la struttura (e quindi la funzionalità) di geni endogeni correlati al sito di inserzione venga disturbata. Questo è reso più concreto dalla necessità di inserire i geni estranei in zone del Dna molto attive per quanto riguarda l’espressione genetica.

NEL SEGNO DI OBAMA Qualcosa di importante è successo: Obama strappa la candidatura per la corsa alla Casa Bianca. E’ un segno dei tempi, di un mondo sempre più globalizzato, che corre verso nuove mete senza pregiudizi. Il sogno americano continua, nella speranza di un cambiamento, di un sostegno alle popolazioni più deboli, all’insegna di politiche sociali inclusive. In caso di elezione, Obama avrà una sfida titanica da affrontare: dare un segno e un cambiamento radicale nella politica estera americana e nella stessa politica economica interna, non sarà facile. C’è da dire che il valore della sua vittoria è ancora più vigoroso se si pensa che ha sconfitto di misura una navigata politica come Hillrary Clinton, una combattente vera. L’America continua dunque nel solco dell’innovazione e del progresso civile e democratico, Obama potrà essere il nuovo che gli Stati Uniti si aspettano? Riuscirà a dare voce ai ghetti e alle fasce più disagiate? Riuscirà a portare avanti una politica estera che sia pacifista ma ferma nell’azione diplomatica? Tutto questo non ci è dato saper-

ODISSEA NELLO SPECCHIO

In questa spettacolare immagine fornita dalla Nasa, si vede l’atronauta Mike Fossum, specialista della missione STS-124, impegnato nella manutenzione della Stazione Spaziale Internazionale. Riflesso sulla visiera del suo casco è l’astronauta Ron Garan, compagno di missione

IL TG3, UN ALLENAMENTO PER DIVENTARE PAZIENTI Sì, la pazienza è una dote importante. Bisogna essere pazienti per stare al mondo. La pazienza va applicata ogni dì, sempre. Si può provare a mettere alla prova la propria pazienza in vari modi. Se volete allenarvi e cercate un’impresa ardua con cui cimentarvi per sfidare le vostre prestazioni, ecco allora non potete mancare di accendere la TV e di sintonizzarvi su RaiTre per seguire il TG3. Nel giro di pochi minuti, vedrete una serie di coinvolgenti e irresistibili servizi che vi faranno arrivare i valori e i radicati pregiudizi di una sola comunità, i messaggi di una sola tribù, che non è la vostra. L’aspetto negativo è che lo spettacolo è a pagamento e il rischio è sempre lo stesso, qualche giramento e, per i

dai circoli liberal Diana Laurenti - Firenze

lo, per ora. Sappiamo solo che Obama, l’uomo venuto dal nulla, è candidato con ampio margine di successo alla Presidenza del Paese più potente del mondo. In Italia, invece, viaviamo ancora in un sistema politico nepotistico e bloccato, dove o trentenni o i quarantenni fanno fatica ad affacciarsi e occupare spazi, lì dove si determinano le scelte importanti per il Paese. Se solo il sistema sociale, politico, professionale, lavorativo, riuscisse a inserire con maggiore vigore e celerità le forze più dinamiche della società Italiana, il nostro Paese potrebbe riuscire a fare un balzo in avanti di notevole rilievo. Per costruire una Nazione competitiva è necessario avere la forza di costruire percorsi sociali lineari e determinati, dalla volontà del singolo e non dai giochi delle parti. Le migliori risorse di questo Paese, spesso vengono inutilizzate per dare spazio al pragmatismo di una società, quella italiana, senza più sogni né mete. Obama è riuscito a costruire un nuovo sogno americano, l’Italia legata da mille lacci e laccuioli non risce ancora a esprimere laeder politici carismatici, giovani e pieni di Ideali. Gli Idea-

più sensibili, qualche mancamento. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Pierpaolo Vezzani

AUMENTARE LA PRODUZIONE, RIDURRE LA PRESENZA DEI VERDI La Fao chiede di aumentare le produzioni agricole per la fame nel mondo. Non è giusto, è indispensabile, ma bisognerebbe in contemporanea ridurre la presenza dei Verdi nei governi occidentali. Non dico di farli sparire dal Parlamento come in Italia, ma gli altri Paesi si diano una ”smossa”! Se non sanno cosa farne, parlino con il sottosegretario Bertolaso, disoccupati non rimarranno: siamo un popolo generoso e per loro troverà qualcosa, anche un lavoro improprio.

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

li muovo il mondo, il pragamtismo non costruisce alcun futuro, ma rasenta la mera sopravvivenza. Per costruire grandi progetti politici e grandi Nazioni è necessario avere grandi ideali, con la forza e la passione giusta per portali a compimento. E’ necessario fare politica mattone dopo mattone, giorno dopo giorno, con la forza della passione, nell’interesse esclusivo della collettività e della legalità. In America c’è Obama, l’Italia attende. Luigi Ruberto CIRCOLO LIBERAL MONTI DAUNI

APPUNTAMENTI ROMA - OGGI VENERDÌ 6 GIUGNO 2008 Ore 11 a Palazzo Ferrajoli (piazza Colonna) Riunione nazionale dei presidenti e dei coordinatori regionali dei Circoli liberal. ATTIVAZIONE Il coordinamento regionale della Campania ha attivato il numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio: 800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Sei una febbre che vale dieci anni di salute Nelson, mio grande amore. Sono stanca da morire, ma non posso andare a letto senza scriverti. Ho bisogno di parlarti, non potendo contare su alcuna altra forma di pace stasera. Durante il tragitto, in treno, in taxi, in aereo, non ho smesso di piangere e di parlarti. So che non ami tanto le parole, ma per una volta lascia che ti parli, non spaventarti se piango. E’ certo che tu hai talvolta il potere di darmi per alcuni minuti una sorta di febbre che vale dieci anni di buona salute. Può darsi, essendo il tuo brutto cuore profondo e caldo ma non febbrile come il mio, che tu non possa capire quale choc mi ha provocato il dono che ancora una volta, poche ore fa, mi hai fatto del tuo amore. Mi ha fisicamente resa malata. Ma eccomi all’Hotel Lincoln, ora tenterò di dormire - la notte mi spaventa. In tutta la mia vita niente ho desiderato con una volontà così ardente come quella che ho di rivederti. Simone de Beauvoir a Nelson Algren

LA DISCARICA DI MALAGROTTA DOVEVA CHIUDERE IL 31 MAGGIO Un’ordinanza commissariale del 25 luglio del 2007 fissava il 31 maggio 2008 come termine ultimo per il conferimento dei rifiuti all’interno della discarica di Malagrotta, ma ancora oggi tonnellate di spazzatura continuano a pervenire senza alcuna certezza per il futuro. La Valle Galeria è un territorio già profondamente deturpato da fenomeni di inquinamento ambientale come la raffineria di petrolio, le cave, gli inceneritori dei rifiuti ospedalieri, oltre alla discarica più grande d’Europa e il costruendo termovalorizzatore, tutto questo di fatto sta causando un irresponsabile accanimento contro i cittadini della zona. Migliaia da Ponte Galeria a Massimina, da Casal Lumbroso a Piana del sole e da Spallette a Santa Cecilia soffrono un’incertezza e un inquinamento ambientale che non va assolutamente dimenticato. Ad oggi, infatti, non solo non vengono effettuati rilevamenti delle centraline che certifichino l’attuale situazione di inquinamento prodotta dalle installazioni industriali presenti, ma neanche sono mai pervenute garanzie rispetto alla

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

6 giugno 1869 Nasce Siegfried Richard Wagner, compositore e direttore d’orchestra tedesco 1896 Nasce Italo Balbo, politico, militare e aviatore italiano 1906 Nasce Junio Valerio Borghese, militare e politico italiano 1925 Viene fondata la Chrysler Corporation 1933 Apre il primo drive-in, a Camden (New Jersey) 1944 Seconda guerra mondiale: D-Day: L’Operazione Overlord da il via alla Battaglia di Normandia 1949 Viene pubblicato 1984, di George Orwell 1951 A Berlino si tiene la prima edizione della Berlinale 1972 Viene pubblicato l’album ”The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders From Mars” di David Bowie 1982 Il ministro della difesa israeliana Ariel Sharon dà inizio all’Operazione Pace in Galilea in Libano

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

chiusura definitiva della discarica che continua ad allargarsi indiscriminatamente. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale. A presto, distinti saluti.

il meglio di

Sergio Campi - Roma

MA LA SINISTRA AMA VERAMENTE L’ITALIA? Mi verrebbe di dire a Berlusconi: hai visto, appena hai fatto capire di avere un attimo di umanità, l’opposizione, l’Unità, la stampa e la Tv ti danno del «marcia indietro», ben ti sta! Il reato di clandestinità va discusso in Parlamento e si vedrà, ha aggiunto Berlusconi?: apriti cielo, ecco avevamo ragione noi, il governo si spacca davanti al mondo! Perché godete sempre nel farci male? Non potremmo vedercela a quattrocchi? No, dobbiamo sputare veleno di fronte al mondo. La domanda è: siamo sicuri che la sinistra ami l’Italia e speri nel rispetto degli altri verso di noi? Mah! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

L. C. Guerrieri - Teramo

PUNTURE Il presidente della Repubblica a Napoli ha detto che i rifiuti tossici vengono dal Nord e l’opinione pubblica settentrionale ne deve essere consapevole. L’Italia è davvero un Paese unito.

Giancristiano Desiderio

Non cercate nel monte un’impalcatura per arrampicare, piuttosto cercate la sua anima JULIUS KUGY

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

PIAZZA TIENANMEN: NOI NON DIMENTICHIAMO Volevano la libertà e per questo si misero a protestare in piazza, come prima di loro milioni e milioni di studenti avevano fatto in diversi angoli del mondo. Quei coraggiosi e sfortunati studenti di Pechino però furono massacrati. A diciannove anni di distanza il ricordo di piazza Tiananmen è ancora vivo nella memoria. Chi non era ancora nato e magari oggi si appresta a sostenere l’esame di maturità si chiederà: ma come fu possibile mandare dei carri armati per sedare una manifestazione di piazza contro studenti inermi? Erano proprio così, inermi, quei ragazzi che finirono massacrati dalla dura repressione ordinata da Deng Xiaoping. Erano armati solo di bei propositi, fogli di carta, cartelloni e, magari, qualche megafono. Non avevano altro. Contro di loro furono mandati i soldati. Contro di loro fu ordinato di sparare ad altezza uomo. A distanza di 19 anni non si sa ancora quante furono in totale le vittime. C’è chi parla di 600, altri indicano cifre molto più alte. Migliaia e migliaia furono gli arresti. Dopo quasi venti anni molti continuano a subire un trattamento durissimo, da parte del regime cinese, per i fatti di piazza Tiananmen. Chi non c’era e si vuole documentare su cosa accadde... in Cina non può farlo usando internet. La parola è ”censurata”. La si può anche digitare sui motori di ricerca ma non porterà mai da nessuna parte. E’ anche questo il regime: ieri usava i cingoli, oggi mette il bava-

glio a Internet. Tiananmen, il ricordo va subito a quell’uomo che, con due buste in mano, da solo, in mezzo alla piazza, fermò una colonna di blindati. Un’immagine che fece il giro del mondo e divenne un’icona della lotta per la libertà.

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LA DIFFERENZA DI UNA SCELTA Nel giorno del 40° anniversario dell’assassinio di Bob Kennedy la vittoria è tutta sua, di Barack Obama che ha stracciato la sua avversario Hillary Clinton nel voto finale del South Dakota e del Montana conquistando così la nomination democratica per la corsa alla Casa Bianca. Gente, non so se si è capito, ma quello che abbiamo visto è stato uno tra gli scontri politici più belli a cui io abbia finora assistito. Dai caucus dell’Iowa passando per il Super Tuesday fino alla nomina effettiva di martedì a sfidante di John McCain, i candidati hanno speso loro stessi e le loro forze per vincere. Tra alti e bassi, il confronto è stato assolutamente avvincente proprio perchè nulla è stato ovvio, scontato. Il risultato in bilico fino all’ultimo minuto. Dubito che sarà facile vedere ancora battaglie così sofferte e combattute. Così vere. E se penso che in certe primarie nostrane i candidatiattori se le sono contata e suonata da soli e l’esito era già scritto in partenza dalle segreterie, mi viene un leggero senso di allergia, non so voi...

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PAGINAVENTIQUATTRO L’ultimo libro del matematico Frank J. Tipler, celebre per i suoi studi sulla fisica dei viaggi nel tempo

Dio esiste, lo dimostrano di Angelo Crespi a notizia è questa: Dio esiste, Gesù è nato senza peccato da una vergine, è risorto e anche noi risorgeremo con il corpo glorioso. Non si tratta delle certezze di un qualsiasi predicatore televisivo notturno, bensì delle deduzioni scientifiche di un matematico di vaglia come Frank J. Tipler, docente alla Tulane University di New Orleans, celebre per i suoi studi sulla fisica dei viaggi nel tempo. Orbene, siamo sempre stati indotti a pensare che il cristianesimo osteggiasse la scienza. Dai tempi del processo a Galileo Galilei, la Chiesa si porta dietro questa orribile fama e poco vale spiegare che la nostra religione, contrariamente alle altre, ha permesso che in Occidente nascesse il pensiero scientifico poiché distingue Dio dal mondo e concede all’uomo il permesso, anzi il diritto di indagare sulla natura. Adesso Tipler, addirittura, inverte questo luogo comune della Chiesa matrigna della scienza sostenendo che tocca al cristianesimo spiegare la fisica e non viceversa. Come? Semplice: accostando Dio alla meccanica quantistica. E visto che non c’è limite alla tracotanza di un giornalista, poiché un vero giornalista - chiosava Longanesi - spiega benissimo quello che non sa, tentiamo un’esegesi di questa affascinante teoria.

L

Nella prima parte de “La fisica del cristianesimo” (Mondadori, pp.362, euro 19,00) Tipler organizza un manabile abbastanza agile e comprensibile a cui volentieri rimandiamo: per chi non masticasse l’argomento basti ricordare che la meccanica quantistica afferma, in soldoni, che tutti i corpi dell’universo un elettrone, una sedia, gli uomini, la Terra sono simultaneamente una particella e un’onda. Le onde, diversamente dalla particelle, interferiscono tra loro e queste interferenze costruttive e distruttive sono state studiate e riassunte in alcune fondamentali leggi che qui, per manifesta ignoranza, non ripetiamo. L’importante è vedere come Tipler indaghi l’essenza del Cristianesimo attraverso i quanti. E alla fine, in un percorso convincente - d’altronde per tentare di contraddire i vari passaggi bisognerebbe essere laureati con Rubbia - prova innanzitutto che Dio è la Singolarità cosmologica, ed è fuori dal tempo e dallo spazio, ed è l’unica cosa non soggetta alla leggi della fisica. Secondo, che la suddetta Singolarità cosmologica consiste di tre ipostasi che, guarda caso, assomigliano tremendamente al padre al figlio e allo spirito santo, distinti e uniti come appunto la Trinità. Terzo, spiega che i miracoli, contrariamente a quanto sostenuto in un dibattito secolare tra ortodossi ed eresiarchi, non violano mai e poi mai le leggi della fisica. Quarto, sostiene che il miracolo più grande è l’incarnazione, cioè Dio che si è fatto uomo. Quindi prova che Gesù è nato da una donna vergine. Infine che Gesù è realmente risorto facendo uso del processo di “annichilazione barionica” che è re-

I QUANTI sponsabile dell’esistenza di tutta la materia oggi presente nel cosmo, dato che questo processo fu utilizzato durante il big bang per convertire la radiazione in materia. Nello specifico della resurrezione, Gesù avrebbe invertito il processo convertendo la materia del suo corpo in una radiazione invisibile fatta di neutrini.

E qui viene il bello, impossibile da riassumere in poche righe, che andrebbe invece gustato leggendosi il tomo intero di Tipler. E cioè: Gesù avrebbe utilizzato questo sistema, le cui

il prezzo dei nostri peccati, bensì ci ha fornito la conoscenza necessaria per salvare l’universo intero dalla distruzione. E qui tentiamo di chiudere sperando di non dire troppe castronerie. L’universo tende ad espandersi all’infinito. Solo inventando un razzo barionico e con esso viaggiando su e giù per lo spazio potremmo annichilire abbastanza barioni così da bloccare l’accelerazione dell’universo e salvare capra e cavoli.

Ovvio che a quel punto avremmo computer quantistici tanto potenti sui quali poter fare un download della nostra anima e quindi diventare di fatto immortali e vivere tutti i possibili destini che non abbiamo scelto nella vita vera, ma che esistono accanto a noi in forma di “multiversi”. Potendo ricostruire coi computer l’intera storia dell’universo nelle sue infinite diramazioni, potremo facilmente far risorgere tutti quelli che ci hanno preceduto in forma di download umani e con loro godere del Paradiso in una perfetta comunione dei santi. La cosa dovrebbe avvenire, stando alle stime di Tipler, al massimo entro una cinquantina d’anni. Per quella data saremo abbastanza vecchi per farci seppellire in modo tradizionale.

La Singolarità cosmologica, la Trinità, l’incarnazione e la resurrezione di Gesù Cristo, l’immacolata concezione, i miracoli, la Sindone: la meccanica quantistica conferma le radici della religione occidentale. E ci regala consigli sul futuro tracce sono ben visibili nella Sindone, per darci un indizio di come potremmo noi stessi fare altrettanto. E non solo. Dobbiamo acquisire il controllo di questo processo nel più breve tempo possibile per impedire nel prossimo futuro la violazione dell’“unitarietà”, una violazione che qualora si verificasse distruggerebbe l’universo. In pratica, Gesù morendo e resuscitando non ha soltanto pagato


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