Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
La strategia dell’Occidente sulla sicurezza energetica
SEDICI PAGINE i d DI ARTI onache r c E CULTURA
Nato for Oil, come reagire se ci tagliano il petrolio
di Ferdinando Adornato
di Mario Arpino
PDL E PD: CURA O MALATTIA?
alle pagine 2, 3, 4 e 5 9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80621
Il bipartitismo che non c’è
Ora tornano allo scontro frontale e alla guerra ideologica. Il fatto è che non si tratta di due partiti veri. Quello di Berlusconi è ancora solo un cartello elettorale, quello di Veltroni è privo di strategia e identità. Continuando così questa fase politica rischia di concludersi in breve tempo, tradendo le aspettative degli italiani e creando danni al Paese
riprova del continuo processo di adattamento e di trasformazione dell’Alleanza per far fronte a nuove esigenze, circolano con insistenza spinte o proposte per far sì che la Nato includa tra i propri compiti, o almeno tra le aree di interesse, il tema della “Sicurezza energetica”. C’è addirittura chi vorrebbe vedere questa materia trattata nell’ambito dell’articolo 5, il famoso “tutti per uno, uno per tutti”. Tra i sostenitori di questi concetti, quando ancora il barile era sotto i cento dollari, troviamo schierati in prima fila sopra tutto gli anglo-americani, con Lord Robertson, ex segretario generale, e l’influente senatore Richard Lugar, autore di vari emendamenti in materia di sicurezza e difesa. Era stato proprio Lugar, tempo addietro, a convincere il Congresso a raccomandare al presidente Bush di promuovere una discussione in seno all’Alleanza sul futuro ruolo della Nato in materia di sicurezza energetica. Cosa che Bush puntualmente fece. In realtà, proprio in quella sede, ma nell’ambito di un seminario tenuto a Kiev nel settembre 2004, erano già state condotte discussioni sulle misure che la Nato avrebbe dovuto valutare nel caso di distruzione o grave danneggiamento del “sistema energetico” di un Paese alleato come conseguenza di azione terroristica.
A
s eg u e a pa gi n a 8
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 24 giugno
Il libro di Jannuzzi dopo 15 anni dall’arresto
Dopo i fatti della clinica degli orrori di Milano
Bruno Contrada, sepolto vivo dai pentiti
Viva il dottor House: meglio cinici che ipocriti
Parte la Costituente di Centro
di Angelo Crespi
di Carlo Bellieni
di Francesco Rositano
Lino Jannuzzi dice che presto potrebbero spostarlo all’ospedale militare Celio di Roma.Visto da fuori il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere è disumano nella sua scabra funzionalità. È comprensibile che Contrada ci stia morendo dentro.
Viva il dr. House col suo falso distacco, attraverso cui irrompe a momenti la provocazione umanissima di una manina di un feto, di una bambina morente, di un supposto miracaolo.
«Non possiamo aderire alla politica dei due forni, perché fanno un pane che non gradiamo.» Così l’ex segretario della Cisl, Savino Pezzotta, lancia un nuovo partito popolare e liberale.
pagina 6 SABATO 21
Intervista a Savino Pezzotta
GIUGNO
2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
nello speciale Creato a pagina 12 NUMERO
116 •
WWW.LIBERAL.IT
pagina 7 • CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
prima pagina
pagina 2 • 21 giugno 2008
Berlusconi e Veltroni tornano allo scontro: la verità è che il loro è per ora un “bipartitismo senza partiti” e dunque senza identità e senza visione del futuro
Un’occasione perduta? di Gennaro Malgieri a crisi politica italiana è “sistemica”. Ci eravamo illusi, due mesi fa, che potesse essere superata dopo il responso elettorale che semplificò il quadro partitico ed indicò inequivocabilmente il bipolarismo come approdo della lunga transizione. Più o meno tutti, tranne coloro che rimasero esclusi dal Parlamento, salutarono l’evento con una certa soddisfazione. Forse si stava realizzando, per via elettorale, il “miracolo” che l’ingegneria costituzionale, le varie Bicamerali, le riforme istituzionali fatte a maggioranza non erano riuscite a compiere. In verità, l’approssimazione con la quale venne vissuto il cambio d’orizzonte politico anche dagli stessi beneficiari, di maggioranza e di opposizione, lasciava margini di incertezza poiché ci si trovava di fronte
L
“
non a soggetti coesi, ma piuttosto improvvisati, per quanto il lavorio nel centrosinistra fosse stato, a dire la verità, piuttosto lungo e laborioso, non privo di strappi traumatici. Tuttavia, fu chiaro, all’indomani delle elezioni che la visione bipolare degli stessi protagonisti era piuttosto da considerarsi un’occasione partorita quasi casualmente e non progettuale come era da attendersi. Perciò il bipolarismo realizzato dagli elettori nelle urne adesso, alla prova dei fatti, e a meno di due mesi dall’inizio della legislatura, corre il serio rischio di andare in frantumi. Un po’ perché gli stessi soggetti interessati alla trasformazione del sistema li si vede distratti intorno ad un tema tanto impegnativo; un po’ perché la situazione complessiva sta modificando i rapporti all’interno dei poli. Sul versante di centrosinistra, la “variabile” Di Pietro, fortemente voluta da Veltroni al momento del varo delle liste, apparentata al Pd, ha finito per riempire il vuoto lasciato dalla sinistra antagonista. E le inclinazioni giustizialiste, oltre che francamente “guastatrici”, del gruppo guidato dall’ex-magistrato, certo non aiutano a definire un “polo”per quanto “plurale”, comunque assestato attorno ad un’idea di riformismo condivisa.
Nel centrodestra la lista-coalizione non è assimilabile ad un partito, e per di più convive con la Lega la quale ha una visione diversa sia della politica che delle riforme istituzionali
”
Sul versante di centrodestra la situazione è, se possibile, ancora più complicata poiché la lista-coalizione che si è presentata alle elezioni non soltanto non è minimamente assimilabile ad un partito politico, come superficialmente si immaginava dovesse accadere in poco tempo, ma convive con la Lega la
quale ha una visione diversa sia della politica che delle riforme intorno alle quali rimodellare il sistema istituzionale. Insomma, una cosa è vincere le elezioni, un’altra è conquistare lo spazio per competere tra due schieramenti-partiti diversamente orientati, ma pur tuttavia “uniti”, se così si può dire, da uno spirito costituente quale indispensabile condizione per riformare il sistema. Il probabile (e malaugurato) tramonto del sia pur timido e contraddittorio bipolarismo manifestatosi, potrebbe avere conseguenze devastanti per la nostra democrazia la cui regressione ad agone tribale è purtroppo nell’ordine delle cose, posto che un sistema bipolare lo si può organizzare soltanto attorno a grumi ideali e culturali che non ammettono deroghe. Oggi, soprattutto, la sola politica possibile e quella dei valori che si combinano con gli interessi in una prospettiva di “bene comune”: non è proprio ciò che traspare dai rapporti tra gli schieramenti.
Perciò le preoccupazioni che il quadro politico possa degenerare sono più che giustificate. E’ indiscutibile, infatti, che dalla modernizzazione della politica dipendono le possibilità di riuscita delle necessarie innovazioni istituzionali di cui ha bisogno il Paese. Se guardiamo a ciò che sta accadendo all’interno del Partito democratico, che è il soggetto più strutturato non soltanto dal punto di vista organizzativo nel contesto bipolare, non possiamo trarne che una disperante constatazione: la perdita di un’occasione. Quando il travaglio che ne ha segnato la lunga gestazione sembrava finito con la costituzionalizzazione dello stesso in soggetto competitivo elettoralmente, i suoi stessi dirigenti hanno scoperto, con raccapriccio, di non essere in grado di elaborare la sconfitta, mentre ne registravano un’altra ancor più cocente in Sicilia. Il Pd, nel contempo, ha ripreso
gli antichi vizi partitocratici, propri dei due partiti dal quale è nato, denunciati tra gli altri da uno dei suoi migliori teorici, Filippo Andreatta sul “Corriere della sera”. Sembra ormai chiaro che il Pd, preso atto del suo fallimento programmatico, al punto che il segretario Veltroni mostra incertezze ed oscillazioni difficilmente comprensibili (mentre insiste sulla connotazione riformista del partito intesse accordi con la sinistra radicale), si trasformerà, con ogni probabilità, in una federazione di componenti politiche le quali saranno qualcosa di più delle vecchie correnti organizzate, con tanti saluti all’unità della formazione che avrebbe dovuto cambiare il corso degli eventi in Italia. Peraltro, la non marginale circostanza che il partito veltroniano non sappia dove accasarsi in Europa, se in gruppo liberaldemocratico o nel Pse, la dice lunga sulla consistenza “ideologica”, oltre che politica, di una creatura nata da una “fusione a freddo” e perciò fragile, senz’anima, leaderistica, oligarchica (basta ricordare con quali criteri hanno compilato le liste…). Se poi ci si va a guardare dentro, si scopre che nel loft convivono come fratelli-coltelli esponenti politici di lungo e di breve corso animati da risentimenti reciproci e da reciproche diffidenze, pronti a colpirsi pur di affermare i diversi punti di vista su ogni cosa.
nieuropei” come un vero e proprio partito all’interno del Pd in grado di condizionare le scelte di Veltroni e, in prospettiva, prenderne il posto. Non diversamente si stanno muovendo gli ulivisti doc capeggiati da Parisi, nostalgici del Prodi d’antan, ai quali l’egemonia diessina non va giù in nessun modo. Hanno una sponda nei popolari di Marini e di Fioroni i quali pare abbiano perso per strada Rosy Bindi il cui percorso è piuttosto indecifrabile. Insomma, il duo Veltroni-Franceschini, sbeffeggiato da Ciriaco De Mita sul “Riformista” qualche giorno fa, il quale aveva previsto la deriva dei “democratici” ben prima di essere estromesso dalle liste, veleggia verso l’isola che non c’è. L’insostenibile leg-
D’Alema, che prima degli al-
“
La “variabile” Idv, fortemente voluta da Veltroni, ha finito per riempire il vuoto lasciato dalla sinistra antagonista. E le inclinazioni giustizialiste non aiutano la crescita del riformismo
”
tri ha capito l’aria che tirava, si è messo apparentemente da parte, non per fare l’aventiniano, ma per ricostruirsi il suo gruppo di potere, sia a livello territoriale che parlamentare, con un’ambizione in più rispetto al passato: strutturare la sua fondazione “Italia-
Umberto Bossi (a sinistra) e Antonio Di Pietro (a destra). Nella pagina a fianco, dall’alto in senso antiorario, Walter Veltroni, Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini
prima pagina “
21 giugno 2008 • pagina 3
verificare la possibilità di allargare a soggettività non immediatamente riconducibili al sistema dei partiti la proposta di innovare il centrodestra addirittura superandolo. Un vasto programma, senza dubbio, che non dovrebbe demoralizzare o deprimere coloro che ritengono il partito del Popolo della libertà non una fantasia politica, ma un’esigenza avvertita da quegli stessi cittadini che lo hanno di fatto auspicato con il voto che hanno dato a
Il duo Veltroni-Franceschini veleggia verso l’isola che non c’è. Il Pd è marginale perfino nei confronti del suo alleato Di Pietro, mentre i riformisti sono ridotti al silenzio non è stata elaborata l’indispensabile nuova cultura politica sulla quale costruire il Pd. E’ questo, purtroppo, il rischio che corre anche il Pdl. Appagato, forse, dalla vittoria elettorale, sistemati gli organigrammi governativi e parlamentari, sembra che il passaggio dalla listacoalizione a soggetto politico unitario sia stato derubricato ad
“
matore e perciò seguimmo il fecondo dibattito, durato peraltro alcuni anni, con l’interesse che meritava. Mai avremmo immaginato che la formazione costruita con tanto zelo, sia pure in maniera alquanto contraddittoria, si dissolvesse nello spazio di un mattino. Le cause sono diverse, ma ce n’è una non sottovalutabile. L’operazione non ha avuto il successo sperato perché è stata un’operazione verticistica, pilotata da oligarchi gelosi delle loro provenienze e delle rispettive identità; non si dato luogo ad un ripensamento globale delle esperienze storiche da cui i residui dei partiti che si univano traevano origine. Insomma
Nel Pdl appagato dalla vittoria, sistemati gli organigrammi governativi e parlamentari, sembra che il passaggio da lista-coalizione a partito sia stato derubricato ad occasione da valutare
gerezza del Pd è provata oltretutto dal fatto che risulta politicamente perfino marginale rispetto al suo stesso alleato Di Pietro, mentre i riformisti sono stati ridotti al silenzio. E questo sarebbe uno dei due soggetti sui quali dovrebbe reggersi il bipolarismo italiano? Sinceramente speravamo che la nascita e l’affermazione di un soggetto di tal genere potesse ridurre e semplificare sul versante di centrosinistra l’affollamento di sigle e micropartiti dando consistenza ad un progetto autenticamente rifor-
”
occasione da valutare chissà quando e a seconda della convenienza politica del momento, come se i partiti si possano improvvisare. Certo, ogni tanto se ne parla. Ma poi alla fine non si vede niente. E nessuno, del resto, può pensare che il partito unico si possa realizzare senza coinvolgere elettori, simpatizzati, militanti di Alleanza nazionale e di Forza Italia, in primo luogo, insieme con quelli di altri partiti minori, ma non per questo meno importanti.
Insomma, è piuttosto deprimente apprendere di tanto in tanto che questo o quello si sono incontrati ed hanno parlato del nuovo soggetto politico, evitando accuratamente di far sapere come, in che modo, in quali tempi vararlo. Se la nascita del Pd è stata caratterizzata da eccessive lacerazioni, che visti gli esiti non valevano la pena, nella fase che il Pdl vive, a meno che non si sia rimasti con la testa al famoso discorso del predellino, bisognerebbe attivare una seria ed approfondita discussione pubblica, partendo magari dai molti documenti elaborati nel corso degli anni, inspiegabilmente dimenticati, e
”
menticare i “fratelli separati”del partito cattolico dell’Udc. Qui il discorso si fa complesso, ma ineludibile. È pensabile, per quante incomprensioni possano esservi state, tra i vecchi “soci” della Casa delle libertà ed il partito di Casini spingere oggettivamente questo nelle braccia del Pd o, quantomeno, “costringerlo” ad associarsi ad una opposizione che sarebbe innaturale che comprendesse coloro che fino a pochi mesi fa condividevano, con qualche sofferenza, i percorsi del centrodestra?
E’ questo un interrogativo sul quale le classi dirigenti di Alleanza nazionale e di Forza Italia dovrebbero soffermarsi, pro-
“
È pensabile, per quanti malintesi possano esservi stati tra i vecchi “soci” Cdl e Casini, spingere l’Udc nelle braccia del Pd o “costringerla” ad associarsi a una opposizione innaturale?
Berlusconi. È a loro che lo si deve portare in dote da parte di chi ha la responsabilità di guidare la coalizione e farli partecipare nella maniera più democratica possibile. Quanto alle idee, ripetere gli errori del Pd sarebbe suicida. L’approccio non può che essere quello di un “fusionismo” culturale che si traduca in una contaminazione feconda tra esperienze, proposte, storie al fine di dare al partito unitario una ideologia che al momento non si vede, senza rimpianti per le vecchie case abbandonate, ma con la certezza che il domani è di chi se lo sa prendere. Un’ambizione non da poco, ma è anche la sola che potrebbe giustificare gli sforzi di quanti davvero ritengono che soltanto dalla ricostruzione del sistema politico e partitico dipende la riuscita di un riformismo possibile che metta in primo piano la riscrittura delle regole costituzionali. Con il concorso di tutti , questa volta. E naturalmente senza di-
”
prio nel segno di un’aggregazione valoriale sulla quale potrebbe e dovrebbe nascere il partito nuovo o qualcosa che gli assomigli. Se la logica bipolare, in altri termini, è l’obiettivo primario del Popolo della libertà, non si può restare a guardare ciò che avviene al centro dello schieramento politico senza almeno tentare qualcosa che se non lo si vuole qualificare come un appeasement, quantomeno dovrebbe avere le caratteristiche di un dialogo soprattutto su questioni condivise. Il quadro è complesso e delicato, come è facile capire. Sullo sfondo ci sono più ombre che luci. Ma l’aspirazione alla costruzione di una Terza Repubblica, della Repubblica degli italiani e non dei partiti, dovrebbe indurre tutti a verificare gli errori e, se del caso, a mutare strada. A sinistra come a destra e pure al centro.
pagina 4 • 21 giugno 2008
prima pagina
Assemblea indolore per il leader del Pd, che convoca la piazza con qualche mese d’anticipo
Veltroni rompe con Berlusconi… di Errico Novi Prodi è stato applaudito in contumacia all’assemblea costituente del Pd celebrata ieri a Roma: la platea lo ha invocato quando Veltroni ha letto dal palco la sua lettera. Ma lo strappo con l’ala legata al Prof è evidente: Parisi si è rifiutato di far parte della nuova direzione: 160 componenti scelti tutti con una lista presentata dal segretario e condivisa dai maggiorenti
ROMA. Cosa sarebbe il leader del Pd senza Cavaliere? Oggi gli toccherebbe probabilmente la sorte di un segretario chiuso nell’angolo, oppresso dal peso della sconfitta e da una impressionante crisi di identità. E invece Silvio Berlusconi con il suoi strappi istituzionali e verbali ricostruisce quasi dal nulla una prospettiva per l’avversario. Gli consente di salire sul palco dell’assemblea costituente del Pd celebrata ieri alla Nuova fiera di Roma e ricompattare la non euforica platea dietro lo scudo dell’opposizione dura e intransigente. «La lettera che il premier ha inviato lunedì è uno spartiacque che rischia di segnare negativamente l’intera legislatura», dice Veltroni, «con quella missiva Berlusconi ha assunto la paternità politica di un emendamento al decreto sicurezza che stravolge il senso del provvedimento e colpisce il ruolo di garanzia del Capo dello Stato». Ma soprattutto quella improvvisa sterzata del Cavaliere «strappa la delicatissima tela del dialogo istituzionale con l’opposizione».
Ed è proprio questa la manna dal cielo, per il segretario democratico. Adesso che si tratta di sferragliare il premier tornato unilaterale ed estremista sulla giustizia, nessuno dei big pensa a fare la guerra a Veltroni. Troppa grazia, non la si può sciupare con un impuntamento sulle debolezze interne. Certo fa un po’ impressione sentire Veltroni che nella sua lunga relazione (quasi un’ora e mezza) sfodera a un certo punto un colpo alla Silvio: «Non ci stiamo, oggi siamo noi a dirlo, onorevole Berlusconi, ma in autunno sarà larga parte degli italiani, che noi chiameremo a raccolta per un’azione di protesta e proposta che cul-
minerà in una grande manifestazione nazionale». Altro che rigore e meticolosità del processo costituente, in questa salvifica (almeno nell’immediato) metamorfosi veltroniana ci sono tutte le puntate principali dell’epopea Pdl: la contrapposizione sistematica al governo nemico, i gazebo per la raccolta delle firme contro l’esecutivo e in particolare contro le leggi ad personam, fino alla grande adunata di popolo che lo stesso Silvio avrebbe convocato se non ci avesse pensato Prodi a cascare prima. Chissà se in autunno, nella piazza capitolina che Vel-
me minimo costano il tono sfottente di Antonio Di Pietro (polo d’attrazione delle oscillazioni veltroniane uguale e contrario a quello berlusconiano): «Le proteste si fanno subito, quando ci sono i provvedimenti da contestare». E come dargli torto. Eppure l’improvvisa reincarnazione consente a Walter di respirare, di togliersi dalle calcagna i maggiorenti, tutti assai meno rognosi del previsto ieri pomeriggio, da Franco Marini a Massimo D’Alema, con qualche punta critica appena più affilata da Pierluigi Bersani e la splendida solitudine di Arturo Parisi, infuriato per il metodo di conta dei delegati e sdegnosamente autoescluso dalla direzione appena nominata (160 componenti, tutti scelti dal segretario d’intesa con gli altri big).
La riconversione intransigente assicura al segretario la benevolenza degli altri big. Evocato un nuovo centrosinistra con Udc e socialisti. Marini plaude all’ipotesi di una federazione tra Pse e liberaldemocratici in Europa, Parisi è l’unico a sbattere la porta troni riempirà, si assisterà al vero atto fondativo del nuovo centrosinistra, o almeno al ricongiungimento del partito con un popolo a rischio sonnolenza.
Come negare, certo, che il nuovo Veltroni sia in buona parte farina del sacco del Cavaliere? Come ignorare che è stato il premier a eterodirigerne le recenti evoluzioni, prima con il «se pò fa’» che ha generato il Walter iperdialogante e poi con l’affondo blocca-processi che ha riacceso la vis antagonista dei democrat? E che dire di questa manifestazione convocata ieri dal segretario Pd con un anticipo mai visto? Tutte metamorfosi che co-
A un certo pu nto
del pomeriggio sul capo di Veltroni si accumula una tale quantità di anatemi del Cavaliere da produrre una reazione d’altri tempi: «Non posso accettare che si diano giudizi con una violenza tipica dell’uomo e anche con la scarsa conoscenza dei problemi tipica dell’uomo, di chi nel giro di soli quattro anni, dal 2001 al 2004 quando era presidente del Consiglio, ha portato all’Italia 30 miliardi in più di deficit». L’ultimo passaggio è amabilmente dedicato al tono liquidatorio con cui Berlusconi qualche ora prima ha dato del «fallito» a Walter per il buco nei conti del Comune di Roma e ha detto che «uno così non può governare. Davvero troppo
brusco il cambio di registro (di entrambi) per credere che quello precedente pieno di buoni propositi fosse sincero. In ogni caso la ventata di oltranzismo viene percepita da tutti, alla Fiera di Roma, come provvidenziale, opportuna. C’è appunto Parisi a sbuffare e sbattere la porta il più violentemente possibile perché gli altri sentano bene. C’è Romano Prodi la cui ombra si materializza sotto forma di missiva letta sul palco da Veltroni, che lo ringrazia e suscita un bell’applauso in platea, tanto da rilanciare convinto l’invito a non lasciare la presidenza. Persino Rosy Bindi si dissocia dall’immusonimento parisiano e sancisce così definitivamente la propria separazione dai destini dell’ala legata al Prof. Resta giusto Bersani a parlare anche un po’a nome di D’Alema e a descrivere le correnti come un bene necessario, le tessere come un preludio indispensabile a qualsivoglia conferenza programmatica o congresso e infine le feste estive con una buona tradizione da ripristinare. Francesco Rutelli si dice soddisfatto per le aperture veltroniane a un sistema di alleanze che configuri un nuovo centrosinistra, aperto all’Udc e ai fantasmatici socialisti. Franco Marini conferma che sì, superare la vecchia coalizione è stato un bene e che, udite udite, «la federazione tra socialisti e democratici in Europa è un compromesso ragionevole». Su questo per la verità D’Alema non dice granché, probabilmente per fondato scetticismo. Si limita a supportare la nuova strategia del partito, a confidare ai suoi che a questo punto Berlusconi è strutturalmente incompatibile con il dialogo. Bene così, Veltroni resta a galla e i conti sono rinviati a data da destinarsi. O meglio da fissare secondo il gradimento di Silvio.
prima pagina
21 giugno 2008 • pagina 5
Polemica con il segretario Pd, con Barroso, con i magistrati: il Cavaliere come un fiume in piena
E Berlusconi con lui,l’Ue e i giudici di Guglielmo Malagodi
ROMA. Incontenibile. Silvio Berlusconi ieri ne ha avute davvero per tutti. La sua conferenza stampa da Bruxelles è stata un spettacolo di fuochi d’artificio, al punto che ora il gioco più praticato dagli analisti politici è capire se sia trattato di uno sfogo umorale o di una mossa tattica premeditata. La miccia che scatenato la furia del Cavaliere, probabilmente, è stata la decisione del tribunale di Milano di non sospendere il processo contro di lui e Mills, nonostante la richiesta di ricusazione avanzata contro il magistrato Nicoletta Gandus. Così è ripartita la guerra del Premier contro i giudici, «che vogliono sovvertire l’esito del voto e della democrazia». Berlusconi, pur provando a distinguere, ha sparato ad alzo zero, prendendosela con chi «si infiltra nella magistratura per sottrarre il loro potere a fini politici» e constatando che «il resto della magistratura non riesce a metterli nell’angolo». «Per questo motivo sono indignato - ha aggiunto il presidente del Consiglio - ed annuncio che la settimana prossima terrò una conferenza stampa per denunciare la situazione della magistratura italiana e tutta la mia indignazione e la mia volontà di non vedere sovvertita la democrazia». A stretto giro di posta è arrivata la reazione dell’Associazione Nazionale Magistrati. «Basta con gli insulti alla magistratura che sono un danno per la democrazia e il Paese - ha affermato il segretario Giuseppe Cascini - Il premier parla di pm sovversivi? Faccia i nomi!». Dopo di che l’Anm ha chesto ufficialmente di essere ricevuta dal capo dello Stato Giorgio Napolitano. «Questi attacchi – hanno scritto in una nota il presidente Luca Palamara e il segretario Giuseppe Cascini ci allarmano e ci preoccupano perché rischiano di minare alla radice la credibilità delle istituzioni e di compromettere il delicato equilibrio tra funzioni e poteri dello Stato democratico di diritto».
Insomma, un gran bel putiferio per il Cavaliere, che però evidentemente non era sufficiente a placare la sua vis polemica. E così, dopo aver letto le dichiarazioni di Walter Veltroni pronunciate all’assemblea del Pd, Berlusconi ha definitivamente detto addio al fair play che ha caratterizzato
questo inizio di legislatura. Al punto che Berlusconi si è sentito in dovere di precisare che «la luna di miele con l’opposizione non c’è mai stata». Parole al vetriolo, da una parte e dall’altra. Il segretario del Pd aveva accusato il presidente del Consiglio di aver promosso attraverso la legge cosiddetta “salva-premier”una norma contro Napolitano. La reazione del leader del Pdl è stata durissima: «Veltroni si preoccupi delle notizie terrificanti sui conti di Roma che vanno sotto la sua responsabilità - ha detto Berlusconi - Su questo chiederemo a un istituto internazionale un’accurata indagine. Se sono confermate le notizie, si tratterà di una bancarotta e gli amministratori di Roma saranno dei falliti che dovrebbero lasciare la politica». In questo clima incandescente, passava per caso dalle parti di
d i a r i o Bruxelles il presidente della Commissione Ue Barroso, ed è finito pure lui investito dall’ira del Cavaliere. A parte gli scherzi, le critiche di Berlusconi nei confronti dei commissari europei accusati di provocare negativamente la pubblica opinione non sono state ben digerite da Barroso. La sua replica secca resterà consegnata alla storia dei rapporti tra il governo d’Europa e quello italiano: «La commissione è un’istituzione indipendente, non il segretariato degli Stati membri». Si è conclusa così la giornata di Silvio Berlusconi a Bruxelles che in serata è ripartito lasciandosi dietro l’interrogativo con cui abbiamo aperto il pezzo: «Perché? Si è trattato di uno scatto di nervi o di un’oculata modifica di indirizzo politico?». Ai contemporanei l’ardua sentenza.
La sua conferenza stampa da Bruxelles è stata un spettacolo di fuochi d’artificio, al punto che ora il gioco più praticato dagli analisti politici è capire se sia trattato di uno sfogo umorale o di una mossa tattica premeditata
d e l
g i o r n o
Schifani: Il dialogo continuerà «Confido nel fatto che il dialogo tra maggioranza e opposizione possa essere riannodato o, addirittura, che questo dialogo non sia perso». Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani. «Io confido fortemente - ha aggiunto sul fatto che in Parlamento si possa lavorare in maniera costruttiva e decorosa per ottenere il meglio nel processo di formazioni delle leggi. Un dialogo necessario per la manovra, il Dpef, i provvedimenti sui rifiuti in Campania. Ci sono tante occasioni - ha concluso Schifani per lavorare in Parlamento e riaffermare la volontà di maggioranza ed opposizione di confrontarsi, rispettarsi e trovare momenti di cooperazione e collaborazione come successo nei giorni scorsi sulle norme del pacchetto sicurezza che sono state votate da tutti».
Maroni chiude la polemica Lega-Pdl Non ci sono frizioni nella maggioranza. Roberto Maroni, ministro dell’Interno, ne e’ convinto e spiega anche perchè l’altro ieri la Lega per due volte ha votato con l’opposizione. «La prima votazione è stata una segnale - ha detto a margine di un convegno sull’usura - la seconda votazione un errore. Può capitare con centinaia di votazioni. La cosa importante, però, è che l’altro giorno si è votato all’unanimità la Finanziaria e stabilito che in autunno si procederà al federalismo fiscale. Questo terrà insieme la maggioranza per cinque anni. Il resto sono sciocchezze».
Alemanno cancella la Notte Bianca «La Notte Bianca non si farà perchè non ci sono le risorse per farla». Lo ha ribadito il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a margine dell’incontro con la Rugby Roma svoltosi ieri in Campidoglio. «E’ molto difficile - ha aggiunto Alemanno - a meno che non ci sia un progetto completamente privato. La Festa del Cinema, invece, si farà perche’ finanziata in gran parte dagli sponsor». Il sindaco ha quindi spiegato che «dobbiamo presidiare le cose essenziali, i servizi sociali, gli stipendi ai dipendenti, tutti impegni seri su cui faremo grande fatica a fare copertura».
Il Tar contro la base Usa di Vicenza L’ampliamento della base Usa di Vicenza non ci sarà. Lo ha annunciato il Codacons, secondo il quale il Tar del Veneto avrebbe «accolto in pieno» il ricorso presentato dall’associazione. Il deposito della sentenza, attesa in un primo tempo per giovedì, è avvenuto venerdì. «Siamo in attesa di leggere le motivazioni della decisione - spiega il presidente, Carlo Rienzi - ma ci sembra una sentenza di grande sensibilità giuridica e civile che dà ragione a tutta quella parte di popolazione che lamentava si volesse modificare l’habitat e l’ambiente della città di Vicenza senza nessuna partecipazione dei cittadini».
Panucci: meglio la Spagna, tranne nel calcio La Spagna vista da Panucci è uno stile di vita. Migliore del nostro, almeno adesso, secondo il difensore giallorosso che ha parlato ieri in conferenza stampa. In campo, dice, vincerà l’Italia. Ma potendo scegliere è meglio vivere in Spagna: «Devo dire che in questo senso sono d’accordo con Zapatero: negli ultimi dieci anni politicamente, socialmente, economicamente è stata per noi una ”derrota”, una disfatta».
pagina 6 • 21 giugno 2008
ino Jannuzzi dice che presto potrebbero spostarlo al Celio a Roma. Visto da fuori il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere è disumano nella sua scabra funzionalità. È comprensibile che Bruno Contrada ci stia morendo dentro. Ci languirebbe perfino uno “ziovinozz imbelle ed imbecille” di quelli strafottenti cantati da Ezra Pound. Figuriamoci un uomo di 77 anni avvilito, dopo 15 anni di processo. Uno spettro. Così figurava l’avvocato che anche in una recente intervista ha sentenziato «sta morendo». Bruno Contrada, lo «sbirro più famoso di Palermo» come lo definisce Jannuzzi nel suo recente libro (“Lo sbirro e lo Stato”, Koinè editore, pp.192, 14,00), una sorta di j’accuse contro la magistratura italiana. Bruno Contrada per 30 anni a combattere la mafia e da 15 costretto a difendersi dall’antimafia. Adesso semplicemente “sta morendo”. E non c’è grazia che possa salvarlo, né eutanasia come lui stesso aveva supplicato gli concedessero. Contrada deve restare lì dentro il carcere perché è un simbolo per quelli che dicono che in questo modo si sconfigge la mafia. Poi deve morirci dentro il carcere così sarà simbolo anche per quelli che non hanno mai creduto nella sua colpevolezza, nonostante le sentenze. Contrada lo sbirro che non fa più notizia e si merita al massimo sui quotidiani un taglio basso. Nessuno ha più il coraggio di battersi ancora contro il “teorema” per mezzo del quale i giudici ne hanno decretato la colpevolezza. Forse solo Jannuzzi che è ancora abbastanza giovane quando si tratta di smascherare le ingiustizie. Oppure Stefania Craxi che ha vissuto sulla pelle come una famiglia possa essere distrutta da troppa giustizia.
giustizia
L
Per gli altri Contrada è niente. Troppo difficile smontare il meccanismo che lo attanaglia: «concorso esterno in associazione mafiosa». Un accusa da cui non puoi difenderti. La Craxi nella prefazione del libro spiega: «è reato di dubbia fondatezza tanto fa non aver ancora trovato una formale collocazione e una formale disciplina all’interno del nostro codice penale. Avviene allora che al momeno della condanna, non essendoci per il concorso esterno una specifica disciplina, si ricorre agli articoli 110 e 416bis del codice penale che riguardano però l’associazione mafiosa propriamente detta e il concorso interno (non esterno) nell’organizzazione criminale. Sono reati decisamente più gravi ed è dunque evidente la sproporzione della pena e la sostan-
Un libro di Jannuzzi sul caso che da 15 anni divide l’Italia
Il sepolto vivo di Angelo Crespi ziale ingiustizia che colpisce i condannati per consorso esterno. Non sono bastate due sentenze della Corte di Cassazione che sottolienano la necessità di configurare un reato più grave del concorso esterno per l’applicazione del 416 bis, per restiturie logica alla cose. Peggio ancora, la legge sull’ordinamento penitenziario, escludendo dalla concessione dei benefici le persone condannate per gravissimi reati, tra cui l’associazione mafiosa, sottopone al-
in primo grado. Assolto con formula piena in Appello. La Cassazione ha cassato l’assoluzione e lo ha rinviato a processo. Il secondo processo di appello lo ha ricondannato a dieci anni. La Cassazione infine ha approvato. Il tutto è durato 15 anni. A favore di Contrada nei vari processi hanno testimoniato cinque capi di polizia, due capi del controspionaggo, tre altri commissari per la lotta alla mafia,
Condannato per “concorso esterno”, un reato dal quale è praticamente impossibile difendersi lo stesso rigoroso trattamento anche le persone condannate per concorso esterno, senza alcuna differenziazione. È palesemente assurdo che due incriminazioni che hanno elementi costitutivi diversi, oggettivi e soggettivi, non abbiano un differenziato sistema di esecuzione della pena». Così Contrada è uno spettro e deve morire. Arrestato alla vigilia di Natale del 1992, lo “sbirro” è stato per 949 giorni sepolto vivo in un carcere militare appositamente riaperto per lui, solo per lui. Poi l’interminabile processo. Condanato a dieci anni
due generali della Guardia di Finanza, venti tra questori e funzionari di Ps, dieci ufficiali dei carabinieri, una cinquantina di agenti e due ministri. I giudici hanno creduto a mafiosi dichiaratisi pentiti, alcuni dei quali erano stati arrestati proprio da Contrada.
«È inaccettabile - scrive Jannuzzi - che Contrada resti a marcire in galera, al posto dei criminali che sono stati liberati e stipendiati dallo Stato solo perché lo hanno accusato fino a morirne. Perché per quanto cerchino di nascondere la verità, questo è successo. E’ stato un criminale assassino, un mafioso che ha confessato di aver compiuto tanti assassinii da non poterli più contare, Gaspare Mutolo, che ha accusato Bruno Contrada e solo per sentiro dire. Ma era stato proprio Contrada ad inciminare Mutolo per l’assassinio del poliziotto Cappiello e a portarlo davanti al giudice assieme al boss Riccobono, il capo della cosca mafiosa di cui Mutolo fa parte. Il giudice non ha creduto a Contrada e ha mandato assolti Mutolo e Riccobono. Quando, dopo molti anni, Mutolo ha
accusato Contrada di complicità con Riccobono, che intanto era morto assassinato, è stato quello stesso giudice, proprio lui, a condannare Contrada per i suoi rapporti con lo stesso Riccobono. Il poliziotto indaga sull’assassinio di un suo collega e incrimina del cimine il mafioso, il giudice assolve il mafioso e manda in carcere il poliziotto al suo posto». Questo è quanto, in estrema sintesi. Sempre che si possa fare una sintesi di un caso di giustizia durato 15 anni. Un brocardo latino sentenzia: «res iudicata facit de albo nigrum, originem creat, aequat quadrata rotundis, naturalia sanguinis vincula et falsum in verum mutat». La cosa giudicata fa del bianco il nero... La verità processuale è dunque questa: Contrada mafioso. La verità umana: Contrada lo sbirro sta morendo in carcere e non c’è nulla da fare. Appena arrestato nel 1992 in una lettera alla moglie aveva scritto: «Adriana, non immaginavo che avessi la forza di sopportare la sofferenza che mi è stata inflitta: una sofferenza infinita, lancinante che mi pervade tutto l’essere. Soffro con il corpo, la mente, lo spirito. Continuo in modo assillante a ripetermi: come è possibile, perché? Non ho alcuna risposta perché mi rifiuto di accettare l’idea che l’ingiustizia possa giungere a tanto. Ma ciò che mi fa soffrire di più è il dolore tuo e quello dei nostri figli Guido e Antonio. Quel poco che mi resta di volontà di continuare a vivere è per non aggiungere a voi dolore ad altro dolore. Cercherò di fare appello a tutte le mie residue forze, a non perdere la lucidità mentale, a non farmi sopraffare dalla prostrazione fisica e morale e lo farò per te, per Guido, così sensibile, per Antonio così fragile, ambedue così buoni ed affettuosi. Nessuno più di te conosce come io abbia vissuto, cosa abbia fatto per lo Stato, i sacrifici, le rinunzie, le preoccupazioni, i pericoli corsi, la dedizione totale alle Istituzioni, la fedeltà ai miei ideali di Patria sin da quando a vent’anni indossavo la divisa da Ufficiale dei Bersaglieri (e ne ero così felice ed orgoglioso). Ora sono accusato di colpe infami, disonorevoli, le più gravi che possono essere addebitate ad un uomo, ad un servitore dello Stato: colpe che se avessi veramente commesso non chiederei per me la perdita della libertà in questo carcere ma la pena di morte! Ma io non ho fatto nulla di male, non ho mai trasgredito i miei doveri professionali: io sono innocente. Dillo a Guido ed Antonio, fà che non abbiano il minimo dubbio.Ti bacio Bruno». Dillo a Guido ed Antonio.
politica
21 giugno 2008 • pagina 7
Comincia il percorso per dar vita ad un nuovo partito popolare e liberale
Parte la Costituente di Centro colloquio con Savino Pezzotta di Francesco Rositano ROMA. Non possiamo aderire alla politica dei due forni, perché i due forni che sono aperti non ci piacciono: fanno un pane che non gradiamo. Vorremmo un’articolazione che consenta di governare meglio questo paese e di rappresentare le istanze della gente». È per questa ragione che, lunedì, Savino Pezzotta - ex segretario della Cisl e portavoce del Family day - lancerà insieme ai leader dell’Udc, della Rosa Bianca e dei Circoli Liberal - la Costituente per l’Unione di centro. L’idea, spiega il politico bergamasco, è quella di dar vita ad un nuovo Polo che non sia tanto un ago della bilancia, ma «un soggetto politico diverso che coinvolga il mondo sociale, accademico, della cultura e, poi, organizzazioni, circoli, movimenti che oggi stanno ai margini, per farli diventare i protagonisti di una grande battaglia politica». Nelle intenzioni di chi l’ha pensata poi questo nuova realtà avrebbe anche un altro scopo: «fermare la deriva bipartitica e presidenzialista che investe la politica italiana». Onorevole, secondo lei il bipartitismo è ciò di cui ha bisogno il Paese? Certamente no. Io non credo che la governabilità non sia la riduzione a due soggetti; la governabilità è la capacità di fare coalizione e di fare coesione. Un conto, quindi, è opporsi alla frammentazione, un conto è comprimere il pluralismo. Il pluralismo è una ricchezza per tutto il paese perché parlamentarizza le forze che stanno dentro, che agitano, che si muovono, che rappresentano spezzoni e aree della società. Se si scivola verso una costrizione coatta al bipartitismo si finisce per creare un’area extra-parlamentare che non aiuta o non far rappresentare in Parlamento delle istanze ideali e reali che pure esistono in mezzo alla gente. Inoltre il bipartitismo porterebbe a bloccare il processo dell’alternanza. Credo che quelli del Pd dovrebbero riflettere: questa tensione al bipartitismo vorrebbe dire consegnare alla destra un governo per moltissimi anni. Ma il bipartitsimo in
Lunedì la conferenza stampa del Comitato promotore Al via il comitato promotore per la Costituente di Centro. Lunedì 23 giugno alle 17, a Roma, nella Sala convegni Capranichetta in Piazza Montecitorio, Pier Ferdinando Casini, Ferdinando Adornato, Rocco Buttiglione, Lorenzo Cesa, Ciriaco De Mita, Francesco D’Onofrio, Savino Pezzotta, Bruno Tabacci partono con una nuova sfida politica. L’obiettivo è quello di dar vita ad un nuovo partito - popolare e liberale - in cui confluiscano gli elettori dell’Udc e quelli di nuovi movimenti come la Rosa Bianca e i Circoli
qualche modo non è stata una conseguenza del voto degli elettori? Voluta o indotta? Se io continuo a spiegarti per tutta la durata della campagna elettorale la necessità del voto utile (quindi la necessità di voltare
Liberal. E tutte quelle istanze della società civile che raccolgano, precisano gli iniziatori, «le idee migliori dell storia nazionale, il progetto di solidarietà e sussidarietà del popolarismo, l’affermazione delle virtù civiche repubblicane dell’umanesimo laico, l’spirazione cristiana e liberale fondata sul primato della persona». Una nuova realtà che ha anche un altro obiettivo: quello di accogliere chi non si sente rappresentato dalla diarchia di due soli partiti.
L’Udc, chi Mpa, Di Pietro. Gli italiani, fortunatamente, rimangono pluralisti per loro natura, per loro cultura anche. Questo è un paese più lungo che largo. In che modo la Costituente di Centro potrebbe contribuire a sbloccare questo sistema? La Costituente di centro si propone la creazione di un nuovo soggetto politico, non certo per allargare o assorbirsi nelle realtà che le daranno vita. Per cui la Costituente deve valutare la possibilità di andare oltre l’Udc, di andare oltre la Rosa Bianca, di andare oltre i Circoli Liberal e di aggregare altre forze liberali, democratiche e di ispirazione cristiana,. Vuole essere un altro Polo, che ha come obiettivo quello di mettere in discussione la deriva bipartitica e presidenzialista che si presenta nella politica italiana: questo è il suo obiettivo. Non è che nasce come forza intermedia per fare l’ago della bilancia, è una cosa diversa, almeno io penso che debba essere una cosa diversa. Non possiamo fare la politica dei due forni, perché i due forni che sono aperti non ci piacciono. Fanno un pane che non gradiamo: vorremmo
«Non possiamo aderire alla politica dei due forni, perchè fanno un pane che non gradiamo.Vorremmo creare una formazione in grado di rappresentare le istanze della gente» solo per il Pd o per il Pdl) alla fine la gente finisce e per convincersi che sia giusto. il voto utile, il voto utile. Io credo che questa sia stata la vera strumentalizzazione. Poi credo che ci sia una propensione psicologica in mezzo agli italiani, che però diventa pericolosa anche per chi la raccoglie alla fine, che è quella dell’affidarsi per uscire da un sistema che in quindici anni non ha funzionato. Il bipolarismo e la cosiddetta Seconda Repubblica si è dimostrato inefficace, inefficiente, rissoso, e diciamo contraddittorio. Inoltre, non credo ci sia una propensione bipolare negli italiani, anche perché se poi guardiamo a quello che è successo c’è stata un’articolazione del voto: c’è chi ha scelto la Lega, chi
un’articolazione che consenta di governare meglio questo paese e di rappresentare meglio le istanze della gente. Quali saranno le tappe? Partiremo da un comitato promotore che prenderà contatto con la società civile per comunicare, spiegare questo programma, raccogliere adesioni, soprattutto nel mondo sociale, accademico, della cultura e anche individuare quei movimenti, quelle forme organizzative che oggi stanno ai margini e portarle dentro una grande battaglia politica. Circoli, movimenti nei territori, delle associazioni: c’è una pluralità di realtà che hanno questo tipo di ispirazione. Poi vorremmo costituire un’Assemblea Costituente che nasca dal basso, che inglobi dentro di sé quello che oggi è l’Unione di Centro dal punto di vista parlamentare e arrivare entro la fine dell’anno, sicuramente prima delle prossime elezioni europee, alla costituzione di un nuovo soggetto politico. È un percorso aperto a tutte quelle forze che credono che la demo-
crazia italiana debba avere un altro stile, un altro passo rispetto a quello che si è messo in campo di questi tempi. Mario Baccini ha detto di voler portare la Rosa Bianca nel Pdl. Ma il simbolo è il suo? Il simbolo è depositato dai soci fondatori e nessuno se ne può appropriare. Lui se ne è andato dal movimento, non può adesso pretendere di assumerselo. Il movimento era nato in contrasto con la deriva bipartitica: se lui sceglie di andare verso un’area è lui che esce dalla Rosa Bianca perché va verso una posizione politica che è totalmente diversa.
pagina 8 • 21 giugno 2008
geopolitica
Un problema strategico: come rispondere a un eventuale taglio energetico da parte di Russia, Paesi Arabi e Iran
Nato for Oil di Mario Arpino segue dalla prima Già allora, l’idea di impegnare la Nato in missioni militari in difesa degli approvvigionamenti energetici occidentali aveva sollevato un certo numero di obiezioni. Diversi europei, in particolare, avevano fatto sapere di prediligere la trattativa e la via diplomatica, piuttosto che affrontare nuove avventure in medio-oriente, se non addirittura nell’Asia centrale e meridionale.
Il concetto di sicurezza energetica nei summit di Riga e Bucarest Le origini delle discussioni in ambito Nato – l’esistenza del problema è comunque riconosciuta da tutti – hanno una duplice natura. La prima è di carattere militare, focalizzandosi sull’esigenza di condurre una pianificazione tattica e logistica che consenta di assicurare, anche nel caso di un attacco alle linee di rifornimento, stabilità e sicurezza agli Stati membri e capacità operativa alla stessa Nato.Va da sé che le opzioni in questo caso sono di carattere militare e, quindi, almeno la pianificazione è d’obbligo, anche se risponde a un’ipotesi poco probabile. La seconda natura del problema focalizza invece le discussioni sul carattere politico della minaccia energetica, traendo origine dalla disputa tra l’Ucraina e la russa Gazprom del gennaio 2006, crisi attentamente monitorata dall’organizzazione politica e militare dell’Alleanza. Come risultato, già nel febbraio 2006 il segretario generale della Nato decideva di porre in
agenda il tema della sicurezza energetica. Tema che, considerate le due anime del problema, non ha sinora permesso di raggiungere il consenso sul ruolo che la Nato debba svolgere, se lo debba effettivamente svolgere e, in alternativa, “chi” invece lo debba svolgere. L’allusione ai tentennamenti ed alle ritrosie dell’Unione Europea è evidente. Il dibattito si è poi sublimato in una frase del comunicato a conclusione del summit di Riga del novembre 2006, dove per la prima volta si annuncia in un documento ufficiale che quello della sicurezza energetica è argomento che effettivamente preoccupa la Nato, e si dà mandato alla stessa Alleanza di esplorare le specificità del proprio ruolo in materia. Ecco il passo del comunicato, in libera traduzione: «… gli interessi di sicurezza dell’Alleanza potrebbero essere compromessi dall’interruzione del flusso delle risorse vitali. Uno sforzo internazionale coordinato per valutare i rischi alle infrastrutture energetiche e promuovere la loro sicurezza va quindi condiviso. Con questo obiettivo, il Consiglio permanente si confronterà sui rischi immediati nel settore
che c’è non brilla certo per chiarezza. Ma due anni di discussioni e di duelli al fioretto con la “controparte” europea non hanno prodotto granché, se al summit di Bucarest dell’aprile di quest’anno è stato confermato lo stesso approccio, più o meno con le stesse frasi del comunicato di Riga: «l’Alleanza garantisce che gli sforzi della Nato aggiungano valore e siano del tutto coordinati ed inclusi in quelli della comunità internazionale, che dispone di varie organizzazioni specializzate in sicurezza energetica».
sembra tendere inesorabilmente verso i 200 dollari, è fuori discussione che le cose non possano continuare così. Oltre alle misure riduttive, allo studio di nuove fonti energetiche, ai dialoghi impostati in modo che le cose sembrino riguardare altri e non gli interessi dell’intero Occidente, è evidente che ormai va ricercata una linea d’azione comune tra Unione Europea e Nato, o, se vogliamo, tra Europa e Stati Uniti, magari includendo la Russia, perché va riconosciuto che la crescita incontrollata dei prezzi delle cosiddette commodities – il petrolio e il cibo – sta raggiungendo valori di sicuro impatto geopolitico. In grado, cioè, di provocare varianti nel sistema delle alleanze, nelle strategie e nei comportamenti degli Stati. Secondo Friedman, stiamo entrando nel quarto riassetto geopolitico globale dopo la seconda guerra mondiale. Guerra fredda, dove prevaleva l’equilibrio della potenza militare; caduta del muro, dove sull’assetto militare è cominciato a prevalere quello politico-economico; post 11 settembre, con un fenomeno endemico di guerra al terrorismo di
Dopo la guerra fredda, la caduta del muro e il post 11 settembre, con la crisi energetica stiamo entrando nel quarto riassetto geopolitico globale della sicurezza energetica, al fine di comprendere e definire dove la Nato possa aggiungere valore per salvaguardare la sicurezza degli interessi alleati e, su richiesta, fornire assistenza agli sforzi nazionali e internazionali». Non è molto, e il poco
Niente guerre per la tutela dell’energia, quindi, ma un ruolo che faccia premio su quello militare attraverso contributi alla difesa civile, anche sotto forma di aiuto alla pianificazione, alle esercitazioni e all’addestramento. Come si vede, in questo 2008 il “politically correct” è ancora d’obbligo, per non dispiacere a nessuno.
La sicurezza energetica scompagina il puzzle geopolitico Questo fino ad oggi. Ma con il prezzo del barile che ormai
lunga durata, ma senza le caratteristiche che derivano dal dover porre rimedio subito ad una crisi urgente. A questo si somma oggi la crisi dei costi dell’energia, dovuta, non come si temeva, ad azione terroristica o a interruzione del flusso del petrolio, ma all’elevatissimo prezzo dello stesso. In prima approssimazione, in questo gioco i vincitori sono quelli che lo esportano, i perdenti coloro che lo importano. Ma tra gli esportatori, i veri vincitori, sia sotto il profilo politico che quello economico, sono quelli energeticamente autosufficienti, come l’Arabia Saudita e gli Emirati, che possono così continuare a esportare e contemporaneamente accumulare ricchezza per governare la propria stabilità, influenzare quella degli altri e tarare il sistema economico globale. I veri perdenti sono coloro che non producono, non esportano, sono costretti ad importare e sono allo stesso tempo dotati di un’economia largamente industrializzata, e quindi consumano molto. Come noi, Italia, o come noi, Europa. Come la Corea del Sud e il Giappone, come diverranno gradualmente la Cina e l’India se continuernno la loro espansione industriale e dei mercati. L’A-
geopolitica
21 giugno 2008 • pagina 9
Chiuso il vertice, sull’energia la palla passa al presidente francese
L’Ue va al minimo, tutti sperano in Sarkò di Maria Maggiore
BRUXELLES. Sarkozy e la Merkel se ne
frica nera esporta grezzo e basta e continuerà a farlo per sopravvivere, non avendo altre risorse. Deve anche importare raffinato e impianti, per cui l’alto prezzo del barile non migliorerà né peggiorerà la sua condizione. Il nord Africa, sotto il profilo energetico, può ormai considerarsi parte del sistema occidentale-europeo. La Russia si salva e prospera, perché, come i Paesi del Golfo, è autosufficiente e può continuare a esportare petrolio, gas naturale e persino derrate alimentari, accumulando ricchezza. Così, quella parte dell’Europa che è russo-dipendente dal punto di vista energetico rischia di diventarlo anche politicamente. L’Iran, al contrario del Golfo, non è autosufficiente, è costretto a
importare petrolio raffinato, ma deve continuare a esportare il grezzo, non avendo diversificato negli ultimi trent’anni la propria economia. Sta sul filo, e se vuole continuare la sua industrializzazione, si suicida economicamente. Cosa che accadrà di certo se gli verrà precluso il nucleare. Gli Stati Uniti, che producono, possono essere autosufficienti, ma non esportano grezzo, hanno un’economia diversificata che senz’altro potrà rallentare, ma non essere soffocata dall’ascesa dei prezzi.
Il puzzle si ricompone Abbiamo messo assieme i pezzi di un futuro “puzzle energetico” che, in prospettiva, fa apparire ridicolo e puerile il buonismo europeo ed il politically correct della Nato. Non ci vuole molto a comprendere come, alla distanza, gli interessi di Stati Uniti, Europa, Paesi del Golfo e Russia abbiano molto in comune, comunque ci si voglia sbizzarrire a ricomporre la geopolitica dell’energia. In ogni caso, se dobbiamo per forza trattare con chi ha il coltello sotto il tavolo, come l’Iran, è bene munirsi di una pistola. E tenerla sul tavolo.
vanno senza aver dovuto dichiarare morto il Trattato. Cohen torna a Dublino con quattro mesi di tempo per trovare una soluzione alla crisi interna e proporre una via d’uscita all’impasse europea. Il ceco Topolanek si avvia all’uscita non scommettendo 4 euro sulla ratifica di Praga al Trattato di Lisbona. E il Presidente della Commissione Barroso risponde nero in volto al premier Berlusconi che la Commissione europea non è una segreteria e i commissari continueranno a essere indipendenti nonostante le minacce di alcuni premier. Si chiude così il vertice di Bruxelles a una settimana dallo schiaffo irlandese del no al referendum. Si sono ricomposti i cocci, il treno va avanti, anche se con i motori al minimo. L’asse Parigi-Berlino ha tenuto anche se per arrivare a un testo comune ci sono volute sette ore di dibattito venerdi notte. Partendo dal principio che il no irlandese non è uguale al no francese di tre anni fa, per peso di abitanti e per le ragioni del no in buona parte esterne al contenuto del Trattato), il Consiglio europeo ha deciso di andare avanti con le ratifiche.
Praga occorre il semaforo verde della Corte Costituzionale è il suo verdetto non è affatto scontato. Il premier Topolanek ha provato ad annacquare le conclusioni del summit, obbligando i colleghi a togliere da testo che i capi di governo “premevano”per concludere il processo di ratifica al posto di un più conciliante “prendono atto”. Anche a Varsavia si nasconde un pericolo. Il presidente Lech Kaczynski deve apporre la sua firma alla ratifica. Potrebbe rallentare o ostacolare la procedura. Ecco perchè a stonare la buona “finta” armonia tra i leader europei ci ha pensato Sarkozy. Tra una settimana la Francia prende le redini dell’Unione, dando avvio al semestre di presidenza dell’Unione. I piani di Sarkozy d’incoronare il nuovo presidente dell’Unione sotto “il suo comando” sono già andati in frantumi con il no irlandese. Ma il mini-Trattato di Lisbona, già lungamente negoziato dopo il no-francese del 2005, non può naufragare per l’eurofobia di qualche piccolo Paese. Ecco la minaccia: “non ci saranno più allargamenti senza prima un nuovo Trattato” e quindi nuove regole per gestire un’Europa a 28, 29, 30 Stati. Dietro di lui sono andati anche la Merkel e il premier lussemburghese Juncker. Jean-Claude Praga è tra i sostenitori dell’adesione all’Unione dei Paesi balcanici – la Croazia è in pole position – e così, a fine vertice il ministro degli Esteri ceco ha subito corretto il tiro, «ratificheremo entro la fine dell’anno».
L’asse tra Parigi e Berlino ha tenuto anche se per arrivare a un testo comune ci sono volute sette ore di dibattito
Fino al 15 ottobre , quando i 27 si riuniranno di nuovo a Bruxelles, sotto presidenza francese per fare il punto e decidere cosa fare dell’Irlanda. Lo scopo è arrivare a 26 ratifiche e mettere Dublino in un angolo. O ratifica, o un nuovo referendum vorrà dire scegliere se uscire dall’Unione. Tecnicamente si può fare perchè 26 ratifiche bastano a far entrare in vigore il nuovo testo. Politicamente è tutta un’altra storia. L’Irlanda ha accettato suo malgrado questa linea, sotto la forte pressione della coppia SarkozyMerkel, ma il suo ministro degli Esteri Michael Martin si è lasciato scappare che «forse in ottobre non saremo pronti», dando il segno della fragilità del piano franco-tedesco. In agguato sul percorso europeo c’è lo scoglio di Dublino, ma anche l’approvazione incerta della Repubblica Ceca, il cui presidente Vaclav Klaus ha già a più riprese dichiarato morto il nuovo Trattato. A
Lo “scettro” dell’Europa, quest’Europa, certo, un po’ malconcia, passa ora a Nicolas Sarkozy. Immigrazione, difesa e politica del Mediterraneo in menu. L’11 luglio il presidente francese vola a Dublino per cercare di spiegare agli eurodubbiosi celtici perchè conviene votare per l’Europa. E intanto a un giornalista britannico che in francese chiede al presidente «perchè se da noi “No significa No, da voi vuol dire un’altra cosa?», Sarkozy risponde: «da noi No vuol dire opportunità, quella di andare avanti e riformare l’Europa, si chiama pragmatismo britannico».
mondo
pagina 10 • 21 giugno 2008
Corea del Nord. La carestia falcidia la popolazione e gli agenti del partito comunista di Kim Jong-il confiscano il cibo
Quasi un milione di morti in pochi mesi di Vincenzo Faccioli Pintozzi ersone che muoiono di fame mentre sono al lavoro in fabbrica. Agenti del Partito comunista che rubano cibo alla popolazione con la scusa della “rieducazione politica”. Una generazione che rischia di essere cancellata. Mentre i leader mondiali si incontrano al vertice Fao per discutere del problema alimentare, la popolazione della Corea del Nord rischia una decimazione senza precedenti. La carestia che ha colpito il Paese, unita alle disastrose alluvioni dello scorso anno e all’embargo internazionale provocato dagli esperimenti nucleari, ha reso irreperibile ogni genere alimentare nel regime guidato da Kim Jong-il. Secondo Organizzazioni non governative sudcoreane, le uniche che ancora portano beni di prima necessità sul territorio del Nord, sono già oltre 800mila le vittime della fame, che uccide in primo luogo bambini ed anziani.
P
Particolarmente dura la situazione dei lavoratori dell’industria bellica, vincolati dal segreto militare a non abbandonare mai la propria postazione di lavoro. Il governo ha assegnato ad ogni fabbrica un quantitativo di cibo talmente insufficiente che, da aprile ad oggi, circa tre operai per fabbrica muoiono ogni giorno. Una fonte, anonima per motivi di sicurezza, racconta: «Dalle parti del distretto di Kandonggun, periferia di Pyongyang, non rimane più nessuno: la gente muore di fame dopo sette
giorni di digiuno assoluto». Nelle fabbriche militari, spiega, «la situazione è drammatica. I cittadini ordinari, colpiti duramente dalla mancanza di cibo, possono comunque cercare di ottenere qualcosa da mangiare nei jangmadang (i mercatini illegali retti da contadini, che usano il baratto per cercare di sopravvivere, ndr). Per i militari non di servizio, quelli che lavorano nelle caserme o nelle industrie belliche, è stata invece firmata la condanna a morte. Sono costretti a lavorare,
non possono uscire dalle fabbriche, ma non hanno cibo».
Nella zona della capitale vi sono diverse decine di queste industrie, dove lavorano circa 100mila persone. Eppure, racconta ancora la fonte, «non si vedono più fumi industriali o operazioni di carico e scarico merci. Quando siamo riusciti a entrare in una delle baraccopoli che ospita gli operai, ne abbiamo trovati almeno duecento totalmente intontiti dalla fame: non rispondevano neanche al
Il governo ha assegnato ad ogni fabbrica dell’industria bellica - da dove i lavoratori non si possono muovere - un quantitativo di cibo così scarso che, da aprile ad oggi, gli operai sono stati decimati
loro nome». Un’altra fonte, uno degli operai militari della provincia di Yangkang aggiunge: «Qui siamo sul confine, e per noi è forse più facile sopravvivere grazie alla generosità degli stranieri. Tuttavia, so per certo che moltissimi miei connazionali dell’interno sto morendo: molte famiglie non riescono più a contattare i figli partiti per la capitale, ed i leader comunisti locali non rispondono alle loro domande». D’altra parte, è “pericolosissimo”chiedere qualcosa al governo: la carestia ha colpito con forza, ed i quadri comunisti locali non si fanno scrupoli nel requisire e comminare multe per ogni cosa: «Dopo che la distribuzione di cibo da parte del governo centrale è stata fermata – dice un rifugiato nordcoreano,
Meno di una settimana per chiudere la centrale di Yongbyon e presentare il programma degli smantellamenti atomici
Nucleare, ultimatum a Pyonyang LA COREA DEL NORD dovrà sottomettere la dichiarazione sul suo programma nucleare entro pochi giorni e comunque non oltre una settimana. La notizia, diramata dall’agenzia sudcoreana Yonhap, rappresenta di fatto un ultimatum al regime di Pyonyang. La dichiarazione - secondo fonti diplomatiche - dovrà essere trasmessa intorno al 26 giugno
alla Cina, che ospita i negoziati a 6 (Usa, Cina, Russia, Giappone e le due Coree) sulla denuclearizzazione del regime di Pyonyang. La Corea del Nord si è impegnata a disattivare e poi a smantellare le proprie istallazioni atomiche a fronte di un aiuto di un milione di tonnellate di petrolio, vitali per questo Paese di 23 milioni di abitanti che vivono in
uno stato di cronica miseria. Dalla firma dell’accordo - a febbraio 2007 - il regime ha bloccato il suo principale reattore di Yongbyon, ma non ha presentato al 31 dicembre né la lista integrale dei suoi programmi né il rapporto sulla dismissione di Yongbyon. Trattative dunque interrotte e, per riprenderle, la Corea del Nord ha le ore contate.
riuscito a scappare in Cina e nascosto dalle parti di Dandong – moltissimi ufficiali di basso e medio livello sono divenuti dei banditi». La tecnica, racconta, «è molto semplice: insieme a diversi agenti di polizia, fanno delle ispezioni a sorpresa ovunque e con accuse fittizie sequestrano cibo e sigarette. In questo modo, però, condannano la popolazione alla morte, e lo sanno. Per questo, non organizzano più riunioni pubbliche o sessioni di indottrinamento politico: temono che gli abitanti, riuniti ed inferociti, possano ricorrere alla violenza».
Per cercare di risollevare la popolazione, sono intervenuti gli unici due attori in grado di mettere paura al regime stalinista: la Cina e le Nazioni Unite. Il vice presidente cinese, Xi Jinping, è arrivato a Pyongyang per “colloqui” con il regime: ufficialmente per parlare della questione nucleare; ufficiosamente, per offrire nuovi aiuti alimentari in cambio di assoluta obbedienza sulla questione militare. Nel frattempo, l’Onu è riuscita ad ottenere i visti per cinque ispettori, incaricati di rendersi conto della gravità della situazione. «Dopo le ultime truffe del regime di Kim spiega un anonimo funzionario dell’organizzazione internazionale - non si può pensare di donare ancora senza garanzie: in cambio degli aiuti, l’Onu vuole una trasparenza assoluta». Nel frattempo, però, la gente continua a morire nell’indifferenza della Fao e del mondo intero.
mondo
21 giugno 2008 • pagina 11
Turchia, depositate 400 pagine di difesa per rigettare le accuse di attività antilaiche e sovversive
Può chiudere il partito di Erdogan? di Angelita La Spada
d i a r i o ntra nel vivo il procedimento per la chiusura del partito governativo turco Akp. Giocando d’anticipo sulla deadline del 29 giugno, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo del premier Recep Tayyp Erdogan ha inviato alla Corte Costituzionale un dossier difensivo di oltre 400 pagine per evitare la propria chiusura e rigettare le accuse di attività antilaiche e volte a sovvertire l’unità nazionale. Ma in caso di sentenza negativa, quali saranno le implicazioni di un’eventuale chiusura dell’Akp, per la futura dimensione e direzione politica turca? Si potrebbe rispondere col dire che a prescindere dalla messa al bando del partito e dei suoi alti vertici, l’impatto sull’evoluzione del sistema politico sarà irrilevante. In realtà, il Paese della mezzaluna sta assistendo a una vera e propria lotta di classe. Malgrado vi sia un partito che sta cercando di mostrare che vi sia in atto uno scontro tra secolarismo e Islam politico, ogni indizio denota la presenza di un conflitto tra la classe dominante e la struttura sociale del paese. Se non si interpretano gli sviluppi in tal senso non si può comprendere l’attuale stato della politica turca. Partendo da questa chiave di lettura e considerato che tutti i membri – ad eccezione di due – della Corte Costituzionale sono stati nominati dall’ex presidente ultrasecolarista Ahmet Necdet Sezer, si potrebbe congetturare un drammatico epilogo per il partito governativo e la radiazione di 71 dei suoi dirigenti dalla vita politica per i prossimi 5 anni.
E
Ma se si opina l’esistenza di una lotta di classe, le probabilità di un esito democratico del caso Akp sono pressoché azzerate. E ciò è ancora più chiaro alla luce di quanto asserito dalla Suprema Corte d’Appello e della posizione assunta dal potere giudiziario, che vede negli attuali sviluppi l’ultima chance per eludere l’ascesa dei non-secolaristi. Ma una eventuale chiusura dell’Akp sortirà i minimi effetti sulla vita politica della Repubblica secolare turca. Il partito governativo rappresenta un nuovo gruppo socioeconomico rampante nella piattaforma politica turca, costituito dai piccoli e medi imprenditori, (ed è da leggere in questa chiave la proposta lanciata ieri al governo dalla Tusiad, la confindustria turca, di organizzare un tavolo per parlare assieme dei problemi connessi alla redazione della nuova Costituzione e trovare una piattaforma che possa andare bene a tutti, in
d e l
g i o r n o
Grecia, scandalo Siemens minaccia Pasok Un grande scandalo di corruzione avvenuto ai tempi del governo greco di sinistra di Costas Simitis (1996-2004), e forse continuato anche dopo, sta per esplodere e minaccia il partito socialista Pasok ma potrebbe arrivare sino all’esecutivo di centrodestra di Costas Karamanlis. La magistratura è sul punto di concludere le indagini su tangenti per milioni di euro che la Siemens avrebbe pagato a membri del governo greco e del Pasok negli anni Novanta in cambio di contratti per telecomunicazioni e sicurezza soprattutto legati ai giochi olimpici del 2004. Il principale sospettato, Theodoros Tsoukatos, già braccio destro di Simitis, ha ammesso di avere preso denaro pur sostenendo che doveva servire a finanziare il partito. Un altro che sarebbe implicato, secondo i media, è Tassos Mantelis, già ministro dei Trasporti. Simitis ha preso nettamente le distanze dallo scandalo, ma Papandreou si è comunque affrettato ad annunciare, prima della conclusione dell’inchiesta prevista per fine mese, che escluderà dal partito chiunque sia coinvolto nello scandalo. E ha avanzato il sospetto che lo scandalo possa riguardare anche membri del gabinetto o del partito di Karamanlis.
Russia, Memorial candidata al Nobel Secondo la radio Echo Moskvy, un gruppo di deputati al parlamento europeo ha deciso di sostenere la candidatura dell’organizzazione umanitaria Memorial al premio Nobel per la pace. E nella lettera di raccomandazioni inviata al comitato per il Nobel, i deputati hanno spiegato che negli ultimi 20 anni Memorial è stata l’organizzazione che si è battuta per la difesa dei diritti umani e l’affermazione della democrazia in Russia, con più forza e nella massima indipendenza.
Cuba, la Ue elimina le sanzioni
Si ipotizza la nascita di un nuovo movimento di “rimpiazzo” guidato da un rampante gruppo socio-economico
Tutto dipenderà dalle sorti di Er-
due gli aspetti preponderanti della società e della politica turca dai quali non si può prescindere. Innanzitutto, la legittimità, uno degli elementi fondanti della repubblica secolare. Il potere estremo dello Stato profondo – l’esercito, la magistratura e la burocrazia, vale a dire i custodi del secolare retaggio di Atatürk – ha evitato che il Paese scivolasse in una forma di dittatura o di autoritarismo e l’intervento dell’esercito nella politica è avvenuto sempre in nome della garanzia dei diritti costituzionali. In secondo luogo, dopo che a febbraio è passato il provvedimento riguardante la libertà di indossare il velo nelle università, non solo l’elite secolarista, ma anche l’opinione pubblica, ha iniziato ad accorgersi dell’esistenza di un conflitto di classe.
dogan. Se il pollice per lui sarà “verso”ed egli non potrà più essere membro di alcun partito, Erdogan non cavalcherà la guida del partito successore dell’Akp, altrimenti il premier potrebbe correre al Parlamento da indipendente o addirittura agire per procura. Bisogna allora chiedersi quali sono i fattori deterrenti che impediscono all’élite secolarista di porre in atto varie forme di ostruzionismo verso questa piattaforma politica. Sono
La decisione della Corte di accogliere o meno l’istanza di incostituzionalità di un partito di maggioranza è stata il banco di prova sulla idoneità della Turchia a entrare nell’Ue. Più che rischiare un rallentamento nell’impervio percorso diretto a Bruxelles, Ankara rischia di perdere il treno dell’attuazione delle riforme interne più profonde, necessarie per un sistema politico democratico e progressista.
modo che ogni fascia sociale possa sentirsi rappresentata). Qualora fosse decisa la sua interdizione, ne conseguirebbe una fase di ristrutturazione dell’arena politica che ruoterebbe intorno a un nuovo Akp – da tempo, infatti, si rincorrono le voci della formazione di un nuovo partito di rimpiazzo. E chi guiderà questa Araba fenice o moderato unicorno, che dir si voglia?
I ministri degli Esteri della Ue hanno deciso di eliminare le sanzioni imposte a Cuba nel 2003, ma poi sospese nel 2005, con l’obiettivo di rilanciare il dialogo con Raul Castro. I provvedimenti consistevano nel limitare le visite bilaterali ad alto livello e nell’invitare i dissidenti cubani nelle ambasciate Ue. La decisione sarà formalizzata lunedì e avrà un effetto immediato. Il documento chiede inoltre alle autorità cubane di aprire le prigioni alle Ong. Dura la reazione Usa.
Israele si prepara Prima lo Spiegel e dopo il New York Times. I maggiori media internazionali sembrano dare per scontato che Gerusalemme sarà pronta a reagire con la forza nel caso in cui la politica delle sanzioni del 5+1 si dovesse rivelare inefficace. Se il settimanale tedesco riferisce che nel Paese ebraico inizia a delinearsi un largo consenso per l’attacco a Teheran, il quotidiano statunitense afferma che le manovre fatte da Tshal nella prima settimana di giugno, tra le acque del Mediterraneo orientale e lo spazio aereo greco, erano le prove della reazione preventiva verso le istallazioni nucleari iraniane. Una conferma in tal senso arriva anche da una fonte diplomatica greca.
Usa, McCain userà i fondi pubblici A differenza di Barack Obama, che ha annunciato di voler finanziare la sua campagna solo con i contributi privati, John McCain userà i fondi pubblici. Nella raccolta fondi Obama ha battuto tutti i record: al 30 aprile aveva ottenuto 265,5 milioni di dollari contro i 96,6 milioni di McCain.
Zimbabwe, Tsvangirai si ritira? Il leader dell’opposizione nello Zimbabwe, Morgan Tsvangirai, starebbe valutando l’ipotesi di ritirarsi dal secondo turno delle presidenziali previsto per il 27 giugno. Lo ha detto Nelson Chamisa, portavoce del suo partito, il Movimento per il cambiamento democratico.
pagina 12 • 21 giugno 2008
speciale bioetica
Ippocrate, chi era costui? Un giuramento spesso dimenticato di Riccardo Paradisi è un’indagine in corso su quanto si presume sia avvenuto all’ospedale Santa Rita di Milano: pazienti operati senza che ne avessero alcun bisogno e solo per permettere di incassare i rimborsi del servizio sanitario nazionale. È bene attendere le conclusioni degli inquirenti prima di emettere qualsiasi sentenza, anche morale. Gli inquirenti, che hanno già ordinato 14 arresti tra i dirigenti della clinica degli orrori, parlano però almeno di venti morti prodotti dalla disinvoltura con cui al Santa Rita si impugnava il bisturi per fini di cassa. Uno scenario agghiacciante che si staglia su uno sfondo di malsanità nazionale di cui le cronache dei giornali sono costrette a dare conto in continuo. Un quadro dentro il quale il cittadino, il malato, il paziente appare – con una frequenza allarmante – un fastidio per il sistema sanitario o, peggio, una cavia. Quello della disumanizzazione della medicina del resto è un tema oggetto da molti anni di riflessioni sociologiche che hanno evidenziato come una medicina altamente tecnologizzata porti con sé l’incapacità di prendersi cura del malato nella sua specifica dimensione umana, riducendolo nel migliore dei casi alla sua patologia nel peggiore a una cosa. E basta dare un’occhiata alla casistica degli errori medici stilata recentemente dal tribunale dei diritti del malato – un organismo nato nel 1980 per tutelare e difendere i pazienti dalla cattiva sanità – per capire che i medici sbagliano soprattutto per incuria, per fretta, perché incalzati da un sistema che vorrebbe applicare agli ospedali sistemi di produzione fordista (e qui la polemica pubblico - privato non c’entra). Tra le più ampie cause di errori medici infatti è quello che gli anglosassoni chiamano “quicker and sicker”, cioé il dimettere precocemente il paziente (troppo velocemente, quicker), quando é ancora non stabilizzato (più sofferente, sicker). Altri errori sono provocati dalla somministrazione di farmaci sbagliati per la grafia poco comprensibile di chi li ha prescritti (a volte basta anche lo spostamento di una virgola per rendere letale la quantità di un farmaco), dallo scambio di paziente da operare, dall’amputazione dell’arto sbagliato, da smarrimento o confusione di esami, da anestesia maldosata, dalla scarsa attenzione al ’consenso informato. Errare è umano, ma è diabolico il fatto che troppo spesso l’errore sia figlio della disumanità e dell’incompetenza affettiva di chi dovrebbe essere un medico e non un tecnico laureato in medicina, un mercenario del bisturi o, sic et simpliciter, un macellaio. La medicina va rivista da un punto di vista ideologico e pragmatico, ha detto la settimana scorsa al Corriere della Sera Gianni Bonadonna, il padre della moderna oncologia. «È tempo di insegnare agli studenti di medicina ad entrare nel mondo delle malattie come sono vissute dai pazienti. Perché ai progressi della medicina di questi anni non ha fatto seguito un fattore decisivo nella cura: la comprensione della sofferenza. Questo bisogna far capire a chi parla di manager, azienda, mercato». Non sarà facile.
C’
Creato I fatti della clinica degli orrori di Milano fanno rivalutare il cinismo buono del famoso medico del serial tv
VIVA IL DOTTOR HOUSE di Carlo Bellieni iva il dottor House!, viene da dire, al leggere certi fatti di cronaca sanitaria come quello della clinica milanese Santa Rita. Viva il dr House col suo falso distacco, con la sua scorza cinica attraverso cui irrompe a momenti la provocazione umanissima di una manina di un feto, di una bambina morente, di un supposto miracolo. Il dr House è (paradossalmente) l’apoteosi della vera etica medica, che non consiste nel sentimentalismo, ma nel rispondere alla provocazione della malattia e del malato.
V
Quest’etica si è persa per strada tra gli ospedali ridotti ad “Aziende”, i malati ridotti ad “utenza”, le malattie ridotte a fenomeni classificati in un freddo “disease related group”(il cosiddetto “Drg” che classifica tutte le malattie in 500 gruppi da cui evincere il rimborso dovuto all’ospedale per la prestazione). Quest’etica si è persa da quando si è perso lo stupore per il corpo umano, per la sua trascendenza, per la
Il mercanteggiamento delle malattie è un mostro della sanità di oggi sua bellezza. E da quando si è creduto che una cosa vale solo se è misurabile: le malattie in termini di Drg, la qualità della vita o il dolore con scale apposite. Già: il dolore (secondo la definizione dell’agenzia internazionale di studi sul dolore IASP) è diventato una cosa che esiste solo per chi può reclamarne –misurandolo - la cessazione; la salute (secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale per la Salute) è diventata un utopico “completo benessere psicofisico-sociale”di cui si pretende di dettare le caratteristiche; insomma, non sappiamo far altro che sminuzzarli, pensando che sminuzzandoli li possiamo capire; invece li abbiamo trasformati in termini spaventosi, quasi innominabili, utili non per capire l’uomo, ma solo per creare statistiche. E i dottori sono infelici, come titolava il 17 giugno il New
21 giugno 2008 • pagina 13
York Times («Amo essere un dottore; non amo esercitare la medicina»), perché hanno alti rischi e scarsi compensi, ma soprattutto perché erano partiti con un’idea di cosa volesse dire “curare” e ora si trovano a fare i burocrati, attenendosi ad un mansionario e non alla richiesta dell’uomo che hanno di fronte. Il dr House è cinico, e la genialità di chi lo ha ideato sta proprio in questo: mostrare i turbamenti di una mente che ha deciso di non turbarsi: e da questi turbamenti involontari ma profondi arrivare a conoscere il malato e trarre geniali diagnosi. Ma se si afferma che il turbamento (lo stupore) non deve esistere… Chi non ricorda la maschera del dr Guido Terzilli, interpretato da Alberto Sordi?
Quel medico davvero cinico (altro che House!) perché afflitto da un cinismo non nato dalla sofferenza ma dall’orgoglio, cioè da quel muro che la mens relativista costruisce attorno a ciascuno di noi, immergendoci in un mare di paura esistenziale da cui vediamo una sola uscita: inventarci uno scopo della vita che possiamo scegliere solo tra tre opzioni: soldi, sesso e potere. Già, i soldi: uno dei nuovi mostri della medicina moderna è il cosiddetto “disease mongering”, ovvero il “mercanteggiamento di malattie”: malattie inesistenti (o sintomi spacciati per malattie) inventate per creare ansia nella popolazione e… vendere farmaci. Di questo è piena la letteratura scientifica, che lo denuncia fortemente. Così come denuncia la “medicina difensivistica”, cioè quel moltiplicarsi di ricoveri ed esami clinici al solo scopo di “pararsi dai guai giudiziari”, in un “accanimento diagnostico”, figlio anch’esso della paura, molto più pervasivo del cosiddetto “accanimento terapeutico”. Insomma: sparito lo stupore dall’orizzonte, non c’è da stupirci delle degenerazioni per cui si arrivi a tutto per guadagnare: sarebbe ipocrita, miope, bambinesco. Il medico deve scegliere tra un’etica della paura (che porta a esami inutili, a una burocratizzazione della medicina, una deriva economicista) e un’etica dello stupore, che apre davanti all’intero universo di chi abbiamo di fronte. D’altronde, la parola salute (“health”) in inglese viene dal termine “whole”, cioè “integrale”. E se andiamo bene a vedere, la salute altro non è che la possibilità che si realizzino i desideri propri di ognuno, commensurati al suo stato e alla sua condizione: i desideri di un feto saranno diversi da quelli di un vecchio o da quelli di un adulto, ma è proprio la loro realizzazione ciò che possiamo chiamare “salute”, capendo paradossalmente di che il contrario “salute”non è necessariamente “malattia” (esistono disabili che sono dei grandi sportivi o celebri cantanti e sfido chiunque a dire che non godano di più salute di un triste studente “sano”, ma bocciato ad un esame), ma “disperazione”, o meglio, assenza di speranza e di desideri. Questo deve essere chiaro per una rinascita culturale del medico, che incontra un uomo, non un caso clinico; che cura “Luigi”, non “il diabetico” o “il Down”. Questo è chiaro a Gregory House; e se lo è per lui…
Il documento del Comitato di bioetica sui conflitti di interessi in medicina
Per una medicina più trasparente appena il caso di sottolineare la delicatezza del tema affrontato in questo documento. La crisi della medicina ippocratica, il diffondersi di una visione riduttivamente contrattualistica del rapporto medico/paziente, la suggestione che modelli di pensiero utilitaristici (spesso mal compresi e soprattutto mal applicati) esercita su tanta parte della pubblica opinione contemporanea, la tecnicizzazione esasperata che caratterizza le più recenti, ed anche le più efficaci, metodologie diagnostiche e terapeutiche non possono che esasperare questioni che erano ben note alla tradizionale etica medica, ma che sono ormai divenute tali da richiedere nuove e rigorose forme di approccio. Non ci si deve illudere che la bioetica, da sola, possa gestire adeguatamente problematiche di tale calibro, senza ulteriori forme di supporto biogiuridico e soprattutto biopolitico. Essa può però –e quindi deve – rivendicare il compito di giudicare e denunciare le nuove forme di alterazione nella professionalità del ricercatore e nella prassi del medico, che hanno ricadute specificamente etiche. Il Comitato nazionale di bioetica, pubblicando questo documento, è convinto di avere anche in questo ambito aperto una strada di riflessione e di impegno che senza alcun dubbio resterà, almeno nel breve e nel medio periodo, esemplare. […]
È
Considerazioni finali Recentemente sono state descritte alcune delle situazioni che si vengono frequentemente a creare, nelle quali l’obiettività della ricerca e quella dell’informazione scientifica che viene data ai medici, può venir messa in pericolo: 1) l’industria spesso non fornisce ai medici un’informazione neutrale e completa, ma un’informazione già indirizzata, creata nei propri uffici; 2) i farmaci prodotti sono spesso duplicati di altri farmaci già esistenti (i cosiddetti farmaci me-too) che non presentano vantaggi rispetto a questi ultimi e che vengono venduti a un prezzo superiore. L’industria promuove solitamente i medicamenti più recenti e costosi e a tal fine a volte elargisce ai medici vari tipi di “doni” che inducono nei sanitari un atteggiamento incline all’iperprescrizione o alla prescrizione dei farmaci più costosi; 3) l’industria controlla e indirizza la ricerca attraverso i finanziamenti che elargisce all’Università; 4) l’industria a volte interrompe ricerche non favorevoli o ne impedisce la pubblicazione. In altri casi distorce una ricerca in corso, sostituendo gli obiettivi (end points) primari con obiettivi surrogati; 5) i dati bruti delle sperimentazioni clinico-farmacologiche rimangono spesso nelle mani dell’industria e non vengono mai messi a disposizione dei ricercatori che li hanno prodotti. A questi ultimi i dati vengono forniti soltanto quando sono stati rielaborati dagli uffici statistici delle aziende; 6) l’industria, in quanto “proprietaria dei risultati”, non pubblica i risultati negativi; 7) le riviste scientifiche non pubblicano articoli con dati negativi perché di scarso interesse scientifico o commerciale; 8) l’industria condiziona, attraverso la pubblicità, le maggiori riviste mediche, i cui referees spesso hanno rapporti di dipendenza economica dalle aziende; 9) i medici che redigono le rassegne o le linee-guida sovente non sono davvero indipendenti.
dalle industrie. 10) anche le pubbliche amministrazioni spesso non sono indipendenti dalle industrie. Questi comportamenti scorretti – peraltro non estensibili a tutte le industrie – non escludono che un regime di libero mercato correttamente inteso e regolato abbia avuto e possa avere un ruolo centrale nel progresso della ricerca biomedica e nello sviluppo delle tecnologie ad essa relative. Essi però possono creare condizioni di conflitto d’interesse nell’ambito dei ricercatori biomedici e dei clinici nei confronti delle aziende con le quali vengono in contatto. Data la complessità della situazione reale, i rimedi possibili non appaiono privi di difficoltà e non possono condurre certamente a soluzioni definitive. Appare fondamentale, in questo campo, il ruolo dei comitati etici che dovrebbero verificare i protocolli di sperimentazione sottoposti alla loro approvazione, valutando i rischi eventualmente insiti nella ricerca alla luce dei benefici che potrebbero concretamente derivare per il singolo paziente e per l’intera comunità. Inoltre potrebbero promuovere la divulgazione delle conoscenze scaturite dalla ricerca clinica, chiedendo l’impegno della diffusione e/o della pubblicazione dei risultati da parte degli sperimentatori, nel rispetto delle norme vigenti in tema di riservatezza dei dati e di tutela brevettale. Nel caso della sperimentazione clinica non sponsorizzata dall’industria condotta in accordo con il Decreto cosiddetto ”no profit”(D.M. 17 .12. 2004: Prescrizioni e condizioni di carattere generale, relative all’esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali, con particolare riferimento a quelle ai fini del miglioramento della pratica clinica, quale parte integrante dell’assistenza sanitaria), i Comitati etici hanno anche il compito di verificare che non siano effettuate sotto questa veste sperimentazioni con finalità commerciali. In questo caso i Comitati etici sono esplicitamente chiamati a verificare che sia presente una dichiarazione sul conflitto di interessi, prevista in modo molto particolareggiato in un allegato al Decreto [...]
Per quanto riguarda i problemi legati alla ricerca, il primo provvedimento dovrebbe riguardare la trasparenza delle varie situazioni. Ogni sponsorizzazione ed ogni legame, diretto o indiretto, esistente fra l’industria e il singolo ricercatore o l’istituzione in cui questi opera, dovrebbe essere dichiarato pubblicamente e descritto senza nascondimenti nei suoi termini reali quando vengono resi noti o utilizzati i risultati della ricerca per sostenere scelte terapeutiche. Le industrie sponsorizzatrici dovrebbero comunicare sempre e a tutti coloro che hanno partecipato ad uno studio, tutti i dati bruti ottenuti. L’interpretazione di tali dati dovrebbe essere discussa collegialmente fra i rappresentanti dell’azienda ed i rappresentanti dei vari gruppi di ricerca che hanno svolto lo studio. Il testo finale del lavoro dovrebbe essere approvato da tutti coloro che hanno partecipato all’indagine e, nel caso di interpretazioni contrastanti, dovrebbe contenere le differenti opinioni. Poiché la mancata pubblicazione dei risultati di uno studio non favorevole o scarsamente favorevole ad uno specifico trattamento rappresenta un fattore che distorce le conoscenze complessive della comunità scientifica, i Comitati Etici dovrebbero esercitare ogni sforzo affinché in letteratura compaia notizia dell’esito di ogni ricerca clinica iniziata.
pagina 14 • 21 giugno 2008
speciale bioetica na vicenda scandalosa, squallida e agghiacciante. Aspettiamo la conclusione delle indagini, che seguiremo con estrema attenzione, ma dichiariamo sin da ora la nostra volontà di costituirci parte civile nel processo contro la Clinica Santa Rita, e di essere a completa disposizione della famiglie che hanno subito un danno dal comportamento dei medici indagati». Francesca Moccia, è coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato, una iniziativa nata nel 1980 per tutelare i diritti dei cittadini nell’ambito dei servizi sanitari e assistenziali e per contribuire a una più umana e razionale organizzazione del Servizio sanitario. Il Tribunale fa parte della rete di Cittadinanzattiva, un movimento di partecipazione civica che dal 1978 promuove e tutela i diritti dei cittadini e dei consumatori nei campi della salute, dei servizi di pubblica utilità, della giustizia, dell’educazione e della scuola, delle politiche europee, della cittadinanza d’impresa.
«U
Creato
Parla Francesca Moccia coordinatrice del tribunale del malato
za in termini di quella che noi chiamiamo valutazione civica. È una misura diffusa in Italia? Ormai, un terzo delle aziende sanitarie italiane hanno sperimentato questo nostro progetto: è un controllo sulla sicurezza, sulle buone pratiche contro il dolore e la sofferenza, sull’igiene, sul confort, che fanno direttamente i cittadini a stretto contatto con i responsabili delle aziende sanitarie. Informazione e controllo, quello che ci
comunque, è quello dei controlli, che spesso sono superficiali, burocratici e, soprattutto, non sono svolti da un soggetto terzo. Il Presidente Formigoni sostiene che il ”modello lombardo”funziona. Non critichiamo a priori la scelta fatta di ricorrere al privato accreditato, ma abbiamo da sempre sottolineato la necessità di implementare ed affiancare un sistema di controllo efficace, per agire prima che il danno sia fatto. Non bastano le certificazioni, o il rispetto dei vincoli di bilancio. È necessario un sistema istituzionale di controllo, a cui affiancare la valutazione civica perché siano gli stessi utenti del servizio a fornire indicazioni sulla qualità di quanto erogato. In questi anni, abbiamo promosso e acquisito una grande esperien-
vuole nell’ambito della sanità. Sta di fatto che mentre nel Lazio, in Puglia, Trentino, in Abruzzo, in Emilia Romagna, questo progetto è decollato e sta per decollare in altre regioni, in Lombardia, pur avendolo proposto, non è stato finora possibile realizzarlo. Probabilmente sono affezionati alla concezione dell’eccellenza del sistema ed hanno difficoltà ad ammettere che si possano configurare dei limiti. Qual è la Sua valutazione sulla classe medica italiana? C’è, come ritiene il sentire comune, troppo denaro e troppa mal gestione? Accanto a medici formidabili, straordinari, c’è una parte dei medici che è troppo concentrata a difendere la corporazione, a difendere la categoria e questo è
Requisiti basilari. Sono gli elementi che fanno di un reparto un’organizzazione capace non solo di curare, ma soprattutto di ‘prendersi cura’ dei suoi pazienti, consentendo ai cittadini di essere dei soggetti attivi, più consapevoli e capaci di interagire con il personale e la struttura ospedaliera. Nei reparti che adottano la Carta, il cittadino ricoverato potrà contare su un’adeguata accoglienza, avrà a disposizione un medico di riferimento, prima di sottoporsi ad un intervento chirurgico firmerà un consenso informato e sarà tutelato da misure per prevenire l’insorgenza di infezioni ospedaliere. Inoltre al momento delle dimissioni avrà una scheda completa che riporta diagnosi, terapia e decorso, con i numeri di telefono a cui rivolgersi in caso di necessità.
Se l’ospedale diventa un lager colloquio con Francesca Moccia di Ernesto Capocci esempio, ci siamo occupati dei fatti gravissimi accaduti nell’Ospedale di Vibo Valentia, dove morirono due ragazze, entrambe per questioni legate alla sicurezza. È certo che se fosse confermato quanto si racconta della clinica privata di Milano, saremmo di fronte ad un caso che ha livelli di superficialità, di arroganza, di mancanza di rispetto di risorse pubbliche, di mancanza di rispetto dell’essere umano, che configura un’attività delinquenziale.
Alcuni medici delinquenti fanno danni enormi alla sanità e alla categoria Avete chiesto di revocare la convenzione con il Servizio sanitario nazionale per la clinica Santa Rita. Perché? Lo consideriamo un atto dovuto ai cittadini ‘vittime’ della clinica e a tutti gli altri che ogni giorno pagano di tasca propria per prestazioni che il Ssn non può permettersi di coprire. Con la nostra attività ci occupiamo di carenze della pratica medica, di errori, per farli conoscere, per cercare di porvi rimedio, per correggerli. L’anno scorso, ad
nostro numero a servizio dei cittadini (06.36718444, dalle ore 9.00 alle 13.00, dal lunedì al venerdì, vedi il sito www.cittadinanzattiva.it, n.d.r.), sono state nel totale 24.300. Il 23 per cento di queste segnalazioni ha riguardato il settore privato della sanità e il 18 per cento attiene a sospetti errori medici, la principale causa per la quale un cittadino si rivolge a noi: raccogliamo documentazione e facciamo consulenze gratuite in prima istanza. Il problema essenziale,
un fatto estremamente negativo. Esistono anche i delinquenti e gente senza scrupoli, ma ci sono tantissimi medici che, pur in una situazione di precarietà, svolgono la loro professione con senso del dovere, con responsabilità, con dedizione nei confronti delle persone che a loro si affidano. Il nostro obiettivo è ‘stanare’ i medici bravi, sensibili, intelligenti e coinvolgerli nella nostra azione. È un obiettivo difficile. Lo stiamo realizzando però, in particolare, con il progetto ‘Carta della qualità in Chirurgia’, che è stato realizzato con il patrocinio di Acoi-Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani e Fiaso-Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere e con il sostegno di Johnson&Johnson Medical. Quasi cinquanta reparti chirurgici hanno finora formalizzato l’adesione ai principi della Carta, per garantire al cittadino, dal momento del ricovero fino alle dimissioni, massima qualità e sicurezza, oltre che accoglienza, informazioni, rispetto per le persone e per la loro condizione.
Rappresenta, a Suo avviso, un caso isolato o, piuttosto, la ‘cartina di tornasole’ dello stato della sanità in Italia? Di certo, non è un caso isolato, ma non rappresenta la sanità pubblica né la sanità privata italiana, perché anche nel privato esistono strutture d’eccellenza. Non possiamo però sottovalutarlo, perché conosciamo i dati delle segnalazioni che ci giungono da ogni parte d’Italia. Nel 2007, le segnalazioni giunte al
21 giugno 2008 • pagina 15
A sinistra, in alto, gli interpreti di Un medico in famiglia e una scena di Fantozzi; in basso, un’immagine da Il medico della mutua e il cast di Er. In basso la locandina del film Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue. Al centro della pagina i protagonisti di Scrubs, il telefilm che tratta gli “orrori” degli ospedali con una punta di sarcasmo
L’occhio del cinema italiano sulla sanità è stato impietoso fino agli anni Ottanta. Poi sono arrivate le consolatorie serie tv
I mille volti del professor Tersilli Q
ualche anno fa nel libro Sequenze di pubblica amministrazione nel cinema italiano dedicai un mezzo paragrafo alle gesta cinematografiche del professor dottor Guido Tersilli, interpretato da un magistrale Alberto Sordi in due pellicole, dirette rispettivamente da Luigi Zampa, la prima, Il medico della mutua, e Luciano Salce, la seconda, Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, allargando il discorso alla rappresentazione che il nostro cinema ha fatto dei camici bianchi. L’immagine che ne emergeva era decisamente sconfortante: medici incapaci, rapaci baroni della salute, autentici delinquenti di
di Fabio Melelli rendo alle strapagate prestazioni del professor Azzerini, un sulfureo Giovanni Nuvoletti, che non metteva mano al bisturi se prima non vedeva firmato l’assegno della remunerazione, a costo anche di compromettere la salute del paziente, già steso sul lettino e anestetizzato. Dedito agli intrallazzi e poco interessato alla salute dei ricoverati, ma propenso a godere i favori delle belle congiunte dei degenti,Tersilli, alla fine del secondo film ripiegava, con decisione profetica, sulla chirurgia estetica al formidabile motto: «La vecchiaia e la bruttezza sono malattie dalle quali si può e si deve guarire». Ancora più terribile il quadro descritto da Luigi Zampa in Bistu-
Gli orrori del Santa Rita erano già nei film di Salce e Zampa volta in volta affollavano le sale operatorie in un tripudio di aberrante meschinità.
Oggi, dopo i recenti fatti di cronaca, non possono che tornare alla memoria quei film che con tanto acume descrivevano la parte malsana di una straordinaria istituzione, come quella sanitaria. Così Guido Tersilli speculava su mutue e previdenze, alloggiando solo i più facoltosi nella sua Clinica Villa Celeste, ricor-
ri, la mafia bianca, il cui titolo allude alle pratiche criminali che possono accompagnare la professione medica: lì si parlava di un medico idealista, Enrico Maria Salerno, a cui scambiavano le lastre provocando la morte del paziente sotto i ferri. Il tutto per impedirgli di denunciare un sistema di corruzione e malasanità. Bisogna
arrivare agli anni Novanta,e spostarci nel campo della fiction, per trovare medici italiani effigiati in chiave positiva: è il caso di Un medico in famiglia, consolatorio serial di mediocre confezione ma di eccezionale successo. Ne Il medico in famiglia chi tutela la salute ha lo sguardo rassicurante e pacioso di Giulio Scarpati e tutta l’istituzione sanitaria ne esce alla grande, tra lindi corridoi di ospedale e umanità propalata a piene mani da medici e paramedici (uno degli infermieri è il grande caratterista Vincenzo Crocitti).
Certo molto diverso è l’ospedale, così simile a un istituto di pena, dove finisce il protagonista di Umberto D., capolavoro neorealista di Vittorio De Sica, un povero pensionato statale che ha il
problema di mettere insieme il pranzo con la cena: memorabile la sequenza della visita in corsia del luminare, che ostentatamente dà del tu all’anziano degente, trattandolo come un bambino dispettoso da riportare sulla retta via. E pur di avere un biscotto e un’accoglienza più umana deve “corrompere” una suorina, aderendo in tutto e per tutto all’ipocrita andazzo della clinica. Quanto differente, però, l’immagine della sanità nel cinema e nella televisione americani! Esemplare da questo punto di vista il serial Dr. House, il cui protagonista sarà pure un po’eccentrico ma quanto a bravura medica potrebbe concorrere al nobel... Il dottor Gregory House supplisce al suo caratteraccio con i mezzi della professionalità e della competenza, salvando vite a bizzeffe e inducendo a credere che il sistema sanitario a stelle e strisce sia il migliore del mondo. Il che sarà anche vero, ma possibile che non succeda mai niente di anomalo, che i personaggi siano scolpiti nell’ambito dei più vieti stereotipi! Certo, trattandosi di un prodotto americano, la fattura è egregia e gli attori bravi, ma quanto a indurre una qualche riflessione esistenziale ce ne corre… Siamo sempre nell’ambito dell’intrattenimento, per quanto di assoluta qualità. E che dire di ER medici in prima linea? Basta ricordare che il protagonista, na-
turalmente un medico onesto e leale, ha le apollinee fattezze di George Clooney, il volto radical chic dell’America idealista, il sostenitore del nostro Veltroni (da lui paragonato a Barack Obama). Il che non vuol dire che in ER non vengano affrontate anche tematiche rilevanti sotto l’aspetto sociale, affrontate con piglio decisamente liberal, come l’omosessualità, l’eutanasia, la guerra in Irak e la discriminazione razziale.
Ma sempre con l’idea che tutto possa essere risolto grazie alla determinazione individuale e alla fiducia nel domani in un’ottica tutta statunitense e calvinista, come se uno si meritasse le malattie che ha! A mettere una parola cattiva sulla sanità americana ci ha però recentemente pensato Michael Moore con il film Sicko, un sadico pamphlet sull’America di Bush: per Moore, beato lui, è da preferirgli quella cubana. Il che, se fosse vero, sarebbe tutto dire. Ma il cinema è finzione anche quando ha le stimmate del documentario: il regista seleziona sempre della realtà quello che vuole, lasciando fuori campo ciò che non è funzionale al suo “discorso”.
pagina 16 • 21 giugno 2008
Susanna Camusso
economia
Carla Cantone
Marigia Maulucci
Morena Piccinini
Guglielmo Epifani stravolge, e in rosa, gli equilibri di corso d’Italia per influenzare la sua successione
Cgil, tutte le donne del segretario di Vincenzo Bacarani
ROMA. Una rivoluzione in rosa, un cambiamento radicale che ha scombussolato la Cgil proprio alla vigilia della trattativa sulla riforma contrattuale. Guglielmo Epifani ha spiazzato tutti e ha fatto sfiduciare tutta la segreteria per farne rieleggere una nuova a sua immagine e somiglianza. E, soprattutto, per metà al femminile. Femminista convinto, il leader Cgil ritiene che il rinnovamento del sindacato passi anche attraverso questo percorso. Ma si tratta – al di là della sterzata rosa – di una novità assoluta, di una prassi insolita: mai visto un segretario confederale costretto a sfiduciare se stesso. Un ribaltone studiato da mesi, forse da un anno, per preparare la sua successione. Ma il capo di un sindacato non è un re né un Papa. E le voci di dissenso all’interno della Cgil non sono mancate tant’è che la minoranza – il 25 per cento dei voti – non ha partecipato a una votazione già decisa dall’alto. Novità nella novità, Epifani ha voluto una segreteria di 10 persone composta da cinque uomini (lui compreso) e cinque donne. Parità effettiva tra i due sessi. Un segnale per dimostrare che la Cgil non ha nulla da imparare dalla doppia presidenza rosa di Confindustria e che ha molto da insegnare dopo le “quote rosa” del Pd o le quattro ministre del governo Berlusconi. Del resto, il leader della Cgil ha sempre avuto un debole per la “questione femminile”. Ma un’operazione “storica” di questo genere non ha risparmiato vittime. Mauro Guzzonato, che il giorno seguente avrebbe dovuto riprendere le fila della trattativa sulla riforma contrattuale con
Confindustria, si è visto sfilare la seggiola senza preavviso. Difficile capire il perché. «È la domanda», risponde a Liberal l’ex-segretario confederale, «che tutti in Cgil si stanno ponendo». Tra le donne non festeggia Marigia Maulucci (per lei però è pronta la carica di capo dell’Ires): «Ma così», ha detto, «non c’è più un’opposizione». Una delle poche voci dissenzienti fino a pochi mesi fa, infatti, era all’interno della segretaria, per esempio, Paola Agnello Modica. La quale, avendo in seguito uffi-
cialmente condiviso la linea di Epifani sulla riforma contrattuale, ha salvato la testa e uscita dal fronte dell’opposizione interna. Carla Cantone, segretario confederale di apparato, grande conoscitrice della macchina Cgil e di comprovata fedeltà è stata spostata a governare il sindacato dei pensionati che negli ultimi mesi cominciava a scricchiolare.
Tra gli uomini, confermato solo Fulvio Fammoni. Al posto degli eletti in Parlamento Paolo Nerozzi e Achille Passoni e del “trombato” Guzzonato, entrano Agostino Megale dell’Ires, Enrico Panini della Flc e Fabrizio Solari della Filt. Ma le grandi novità, come detto, arrivano dal fronte femminile. Con Paola Agnello Modica sono state confermate Nicoletta Rocchi e Morena Piccinini. Entrano, invece, a far parte della segreteria Susanna Camusso, segretario della Cgil Lombardia e Vera Lamonica, segretario della Cgil Calabria. In contemporanea, un colpo al cerchio (il Nord) e un colpo alla botte (il Sud). Queste ultime sono due pupille del segretario generale. La Camusso viene data per quasi certa come futuro segretario generale al posto di Epifani: la successione dovrebbe arrivare nel 2009, se
Camusso e Lamonica studiano già da leader. La grande esclusa Maulucci e le incognite Piccinini e Cantone
il leader dovesse decidere di presentarsi alle elezioni europee per il partito democratico, o nel 2010 se dovesse continuare il mandato fino alla naturale scadenza del prossimo congresso. La Camusso, con un passato da segretario generale Fiom in un periodo difficile di crisi Fiat e con un passato nel Psi, rappresenterebbe per Epifani la soluzione ideale: socialista di sinistra come lui e radicata nel territorio del Nord, potrebbe essere una risposta sindacale ai consensi raccolti dalla Lega nelle fabbriche. L’altra pupilla del leader è Vera Lamonica, eletta segretario della Cgil Calabria due anni fa su proposta dello stesso Epifani. Una donna emergente, grintosa che proviene da una regione dove il mondo del lavoro ha tanti problemi. Le altre? Morena Piccinini assicura una continuità per quanto riguarda la politica previdenziale e assistenziale della Cgil e Nicoletta Rocchi, che si è sempre occupata di terziario e cooperazione, probabilmente continuerà a farlo. La Maulucci, cofferatiana e da molti indicata come effettiva numero due del sindacato e possibile candidato alla segreteria al prossimo congresso, è stata “promossa”all’Ires. Praticamente tagliata fuori dal giro che conta politicamente. Forse era una presenza scomoda per Epifani che ora ha tutta la segreteria sotto il suo controllo. Resta da vedere se questa operazione di normalizzazione riuscirà ad arrivare fino in fondo: se permetterà a Epifani di designare il suo successore, come è prassi in tutti gli apparati monocratici. Una prassi che però sarebbe una novità per la Cgil che in passato ha saputo quasi sempre esprimere un leader adeguato al momento storico. Ma Epifani ci prova lo stesso. «Vorrei tanto», ha confidato al suo entourage, «che il prossimo segretario fosse una donna». L’importante, dicono i maligni in corso d’Italia, è che non si chiami Marigia Maulucci.
economia
21 giugno 2008 • pagina 17
Gli analisti ipotizzano un impatto minimo per le società petrolifere quotate dopo l’inasprimento fiscale di Tremonti
Piazza Affari respingerà Robin Hood di Giuseppe Failla
d i a r i o MILANO. Dopo un primo impatto negativo, il mercato sta ricalibrando le stime sull’impatto effettivo che la Robin Hood Tax avrà sui conti di petrolieri e banche. Certo, ieri i due maggiori colossi energetici (Eni e Enel) hanno segnato perdite del 2,32 e del 1,28 per cento, ma sono performance, spiegano gli operatori, dovute alla più generale incertezza dei mercati. Così la più penalizzata resta la Saras – a riprova che sarà colpito più del previsto il downstream – della famiglia Moratti mentre fra gli istituti di credito la maglia nera dovrebbe spettare a Mps, calata ieri (-2,67 per cen-
per azione a causa dell’entrata in vigore della Robin Hood tax. Il titolo della società guidata dai Garrone gia l’altroieri aveva ceduto solo frazionalmente (-0,75 per cento) mentre ieri è stata sostenuta dagli acquisti chiudendo in progresso del 6,94. Nonostante gli analisti stimino per Saras un calo dell’utile per azione più o meno come quelli di Erg gli acquisti sul titolo morattiano sono stati superati dalle vendite e il titolo ha ceduto il 2,74. Il rischio dell’applicazione della Robin Hood Tax è, come sottolineato ieri in un Contrarian di Mf, che che il costo del prelievo straordina-
giormente beneficiato dell’esclusione dalla tassa di Robin Hood figura, oltre a Saipem, La Tenaris dei rocca che ieri ha guadagnato il 2, 39 per cento, dopo avere sfiorato la sospensione al rialzo in mattinata.
Non tutti gli acquisti piovuti sul titolo della società dei Rocca sono da attribuire all’aspetto fiscale. Il gruppo, che opera molto nel continente americano, beneficia anche dalle indiscrezioni sulla possibile conferma dell’introduzione di misure anti-dumping negli Stati Uniti per i produttori cinesi di tubature. Per quanto riguarda le banche, se-
d e l
g i o r n o
Ue: vertice contro il caro-greggio Il Consiglio europeo «esprime preoccupazione per il continuo aumento dei prezzi del petrolio e per le loro conseguenze sociali ed economiche». Per questo auspica che negli Stati membri siano prese «misure per alleviare l’impatto del caro carburante sulle fasce più povere della popolazione» e invita la Commissione Ue a esaminare «la fattibilità di misure fiscali che attenuino tali aumenti», preparando un rapporto prima del Consiglio Ue di ottobre. È quanto si afferma nella bozza delle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Ue che si è concluso ieri a Bruxelles. «Alcuni Stati membri - si legge nella bozza stanno introducendo misure a breve termine per alleviare l’impatto del recente aumento dei prezzi dei carburanti». Tra le misure sul tavolo dei leader Ue anche la Robin Hood Tax, appena approvata dal governo italiano, e la proposta francese di porre un tetto all’Iva che grava sul prezzo del petrolio.
Dpef: Ragioneria corregge deficit La verifica sui conti pubblici effettuata dalla Ragioneria generale dello Stato, guidata da Mario Canzio, prevede scostamenti del deficit tendenziale per 1,5 punti percentuali di Pil cumulati nei prossimi tre anni, rispetto alle previsioni della relazione unificata. Secondo quanto risulta, nel Dpef il deficit 2009 tendenziale, cioè senza correzioni, è previsto al 2,6 per cento (dal 2,1 per cento precedente), nel 2010 al 2,1 per cento (dall’1,7) e nel 2011 al 2 per cento (dall’1,4 per cento). Nel 2008 sarà al 2,5 per cento. Nel frattempo il ministero dell’Economia ha stimato un debito sotto il 100 per cento, avanzo primario al 5 per cento e pareggio di bilancio nel 2011. È questo il traguardo di finanza pubblica scritto nel Dpef 2009-2013 che verrà trasmesso in Parlamento sabato 21 giugno.
Bankitalia: accordo per filiali e contratto Il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi giovedì 26 giugno potrà portare al Consiglio Superiore della banca il piano di chiusura delle filiali. È stato infatti raggiunto, l’accordo con i sindacati, passaggio obbligato per l’avvio del piano. Nell’accordo c’è anche il rinnovo del contratto. Ai dipendenti Bankitalia riconoscerà un aumento dell’8 per cento nel biennio 2008-2009, ossia 460 euro al mese in più a regime per la figura media.
UniCredit-Capitalia: via libera a post fusione to) come tutto il comparto bancario. Nel Pdl poi crea un certo imbarazzo che la Saras sia guidata da Gian Marco Moratti, marito di Letizia, sindaco di centrodestra di Milano. «Dopo un primo impatto, di natura eminentemente emotiva», spiega un operatore, «il mercato è convinto che l’impatto della Robin Hood Tax sarà più limitato di quanto realmente ci si aspettasse».
Gli analisti di Cheuvreux, per esempio, hanno rivisto al ribasso le stime dell’impatto in termini di maggiore spese della Robin Hood Tax su Eni da 547 a 424 milioni di euro, confermando il rating outperform e il target price a 31,5 euro. Dell’effetto scampato pericolo ha beneficiato anche Erg, nonostante le case d’affari stimino un impatto del 7 per cento sull’utile
Risale Erg, ottimismo su Eni ed Enel, schizza Tenaris che beneficia delle norme antidumping Usa.Timori per Saras e le banche medie rio non si traduca in aumenti per il consumatore finale. E per questo serve che il Garante faccia un’attenta analisi dei futuri andamenti dei prezzi: sarebbe paradossale che una norma nata per introdurre una maggiore equità fiscale si traducesse in un aggravio per il consumatore finale. Se le azioni oil non piangono, ridono quelle del comparto oil service escluse dalla sfera d’azione di Tremonti. Tra i titoli che hanno mag-
condo uno studio di Mediobanca, le nuove misure fiscali dovrebbero avere un impatto medio sull’utile per azione delle principali banche del 3,8 per cento sull’Eps. Il Monte, post acquisizione di Antonveneta, avrebbe il calo maggiore (-5,7 per cento) mentre Unicredit dovrebbe essere la meno penalizzata (-1,9). Anche alcune compagnie assicurative sentiranno i morsi della tassa di Robin Hood, in particolare quelle focalizzate sul comparto danni in virtù della variazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi e della riserva sinistri. Così, quelle maggiormente colpite dovrebbero essere la FonSai, la Milano Assicurazioni e l’Unipol, mentre chi è concentrato maggiormente sul ramo vita (come Alleanza e Mediolanum) non dovrebbe accusare impatti dalla misura.
Via libera della Banca d’Italia alla riorganizzazione del gruppo UniCredit, guidata Alessandro Profumo, in seguito all’incorporazione di Capitalia. L’ok di palazzo Koch, secondo quanto risulta è arrivato lo scorso 4 giugno. Bankitalia sottolinea di non aver «obiezioni sotto il profilo di vigilanza alla realizzazione del piano», che prevede tra l’altro il riassetto della struttura retail, con la «fusione per incorporazione in UniCredit di UniCredit Banca, UniCredit Banca di Roma, Banco di Sicilia, Bipop Carire, Capitalia Merchant e Capitalia Partecipazioni».
pagina 18 • 21 giugno 2008
cultura
All’età di 83 anni si è spento Neustadt, amatissimo intellettuale e voce critica del paese sudamericano
Bernardo,la coscienza argentina di Renato Cristin on lasciatemi solo», invocava Bernardo Neustadt nel titolo di uno dei suoi ultimi libri. Oggi, invece, siamo noi, tutti coloro che lo apprezzavano e che ne condividevano gli obiettivi, le critiche e le speranze, a essere rimasti soli. Sabato 7 giugno Neustadt ci ha lasciati, involontariamente e definitivamente. Il più grande intellettuale e giornalista argentino della seconda metà del Novecento è morto, clinicamente stroncato da un infarto ma spiritualmente ucciso dalla cupola politica, da quella classe pseudodirigente che sta trascinando l’Argentina verso il punto più basso mai toccato dall’epoca del saccheggio finale di Perón e dalla squallida decadenza del periodo di Isabelita. Nato nel 1925 in Romania, dove il padre era in servizio diplomatico, Neustadt si dedicò al giornalismo dall’età di 14 anni, presso il quotidiano El Mundo. Nel 1964 fonda la rivista Todo, nel 1975 la rivista Creer e inizia la trasmissione televisiva “Tiempo Nuevo”, che per trent’anni, molti dei quali condotti insieme con Mariano Grondona, è stato il più importante forum di approfondimento politico e sociale della storia giornalistica argentina. Strinse un’amicizia indissolubile con Álvaro Alsogaray, l’economista che per intelligenza e cultura eguagliava Milton Friedman e che fu il maestro di un’intera generazione di politici e intellettuali liberali che avrebbe potuto cambiare il destino dell’Argentina e che, per qualche tempo – prima con piccoli passi durante la giunta militare di Jorge Videla, poi più massicciamente durante la presidenza di Menem – avevano di fatto avviato il cambiamento. Neustadt ascoltava e valorizzava coloro che operavano per il bene dell’Argentina, che agivano con il suo medesimo disinteresse e la medesima abnegazione. Dialogò intensamente con Emilio Perina, pseudonimo di Moisés Kostantinovsky, consigliere di Menem, intellettuale e imprenditore, autore de La máquina de impedir, un libro di denuncia liberale dei mali della burocrazia e dello statalismo che dovrebbe stare sul tavolo di tutti i ministri dei Paesi europei.
«N
A sinistra Bernardo Neustadt. Sopra Astor Piazzolla, suo grande amico. A destra la coppia presidenziale argentina dei Kirchner, fino all’ultimo oggetto degli strali di Neustadt coronarico al mondo – un colpo di pistola al cuore, per testimoniare la sua disperazione di fronte a un governo, quello di Fernando de la Rúa, che con la sua politica economica di stampo sovietico aveva affossato la Fondazione Favaloro lasciandola annegare in un debito di 75 milioni di dollari. In una lettera a de la Rúa scritta pochi giorni prima, Favaloro esprimeva tutta la sua prostrazione per «essere un mendicante nel proprio Paese» e sosteneva che l’Argentina aveva bisogno della sua morte per prendere coscienza della gravità della situazione. Neustadt viveva «l’Argentina come sentimento», per citare il titolo di uno splendido libro del filosofo Victor Mas-
me fu amato Borges. Era ascoltato e seguito, perché la sua motivazione era unicamente il bene del Paese, senza cedimenti e senza equivoci. E proprio perciò il potere politico ha voluto ridurlo al silenzio, dopo che la sua critica ne aveva investito il vertice: «come alcuni governi militari, i Kirchner vennero per spegnere un incendio e si fermarono poi ad arredare la casa». E ora che il disastro è irreparabile, ora che gli argentini vorrebbero cacciarli – «sono convinto scrisse poche ore prima di morire - che la maggioranza non li può più sopportare, vedrete che “la coppia” cercherà, forse, una via d’uscita». «Vogliono scappare - disse Neustadt - anche di questo so-
Julien Freund ma anche Bobbio e Sartori, che Neustadt cita esplicitamente al riguardo. «Non voglio guerre civili, e tanto meno sangue - scriveva in uno degli ultimi articoli - ma di fronte alla dittatura civile instaurata “dai due presidenti” bisogna avere il coraggio di fare qualcosa, perché la classe media, gli imprenditori, gli agricoltori e, oggi, anche gli operai lo vogliono». Neustadt traccia un’analogia fra Isabelita Perón e Cristina Kirchner, basata sulle loro affinità e su due episodi che lo riguardano. Nel gennaio del 1976 la Presidente e il suo governo vietarono la trasmissione“Tiempo Nuevo”, Neustadt subì un attentato esplosivo nella sua casa di campagna e fu costretto al silenzio, ma pronunciò una frase profetica: «lei crede di uccidere e io credo che si suicida». Due mesi dopo infatti l’intervento militare cacciò l’imbelle seconda moglie di Perón. Nel 2006 gli ambienti governativi fecero terra bruciata intorno a Neustadt («mi minacciarono, non potei più fare TV, svanirono tutti gli sponsors»), tanto da costringerlo a chiudere per la seconda volta la trasmissione, ma senza riuscire a imbavagliarlo. Continuò a parlare e a scrivere. Seguitissima era la sua rubrica settimanale nel quotidiano Ambito Financiero. Ma questa volta – dopo che i Kirchner hanno smantellato l’esercito, ridotto a un informe agglomerato inutilizzabile anche per servizi di protezione civile – la degenerazione delle istituzioni democratiche era irreversibile, e Neustadt è morto di crepacuore, con «voglia di vomitare» pensando alla distruzione del suo Paese. Di fronte alla più recente vittima di un’arroganza politica che nasce da una hybris assoluta nei confronti di tutto e di tutti, e che ha soggiogato una nazione che per più della metà è composta da italiani e discendenti di italiani, l’Italia ha il dovere di far sentire la sua voce. Perché le istituzioni e i media non la smettono di celebrare il “Che” Guevara e non onorano invece figure edificanti come Neustadt o come Favaloro, che tra l’altro ha dato lustro all’Italia con il suo lavoro e la sua rettitudine? Così aiuterebbero anche tutti coloro che continuano ad operare, con dedizione e umiltà, per far emergere la verità dell’Argentina e per affermare gli autentici princìpi del liberalismo. L’Italia deve fare la sua parte, anche assumendosi la responsabilità di non lasciare soli i nostri connazionali che vi risiedono e che da essa si sono troppo spesso sentiti abbandonati e dimenticati.
Pensava, ormai, che a causa dei Kirchner la degenerazione delle istituzioni democratiche fosse irreversibile. Neustadt è morto di crepacuore, con la «voglia di vomitare» pensando alla distruzione del suo Paese
Sostenne René Favaloro, il cardiochirurgo di origine italiana e di fama internazionale, una delle persone più oneste e generose che l’Argentina abbia conosciuto, che il 29 luglio del 2000 esercitò il suicidio reale e simbolico, sparandosi – lui, che realizzò il primo bypass aorto-
suh, che con il suo pensiero ha mostrato il senso della tradizione e il valore dell’onore nell’epoca dell’inganno multiculturalista e del disimpegno postmodernista. Grazie al suo patriottismo che non scivolò mai nel nazionalismo, Neustadt era diventato il testimone illuminato e la coscienza critica del suo Paese. Le sue denunce non sono mai state sterili né superficiali. Ha sempre lasciato il segno, e proprio perciò fu temuto e combattuto, perché parlava chiaro e diceva il vero. Per questo era amato dagli argentini onesti più di qualsiasi uomo politico, come solo poteva essere amato il suo grande amico Astor Piazzolla o co-
no sicuro. Argomenteranno che l’oligarchia non li lascia governare, che volevano lavorare per i poveri, e se ne andranno con i soldi degli argentini che gli basteranno per vivere dieci vite. A Monaco o a Madrid. La terra argentina non è più per loro».
Di poche settimane fa è la sua accusa più rovente: «I governi dei Kirchner sono legittimi per elezione, ma illegittimi per condotta», e di fronte a un governo che agisce in modo illegittimo e che, di conseguenza, ha sospeso la democrazia, si può invocare lo «stato di eccezione», come insegnano non solo Carl Schmitt o
personaggi ugenio, principe Pacelli, 260esimo vicario di Cristo in terra. Non ha la disarmante mitezza di papa Giovanni. Non la sofferta modernità di Paolo VI. Non il fuggevole sorriso di Albino Luciani. Non la rocciosa fede del Papa polacco. Pio XII è il pastor angelicus, è l’ultimo Principe di Dio. Papa Pacelli, il più discusso, il più criticato pontefice dell’era moderna che la Chiesa - e la maggior parte degli storici moderni difende con fermezza dagli attacchi di molta storiografia contemporanea che lo descrive come un oppositore talmente forte del comunismo, dal preferire il nazi-fascismo. Di più, per alcuni storici Pio XII fu addirittura filo nazista: per lo studioso inglese John Cornwell fu “Il Papa di Hitler”. A questo pontefice, alla vera dimensione del ministero petrino che fu chiamato a ricoprire in anni bui come quelli della seconda guerra mondiale, sarà dedicato dal 6 all’8 novembre - un ciclo di convegni ed una mostra storica e fotografica (nel braccio di Carlo Magno dal 21 ottobre al 6 gennaio 2009) in occasione del 50° anniversario della morte, avvenuta a Castelgandolfo il 9 ottobre 1958. A coordinare gli incontri che si terranno in quella tre giorni “pacelliana”, saranno padre Gianfranco Ghirlanda, Rettore della pontificia università Gregoriana e mons. Rino Fisichella, rettore magnifico della pontificia università Lateranense. Ad aprire i lavori sarà il Segretario di Stato vaticano, card.Tarcisio Bertone e a chiuderli, l’8 novembre, sarà papa Benedetto XVI in persona. Proprio papa Ratzinger si è spesso dimostrato ammiratore di questo suo predecessore e non ci sarebbe da stupirsi se fosse stato proprio lui a promuovere così fortemente le celebrazioni per il 50° anniversario della morte di Pacelli.
21 giugno 2008 • pagina 19
E
Su Pio XII e sui suoi presunti silenzi sullo sterminio del popolo ebraico per mano nazista, come già accennato, si rincorrono voci e posizioni differenti, anche se i documenti reperiti dopo l’apertura degli archivi segreti vaticani hanno per lo più respinto questa tesi. Sulla sua granitica difesa della fede e del ministero petrino e sulla sua grandezza umana, però, quasi tutta la storiografia è concorde. Pio XII è una figura storica molto affascinante, anche per chi non crede. E’ il primo Papa delle grandi masse, degli immensi raduni: mai fino a quel momento un pontefice era stato così ricercato, ossequiato, osannato. Era alto, ma-
Le celebrazioni per il pontificato di Pio XII, il Papa più controverso
Cinquant’anni di solitudine di Francesco Capozza
La Chiesa e gli storici moderni difendono Eugenio Pacelli dagli attacchi di una certa storiografia che arrivò persino a descriverlo come il Papa di Hitler Alcune foto di Pio XII, in senso orario. A Piazza San Pietro nel 1956. Alla macchina da scrivere nel suo studio personale. Con l’arcivescovo di Milano Mons. Montini che in seguito sarà eletto Papa. Un ritratto di papa Pacelli giovanissimo, ma già vescovo. Ed infine nel quartiere romano di San Lorenzo dopo il sanguinoso bombardamento del ’43 grissimo, quasi diafano, ieratico, statuario. A guardare i filmati dell’epoca sembra muoversi costantemente su un’invisibile palcoscenico. Sembra perennemente assiso su un ideale trono piantato su 2000 anni di storia. La mostra in particolar modo sarà un’occasione unica per scoprire i lati nascosti, anche privati, di questo grandissimo pontefice che ha regnato sulla Chiesa per quasi vent’anni (dal 1939 al 1958). L’esposizione si dividerà in dieci sezioni, che ripercorreranno la vita di Pio XII dall’infanzia a tutto il pontificato, fino alla morte, le esequie e la fama successiva. Il percorso si snoderà se-
guendo Eugenio Pacelli nella formazione, nei primi passi a servizio della Santa Sede, minutante in Segreteria di Stato e poi nel periodo trascorso nella nunziatura in Germania (che è uno dei motivi che lo accreditano come filo-tedesco) negli anni venti.
Poi, nel 1930, Pacelli viene elevato alla porpora cardinalizia e contemporaneamente è chiamato a succedere a Pietro Gasparri come Segretario di Stato di Pio XI ( «sarà un bel Papa» andava dicendo Papa Ratti ai suoi collaboratori). Nel decennio 19301939 è l’uomo più potente del Vaticano, dopo il Santo Padre, ov-
viamente. Quando nel febbraio del ’39 Pio XI muore (non senza qualche dubbio postumo sulla naturalità del decesso: qualche storico appassionato di gialli ricorda che uno dei medici del Papa era Francesco Petacci, padre di quella bellissima Claretta da anni amante del Duce), i cardinali non hanno dubbi: Pacelli è l’unico ad avere l’autorità spirituale e diplomatica per guidare la navicella di Pietro in quelli che si prospettano già allora come anni difficilissimi. L’esposizione oltre al suo carattere storico e documentario di indubbio interesse, presenterà anche un sorprendente aspetto artistico. Non tutti, infatti, sono a conoscenza che il primo nucleo della raccolta d’arte contemporanea presso i Musei Vaticani risale al pontificato di Pio XII. Per gentile concessione dei MuseiVaticani stessi, verranno esposte opere comprendenti alcuni bozzetti di Carrà, De Chirico, Morandi, Sironi, Utrillo, presentati al concorso per la Porta Santa dell’anno Santo 1950. Preziosi regali offerti al pontefice nei suoi 19 anni di regno sulla chiesa e numerosi paramenti e oggetti appartenuti a Pio XII, contribuiranno a rendere unica la mostra.Tutto questo, in attesa che la chiesa si esprima sulla venerabilità del servo di Dio Pio XII. La causa di beatificazione, aperta nel 1967 e più volte interrotta a causa delle critiche sopra citate, secondo il portavoce della sala stampa vaticana Padre Lombardi è “ancora futuribile”. In attesa di venerare un Beato Pio XII, i tanti affascinati dall’ultimo Principe di Dio potranno ripercorrere la sua intensa vita terrena.
pagina 20 • 21 giugno 2008
anniversari
Un romanzo-amarcord a trent’anni dalla saga di Travolta
Febbre da nostalgia di Priscilla Del Ninno
n giovanissimo John Travolta con dito indice rivolto verso l’alto, posa plastica inguainata in un tre pezzi bianco, con pantaloni rigorosamente a zampa da elefante e camicia nera dal colletto appariscente, che sbuca sopra i baveri della giacca: è questa l’immagine che, meglio di ogni altra, stigmatizza quella Febbre del sabato sera che nel 1977 negli Usa, e nel 1978 nel resto del mondo, contagiò un’epoca, un virus socio-spettacolare che si è endemizzato negli anni, attaccando fin nei gangli connettivali generazioni cinefile, mode spettacolari, stagioni sociologiche. Difficile ricordare, a memoria d’uomo, una febbre più alta di quella che colpì il sabato sera negli anni Settanta, una malattia originata dalla disco music a ridosso della vaccinazione rock che nel decennio precedente aveva scatenato le masse. Geniali untori del genere, il regista John Badham e il produttore Robert Stigwood, abili nell’esaltare l’allora sconosciuto talento di John Travolta e, ancor di più, nello sfruttare il ruolo, all’epoca inedito, della disco-music come espediente commerciale e come sfondo contemporaneo al già abusato tema cinematografico dell’adolescenza. Il film, che ha compiuto i trent’anni, e l’intramontabile colonna sonora firmata dai Bee Gees, irrompono sulla scena nel 1978, quando nelle hit dominano già Gloria Gaynor e le varie Ritchie Family, e la rivoluzione sociale del rock anni Sessanta e Settanta comincia a cedere il passo - fenomeno Rolling Stones escluso – a un’inversione di tendenza che, dal culto musicale giovanile di massa passa all’autocelebrazione individualistica della disco-music, una forma di affermazione edonistica personale e di rivalsa sociale che, partendo dal singolo, arriverà comunque a coinvolgere le folle.
U
me edonismo reaganiano, e una sorta di equivalente tersicoreo di quello che invece, nel blocco sovietico, si sarebbe realizzato con lo sport, altro veicolo di affermazione del singolo, che avrebbe però assunto via via il compito di rigenerare e rilanciare l’immagine di un Paese. Uno specchio sociale che rifletteva, e in parte generava, un nuovo modo di sentire tra i giovani, segnando il ritorno di un certo tipo di conservatorismo che, alla luce di oggi, va riletto in parte come reazione alle tendenze degli Anni Sessanta, e in parte come conseguenza pratica della recessione in arrivo. Così, mentre l’Europa vive la tragica stagione degli Anni di Piombo, degli attentati e degli estremismi, il film di Badham sottolinea come al di là dell’oceano i ragazzi preferiscono all’impegno militante e all’eskimo, l’abito bianco di Travolta e le piste da ballo, luogo di aggregazione per eccellenza e epicentro dove le coscienze si scuotono e meglio si delineano le identità collettive e individuali. Per questo è facile, oggi come allora, ravvisare in quel ragazzo con i pantaloni a zampa da elefante e camicia aderente, che nella danza intra-
L’album dei Bee Gees vinse 15 dischi di platino e rimase imbattuto nella hit dei più venduti della storia fino al 1982
Apripista di quello che in politica negli Usa si sarebbe caratterizzato co-
A destra, John Travolta, in arte Tony Manero, mentre balla con Karen Lynn Gorney, la Stephanie di Fever Night (1978). In basso, il gruppo dei Bee Gees, autori dell’indimentica bile colonna sonora del film. I tre fratelli Gibb si chiamavano Barry, Robin e Maurice. Nel gennaio del 2003, all’età di 53 anni, Maurice è deceduto in seguito a un improvviso blocco intestinale
vede l’unico strumento di affrancamento da una condizione socio-economica disagiata, l’incarnazione di celluloide delle problematiche giovanili statunitensi dell’ultimo scorcio degli anni Settanta. Non a caso, all’epoca dell’uscita del film nelle sale d’oltreoceano, il reporter inglese Nik Cohn, a cui si deve la genesi del progetto cinematografico, o almeno la sua ispirazione, commentò la pellicola di Badham chiosando: «La nuova generazione non è disposta a rischiare molto. Si laurea, cerca un lavoro, tira avanti. E una volta alla settimana, il sabato sera, esplode». Ed è proprio a Cohn, allora, o meglio al suo servizio per il New York Magazine che indagava sulle zone violente della Grande Mela, che si deve l’idea
anniversari
21 giugno 2008 • pagina 21
lettivo che annovera volti, maschere e protagonisti che popolano la settima arte. Lui è un semiproletario italoamericano di Brooklyn che domina ogni sabato la verità anche amara della discoteca – al suo ingresso la marea di ballerini si divide come il Mar Rosso nell’episodio biblico – sognando, al di là del ponte, Manhattan, la terra promessa che custodisce nei suoi confini il segreto del sogno americano, di cui in periferia si vivono i risvolti da incubo. La strada narrativa che collega il film alla realtà sociale a cui il racconto si ispira, segue il tragitto di quel mitico ponte che unisce il quartiere di Brooklyn in cui è imprigionato il giovane protagonista, all’isola di Manhattan, meta che Tony Manero deve raggiungere per inseguire una reale possibilità di rinascita. Per questo le coreografie del film, al pari dell’imprescindibile colonna sonora firmata dai Bee Gees, non possono considerarsi come ingredienti accessori alla ricetta di celluloide, ma come elementi indispensabili all’individuazione e alla caratterizzazione dei tratti distintivi dei personaggi e dell’ambiente di cui fanno parte. Nella grammatica del film, insomma, non ci sono intermezzi musicali che si incastonano nella narrazione del racconto, ma musica, danza e avvenimenti strutturano dalla prima all’ultima inquadratura l’intreccio, caratterizzandosi ad ogni fotogramma come fonemi e grafemi necessari alla sintassi dell’apologo. Il filo conduttore del plot, invece, è una gara di ballo, che motiva il sensuale Tony e alimenta la sua storia d’amore con la partner di pista Stephanie, (Karen Lynn Gorney), che si concluderà con una immeritata vittoria da parte dei nostri protagonisti, a scapito di una coppia di ben più meritevoli ballerini portoricani, ma che offrirà al mitico “Re della Disco” la sua possibilità di riscatto: Tony Manero si accorge, infatti, che il primo premio che lui e la sua compagna hanno strappato è dovuto quasi esclusivamente al favoritismo, e che alla base c’è nella giuria un discriminante senso di gelosia razziale. Per que-
tagonista, formando un mulinello, un rito fantastico, nel quale milioni di ragazzi hanno creduto di celebrare le loro segrete ambizioni. Un mito cult che oggi rivive ad ogni sogno di evasione, letterario o cinefilo che sia, di chi a quel mondo etico e spettacolare si richiama.
La Febbre del sabato sera fu da subito, insomma, una sorta di prototipo che marchia il genere e poi ne prescinde, sconfinando in molti altri universi creativi e sociali. Un’onda lunga, quella del suo successo, che si può quantificare anche nella vendita all’asta, pochi anni fa, per 145.000 dollari del mitico abito bianco, rigorosamente in poliestere, sfoggiato con disinvoltura dal giovane Travolta, la divisa di un’icona, e dai 15 dischi di platino vinti dalla colonna sonora dei Bee Gees, l’album rimasto imbattuto nella hit dei più venduti della storia fino all’82, ossia all’arrivo di Thriller di Michael Jackson. L’ultima riprova in ordine di tempo ci viene dal romanzo di Tommaso Labranca, 78.08 (edizioni Excelsior, pag. 278, euro 16.50), una racconto che, tra diario letterario e flashback filmico, risfoglia le pagine di un’epoca e di un successo che ha travalicato i generi espressivi ed evidenziato la schizofrenia tra i percorsi e le evoluzioni del Vecchio e del Nuovo Continente. Simbolo del differente modo di sentire e di vivere, ancora una volta lui: Tony Manero. E allora, scrive Labranca, autore per radio e tv, che in passato ha pubblicato – tra i suoi vari titoli – Andy Wharol era un coatto e La vita secondo Orietta, «quel gesto di Tony Manero immortalato nelle locandine: un braccio alzato, con l’indice puntato verso il cielo. Un’icona sacra che spazzava via l’immagine consunta dell’indice sinistro di Adamo che nella Cappella Sistina punta contro l’indice di Dio… Travolta con l’indice alzato senza risposta spazza via i recuperi di Cristo in chiave hippy o pop dei musical e delle messe beat. Ma cancella anche il gesto della mano alzata a richiamare la P38». E ancora: «Tony Manero dice. Non c’è Dio e non c’è Marx. Ci sono solo io in pista e se non mi adorate voi, mi adoro da solo quando mi cotono i capelli davanti allo specchio. Ricordo tutto questo con freddezza – conclude Labranca in uno dei 17 capitoli, rigorosamente intitolati con le hit dell’album dei Bee Gees – senza più alcun risentimento verso le due parti che si divertivano a vessarmi perché non ero stato in grado di scegliere se stare con Tony (Manero) o Toni (Negri)»… Come a confermare, una volta di più, che quel momento - con i suoi film, i suoi drammi, i suoi eroi e le sue vittime - tra agiografie e prese di distanza, sembra condizionare ancora, con il suo carico di passato, il nostro presente.
Durante gli anni di piombo, Tony Manero divenne il portabandiera dell’insostenibile leggerezza dell’essere giovanile
del film. Passando davanti a un night club, il giornalista vide la scenografia del 2001 Disco – il set del futuro lavoro di Badham. E lì davanti, tra un gruppo di teenagers, un giovane dal look appariscente, con tanto di giacca e cravatta che vestivano – a detta di Cohn – un’energia repressa, un indomabile desiderio di andare oltre quel marciapiede del Bay Ridge che lo confinava nei limiti dell’emarginazione: fu questa immagine il primo fotogramma di Tony Manero. Il resto è cronaca: pubblicato l’articolo Cohn ricevette una telefonata dal produttore Robert Stigwood, che poi a sua volta ingaggiò Norman Wexler per scrivere la sceneggiatura e John Badham per dirigere il film. C’era tutto questo, allora, e tutto quello che di lì a poco avrebbe dato il “la” a titoli oggi cult del filone come Saranno Famosi, del 1980, e Staying alive e Flashdance del 1983 – tanto per citarne tre su tutti – in quelle due ore di appassionante apologo realistico che, nelle note a margine della commedia musicale, rimandava a un diffuso malessere di una generazione x scarna di ideali e
priva di prospettive, avvinta solo dal ballo, dimensione dell’emancipazione e dell’evasione esistenziali. Tony Manero, allora, è un inquieto ragazzo italo-americano che vive a Brooklyn dividendo le sue giornate tra il negozio di ferramenta dei genitori, un contesto familiare litigioso e claustrofobico, le scorribande notturne con gli amici e i sabato notte alla discoteca Odissey 2001: insofferente a una vita che sembra precludergli ogni genere di chances alternativa, almeno finché la tragedia e il dolore irrompono nella sua mesta esistenza, imponendogli di scegliere per sé un finale diverso da quello dei suoi familiari o, peggio ancora, del suo amico morto suicida sull’emblematico ponte che non è riuscito a superare.
Portabandiera di questa insostenibile leggerezza dell’essere giovanile, fu allora quel Tony Manero-John Travolta inserito da subito, e a buon diritto, nella galleria dell’immaginario col-
sto, sconvolto, decide di abdicare e di devolvere il legittimo riconoscimento ai reali vincitori, auto-elevandosi nell’Olimpo degli eroi di celluloide. E come tutti gli eroi, immortali e pronti, come è accaduto in questi trent’anni, a reincarnarsi in infiniti cloni e in mille altre vite mediatiche. Perché il fenomeno esploso nel ’78, amplificato dal film ed esaltato da Travolta, è sempre andato molto oltre il valore del film e il talento del suo pro-
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Quale è il vostro giudizio sulla manovra? QUALCHE BUONA IDEA MA NON C’È ANCORA UN DISEGNO Vedo analogie con alcune iniziative della scorsa legislatura prese dal governo Prodi. Nel senso che qualche provvedimento sembrerebbe andare nella direzione giusta ma serve in realtà a creare un po’di fumo. Penso all’eccesso di severità sui trasferimenti dei funzionari pubblici, che rischiano addirittura la cassa integrazione se, pur essendo abitualmente diligenti, non accettano il nuovo incarico. Su molte altre cose però va riconosciuto che questo esecutivo si muove con piglio assai più concreto e strategico rispetto al precedente (penso alle liberalizzazioni di Bersani che spesso colpivano piccole categorie con aggressività quasi vendicativa). Sono molto colpito da modernizzazioni fondate su un’idea semplice eppure assai utili: penso all’eliminazione delle Gazzette ufficiali cartacee (oltre a produrre risparmio sono anche utili dal punto diu vista ecologico), alle nuove regole che dovrebbero consentire risparmi per le amministrazioni sulle bollette, e alla stretta che mi pare importantissima sugli impiegati pubblici: ottima l’idea di diffondere su internet compensi, tassi di assenza, curricula e recapiti telefonici. Non potranno più imboscarsi, finalmente. Sono proprio curioso di capire se i sindacati avranno il coraggio di conte-
LA DOMANDA DI DOMANI
TRATTATO EUROPEO: COSA VOTERESTE SE FOSSE INDETTO UN REFERENDUM? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
stare i cambiamenti. Le normative sui certificati medici sono sacrosante ma credo che avranno un effetto deterrente solo parziale: simulare un mal di testa o un senso di nausea è sempre possibile. Sui tempi di consegna delle pratiche è tutto da vedere: non è da escludere che l’apparato burocratico riesca ad appellarsi a vari pretesti per resistere. Nel complesso però mi pare che il governo mostri la determinazione necessaria. Il dubbio resta come dicevo all’inizio sulla capacità di non limitarsi a singoli e pur efficaci provvedimenti, conta avere un disegno strategico complessivo, anche un’idea di come il Paese vuole stare in Europa: e su quersto mi pare che ci siano ancora molte incognite.
Antonio Mele - Foggia
FAMIGLIE DIMENTICATE E TANTA PROPAGANDA Mi sorprende che il governo, nonostante la campagna elettorale si sia conclusa da tempo, si stia muovendo come se fosse ancora aperta. Tradotto: continua a proporre una serie di misure propagandistiche che però lasciano scoperta una parte consistente della società. Dov’è finita, ad esempio, la misura sul quoziente familiare, tanto apprezzata dall’associazionismo cattolico? È possibile che il ministro dell’Economia, abbia così cara la figurad i Robin Hood (incarnato in una versione da società globalizzata), da dimenticarsi che se non si tutelano le famiglie, si crea un clima di tale incertezza che poi danneggia tutta la società? E poi non vorrei tralasciare un’altra importante questione: è importante lanciare delle politiche a sostegno della natalità. La nostra società è fatta in maggior parte di anziani. Nessuno mette in discussione la loro funzione, ma il tessuto sociale ha bisogno anche della creatività e dell’entusiasmo dei più giovani. A loro deve essere dato più spazio – e non semplicemente inserendoli nelle liste dei partiti, com’è avvenuto per ragioni di pura propaganda –, ma valorizzandone i talenti. E soprattutto i meriti. Basta alle caste e alle corporazioni! Insomma, credo che il Ministro Tremonti debba star attento a non rinchiudere nell’ultimo cassetto questioni decisive. Ma, per ora, l’ha già fatto. E, forse, ha perso anche la chiave.
VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO È prevista per lunedì 23 giugno alle ore 16.00, presso l’Hotel S.Chiara di Roma, la conferenza stampa dei promotori della Costituente di centro. Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa, Ferdinando Adornato, Angelo Sanza, Savino Pezzotta, Bruno Tabacci e Ciriaco De Mita, daranno “corpo” e “anima” al nuovo soggetto politico nazionale dei moderati italiani che fanno riferimento al Partito Popolare Europeo. Finalmente ci siamo! L’Italia libera: cristiani e moderati uniti in una sola casa comune alternativa e credibile al duopolio Pdl/Pd. Un progetto in cui credere e per il quale lavorare, non contro qualcuno, ma per qualcosa. Berlusconi e Veltroni sono avvisati… Si possono ignorare i propri leaders, ma non due milioni di voti con cui gli italiani hanno premiato l’Unione di Centro, interpretandola come una nuova prospettiva e progetto politico in cui innestare il seme della costituente dei moderati. Questo è il punto focale. Chi ha votato per l’Unione di Centro non è solo l’elettorato storico di Casini ma
EUROPEI A 2 RUOTE
Un cittadino austriaco, vestito con un costume tradizionale, in sella ad una vecchia bicicletta davanti allo sguardo (non troppo attento, per la verità) delle forze dell’ordine locali a Klagenfurt, in Austria.
ESTEROFILIA BOTTEGAIA DELLA GIUNTA COMUNALE PADOVANA Pensar male può ferirci (honni soit qui mal y pense), ma anche consentirci di “azzeccare” la verità. Sostenendo la procreazione responsabile e l’aiuto di stranieri poveri a casa loro, ci sarebbero meno povertà e meno migrazioni clandestine: queste risultano inadeguatamente contrastate da chi le utilizza e strumentalizza, a propri fini di potere. Un nuovo fatto significativo si aggiunge all’azione smaccatamente esterofila e propagandistica della giunta comunale padovana di sinistra centro (con la moschea e innumerevoli altri aiuti e privilegi concessi a immigrati vari). Gli stranieri che (con italiani) hanno lavorato alla realizzazione del viadotto di Padova est «hanno ricevuto per questo ringraziamenti scritti nel-
dai circoli liberal Fernando Giusti - Messina
un nuovo e diverso elettorato, consapevole dei limiti della sinistra italiana, ma anche di quelli del berlusconismo alla deriva. Il primo nucleo di un nuovo elettorato sicuro e convinto che senza un vero Centro forte, moderato e liberale, non ci sarà in Italia nessuna “continuità valoriale” di riferimento politico e culturale con la tradizione cristiana del nostro paese, anche perché, il dopo Berlusconi preannuncia nel Pdl anarchia totale sui valori e guerra aperta “di genere” su tutto il fronte. La missione dell’Udc non è però contro Berlusconi, anzi, ma prima di lui e dei singoli legittimi interessi per tutti noi viene il paese reale e il bene comune. Quello cui facciamo riferimento e appello con la costituente di centro. Un paese nato e cresciuto con regole democratiche e cristiane, che di fatto ha conosciuto un benessere sociale ed economico diffuso e condiviso ai vari livelli della sua società, consentendo quello che da molti è stato etichettato come il “miracolo italiano” dal dopo guerra ad oggi. I costituenti sanno bene tutto ciò. Sanno che lavo-
la loro lingua» - informa un assessore (Gazzettino 19.06.2008, p. III). Come contropartita della sua opera, il lavoratore è regolarmente retribuito e il “ringraziamento” appare un “di più”, strumentale e utile alla giunta comunale per fare bottega elettorale.
Gianfranco Nìbale Padova
LUMI BIOETICI Se, com’è possibile, cercate consigli, lumi e chiarimenti su temi quali l’aborto e la manipolazione della vita umana, chiedete alla nostra sinistra, al Pd o ai radicali. Loro sì che sanno tutto in materia. Vi si sono rivolti persino il Beppe Fioroni e Paola Binetti. Sì, proprio loro. Nutrite forse qualche dubbio? Distinti saluti
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
rano nel presente per consegnarci un futuro migliore. Sanno anche che non sarà facile. Ecco perché noi giovani dobbiamo crederci ed accompagnarli con entusiasmo, impegno e dedizione, perché il futuro è certamente nostro ma soprattutto di quelli che verranno dopo di noi. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
APPUNTAMENTI TODI - 10 LUGLIO 2008 Ore 12.00, Hotel Bramante Prossima riunione nazionale dei coordinatori regionali e dei presidenti dei Circoli liberal
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Così pura, così divinamente bella Ti veggo ora in un nimbo così meraviglioso e abbagliante di luce, ti veggo così pura, così divinamente bella, così divinamente grande nel dolore, che mi tremano i polsi e un’amarezza mi stringe l’anima, un’angoscia di non poterti dare neppure un lampo, neppure una scintilla, neppure un atomo dell’ardore terribile che ho nel sangue, che ho nel cervello, che ho nell’anima. O mia Elda! Non so, mi arresto, mio malgrado; mi sento, al tuo nome, un groppo alla gola, e un impeto indicibile, e negli occhi come un lampeggiare concitato… Come debbo chiamarti? Quale voce, quale parola potrebbe rendere lo spasimo dell’amore e del dolore? Tu mi comprendi? Tu mi credi? Addio! Io non so dire altro. Tu comprendi questo lungo disperato ardentissimo bacio che ti mando piangendo, o mia divina, o mia divina, o mia divina! Tuo tuo tuo tutto tutto tuo, per sempre per sempre tuo. Gabriele Gabriele D’Annunzio a Giselda Zucconi
VINO... CHE PASSIONE Un giovedì sera d’estate, voglia di vacanza, ma mi accontento di un’uscita di gruppo. Mi propongono Ponte Milvio, un’uscita tranquilla… un drink, quattro chiacchiere, un paio d’ore tra amiche. Mi passano a prendere, salgo in motorino con la voglia di Moijto, l’unico drink fresco e dolce che aggiunge quel tocco di brio vacanziero ad una calda serata capitolina di giugno. Arriviamo a Ponte Milvio, lo sorpassiamo. Trovare parcheggio in zona è impossibile. Parcheggiamo e con passo fermo e deciso il gruppo si dirige in un’altra direzione. Siamo alla Farnesina, sulla sinistra un’insegna mai vista, dice “Vinoforum”.“Presi dal gusto…fino all’ultima goccia”. Paghiamo 15 euro per l’ingresso, la hostess ci fornisce il bicchiere da degustatori e il porta bicchiere da appendere al collo. Lo poso subito dentro il casco e, bicchiere alla mano, inizio ad osservare gli stand, perfettamente collocati uno a fianco all’altro. Un paradiso per gli amanti del
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
21 giugno 1280 Torino viene ceduta dal marchese Guglielmo VII del Monferrato a Tommaso III di Savoia 1891 Nasce Pier Luigi Nervi, architetto e ingegnere italiano 1905 Nasce Jean-Paul Sartre, filosofo, scrittore e critico letterario francese 1919 Scapa Flow, Isole Orcadi: l’Ammiraglio Ludvig von Reuter autoaffonda la flotta tedesca: i nove marinai uccisi furono le ultime vittime della prima guerra mondiale 1925 Giovanni Spadolini, politico, storico e giornalista italiano 1940 Seconda guerra mondiale: la Francia si arrende alla Germania 1942 Seconda guerra mondiale: Tobruk cade nelle mani delle forze italo-tedesche 1963 Giovanni Battista Montini diventa papa Paolo VI 1970 A Città del Messico Il Brasile conquista il terzo titolo mondiale battendo in finale l’Italia per 4-1
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
vino: possibilità di assaggiare 1.500 vini del centro e sud Italia. Ci spostiamo tra gli stand, ascoltiamo le storie di ogni vino, osserviamo le mani dei sommeliers che con cura ed amore versano ai passanti un succo tanto prezioso. Nei visi si legge soddisfazione, compiacimento. Il vino scende dolcemente nelle gole dei romani di una caldissima sera d’estate. Conosco nomi di vini mai conosciuti, apprezzo la maestria di chi del vino ha fatto la sua passione. Bianco, rosso, rosso e ancora bianco, i calici vengono riempiti velocemente e con la stessa velocità tornano vuoti. Arriva mezzanotte e la manifestazione chiude i battenti. Usciamo, divertite e appassionate da una cultura antica e affascinante, quella vinicola. Ho ancora la mia voglia di Moijto, ma non dico nulla, non propongo di fermarci a Ponte Milvio. Sarebbe stato poco carino ricordare alle mie amiche che io non bevo vino.
Giulia Marmora Roma
PUNTURE La Lega sui rifiuti ha dato due drizzoni al governo.
Giancristiano Desiderio
“
Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso e lavorare insieme un successo HENRY FORD
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di UN BLOG CONTRO IL REGIME Cuba vista dal suo cuore, dal suo interno. Un racconto quotidiano del regime castrista, quello tanto amato dai comunisti di casa nostra, sempre pronti a sfoderare per le strade la bandiera della Revolucion e l’effige sacralizzata di Che Guevara. Yoani Sanchez ha coraggio da vendere. Trentatreenne sposata con un figlio, ha aperto il suo blog Generacion Y, dove non critica con toni veementi il sistema politico cubano. Non c’è ne bisogno. Basta soffermarsi sugli aspetti quotidiani, su quelli così piccoli e (per noi) ininfluenti che in realtà ti dimostrano l’altro volto di Cuba, non certo quello delle spiagge e dei mojito. Non si troverà da nessuna parte un post che denuncia apertamente il vecchio Fidel, icona smunta di un passato che si ostina a fingersi eterno presente. No, basta scrivere, tra una riga e l’altra, che i disgraziati che frugano nell’immondizia vengono arrestati in quanto danno una cattiva immagine della città. E queste sono le cose più dure da sopportare per le dittature. Il grattacielo di propaganda rivoluzionaria è fragile nelle fondamenta, e non solo a Cuba. Lo abbiamo visto a Bucarest, con il Conducator dall’aspetto fiero e freddo ridotto ad un timido gattino impaurito, in quel lontano Natale del 1989, quando pure i rumeni trovarono la forza di dire basta. Lo abbiamo visto a Pechino, quando un ragazzo disperato, ma dal coraggio unico, si pose davanti al carrarmato in Piazza Tien An Men, sotto gli occhi di un Mao Tse Tung reso perpetuo da un quadro asettico e pure di scarsa qualità. So-
no queste cose che fanno capire quanto finto sia un Regime, quando fragile e debole sia nella realtà. Dietro le parate, le urla retoriche dei capi, le bandiere svolazzanti, sta un castello di carte che aspetta solo un soffio per crollare. Anche nella bella Cuba è così. Lì basta un blog non politico per far dire a Fidel che “la Sanchez mina le fondamenta della Rivoluzione, che il suo è giornalismo neocolonialista“. E’ la paura di perdere la battaglia, solo questo. Un protezionismo socio-culturale destinato ad essere inesorabilmente sconfitto, prima o poi. Ma così sarà. Lo insegna la storia.
Il Pensatore ilpensatore.wordpress.com
MILLE TIBETANI IN CARCERE SENZA PROVE Oltre mille attivisti tibetani, arrestati dalla polizia cinese durante le proteste dello scorso marzo, sono scomparsi nel nulla. Lo denuncia Amnesty International, che chiede a Pechino di “fare luce sull’accaduto” durante il passaggio della torcia olimpica a Lhasa, previsto per il prossimo 21 giugno. Purtroppo la vicenda tibetana è stata messa nel dimenticatoio, perchè infondo fa comodo un po’ a tutti, meno se ne parla e più si allontana il pericolo del boicottaggio, questo é vantaggioso per la Cina, ma non solo. Eppure i soprusi e le violazioni dei diritti umani, sono ancora all’ordine del giorno e la comunità internazionale, dovrebbe fare qualcosa di più che promuovere ”marcette” in maglietta rossa, con su scritto siamo tutti tibetani.
Orpheus orpheus.ilcannocchiale.it
Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma
Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via Vitorchiano, 81 00188 Roma -Tel. 06.334551
Amministratore Unico Ferdinando Adornato
Diffusione e abbonamenti Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia (responsabile) Massimo Doccioli, Alberto Caciolo 06.69920542 • fax 06.69922118
Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Lagrotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza
Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro
Abbonamenti
Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc
Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania
e di cronach
via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it
Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30
PAGINAVENTIQUATTRO Parla l’ambasciatore italiano a Madrid alla vigilia della partita con la Spagna
Non romperemo i rapporti diplomatici con Zapatero.Semplicemente
VINCIAMO NOI «Gli spagnoli ci considerano un avversario di lusso. Sono molti lusingati di giocare contro i campioni del mondo in carica e di poter mostrare tutto il proprio valore». Pasquale Terracciano, classe 1956, è dal luglio 2006 il nuovo ambasciatore italiano in Spagna. Domani seguirà la partita degli azzurri nell’ ufficio di Madrid, nel palazzo costruito dall’architetto Joaquin Roji tre le splendide strade Lagasca e Velasquez. La vittoria contro la Francia ha liberato gli azzurri dalla pressione psicologica. Qual è il suo sentimento? Credo sia molto importante non farsi prendere dall’esaltazione. Martedì abbiamo giocato una bella gara, contro però una squadra in disarmo e soprattutto ridotta in dieci. Il fatto di riuscire a passare il turno ha fatto cambiare tante cose, soprattutto a livello psicologico. Quando si è a posto mentalmente si sta meglio anche fisicamente. Come giudica il lavoro di Roberto Donadoni? Mi sembra un allenatore molto capace, e poi ha saputo sfruttare tutte le difficoltà fin qui incontrate per fare crescere la squadra. E’ un buon comunicatore ed è riuscito a smarcarsi bene da tante polemiche. Cosa pensa dei pesanti attacchi che il ct azzurro ha subito dopo le prime due
“
colloquio con Pasquale Terracciano di Cristiano Bucchi sempre fatto bene all’inizio, poi sono spariti. La squadra di Aragones ha un centrocampo forte e un attacco eccezionale. Al contrario la difesa rimane un’incognita. Non credo sia sicura come la nostra. Secondo il premier Zapatero la Spagna batterà l’Italia 3 a 2. E’ d’accordo? Zapatero è un grande appassionato di calcio. Sicuramente gli spagnoli sono degli ottimi calciatori ma la nazionale incontra sempre problemi a livello internazionale. La squadra di Aragones sta attraversando un ottimo momento. Per questo credo che sarà una bellissima partita. A infiammare l’attesa ci ha pensato il quotidiano Marca pubblicando in prima pagina la foto di Luis Enrique con il naso sanguinante dopo la gomitata di Tassotti a Usa ’94. Sorpreso? Francamente sono rimasto spiazzato quando mi hanno mostrato la copertina di Marca. Credo che ricordare quell’episodio sia per gli iberici un tentativo di esorcizzare un fantasma: la difficoltà della nazionale spagnola di proseguire con successo il cammino nelle fasi finali delle grandi manifestazioni. A guardare lo stato di forma delle due squadre in questo europeo si tratta di una grande occasione, ma sono gli stessi tifosi spagnoli a non nutrire particolare fiducia. A cosa si riferisce? Ho letto un un sondaggio su Internet dove 59 per cento dei tifosi è convinto che la squadra di Aragones fermerà la propria corsa proprio contro gli azzurri. Non possiamo che augurarci che abbiano ragione. In compenso Donadoni dovrà fare a meno degli squalificati Pirlo e Gattuso. Quando crede che peseranno queste assenze? Credo sia difficile trovare l’alternativa a Pirlo anche perchè stiamo parlando di uno dei fantasisti più forti del mondo. In Nazionale, però, ci sono tanti ottimi giocatori e quindi Donadoni avrà solamente l’imbarazzo della scelta. Anche in attacco gli azzurri hanno qualche problema. Luca Toni non sembra attraversare un momento particolarmente brillante. Non credo sia un grosso problema. Toni ha
Le furie rosse hanno incontrato sempre grandi problemi contro di noi. La storia di questa competizione ci dice che hanno sempre fatto bene all’inizio, poi sono spariti. Sono forti in attacco e a centrocampo. Ma la nostra difesa... partite? Penso che tutto questo faccia parte del gioco, anche se noi italiani siamo sempre molto propensi alla polemica. Complessivamente ritengo che la sua gestione sia positiva. Non era semplice passare il turno dopo aver preso tre goal nella prima partita. La squadra ha dimostrato compattezza, entusiasmo, e grande forza. Credo che l’allenatore e tutti i giocatori siano da applaudire. Domani c’è un quarto di finale importante tra Italia e Spagna. Come pensa che andrà a finire? Le furie rosse hanno incontrato sempre grandi problemi contro di noi. La storia di questa competizione ci dice che gli spagnoli hanno
”
avuto molte occasioni, è sempre stato una spina nel fianco delle difese avversarie. Sono convinto che si sbloccherà e poi non dimentichiamo che contro la Romania gli è stato annullato un goal regolare. Ambasciatore Terracciano, quale giocatore toglierebbe alla Spagna? Sicuramente uno tra Villa e Torres. Sono due attaccanti molto pericolosi. In campo sono molto affiatati e con una sola occasione possono farti due goal. Qual è l’azzurro che gli spagnoli temono di più? Direi De Rossi ma anche Cassano visto che per qualche mese ha vestito i colori del Real Madrid. Più in generale credo sia il gruppo a preoccupare gli uomini di Aragones. Qual è la squadra che più l’ha impressionata? Direi che Olanda e Russia fino a questo momento hanno fatto vedere il gioco migliore. Al contrario mi ha deluso molto la Francia e anche la Germania non mi ha convinto. Ancora una volta, però, è riuscita ad andare avanti. Lei vive a Madrid da due anni. Le sembra che italiani e spagnoli abbiamo un modo simile di intendere il calcio? Qui in Spagna il risultato è sicuramente importante, ma quello che i tifosi chiedono alla propria squadra è il bel gioco. È per questo che Capello non è riuscito a conquistare fino in fondi i tifosi madrileni. Pensava troppo al risultato e poco alla bellezza del gioco. Credo che la differenza stia tutta qua.