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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Solo una minaccia concreta può evitare il nucleare di Ahmadinejad

e di h c a n o cr

Cominciamo a mettere in conto l’attacco all’Iran

di Ferdinando Adornato

illusi.

C’eravamo tanto Negli anni ‘90 pensavamo che l’Italia cambiasse. Ma non è andata così. E ora,

dopo15 anni

di Daniel Pipes n un desecretato rapporto del National Intelligence Estimate (Nie) dal titolo Iran: Nuclear Intentions and Capabilities (Iran: obiettivi e capacità nucleari), le agenzie di intelligence americane annunciarono lo scorso dicembre quanto segue: «Reputiamo con un ampio margine di probabilità che nell’autunno 2003 Teheran abbia sospeso il proprio programma d’armamento nucleare». Questa conclusione, ampiamente controversa, ha incoraggiato la leadership iraniana a scartare l’ipotesi di un attacco americano, permettendo a Teheran di assumere una posizione sempre più bellicosa e di vanificare, come previsto, ulteriori trattative. La cosa migliore sarebbe, ovviamente, che a decidere di sospendere il programma nucleare fossero gli iraniani stessi, poiché le alternative – un attacco americano o un’offensiva israeliana, piuttosto che il conseguimento della bomba da parte del regime apocalittico di Teheran, sono scenari ben peggiori. Ravvivare in Iran una sensazione di inquietudine costituisce l’unico modo per raggiungere questo obiettivo. Solo se Teheran si convincerà che non le sarà mai permesso di avere armi nucleari, Washington potrà persuaderla a sospendere il suo programma, evitando l’avvio di una campagna militare. Un obiettivo che può ancora essere raggiunto, ma è necessario un cambiamento di rotta nella politica americana.

I

di guerra civile ideologica (che sta ricominciando) di fallimenti politici, di istituzioni non riformate, è arrivato il coup de théâtre del . Con due leader ma senza partiti.… Eppure alcuni pensano che i partiti non possano essere oligarchie. E la politica non possa essere soltanto una tecnica mediatica. Altrimenti la democrazia diventa , impotente a risolvere, con il consenso dei cittadini, i problemi. Perciò gli stessi testardi propongono la

finto bipartitismo

testardi

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80624

senza qualità

Costituente Centro

di un nuovo partito. Un partito vero. Che prepari il futuro. Pop(olare) non pop(ulista). Lib(che metta al

la persona). Che archivi destra e sinistra nel passato alle pagine 2 e 3 della storia italiana. Bet and win… alle pagine 2, 3, 4

s eg ue a pa gi na 23 e5

Ritratto del numero 2 di Cameron

Inflazione programmata all’1,7%

Sospeso il parere del Csm

Tremonti vincola la riforma dei contratti

Salva-premier: rissa rimandata ad oggi

di Giuliano Cazzola

di Riccardo Paradisi

di Francesco Pacifico

di Silvia Marchetti

Quando venne reso nota l’intesa intervenuta tra Cgil, Cisl e Uil in tema di riforma della contrattazione risultò subito assai discutibile che si trattasse di un progetto adeguato.

Forse non è il caso di drammatizzare il nuovo violento scontro tra il governo di centrodestra e una parte della magistratura e del Csm, come ieri invitava a fare Valerio Onida.

Sfidando il politically correct, Adolfo Urso, sottosegretario allo Sviluppo economico, ha aperto in tempi non sospetti agli Ogm, chiedendo a Berlusconi una «posizione non ideologica».

Amante degli sport estremi, il conservatore David Davis ha sempre creduto che anche la politica fosse un gioco pericoloso dove bisogna rischiarsi tutto perché solo il coraggio porta alla vittoria.

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nell’inserto Nord/Sud a pagina 12

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MARTEDÌ 24

GIUGNO

Intervista al sottosegretario Adolfo Urso

Ogm, l’Italia mette al bando i pregiudizi

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

117 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

La guerra dei David spacca i Tory

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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«Il compito del Comitato promotore - ha spiegato il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini - sarà quello di insediare l’Assemblea Costituente che avrà come riferimento non solo la base del gruppo parlamentare dell’Unione di Centro, ma tante espressioni della società civile del mondo esterno»

Presentato ieri a Roma l’appello-battesimo della Costituente di un nuovo soggetto politico

Parte la sfida del Centro di Francesco Rositano ROMA. C’è chi nel paese avverte una vera emergenza democratica: i partiti si sono trasformati in “castelli di carta”, costruiti o attorno ad un leader oppure attorno ad idee inconciliabili tra di loro. Riferimento esplicito o implicito a Pd e Pdl. E le istanze costitutive dell’Italia – famiglie, mondo del volontariato, imprese, associazioni – sono tagliate fuori. Ecco perché ieri i leader dell’Udc, della Rosa Bianca e dei Circoli, Liberal, hanno lanciato una Costituente per l’Unione di Centro. Una cosa è certa: questa formazione sarà solo la base di un soggetto che vuole essere molto più ampio. «l’Italia è un paese più largo che lungo», ha affermato Savino Pezzotta, che di questo. Tradotto: ci sono tante realtà nella società civile che aspettano di essere coinvolte.

A presentare questa nuova fase, il presidente dell’Udc Pier Ferdinando Casini che ha affermato: «Il compito del Comitato promotore sarà quello di insediare l’Assemblea Costituente che avrà come riferimento non solo la base del gruppo parlamentare dell’Unione di Centro, ma tante espressioni della società civile del mondo esterno, ai quali rivolgiamo un appello per un coinvolgimento che sia strutturale e ci consenta insieme di dar vita d un nuovo sog-

getto politico. Il presidente è Savino Pezzotta, il coordinatore Ferdinando Adornato. Alcu-

non corrisponde ad un atteggiamento della società: è frutto di un meccanismo di convenienza politica. Tra gli altri abbiamo un altro obiettivo, che è quello di reintrodurre le preferenze. Non possiamo tollerare che ai seicento parlamentari nominati in Italia si aggiungono ottanta parlamentari europei». Un annuncio che riporta lì’attenzion sul problema della partecipazione alla vita del paese, di una politica le-

I leader dell’Udc, della Rosa Bianca e dei Circoli liberal lanciano una formazione che vuole essere la base di un progetto più ampio che coinvolga anche la società civile ni di questi protagonisti vengono dall’Udc, altri hanno fatto esperienze diverse, come i Circoli di Liberal, la Rosa Bianca. Ma c’è anche chi come Ciriaco De Mita, proviene dall’esperienza del Pd». Realtà diverse, per certi aspetti, hanno un grande punto di convergenza: l’idea di creare un partito popolare e liberale, che ponga fine “alla grande illusione di un finto bipartitismo”. «Un sistema – ha continuato Casini – che ha avuto il terribile effetto di produrre un restringimento degli spazi della vita democratica soprattutto perché è un bipartitismo finto, e non è un bipartitismo che

gata al territorio, alle istanze e ai desideri della gente.

Lo scopo del Comitato promotore è dimostrare che fare politica è ancora possibile “anche se per ora la politica ha tradito gli italiani”. «Una politica – ha spiegato Savino Pezzotta - in grado di intercettare tutte le persone che hanno una certa idea di democrazia. Siamo convinti che, nonostante le tensioni di antipolirtica e il formarsi di aree di scetticismo nella politica, il paese ha bisogno di vivere una speranza che ci sia una politica che ha cura del bene del pae-

se». Una politica che affronta problemi concreti. Ecco il primo: «Esiste un problema democratico dentro casa nostra. Non sono state riformate le nostre istituzioni, non si sono risolte in maniera determinante le questioni economiche, il nostro paese rischia di rimanere indietro, di essere messo ai margini. Non si sono modificate le strutture dei partiti che lentamente sono diventati delle oligarchie e non degli strumenti di partecipazione e di costruzione, per consenso, della democrazia. Il nostro obiettivo è coinvolgere movimenti, associazioni, riportare la gente ad una vera parte-


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L’appello per la Costituente di Centro: il cammino per superare il “finto bipartitismo senza partito” cipazione. Non è un problema di alleanze: vogliamo un uomini e donne che hanno passione civile e mettere fine ad una semplificazione che ha ucciso il pluralismo. Per questo abbiamo preso contatto ccon le realtà del territorio per costruire questo partito dal basso».

Ferdinando Adornato, presidente dei Circoli Liberal, ha affermato; «La nostra non è una battaglia di sopravvivenza di un leader, di un gruppo di potere. Ci stiamo battendo per la sopravvivenza della democrazia del paese. Ci sono partiti che non sono nati o nati in modo precario e provvisorio. C’è una crisi nella selezione della classe dirigente affidata a meccanismi oligarchici. Ecco la nostrascommessa: proporre un partito che riesca a ricostruire il rapporto con i cittadini. Un partito popolare e liberale. Tradizioni che rischiano davvero di scomparire».

A questo allarme si è aggiunto anche il presidente dell’Udc, Rocco Bottiglione, che ha insistito sul problema della partecipazione e sulla necessità di valorizzare la famiglia, «perno della società italiana». «La nostra alternativa è avvicinare la politica. E quindi coinvolgere il popolo del volontariato, le i mprese, i coltivatori diretti. E poi le famiglie, il soggetto più bistrattato e comun que essenziale della vita del Paese. E poi c’è il mondo della cultura, della ricerca scientifica, dell’università. Realtà che chiedono rappresentanza. Ecco la nostra proposta: contattare i leader di base, parlare con miglia di persone e lavorare con loro. Il problema dell’Italia non è con chi ci alleeremo. Anche perché tra un anno forse il Pd e il Pdl forse non esisteranno più. O coumunque non esisteranno nella forma di oggi. Quindi l’obiettivo è spostare l’asse del Paese. Vedremo quanto ci saremo riusciti e poi vi farmo sapere. Per lora lavoreremo su due oobiettivi intermedi: l’introduzione delle preferenze nella legge elettorale».

Un nuovo partito popolare e liberale APPELLO PER UNA COSTITUENTE DI CENTRO Gli italiani amano profondamente la politica. Eppure la politica, da ormai molto tempo, ha tradito gli italiani. Non ha corrisposto alle loro attese di modernizzazione, di rilancio dell’autorità statale, di nuova protezione sociale, di promozione del merito, di amore per l’etica pubblica, di difesa dei valori della comunità nazionale. In sostanza, la politica ha tradito se stessa: rinunciando a lavorare per il bene comune che dovrebbe invece essere l’unica sua vera missione.

A metà degli anni Novanta gli italiani hanno creduto che potesse finalmente aprirsi un’era di rinnovamento delle istituzio-

to in realtà “coalizioni camuffate”. Senza partiti perché, per ora, si tratta solo di castelli di carta costruiti intorno a un leader.

Il Pdl non è un partito: è un cartello figlio di una precipitosa fusione tra Forza Italia e An, senza ancora una precisa identità, senza strutture di partecipazione, con meccanismi di selezione della rappresentanza di tipo oligarchico-padronale. E se, viceversa, il Pd è nato da un processo costituente restano ancora irrisolti, al suo interno, formidabili problemi di identità e di democrazia, in particolare nel rapporto tra la componente cristiana e quelle socialiste.

I vecchi partiti, che avevano guidato la libertà italiana nel benessere, sono morti. Ma partiti più moderni non sono mai nati

ni e dei partiti. Non è andata così. Le istituzioni non sono state riformate. I vecchi partiti, che avevano guidato la libertà italiana nel benessere, sono morti. Ma partiti più moderni, e adeguati ai tempi, non sono mai nati. Una sorta di guerra civile ideologica ha paralizzato il Paese.

I risultati di questo “ventennio sprecato” li abbiamo sotto gli occhi: la permanente crisi dello Stato, l’irrisolto deficit di decisione dei governi, la vistosa decadenza della rappresentanza parlamentare, la selezione della classe dirigente affidata a meccanismi casuali e oligarchici, la latitanza di veri partiti e di partiti democratici, l’affievolirsi della solidarietà pubblica, tra le categorie sociali, tra i corpi dello Stato, tra Nord e Sud, la cronica assenza di ogni “visione” sul futuro dell’Italia. In una parola la profonda crisi della qualità e della serietà della politica. L’obiettiva evidenza di tale scenario, che ha moltiplicato i sentimenti di sfiducia nella politica, ha indotto la sinistra e la destra, prima delle ultime elezioni, a realizzare due grandi coup de théâtre: la nascita del Pd e del Pdl. Siamo così entrati in un “finto bipartitismo senza partiti”. Finto perché la Lega da una parte, l’Italia dei Valori dall’altra e la persistenza di partiti e gruppi autonomi organizzati, ha prodot-

I partiti non sono e non possono essere oligarchie. E la politica non è e non può essere soltanto una tecnica mediatica. Partiti e politica devono essere strumenti, in mano ai cittadini per rendere viva una democrazia. La nostra Costituzione proprio questo prevede. Una democrazia senza partiti, e senza qualità della politica, diventa sofferente. Impotente a risolvere, con il consenso, i propri ritardi e le proprie contraddizioni.

Ebbene, la gravità della crisi italiana, per di più nel quadro di uno scenario mondiale che pone all’Europa interrogativi di fondo sul suo futuro, non consente di rassegnarsi a subire istituzioni non riformate e democrazie senza partiti. Impone un rilancio e un riscatto della politica, della sua serietà, della sua qualità, del suo legame con i cittadini.

in una politica che torni a perseguire il bene comune.

Proponiamo la Costituente di un nuovo partito: popolare e liberale. Un partito che metta insieme le idee migliori della storia nazionale ed europea: il progetto di solidarietà e di sussidiarietà del popolarismo, l’affermazione delle virtù civiche repubblicane dell’umanesimo laico, l’ispirazione cristiana e liberale fondata sul primato della persona. Vogliamo costruire nella società italiana un nuovo patto politico e sociale ispirato al bene comune, al servizio della famiglia, delle comunità, del mondo del lavoro, della libera impresa e della cultura. Non intendiamo dar vita a una piccola forza d’interposizione tra i due soggetti del finto bipartitismo. Intendiamo, al contrario, cominciare insieme il cammino di un soggetto capace di modificare il sistema politico. Perciò, a chi ci chiede quale sarà la politica di alleanze di questo nuovo partito, se verso il Pdl o verso il Pd rispondiamo che la domanda non è ricevibile: perché dà per immutabili schieramenti che noi vogliamo invece modificare. Ci rivolgiamo dunque a tutti i cittadini italiani, alle elettrici e gli elettori del Pdl e del Pd, come di altri soggetti, che si riconoscono nelle nostre idee e non sono convinti della credibilità e della qualità politica degli attuali contenitori: è ora di mettersi in cammino insieme. Ci rivolgiamo ai mondi dell’associazionismo civile e sociale. Si apre, con la nostra Costituente, l’opportunità di costruire insieme un nuovo soggetto che, senza rinunciare alla professionalità della politica, veda tra i suoi soci fondatori anche i protagonisti di quei mondi vitali che rendono ricca la democrazia reale del nostro territorio. Del resto, quando è in gioco la qualità e il futuro della democrazia occorre che ciascuno dia il suo contributo. E non si può rigenerare la politica, come noi ci proponiamo di fare, se non si assume in prima persona la responsabilità di cambiare il significato stesso dell’agire pubblico e dell’opera di governo.

Proponiamo la Costituente di un nuovo partito: popolare e liberale. Che metta insieme le idee migliori della storia italiana ed europea

Per questo motivo i sottoscrittori di questo appello si costituiscono in Comitato Promotore per la Costituente di Centro, con l’obiettivo di dar vita ad un nuovo soggetto politico. Partendo dalla fiducia che, in aprile, due milioni di italiani hanno già accordato all’Unione di Centro, puntando sulla forza storica dell’Udc e sull’apporto nuovo di movimenti come la Rosa Bianca, i Circoli Liberal, i Popolari, corrispondendo a quanto annunciato in campagna elettorale, facciamo appello ad altre forze politiche, sociali e civili perché si uniscano al nostro percorso. Facciamo appello a tutti coloro che credono nei valori che hanno generato la civiltà europea e l’identità cristiana del popolo italiano. A tutti coloro che credono

Ci rivolgiamo a tutti gli italiani: costruiamo una nuova casa politica per chi crede nel bene comune! Pier Ferdinando Casini Ferdinando Adornato Rocco Buttiglione Lorenzo Cesa Ciriaco De Mita Francesco D’Onofrio Savino Pezzotta Bruno Tabacci


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Si è chiusa la stagione aperta nel ‘94: è solo ora di prenderne atto

Seconda Repubblica addio di Francesco D’Onofrio

ormai da molti anni che si cerca di capire se la lunga transizione iniziata con la crisi della cosiddetta Prima Repubblica può terminare in Italia con la formazione di due partiti soltanto: uno di centrodestra e l’altro di centrosinistra. Nonostante l’ultima consultazione popolare - che sembrerebbe aver risolto il dubbio nel senso appunto dell’esistenza politica di due partiti soltanto - è di tutta evidenza che quella bipartitica è stata, è, e molto probabilmente sarà, soltanto un’illusione. Lo scontro politico in atto sul rapporto tra sovranità popolare e indipendenza della magistratura è la più evidente spia che non esistono due partiti, l’uno che si richiami al voto popolare per sostenere che da esso discende anche la scomparsa o almeno l’attenuazione dei limiti costituzionali all’esercizio del potere popolare, e l’altro - che sembra richiamarsi ad una anche se rissosa difesa dell’indipendenza della magistratura - che pare affermare che non vi è possibilità alcuna di rendere compatibili appunto sovranità popolare da un lato e indipendenza della magistratura dall’altro, come invece cerca di dimostrare la Costituzione repubblicana, anche dopo la scomparsa, nel 1993, dell’istituto dell’autorizzazione parlamentare a procedere che costituiva molto significativamente un importante punto di equilibrio proprio da sovranità popolare-par-

È

lamentare e autonomia-indipendenza della magistratura. Ma proprio la crisi del rapporto da sovranità popolare e magistratura - che è stata all’origine della crisi della cosiddetta Prima Repubblica - non riesce a comporsi in partiti politici che intendano governare l’Italia anche se in nome di una nuova democrazia, perché proprio a partire dal 1994 è prevalsa l’idea dei cartelli elettorali nei quali si possono affastellare le più diverse ispirazioni ideali dimostrando che l’intendimento di vincere le elezioni prevale in modo assoluto sulla necessità di governare il Paese.

Crisi dei rapporti tra sovranità popolare e magistratura da un lato, e difficoltà fino ad ora insuperata nei rapporti tra elezioni e governo del Paese dall’altro, sono infatti i due punti fondamentali intorno ai quali si sono intrec-

Volge al termine l’era politica aperta quindici anni fa: quella dei cartelli elettorali. Mentre è ancora incerto l’esito del rapporto tra sovranità popolare e indipendenza della magistratura

ciate fino ad ora tutte le proposte tendenti a fare del governo dell’Italia la questione fondamentale per il nostro Paese, soprattutto in considerazione del fatto che con l’integrazione europea da un lato e la globalizzazione mondiale dall’altro, non vi è un solo problema che possa essere risolto in termini di cartelli elettorali e non già di alleanze di governo. Sono queste le ragioni di fondo che inducono a ritenere che si stia ormai chiudendo la stagione, inaugurata nel 1994, dei cartelli elettorali mentre è ancora incerto l’esito del rapporto tra sovranità popolare e indipendenza della magistratura: occorre pertanto passare dal sistema nel quale siamo vissuti dal ’94 ad oggi ad un sistema nel quale le alleanze di governo del Paese si facciano sulla base di programmi che comprendano entrambe le questioni poste all’inizio della stagione che chiamiamo della Seconda Repubblica: occorre dunque dar vita a veri e propri partiti politici capaci di affrontare entrambe le questioni che sono state indicate in precedenza.

Non sembra che questo problema si possa risolvere illudendoci di rinchiudere queste due questioni in due soli partiti, perché non si tratta soltanto del ricordo reale e non solo romantico delle culture politiche fondamentali del nostro Paese, ma anche e soprattutto della ne-

cessità nuova, anche rispetto alla I Repubblica, di rendere compatibili tradizioni culturali originarie e questioni nuove poste dalla fine dell’impero sovietico e dall’avvento di una globalizzazione che impone a tutte le culture tradizionali di dimostrare di essere in grado di


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Volontariato, famiglia, impresa: c’è un’Italia senza voce

Dalla società liquida alle comunità solide di Rocco Buttiglione è in Italia un popolo che non trova rappresentanza nella politica così come essa è adesso? Se c’è un popolo così allora vale la pena di fare un partito per fare ascoltare la sua voce. L’Unione di Centro è una scommessa che parte dall’Udc e dai gruppi che ad essa hanno consentito (Liberal, Rosa per l’Italia, Popolari) ma va molto al di là di essi. Esiste un popolo cristiano che è entrato di forza sul proscenio della società italiana con il “Family Day”. Si tratta di movimenti, associazioni, gruppi diversi che, animati da una fede viva, stanno ridando consistenza alla nostra società. Fanno volontariato, comunità di recupero per i drogati, centri di assistenza per gli anziani, case protette per i disabili, cucine economiche e banchi alimentari per i poveri, centri di aiuto alla vita… In questa area si concentra molto del patrimonio di valori di cui ancora dispone la nostra società. Fra la loro esperienza di fede viva e questa politica c’è un abisso. Sentono di dovere assumere anche una responsabilità politica per il paese ma sono esitanti, timorosi di essere strumentalizzati o di sbagliare il loro percorso. C’è una Italia delle piccole imprese, degli artigiani, dei coltivatori diretti, dei commercianti, delle professioni che chiede semplicemente di poter lavorare. È lì che si creano i posti di lavoro, è da lì che viene la capacità del paese di reggere le sfide della globalizzazione. Anche loro vorrebbero essere protagonisti della politica e si rendono conto invece di contare assai poco. C’è una Italia della cultura, della ricerca, della università e della scuola in cui la tradizionale egemonia della sinistra è venuta meno ma non è stata sostituita da nessun n uovo e credibile punto di riferimento. È una realtà decisiva perché è lì, sul terreno della scuola, della ricerca scientifica, della formazione professionale, del ripristino della serietà degli studi che si decide gran parte del futuro del paese. Anche questa Italia si sente oggi incompresa e negletta, fuori della politica. C’è una Italia delle famiglie che realizza il vero grande investimento per il futuro che è l’investimento sui figli e si sente fiscalmente oppressa e culturalmente svillaneggiata e derisa. C’è una Italia del lavoro che scopre ogni giorno di non potere essere compresa e difesa con i concetti propri della cultura del lavoro di massa che è stata egemone fino a ieri e tuttavia sa di avere bisogno di politiche di solidarietà, diverse da quelle del passato. L’Unione di Centro sarà un successo se sarà

C’

capace di parlare alla Italia del volontariato e dell’impresa, della cultura e del lavoro e delle famiglie. La politica che oggi c’è è adatta ad una società liquida, senza identità. Non a caso aggrega il consenso sulla demonizzazione dell’avversario e sulla fiducia fideistica nelle capacità taumaturgiche di un capo. Noi scommettiamo sulla possibilità di restituire un volto alla società in cui viviamo. Per questo dobbiamo legarci a chi resiste al disfacimento ed a chi costruisce comunità. Dobbiamo offrirgli rappresentanza politica. La società liquida non si lasci rappresentare ma chi costruisce articolazioni sociali ha invece bisogno di rappresentanza. E solo dalla ricostruzione di comunità nasce un sentimento di appartenenza a quella realtà storica che chiamiamo nazione o patria.Viviamogli anni della dissoluzione della identità nazionale italiana ovvero di un suo nuovo risorgimento. Per essere all’altezza di questa sfida c’è bisogno di un grande lavoro di base. Dobbiamo contattare il popolo cristiano e chiedergli se sente l’esistenza di un problema politica di rappresentanza dei cristiani. La stessa domanda dobbiamo fare ai leader di base della piccola impresa, della cultura e del lavoro. Dobbiamo costruire un progetto insieme con loro e per loro. Dobbiamo essere convinti noi prima di tutto della importanza della sfida davanti a noi. Molti ci chiederanno da che parte stiamo. Non voglio sottovalutare l’importanza del problema delle alleanze, che dovrà essere affrontato e risolto nel tempo opportuno. La prima risposta però deve essere che stiamo da un’altra parte, dalla parte di un’altra politica. La domanda «da che parte state» serve spesso per umiliare l’importanza ed il rilievo della nostra iniziativa politica. Equivale a dire: non mi importa nulla della passione che vi muove, della speranza di cui volete essere portatori.Voglio che vi collochiate in questa politica, che è quella appunto che noi contestiamo e nella quale non trova rappresentanza tanta parte dell’Italia che noi amiamo. Noi rispondiamo: ma siete davvero sicuri che quello attuale sia l’ultimo punto di approdo della transizione italiana? Che ci saranno ancora fra cinque anni il Popolo delle Libertà ed il Partito Democratico come noi oggi li conosciamo? Molto del futuro dipenderà dalla nostra capacità di chiamare all’impegno politico per l’Italia forze che oggi dalla politica sono emarginate per costruire nuove realtà e nuovi equilibri. Sappiamo che il viaggio non sarà facile ma contiamo di andare lontano.

Quando ci chiedono da che parte stiamo, dobbiamo rispondere che noi stiamo dalla parte di un’altra politica

concorrere al governo dell’Italia nel tempo che ci è dato di vivere.

Quella del bipartitismo è stata una tormentata stagione anche dell’ultima campagna elettorale nella quale l’appello al voto utile era compatibile con la logica dei cartelli elettorali e certamente non già con la logica dei partiti politici: ecco perché siamo oggi di fronte ad una gravissima crisi del Partito democratico, che deve passare dall’affermazione dell’ispirazione maggioritaria - forse imposta da una logica bipartitica - all’affermazione di una strategia delle alleanze che sia in grado di dare una risposta ai due problemi di fondo con i quali siamo passati dalla Prima alla Seconda Repubblica; ed è anche per questo che siamo di fronte ad una logica puramente elettorale del PdL che ha vinto le elezioni solo grazie ad una alleanza con movimenti territoriali che pongono in discussione il sentimento stesso dell’unità nazionale e non già con una capacità di dare una risposta strategica alla questione dei rapporti tra sovranità popolare e giustizia da un lato e tra culture politiche omogenee, necessarie per governare il Paese e non solo per vincere le elezioni, dall’altro. Nella ricerca del passaggio alla nuova democrazia è fondamentale aver presente il fatto che mentre nella I Repubblica per governare l’Italia era comunque necessaria una maggioranza di po-

polo, dall’avvento di quella che chiamiamo II Repubblica è sufficiente avere una maggioranza di seggi parlamentari anche senza una maggioranza di popolo. Ed è di tutta evidenza che sono due diverse idee di fondo che implicano diversi sistemi elettorali (locali, regionali e nazionali); diversi sistemi istituzionali (più parlamentari i primi, più personali i secondi); diversi sistemi di garanzie dei diritti e dei doveri fondamentali dei cittadini. Nell’interesse dell’Italia vi è solo da augurarsi che prendano atto dell’illusione bipartitica soprattutto coloro che in campagna elettorale hanno fatto molto ricorso all’istituto elettorale appunto e non di governo - del voto utile.


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politica

Q

Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. In basso, il responsabile del Lavoro, Maurizio Sacconi

uando venne reso nota l’intesa intervenuta tra Cgil, Cisl e Uil in tema di riforma della contrattazione – oggi ripartirà il confronto tra le parti sociali – risultò subito assai discutibile che si trattasse di un progetto innovativo, adeguato alle esigenze del sistema delle imprese e dei lavoratori. In verità, sostenemmo allora che a essere rafforzato e potenziato fosse il livello nazionale, chiamato a svolgere, nel documento, addirittura la funzione di «centro regolatore» per la definizione delle competenze da affidare al secondo livello, fino a prevedere persino che «la contrattazione salariale ...si sviluppi a partire da una quota fissata dagli stessi CCNL».

Erano previsti, poi, alcuni vincoli destinati a entrare in conflitto con le più recenti tendenze dell’organizzazione della produzione e del lavoro come gli appalti, gli outsourcing, le cessioni di azienda. Per queste forme – suggeriva quindi l’intesa – andavano definiti accordi e norme quadro per garantire condizioni normative, salariali e di sicurezza in grado di arginare il fenomeno del dumping contrattuale «in particolare con la piena utilizzazione della “clausola sociale”». Al contratto nazionale veniva, tra l’altro, affidato il compito di adeguare periodicamente il salario al costo della vita. Destava però non pochi interrogativi l’ipotesi di adottare il criterio della «inflazione realisticamente prevedibile», unitamente al superamento del cosiddetto biennio economico. Si rinunciava, così, a uno dei capisaldi del protocollo del 1993, laddove il riferimento all’inflazione programmata (salvo l’eventuale conguaglio successivo) era finalizzato a contenerne l’incremento, giocando infatti d’anticipo. Il suddetto indicatore previsto nel protocollo firmato da Ciampi e dai sindacati prima dell’ingresso nell’euro, peraltro, non costituiva una camicia di forza per le retribuzioni dei lavoratori, ma voleva essere un tentativo – non sempre riuscito – di difendere il loro potere d’acquisto, prima che fosse taglieggiato dall’inflazione. Il nuovo concetto di «inflazione realisticamente prevedibile», rischia, invece, di trasformarsi in una «scala mobile», travestita e priva di ambizioni rispetto alla politica economica del Paese. Non è dovuto trascorrere molto tempo perché i fatti ci dessero ragione. Intervenendo al campo estivo della Cisl, il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ha dimostrato che la sua organizzazione non è ancora riuscita a

Gli effetti dell’inflazione programmata all’1,7 per cento

Tremonti vincola la riforma dei contratti di Giuliano Cazzola smaltire il trauma dell’abolizione della scala mobile (un percorso travagliato che, iniziato nel 1984, terminò nel 1992 grazie al primo governo Amato). Il vizio è sempre quello dell’illusione ottica per cui si finisce per preferire una retribuzione gonfiata in termini nominali, ma con un potere d’acquisto progressivamente eroso dalle

dinamiche del costo della vita, piuttosto che impegnarsi seriamente nella lotta a un’inflazione tutt’altro che domata.

Per altro, la raccomandazione presente nel Dpef del ministro Giulio Tremonti di fissare un obiettivo di contenimento del costo della vita al di sotto della soglia del 2 per cento (ovvero

all’1,7) proviene direttamente dalla Banca centrale europea. I sindacati non ignorano sicuramente che il tasso di inflazione al di sopra del 3 per cento è spinto da eventi esterni: in un anno il prezzo del greggio è cresciuto del 98 per cento, quello delle materie prime del 57. Si può far finta che non sia successo nulla e dimenticare che

creano difficoltà non soltanto ai redditi dei lavoratori ma anche alla competitività delle imprese. Le quali, se esportano, devono già fare i conti con una rivalutazione annua del 18 per cento dell’euro. Davanti alle parti sociali è aperta, dunque, una nuova strada maestra: negoziare a livello decentrato scambiando migliori retribuzioni con un più ampio livello di produttività. E il governo ha aperto più di uno spiraglio in tal senso. È arrivato ieri in Aula, alla Camera, il secondo decreto legge varato dal Consiglio dei ministri nella seduta di Napoli. Si tratta del provvedimento che ha completamente abolito l’Ici sulla prima casa, detassato il lavoro straordinario e i premi di produttività (su tali voci graverà un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali in misura del 10 per cento). Il regime agevolato è disposto in favore dei dipendenti del privato che, nel 2007, abbiano realizzato un reddito annuo non superiore a 30mila euro, mentre la misura del beneficio non potrà mai superare l’importo massimo di 3mila euro lordi.

A nessuno può sfuggire – a partire dal governo e dalla maggioranza – che gli interventi in esame presentano dei limiti oggettivi, dovuti soprattutto all’ammontare delle risorse disponibili. L’impegno finanziario più rilevante – come è noto – è destinato al taglio dell’Ici. Tuttavia l’esecutivo ha compiuto uno sforzo non indifferente (più di 660 milioni in un semestre) per finanziare il regime fiscale previsto dal decreto adesso in conversione. Il provvedimento è sperimentale fino a tutto il 2008. L’eventuale estensione ai dipendenti pubblici è affidata a una verifica da parte dei ministri interessati nei trenta giorni precedenti la scadenza della norma. È una sola la ratio che ha indotto il ministro Maurizio Sacconi a incentivare non già miglioramenti retributivi distribuiti a pioggia (poco ma a tutti), ma a concentrare le disponibilità (comprese quelle delle erogazioni liberali) su talune voci qualificate che, oltre ad aumentare il reddito dei lavoratori (per il solo lavoro straordinario sono stati calcolati benefici netti tra 360 e 750 euro in un semestre): quella di favorire l’efficienza dell’impresa unitamente a una più intensa produttività del lavoro.

Al tentativo della Cgil di reintrodurre meccanismi simili alla scala mobile, il governo risponde spingendo le parti sociali a riequilibrare i salari nella fase aziendale della trattativa nel 1993, quando venne stipulato il protocollo che ha regolato – bene o male – le relazioni industriali, si volle tener conto dell’“inflazione importata” nel determinare i parametri degli aumenti retributivi. Oggi quell’impianto contrattuale è in discussione. Ed è sottoposto finalmente al confronto tra le parti sociali, le quali sono libere di individuare altri criteri, ma non possono sottrarsi all’impegno di contrastare le impennate inflazionistiche, che


politica

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Il Csm rinvia ad oggi il suo parere sulla costituzionalità della norma. La mediazione di Casini

Salvapremier, scontro rimandato di Riccardo Paradisi

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Di Pietro: il federalismo serve al Sud Antonio Di Pietro ”si insinua” nei programmi della Lega Nord e decide di fare sua la battaglia per il federalismo fiscale: «Servirà non solo al nord, ma soprattutto al sud perche’ implica un sistema di responsabilità che eliminerà l’ingordigia di quanti occupano il Mezzogiorno d’Italia grazie all’illegalità e alla mafia». E’ questa infatti la proposta che il leader dell’Idv ha fatto ieri nella seconda giornata dei lavori dell’esecutivo nazionale del suo partito. Di Pietro ha quindi sottolineato come «l’assistenzialismo nel sud ha fallito la sua missione. Dobbiamo prendere atto di questa realtà e siamo dell’avviso che in Campania esiste un’emergenza rifiuti che è diventato emergenza nazionale».

Sanità, Sacconi toglie i ticket I ticket per le visite specialistiche non ci saranno. E’ l’impegno del ministro del Lavoro e della Salute Maurizio Sacconi, secondo cui le eventuali alternative «saranno individuate attraverso un dialogo costruttivo con le regioni». «Siamo intenzionati - ha spiegato Sacconi all’inaugurazione del forum Sanit a Roma - a non applicare i ticket di dieci euro sulle visite specialistiche. Una questione che abbiamo ereditato dalla scorsa manovra, che dal 2009 reintroduce i ticket, cosa che francamente non ci sembra congrua».

Franceschini: basta logorare Veltroni ROMA Forse non è il caso di drammatizzare il nuovo violento scontro tra il governo di centrodestra e una parte della magistratura, come ieri invitava a fare su Repubblica l’ex presidente della consulta Valerio Onida. Ma certo i toni di queste ore non sono affatto tranquillizzanti. La maggioranza censura l’estrema politicizzazione del Csm, insistendo sul potenziale eversivo di uno dei poteri dello Stato mentre l’opposizione e settori importanti della magistratura, sostenuti dal centrosinistra, rispondono che le norme sulla sospensione dei processi hanno presentano gravi sospetti di incostituzionalità.

Un clima molto diverso da quello che avevano reso dolci al Cavaliere le prime settimane di governo. «Quanto sta accadendo in queste ore nella Giustizia è gravissimo – accusa il Pdl, compatto nel fare quadrato intorno al presidente del Consiglio: la circostanza che tre magistrati della prima commissione del Csm chiamati a esprimersi sulla questione Berlusconi - Schifani (Livio Pepino, Mario Fresa e Fabio Roia) siano gli stessi che insieme al magistrato Nicoletta Gandus avevano firmato il noto appello anti-Berlusconi rivolto a Romano Prodi affinché abrogasse alcune norme approvate dal centrodestra, rende sempre più evidente lo stato di crisi del sistema». Ma è duro anche l’attacco di Piero Alberto Capotosti, presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex vice presidente del Csm: «I due

emendamenti sui processi presentati dal Governo - uno che sospende quelli per i reati di minore allarme sociale, e l’altro che indica i procedimenti che devono avere la priorità, presentano sospetti di incostituzionalità». L’irrazionalità della norma starebbe infatti nel fissare la data del 30 giugno 2002 come spartiacque per i processi da congelare per un anno: «una norma irragionevole, secondo l’ex vicepresidente del Csm, che incide sulla parità di trattamento dei cittadini davanti alla legge».

Il Pdl attacca sulla presenza nella prima commissione del Csm di tre magistrati anti-Berlusconi. La risposta dell’opposizione: vogliono imbavagliarli Ma il Csm che dice? Per ora ancora niente di ufficiale visto che il parere che doveva uscire ieri dall’organo di autogoverno della magistratura è stato rinviato a oggi quando il testo andrà in Senato: «Così si potrà valutarlo, spiegano a Palazzo dei Marescialli, dopo l’approvazione con tutte le modifiche introdotte, nel suo complesso, non concentrandosi solo sull’emendamento ”salva-premier”». A tentare per ora una mediazione è il leader dell’Udc Pierferdinando Casini che se da un lato invita Berlusconi e il governo di ritirare gli emendamenti “sospendi-processi”

al decreto sulla sicurezza, «ponendo così fine ad atteggiamenti truffaldini» dall’altro chiede all’opposizione di «evitare l’atteggiamento ostruzionistico se in Senato si dovesse scegliere la via maestra di dar vita all’immunità prevista anche in Europa e la sospensione dei processi per le cinque cariche più alte dello Stato». Se Casini media invece Famiglia Cristiana, il settimanale dei Paolini che la scorsa settimana aveva rivolto critiche molto aspre al Pd e a Veltroni, attacca il governo a capo chino: «L’ossessione personale del Cavaliere per i magistrati ha il sopravvento sui problemi del Paese e il pacchetto sicurezza brucia il capitale di fiducia degli italiani. Il problema non sono le toghe e i giudici. La gente fa i conti, tutti i giorni, con il costo della vita e la difficoltà di fine mese».

Ma per il centrodestra è una priorità democratica anche garantire l’equilibrio dei poteri dello Stato e l’indipendenza della magistratura: mentre Niccolò Ghedini ieri ricordava che «fuori dalle stanze dei palazzi di giustizia c’è un cartello: chi tocca la sinistra muore». Chi tocca Silvio Berlusconi, invece, va in Parlamento. L’ex Guardasigilli leghista Roberto Castelli ricorda come non si possa «governare con la spada di Damocle della magistratura». Un provvedimento che riprendesse il cosiddetto Lodo Schifani sarebbe insomma per la maggioranza una norma di civiltà giuridica. Forse lo scontro è solo rimandato.

«Veltroni conduce tra gli applausi di tutti una campagna elettorale difficilissima ma dopo il voto comincia il logoramento. Con una differenza profonda. Negli altri casi i leader erano i candidati di una coalizione alle politiche, in questo caso logorare Veltroni significa indebolire il partito che sta ancora nascendo». Così Dario Franceschini fa sapere che «è ricominciato lo sport nazionale dei gruppi dirigenti del centrosinistra: logorare il leader». In un’intervista a Repubblica il vicesegretario Pd ha aggiunto che «questa disciplina va abolita» e rilancia sulla conferma della premiership di Veltroni anche per le prossime Politiche.

Emanuela Orlandi «uccisa e gettata in una betoniera» Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa e il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, sarebbe stato gettato in una betoniera a Torvaianica. La rivelazione è della donna che ebbe una relazione con il boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto Renatino, e che è stata sentita nelle scorse settimane, alla presenza dei funzionari della squadra mobile, dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, titolari dell’inchiesta sulla scomparsa della ragazza. «Nel verbale della testimone ci sono indubbie incongruenze temporali che ci lasciano un po’ perplessi - ammettono a piazzale Clodio - ma alcuni dettagli sono così precisi e circostanziati che meritano di essere approfonditi con molta attenzione».

Roma, in duemila hanno marciato per il Tibet Erano più di duemila a marciare per la pace e la libertà in Tibet domenica scorsa a Roma. Su Via dei Fori Imperiali infatti, sono state sventolate centinaia di bandiere tibetane al grido di ”Tibet Libero” e ” Fratelli Tibetani per voi marciamo, Tibet libero, ve lo giuriamo”. Alla manifestazione, organizzata dalla Laogai Foundation Italia, hanno marciato centinaia di monaci, laici, tassisti, gente comune e rappresentanti politici dell’intero schieramento. Sottolineando che «i tibetani non sono contro i cinesi ma contro il regime totalitario che li opprime», il Presidente della Comunità tibetana in Italia, Thupten Tenzin, ha ricordato come il Tibet sia stato indipendente per secoli ed i tibetani siano di cultura, razza, lingua e religione diversa.


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pensieri

Punire i dirigenti per gli errori dell’esame di maturità è giusto: ma la radice della malattia è il monopolio dell’istruzione

La vera tragedia è la scuola di Stato di Giuseppe Baiocchi

a mezzo secolo ha un record planetario: quello del numero più alto di dipendenti in una sola pubblica amministrazione ( a dire il vero è battuta di poco dall’Esercito degli Stati Uniti, ma quanto a personale civile è in testa a tutte le classifiche mondiali in splendida solitudine). E tuttavia questo record non invidiato è solo fonte di immobilismo e di inefficienza per il Ministero italiano della Pubblica Istruzione. Anche perché un record tira l’altro, come le ciliegie: sembra proprio che non esista Paese al mondo che riesca, con inimitabile pervicacia, a proporre ai suoi giovani sulla soglia della maggiore età testi d’esame così sbagliati sui qua-

D

li esercitarsi e provare pubblicamente la propria preparazione e appunto la propria maturità.

Sospendere o comunque sanzionare con ignominia i presunti esperti ministeriali responsabili non solo degli sfondoni materiali ma di una pesantissima caduta d’immagine è sì inevitabile (e semmai un progresso rispetto agli anni precedenti quando il corpaccione burocratico si chiudeva nella sua sostanziale impunità): e tuttavia la sistematica perseveranza nell’errore non può non imporre una riflessione radicale sul fallimento della scuola, così come è organiz-

Ecco come funziona il nostro sistema: boccia i meritevoli e promuove gli approssimativi, i propagandisti e i neghittosi

Chi ci vive e chi ne utilizza il “servizio” (il servizio più delicato e decisivo che una nazione possa avere, più della difesa e della giustizia) è l’unico titolato a governarla e a farla funzionare, molto più di sconosciuti burocrati abituati a comandare a colpi di circolari dal linguaggio il più delle volte incomprensibile. Lo Stato ci sia, ma stia lontano: si limiti a funzioni indispensabili di controllo e di generalissimo indirizzo, lasciando che sia la scuola gestita e governata dalle “comunità”: ovvero comunità locali e di territorio, comunità di vocazione e di cultura, che liberamente si confrontino in forme di virtuosa competizione verso il “meglio”. Perché alle comunità di

MARIA STELLA GELMINI

ANTONIO GRAMSCI

E’ giusto, come ha fatto il Ministro, sanzionare con ignominia i responsabili, ma è necessaria una riflessione radicale sul fallimento della scuola, così come è organizzata

Pensiero di un socialista controcorrente: «La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dallo Stato»

zata. Alla fine sembra costruita apposta per mortificare i “capaci e meritevoli” (aggettivi costituzionali) e per premiare soltanto gli approssimativi, i propagandisti, i neghittosi. La vera tragedia è lo Stato: anche chi scrive ritiene da sempre che sia un bene per il Paese la “scuola pubblica”, ma che sia un male inenarrabile la “scuola statale”. Non sarebbe una contraddizione in termini, se soltanto si vesse il buonsenso di farsi questa domanda: a chi appartiene la scuola ? La risposta, in tutte le società liberali e democratiche, è una sola: appartiene ai cittadini, a chi ci lavora e soprattutto ai giovani e alle loro famiglie.

qualsiasi tipo “conviene” attrezzare scuole di qualità, come pure ai giovani e alle famiglie “conviene”avere a disposizione scuole diverse, di differente orientamento, ma tutte in tensione verso l’eccellenza. In questa prospettiva tutte le scuole sarebbero per loro natura “pubbliche e libere”: e la qualità della preparazione e della formazione dei giovani non sarebbe solo l’ennesimo proclama di carta dei programmi ministeriali ma una logica e benedetta necessità, perché sarebbero gli stessi “utenti”, con la loro scelta di iscrizione, a decretarne il successo e il fallimento. E organizzate in autonomia gestio-

nale e finanziaria, potrebbero “strapparsi”l’una all’altra i docenti più validi, anche sotto il profilo umano ed educativo, pagandoli quanto meritano.

Appaiono queste considerazioni addirittura banali: ma in un Paese che ha gettato nel cestino quelle “Prediche inutili” con le quali Luigi Einaudi cercava di disegnare, subito dopo la Liberazione, le caratteristiche liberali della modernità, forse non è inutile ricordare la sua vana battaglia contro il centralismo nella scuola, guardando al sistema dell’istruzione come a un fattore di immobilismo e di arretratezza. Il mito dello Stato nella

LUIGI EINAUDI Da vero liberale si è battuto, fin dalla nascita dell’Italia repubblicana, contro il centralismo nella scuola, considerandolo un fattore di immobilismo e di arretratezza

scuola è tuttora il cavallo di battaglia dei cultori e degli interpreti della “egemonia gramsciana” nella cultura e nell’educazione. Almeno avessero letto davvero Gramsci, che proclamava senza incertezze (in “Scritti 1915-1921” a cura di S. Caprioglio, Milano, 1968, p.85) “… Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dallo Stato…”. Forse questo Gramsci merita ancora di andare su “You Tube”, al posto delle morbose prodezze registrate nelle scuole di Stato.


parole Sotto il segno del silenzio

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&

Un caso di cui non parlano neanche i media occidentali: l’arresto di due giornalisti vietnamiti

di Enzo Reale ell’agosto del 2007 una sentenza del Tribunale Popolare di Hanoi scuote il Vietnam. Nove alti dirigenti di un dipartimento del Ministero dei Trasporti conosciuto come Project Management Unit 18 (Pmu 18) sono condannati a pene detentive dai tre ai tredici anni per appropriazione indebita, corruzione e scommesse illegali. Tra di loro tre ex funzionari governativi. Il giudizio determina che il gruppo ha sottratto alle casse statali circa due milioni di dollari in fondi destinati alla costruzione di strade e ponti per giocarseli sui risultati del calcio europeo, cercando poi di coprire il misfatto attraverso un complicato giro di tangenti. Il caso, che porta alle dimissioni dell’allora ministro dei trasporti Dao Dinh Binh e all’incriminazione del suo vice, suscita scalpore all’interno della società vietnamita anche per l’insolitamente ampia copertura mediatica che lo accompagna. Due giornalisti si dimostrano specialmente attivi sul fronte investigativo, contribuendo a svelare l’intera trama con tanto di nomi e cognomi degli illustri implicati: sono Nguyen Van Hai del quotidiano Tuoi Tre (Gioventù) e il suo collega Nguyen Viet Chien di Thanh Nien (Gente Giovane), due delle testate più popolari del paese. Ma lo scorso 12 maggio, quando sono passati ormai due anni e mezzo dalle prime rivelazioni, Hai e Chien vengono arrestati dalla polizia in seguito alla perquisizione delle rispettive abitazioni: l’accusa è «diffusione di informazioni false» e «abuso di potere», proprio come gli indagati che avevano denunciato. Sulle detenzioni, oltre ai delegati stranieri presenti al forum anti-corruzione celebrato nella capitale vietnamita, si è pronunciata in questi giorni an-

N

che l’amministrazione statunitense: «I giornalisti devono essere liberi di lavorare senza preoccupazioni per la propria sicurezza», ha dichiarato l’inviato di Washington David Kramer in occasione dell’annuale dialogo sui diritti umani con il governo di Hanoi. A prima vista sembrerebbe solo l’ultimo episodio di una lunga serie di ritorsioni contro il giornalismo non allineato, in una nazione che Reporters sans frontières colloca sistematicamente negli ultimi dieci posti della sua classifica sulla libertà di stampa. La vicenda però presenta altre chiavi di lettura utili a comprendere l’e-

abbondavano di aggiornamenti dettagliati sui presunti responsabili delle malversazioni ed i reporters stazionavano per ore sotto le loro case in attesa di notizie fresche. Sembrava che il regime avesse sciolto le briglie ed in un certo senso era vero. L’inchiesta stava prendendo piede in un momento politicamente delicato. Da lì a pochi mesi infatti si sarebbe svolto il X Congresso del Partito Comunista che avrebbe ufficializzato il cambio al vertice, con l’attribuzione delle più alte cariche dello Stato alla cosiddetta “corrente riformista”, impersonata dal Presidente Nguyen Minh Triet e soprattutto dal nuovo

lungo periodo di sorveglianza e di interrogatori nei confronti di decine di giornalisti. Lo stesso andamento altalenante si è riscontrato nelle reazioni agli arresti di Hai e Chien, prodottisi non a caso poco dopo la riabilitazione con tante scuse del viceministro Nguyen Viet Tien, prima ancora che iniziasse il processo. Nei tre giorni successivi i media sceglievano di schierarsi apertamente dalla parte dei detenuti, denunciando senza mezzi termini l’illegittimità del provvedimento. Su Than Nien un duro editoriale accusava il governo di aver ingiustamente incriminato «due giornalisti patriottici che si era-

Dopo che i giornali sono stati utilizzati dal potere in chiave di lotta politica interna, il governo comunista ha imposto la linea dura e da un mese ormai nessun organo di informazione riporta notizie sulla vicenda voluzione di una società potenzialmente dinamica come poche altre nel continente asiatico ma allo stesso tempo ancora imbalsamata nel rigido cerimoniale politico imposto dal partito-Stato.

Per la prima volta nella storia del Vietnam contemporaneo la stampa ha messo pesantemente in discussione il comportamento di esponenti di primo piano dell’apparato di potere. Durante i mesi iniziali dell’indagine le pagine dei giornali

Primo ministro Nguyen Tan Dung. La campagna contro la corruzione, opportunisticamente orientata al rinnovamento dei quadri, era in pieno corso e la copertura mediatica della tangentopoli vietnamita risultava funzionale ai piani dei vertici del Partito. In questo contesto i media potevano permettersi di saggiare i limiti del consentito e di aprire le porte ad un dibattito fino a quel momento inedito sulla legittimità del potere costituito. Ma proprio poco prima del Congresso l’ex premier dimissionario aveva avvertito che i giornali si stavano spingendo “troppo in là”nella loro ansia informativa: era il segnale che le autorità di pubblica sicurezza stavano aspettando per dare il via ad un Il momento di crisi economica che sta attraversando il Vietnam dopo anni di crescita costante non aiuta certamente gli elementi più innovatori all’interno del Partito

no guadagnati la fiducia e il rispetto» della gente e che non avevano violato nessuna legge dello stato. Ma più in generale l’indignazione proveniva da vasti settori di opinione pubblica non abituati a far sentire la propria voce in maniera indipendente: semplici cittadini, bloggers, avvocati e perfino membri del Parlamento dominato dal Partito Comunista. Poi il silenzio. Una volta

ripreso il controllo della situazione, il regime ha imposto la linea dura e da un mese ormai nessun organo di stampa riporta notizie degli avvenimenti: «Non c’è nulla di nuovo da scrivere», fanno sapere fonti ufficiali del governo.

È probabile che la stessa mano che ha deciso la cancellazione delle accuse contro Tien abbia disposto l’arresto dei due reporters, in una chiara indicazione di un ritorno alla tetra normalità della propaganda di Stato, nonostante la glasnost promessa dal Primo ministro al momento del suo insediamento. La nuova ondata di misure repressive indica infatti la ricomparsa sulla scena politica dei membri più tradizionalisti del Politburo, preoccupati per le conseguenze del risveglio seppur controllato - della società civile. Il momento di crisi economica e monetaria che sta attraversando il Vietnam dopo anni di crescita costante non aiuta certamente gli elementi più innovatori all’interno del Partito: la minaccia di un’inflazione galoppante è il pretesto utilizzato dalla vecchia guardia per frenare qualsiasi processo di apertura, mentre il governo non sembra avere una ricetta chiara per controllare la deriva dei prezzi e le agitazioni nelle fabbriche. Se la primavera informativa sbocciata con il caso Pmu 18 ha dimostrato che il dissenso ed il dibattito sono elementi presenti nella società in forma latente, la sensazione è che i mezzi di comunicazione siano stati ancora una volta utilizzati dal potere in chiave di lotta politica interna. La copertura dello scandalo è certamente stata in alcuni casi superficiale ed approssimativa ed è costata la carriera a più di un funzionario estraneo ai fatti. Ma l’arresto di Hai e Chien ed il ritorno della censura, lungi dal rappresentare un richiamo alla responsabilità professionale, fanno pensare invece che in questa vicenda i giornalisti siano stati inconsapevoli pedine di un gioco molto più grande di loro.


mondo

pagina 10 • 24 giugno 2008

Due soldati francesi, in servizio nella Kfor, presidiano il checkpoint di Brnjak, al confine con la Serbia. Il difficile stallo kosovaro potrebbe trovare una via d’uscita nell’esercizio tripartito preadesione (Etp), un “unicum” giuridico in cui l’Ue sia perno di una confederazione composta da soggetti che condividono competenze su temi specifici, dalla sicurezza all’energia

Il 15 giugno è entrata in vigore la nuova Costituzione, ma la transizione istituzionale è in alto mare e mina la ex Jugoslavia

Siamo tutti “ostaggi” del Kosovo di Fabrizio Edomarchi

Q

uello che è andato in scena venerdì scorso al Palazzo di vetro è l’ennesima rappresentazione “a metà”del Kosovo post ’99. Da quando, infatti, la provincia balcanica ha assunto lo status scaturito dalla risoluzione Onu 1244 del 1999 (quella giunta alla fine di 78 giorni di bombardamenti Nato), si è avuta la sensazione che il Kosovo fosse “già e non ancora”: già nella fase post-jugoslava (e post-Milosevic), ma non ancora nella fase di reale indipendenza. A nulla sono valsi quasi 10 anni di presenza internazionale, di negoziati multilaterali e di esercizio democratico-rappresentativo nella provincia. A nulla è valsa la (singolare) accelerazione voluta dalle Nazioni Unite dopo i fatti del 2004, quando i drammatici incidenti che videro vittime i Serbi della provincia portarono alla decisione di aprire i negoziati per “premiare” gli albanesi e disegnare il futuro status. A nulla è valsa infine la proclamazione d’indipendenza del 17 febbraio e la successiva entrata in vigore della Costituzione (15 giugno). Il Kosovo che “va in scena” al Palazzo di Vetro è a metà. E non si sa se e quando supererà questo stallo. La situazione in sè potrebbe non destare eccessivi disagi (ancorchè si tratti di un Paese in cui vi è una significativa presenza di militari – oltre 2mila – e funzionari italiani, fra cui il nuovo arrivato Zannier a capo della “riconfigurata”missione Onu) perchè sono numerosi, purtroppo, i Paesi la cui transizione si sta ri-

velando più complessa del previsto dal punto di vista istituzionale: basti pensare all’Ucraina, ostaggio di una crisi politica infinita o alla Georgia e alla Moldavia, vittime dei complessi rapporti di vicinato con Mosca.

Ciò che rappresenta, però, un unicum del Kosovo è la capacità di “tenere in ostaggio” numerosi attori regionali e globali, in logorante temporeggiamento. Sono ostaggio dell’incompiutezza kosovara innanzitutto due “non-governi” regionali, ovvero due governi che stentano a nascere a causa delle diatribe sul riconoscimento della provincia: la Serbia, in cui il fronte democratico filoeuropeista si trova costretto a nego-

tivi confini. È ostaggio della incompiutezza kosovara la presenza internazionale nella provincia, in quanto il controllo del territorio (il famoso trans-Ibar e le enclave disseminate in tutto il Kosovo) e delle amministrazioni (polizia, ferrovie), nonchè il rapporto con le istituzioni (parlamento, governo) e le realtà religiose (monasteri ed episcopato) avviene in maniera contraddittoria alla luce della smobilitazione di Unmik, dell’indefinitezza della missione Eulex e della inattuazione del piano Ahtisaari. È ostaggio la diplomazia internazionale, con solo 42 Paesi su 192 membri delle Nazioni Unite ad aver riconosciuto Pristina, alle prese con situazioni al limite del paradosso per cui Paesi Nato e Ue, che operano nella provincia e dovrebbero rappresentare un “monolite” dinanzi ai locali, hanno invece policies distinte e, a cascata, rapporti sul campo disomogenei con gli attori kosovari. Sono ostaggio i frozen conflicts in cui è impegnata la Russia la quale, forte del compattamento sulle sue posizioni del gruppo emergente Bric (Brasile, Russia, India, Cina) guida il fronte del no e minaccia ritorsioni su Abkhazia, Ossezia meridionale e Transnistria.

Il riconoscimento di Pristina da parte di 42 Paesi Onu su 192 genera grande confusione ”sul campo”. Anziché agire in modo compatto, ognuno ha una propria linea politica ziare (finora senza frutti) un’alleanza con i socialisti eredi di Milosevic a causa degli irrigidimenti di Kostunica proprio sul dossier Kosovo, nei suoi risvolti relativi ai rapporti con la Ue, in Macedonia dove il partito maggioritario slavomacedone Vmro – Dpmne conduce il negoziato per il nuovo esecutivo (dopo le elezioni del 1 giugno scorso) sedendo al tavolo con i due partiti albanesi e scontrandosi con i rispettivi irrigidimenti proprio sul dossier “riconoscimento Kosovo” e definizione dei rispet-

La situazione può oggi compiere passi in avanti solo se la si riconduce in un alveo multilaterale, ovvero se si ripensa una strategia che, ad oggi, si è fondata su una coalition of the willings di carattere diplomatico. La duplice aspirazione (all’identità kosovara ed alla stabilità e sviluppo regionale) può oggi trovare

una soluzione condivisa a livello multilaterale nella forma di esercizio tripartito preadesione (Etp) un unicum giuridico in cui l’Ue sia perno di una confederazione composta da soggetti che condividono competenze su singoli dossier: dalla tutela dell’eredità culturale-religiosa alle infrastrutture energetiche, dalla lotta all’human trafficking ai progetti di ricerca scientifica. Serbia e Kosovo, del resto, hanno, ciascuno con la propria specificità, problemi simili: entrambe impegnate nel difficile cammino di integrazione euroatlantica, entrambe impegnate a dotarsi di infrastrutture logistiche ed energetiche, entrambe impegnate a superare una difficile eredità storica che penalizza i più giovani. Entrambe con l’esigenza di una cornice di stabilità regionale sulla via di Bruxelles e nell’ottica di attrarre investimenti internazionali. Consentire ad entrambe la propria indipendenza (e simbologia annessa) non contraddice l’ipotesi di dar vita ad un esercizio tripartito pre-accessione (Etp). L’Ue stessa, che del resto secondo la definizione di Robert Cooper è «un sistema avanzato di interferenza reciproca nelle questioni interne» potrebbe riacquisire una centralità che le deriva dall’essere vista come “approdo” dai governi dell’area. Con tale formula (governo a tre con l’Ue arbitro) le stesse opinioni pubbliche (dell’area e non solo), oggi riottose dinanzi alla possibilità di riprendere il filo dopo la forzatura unilaterale, potrebbero riaprirsi al dialogo e riavviare una regione balcanica ed una diplomazia internazionale, ostaggi della indefinitezza kosovara.


mondo

24 giugno 2008 • pagina 11

Gran Bretagna. Ritratto di Davis, numero due dei conservatori, che sfida Cameron e punta alla leadership

La guerra dei David spacca i Tory di Silvia Marchetti

d i a r i o LONDRA.

Amante degli sport estremi, David Davis ha sempre creduto che anche la politica fosse un gioco pericoloso dove bisogna rischiarsi tutto perché solo il coraggio porta alla vittoria. Ma questa volta il numero due del partito Tory, nonché ministro-ombra degli Interni, sembra avere esagerato decidendo di giocarsi la poltrona di parlamentare. In una mossa che ha spiazzato i suoi amici conservatori (soprattutto il leader David Cameron) e lo stesso governo laburista, David si è dimesso dalla sua carica di parlamentare in segno di protesta alla nuova legge anti-terrorismo targata Labour e approvata alcuni giorni fa dalla Camera dei Comuni. Davis vuole così essere libero di fare una campagna elettorale ad hoc contro il premier Gordon Brown, ricandidandosi nel nome di una battaglia simbolica a tutela dei “diritti civili”. Una mossa che mette in pericolo l’unità dei Tory e che viene vista come un tentativo di togliere i riflettori dal popolarissimo Cameron, rimettendone in discussione la leadership.

A d i f f e r e n z a di David Cameron, Davis è un politico di lunga data, un vecchio lupo che ha attraversato gli ultimi vent’anni della storia inglese. È sempre stato un conservatore “particolare”, al di fuori dell’establishment, che sa come distinguersi e far parlar di sé. Anche il suo background famigliare è un po’ insolito: le sue origini non appartengono a quelle tradizionali della classe privilegiata e aristocratica che da secoli alimenta il partito conservatore, ma affondano nella povera e umile classe lavoratrice. Figlio di una madre single, Davis viene adottato da uno stampatore ebreo polacco emigrato in Inghilterra, un comunista fortemente legato al mondo delle trade unions, i sindacati. Da ragazzo non frequenta le prestigiose scuole private ma gli istituti statali e dopo l’università si arruola nell’esercito. Cosa lo convinca a spostarsi ideologicamente a destra resta ancora un mistero. Sta di fatto che in breve tempo Davis diventa un perso-

naggio di spicco tra i Tory, seppur “contro-corrente”.

Ha una carriera politica turbolenta, come la sua vita. Si rompe il naso ben tre volte (giocando a rugby da ragazzo, sbattendo la testa in piscina e durante una rissa) e ama l’adrenalina nel sangue. Ha la passione del paracadutismo, nel tempo libero vola su aerei leggeri e scala pendii rocciosi. Nel 1990 fa il suo ingresso a Westminster, ricoprendo numerose cariche fino a diventare ministro per l’Europa dal 1994 al 1997. È dal 2001 che Davis tenta invano di conquistarsi la leadership del partito Tory. Nel 2002 viene rimosso dalla carica di segretario dall’allora leader in via di declino Ian Duncan Smith, che temeva la sua rivalità. Poco dopo, quando Smith viene estromesso

è sempre stato “neutrale”, piatto, senza contrasti evidenti ma anche senza alcuna forma di amicizia. Fino a oggi. La decisione di Davis di dimettersi e ricandidarsi ha portato alla luce il dissenso e la rivalità tra i due. Cameron ha bollato la sua mossa come «una decisione personale avventata» e non in linea con il partito. I rischi sono molti. Davis, schierandosi contro l’aumento dei giorni di detenzione dei sospettati terroristi vuole trasformare la sua campagna elettorale in un referendum contro il governo, che secondo lui sta distruggendo lo Stato di diritto in Gran Bretagna implementando un regime da Grande Fratello: dalle telecamere nascoste alle carte d’identità magnetiche fino alla riduzione delle tutele giudiziarie.

Si è schierato contro l’aumento dei giorni di detenzione dei sospettati terroristi per trasformare la sua campagna elettorale in un referendum contro il governo dai conservatori, Davis decide di giocare bene le sue carte e lascia la leadership a Michael Howard, che come riconoscenza lo nomina ministro ombra dell’Interno. Nel 2005, quando i conservatori sono chiamati a scegliere il successore di Howard, i candidati sono lui e l’emergente David Cameron. Davis gode di un forte consenso all’interno del partito e viene visto come il favorito da parte della corrente euroscettica e Thatcheriana. Ma ormai ha 57 anni e nulla può contro il giovane Cameron, grande oratore e personificazione del nuovo riformismo di destra. Davis arriva secondo nel voto per la leadership ed è costretto a cedere il posto (tanto agognato) al collega junior. Cameron lo riconferma alla carica di ministro ombra dell’Interno e da allora il loro rapporto

Ma la sua corsa solitaria può danneggiare la causa dei conservatori, primo partito in Inghilterra dopo le amministrative di maggio. I Tory hanno sempre fatto della sicurezza e della lotta contro la criminalità i loro cavalli di battaglia, ma davanti all’appropriazione laburista di queste issues ora sono costretti ai rivedere la loro posizione. Il partito ha votato contro la nuova legge anti-terrorismo e sebbene Cameron abbia già promesso di abolirla una volta premier, il “one-man show” di Davis David potrebbe rivelarsi un boomerang. La maggioranza degli inglesi appoggia misure più severe contro i terroristi e se i contrasti in casa Tory continueranno a essere sbandierati in un’elezione suppletiva semi-ridicola, la bilancia potrebbe tornare a pendere a favore del Labour.

d e l

g i o r n o

Zimbabwe, Tsvangirai rifugiato “in Olanda” Si è rifugiato nell’ambasciata dei Paesi Bassi ad Harare il leader dell’opposizione nello Zimbabwe, Morgan Tsvangirai, che domenica aveva annunciato il ritiro dal ballottaggio presidenziale di venerdì prossimo contro il capo dello Stato uscente, Robert Mugabe, giudicando impossibile uno svolgimento libero e regolare della consultazione. «Se il signor Tsvangirai necessita di sicurezza gli sarà garantita ed è il benvenuto», sono state le parole di Maxime Verhagen, ministro degli Esteri olandese. Nel frattempo, intervistato dalla radio pubblica sudafricana, l’avversario di Mugabe ha ribadito di essere disposto a negoziati con il governo dello Zimbabwe ma, oltre a subordinarli alla cessazione delle violenze contro i propri sostenitori, ha sollecitato l’affidamento della mediazione tra lui e il rivale a intermediari aggiuntivi che affianchino il presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki. Quest’ultimo è stato piu’ volte accusato di parzialità da Tsvangirai, a detta del quale sarebbe troppo accondiscendente nei confronti di Mugabe.

Ue approva sanzioni contro Banca Melli L’Unione europea ha approvato l’inasprimento delle sanzioni contro l’Iran, con il congelamento dei beni della Banca Melli, il principale istituto bancario del Paese. Lo riferisce la presidenza di turno slovena dell’Ue, spiegando che la decisione è stata adottata come “punto A” - senza discussione - dai ministri dell’Agricoltura dei Ventisette, riuniti a Lussemburgo. Le nuove sanzioni contengono una lista aggiornata, che sarà resa pubblica oggi, di nuovi individui ed enti che si aggiungono a quelli già contenuti nel precedente elenco. Agli individui, tra i quali non figurano, a quanto si apprende, nomi di politici, sarà vietato l’ingresso nella Ue. Agli enti - come la Banca Melli -non sarà più possibile operare nell’Unione.

Usa: una donna in ticket con McCain? Una donna al fianco di John McCain per la conquista della Casa Bianca. Potrebbe essere questa, suggerisce il sito Politico.com, una scelta vincente per conquistare i voti delle irriducibili fan di Hillary Clinton Si tratta della supermanager Carly Fiorina, ex numero uno del colosso informatico HewlettPackard, che è già stata nominata presidente del comitato repubblicano get out the vote (quello che ha il compito di convincere gli indecisi ed i delusi), della senatrice di lungo corso Kay Bailey Hutchinson e della giovane governatrice dell’Alaska, Sarah Palin.

Sarkozy alla Knesset rilancia ruolo in MO Nel secondo giorno della sua visita in Israele, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha tenuto un discorso davanti alla Knesset, il parlamento israeliano: il primo di un capo di Stato francese dalla visita di Francois Mitterand del 1982. «La sicurezza di Israele sarà veramente garantita quando al suo fianco ci sarà uno Stato palestinese indipendente, moderno e vivibile», ha dichiarato Sarkozy, sottolineando che non ci sarà pace in Medio Oriente «senza il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dei due popoli». Sarkozy ha cercato così di rilanciare il ruolo di Parigi nell’ambito del processo di pace in Medio Oriente. Il primo luglio la Francia assume infatti la presidenza di turno dell’Unione Europea, e a questo titolo siederà nel Quartetto dei negoziatori (Stati Uniti, Russi, Onu e Ue).

Macedonia, suicidio per il giornalista-killer Si è suicidato il giornalista macedone accusato di avere ucciso tre donne per poter poi scrivere degli articoli con assoluta ricchezza di particolari. Lo riferisce un comunicato del ministero della giustizia macedone. Il suicidio è avvenuto nella cella dove Vlado Tanevski era rinchiuso e dove «è stato trovato morto con la testa dentro un secchio d’acqua» .


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speciale

economia

NordSud

Il governo si accinge ad autorizzare i 9 protocolli di ricerca bloccati dall'esecutivo Prodi. Le aziende sono pronte ad affrontare la sfida. Il sottosegretario Urso: «Indispensabili per affrontare crisi alimentare e boom dei prezzi»

OGM, L'ITALIA METTE AL BANDO I PREGIUDIZI colloquio con Adolfo Urso di Francesco Pacifico fidando il politically correct dominante, Adolfo Urso, sottosegretario allo Sviluppo economico, ha aperto in tempi non sospetti agli Ogm, chiedendo a Berlusconi una «posizione fattiva e non ideologica». Mai nessun esponente di un governo italiano si era spinto così avanti. Sottosegretario Urso, perché è necessario tornare a sperimentare gli Ogm? Guardi, sul tema degli Ogm l’Italia ha una posizione non ideologica ma concreta, moderna, aperta, fattiva, anche per quanto riguarda la ricerca, per esempio, nel loro utilizzo sui biocarburanti. Crediamo che sia importante aprire alla ricerca perché l’Europa e il mondo hanno bisogno di affrontare in maniera seria e responsabile anche la crisi alimentare che per il nostro Paese significa aumento del prezzo dei prodotti di prima necessità, mentre per molti Paesi in via di sviluppo significa fame e morte». È vicino il via libera ai nove protocolli di ricerca bloccati dall’ex ministro De Castro. Ma il suo

S

loso, il famoso piatto di Frankenstein. È mancata una corretta informazione. Perché, per esempio, invece che di organismi geneticamente modificati, non cominciamo a parlare di organismi geneticamente migliorati. La disputa tra favorevoli e i contrari, ha stancato. Confrontiamoci su solide basi scientifiche e informiamo correttamente i cittadini. Come si concilia la tutela della specificità dei prodotti locali, e di riflesso il consumatore finale, con le esigenze di mercato?

Garantiremo che non ci saranno contaminazioni con le nostre colture naturali e biologiche

successore, Luca Zaia, non ha in materia posizioni distanti da quelle di Pecoraro Scanio. La posizione del governo sarà condivisa e non sarà certo ideologica come quella dell’esecutivo precedente. Ricordo che proprio su quei protocolli c’era stato il via libera da un comitato di esperti convocato proprio dal ministero dell’Agricoltura. Comunque il ministro Zaia conosce a fondo il problema e, come ha dimostrato, è intervenuto al meglio. Concorda con chi dice che la produzione di Ogm può far superare le tante barriere protezioniste presenti nel mondo dell’agricoltura? Penso proprio di sì. Il vero problema è anche di chiamare le cose con il loro nome. Fino a oggi gli ogm sono stati etichettati come qualcosa di orrendo, scanda-

Anche questo è un grande equivoco. La nostra agricoltura è sinonimo di alta qualità e non sarà intaccata dalle produzioni Ogm. Anzi, ciò rafforza la nostra richiesta sulla tracciabilità di ogni prodotto. La sperimentazione degli Ogm, quindi, dovrà essere realizzata soltanto in aree in cui sia assolutamente garantita la non contaminazione con le nostre straordinarie colture naturali e biologiche e comunque in campi non destinati ai prodotti alimentari. Su questo versante le regole devono essere ferree. Occorrerà quindi un’informazione

trasparente al cittadino con la tracciabilità del prodotto, perché magari già oggi mangiamo anche prodotti derivati da Ogm, ma non lo sappiamo neanche. Di Ogm si parla in ambito europeo, nel Gruppo di alto livello sull’industria agroalimentare, e in ambito Wto, nelle discussioni per il Doha Round. Ci sono le condizioni su questi due fronti per un accordo? Sono due piani completamente diversi. Il primo è un gruppo di studio finalizzato ad avanzare proposte comuni all’interno dell’Unione Europea, mentre il Wto con il round in corso di Doha disegnerà gli equilibri commerciali per i prossimi 15-20 anni. Per questo, per esempio, noi sosteniamo con forza che nell’Agenda di Doha devono essere chiaramente espresse e tutelate le indicazioni geografiche tipiche. L’ultimo documento è alquanto generico e si limita a prendere atto del dibattito in corso. Noi chiediamo che vi sia l’estensione del riconoscimento della protezione già concessa ai vini e agli alcolici anche alle indicazioni geografiche.


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Crescita costante e le prospettive allettanti per il biotech nostrano

Un settore in stand by da 5 miliardi di euro D di Pierre Chiartano

opo il vertice Fao di Roma si torna a parlare di organi geneticamente modificati (Ogm). Sono il diavolo o l’acqua santa? Cosa siano gli Ogm non è facilissimo da definire. Forse come la maggior parte delle scoperte scientifiche dipende dall’uso che se ne fa. L’atomo ha permesso di accendere lampadine nelle case di milioni di famiglie e di provocare un olocausto. C’è chi afferma che gli Ogm servono per debellare la fame nel mondo. Ci salveranno dai pesticidi e dall’uso eccessivo della preziosissima acqua in agricoltura. Ma c’è anche chi è invece convinto che Monsanto, Syngenta, Pioneer HiBred (Du Pont), la fondazione Rockfeller e il Consultative group on international agricoltural research (Cgiar) stiano da decenni pianificando il controllo totale sulle produzioni agricole. Una cultivar di mais resistente a malattie e muffe può sfamare migliaia di persone in Senegal migliorando il prodotto, oppure rendere schiavi migliaia di contadini in Messico, obbligandoli ogni anno a ricomperare sementi brevettate? Anche in Italia il dibattito è stato scandito spesso da categorie ideologiche, eppure qualcosa sta per cambiare. Adolfo Urso, sottosegretario allo Sviluppo economico, in un recente vertice, ha chiesto alla Ue di riprendere al più presto la ricerca. Il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, pur contrario agli Ogm, è pronto ad autorizzare i 9 protocolli sperimentali bocciati dall’ex ministro Paolo De Castro. Quindi avanti con cautela sugli Ogm. Intanto si muove un comparto, quello delle biotecnologie, che nel 2007 ha fatturato in Italia 4,8 miliardi di euro con le sue 228 aziende. E il 4 per cento del volume d’affari è costituito dal settore agro, con una trentina di società coinvolte. Se la ricerca dovesse riprendere, produrrebbe non poche ripercussioni su un fronte che all’estero registra cifre da capogiro. Non crede che, dopo tante le polemiche, basteranno le produzioni del biodiesel per far saltare il tappo ideologico che frena ogni discussione? È il punto chiave da dove cominciare a lavorare. Non a caso a Bruxelles, proprio durante i lavori del Gruppo di alto livello sull’industria agroalimentare, ci sono stati molti Paesi a partire dalla Spagna che come l’Italia hanno evidenziato il problema. Lo stesso commissario europeo all’Industria, Guenther Verheugen, ha sollevato l’importanza di un approccio non ideologico a questa tematica. Per concludere, perché in Europa, e non soltanto in Italia, si finisce per discutere degli Ogm sempre in chiave ideologica? È un retaggio del passato, di chi sa dire sempre o solo no. Anche la televisione faceva paura perché avrebbe finito per uccidere la radio, internet avrebbe soppresso la carta stampata. Tutto questo non si è realizzato. Le nuove tecnologie, anche in campo bio, sono per il progresso e non per il regresso dell’umanità. Ci vuole più responsabilità, trasparenza, informazione e controllabilità dei processi.

«La produzione mondiale di cibo è sufficiente per sfamare una popolazione di 12 miliardi di persone, secondo i dati della Fao. Il problema è la cattiva distribuzione. L’India produce più riso e più grano di quanto serva. Eppure ne importa una certa quantità», è il parere di Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia e responsabile di Bread Out Ogm. Burdese ci tiene a precisare a Liberal che «non siamo contro le biotecnologie, siamo contrari al transgenico» che vuol dire bloccare gli innesti fra mondo vegetale e animale. Meglio privilegiare le coltivazioni locali che da secoli si adattano ai cambiamenti geoclimatici. «Un contadino africano o indiano, ma anche uno dell’Iowa che produce Ogm non sa che fine fa il suo prodotto. Ciò ha un effetto pericoloso sulle realtà molto povere. Dove il problema è la sopravvivenza quotidiana, non si avranno mai risorse materiali per comprare sementi e fisiche per coltivarle», nota il presidente di Slowfood. «Siamo anche noi contro un certo tipo di transgenico e lo abbiano chiarito ufficialmente. La fragola-pesce non esiste, è frutto della disinformazione che non fa

bene a nessuno, soprattutto in Italia» ribatte a Liberal Roberto Gradnik, presidente di Assobiotec. Ma il nostro Paese è ricco di biodiversità che si potrebbero trasformare in forza economica. «Tra le cause dell’aumento dei prezzi», aggiunge Gradnik, «c’è proprio l’abbandono della ricerca scientifica sui prodotti agricoli, in grado di condurre alla selezione delle specie più produttive e resistenti ai cambiamenti climatici». Sul caso indiano, invece, stigmatizza: «Nel Paese fanno largo uso di Ogm con la soia, il granturco e altro. I costi di produzione sono fondamentali e il biotech ha un costo più basso».

Un’altra accusa alle multinazionali del geneticamente modificato è l’invenzione dei semi sterili. Sementi che possono essere usate solo una volta. I coltivatori sono così costretti a ricomprarli ogni anno. «Serve sfatare molte leggende. I semi sterili danno più garanzie per le biodiversità. Eliminano la possibilità di contaminazioni. Se gestiti in modo commercialmente corretto, potrebbero funzionare, mantenendo il controllo sulla specie vegetale», la spiegazione di Gradnik. Sulla cattiva comunicazione, il presidente di Assobiotec aggiunge: «In Italia la realtà è fatta di disinformazione. Non esiste la fragola-pesce. Sono alcuni gruppi della grande distribuzione che cavalcano questi argomenti per motivi commerciali. Oppure perché è forte il fronte del no. Così si lanciati messaggi senza riscontro, alla base della politica dei rinvii». Quindi ricorda che «c’è stato un decreto che permetteva, con tutte le cautele, di incominciare la coltivazioni di Ogm in Italia, ma non è stato mai attuato per i numerosi veti incrociati». «Come nell’arte», ribatte Burdese, «l’Italia ha un patrimonio unico nella biodiversità. Dobbiamo indagare meglio come funziona la nostra agricoltura tradizionale. Ci sono piante che resistono al freddo al caldo e alla siccità, senza doverle costruire in laboratorio». Ma su questo argomento c’è convergenza di opinioni: anche per Assobiotec «Ogm non è solo il mais della Monsanto. Noi eravamo all’avanguardia nella ricerca. Il pomodoro Sanmarzano sta scomparendo, ma con la genetica abbiamo salvato la vite distrutta dalla peronospera. E non vogliamo produrre il vino verde o al sapore di birra. Per esempio il nostro pioppo è stato modificato in Cina e presto lo compreremo da loro». È un appello a riprendere la ricerca per sviluppare e preservare le qualità italiane. Nel 2007 sono diventati 23 i Paesi che utilizzano il biotech in agricoltura e tra questi Usa, Canada, Argentina, Brasile, Cile, India, Cina, Messico, Australia, Germania, Portogallo, Spagna e Francia, per un totale – stando ai dati Isaaa – di 690 milioni di ettari coltivati. Nel 2005 L’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha giudicato il mais Monsanto 863 sicuro per l’uomo, gli animali e l’ambiente. «Ma l’ente verifica soltanto i protocolli, non fa test di tipo scientifico», nota Burdese.


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speciale

economia

NordSud

I danni all’agricoltura del protezionismo e dell’assistenzialismo occidentale

Le rendite dei ricchi e la fame dei più poveri di Carlo Lottieri no dei dati più gratificanti delle ultime elezioni è la scomparsa di un partito ecologista. Quella che Gérard Bramoullé in un suo sulfureo pamphlet chiamò la «peste verde», è certo presente un po’ ovunque, ma non avere più il “Sole che ride” in Parlamento può incanalare in modo diverso il dibattito su molti temi: a partire dalla questione delle biotecnologie in ambito agricolo. In Italia i tempi sono maturi per una svolta ed è interessante rilevare le prime aperture del governo. Ci si è resi conto che la questione ha, a casa nostra, impatti sulla domanda dei prodotti di prima necessità e sui prezzi, mentre nei Paesi limitrofi, quelli da dove partono le ondate migratorie, si traduce in uno strumento contro la fame. Questo è il punto. Non si può usare a man bassa retorica terzomondista e poi impedire lo sviluppo di tecnologie fondamentali in quelle società in cui l’agricoltura permane una quota rilevante del Pil.

U

È significativo come la Chiesa cattolica sia sempre più esplicita sul tema. La battaglia condotta da papa Benedetto XVI per un rapporto sempre più stretto tra fides e ratio comporta una forte valorizzazione della scienza: anche contro il nuovo oscurantismo degli adoratori di Gaia. Per giunta, i missionari sono in prima fila nella lotta contro la povertà nel mondo. Comprendono come l’atteggiamento anti-Ogm non accetti di fare i conti con la realtà. Giuseppe Bertoni (direttore dell’istituto di zootecnica dell’università Cattolica) ha sottolineato l’esigenza «di

ROMA martedì 24 giugno 2008 Teatro Capranica È in programma la quinta edizione del Forum Edilizia e Territorio, organizzato da Il Sole 24 Ore. Discutono delle criticità italiane il sottosegretario Roberto Castelli, Mauro Moretti (Ad di Ferrovie dello Stato), Pietro Ciucci (presidente dell’Anas) e Giovanni Castellucci (Ad di Autostrade). ROMA mercoledì 25 giugno 2008 Auditorium Ara Pacis Si sono dati appuntamento per discutere di “Un’esternalizzazione virtuosa per la società dei servizi”, nel convegno promosso da Accenture e dall’università Tor Vergata, il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, Fabio Benasso (Accenture), Tito Boeri, Raffaele Morese (Confservizi), Luigi Fiorentino (Antitrust), Marco Staderini (Inpdap).

maggiore produttività. Ma il testo di Conko e Miller mostra anche come uno dei loro maggiori vantaggi è che essi favoriscono perfino una migliore tutela dell’ambiente. Norman Borlaug ha sottolineato che «da un decennio gli Stati Uniti producono quantità sempre più elevate di grano gene-spliced resistente agli insetti, che rende quanto o più dei migliori ibridi tradizionali, ma con una minore necessità di pesticidi chimici». Il contadino risparmia perché ha meno bisogno della chimica, ma lo stesso ambiente è maggiormente rispettato. La rivoluzione biotecnologica partita da Stati Uniti e Canada va ormai diffondendosi in America latina e Asia a dispetto delle superstizioni di chi biologo e agronomo non è. Come sottolinea Anna Meldolesi nella prefazione al libro sopra ricordato, perfino la Francia di José Bové, già nel 2007, prevedeva di coltivare tra i 30mila e i 50mila ettari di mais Ogm. La comunità scientifica francese è riuscita a farsi intendere e gli stessi coltivatori hanno ritenuto necessario non perdere il treno dello sviluppo. L’Italia, invece, resta al palo, ma quel che è più grave è che noi siamo oggi gli interpreti più ottusi ed estremisti di una prospettiva europea apertamente avversa agli Ogm. Le conseguenze per i popoli più poveri, specie in Africa, possono essere disastrose, dato il nostro attivismo all’interno delle organizzazioni internazio-

Le varietà gene-spliced possono limitare le epidemie nei Paesi in via di sviluppo ricorrere alla sola tecnologia che, nel prossimo futuro, potrà garantire» le esigenze fondamentali degli agricoltori più poveri, e «cioè la tecnologia Ogm, osteggiata dall’ignoranza di ritorno nei confronti della scienza e dall’ideologia che si oppone allo sviluppo». Oggi, tra l’altro, la disinformazione in materia non è più perdonabile. Anche chi non mastica l’inglese, può migliorare la propria conoscenza grazie al volume di Gregory Conko e Henry I. Miller (Il cibo di Frankenstein, Lindau, la cui pubblicazione è stata promosso dall’Istituto Bruno Leoni). Com’è noto, gli Ogm vengono solitamente elaborati sulla base della loro

i convegni

nali e la ferma volontà di mettere al bando gli ultimi ritrovati della scienza. Oggi vi sono specie gene-spliced che sono resistenti alla siccità, oltre che corazzate di fronte ai parassiti. Come rilevano Conko e Miller, «una donna che nella Nigeria rurale tenta di produrre fagioli trarrà beneficio da una varietà genespliced che la aiuterà a lottare contro vermi del baccello e curculioni». Ma se «la nuova tecnologia verrà soppressa nella culla dagli accordi precauzionali mediati dall’Onu e dal compiacimento dei politici nei confronti di consumatori disinformati e traviati dalla propaganda, gli agricoltori poveri e i consumatori delle aree tropicali saranno i grandi sconfitti di questa guerra».

Non bastasse questo, gli Ogm sono la nuova frontiera dell’egoismo protezionista dei nostri coltivatori assistiti, che intendono difendere le barriere doganali in nome della salute degli europei. Dall’interventismo democristiano che ha costruito lo sfascio della Pac si sta ora transitando verso un assistenzialismo diversamente legittimato. Ma così si condanna a morte un gran numero di produttori africani, che guardano all’Europa come destinataria di quanto la loro terra può produrre. Sul lungo termine quella ecologista è una battaglia persa, non fosse altro per la produzione a basso prezzo di bioetanolo, dove non valgono scuse sanitarie. Ma se i governi europei non cambiano indirizzo in tempi stretti, i ritardi delle nostre legislazioni possono costare cari – anche in termini di vite umane – agli ultimi della terra.

ROMA giovedì 26 giugno 2008 Sala delle conferenze Si tiene la conferenza programmatica dell’Anci. Ospiti del presidente dell’associazione che raccoglie i comuni italiani, Leonardo Domenici, Gianni Alemanno, sindaco di Roma, e i ministri Roberto Maroni, Renato Brunetta, Raffaele Fitto e Maurizio Sacconi. MONDELLO (PALERMO) venerdì 27 giugno 2008 Hotel Splendid La Torre Si concludono i lavori del Comitato esecutivo dell’Associazione delle banche cooperative europee (Abce). Intervengono, tra gli altri, Piet Moerland, vice presidente del board Aecb e membro del board di Rabobank, e Carlo Fratta Pasini, presidente di Assopopolari e del Banco Popolare. ROMA venerdi 27 giugno 2008 Casina Valadier Prima edizione del meeting bilaterale Italia- Spagna. Tra gli altri, sono attesi Francesco Merloni (Merloni Termosanitari), Giovanni Calabrò (Antitrust) ed Ettore Gotti Tedeschi (Santander).


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Federico Vecchioni (Confagricoltura): pronti alla sperimentazione

«Già oggi mangiamo soia modificata»

MERCATO GLOBALE

Campanello d’allarme per i signori del greggio

di Ålessandro D’Amato l nostro approccio sul tema è pragmatico: nessuna radicalizzazione, siamo orientati alla conoscenza e chiediamo soltanto che le istituzioni ci mettano in grado di sperimentare nella più assoluta tutela di cittadini e consumatori». Come ha ripetuto anche davanti alla commissione Agricoltura della Camera, per Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, la strada da seguire è semplice: «Ci sono norme europee che ci permettono di sperimentare. E allora si applichino. Da governo e maggioranza ci aspettiamo soltanto questo». Sarà contento delle aperture del governo sugli organismi geneticamente modificati? Chiamiamoli “organismi geneticamente migliorati”, è meglio. Perché la scienza migliora, non modifica semplicemente. È vero, il clima è cambiato. E ne siamo felici. Se chi è apertamente contrario alle biotecnologie trova spazio in tutte le sedi, io incontro sempre un’accoglienza fredda o interlocutori con posizioni precostituite. Difficile così fare attività di lobbying?

«I

Per questo Confagricoltura pensa a una campagna di sensibilizzazione e propone anche la creazione di un panel nazionale di esponenti autorevoli del mondo della ricerca e delle istituzioni. Una sede dove affrontare in modo aperto e senza pregiudizi il tema delle biotecnologie. Magari finanziando anche progetti di ricerca». Eppure il ministro Zaia ha ricordato che l’80 per cento degli italiani è contrario agli Ogm: da dove viene questa ostilità? Dalla non conoscenza. La maggior parte degli italiani ha paura della parola genetica e quando si parla di interventi sul Dna, pensa a chissà cosa. Ma se io spiego che questo è ciò che da sempre accade in natura, e che utilizzare gli Ogm mi consente di ridurre la tossicità nel mais, penso che queste convinzioni possano piano piano cambiare. Ma non è il solo caso. A cosa si riferisce? Vale lo stesso discorso fatto per l’energia: la maggioranza dei miei concittadini è a sfavore del nucleare, ma gli sta bene che continuiamo a importare – a caro prezzo – energia prodotta dall’atomo dalla Francia? Che tra l’altro, è un Paese confinan-

te e molte sue centrali sono davvero vicine. Stessa cosa per la soia: lo sanno, gli italiani, che quella che mangiano è in massima parte prodotta attraverso Ogm, regolarmente venduta in Italia? Eppure, guardando al mondo dell’agricoltura, la Coldiretti ha rilanciato l’ogm-free, mentre la Cia non ritiene necessario aprire al biotech in Italia, anche se non esclude la ricerca. La Coldiretti ha persino firmato il manifesto di Mario Capanna“Liberi dagli Ogm”. Ma è anche vero che secondo un sondaggio Demoskopea da noi commissionato tra gli agricoltori lombardi, il 67 per cento degli iscritti alla Coldiretti e il 74 per cento degli aderenti alla Cia è invece favorevole alle biotecnologie. Problemi di rappresentanza. Sempre la Coldiretti, quando in Commissione le è stato chiesto cosa pensasse sul tema, non ha risposto. Noi, che siamo un’associazione di imprese, abbiamo una posizione chiara e non ideologica. Ci aspettiamo la stessa cosa dagli altri. Per questo mettere a disposizione 5mila ettari di terra per la sperimentazione? Esattamente. L’abbiamo annunciato per far capire che non è vero che mancano terreni per la sperimentazioni. E abbiamo anche spiegato che attendiamo soltanto l’ok dello Stato e delle Regioni. Quindi, via con la semina. Siamo pronti, nel caso, anche a utilizzare gli spazi temporali piantando prima il frumento duro e soltanto dopo il mais Ogm per ovviare così, da ogni punto di vista, al problema dell’impollinazione. Davvero non ci sono rischi? Tutti i controlli effettuati in ogni sede possibile ci dicono che particolari rischi non ve ne sono, ma gli aspetti positivi, invece, vengono sistematicamente ignorati. In Italia, perché in Francia la situazione è diversa. Ma in Francia il governo ha varato una legge sugli Ogm che ha scontentato sia i sostenitori della linea Bové sia i fans del biotech. Anche perché prevede un’assicurazione contro possibili danni e impone la tracciabilità dei raccolti con annessa pubblicazione su Internet. Anche io credo che i transalpini abbiano operato restrizioni eccessive, ma meglio quello che niente. La questione dell’assicurazione, per esempio, mi sembra un costo aggiuntivo sostanzialmente inutile. Le faccio presente che in Usa gli Ogm ci sono da dieci anni, e lei sa che lì gli avvocati sono molto attenti alla tutela del consumatore. Eppure, finora, di richieste di risarcimento danni finora non ne sono arrivate. Questo vorrà pur dire qualcosa, o no?

di Gianfranco Polillo e anticipazioni di Domenique StraussKahn al vertice G8 di Osaka non sono rimaste senza conseguenze. Allora il direttore generale del Fondo monetario aveva gettato acqua sul fuoco del pessimismo. La crisi del ’29, alla quale più volte era stato fatto cenno, non ci sarà. Non sarà Bengodi, ma l’economia internazionale crescerà, seppur lentamente. Non più un andamento a V – come aveva descritto – bensì un andamento a U: una recessione morbida, destinata a svilupparsi con le prime piogge autunnali per poi esaurirsi, si spera, con il ritorno della primavera.

L

Puntuale come una cambiale, il Fmi ha aggiornato le sue previsioni di crescita, muovendosi in sintonia. L’economia mondiale crescerà un po’ di più. La recessione americana sarà meno burrascosa. L’Europa, a sua volta, ne subirà i contraccolpi con minore intensità. E si pensa al decoupling: che il Vecchio continente possa allentare il cordone che lo lega all’altra sponda dell’Atlantico e iniziare una corsa solitaria. Stand alone. Nel complesso una buona notizia, nonostante una crisi finanziaria piena di imprevisti e di possibili recrudescenze. Lo dimostra la caduta dei titoli bancari. Molte delle perdite sono state già contabilizzate, ma il lato oscuro dei mercati – i collaterali e gli hedge fund – deve essere ancora illuminato. L’allarme e l’attenzione che ne circonda il perimetro è tuttavia tale da scongiurare cadute devastanti. Le banche centrali hanno già predisposto le loro difese. Dovranno contraddire clamorosamente principi solennemente affermati, ma quando la casa brucia non si può essere preoccupati di rovinare, con l’acqua, la tappezzeria. Un clima leggermente più disteso sembra dominare le

piazze finanziarie e costringere tutti gli operatori ad atteggiamenti più responsabili. Lo dimostra quanto accaduto a Gedda, al vertice dei signori del petrolio. Il rischio incombente della stagflation ha portato a più miti consigli, specie per i produttori più importanti. Brucia ancora il ricordo degli eccessi degli anni Settanta, quando la quadruplicazione del prezzo dell’oro nero portò a fortissimi guadagni congiunturali. Cui fece seguito, tuttavia, una lunghissima caduta. Colpiti da quell’esperienza, i Paesi consumatori avevano adottato pratiche di risparmio energetico, destinate a ridurre i consumi. Era cambiato il modo di produrre le auto. L’elettronica abbatteva la necessità degli spostamenti. Mancava un solo tassello – colpa di Chernobyl – per abbattere il monopolio dei Paesi produttori: la ripresa del nucleare. Ma oggi il tema è tornato prepotentemente sul tappeto. Per Paesi come l’Arabia Saudita o il Kuwait, dove si concentra la quasi totalità delle riserve strategiche, è suonato il campanello d’allarme. Se il prezzo del petrolio dovesse strangolare i Paesi consumatori, la corsa all’uranio diverrebbe inarrestabile. E i faraonici programmi di investimento, finanziati dai ricavi dell’export, verrebbero meno.

Si spiega così la decisione di aumentare la produzione e programmare ingenti investimenti per i nuovi giacimenti. Decisione, nel breve, più simbolica che effettiva. Il prezzo del petrolio è dominato dalla speculazione ed è su quella che bisogna intervenire. Compito soprattutto degli americani. I quali, tuttavia, fanno orecchi da mercante: la conveniente debolezza del dollaro ne alimenta la spinta, ma contribuisce anche a ridurre il rischio di una loro recessione.


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economia Tra il 2000 e il 2007 sono stati attivati bandi pubblici per project financing pari soltanto a dieci milioni di euro. E che hanno riguardato infrastrutture di piccola o media dimensione. Ora il governo, di fronte a piani per quasi 50 miliardi di euro, punta a facilitare il partenariato pubblico-privato anche per le grandi opere come la Tav Torino-Lione o il Ponte sullo Stretto

Il ministro vuole recuperare 30 miliardi di euro nel prossimo triennio per completare il piano delle infrastrutture prioritarie

Grandi opere,Matteoli confida nei privati di Lucio Rossi

ROMA. Trenta miliardi di euro nel prossimo triennio da recuperare dai privati per le infrastrutture prioritarie. È questo l’obiettivo indicato dal ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, presentando l’allegato Infrastrutture alla manovra 20092011. Così, accanto a 14 miliardi necessari per finanziare il programma della legge Obiettivo, si punta anche ad attivare ingenti finanziamenti da privati e concessionari. Il Dpef infrastrutture è molto ambizioso tra opere da costruire ex novo come il Ponte sullo Stretto di Messina e la Tav Torino-Lione, e altre soltanto da completare come il Mose e la Salerno Reggio-Calabria. Ma accanto alla decisione di inserire tra le opere prioritarie quelle escluse dal precedente governo, la vera novità sembra rappresentata dall’intenzione dell’esecutivo di rilanciare il partenariato pubblico-privato sulle infrastrutture strategiche. Una sfida che – vista la remunerazione delle infrastrutture – le imprese vogliono affrontare. Tanto che ieri Emma Marcegaglia ha fatto sapere: «Occorre cambiare le regole perché i fondi privati possano trovare spazio. Ma servono regole certe e tempi certi e anche una gestione del consenso diversa». Così si deve guardare al mondo delle imprese. «Quello dei 30 miliardi è un obiettivo realistico», nota Manfredo Paulucci de

Calboli, coordinatore dell’unità tecnica finanza di progetto istituita in ambito Cipe, «Dal partenariato pubblico-privato possono essere attivate risorse maggiori. I progetti sulle infrastrutture presentati dal ministro sono tutti noti e tutti appetibili per questa forma di finanziamento. Ma occorre rendere più efficiente lo strumento della finanza di progetto, perché l’obiettivo sia centrato».

I numeri confermano quest’analisi, se è vero che dal 2000 al 2007 sono state emanati avvisi di procedura per un valore di

tivazione del partenariato pubblico-privato erano solo 74 (per un valore complessivo di 1,4 miliardi), nel 2007 erano salite a oltre 489 (con un valore di oltre 7.738 milioni di euro). «I dati dell’Oice», aggiunge Paulucci de Calboli, «confermano che l’Italia ha fatto innegabili passi in avanti in questo settore. Il nostro Paese però non sembra ancora completamente pronto e maturo allo strumento del partenariato pubblico-privato: siamo partiti prima della Spagna, che è invece stata rapidissima ad adottare questo strumento, come del

Il governo vuole sviluppare la finanza di progetto, una leva poco utilizzata in questi anni. Banche, Fondazioni, assicurazioni e general contractor sono pronti a fare la propria parte. La Marcegaglia chiede «regole nuove e tempi certi» 30.790 milioni di euro, anche se il dato comparato ai progetti – in totale 2.970 – fa scendere il valore medio delle opere finanziate con il project financing a poco più di dieci milioni. Questo dato indica che la finanza di progetto è ed è stata utilizzata nel recente passato per realizzare prevalentemente piccoli opere di carattere locale. Ma sarebbe sbagliato parlare di fallimento dello strumento: se nel 2000 le richieste di at-

resto tutte le altre migliori pratiche adottate a livello internazionale. Lo spazio per la finanza di progetto nel nostro Paese c’è, l’esigenza di procedere in questo senso pure». Del resto non esistono alternative, visto che «in tutti i Paesi europei la finanza di progetto è lo strumento maggiormente usato quando i costi delle opere sono tali che lo Stato da solo non può farvi fronte». E in Italia? «Nel nostro Paese vi sono

umori potenzialmente riottosi, ma credo che vada affinata la tecnica e l’approccio sia della parte pubblica che di quella privata. La garanzia degli investimenti passa per lo snellimento delle procedure di autorizzazione dei progetti, ma anche per nuovi e necessari strumenti finanziari in cui il contributo pubblico a fondo perduto sia sostituito con l’agevolazione di parte dell’investimento e quindi magari con un contributo in conto interessi». Poi c’è la necessità di standardizzare le procedure e, soprattutto lo sforzo di pensare il progetto fin dall’inizio rispetto alla formula della finanza di progetto. «Soltanto così si potrà registrare uno sviluppo sensibile del partenariato anche per le infrastrutture strategiche».

Finora, insomma, si è trattato di un utile esercizio o poco più, anche se nell’ultimo periodo si è registrato qualche segnale diverso: si è fatto ricorso al project financing per la Bre.Be.Mi come per la metropolitana M5 di Milano e quella di Roma in corso di costruzione. «Rispetto alle opere pubbliche», rileva Paulucci de Calboli, «il valore dei bandi realizzati con questo strumento è stato pari al 30 per cento nel 2006». Una buona base di partenza rispetto alla quale gli attori sono stati prevalentemente le banche, Cassa depositi e prestiti, la

Banca europea per gli investimenti, i fondi di equity specializzati e investitori privati come le fondazioni bancarie (che operano prevalentemente nel non profit) e le assicurazioni (che prediligono l’investimento sulle rinnovabili). «Finora i progetti che sono risultati più appetibili sono quelli dell’edilizia residenziale, ma anche alcune attività legate ai trasporti ferroviari. Sicuramente è uno strumento che rispetto alle infrastrutture si addice meglio alle opere tariffabili dove c’è un interfaccia con l’utenza diretta e quindi è possibile isolare i flussi di cassa collegati al progetto che rappresenta una garanzia per le banche che erogano il finanziamento strutturale. Ma del resto, di fronte a tariffe decise dall’amministrazione, è già previsto un intervento pubblico per garantire la redditività in modo da assicurare l’equilibrio economico finanziario dell’investimento». A questo si aggiunge le novità della Finanziaria 2008, con le aliquote fiscali di Ires e Irap passate, rispettivamente, dal 33 per cento e dal 4,25 al 27,50 e al 3,9, riduzione alla quale si è aggiunta la deducibilità degli interessi passivi. «Credo», conclude Paulucci, «che più che un intervento di natura fiscale occorre semplicemente migliorare lo strumento in modo che l’opera venga costruita al prezzo più efficace possibile».


economia

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Stretto tra le correnti interne, il segretario della Cgil chiede maggiore unità sindacale a Bonanni e ad Angeletti

Epifani richiama le governative Cisl e Uil di Vincenzo Bacarani

d i a r i o ROMA.

Sono giorni difficili quelli che sta vivendo Guglielmo Epifani. Stretto dallo scontro interno tra massimalismi e riformisti e in prossimità di scadenze cruciali (Dpef, manovra triennale e riforma dei contratti, con il confronto che riprende oggi) il segretario della Cgil non trova di meglio che richiamare all’ordine Cisl e Uil, troppo teneri con il governo: «La lettura delle organizzazioni sindacali non è sempre omogenea. È necessario chiedere a Cisl e Uil un confronto unitario su questi temi. Se ci sono valutazioni differenti su questioni importanti come quelle su cui abbiamo chiamato al voto i lavoratori non possiamo fare finta di nulla, bisogna affrontare con trasparenza il confronto».

Telecom e Fastweb hanno annunciato un accordo di natura industriale «finalizzato alla condivisione di infrastrutture necessarie per la realizzazione della rete di nuova generazione, secondo un modello di collaborazione aperto a tutti gli operatori interessati» e «in un’ottica di ottimizzazione dei tempi e di razionalizzazione dei costi». Le aziende sono poi pervenute «a una soluzione conciliativa in merito ad alcune controversie legali e regolatorie che da tempo le vedevano contrapposte».

Marcegaglia: inapplicabile Kyoto Nuovo attacco all’applicazione del protocollo di Kyoto da Emma Marcegaglia. Il presidente di Confindustria ha chiesto che «nel periodo 2012-2020 tutte le industrie manifatturiere europee devono avere l’allocazione gratuita dei diritti inquinanti. Se non c’è questo, ci opporremo in tutti i modi al “post-Kyoto” perché pone obiettivi idealistici e ideologici». Su questa posizione sono tutte le associazioni datoriali del Vecchio continente.

Rcs, confermato il piano industriale

La Fiom e la minoranza di Cremaschi chiedono al leader di corso d’Italia di far saltare il tavolo sulla riforma dei contratti e di tornare in piazza.Anche da soli

L’arte del lavoro a sede di Italia Lavoro a Roma è stata trasformata in una galleria permanente dedicata al mondo del lavoro. Dopo un concorso lanciato nei mesi scorsi – e vinto dal fiorentino Riccardo Ruberti – l’agenzia ha deciso di esporre nei corridoi dei suoi 8 piani 150 opere dipinte da giovani delle accademie, da artisti diversamente abili e dai madonnari che hanno riprodotto opere di celebri artisti del passato. «Il nostro obiettivo», ha spiegato l’amministratore delegato, Natale Forlani, «è rac- Studio per deforestazione 1 contare la memoria, il pre- di Riccardo Ruberti sente e il futuro del mondo del lavoro. Non a caso nelle opere dei lavoratori disabili c’è la speranza di chi aspira a un’inclusione nella società». Per concludere: «Arte e lavoro si incontrano soprattutto nella modernità, quando rappresentare la realtà significa anche dare voce ai bisogni, alle aspettative delle persone che contribuiscono a trasformare il mondo senza vedersi, troppo spesso, riconosciute dignità, libertà e diritti». Dall’anno prossimo questa “permanente” potrebbe sfociare in una mostra itinerante per tutta l’Italia.

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g i o r n o

Banda larga, intesa Telecom-Fastweb

Dopo aver stravolto la segreteria confederale, ieri corso d’Italia ha iniziato un direttivo che ha acuito le differenze interne. E, forse, proprio per non esasperare le polemiche in casa propria, Epifani ha denunciato i tentativi di «intervenire nella sfera dell’autonomia negoziale tra le parti e di dividere il sindacato». Soprattutto attraverso la Finanziaria di Tremonti, «inadeguata», il pericoloso pacchetto Sacconi sul welfare e i piani di Brunetta di «tagliare indiscriminatamente il pubblico a favore dei settori privati». Epifani chiede ai suoi colleghi di Cisl e Uil di non «scambiare le risorse per i rinnovi dei contratti» con l’assenso a questi provvedimenti. Difficilmente Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti accetteranno questi richiami, anche perché in questi mesi hanno sempre provato a salvaguardare l’unità sindacale. Che, non a caso, sembrava rafforzata dopo la decisione di Tremonti di portare all’1,7 per cento l’inflazione programmata. E se il primo ha denunciato il rischio di «mettere a repentaglio le condizioni favorevoli alla trattativa» sul modello contrattuale, l’altro ha ribadito che «centrale

d e l

resta l’inflazione reale». E poco importa che Paolo Reboani, direttore della segreteria tecnica del ministero del Lavoro, spieghi: «L’inflazione programmata è un concetto legato all’accordo del 1993 quando l’Italia non era ancora nell’euro, ora si deve lavorare per coniugare produttività e salari». Se tra le confederazioni il clima rischia di tornare teso, è incandescente quello interno a corso d’Italia. Attacca il leader della Fiom, Gianni Rinaldini: «Siamo di fronte a un atteggiamento estremamente preoccupante su tutte le tematiche che riguardano il lavoro. L’Italia ha perfino votato la direttiva europea che prevede, con i contratti individuali, di arrivare a 60-65 ore di lavoro alla settimana, oltre all’allargamento del precariato oltre 36 mesi per i contratti a termine, la reintroduzione del lavoro a chiamata, fino ad arrivare all’assurdità dell’1,7 di inflazione programmata».

Più esplicita la minoranza di Rete 28 aprile che fa capo a Giorgio Cremaschi: «Il governo ha detto che l’inflazione programmata è dell’1,7 per cento, La Cgil che cosa dice? Qual è l’inflazione realisticamente prevedibile secondo noi? E che cosa dicono Cisl e Uil? Se si va avanti così, la trattativa con Confindustria sarà una trattativa a perdere». L’invito a Epifani è chiaro: abbandonare il tavolo sulla riforma contrattuale e passare alla mobilitazione, «anche da sola». Ipotesi che il segretario respinge, per ora. Anche perché deve barcamenarsi tra lo scontento della sinistra radicale e quello dei riformisti che hanno pagato qualche dazio nel recente ribaltone della segreteria confederale. A proposito, ieri la segreteria ha deciso la distribuzione degli incarichi. Settore pubblico e pari opportunità li tratterà direttamente Epifani. Paola Agnello Modica si occuperà di ambiente e sicurezza sul lavoro, Susanna Camusso di attività produttive, Fulvio Fammoni di politiche del lavoro, Vera Lamonica di Mezzogiorno, Agostino Megale di bilanci, Enrico Panini di politiche organizzative e formazione sindacale, Morena Piccinini di salute e assistenza, Nicoletta Rocchi di politiche internazionali e cooperazione e Fabrizio Solari di politiche del terziario.

Nonostante le difficoltà in atto Rcs «non prevede una revisione degli obiettivi del piano industriale. Dobbiamo essere confidenti in un miglioramento della situazione, ha spiegato l’amministratore delegato di Rcs, Antonello Perricone.

BolognaFiera, eletto Roversi Monaco Dopo le polemiche delle scorse settimane, ieri è stato ufficializzato per la guida di Bologna Fiera il passaggio da Luca Cordero di Montezemolo a Fabio Roversi Monaco, attuale presidente della Fondazione Carisbo ed ex rettore dell’Alma Mater. Ancora da scegliere il sostituto dell’Ad uscente, Michele Porcelli. «Chiudo dieci anni bellissimi in cui la Fiera ha raddoppiato il suo fatturato e la sua crescita», ha commentato Montezemolo, «Per chi come me vuole bene a questa azienda, lo sforzo è che diventi una vera azienda con mentalità privatistiche, con processi decisionali rapidi e coraggiosi indipendentemente da chi sia la maggioranza».

SENATO DELLA REPUBBLICA Estratto di bando di gara Nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 12 giugno 2008, n. S-113, e nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana 18 giugno 2008, n. 70,V serie sp., è stato pubblicato il bando relativo alla procedura ristretta per l’affidamento in appalto di forniture e servizi dell’area informatica–server, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il valore stimato dell’appalto, per i 48 mesi di durata del contratto, è di euro 6.500.000,00 (IVA esclusa). Le domande di partecipazione e la relativa documentazione dovranno pervenire entro le ore 12 del 18 luglio 2008, secondo le modalità indicate nel bando. Il bando e la modulistica allegata sono pubblicati anche sul sito Internet dell’Amministrazione (www.senato.it, link‘bandi di gara’). Punto di contatto: Senato della Repubblica, Servizio del Provveditorato – Ufficio per le gare ed i contratti, Piazza S. Eustachio, 83 - 00186 Roma, tel.: 06.67065358 - fax: 06.67065364 - e-mail: appalti@senato.it. Il Direttore del Provveditorato Romano Ferrari Zumbini


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polemiche

La storica leader del sindacato degli artisti italiani contro la moda degli ”stranieri” nella lirica

Oh mia patria sì bella e perduta! di Dora Liguori A sinistra, la prima dell’Aida a Verona di quest’anno. L’opera verdiana fu rappresentata per la prima volta in Egitto, al Teatro dell’Opera de Il Cairo, il 24 dicembre 1871. In basso, la soprano albanese Ermonela Jaho che interpreta Violetta ne La Traviata. Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal romanzo La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio. Fu rappresentata per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia, il 6 marzo 1853 li artisti (parlo delle arti musicali) nel nostro Paese, da un bel po’ di tempo a questa parte, hanno preso le caratteristiche di quelle lettere, care agli antichi 007, che, per non essere lette dal nemico, venivano scritte con“l’inchiostro simpatico”il quale aveva la proprietà di rendere invisibile lo scritto, a sua volta reso evidente solo se sottoposto a determinati reagenti chimici. Pertanto, senza questo procedimento chimico, nessuno poteva leggere o, nel caso degli artisti italiani, senza il sopravvenire di alcune situazioni, nessuno li può sentire suonare o cantare. Infine sono divenuti trasparenti, e non certo nel senso della “legge sulla trasparenza”. A sostegno di questa tesi è possibile sfidare chiunque a esaminare un qualsivoglia programma di Associazione concertistica di una certa importanza, o peggio il cartellone di una Fondazione lirica e vi troverà la presenza solo di qualche sparuto nome italiano e neppure posto in concerti o rappresentazioni liriche di una certa importanza; come dire il nostro connazionale viene relegato in ore, appunto da “concerto aperitivo”o, nel caso delle Fondazioni liriche (leggasi teatri), prescelto per ruoli “gravosi” del tipo del cameriere della Traviata con la fatidica “cena è pronta”di verdiana memoria. Perché, dunque, questa anomalia? Forse che davvero non vi sono più artisti degni di questo nome in Italia? Assolutamente no! E la cosa è facilmente provabile poiché appena avviene che il “grande” straniero, ingaggiato in Italia, dichiara forfait per molteplici ragioni, non ultimo un improvviso e provvidenziale (non certo per

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lui) mal di pancia dovuto a “virus influenzale”, cosa che notoriamente non dà tregua e tempo al malcapitato, ebbene solo allora avviene che l’organizzatore, per forza di cose deve usare il “reagente chimico” e l’artista italiano non solo si materializza ma, meraviglia delle meraviglie, dimostra al pubblico, quasi sempre di saper suonare o cantare meglio del titolare. E ciò perché l’italiano, oltre a possedere, grazie a Dio, delle capacità intrinseche di musicalità, s’è potuto avvalere di una formazione presso i nostri Conservatori che risulta essere ancora la migliore nel mondo. Non a caso dette Istituzioni, sono, per dirla con brutto lin-

italiano della formazione, sia di base che quella definita di “Alta Formazione”, senza tralasciare il variegato e poco affidabile mondo preposto alla produzione artistica. Infatti solo penetrando con un certo rigore, scevro da soggezioni o peggio remore politiche, in certi determinati ambienti è possibile dire qualcosa di sostanziale e soprattutto di utile su scelte scriteriate che, nell’indifferenza generale, hanno distrutto, prima quasi totalmente due generazioni di artisti (salvo rare eccezioni) ed oggi stanno distruggendo l’immagine artistica e il prestigio del nostro Paese, affidato da secoli proprio all’Arte.

Ormai il nostro connazionale viene relegato in ore da “concerto aperitivo” o prescelto per ruoli gravosi del tipo del cameriere della Traviata con la fatidica “cena è pronta” guaggio moderno, “gettonatissimi” dagli stranieri, al punto che, fra poco, gli studenti italiani, oltre a non suonare, non troveranno neppure spazio per studiare.

Denunciato il male sarebbe ora serio, volendo correre ai ripari, per fare una corretta diagnosi, procedere prima ad un anamnesi del fenomeno e solo dopo, ammesso che qualcuno abbia intenzione d’intendere, formulare una cura appropriata. Procedendo, sempre con similitudini di tipo medico, diciamo subito che per snidare il male e il luogo ove meglio esso prospera, occorre che si programmino svariate e puntuali radiografie al sistema

Comunque, abbandonata l’idea, per recuperare spazi all’Arte e soprattutto agli artisti nostrani, di riavere un lungimirante Augusto, creatore con Gaio Mecenate del “primo ministro della cultura” e non potendo disporre neppure di un generoso Papa Re o per i laici di un Lorenzo il magnifico, non resta che guarire

l’“ammalato” e per farlo occorre affrontare un serio, lungo e articolato discorso non risparmiando le colpe di tutti, comprese quelle degli artisti, perché di autentiche colpe andiamo a trattare.

Colpe e responsabilità che sono, soprattutto politiche, sindacali e spesso, usando un termine improprio “commerciali” nel senso che i tempi dell’Arte sono stati invasi da spregiudicati “mercanti” che, coperti dal connivente silenzio delle Istituzioni, hanno fatto ciò che è loro costume: commercio, e purtroppo tutt’altro che limpido. Deciso il percorso, non resta che rimandare al prossimo articolo la disanima puntuale e per certi versi, impietosa, sulla formazione che è pur sempre il nodo di tutto. A seguire il.... resto. Prima di concludere appare però utile ricordare, magari con una nota colorata, che il fenomeno molto provinciale degli italiani di privilegiare gli stranieri, viene da lontano e possiamo addirittura collocarlo ai primi del novecento allorché, in una famosissima canzone, una “sciantosa” del café-chantant con arguzia ci raccontava che, per sfondare a Napoli, aveva dovuto trovarsi un nome eccentrico: Ninì Tirabusciò (da tire-bouchon). Il quale altri non era che la pasticciata trasposizione francese del suo napoletanissimo: Giovannina Cavatappi.


personaggi

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Nella biografia di Marco Erler la storia del capo degli indiani metropolitani

Cavallo pazzo, il ragazzo che disturbava il potere di Massimo Tosti bituati, ormai, a Gabriele Paolini, è del tutto legittimo provare un’autentica nostalgia per Mario Appignani, che fu un precursore del petulante “profeta del condom”, preso a calci da Paolo Frajese, in diretta tv, nel 1998. Era di un’altra pasta, Appignani. Era l’uomo che interrompeva Pippo Baudo sul palco di Sanremo, che schiaffeggiò in pubblico Alberto Moravia, che si denudò durante una manifestazione radicale a piazza Navona, che irruppe sul palcoscenico del festival di Spoleto, fasciato come una mummia, rovinando la prima de “Il lebbroso” di Giancarlo Menotti, che invadeva solitario il terreno di gioco dell’Olimpico quando giocava la Roma, che si trovava sempre e dovunque e comunque si potesse inscenare una clamorosa azione di disturbo.

A

Ma non era soltanto un esibizionista in cerca di visibilità. Era un “indiano metropolitano”, il capo degli indiani metropolitani, Cavallo Pazzo. Un protagonista – a suo modo – della contestazione del ’77. Militava nel partito radicale, ma da eretico, spesso fastidioso, sempre animato dalla fantasia, che dovrebbe essere il requisito principale di un politico e di un rivoluzionario. Appignani è morto nel 1996, quando aveva appena 41 anni. La sua storia è raccontata ora in un libro scritto da Marco Erler, Nuvola rossa, che fu il suo braccio destro, l’amico con il quale divise molte delle sue imprese: si intitola Assalto alla diligenza – quando Appignani rinacque Cavallo Pazzo (Memori editore, 314 pagine, 18 euro). Mario e Marco erano molto diversi fra di loro. Appignani era cresciuto in un brefotrofio, Marco era un ragazzo di buona famiglia. Si incontrarono la prima volta al funerale di Anna Magnani, nel 1973, quando Erler aveva quindici anni e Mario ne aveva diciotto. «Nel mio cervello, racconta nel libro Erler, Mario è stato una bomba pronta a esplodere, vivendolo come in realtà era, un italiano vero a pieno titolo apparentato con la beat generation che era iniziata in America negli anni ’60». Nei vent’anni successivi i due, insieme, ne avrebbero combinate di tutti i colori. Il pensiero di Cavallo Pazzo si riassumeva in queste parole: «La libertà si conquista, nessuno che

sta al potere la regala». Era un libertario, anche più dei suoi compagni di strada radicali. E in quanto tale, non era né di sinistra né di destra: sfuggiva a tutte le categorie della politica di allora soffocata fra il compromesso storico e il terrorismo. La giornalista Lucia Visca, nella prefazione del libro, ricorda che nel 1977, quando la contestazione infiammò di nuovo le università, «qualcuno riusciva ancora a ridere, a fare dello sberleffo un formidabile strumento di critica politica. Si chiamavano ‘in-

Le sue gesta somigliavano alle provocazioni dei dadaisti. «La libertà, diceva, non te la regala nessuno. Devi conquistarla da solo»

diani metropolitani’ questi profeti della risata, anzi, come dicono loro, del ‘risotto che vi seppellirà’. Avevano slogan folkloristici. Proclamavano che ”il tè senza limone è la strada per la rivoluzione”. A guardar bene potevano essere dadaisti o pronipoti dei futuristi, scapigliati incontenibili e inarrestabili». Erano, insomma, anche gli antenati di Graziano Cecchini, l’uomo che ha tinto di rosso la fontana di Trevi, e ha rovesciato sulla scalinata di Trinità dei Monti 500 mila palline colorate. Futurista anche lui, e inno-

cuo, a dispetto dei giudizi a caldo di politici autorevoli che invocavano per lui la galera.

In carcere Mario Appignani ci finì parecchie volte, per disturbo della quiete pubblica o per interruzione di manifestazioni, reati risibili, con il risultato di squarciargli il cuore facendogli tornare alla memoria le sofferenze patite da bambini e da adolescente che raccontò in Un ragazzo all’inferno, il libro che scrisse quando aveva ventuno anni. «Urla contro il massacro ancora in atto, che si compie nei confronti dei bambini indifesi, scrive Erler, l’inferno che solo da pochi anni lui ha finito di attraversare, sopravvissuto sì ma uscito non del tutto incolume, bruciacchiato da quelle fiamme di un inferno qui su questa terra, purtroppo seriamente ferito, Orfano (con l’iniziale maiuscola) e per giunta con il marchio di fabbrica degli Istituti». Era un provocatore, Appignani. «Era maestro, dice di lui Tinto Brass, in una cosa: a dosare lo scandalo in una società che se ne nutriva». Ma non era soltanto questo: era anche un sognatore, un “Pazzo”appartenente a quella categoria elogiata da Erasmo, di cui il mondo ha bisogno, almeno in piccole dosi. Io l’ho conosciuto personalmente. E sono stato fra le sue vittime. All’inizio degli anni Ottanta dirigevo un settimanale, e di tanto in tanto Cavallo Pazzo faceva irruzione nella nostra sede, gettando lo scompiglio, ma anche per chiedere, suggerire, inventare, ascoltare, comporre e scomporre qualche pezzo di denuncia che sottintendesse a qualche scandalo nazionale. Accogliendo il cortese invito di Erler (custode della sua memoria), ho scritto una breve postfazione, ricordando quanto fosse straordinaria la sua fantasia: «più di una volta, chiacchierando con lui, mi venne da pensare che la libertà – senza fantasia – ha ben poco sapore. Posso confessare tranquillamente – a tanti anni di distanza – che era piuttosto raro che le sue idee coincidessero con le mie. Ma questo – in una riserva indiana – conta poco o nulla». Ce ne fossero ancora di personaggi come lui, o come il suo amico Nuvola rossa. Che conserva la memoria, ed è già qualcosa, ma dovrebbe rimettersi in pista per ravvivarla.


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società

Con l’uscita dell’Italia si avvicina la fine degli Europei. Per i fanatici del calcio saranno giorni difficili. Ecco la guida per sopravvivere

Un calcio all’astinenza di Alfonso Francia

ora? Quando l’arbitro italiano Rosetti avrà fischiato il termine della finale dei tredicesimi Campionati europei, dopo una sbornia di calcio durata tre settimane e 31 partite, gli appassionati di tutta Italia si faranno due conti e arriveranno alla stringente e angosciosa domanda: che fare? Dunque: la prima partita delle Olimpiadi di Pechino è programmata per il 6 agosto; mancheranno cinque settimane durante le quali, a parte qualche incontro di Intertoto, spesso neppure trasmesso, la dieta televisiva degli italiani sarà in buona parte priva di calcio. I più cercheranno di non pensarci, illudendosi di trovare nell’organizzazione delle vacanze un sufficiente motivo di distrazione, riducendosi poi a vedere le penose partitelle dei loro figli sulla spiaggia per lenire l’astinenza. Ma il vero appassionato è persona previdente e organizzata, e ha elaborato da settimane il suo programma di sopravvivenza all’infausto luglio di ferie del pallone. La prima soluzione, la più salutare, è quella del fai da te: non ci sono giocatori professionisti da vedere? Bene, i tifosi faranno da soli organizzando partite di calcetto tra amici. Se si ha un buon numero di colleghi calciodipendenti, se si frequenta il bar del quartiere, basta un giro di telefonate per reclutare due squadre nell’arco di un pomeriggio. Una volta constatato malinconicamente che le precedenti tre settimane di Europei hanno

E

aumentato il giro vita di ogni bravo appassionato a forza di pizze e birre eliminate davanti allo schermo, giocare sarà un vero godimento. E si potrebbe riscoprire una verità dimenticata dai più, ovvero che il calcio, prima di essere uno spettacolo televisivo, è uno sport.

Ma bisogna riconoscere che non tutti i calciofili sono spiriti sportivi, e che l’allontanamento da divani e condizionatori domestici, soprattutto con questo caldo finalmente estivo, potrebbe essere letale. Al-

imparato tutto, quello lo canta masticando la gomma), il tifoso di calcio riscopre orgoglioso i colori della sua squadra del cuore e ingaggia furiose contese con i colleghi, che in quanto tifosi di un’altra squadra sono tornati nemici mortali dopo la tregua imposta dalla nazionale. Così le polemiche anticipate sulle future scelte arbitrali si fondono con complesse analisi di geopolitica calcistica che partendo dalla Federcalcio arrivano prima alla Fifa e all’Uefa e approdano infine alla Ue e magari all’Onu. Il tifoso in questi casi dà sfogo alle più improbabili e fantasiose dietrologie, dalle quali può essere distolto solo grazie al calciomercato. Le anticipazioni su trattative e possibili acquisti e cessioni lo

Per fortuna in suo soccorso giunge il calciomercato con tutto il corollario di sogni e speranze, puntualmente smentite

lora il soggetto potrebbe riscoprire la sua grande propensione per la polemica verbale, il suo innato gusto per le maratone della chiacchiera grazie a una parola magica: il precampionato. Archiviati gli europei e messe velocemente in soffitta bandiere italiane, magliette azzurre e retoriche sull’inno di Mameli (è bello, è brutto, i calciatori non l’hanno ancora

spinge a improvvisarsi allenatore e presidente - in qualche caso persino sponsor - e per ogni nome di calciatore fatto in relazione al suo club si sente investito del dovere morale di spiegare all’uditorio perché quel giocatore è o meno adatto alle strategie della squadra, ricordando con mostruosa precisione date e prestazioni precedenti a partire dai campionati giovanili e accostandolo a qualche giocatore del passato. Fin qui abbiamo parlato di tifosi in grado, in qualche maniera, di vivere la loro passione anche lontani dal televisore. Ma come fare con gli appassionati teledipendenti? Nel

loro caso, trattandosi di una doppia devianza, l’unica possibilità di sopravvivenza è diventare esperti di palinsesti televisivi e sfruttare tutta l’offerta disponibile tra tv analogica, digitale e satellitare. Se il soggetto in questione è globalizzato e buon conoscitore del calcio estero, sarà sufficiente dotarsi di una semplice antenna parabolica e gettarsi anima e corpo nei campionati nordeuropei e sudamericani, che si svolgono in estate. Nei casi gravi si finisce per diventare esperti di calcio lappone e diventare fanatici di terzini frantumacaviglie dal nome impronuncia-


società

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amico (preferibilmente quello che ospitò le partite in questione) e si guardano insieme Italia-Ucraina, Italia-Germania e la finalissima. I più maniacali pretenderanno la stessa marca di birra bevuta allora, e si sgoleranno di gioia al momento di un gol come se lo vedessero per la prima volta. Si ha anche notizia di qualcuno, forse in preda ai fumi dell’alcool, che ha avuto il coraggio di festeggiare per le strade alla fine delle partite, facendo caroselli solitari e sbandierando enormi bandiere tricolori. Casi estremi a parte, rivedere vecchie partite particolarmente care resta un buon sistema in attesa di sintonizzarsi di nuovo sul presente per tifare gli azzurri in viaggio per Pechino.

Fin qui si è detto dei fanatici di tutte le età. Ma se cercassimo di spostare la nostra indagine sulla popolazione più giovane, scopriremmo una variante interessante, quella del supporter virtuale. Il proliferare di videogame dedicati al gioco del calcio ha formato una generazione di ragazzi per i quali l’unica differenza tra una partita vera e una giocata è che nella prima non ti mettono un mano i joystick e Donadoni non ne vuole sapere

bile. In questa eventualità è consigliabile sottoporre al soggetto un dvd delle più belle reti di Roberto Baggio perché rinsavisca. Se però il fanatico in questione è poco esterofilo, o peggio nazionalpopolare, l’unica soluzione è confidare nelle tv locali che spesso trasmettono le inguardabili amichevoli organizzate tra i club di serie A in ritiro e le rappresentative locali.

Essendo ancora in ferie i giocatori impegnati nelle varie nazionali, lo schieramento messo in campo dall’allenatore è rimpinguato con giovani della primavera e riserve dimenticate negli angoli bui della panchina o dello spogliatoio, ma questo al tifoso non interessa. A lui basta vedere undici tizi con la maglia della sua squadra che sgambettano stancamente sotto il solleone, contro una squadra raccogliticcia che comprende di solito il barista, il meccanico e il vigile urbano del paesino montano che ospita il ritiro. La

qualità di tali incontri varia ovviamente dallo scadente allo scandaloso, visto che i calciatori non toccano un pallone da un mese almeno e i loro pensieri sono tutti per le distrazioni e le tentazioni delle spiagge della Sardegna o di Forte de Marmi dove hanno trascorso le ferie. Ma che ne sarà dei tifosi della nazionale? Anche in un Paese poco patriottico come il nostro, i fedelissimi della maglia azzurra, quelli che ancora si emozionano nel condividere gioie e dolori con valdostani e siciliani, sono tanti e in questi giorni inconsolabili. Nell’attesa delle Olimpiadi e in previsione della lunga attesa che li attende prima dei Mondiali in Sudafrica, molti di loro scelgono di superare i difficili momenti abbandonandosi alla nostalgia. Il bravo tifoso della nazionale ricorda con esattezza degna di migliore materia ogni minimo particolare della finale Italia-Francia giocata il 6 luglio 2006 a Berlino: con chi era, cosa ha mangiato, come

era vestito, contro chi ha imprecato per il rigore di Zidane e cosa ha urlato al gol di Materazzi (e sa anche cosa ha urlato Materazzi a Zidane). Questo tifoso vorrà rivivere, seppure in maniera artefatta, quelle emozioni, replicando le magiche notti mondiali. Per farlo ci si vede in casa di un

di fare le sostituzioni che vorresti. La confusione tra reale e immaginato, tra analogico e pixel è tale che la battuta più frequente tra gli under 25 alla fine del primo tempo dell’incontro tra Olanda e Italia è stata: «dai veloce, schiaccia play e seleziona ”riavvia partita”». Questi cyber-tifosi sono

dei privilegiati: per loro le partite non finiscono mai, anzi. Con la fine degli europei si sentono liberati, finalmente in grado di far giocare l’Italia con il modulo giusto schierando magari Inzaghi e Oddo, lasciati inopinatamente a casa dal ct azzurro. E poi volete mettere la soddisfazione di vedere Cannavaro, magicamente guarito dal suo infortunio, al centro della difesa? Il guaio per questo genere di appassionati è che il ritorno alla realtà può essere molto duro. Non è facile accettare una sconfitta nella prima giornata di campionato dopo aver umiliato la Germania 12-0 sulla Playstation, con gol finale di Buffon in rovesciata. Tutte le tecniche di sopravvivenza finora analizzate presentano però un grosso difetto: sono attuabili in un periodo normale dell’anno, quando si va al lavoro o a scuola e si conduce la solita vita. Ma a luglio sono molte le famiglie che partono per le vacanze, spesso dirette verso Paesi esotici dove la lontananza dal calcio potrebbe essere totale e letale. Quest’ultimo caso, che chiameremo del tifosoesule, è il più penoso. È incapace persino di godersi un tramonto australe, di apprezzare un aperitivo su una spiaggia corallina senza pensare agli affetti calcistici lasciati a casa. Appurato che la tv satellitare del bungalow prende solo Rai International, la quale trasmette le imprescindibili repliche di Canzonissima ’69, a questa povera vittima del turismo di massa non resta che affidarsi allo spaccio del villaggio. Dove, tra copie del Financial Times, del Times e dell’austera Frankfurter Allgemeine Zeitung scoprirà il rassicurante colore rosa della Gazzetta dello Sport, che arriva vecchia di almeno un paio di giorni, ma non importa. Il tifoso deportato tornerà orgoglioso in spiaggia, e aprirà il suo fido quotidiano sotto l’ombrellone come fosse sul litorale di Ladispoli. Se il fato è propizio, capiterà che l’appassionato incontri, a qualche sdraio di distanza, un suo simile con lo stesso giornale tra le mani. I loro sguardi si incontreranno in una complice intesa mai sperimentata con le rispettive mogli e nel giro di cinque minuti si troveranno a conversare amabilmente di marcature a uomo e catenacci, preliminari di Champions e campagne acquisti; a diecimila chilometri da casa. Anche questa è globalizzazione.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Trattato Ue,cosa votereste in caso di referendum? VOTEREI ”SÌ” SENZA IL MINIMO DUBBIO, MA POI OCCORRERÀ COSTRUIRE L’EUROPA DEI POPOLI Superare l’ostacolo rappresentato dal ”no” degli irlandesi al Trattato di Lisbona con il sì alla ratifica. Questo l’orientamento italiano, confermato anche dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante la scorsa assemblea di Confcommercio. E il premier in questo caso trova il mio più totale appoggio. Con il referendum irlandese si è verificato quello che un po’ tutti noi europeisti temevamo: l’Unione è sentita come l’Europa delle burocrazie. Occorre però che venga approvato il Trattato di Lisbona da tutti e 26 i Paesi, ma poi, proprio come ha più volte ribadito Berlusconi, «bisogna andare verso un’Europa dei popoli e della gente, cosa che oggi non è assolutamente».

Amelia Giuliani - Potenza

PRIMA DI TUTTO BISOGNA ”SBUROCRATIZZARE” L’UE, DOPO SI POTRÀ ANCHE RATIFICARE IL TRATTATO In caso di referendum in Italia per il Trattato europeo (cosa che in realtà avrei sempre auspicato) non avrei davvero il minimo dubbio: farei come in Irlanda votando un secco, convinto e deciso ”no”. Mi rendo perfettamente conto che il rifiuto irlandese,

LA DOMANDA DI DOMANI

Europei 2008: secondo voi si dovrebbe dimettere il ct Donadoni?

come ha commentato il ministro degli Esteri Franco Frattini, rappresenta un grave colpo alla costruzione europea, che per ora non consente l’adozione di decisioni essenziali sulla sicurezza, la gestione dell’immigrazione, la politica energetica o la protezione dell’ambiente. Ma prima di tutto questo, occorre ”sburocratizzare” l’Europa, farla percepire ai cittadini comunitari non soltanto come un ente astratto la cui proncipale funzione è quella di apporre timbri e timbrini regolatori di chissà cosa poi. Piacerebbe avere un continente che prima di tutto sia rappresentante di tutti gli Stati membri, con le loro differenze e con le grandi tradizioni che uniscono. Un’Europa capace di fronteggiare in modo costruttivo gli Stati Uniti d’America, un vero contraltare forte, libero e armato. Già: come mai ancora oggi non esiste un esercito europeo?

Marco Valensise - Milano

HA PERFETTAMENTE RAGIONE NAPOLITANO: IL CAMMINO DELL’UNIONE NON VA FERMATO Sopra tutto e sopra tutti, credo abbia ragione il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che commentando il drammatico ”no”dell’Irlanda al Trattato europeo ha dichiarato che «non si può ora neppure immaginare di ripartire da zero. Né si può pensare che la decisione di poco più della metà degli elettori di un Paese che rappresenta meno dell’1% della popolazione dell’Unione possa arrestare l’indispensabile, ed oramai non più procrastinabile, processo di riforma». Credo fermamente che l’iter delle ratifiche debba andare avanti fino a raggiungere in tempi brevi la soglia dei 4 quinti, perché il Consiglio europeo possa subito dopo (secondo l’art. 48 del nuovo Trattato) prendere le sue decisioni. È giunta l’ora di una scelta coraggiosa da parte di quanti vogliono dare coerente sviluppo alla costruzione europea, lasciandone fuori chi minaccia di bloccarla. Se dunque ci fosse anche in Italia il referendum, voterei ”sì”in nome del più ampio concetto di costruzione di un’Europa forte e unita. Cordialmente ringrazio per l’attenzione.

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

CAMPANELLO D’ALLARME? Abbiamo potuto osservare negli ultimi tempi come siano aumentati gli episodi di violenza a sfondo politico che hanno avuto come attori protagonisti essenzialmente giovani. Strumentalizzati più o meno dagli organi di stampa, è un dato di fatto che molte frange di questi giovani politicizzati sono incontrollabili, nascondendosi dietro alle varie ideologie nere o rosse che siano. Mi riferisco all’aggressione avvenuta nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio da parte di un gruppo di neonazisti a Verona di Nicola Tommasoli o agli scontri a La Sapienza del 28 maggio scorso, con il vile e barbaro assedio subito dal Preside della Facoltà di Lettere da parte dei ragazzi del collettivo il giorno seguente. Da qualunque parte provengano queste “manifestazioni di affetto politico” (si legga: aggressioni) bisogna stare attenti a non sottovalutare questi avvenimenti e riflettere più approfonditamente su ciò che sta accadendo, monitorando costantemente queste frange. Questo paese certamente non è nuovo ad episodi di questo tipo e gli anni passati

Giancarlo Tommasetti Caltanissetta

GLOBAL DIVING

L’ultima di Lewis Gordon Pugh, il nuotatore più spericolato del mondo? Nuotare nelle acque del Polo Nord per 18 minuti a una temperatura di -2 gradi centigradi. «L’ho fatto per dimostrare cosa sta succedendo con il riscaldamento globale: dove ho nuotato io, un tempo c’era ghiaccio»

ECCO PERCHÉ LA SINISTRA HA VINTO IN SICILIA Egregio direttore, volete sapere in cosa consiste l’astuzia? Qual è il vero gioco, il trucco per attirare il pubblico? E’ l’offerta di qualcosa di raro. Tipo il saccente riformismo da scuola delle Frattocchie, il moralismo fazioso e l’antimafia in salsa siciliana. Ecco perchè la nostra sinistra rigorosa e monocorde ha fatto l’en plein alle recenti elezioni amministrative siciliane. O sbaglio? Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

DONADONI SI DEVE DIMETTERE IL PRIMA POSSIBILE A casa. E’ inutile che dica: «Dimissioni? Non ci penso». Donadoni ci pensasse, e pure in fretta. Con lui è scesa in campo la na-

dai circoli liberal

dovrebbero servirci da insegnamento. Non sbaglio nel dire “dovrebbero”. Il rischio che ci sia un acutizzarsi di fenomeni estremistici credo sia reale. Penso che debba essere ricercato nell’allontanamento progressivo dei giovani dalla politica, che ai loro occhi ha perso il suo senso e sapore originale; a loro manca quella passione che porta a dedicare molto del proprio tempo alla cosiddetta “militanza”, ma soprattutto mancano figure di alto spessore che possano fungere da riferimento politico, culturale e morale. C’è sfiducia nella classe politica attuale e ciò determina malcontento tra le fasce più giovani, i quali hanno davanti ai loro occhi un futuro alquanto incerto e confuso. Questo malcontento è il pozzo ideale al quale attingono queste frange politiche estreme per infoltire le loro fila. Non sono la soluzione, ma solo una illusione. E conosciamo tutti molto bene il potere delle illusioni. Altro fattore da tenere in considerazione è il risultato delle ultime politiche. Tutti i partiti di area comunista sono fuori dal Parlamento e ciò ha dato vigore a gruppi di estrema destra che possono cogliere que-

zionale di calcio italiana più brutta che io possa ricordare. Poco agguerrita (se non magari per reagire ai continui attacchi di giornalisti, commentatori o semplici cittadini arrabbiati); poco concentrata, troppo incline a lunghi passaggi in aria (quasi mai azzeccati) e troppo poco capace di far girare la palla a centrocampo. Sbagliate anche le scelte della formazione ufficiale. Va bene far giocare De Rossi e Aquilani, ma proprio non capisco perché abbia tolto Cassano ai supplementari con la Spagna e perché abbia fatto giocare Del Piero solo pochissimi minuti. A casa. Roberto Donadoni lasci perdere del tutto la nostra nazionale. Potessimo soltanto recuperare Fabio Capello... sarebbe tutta un’altra Italia. Distinti saluti.

Greta Gatti - Milano

sta situazione per poter agire sospinti da propositi di rivalsa, dopo anni in netta minoranza e senza possibilità di far sentire la loro voce. È bene che la classe dirigente ne tenga conto, perché sottovalutarli oggi significherebbe dover affrontare in futuro un problema più grave. Non mi riferisco solo all’estrema destra, ma soprattutto anche ai vari “collettivi” che in questi anni hanno agito in modo indisturbato con atti incivili e finti democratici. Ludovico Bitetti LIBERAL GIOVANI

APPUNTAMENTI TODI - 10 LUGLIO 2008 Ore 12.00, Hotel Bramante Prossima riunione nazionale dei coordinatori regionali e dei presidenti dei Circoli liberal


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog SEGUE DALLA PRIMA

Cominciamo a mettere in conto l’attacco all’Iran

Io, bravo bambino e amante della geografia Ti scrivo volentieri ancora, prima di mettermi a dormire. Ho letto ieri la «Gegenwart», tuttavia con un po’ di inquietudine perché ero in compagnia e ciò che è stampato nella «Gegenwart» vuole essere sussurrato all’orecchio. Dunque questo è carnevale, proprio carnevale, ma dei più adorabili. Bene, così anche quest’inverno alla fine ho fatto un passo di danza. Mi compiaccio particolarmente del fatto che non tutti riconosceranno in questo punto la necessità del mio nome. Tuttavia questa è oggi solo una riflessione marginale, sto piuttosto cercando di conoscere con certezza i confini della mia attuale fama, visto che sono un bravo bambino e un amante della geografia. La mia fama è più salda tra i tedeschi all’estero. Ma proprio per tranquillizzare questa gente che si interessa così in fretta, avresti dovuto scrivere ancora tra parentesi: «Questo nome dovrà essere dimenticato». Ti bacio, da’ presto l’esame. Franz Kafka a Max Brod

WALTER VELTRONI E L’EREDITÀ DISASTROSA Abbandonare la nave che sta affondando e infierire su di essa indicendo un avviso di gara d’appalto da 4 milioni di euro è l’ennesima dimostrazione dell’ingordigia che ha caratterizzato la giunta Veltroni e i consulenti nominati direttamente da lui. Mi riferisco all’avviso pubblico per l’affidamento dei servizi di manutenzione decoro urbano da effettuarsi nel Comune di Roma con data di pubblicazione 23 maggio 2008 e scadenza 14 luglio 2008. Non è bastato il disastro economico lasciato in eredità in sette anni di gestione allegra della finanza capitolina ma è evidente che, nel periodo di passaggio delle consegne, si volesse completare un’opera lasciata a metà per l’inaspettata sconfitta. A tal proposito, dopo il bando per la gestione della struttura di accoglienza per rifugiati politici, richiedenti asilo e titolari di protezione presso il centro Enea che prevede una spesa complessiva di 30 milioni di euro, appare opportuno congelare l’ennesima decisione intrapresa da ex dirigenti comunali e a maggior ragione nel settore del decoro urba-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

24 giugno 1509 Enrico VIII viene incoronato re d’Inghilterra 1519 Muore 39enne Lucrezia Borgia 1793 La Francia vara la sua prima Costituzione repubblicana 1940 Durante la seconda guerra mondiale, Italia e Francia firmano l’armistizio 1948 L’esercito sovietico taglia tutti i collegamenti tra Berlino Est e la Germania Ovest 1978 La nazionale di calcio italiana viene battuta dal Brasile per 2-1 e ottiene il quarto posto ai mondiali di Argentina 1985 Voto unanime per Francesco Cossiga, eletto presidente della Repubblica italiana alla prima votazione 2001 Debutta la nuova rete televisiva La7, nata dalla fusione tra TeleMontecarlo e Seat Pagine Gialle. La serata inaugurale è condotta da Gad Lerner e Fabio Fazio, con collegamenti dal Circo Massimo a Roma dove si sta festeggiando lo scudetto vinto dalla Roma

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

di Daniel Pipes Innanzitutto, l’amministrazione Bush deve prepararsi a un possibile attacco alle infrastrutture nucleari iraniane e, in secondo luogo, dovrà annunciarlo pubblicamente (i leader israeliani dovrebbero fare altrettanto, dal momento che qualcuno lo ha già fatto). In terzo luogo, l’amministrazione deve resistere all’inevitabile tsunami delle critiche e, in quarto, essa dovrebbe incoraggiare quei governi che maggiormente si oppongono a un simile attacco – incluse l’Unione Europea, la Russia e la Cina – ad esercitare pressioni su Teheran affinché essa ponga fine al suo programma nucleare. Se questo approccio dovesse avere successo, la crisi sarà risolta. Se esso fallisse, le elezioni presidenziali americane di novembre incomberanno minacciose.

no. In questi anni la cura e la valorizzazione della città ha lasciato notevolmente a desiderare e tale bando risulta il frutto di indicazioni politiche volte a premiare cooperative inefficienti e costose.

«C’è solamente una cosa peggiore della possibilità che gli Stati Uniti esercitino un’opzione militare», ha asserito John McCain. «E questa è un Iran dotato di nucleare». Di contro, Barack Obama chiede «una risoluta azione diplomatica, sanzioni (economiche) più aspre» e delle «fonti alternative di energia»: sostanzialmente, la solita tiritera! Se il mandato di George W. Bush finisse con la vittoria di McCain, Bush probabilmente prenderebbe la palla al balzo, lasciando a McCain l’onere di decidere le prossime mosse. Ma l’intenzione di Obama di proseguire con le attuali linee politiche fallite fa invece pensare che, se fosse lui a vincere, e malgrado la tradizione dei presidenti uscenti di non prendere grosse iniziative nelle settimane di fine mandato, Bush potrebbe avviare un’azione militare contro l’Iran.

il meglio di

Gianluca Tosti - Roma

BLOG SOTTO TIRO: DALLA UE E DA UNA SENTENZA

PUNTURE Antonio Di Pietro ha annunciato un “grappolo di referendum” contro le leggi ad personam. La solita storia della volpe che non arriva all’uva.

Giancristiano Desiderio

Riponi in uno stipetto un desiderio. Aprilo: vi troverai un disinganno LUIGI PIRANDELLO

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

Il mondo dei blog dà fastidio a molti, editoria tradizionale in primis, quindi attira ”attenzioni” non propriamente gradite. In primis una mozione della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, che che impegna la Commissione Europea e gli stati membri a regolamentare i contenuti generati dagli utenti utilizzati dai media tradizionali e i media personali, in particolare i blog. La mozione ritiene l’uso commerciale delle produzioni non professionali una violazione della concorrenza a danno dei professionisti dei media. Per risolvere questo problema propone una soluzione:introdurre una tariffa (una tassa?) da associare al contenuto non professionale con valore commerciale, insieme ad un codice etico e a condizioni d’uso per l’utilizzo in prodotti editoriali tradizionali. Un bavaglio

in piena regola, che il blogger dovrebbe avere la gentilezza di indossare con le proprie mani, tramite una sorta di registro volontario al quale iscriversi dichiarando pubblicamente gli interessi professionali e finanziari che lo riguardano. (...) Ancor più inquietante la seguente notizia, perché riguarda tutti e da subito, in Italia, un blog è stato condannato per stampa clandestina. Per la prima volta un blog subisce una sentenza di questo genere perché la sua pubblicazione, il blog appunto, non segue i canoni e i ritmi della stampa tradizionale. (...) La decisione dei magistrati, che non sembra proprio avere precedenti neppure in Europa, allarma gli osservatori. Si può firmare una petizione per protestare contro una simile sentenza oscurantista degna di paesi come Cuba e la Cina.

Orpheus orpheus.ilcannocchiale.it

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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