Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
SEDICI PAGINE DI ARTI onache r c E CULTURA
Rischi e opportunità di una situazione inedita
di
C’è un nuovo potere: la diarchia di Napolitano e Berlusconi
di Ferdinando Adornato
L’UOMO DEL MOMENTO
di Gennaro Malgieri
Potrebbe essere un buon presidente: a meno che non si faccia trasformare dai suoi fans in un feticcio ideologico. E l’operazione è già partita…
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L’Obamismo
(malattia senile del sinistrismo) alle pagine 2 e 3
SABATO 7
I
seg ue a pagin a 9
Sette mosse per tornare a produrre energia
«Difenderemo la sacralità di persona e famiglia»
È finita l’era dei tecnoentusiasti?
Ecco la road-map per le centrali nucleari in Italia
E Berlusconi abbandonò la sua “anarchia etica”
Internet: ormai siamo prigionieri della Rete
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 10 giugno
n Italia si producono figure politico-istituzionali in maniera empirica. La più significativa è stata l’invenzione del premier eletto di fatto dal popolo senza nessuna modifica costituzionale, tanto che la nostra resta una democrazia parlamentare, e non presidenziale, poiché il capo del governo, pur plebiscitato, deve ottenere l’incarico dal presidente della Repubblica e guadagnarsi la fiducia delle Camere. Una ibridazione tra due sistemi che soltanto la fantasia italiana poteva creare. Alla stessa maniera, sia pure impercettibilmente, si sta realizzando una sorta di diarchia nella sfera del potere che soltanto pochi, per adesso, riescono a scorgere. Può darsi che svanirà presto, ma non è detto che non si affermi nel superiore interesse dell’unità nazionale e dell’apertura al dialogo tra le forze politiche per riformare l’impianto costituzionale. Nelle ultime settimane, infatti, il rapporto tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha toccato la punta massima della sintonia possibile come mai si era registrato nella storia della Repubblica. L’uno e l’altro, al contrario di quanto ci si poteva attendere, hanno imbastito immediatamente, fin dall’inizio della Legislatura, un legame, probabilmente cementato anche dalla reciproca simpatia, che è comunque tutto politico.
di Enrico Cisnetto
di Errico Novi
di Riccardo Paradisi
«Mannaggia, l’incidente in Slovenia non ha fatto danni». È questo probabilmente il pensiero di molti vetero-ambientalisti dopo l’allarme (subito rientrato) arrivato dalla centrale atomica di Krsko, poco lontano da Trieste.
La pausa è durata qualche mese, dalla campagna elettorale al primo venerdì di giugno. Da ieri nell’agenda politica sono tornati i temi etici. Un silenzio che ha agevolato più il Pd che il Pdl.
Accanto all’ottimismo utopistico dei tecnoentusiasti, è sorta nell’ultimo decennio una coscienza critica che ha concentrato la sua analisi sui rischi della rete, sui pericoli di Internet.
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nell’inserto Creato a pagina 12
GIUGNO
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
106 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 7 giugno 2008
l’obamismo
I suoi più temibili nemici sono le tribù dei suoi fan che lo trasformano in un feticcio ideologico
Partito Obamista Italiano di Andrea Mancia
Viva Barack:se non diventa un “ismo”
alter Veltroni, a sorpresa, non c’è. Eppure l’elenco di “leader politici esteri”che hanno fatto un endorsement a favore di Barack Obama, pubblicato da Wikipe-dia, è piuttosto corposo. C’è Ségolène Royal, candidata sconfitta all’Eliseo, ma anche l’ex primo ministro francese Laurent Fabius. E poi il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë; il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt; il (discusso) membro del parlamento britannico, George Galloway; il
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hiariamo subito una cosa: noi di Liberal siamo lieti che lo scontro finale per le presidenziali Usa si svolga tra McCain e Obama. Anzi, lo avevamo già auspicato diversi mesi fa, dedicando la copertina del nostro quotidiano proprio a questo endorsment. Da un lato McCain ci sembrava il candidato più forte per dare continuità alla politica di George W. Bush. Dall’altro Obama rappresentava l’unica vera possibilità di impedire che il clan Clinton, con il suo immutabile giro d’affari e di potere potesse tornare alla Casa Bianca. Motivo per cui a nostro modesto avviso Barack farebbe bene a non scegliere Hillary come vice presidente. Ma sia chiara anche un’altra cosa: una cosa è Obama, altra cosa è l’“Obamismo”, cioè quella corrente di pensiero, formata in larga parte da intellettuali della sinistra italiana, che in questi ultimi mesi - e nelle ultime ore in particolar modo - si è auto-proclamata esibendo precise ragioni ideologiche strenua sostenitrice di Obama. Obama è bello perché è nero, perché è giovane, perché ricorda J.F. Kennedy, perché in definitiva offre l’illusione di spazzare via gli ultimi trent’anni della politica americana, gli anni della rivoluzione reaganiana.
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È un’illusione che nasce dai soliti immarcescibili miti del sinistrismo di casa nostra ancora convinto che l’America si divida in due, quella dei “buoni” (ovviamente i democratici) e quella dei “cattivi” (ovviamente i repubblicani); insomma, la vecchia favola dell’“Altra America”che non ha mai smesso di popolare le fantasie della sinistra da Angela Davis ai nostri giorni. Una favola che regge nonostante continui a riservare ai suoi cultori ripetute cocenti delusioni, com’è avvenuto nelle scorse presidenziali quando in Europa erano tutti convinti che il “buono”Kerry non potesse che battere il “cattivo”Bush. Si tratta di un sinistrismo fazioso ma anche ingenuo: infatti fabbrica da solo i miti da cui poi viene regolarmente sepolto. Viceversa il nostro endorsement per Obama nasce dalla convinzione che egli sia un ottimo potenziale presidente. In questi anni il primato americano è oggetto di nuovi forti attacchi: dall’odio pervicace del fondamentalismo islamico, dai rinverditi sogni di gloria della Russia di Putin e, ancor di più, dall’escalation di grande potenza della Cina. Si tratta di minacce politiche ed economiche che provengono, tutte, da centri di potere autocratici e illiberali. Dunque se sono un pericolo per gli Usa lo sono di conseguenza anche per la stabilità liberale di tutto l’Occidente. È auspicabile dunque che, almeno per il momento, gli Stati Uniti non perdano il loro primato perché essi, allo stato, rimangono l’unico baluardo (l’Europa, sul tema, balbetta) nella difesa dei diritti civili mondiali. Ebbene, se gli elettori americani scegliessero Obama vincerebbe l’idea che l’America non ha paura del futuro, che guarda al XXI secolo con la fiducia di chi sa rinnovarsi, di chi è in grado di produrre nuove classi dirigenti all’altezza delle sfide della modernità. L’elezione di McCain significherebbe la continuità di una leadership mondiale già sperimentata. Ma l’elezione di Obama, non muterebbe, da questo punto di vista il destino americano. Al contrario degli “obamisti” non riteniamo che Obama cambierebbe i fondamentali della politica estera di Washington. Del resto, mai nessun presidente americano democratico ha ceduto alle follie che la sinistra europea di volta in volta suggeriva. Di più: la così tanto contestata linea di Gorge Bush affonda le sue radici nelle convinzioni ideali di un grande presidente democratico del Novecento: Woodrow Wilson. Il problema che abbiamo di fronte è lo stesso di sempre: fare in modo che il XXI secolo sia ancora dominato dal sogno americano della libertà globale. Perciò l’unica cosa dalla quale Obama deve guardarsi è proprio l’Obamismo, il tentativo europeo (ma anche di qualche suo supporter americano) di trasformarlo da un ottimo potenziale presidente in un feticcio ideologico.
lib
vice primo ministro (e ministro delle Finanze) Wouter Bos; il leader del Liberal Party canadese, Michael Ignatieff. Di italiani, neppure l’ombra. Eppure è proprio nel nostro Paese che le agguerrite tribù dell’Obamismo hanno trovato il terreno più fertile per la propria espansione.
Veltronian-kennediani In cima alla lista, naturalmente, ci sono quelli che - sulla scia dell’ex sindaco di Roma (e candidato, sconfitto anche lui, alla presidenza del Consiglio) - vedono in Obama la reincarnazione di quella mistica kennediana che ha nutrito, per decenni, le anime di una gran parte delle sinistre“moderate” europee. Quelli, per intenderci, a cui non interessa troppo che il senatore dell’Illinois possa diventare il primo presidente “nero” degli Stati Uniti, ma che restano affascinati soprattutto dalla sua potenza retorica, dalla sua capacità di ammaliare le folle, dal fatto che è giovane, bello e gonfio di carisma. Sono gli stessi che hanno creduto ciecamente nella “favolet-
Mappa delle “famiglie” italiane che strumentalizzano il senatore dell’Illinois: dai kennediani alle Pantere Nere, dai nostalgici di Martin Luther King ai reduci di John Kerry
ta”kennediana che ci è stata propinata per anni, secondo la quale John Fitzgerald Kennedy non aveva vinto le elezioni del 1960 soltanto grazie ai brogli del sindaco di Chicago, non aveva nessun rapporto con la mafia, non aveva rischiato di scatenare un conflitto nucleare con l’Urss durante la crisi missilistica cubana, non aveva aumentato il numero di soldati americani in Vietnam da 800 a 16.300. Per la tribù veltronian-kennediana, insomma, Obama - proprio come Jfk - è una sorta di erede di Madre Teresa di Calcutta, solo un pizzico più sexy. Ai margini di questa tribù, in una capanna un po’ isolata dal centro del villaggio, vive Furio Colombo. Anche lui considera Barack l’erede di un Kennedy, ma non John F. - per gli amici Jack - bensì Ted, l’esponente più imbarazzante di questa imbarazzante dinastia a stelle e strisce.
Black Panthers C’è poi una tribù - che abita soprattutto dalle parti di Liberazione, del Manifesto e di quella che fu la Sinistra arcobaleno che vede in Obama l’erede spirituale di Angela Davis, la leader comunista delle Black Panthers che all’inizio degli Anni Settanta fu arrestata per l’omicidio del giudice Harold Haley (poi prosciolta per insufficienza di prove, malgrado fosse la proprietaria dell’arma del delitto) e oggi insegna “Storia della coscienza” all’Università della California e si batte per l’abolizione dei carceri. Obama, secondo questi nostalgici delle rivolte nei ghetti, darà voce all’Altra America, quella dei neri e dei diseredati, che il gigantesco complotto del “complesso militare e capitalistico” (probabilmente manovrato dalla finanza giudea) ha sempre schiacchiato senza pietà. Quell’America, insomma, che potrebbe finalmente ripresentarsi all’appuntamento con la Storia. Per essere, con ogni probabilità, travolta dall’elettorato come è sempre accaduto in passato. I rapporti tra la moglie di Barack, Michelle, con personaggi del calibro di Farrakhan, “ministro supremo” della Nation of Islam, regalano a questa tribù qualche prova a sostegno di questa distorta utopia.
l’obamismo
Mlk Nostalgia Una versione “light”delle Pantere Nere, è rappresentata da chi vede in Obama una versione moderna del “sogno” di Martin Luther King. Condita da quella massiccia dose di pacifismo che tanto va di moda tra gli anti-americani che si professano filo-americani. Le scivolate (vere o presunte) di Obama verso l’appeasement nei
confronti delle dittature nemiche degli Usa, la sua opposizione nei confronti della guerra in Iraq, la sua “visione” di riconciliazione nazionale, la sua promessa di cambiare drasticamente l’approccio unilateralista (vero o presunto) seguito dall’amministrazione Bush: sono questi i sogni che, con Obama insediato alla Casa Bianca, potrebbero presto
trasformarsi in incubi.
Obamisti generici L’ultima tribù degli Obamisti italiani (ed europei) è quella, più generica, degli anti-repubblicani ad ogni costo. Per loro fa poca differenza se a sfidare John McCain o qualsiasi altro candidato del Grand Old Party - sia Obama, Hillary, Edwards o Paperinik.
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L’importante è mettere un freno alla minaccia (guerrafondaia, bigotta e un po’fascista) rappresentata dai repubblicani. In nome della superiorità morale dell’America democratica. Questi reduci della sconfitta di Kerry nel 2004 continuano la loro battaglia di retroguardia anche nel 2008. Secondo i sondaggi, in Europa sono la maggioranza schiaccian-
te della popolazione. A decidere il prossimo inquilino della Casa Bianca, però, per fortuna saranno gli americani. Se si troveranno di fronte un candidato alla presidenza, Obama ha le stesse chance di McCain. Anzi, qualcuna in più. Se si troveranno di fronte un “santino ideologico”, il senatore dell’Illinois è spacciato. È l’Obamismo il vero nemico di Obama.
Per l’americanista presidente della Medusa film se vincesse il senatore dell’Illinois diventerebbe il migliore amico di Silvio Berlusconi
«Lo confondono con un leader delle Black Panthers!» colloquio con Carlo Rossella di Nicola Procaccini
ROMA. Obamiani d’Italia unitevi! Arriva dall’Illinois la nuova religione civile della sinistra italiana. Insieme a Carlo Rossella, profondo conoscitore della politica Usa come di quella made in Italy, guardiamo alla tribù italiana di Barack Obama, in un viaggio tra fans della prima ora ed ultimi arrivati sul carro del candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Tutti pazzi per Obama. Ma quanto è sincera o giustificata l’ammirazione della sinistra per il senatore dell’Illinois? Partirei da una citazione evangelica: in principio fu la prefazione di Veltroni al libro di Obama. Bisogna dare atto al leader del Pd di essere stato uno dei rarissimi sostenitori di Barack quando tutto il suo partito tifava per la Clinton. Io stesso ho partecipato a diversi dibattiti televisivi e ricordo bene lo scandalo quando mi scagliavo contro Hillary. Qual’era la sua e la loro opinione fino a pochi mesi fa? Io sostenevo cose evidenti: che la Clin-
ton era una megera e che questo Obama mi sembrava uno tosto, uno con i cosiddetti. D’altra parte, c’è da capirli: avevano una vera e propria venerazione per i Clinton. Ricordo quel convegno di Firenze, fu un evento quasi religioso.Tutti lì ad ascoltare il verbo clintoniano, a partire da D’Alema. Alla sinistra italiana piaceva soprattutto Hillary. Poi ci furono i caucus in Iowa, le prime vittorie di Obama, eppure lo scetticismo nei suoi confronti è so-
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Lo ripeto: a parte Veltroni che ha ballato da solo con Obama fin dall’inizio ed Il Manifesto, tutti gli altri sono saliti sul carro da poche ore. Non ritiene che questa infatuazione sia frutto di un’immagine domestica del candidato democratico? Certamente sì, gli adoratori di Obama si dimenticano del fatto che si tratta di un americano. Vuol dire
Gli adoratori di Obama si dimenticano del fatto che si tratta di un americano. Vuol dire che ha come primo obiettivo gli interessi della sua nazione
pravvissuto fino ad oggi. Anche quando si appalesarono i limiti della Clinton. Per tutti, ma non per le donne di sinistra che ancora continuano a sostenere la sua causa. Che poi, vogliamo dirlo? Portano sfortuna, si sono strette intorno al feticcio di Segolene Royal e guardi com’è andata a finire.
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che ha come primo obiettivo gli interessi della nazione. Il suo staff è fatto di gente esperta, in continuità con le vecchie amministrazioni. Ed ha tra i suoi grandi sostenitori anche molti dei cosiddetti americani con la “k”, come certi governatori o esponenti militari.
Dunque non ci sarebbe una vera e propria rottura col passato? In Italia si sono innamorati di una immagine falsa del senatore dell’Illinois. Ma figuriamoci se Obama se li fila. Il giorno che dovesse vincere le elezioni, lo chiama Berlusconi al telefono le lui lo invita subito alla Casa Bianca. Sarà il più grande amico di Silvio Berlusconi. E in politica estera? Obama non ritirerà neanche le truppe dall’Iraq. Perché sa che il generale Petraeus sta ottenendo una vittoria significativa. La sinistra italiana pensa che alla fine Obama farà l’esatto contrario di Bush. Ma basta guardare alla storia Usa, al Vietnam: sono i democratici ad iniziare le guerre ed i repubblicani a porvi fine. Non penso che stavolta accadrà il contrario. Resta il fatto che dobbiamo prepararci ad una escalation dell’obama-mania. La sinistra italiana ha adottato tardi e male Barack. Si affida a lui per un riscatto. Ma la delusione sarà grande, indipendentemente dal fatto che vinca o perda la sfida per la Casa Bianca.
il caso
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«Difenderemo la sacralità della persona e della famiglia», assicura il Capo del governo dopo l’incontro con il Papa
E Berlusconi abbandonò la sua “anarchia etica” di Errico Novi
ROMA. La pausa è durata qualche mese, dall’inizio della campagna elettorale al primo venerdì di giugno. Da ieri nell’agenda politica sono tornati i temi etici. È finito un silenzio che ha agevolato più il Pd che il Pdl, ma che è anche un po’ impoverito di significati il “nuovo clima” tra i Poli. Silvio Berlusconi ha vissuto l’incontro con Benedetto XVI in un’atmosfera di cordialità, si può dire di affetto. Ha assicurato alla fine della visita alla Santa Sede che il suo governo darà «priorità ai valori di libertà e tolleranza, alla sacralità della persona umana e della famiglia». Impegno importante, seppure dato per implicito dal premier già qualche minuto prima di incontrare il Santo Padre: intervistato da Maurizio Belpietro a “Panorama del giorno”, Berlusconi aveva detto che il suo governo «è dalla parte della Chiesa, «non può che compiacere il Pontefice e la sua Chiesa». In realtà nell’udienza iniziata poco dopo le 11, durata più di mezz’ora e alla quale ha partecipato anche Gianni Letta, Benedetto XVI ha riscritto una scala di priorità, con una semplice ma
cruciale sollecitazione al Capo del governo: lavorare allo «sviluppo spirituale, etico e sociale del continente europeo». Significa arruolare Berlusconi e i suoi ministri nella battaglia contro il relativismo. Tutto il resto, dalla difesa della famiglia e della vita al ruolo della Chiesa e delle scuole cattoliche, discende in modo naturale. In linea di principio il presidente del Consiglio non si sottrae: con il comunicato diffuso poco dopo il secondo colloquio – quello avuto con il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, sempre alla presenza di Letta – fa rilevare la «speciale sintonia tra gli indirizzi del governo e gli obiettivi morali e religiosi della Chiesa cattolica nel mondo». Il punto è che d’ora in poi non sarà più possibile l’elusione dei temi eticamente sensibili nel rapporto con il Partito democratico.
Cosa possa significare tutto questo è leggibile tra le righe di un’iniziativa dell’Udc in Senato. Ieri Gianpiero D’Alia, capogruppo della piccola delegazione centrista, ha commentato con soddisfazione l’incontro tra Berlusconi e Papa Benedetto XVI e
lo ha subito rubricato come conferma di una «crescente attenzione del governo sui temi eticamente sensibili». E però di prove ce ne dovranno essere altre: la prima è stata messa in calendario dalla stessa Udc che, dice D’Alia, ha presentato in Senato «un disegno di legge per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla legge 194, a tutela del diritto a una maternità cosciente e responsabile». Dopo la «forte comunanza di vedute» constatata da Palazzo Chigi «sulle varie questioni bilaterali tra Italia e Santa Sede», temi del genere non potranno più essere rinviati. E sarà inevitabile una dialettica meno conciliante con i veltroniani.
Tra le questioni fissate nella scaletta dei colloqui in Vaticano erano previste tutte quelle poste
dal Papa nell’ultima assemblea della Cei: sgravi fiscali per le famiglie con figli, sostegno alle scuole cattoliche, ma anche accoglienza per i migranti, urgenza più volte ribadita anche dal Pontificio consiglio. Con quel riferimento alla difesa dei principi di «libertà e tolleranza», Palazzo Chigi lascia intendere di aver ben recepito la posizione della Santa Sede sull’ultimo decreto sicurezza e in particolare sul reato di clandestinità. A questo punto non sta più in piedi la lettura minimalista della Lega («i dubbi di Berlusconi sul carcere per gli irregolari riguardano solo l’applicabilità della norma», aveva detto l’altro ieri Roberto Maroni). Quasi certamente il provvedimento, una volta convertito, si limiterà a rafforzare le procedure di espulsione, a renderle più certe e immediate e a lasciare l’ingresso clandestino nel territorio italiano solo come aggravante di altri reati.
Anche Letta presente al colloquio con Benedetto XVI. Impegno sui «valori di libertà e accoglienza»: ora sarà difficile difendere il reato di clandestinità
Su una correzione del genere non ci saranno scontri con l’opposizione, evidentemente. Ma è
L’udienza privata di ieri del Pontefice a Silvio Berlusconi e Gianni Letta è iniziata verso le 11 ed è durata più di mezz’ora. Subito dopo il premier e il sottosegretario hanno incontrato il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone difficile che possano essere evitati su altri temi, come i maggiori finanziamenti alle scuole cattoliche. Il clima finora quasi idilliaco con il Pd (norma salva Re-
Per il vescovo di San Marino Montefeltro la difesa dei valori essenziali non riguarda una sola parte ma tutta la società
Monsignor Negri:«Per il premier una via obbligata» colloquio con mons. Negri di Francesco Rositano
ROMA. «I valori che sono emersi nell’incontro tra il Papa e il premier Silvio Berlusconi non rappresentano solo una parte, ma sono valori laicissimi ed essenziali per tutta la società. E non una regalia che lo Stato concederebbe alla Chiesa». Monsignor Luigi Negri vescovo di San Marino-Montefeltro, da sempre in prima linea per combattere l’emergenza educativa denunciata dal Papa, commenta così l’incontro di ieri tra Benedetto XVI e il presidente del Consiglio. Spera che al più presto si lavori per la difesa della vita fin dal concepimento, per la tutela della famiglia. E so-
prattutto per il finanziamenti delle scuole paritarie. D’altra parte, recentemente il presule aveva mostrato una grande preoccupazione per l’emergenza educativa e per la necessità di tutelare la famiglia. Di seguito uno stralcio della lettera che ha scritto al Papa, il mese scorso: «Incontriamo ogni giorno generazioni imbarbarite. Generazioni in cui la pratica della sessualità, assunta quasi come una droga, mina qualsiasi possibilità di pensare a una famiglia fondata sulla chiarezza ideale, sulla capacità di dedizione reciproca, sulla volontà di generazione ed educazione dei figli». Ecco perché a suo avviso bisogna puntare sulla difesa di quei valori indispensabili,
necessari per strappare la società dalla deriva. Eccellenza, come giudica questo incontro? Penso che questo incontro sia la conferma del fatto che siamo in presenza di un nuovo clima politico caratterizzato da meno livore. Un segnale importante che può senz’altro aiutare a lavorare meglio. Lo stesso Benedetto XVI, d’altra parte, aveva mostrato apprezzamento per questa nuova fase intervenendo, la settimana scorsa, all’Assemblea della Cei. Certamente sono contento che sia emerso il tema del finanziamento alle scuole paritarie. Infatti, non è concepibile che sia stata votata una legge senza che fossero approntati i finanziamenti economici.
Oltretevere ha riservato grande importanza a questo evento. L’Osservatore Romano e Radio Vaticana per la prima volta hanno dedicato un’intervista storica a Berlusconi. Sono segnali di una nuova fase tra governo e Vaticano? Per il momento aspetterei a leggere in quest’intervista un segnale sulle intenzioni della Santa Sede nei confronti del governo. Si potrebbe trattare benissimo semplicemente di una nuova linea editoriale, adottata da un giornale che negli anni ha rischiato di diventare un giornale ecclesiastico. Nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi al termine della visita è emersa la vo-
lontà di lavorare su temi che stanno a cuore alla Chiesa. Che ne pensa? I valori che sono emersi sono valori non derogabili, ma linee culturali e politiche che dovrebbero essere patrimonio comune. Noi riteniamo che questi siano valori laici. La Chiesa non intende difendere privilegi ma dei valori essenziali per la convivenza di tutta la società civile. Il valore della vita, la centralità della famiglia, indispensabili affinché la società non si disgreghi in un individualismo distruttivo. Questi non sono privilegi, ma passi per evitare un’implosione di tutta
il caso
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d i a r i o
d e l l ’ i n c o n t r o
Sbarbati: «No a genuflessioni di Stato» «Inaccetabile e preoccupante l’affermazione di Berlusconi che ”l’attività del governo non può che compiacere il Papa e la Sua Chiesa”». Lo ha affermato la senatrice del Pd Luciana Sbarbati, segretaria dei Repubblicani Europei, che dice di vedere nel presidente del Consiglio, che nella mattinata di ieri si è recato in Vaticano, «un pericoloso stato confusionale e una difficoltà strutturale ad interpretare responsabilmente la Costituzione repubblicana». «A Berlusconi ricordo - ha aggiunto Luciana Sbarbati - che se lo Stato garantisce la libertà di culto come quella di espressione e di diffusione del pensiero, non ne può favorire nessuno, come nessuna comunità né finanziariamente né politicamente. Il nostro Paese non può essere ridotto nell’indifferenza generale ad avere una forma repubblicana ma una sostanza monarchica. La linea etico-politica di un governo repubblicano - ha concluso - è di per sé diversa da quella del Papa e della Chiesa, né ad essa deve genuflettersi. Il dialogo è cosa diversa dall’obbedienza acritica».
Lupi: «L’incontro dà un segnale di grande attenzione alla famiglia» «Il colloquio tra il Papa e Berlusconi ha messo in luce che la Chiesa con i suoi valori e con la sua presenza nella società civile rappresenta una profonda ricchezza per il nostro Paese». Così ha commentato l’incontro di ieri tra Benedetto XVI e il presidente del Consiglio Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e deputato del Pdl. «Nello stesso tempo - ha aggiunto - è servito a ribadire che, pur nella laicità di una conduzione delle politiche del governo, siamo tutti chiamati ad impegnarci per il bene comune con un attenzione particolare alla famiglia e alle misure per il suo sostegno, così come ha ribadito di recente anche il presidente della Repubblica Napolitano. Ed è anche di incoraggiamento il segnale di una politica non più gridata ma che si propone come obiettivo quello di favorire un dialogo costruttivo tra maggioranza ed opposizione».
Latorre: «Necessario distinguere rapporto tra Stato e Chiesa» te4 a parte) non potrà più essere fondato sui non detti. Meno complicato sarà per l’esecutivo dare seguito alla piena condivisione registrata ieri in Vaticano sulle questioni internazionali: dalla situazione in Libano ai rapporti con la Russia e la Cina. Sul piano diplomatico la «cordialità» attestata da entrambe le parti continua a essere assicurata dal lavoro di Letta, salutato da Benedetto XVI come «un vecchio amico» e non a caso am-
la società. Secondo lei di cosa avrebbe bisogno la scuola? È indispensabile cercare di attuare una riforma paritaria. Bisognerebbe ad esempio mettere mano sulla scelta dei docenti. Perché in tutta Europa i genitori hanno la possibilità di intervenire su questi temi ed in Italia siamo vittime della burocrazia e delle graduatorie? Ci sarebbe bisogno di dare importanza e fondi anche allo scuole paritarie. Provare a garantire un maggiore pluralismo, introducendo grandualmente dei correttivi. Insomma una rivitalizzazione del sistema dell’istruzione è necessaria affinché si eviti di cadere nelle derive del bullismo, dello spinellismo o del sesso praticato negli intervalli.
Adesso Pdl e Pd non possono più eludere nodi come il dibattito sulla 194: il clima di pacificazione dovrà essere fondato su basi meno ambigue messo all’udienza privata. Berlusconi dà segno di considerare molto importante il rapporto con la Santa Sede, lo ha ribadito anche con lo scrupolo del fo-
glio illustrativo che accompagnava il regalo offerto ieri al Pontefice (una croce tempestata da diamanti con un topazio che simboleggia la figura di Pietro), dal baciamano e dall’umore scherzoso mostrato nel presentare i suoi consiglieri. Ma da ieri è probabilmente tutto il dibattito politico a salire di tono.
«Non è in questione la legittimità, l’opportunità e io direi anche la necessità che la Chiesa esprima le proprie idee su questioni molto rilevanti che riguardano i problemi della societa’ contemporanea, tuttavia ritengo che sia un errore gravissimo usare politicamente le osservazioni del Pontefice perché si farebbe per prima cosa un torto al Papa stesso». Lo ha detto Nicola Latorre, vicepresidente del gruppo del Pd al Senato ai microfoni di Radio Anch’io, che ieri mattina ha dedicato la puntata ai rapporti tra Stato e Chiesa. «E’ necessario, lo ribadisco - ha insistito il senatore del Pd - distinguere il tema del rapporto tra lo Stato e la Chiesa, regolato da precisi accordi, da quello, che è cosa molto diversa, del rapporto tra politica e religione». Quindi ha aggiunto Latorre: «Sono convinto che il recupero del sentimento religioso anche nella politica sia prezioso perché può aiutare ad affrontare le nuove e difficili sfide della globalizzazione in modo positivo». Sulla visita di ieri di Berlusconi al Papa, Latorre poi ha sottolineato come abbia avuto «un alto valore istituzionale, è stato un atto doveroso di cui non è in discussione la legittimità e persino l’utilità».
Di Virgilio: «Torna il sereno tra governo e Santa sede» «Finalmente dopo due anni di spiacevoli polemiche di cui è stata oggetto la Chiesa durante il passato governo di centro sinistra, ritorniamo ad un clima di serenità e di fattiva collaborazione tra governo italiano e Santa Sede». Questo il secco commento di Domenico Di Virgilio, vicepresidente dei deputati del Pdl, in merito all’incontro di ieri mattina tra il pontefice Benedetto XVI e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Grillini: «Esiste ancora lo Stato laico?» Se lo è chiesto Franco Grillini, esponente del Partito Socialista, commentando la visita di ieri in Vaticano del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Forse non è un caso che proprio alla vigilia della visita di Berlusconi in Vaticano sia stata negata Piazza San Giovanni per la chiusura del corteo del Gay Pride. Evidentemente - aggiunge Grillini - Berlusconi voleva portare a Ratzinger questo cadeau, esattamente come cinque anni fa, in una occasione analoga, portò in Vaticano la bocciatura del divorzio breve». «Inquieta - ha tuonato Grillini - il comunicato congiunto finale che parla di piena sintonia di vedute su terreni come politiche familiari, scuola privata e tutela della vita laddove questi concetti per il Vaticano significano discriminazioni verso le coppie omosessuali e le coppie di fatto, veto al testamento biologico e soldi pubblici alle scuole confessionali. Domani a Roma e Milano - ha concluso Franco Grillini si terranno le manifestazioni del Gay Pride; l’appello è ad una grande partecipazione per chiunque abbia a cuore la laicità dello Stato».
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politica
I magistrati: «Si creeranno gravi disfunzioni». Il governo si rifugia nella sovranità del Parlamento: «È lì che si decide»
L’Anm boccia il reato di clandestinità di Susanna Turco
Intervista all’avvocato Mario Petta
«Come ho fatto sollevare l’eccezione di incostituzionalità» di Valerio Venturi
ROMA. «L’introduzione del reato di immigrazione clandestina «creerebbe gravissime disfunzioni per il sistema giudiziario e per quello carcerario. Diventerebbe praticamente impossibile celebrare ogni giorno centinaia di udienze di convalida dell’arresto e processi per direttissima, senza alcun reale beneficio in termini di effettività delle espulsioni del fenomeno dell’immigrazione clandestina». Così, all’Auditorium della Musica di Roma, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara, all’apertura del ventinovesimo congresso dell’Associazione, attacca frontalmente il «cardine politico» del pacchetto sicurezza, quel «reato di immigrazione clandestina» che la maggioranza, ma soprattutto la Lega, vogliono legge al più presto ma la cui sorte pare ormai appesa esclusivamente al lavoro parlamentare.
destra. Le affermazioni di Palamara, infatti, creano tensioni e il Guardasigilli Angelino Alfano, dal Lussemburgo, replica a stretto giro. «Noi - dice - riteniamo che l’introduzione del reato di immigrazione illegale sia un grande deterrente per gli stranieri che vogliono illegalmente entrare in Italia, violandone le leggi». Secondo il ministro, poi, durante la discussione parlamentare, comunque, si troveranno i modi e le soluzioni «migliorative» per evitare «danni alle carceri e l’ingolfamento dei processi» che potrebbero prodursi come conseguenza dell’applicazione delle nuove norme.
ra. A difendere il provvedimento interviene il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per il quale la direttiva Ue sugli standard minimi per i rimpatri degli immigrati clandestini varata ieri dai Ventisette a Lussemburgo conferma che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina è «la via giusta».
Al Pdl replica l’opposizione, schierandosi nella critica al fianco dei magistrati. Il reato di immigrazione clandestina, riassume per tutto il Pd il ministro ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia «è una norma inutile per tutelare la sicurezza e controproducente per gli effetti che avrà. Non frutterà un’espulsione in più ma si bloccheranno i processi e si ingolferanno le carceri». Sullo sfondo, poi, una nuova polemica, legata a un emendamento di maggioranza al pacchetto sicurezza, che mira a estendere l’espulsione per «clandestinità» anche alle prostitute. Anch’esso è stato bocciato da toghe e opposizione, mentre la maggioranza lo difende, rimandando al lavoro parlamentare la definizione delle norme. La prostituzione, spiega in particolare Alfano, ha ricadute in termini di sicurezza e di vivibilità delle zone pubbliche delle città e quindi il principio dell’emendamento è pienamente condivisibile, anche se occorre distinguere «vittime da carnefici», ha precisato Alfano. Il governo valuterà nel merito il testo presentato al Senato per quanto riguarda le «modalità di applicazione» ma «sul principio ci siamo».
È polemica, con toghe e opposizione, anche sull’emendamento della maggioranza che estende l’espulsione alle prostitute
Il leader dell’Anm non nasconde «perplessità» anche sull’ipotesi dell’«aggravante comune legata alla condizione di irregolarità dello straniero sul territorio nazionale»: se «non diversamente calibrata», sostiene Palamara, potrebbe determinare «un aumento della pena esclusivamente in ragione della condizione soggettiva del colpevole anche nei casi in cui non si ravvisi alcuna incidenza sul disvalore del fatto». Così si arriverebbe ad «una eventuale incompatibilità con il principio di uguaglianza». Una posizione piuttosto netta, soprattutto alla luce della “distensione” nei rapporti tra toghe e centro-
Insomma, dialogo a distanza fra due posizioni opposte e forse troppo poco tempo per trovare una sintesi soddisfacente, visto che proprio stamattina Alfano si troverà a dover difendere al congresso delle toghe un pacchetto bocciato proprio da coloro che dovrebbero usarlo. Per questo, ieri, il dibattito politico è stato incentrato nella difesa e nella critica di questa norma. Per il Pdl, il reato di immigrazione clandestina si può introdurre e, per dirla con il ministro degli Esteri Franco Frattini, «va rispettata la sovranità del Parlamento. Prima dobbiamo discutere, poi fare sì che il Parlamento sovrano approvi la legge». È questa la linea della maggioranza, con qualche bordata vecchio stile nei confronti della magistratu-
MILANO. L’avvocato Mario Petta di Milano, difendendo Miguel Angel Puebla Guzman, 18enne cileno indagato per reati di lieve entità, è riuscito a far pronunciare il giudice Oscar Magi sull’incostituzionalità dell’aggravante della clandestinità cara al governo Berlusconi. La norma, prevista dal pacchetto sicurezza messo a punto dall’esecutivo, prevede una pena maggiorata nel caso il reato venga commesso da clandestino. Per il giudice Magi è anticostituzionale. La conseguenza è un mezzo cataclisma politico, Ma Petta, primattore, si schernisce; anche perché l’ordinanza non è arrivata in Corte Costituzionale. In ogni caso, il caso Guzman sarà un precedente fondamentale. Ci racconta come è andata? All’udienza di convalida avevo proposto l’incostituzionalità dell’articolo 61. Il giudice l’ha accolta e ha detto che in pratica l’aggravante è discriminatoria, perché si attribuisce uno status che non è giustificato dall’articolo 3 della Costituzione. L’aggravante in oggetto introduce un discrimine tra le persone presenti sul territorio italiano regolarmente e i cosiddetti “clandestini” a prescindere dalle loro concrete condotte criminali e alle loro modalità di esecuzione, introducendo una sorta di diversa qualità dell’azione a seconda di chi lo commette. Ciò, a mio parere, non è consentito dal dettato costituzionale: così facendo si valutano le condotte non in base alla loro essenza o alle modalità di commissione del fatto, ma in base ad un semplice status personale. In tal modo si potrebbero introdurre anche altre aggravanti per altre categorie di soggetti, basate, per assurdo, sul reddito o modalità di vita: come essere stati in una discoteca prima di un incidente stradale, a prescindere dall’assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici. Poi la norma introduce un concetto di presunzione assoluta di pericolosità di tutti i clandestini, sottraendo tale valutazione al giudice, che ha mezzi giuridici per valutare le condotte e comminare le pene. Tornando al caso... Di fatto, Magi ha ritenuto fondata l’incostituzionalità della norma, anche se non l’ha considerata rilevante perché il cileno non avrebbe avuto vantaggi. La cosa curiosa è che un altro giudice, nella stanza accanto, due ore dopo ha detto che le scelte politiche dei legislatori sono insindacabili. Ma sinceramente mi sembra assurdo. Quindi è contento? È un bel risultato.Tutte le aggravanti fanno riferimento ai fatti, all’evento specifico, al comportamento di chi compie un reato; ma qui non c’è alcun collegamento plausibile. Credo che tale norma non starà in piedi. Altri giudici faranno riferimento al precedente, prima o poi arriveremo alla Corte Costituzionale. E così, magari certi legislatori faranno più attenzione a non fare brutte figure, in futuro.
Un giudice di Milano si è pronunciato sulla vicenda di un cileno accusato di reati di lieve entità
politica annaggia, l’incidente in Slovenia non ha fatto danni». È questo probabilmente il pensiero di molti vetero-ambientalisti dopo l’allarme (subito rientrato) arrivato dalla centrale atomica di Krsko, poco lontano da Trieste. In un momento come questo, in cui il “niet” pronunciato dall’Italia a gran voce nel 1987 dopo il referendum e sulla scia dello psicodramma collettivo di Cernobyl, sembra finalmente messo in discussione dalla fine degli steccati ideologici, e il governo sta dando prova di pragmatismo in materia (soprattutto grazie a Scajola), un “bell’incidente” sarebbe servito a bloccare nuovamente tutto. Per fortuna, però, nonostante il reattore di cui si parla sia solo di seconda generazione (risale al 1981), tutto ha funzionato alla perfezione. Anzi, secondo la ricostruzione degli addetti ai lavori, siamo di fronte ad un caso esemplare di buon funzionamento. Lo dimostra il timing delle operazioni: alle ore 15,07 si verifica una piccola perdita, dovuta alla mancata tenuta di una valvola da due pollici, nel circuito di raffreddamento primario; immediatamente viene dato l’allarme e attivata la procedura di spegnimento, così come si avvisa dell’accaduto il centro di controllo europeo Ecurie. Ore 17: viene allertata l’Apat, la transfrontaliera Agenzia italiana per la Protezione ambientale e i servizi tecnici. Ore 20,10: il reattore viene spento. Insomma, in cinque ore, secondo il protocollo standard – e non quello urgente, perché il problema viene subito identificato come assolutamente non grave – il sistema torna in piena sicurezza. Nei prossimi giorni, poi, la valvola in questione sarà sostituita ed entro una settimana la centrale riaprirà i battenti.
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utilizzano a mani basse l’atomo, indica chiaramente che è ora di uscire una volta per tutte dall’ipocrisia.
«M
Tutto bene, dunque? Non per chi sperava se non proprio in una nuova Cernobyl, almeno in un “incidentino” che riaprisse antiche ferite. In molti erano già pronti a suonare le grancasse dell’apocalisse nucleare, e a riportare indietro di vent’anni l’orologio della storia. Perché il fantasma di Cernobyl aleggia ancora su di noi. Nonostante l’evidenza: Piero An-
Per riguadagnare il tempo
Sette mosse per arrivare a produrre energia anche in Italia
Ecco la road-map per il nucleare di Enrico Cisnetto gela, in un famoso servizio per la Rai, si spinse fino a 100 metri dal sarcofago della centrale, e il contatore geiger mostrava un livello inferiore a quello del centro di Roma, mentre i dati più accreditati, quelli su cui la comunità scientifica è oggi concorde, parlano di un
ministro dello sviluppo economico Scajola possono dunque andare avanti. Certo sarà un percorso tutt’altro che facile: si tratta, per l’Italia, di riguadagnare vent’anni perduti, e di riagganciarci ad un trend tecnologico e di know how che ha fatto passi da gigante. Tuttavia
nergia è arrivato ieri l’ennesimo monito: a causa del boom ininterrotto di Cina, India e delle altre tigri asiatiche, si stima che le emissioni di anidride carbonica aumenteranno del 130% di qui al 2050, a fronte di una domanda di petrolio che si prevede crescerà del
I vetero-ambientalisti avevano già gridato all’incidente in Slovenia, ma si è trattato, per fortuna, solo di un buon funzionamento. Ora il ministro Scajola deve continuare nel percorso senza tentennamenti bilancio totale di 100 morti per quell’incidente.Tuttavia il mercato della paura è sempre fiorente, e, per dirla alla Bertolt Brecht, ogni volta che si nomina la tragedia atomica si sente tintinnare il registratore di cassa. Questa volta però l’alzata di scudi preventiva non ha funzionato. I sistemi di sicurezza hanno fatto il loro dovere e tanta isteria è andata a vuoto. Il governo e in particolare il
non tutto è perduto, e quella del nucleare è una strada senza alternative: non c’è solo il boom del petrolio e del gas, di cui siamo sempre più dipendenti. C’è anche il fallimento delle cosiddette “rinnovabili” che rappresentano e rappresenteranno – su questo la comunità scientifica è concorde – solo una minima parte del fabbisogno energetico globale. Intanto, cresce l’allarme ambientale. Dall’Agenzia internazionale per l’e-
70%. Questo a livello globale. A livello domestico, la nostra dipendenza energetica dall’estero (il 90%), che oltretutto si indirizza verso player i quali
perduto però è necessario avere chiaro che serve una road map precisa delle cose da fare. In particolare, serve prima di tutto portare avanti adeguatamente il “decommissioning” ovvero la messa in sicurezza delle scorie, scegliendo un deposito nazionale sicuro. Poi, dotarsi di norme e regolamenti allineati alle più evolute esperienze internazionali (vedi la Francia, leader mondiale nel settore, e qui potremo giovarci delle partnership avviate dall’Enel con EdF). Terzo, ricostruire competenze scientifiche ed industriali che hanno resistito in questi anni seppure in sonno – gli ingegneri nucleari italiani un tempo erano considerati i migliori a livello mondiale – per evitare di scivolare dalla dipendenza dal petrolio e dal gas alla “dipendenza da know how”. Quarto, ricostruire un apparato di governance e di supervisione nella pubblica amministrazione, partendo da quella Autorità nazionale di Sicurezza che oggi vive sottotraccia e senza organico. Quinto, verificare la convertibilità di impianti prereferendum che possano essere riutilizzati. Sesto, avviare una rigorosa campagna di informazione.
Infine, nota particolarmente dolente, trovare i siti adatti: pensando a incentivi economici alle comunità interessate, confrontandosi coi territori, dialogando con le popolazioni. Ma poi, una volta trovato il contesto adatto, si vada avanti, senza mettere più nessuno in condizioni di bloccare la macchina decisionale. Ecco, se questi “sette comandamenti”, ambiziosi ma non irrealizzabili, verranno seguiti scrupolosamente, potremo tornare in un tempo ragionevole a contare su una fonte di energia pulita, in quantità abbondante, a un costo non proibitivo. E, cosa che secca decisamente a qualcuno, sicura. (www.enricocisnetto.it)
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pensieri
I rapporti difficili della strana coppia Brunetta-Tremonti
Separati in casa di Francesco Capozza on sono certo giorni facili per Renato Brunetta. Prima il botta e risposta tra il ministro per la Funzione Pubblica e Furio Colombo (che lo ha chiamato “mini ministro” e al quale ha risposto con altrettanto livore “ Colombo è più alto di me, ma meno intelligente”e “ è un razzista”), poi una nuova ricaduta nel rapporto, storicamente poco affettuoso, tra lo stesso ministro e il suo collega titolare del dicastero dell’Economia, Giulio Tremonti. Potremo dire che è tornata la “strana coppia”di ex socialisti che da vent’anni, pur frequentando le stesse stanze dei bottoni, sono accomunati da reciproca antipatia.
N
L’ultimo casus belli è scoppiato quando Brunetta ha fornito ai giornalisti cifre e date della prossima manovra finanziaria triennale (36 miliardi di euro
per i prossimi 3 anni più un nuovo colpo di forbice ai bilanci delle pubbliche amministrazioni, si parla di un 2% netto per tutti), spiegando anche i motivi per cui il governo intende anticiparla a giugno, decreti compresi. A Giulio Tremonti non è rimasto che confermare quei dati, dopo poche ore, durante la conferenza stampa che si è svolta a Palazzo Chigi al
prese di posizione del governo in materia economica. D’altronde, per tutta la campagna elettorale, era stato proprio Berlusconi, in numerose dichiarazioni fornite a stampa e televisioni, a garantirgli questo diritto di esclusiva. Ieri, quindi, il Robin Hood dell’economia italiana si è sentito defraudato di tale diritto, e in lui sono riemersi gli antichi sentimenti di livore nei confronti dell’attuale titolare della Funzione Pubblica. Non che le occasioni di scontro siano mancate recentemente, anzi, a pochi giorni dalle elezioni Tremonti aveva innescato una polemica molto aspra su protezionismo e globalizzazione. L’allora candidato a via XX settembre si apprestava ad arrivare al governo dopo aver scritto un libro ( La paura e la Speranza) in cui aveva rotto lo schema classico che
L’ultimo episodio è stato l’annuncio delle cifre della prossima Finanziaria termine dell’incontro Stato-Regioni. Chi ha partecipato a quell’incontro con i giornalisti racconta di un Tremonti di pessimo umore. Non stentiamo a crederlo, vista la sua risaputa “gelosia” nei confronti della titolarità esclusiva sulle questioni e sulle
vede i liberal-conservatori combinare anti-proibizionismo in economia e tradizionalismo su questioni etiche, riproponendo fortemente l’idea della necessità di una dura difesa europea e occidentale dalla concorrenza asiatica, protezionismo questo che, sempre secondo Tremonti, spetta alla politica e agli statisti. Il motto di Tremonti era dunque: “ mercato dove si può, Stato dov’è necessario”. Renato Brunetta, spalleggiato da Antonio Martino, prendeva le distanze ufficialmente da quelle dichiarazioni affermando che, invece, non ci sarebbe nulla di strano se i servizi pubblici fossero affidati ai privati.
Ma soltanto chi li conosce può restare perplesso. Giuliano Amato è arrivato un giorno a
chiedersi se ci sia una ragione per cui i socialisti “litigano tra loro da sempre”. Tremonti e Brunetta sono la risposta al suo interrogativo. Socialista vicino a Reviglio , Tremonti si è professato seguace del colbertismo, teme la globalizzazione e non disdegna l’intervento dello stato nell’economia. Brunetta, di contro, si presenta come il pasdaran delle liberalizzazioni e del mercato, vicinissimo, un tempo,a De Michelis, non teme la globalizzazione, anzi, per certi versi la sponsorizza. Due pensieri diversi, l’appartenenza a due correnti contrapposte del vecchio Partito Socialista. Reminescenze storiche forse, ma si sa, due galli nello stesso pollaio difficilmente riescono a convivere senza beccarsi.
Dopo i fatti di Torino lo Stato deve ricordare agli estremisti di chi è il monopolio della violenza
Fantasmi degli anni Settanta di Riccardo Paradisi
n presidio antifascista, autonomi a decine per impedire a una minuta ragazza di 24 anni – Augusta Montaruli di Azione giovani – di fare un’esame all’Università di Torino. Il passo avanti è che oggi un episodio simile, faccia notizia. Produca sdegno nei media e nell’opinione pubblica, obblighi ad alcuni significativi attestati di solidarietà (ne mancano molti che tardano ad arrivare però). Non è stato sempre così.
U
C’è stato un In alto Renato Brunetta e Giulio Tremonti. Qui sopra un’aula dell’università di Torino teatro negli ultimi giorni di gravi episodi di intolleranza
quindicennio di storia italiana in cui episodi come quello di Torino erano ritenuti fisiologi-
ci. Era normale che nelle scuole, nelle università ai giovani di destra venisse impedita l’agibilità politica: la loro semplice presenza fisica costituiva un’intollerabile provocazione. Sergio Ramelli, il ragazzo del Fronte della Gioventù ucciso a Milano il 13 marzo del 1975 a colpi di chiave inglese («Hazel 36 fascista dove sei») da un collettivo di autono-
posto è il cimitero». È l’identica sottocultura che oggi come ieri anima la dottrina di branco dell’estremismo politico, una larva che proprio non vuole morire. Tenuta in vita, a sinistra come a destra, da vecchi caporioni dei decenni passati, ma che si nutre soprattutto dell’ignavia delle istituzioni. Uno studente dell’università torinese, che per timore di ritorsioni ha preferito restare anonimo, ha rilasciato all’Ansa questa testimonianza: « Da quando sono iscritto alla mia Facoltà la situazione nell’atrio dell’università, passaggio obbligatorio per tutti coloro che entrano dalla porta principale dell’edificio, è nelle mani dell’arroganza degli autonomi. Nel silenzio quasi totale dei vertici dell’università». «Noi d’altra parte che possiamo fare?» ha detto il rettore dell’università torinese Ezio Pellizzetti al quotidiano La Stampa. Beh anzi tutto, quello che si potrebbe co-
Si deve impedire che le facoltà universitarie diventino dei bivacchi per estremisti mi della facoltà di medicina era stato per mesi bersaglio di pesantissime minacce all’interno della propria scuola. Nell’indifferenza e, in alcuni casi, con la copertura e l’appoggio dei suoi stessi professori, complici e fomentatori di quel clima di odio ideologico. Lo stesso odio bestiale che agli autonomi di Torino faceva ripetere in coro giovedì scorso contro Augusta Montaruli: «Camerata, basco nero, il tuo
minicare a fare, come ha scritto Francesco Merlo su Repubblica è «Vietare nelle università l’abuso di agibilità politica che potrebbe e vorrebbe riportarci al clima infuocato degli anni Settanta. Ed è necesario che il divieto venga pronunciato in nome dell’università e non dell’antifascismo o dell’anticomunismo». In secondo luogo impedire che le facoltà universitarie vengano trasformate in bivacchi di estremisti o in centri sociali.
Terzo, e questo spetterebbe alle istituzioni, ricordare a chi pensa di far valere le proprie ragioni con la violenza che il monopolio della violenza, fino a prova contraria, ce l’ha lo Stato. Tradotto: Augusta Montaruli, che è una ragazza coraggiosa, non dovrebbe avere bisogno per andare all’università di scorte spontanee, come quella che con grande nobiltà si sono offerti di darle i radicali di Torino. A tutelare la sua sicurezza dovrebbe essere la paura che chi la minaccia dovrebbe avere delle leggi dello Stato.
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parole
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Rischi e opportunità di una situazione inedita segue dalla prima Entrambi danno l’impressione di essere consapevoli che non si possono affrontare le emergenze che ci tengono in apprensione senza in qualche modo agire insieme e condividere le stesse ansie, immaginando, nel contempo, anche uno medesimo percorso per venire a capo della crisi italiana che non è soltanto “politica”, ma sistemica, nel senso che un assetto definitivo bisognerà pure trovarlo, a prescindere dalle soluzione ai problemi concreti ed immediati. Non si devono scambiare, infatti, le esigenze legate alla pura e semplice governabilità, caratterizzata magari da un doveroso decisionismo da parte dell’esecutivo, con le questioni di fondo che attengono alla trasformazione del sistema ed ai nuovi conseguenti assetti nella sfera della gestione del potere. Da questo punto di vista, tanto il Quirinale che Palazzo Chigi non possono che dare un impulso univoco ed unitario che dovrebbe trovare lo sbocco naturale nel coinvolgimento del Parlamento in una vasta azione riformatrice della quale si avverte un bisogno disperato.
Un nuovo potere:la diarchia Napolitano-Berlusconi di Gennaro Malgieri
Chi pensasse – e sia Napolitano che Berlusconi non lo pensano affatto – che tutto potrebbe andare a posto attuando semplicemente il programma di governo, si sbaglierebbe di grosso. C’è bisogno di qualcosa di più che nei prossimi cinque anni le forze politiche, se vorranno dare un senso alla Legislatura, dovranno fare: se non ci riusciranno, le conseguenze potrebbero essere devastanti e non ci sarebbe appello alla stabilità ed alla governabilità in grado di tenere a freno i nuovi inevitabili conflitti che esploderebbero per l’incapacità di comprendere le dinamiche sociali e culturali che certo non possono essere rinchiuse nei recinti del politicismo al quale siamo abituati. Insomma, la diarchia necessaria deve attivare i fronti opposti a far sì che si affermi il realismo politico come risposta alla richiesta di bene comune che da ogni ambito della società civile prepotentemente si leva ogni giorno di più. E se Napolitano e Berlusconi, “governano” per così dire insieme i processi di trasformazione attivando il confronto sui grandi temi e magari sulle modalità di riscrittura della Carta costituzionale, c’è la speranza che in un ragionevole volgere di tempo si possa riprendere un cammino virtuoso verso la realizzazione di una compiuta unità nazionale fondata sulla coesione sociale e verso la modernizzazione delle strutture civili imperniata sulla consapevolezza che le ragioni della solidarietà possono con-
vivere con quelle del mercato, a patto che lo Stato non rinunci alla sua funzione equilibratrice e di regolatore dei conflitti peraltro insopprimibili per la natura stessa del consorzio umano.
La politica può unire, indubbiamente, ma bisogna capire su quali basi. Berlusconi, in questo momento ha bisogno di Napolitano per mostrarsi interlocutore affidabile dell’opposizione; questa non può fare a meno del premier se vuole proporsi come forza propositiva all’interno di un processo Napolitano e di Berlusconi hanno anche interesse a limitare il potere di interdizione della Lega nel centrodestra facendo intendere a Bossi che il capo del governo non è a sovranità limitata e che la mediazione come pure le pretese localistiche devono trovare un limite nella difesa dell’interesse generale
mediazione come pure le pretese localistiche devono trovare un limite nella difesa dell’interesse generale. La questione dei rifiuti, con relative polemiche è stata il banco di prova di un’intesa tra Quirinale e Palazzo Chigi che ha limitato i danni di un conflitto nella stessa maggioranza e tra questa e l’opposizione. La diarchia, dunque, figura inedita, ma efficace in un momento particolare della vita pubblica italiana, non è una bizzarria dei politologi, per una volta, ma una necessità che nasce empiricamente. Se essa riu-
Il confronto sui grandi temi e sulle modalità di riscrittura della Carta costituzionale possono far riprendere un cammino virtuoso verso la realizzazione di una compiuta unità nazionale di cambiamento che non prevede involuzioni estremistiche tali da turbarlo, come potrebbe essere l’Italia dei valori di Di Pietro che sta svolgendo la funzione di supplenza della sinistra radicale ed ambisce ad allargare il consenso ben oltre i confini (rivelatisi fin troppo ampi) che gli ha assegnato Veltroni. Ma è anche interesse di Napolitano e di Berlusconi, limitare il potere di interdizione della Lega nel centrodestra facendo intendere a Bossi che il capo del governo non è a sovranità limitata e che la
scirà a condurre alla ragione le forze politiche, nessuna esclusa, forse potremmo cominciare ad immaginare una nuova fase per quanto non priva di contrapposizioni, certamente foriera di fattiva collaborazione sui temi cruciali che sono sotto i nostri occhi. Sullo sfondo, naturalmente, resta la questione delle questioni: il superamento della crisi del sistema. Ma ciò implica un’idea di Stato sulla quale non sembra che almeno per ora ci si voglia cimentare. Eppure tempo verrà…
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mondo
Russia e Georgia: nessun passo avanti dopo il vertice Medvedev - Saakhashvili
Mosca ammonisce Tblisi sull’adesione alla Nato di David J. Smith
TBLISI. Il presidente georgiano Mikhail Saakashvili e quello russo Dmitri Medvedev si sono incontrati ieri a margine del summit della Comunità di stati indipendenti (Csi) tenuta a San Pietroburgo. Il loro primo incontro ufficiale è avvenuto nel mezzo di una discussione fra i due Paesi, inerente il territorio georgiano dell’Abkhazia. Gli osservatori occidentali, che speravano in una ricomposizione, rimarranno delusi per quello che sembra proprio essere stato un incontro senza risultati. Ancora, il colloquio di San Pietroburgo può essere un inizio – se i leader occidentali faranno in fretta a riconoscere le loro responsabilità e l’opportunità di coinvolgere coraggiosamente Medvedev su questo tema. L’Abkhazia è un territorio georgiano separato, un tratto lussureggiante della costa del Mar Nero. Il suo governo separatista, appoggiato da Mosca, è costruito sulla pulizia etnica e su di una guerra civile scaturita nell’ultimo stadio dell’agonia dell’Unione Sovietica. Il presidente uscente Vladimir Putin ha acceso le polve-
ri dell’attuale disputa, quando con il decreto del 16 aprile ha esteso all’Abkhazia lo spazio economico, legale e amministrativo della Russia. Di questo l’Occidente porta qualche responsabilità – Putin si è mosso sulla scia di un mix, formato dalla particolare arroganza con cui gli occidentali hanno strappato il Kosovo alla Serbia e da una certa apprensione nel negare a Georgia e Ucraina la partecipazione al cosiddetto Map della Nato, che li avrebbe avvicinati ulteriormente a un ingresso nell’Alleanza. Pochi giorni più tardi, in un grossolano revival della passata potenza in Caucaso, un caccia russo distrusse un uav che stava conducendo un volo di ricognizione sull’Abkhazia. (La colpevolezza della Russia è contenuta in un rapporto dell’Onu del 26 maggio).
La mossa di Putin ha cambiato la lenta annessione dell’Abkhazia in un’operazione più rapida, sostenuta dalla presenza di un ulteriore contingente di 600 uomini, spacciati come peacekeeper a dispetto del loro armamento pesante. Una campagna di agitprop sta dando la necessaria copertura politica - la Georgia viene accusata di stare preparando un’invasione - con molta fantasia, attraverso l’Abkhazia superiore, una stretta gola dove la Georgia mantiene una forza di polizia di appena 500 uomini. Di più, non ci sono stati movimenti di truppe georgiane attorno a Zugbidi, lungo la strada principale diretta dalla regione di Mingrelia, controllata dalla Georgia, verso l’Abkhazia. Tuttavia Mosca ha avviato il dispiegamento di 400 uomini del genio ferrovieri per riparare la malconcia linea ferrovia-
Mentre gli occidentali hanno gli occhi puntati sul possibile riconoscimento dell’Abkhazia come Stato indipendente, i tentacoli russi risucchiano il territorio georgiano verso il limbo dell’annessione ria che collega la capitale regionale Sukhumi al porto di Okhamchire (una vecchia base navale sovietica), intaccando il principio che il peacekeeping sia la sola legittima ragione per cui le forze russe siano in Abkhazia. Solo perché si afferma che questi soldati siano disarmati, la Georgia e l’Occidente hanno rinunciato a un’adeguata risposta. Un’appropriazione di territorio in pieno stile anni Quaranta! Mentre gli occidentali hanno gli occhi puntati sulla Russia, se riconoscerà l’Abkhazia come Stato indipendente, i tentacoli di Mosca risucchiano il territorio georgiano verso il limbo dell’annessione. Ancor meglio se ciò provocasse una reazione georgiana che le sbarri le aspirazioni verso la Nato. «Faremo di tutto per non consentire a Georgia e Ucraina l’ingresso nella Nato», ha affermato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, respingendo al contempo qualsiasi ipotesi di mediazione esterna e rinvian-
Il presidente georgiano Mikhail Saakhashvili. In basso il suo “collega” russo Dmitri Medvedev do al mittente Javier Solana la proposta, diplomaticamente solo accennata, di una Ue disponibile a partecipare attivamente alla ripresa del dialogo fra le due parti.
Nel mentre, i leader occidentali, (a dire il vero senza troppa convinzione), agognano migliori relazioni con la Russia di Medvedev. In verità, questa è una delle ragioni presentate per sollevare difficoltà all’ingresso nel Map Nato per la Georgia e l’Ucraina. Alla fine di un summit dei ministri degli Esteri della Nato, che non aveva trovato un accordo su questa materia, il ministro francese, Bernard Kouchner dichiarava: «Dobbiamo tenere conto della sensibilità russa e del ruolo che svolge». Anziché offrire a Georgia e Ucraina l’adesione alla Map, al summit di Bucarest del 2-4 aprile, i capi di governo della Nato dichiaravano «questi Paesi diventeranno membri della Nato». Non è abbastanza, segnalava Putin ai leader Nato. «L’efficacia della nostra cooperazione dipenderà da quanto i membri della Nato terranno conto degli interessi della Russia». Nel giro di due settimane, Putin si sarebbe mosso in Abkhazia. I Paesi e le istituzioni occidentali affrontavano la mossa di Putin con una inaspettata, immediata, dura e univoca condanna, il tutto invano. Commentando spudoratamente la notizia sulle truppe del genio ferrovieri in Abkhazia, Putin dichiarava a Le Monde: «Mi sono occupato perso-
nalmente della faccenda», come se ciò giustificasse in qualche modo l’operazione. Dopo una conversazione telefonica, sullo stesso argomento, tra Saakasvhili e Medvedev, (veniva rilasciata) una raggelante dichiarazione del Cremlino: «verranno fornite le necessarie spiegazioni sulla materia». Mentre Mosca consolida la presa sull’Abkhazia e l’Occidente spreca l’opportunità per migliorare le sue relazioni con la Russia di Medvedev. Cercare questa opportunità rimane un obiettivo che merita, a dispetto dell’abborracciata diplomazia degli ultimi mesi. «Ma gli uomini timidi», scrive Henry Kissinger «sono più propensi all’ansia che all’audacia di fronte alle grandi oppurtunità». Ciò è vero oggi come lo è stato durante le guerre napoleoniche di cui Kissinger scrive e i diplomatici occidentali devono ora mostrarsi migliori dei «timidi» di quella massima. L’ascesa di Medvedev può essere un’opportunità, ma non lo possiamo sapere, a meno che l’Occidente non lo impegni con aspettative su di un corretto comportamento, con la dimostrazione che i prepotenti russi falliranno e con alcune sfide coraggiose. Fra queste, dovrebbe esserci l’annullamento del decreto di Putin del 16 aprile, la costituzione di una forza di polizia internazionale, per rimpiazzare i peacekeeper russi in Abkhazia e la creazione di un nuovo forum diplomatico che possa realisticamente ricomporre il conflitto.
mondo
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Chiuse le ambasciate di City Hall, abrogato l’accordo con Chavez, in pensione il laburista “Londoner”
La mannaia di Boris cala su Ken il rosso d i a r i o
di Silvia Marchetti
d e l
g i o r n o
Sri Lanka, 21 morti in un attentato Ieri mattina nei sobborghi della capitale Colombo un’esplosione in un autobus ha causato 21 vittime e 60 feriti. Per il ministero della Difesa del Paese l’attentato sarebbe opera di ribelli Tamil e il dispositivo dell’esplosione sarebbe stato comandato a distanza.
Turchia e Iran coordinano le forze armate L’esercito di Ankara procederà di comune accordo con i militari di Teheran nella battaglia contro i ribelli curdi del Pkk. Ci saranno scambi di informazioni e attacchi coordinati, ha detto il capo dell’esercito turco, Ilker Basung. Con queste dichiarazioni alla Cnn-Türk, Ankara per la prima volta ammette la collaborazione con Teheran. Quest’anno lo Stato maggiore turco ha attaccato diverse volte le posizioni del Pkk nel nord dell’Iraq. Anche l’esercito iraniano ha colpito i villaggi della regione da dove, secondoTeheran, i ribelli del Partito per la vita libera in Kurdistan, colpirebbero.
Zimbabwe, Tsvangirai agli arresti
LONDRA. Il taglio degli sprechi cittadini parte dall’estero. Il nuovo sindaco Tory di Londra, Boris Johnson, ha deciso di fare tabula rasa delle numerose attività e degli accordi realizzati in ambito internazionale dal suo predecessore. Fedele alla promessa di ridurre i costi amministrativi di City Hall, decisamente levigati durante l’era di Ken Livingstone, Boris vuole disfarsi dell’eredità “rossa”della capitale: dalle intese scomode con Paesi anti-democratici alla proliferazione di costose sedi di rappresentanza all’estero. La prima mossa di Boris è stato annullare l’accordo energetico che Livingstone aveva firmato con il Venezuela di Hugo Chavez per il rifornimento di diesel low-cost in cambio di consulenza strategica. Il greggio acquistato a buon prezzo dai venezuelani serviva a rifornire gli autobus e i tram londinesi e ridurre così i costi dei trasporti a favore delle fasce sociali più deboli. Da parte sua, Livingstone s’impegnava a fornire tecnici, scienziati e consulenti in ambito energetico e urbanistico all’amico Chavez. Uno scambio per Johnson inaccettabile e amorale, bollato più volte in campagna elettorale come “l’alleanza di Caracas”che discredita Londra. L’accordo, del valore complessivo di 15 milioni di sterline, scade ad agosto e non sarà rinnovato. Livingstone non ha mai fatto mistero di avere una profonda ammirazione per Chavez, nonostante il Venezuela sia stato inserito dall’amministrazione Bush nella black list degli “Stati canaglia”. Ma il suo successore non può permettere che la reputazione di Londra venga infangata da un’alleanza (seppur a fini sociali) con il regime sudamericano. Presto
Johnson riporterà sulle strade lo storico simbolo di Londra: il tanto amato autobus a due piani la nuova Londra conservatrice non avrà più nulla in comune con il Venezuela e perciò sarà ridondante mantenere aperto l’ufficio di rappresentanza di Caracas, la cui gestione costa 67mila sterline l’anno. Il nuovo sindaco ne ha già annunciato la chiusura e non si fermerà qui: la mannaia Tory si abbatterà presto anche sulle altre mini-ambasciate che Ken il Rosso ha aperto nei quattro angoli del pianeta per promuovere l’immagine della capitale. Strutture che pesano sulle spalle dei contribuenti londinesi per un totale di 1,5 milioni di sterline annue e il cui ruolo non è ben definito.
Nel mirino di Johnson ci sono gli uffici di Nuova Delhi, Mumbai, Pechino, Shanghai e Bruxelles, oltre a quello di Caracas che chiuderà ad agosto. Livingstone ha creato un vero e proprio network di rappresentanza per fare quello che già fanno le varie ambasciate inglesi nel mon-
do. Non solo: a Mosca aveva aperto una società di consulenza per i clienti russi interessati a investire a Londra. Iniziative utili, ma quanto hanno davvero fruttato alle casse, al turismo e all’economia londinese? È quello che vuole sapere Johnson prima di essere costretto a porvi fine. Spetterà a Ian Clement, il suo braccio destro, valutare caso per caso “l’utilità strategica” delle ambasciate targate Livingstone. L’unico ufficio a sopravvivere potrebbe essere quello di Bruxelles, anche se Johnson vuole rafforzarne il ruolo di filtro tra le istituzioni europee e la capitale inglese.
Insomma, per Boris non è l’immagine che conta, ma la sostanza. Il neo sindaco cancellerà anche molte iniziative promozionali legate all’immagine del comune, tanto amate dalla passata giunta laburista. Il giornale gratuito The Londoner, usato da Livingstone come un megafono personale che gli garantiva una campagna elettorale permanente, verrà chiuso. Johnson ha deciso di destinare altrove i fondi, circa 2.9 milioni di sterline, per impegnarli a sostegno del verde cittadino facendo piantare nei quartieri della città 10mila nuovi alberi. Al fine di tagliare ulteriormente le spese amministrative Boris eliminerà anche il budget fisso di 80mila sterline che ogni anno il suo predecessore stanziava per le iniziative pubblicitarie di City Hall e ha già annunciato che ai Giochi Olimpici di Pechino invierà soltanto uno staff minimo a rappresentare Londra. Presto, inoltre, Johnson riporterà sulle strade cittadine lo storico simbolo della capitale: il caratteristico autobus a due piani che Ken il Rosso aveva mandato in pensione.
A poche settimane dal ballottaggio che dovrebbe dare un nuovo presidente al Paese, il leader del partito di opposizione, Mdc, Morgan Tvsangirai, è di nuovo nelle mani della polizia. Secondo quanto dichiarato da un portavoce dell’Mdc, Tvsangirai sarebbe stato fermato durante una manifestazione elettorale e condotto in una stazione di polizia insieme ad altri membri del partito per il Cambiamento democratico. In precedenza il governo di Harare aveva annunciato provvedimenti contro le Ong presenti nel Paese. Ong e organizzazioni umanitarie dovranno fare di nuovo richiesta di accredito e promettere che non si immischieranno negli affari interni dello Zimbabwe.
Israele minaccia l’uso della forza Il vice capo del governo di Gerusalemme, Schaul Mosaz, ha minacciato di attacco militare i vertici di Teheran. In una intervista al quotidiano in lingua ebraica, Jediot Achronot, l’alto quadro israeliano ha dichiarato che «se l’Iran proseguirà con lo sviluppo di armi atomiche, l’attaccheremo». Mofaz, responsabile anche del dialogo strategico con il governo americano, ritiene che le sanzioni internazionali contro l’Iran non abbiano efficacia. L’eventuale attacco dovrebbe avvenire con il consenso e il sostegno di Washington. «È più facile che sparisca lui», così Mofaz ha replicato alle minacce del presidente iraniano di cancellare Israele dalle carte geografiche. Mofaz, di origini iraniane, si è trasferito in Israele nel 1957.
Irlanda, solo il 30% favorevole al Trattato A pochi giorni dal referendum sul Trattato europeo, i sondaggi indicano che per la prima volta i contrari sono passati in vantaggio. Come riferisce il quotidiano Irish Times, il 35 per cento dei partecipanti voterebbe no, il 30 per cento sarebbe invece a favore. Rispetto al precedente sondaggio i contrari alla maggiore integrazione avrebbero guadagnato il 17 per cento mentre i favorevoli avrebbero perso il cinque. Il 35 per cento sarebbe ancora indeciso. Affinchè il Trattato entri in vigore nel 2009, è necessario il consenso di tutti i membri dell’Unione.
Il governo del Sudan come i nazisti Il segretario generale dell’Onu, Ban ki Moon, si è detto profondamente preoccupato per le dimensioni dei crimini commessi dal governo sudanese. Nella sua relazione semestrale al Consiglio di sicurezza dell’Onu il presidente del Tribunale internazionale dell’Aja, Luis Moreno-Ocampo, ha scritto che la regione è teatro di crimini inimmaginabili. Moreno Ocampo ha paragonato il comportamento di Khartum, che protetto dalla sovranità svolge opera di sterminio contro la propria popolazione, con il regime hitleriano.
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Dipendenza, alluvione di informazioni, fine della privacy, controllo globale
PRIGIONIERI DELLA RETE di Riccardo Paradisi ccanto all’ottimismo utopistico dei tecnoentusiasti, dei cantori cioè delle magnifiche sorti e progressive della rete telematica globale è sorta nell’ultimo decennio una coscienza critica che ha concentrato la sua analisi sui rischi della rete, sui pericoli di internet. La connessione globale ha comportato trasformazioni tali nel modo di pensare, di agire, di essere degli individui, che il suo avvento e la sua esponenziale diffusione – hanno accesso a internet 1 miliardo e 250 milioni di persone con una progressione di incremento annuo del 244 per cento – sta determinando un mutamento antropologico, comparabile per importanza alla rivoluzione neolitica e alla rivoluzione industriale. Basti pensare alla progressiva dematerializzazione dell’economia, alla sua finanziarizzazione di cui la rete è stata acceleratore e volano prodigioso alimentando l’illusione di un ciclo economico espansivo illimitato e creando aspettative psicologiche a masse di piccoli risparmiatori che emancipate dal controllo di investitori istituzionali attraverso il tradin on line hanno iniziato a operare autonomamente nel mercato.
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Egualmente radicale la trasformazione della dimensione politica i cui tempi sono stati trasformati dai ritmi di una comunicazione in tempo reale e dove lo spazio pubblico ha perduto la sua connotazione fisica territoriale, dove controllo e libertà hanno assunto caratteri più radicali di quelli che queste categorie politiche tradizionalmente avevano. Infine le relazioni scociali spontanee: la rete non si è limitata a museificare in un paio di lustri solo la pratica della comunicazione scritta, ha reso anacronistiche tutte le forme i ritmi i modi della comunicazione che abbiamo conosciuto per secoli: web cam, chat line, e mail, forum telematici hanno rimodulato in pochi anni l’intera dimensione relazionale. Anche il modo di pensare, di percepire la realtà, si sta modificando assieme alle categorie mentali delle nuove generazioni (vedi intervista a lato con il professor Tonino Cantelmi, Ndr). Quale è il vettore, la direzione di queste trasformazioni? Siamo di fronte a cambiamenti positivi o a un sommovimento che risponde alla legge del caos nascondendo pericoli di gravità inaudita? Pierre Lévy docente presso il dipartimento Hypermédias dell’Università di Paris VIII Saint-Denis è stato il primo e più estremista dei tecnoenusiasti. Negli anni Novanta della Net-economy – Il decennio delle illusioni fatali, come lo ha definito Giulio Tremonti – quando ancora qualcuno si aggrappava alla profezia rosa e sbagliata di Francis Fukuyama (la fine della storia con l’happy end tecnoliberista) – Pierre Lévy scrive L’intelligenza collettiva (Feltrinelli) poi ripubblicato col titolo Cybercultura (Feltrinelli). Lèvy, ispirato, arriva a sostenere che il cyberspazio rappresenterebbe addirittura l’inveramento del più antico sogno dell’uomo, il superamento del tempo e dello spazio, condizione cui tendono da sempre gli sforzi tecnologici dell’Occidente e quelli meditativi dell’Oriente. Nella mente di Lévy collettivi umani reali e tangibili possono con la rete «costruire
insieme dei cieli, che traggono la propria luce esclusivamente dai pensieri e dalle creazioni di quaggiù. Ciò che fu teologico diventa tecnologico».
Mentre nella teologia la luce proveniva dall’alto nel caso della rete è dal basso che zampilla l’albedo della grazia, redistribuendosi orizzontalmente: «Nello spazio emanato dall’intelligenza collettiva io incontro così l’altro essere umano, non più come un corpo di carne, una posizione sociale, un proprietario di oggetti, ma come un angelo appunto». Un empireo che dopo quindici anni presenta qualche disfunzione però se è vero che la commissione di psichiatri che collaborano alla stesura del Diagnostic statistical Manual ha ufficialmente proposto per la prossima edizione l’introduzione della internet addiction la sindrome cioè da dipendenza da internet. Una dipendenza che sembra svilupparsi indipendentemente dal tipo di uso che si fa della rete e dal contenuto dei siti. Il rischio sarebbe l’esposizione in sé, il mezzo, non il messaggio. Effetti collaterali. Come la cosiddetta exobyte: l’esondazione dei dati. La quantità di dati che circola in rete è in costante aumento, un fatto che provoca un’accelerazione dello scambio e dell’elaborazione delle informazioni, che fa a meno dell’assimilazione e della comprensione e che soprattutto aliena dalla durata, dalla prospettiva storica chi ne viene bombardato. Un flusso di dati talmente alto da far lanciare anche un’allarme su un possibile collasso della rete. Bret Swanson del Discovery Institute di Seattle sostiene che l’espansione del traffico è destinata a superare la capacità di internet, e a produrne il collasso. Ipotesi pa-
chiara di avere comunicato a sconosciuti il proprio indirizzo di posta elettronica e il 14 per cento il proprio indirizzo di casa. Alcuni sono arrivati a inviare le proprie immagini fotografiche a interlocutori sconosciuti». Secondo poi i dati condotti da una ricerca condotta negli Stati uniti il 35 per cento dei bambini che navigano su internet ha avuto modo di imbattersi casualmente in siti che presentavano materiale pornografico. Ma la rete non presenta pericoli solo per i giovani. Carlo Formenti, docente di Teoria e tecnica dei nuovi media a Lecce nel corso degli anni ha cambiato idea rispetto all’iniziale ottimismo verso le potenzialità di internet. In Cybersoviet (Raffaello Cortina editore) Formenti mette a tema con lucido realismo la minaccia politica e sociale che si aggira nelle autostrade informatiche e grava sulla rete. Una risposta anche all’utopismo politico di Lèvy e al sogno della democrazia elettronica planetaria.
Un’illusione secondo Formenti che fa il paio con il mito secondo cui l’architettura stessa di internet reagirebbe alla censura come a una disfunzione tecnica, impedendo di fatto qualsiasi tentativo di controllo. «Un mito che sta dimostrando una sorprendente capacità di sopravvivere a ogni smentita dei fatti: come la blindatura del confine telematico cinese realizzata grazie al “tradimento” di quelle stesse corporation americane che dichiarano di vendere tecnologie di libertà o come l’eclissi della privacy provata dalle tecnologie di tracciamento dei consumatori utilizzate da motori di ricerca e imprese e-commerce». Le illusioni resistono alla smentita dei fatti quando sono potenti. E pazienza che Lawrence Lessing, tra i maggiori esperti delle relazioni fra diritto e nuove tecnologie, abbia ampiamente dimostrato nel suo Code and Other. Law of Cyberspace, (Basic Books, New York), come internet possa agevolmente trasformarsi in una nuova e potentissima arma di controllo dei cittadini. Anche perchè i controllori conoscono il codice del network, mentre i controllati no. I cittadini della rete appaiono dunque ospiti o prigionieri di di un’architettura che non conoscono. Un’architettura, come spiega il sociologo catalano Manuel Castells (L’età dell’informazione: economia, società, cultura. Università Bocconi editrice) che non può essere refrattaria “per natura” a ogni volontà di controllo, come sostengono gli ottimisti, per il semplice fatto
È tramontata la certezza che internet abbia un destino liberaldemocratico ventata anche dal Nemertes Reserch Group che individua nel 2010 il momento in cui la rete potrebbe raggiungere la sua soglia critica. Una crisi che coinvolgerebbe gran parte del sistema della comunicazione attuale. Ma non preoccupa solo un medioevo prossimo venturo, inquieta anche il presente. I dati di una recente indagine realizzata negli Stati uniti e riportata da uno studio di Luciano Arcuri Crescere con la Tv e internet (Il Mulino) dicono che le possibilità che i bambini vengano in contatto tramite internet con materiale non desiderato o entrino in comunicazione con persone adulte mai conosciute è molto alto: «Circa il 60 per cento dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni dichiara di avere ricevuto messaggi di ogni tipo da sconosciuti grazie a internet». In Gran Bretagna i dati raccolti sono ancora più preoccupanti: «Il 46 per cento dei ragazzi intervistati di-
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Parla lo psichiatra Tonino Cantelmi: «È in corso una mutazione antropologica»
Come il web ci cambia la mente colloquio con Tonino Cantelmi di Ernesto Capocci ui temi legati all’uso di internet, abbiamo intervistato il Prof.Tonino Cantelmi, psichiatra e primo docente italiano di cyberpsicologia e psicoterapia on line alla scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università La Sapienza. Cantelmi è anche direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Interpersonale di Roma. ed è stato il primo in Italia ad occuparsi del problema delle tecno-dipendenze. È presidente fondatore dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici. Lei ha affermato che «l’uomo del terzo millennio, con internet, sarà diverso: la mente produrrà eventi e cambiamenti che non potremo ignorare». Ci spiega questa nuova realtà? L’impatto tra la tecnologia digitalica e la mente umana sembra dotato di una capacità mutagenica straordinaria. Io sostengo che siamo alle soglie di
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che non esiste una natura di internet ma solo una struttura realizzata secondo il progetto dei suoi creatori. La rete insomma non ha un Dna liberale.
Lo stesso Yochai Benkler, teorico libertario della rivoluzione internettiana mostra qualche preoccupazione quando scrive che «Google potrebbe acquisire talmente potere sul dekstop nella gestione delle e-mail e del web da arrivare a rappresentare un supernodo». Per Amnesty international questa eventualità è già in corso: «Sono proprio le imprese di internet ardentemente libertarie nella loro ideologia, a fornire le tecnologie per rompere l’anonimato e muovere la privacy nonché le prime ad usarle. Così facendo hanno permesso alla sorveglianza governativa di tornare con rabbia vendicativa nello spazio di internet». Un orizzonte che sembra dar ragione alle più fosche previsioni, anch’esse formulate negli anni Novanta della fase aurorale di internet dall’urbanista francese Paul Virilio ne La Bomba informatica (Raffaello Cortina editore). Virilio associava internet all’ultimo atto di una guerra totale che l’ideologia globalitaria ha dichiarato all’umanità. Internet sarebbe la soluzione finale contro i tempi, i ritmi, i modi dell’umano. Risucchia nelle rete le psicologie, le costringe ad abitare un mondo irreale, facendo loro credere, attraverso un’ipnosi potente, che quella sia la vera realtà. Un grande occhio più implacabile di quello del Big Brother orwelliano ci guarderà tutti, di più: l’intera umanità presterà i suoi occhi al grande fratello fino a che la rete diventerà un’immenso panopticon dove ognuno spierà il suo prossimo.“Una rivoluzione contro l’umano” la chiama Virilio, il colpo da maestro di un demiurgo cattivo che con una sola rete ha preso la quasi totalità dei pesci. Le luci del giorno e della notte, i ritmi delle stagioni, il contatto dei corpi che si amano, tutto verrà sostituito dalla grande parodia. L’avvento di un sapere cibernetico negherà ogni realtà oggettiva e segnerà la confusione babelica dei saperi individuali e collettivi. La derealizzazione del mondo. l’apocalisse in corso d’opera. Una provocazione intellettuale. Su cui però vale la pena meditare. Magari domandandosi: «Che cosa perdiamo quando adottiamo unilateralmente una nuova tecnologia? E in particolare una tecnologia così potente come quella di internet? Per dirla con i versi di Eliot: «Brings of motion, but not of stillness…Where is the knowledge, we have lost in information?». (Conoscenza del moto, ma non dell’immobilità. Conoscenza del linguaggio, non del silenzio. Dov’è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione?)
una mutazione che, più che psicologica, è antropologica. Gli abitanti della società moderno-liquida saranno diversi. Faccio un esempio: l’incremento dell’apprendimento percettivo (quello che avviene attraverso i videogiochi e il computer), fa sì che i bambini avranno un cervello con minori capacità simboliche. Questo cambia il modo di abitare il mondo. Oppure: gli adolescenti hanno ormai imparato ad utilizzare il cervello con modalità multitasking: cioè mentre studiano, chattano e scambiano sms. Si tratta di una modalità che aumenta la distrazione, ma che consente di fare più cose insieme. Anche questo cambia l’uomo. Che cos’è l’”homo tecnologicus”, come Lei l’ha chiamato? È un uomo che vive il cellulare, il computer e in generale la tecnologia digitalina come una estensione di sé. Il personal computer è dunque una parte di me, amplia ed estende la mia mente ed espande me stesso, creando un uomo nuovo, dove tecnologia e umanità si fondono. Questo sarà molto più evidente fra un paio di decenni. Che differenza c’è tra vita “reale” e internet? Il punto è che la realtà virtuale viene vissuta come reale, a volte come più reale della realtà reale. Sembra un gioco di parole, in realtà,
attraverso un meccanismo che chiamiamo locomozione psicologica, noi, attraverso i nostri avatar, abitiamo la realtà virtuale, in essa ci innamoriamo, scopriamo nuove parti di noi, impariamo l’amicizia o l’odio, facciamo sesso. Che cos’è e come si manifesta la dipendenza dalla Rete Internet? Può fare qualche esempio di condotta psicopatologica on line? Nel 1998 ho descritto in un Convegno, per la prima volta in Italia, il caso di alcuni pazienti che non potevano fare a meno di collegarsi e di navigare in Rete, stravolgendo la propria vita.Queste descrizioni colpirono molto la stampa ed i media, scatenando un effetto mediatico sorprendente. Ben presto i casi aumentarono e io stesso descrissi un caso di trance da computer (uno stato di dissociazione mentale da web) e gli studi si sono moltiplicati. Oggi sappiamo che esistono delle forme di dipendenza comportamentale, cioè di dipendenza non da una sostanza, ma da un comportamento. Fra questi ci sono i chattatori incrollabili, coloro che non possono fare a meno di acquisire informazioni o notizie on line per ore ed ore, i cybersex dipendenti, i prigionieri delle MUD (colossali giochi di ruolo planetari): un popolo di net dipendenti che preferisce di gran lunga la Rete alla vita reale. Che rapporto c’è tra identità e uso di internet? C’è un evento straordinario: la dissociazione on line. Cioè in Rete possiamo assumere più personalità ed agirle tutte. Esiste una sorta di cybertravestitismo multiplo. Il più banale è quello di un uomo che naviga dandosi una identità da donna. L’incorporeità, l’anonimato, la serendipità (cioè la navigazione casuale) e la velocità, sono ingredienti che ci consentono di plasmare e sperimentare nuove identità on line. Anche più volte al giorno. Lei ha creato un’”ipotesi”, come l’ha chiamata, di psicoterapia on line ed è stato il primo psichiatra italiano a farlo. Come nasce quest’idea? Nel 2000, insieme ai miei collaboratori, sperimentammo la psicoterapia on line. Fu sorprendente: tantissime richieste, tanti dati interessanti, tutti pubblicati. L’Ordine degli psicologi, preoccupato però per il possibile diffondersi di terapie on line, ha ignorato questi dati e oggi si limita a vietare le consultazioni on line. In realtà si tratta di una posizione ingenua: la maggior parte degli psicologi italiani ha aperto siti web e migliaia offrono consultazioni on line. In ottemperanza a quanto stabilito dall’Ordine degli Psicologi, d’accordo con i miei collaboratori (per lo più psicologi), sospendemmo ogni sperimentazione. I dati preliminari però dimostravano una certa utilità. Sono sicuro che nel futuro avremo psicologi e psichiatri più abili on line e presto apriranno studi on line in second life. Inutile far finta di niente: questo è un fenomeno che non va vietato, ma va regolamentato.
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Il rischio è che si produca soprattutto tra i giovani l’isolamento e il carnevale delle identità
Totem e tribù di internet li Emo, con i capelli neri lisci come spaghetti e il volto da efebi orientali. Il mondo farebbe a meno di conoscere l’esistenza della ennesima tribù giovanile, che predilige abiti neri, capelli tinti di nero, i coretti dei “Tokio Hotel”: una realtà fragile ai limiti della evanescenza. Ma nella grande arena di internet gli Emo si riconoscono tra loro, danno corpo alla loro identità. Attraverso i filmati di you.tube assimilano gli archetipi del loro comportamento, attraverso i forum si contattano e si convincono che il resto del mondo – rispetto a loro – è una stravaganza rimediabile.
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Internet da qualche anno è diventata la grande agorà del mondo, e i più attivi agenti di “scambi” sociali sono appunto gli adolescenti. Più attivi di alQaeda nel lanciare immagini e slogan, ben più veloci dei sociologi nell’intercettare le tendenze, tutte le ultime increspature dell’onda della moda. Gli strumenti essenziali per entrare nel grande mercato delle informazioni e dei contatti sono i forum, nei quali gli utenti registrati si scambiamo messaggi leggibili da tutti; le chat tematiche, che consentono conversazioni private; il “messenger”, il programma personale che per-
di Alfonso Piscitelli mette di scambiare conversazioni ed anche di vedersi via cam ogni volta che gli utenti sono in linea. Ed ancora you.tube, il fenomeno strepitoso che rischia di scavalcare la televisione. Su you.tube i filmati registrati da un semplice telefonino possono andare in rete ed essere potenzialmente visti in tutto
il mondo. Sia che si tratti delle immagini estemporanee di un terremoto, sia che si tratti di un adolescente che canta Santana il filmato rischia di essere più visto di un telegiornale della sera, nel momento in cui si innalza dall’anonimato delle mille repliche assecondando i mecca-
Un formidabile moltiplicatore di leggende metropolitane
La bufala corre online l motore di ricerca Google è l’ultima incarnazione del sogno faustiano di onniscienza che da sempre l’uomo occidentale coltiva. Questo sogno nella fantascienza del secolo scorso si era arricchito di valvole e transistor: gli autori di storie futuribili immaginavano supercomputer che rispondevano con voce atona a qualunque domanda venisse posta. Ora Google sembra realizzare una parte del sogno: posta una domanda, l’oracolo dà una decina di pagine di risposte… Spetta all’interrogante discernere l’utile dal superfluo, l’indicazione precisa dalla congettura o dalla falsità vera e propria. Pigia e tra le due tavolette di un portatile, intere biblioteche virtuali si squadernano on-demand. Ma quel che ne viene fuori molto spesso è a metà tra gli slogan delle ideologie e le classiche leggende metropolitane. Chi non ha sentito parlare ultimamente delle scie chimiche? Arma segreta del pentagono, tentativo di condizionare la meteorologia o super inquinamento spaziale: le ipote-
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si si sprecano nei cosiddetti siti di controinformazione. Altro gettonatissimo argomento da sette anni a questa parte è l’ attentato dell’11 settembre: se si facesse un censimento delle opinioni espresse su internet, Osama Bin Laden risulterebbe essere il secondo personaggio più accusato di aver progettato il colpo, subito dopo George Bush, che rimane l’indiziato numero uno… A volte chi di controinformazione colpisce, di disinformazione perisce: ultimamente Beppe Grillo ha scritto un testo vibrante in cui dichiarava di non aver mai lanciato la proposta di sostituire la benzina con i biodiesel nelle macchine. Come è noto l’utilizzo di carburanti a base vegetale ha contribuito negli ultimi mesi ad aggravare i prezzi dei prodotti agricoli, e intanto di sito in sito rimbalzava un testo apocrifo (!) del predicatore genovese in cui si invitavano gli automobilisti a comprare l’olio di girasole nei supermercati e a riversarlo nelle macchine. [A.P.]
nismi segreti della popolarità via internet. Difficile sintetizzare tutte le componenti che vanno a creare il nuovo “stato di coscienza” nella più recente era della comunicazione. Internet abbatte le distanze: è la più compiuta espressione del Villaggio Globale. Sapendo manovrare un motore di ricerca si possono leggere le pagine online di un quotidiano locale della California, sapendo lo spagnolo si può entrare in un forum di femministe cilene o nel sito dell’Opus Dei di Montevideo. Ma accanto a questo potente impulso alla unificazione e all’abbattimento delle distanze, internet induce la frammentazione.
Ogni tendenza lì è assecondata, approfondita, incentivata: chi è vagamente razzista scopre in un istante i recapiti del Ku-Klux-Klan del Montana, chi ha pulsioni omosessuali trova subito il vasto campionario di offerte dell’universo gay. Il mondo reale è fatto di accomodamenti e compromessi tra persone che hanno concezioni del mondo diverse e diverse inclinazioni, ma internet non è il treno dove nello stesso scompartimento siedono il
prete e la ballerina dei night, somiglia piuttosto a un immenso gorgo dantesco in cui ognuno trova il proprio girone di riferimento.Vero è che in internet tutto fluttua: le identità sono cangianti. Chi entra in un forum e adotta un nick-name – ovvero uno pseudonimo qualificativo – dà a se stesso un nuovo battesimo: adotta una maschera di personalità (più o meno aderente alla sua realtà) ma nulla gli vieta di mentire, nulla gli vieta di cambiarla nel giro di pochi minuti. Lo sanno bene i ragazzi a caccia di ragazze sui siti di incontri, dopo aver scoperto che la biondina ventiquattrenne era ragioniere con la un barba…Internet impone così il carnevale delle identità, diventa la più alta espressione di un’epoca che cerca innanzitutto la “festa” e fa sua la modalità tipica del carnevale: la possibilità di mettere una maschera, di inventarsi a nuovo almeno nella apparenza e nella superficialità.Tuttavia nella congiuntura attuale di crisi, nel momento in cui la montagna russa del prezzo del petrolio trasmette il panico che la festa del benessere stia per finire, trionfalmente si impone un altro punto di forza di internet: la gratuità.
I costi di connessione con l’ADSL sono diventati stracciati: i ragazzi possono lasciare acceso lo schermo tutta la notte per scaricare i film (ricordate? anche Raffaele Sollecito a Perugia aveva il computer acceso che per l’intera notte andava in automatico…), o per attendere che qualcuno abbocchi all’amo di un messaggio lasciato in un sito di incontri. Da internet si scaricano libri interi e gli editori cominciano a subire il colpo. Su internet si creano giornali telematici, senza alcun problema di stampa e di distribuzione. Internet è un mercato in cui molta merce – anche avariata – si vende a vario prezzo, ma nel quale ci sono tanti prodotti regalati. L’industria culturale affronta così una rilevante trasformazione: si svincola dai potentati economici e segue le vie misteriose di una diffusione che somiglia allo spandersi delle leggende metropolitane. Di quelle notizie che possono somigliare alle grandi verità mitiche o alla più catastrofiche menzogne del nostro tempo.
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Il cinema sembra non voler più mordere sui rischi e le contraddizioni della rete
Anche Hollywood catturata da Matrix di Fabio Melelli n un film del 1995, The Net - Intrappolata nella rete, il regista Jack Green, illuminò il pubblico di tutto il mondo su quelli che potevano essere i pericoli insiti in un utilizzo indiscriminato delle nuove tecnologie informatiche, mettendo l’attrice Sandra Bullock al centro di un intrigo di stampo hitchcockiano. Da allora sono passati ben dodici anni e il cinema, soprattutto quel-
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zione mediatica, ripiegando su una produzione consolatoria, che pur affrontando l’argomento lo stempera nel putrescente acquittrinio della correttezza politica. Chi oggi controlla la Rete, controlla anche Hollywood e non si vede perché i grandi tycoon della Silicon Valley dovrebbero darsi la zappa sui piedi. Certo, nel mezzo, l’industria cinematografica ha licenziato un film memorabile come Matrix, in cui si ipotizza un futuro in cui è l’uomo a essere piegato alle esigenze della macchine, dipendendo completamente da loro, un pò come succedeva agli astronauti del film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, letteralmente fatti fuori dal computer di bordo Hal 9000. Matrix è il nome del sistema che controlla la società umana, società che non si rende affatto conto di vivere un’esistenza delegata, un po’ come capita a chi oggi passa decine di ore navigando su internet senza approdare ad alcunché di sensato, ma tracciando il cyberspazio con le sue incancellabili impronte. Per molti la rete diventa una sorta di idolo a cui dedicare un culto quasi religioso, e che contravviene alle sue rego-
Dopo il film dei Wachowsky non ci sono state più denunce sul controllo sociale del web lo hollywoodiano, sembra essere entrato in una fase di sostanziale normalizzazione nei riguardi di una tematica, quella della disumanizzazione e del controllo sociale, rimuovendo paure e angosce nel nome di una visione da ”credenza nel mondo giusto”, quale profetizzata da Lerner.
Oggi che tutti i nostri dati sensibili sono esposti all’aggressione dei pirati informatici che entrano nelle nostre esistenze riducendoci a volgarissimi bit, il cinema ha forse perso ogni capacità e volontà di denuncia della spersonalizza-
le, mettendone in discussione i dogmi, viene trattato ne più ne meno come un empio: solo un hacker, uno che infrange le leggi dell’informatica, in Matrix riesce a scalfire la superficie, prendendo consapevolezza del terribile destino dell’umanità. E qui sta il punto, in Matrix ci viene mostrata un’umanità che può ancora ribellarsi, che non è completamente fagocitata dal moloch: in sostanza si edulcora un problema, si addolcisce la pillola. Possiamo stare tranquilli, l’hacker Neo, Keanu Reeves lotta per noi, perché preoccuparsi?
Ci sarà sempre qualcuno, una nazione, un uomo illuminato che risolverà i nostri problemi di comuni mortali: intanto possiamo continuare a dissolverci nei meandri del virtuale, rinunciando a vivere, facendoci controllare in un modo tale che nemmeno una mente geniale come Orwell poteva immaginare. È curioso che uno dei film più interessanti da questo punto di vista sia stato realizzato da un regista italiano, il figlio d’arte Giacomo Martelli, autore nel 2006 del thriller In ascolto - The Listening, in cui Maya Sansa è una giovane che per puro caso entra in possesso di una valigetta contenente i segreti di una nuova tecnologia informatica, denominata Tumbleweed che permette di spiare e rintracciare chiunque, una sorta di Grande orecchio sempre in attività, contro il quale nulla può la resistenza uma-
na. E un altro film italiano, del 1998, Viol@ di Donatella Maiorca raccontava di una donna che capisce a proprie spese quali insidie si nascondo nel coltivare il sesso virtuale, alla mercé dei maniaci del cyberspazio. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, dobbiamo andare indietro di quasi dieci anni, al 2000, quando vide la luce l’interessante S.Y.N.A.P.S.E. di Peter Howitt in cui il tema della disumanizzazione informatica - si parla di un nuovo pericoloso programma per computer - era sostanzialmente innocuo pimento per una classica spy story. Stesso discorso per il modesto Pulse, poco significativa variazione sul tema della pirateria informatica declinata in chiave horror, uscito nel 2006, rifacimento di una curiosa pellicola giapponese, Kairo, ma qui i pericoli della rete sono tutti da ridere…Nell’ultimissimo cinema americano, la rete, internet, è quasi sempre un feticcio rassicurante, un simpatico elettrodomestico, come la televisione degli anni Cinquanta nelle commedie di Doris Day, una finestra sul mondo, un modo simpatico e coinvolgente per comunicare. Tutto il resto preferiamo dimenticarlo, e così il cinema hollywoodiano, per il quale l’obiettivo principale è intrattenere il pubblico senza farlo troppo pensare, mandandolo a casa con l’unico cruccio di come digerire quella specie di cibo “adulterato” che gli hanno venduto per popcorn.
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economia Oggi ci sono sistemi capaci di capire se qualcuno sta vendendo con un ritmo di 5 mila azioni ogni 15 minuti, si chiama segnalazione del rischio e i guadagni possono essere conseguiti cercando di intuire ciò che fa il tuo concorrente. Le ultime ricerche sugli algoritmi stanno cercando di combinare l’istinto e l’esperienza umana con la capacità di calcolo di un Pc
Le operazioni di Borsa sono effettuate con sistemi di algotrading in grado di individuare le transazioni più redditizie
Se i computer si mettono a investire di Cristoforo Zervos a rivoluzione in atto nel mondo della finanza è silenziosa ma inarrestabile. Se gli operatori che si sbracciano sembrano un ricordo del passato, nelle trading room l’informatica - grazie ai volumi di calcolo e alla velocità dei computer - è la principale leva per comprare o vendere al momento giusto. Tanto che gli investitori stanno facendo a gara per sviluppare il miglior trading algoritmico (algotrading). Ma che cos’è esattamente l’algo-trading? Non è altro che un software che individua ed esegue le transazioni più redditizie. In sostanza: velocità, segretezza ed efficienza. Quale investitore al mondo non vorrebbe un broker al proprio fianco così?
L
Non era molto in voga fino a poco tempo fa, oggi gestisce un terzo delle decisioni che riguardano il mercato statunitense. Alla Deutsche Bank di Londra il 70 per cento degli scambi di valute con pagamento immediato sono ormai gestiti dai computer e da software di questo tipo. E questo sistema di certo non potrà soltanto condizionare i grandi investitori ma anche il piccolo investitore, che d’ora in poi dovrà sapere che il suo fondo d’investimento è probabilmente gestito da macchine dell’algo-trading. Le macchine, in effetti, possono compiere molte più operazioni contemporaneamente con una
velocità sconosciuta al singolo trader. Per non parlare delle capacità di un computer di tenere a bada centinaia di migliaia di titoli. Questo sistema, inoltre, consente di muoversi senza che nessuno se ne accorga: in Borsa realizzare enormi profitti è direttamente proporzionale alla discrezione attraverso la quale si opera sul mercato. Per questo dividere un’operazione che poteva essere direttamente eseguita da un broker suddividendola in tante piccole operazioni fa sì che l’operazione stessa possa non essere vista dal mercato e quindi non esposta alle operazioni di altri broker che finirebbero così per
un computer, vuoi perché può essere una variante decisiva il peso dei dati inseriti nei server per ogni investimento. E in questo campo il ritardo su una variazione anche infinitesimale di un prezzo, può valere milioni di dollari.
Così gli operatori si stanno adattando ai nuovi ritmi comprando e rinnovando le loro macchine per farle avvicinare il più possibile a quelle della Borsa sempre per lo stesso e identico motivo: anticipare il concorrente. Oggi ci sono software in grado di capire, per esempio, se qualcuno sta vendendo con un ritmo di 5 mila azioni ogni
L’informatica garantisce riservatezza e movimenti rapidi. Ma non porta grandi risultati nei mercati con minore liquidità: in questi casi bisogna affidarsi all’esperienza del broker. Macchine e uomo in simbiosi per essere ancora più precisi dimezzare i guadagni finali per il singolo investitore. Se fino a qualche tempo per un broker di Wall Street premere un bottone un secondo prima di un altro suo concorrente voleva dire milioni e milioni di dollari in più, oggi, con l’avvento delle macchine, i broker fanno fatica a stare al passo: vuoi perché i tempi di reazione umana sono diversi da quelli di
15 minuti, si chiama “segnalazione del rischio” e i guadagni possono essere conseguiti cercando esclusivamente di capire ciò che fa il tuo concorrente. La corsa verso questi software e computer evoluti è diventata ormai senza quartiere. Ci sono programmi in grado di scoprire gli algoritmi che compiono operazioni segrete e le dimensioni di ogni transazione, per
capire quello che sta succedendo nel mercato. Di conseguenza anche il mercato dei software di protezione sta facendo passi da gigante, nonostante ci sia sempre una fase di stallo in questo tipo di operazioni dato che una transazione ha un limite nella sua suddivisione oltre la quale non si può più mascherare con la casualità una qualsiasi operazione speculativa. Ormai c’è molta confusione ed è diventato difficile individuare le vere possibilità che offre il mercato. E questo perché, a seconda degli analisti, molti operatori ottengono risultati peggiori dei fondi comuni indicizzati.
L’unico modo di battere questi fondi è capire dove andrà il mercato e anticiparlo, il che non è semplice. Per far questo ci sarebbe bisogno di controllare ogni giorno centinaia di titoli e di transazioni per comprendere l’andamento ed è per questo che spesso gli operatori si affidano ai dati delle macchine per poi decidere come operare. Ed appena una banca riesce a trovare un nuovo algoritmo che dà risultati, ecco che subito i concorrenti si adeguano innescando così un processo a cascata interminabile per la felicità dei programmatori. In molti difendono le proprie scoperte brevettandole ma non basta davanti alla battaglia per la supremazia in cui solo gli algoritmi vincenti sopravvivono.
Ma per avere velocità, precisione e profitto nelle transazioni c’è poi ovviamente bisogno di un’enorme potenza di calcolo. Le banche, non a caso, si dotano di server farm super sicure e super protette , ma soprattutto lontane da occhi indiscreti.
Nonostante l’avanzata delle macchine di algo-trading, l’uomo - il broker, per intenderci - è ancora importante. Se le transazioni più semplici sono affidate al computer, è altrettanto vero che la ricerca del profitto sta portando gli operatori di Borsa su mercati inesplorati. Come quelli con scarsi liquidità e movimenti: possono passare anche delle ore senza che non accada nulla. In questo caso, in assenza di transazioni, l’algotrading ha difficoltà, dato che la statistica, in assenza di dati, non risulta più una scienza esatta. Così non resta che affidarsi al vecchio broker e alla sua esperienza e al suo istinto. Non a caso la ricerca sugli algoritmi sta studiando di combinare l’istinto e l’esperienza umana con la capacità di calcolo di una macchina al fine di aiutare il broker a trovare profitto. Macchine e uomo in simbiosi quindi per un futuro dove la ricerca di individuazione dell’errore diventa fondamentale e dove molto probabilmente il computer non potrà forse mai sostituire completamente la “scintilla umana”. Almeno per un po’.
economia
7 giugno 2008 • pagina 17
È guerra aperta tra sindacati e confederazione degli armatori sulla privatizzazione della compagnia
Tirrenia, un nuovo caso Alitalia d i a r i o
di Vincenzo Bacarani
ROMA. Si fa sempre più aspra la battaglia tra sindacati e Confitarma, la Condeferazione degli armatori, sulla privatizzazione di Tirrenia, la compagnia pubblica di traghetti di Fintecna. Un altro fronte caldo nel settore dei trasporti che rischia di trasformarsi in un caso simile a quello dell’Alitalia. Proprio in questi giorni, in un comunicato congiunto, i segretari generali di Fit-Cisl e Uilt, Claudio Claudiani e Giuseppe Caronìa hanno chiesto un incontro al governo. «Le recenti esternazioni del presidente di Confitarma fatte all’Assemblea di Federagenti - affermano i sindacalisti - destano gravi preoccupazioni nel merito e nel metodo in quanto mirano a far saltare il progetto di
to che finanzia le proprie perdite a carico dello Stato». Inoltre, a parere di Coccia, «il nostro Paese è l’ultimo al mondo ad avere una flotta pubblica che fa una competizione scorretta nei confronti dei privati. Ora, tutti i termini sono scaduti e faremo le barricate per arrivare alla definizione di un assetto privatistico della gestione di Tirrenia. Ci sono almeno due-tre cordate pronte e ci attiveremo in tutte le sedi, ora che ci sono anche le condizioni politiche». Un argomento delicato, che interessa circa 35 mila addetti. «Ma che interessa - aggiunge Caronìa molta gente perché Tirrenia assicura una copertura territoriale che nessun armatore privato è in grado
dere in mano la questione. Senza contare una cosa». Quale? «Ossia, mentre noi oggi corriamo verso la privatizzazione come se fosse l’unico rimedio a tutti i mali, alcune società del Nord Europa stanno percorrendo il sentiero inverso. È un aspetto da non sottovalutare».
«Ora quello che occorre fare - sostiene il segretario nazionale della Fit-Cisl, Beniamino Leone - è di mantenere lo stato attuale fino al 2012, quando poi ci sarà la privatizzazione. Ma l’apertura al mercato dovrà essere un’apertura con il rispetto delle regole. Bisogna stare molto attenti per non correre il rischio di regalare alla fine pezzi della Tirrenia a privati che li utilizze-
d e l
g i o r n o
Scajola pronto a ridurre le accise Per limitare la corsa dei prezzi dei carburanti il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ipotizza un intervento sulle accise, già ridotte nel marzo 2007 con un decreto del governo Prodi. «Gli aumenti dei prezzi del barile non devono tradursi automaticamente in aumenti delle accise» ha detto il ministro, precisando che comunque la soluzione, «da concordare a livello europeo», può anche contemplare «manovre sull’Iva» e la cosiddetta ”Robin Hood tax” annunciata dal responsabile dell’Economia Giulio Tremonti. Scajola dice «di aver chiesto che la presidenza francese includa il costo dei carburanti nelle discussioni del prossimo semestre».
Finmeccanica apre all’accordo con Thales Finmeccanica è ancora disponibile ad un accordo nell’elettronica per la difesa con la francese Thales. Ma se fino ad un anno fa era per un accordo paritetico, ora tenendo conto dell’acquisizione di Vega e di quella in fieri con l’americana Drs non potrà che essere con un ruolo di controllo. È il presidente e Ad della società italiana, Pier Francesco Guarguaglini, ha chiarire la posizione della società. L’Assemblea di Finmeccanica ha poi approvato il bilancio 2007 che si è chiuso con un utile netto consolidato di 521 milioni di euro ed ha avviato anche la distribuzione di un dividendo di 0,41 euro, in rialzo del 17 per cento.
Fiat mantiene la quota di mercato A maggio Fiat «mantiene la quota di mercato in Europa. Nonostante le difficoltà, siamo riusciti a bilanciare la flessione del mercato italiano con l’aumento in altri Paesi europei». Sono le dichiarazioni rassicuranti dell’Ad del gruppo Fiat, Sergio Marchionne. Marchionne ha anche confermato i target del secondo trimestre. Quanto alla possibilità di un rischio di sciopero da parte degli autotrasportatori, l’Ad ha risposto che «c’è bisogno di un impegno di tutte le parti, compreso il governo, per ridurre il peso fiscale che grava sugli autotrasportatori».
Abertis interessata a Eiffel
riassetto e privatizzazione della flotta pubblica così come sostenuto dal sindacato per garantire mobilità all’utenza e difendere l’occupazione nel settore».
Secondo Fit e Uilt, «la richiesta da parte del presidente di Confitarma al governo di azzerare il vertice Tirrenia ha il chiaro scopo di voler eliminare chi si oppone ad una svendita del Gruppo Tirrenia». Ma che cosa ha affermato il presidente Nicola Coccia? «Fatte salve le attività delle società regionali, che hanno il loro ruolo importante, c’è un forte impatto di Tirrenia - ha spiegato Coccia - sui collegamenti dove operano gli armatori privati, con navi più moderne e con una maggiore capacità di stiva. Per sviluppare le nostre autostrade del mare, non possiamo subire la concorrenza di un competitor scorret-
Fit-Cisl e Uilt non vedono di buon occhio gli interessamenti di privati dello stesso settore e preferirebbero interventi esterni. Mentre Confitarma è pronta alle «barricate» di offrire, svolge un ruolo di servizio pubblico con le isole maggiori e con quelle minori». I fautori della privatizzazione sostengono anche che i costi di gestione di Tirrenia sono molto elevati. «I costi di gestione del personale - ribatte il segretario Uilt - sono allo stesso livello di quello del privato. Ora però chiediamo al ministro per le Infrastrutture, Altero Matteoli, di ripren-
rebbero soltanto per fare cassa». In altre parole i sindacati non vedono di buon occhio gli interessamenti di privati dello stesso settore e preferirebbero interventi esterni. Se però si guardano le cifre, il quadro è abbastanza preoccupante: nel 2007 l’utile netto è stato di 14,1 milioni di euro (ben nove milioni in meno rispetto al 2006, calo dovuto in parte alla diminuzione degli aiuti statali). L’indebitamento ha registrato un timidissimo miglioramento passando dai 792 milioni di euro del 2006 ai 716 del 2007. La Tirrenia di Navigazione, che comprende anche la Divisione Adriatica, ha una flotta di 90 navi. Ogni anno il gruppo effettua circa 60.000 traversate, percorre 4 milioni di miglia, trasporta 13 milioni di passeggeri, due milioni di auto al seguito, imbarca 6 milioni e 500 mila metri lineari di veicoli commerciali.
Abertis ha presentato una manifestazione di interesse nella gara per l’acquisizione della maggioranza di Eiffel, la newco in cui sono confluite le torri di Wind e 3 Italia. La notizia è stata confermata dal gruppo spagnolo che ha parlato di «offerta indicativa presentata in cooperazione con soci in forma di consorzio». A quanto riferiscono alcune fonti finanziarie, al momento non risulta esserci il fondo Clessidra in consorzio con Abertis.
Fs: un piano per ridurre il numero dei treni «Si sono create condizioni tali da costringerci ad abbattere una parte importante del capitale». Così Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, in un’intervista ad un quotidiano. Nel piano - precisa Moretti - abbiamo presentato tutta la lista dei treni in perdita, da 2,5 fino a 4,4 milioni all’anno ciascuno». Sull’alta velocità «avanziamo spediti, da diversi anni stiamo rispettando i tempi». In Toscana, l’azienda ha confermato che dal prossimo 15 giugno, quando entrerà in vigore l’orario estivo, saranno tagliati una ventina di Intercity, con una forte riduzione dei servizi di assistenza e biglietteria.
Telecom dovrà pagare 18mln a Vodafone Telecom dovrà pagare circa 18 milioni a Vodafone Italia per il contenzioso sui listini di interconnessione, cioè il costo pagato per l’uso della sua rete. La storia iniziò nel ’99 quando Omnitel ricorse al Tar contro la decisione di far partire i nuovi prezzi dal 25 luglio ’98 anziche’ dall’1 gennaio ’98. Oggi la Cassazione ha respinto il ricorso di Telecom contro la decisione del Consiglio di Stato che dava ragione a Vodafone.
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cultura
Il grande amore del politico italiano per la Basilicata raccontato nell’ultimo romanzo di Giuseppe Lupo
Zanardelli non si fermò a Eboli di Massimo Tosti olti anni fa – nella sua monumentale, e fortunatissima, storia del nostro Paese (dalla preistoria ad oggidì) – Indro Montanelli intitolò il volume dedicato al periodo fra l’Unità e l’inizio del XX secolo L’Italia dei notabili. Riassumeva i connotati di una classe politica che si sviluppò soprattutto sotto il regno umbertino: aristocratici e rappresentanti dell’alta borghesia che s’avvicendarono al potere, mostrando (nella maggior parte dei casi) senso dello Stato e rispetto per la cosa pubblica.
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L’ultimo di quella generazione di governanti probi e avveduti, fu Giuseppe Zanardelli: nel 1901, quando fu nominato per la prima volta presidente del Consiglio, aveva settantacinque anni, da più di quaranta sedeva in parlamento, era stato più volte ministro e per un lungo periodo presidente della Camera, ma era povero in canna. «Non aveva nulla dello statista di alto rango: non una parrucca, non i favoriti da re, ma solo due mustacchi da salumiere, grigi di vecchiaia», così lo descrive Giuseppe Lupo in un romanzo – La carovana Zanardelli (Marsilio editore, 220 pagine, 16,50 euro) – che racconta il suo ultimo viaggio in Italia, alla scoperta della Basilicata, la più depressa fra le regioni del Sud, depresso già allora anche per colpa della politica che poco o nulla aveva fatto per incoraggiarne lo sviluppo dopo la conquista di Garibaldi. Il romanzo (che ha anche un risvolto thriller) racconta l’innamoramento di Zanardelli (ricambiato dai lucani) per quella regione, diversa da come gliel’avevano descritta. «Indossava una redingote pesante perché gli avevano detto che sull’Appennino intorno a Potenza faceva sempre freddo e invece aveva trovato un autunno eccezionalmente mite». L’autunno è quello del 1902. Un anno più tardi Zanardelli si sarebbe dimesso per ragioni di salute. E il 26 dicembre del 1903 sarebbe morto, portandosi dietro (probabilmente) il ricordo di quella terra. Alla fine del suo viaggio l’avevano sentito sussurrare: «Dopo che uno ha conosciuto la Basilicata, non si meraviglia più di nulla». Il romanzo ha due pregi indiscutibili: è
Per quarant’anni seduto in Parlamento, ex presidente del Consiglio, più volte ministro e per un lungo periodo presidente della Camera, Giuseppe Zanardelli (a sinistra) nel 1902 s’innamora della Basilicata (in basso i Sassi di Matera) dopo un viaggio assieme a «una specie di armata brancaleone, una “carovana” composta da politici, burocrati, giornalisti, medici, orchestrali, maggiordomi, funamboli e fotografi». Al ritorno a Roma qualcuno lo sentì sussurrare: «Dopo che uno ha conosciuto la Basilicata, non si meraviglia più di nulla»
Nel 1901, quando fu nominato presidente del Consiglio, aveva settantacinque anni e «nulla dello statista di alto rango: non una parrucca, non i favoriti da re, ma solo due mustacchi da salumiere, grigi di vecchiaia»
scritto benissimo, ed è un vero “romanzo storico”, nel senso più compiuto del termine. I personaggi immaginari si integrano alla perfezione con quelli reali (Zanardelli, ma anche Giustino Fortunato e Pietro Lacava, nomi ancora citati dai meridionalisti a un secolo
di distanza). Il viaggio in Basilicata ci fu, effettivamente. E il racconto aderisce alla realtà storica, così come il profilo e il carattere del protagonista, e persino il suo modo di fare e di sentire. Zanardelli era un oratore facondo, e come tale appare nelle pagine di
Giuseppe Lupo. Era anche un politico esperto, ma dotato di un certo candore, capace di stupirsi e di emozionarsi. Il libro è molto divertente nella descrizione di quella specie di armata brancaleone che segue il primo ministro nelle tappe del suo viaggio, la “carovana” composta da politici, burocrati, giornalisti, medici, orchestrali e maggiordomi, di funamboli e fotografi, e dei festeggiamenti che ad ogni sosta accolgono Sua Eccellenza. Una parte del percorso viene compiuta a bordo dello Chevalnoir, il treno di Zanardelli, «un enorme serpente d’acciaio che avrebbe lasciato di stucco perfino Giulio Verne». Figuriamoci la gente semplice della Basilicata di allora, che con il progresso non aveva avuto rapporti neppure superficiali. Ma il fatto che quel corteo di illustri personalità e occasionali cortigiani sia costantemente accompagnato da una banda che suona la marcia reale è sufficiente per convincerli tutti «che davvero in quei giorni la Basilicata era il cuore del mondo». La storia, fuori del romanzo, ci racconta che tre mesi dopo la morte di Zanardelli il Senato approvò la legge destinata ad aiutare lo sviluppo della regione. Il meridionalismo divenne allora un argomento di dibattito in parlamento e fra gli intellettuali. «I deputati lucani», racconta Lupo nell’epilogo, «recitarono discorsi nelle piazze, parteciparono a corte e scrissero libri, ma rimpiansero fino alla morte quei dodici giorni di festa, come una infanzia». Se dovesse valere come un apologo della condizione del Mezzogiorno (che è ancora in deficit rispetto al resto della Penisola), se si dovessero instaurare paragoni – magari azzardati – con la mondezza in Campania, con le colpe degli amministratori e degli amministrati, ma anche con la fantasia e l’arte di sopravvivere con il sorriso sulle labbra, e con la capacità di compiere le scelte peggiori con l’ottimismo di scoprire in esse il lato migliore, ebbene in questo caso si dovrebbe concludere che l’infanzia è in ogni caso una stagione felice della vita. Giustino Fortunato (lo cita Lupo) diceva: «Consentiamo alle capre di distruggere gli alberi quando sono ancora virgulti».
L’io narrante della Carovana di Zanardelli è un giornalista, inviato speciale del Monitore di Candela, soprannominato ”Leontolstòi” per il suo grande amore per i romanzieri russi. Spiega perché ha scritto “questa storia” e perché – durante il viaggio – non ha avvicinato Zanardelli per chiedergli conto di una precedente vicenda che lo tormentava: «Meglio evitare che quei burocrati di Roma ripetessero bugie, mi sono detto». La diffidenza verso la casta e i suoi dintorni non è una privativa dei leghisti.
musica
7 giugno 2008 • pagina 19
A Firenze l’ultima fatica teatrale di Hans Werner Henze n seno alla falange dei musicisti fioriti lungo il secolo scorso, quantunque tuttora vivo vegeto e in piena attività – e che gli dei ce lo conservino a lungo, col suo humor insinuante, la testa pronta vivace bizzarra, l’amore per l’esistenza in tutte le sue sfumature, dalla natura all’arte, al… sorseggiare whisky e acqua (poca, grazie) –, Hans Werner Henze, classe 1926, tedesco di nascita formazione cultura, italiano d’adozione e di cuore (giunto da noi nel 1953, non se n’è più andato), vanta un primato inattaccabile: la sua produzione teatrale, un teatro da intendersi nel senso più vario e allargato del termine, con 14 opere, 6 lavori di teatro musicale (di cui uno rifiutato), 15 balletti (3 dei quali revisioni di spartiti precedenti), 4 imprese sceniche collettive, 11 film, 8 musiche di scena, 2 colonne sonore radiofoniche, 5 trascrizioni-adattamenti di partiture dal Sei all’Ottocento, persino i titoli di testa di una serie televisiva, supera i lasciti, pur abbondantissimi, di recordmen quali Richard Strauss e Benjamin Britten. A voler sottilizzare, si potrebbe anzi sostenere che tutti o quasi i lavori di Henze, ivi inclusi quelli vocali e strumentali, rientrino nella categoria dell’Imaginäres Theater, del teatro immaginario.
I
A Firenze, oltrarno, nella piccola sala del Goldoni, per il 71° Maggio musicale, è giunta in prima italiana e resta in scena fino a stasera (ore 20,30) l’ultima fatica teatrale di Henze, Phaedra, due atti commissionati dai Berliner Festspiele, dal Teatro de la Monnaie di Bruxelles, dall’Alte Oper di Francoforte e dalle Wiener Festwochen, e presentati la prima volta a Berlino il 6 settembre 2007. L’accoglienza entusiasta e riconoscente riservata dai fiorentini all’autore rannicchiato in un palco di prim’ordine, sorridente e felice come un pupo, testimonia certo dell’efficacia comunicativa, della carica emozionale esibite dalla partitura, ma anche della bontà intrinseca d’un’esecuzione impeccabile sul piano musicale, sobria lineare e fedele alle didascalie su quello spettacolare, con
Phaedra, alla ricerca del bello perduto di Jacopo Pellegrini la regia di Michael Kerstan e le scene e i costumi di Nanà Cecchi posti sotto l’occhio vigile dello stesso Henze. La disposizione dei 23 strumentisti a livello della platea poteva destare qualche patema in ordine all’equilibrio fonico (4 archi soltanto ‘opposti’ a 14 fiati – tutti, meno trombe e tromboni, chiamati a suonare due strumenti –, pianoforte, arpa, celesta e due percussionisti impegnati con una trentina di oggetti): la sensibilità e la precisione adamantina di Roberto Abbado al podio hanno al contrario assicurato ordine e trasparenza a una trama contrappuntistica tanto intricata all’apparenza, quanto concepita secondo un sistema di velature timbriche sovrapposte l’una sull’altra, che, nel mentre garantisce ariosità all’insieme, mette anche in luce la preziosa iridescenza dei singoli interventi. Un procedimento compositivo di questo genere ha un altro vantaggio, non fa perdere una sillaba dei versi, concettosi al limite dell’ermetismo (hölderliniani li definisce Henze), dettati dal poeta e teologo tedesco Christian Lehnert. La drammaturgia interiore di questa Konzertoper, opera da concerto, mette in gioco cinque personaggi: la protagonista (mezzosoprano, Natascha Petrinsky, una vera personalità vocale e scenica) col suo doppio di-
Il primo atto ripercorre le tappe del mito narrato da Sofocle. Nel secondo si segue la variante di Virgilio e Ovidio vino, Afrodite (soprano, Cinzia Forte); Ippolito (tenore, Mirko Guadagnini), anch’egli doppio munito con Artemide (controtenore sopranista, Martin Oro, a disagio sugli acuti); infine, il Minotauro (basso, Maurizio Lo Piccolo), evocato solo a parole nel Quartetto iniziale, ma presente in scena nell’ultimo episodio. Anche quando cantano insieme (capita spesso alle coppie omo-
In alto, alcune immagini del’opera in scena al 71° Maggio musicale fiorentino. A destra Natascha Petrinsky, Fedra, l’eroina incestuosa che concepisce una passione nei confronti del figliastro Ippolito, dedito al culto di Artemide e alla caccia, che condurrà entrambi alla morte
loghe, specie a quella FedraAfrodite), tutti costoro, in realtà, si limitano a monologare, rimuginano i propri sentimenti, ognuno con uno stile vocale specifico, senza possibilità alcuna di comunicare tra loro. L’atto I ripercorre le tappe ben note del mito trasposto in tragedia da Sofocle, Euripide, Seneca, Racine, d’Annunzio, vale a dire l’amore incestuoso che, su istigazione di Afrodite, Fedra concepisce nei confronti del figliastro Ippolito, dedito esclusivamente al culto di Artemide e alla caccia, e che condurrà ambo i protagonisti umani alla morte. Nel II, invece, si segue una variante latina della storia, diffusa da Virgilio e Ovidio: Artemide, ricomposte le membra dilaniate di Ippolito, conduce l’eroe risorto,
ora ribattezzato Virbio, sulle rive del lago di Nemi, dove viene incoronato re dei boschi. Nel Diario di lavoro su Phaedra (edito in Germania da Wagenbach, Berlino, e parzialmente tradotto nel programma di sala) Henze si pone l’obiettivo di creare un’atmosfera opposta per ciascuno degli atti. Intento pienamente raggiunto: mentre l’ambiente greco possiede un tono tragico asciutto, severo, fin duro, l’ager romanus appare intriso di allegrezza e comicità al limite del grottesco; da un cupo orizzonte espressionista (lo Sprechgsang, Berg), nel quale si ruminano lacerti wagneriani (il declamato del Ring, le armonie del Tristano), a un tinnulo clima da Flauto magico mozartiano (Fedra-Afrodite-Artemide come le tre Dame), arricchito di spezie diverse, suoni ed effetti naturalistici preregistrati, inflessioni alla Weill o jazzistiche, ritmi di danza (tango, bolero) e persino, in un punto, una vaga, e certo involontaria, eco dell’odiatissimo, da Henze, Richard Strauss (mi perdoni, Maestro!).
L’unità interna dell’edificio poggia sull’impiego (molto libero) della serialità dodecafonica, sulla costante pulsazione ritmica di semiminima, sulla correlazione voci-strumenti (legni per Ippolito, ottoni per Fedra). Se nell’atto II di Phaedra si celebra a chiare note la faticata conquista dell’autodeterminazione da parte dell’uomo o, chissà, dell’artista (Ippolito si svincola dai principi d’autorità: religione – infrange le statue delle dee – e madre-amante), l’opera intera innalza un inno alla memoria quale elemento fondante per la creatività: così, i citati omaggi ai Padri offrono lo stimolo per ripensare tutto il lavoro d’una vita (il tema mitico in Bassaridi e Venus und Adonis, le percussioni del Cimarron, il fiabesco di Re Cervo e Upupa, ecc.). Davvero Phaedra risulta declinata al passato, non però come celebrazione nostalgica o contemplazione della morte, bensì come incitamento alla vita e alla bellezza. Quale s’addice a un uomo e artista libero, quale s’addice a Hans Werner Henze.
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anniversari
Nel giugno del 1938 l’esordio a fumetti del supereroe che lanciò sul grande schermo Christopher Reeve
I suoi primi settant’anni di Priscilla Del Ninno
uando, dopo decenni di successi fumettistici, l’eroe fantasy per eccellenza, Superman, fa il suo colossale esordio cinematografico, serpeggiano le angosce e le inquietudini che caratterizzano gli anni Settanta: un presente quotidianamente messo in discussione, un mondo vistosamente dominato dalla tecnologia, e un domani inquietantemente ipotizzabile, si traducono sugli schermi – che nel frattempo hanno riadattato l’epica spettacolare al genere catastrofico in voga in quel periodo - in immagini fantascientifiche e in scenari futuribili poco rassicuranti, che riflettono eloquentemente il disagio sociale e il clima contestatario striscianti.
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E’ in questo contesto, allora, che debutta internazionalmente il supereroe nato nel 1933 da un’idea dello scrittore Jerry Siegel e sviluppato grazie alla matita del disegnatore Joe Shuster, famoso dal 1938 – quando il 10 giugno fa la sua comparsa su Action Comics, una nuova rivista della National Comics – in quelle intramontabili vesti rosse e blu, divisa dell’incorruttibile paladino dei valori di legalità e giustizia, oltre che dello strenuo difensore del mito americano. Un’icona socio-fantastica presentatasi sulle strisce dei fumetti, svezzata alla radio, maturata nell’universo dei cartoon e reincarnatasi infinite volte grazie a inesauribili cicli cinetelevisivi e, nelle sue tante riedizioni, ribattezzata perfino Nembo Kid da Mondadori dopo il ’54, fino all’evoluzione delle superproduzioni di celluloide, inaugurate ormai trent’anni fa, nel 1978. Anno in cui, grazie all’investimento di 35 milioni di dollari (che ne avrebbe fruttati poi 82 solo negli Stati Uniti), e quattro anni di lavoro (incoronati con
la vittoria dell’Oscar per gli effetti speciali realizzati da Colin Chilvers), Richard Donner ha alchemicamente miscelato sul grande schermo quella spettacolare mistura di fascino comics e cinema classico. Il tutto strettamente amalgamato da un terzo elemento, inusitato per il genere fantasy-catastrofico: il distacco sapientemente ironico con cui questi incredibili ingredienti estetici venivano maneggiati e rielaborati. Ne risultò subito, e a suon d’incassi, una maggiore attenzione ai valori propriamente visivi e un’adesione divertita e divertente allo schema del più puro intrattenimento spettacolare, che collocava il super protagonista di Krypton in una dimensione a metà strada tra la galassia della fantasia scatenata - nata dalla rilettura più spregiudicata del fumetto da cui traeva origine - e
schermo tratti fisici e poteri immaginifici del supereroe editoriale – e dalla presenza nel cast di un calibro da novanta come Marlon Brando, chiamato in nome di un cachet stratosferico a prestare fama e maschera autoritarie al personaggio di Jor-El, il padre alie-
L’unico punto assodato, su cui tutti i realizzatori sono sempre stati d’accordo, fu riassunto dal regista anni dopo: «Lo scopo principale della nostra interpretazione – spiegò Donner – era quello di difendere ed esaltare il mito americano». E questo fu chiaro al Su-
Nato nel 1933 da un’idea dello scrittore Jerry Siegel e sviluppato grazie alla matita del disegnatore Joe Shuster, cinque anni dopo il giornalista Clark Kent diventa il simbolo per antonomasia della lotta al crimine e della difesa del mito americano il pianeta dell’invenzione e narrativa della speculazione tecnologica più sfrenate. Il tutto, ovviamente, non avrebbe potuto prescindere dalla scrittura di un attore all’epoca sconosciuto - quel Christopher Reeve che poi così simbioticamente avrebbe fatto rivivere sullo
no di Superman, al secolo Kal-El, poi ribattezzato Clark dai genitori umani che lo avrebbero cresciuto sulla Terra, dove il supereroe arriva in fasce a bordo di una navicella dallo Spazio.
Scelte le coordinate e selezionati i protagonisti, tutto il resto fu marketing: un lavoro pubblicitario cominciato cinque anni prima dell’inizio delle riprese, eccessivo e costoso, e che avrebbe prodotto intere pagine su Variety, insegne luminose ovunque, mongolfiere e spot prima ancora che fosse stata concordata una sceneggiatura.
perman del film del ’78, come nei successivi capitoli della saga, firmati nell’80 e nell’83 da Richard Lester (Superman 2 e 3), e in quello diretto da Sidney J.Furie nel 1987, come nelle varie e spurie rivisitazioni del genere, dagli esiti narrativi e dagli incassi via via sempre più lontani da quelli degli esordi, compresa l’ultima: quella datata 2006, Superman Returns, film diretto da Bryan Singer e interpretato da Brandon Routh, erede del rimpianto Christopher Reeve. Del resto, al di là delle speculazioni psico-sociologiche intestate al tema del doppio, che per
anniversari
7 giugno 2008 • pagina 21
Il successo dell’eroe in una comunità ancora sfibrata dalla crisi del ’29
Così rappresentò il riscatto degli Usa di Gianfranco de Turris a settant’anni: li dimostra? poco, molto, per nulla? E: può un supereroe, addirittura il capostipite di tutti i supereroi, denunciare la propria età? Un bel problema, quasi irrisolvibile. Sta di fatto che da quando apparve sul primo numero del nuovo mensile a fumetti Action Comics datato “giugno 1938”, Superman (che negli anni ’50 in Italia si chiamò Nembo Kid), ha subito varie modifiche, anzi veri e propri lifting, complice anche il cinema.
H
decenni avrebbero impegnato critici indefessi e instancabili detrattori del genere - ora dissertando sull’abusatissimo tema della lotta tra Bene e Male, ora discettando sulle due anime del supereroe, quella dell’impacciato e timido Clark Kent che, in versione terrestre, contrasta magnificamente con il suo alter ego eroico, chiamato a salvare l’umanità dalle minacce ciclicamente incombenti – il personaggio di Superman, fumetto o film che interpreti, adombra comunque la duplice natura dell’America.
Da un lato terra ingenua e patria incredibilmente colpita nel cuore e nelle viscere quell’11 settembre 2001, dall’altro ambiziosa potenza planetaria auto investitasi dell’autorità e del compito di custodire il segreto dell’epica moderna, e di gestire, tra presente bellico e ipotetici scenari futuri, tra nemici virtuali e conflitti reali, le incombenti minacce di crollo dell’ordine sociale, della fine dei valori fondanti e del caos che ne deriverebbe. Ricorrendo a tutti i mezzi, compreso quello cinematografico.
Compie settant’anni il paladino della giustizia per antonomasia e icona assoluta della lotta al crimine. Interpretato nel grande e piccolo schermo dall’indimenticabile Christopher Reeve (in alto), Superman nacque ufficialmente nel 1938 da un’idea dello scrittore Jerry Siegel e del disegnatore Joe Shuster, che lavoravano al soggetto già dal 1933. Settant’anni fa la prima apparizione del supereroe sulla rivista di fumetti ”Action Comics” (a sinistra lo schizzo di Shuster, a destra una copertina d’epoca della rivista)
Intanto, cominciamo col dire che la sua figura non nacque dal nulla, non apparve come un fulmine a ciel sereno nel panorama della cultura popolare americana, non emerse senza ragioni o motivi dal cappello a cilindro dei due autori poco più che ventenni che lo idearono nel 1933, lo scrittore Jerry Siegel e il disegnatore Joe Shuster. Alle sue spalle ha la lievitazione di un complesso retroterra culturale da cui si possono isolare almeno tre componenti: intanto il folklore americano del periodo pionieristico, le cui “leggende della Frontiera” non difettavano certo di “supereroi” dalle capacità e dalle azioni straordinarie come Paul Bunyan, Pecos Bill, Davy Crockett, Mike Finn e così via; la seconda è quella fantascientifica: dal 1926 la science fiction scritta usciva su riviste come Amazing Stories e quella disegnata dal 1929 con Buck Rogers di Calkins e Nowlan, e il duo Siegel-Shuster si ispirò per il nostro supereroe leggendo nel 1932 il romanzo Gladiator proprio di Philip Nowlan. La terza componente, infine, e forse la più importante e va cercata nel quadro psicologico-sociale dell’America degli anni Trenta, vista in una prospettiva per così dire interna ed esterna: da un lato una comunità frustrata che ancora risentiva della Grande Depressione del ‘29, che si avviava ad una specie di matriarcato non tanto strisciante, composta da uomini sempre più stritolati da un ingranaggio commerciale e industriale complesso, conformista e bigotta e proprio per questo aperta al fascino del “sogno proibito”dell’evasione sotto forma di un “riscatto”, mentre all’esterno essa era sotto il continuo confronto con un gruppo di nazioni in cui il singolo appariva valorizzato e non schiacciato all’interno della mobilitazione delle masse, ed in cui la forza virile e l’esaltazione del cimento apparivano non solo come uno sfogo di energie esuberanti, ma quasi una regola di vita civile agli occhi dell’americano medio - e frustrato. Ecco il motivo per cui, forse, Superman era quasi una figura annunciata e divenne subito popolarissimo. Siegel e Shuster lo avevano preparato, come ricordato, sin dal 1933, ma venne rifiutato da molti editori perché «troppo originale». I due collaborano ad altre serie a fumetti (da Federal Men a Dr.Oc-
cult a Rsdio Squad) sino all’accettazione dell’idea e al successo che però, purtroppo, non li rese milardari, avendo venduto tutti i diritti del personaggio per soli 130 dollari alla National Comics (la futura DC Comics): morirono entrambi quasi in povertà in un ospizio. Inizialmente i superpoteri del nostro eroe giunto dallo spazio non erano dissimili da quelli dei mitici eroi della Frontiera: corre velocissimo, compie grandi balzi, solleva le automobili come nella prima copertina di Action Comics, ma certo non vola più veloce della luce. Poi pian piano diventa quello che abbiamo conosciuto.Tutti conoscono la sua saga iniziale e tutti si sono resi conto che, come poi avverrà per gli altri supereroi che lo seguiranno a cominciate da Batman l’anno successivo, un punto cardine è la sua “identità segreta”: dietro al miope e timido giornalista Clark Kent si cela un personaggio incredibile alle prese però con quella rompiscatole della collega Lois Lane che, sospettando la verità, vuole incastrarlo e invece ne rimane sempre fregata. Oggi con la supersorveglianza cui tutti noi siamo soggetti in barba alla privacy, cambiarsi d’abito in una cabina telefonica o dietro un angolo di strada senza esser visto o registrato sarebbe praticamente impossibile! Ma è proprio questa “identità segreta” che consente al lettore comune di identificarsi con l’Uomo d’Acciaio. Il mutamento generazionale prima, l’avvento dei manga giapponesi poi, in genere il cambiamento di gusti del pubblico più giovane, imposero a lui e agli altri supereroi di “umanizzarsi”, di complicarsi, di problematicizzarsi: non tanto invecchiare fisicamente quanto cominciare ad avere problemi psicologici e “ideologici”.
Il segreto del consenso fu anche la trovata della ”identità misteriosa”, che consente al lettore di identificarsi con l’«Uomo d’Acciaio»
Col tempo lo si è visto impalmare (finalmente!) quella scocciatrice di Lois, lei sì ringiovanita, mutare pettinatura e un po’ lo stile del suo mitico costume, addirittura a metà degli anni Novanta morire ad opera del mostruoso Doom, per poi (ovviamente) risorgere proprio il giorno di Pasqua come Gesù Cristo (e del resto non era giunto sulla Terra grazie ad una navicella interplanetaria lanciata dal padre prima che il pianeta Krypton esplodesse, proprio come Mosè viene salvato dalle acque grazie ad un canestro galleggiante sul Nilo?). Una connotazione “religiosa” che spesso prevale su quella banalmente nietzschiana che qualcuno gli ha attribuito basandosi solo sull’assonanza tra superman e uebermensch. Oggi il nostro eroe, nonostante le numerose modifiche psicologiche ed estetiche e, come si è detto, grazie anche al cinema a partire dal 1978, non è scomparso nell’Immaginario collettivo, e rimane sempre come uno dei simboli pop degli Usa.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Nucleare in Slovenia, allarme o allarmismo? ALLARMISMO PURO, CIECO E STRUMENTALE DI CHI HA SOLAMENTE DEI PREGIUDIZI INFONDATI
IL NOSTRO GOVERNO DOVREBBE IMPEGNARSI A SPIEGARE CHE IL NUCLEARE ORAMAI È SICURO
Allarmismo. Allarmismo cieco e strumentale di tutti coloro che pregiudizialmente sono contrari all’energia nucleare. E ritorniamo, signor direttore, a quanto già trattato nel suo giornale circa un mese fa. Il ritorno al nucleare è una strada obbligata, se non vogliamo restare eternamente dipendenti dai signori del petrolio, se vogliamo che le nostre Aziende diventino competitive nei mercati internazionali e - diciamolo francamente - se vogliamo utilizzare energia pulita e quindi migliorare l’ecosistema. Del resto il guasto verificatosi alla centrale slovena - operativa dal 1983 se ricordo bene - non ha prodotto alcuna fuga radioattiva, nessun pericolo per la popolazione. Se consideriamo inoltre che il programma annunciato da Scajola prevede l’inizio dei lavori di costruzione delle centrali solo nel 2013, centrali cosiddette della quarta generazione, da tutti definite assolutamente sicure, perché continuare a discutere e contrastare il nucleare? Cordialmente ringrazio per l’ospitalità. Complimenti a tutta la redazione per un quotidiano bello e ragionato quale è liberal.
Per il nucleare in Italia la strada è sempre dura. Nonostante tutto il mondo - certo quello più progredito - si stia orientando verso quella direzione, in Italia si sfrutta ogni occasione per lanciare allarmi spesso ingiustificati. In verità in questa ultima vicenda, l’incidente di Krsko in Slovenia, l’allarme, anzi l’allarmismo, è partito da Bruxelles, ma da noi stampa e parlamentari di sinistra (in maggioranza ex parlamentari) si sono lanciati a mo’ di avvoltoi contro il programma nucleare annunciato da Scajola, il quale però non si è fatto intimidire e ha confermato che l’Italia marcia decisa verso la costruzione di centrali nucleari. Quelle della quarta generazione sicure e molto produttive. Il nostro governo però dovrebbe impegnarsi maggiormente a spiegare agli Italiani che ormai il nucleare è sicuro, è pulito, è economico. Non può ignorare che gran parte del popolo per anni è stato vittima dell’allarmismo dei verdi e che pertanto è ancora molto diffidente verso il nucleare.
Piero Corradi - Torino
LA DOMANDA DI DOMANI
Immigrazione clandestina, giusto o sbagliato l’intervento dell’Anm?
Sandro Ferretti - L’Aquila
BASTA COL PAGARE AI PAESI CONFINANTI ENERGIA CHE POTREMMO PRODURRE IN CASA Nella centrale nucleare della paura a Krsko, in Slovenia: «Era solo una valvola guasta». Bene al falso problema e male ai verdi della politica italiana, e non solo a loro! L’Ubicazione delle centrali nucleari nella sola Europa è a ”corona” dell’Italia: siamo circondati, tra Francia, Germania, Spagna, Belgio, Slovenia, Inghilterra, Ungheria, eccetera. Sono oltre centocinquanta i reattori attivi in Europa. Viviamo nel cuore di un potenziale vulcano ma, grazie alle intellighentie e in attesa della ”eruzione”, paghiamo ai confinanti energia che avremmo potuto produrre in casa! Ora nasce la paura per la scoperta... dell’acqua calda: cosa pensavano i saccenti, che una centrale che esplode colpisce le vittime con il mirino? Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
Rispondete con una email a lettere@liberal.it
IL POPOLO DEI MODERATI VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO Con la riunione di ieri a Roma abbiamo definitivamente consegnato alla storia il contributo essenziale e importante della Fondazione e dei circoli liberal senza il quale il Pdl con tutta probabilità non sarebbe nato. A buon ricordo di tutti gli attuali dirigenti da sempre contrari a quello che oggi sono. Liberal riparte da una fase nuova, di radicamento sul territorio con l’obiettivo (in parte già raggiunto) di un coordinamento regionale per ogni regione e di circoli provinciali e comunali presenti in tutta Italia. La transizione italiana non è finita, il nostro cruccio rimane la scommessa di compiere uno sforzo verso una democrazia partecipata, fuori e dentro dai partiti, che possa costruire classi dirigenti e non oligarchie o peggio ancora gruppi di uomini ’soli al comando”. A dirla tutta, nell’attuale Pdl poi, l’asse cattolico-liberale di De Gasperi e Einaudi ha avuto la peggio, a discapito di un mix formato dall’attuale ”destra evoluta” e l’ex gruppo dirigente del Partito socialista italiano, che non è cer-
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)
LA DIETA DEL GORILLA
Il gorilla maschio Kelly, dello zoo di Los Angeles, immortalato mentre ingolla una carota dietro l’altra. La verdura fa parte della dieta preparata appositamente per lui dai dieci migliori cuochi della città, su commissione della famosa associazione americana ”Beastly Ball”
«POI DICE CHE UNO SI BUTTA A SINISTRA... OSTRECA!»
questi ambasciatori! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
A Roma, per il pride, sfilano le associazioni ”glbt” (gay, lesbiche, bisessuali, transgender): è la risposta all’incremento delle nascite in Italia, per evitare che la razza italica non venga fortemente incrementata dai popoli Come diceva afro-asiatici. Totò...«poi dice che uno si butta a sinistra... ostreca»! L’anarchia dei movimenti moderni, pronti a sposare (si fa per dire) tutto pur di contrastare la democrazia, avrebbe bisogno di esser ”cotta” nel proprio brodo: lasciata libera di esagerare a tal punto da essere respinta a furor di popolo. Sono i primi, veri responsabili del danno subìto da quelli che chiedono, giustamente, rispetto e diritti: due punti fermi di una democrazia sana, ma non con
dai circoli liberal
tamente lo stesso senza Craxi. L’Unione di Centro rappresenta lo spazio politico che si apre ed evolve con la Costituente. Uno spazio politico né di centrodestra né di centrosinistra, ma bensì di centro. Un centro che può concorrere a creare e far nascere le condizioni per tenere sotto controllo un sistema politico attualmente improntato sul rapporto popolo-leadership. Il sistema politico immaginato da qualcuno che abbia regole poco democratiche certamente non partecipative e con forti limiti di penetrazione a tutti i livelli di governo. In sintesi liberal propone di costruire una nuova offerta politica, forte di uomini e di idee, capace di vivere e interpretare il sentimento del terriorio. Un nuovo partito in linea con i valori cattolico-liberali. L’Udc dovrebbe ratificare tutto questo nel Consiglio nazionale di lunedì, aprendo definitivamente i lavori della Costituente di centro che insiema al movimento dei liberal di Adornato, a quello della Rosa bianca di Pezzotta e ai popolari di De Mita porti entro fine anno alla nascita del nuovo e grande soggetto poli-
L. C. Guerrieri - Teramo
LO STATO E IL DEFICIT CHE PROVOCA PERVERSIONE Il pensiero di Tremonti può sembrare originale, tuttavia basta riprendere le parole di un mercantilista ottocentesco per capire come l’idea sia sempre quella per cui è solo il Grande Legislatore a conoscere quale sia lo stato ottimale per i propri cittadini e a poterlo perseguire. Tuttavia l’economia politica ed i moralisti scozzesi prima, Hayek, Mises ed altri dopo, distrussero questa pericolosa convinzione, mostrando come in realtà lo Stato soffra di un congenito ed incolmabile deficit di conoscenza che inevitabilmente genera, se ignorato, effetti perversi.
Massimo Bassetti
tico di Centro, come nuova, affascinante e moderna avventura socio-politico-culturale propria del popolo dei moderati italiani, in funzione del partito popolare europeo. Siamo sicuri che i leader nazionali che condividono il percorso della Costituente di centro non faranno mancare il loro determinato contributo nell’indicare e costruire il nuovo progetto politico nazionale. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
APPUNTAMENTI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio 800.91.05.29
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog La morte era l’unica Folla cui tenevo testa Caro amico, la sua lettera non mi ha dato nessuna Ubriachezza, perché avevo assaggiato il Rum prima Domingo viene una volta sola - tuttavia raramente ho provato un piacere intenso come quello di conoscere la sua opinione, e se provassi a ringraziarla, le lacrime mi bloccherebbero la voce. Il mio Tutore in punto di morte mi disse che avrebbe voluto vivere fino a quando io fossi stata poeta, ma allora la morte era l’unica Folla cui potessi tenere testa. E quando molto più tardi, una luce improvvisa sugli Orti o una piega nuova nel Vento turbava la mia attenzione, provavo un senso di paralisi, qui, al quale le Poesie riescono appena a dare sollievo. Nella «mano che mi tende nel Buio» io metto la mia e volto le spalle, in questo momento mi viene meno il Linguaggio. Ma lei, signor Higginson, sarà il mio maestro? Emily Dickinson a Thomas A. Higginson
ECCO, CI MANCAVANO I CASINISTI IN CAMPANIA I casinisti, i no global, i no Tav, i rivoluzionari, i protestatari, gli scioperati, i comunisti e alcuni altri sconclusionati hanno sfilato in Campania contro il Governo e contro la nuova gestione del problema dei rifiuti. Hanno dato al Paese che amano quello che avevano di meglio da dare, da dire e da fare. Immutabili e instancabili, hanno fatto il loro meglio, quello che sanno dare, dire e fare. Con prontezza e sollecitudine e spirito costruttivo, hanno fatto il loro dovere. Per questo dovremmo essere felici e non criticarli. Come abbiamo fatto finora a non capirli? Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
FINALMENTE SGOMBERATO CAMPO ROM NELLA CAPITALE Finalmente hanno sgomberato l’insediamento rom vicino Largo Giovanni Battista Marzi, di fronte al Villaggio Globale e all’ex mattatoio di Roma, a Testaccio. Uno sgombero, questo, che i cittadini attendevano da anni. Tengo a ringraziare la Questura di Roma e la Polizia Municipale per
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
7 giugno 1422 Nasce Federico da Montefeltro, condottiero italiano 1494 Spagna e Portogallo firmano il Trattato di Tordesillas che divide il Nuovo Mondo tra le due nazioni 1778 Nasce Lord Brummell, gentiluomo britannico 1914 Il primo vascello passa attraverso le chiuse del Canale di Panama 1938 Il Douglas Dc-4 compie il suo primo volo 1948 Edvard Benes rassegna le dimissioni da Presidente della Cecoslovacchia, piuttosto che firmare una Costituzione che renderebbe il suo paese uno Stato Comunista 1981 L’Aviazione Israeliana distrugge il reattore nucleare Iracheno di Osiraq 2006 L’esercito Usa, con la collaborazione dell’intelligence giordana e delle forze di sicurezza irachene, uccide, con un raid aereo, il leader di Al-Qaeda in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,
l’impegno e la professionalità che profondono nelle azioni di rispetto della legalità. L’azione congiunta per la sicurezza della città intrapresa dal sindaco Alemanno, nonostante le numerose difficoltà, prosegue con incessante ritmo e senza indugi né condizionamenti, la strada per raggiungere gli obiettivi prefissati sembrava ardua e complessa ma la volontà di rispettare gli impegni con i cittadini mi pare chiaramente salda e ferma. Era quello che ci voleva.
Franco Panepinto - Roma
L’EDUCAZIONE AL DOVERE VIAGGIA CON L’ISTRUZIONE Rispondo alla vostra domanda di due giorni fa. Sì, gli esami di riparazione sono essenziali alla formazione degli studenti di oggi. Di più: andrebbero rimessi a settembre, non a luglio o ad agosto. E’ giusto che i ragazzi sacrifichino vacanze e divertimento estivo per recuperare nozioni che nella vita serviranno. Eccome se serviranno. L’educazione al sacrificio e al senso di responsabilità deve viaggiare di pari passo con l’istruzione. Cordialità.
Silvia Bertone - Milano
PUNTURE Rino Gattuso ha detto che la Nazionale giocherà con il coltello tra i denti, ma per vincere ci vorrà fortuna. Come sempre.
Giancristiano Desiderio
“
Ben più gravi sono gli effetti prodotti dall’ira e dal dolore che non quelli prodotti dalle cose stesse MARCO AURELIO
”
Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di L’INCREDIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE... ROM A Mestre va avanti ormai da quattro giorni la sacrosanta protesta di un gruppo di Veneziani (riuniti attorno alla Lega Nord locale) contro la costruzione ad opera del Comune di un villaggio destinato esclusivamente a Rom e Sinti. Oggi arriverà in loco addirittura il Ministro dell’Interno, on. Maroni, e nei giorni scorsi il sindaco Cacciari ha avuto un atteggiamento ondivago nei confronti dei cittadini, sintomo della spinosità della questione. Si tratta di trentotto villette famigliari, con relativi parcheggi, spazi verdi e opere di urbanizzazione varie, il cui costo si aggira sui quattro milioni di euro, interamente finanziati dal Comune. Case di edilizia popolare insomma, mascherate da campo nomadi ma che campo nomadi non saranno mai. E giustamente qualcuno si è posto la domanda: ma se sono case costruite coi soldi dei contribuenti, perché le si devono dare gratis ai Rom? Perché non le si aggiudicano con il sistema solito delle liste per l’assegnazione degli alloggi? Insomma, perché gli Italiani la casa se la devono pagare e i Rom no? Che razzismo al contrario è mai questo? Domande lecite, tanto più in un momento come quello presente, dove la casa costituisce per molte famiglie italiane un problema gravoso. Domande alle quali invitiamo il sindaco Cacciari probabilmente non darà mai una risposta, trincerandosi come fa finora dietro la constatazione delle precarie condizioni nelle quali versano i campi nomadi di provenienza delle famiglie coinvolte. Sembra che ormai siano quarant’anni che le baracche sono in quello stato. Quarant’anni, tempo direi
sufficiente ad estinguere qualunque mutuo bancario.
Il Falco falcodestro.altervista.org
IL TIC HEGELIANO DEL PD Ho partecipato quasi per caso alla conferenza di un’onorevole (ex senatrice) del Pd. Mi ha colpito il ”tic” hegeliano. «La sfida del Pd ha detto - è la riuscita della convivenza tra le forze del bipolarismo italiano: l’ex-Pci e la sinistra Dc; una sfida che come ogni sfida - ha insistito - può anche essere persa». Mi è parso chiaro così ancora una volta che cosa sia il tic hegeliano che anima molta politica Pd: nella scorsa legislatura era la presta - un po’ totalitaria di essere insieme governo e opposizione, rendendo superflue o dichiarando inesistenti le altre forze politiche. Oggi è l’idea di rappresentare il bipolarismo italiano e poichè, pare di capire, i poli sono sempre stati due, tutto il resto, ieri come oggi, non c’è. Ma al di là della vulgata interpretativa dell’Hegel-pensiero come cifra preparatoria dell’assolutismo totalitario - su cui c’è da discutere - è un altro il punto che rivela il tic in questione: si tratta di quel senso di missione storica che hanno quelli del Pd (anche se mi pare che in realtà siano perlopiù gli ex-popolari ad averlo, gli altri mi sembrano più cinicamente realisti) che ha il sapore di una sfida - appunto - ineluttabile, come se fossero gli interpreti e i destinatari di una missione insindacabile, di uno sviluppo ineluttabile e ineliminabile dei tempi. Ed è questa filosofia della storia ad essere insopportabile. Verrebbe da dire: guardate che non ve l’ha ordinato il medico: in fondo l’avete scelto voi.
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PAGINAVENTIQUATTRO Grande attesa per Austria/Svizzera 2008
Il mio sogno nel cassetto? La finale colloquio con Dino Zoff di Cristiano Bucchi
ROMA. «L’Italia sarà sicuramente la nazionale da battere. La squadra messa insieme da Donadoni possiede enormi potenzialità, che possono permettere di centrare qualsiasi obiettivo. Ho grande fiducia negli azzurri». Dino Zoff è l’unico italiano ad avere vinto come giocatore sia i mondiali in Spagna del 1982 sia gli europei italiani del 1968, sfiorando un altro trionfo 32 anni dopo come ct della nazionale. Tra due giorni gli azzurri scenderanno in campo contro l’Olanda. È ottimista? L’Italia è sempre una squadra che di base ha le potenzialità per arrivare tra le prime quattro. Dalle partite che ho visto recentemente credo che abbia grandi possibilità. Non mi sembra che le altre nazionali abbiano la stessa facilità di gioco. Ritengo che il cammino degli azzurri nel girone non sia dei più facili; ma se vuoi vincere, prima o poi devi incontrarle tutte. Quali saranno le principali avversarie? Non credo ci saranno particolari sorprese. Tra le favorite metterei sicuramente la Francia e poi la Germania, una squadra che nell’ultimo periodo ha fatto enormi passi avanti sul piano del gioco. Tra le outsider vedo bene la Spagna, una squadra ricca di entusiasmo e di giovani talenti. A proposito di outsider, gli ultimi Europei li ha vinti la Grecia. Ci sarà una sorpresa anche quest’anno? Sono convinto che quest’anno vincerà una grande squadra e che non ci saranno particolari sorprese. Però, se mi chiede il nome di una nazionale che può fare molto bene, dico la Spagna. E la nazionale svizzera? Che idea se n’è fatta? Stiamo parlando di una squadra giovane, che ha già dimostrato di valere. Qualche suo uomo milita in squadre italiane e lo fa con buoni risultati. Non è poco per un Paese di piccole dimensioni. Torniamo agli azzurri. Quanto crede che peserà l’assenza di Cannavaro? Certamente è un infortunio che non ci voleva ma sono convinto che il gruppo riuscirà a rispondere egregiamente sul campo.Chi lo sostituirà saprà tirare fuori le giuste motivazioni. E poi di solito nei momenti difficili la nostra squadra riesce a fornire prestazioni sempre convincenti come nel caso di Germania 2006. L’entusiamo si è rivelato spesso pericoloso per noi italiani.
ITALIA-FRANCIA Secondo Gattuso sarà Toni l’arma in più dell’Italia. È d’accordo? Toni ha dimostrato quest’anno in Germania di essere veramente un campione. È un giocatore completo che sa soffrire, lottare e aiutare la squadra. Credo che questa nazionale non possa farne a meno. Non vedo nelle altre squadre un centravanti così completo. Dopo una stagione perfetta è tornato in nazionale Alex Del Piero. Se lo aspettava?
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liani giocano all’estero. Può essere un problema per l’amalgama del gruppo? Direi che non cambia molto. Si tratta di giocatori che militano in club europei prestigiosi, squadre con grandi motivazioni e ambizioni, con uno spirito vincente di cui può beneficiare anche la nazionale. Quali differenze vede rispetto alla sua nazionale del 2000? Sulla carta la nazionale di oggi è più forte rispetto a quella che affrontò l’Olanda, perché parliamo della squadra campione del mondo. Ci sono tanti giocatori chiave che possono coniugare potenza e fantasia. Inoltre sono convinto che la vittoria conquistata in Germania abbia regalato alla squadra la giusta tranquillità per affrontare nel migliore dei modi l’appuntamento con l’Europa. Le piacerebbe una finale Francia-Italia magari con un risultato diverso rispetto alla partita del 2000? È passato ormai tanto tempo eppure quella rappresenta ancora una grandissima delusione per me. Ogni tanto ci penso, non riesco proprio a concellarla dalla testa. Quello che mi fa più rabbia è che per noi sarebbe stata una vittoria strameritata, molto più delle inutili polemiche che sono arrivate nei giorni successivi. Dal ct francese Domenech si aspetta qualche frecciata, come è avvenuto nel recente passato? Se non la mette sul piano personale, può dire ciò che vuole, non credo ci siano problemi: i problemi nella vita sono ben altri.
Gli azzurri sono la nazionale da battere. La Germania è una squadra che nell’ultimo periodo ha fatto enormi passi avanti sul piano del gioco. Tra le outsider vedo bene la Spagna, una formazione ricca di entusiasmo e di giovani talenti
Alex sta attraversando un momento di forma straordinario. Non credo che sarà facile per Donadoni lasciarlo fuori. Mi piacerebbe vederlo nel ruolo di trequartista alle spalle delle punte. Un Europeo, come un Mondiale, è una competizione in cui c’è bisogno dell’aiuto di tutti, non puoi abbassare la guardia nemmeno per un minuto. Quello che posso dire è che Del Piero è un super campione e ho l’impressione che continuerà a giocare per parecchio tempo ancora. Zidane ha detto che Cassano è più forte di Totti. Zidane può dire quello che vuole. Totti ha fatto già vedere di essere un grandissimo calciatore e la vittoria in Germania è stata la ciliegina sulla torta. Cassano per il momento ha espresso soltanto delle ottime potenzialità. Per la prima volta diversi nazionali ita-
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