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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Lo svolgimento, fuori tempo massimo, di un tema dato ieri alla maturità

e di h c a n o cr

Caro sms, fai di me ciò che vuoi (fdmccv)

di Ferdinando Adornato

di Angelo Crespi celebre la battuta del prolisso Giuseppe Mazzini in apertura dell’ennesima epistola indirizzata a Marie Catherine Sophie contessa d’Agoult, nata viscontessa di Flavigny, e nota anche con lo pseudonimo di Daniel Stern, donna focosa, fresca reduce dalla tempestosa relazione con Franz Liszt: “Non ho tempo di scriverti per cui sarò lungo”. Che sembra un paradosso, ma non lo è. Per essere brevi infatti serve misura e lima, come già sosteneva il conciso Catullo. Mentre se non c’è tempo è facile seguire il proprio stream of consciousness e buttar giù 800 pagine come capitò a Joyce.“Comunicare le emozioni: un tempo per farlo si scriveva una lettera, oggi un sms o un’e-mail”. Certo l’affermazione sembra quasi convincente. Però quanta distanza tra comunicare i propri sentimenti con una lettera e comunicarli con un sms. La lettera imponeva tempi e modi ormai fuori luogo. Non solo nella scrittura, ma anche nella ricezione. E poi la risposta poteva tardare perfino giorni. Erano le poste caine, oppure l’amata che preferiva non dar seguito: il dubbio restava mentre come Charlie Brown si rovistava la cassetta delle lettere rischiando di rimanerci incastrati col testone a palla. Si viveva nell’angoscia. Oggi nella frenesia del multitasking, si manda l’sms mentre si riceve l’e-mail, e poi viceversa si riceve l’sms con le dita ancora sulla tastiera del computer.

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L’ora del gattopardo alle pagine 2 e 3

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80619

Tanto fumo, poco arrosto. Interventi positivi (nucleare, cumulo pensioni-redditi) e negativi (Robin Tax e tagli alla spesa sociale). Ma soprattutto: nulla per lo sviluppo

s eg ue a pa gi na 23

Chiusa l’inchiesta sulla giornalista

Gradualità su pensioni e legge Biagi

Il vano sacrificio Rivoluzione morbida, della Politkovskaja: ecco il metodo Caucaso in fiamme del ministro Sacconi

Norme salvapremier, ok del Senato. Il Pd lascia l’Aula

Violante: Berlusconi ripensaci, il colpo di mano non ti conviene

L’outing tardivo di César Menotti

Calcio e dittatura, così tutta l’Argentina si fece complice

di Francesco Cannatà

di Giuliano Cazzola

intervista di Riccardo Paradisi

di Italo Cucci

È morta invano Anna Politkovskaja? Nel giorno in cui la procura russa chiude le indagini sull’omicidio della giornalista il bilancio appare desolante: nel Caucaso gli attentati sono quotidiani.

Nei provvedimenti varati dal governo ce ne sono alcuni che riguardano il welfare. Si può parlare di una “lenzuolata” di Sacconi, per usare un termine in voga nella precedente legislatura.

«In Italia mancano i necessari presupposti di ineleggibilità per garantire le alte cariche con norme speciali», dice Luciano Violante. Intanto la maggioranza tira dritto sugli emendamenti salvapremier.

Menotti dice di essere stato usato dal regime, che non rifarebbe le foto con Videla. Le foto? E il resto? Le strette di mano, gli inchini, i sorrisi. La Patria e la voce di Munoz che dalla radio invadeva l’Argentina.

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WWW.LIBERAL.IT

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IN REDAZIONE ALLE ORE

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A parte qualche nota positiva, il documento è deludente soprattutto sul fronte dello sviluppo

La manovra del gattopardo di Enrico Cisnetto un po’ gattopardesca la maxi manovra economica varata ieri dal consiglio dei ministri. Apparentemente, un intervento di grande impatto: una Finanziaria triennale da 34,8 miliardi, di cui 13,1 nel 2009, accompagnata da un decreto a valere sul 2008 da circa 2,5 miliardi per riportare il deficit al 2,4 per cento e da diversi provvedimenti di delega. Un intervento per riportare i conti in pareggio entro il 2011, in linea con il clima politico da “luna di miele militarizzata” che il governo tra (poche) luci e (molte) ombre ha creato. Nel complesso, la manovra è caratterizzata da una grande promessa di cambiamento; nella realtà, a parte qualche nota molto positiva come l’accelerata sul nucleare, si tratta di un provvedimento deludente perchè sul capitolo deciso dello sviluppo c’è poco o niente. Ma vediamo meglio nel dettaglio. Punto primo: metodologia e obiettivi. L’idea di Tremonti di anticipare la manovra all’inizio dell’estate, in controtendenza

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rispetto alla tradizione parlamentare che vuole il Dpef entro giugno e il varo della Finanziaria entro settembre per essere approvata entro fine anno, è certamente un fattore positivo che consente di superare la finzione del documento di programmazione economica e nel-

lo stesso di dare respiro ai provvedimenti dandogli base triennale. Sacrosanto anche il target di riportare deficit e debito sotto controllo, in linea con gli impegni assunti in sede comunitaria. Se però entriamo nel merito di questa maxi-manovra, il giud-

zio si fa necessariamente più articolato. Per esempio, sulla “Robin Hood Tax” ho già espresso più volte il mio pensiero: è una misura inutile e sbagliata.

Inutile perché il mercato del petrolio e dei suoi derivati è fortissimamente legato alle aspettative, e quindi eventuali segnali di un inasprimento fiscale si traducono automaticamente in prezzi ancora più alti alla pompa. A rimetterci sarebbero quindi ancora una volta i consumatori, esattamente come nel caso della stretta fiscale sulle banche (le quali hanno già pronte le contromosse sui correntisti). Ed è sbagliata perché, come dimostrano i dati dell’Opec, a guadagnare dal boom dell’oro nero sono stati soprattutto gli erari dei paesi consumatori. Dunque, è chiaro il punto su cui bisogna semmai intervenire: le accise. Bene, quindi, anche se in contraddizione con la vessazione fiscale dei petrolieri, l’altra misura inserita in manovra, che aggancia automaticamente ad ogni

aumento del greggio uno stop alla tassazione sui carburanti. Altra ombra pesante: non si capisce sinceramente perché la questione della class action sia stata messa nel cassetto. Ma qui sospendiamo il giudizio: se si tratta di un breve rinvio – se ne riparlerà a gennaio – per meglio mettere a punto un meccanismo che avrà un forte impatto sul nostro diritto civile e societario, d’accordo. Se invece si tratta di un insabbiamento “sine die” di un meccanismo che, come ha detto Draghi nella recente relazione della Banca d’Italia, innalza la protezione dei consumatori e dei risparmiatori e migliora l’efficienza dei mercati, allora non ci siamo proprio.

Così come non ci siamo sulla presunta semplificazione degli enti locali: quello che ci voleva era un taglio netto di tutte le province, non una “potatura” solo di quelle grandi (Milano, Roma, Torino, Genova, Bari, Napoli, Firenze,Venezia e Bologna) per trasformarle poi in “aree metropolitane”(che si ag-

Il deputato dell’Udc teme che le misure del governo non riusciranno a innescare la ripresa: «È un’operazione di facciata»

Tabacci: «A crescere sarà soltanto il debito» colloquio con Bruno Tabacci di Vincenzo Bacarani

ROMA. Intanto, più che i petrolieri (o non soltanto i pe- 14,6 nel 2011) con una precisa volontà: quella di appro- intende fare per i servizi pubblici locali?». Una Finantrolieri), Bruno Tabacci avrebbe messo nel mirino gli extraprofitti dei signori delle autostrade o i monopolisti dell’energia. Eppoi, fatti i conti di una manovra che non convince, ecco la condanna senza appelli dell’esponente dell’Unione di centro: «C’è il rischio di vedere a breve aumentare il debito pubblico». Che per la cronaca ha raggiunto nel maggio scorso la cifra record di 1.646,7 miliardi di euro. È critico, se non di più, il deputato dell’Unione di centro Bruno Tabacci sulla Finanziaria del ministro Giulio Tremonti illustrata ieri alle partisociali. Una manovra nel triennio 2009-2011 di complessivi 34,8 miliardi (13 nel 2009, 7,1 nel 2010 e

varla prima dell’estate, cioè in questo periodo. Ma più che ai tempi, Tabacci guarda agli obiettivi, sono i dati di sviluppo a lasciarlo perplessi: un deficit per il 2008 del 2,5 per cento, una crescita del prodotto interno lordo dello 0,5. «E il problema – sostiene – è che il criterio complessivo si fonda su dati di sviluppo inadeguati. Uno 0,5 per cento di crescita del prodotto interno lordo è francamente poco». Un poco che potrebbe avere effetti negativi sui conti italiani. «Ma certo», afferma Tabacci, «c’è un rischio d’inflazione unito a un non meno pericoloso rischio di ripresa del debito pubblico».

A Tremonti, Tabacci non fa sconti neppure sull’ambizioso piano tagli. Il ministro prevede una riduzione della spesa sanitaria di 6 miliardi nel triennio e la reintroduzione a partire dal prossimo anno del ticket sanitario. Eppoi c’è l’obbligo per le Regioni di istituire misure di compartecipazione alla spesa che determinino lo stesso importo di entrate aggiuntive pari a 834 milioni di euro. «Ma i tagli alla sanità», sostiene il deputato dell’Udc, «sono soltanto una parte in un processo di riorganizzazione più complesso dello Stato. Che cosa si fa per l’efficienza del pubblico impiego? Che cosa si

ziaria quindi, con molte lacune e con scelte, secondo Tabacci, opinabili. «Prendiamo il discorso della cosiddetta Robin Hood Tax. Anzichè compiere operazioni di facciata, avrei colto l’occasione per far saltare il meccanismo del Cip 6». Il Cip 6 è un sistema in vigore dal 1992 che stabilisce incentivazioni per l’energia prodotta da fonti rinnovabili e assimilate, che però nella realtà spesso non sono tali. Incentivazioni che si traducono in un sovrapprezzo dell’energia elettrica pagato dai consumatori sulla bolletta. «Avrei piuttosto affrontato», dice, «gli extra-profitti nel settore autostradale e nel settore delle energie». È da anni infatti che il parlamentare si batte proprio per l’abolizione del Cip6. Tutto è documentato nel suo libro Intervista su politica e affari, scritto con Sergio Rizzo, dove si spiega appunto l’ingiustizia di un provvedimento, come quello del Cip6, che penalizza i consumatori e avvantaggia anche chi si dedica ai carburanti tradizionali. Insomma, una manovra da bocciare? «Direi che si continua a perseguire e a insistere su una logica del risanamento. Ma il caso Alitalia è emblematico: queste persone predicano bene, ma razzolano male».


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Governo e Regioni litigano ancora sui trasferimenti

C’era una volta il federalismo fiscale di Carlo Lottieri un Giulio Tremonti in buona parte “mercatista” quello che traspare dalle anticipazioni sulla Finanziaria 2009. Certamente di segno liberale sono le misure in tema di liberalizzazioni, pubblico impiego, vendite degli immobili, tagli alla spesa. Ovviamente, non tutto è condivisibile: in particolare grave l’idea di proseguire sulla strada dell’interventismo (la Banca del Sud) e nel finanziare l’edilizia popolare. Troppo prudenti sono le privatizzazioni: si parla soltanto di Tirrenia, ma nulla è previsto per Eni, Enel, Rai, Poste Italiane, Cassa depositi e prestiti o Trenitalia. Con la pressione fiscale che ci ritrova, le dismissioni dovrebbero essere in cima alle preoccupazioni del governo. Ma c’è poi un’altra gravissima – forse la peggiore – lacuna nei progetti dell’esecutivo: e riguarda il federalismo fiscale.

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La sensazione è quella di un insieme di molti provvedimenti a pioggia (alcuni buoni, altri meno), forse di impatto mediatico, che non mettono le mani nelle tasche dei contribuenti ma che non prevedono al contempo nessuna strategia precisa di rilancio giungeranno ai comuni, invece di sostituirli allargandone le funzioni). Infine, voto 4 in pagella per la decisione di resuscitare la cassa del mezzogiorno, per di più nella versione light di Banca del Sud (come si chiamerà ufficialmente). Intervento inutile (con la dote statale da 5 milioni di euro assicurata all’istituto che sa di elargizione borbonica) e dannoso, che riporta alla memoria i sogni prodiani di una “Mediobanca del Sud”, abortiti ancor prima del nascere, alla fine degli anni Ottanta.

Ma passiamo alle “luci”. Bene, senz’altro, l’accelerata sul nucleare, che permetterà – incrociamo le dita – all’Italia di colmare il suo gap ventennale in cui siamo piombato col referendum del 1987. La road map di Scajola, che verrà attuata con lo strumento della legge delega, è molto ben congegnata: utilizzo delle centrali di terza generazione, individuazione immediata dei nuovi siti (di produzione e stoccaggio), previsione di incentivi per le comunità interessate (per sconfiggere la sindrome Nimby). E bene anche l’abolizione del divieto di cumulo tra lavoro e pensione. Un provvedimento che dovrebbe avere un effetto positivo soprattutto sul lavoro nero, spingendo molte aziende

e molti lavoratori ad “emergere”. Altri grandi fattori positivi non ne vedo. Soprattutto – ultimo punto – non vedo alcun elemento reale di rilancio dello sviluppo economico. Non c’è, nel testo “monstre” dei provvedimenti varato ieri, alcuna misura cruciale che permetta di rilanciare competitività e produttività, che permetta di affrontare seriamente il problema delle retribuzioni e del potere di acquisto, che consenta al Paese di affilare le armi in uno scenario deprimente come non mai, con una congiuntura internazionale che non aiuta e con stime di crescita italiana che ancora una volta (Eurostat) certificano il nostro status di “malato d’Europa”, con una crescita dello 0,2% nei primi tre mesi dell’anno. Insomma, nonostante qualche fattore positivo (soprattutto metodologico e di finanza pubblica), il giudizio sulla manovra è negativo. La sensazione è quella di un insieme di molti provvedimenti a pioggia (alcuni buoni, altri meno), forse di impatto mediatico, che non mettono le mani nelle tasche dei contribuenti ma che non prevedono al contempo nessuna strategia precisa di rilancio. Una manovra gattopardesca, insomma. Peccato, perché poteva essere l’occasione giusta. (www.enricocisnetto.it)

Sulla riforma della finanza pubblica la maggioranza sembra assai impacciata. Com’è stato rilevato da più parti, l’unica iniziativa è stata l’abolizione dell’Ici, la principale tassa comunale, che lasciava agli enti il gettito e una certa libertà d’azione nel definirne le caratteristiche. Il dibattito è nel complesso stonato. Quanti dicono di volere il federalismo fiscale e quanti si oppongono, parlano di tutto meno che di attribuire autonomia impositiva agli enti: a essere in discussione è sempre e soltanto la ripartizione del gettito raccolto a livello centrale, così che nessuno contesta il fatto che le tasse restino “romane”. Semmai, si pensa di lasciare alle Regioni una quota di quanto versato dai diversi territori, come dimostrano il teso confronto di ieri tra Berlusconi e il presidente della Conferenza Stato-Regioni, Vasco Errani. Non c’è quindi nulla di federale nelle discussioni in atto, ma solo una riproposizione aggiornata del vecchio regionalismo. E ci si azzuffa sulla ripartizione delle entrate nazionali, senza comprendere come una scelta federale – anche solo in parte (per esempio, dando a ogni Regioni la facoltà di gestire liberamente le aliquote dell’Irpef, tenendo per sé un 60 per cento di quel gettito) – produrrebbe una concorrenza istituzionale destinata a gio-

vare a tutti, ingrandendo la torta del Pil e quindi le stesse entrate. L’incapacità a comprendere tutto ciò traspare dal cosiddetto progetto Lombardia, in passato punto di partenza di ogni possibile mediazione: tra maggioranza e opposizione come tra le componente nordista e sudista del Pdl. Ora quello schema pare essere stato più o meno accantonato, mentre in grande spolvero è un testo perfino peggiore: il documento elaborato dalla Stato-Regioni, in cui ogni ragionamento è prigioniero del presente e – al massimo – si punta a lasciare al controllo della periferia qualche tributo marginale. Di questo passo non si va da nessuna parte. In merito è significativo il tentativo (poi abortito) di abolire le province sostituendole con città metropolitane. La misura è in larga misura sensata se si resta nelle logiche della finanza pubblica attuale. Ma una legislatura che intende rovesciare la piramide centralista per fare dell’Italia un Paese federale, dovrebbe limitarsi a restituire a Comuni e Regioni la “libertà di tassare”, delegando poi agli enti locali ogni ulteriore passo. E se ci saranno aree desiderosi di continuare a finanziare con i loro soldi le province, dovranno poterlo fare, ma rispondendone ai cittadini. Al di là del silenzio stesso della Finanziaria su ogni svolta in senso federalista, è proprio il quadro generale della situazione che non legittima vere speranze. Basti dire che il moderatissimo Statuto della Lombardia sta in queste ore rischiando di essere portato di fronte alla Consulta, poiché il ministro forzista agli Affari Regionali, l’ex governatore pugliese Raffaele Fitto, ha convocato i tecnici del Pirellone.

Agli enti si lascerà un gettone di quanto versato a Roma, dimenticando che una tassazione diretta metterebbe in concorrenza le aree e ridurrebbe la spesa

A loro ha avanzato loro una serie di obiezioni: sulla denominazione (Statuto d’autonomia) e perfino sulla scelta – del tutto ragionevole – di fissare che le somme assegnate alla Lombardia siano a bilancio «senza vincolo di destinazione». Poiché non ha senso disporre di somme inutilizzate per strade inutili quando invece c’è bisogno di scuole. Il regionalismo che si limita a lasciare nei vari territori il gettito di tasse decise a Roma già produce aspri conflitti tra Nord e Sud. Perché non prendere seriamente in esame, allora, l’ipotesi del federalismo fiscale?


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Tremonti presenta la Robin Hood Tax per colpire gli extraprofitti della benzina. Ma scatena le ire dei produttori e di Confindustria

La carica dei petrolieri di Alessandro D’Amato

ROMA. «Dovete sapere che una volta in questa sala si svolgevano i processi. Con l’aria che tira sul settore petrolifero, non poteva esistere luogo più adatto». È un Pasquale De Vita ironico quello che apre, parlando a braccio, l’assemblea annuale dell’Unione petrolifera. E che cade proprio nel giorno in cui Giulio Tremonti presenta in Consiglio dei ministri la sua Robin Hood Tax. Va da sé che l’obiettivo naturale di De Vita è proprio il ministro, evocato a più riprese anche se non presente all’assemblea, dove in rappresentanza del governo c’è soltanto il ministro Stefania Prestigiacomo. Claudio Scajola, impegnato in un incontro con le parti sociali a Palazzo Chigi, manda un messaggio video. Il presidente dell’Up attacca con il fioretto, ma le sue parole sono comunque significative: «Vorremmo poter parlare tranquillamente con le istituzioni a cui facciamo riferimento, vorremmo poter dialogare e non subire le loro scelte. Da questo governo ci saremmo aspettati la capacità di coniugare l’interesse pubblico con quello delle imprese, cosa non impossibile». Per aggiunere: «Non so se quello che si sta predisponendo potrà influenzare i programmi futuri degli operatori. A cominciare dagli investimenti, previsti in 6,1 miliardi nel triennio 20082011. Ma anche le strategie delle compagnie: ognuno decide a casa sua e non ho sentito parlare di possibili abbandoni dell’Italia ma raffinazione e distribuzione sono i settori meno redditizi e qualcuno, come la Exxon in America, ha già deciso di uscire dal segmento». Racconta poi che le speculazioni vanno cercate altrove: «Il nostro ufficio studi ha certificato che in un dato periodo l’aumento del gasolio incideva per 2 centesimi sul prezzo delle mele. Che invece, sempre nel periodo in questione, sono invece aumentate di dieci». E in più, secondo De Vita, il provvedimento del governo dovrebbe colpire aziende attive nel settore della raffineria e della distribuzione «che nel 2007 hanno registrato utili complessivi di 900 milioni di euro a fronte di investimenti di 4,6 miliardi di euro!». Infatti, secondo gli esperti, la Robin Hood Tax appare come parente stretta della famosa Windfall tax, volta a tassare gli “eccessivi” guadagni derivanti dal-

la privatizzazione delle aziende di Stato britanniche. I suoi effetti sono perlomeno discutibili: a fronte di un introito di circa 5 miliardi di sterline, ma a pagarla non sono state le “corporation”o i manager, ma gli azionisti e i consumatori. Anche se secondo alcuni, l’intenzione di Tremonti sarebbe soltanto quella di spa-

ventare i petrolieri, affinché riportino in Italia la gran parte dei fatturati che oggi fanno all’estero.

Poi l’intervento vira sull’analisi del settore: nel 2008, la fattura energetica dovrebbe attestarsi a 65 miliardi di euro

De Vita (Up): «C’è aria di processi sul settore. Le speculazioni andrebbero cercate da un’altra parte». Marcegaglia: «Inutile ogni tassazione». Bocciate anche le liberalizzazioni di Scajola (+18 miliardi rispetto al 2007). La sola bolletta petrolifera potrebbe salire tra i 39 e i 44 miliardi (+13 rispetto all’anno scorso) nonostante l’effetto euro, che «permetterà di risparmiare circa 4,5 miliardi». Nel 2007 la fattura energetica era diminuita del 5,8 per cento rispetto al 2006 (-3 miliardi), attestandosi a 46,6 miliardi di euro, il 3,6 per cento del Pil. La fattura petrolifera è in contrazione (da 26,9 a 26,5 miliardi di euro). Invariato il peso sul Pil (2,1 per cento). Ma nella relazione si fa anche notare che la svalutazione del dollaro è responsabile

di un terzo dei rincari, così come la speculazione, che ogni giorno muove sulla carta un volume di greggio 20-25 volte superiore a quello fisico (1,8-2 miliardi di barili al giorno contro gli 87 milioni effettivi). Però, parlare di record sarebbe improprio, visto che in euro/barile il valore di oggi è simile a quello del 1981, dice De Vita. Il quale liquida anche i tentativi di liberalizzare la rete di distribuzione dei carburanti: «Noi abbiamo già fatto molto. Qualcuno dice che la rete è ingessata, ma negli ultimi 3-4 anni sono sorti 3mila nuovi impianti. Ora bisogna riprendere il cammino per abbattere i costi della rete, non fosse altro che per vendere gli impianti che sono troppi. E qui il discorso liberalizzazione entra un po’ in contraddizione». In chiusura non manca un appello a Confindustria nella battaglia contro Tremonti. Ed Emma Marcegaglia, di rimando, risponde con un «vi saremo vicini». Nel suo intervento spiega la presidente: «Siamo contrari a ogni aumento di tassazione in un Paese che ha la più alta tassazione d’Europa». In sala cala il gelo quando la parola passa al governo. Scajola, nel messaggio registrato, sottolinea l’impegno del governo

38 paesi in Arabia Saudita

Jedda, il vertice del 22 giugno potrebbe essere una svolta di Strategicus

nel nucleare, gli incentivi all’uso di Gpl e biocarburanti. Ma soprattutto gli ostacoli, da rimuovere, allo sfruttamento delle risorse nazionali vanno rimosse: «Lo sfruttamento delle risorse nazionali di idrocarburi, stimabili in 100 miliardi di euro», sottolinea il ministro, «ha trovato finora un formidabile ostacolo sia nella complessità delle procedure di autorizzazione sia nella opposizione a livello locale. Lo dimostrano le vicende dei giacimenti dell’Alto Adriatico, del delta del Po e della Basilicata». Situazioni di stallo che «non possono ul-

l 22 giugno si terrà a Jedda, in Arabia Saudita, il vertice fra i Paesi produttori e consumatori di petrolio. Al vertice sono attesi i principali leader dei circa 38 Paesi invitati, i presidenti di istituzioni finanziarie, come Morgan Stanley e Goldman Sachs, e l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Lo scopo principale del vertice è studiare misure comuni volte a frenare l’aumento dei prezzi del petrolio sui mercati internazionali. Infatti, l’escalation del prezzo del greggio sta generando effetti economici disastrosi sull’economia dei Paesi consumatori, che stanno destabilizzando sia le casse dei Paesi produttori che le loro politiche energetiche. Dall’inizio dell’anno il prezzo del barile è salito di circa 40 dollari, toccando il picco dei quasi 140 dollari. Le stime sull’oil peak a livello mondiale sono spesso disallineate e discutibili. Oggi si è arrivati a sostenere che, in assenza di interventi concreti e concordati tra i Paesi produttori e consumatori, il prezzo del petrolio arriverà a toccare i 200 dollari al barile. La scorsa settimana il barile ha visto un incremento record di 16 dollari in due sedute. Ciò ha innescato un allarme gene-

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Dopo la denuncia di George Soros

Ipotesi maliziose sul costo del greggio di Giancarlo Galli eorge Soros, grande squalo nei mari dell’Alta Finanza, che di tanto in tanto ama indossare i panni del moralista implacabile o la toga di Giudice Supremo, è uscito con una durissima filippica nei confronti della sua stessa Confraternita. A suo dire, i folli rialzi del petrolio sarebbero una cinica manovra degli ambienti finanziari per rifarsi delle colossali perdite patite con i mutui subprime e tutto quel che ne è disceso, in termini di generale instabilità e pericoli di recessione globale. Stranamente, il j’accuse del finanziere statunitense, ebreo di origini ungheresi, ha trovato scarso riscontro sui media dei Cinque Continenti, mentre la business-community lo ha tacciato di inattendibilità, alimentando il sospetto che Soros fosse coinvolto (come in altre occasioni), in speculazioni sulle materie prime. Però al ribasso, e quindi rimasto col cerino fra le mani. I mesi a venire forniranno meno labili elementi di giudizio.Tuttavia è innegabile che Soros abbia ficcato il dito nella piaga: infatti quel che sta avvenendo per il petrolio, ed anche per le granaglie, esige una spiegazione non superficiale. Essendo fuorviante il tentativo di collegare gli stratosferici rialzi ad uno squilibrio domanda-offerta. Proviamo pertanto ad avanzare qualche ipotesi, con sullo sfondo l’attuale scenario economico, finanziario, politico-militare; pensando anche ad una non impossibile escalation nei confronti dell’Iran, grande produttore petrolifero e catalizzatore dell’estremismo islamico. Il raddoppio, in poche stagioni, delle quotazioni del barile coincide (sarà casuale?) con un generalizzato rilancio del nucleare. Ovunque, Italia inclusa, assistiamo alla massiccia pressione delle lobbies energetiche per la costruzione di nuove centrali che vengono definite “sicure”. Quindi, un’inversione di tendenza dopo il disastro di Chernobyl.Teorema: il petrolio, destinato ad esaurirsi, costerà sempre di più, pertanto… Ammesso risponda a verità, il temuto esaurimento dei giacimenti, nonostante la più che probabile scoperta di nuovi filoni, si verificherà tra mezzo secolo. I prezzi, invece, sono da subito schizzati alle stelle. Dubbio: si vuole convincere l’opinione pubblica dell’ineluttabilità del nucleare? Secondo interrogativo. Quotidianamente, sul mercato petrolifero viene compratavenduta (sulla carta) una quantità di greggio superiore a quella consumata in un anno nell’intero pianeta.Va da sé, e lo capisce

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teriormente tollerate. Saranno adottate alcune disposizioni che semplificano le procedure e rimuovono vincoli, nel rispetto delle esigenze di tutela dell’ambiente e della salute delle popolazioni», sottolinea Scajola.

Dal ministro nemmeno una parola sulla Robin Hood Tax, mentre la collega Stefania Prestigiacomo, unica componente dell’esecutivo «fisicamente presente» – come lei precisa – all’assemblea dell’Unione petrolifera, dichiara che si farà portavoce presso l’esecutivo delle istanze ralizzato in tutto il mondo. L’Arabia Saudita - capofila dell’Opec - per volontà del re Abdullah, ha subito indetto questo vertice, per ragionare in modo collaborativo sulla turbo-flessibilità dei prezzi, sulle sue cause e sul come risolvere una questione che rischia di mettere in ginocchio intere economie, pubbliche e private. Nel mese di maggio, l’Opec ha aumentato di circa 500 mila b/g la produzione, toccando un totale di estrazione di 32,3 milioni di b/g. L’Arabia Saudita - primo produttore al mondo di petrolio - annuncierà al vertice un aumento di 200 mila barili al giorno (b/g) a partire da luglio. Non sarà un flop, come qualcuno ha già iniziato a paventare. Non lo sarà per due ragioni fondamentali. Primo, perché per la prima volta nella storia, Paesi produttori e consumatori si trovano dalla stessa parte. Il rialzo dei prezzi - storicamente favorevole ai Paesi produttori - sta generando enormi effetti distorsivi sul mercato globale e, quindi, anche sulle loro economie. Secondo, perché l’approccio culturale all’energia sta cambiando. Verosimilmente si arriverà alla conclusione che contro il caro-petrolio non serve la demagogia o l’approccio catastrofista di chi è

delle compagnie ma nello stesso rileva che da esse il governo si attende «senso di responsabilità». A fine assemblea, parlando con i giornalisti, De Vita risponde secco a chi gli chiede come mai dai ministri siano arrivate poche e generiche risposte sulla tassa: «Non so, non sono responsabile di quello che dicono gli altri». E poi, a chi lo interroga su quanto potrebbe costare alle aziende, replica sempre più freddo: «Non posso immaginarlo, tutto quello che so l’ho letto sui giornali».Tra petrolieri e via XX Settembre è il momento del grande gelo.

convinto che l’oro nero si esaurirà per la fine del secolo, ma un aumento dell’offerta da parte dei Paesi produttori ed una maggiore liberalizzazione del mercato. Essi dovrebbero avere un effetto calmierante sui prezzi. Ma non basteranno. L’annuncio dell’Arabia Saudita di voler aumentare la produzione di petrolio non ha infatti prodotto effetti stabili sulle valutazioni del barile. I Paesi dell’Ue potrebbero far sentire la propria voce, invitando tutti i Paesi ad evitare misure fiscali distorsive del mercato e, comunque a limitarle nel tempo. Ciò su cui tale vertice poco potrà fare sarà trovare soluzioni razionali per evitare future isteresi dei prezzi del petrolio. Esse dipendono non tanto dai dati del mercato sulla carenza di offerta di petrolio, a fronte di una domanda sempre crescente, o dalle false informazioni sull’esaurirsi delle riserve strategiche dei Paesi produttori, quanto dal “rischio geopolitico”, ovvero dal connubio tra prezzo del petrolio ed area geopolitica dei principali Paesi esportatori.Tanto più instabili sono le aree di esportazione e tanto più schizzofreniche saranno le fluttuazioni dei prezzi del barile.

anche chi fosse digiuno delle più elementari regole dell’economia, come tali oscillazioni (sempre orientate al rialzo) poco o nulla abbiano a vedere con i consumi e le leggi di domanda-offerta; le quotazioni del petrolio seguendo altre logiche. Speculazioni bancarie, sostiene Soros. In effetti nessun operatore privato dispone di sufficienti mezzi per scommettere “in proprio”cifre colossali. Entrano allora in gioco le banche: le stesse che prestarono ad occhi chiusi nella fase più acuta del boom immobiliare, ora divenuto un boomerang. Ma in ogni contratto è necessaria la presenza di un compratore e di un venditore. Essendo al momento rari i ribassisti, i prezzi si impennano. Proprio come accadde per gli immobili, sino al crack. A questo punto altro capitolo: perché gli Stati, dopo l’ultimo terremoto finanziario non hanno messo la mordacchia a banchieri e speculatori? Avendo già accennato alla comunanza di interessi sul nucleare, passiamo oltre. Il rialzo del petrolio arricchisce a dismisura i Paesi produttori e questi hanno creato dei Fondi Sovrani, cioè a controllo statale, che (sarà ancora un caso?) generosamente intervengono per il salvataggio delle maggiori banche anglosassoni europee, svizzere, sottoscrivendo speciali aumenti di capitale. Così, quanto perduto coi mutui rientra dalla finestra. Infine: se l’aumento della fattura petrolifera è iattura per il cittadino, non altrettanto per il fisco. Più il prezzo cresce, più incassa. Che solo di tanto in tanto (con la rivolta dei pescatori o dei camionisti), lima di qualche centesimo. Miliardi preziosi per ogni Erario. Il caro energia alimenta l’inflazione. S’era promesso in Usa, Europa, Oriente di debellarla; al contrario viaggia a ritmi che fanno temere un ritorno agli anni Novanta.Tuttavia non c’è Stato che riduca il prelievo fiscale, diretto o indiretto, torchiando il ceto medio, dal quale si pretende ragionevolezza per salari e pensioni. Può essere che George Soros sia incline ad un pessimismo cosmico, ad una luciferina dietrologia. Eppure mettendo assieme i troppi ed oscuri tasselli del puzzle, la reticenza degli Stati ad intervenire, le banche centrali atteggiatesi a Ponzio Pilato, i poteri forti che rastrellano in Borsa sfruttando la paura dei risparmiatori, monta il sospetto di un sistema fuori controllo intenzionato a cavarsi dai guai regalandoci un’epoca di vacche magre. Santa Finanza? Forse. Però, visto che nessuno sa (o vuole) spiegare, a pensar male è sì peccato, ma si rischia di azzeccarla, come usava dire il saggio Giulio Andreotti.

Troppi indizi fanno nascere il sospetto che il sistema voglia regalarci un’epoca di vacche magre


pagina 6 • 19 giugno 2008

politica Approvata la norma ”salva-premier”. L’opposizione abbandona l’Aula

Silvio tira dritto. Il Pd se ne va di Francesco Rositano

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Rifiuti: Approvato decreto in Commissione Via libera della commissione Ambiente al decreto legge per l’emergenza rifiuti in Campania, modificato con i contenuti del maxi emendamento del governo. Ma è stata eliminata anche la norma che sopprimeva le agenzie ambientali accorpandole nell’Irpa (l’Istituto di ricerca per la protezione ambientale), punto su cui l’opposizione aveva polemizzato per l’estraneità del tema rispetto al contenuto del decreto.

Unione europea: Antonio Tajani nomitato commissario ai trasporti Antonio Tajani è il nuovo commissario Ue ai Trasporti e vicepresidente della Commissione. L’Europarlamento ha approvato la sua nomina con 507 voti a favore, 52 contrari e 19 astensioni, dicendo di ”sì” inoltre al cambio di portafoglio di Jacques Barrot, ora commissario a Sicurezza Giustizia e Libertà. Le nomine si sono rese necessarie dopo le dimissioni di Franco Frattini, ora ministro degli Esteri italiano.

Lombardia: il Cdm esamina lo Statuto

cene da quattordicesima e quindicesima Legislatura in Parlamento. E «la luna di miele» tra maggioranza e opposizione, per ora, sembra soltanto un bel ricordo. I senatori del Pd e dell’Idv si sono alzati dai loro rispettivi scranni e hanno abbandonato la discussione del decreto che sospende per un anno i processi per i reati minori commessi entro il 30 giugno 2002. Con il risultato che il provvedimento è stato approvato con 160 voti a favore e 11 contrari. Una votazione scontata che ha riportato l’attenzione sullo strappo ormai consumato tra Pd e Pdl. Insomma, la fase costituente che avrebbe dovuto dar vita alla riforma istituzionale e all’alleggerimento del sistema politico italiano, si è arrestata come un’automobile nel bel mezzo di una bufera di neve. Lo ha confermato lo stesso segretario Walter Veltroni, che ieri è salito al Colle dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e gli ha spiegato le ragioni per cui la fase del confronto costruttivo con la maggioranza si è esaurita. L’ex sindaco di Roma, però, avrebbe chiarito che la posizione del Pd non è definitiva e potrebbe cambiare qualora la maggioranza dovesse tornare sui suoi passi in materia di giustizia e di prassi parlamentare. In futuro, ma non ora.

S

Ecco il commento a caldo di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, che ha chiesto ai suoi colleghi di partito di non partecipare al voto : «Questo è un macigno vero sulla strada del dialogo

tra maggioranza e opposizione. Non c’e’ alcun antiberlusconismo nell’atteggiamento assunto dal Pd al Senato sul decreto sicurezza, ma il presidente Berlusconi sta sprecando un’occasione per dimostrare di essere uno statista. Non lo ha voluto fare, forse per paura, certamente per pregiudizio. Trovo che sia un fatto grave. Noi non potevamo votare quell’emendamento». Una norma, quella della sospensione dei processi, che ha trovato la dura opposizione dell’Associazione nazionale Magistrati (Anm) che ieri in una conferenza

Idv e Pd lasciano Palazzo Madama. Veltroni annuncia a Napolitano la fine del dialogo. L’Anm avverte: con queste norme stop a 100.000 procedimenti stampa, per bocca del presidente Giuseppe Cascini, ha lanciato l’allarme: «Oltre 100mila procedimenti rischiano di essere bloccati e paralizzati dalle norme varate dalla maggioranza in Senato. Questo finirà per mettere in ginocchio la giustizia, dal momento che con le nuove norme si assisterà ad un caos organizzativo e processuale senza precedenti». La maggioranza comunque si difende e rimanda le accuse al mittente, spiegando che la norma

”sotto processo” non solo è in armonia con il decreto sulla sicurezza, ma è un provvedimento indispensabile in un paese civile. Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo del Pdl al Senato, ammentendo esplicitamente che la norma avrebbe anche l’effetto di tutelare il presidente del Consiglio coinvolto nel processo Mills, ha affermato: «In Italia è necessaria una norma degna di un Paese civile, realizzata alla luce del sole, senza sotterfugi e ’non ci sto’, rispondente ai rilievi della Corte Costituzionale, che consenta alle maggiori cariche dello Stato di affrontare le pendenze giudiziarie al termine del mandato ricevuto dagli elettori». Naturalmente per un noto giustizialista come Antonio Di Pietro, dell’Idv, la ”civiltà ”del provvedimento è tutta da dimostrare. Per questo ha già annunciato che insieme al suo partito si farà promotore di un referendum abrogativo.

Nonostante la scena sia stata rubata quasi completamente dall’approvazione di questa contestata norma sulla sospensione dei processi, Palazzo Madama ha affrontato anche altre tematiche. Riuscendo anche a raggiungere accordi bipartisan. Come per la norma che punisce i proprietari che affittano il proprio immobile ad immigrati irregolari. Votati anche gli articoli che inaspriscono le pene per i pirati della strada, in particolare per chi guida ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti. Spiragli di luce in un clima diventato improvvisamente invernale.

Il nuovo statuto della Regione Lombardia, approvato nel maggio scorso, figura tra le leggi regionali che ieri sera sono state esaminate dalla riunione del Consiglio dei ministri. Secondo fonti delle regioni, lo statuto potrebbe essere impugnato dal governo davanti alla Consulta perché ritenuto «troppo autonomista».

Immigrazione: Berlusconi presto in Libia Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sarà in Libia dal colonnello Muammar Gheddafi entro fine giugno. La visita sarà incentrata sul tema dell’immigrazione - dopo la nuova tragedia nel Mediterraneo, con la morte di oltre 140 clandestini partiti dal porto libico di Zuwarah e diretti verso le coste italiane - e sui rapporti bilaterali, con la volontà di chiudere definitivamente il capitolo del passato coloniale tra Roma e Tripoli con un Trattato di amicizia e collaborazione cui le due diplomazie stanno lavorando da tempo.

Maturità 2008: al via la prova d’italiano Una poesia di Montale ”Ripenso il tuo sorriso” e tratta dagli ”Ossi di Seppia”, il tema storico dedicato alla condizione femminile del ’900, la comunicazione attuale attraverso i nuovi media per l’attualità. Per il saggio breve, gli argomenti sono stati il lavoro, la percezione dello straniero nella letteratura e nell’arte, i sessanta anni della Costituzione italiana. Sono state queste le tracce delle prove per la prima giornata di maturità 2008 dedicata all’italiano e affrontata da circa 496 mila candidati in tutta Italia. Ai maturandi è arrivato anche il ”pensiero” di papa Benedetto XVI, mentre il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini ha scelto una scuola romana di periferia, nel quartiere di Centocelle, per fare di persona il suo ”in bocca al lupo” agli studenti.

Armi ai vigili urbani: sì dal Campidoglio La giunta comunale di Roma ha approvato all’unanimità una delibera che prevede la possibilità di dotare di armi il Corpo della Polizia municipale. A quanto si apprende la delibera dà il via a un iter lungo, che passerà prima dai sindacati del Corpo, poi dai Municipi, dalle commissioni competenti. Queste le tappe, prima della definitiva approvazione da parte del Consiglio comunale. Nella delibera comunque viene offerta chiaramente ai vigili obiettori di coscienza la possibilità di non utilizzare le armi.


il caso

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Luciano Violante interviene sui provvedimenti salvapremier

«Berlusconi, ripensaci. Il colpo di mano non ti conviene» colloquio con Luciano Violante di Riccardo Paradisi

ROMA. Il “confronto costruttivo” tra maggioranza e opposizione si ferma qui. Frana sugli emendamenti che sospendono i processi, ancora una volta dunque sul delicato tema del rapporto tra politica e magistratura. L’ex presidente della Camera Luciano Violante non boccia l’idea di una norma di garanzia per le alte cariche dello Stato, ma rifiuta il metodo con cui il governo sta affrontando questo nodo. Presidente Violante, sulla questione del Lodo Schifani lei si è detto d’accordo, in linea di principio, ad assicurare alle massime cariche dello Stato qualche garanzia particolare. Specificando però che simili garanzie andrebbero previste in un contesto diverso dall’attuale. Può spiegare meglio questo ragionamento? In altri sistemi ci sono norme precise in materia di conflitto di interessi, di accessibilità alle cariche politiche rispetto alla condanna o al processo per gravi reati. Ecco, in questo contesto si può anche pensare a interventi che sospendano alcuni tipi di processi che coinvolgono alte cariche dello Stato. Ma questo è un quadro che in Italia non c’è e va costruito. Nessuna pregiudiziale costituzionale? La Corte costituzionale nella sentenza numero 24 del gennaio 2004 parla di un interesse “apprezzabile”a sospendere alcuni processi nei confronti di certe cariche dello Stato, e sostiene che questa misura può essere posta in armonia con i principi dello Stato di diritto. Nessuna obiezione di fondo dunque. Purché, dice sempre la Corte, si rispettino alcuni confi-

ni. Primo: non può trattarsi di una sospensione senza un termine finale, altrimenti il rischio è che chi deve essere processato passi da una carica all’altra sfuggendo continuamente al processo. Secondo: deve essere salvaguardato il criterio di ragionevolezza. Più chiaramente: il principio in base al quale si scelgono o si escludono le cariche da tutelare deve essere ragionevole. Insomma: perché il presidente di un ramo del Parlamento sì e i parlamentari, che hanno lo stesso status, no? Perché il presidente della Corte costituzionale sì e i giudici della Corte, che hanno lo stesso status, no? Io per esempio per i presidenti delle Camere e della Corte costituzionale riterrei irragionevole la sospensione del processo. Lei sarebbe d’accordo su un compromesso di questo genere: sì alle tutele giudiziarie per garantire un regolare svolgimento delle funzioni istituzionali a patto però che l’imputato rinunci a nuove investiture istituzionali? Non mi sembra una soluzione adeguata. O si stabilisce ab initio che chi ha certi carichi giudiziari non può rivestire funzioni di governo oppure sarebbe irragionevole precludere la prosecuzione di alcune alte responsabilità politiche perché si è sottoposti a un processo. Meglio, a questo punto, fissare un termine, superato il quale, il processo comunque deve riprendere. Bisogna sempre trovare un equilibrio

tra questioni giudiziarie e questioni politiche. Anche perché scusi, se il processo ti assolve come la mettiamo? Si è impedito l’accesso a una carica pubblica a un cittadino che si è rivelato innocente. Dunque? Resto dell’idea che la soluzione migliore sia un termine temporale – coincidente per esempio con la fine di quel mandato –

Si fa l’esempio Chirac, ma in Francia ci sono norme severe sui problemi penali e i conflitti di interesse

per l’accesso alle cariche pubbliche. Lei crede che questa nuova fase di scontro sui temi della giustizia abbia costretto la sinistra, il Pd ad arretrare su posizioni dipietriste? Ma guardi che ad arretrare, o meglio a cambiare le carte in tavola, è stato il governo, mica Veltroni. Il presidente del Consiglio prima ha promesso di dialogare con l’opposizione per fare insieme le riforme e poi ha messo sul tavolo un carico da undici che riguarda un principio costituzionale delicatissimo come quello relativo alla obbligatorietà dell’azione penale, con la maggioranza parlamentare (caso unico al mondo) che stabilisce i processi che si fanno e quelli che non si fanno. E tra quelli che non si fanno, in un Paese che Trasparency International colloca purtroppo agli ultimi posti per onestà pubblica, ci sono i processi per peculato, concussione e corruzione. A questo punto cosa ci si aspetta, che l’opposizione stia zitta? Una maggioranza politica che stabilisce i criteri dell’azione penale tocca dei punti molto delicati che riguardano i diritti dei cittadini... Una reazione inevitabile quindi quella di Veltroni e dell’opposizione. Questi temi non dovrebbero mai essere affrontati sul terreno dell’emergenza e dell’imposizione. La maggioranza sbaglia quando sceglie l’arma del decreto legge senza un previo dialogo con l’opposizione. Sa-

dopo il quale il processo riprende. Non dimentico però la necessità della legislazione “di sostegno” di questa impalcatura, quella sul conflitto di interessi e sulle eventuali preclusioni

rebbe stato più ragionevole dire all’opposizione: noi crediamo che bisogna dare la precedenza ad alcuni reati e sospendere i processi per altri, ma discutiamo insieme sulla opportunità della misura e sui suoi limiti. Strappi di questo genere invece lacerano la delicatissima tela di fiducia tra società e potere politico e scatenano il gioco dei riflessi condizionati: quelli che sono con Berlusconi dicono che c’è una persecuzione, quelli che sono contro di lui che il presidente del Consiglio fa leggi ad personam. Così va farsi friggere la ragionevolezza e ci rimette il Paese. Io auspico che la maggioranza ci ripensi; presenti un progetto di legge sulla materia, senta i pareri degli operatori, avvocati, magistrati, forze di polizia, e poi si decida in modo coerente. Però in Francia una legge simile a quella che vorrebbe introdurre il lodo Schifani c’è, dice la maggioranza citando l’esempio del processo a Chirac. Ma sono due situazioni diverse. Chirac è stato il presidente della Repubblica, non il presidente del Consiglio dei ministri. Ed è il capo dello Stato. E poi ricordiamoci che in Francia ci sono norme giuridiche, e soprattutto di costume, severe in ordine ai problemi penali e ai conflitti di interesse dei politici. Non possiamo prendere da un altro Paese un pezzo della normativa che ci piace e trascurare il resto. Allora diciamo che ci piace anche la legislazione sul conflitto di interessi che c’è negli Stati Uniti: importiamo pure quella? La realtà è che i sistemi vanno presi nel loro insieme. Ecco cosa intendevo dire parlando di contesto diverso da quello attuale.


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pensieri

Le vecchie appartenenze sono concetti superati, bisogna modernizzare un Paese rimasto fermo troppo a lungo

Né destra, né sinistra è l’era della responsabilità di Michele Gerace n bel giorno Socrate pone un interrogativo davvero bizzarro. Almeno per i tempi che corrono. «Che è la legge?» «Di che legge domandi?» replica cauto l’“Amico”e Socrate il paziente, a questo punto quasi piccato per la risposta a suo giudizio un po’ troppo evasiva dell’altro, continua: «E che? Forse che una legge differisce da un’altra in quanto è legge? Bada a quel che ti domando. La mia domanda è come se io volessi sapere cosa è l’oro; e se similmente tu mi domandassi di che oro ti parlo, io credo che tu non mi domanderesti bene. Perché niente differisce né l’oro dall’oro, né la pietra dalla

U

è detto che una legge sia perciò stesso una buona legge; una buona legge non può essere il frutto di suggestioni ideologiche né può essere emanata sulla scia di un’onda emotiva più o meno forte; una legge è buona se sostituisce alla barriera del comodo la frontiera dell’innovazione, della conservazione dei valori come del sano confronto tra maggioranza e opposizione. Il primo compito di un governo riformatore è quello di tratteggiare una prospettiva di sviluppo e di riforma politica moderata e quel tanto che basta radicale, economica ed istituzionale del nostro Belpaese. Un’idea probabilmente tra le

SOCRATE «Neppure la legge differisce dalla legge, ma son tutte la stessa cosa: infatti ciascuna di esse è legge nello stesso modo, non questa più o quella meno»

pietra, in quanto sono pietra e oro. Così neppure la legge differisce dalla legge, ma son tutte la stessa cosa: infatti ciascuna di esse è legge nello stesso modo, non questa più o quella meno. Ora io ti domando, in generale, che cosa è la legge: se dunque hai una risposta pronta, dilla».

Che poi la legge corrisponda a quel che è legittimo, come prova a rispondere l’“Amico”, non c’è dubbio. Ma cos’è che fa di una legge, una buona legge? Se si da uno sguardo a quel che sta avvenendo in quest’avvio di governo la risposta, di per sé non semplice, rischia di risultare banale e per questa ragione merita alcune premesse: per quanto tecnicamente o proceduralmente corretta non

più classiche per un Paese che punta a crescere e che non può essere ridotta o adattata a schemi di sinistra, di destra o di centro. Occorre un grande disegno di modernità. Modernizzare significa smettere di navigare a vista, senza lasciarsi prendere da facili atteggiamenti demagogici, per riprendere a disegnare una rotta da poter seguire per preparare e prepararsi al cambiamento. L’Italia ha bisogno di una rivoluzione liberale estremamente pragmatica che, coniugando l’esigenze di uno stato più equo e leggero, attraverso la predisposizione di progetti seri, tecnicamente complessi e responsabili, sia in grado tanto di promuovere politiche innovative, quanto di conservare quel che c’è di

buono preferendo al consenso di breve periodo, il bene collettivo.

Modernizzare vuol dire saper fornire una nuova prospettiva di sviluppo. Ecco allora che non deve sembrar strano come la costruzione dell’Europa costituisca oltre che una priorità assoluta la condicio sine qua non per lo svolgimento di qualsivoglia ipotesi di lavoro. Per questo è fondamentale che il processo di ratifica del Trattato di Lisbona deve proseguire e posto che è indispensabile ragionare in termini di riforma strutturale del sistema non si può non considerare la titolarità dell’Unione europea

eventuali divergenze per mantenere un adeguato livello di compatibilità e aderenza tra i due piani. Oltremodo in democrazia, più di preciso nel concreto svolgersi della democrazia in Italia, non si può prescindere dal ruolo giocato dai partiti politici, da una maggioranza ed una opposizione, dalle indicazioni geografiche di “sinistra” e di “destra”.

Scriveva a proposito Bobbio che «l’albero delle ideologie è sempre verde» volendo con ciò esprimere l’impossibilità di affermare con troppa facilità la crisi delle ideologie. Una cosa però è certa: gli attuali contra-

sultato di continuare ad alimentare una politica che vede come unici campioni del quotidiano coloro che hanno più voce e fiato per urlare. La distinzione tra “sinistra” e “destra”non è poi così utile per la costruzione di un grande disegno di modernità. E non lo è perché la presa di posizione facile e a tutti i costi non aiuta quando ci si trova davanti a problemi che sottendono questioni indisponibili a logiche di appartenenza. In tal senso potremmo iniziare a parlare di superamento delle ideologie. Solo pensando a costruire una nuova Italia fondata sulla gestione responsabile, magari a volte impopolare, della res pu-

NORBERTO BOBBIO

SILVIO BERLUSCONI

«L’albero delle ideologie è sempre verde»: cioè non si può affermare con troppa facilità la crisi delle ideologie

Modernizzare significa smettere di navigare a vista, senza lasciarsi prendere da facili atteggiamenti demagogici

in ordine alle principali misure ed azioni di carattere strutturale da adottare e da attuare all’interno dell’Italia come degli altri Stati membri. In breve più ci si occuperà di Europa, più ci si occuperà di Italia. Con ogni probabilità non c’è bisogno di inventare nulla: con l’“agenda di Lisbona” si è avviato in Europa, non senza qualche difficoltà, un nuovo processo di crescita fondato sulla società della conoscenza. È in giorni come questi che si devono analizzare in modo continuo e attento la realtà economica e sociale nel suo costante evolversi in relazione alla mappa dei valori fondamentali nella loro applicazione pratica, affinché, come presupposto per un lavoro legislativo, si possano rilevare le

sti tra “sinistra” e “destra” non sono più gli stessi di quando nacque la distinzione. La realtà è decisamente molto più complessa, e se diamo poi per presupposta l’esistenza di gruppi d’opinione e di interesse tra loro sovente in contrapposizione, il quadro diviene ancora più articolato finanche quando sul tavolo delle trattative ci sono questioni di vitale importanza per il Paese, oggi più di ieri, quali sono il welfare, l’occupazione, la ricerca e l’università, l’ambiente e l’energia, le liberalizzazioni, la sicurezza e l’immigrazione. Troppo spesso le istituzioni più che essere un luogo di decisione divengono una camera di compensazione che registra i diversi e mutevoli rapporti tra le segreterie di partito con il ri-

blica si può credere, in una prima e buona approssimazione, di soffiare sulla fiammella del cambiamento per alimentare la crescita e la modernizzazione del Paese.

Ecco che la risposta alla domanda di Socrate diviene fisiologica: la legge giusta e buona è quella legge che tiene conto di tutte le circostanze finora annotate seppur brevemente. Già perché, per quel che ci riguarda, per l’altezza, l’importanza e l’emergente necessità di un progetto di modernità serio fondato su una società della conoscenza, delle possibilità e del merito, anche un albero, che cade in una foresta dove nessuno lo può sentire, finisce per far rumore.


& un lungo terremoto politico-economico quello che da due anni fa tremare l’Umbria, regione simbolo della sinistra italiana, luogo d’elaborazione, complice anche una cornice naturale suggestiva, dei più frustri miti del buon governo e dell’efficienza delle amministrazioni rosse. La nuova inchiesta di questi giorni che ha scoperchiato un giro di tangenti che vede coinvolta la Provincia di Perugia non racconta fasti di buongoverno, dice di una rete amministartiva altamente corrotta, dove decine di dipendenti della provincia favorivano sistematicamente imprenditori locali nel campo dei lavori pubblici ottenendo in cambio contropartite in denaro e prebende. Risultato: venticinque avvisi di garanzia che piovono su funzionari provinciali, dirigenti, imprenditori e sulla testa di un assessore della viabilità del Pd. Provvedimenti che contengono ipotesi di reati gravi: corruzione, cncussione, associazione per delinquere.

È

Ma non sarà questa nuova inchiesta a rompere il quadro idilliaco che una rodata letteratura edificante aveva disegnato per decenni: semplicemente perchè l’oleografia dell’Umbria naturalisticamente verde e politicamente rossa, della regione del buon vivere e del buon amministrare, è andata in schegge ormai da anni. Da quando cioè un’inchiesta della Guardia di Finanza del maggio 2006 mette a nudo un giro di fatture false per nove milioni di euro emesse dall’imprenditore edile Leonardo Giombini, il costruttore delle più grandi Ipercoop della regione. Una vicenda con forti risvolti politici che emergono anche dalle dichiarazioni di un complice di Giombini che nella sua deposizione ha espressamente parlato dell’utilizzo di quel denaro per pagare tangenti al potere politico. Un brutto affare, ancora aperto e gravido di soprese visto che l’inchiesta, intanto trasferitasi a Roma, è ancora in corso. Un’inchiesta pesante che vede coinvolto un centro di potere notevolissimo come quello delle ipercoop e che viene ripresa con evidenza, dopo poche settimane dal suo avvio, anche dai grandi giornali nazionali. Il potere umbro, abituato a un’indisturbata clausura mediatica reagisce da subito con nervosismo e parla di un attacco proditorio al buon nome della Regione. Tanto che nel giugno del 2006 viene convocato d’urgenza il Consiglio regionale con l’intento, da parte della maggioranza, di parare il colpo. Si tenta di coinvolgere nella retorica del patriotismo regionale la stessa opposizione, si chiede «una doverosa difesa dell’Umbria». «Le istituzioni e le forze politiche, dichiara la maggioranza, non si devono sostituire alla magistratura, ma è loro compito difendere l’immagine della regione. Si spera che anche l’opposizione vorrà fare la sua parte». La segreteria regionale dei Ds – Il Pd deve ancora nascere – mette ancora più in chiaro le cose: «In Umbria non c’è un sistema dell’informazione che tende a nascondere, non c’è un sistema politico colluso con quello economico, non c’è una magistratura immobile. Il sistema umbro è caratterizzato

parole

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Nella regione scandali a go go. L’ultimo riguarda le tangenti per gli appalti

L’Umbria dice addio al mito del buongoverno di Riccardo Paradisi

da una sua specificità fatta di serietà, impegno e trasparenza». Passa un mese, siamo nel luglio del 2006, che la magistratura rinvia a giudizio per lo scandalo rifiuti di Orvieto, alti dirigenti e politici della Regione. Tra gli altri l’ex assessore regionale all’ambiente e vice presidente della giunta regionale Danilo Monelli di Rifondazione comunista, l’ex sindaco di Orvieto Stefano Cimicchi (Ds), e il socialista Mario Valentini, sindaco di Perugia negli anni Novanta e dirigente del V servizio presso la direzione regionale politiche territoriali ambiente e infrastrutture della regione Umbria. Su di loro grava un’accusa molto pesante: aver gestito lo smaltimento di ri-

tire quotidianamente con gravi danni alla regione Umbria. Un aspetto questo ammesso anche dalla presidente della regione Maria Rita Lorenzetti in una nota all’allora capo della protezione civile Guido Bertolaso: «Nella discarica di Orvieto erano stati smaltiti ingenti quantitativi di rifiuti anche in misura superiore a quella prevista dagli accordi». Ma sono anni tremendi per l’Umbria. E il 2006 è particolarmente critico: dopo il caso Giombini e il traffico illecito di immondizia esplode anche quello del disavanzo in bilancio del comune di Perugia. Si parla di un buco di 18 milioni di euro su un bilancio complessivo di poco più di 200milioni. Una voragine. E del resto i bilanci consuntivi dovevano essere approvati entro il 30 giugno 2006, scadenza che invece viene abbondantemente sforata. Anche perché il dirigente dell’ufficio bilancio si rifiutata di firmare il consuntivo, non convinta della sua regolarità. Sollevata e trasferita ad altro incarico la dirigente riottosa il sindaco di Perugia Renato Locchi affida il consuntivo a funzionari di sua stretta fiducia che lo portano in giunta e in commissione bilancio ai primi di settembre. Ma i conti continuano a non tornare. Nel bilancio uffi-

Gli ultimi due anni sono stati segnati da continue inchieste sul malaffre politico economico. Il prossimo anno a Perugia si vota. Qualcosa potrebbe cambiare fiuti anche pericolosi in un regime di collusione con la camorra. Eludendo la normativa antimafia infatti i rifiuti sarebbero arrivati a Orvieto, in Umbria, dal napoletano da società in subappalto segnalate dalla prefettura di Napoli come controllate da un appartenente al clan Mallardo-D’Alterio. Omissioni infine ci sarebbero state e gravi, anche sulle quantità di immondizia da smal-

ciale infatti risulta un disavanzo finanziario di 3 milioni 800mila euro ma nella stessa delibera il disavanzo economico risulta essere di 15 milioni e 100 mila euro. Una forchetta di 12 milioni di euro che la maggioranza non riesce a giustificare se non parlando genericamente di “slittamenti”.

L’opposizione invece parla di “finanza creativa”e chiede l’intervento della Corte dei conti. Che a due anni di distanza, due mesi fa, fa sapere di avere accertato ulteriori irregolarità e un disavanzo reale in bilancio di oltre venti milioni di euro. Il buongoverno appunto. A giugno del 2009 a Perugia si vota. E stavolta, dicono gli osservatori cittadini, qualcosa potrebbe cambiare. Il monolitico potere della sinistra ex Pci non è rimasto immune da questo fuoco di fila che gli si è abbattuto addosso. E così mentre il centrodestra pensa di puntare stavolta su una candidatura forte come l’ex ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani anche a sinistra qualcosa si muove. Area critica e liste civiche, protagoniste nella Regione di battaglie molto dure sulla trasparenza, presentano come candidato sindaco il portavoce del comitato referendario Claudio Abiuso. Che nel 2004 aveva raccolto in due mesi 14mila firme per dimezzare i mega stipendi dei consiglieri regionali. Un referendum di cui è sempre stata impedita la celebrazione.


mondo

pagina 10 • 19 giugno 2008

Israele. Il salto qualitativo nelle relazioni bilaterali con la Ue è un vantaggio per Olmert, ma il patto con Hamas è una trappola

Una vittoria a Bruxelles una sconfitta a Gaza di Emanuele Ottolenghi

Foto in alto, Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano e lo sloveno Dimitrij Rupel, che guida il semestre Ue, dopo l’accordo di martedì. Foto grande, palestinesi a sud di Gaza attorno al relitto di una macchina centrata da un missile israeliano il 17 giugno

ello spazio di tre giorni, Israele ha firmato un accordo preliminare per migliorare l’associazione con l’Unione Europea, e accettato i termini della tregua a Gaza, grazie alla mediazione dell’Egitto tra Israele e Hamas. Sarebbe facile interpretare l’uno (la tregua) come il risultato della debolezza israeliana e l’altro come il risultato del desiderio dell’Europa di imporre a Israele un proprio ruolo all’interno del contesto mediorientale in cambio di migliorati rapporti commerciali. La realtà, almeno per quanto riguarda l’accordo con l’Europa, è ben diversa. Si tratta qui di un accordo che comporta un salto qualitativo nelle relazioni bilaterali e che deriva da una ferma volontà dell’Europa nel suo insieme – tutti i 27 membri hanno votato a favore – di rafforzare gli scambi e la cooperazione con Israele a cagione dei vantaggi che ne derivano.

N

Esistevano delle evidenti sfumature nelle posizioni di alcuni dei 27 membri, con alcuni Paesi mediterranei quali Cipro, la Grecia e Malta, insieme alla Svezia, più restii di altri a offrire un miglioramento dei rapporti senza un vincolo di condizionalità di qualche tipo con il progresso negli accordi di pace con i palestinesi. Ma la volontà congiunta era comunque che un qualche tipo di accordo fosse raggiunto e che le aree di cooperazione andassero sia ampliate che approfondite. Alla fine, tra l’altro, i tentativi di sabotaggio dell’accordo – provenienti dagli sforzi delle diplomazie palestinesi

ed egiziane e dalla rumorosa pattuglia filo palestinese nel parlamento europeo – sono naufragati per il semplice fatto che essi si opponevano all’essenza dell’accordo, non tanto alle sue contingenze. E su questo senza dubbio gli oppositori si sono trovati senza alleati in Europa.

Perché l’Europa voglia migliorare i rapporti con Israele e perché Israele condivida questo desiderio dovrebbe essere evidente. Israele, nonostante gli otto anni di conflitto passati, è una delle economie più floride e in rapida espansione del mondo. Attira uno dei più alti quantitativi di investimenti stranieri in assoluto, essendo seconda solo a Paesi come la Cina e l’India.

tegiche condivise – dall’Iran al radicalismo islamico, dall’instabilità della regione alla mancanza di democrazia in Medio Oriente. Non sorprende quindi che la firma sia avvenuta e che essa sia il preludio di moltissimi miglioramenti di rapporti già esistenti – da un futuro accordo per i cieli aperti, al turismo, al commercio, agli investimenti nel settore della nanotecnologia e via dicendo.

economica, la rafforza rispetto al presidente palestinese Abu Mazen, con cui Israele sta negoziando. Per altro, la tregua potrebbe permettere a Israele di avanzare nel negoziato per la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano preso in ostaggio da Hamas due anni fa – cosa che da un punto di vista simbolico è fondamentale per l’opinione pubblica israeliana.

Diverso il discorso sulla tregua di Gaza, dove Israele e l’Europa non necessariamente s’intendono. L’Europa ha applaudito l’accordo, senza rendersi conto che è Hamas a uscirne rafforzata, non Israele e certamente non il presidente palestinese, Abu Mazen. Per Israele non ci sono buone soluzioni per Gaza. Un intervento militare su larga scala incorrerebbe prima o poi nella condanna politica della comunità internazionale, cui l’Europa non potrebbe sottrarsi. Ma una tregua può rivelarsi controproducente per molti motivi: primo, perché Hamas può cercare di sfruttarla per ricostituire e migliorare le proprie forze continuando a contrabbandare armi lungo il confine con l’Egitto; secondo, perché Hamas può pretendere di non essere responsabile di violazioni della tregua, incolpando gruppuscoli che alla tregua non hanno aderito; e terzo, perché la possibile legittimità che Hamas guadagna dall’allentamento della pressione

Se la tregua verrà spezzata e Hamas negherà ogni responsabilità, Israele si troverà in una difficile posizione, ma a seconda dei risultati fino a quel punto ottenuti Israele potrà valutare se sfruttare la provocazione – e questo dipenderà dai danni che essa potrebbe procurare – per ribaltare la propria politica. Nel frattempo, la tranquillità gioca più a favore di Hamas. Intanto perché il monitoraggio del confine rimarrà comunque dipendente dal suo beneplacito. Poi perché se la tregua tiene, Israele dovrà estenderla alla Cisgiordania – dando il merito di un cessate il fuoco anche lì ad Hamas, non ad Abu Mazen. L’accordo, insomma, rafforza Hamas e rischia di danneggiare proprio quelle forze politiche sostenute anche dall’Europa con cui Israele sta negoziando un accordo di lungo periodo. Del resto, si può presumere che un’operazione militare a Gaza avrebbe reso insostenibile ogni tipo di negoziato e forse le settimane e i mesi di calma guadagnati al prezzo delle concessioni fatte a Hamas offriranno una copertura a Israele e Abu Mazen per concludere un accordo.

La tregua è stata applaudita senza capire che rafforza Hamas, non Israele e certamente non il presidente palestinese Abu Mazen. Non ci sono buone soluzioni per Gaza La produzione scientifica si riflette non soltanto in un settore dell’alta tecnologia molto innovativo e quindi attraente per gli investitori, ma anche nel settore della ricerca universitaria, cosa che fa delle università israeliane attraenti partner. Israele offre all’Europa anche un importante know-how nel settore della difesa e della sicurezza, oltre che essere un partner importante in sfide comuni – dalla lotta al riciclaggio del denaro e al crimine organizzato a quella contro il traffico umano e il contrabbando – e in preoccupazioni stra-


mondo

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Mentre Mosca chiude l’inchiesta Politkovskaja, uno stillicidio di attentati “mirati” colpisce il Caucaso

Non c’è pace per la Cecenia di Francesco Cannatà

d i a r i o Nell’ottobre 2006 Anna Politkovskaja veniva uccisa. Recentemente si è avuta certezza che il suo assassino è riuscito a sfuggire al mandato di cattura trasmesso all’Interpol dalla procura russa. Nella foto Gorbachev con il libro A che scopo dedicato alla giornalista che indagava sulla sorte dei civili nella guerra cecena

morta invano Anna Politkovskaja? Nel giorno in cui la procura russa chiude le indagini sull’omicidio della giornalista russa, il bilancio è desolante. Il suo assassino, Ibrahim Makhmudov, è uccel di bosco all’estero mentre il Caucaso russo sembra sprofondare in un conflitto. Nella regione che Anna monitorava le vittime si moltiplicano. Lunedì scorso a Nasran è morto Tembulat Bogolov. Il 29enne poliziotto è stato finito nella notte in una clinica della capitale dell’Inguscezia, nel Caucaso russo. Qualche giorno prima, il 1 giugno, era stata la volta del parlamentare Murat Akbajev ucciso da una scarica di mitra mentre nella vicina Karacajevo-Cerkessia, si trovava alla guida della sua auto.Venerdì notte nel sud-est della Cecenia, organizzazioni paramilitari ribelli hanno attaccato il villaggio di Benoi-Vedeno prendendo in ostaggio per alcune ore 60 militari federali. Due giorni fa nella parte meridionale della repubblica, guerriglieri hanno attaccato il veicolo blindato del ministro della Difesa di Grozny.

È

Il politico e la scorta sono riusciti a salvarsi mentre una donna è rimasta ferita. Qualche ora prima un gruppo di combattenti aveva teso un agguato a un convoglio di guardie di frontiera uccidendo tre militari e ferendone sei. Ma il colpo più grosso è avvenuto il 22 maggio. Quel giorno il capo dei servizi russi di controspionaggio, è stato ucciso a Grozny in pieno giorno. Un colpo alla testa mentre faceva la spesa in un mercato della città. Questo rosario di morte è solo una piccola scelta degli annunci fune-

In una delle regioni più militarizzate del mondo,nei primi cinque mesi del 2008 ci sono stati 167 morti e 229 feriti bri che provengono da quel caos in ebollizione che è il sud della Russia. Una regione, dove, a nove anni dall’inizio del secondo conflitto ceceno, la guerriglia rischia di dilagare. Ufficialmente in Cecenia regna la pace e niente minaccia la serena ricostruzione della repubblica. Questo è quanto afferma il presidente ceceno. Kadyrov non mente. Intere zone di Grozny stanno tornando alla bellezza d’ante guerra. Lontano dalla capitale però la battaglia prosegue. «Il numero di soldati e forze dell’ordine uccisi in Cecenia, è superiore a quello dei ribelli», ha scritto la Nezavissimaja Gazeta. Frasi così sui media russi si moltiplicano. Per Memorial, l’organizzazione per i diritti umani, nel Caucaso, nei primi cinque mesi del 2008 tra militari, ribelli e civili ci sono stati 167 morti e 229 feriti. Questo ufficialmente. In realtà, poiché molti atti bellici non sono denunciati dalle autorità, le cifre sono più alte. Gli obiettivi dei ribelli non sono solo le unità cecene. Anche soldati russi e agenti dei servizi interni, militari e federali, vengono colpiti. Ma questi dati sono tenuti segreti dalle autorità centrali. Del resto i ribelli non colpiscono solo la Cecenia.

La guerra coinvolge anche le repubbliche vicine. I nuovi punti caldi sono Inguscezia e Daghestan. Per i comandi russi il numero dei

guerriglieri non supera le 700 unità. «La popolazione locale sostiene i paramilitari o si mantiene neutrale, non si oppone e non li consegna all’esercito federale», ha ammesso un generale russo in un’intervista pubblicata dalla Frankfurter Rundschau. Per l’alto ufficiale di Mosca sono i giovani a formare il grosso delle truppe ribelli. Tutte le regioni del Caucaso russo sono povere. La disoccupazione è enorme e la corruzione un flagello. Trovare un posto nell’amministrazione pubblica, spesso sola forma di occupazione, costa migliaia di dollari. In Daghestan per poter frequentare la locale scuola di polizia occorre sborsare almeno 7mila dollari di mazzetta. Si tratta di cifre fornite dall’International crisis group in una relazione sul Daghestan. Invece di combattere la corruzione o finanziare lo sviluppo di queste regioni arretrate, il Cremlino risponde al conflitto con altre truppe. Tra polizia, esercito e servizi segreti nel 2006 nel nord Caucaso vi erano 1180 militari su 100mila abitanti. La regione è una delle più militarizzate del mondo. In questo suo sud a maggioranza islamica, Mosca invia uomini in uniforme che non hanno idea di cosa sia il Corano. La nuova guerra nel nord del Caucaso per ora è solo “tra le righe”. I media della regione evitano di parlarne direttamente. Come gli attacchi ai villaggi ceceni provano, i combattenti provengono spesso dalle repubbliche vicine e agiscono in clandestinità. A queste battaglie bisogna aggiungere la guerra sotterranea tra gruppi militari e dei servizi, divisi in Cecenia da rancori antichi. Ma saranno i civili le vere vittime dello stillicidio.

d e l

g i o r n o

Bush e McCain: sì a esplorazione offshore George Bush segue John McCain e chiede al Congresso di abolire la misura federale che dal 1982 vieta l’esplorazione petrolifera a largo delle coste americane. «Il presidente ha spiegato la sua portavoce Dana Perino crede che il Congresso non debba perdere altro tempo». Ed intende ora lavorare con gli Stati per determinare dove avviare le esplorazioni. Il governatore della Florida, il repubblicano Charlie Crist, ha già dato la sua adesione al progetto. Secco il no, invece, del governatore rep.Arnold Schwarzenegger, che in California ha fatto dell’ambientalismo la sua principale bandiera.

Immigrati, giro di vite della Ue Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva Ue sui rimpatri degli immigrati clandestini che prevede un giro di vite sulle espulsioni, con la possibilità di una detenzione fino a 18 mesi. Con 367 sì, 206 no e 109 astensioni, l’assemblea di Strasburgo ha dato il via libera al provvedimento. Ora la direttiva dovrà avere l’ultimo ok formale dai ministri dell’Interno e della Giustizia nella riunione di luglio e poi gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepirla nei loro ordinamenti nazionali. La direttiva prevede il ritorno volontario entro 7-30 giorni degli immigrati illegali; la durata della detenzione per un massimo di 6 mesi prorogabile fino a un totale di 18; il divieto di riammissione per 5 anni; il patrocinio legale gratuito agli immigrati privi di mezzi e una serie di garanzie per i minori.

Afghanistan/1. 23 talebani e 2 militari uccisi È di due soldati afgani e 23 militanti talebani - tra cui alcuni stranieri il bilancio dell’offensiva congiunta di forze afgane e Nato avviata per cacciare i militanti che recentemente hanno conquistato diversi villaggi nel sud dell’Afghanistan.Rapporti di intelligence dimostrerebbero che i militanti si stanno già ritrando dalle zone conquistate.

Afghanistan/2. Uccisi 4 britannici Quattro soldati britannici sono rimasti uccisi in un esplosione avvenuta contro la loro pattuglia nel sud dell’Afghanistan. Fra di loro anche una donna, la prima perdita femminile per la Gran Bretagna. Lo ha annunciato il ministero della Difesa britannico. Una nota di cordoglio anche dal presidente Karzai.

Usa ampliano base in Kirghizistan Manas è un grande aeroporto militare nel sud del Kirghizistan e rappresenta un importante avamposto nel nuovo “grande gioco” che vede impegnate le potenze mondiali nel tentativo di controllare l’Asia centrale, snodo cruciale delle vie dell’energia. Proprio per questo, gli Usa non hanno alcuna intenzione di privarsene, ma anzi vorrebbero espandere questa importante base militare che di fatto è l’aeroporto di sostegno alle operazioni in Afghanistan. Oggi George A. Krol, braccio destro della Rice, sarà a Bishkek per incontrare sia le autorità del Paese centro-asiatico, sia i leader di organizzazioni non governative e di partiti d’opposizione. Lo scopo centrale della visita sarebbe proprio la richiesta d’espansione di circa 300 ettari di Manas.

Austria, gaffe di Haider su criminale nazista Il criminale nazista e consorte a spasso con i tifosi croati? «Una famiglia simpatica». È il sorprendente commento del governatore della Carinzia, l’ultranazionalista Joerg Haider, dopo che l’ex ufficiale ustascia Milivoj Asner, ricercato da Zagabria per crimini di guerra, è stato sorpreso a festeggiare con i suoi connazionali per le strade di Klagenfurt malgrado l’Austria ne avesse negato l’estradizione in Croazia per motivi di salute. Asner, 95 anni, è ritenuto responsabile delle persecuzioni naziste degli ebrei e degli zingari in Croazia.


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speciale educazione anno della maturità fu un anno turbolento: la mia classe era divisa in due, i ragazzi “anarchici” dell’Oltretorrente pavese e le ragazze bene della città. Fui sospeso perché scagliai un calamaio contro l’insegnante di francese che derideva un mio compagno. Ma mi dovettero riammettere subito perché nel frattempo avevo vinto il concorso nazionale sulla figura di Garibaldi, indetto dalla figlia». Conseguita la maturità classica al liceo Romagnosi di Parma, a parlare è un ex studente fuori dal comune, capace a soli 21 anni di stregare Leonardo Sciascia, e a trenta di ottenere la fama internazionale con La Califfa e poi Questa specie d’amore. Un’adolescenza fuori dagli schemi, quella di Alberto Bevilacqua, difficile e sofferta, trascorsa in compagnia della nonna, perché il padre aviatore nella squadriglia di Balbo era spesso assente e la mamma ricoverata in una clinica psichiatrica. Passata a divorare i libri, sullo sfondo dell’«anima anarchica» di Parma, la città di Verdi e Toscanini, ricca di fervori intellettuali. «Quando vinsi il premio “Libera Stampa” per la poesia, quello per la narrativa era andato a Pratolini, e le ragazze iniziarono a guardarmi in modo diverso, a invitarmi alle loro cene. Fino ad allora mi avevano sempre ignorato». Qual era il suo rapporto con gli insegnanti? Mi divertivo a metterli in imbarazzo. Prima m’informavo, studiavo come un matto, poi chiedevo loro quanti erano gli uomini dell’esercito di Napoleone, ad esempio. Ma tra di loro, c’erano anche personaggi del calibro di Attilio Bertolucci e Cesare Zavattini.

«L’

Socrate

Rito di passaggio che segna l’ingresso nell’età adulta ma anche luogo dell’anima. L’esame di diploma é uno dei pochi caposaldi dell’attuale sistema scolastico. Nonostante le critiche resta intatto il fascino della…

NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI colloquio con Alberto Bevilacqua di Irene Trentin I suoi autori preferiti? Prediligevo autori stranieri come Thomas Hardy, Jean Paul Sartre, i poeti idealisti. Durante un viaggio a Parigi con lo zio Toni, ciclista, avevo scoperto Louis-Ferdinand Céline, che si era rinchiuso a scrivere nella casa di Meudon, perché accusato ingiustamente di collaborare con il regime di Vichy. Mi sono ispirato al suo Viaggio al termine della notte per comporre il mio Viaggio al principio del giorno. Poi c’era il mio rapporto con Pasolini, che mi aveva definito «un giovane poeta illuminato da un irrelato fantasma idillico». Per molto tempo non capii cosa avesse voluto dire. Quanto c’è di autobiografico nel suo romanzo Gli anni struggenti, in cui il protagonista affronta anche gli esami di maturità? In lui rivedo un po’ della mia adolescenza travagliata, il rap-

La maturità segna la nascita di una coscienza critica verso la vita e la cultura Come se la cavava in italiano? Il mio insegnante di lettere, Olimpio Febroni, mi capiva, aveva intuito che avevo del talento, anche se il nostro era un rapporto travagliato. Durante il tema d’italiano facevo delle scommesse con lui: gironzolavo per due ore e poi scrivevo tutto di getto. Naturalmente il compito andava bene. Alla fine della lezione, poi, si discuteva appassionatamente di letteratura.

porto difficile con i miei genitori. Gli esami sono la prima prova da superare per entrare nel mondo adulto. Marco finirà col diventare una sorta di confessionale per suo padre e sua madre, in un trait d’union che lo porterà a diventare genitore dei suoi stessi genitori. Com’è cambiata la maturità? La scuola per noi rappresentava un luogo vivo in cui confrontarsi, discutere, anche

scontrarsi duramente. Adesso sembra in preda a una sorta di gossip mediatico, alle circostanze immediate. Come si fa a parlare di maturità quando la legge dominante sembra quella del branco, anche quello femminile? Ma gli esami servono ancora a qualcosa? La maturità ha senso solo se recupera il proprio significato profondo, quello di favorire la nascita di una coscienza criti-

ca verso la vita e la cultura. Invece vedo sempre più spesso una maturità “corrotta”, incapace di generare dibattito, persone responsabili. I ragazzi non sono liberi di esprimersi, sono oppressi da una sorta di angoscia esistenziale. Si entra nell’età adulta se si è capaci di tornare a sperare. Quanto è anche responsabilità degli insegnanti? La professione dell’insegnante è diventata dura, addirittura

pericolosa. Si devono spesso assumere anche le responsabilità dei genitori. Rischiano di farsi scappare tutto di mano, sono diventati ricattabili. In che cosa dovrebbe consistere la maturità? Dovrebbe diventare una grande inchiesta condotta dai ragazzi stessi, in cui sono liberi di esprimersi e raccontarci chi sono, i loro dubbi, le loro angosce. Dovrebbero essere loro a dirci che cosa significa di-


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Ridiscutere le prove attuali, abolire i quiz

Tante croci e poca delizia di Alfonso Piscitelli

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na delle più esilaranti descrizioni dell’esame di stato la diede Giovannino Guareschi in un racconto veloce poi inserito nel Corrierino delle famiglie. L’autore ricorda come il sogno della maturità lo abbia seguito per tutta la vita, riportandolo secondo scadenze misteriose a quel fatale momento che intorno ai diciotto anni rappresentò il primo esame della vita in grande stile. Sul ricorrere onirico della vicenda della maturità gli psicologi hanno scritto libri.Vero è che fino a qualche anno fa l’esame di maturità, insieme alla prima sigaretta, al servizio militare e al primo incontro rappresentava una vera e propria iniziazione alla vita. Ne aveva la solennità, l’imprevedibilità e la caratteristica di marcare nettamente un prima e un dopo. Oggi le iniziazioni vere alla vita hanno perso il loro effetto determinante, e probabilmente il dilagare delle immaturità caratteriali ne è la conseguenza. Ma la “maturità”, forse per burocrazia, forse per retorica, continua ad esibire le sue prove.

ventare maturi e quando lo si diventa. Un esame basato sulle nozioni è del tutto inutile. Se si è assimilato veramente, lo si vede dalla capacità di esprimersi, di relazionarsi. La maturità diventerebbe così una grande Odissea, raccontata da tanti giovani Ulisse alla continua ricerca di sé e del significato della vita. Che consiglio gli darebbe? Di riprendere la propria vita in mano, non farsi frenare dal-

le paure, buttarsi nel presente a capofitto. Con due capisaldi: avere fiducia in sé e sperare nel futuro. Ma lei in questi ragazzi ci crede? Ricevo centinaia di lettere da loro. Magari non sempre ci sarà classe poetica, spesso però c’è molto talento. Mi raccontano i loro sogni, dubbi, speranze. Sono pieni di valori validissimi. E sono sempre storie bellissime.

Non vorremmo essere sprezzanti e ricorrere al solito paragone tra la severità dei tempi antichi e l’attuale decadimento della pratica. Per due motivi: in primo luogo, la severità dell’esame è un ricordo che si perde tra pagine ingiallite di registri di quarantacinque anni fa. Già negli anni Ottanta la serietà dell’esame era compromessa da una formula che prevedeva il colloquio incentrato su due sole materie (una scelta ufficialmente dal candidato, l’altra scelta ugualmente dal candidato con la compiacenza della commissione). Da questo punto di vista, negli ultimi anni vi è stato un recupero di rigore: la commissione esaminatrice è giustamente composta da un equilibrato “fifty-fifty” di membri interni ed esterni; il colloquio, pur non riuscendo ad abbracciare tutte le materie del curriculum di studi, quanto meno verte sulle discipline insegnate dai docenti fisicamente presenti. Non è lecito minimizzare la prova dell’esame di stato anche per una ragione psicologica: i ragazzi l’avvertono come importante, significativa. Anche quelli che per cinque anni hanno evitato ogni impegno, hanno irriso ogni richiamo, alla fine del mese di maggio cominciano a preoccuparsi di fronte all’incombenza di un evento che per la prima volta li proietta al di fuori degli schemi consueti di lezione/interrogazione. L’Esame di Stato, conserva il suo carattere significativo, anche solo a livello psicologico. In realtà, dovrebbe guadagnare punti pure nella sua efficacia. A tal fine occorre riconsiderarne le prove. Prendiamo la prima prova scritta: in principio era il tema d’Italiano. Croce e delizia del sistema scolastico nazionale: i tradizionalisti ne elogiavano l’impianto classicista, i riformatori ne contestavano la verbosità e l’incitamento alla retorica. In verità il tema di Italiano era una

sorta di “autobiografia della nazione”: nella sua impostazione esso rifletteva la tendenza di un popolo di avvocati, preti, umanisti e politici che usavano spesso la parola come succedaneo dell’azione, e credevano nella capacità di risolvere i problemi con un giro di frasi sintatticamente ben articolato. Ora il tema di Italiano è stato sostituito da una prima prova variegata fino al limite del barocco: il candidato può scegliere tra il commento analitico di un testo letterario, lo sviluppo di un argomento “storico-politico”,“socio-economico”(…) , la trattazione di tematiche generali. Richiamare gli alunni a usare linguaggi specifici, sollecitarli a compiere analisi testuali di per sé non è un male, tuttavia il difetto maggiore della attuale impostazione della prima prova consiste nel volume davvero esorbitante di documenti che viene allegato alla traccia. Ogni traccia è seguita da un corredo così ampio di citazioni, tali da produrre due effetti: uno più negativo dell’altro. Lo studente a corto di argomenti, con un minimo di furbizia risolve la trattazione della traccia semplicemente facendo un collage delle citazioni, usando sinonimi delle parole usate nei brani, gonfiando i contenuti già suggeriti dalla traccia. Fatto ancor più grave, tale formulazione barocca della traccia limita la libertà di espressione, anzi elimina la creatività del pensiero. Diciamolo apertamente: le tracce per come sono imposte non spingono lo studente ad elaborare un pensiero autonomo, ma graziosamente gliene suggeriscono uno preconfezionato dal ministero. Dopo una citazione di Bobbio, Spadolini e Sartori, nello stress del momento, in che modo volete che l’alunno si ponga in modo critico? Egli si limiterà a citare e a chiosare i Venerabili Maestri della repubblica…

Proposta: conserviamo la varietà delle tipologie della prima prova, ma riduciamo drasticamente questa parata di citazioni. Il compito non deve essere fatto né da Bobbio, né da alcuna altra mummia repubblicana. È lo studente che deve esprimere le proprie idee – se ne possiede – e ha il diritto di non essere imbeccato/instradato in alcun modo: la sua espressione di pensiero (anche la più strampalata e sgrammaticata) vale più di qualsiasi chiosa a un pensierone di Umberto Eco. Sarebbe invece da abolire in toto la terza prova, innanzitutto per il carattere umiliante delle risposte con le crocette. È vergognoso che una scuola superiore adotti il criterio di valutazione di un quiz di Gerry Scotti. Sono vacui al riguardo i riferimenti alla oggettività e alla scientificità della valutazione. Il sistema delle domande a risposta multipla, con l’apposizione di una crocetta (dopo rapida consultazione tra vicini di banco…) è un meccanismo che ha la sua dignità e il suo rigore in un esame di patente automobilistica, ma all’interno della scuola può solo essere considerato segno di degrado estremo: al pari della professoressa che si fa palpare in classe, al pari dei bulli che bruciano i capelli della vittima. La terza prova inoltre, come zibaldone che salta da una materia all’altra spesso senza un filo conduttore, rappresenta un chiaro esempio di ciò che è anti-didattico: gli studenti (soprattutto quelli bravi, che ci tengono ad esprimere le proprie competenze) ne escono disorientati e frastornati. Abolire.


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speciale educazione

Socrate

Per tutti è l’archetipo della paura di fallire e dell’ansia di sbagliare: i consigli per viverla al meglio

Incubo di una sera d’estate di Paolo Fuligni ensiamo a quanta gente continua a sognarselo, l’esame di maturità. Adulti, ormai laureati e forse già genitori, che – venti o trenta anni dopo – continuano a sognare di sostenere “la maturità”, come più brevemente e popolarmente si dice. Un sogno ricorrente, spesso terribilmente “vero”, ricco di dettaglio di ambienti e di persone e – soprattutto – carico di angoscia. Capita quando ci si trova ad affrontare nuove prove della vita, quando ci si sente, in qualche modo impreparati e insicuri davanti ad una condizione esistenziale nuova e, come tale, ancora sconosciuta. E non importa quanti altri esami hai affrontato dopo quella prima, severa prova alla fine delle scuole superiori. Quella, sopra ogni altra, si annida nella mente e diventa archetipo della paura di fallire e dell’ansia di giudizio: “la maturità”. C’è chi teme di più gli scritti, chi invece gli orali. Di solito sono gli studenti un po’ timidi – ancorché magari ben preparati – a soffrire maggiormente il faccia a faccia con la commissione; quelli più disinibiti e sicuri di sé – che probabilmente studiano un po’meno – temono maggiormente gli scritti, prove più concrete ed oggettive davanti alle quali a nulla servono disinvoltura e parlantina.

P

In realtà non sarebbe un esame poi così difficile o selettivo; non richiede sicuramente doti particolari o impegno eroico e non c’è nessuno che non sia in grado – con un po’ di lavoro – di superarlo. Sem-

plicemente è ancora, malgrado il nome, una prova eminentemente nozionistica. È un male nostrano il nozionismo, un vizio antico del nostro Paese; e per quanto tutti dicano di volerlo combattere, sopravvive implacabile ad ogni tentativo di riforma. Dall’antica “maturità” con tutte le materie – tutti gli scritti e tutti gli orali! – a quella successiva con la materia a scelta e quella sorteggiata, fino all’odierno esame con le tre prove scritte e la tesina, pare sempre che la memoria debba prevalere sul ragionamento e la teoria – anche quella più eterea ed aneddotica – sul concreto “saper fare”. Continuiamo ad imporre ai ragazzi del 2008 la lista dei mini-

rajevo. Così come difficilmente alle superiori si imparerà una lingua straniera; parlare e scrivere in un’altra lingua, non solo conoscerne a memoria la grammatica e la letteratura.

Ammettiamolo, studiare resta – nella scuola e nelle famiglie – un agire moralmente connotato, una virtù, un valore. La “volontà”, il numero di ore dedicate allo studio e il volume degli apprendimenti ri-

Studiare meno, studiare meglio: imperano programmi stantii e troppo nozionismo

Giorgio Faletti, prof terribile in Notte prima degli esami

steri del Regno d’Italia – tutti quei vecchi signori, Rattazzi, Ricasoli, Minghetti, Sella – e non arriviamo mai – fatte salve le lodevoli eccezioni – a parlar loro della guerra fredda, della minaccia nucleare, del ’68 e degli anni di piombo. Né mai capiranno, a scuola, come diavolo è nato quel conflitto tra Israele e i Palestinesi che ancora insanguina – 60 anni dopo – il Medio Oriente, o magari perché mai le guerre cominciano sempre a Sa-

mangono i parametri principali su cui valutare il rendimento di uno studente; meno – molto meno – ci interessa che questo studente sappia realmente “operare”, con la propria intelligenza, su ciò che ha appreso e che sappia, di conseguenza, servirsene. Quale enorme beneficio verrebbe ai giovani e alla società da una energica e coraggiosa sforbiciata ai programmi, da un radicale “svecchiamento” della mole di no-

zioni. “Studiare meno, studiare meglio”:questo forse potrebbe essere lo slogan per gli esami degli anni a venire. Ma per quello in corso i giochi son già fatti e sono già iniziate le prove scritte; che dire a tutti questi giovani preoccupati e ansiosi? Innanzi tutto che l’ansia, prima e durante un esame, non è solo disagio o inconveniente; l’ansia è essenzialmente uno strumento capace di metter le ali ai processi di pensiero, rendere più veloci i collegamenti – la capacità associativa – tra un dato e l’altro, ottimizzare la memoria e il linguaggio. È l’eccesso di ansia che blocca o penalizza la prestazione e questo, appunto,

LETTERA DA UN PROFESSORE

PROF DI STATO, MISTICA DEL GIUDIZIO di Giancristiano Desiderio utti sono d’accordo che i professori vadano valutati, tutti sono divisi su come valutarli. I presidi vorrebbero un giudizio interno affidato agli studenti, alle famiglie e agli stessi capi d’istituto. Il ministero ritiene valida l’idea dell’ex ministro Luigi Berlinguer: tre categorie a seconda del livello di preparazione e differenze in busta paga. C’è chi vorrebbe criteri oggettivi come la frequenza di corsi di aggiornamento. Insomma, ognuno ha una sua idea, anche in relazione all’interesse che rappresenta o tutela. Ma qui l’unico interessa che può contare è quello della scuola: avere professori preparati e capaci e valutabili è interesse della scuola. Diciamolo subito: la valutazione del lavo-

T

ro dell’insegnamento è in conflitto con lo status giuridico attuale dei professori. Se non si cambia questo status giuridico non ci sarà mai una vera valutazione dell’insegnamento che inevitabilmente è legata alla libera scelta di chi giudica e sceglie e di chi si fa giudicare ed è scelto. In poche parole, i professori non possono più essere dipendenti statali ma devono diventare liberi professionisti o, con parole più belle, liberi docenti. Altra strada non c’è. Dal momento che il docente è un dipendente del ministero serve un criterio oggettivo e universale che ne valuti i risultati. Ma per sforzi che voi facciate non troverete mai questo criterio oggettivo che è una chimera o un’araba fenice. Ma se

la scuola è valutata dai risultati e dalla qualità futura dei suoi alunni, la scuola non può non avere il diritto di scegliersi i professori che ritiene validi. A loro volta i professori, consapevoli del loro valore, della loro preparazione e della capacità creativa del loro lavoro di insegnamento (perché questo lavoro implica, come ben sapeva Hegel, un talento) avranno tutto il diritto di richiedere dei compensi adeguati al loro valore. Così avviene, ad esempio, in Gran Bretagna: contrattazione libera delle scuole che possono pagare di più i professori più bravi. Quando si parla di valutazione si parla di queste cose, oppure è meglio lasciar perdere.

dobbiamo cercare di evitare. Vediamo come: lo sforzo di incamerare nuovi dati, di memorizzare nuovi argomenti dovrebbe essere ristretto al minimo indispensabile. È tardi per imparare cose nuove; conviene invece cercare di mettere in ordine quelle già studiate, di realizzare il massimo collegamento possibile tra un argomento e l’altro. La memoria si fonda sulla logica e sulla coerenza - concatenazione - delle diverse informazioni. Ingombranti elenchi di dati, letti e riletti ripetutamente, generano facilmente confusione e disordine. Meglio fare intelligentemente una selezione, scegliere cosa studiare con più cura e cosa deliberatamente trascurare. Molto utile visualizzare i dati organizzandoli graficamente in semplici schemi, sintetici ed evidenti. La tecnica è assai facile: schemi a blocchi, scalette, diagrammi, formule, scritti in grossi e chiari caratteri su grandi fogli bianchi; la memoria visiva è strumento tanto veloce ed economico, quanto efficace. Ricorrendo alla tecnologia, può essere utilizzato similmente anche il computer ; chi ha qualche difficoltà nell’esporre e teme di confondersi agli orali, può validamente servirsi del proprio pc realizzando delle buone presentazioni in power-point. Con le modalità tipiche delle relazioni ai congressi, si possono realizzare “slides” vivaci e colorate che sviluppino un argomento alternando definizioni, immagini, elenchi puntati, tabelle. Poi ci si eserciterà a parlare facendo scorrere le diapositive una dopo l’altra e commentandole; la memorizzazione risulterà molto più stabile e l’eloquio, progressivamente, più sicuro e scorrevole. Con questo allenamento si impara anche a essere più efficaci e più incisivi nei confronti dell’interlocutore; l’atteggiamento verso l’esaminatore deve essere corretto, sì, ma anche assai determinato. Determinato a parlare di ciò che meglio si conosce e a dire quante più cose possibili in proposito, a occupare a proprio vantaggio il tempo dell’interrogazione e a limitare al minimo indispensabile il numero delle domande. In altri termini, quando vi danno la parola tentate di tenerla il più a lungo possibile passando – intelligentemente – da un argomento ad un altro, fronteggiando la commissione e cercando di non farvi interrompere. Come si suol dire: “chi si fa agnello, il lupo se lo mangia”; e dunque, inevitabilmente, in bocca al lupo ragazzi!


19 giugno 2008 • pagina 15

A fronte delle critiche, la valutazione è un processo indiziario che fonda la sua efficacia su obiettivi condivisi

Indagine su un candidato al di sopra di ogni sospetto di Giuseppe Lisciani empo di esami. Tempo di valutazione. Gli studenti di terza media hanno appena verificato la propria competenza in lingua italiana e in matematica, con test (o “prove oggettive”) elaborati dall’Invalsi. Si tratta di un esperimento, ma anche di un messaggio: l’Italia avverte ormai l’esigenza di adeguare il proprio stile pedagogico e renderlo compatibile con quello di altri Paesi, a cominciare dall’Unione Europea. Perciò l’esperimento che quest’anno si fa nella scuola media violerà, prima o poi, anche le sacre mura degli istituti secondari superiori. Il ministero dell’Educazione andrà avanti per la sua strada, con l’occhio rivolto, soprattutto, a questioni di statistica. Ma l’insegnante guarderà al fenomeno con occhio esistenziale, pensando alla quotidiana conduzione della classe e alla periodica valutazione del profitto scolastico. Ci saranno, perciò, importanti resistenze psicologiche all’iniziativa ministeriale. Se ne sono percepite avvisaglie nei recenti dibattiti sul degrado (qualcuno l’ha chiamato «bancarotta») della scuola italiana. C’è chi reclama maggiore autorità e dignità per l’insegnante, identificandole, spesso, sia in una maggiore opportuna severità di giudizio nei confronti dei propri allievi sia nel rispetto che verso tale giudizio è dovuto dagli stessi allievi e dai rispettivi genitori. A questa corrente di pensiero appartiene certamente Stefano Zecchi, che su Il Giornale di lunedì scorso ha così scritto: « Se l’insegnante tiene la disciplina è anche in grado di capire quanto abbiano studiato i suoi alunni, li può valutare in modo appropriato ed egli stesso è nelle condizioni di fare delle lezioni decenti».

T

C’è chi, invece, è convinto della scarsa attendibilità del giudizio basato sulle cosiddette “prove tradizionali”di profitto. Si tratta di una convinzione che viene di lontano: riflessioni e ricerche sono già segnalate agli inizi dell’Ottocento (Henri Piéron indica il testo di un certo F. Lacroix pubblicato nel 1805), esplodono poi nei primi decenni del Novecento e culminano in una inchie-

sta internazionale, finanziata dalla Carnegie Corporation di New York e descritta con il seguente titolo: «Le concezioni, i metodi, la tecnica e l’importanza pedagogica e sociale degli esami e dei concorsi». Già in quel tempo, fu riscontrata una tale disparità nella attribuzione dei voti (una stessa composizione in lingua, giudicata da valutatori diversi, poteva prendere voti oscillanti dal 6 al 10!), da rendere decisamente poco affidabile il tipo di valutazione allora in uso e ancora oggi operante nelle nostre scuole e nei nostri esami di Stato. Dall’altra parte, la complessità dell’evento pedagogico e una sorta di intangibilità e impalpabilità delle doti umane che vi partecipano (sviluppare concetti, provare sen-

«obiettivi didattici», il suo significato dipende direttamente dalle parole con cui sono stati formulati detti obiettivi. Se sono stati utilizzati termini aperti a molte interpretazioni (come sapere, capire, apprezzare, interiorizzare, ecc.), avremo delle valutazioni altrettanto vaghe (diremo che l’alunno sa questa o quella cosa, capisce quest’altra cosa, apprezza quest’altra cosa ancora, ecc.). Scrive l’esperto americano Robert F. Mager in Preparing instructional objectives: «Che cosa si intende quando si afferma di volere che gli allievi sappiano qualcosa? Vogliamo che essi recitino, o facciano una scelta o costruiscano qualcosa? [...] Finché non si palesa quello che si intende dire col termine «sapere», spiegando chiaramente ciò che lo studente dovrebbe essere in grado di “fare”, si dice molto poco». E molto poco dirà, in seguito, la corrispondente valutazione.

Il test scritto serve a raccogliere indizi, l’orale consente di valutarli timenti, ecc.) hanno suggerito di considerare frammentarie e inadeguate le cosiddette “prove oggettive di profitto”. Contro le due “fazioni”, che si alimentano entrambe a un non chiarito senso della parola «valutazione», vorrei usare una sentenza di Pascal: «Quale necessità c’è dunque di pronunciarla [questa parola] , dal momento che non ha né autorità né senso in se stessa?». Però, quando scende in campo il dovere pedagogico e sociale di conoscere i risultati raggiunti dopo un certo tempo, per esempio un anno, di attività educativa, corre anche l’obbligo di chiarire il senso della parola «valutazione». Poiché la valutazione si esprime sul raggiungimento o meno di

Robert F. Mager

Perché la valutazione sia il più possibile precisa, deve valutare un obiettivo a sua volta il più possibile preciso. A tale scopo, un obiettivo didattico deve essere formulato in modo da chiarire che cosa ci si attende che l’allievo sia in grado di “fare” (per esempio scrivere, recitare, costruire, paragonare, ecc.), in quali “condizioni” debba farlo e secondo quali “criteri” (con quanta abilità, precisione, completezza, ecc). La relativa valutazione dirà se il comportamento – verbale o non – dell’allievo è o no conforme alle richieste dell’obiettivo iniziale: sarà una valutazione basata sulla verifica descrittiva dei comportamenti o “performances”dell’allievo. Sarà una valu-

tazione “oggettiva”, nel senso che essa potrà valutare per tutti gli allievi le stesse “performances” e che i risultati della valutazione potranno essere letti allo stesso modo da tutti, insegnanti, genitori o chiunque altro. Delle prove scritte cosiddette “oggettive” (su cui esiste, anche in Italia, una vasta letteratura), diamo qui un rapidissimo elenco: prove del tipo vero-falso, con risposte a scelta binaria; prove del tipo scelte multiple (in genere, con tre o quattro risposte alternative tra cui scegliere); prove del tipo corrispondenze, in cui si collegano gli elementi di un elenco agli elementi corrispondenti di un altro elenco; prove del tipo integrazioni, in cui si completano asserzioni date, individuando e aggiungendo le parole mancanti. Un tale elenco può suggerire, come già accennavo sopra, pochezza e frammentarietà di materia e perciò provocare il rifiuto della “valutazione oggettiva” da parte dei fautori di una valutazione definita spesso “di sostanza e in profondità”. Le due “fazioni” sembrano non potersi proprio conciliare!

Non ho qui lo spazio per argomentare sulle ragioni dei fautori dell’uno o dell’altro tipo di valutazione. Dirò che gli uni e gli altri possono avere di che discutere, ma né gli uni né gli altri possono eludere i limiti insiti nella valutazione stessa dei conseguimenti umani: sia che giudichiamo in termini concettuali sia che adottiamo termini di “performance”. Mi limiterò perciò ad affermare – e spero di poterne dare conto in altra occasione – che valutare i risultati degli eventi educativi è come istruire e condurre un processo indiziario: applicare dei test di profitto serve a raccogliere indizi, niente più che indizi; interrogare l’alunno serve a valutare gli indizi raccolti (e magari a raccoglierne anche qualche altro). Si arriva, così, a un giudizio di merito, che sarà più o meno attendibile, a seconda della attendibilità degli indizi e della perspicacia del giudice… pardon, del docente. Il quale avrà il compito di inferire i risultati probabilmente maturati nella mente dell’allievo. I risultati inferiti e il giudizio elaborato saranno comunque indiziari. Sempre. David Hume può aiutarci a capire perché.


economia

pagina 16 • 19 giugno 2008

Il ministro del Lavoro e della Salute, Maurizio Sacconi. Ieri, con i suoi provvedimenti inseriti nella manovra, il successore di Cesare Damiano ha delineato i suoi piani per il futuro: difesa della flessibilità, maggiore inclusione delle fasce più deboli nel mondo del lavoro e riorganizzazione della macchina che si occupa dell’assistenza e della previdenza

Non ci saranno fragorosi strappi come in passato, ma il tentativo di scrostare tutte le rigidità del mondo del lavoro

Legge Biagi ed età pensionabile, la rivoluzione morbida di Sacconi di Giuliano Cazzola ei provvedimenti varati dal governo nella giornata di ieri ce ne sono alcuni che riguardano la materia del lavoro. Anzi, per usare un’espressione molto in voga nella XV Legislatura, si potrebbe parlare di una “lenzuolata”fatta dal ministro Maurizio Sacconi.

N

Si tratta, in poche parole, di un complesso di norme che vogliono liberalizzare il mercato del lavoro. Non a caso, Sacconi ha parlato esplicitamente di «deregolazione», da realizzare però in un quadro di sostanziale mantenimento delle tutele effettive dei diritti. Così la «Finanziaria anticipata» arrivata ieri in Consiglio dei ministri contiene il ripristino delle norme della legge Biagi, manomesse dal precedente esecutivo, che aveva ritoccato o stravolto i contratti a termine, il lavoro a chiamata e quant’altro non piacesse alla Cgil. Difatti vengono potenziati i contratti di apprendistato in una logica che valorizza il ruolo delle parti sociali e i loro avvisi comuni nonché lo sviluppo degli enti bilaterali. Inoltre sono aboliti gli ultimi

residui di penalizzazione del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro; viene riattivata la delega sui lavori usuranti (su questo argomento la maggioranza ha conseguito un’importante vittoria alla Camera su una mozione votata anche dall’Udc) e riproposto il problema della ristrutturazione degli enti previdenziali. Ma Maurizio Sacconi ha compiti molto più ampi: il suo dicastero «gestisce» (anche se si tratta in grande maggioranza

tra faccia del mercato del lavoro: il welfare. Le idee che intende portare avanti in proposito sono assolutamente coerenti con la visione che ha del lavoro. Punta a un welfare nuovo che agevoli la «mission» di un mercato del lavoro inclusivo e che nello stesso tempo intervenga in modo importante con misure in grado di tutelare quei segmenti di popolazione che davvero non riescono ad arrivare alla fine del mese. E parliamo di pensionati poveri che

Sui tetti previdenziali si studiano meccanismi per riattivare i coefficienti di trasformazione e arrivare gradualmente ai 67 anni. Maggiori tutele ai bisognosi e strumenti per facilitare l’occupazione di spese fisse e vincolate) la bellezza di 500 miliardi di euro. In particolare si tratta dei settori del lavoro e degli ammortizzatori sociali, della previdenza, dell’assistenza, delle politiche sociali e della protezione della salute. Il ministro – che ha una spiccata vocazione lavoristica – deve quindi occuparsi anche dell’al-

non sono proprietari dell’abitazione in cui vivono, donne sole con figli a carico o famiglie monoreddito. Discorso più complesso sulle pensioni. Dell’argomento per ora non si parla. Ma Sacconi è rimasto molto impressionato dalle considerazioni del governatore Mario Draghi. Il quale ha riaperto la questione ora «in

sonno», ricordando alla classe politica che il problema non è ancora risolto. Il governatore ha proposto di restituire all’età pensionabile nel sistema contributivo la flessibilità che aveva ai sensi della legge Dini del 1995: una flessibilità poi venuta meno in conseguenza dei riordini più recenti. La riforma Maroni del 2004 ha cancellato il cosiddetto pensionamento di vecchiaia, unico e flessibile, compreso in un range tra 57 e 65 anni, a cui corrispondevano i coefficienti di trasformazione come strumenti di incentivazione/disincentivazione ragguagliati all’età scelta per la quiescenza.

La recente legge del governo Prodi ha riconfermato l’impostazione del 2004, mantenendo la frantumazione delle regole del pensionamento. A regime, infatti, anche nel sistema contributivo, i lavoratori potranno andare in quiescenza facendo valere i requisiti della vecchiaia (65/60 anni di età e cinque anni di contribuzione effettiva a condizione di percepire un trattamento pari a 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale), con 40 anni di

versamenti a qualunque età oppure a 61/62 anni se dipendenti e a 62/63 anni se autonomi con 35 anni di anzianità. Per tornare – come ha suggerito Draghi – all’impianto delle legge n. 335/1995, occorrerebbe tener conto delle modifiche apportate, nel frattempo, all’istituto dell’età pensionabile. La nuova prestazione unificata, a partire dal 2014 (anno in cui terminerà la fase transitoria), dovrebbe prevedere, per uomini e donne, una fascia di opzioni compresa tra 62 e 67 anni collegati a un’adeguata griglia di coefficienti di trasformazione, revisionati con una periodicità triennale. Logicamente l’impostazione richiede di aumentare gradualmente di due anni (da 60 a 62) l’età di vecchiaia delle lavoratrici, anche nel sistema retributivo. Molto bene poi il ripristino dei ticket nella sanità, a partire dai prodotti farmaceutici. La loro abolizione nel 2001 a opera del governo Amato si era rivelata un disastro non solo per i conti pubblici ma anche per l’industria del farmaco, penalizzata oltre misura con provvedimenti sostitutivi assurdi e restrittivi delle libertà economiche.


economia

19 giugno 2008 • pagina 17

Dopo quello degli investitori (Zew) anche l’indice sulle aspettative delle aziende (Ifo) segna un rallentamento

Le imprese sfiduciano la Grosse Koalition di Alessandro Alviani

d i a r i o BERLINO. Archiviata la partenza

g i o r n o

Mutui, tassi da record dal 2003

sprint d’inizio anno, quando il Pil ha registrato un +1,5 per cento che non si vedeva in un solo trimestre da dodici anni a questa parte, la Germania è tornata a interrogarsi sul reale stato della sua economia. E, con essa, l’intera Europa, preoccupata del probabile rallentamento della sua locomotiva. A rilanciare i dubbi sono i risultati dell’indice Zew, che indicano un chiaro peggioramento della fiducia degli investitori nelle possibilità di crescita nei prossimi sei mesi. Lo Zew è infatti sceso al livello più basso dal 1992, una prestazione che ha sorpreso in negativo gli stessi analisti. Le condizioni generali, del resto, non facevano sperare in un esito differente: al calo degli ordini per l’industria si aggiunge l’aumento costante dei prezzi di alimentari ed energia, che frena i consumi, già punto debole dell’economia tedesca.

Anche la fiducia degli imprenditori sembra vacillare e il nuovo indice Ifo sul clima economico generale, che verrà diffuso lunedì, dovrebbe attestare tale tendenza. Gli esperti si aspettano infatti un lieve calo a 102,3 punti, dopo la crescita a 103,5 punti registrata a maggio. L’economia resta insomma sì robusta, ma i primi segnali di incertezza iniziano a trapelare. Tra le cause che spiegano tale evoluzione rientrano anche le recenti mosse anticipate da Francoforte. Il prossimo aumento dei tassi di interesse, preannunciato dalla Bce per combattere l’inflazione, pesa sulla fiducia di analisti e imprenditori, che prevedono un peggioramento delle condizioni del credito e temono un contraccolpo negativo sull’export tedesco. Un quadro che potrebbe offuscarsi ulteriormente se la Bce dovesse decidere di far seguire all’aumento dei tassi atteso per luglio un nuovo incremento nel 2008. Il tutto, in un momento in cui i principali istituti concordano sulla frenata della Germania nel 2009 e tagliano le stime di crescita per il prossimo anno. Su questo fronte, comunque, il sistema imprenditoriale tedesco, che preferirebbe piuttosto la strada di un taglio dei tassi, non può sperare di trovare una sponda nel governo federale. Angela Merkel ha fatto capire a più riprese che non interverrà sul presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, tanto meno per chiedere una riduzione dei tassi, in linea con una tradizione di politica economico-finanziaria che mette da sempre la stabilità dei prezzi al primo posto.

d e l

Salgono a livelli record i tassi di interesse sui mutui. Secondo il bollettino mensile dell’Abi sui mercati finanziari e creditizi, a maggio i tassi sui prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono arrivati al 5,75 per cento, la quota massima mai raggiunta negli ultimi cinque anni. Solo a maggio dell’anno scorso i tassi di interesse erano al 5,39 per cento e, dopo mesi di ascesa continua, sono saliti fino al picco del 5,72 per cento di dicembre 2007, per poi ripiegare leggermente attestandosi ad aprile al 5,66 per cento. Il tasso sui mutui, precisa l’Abi, «sintetizza tuttavia l’andamento dei tassi fissi e variabili ed è influenzato anche dalla variazione della composizione fra le erogazioni a tasso fisso e variabile».

Enel, Fulvio Conti confermato ad Il nuovo consiglio di amministrazione di Enel, nominato dall’assemblea dello scorso 11 giugno, ha confermato Fulvio Conti come amministratore delegato e direttore generale della società. Il consiglio ha inoltre confermato il precedente assetto dei poteri, riconoscendo al presidente Piero Gnudi le stesse attribuzioni e all’a.d. le medesime deleghe di cui già rispettivamente disponevano nel precedente mandato. Nella giornata di ieri è arrivato anche l’accordo tra la società di Stato romena Termoelectrica e il consorzio formato da E.On ed Enel. Le tre aziende hanno firmato un memorandum per avviare il progetto di costruzione di una nuova centrale termoelettrica a Braila.

Energia, via libera da Strasburgo

La Germania cresce, ma gli industriali temono per il futuro e chiedono un taglio dei tassi della Bce. Che la Merkel non vuole Decisivi, in questo senso, i segnali inviati nei giorni scorsi da Frau Merkel, la quale, dopo aver ribadito l’indipendenza dell’Eurotower, ha difeso Trichet, invitato dal premier spagnolo José Luis Zapatero a una maggior prudenza sugli annunci relativi ai tassi. Non che il sistema-Germania sia comunque sull’orlo di una recessione, dopo la forte crescita degli ultimi anni. Anzi: alla luce del sorprendente risultato del primo trimestre, molti istituti hanno alzato le previsioni per quest’anno a poco più del 2 per cento. Dopo le ristrutturazioni degli ultimi anni, l’economia tedesca conferma ancora una volta di essere riuscita con successo a irrobustire le basi su cui poggia. A preoccupare è il 2009. L’istituto economico HHWI ha da poco tagliato le sue stime per il prossimo anno dall’1,3 all’1,1 per cento, mentre gli esperti dell’istituto RWI parlano di prossima fine della ripresa.

Basta dare un’occhiata all’ultimo studio condotto dalla Camera nazionale del Commercio e dell’Industria (Dihk) tra 20mila aziende tedesche per trovare conferma del pessimismo tra gli imprenditori. Certo, non c’è ancora nessun «crollo», bensì soltanto «un rallentamento» del ciclo congiunturale. Eppure la quota di imprenditori sfiduciati sul futuro aumenta rispetto ai mesi scorsi, proprio mentre l’export, rivelatosi il principale motore della crescita degli ultimi anni, è destinato a una sensibile frenata e i consumi interni dovrebbero essere bloccati dall’inflazione, malgrado il calo della disoccupazione.

«Le attese degli analisti sono influenzate dalle previsioni sul rallentamento della congiuntura nel 2009», ha spiegato il presidente dell’istituto Zew, Wolfgang Franz. Così è importante «che il governo tedesco ponga le giuste premesse di politica economica e non mandi in fumo quanto raggiunto». Un proposito difficile da tradurre in pratica per un esecutivo che sembra immergersi ogni giorno di più nel clima di una campagna elettorale che si concluderà soltanto con le politiche dell’autunno 2009 e che non riesce più a trovare un accordo sui grandi progetti.

Il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza, 449 voti favorevoli, 204 contrari e 19 astensioni, la piena separazione della proprietà delle attività di produzione e di trasmissione dell’energia elettrica, proponendo il divieto di possesso della rete di trasmissione da parte di società non Ue. Il Parlamento ha accolto in sostanza la proposta della Commissione Ue per un pieno unbundling.

Telecom, accordo sulla rete? L’Autorità per le Comunicazioni dà un colpo di acceleratore al confronto sulla rete infrastrutturale di Telecom. Il 25 giugno, il garante ha invitato per un’audizione l’amministratore delegato, Franco Bernabè. In calendario ci sono anche incontri con gli operatori alternativi (olo). Di recente il presidente dell’Autorità, Corrado Calabrò, ha auspicato il raggiungimento di un’intesa prima dell’assemblea annuale prevista per il 15 luglio.

Rifiuti, a fine giugno nuovo progetto Enea Partirà a fine giugno il progetto dell’Enea sulle tecnologie per la gestione sostenibile dei rifiuti. Lo ha annunciato ieri all’omonimo convegno dell’Enea, il responsabile del progetto, Ermanno Barni. «L’obiettivo del progetto che ha un valore di dieci milioni di euro - ha detto - è di arrivare a costruire un impianto dimostrativo sul territorio nazionale che sia rappresentativo delle tecnologie avanzate di termovalorizzazione, quali pirolisi e gassificazione, ovvero la trasformazione molecolare dei rifiuti in assenza d’aria e la combustione in scarsità di ossigeno».

Fiat, profitti quasi tutti dal Brasile «I profitti delle attività Auto di Fiat provengono quasi interamente dal mercato brasiliano e dato che i mercati dell’Europa meridionale diventano più difficili (14 per cento Spagna, -10% per cento Italia nei primi 5 mesi del 2008), assume una crescente importanza che i profitti in Brasile siano sostenibili». Così gli analisti del Credit Suisse. Fiat vende circa il 27 per cento delle sue auto in Brasile e Vw il 9 per cento.


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l titolo del “Corsera” è invitante. «Menotti: “Fui usato dal regime. Non rifarei le foto con Videla“». Ohibò. Le foto? E il resto? Le strette di mano, gli inchini, i sorrisi. La Patria. La Patria. La Patria. E la voce di Munoz, sullo sfondo, che da Radio Rivadavia invadeva l’Argentina di ardente e singhiozzante retorica. Il giorno in cui l’Argentina si fece campione del mondo, il 25 giugno 1978, sconfiggendo l’Olanda con la benevola attenzione dell’arbitro italiano Gonella, severo gentleman con moderata tendenza alla sudditanza psicologica, io c’ero al “River Plate” e invece di esser ritratto con Videla gli feci una decina di foto dalla parte opposta dello stadio col mio 300 bifocale Nikon che sembrava un cannoncino e che a un certo punto solerti militari, preoccupati, vollero toccar con mano. Poi abbandonai lo stadio in tripudio per finire travolto da una fiumana di popolo che s’avviava turbolenta all’Obelisco. Migiones e migiones di cittadini di Buenos Aires ballavano e cantavano, si baciavano, si stropicciavano, bevevano e mangiavano inneggiando ai Campioni, felici del loro Paese. Invadendo anche Plaza de Mayo dove non c’erano madri piangenti ma uomini e donne gaudenti davanti alla Casa Rosada. C’erano baci e abbracci anche per noi italiani identificati dai pendagli mundiales, anche se pochi giorni prima li avevamo umiliati in casa, condannandoli a giocare il seguito del Mundial lontano da Baires solo perché Enzo Bearzot, allergico alla sudditanza, non aveva accettato il gustoso “biscotto” offerto dagli argentini: lasciate a Mar del Plata Francia e Ungheria, non avevamo bisogno di batterli, per andare avanti, sottraendogli il “River Plate”; e quello sfizio ci costò caro, spedendoci nel girone maledetto di Germania, Austria e Olanda che ci costò la finale, mentre n’ebbero un grande vantaggio proprio gli argentini che poterono organizzare el gran robo col Perù a Rosario, lontano dagli occhi indiscreti degli inviati di tutto il mondo presenti a Buenos Aires.

memorie

I

Luis César Menotti, detto “El Flaco”, non solo non ha mai amato Videla - come non credergli? ma non ha neppure dubitato sulla goleada che Kempes e compagni inflissero ai peruani. Glielo ha chiesto, l’intervistatore, se era vero che la partita fosse stata combinata dai generali; e lui: «Un’infamia». Giusto. Non l’aveva combinata Videla. Ci aveva pensato direttamente Quiroga, il portiere, che aveva contato i gol col pallottoliere (Kempes, Tarantini, Kempes, Luque, Houseman, Luque) fino a sei, quanti ne bastavano per star tranquilli: per superare il Brasile, virtualmente qualificato, ce ne volevano quat-

Un ricordo personale dopo l’intervista a César Luis Menotti

Argentina ’78: il calcio e la dittatura di Italo Cucci tro e sei furono per star più sicuri. Senza complotti. Quiroga era nato in Argentina, e proprio lì, a Rosario. Cose di casa. Ma Menotti non lo sapeva. Forse neppur oggi lo sa. Capisco: scaricarsi dalla coscienza quei giorni non è facile per nessuno. «Quelle foto dice Menotti - non le rifarei. Ma è facile parlare adesso. Nessuno aveva i coglioni per dirlo allora. Fui usato... Il potere che sfrutta lo sport è vecchio come l’umanità... Ricordo Pertini che tornò dalla Spagna con Bearzot: se l’Italia

paradiso. Feste e asados giorno e notte. In Maipù scoppiettavano gli arrosti e risuonavano tanghi strazianti; da una fonte indefinibile, nascosta, arrivavano le note proibite di “Don’t cry for me, Argentina”; le offerte d’amore... fraterno, non mercenario, non mancavano; col “peso” alle stelle la nostra liretta faceva faville, cosa voler di più dalla vita...Una mattina, il ritaglio di una notizia apparsa su un giornale olandese: «Se andate a Plaza de Mayo il giovedì potrete assistere alla sin-

golare cerimonia delle madri piangenti che sfilano davanti alla Casa Rosada portando al collo le foto dei congiunti desaparecidos...». Non ne aveva parlato nessuno, anche se adesso tanti fanno gli eroi del “l’avevo detto, io”. Mi trovai col fotografo Guido Zucchi davanti a una scena sconvolgente, una lunga silenziosa lenta processione di donne che pronunciavano solo il nome di figli, fratelli, mariti, parenti perduti, desaparecidos, rapiti, nascosti e forse uccisi dal regime del ge-

Le strette di mano, gli inchini, i sorrisi. La Patria. La Patria. La Patria. E la voce di Munoz, sullo sfondo, che da Radio Rivadavia invadeva il Paese di ardente e singhiozzante retorica. Il giorno in cui l’Argentina si fece campione del mondo avesse perso, se lo sarebbe portato sull’aereo presidenziale?». Già: Bearzot come Menotti, Pertini come, oops,Videla... Quei giorni. Capisco Menotti che da trent’anni è impegnato a difendersi da quelle foto, da quelle strette di mano, da quelle feste, anzi: se fossi in lui non mi dannerei l’anima per il fatto sportivo, semmai per le conseguenze, da taluni godute, da tanti sofferte. Il discorso più serio che fa, è quando dice che “un Mondiale non è undici giocatori e un allenatore, si fa con milioni di persone. Una dittatura è lo stesso. Ci vogliono i dittatori e milioni di complici...”. Buenos Aires era un

nerale che aveva un eterno sorriso sotto i baffi. Chiedevo e in risposta avevo occhi imploranti e una sola parola: «Digalo». Dillo al mondo, italiano, cos’ha visto, cos’hai letto, cos’hai sentito. E intanto c’era gente che le spintonava e cercava di allontanarci sotto l’impassibile sguardo dei poliziotti attenti a non intervenire: «Estan locas, senor, sono pazze, le madri pazze di Buenos Aires, ah ah, non fate caso...». Nella foto grande l’ex tecnico della nazionale argentina César Luis Menotti. Nella foto piccola in alto, il dittatore Jorge Rafael Videla. Qui sopra, Menotti con Diego Maradona

Era così, Baires, e forse l’intera Argentina, una capitale e una nazione complici della dittatura, e e così le raccontai - con tanto di foto - sul “Guerin Sportivo”, tan-

to che nel ventennale del Mundial un settimanale della isquierda,“La Semana”, ripubblicò quel pezzo e mi intervistò per raccontare ai suoi lettori “come eravamo”. Non ebbi noie dal regime, naturalmente: l’Ammiraglio Lacoste, componente la Giunta militare, aveva l’incarico delle relazioni esterne con la prensa e il giorno in cui decise di darmi l’intervista che gli avevo chiesto due settimane prima non fece una piega, anzi, si compiacque con gli amici italiani e i miei lettori. Il “Guerin” era ben diffuso a Buenos Aires, viaggiava insieme al popolarissimo settimanale “El Grafico” e aveva tenuto per settimane - chiaramente col mio consenso, ero il direttore - una linea filoargentina anche sul piano politico. Quando avevo scritto qualcosa sulla“dittatura”, i colleghi del settimanale e del quotidiano “La Nacion” mi avevano ironicamente contestato: «Ma cosa potete dire, voi italiani, che avete appena ammazzato Aldo Moro?». Ma dopo la visita a Piazza di Maggio capimmo con chi avevamo a che fare e non dimenticammo più quelle donne, quelle lacrime, lo strazio di tante anime nel cuore di un’immensa festa. Molti argentini, checché ne dica Menotti, non cambiarono atteggiamento, non si ribellarono al regime, non fecero gesti eroici. Quando ci ritrovammo a Barcellona, nell’Ottantadue, era in pieno svolgimento, 2 aprile, la Guerra delle Falkland, pardon, la Guerra de las Malvinas: colleghi, amici e giocatori argentini – Maradona in testa - mobilitati per la patria lontana ci chiedevano di gridare con loro, di scrivere per loro «le Malvine sono argentine», per sostenere quel manipolo di argentini disperati che per ordine del Generale Galtieri - Videla era stato archiviato - avevano prima piantato la bandiera blancoazul nella Georgia del Sud eppoi dato inizio alla riconquista delle Falkland/Malvinas, ricevendo subito una dura risposta dalla signora Thatcher. La terribile signora inviò sul posto una task forse aeronavale che dopo fulminei e pesanti combattimenti costati circa novecento morti sui due fronti, mise fine all’invasione. Nel giro di pochi giorni, fra il 14 e il 29 giugno, l’Argentina perse la guerra delle Falkland e la partita con l’Italia. I condottieri ebbero all’incirca la stessa sorte: Galtieri agli arresti domiciliari, Menotti licenziato. Ancora oggi sono numerosi i suicidi a scoppio ritardato legati alla guerra delle Malvine. Mentre il calcio dimenticò in fretta quello schiaffo italiano vincendo il Mondiale dell’86, in Messico. Grazie anche a quella “mano de Diòs”che Diego dedicò volentieri ai rivali inglesi. Agli odiati conquistatori de Las Malvinas.


rivelazioni

19 giugno 2008 • pagina 19

Seppur ricco abitava in case modeste. Saccheggiava opere minori. Esce in Italia un nuovo ritratto del genio

Shakespeare, una vita di misteri di Pier Mario Fasanotti crisse oltre un milione di parole, ma di suo pugno ne sono rimaste soltanto quattordici. Non c’è assolutamente da mettere in dubbio la paternità delle splendide frasi dei suoi drammi, ricopiate da altri (attori, registi, editori, aiutanti), ma attorno a William Shakespeare c’è sempre stata un‘aura di mistero. Non pochi misero in dubbio l’esistenza dell’uomo nato a Stratford on Avon. A tal punto da sostenere, senza pochi appigli se non la voglia di incuriosire o il partito preso della pseudoerudizione, che in realtà le sue tragedie e le sue commedie sono opere di Christopher Marlowe o di Francis Bacon. Sciocchezze.

S

serviva di uno spunto, ma per comporre opere sublimi. Il più brillante e documentato ritratto di Shakespeare l’ha scritto Bill Bryson (Il mondo è un teatro, Guanda editore). Ed è un com-

pendio di illazioni, ipotesi, notizie accertate o verosimili. Insomma un romanzo “quasi storico”. Bryson, a proposito del saccheggio che Shakespeare faceva con molta disinvoltura, ci informa che di Amleto e di Re Lear c’erano state opere precedenti (e perdute), di autori ignoti. La storia di Romeo e Giulietta era stata scritta da un tale Brooke che a sua volta si era ispirato a Matteo Bandello. Afferma Bryson che «sono poche le opere shakesperiane che non abbiano preso in prestito nulla». Ciò vale anche per l’Otello, ma la storia precedente era del tutto insipida. Il Bardo plasmò vario materiale, elevandolo a incredibili vette letterarie. Del resto anche Marlowe “copiava”. Ma lo faceva in modo più

Qualche storico dubita della sua esistenza. Guanda pubblica una brillante biografia di Bryson che racconta la splendida sregolatezza di Sir William

Pochi, in effetti, sono i dati biografici. E ciò ha alimentato quel che alla fine è diventato il romanzo misterioso sulla vita di Shakespeare. Che tipo di uomo era? Dicono mite, vagamente bohémien (portava l’orecchino). Lasciò la moglie Anne e i tre figli per trasferirsi a Londra. Alla consorte lasciò in eredità, a parte la cosiddetta legittima, il suo “secondo letto”, senza alcuna frase di affettuosa circostanza. Anne era più anziana. Lui la sedusse quando aveva meno di vent’anni. Uno dei dipinti di dubbia provenienza lo ritraggono in abito scuro, con un’aria «licenziosa» e «labbra lubriche». Di qui l’ipotesi che invece di essere inglese fosse italiano, che non fosse protestante ma ebreo. Ma è probabile che il pittore lo abbia immortalato in abiti di scena, visto che era anche attore (forse nel ruolo dello Shylock del Mercante di Venezia). Gli esperti fanno tuttavia notare che lo Shakespeare in nero non fu realizzato dal vero. Quando fu pubblicato l’”in-folio”il drammaturgo era morto da sette anni.

Non sappiamo nulla della sua sessualità. Molti suoi sonetti sono dedicati a un uomo. Non si sa se sia mai uscito dall’Inghilterra. Probabilmente no. La sua educazione non era accademica (a differenza di Marlowe), ma è certo che fosse un lettore onnivoro. E, come si usava spesso a quei tempi,“rubava”trame. Parlare di plagio comunque è sbagliato: si

Milano. Misura per misura è ambientato a Vienna ma quasi tutti i personaggi hanno nomi italiani. Nel Coriolano fa nominare Catone da Tito Laerzio trecento anni prima che Catone venisse al mondo. Rapido e talvolta inesatto. Riferisce un critico: «La sua mente e la sua mano andavano di pari passo e ciò che pensava lo esprimeva con una tale facilità che nelle sue carte non vi sono quasi correzioni o versi cancellati». Era figlio di un sindaco, ma non tanto abbiente. Divenne ricco col suo lavoro. Gran parte dei suoi guadagni proveniva dalle quote che possedeva della compagnia teatrale. Alcune opere le mise in scena dinanzi a re Giacomo (16031613). I “Chamberlain’s Men” di Shakespeare furono assidui alla corte del sovrano e non a quella della regina Elisabetta, la quale invecchiò in modo bizzarro: sciatta, con denti neri o mancan-

rozzo. Il suo verso «Chi mai amò se non a prima vista?» era già stato scritto. Per poi comparire, identico, in Come vi piace.

Si sa che Shakespeare fosse frettoloso nello scrivere. E certi errori storici son ben visibili. Nei Due gentiluomini di Verona, il Duca viene collocato a Verona invece che a Bill Bryson è l’autore de Il mondo è un teatro, stampato in Italia da Guanda: fa luce sui misteri della vita di William Shakespeare

Settanta serate al Festival Shakesperiano di Verona

Estate all’insegna del Bardo rappresentazioni in tutta Italia Dalle Alpi alla Sicilia va in scena, quest’estate, Shakespeare. La parte del leone la fa Verona, città dove il Festival Shakesperiano compie sessant’anni anni. Nel millenario Teatro Romano, dal 18 giugno al 30 agosto, ci saranno venticinque spettacoli ispirati alle opere del Bardo con un totale di oltre settanta rappresentazioni. Calcheranno il palcoscenico cinquecento artisti provenienti da tutta Europa. Il celebre William si esibirà anche al Festivalcolline di Firenze il 30 e il 31 maggio, e in luglio all’Opera Festival Veneto. A Roma, per iniziativa di Gigi Proietti, si potrà gustare il Sogno di una notte di mezza estate, il 3 luglio. A seguire altri tre classici. Così anche a Genova e alla Versiliana di Forte dei Marmi. Senza contare altre città e piccoli centri italiani nel resto della Penisola dove compagnie di varia caratterizzazione interpreteranno capolavori di Sir William.

ti, abiti sempre così aperti che «potevi vedere l’intero suo seno». Giacomo, sgraziato, sporco e volgare (sbaciucchiava i ragazzini mentre ascoltava le relazioni dei suoi ministri), era però un benefattore del teatro. Nominò Shakespeare e i suoi colleghi “King’s Men”, gentiluomini di corte. Malgrado nei libri si dica spesso che Shakespeare è un drammaturgo elisabettiano, la maggior parte delle sue opere venne composta durante il regno di Giacomo.

Nella capitale inglese l’artista viveva frugalmente in camere ammobiliate. Londra era più piccola di Parigi e Napoli, ed era nota per la promiscuità, la puzza, il disordine, la peste, le infezioni. Ogni volta che il conto dei morti per epidemia arrivava a quaranta, venivano proibiti gli spettacoli pubblici. Il Tamigi non aveva argini artificiali e si allargava dove poteva: si narra che una balena rischiò di restare incastrata tra le arcate del famoso Ponte di Londra. Pioveva tanto e molti, per non sciupare l’amido delle gorgiere (diventate di moda) si rifugiavano nelle chiese. Le gorgiere erano chiamate “piccadills”: di qui l’origine di Piccadilly. Shakespeare passava tutta la sua giornata in teatro: a scrivere, recitare e allestire scene.


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musica

Trent’anni fa moriva il musicista di origini italiane che ha inventato il violino nel jazz

Quel burlone di Venuti di Adriano Mazzoletti

ella ormai cospicua letteratura jazzistica, manca una biografia di Joe Venuti, scomparso trent’anni fa «sembra» all’età di settantacinque anni. «Sembra» perché sull’esatta data di nascita di questo padre del jazz, molti sono i dubbi. Violinista di origine italiana, per oltre tre lustri fu il solista preferito e fortemente imitato da tutti i violinisti del mondo e la sua opera incisa, oltre alla sua biografia meriterebbero una ben maggiore considerazione. Ma soprattutto per capire quanto la sua presenza abbia significato in due periodi fondamentali della storia della musica americana, gli anni Venti fino al crollo di Wall Street e gli anni Settanta, così caratterizzati dal free-jazz e dalla musica di pura improvvisazione, quando inaspettatamente, dopo un lungo silenzio, durato quasi quarant’anni, riapparve suscitando ammirazione e sorpresa. Il mondo del jazz si è spesso interrogato sul perché non esista una biografia di questo straordinario musicista nato in Italia il 16 settembre 1894 (come riferito dallo stesso Venuti) oppure su un piroscafo in viaggio verso gli Stati Uniti il 16 settembre 1904 (come era riportato fino a qualche anno fa da tutte le enciclopedie) o a South Philadephia quartiere italiano della città dell’amore fraterno, il 16 settembre 1903 (secondo le ultime ricerche). La ragione di queste lacune bisogna ricercarla nel carattere di Venuti stesso, estroverso, bugiardo soprattutto su ciò che lo riguardava, perciò inaffidabile, sempre pronto alla burla e alla battuta. La prima volta che lo incontrai fu la sera del 13 aprile 1971 nel backstage del Teatro Erba di Torino dove era stato organizzato un concerto ripreso dalla radio

N

e dalla tv. A un certo punto quel retropalco si animò improvvisamente. Tutto era rimasto calmo fino a quel momento. I tecnici della radio e della televisione avevano fatto i collegamenti ed erano andati a cena. Gilberto Cuppini e Marco Ratti che avrebbero dovuto accompagnare Venuti, parlavano tranquillamente fra loro. Il regista Maurizio Corgnati era sul pullman della regia. Io aspettavo impaziente che arrivasse Joe Venuti che non avevo mai incontrato. E improvvisamente Joe arrivò, anzi più che un uomo arrivò una furia.

Ha creato sonorità nuove e insieme a Eddie Lang ha influenzato generazioni di jazzisti. Proverbiali i suoi scherzi... Avvolto in un cappottone, con in mano l’astuccio del violino, entrò urlando seguito da un omino timido e introverso, quasi sgomento di fronte a tanta energia. Si precipitò in palcoscenico, aprì l’astuccio, tirò fuori il violino. L’omino timido si mise al piano (scoprii in quell’istante che era Lou Stein che Venuti si era portato dagli Stati Uniti). Ratti e Cuppini che conoscevano già Venuti, non si scomposero più di tanto. Joe accordò per qualche minuto, decise il programma del concerto, rimise il violino nell’astuccio di pelle di coccodrillo e finalmente si fermò. Avevo di fronte l’uomo che aveva inventato il violino nel jazz. Ciò che mi colpì più di ogni altra cosa fu che parlava un italiano perfetto. Non riuscivo a capire come facesse visto che nel corso della sua lunga vita era venuto nella sua terra d’ori-

gine solo due volte e per pochi giorni. La prima negli anni Cinquanta, come turista, con Bing Crosby e Phil Harris e poi tre anni prima con la tournée del festival di Newport. Fu questa una delle prime ragioni, suppongo, che fece nascere il so-

spetto, avvalorato dai suoi racconti, che fosse nato effettivamente in Italia. Anni dopo, quando incontrai i nipoti di Eddie Lang, il chitarrista italo-americano con il quale Venuti inventò, negli anni Venti, quello che in seguito fu definito «Jazz da camera», che i dubbi vennero dissipati. A casa Venuti a Filadelfia Sud, era proibito parlare inglese. Su Venuti esistevano storie infinite. Ma

quante di queste erano vere? Innazittutto dove realmente era nato? In Italia, sul piroscafo o a Filadelfia? Joe iniziò col dire che era nato in Italia addirittura al Nord, a Malgrate in provincia di Lecco il 16 settembre 1894. Che suo nonno materno Giuseppe De Santis era scultore e che visse dieci anni con lui prima di raggiungere il padre già emigrato negli Stati Uniti. Che il nonno gli aveva fatto conoscere la Divina Commedia di


musica

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che intraprese quando ormai Venuti era scomparso da diversi anni, giunsero alla conclusione che era nato a Filadelfia nel 1903. Di un anno più giovane del suo amico Eddie Lang, cioè Salvatore Massaro, con il quale iniziò un sodalizio che si interruppe solo nel 1933 quando Lang morì. Se Venuti fu il primo a suonare jazz con il violino, Eddie Lang fu il primo a utilizzare la chitarra come strumento solista. Due ragazzi geniali, siciliano Venuti, molisano Eddie Lang, che all’inizio della loro carriera erano soliti suonare musica popolare per gli italiani di South Philly e quando verso il 1917 il jazz di New Orleans arrivò anche a Filadelfia, quei due ragazzi furono pronti a recepire immediatamente la nuova musica.Trovarono che certi motivi italiani si adattavano perfettamen-

cui sapeva a memoria diversi canti dell’Inferno e del Paradiso. Che suo nonno gli aveva insegnato il violino e gli aveva fatto amare Leonardo, Michelangelo, Donatello. Che aveva letto e riletto i Promessi sposi che chiamava «Il Libro». Aveva un amore immenso per l’Italia. Non mi sarei mai aspettato di trovarmi di fronte a un uomo dotato di conoscenze così vaste e approfondite. Per suffragare i suoi racconti,

volle andare a Malgrate per fare ricerche, ma nessun atto di nascita venne rintracciato e nessun Giuseppe De Santis scultore, risultava essere esistito. Ma chi era in realtà? Era l’ultimo figlio di una numerosa famiglia originaria di Spadafora, piccolo centro in provincia di Messina, emigrata negli Stati Uniti verso il 1885. Le ricer-

te al nuovo linguaggio, bastava suonarli in 4/4 e modificare leggermente la struttura. Così la Celebre Mazurca variata di Migliavacca divenne Pretty Trix, che Lang e Venuti incisero nel 1928, facendone uno straordinario disco di jazz. Ma la tradizione italiana era sempre presente nella loro musica. In alcune incisioni sembra di vivere una giornata fra Napoli, Jacksonville, New Orleans, Natchez e nel South Side di Chicago in due minuti e mezzo. Un vecchio classico del jazz come There’ll be some a changes made inizia con una cadenza che sembra provenire dai quartieri bassi di una qualsiasi città dell’Italia meridionale.

Ma era anche lo straordinario senso dell’umorismo di Venuti a rendere particolari molte delle

sue interpretazioni. Inventò sonorità nuove. Violino e sassofono basso per esempio, oppure violino e strumenti inventati come l’hot fountain pen oppure il goofus. Il primo era una comune penna stilografica alla quale era stato tolto il pennino e praticato dei fori. Soffiando, aprendo e chiudendo con le dita quei piccoli buchi Adrian Rollini, uno dei folli amici della coppia Venuti-Lang, riusciva a costruire assolo assai particolari. Il secondo consisteva in una piccola tastiera di pianoforte della dimensione di due ottave. Abbassando i tasti e soffiando in una imboccatura che era stata aggiunta, si otteneva una sonorità assolutamente inusuale, che anticipava certi esperimenti che iniziarono a essere praticati nel jazz mezzo secolo più tardi. Il duo Venuti-Lang influenzò anche il celebre Quintetto dell’Hot Club di Francia di Grappelli e Django Reinhardt. Il violinista Stephane Grappelli - anch’egli italiano di origine - non ignorava certo la lezione del suo più anziano e celebre collega. Quando molti anni più tardi Grappelli e Venuti suonarono per la prima volta insieme si comprese come quanto il primo fosse debitore del secondo. Ma Joe Venuti oltre che per le sue innegabili qualità di violinista è passato alla storia per altre caratteristiche non prettamente musicali. È stato per tutta la vita un inguaribile burlone. Alla prima del film The King of Jazz l’orchestra di Paul Whiteman con Geoge Gerswhin al pianoforte doveva eseguire la Rapsodia in Blue. Alle prime note, dal basso tuba uscì una nuvola che andò a posarsi sugli smoking dei musicisti, facendoli diventare gialli. Era stato Joe Venuti a mettere cinque libbre di farina di granturco nel basso tuba di Mike Trafficante. Un’altra volta convocò una ventina di suonatori di basso tuba di fronte al suo albergo, mentre affacciato alla finestra si divertiva a vedere tutti quei musicisti con i loro ingombranti strumenti sorpresi per quello strano invito. A Roma fu lui però l’oggetto di uno scherzo. Un giorno Giancarlo Fusco del quale era diventato buon amico, volle accompagnarlo all’aereoporto. Mentre Joe stava per superare il varco doganale, Fusco gli porse un lungo pacco dicendogli che era un regalo per lui. Peccato che quel pacco che dovette aprire sotto gli occhi esterrefatti della polizia di frontiera, contenesse un vecchio moschetto modello 91 perfettamente funzionante.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Elezioni, il modello Sicilia è esportabile? DIVISIONI DA SUPERARE INNANZITUTTO A ROMA Il modello Sicilia è da osservare e studiare come fenomeno interessante ma la situazione generale nelle altre zone del Paese è assai differente. L’Italia sarà anche indivisibile per costituzione ma non è vero che è “una”. Le diversità geografiche, sociali, climatiche, economiche, storiche ecc ecc. dimostrano che una vera riforma federalista è quanto mai urgente ed anche gli artificiosi confini delle attuali 20 regioni italiane a ben vedere i dati, appaiono come evidenti forzature statali.

Alberto Moioli Lissone

DIVISIONI DA SUPERARE INNANZITUTTO A ROMA Certamente il successo poderoso di Udc-Mpa in Sicilia, dove insieme hanno raggiunto le vette del 40%, ci deve far riflettere su un punto. Che sta accadendo a livello nazionale? Perché, senza ombra di dubbio, a livello locale l’Udc si conferma un partito omogeneo, radicato sul territorio, in grado di intercettare i bisogni e le aspettative della maggior parte dei cittadini. È una realtà che è riuscita a conquistarsi sul campo la fiducia della gente, combattendo quotidianamente le piccole-grandi battaglie a difesa della famiglia, della vita, a sostegno della sicurezza materia-

LA DOMANDA DI DOMANI

È POSSIBILE RIFORMARE LA GIUSTIZIA IN ITALIA?

le e sociale del territorio. Un partito in cui i valori dell’italiano e del siciliano vengono rappresentati in maniera efficace. Quindi, sorge spontanea un’altra domanda: possibile che al di fuori dell’isola questi bisogni non ci siano più? E di conseguenza, è possibile che un partito con una netta vocazione a governare sia costretto a fare opposizione, seduto al fianco degli avversari storici? No, è la mia risposta. La mia valutazione è questa: non c’è da fare autocritica sui valori e i programmi proposti ai cittadini (il caso siciliano dimostra chiaramente che sono apprezzati), ma porre la parola fine ai personalismi. A mio avviso, sono loro i primi avversari da battere. Oggi – con i risultati positivi che arrivano proprio dal Sud – c’è una ragione in più per farlo.

Vinicio Riboldi Cosenza

I SIGNORI DELL’ANELLO

I giocatori dei Boston Celtics, Kevin Garnett (a sinistra) Ray Allen (al centro) e Paul Pierce (a destra) celebrano la vittoria del titolo Nba dopo la vittoria di ieri in “gara 6”contro i Los Angeles Lakers (131-92)

I TEMI ETICI RICOMPORRANNO I MODERATI Il frastuono di questi ultimi mesi, con la nascita del Popolo della libertà e la rottura dell’alleanza con l’Udc, ha fatto passare in secondo piano alcune questioni. Soprattutto l’’importanza da riservare ai temi etici, alle battaglie per la vita e la famiglia, insomma a quei valori non negoziabili di cui ha parlato Papa Ratzinger. Ritengo che questi temi siano prioritari, e che diventeranno il vero punto di crisi dei rapporti tra centrodestra e Partito democratico. Su questi argomenti l’affinità tra Pdl e Udc è evidente e al di là dei numeri in Parlamento credo che il reciproco sostegno sia necessario, anzi indispensabile. Perché i cattolici e tutti quelli che hanno a cuore i valori devono per forza trovarsi insieme, quando si battono per le questioni prioritarie. Dal momento che di qui a poco i temi eticamente sensibili torneranno di nuovo al centro dell’agenda politica e creeranno nuove tensioni con il centrosinistra, credo che diventerà di nuovo urgente riannodare i fili del patto con l’Udc anche a livello nazionale. Ci sono questioni troppo importanti, più importanti anche delle divisioni politico-elettorali che abbiamo conosciuto in questi ultimi mesi e sulle quali il centrodestra tornerà unito come in Sicilia.

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

TORNANO LE LEGGI “AD PERSONAM” Francamente speravamo che le leggi c.d. “ad personam” appartenessproblemiero ad una stagione ormai chiusa del berlusconismo, e quindi della politica italiana di cui da quindici anni Berlusconi è la stella polare. Speravamo anche che fosse finalmente vicino il tempo in cui i politici fanno la politica e i magistrati amministrano la giustizia. Speravamo che la politica italiana smettesse di essere dominata dalle grane giudiziarie del Premier, visto che le famiglie italiane hanno ben altri problemi. Speravamo tante cose, pur non avendo sostenuto l’attuale coalizione di centro-destra, perché sarebbe sciagurato augurarsi il fallimento del Governo. E invece, ancora una volta, siamo tornati in pieno tritacarne mediatico-giudiziario. Dopo qualche mese di tregua a seguito delle dimissioni di Mastella e successiva caduta del Governo Prodi in conseguenza di un’azione giudiziaria, ecco che torna la bufera grazie alla sciagurata iniziativa del centrodestra di sospendere tutti i processi penali in corso per reati di minore allarme sociale commessi fino al

Enrico Volpe Chiavari

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI Egregio Direttore, qualche giorno fa mia figlia mi ha consegnato con il sorriso sulle labbra la tanto attesa pagella di fine anno. Niente da dire…media dell’otto, un nove in educazione artistica e un sette in matematica. Nonostante questo, ho avuto una reazione fredda e distaccata, tanto da ferire mia figlia, entusiasta ed uforica dei risultati ottenuti, a mio parere, con il minimo sforzo. Direttore, anche io come mia figlia ho frequentato un rinomato liceo classico, ma per raggiungere gli stessi obiettivi, quando avevo 16 anni ero costretta a rinchiudermi in camera mia 10 ore al giorno. Soffrivo sopra i libri, non c’erano uscite, amici, fidanzati e discoteche durante la settimana, ma solo versioni e versi in metrica da imparare come l’Ave Ma-

dai circoli liberal

2001. E guarda caso, tra questi rientra il famoso processo Mills di Milano che è ormai in dirittura d’arrivo e vede tra gli imputati anche Berlusconi. Estensore del famoso emendamento pare che sia l’On. Avv. Ghedini, difensore di Berlusconi stesso. Si assiste così da un lato ai processi contro Berlusconi che sono come le ciliegie, uno tira l’altro, fino a diventare stucchevoli per chiunque non sia afflitto da antiberlusconismo cronico.Tanto è vero che non solo Berlusconi è stato quasi sempre assolto, ma che in ogni momento di attacco giudiziario ha regolarmente aumentato i consensi elettorali. Dall’altro lato però ci sono i maldestri tentativi del centro-destra di fermare i processi modificando le leggi in corsa. Peraltro con esiti infelici, se è vero che Berlusconi i suoi processi alla fine ha sempre dovuto vincerseli nelle aule e che Previti, altro supposto beneficiario di una legge “ad personam”, alla fine è stato condannato e ha dovuto dimettersi dalla Camera. Insomma, queste leggi alla fine fanno molto fumo ma poco arrosto. Tuttavia hanno comunque una conseguenza deleteria: rendono incandescente il cli-

ria. Non credo che noi studenti degli anni ’70 fossimo meno ricettivi o meno acuti. E’ possibile che la scuola italiana sia cosi tanto cambiata? Trova normale che con una preparazione di poche ore al giorno, disturbata dai molteplici mezzi di comunicazione interattivi, si possa arrivare a prendere una sfilza di otto? E se i nostri ragazzi iniziassero a pensare che nella vita tutto sia facilmente raggiungibile, senza sacrifici e compromessi? Credo fermamente nel ruolo educativo della scuola superiore, ma ogni anno di più, ho la sensazione che interrogazioni programmate, riduzioni drastiche dei programmi di diversi insegnamenti ed attività extra curriculari stiano mettendo a repentaglio non solo la scuola italiana come istituzione, ma anche la tempra dei nostri ragazzi.

ma già teso tra la politica e la magistratura, con l’effetto di rendere impossibile la riforma della giustizia che è assolutamente improcrastinabile. Così si perde tempo a scannarsi sulle leggi che dovrebbero servire a qualcuno, invece di fare quelle che servirebbero a tutti. E non si riesce a realizzare quel Paese normale, in cui i politici fanno le leggi e i magistrati le applicano senza commentarle. Giorgio Masina CLUB LIBERAL SIENA

APPUNTAMENTI TODI - 10 LUGLIO 2008 Ore 12.00, Hotel Bramante Prossima riunione nazionale dei coordinatori regionali e dei presidenti dei Circoli liberal


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Mi dai il potere di curare il tuo cuore Mio Tonnio, non voglio che tu sia triste, non voglio che tu sia solo come una farfalla che non ha fiori. Mio beneamato, poiché mi dai il potere di curare il tuo cuore, il tuo corpo, prendi tutto il mio profumo, tutta la mia anima. Fa sì che una brezza rinfreschi il tuo viso, accarezzi le tue mani che amo tanto! Tesoro, anch’io nell’eternità, aspetterò da brava, se me ne vado per prima, ma Dio è buono, e può vederci insieme, perché gli ho chiesto la pace e l’amore per la nostra casa. La nostra casa, sotto un albero con mio marito e il mio cane, e tu strapperai alle stelle poesie di giustizia e di luce per i popoli ansiosi o inquieti. E io arrostirò per te uccelli e dolci frutti e ti darò le mie mani mentre dormi per non essere separata da te. Ritorna amor mio.Ti lascio, non sto bene, e i postini hanno sempre fretta. E non mi piace mandarti vecchie lettere scritte nelle notti vedove, ti canto la mia sola canzone, il mio solo canto d’amore per te. Ti abbraccio con un bacio così grande fino al tuo ritorno. Consuelo ad Antoine de Saint Exupéry

I nostri ragazzi che sono sempre più convinti che dando il minimo si possa ottenere il massimo. Non credo che quello di mia figlia sia un caso anomalo. A mio avviso, la scuola superiore dovrebbe ancora svolgere il ruolo di palestra per i nostri giovani adolescenti, che stanno ottenendo molti risultati con poco sudore e in maniera del tutto naturale. Ho il timore che il giorno in cui entreranno sulle punte dei piedi nel mondo degli adulti, abbiano delle sorprese poco piacevoli. D’altra parte ancora nessuno si è permesso di privare di autorità il detto “gli esami non finiscono mai”, ma se non li abituiamo a scuola a sostenere esami, come potranno poi affrontare quelli della vita?

Giulia Santamaria Bologna

IL GOVERNO COME PAMELA ANDERSON Egregio direttore, ci fanno proprio impazzire. Che delusione per noi che ci sdilinquiamo ogni volta che sentiamo parlare di provvedimenti definitivi e risolutivi. Sul problema dei clandestini e sui rifiuti napoletani quelli del governo hanno di nuovo cambiato idea. Paiono quell’inde-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

19 giugno 1324 Nasce il Regno di Sardegna e Corsica

1912 Istituzione della giornata lavorativa di 8 ore negli Stati Uniti 1978 Prima apparizione del fumetto Garfield 1623 Nasce Blaise Pascal, matematico, fisico e filosofo francese 1901 Nasce Piero Gobetti, giornalista, politico e antifascista italiano 1919 Nasce Carlo Cavalla, vescovo cattolico italiano († 1999) 1937 Nasce André Glucksmann, filosofo e saggista francese 1941 Nasce Václav Klaus, politico ceco 1944 Nasce Chico Buarque, musicista, scrittore e cantante brasiliano 1945 Nasce Aung San Suu Kyi, politica birmana 1947 Nasce Salman Rushdie, scrittore e saggista britannico 1954 Nasce Kathleen Turner, attrice statunitense

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

cisa di Pamela Andersson, l’esplosiva attrice ed ex bagnina, che non s’è ancora capito se abbia deciso di ridurre o no i suoi seni floridi e prorompenti. Ma si decidono o no? Lo capiscono che stiamo in pena? Grato dell’attenzione.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

FAMIGLIA COMUNISTA Egregio Direttore, mi dispiace, ma quello che sta accadendo in Italia negli ultimi due, tre mesi non va! Il PdL prima ha spazzato via le sinistre dal Parlamento (che scandalo, ci siamo allineati all’Europa!), con l’aiuto di Veltroni e soci, poi, al primo tentativo di rinascita, alle recenti elezioni provinciali e comunali di giugno 8-0 e palla al centro! Così sono a rischio la democrazia, le coronarie di molti cattocomunisti e l’intellighentia della Nazione. Non è corretto indire le elezioni e vincerle: accadeva nei paesi a regime sovietico,sotto il fascismo, ma in Italia repubblicana, con a capo un ex comunista, non si fa: la prego, alle prossime, caro Presidente, ritiri il partito da qualche collegio, rinunci a qualche sindaco, a qualche Provincia, ma non insista: veda, Veltroni rischia di avere difficoltà e non collabora più e Lo faccia almeno per la sua famiglia!

Leopoldo Chiappini Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Teramo)

ODISSEA DI UN PENDOLARE Gentile Direttore, le scrivo in merito alla tragica situazione delle nostre ferrovie. Viaggio in treno da diversi anni, da quando il lavoro mi ha portato a trasferirmi in un’altra città dal lunedì al venerdi. Faccio, quindi,

L’arte di essere saggi è l’arte di capire a cosa si può passar sopra WILLIAM JAMES

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

parte di quell’orda di incravattati che il venerdi sera si accomoda in prima classe, giornale alla mano, con la speranza di trovare i confort e la calma in linea con la tariffa superiore del biglietto a prova di milionario. Non lamento il fatto che ogni viaggio mi regala un ritardo notevolmente crescente, né oso discutere la oramai abituale mancanza di aria condizionata, spesso causa di sintomi influenzali che si manifestano durante l’intero arco della settimana. Mi sembra, però, un diritto di ogni viaggiatore, sia che paghi un biglietto in prima o in seconda classe, pretendere di trovare delle condizioni igieniche che si avvicinano ad uno standard qualitativo adatto ad un paese sviluppato.

Le tariffe dei biglietti crescono di anno in anno e le condizioni delle vetture peggiorano. In questo rapporto inversamente proporzionale, caro Direttore, voglia lei trovare un vantaggio.

Marco Solazzi Foligno (Pe)

PUNTURE Sono mille i canditati italiani per lo spazio. Giusto giusto il numero di Parlamento e governo.

Giancristiano Desiderio

SEGUE DALLA PRIMA

Caro sms, effediemmecicivù di Angelo Crespi D’altronde i messaggini, nonostante l’oggettiva buona volontà degli “sms addict”, restano buoni solo per il quotidiano: amori e sentimenti effimeri pronti a essere consumati nel minor tempo possibile, in fretta e furia prima che la scheda telefonica si esaurisca. Poi c’è il problema della lingua. I maledetti 160 caratteri massimi consentiti per sms avrebbero potuto far nascere una nuova forma chiusa, un po’ come l’aiku in diciassette sillabe, o come le trentadue strofe di cinque versi tra i quali i primi tre settenari doppi, gli ultimi due endecasillabi a rima baciata del “Contrasto” del mitico Ciullo D’Alcamo. E invece piuttosto che costringere il proprio pensiero in poche parole dense e poetiche, i messaggisti hanno scoperto gli acronimi, tipo abecba (per “abbracciami, eccitami, baciami”), amete (amore eterno), aminfi (amore infinito), axitivo (aperitivo), btly (born to love you, nato per amarti), civepo (ci

vediamo poi), fdmccv (fa di me ciò che vuoi), folleinnadt (follemente innamorato di te) hobidite (ho bisogno di te). Magari utili, come le abbreviazioni incomprensibili delle lapidi latine, ma assai meno belli. Così nell’icastica funzionalità di “btly”, il sentimento d’amore capitola nel più trito luogo comune da canzonetta pop. Infine c’è la questione della conservazione. Un tempo le lettere d’amore, anche degli ex, si tenevano in remoti scrigni confezionate con un nastrino rosso, gli sms al massimo nella memoria espandibile del cellulare. Se le scandalose missive di Gabriele D’Annunzio alle amanti ancora oggi fa piacere sfogliarle, magari vederle appese in un quadro al Vittoriale, siamo certi che tra un secolo non faranno lo stesso effetto le decine di migliaia di sms che il postmoderno don Giovanni,Vittorio Sgarbi, ha pur conservato con maniacale determinazione, lui dice, per compilare in futuro la sua biografia.

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PAGINAVENTIQUATTRO Un insolito fumetto di Millar diventa film

È tempo di eroi di Roberto Genovesi utto ha inizio nel 2003, quando la Image Comics-Top Cow decide di avviare la pubblicazione di una nuova miniserie firmata da Mark Millar e disegnata da J.G. Jones. Quella di Wanted è una storia atipica per l’universo americano dei comics. Se non altro perché il punto di vista è quello dei cattivi. Dal 1986 il mondo è stato conquistato dai supercriminali che, dopo aver sconfitto tutti insieme i supereroi, si sono divisi in cinque famiglie per controllare ognuna un continente. Il protagonista della storia è uno sfigato, represso e fallito ragazzetto di ventiquattro anni, ultima ruota del carro in un ufficio dove colleziona lettere di richiamo, afflitto da una madre incombente e da una fidanzata che lo tradisce regolarmente con il suo migliore amico. Ma a questo punto della sua vita entra in scena Fox, una spietata killer che lo invita a voltare pagina per unirsi a una delle famiglie e prendere così il posto del padre, da poco ucciso.

T

L’antefatto intrigante non sfugge ai talent scout della Universal che decidono di acquistarne i diritti già nel 2004 quando Millar e Jones sono ancora alla stesura del secondo volume della serie. Il lavoro di adattamento della storia si rivela fin da subito particolarmente complesso. La sceneggiatura di Wanted, in prima battuta, non ricalca fedelmente quella del fumetto. Ma nelle stesure successive la forbice si assottiglia. «Non ero preoccupato perché il libro e il film sono due entità distinte tra loro - dice Millar - ma mi faceva piacere vedere che attingevano continuamente al materiale originale e le versioni successive del copione, scritte da nuovi sceneggiatori, alla fine contenevano la maggior Il manifesto parte del nostro materiale». In efdi Wanted, film fetti l’impianto della storia resta diretto da Timur inalterato per circa l’ottanta perBekmambetov cento nel passaggio sul grande e tratto schermo, ma il film perde per strada un fumetto da la storia del supermalvagio e l’ascritto nel 2003 spetto più prettamente fantastico da Mark Millar dell’universo dei supereroi negativi. Inoltre, mentre nelle tavole disegnate è ben chiaro il movente criminale dei protagonisti, nel film si viaggia sempre in equilibrio sul sottile filo dell’ambiguità, per cui le azioni delle famiglie appaiono a tratti dettate da un fato particolarmente attento a privare il mondo da gente indesiderabile e nociva. Nel dettaglio, se Millar ha pensato a Halle Berry per il personaggio di Fox, la produzione del film ha deciso di regalargli il volto e il corpo di Angelina Jolie. Ma la decisione più difficile della Universal si è presentata al momento di

CATTIVI decidere chi avrebbe diretto la pellicola. E la scelta, rischiosa ma originale, di affidare Wanted a Timur Bekmambetov si è rivelata alla fine vincente. Regista della trasposizione cinematografica della serie dei Guardiani della notte, Bekmambetov è conosciuto per la sua capacità di realizzare con pochi soldi pellicole di grande impatto visivo, grazie a un uso della telecamera in grado di esaltare il realismo fantastico attraverso un approccio «alterato» della realtà. Approccio che emerge chiaramente anche in Wanted in cui le tecniche di stop motion e didascalia simulata, apparentemente antitetiche tra loro, si fondono per portare a un ri-

provvisamente, un tizio vede un puntino sulla sua testa, prende la pistola, salta dalla finestra e inizia a inseguire gli assassini. È bellissimo vedere che il film è stato girato seguendo le vignette del fumetto».

Gli assassini sono guidati dalla trama del telaio del fato. Nel corso dei secoli la setta ha imparato a decifrare le imperfezioni dell’ordito in ragione di un alfabeto binario in grado di comunicare i nomi delle persone da eliminare. In un meccanismo che non ammette tentennamenti. Anche se la bellezza di Angelina Jolie e la sua fredda determinazione di killer possono nascondere una scintilla di sentimento. Il cinema, da qualche anno, sta saccheggiando l’universo dei comics e ogni tre mesi ci ritroviamo nelle sale un film ispirato a un supereroe o un seguito derivato da una serie di film già avviata. Spesso i risultati sono mediocri, spesso le storie sono tutte uguali e, francamente, non più sostenibili per un pubblico che non è più quello degli anni d’oro del fumetto Marvel o DC. Qualche eccezione arriva allora da pellicole ispirate a fumetti fuori dal coro. Wanted è uno di questi e il film che ne è derivato è probabilmente uno dei migliori prodotti di ispirazione fumettistica degli ultimi anni. Non fatevi ingannare da supereroi dal colore stantio. Il futuro è della setta degli assassini.

Una setta di supercriminali domina il pianeta e sceglie un triste impiegato come boss. La traccia ha colpito la Universal, che ha deciso di farla interpretare sul piccolo schermo da Angelina Jolie sultato eccellente sotto il profilo della resa visiva e della tensione multisensoriale. «I primi quaranta minuti del film sono praticamente identici al libro, scena dopo scena - continua Millar - pensavo che avrebbero evitato gli elementi più taglienti, ma i sottotitoli, il voiceover, il dialogo e intere sequenze sono state tratte interamente dal libro. Una delle mie scene preferite è quella dell’apertura, in cui, im-


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