2008_06_28

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Oggi il supplemento

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

MOBY DICK

Il ministro dell’Economia punta a succedere a Berlusconi

SEDICI PAGINE di e h DI ARTI c a n cro E CULTURA

Se Tremonti comincia a fare come Padoa-Schioppa

di Ferdinando Adornato

di Enrico Cisnetto

PARTE LA CAMPAGNA PER CAMBIARE LA “180” Migliaia di omicidi, suicidi, violenze e delitti ogni anno: tutti causati da disturbi mentali. Ma nessuno ne parla. E le famiglie italiane restano abbandonate a se stesse, esattamente come i malati…

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La strage nascosta

alle pagine 2 e 3 ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 1 luglio

SABATO 28

Torna la ”guerra civile” sulla giustizia

Lodo-Schifani e girotondi: ci risiamo

Mentre Bossi supera in equilibrio il premier

Bambini Rom: Ue contro la schedatura

baglierebbe chi guardasse con sufficienza, o peggio, alle mosse di Giulio Tremonti. Nel vuoto generale, e non solo nel governo, il ministro dell’Economia è l’unico che sta facendo politica. E la fa assai bene, per giunta. Anche perché l’obiettivo non è proprio di quelli marginali: prendere il posto di Berlusconi. Un domani, si capisce, ma preparandosi già fin d’ora. E se poi nel prepararsi, ci scappa un congruo anticipo di quel “domani”, tanto di guadagnato. Si prenda, per esempio, la manovra economica che ha unito Dpef e Finanziaria, anticipando e triennalizzando quest’ultima. Da un lato, il suo autocandidarsi a seguace di Padoa-Schioppa come custode dei patti europei in fatto di finanza pubblica ci piace non meno di quanto sia stato ben accolto a Bruxelles e perfino a Francoforte. La scelta europeista per questo governo non era affatto scontata, e Giulio non solo ha fatto bene a farla ma anche a esserne il protagonista assoluto, come hanno già ben capito i leaders continentali: a Roma, Berlusconi ha altro da fare (la luna di miele sta svanendo e bisogna pensare ai processi), e Tremonti è stato abile a ergersi a loro interlocutore. Anche perchè il feeling con i nostro “soci” ci serve come il pane, dato che alcune tendenze che arrivano da lontano (dal nostro ingresso nell’euro) e che non sono mai scemate, ci vorrebbero volentieri fuori dalla moneta unica (vedi alla voce Bundesbank). E, dunque, in questo caso, gli interessi politici di Tremonti e quelli del Paese coincidono. s eg u e a pa gi n a 6

S

Si prevedono quotazioni sempre più alte

Oltre 140 dollari: ormai è guerra del petrolio

di Riccardo Paradisi

di Errico Novi

di Serena Mattei

Sul lodo Schifani bis approvato dal consiglio dei ministri ieri il guardasigilli Angelino Alfano auspica una grande convergenza di tutto il Parlamento. «Non c’è alcun nesso tra questo provvedimento e il decreto sicurezza», dice il ministro.

Nemmeno un mese e la scena si capovolge. Mercoledì quattro giugno, Napolitano interviene da Napoli sull’emergenza rifiuti: «Buona parte delle scorie tossiche sono arrivate dal Nord».

Il petrolio continua la corsa sopra i 140 dollari, mentre gli operatori prevedono quotazioni sempre più alte. E per l’Europa non è poco aver riaperto un dialogo sull’energia con la Federazione russa.

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GIUGNO

2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

121 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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La testimonianza del presidente dell’Associazione Vittime della 180

Cronache dall’inferno dimenticato di Lucio Dal Buono

La soluzione non è tornare indietro: ma un nuovo sistema di assistenza ari lettori, partecipiamo insieme a questa bella sfida, culturale, civile e politica. Di quelle che meritano di essere affrontate con coraggio, serietà e passione. Riformare la legge 180, oggi si può, anzi si deve. Non siamo nostalgici del tempo che fu, dei manicomi senza vita e delle cure primitive di un secolo fa. Ma dal contributo utile di Franco Basaglia alla riforma dell’assistenza psichiatrica, sono passati 30 anni. E si vedono tutti. L’inferno del manicomio si è trasferito all’interno delle famiglie. Lo stato di abbandono in cui sono stati gettati i malati mentali ed i loro cari ha prodotto l’accumularsi inesorabile di lutti e violenze. Ne riportiamo oggi alcune testimonianze. Ma a prescindere dall’emozione che può suscitare la lettura di storie terribili e statistiche impietose, si impone all’agenda della politica italiana il dovere di intervenire con sapienza e generosità. Ecco l’obiettivo: sostituire i manicomi del secolo scorso con dei centri pubblici umani e moderni in cui non si abbia paura di curare i malati. Fino a pochi anni fa sarebbe stato impossibile anche solo parlarne. Persino più della legge 194 che consentì l’aborto in Italia, la legge Basaglia rappresenta ancora oggi l’autentico totem ideologico, adorato da quella cultura positivista che si ramifica in ogni ambito della nostra società. E’ il retaggio di una stagione che non deve tornare, ed è per noi lo stimolo ad affrontare con umiltà e determinazione questa nuova sfida per la vita. lib

iamo testimoni scomodi. Perché siamo i testimoni dei vinti. Siamo quelli che l’ideologia della 180 ha espulso dal contesto delle cure e spesso dalla vita. Siamo quei sanitari che sono stati svillaneggiati, vilipesi e la cui opera è stata derisa e negletta. Personalmente, data la mia età e le non liete vi-

cende familiari, sono uno dei pochi che ha visto e conosciuto la realtà psichiatrica sia pre che post 180. Quello che scrivo è documentabile, poiché basato su documenti ufficiali, ed è reale perché è basato su ciò che direttamente ho visto e vissuto. Questa è la storia delle vittime della Basaglia.

malattia mentale in quanto tale. Peccato che la malattia mentale si instauri sui bambini nati con sofferenza cerebrale. Si riscontri negli ammalati di paralisi infantile. Si diano casi dovuti ad ictus od a lesioni cerebrali. E’ possibile crearla artificialmente attraverso sostanze allucinogene. Non è lecito ed è pericolosissimo sottrarsi

Basagliani. In Italia la legge 180 non permette di usare in maniera scientifica ed adeguata gli psicofarmaci, ha eliminato totalmente le cure d’urto come l’elettroshock, e basa la sua azione su dicerie e superstizioni senza alcun fondamento scientifico. Domanda: ma la Basaglia ha

Alla base della 180, vi è la credenza che la malattia mentale sia creata dall’Istituzione manicomiale.

In alto, Lucio Dal Buono, presidente dell’Associazione Vittime della 180. Nell’altra pagina, il criminologo Francesco Bruno

alla scienza galileiana e cominciare a parlare di società, di famiglia, di colpa della mamma, e magari poi di malocchio e di influenza degli spiriti. Ripiomberemmo nella superstizione, nei riti da sciamano, da guaritore. E questo hanno fatto gli psichiatri

davvero chuso i manicomi? Assolutamente no. I manicomi erano stati chiusi dalla legge del 1904 che aveva introdotto la malattia mentale nell’ambito della scienza moderna. I manicomi, intesi come luogo di degrado e di abbandono, sono stati riaperti

nunciato ai carabinieri la situazione. Ma senza ascolto. Fino a quando, all’età di 37 anni, questo ragazzo ha ucciso la madre. E’ stato assolto in quanto dichiarato «incapace di intendere e di volere al momento dell’omicidio», con l’applicazione di una misura di sicurezza di dieci anni da trascorrere presso un Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Ora la famiglia ha intentato una causa contro il reparto psichiatrico dell’ospedale di zona, che - racconta Laura non ha fatto altro che garantire «un’assistenza discontinua ed un inesistente programma di cura e prevenzione, oltre ad una minimizzazione della gravità della situazione». Il dolore - racconta questa donna - ci ha consumato, ma abbiamo il do-

vere di batterci «affinché questi fatti non si ripetano più: sono causati da una legge malfatta e dalla deresponsabilizzazione delle strutture. I malati di mente vanno curati e seguiti costantemente, come la loro malattia richiede».

Storie di dolore con uomini e donne lasciati da soli

S

C

Una delle tre istituzioni della violenza: scuola, carcere, manicomio. Vi è la negazione della Le storie sono molte e hanno tutte un terribile epilogo. Raccontano la ”morte annunciata” di chi è stato lasciato solo a combattere contro una malattia che non perdona. Storie raccolte in un sito internet, dal nome emblematico: www.vittimedella180.org.

Laura è la sorella di un ragazzo nato sano, cui a 29 anni è stata diagnosticata ”una schizofrenia paranoide”. Aveva manie di persecuzione, ma non ha mai voluto assumere i farmaci che gli erano stati prescritti, con la conseguenza che aveva spesso reazioni violente. La prima a scontarle è stata la madre. Picchiata più volte, aveva de-

Ennio scrive da Palermo. La sua è una testimonianza dura e piena di rancore verso questa normativa che, dice senza riserva, «mi ha rovinato la vita». Scrive: «Quando mio fratello ha cominciato a picchiarci, a partire con il treno e a perdersi per l’Italia dicendo che voleva incontrare il presidente della Repubblica, non c’era Basaglia ad aiutarci. Lui si è limitato a fare la legge e a lasciarci in questa terribile situazione. «Se c’è -

conclude - mi tocca il Paradiso. Del resto l’inferno l’ho già avuto. Spero pure di beccare Basaglia e raccontargli quante vittime ha mietuto la sua teoria».


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Il libro nero della legge Basaglia

«Quanto dolore ha provocato la 180!» colloquio di Nicola Procaccini con Francesco Bruno

ROMA. Il prof. Francesco Bruno è uno tra gli

Rivedere la “180” Lunedì l’assemblea a Roma Legge 180: Prospettive di Riforma La salute mentale al tempo della società liquida Lunedì 30 giugno 2008 ore 16:30 Palazzo Marini - Via del Pozzetto, 158 – Roma Tavola rotonda Introduce On. Ferdinando Adornato Presidente Fondazione Liberal Modera Prof. Tonino Cantelmi Presidente Psichiatria Libera Interventi On. Paola Binetti (PD) On. Carlo Ciccioli (PDL) Sen. Stefano De Lillo (PDL) On. Luca Volontè (UDC) Prof. Giuseppe Tropeano (Psichiatra) D.ssa Maria Luisa Zardini (ARAP) Psichiatria Libera sarà lieta di presentare e distribuire gratuitamente la nuova rivista monografica “Modelli Per la Mente” Ingresso libero, prenotazione obbligatoria Info e Prenotazioni giorgiavinci@yahoo.it 3314634451

Oltre al dramma di molti fratelli e sorelle, nel sito ci sono tante storie di madri disperate. «Ho più di 60 anni - scrive una signora di Napoli - e sento che ormai non ce la faccio più. Ho anche perso cinque mesi fa mio marito, che era l’unica persona che mi aiutava. Ho un figlio di 38 anni, schizofrenico, tossicodipendente e paraplegico. E’ a letto da tre anni perché nell’ultimo tentativo di suicidio, effettuato buttandosi nella tromba delle scale, si è procurato una grave lesione alla spina dorsale, oltre ad aver subito l’amputazione di 30 cm di gamba. Comincia ad avere piaghe da decubito. Ma non solo. Undici anni fa mio figlio ha avuto un bambino da una ragazza tossi-

dalla 180 nell’orrore del ”repartino”dell’Ospedale Generale, vera fossa dei serpenti, e nel chiuso della famiglia, dove il degrado del malato coinvolge spietatamente tutti i familiari. Il centro del problema è rappresentato da quel 10-20% di malati gravi e giovani, che o rifiutano la cura o sono insensibili agli psicofarmaci. Per questi non vi è speranza. La 180 chiudendo le strutture coatte specializzate ha condannato loro e le famiglie ad un’esistenza disperata, se non alla morte. Si tratta di 50-60.000 malati.

Ogni anno la 180 fa 200-300 morti tra queste persone. In Italia abbiamo avuto la testimonianza di una valido psichiatra e di un grande scrittore: Tobino, il direttore dell’Ospedale psichiatrico di Lucca. E Tobino scriveva queste sue ultime parole, a proposito dei suoi malati uccisi dalla 180: «Addio, cari amici miei. In questi ultimi tempi non vi ho più saputo né proteggere, né vendicare. Sono rimasto solo. E da solo, non ne avevo più la forza».

codipendente, di cui non so più niente da anni. Il bambino è stato, dal tribunale, affidato a me. Io vivo con il bambino a Napoli. Mio figlio l’ho messo in una casa in Irpinia assistito da una badante. Ogni settimana per due o tre giorni vado a visitarlo. L’avvicinarsi a lui non è una cosa facile. A volte è affettuoso e mi abbraccia e mi bacia. A volte finge affetto e quando sono vicino a lui, mi afferra e mi picchia con tutto quello che trova. Sono stanca e sola. Ho bisogno che questo Stato faccia finalmente quello che doveva fare anni fa: curare mio figlio gravemente malato». (F.R.)

psichiatri criminologi più noti d’Italia, ed è anche un fiero ed informatissimo avversario della legge Basaglia. Non su base ideologica, ci tiene a precisare - lui che pure si formò professionalmente negli anni in cui imperversava la cosiddetta psichiatria democratica - ma lo è sul piano dei fatti, dei numeri. Bruno sta lavorando da tempo all’elaborazione di una statistica precisa sulle vittime della “180”. «Ci vorranno anni per quantificarle – quasi si giustifica il criminologo – Ma riuscirò nell’impresa. Per me è un’assoluta priorità». Per far comprendere la portata dell’emergenza, possiamo azzardare un numero approssimativo? Sono tante le vittime della 180. A cominciare dai malati. E’ davvero un brutto destino il loro. Io contesto fermamente che quelle poche cure a cui possono accedere vengano indicate col nome di terapie. E subito dopo vengono i familiari. In totale parliamo di decine di migliaia di vittime, mai contate prima d’ora, ignorate dalla storia, dai giornali, dalla politica, da tutti. Guardi, secondo i dati che ho raccolto fino ad ora, a partire dal’78, anzi dal famoso episodio delle “dimissioni selvagge”, mancano all’appello circa 30mila persone. Cosa è successo a tutte queste persone? In moltissimi casi sono morte, spesso in maniera orribile, altre volte scomparse nel nulla, o si sono trasformate in quei senzatetto che dormono sulle nostre strade. Diversi direttori di manicomio mi hanno raccontato che per anni si sono ritrovati per le scale delle loro strutture in dismissione i malati di mente che erano stati loro pazienti: chiedevano un tetto sotto cui dormire. Spesso gli hanno aperto le porte, rischiando la galera per questo. ma non potevano farlo. Nonostante questo, spesso infermieri ed altri hanno aperto le porte, rischiando la galera. E poi ci sono

i familiari dei malati mentali. Le storie terribili che documentano il loro stato di abbandono e sofferenza sono tantissime. Mi può raccontare un caso che l’ha colpita in particolare? Ricordo una vicenda molto triste legata al mio paese, in Calabria, dove sono nato. C’era un ragazzo che conoscevo fin dall’infanzia, malato di schizofrenia. Fin quando i genitori ed il fratello se ne sono occupati adeguatamente, lui riusciva a controllarsi. Poi il fratello emigrò in Germania, i genitori erano invecchiati, e non essendoci alternative lo portarono in manicomio. Quando nel ’78 la struttura chiuse, il ragazzo ormai uomo fu rispedito in famiglia come un pacco postale. Pochi giorni dopo ha ammazzato entrambi i genitori. Dopo di che è finito in un manicomio criminale, ed è morto pure lui. I manicomi criminali sono sopravvissuti alla legge 180? Perfettamente, non hanno subito alcuna modifica, hanno solo cambiato il nome in ospedali psichiatrici giudiziari. Certo sono cambiate molte cose, ma le condizioni di degrado sono le stesse, nonostante la buona volontà dei direttori. Lo scandalo è che lo Stato spende molto di più per una persona in carcere che non per una persona nel manicomio giudiziario. Roba da paese non civile. In poche parole la legge Basaglia ha chiuso i manicomi, trasferendo i pazienti negli ospedali psichiatrici giudiziari… Praticamente sì. E’ necessario che la politica metta in agenda una seria riforma dell’assistenza psichiatrica, magari in linea con quella del resto del mondo. Le assicuro che in nessun paese si sono aboliti i manicomi senza prevedere delle soluzioni alternative. Solo da noi poteva avvenire una cosa simile.

Stiamo parlando di decine di migliaia di vittime, mai contate prima d’ora, ignorate dalla storia, dai giornali, dalla politica, da tutti. Secondo i dati che ho raccolto fin qui mancano all’appello 30mila persone


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politica

Mentre Berlusconi si radicalizza e Maroni propone le schedature etniche, Bossi fa lo statista: invita il Cavaliere al dialogo e accetta i rifiuti campani al Nord

Va a finire che il più serio è lui di Errico Novi

ROMA. Nemmeno un mese e la scena si capovolge. Mercoledì quattro giugno: Giorgio Napolitano interviene da Napoli sull’emergenza rifiuti. «Buona parte delle scorie tossiche sono arrivate in Campania dalle aziende del Nord». Basta questo perché un autorevole esponente leghista del governo, il sottosegretario Roberto Castelli, evochi lo spettro di un «piano per portare l’immondizia di Napoli nelle regioni del Settentrione». C’è bisogno di smentite e precisazioni, lo stesso presidente della Repubblica spiega che le sue considerazioni «sono rintracciabili nei documenti della commissione parlamentare sui rifiuti» ma precisa anche che l’emergenza va risolta sul posto. Ieri dopo appena ventitrè giorni Umberto Bossi e Roberto Calderoli lasciano il Consiglio dei ministri e subito diffondono un comunicato che lascerebbe increduli, se il giorno prima non fosse stato anticipato da indiscrezioni: «Si è raggiunto un accordo con il ministro per le Politiche regionali Raffaele Fitto, che verificherà la disponibilità di ciascuna regione a farsi carico, per un brevissimo periodo, di una quota parte dei rifiuti campani». E quasi non fiata nessuno. Solo il capogruppo leghista nel parlamentino veneto, Gianpaolo Bottacin, fa notare con una certa timidezza che «il Veneto ha la sua capacità di smaltimento già satura: tecnicamente dunque non ha la disponibilità ad accogliere altri rifiuti». Non è un tappeto rosso, ma rispetto a poche settimane fa il tono è completamente diverso. Proprio dal Veneto erano arrivate reazioni furiose da vari esponenti locali del Carroccio. Tutti rapidissimi a innalzare barricate per un rischio lontano. Ieri ha parlato Bossi e nessuno nel suo partito ha osato inscenare tragedie. Una frazione magari non rilevantissima della spazzatura ancora abbandonata per le strade di Napoli e dintorni finirà dunque in Padania, con il placet del Carroccio. È cambiata la Lega? Da ieri forse il Senatùr ha segnato un nuovo inizio, una fase completamente diversa della storia politica sua e del suo movimento. Sembra arrivarci dopo qualche settimana di tentennamento, di incertezza sul modo di dare cittadinanza al quattro per cento di voti in più raccolti in aprile. L’analisi iniziale si è basata su considerazioni scontate: sulle vele della Lega ha soffiato il vento dell’antipoliti-

Il profilo moderato facilita la trattativa con l’opposizione sul federalismo. E soprattutto capitalizza il nuovo consenso raccolto ad aprile, che non nasce solo dall’impulso dell’antipolitica: ora l’elettorato del Carroccio chiede anche responsabilità gettivo deflusso di voti provenienti dal mondo operaio.

ca, quello che si è alzato all’inizio della precedente legislatura e che a un certo punto sembrava saldamente nelle mani di fenomeni collaterali come il grillismo; quindi si è trattato di un consenso protestatario, al quale si può offrire solo una risposta, contestare il governo dall’interno. Una lettura irrobustita dall’og-

Ma il gioco al rialzo permanente della propaganda leghista sarebbe stato impraticabile sul lungo periodo. E d’altra parte a Bossi non quadravano i conti. Si poteva spiegare il 7 per cento in Emilia o il 4 in Toscana come un mero effetto dell’antipolitica? Evidentemente no, nel senso che quell’elettorato non pensa di aver annullato la scheda, ma confida di ottenere una risposta rassicurante. Bossi ha dunque compreso di non essere condannato al ruolo del tribuno impenitente. Ma anzi di dover soddisfare attese importanti, di dover offrire agli elettori una soluzione a problemi reali, senza limitarsi a somministrare l’illusione del cambiamento. Il discorso vale per la platea tradizionale del Carroccio e per quella acquisita. Di fatto il Senatùr deve assumere il tono responsabile dell’uomo di governo, e promuovere anche scelte indigeste – queste sì – per buona parte del suo popolo come la solidarietà verso i campani. Così può spiegarsi l’apertura sull’emergenza rifiuti ma anche il consiglio offerto a Berlusconi sull’opportunità di non esasperare lo scontro con i magi-

strati. In una fase in cui buona parte degli attori interpreta la scena politica come un ring, uno dei pochi a mostrarsi ragionevole è proprio Bossi. L’urgenza di non deludere i nuovi elettori si sposa alla perfezione con quella di cogliere l’obiettivo di sempre, la riforma federale dello Stato. Serve una interlocuzione e un profilo da moderato per conquistare la disponibilità di Pd e Udc, indispensabile alla revisione Costituzionale. E il Senatùr si prepara a presentarsi nella migliore forma possibile all’appuntamento, sempre che il clima arroventato non lo faccia rinviare a data da destinarsi. Certo permangono sussulti incontrollati come la proposta di Roberto Maroni sull’identificazione dei bimbi rom con le impronte digitali. Ma si tratta di segnali indispensabili alla stessa strategia del rinnovamento. Non si può cambiare profilo smettendo improvvisamente di accogliere le istanze dell’elettorato tradizionale.

Il conto di Guido Bertolaso è pesante: «Bisogna trasferire in altre regioni italiane dalle 20mila alle 30mila tonnellate di rifiuti. Non è più possibile continuare a portarle all’estero, perché costa troppo, circa 350 euro a tonnellata e perché danneggia l’immagine del Paese». C’è il segno dell’impazienza di Berlusconi, dietro la sintesi del sottosegretario. Ma non sarebbe nemmeno possibile mettere l’ipotesi sul tavolo, se non ci fosse la disponibilità di Bossi. Si apre peraltro una fase paradossale, in cui i consiglieri della Lega nelle regioni del Nord dovranno battersi in qualche caso contro i governatori. Il presidente del Piemonte Mercedes Bresso già avverte che risponderà alla richiesta dell’esecutivo «con una risata in faccia». In Lombardia c’è una situazione pirandelliana, perché fino a ieri sono stati i rappresentanti del Carroccio a conte-


politica

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Una saggezza realista che sa valutare i rapporti di forza

Il suo modello è Toro Seduto di Giuseppe Baiocchi rima, sconfessando con brutalità il pari ministro Calderoli, un improvviso “sì” senza incertezze alla ratifica parlamentare del Trattato di Lisbona; quindi un ruvido consiglio al premier («Meglio volare basso») nel contenzioso ribollente con la magistratura; infine la repentina disponibilità del Nord ad accogliere e trattare parte rilevante dei rifiuti campani. Il ministro delle Riforme Umberto Bossi appare di colpo come il più saggio se non il più affidabile leader politico: perché in ogni sua scelta recente, che sconfessa senza remissione ogni uscita in merito dei suoi pretoriani, si coglie la sensata valutazione di accettare comunque sacrifici indispensabili per non compromettere l’obiettivo più importante, se non l’unico di un “one issue party”, e cioè la conquista definitiva e irreversibile dell’agognato federalismo. Semmai traspare da tutti questi atti in rapida successione il grado di timore e di specifica preoccupazione per il lacerarsi di un tessuto politico nel quale un processo riformatore particolarmente ambizioso rischia di arenarsi, non più nelle sabbie vischiose del giuridicismo burocratico, quanto piuttosto nel gorgo polemico e sovreccitato di un perenne muro contro muro. D’altronde ai cambi improvvisi, se non addirittura ai “giri di valzer”, la Lega Nord è stata accuratamente costruita su misura: nessun dissenso interno, una “corte” di esecutori dove la fedeltà cieca e la presenza assidua ai piedi del trono fanno premio ben più di autonoma produzione intellettuale e di incisivo ruolo politico, un estremismo verbale e immaginifico che scandalizza sì gli ipocriti e attrae i curiosi, ma che copre efficacemente una concreta ragionevolezza nelle proposte e nell’azione politi-

P

Ue contraria alla schedatura Perplessità dell’Unione Europea sulla proposta del ministro dell’Interno Roberto Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini Rom. La Commissione europea ha per il momento evitato di commentare quelle che un portavoce ha definito «dichiarazioni e controdichiarazioni di attori della scena della politica italiana». Lo stesso ha però tenuto a precisare che “la dichiarazione del Consiglio d’Europa e la Commissione, come le altre istituzioni europee, sono legate ai diritti fondamentali e alla lotta contro le discriminazion»”. A chi ha chiesto se in base alle regole Ue questo provvedimento sia possibile, il portavoce ha replicato: «La risposta è no. Pensavo fosse chiaro implicitamente!». La reazione di Maroni non si è fatta attendere. Il titolare del Vicinale ha infatti definito «infondati» i timori dell’Ue, precisando che si tratta di «una procedura che viene fatta normalmente in tutti i tribunali dei minori. Chi ha detto questa cosa è poco informato. Inviterei i responsabili della Commissione a informarsi prima di esprimere opinioni che sono, francamente, infondate». «L’idea di raccogliere le impronte digitali dei rom in Italia evoca analogie storiche talmente ovvie che non devono nemmeno essere nominate», contro replica a Maroni il segretario generale del Consiglio D’Europa Terry Davis, alludendo chiaramente al nazismo.

stare le aperture di Roberto Formigoni, che si era detto pronto a ragionare su una forma di solidarietà verso la Campania. I Verdi accusano il governatore lombardo di voler ricambiare l’accordo raggiunto per la gestione del termovalorizzatore di Acerra con la A2A, nata dalla fusione tra le municipalizzate di Milano e Brescia. In realtà Formigoni rischia ora di vedere attribuito il merito del suo atteggiamento responsabile alla Lega e al suo leader. A sua volta il Senatùr dovrà passare per il trattativista che porta la spazzatura campana negli impianti padani. Un ulteriore, incredibile paradosso di questa vicenda. Ma in fondo serve anche questo per mutare pelle e accreditare un profilo moderato. Non è detto che il Carroccio perda di questo passo i suoi veccih consensi. È invece probabile che a furia di presentarsi con uno stile ragionevole finisca per drenare ulteriori voti da Forza Italia. Quattordici anni fa fu il debordare degli azzurri alle Europee di giugno che convinse Bossi a separarsi dal Cavaliere. Quella volta ci fu una scelta di sopravvivenza. Ora la Lega può invertire almeno parzialmente i ruoli e rafforzarsi a spese di Silvio. È la nuova pagina nella storia dell’inafferrabile Umberto.

ca di un movimento che ormai da vent’anni è comunque sul proscenio italiano, e non con ruoli da comprimario. D’altronde non è la prima volta: la sua legge sull’immigrazione, la tanto vituperata Bossi-Fini, consentì nel 2002 la più gigantesca sanatoria della clandestinità (settecentomila badanti): e solo la sciocca strumentalità contingente di una sinistra mediatica a corto di argomenti ne nascose la moderazione e la sostanziale umanità. Così pure la “devolution” costituzionale, respinta come demoniaco attacco alla sacralità della Costituzione, salvo poi (a referendum bocciato) vedere riproporre pari pari da Veltroni e dal Pd la stessa riduzione dei parlamentari, il medesimo rafforzamento del premier e lo stesso Senato federale. Forse Bossi si è accorto che non gli e più necessario urlare sopra le righe: e l’immagine di affidabilità può essere insieme utile premio nell’elettorato del principale alleato e insieme filo robusto di dialogo con un’opposizione comunque necessaria per condividere il risultato riformista. Ma questa saggezza assomiglia di più al sano realismo di Toro Seduto che sapeva valutare dal suo campo i reali rapporti di forza. (E non è un caso che il manifesto leghista più diffuso nell’ultima campagna elettorale sia stato quello dei liberi Pellerossa finiti nelle “riserve”). C’è poi un aspetto sottovalutato da tutti gli osservatori che pure può diventare prevalente: l’onorevole Bossi non ha più l’energia per seguire insieme al governo e al conflitto parlamentare l’assetto quotidiano del partito come in passato aveva sempre fatto, sempre pronto ad emarginare chi poteva in qualche modo fare ombra al percorso politico e alla struttura dirigente. Da vero“animale politico”e con la spregiudicatezza tattica di cui è sempre stato maestro, forse sta costruendo“fuori”un reticolato di credibilità e di fiducia perché sente sul collo il fiato “interno”della macchina leninista che ha pure plasmato e che può però inesorabilmente arrivare, e prima di quanto si pensi, a “stritolarlo”.

Da vero “animale politico” Bossi sta costruendo un reticolato di credibilità e di fiducia perché sente sul collo il fiato “interno” della sua macchina leninista


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pensieri & parole

Malgrado le promesse elettorali, il governo non affronta l’argomento

La famiglia tradita di Luisa Santolini ochi giorni fa Gian Luca Galletti ha correttamente commentato su questo giornale il decreto fiscale approvato dalla maggioranza giovedì scorso alla Camera e vale la pena aggiungere qualche altra considerazione a quel provvedimento che ha come titolo “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”. Come è noto le disposizioni previste riguardano la cancellazione dell’Ici sulla prima casa, la detassazione degli straordinari per i lavoratori dipendenti solo per quanto riguarda il comparto privato e la rinegoziazione dei mutui sulla casa.

P

L’approvazione di tale decreto è stato condizionato dal voto di fiducia che il governo ha chiesto al Parlamento, voto di fiducia che appare molto strano vista l’ampia maggioranza di cui gode il governo e che dovrebbe essere usato in casi di effettiva emergenza per provvedimenti urgenti a rischio di decadere. Non era questo il caso, ma tant’è: il voto di fiducia è stato chiesto e ottenuto. Tuttavia le anomalie di questa vicenda sono altre e vediamo di analizzarne alcune anche se in modo necessariamente sintetico: la prima, e dal mio punto di vista più problematica, è che il titolo è volutamente fuorviante e rischia di illudere le famiglie che da questo governo si aspettano molto, viste le promesse della campagna elettorale

da poco conclusa. I provvedimenti previsti - mutui, Ici, detassazione degli straordinari - non sono in nessun modo “a misura”di famiglia perché è chiaro che ognuno di essi si riferisce ad ogni lavoratore che faccia straordinari, ad ogni proprietario di case e ad ogni cittadino che abbia acceso un mutuo per pagarsi la casa. Dove sono le famiglie in tutto questo? Certo, se si parte dall’idea che ogni misura impatta in qualche modo le famiglie, anche la sistemazione dei giardini pubblici o la copertura delle buche di una strada sono a favore delle famiglie, perché “tutti tengono famiglia” e così tutti traggono vantaggi da qualsiasi

questi criteri non fa politiche familiari e dunque non le può invocare.

Ho l’impressione che, malgrado le promesse elettorali e le assicurazioni successive, il governo per ora non abbia nessuna intenzione di affrontare seriamente l’argomento e la prova sta nel fatto che anche nel programma finanziario del Governo per i prossimi tre anni, che è stato varato recentemente dal Consiglio dei ministri, non c’è traccia di politiche fiscali strutturali e serie a favore delle famiglie. Eppure il Forum delle Famiglie ha raccolto un milione e mezzo di firme per sollecitare un fisco

Governo aveva già esentato dall’Ici il 40 per cento dei proprietari della prima casa e se questa misura elimina un’imposta patrimoniale per molti versi ingiusta e anacronistica, tuttavia non affronta il problema di chi è in affitto e che rappresenta la scia più debole della società. Inoltre l’Ici è una delle poche imposte federaliste, molto legate al territorio e in grado di consentire alle persone di pagare le tasse al Comune per poi controllare i servizi che riceve e l’uso che viene fatto di quelle somme. Il pericolo è che si riduca in qualche modo il

Cancellazione dell’Ici sulla prima casa, detassazione degli straordinari per i lavoratori dipendenti solo per quanto riguarda il comparto privato, rinegoziazione dei mutui sulla casa: le richieste del Family Day dove sono finite? provvedimento, famiglie comprese, ma è chiaro che le politiche familiari vere devono fare la differenza tra chi ha carichi familiari e chi non ne ha e in nessun modo si può confondere quello che è valido per le famiglie in quanto tali e quello che non lo è. Le politiche familiari sono questione molto seria e urgente e non è onesto far credere che l’Ici, gli straordinari e i mutui siano dedicati in maniera selettiva alle famiglie. Come ha sempre affermato il professor Pierpaolo Donati dell’Università di Bologna, le politiche familiari devono essere «distintive e promozionale» e chi non rispetta

a misura di famiglie e il Presidente della Repubblica ha trasmesso questa imponente “messe” ai Presidenti di Camera e Senato, che, a loro volta, hanno girato “il messaggio” alle rispettive Commissioni parlamentari competenti. Che fine farà questa sottoscrizione? Come e soprattutto quando verrà affrontato dal governo il quoziente familiare tanto sbandierato prima delle elezioni? Domande senza risposta. Intanto va registrato che il precedente

welfare municipale, quello più vicino ai bisogni e alle aspettative delle persone, mentre da molte parti si invoca un’inversione di tendenza rispetto ad uno Stato centralista e accentratore che tutto fa, tutto dispone e tutto gestisce.

E veniamo alla detassazione degli straordinari: sono esclusi il comparto pubblico, il settore sanitario, quello delle forze dell’ordine, i giovani che lavorano

con contratti atipici. Solo una parte dei lavoratori ne avrà un vantaggio: più precisamente su 17 milioni di lavoratori dipendenti, solo 4 milioni ne beneficeranno. Certo è meglio che niente, ma è poco se si pensa che ne potranno usufruire solo i lavoratori con un massimo di 30mila euro di reddito e un massimo di 3mila euro detassabili; per non parlare delle donne che nella stragrande maggioranza dei casi non potranno usufruire di questa opportunità, perché dovendo gestire e seguire una famiglia, difficilmente si potranno permettere straordinari sul lavoro. Le poche ore che sono a loro disposizione dopo aver lavorato, le dedicano alla cura dei loro familiari e ancora una volta nessuno si occupa dei loro specifici problemi, affrontando una buona volta il problema del part time. Per concludere, un decreto legge che lascia aperte una serie di interrogativi, trascura fette importanti di società e non risponde alle legittime aspettative di tante famiglie che con il Family Day n. 2 hanno voluto dare un contributo serio al dibattito in corso sul futuro della società italiana. Attese deluse, risposte incomplete, criteri discutibili, provvedimenti parziali. Speriamo che il Governo con la prossima Finanziaria faccia di meglio e di più. Noi saremo disponibili a dargli il nostro appoggio, ma a condizione che per prima cosa non spacci per politica familiare quello che familiare non è.

SEGUE DALLA PRIMA

Se Tremonti recita la parte di TPS

Ma non contento, Giulio ha scelto di occupare anche un altro spazio politico lasciato libero dal premier in altre faccende affaccendato: quello del consenso. E per riuscirci, il ministro dell’Economia non ha guardato per il sottile: si è messo i panni di Robin Hood e, scavalcando a sinistra la sinistra, ha preso ai ricchi (petrolieri, banche, detentori di stock options) per dare ai poveri (con la card ha addirittura evocato il bisogno di cibo, cosa che neppure un Diliberto si sarebbe mai sognato di dire). Ora, fermo restando che nel merito l’operazione non è condivisibile - come abbiamo già scritto su liberal - non si può non rimanere ammirati dal veloce cambio d’identità dell’autore del pamphlet “La paura e la speranza”, ma soprattutto dall’invasione di campo, visto che il terreno del populi-

di Enrico Cisnetto smo è tipico del Cavaliere e non del Tributarista, per quanto colbertista. Infine, altra questione di non poco conto sono i rapporti all’interno del Pdl e della maggioranza di governo. E qui, se abbiamo visto giusto, due sono le mosse: da un lato, avocando a sè il giudizio finale sulla spesa dei vari ministeri, con o senza portafoglio,Tremonti diventa il vero snodo dei rapporti politici, costringendo ministri e forze politiche a fare i conti con lui; dall’altro, sta mettendo fieno in cascina per gestire in autunno il federalismo fiscale, obiettivo irrinunciabile della Lega, che è bene ricordare ha una forza parlamentare decisiva sia alla Camera che al Senato. Naturalmente, come ci è già capitato di osservare, in tutto questo manca un ingrediente fondamentale: le politiche per la crescita eco-

nomica, di cui il Paese ha bisogno per uscire dalla stagnazione che due giorni fa è stata certificata dalla Confindustria per l’anno in corso e per buona parte del prossimo. Insomma, un piano straordinario di investimenti - e qui la linea anti-mercatista (sacrosanta) di Tremonti può tornare utilissima - per il quale le risorse possono essere reperite solo andando ad intaccare seriamente la dinamica della spesa corrente, che come ha segnalato la Corte dei Conti, continua a correre. Ma l’euro-garante Tremonti - scommettiamo - di questo tallone d’Achille è perfettamente consapevole. E allora i casi sono due: o ci mette rimedio, e si conquista la leadership sul campo come quello che ha messo fine alla maledetta “crescita zero”, oppure lascia che con questo fuoco si bruci le dita Berlusconi, e in questo caso a rischiare sarebbero entrambi, in solido. (www.enricocisnetto.it)


politica

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Torna la ”guerra civile” su giustizia e magistratura. Mentre l’inflazione è al 3,5 per cento

Lodo-Schifani e girotondi: ci risiamo di Riccardo Paradisi

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Caso Unipol: Csm assolve il gip Clementina Forleo Il gip di Milano Clementina Forleo è stata assolta dalla sezione disciplinare del Csm dall’accusa di aver violato i suoi doveri per i contenuti dell’ordinanza con la quale, nel luglio del 2007, chiese alle Camere l’autorizzazione all’uso di intercettazioni che riguardavano alcuni parlamentari nell’ambito della vicenda Unipol. La richiesta si riferiva all’ordinanza con la quale nel luglio 2007 chiese alle Camere l’autorizzazione all’uso di intercettazioni che riguardavano alcuni parlamentari, tra cui Piero Fassino e Massimo D’Alema.

Luce e gas, da luglio bollette più salate Il caro petrolio pesa sulle bollette degli italiani. Dal prossimo primo luglio, secondo quanto reso noto dall’Autorità dell’Energia, le tariffe aumenteranno del 4,3% per l’elettricità e del 4,7% per il gas. Dall’inizio dell’anno, i rialzi passano così all’8% per la luce e al 7% per il gas, livelli inferiori al 51% fatto segnare dal petrolio. E intanto la corsa del petrolio non si ferma: il greggio supera anche i 142 dollari al barile. A New York il greggio per le consegne ad agosto ha raggiunto 142,26 dollari. Record anche per il Brent a 142,13 dollari.

ROMA. Sul lodo Schifani bis approvato dal consiglio dei ministri ieri il guardasigilli Angelino Alfano auspica una grande convergenza di tutto il Parlamento. «Non c’è alcun nesso tra questo provvedimento e il decreto sicurezza», dice il ministro della Giustizia, e ci siamo mossi in piena concordanza con le indicazioni della Corte costituzionale: il lodo Schifani bis sarebbe dunque «un elemento di equilibrio in più verso un ordinato e sereno assetto tra i poteri dello Stato».

Ma sono lontani i tempi della grosse koalition tacita e del confronto costruttivo. Il baricentro dell’opposizione non è più il loft veltroniano ancora morbido sulla partita delle intercettazioni, s’è spostato nel più ruvido quartier generale dipietrista e persino nell’accampamento giacobino del girotondismo militante che si riaffaccia redivivo sull’immobile palcoscenico della politica italiana: Pancho Pardi, oggi senatore dell’Idv e Paolo Flores D’Arcais, direttore di MicroMega hanno già chiamato a raccolta ”tutti i cittadini democratici” per la manifestazione dell’8 luglio prossimo al Pantheon di Roma «contro la raffica di leggi canaglia con cui Berlusconi vuole distruggere il principio secondo cui la legge è uguale per tutti». Per i girotondisti a essere a rischio è addirittura la democrazia italiana: «A Berlusconi non basta il salvacondotto con l’emendamento ”blocca-processi”, ha voluto spingersi oltre, facendosi confezionare un’immunità totale», dice Pardi. Il timore dell’ala girotondina del-

l’opposizione è che il Cavaliere stia già preparando il terreno per salire al Quirinale «con la fedina penale pulita», «un’espugnazione della democrazia a suon di ’leggi canaglia’». Antonio di Pietro ha una maniera meno astratta di rappresentare il problema: lo schifani Bis è un mezzo per non far processare Berlusconi, «una via di mezzo tra Baffone e il mago Do Nascimiento. Da un lato usa il Parlamento a fini personali», dice Di Pietro, «dall’altro addormenta le coscienze con la disinformazione, i sorrisi, le cosce delle veline. Già una volta in Italia i rischi di regime sono stati sottovalutati».

Il Guardasigilli chiede l’ampio consenso del Parlamento sul ”salva premier”. L’opposizione, invece, parla di attentato alla democrazia Insomma dietro la maschera del trikster Berlusconi nasconderebbe il volto di un nuovo fascismo mediatico: suaviter in modo ma duro ed efficace nei passaggi di disarticolazione del sistema democratico. Se questi sono i toni e se così vede Di Pietro le cose il minimo che l’Italia dei Valori può fare è un referendum abrogativo non appena il disegno di legge sarà approvato dal Parlamento. La politica segue i principi della fisica e il Partito democratico dopo la rottura del patto di non bel-

ligeranza con il Cavaliere torna ad essere attirato nel riattivato campo magnetico dell’antiberlusconismo. Non usa la stessa asprezza di toni dei Flores D’Aracais, dei Di Pietro e dei Pancho Pardi il partito di Walter Veltroni ma sul ”salva premier”, pur senza turgori, non concede nulla alla maggioranza, anzi chiarisce che qualunque discussione sul lodo Schifani deve vedere prima il ritiro dell’emendamento sulla sospensione processi contenuto nel decreto sicurezza. La condizione posta dalla presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro è poi che il decreto dovrebbe «valere dalla prossima legislatura». Insomma il Pd non è contrario a ragionare sullo strumento «ma non può essere chiesto e imposto dal presidente del Consiglio per un procedimento a proprio carico pendente che andrà a giudizio nel giro di pochi mesi».

Non paventa il pericolo fascista, né grida alla legge ad personam il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, piuttosto domanda se la legislatura debba annodarsi sulla guerra tra poteri dello Stato: «Non è scandalosa l’immunità per le alte cariche dello Stato, c’è in altri paesi. Quello che è scandaloso è che in Italia, a due mesi dalle elezioni, parliamo di questo tema e non dell’ aumento del costo della vita che è al 3,5 per cento». In effetti all’inizio della legislatura le grande priorità indicate dalle attuali maggioranza e opposizione erano le riforme e la lotta alla stagnazione. Sembra un secolo fa.

Impronte ai rom. Veltroni: «Inaccettabile» Dopo il no dell’Ue alle impronte digitali per i bambini rom, è arrivato anche quello del segretario del Pd, Walter Veltroni che ha parlato a margine della prima assemblea di Sinistra democratica. «Questo contrasta con la normativa europea e con qualsiasi elementare ragione di umanità. Stiamo parlando di bambini di 6-7 anni che dovrebbero essere costretti in ragione della loro identità a mettere le loro impronte digitali. Ci sono altri modi per controllare e controllare soprattutto che le famiglie non sfruttino questi bambini. L’idea di dividere i bambini in base alla loro identita’ mi sembra un altro passo verso il baratro. E l’ Europa si è preoccupata di richiamare l’ Italia»

«Senza carabinieri non partorisco». Arriva la pattuglia e nasce una bimba Una donna di 40 anni ha preteso la presenza dei militari prima di sottoporsi al parto cesareo. Il comandante della Compagnia: «È stata una crisi d’ansia, l’abbiamo accontentata»

Caso Orlandi: Renatino De Pedis via da Sant’Apollinare La tomba di Enrico ”Renatino” De Pedis non sarà più all’interno della chiesa di Sant’Apollinare a Roma. A nome della famiglia del boss della Banda della Magliana che si dice abbia avuto un ruolo nella sparizione 25 anni fa di Emanuela Orlandi, l’avvocato Lorenzo Radogna, intervenendo in un tg, ha spiegato: «Il corpo di Enrico De Pedis sarà cremato e trasferito altrove. E’ questa la volontà della famiglia, che dopo tanti anni intende mettere fine a questa storia». Intanto continua l’indagine sul sotterraneo di via Pignatelli, nella zona della Gianicolense a Roma, indicato dalla superteste Sabrina Minardi - ex compagna di De Pedis - come il nascondiglio segreto di Emanuela Orlandi. Dietro ad un muro, gli agenti hanno scoperto un angusto locale e un minuscolo bagno che potrebbero essere stati la cella della quindicenne. Da oggi inizieranno le analisi sugli oggetti trovati nella presunta prigione: grazie alle nuove tecniche d’indagine, la scientifica spera di rintracciare tracce biologiche e compararle con il Dna ricavabile dalla sorella di Emanuela.


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geopolitica

L’Opec si spacca di fronte alle richieste di maggiore produzione. E non basta l’egemonia dell’Arabia Saudita a garantire un equilibrio interno

La guerra del petrolio di Strategicus ttualmente l’Opec controlla circa il 40 per cento della produzione internazionale di greggio: circa 34 milioni di barili di petrolio al giorno. In passato la forza dell’organizzazione era quella di avere in mano buona parte delle riserve petrolifere conosciute al mondo. Ancora oggi i cinque grandi produttori di petrolio del Golfo Persico producono 22 milioni di barile al giorno, circa un quarto della domanda mondiale di petrolio. Proprio l’impatto geoeconomico dei Grandi non-Opec del petrolio ha rivoluzionato il mercato del greggio, ponendo una prima seria insidia al primato dell’Opec.

A

Opec evidenziano la tendenza al rialzo per soddisfare la sempre crescente domanda interna. Qui però si ferma il potere dell’Opec. Dal lato interno, soffre ormai da anni di dispute nazionalistiche, soprattutto visti gli alti prezzi del petrolio, e di visioni connesse alle “grandi strategie” nei rapporti con la superpotenza globale: gli Stati Uniti. Da una parte c’è il fronte composto da Arabia Saudita, Qatar e Kuwait è favorevole a mantenere il petrolio legato al dollaro

rimento dal dollaro all’euro. A Tripoli si guarda alla nascita del primo hub dell’Europa, affiancando in un’ottica di medio periodo la Federazione Russa. Ma sul versante esterno, l’Opec, oltre a garantire un buon livello di offerta, può fare ben poco in termini di controllo dei prezzi del petrolio. Ciò per diversi fattori. Primo, il cartello dei Paesi esportatori, stabilendo quote di produzione di petrolio, influisce in modo indiretto sulla variabile “prez-

re, aggiunge un parametro essenziale d’incidenza sul livello dei prezzi. Infatti, la capacità produttiva non utilizzata può essere resa disponibile in caso di crisi determinata dal blocco di offerta di uno o più Paesi esportatori, riequilibrando di fatto il mercato. Non a caso, i più alti ribassi del prezzo del petrolio si sono registrati durante le fasi di alta capacità produttiva inutilizzata. Tale capacità, inoltre, è oggi in fase crescente nel mondo, assottigliando sempre più il ruolo strategico dell’Opec.

Le potenze mediorientali controllano soltanto il 40 per cento dei giacimenti mondiali. E l’aggressività di Russia e Venezuela rende ancora più difficile fare interventi per frenare i prezzi

Così l’organizzazione si trova a fronteggiare mercati quali quello della Federazione Russa (9,7 milioni di barili al giorno), degli Stati Uniti (7,4 milioni), del Messico (3,7 milioni, della Cina (3,7 milioni), del Canada (3,2 milioni) e della Norvegia (2,8 milioni). Complessivamente questi sei Paesi registrano un livello di produzione di ben 30,5 milioni di barili al giorno. Analizzando attentamente le caratteristiche geopolitiche di tali Paesi, l’Opec mantiene ancora una certa superiorità. Innanzitutto, guardando allo stato attuale delle tecnologie di estrazione, quasi il 65 per cento delle riserve provate di greggio si trovano in 5 Paesi del Golfo Persico: Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Iran. Inoltre, mentre gli Stati non-Opec consumano la maggior parte del petrolio che producono, quelli Opec hanno esportato più di quanto hanno estratto. Anzi, le ultime stime sui livelli di importazione dei Paesi produttori non-

e, in caso di necessità, ad aumentare la produzione. Cosa che già è stata fatta a seguito dei proclami durante l’ultimo G8 tenutosi in Giappone. Dall’altra parte, il fronte composto da Iran, Venezuela e Libia. Con i primi due Paesi in proiezione apertamente anti Usa e, in pratica, anti Cina, che è il principale detentore di bond americani e, di fatto, il principale finanziatore del deficit di bilancio americano. La Libia, che non a caso ha paventato un calo della produzione, l’Iran e il Venezuela vorrebbero il cambio di moneta di rife-

zo”. Inoltre, i Paesi Opec hanno reso il sistema del cartello assai precario. Nella storia recente, uno dei fattori chiave nell’alimentare la sovrapproduzione petrolifera e i successivi crolli dei prezzi è stato proprio il tentativo – da parte dei produttori Opec – di aggirare le regole interne, vendendo sotto banco volume di petrolio superiori a quelli previsti dalle quote ufficiali. Secondo, nel 2006, la domanda mondiale di petrolio è stata di 84,5 milioni di barili contro una capacità produttiva di 87. Ciò, oltre a dimostrare che l’era del petrolio è ben lontana dal termina-

A corroborare tale fase decrescente dell’Opec, occorre precisare che negli ultimi 25 anni, il consumo di petrolio ha registrato un modesto tasso di crescita medio, pari all’1,6 per cento l’anno e che le riserve conosciute sono in fase di crescita. Inoltre, gli alti livelli del petrolio hanno portato un’ondata di investimenti per migliorare la tecnologie estrattive. Quest’ultimo aspetto è cruciale se pensiamo che il tasso di recupero medio per il petrolio è dell’ordine del 35 per cento, cioè soltanto 35 barili su 100 conosciuti possono essere portati in superficie, dei quali solo una parte è immediatamente commercializzabile.

Quei barili di carta che infiammano la speculazione di Maurizio Sgroi

ROMA. Il governatore della Bce, Jean-Claude Trichet, ha dichiarato che la speculazione c’entra poco con il rincaro del greggio. Il problema è lo squilibrio fra domanda e offerta. Senonché una commissione parlamentare americana ha certificato che dal 2000 a oggi la quota di contratti future di taglio speculativo sul Nymex è passata dal 37 al 70 per cento. Gli operatori finanziari, quindi, hanno raddoppiato la loro esposizione sui future. A fronte di ciò il prezzo del greggio è più che sestuplicato. Delle due l’una: o Trichet fa volutamente l’ingenuo, mentre annuncia però nuovi rincari dei tassi, o gli americani diffondono informazioni esagerate. Per saperlo, basterebbe vietare l’uso dei future alle istituzioni non petrolifere, quindi alle banche e ai fondi, e poi vedere il risultato. Ma questo non succederà. I

grandi investitori non saprebbero più dove mettere i soldi, dopo la crisi della finanza derivata e strutturata, se si vietasse loro di speculare sulle materie prime. Gira tanta di quella liquidità nel mondo che bisogna pur trovare degli impieghi. Esemplare il caso dei Paesi arabi, grandi creditori dell’Occidente insieme con Cina e Giappone. Qualche giorno fa è stato diffuso un dato rimarchevole: gli incassi da petrolio per l’area mediorientale sono aumentati di oltre il 70 per cento nel 2008, superando i 630 miliardi di dollari. E si prevede che nel 2009 supereranno i 650. Con il petrolio ai 150-170 dollari al barile – come preconizzato dal presidente dell’Opec, Chakib Khelil – gli incassi dei Paesi mediorientali supererebbero i 1.400 miliardi di dollari in due anni. Un record assoluto. Ma dove andrà a scorrere questo fiume di ricchezza? Da New York si vocifera che le compravendite più corpose di


geopolitica

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A New York il greggio schizza a quota 142,26

L’Opec sfida Trichet per rafforzare il dollaro di Serena Mattei

ROMA. Con il petrolio che continua la sua corsa sopra i 140 dollari, per l’Europa non è poco aver riaperto un dialogo sull’energia con la Federazione russa. E che si spera si concretizzi in un rapporto più virtuoso sulle forniture quando a luglio – come hanno annunciato ieri, non a caso nel centro petrolifero di Khanty-Mansijsk, i rappresentanti di Ue e Mosca – si inizierà a stilare il nuovo accordo di partneriato tra le due aree. Anche perché il Vecchio continente è finito – forse suo malgrado – nel mirino dell’Opec. Il presidente Chakib Khelil, per recuperare quello che non ha ottenuto con i mancati tagli della Fed, ha intimato alla Bce di ponderare ogni aumento dei tassi d’interessi. In relazione al previsto ritocco di luglio, Khelil ha spiegato: «Il prezzo del greggio non farà altro che aumentare». Una responsabilità non da poco per un’Europa, dove il greggio incide per un terzo sulla crescita del Pil. Il pressing è sempre più forte, mentre l’oro nero ha toccato ieri a New York anche i 142,26 dollari al barile. E così si capisce che in questa guerra del petrolio – accanto all’aumento della domanda e alle speculazioni – si registra una nuova incognita: l’atteggiamento dei produttori mediorientali sempre più insofferenti per le perdite in termini reali, registrate nelle transazioni con un dollaro sempre più debole. Di conseguenza anche un taglio dei tassi dalla Bce, che svilirebbe il peso del biglietto verde. Gli operatori prevedono quotazioni sempre più alte. Ma il propellente principale non sarà la variabile monetaria. «Non è che se la Bce a luglio abbassa i tassi, il greggio scende. Quindi, non è che alzandoli, aumenti l’ascesa del petrolio, legata ad altre componenti come l’instabilità e volatilità dei mercati finanziari che ha reso più attraente i settori dell’oro nero e delle commodity come asset alternativi», osserva Robert Baron, amministratore delegato di Deltaforex. Tuttavia, «se il biglietto verde dovesse aumentare di valore», ammette, «una materia prima come il petrolio quotato in dollari potrebbe indebolirsi. Ma questa è una prospettiva non a breve termine». Così torna nel mirino la Fed. Questa settimana, il presidente Ben Bernanke ha tradito le attese di un rialzo, mantenendo i tassi invariati al 2 per cento. Mossa che ha lasciato libere le redini al

dollaro ed il petrolio è tornato in tensione. «Dopo la scelta della Fed di lasciare invariati i tassi, il petrolio in tre giorni è salito da 132 a 142 dollari a barile (+10 per cento)», commenta Enrico Nicoloso, responsabile analisi tecnica di Intermonte. Ma lo stesso ragionamento si potrebbe fare per la Bce. «Se Trichet comincerà a fare discorsi restrittivi che condizionino il mercato», precisa Nicoloso, «porterebbe a un balzo dell’euro, alla flessione del dollaro, e quindi al petrolio in salita. Studi sui fondamentali parlano di 175/200 dollari». Per Alessandro Capuano, responsabile del desk italiano di IG Markets «le dichiarazioni di Khelil non hanno senso in termini di mercato. Ma come minaccia politica sì». Il presidente del cartello sta giocando la carta del taglio alla produzione. «Un incremento dei tassi euro», spiega Capuano, «non fa bene ai Paesi arabi, perché hanno molti asset in dollari, nonostante abbiano diversificato e cominciato adusare l’euro come valuta d’investimento. In sostanza, è come dire: se tu rialzi i tassi, io taglio la produzione. Allora, il petrolio sale». Un ricatto. Ma un taglio della produzione secondo gli operatori non è in vista, a prescindere dalle scelte di Trichet. E malgrado la minaccia della Libia, che ha ventilato la possibilità di tagliare la produzione, perchè il mercato – dicono i vertici della compagnia nazionale Noc – è «sufficientemente rifornito».

Il timore dell’area mediorientale è l’inarrestabile indebolimento del biglietto verde, che riduce di gran lunga i guadagni

ordini su contratti Wti, il greggio che si tratta al Nymex, arrivino proprio da Paesi arabi.Vero o falso, chi può dirlo. Ma d’altronde non è peregrino pensare che gli sceicchi, dopo l’ennesimo grattacielo e la solita collezione di Ferrari, non investano in questa direzione la tanta liquidità. Qualunque consulente consiglierebbe di speculare a breve sul petrolio. Magari dopo aver investito, come è stato dopo la crisi subprime, su importanti pacchetti azionari delle grandi banche americane. Così hanno fatto, su Citigroup, sia persone fisiche, come il principe saudita Al Waleed Bin Talal con Citigroup, sia fondi sovrani come l’Abu Dhabi Investment Authority dell’emirato del Golfo. Sicché il dissesto della finanza occidentale, provocato dal debito facile, viene rattoppato dal credito facile concesso a caro prezzo dal mondo mediorientale. A cui conviene, a questo punto, lasciare correre le quotazioni del greggio per garantirsi la difesa del valore reale dei propri crediti. Così come agli americani conviene deprezzare il dollaro per alleggerire il peso reale dei propri debiti. Il miglior modo per riuscirci è attizzare il fuoco, magari giocando con i barili di carta della speculazione a/con Wall Street.

A rompere le uova nel paniere c’è l’Arabia saudita che spinge in senso opposto spalleggiata dagli Usa. E le guerre interne all’Opec non fanno bene ai prezzi. «In assenza di una posizione unitaria all’interno del cartello tutto resta in mano al mercato», osserva Capuano, «squilibrato per la fame di energia di Usa, India e Cina». La stima di 170 dollari a barile si potrebbe realizzare in tre, quattro mesi, per IG Markets. Dopo, la corsa dovrebbe fermarsi: è previsto un ritracciamento a 120-135 dollari. Poi il rally fino a 200 dollari nel giro di un anno. Per Deltaforex, l’oro nero ha già messo a segno i maggiori rialzi, ma sarà possibile un ritocco dei massimi. Finché non cambia la politica energetica Usa, gli operatori non vedono speranze. Con un occhio, però, al voto. La statistica è bizzarra: con i Democratici il dollaro è forte, con i Repubblicani debole.


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mondo

Dopo una lunga fase di transizione iniziata con la malattia di Fidel, ora a Cuba il trapasso dei poteri sembra essersi compiuto. Raul Castro, nella foto, fratello minore del caudillo dell’Avana, non riesce però a darsi una strategia chiara. Tra i molti gruppi al servizio del nuovo potere, alcuni agiscono con l’idea di cadere in piedi al momento del crollo del regime comunista. Sempre più complesso capire quello che bolle in pentola nell’isola caraibica

All’abolizione delle sanzioni Ue non corrisponde la volontà riformatrice di Raul Castro

Cuba, dove va il leader minimo? di Aldo Forbice on è ancora del tutto chiaro perché i ministri degli Esteri dei 27 paesi della Ue abbiano deciso di revocare le sanzioni a Cuba. Certo la decisione è stata presa su pressione della Spagna di Zapatero che aveva promesso al regime castrista una linea più morbida, almeno rispetto a quella americana che rimane intransigente. L’obiettivo spagnolo è di incoraggiare il graduale processo riformista che il timido 77enne Raul Castro si sforza di portare avanti, nonostante che il pugno di ferro del fratello Fidel si faccia sempre sentire. All’interno della Ue non erano favorevoli all’apertura buona parte dei paesi che hanno conosciuto il comunismo sulla loro pelle, insieme alla Germania e alla Svezia, che avevano espresso forti perplessità. L’Italia si è ritrovata stranamente allineata alla posizione spagnola, che cerca di incoraggiare la transizione democratica di Cuba. Ma fin’ora i segnali di cambiamento sono stati deboli, anzi debolissimi. Ad esempio, a cinque anni dalla fortissima repressione degli oppositori politici si riteneva che il nuovo presidente rilasciasse almeno i 58 dissidenti ancora in carcere: 55 fanno parte del gruppo di 75 dissidenti arrestato nel marzo del 2003. Accusati di aver «agito contro l’indipendenza dello Stato», per avere ricevuto

N

fondi e materiali da istituzioni Usa, con l’obiettivo di «svolgere attività sovversive e dannose». L’attività “sovversiva” consisteva che alcuni dissidenti avevano scritto articoli o rilasciato interviste a giornali americani, altri avevano semplicemente mantenuto contatti con organizzazioni di tutela dei diritti umani o con gruppi ritenuti ostili al governo cubano. I 75 dissidenti vennero condannati a pene variabili tra 6 e 28 anni, al termine di processi sommari in cui i diritti della difesa non sono stati rispettati. Fra i condannati vi era Marcelo Cano Rodriguez, difensore dei diritti umani prelevato dalla polizia nel

non solo dall’onnipresente fratello, ma anche dai fedelissimi del regime (militari,ministri e capi del partito comunista) non ha fin’ora attuato alcun significativo cambiamento .E come potrebbe in quella struttura di potere così rigida, centralizzata ed ora strettamente legata agli interessi della Cina e del Venezuela di Hugo Chavez?

Attualmente il vertice è costituito, oltre che da Raul, da tre potenziali papabili per un effettivo dopo Fidel e un dopo Raul: Felipe Pèrez Roque, attuale ministro degli Esteri, Carlos Lage Devila, influente diri-

La decisione dei ministri degli Esteri europei trova fondamento in una pretesa democratizzazione del regime castrista di cui però non si riescono ancora a intravedere i primi passi 2003 mentre indagava sull’arresto di un altro dissidente (Jorge Luis Garcia Paneque). Condannato a 18 anni di carcere con l’accusa di visitare i prigionieri politici e tenere rapporti con Medici senza frontiere, una organizzazione considerata “sovversiva”dal regime castrista. L’Ue ha eliminato le sanzioni anticubane senza alcuna concessione, neppure minima. Il burosauro comunista Raul Castro, fortemente condizionato

gente del partito comunista cubano e Ricardo Alarcòn, attuale numero tre del regime. Presidente dell’Assemblea nazionale. Sono uomini ambiziosissimi e potenti che stanno organizzando gruppi di sostenitori e alleanze interne ed esterne per garantirsi una posizione più forte, anche dopo la dittatura dei Castro. Nel frattempo si mostrano fedeli esecutori delle direttive del regime, ma qualcuno già lavora per sbocchi po-

litici diversi. Gli Usa si mostrano palesemente infastiditi dalle posizioni moderate di Bruxelles. Ha osservato Tom Casey, portavoce del Dipartimento di Stato: «Abbiamo notato piccoli cambiamenti cosmetici fatti dal regime ma non vediamo la rottura con la dittatura di Castro. Qualcosa che ci dia motivo per credere che è tempo di abolire le sanzioni». Decisamente critici tutti i dissidenti, sia chi opera a Miami che la diaspora europea. Per non parlare di chi ancora marcisce nelle carceri dell’isola caraibica. Non è chiaro perché il nostro ministro degli Esteri si sia lasciato andare a dichiarazioni trionfalistiche ed eccessivo ottimismo su un cambiamento in tempi brevi. Franco Frattini ha affermato che l’abrogazione delle sanzioni prevede una «condizionalità politica», cioè il rilascio dei detenuti politici e la possibilità di incontrare a l’Avana i rappresentanti dell’opposizione al regime. Ma, si chiedono giustamente i dirigenti della resistenza cubana quali dissidenti è possibile incontrare se buona parte si trova in carcere o nei “campi di lavoro”castristi e il resto è in esilio in diversi paesi europei e americani senza poter rientrare in patria? E allora è inevitabile porsi la questione della fretta con cui le sanzioni si vo-

gliono abolire, senza nemmeno puntare a visibili contropartite da parte del regime?

C’è solo da augurarsi l’esistenza di qualche patto riservato con cui si attenui la repressione contro i dissidenti e si concedano delle libertà, anche solo per i “navigatori” di Internet. Per il momento non possiamo non registrare i giudizi fortemente critici di dissidenti come Armando Valladares, poeta cubano che ha trascorso vent’anni nelle carceri del regime. «Non credo ai cambiamenti», dice». «Raul è un criminale come il fratello. Anzi ultimamente c’è stato un giro di vite.Cuba due settimane fa si è impegnata firmando all’Onu un protocollo sui diritti umani. Una settimana dopo, alcuni dissidenti sono stati selvaggiamente picchiati nelle strade de l’Avana. Distribuivano volantini con la riproduzione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La dittatura quindi continua». Ma continua anche la lotta dell’opposizione, più diffusa fra i cubani e soprattutto fra i giovani. Il regime ora ha paura, è sempre più allerta: colpisce con la mano pesante il dissenso quando lo ritiene pericoloso per la stabilità del sistema. Ma dei cambiamenti ipotizzati da Bruxelles, un passo verso la transizione democratica, neppure l’ombra.


mondo

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Parte dalla Conferenza globale sul futuro della chiesa anglicana la protesta contro la linea di Canterbury

La sfida del secolarismo militante di Silvia Marchetti

d i a r i o LONDRA. In casa anglicana scoppia la polemica tra liberal e tradizionalisti e più che una lotta potrebbe rappresentare un punto di non ritorno. Da una parte c’è la corrente conservatrice che si oppone al rilassamento dei costumi ecclesiali e alle unioni omosessuali, dall’altra quella progressista che vorrebbe ammorbidire la dottrina adattandola alle trasformazioni del mondo esterno. Ma questa divisione interna alla Chiesa anglicana, che ne sta mettendo a rischio l’unità, non riguarda soltanto i valori. È uno scontro geo-politico che investe i rapporti di forza tra il Sud e il Nord dell’anglicanesimo; tra l’Occidente - per i conservatori ormai “corrotto” e deviato - e il Terzo Mondo,eticamente “più solido”, dove vive oggi la maggioranza degli anglicani. In questi giorni si sta svolgendo a Gerusalemme la conferenza mondiale della Chiesa anglicana voluta da mille dissidenti anglicani e alla quale partecipano 250 vescovi conservatori provenienti da Africa, Asia e America Latina, uniti dal desiderio di rinnovare l’anglicanesimo riportandolo alle origini. I tradizionalisti hanno già annunciato che diserteranno la conferenza decennale di Lambeth che si aprirà il 16 luglio a Canterbury, nel Kent, dove questa volta si riuniranno i vertici liberal della Chiesa anglicana occidentale, ossia americani, canadesi e inglesi. A fare gli onori di casa sarà l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, a capo della Chiesa anglicana, ovvero Chiesa d’Inghilterra, fondata nel sedicesimo secolo con lo scisma di Enrico VIII. I conservatori lo accusano di non essere abbastanza severo su certe tematiche, quali il matrimonio tra preti, soprattutto i preti gay.

Andiamo con ordine. I contrasti originano cinque anni fa, nel 2003, quando l’americano Gene Robinson diventa il primo vescovo gay della Chiesa anglicana a essere consacrato. Poco tempo fa Gene si spinge oltre e sposa il suo compagno, prima con rito civile e poi sull’altare.Viene allontanato dalla Chiesa e l’arcivescovo di Canterbury, nonostante le suppliche di Robinson, si rifiuta di riconoscere le sue nozze. Ma l’arcivescovo Rowan, non prendendo una posizione né decisa né decisiva contro i matrimoni omosessuali all’interno della Chiesa, scatena la nascita di una fronda interna che lo accu-

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g i o r n o

Zimbabwe, G8 contro Mugabe La cattedrale di Canterbury. Sotto, a sinistra, l’arcivescovo Rowan Williams, a destra, Michael Nazir-Alì

Ieri, giorno del ballottaggio-farsa fra Mugabe e sé stesso, la risposta della comunità internazionale è arrivata in concomitanza con la riunione dei capi delle diplomazie del G8. I ministri degli Esteri del gruppo degli Otto, hanno dichiarato che non legittimeranno il governo zimbabwese disapprovando la «violenza sistematica, l’ostruzionismo e l’intimidazione» delle autorità zimbabwesi contro i sostenitori dell’opposizione. «Non accetteremo la legittimità di qualsiasi tipo di governo che non rifletti il volere del popolo zimbabwese», hanno ribadito in un comunicato congiunto al termine dei colloqui a Kyoto. Forte preoccupazione anche dal titolare della Farnesina, Franco Frattini, in Giappone per il vertice del G8, che ha annunciato di voler proporre agli altri membri della Ue di richiamare i loro ambasciatori dallo Zimbabwe per protesta contro le violenze elettorali nel Paese.

Ibarretxe sfida Zapatero, voto in ottobre

sa di “chiudere gli occhi”. Robinson non è stato invitato alla conferenza dei liberal a Lambeth, ma ciò non è bastato a calmare i conservatori, infuriati per un altro evento poco piacevole. Alcuni giorni fa, in una piccola chiesa medievale nella campagna inglese, si è consumata un’unione gay tra due preti con tanto di incenso, coro, salmi recitati e scambio di fedi. Anche se il pastore che ha officiato il rito lo ha fatto senza il permesso del suo superiore, per i tradi-

Michael Nazir-Ali,vescovo di Rochester, chiede di rievangelizzare il mondo occidentale zionalisti è stata la prova definitiva che i liberal inglesi hanno smarrito la via della fede. Quella stessa fede che nel corso dei secoli hanno esportato nelle colonie d’oltreoceano e dalle quali potrebbe ripartire una svolta etica dell’anglicanesimo. Il problema della Chiesa anglicana è proprio l’eccessiva autonomia riconosciuta a ogni comunità locale, oltre alla tradizionale apertura mentale sulle questioni teologiche. I conservatori anglicani oggi vedono la madre-patria Inghilterra come il centro della corruzione spirituale e chiedono un’inversione di rotta, altrimenti sono pronti a creare una “Chiesa dentro la Chiesa” che chiuda le porte ai gay e stabilisca regole e dottrine più severe. I tradizionalisti non vogliono parla-

re di scisma e si limitano a invocare una riforma in tempi stretti della Chiesa anglicana.

Dalla platea di Gerusalemme il pakistano Michael Nazir-Ali, (figlio di un musulmano convertito al cristianesimo, vescovo di Rochester e nel 2002 già“alternativo”a Williams ad assuemere la carica a Westminister), campione dell’ortodossia anglicana in Gran Bretagna e in piena sintonia con il pensiero di Papa Ratzinger, chiede sanzioni severe contro i preti che tollerano l’omosessualità perché chi è gay non può indossare la tunica e la Chiesa non può consacrare le nozze tra persone dello stesso sesso. I tradizionalisti guardano a Nazir-Ali come il leader di un movimento “purificatore” che sposti il bacino del potere anglicano verso i Paesi africani e asiatici. Il loro obiettivo è instituire a breve un nuovo collegio per rappresentare il crescente ruolo delle diocesi del Terzo mondo. In segno di protesta contro la deriva liberal della Chiesa perfino alcuni preti americani antigay si sono affiliati a parrocchie più tradizionaliste nel continente africano. I conservatori anglicani sanno di rappresentare 35 milioni di fedeli e in occasione del summit di Geruslamme hanno già stampato il loro manifesto teologico. Intitolato “La via, la verità e la vita”: un documento teologico che affronta le questioni più delicate dell’anglicanesimo per le quali gli antiprogressisti chiedono riforme immediate.

Il parlamento dei Paesi Baschi ha autorizzato il referendum sull’autodeterminazione, che il capo dell’esecutivo regionale, Ibarretxe, vuole indire per il prossimo 25 ottobre, nonostante l’opposizione del governo centrale guidato da Zapatero che considera illegale la consultazione popolare e che si rivolgerà alla Corte costituzionale. Secondo Ibarretxe, il referendum risolverà il conflitto che dura da quarant’anni con l’Eta nella regione settentrionale spagnola. Due i quesiti referendari per i 2 milioni di residenti: sulla fine negoziata alle violenze dell’Eta sull’esercizio del diritto a decidere del popolo basco.

Russia e Bielorussia, moneta unica Entro l’anno Russia e Bielorussia adotteranno una moneta comune: il rublo. Lo annuncia il Segretario di Stato della cosiddetta “Unione statale russo-bielorussa”, Pavel Borodin, nel corso della sessione del Consiglio dei Ministri dell’Unione. Dopo alcuni anni di stallo, ora che il Cremlino è passato nelle mani di Dmitry Medvedev e che Vladimir Putin è anche “premier” dell’Unione Russia-Bielorussia, il progetto di andare verso una entità federativa vera e propria potrebbe prendere corpo. E l’unione monetaria potrebbe essere il primo vero passo concreto verso la nascita di un unico Stato.

Polo Nord, prima estate senza ghiaccio Per la prima volta nella storia dell’umanità questa estate al Polo Nord potrebbe non esserci traccia di ghiaccio. Lo scioglimento dello spesso strato ghiacciato dal Mar Artico sarà l’esempio più drammatico dell’impatto del surriscaldamento globale sul pianeta. È quanto scrive l’Independent citando in esclusiva dati forniti dagli esperti. Dati assai più allarmanti di quanto scritto pochi giorni fa dal National Geographic, secondo cui la scomparsa dei ghiacci artici si sarebbe verificata non prima dell’estate 2013. Dalle immagini satellitari si può notare che per la prima volta il Polo è ricoperto per il 70% solo da uno strato sottile di ghiaccio che si è formato nell’ultimo anno e non più dalla spessa calotta ghiacciata, creatasi negli anni, e che riusciva a resistere anche durante l’estate.

Sinistra tedesca contro Trattato Ue La Sinistra tedesca (Die Linke) ha fatto ricorso presso la Corte costituzionale contro il trattato di Lisbona, denunciando che il documento viola il principio democratico ed i diritti del Parlamento. Il Partito guidato da Oscar Lafontaine ha depositato due ricorsi: uno riguarda la divisione dei poteri tra i principali organi e cariche dello Stato, quali il Parlamento, la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica; l’altro riguarda la presunta violazione dei diritti dei parlamentari. Il Trattato è già stato approvato in Germania, prima dal Bundestag il 24 aprile scorso e poi dalla Camera dei rappresentanti regionali tedesca, il Bundesrat, il 23 maggio.


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speciale bioetica

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I temi bioetici, rimossi dall’ultima campagna elettorale, sono pronti ad esplodere in questa legislatura

LO SCONTRO SARÀ SULLA LEGGE 40 di Assuntina Morresi n lungo elenco di priorità: potrebbe sembrare una contraddizione di termini, ma in realtà questa espressione descrive bene l’agenda politica per quanto riguarda i cosiddetti temi “eticamente sensibili”. Legge 194 sull’aborto, legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, e poi le tematiche di fine vita, i test genetici prenatali ed il rischio di derive eugenetiche, il problema dei malati cronici e terminali, e ancora la ricerca scientifica e la questione delle biobanche, e si potrebbe continuare ad elencare problematiche aperte e ancora tutte da affrontare e definire, come ad esempio le terapie innovative ed i nuovi farmaci, il cui regolamento entrerà in vigore il primo gennaio 2009. Tematiche imposte dal continuo progredire della scienza e della medicina, che la politica non ha scelto ma si trova costretta ad affrontare. Su alcune si è riusciti a raggiungere un ampio consenso, pur nelle

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zione. Proprio in uno degli argomenti che più ha lacerato l’opinione pubblica da trent’anni a questa parte, e cioè la legalizzazione dell’aborto, c’è quindi un’inaspettata convergenza sostanzialmente di tutte le forze politiche, con poche eccezioni.

Parlare di “piano per la vita” o di “politiche per la vita” adesso è possibile, senza per questo essere accusati di voler sabotare la legge: sono slogan che possono ben riassumere strategie condivise fra maggioranza e opposizione, per raggiungere quello che è oramai dichiarato un comune obiettivo, sicuramente ideale, ma non per questo irraggiungibile: aborti tendenzialmente a zero. Per quello che riguarda le tematiche di fine vita, invece, l’accordo è sulla contrarietà a qualsiasi forma di regolamentazione dell’eutanasia; nella grande maggioranza, i parlamentari italiani di entrambe gli schieramenti non sono intenzionati ad aprire

A colpi di sentenze si stravolge il testo di legge votato in Parlamento profonde diversità degli schieramenti politici e degli orientamenti culturali. Su altre si potrebbero individuare percorsi comuni, o quantomeno condividere alcuni obiettivi. Ci sono invece degli ambiti in cui le posizioni sono talmente distanti che evitare lo scontro è praticamente impossibile. La legge 194, è un esempio del primo caso: nessun partito politico ne prevede la modifica nel proprio programma, e tutti parlano di una sua più corretta applica-

un dibattito sull’opportunità o meno di legalizzare l’eutanasia. Unanime poi è la volontà di promuovere le cure palliative e la presenza di hospice sul territorio, per la presa in carico dei malati terminali. Il contrasto c’è invece a proposito di “testamento biologico”, fra chi pensa che una legge per istituirlo sia necessaria e chi invece la ritiene superflua, quando non pericolosa perché introdurrebbe in modo surrettizio procedure in qualche modo eutanasiche.

Totale il disaccordo, invece, su aspetti direttamente correlati alle problematiche relative alle nuove tecniche di fecondazione in vitro, e alla tecnoscienza in generale. I detrattori della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita in questi anni hanno continuato a richiedere a gran voce l’introduzione della diagnosi preimpianto, allo scopo di selezionare gli embrioni portatori di malattie genetiche, per scartarli e per consentire di trasferire in utero i“migliori”, cioè quelli sani; come naturale conseguenza si chiede anche di eliminare il limite massimo dei tre embrioni da impiantare contemporaneamente in utero, e si vorrebbe introdurre nella normativa la possibilità di creare un numero superiore di embrioni consentendo poi il congelamento di quelli non utilizzati. In altre parole, coloro che da sempre si oppongono alla legge 40 stanno cercando di smontarne il testo, riproponendo, di fatto,le problematiche sollevate dai quattro quesiti referendari votati nel giugno 2005, incuranti della travolgente sconfitta subìta. In questo senso gli attacchi più consistenti alla legge 40, soprattutto negli ultimi mesi, sono venuti dai tribunali – vedi soprattutto il recente pronunciamento del Tar del Lazio, che ha chiamato in causa di nuovo la Corte Costituzionale: è preoccupante come a colpi di sentenze si stia cercando di stravolgere un testo di legge votato e approvato da un’ampia maggioranza parlamentare, e soprattutto confermato da un chiaro risultato referendario. Un’astensione dal voto delle proporzioni di quella di tre anni fa, è stata il risultato di una intensa e combattutissima campagna informativa, capillare, condotta soprattutto sul territorio.

È bene ricordare che mentre la stragrande maggioranza dei media – dal Corriere della Sera, a Repubblica, alle decine e decine di testimonial del mondo dello spettacolo e della cultura – era compattamente schierata per i quattro si – e cioè per un sostanziale stravolgimento della legge - c’è stata una mobilitazione di base partita dal mondo cattolico, che poi ha coinvolto un numero notevole di personalità appartenenti ad ambienti laici, e che ha dato ragioni ed argomentato la proposta di disertare le urne, non certo appellandosi al disimpegno. Sottovalutare l’entità e la portata del risultato di quella campagna solo perché ha sostenuto l’astensione e non un’indicazione di voto, non è certo segno di acume politico. Nessun accordo neppure sulla ricerca scientifica: chi reputa che gli embrioni umani possano essere oggetto di ricerca non ha spazi di mediazione con chi invece ritiene che siano persone fin dall’inizio della loro esistenza. In altre parole: sugli embrioni umani la ricerca – quella che li manipola e li distrugge – la si fa o non la si fa, non c’è una via di mezzo. C’è poi la questione dei test genetici e dell’eugenetica strisciante introdotta da


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La lettera del comitato Scienza e Vita all’esecutivo per la tutela della vita

Caro governo, difendi gli embrioni di Pierfrancesco Castellaneta Associazione Scienza e Vita ha scelto lo slogan della sua azione – “tutela della vita dal concepimento alla morte naturale” – come titolo della “lettera aperta” al Governo, sui temi “eticamente sensibili”. Il 23 giugno scorso, i co-Presidenti dell’Associazione, Maria Luisa Di Pietro e Bruno Dalla Piccola, insieme al portavoce, Domenico Delle Foglie, hanno consegnato il testo al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il documento – inviato anche all’opposizione e a tutti i parlamentari – al primo punto, chiede la “ricostruzione, anche attraverso il contributo del Governo italiano, della minoranza europea di blocco contro la sperimentazione sugli embrioni umani”.

L’

Relativamente alla pillola Ru 486 - «causa oltre che di effetti banalizzatori dell’aborto anche di rischi comprovati per la salute delle donne» – si sollecita una “sospensiva”, rispetto alle iniziative d’introduzione avviate in diverse regioni.

Si chiede di «rispettare il diritto all’esercizio dell’obiezione di coscienza all’interno delle professioni sanitarie, rimuovendo ogni forma di discriminazione e garantendo ai medici l’autonomia nella prescrizione dei farmaci» e, rispetto al complesso sistema sanitario italiano (pubblico, privato profit e no-profit in regime di convenzione), si vuole che «vengano garantiti standard di finanziamento adeguati e certezza nella distribuzione delle risorse e nei tempi di corresponsione», per garantire al cittadino la possibilità di poter scegliere l’ente che deve erogare il servizio. Nell’Unione europea, 30 milioni di cittadini, per due terzi bambini, sono colpiti dalle malattie rare, croniche, degenerative, spesso mortali: sono ottomila e riguardano una persona su duemila. Occorre – sostiene Scienza e Vita - un «piano straordinario di finanziamento», anche a livello europeo, per sostenere questa branca della ricerca e un impegno per «abbattere le disuguaglianze nel trattamento delle malattie rare esistenti tra le diverse Regioni», evitando così che «l’unica risposta a queste situazioni dolorose, spesso portatrici di gravi disabilità, siano la diagnosi preimpianto e il ricorso all’aborto, che equivalgono ad una cancellazione della malattia per decreto, mediante una sentenza preventiva di morte». Per l’Associazione, sarebbero importanti una “grande campagna d’informazione” sul significato di “malattia genetica” e «un’attenta regolamentazione dell’accesso ai test genetici prenatali e postatali, al fine di evitare forme di abuso e il rischio di stigmatizzare quanti risultino affetti da alterazione genetica, con possibili quanto deprecabili derive eugenistiche». L’ultimo punto della “lettera aperta” riguarda il “fine vita”. Oltre alla richiesta di dare attuazione alle scelte contenute nel nuovo elenco di interventi assicurati dai cosiddetti “Livelli essenziali di assistenza”, Scienza e Vita chiede «l’attivazione e il finanziamento di un piano straordinario per una migliore organizzazione dell’assistenza domiciliare e l’implementazione di strutture di accoglienza per malati terminali o in stato vegetativo da realizzare tempestivamente in tutte le Regioni italiane».

Deve essere attuata la parte preventiva della 194 per evitare l’aborto una loro diffusione che spesso non avviene correttamente: anziché essere utilizzati per individuare malattie da curare, sono sempre più richiesti per poter scegliere chi far nascere.

Si ritiene di «grande significato, culturale e politico» che il Governo sancisca «un impegno che lo distanzi dalle scelte compiute nella passata legislatura», sostenendo la ricerca sulle cellule staminali adulte, «anche attraverso finanziamenti aggiuntivi».

Nonostante l’ordinamento giuridico italiano non preveda alcuna norma di tipo eugenetico, è indubbio che la stessa legge sull’aborto venga oramai percepita in questa chiave: l’aborto in presenza di malformazioni, anche se compatibili con la vita, è sostanzialmente accettato da gran parte dell’opinione pubblica, e non è mai cessata la pressione dei media per poter rendere accessibili le nuove tecniche di fecondazione in vitro anche a coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche, e per permettere la diagnosi preimpianto. Neuroscienze, commercio e manipolazione di cellule e tessuti, modalità e strategie della ricerca biomedica, e molte altre sono le tematiche che potremmo considerare “eticamente sensibili”, di cui si sta discutendo ancora in larga parte fra gli addetti ai lavori, ma che stanno entrando pian piano nel dibattito pubblico, e che inevitabilmente occuperanno pagine importanti della futura agenda politica. Lo si voglia o no.

Rispetto alle Linee-guida della Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, si chiede «il loro ritiro e una riscrittura da parte del nuovo esecutivo» e si sollecita il Governo a reintrodurre, come previsto dalla legge, il divieto della diagnosi preimpianto e a definire i criteri di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, auspicando che vengano promossi «nuovi studi per contrastare la sterilità, così da permettere ad un numero sempre maggiore di coppie di poter soddisfare pienamente il desiderio di genitorialità, di fatto spesso deluso dagli scarsi risultati e dall’invasività delle tecniche di Pma». Sul tema dell’interruzione di gravidanza, Scienza e Vita chiede «l’attuazione della parte preventiva della stessa Legge 194» e «un intervento sollecito che miri a restituire a tutti i consultori la loro funzione di alleati per la vita», sottolineando che per raggiungere questo obbiettivo, «occorre, tra l’altro, introdurre forti misure di sostegno alla maternità, implementare la presenza di sanitari obiettori di coscienza e di volontari per la vita, anche al fine di sottrarre queste strutture al loro destino di presidi sanitari a forte connotazione burocratica, ovvero di meri dispensatori di certificati per l’aborto».


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speciale bioetica orenzo d’Avach, avvocato, ha insegnato Filosofia della Politica, Sociologia del Diritto, Storia delle Dottrine Politiche e Teoria generale del Diritto, nelle Facoltà di Giurisprudenza di Macerata e di Napoli. Attualmente, è professore ordinario di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre. E’ membro del Comitato Nazionale di Bioetica dal 2002. Il Governo ha creato un apposito sottosegretariato al ministero del Welfare, con delega ai temi etici. Quali sono, a Suo avviso, le priorità che dovrebbe avere l’azione di questo Sottosegretariato? La campagna elettorale è stata caratterizzata da un voluto silenzio di entrambi gli schieramenti politici nei confronti dei temi etici e biogiuridici, forse anche nella consapevolezza che questi dovrebbero presupporre un intervento normativo capace di sintetizzare o conciliare etiche diverse, di modo che non si mortifichi il pluralismo e si consenta il confronto tra valori e modelli di regolamentazione sociale anche diversi. Tuttavia i temi della famiglia, delle scelte di inizio e di fine vita, delle biobanche pubbliche e private (dato il rischio di un forte business), solo per indicarne alcuni che già figuravano nell’agenda del precedente governo, dovranno essere presi considerazione. La nomina di un apposito sottosegretario al ministero del Welfare, con delega ai temi etici, è un chiaro segno da parte del governo di voler affrontare e dare soluzioni a questi problemi. A distanza di trent’anni, la legge sull’interruzione di gravidanza ha bisogno di modifiche e miglioramenti? Se sì, quali? La 194 va considerata una buona legge che non sancisce un diritto all’aborto, sebbene vi siano diffuse prassi applicative della legge che inducono a pensarlo, ma assicura alla madre (e solo a lei) la tutela della salute psicofisica o della vita, subordinando un altro bene giuridico protetto (il diritto a nascere del concepito). Più che a miglioramenti della normativa è possibile pensare a delle linee guida, che possano garantire una maggiore uniformità nella sua applicazione sul territorio. È noto come i consultori in alcune regioni funzionino bene in altre meno. È altresì nota la questione, peraltro complessa, del limite dell’aborto, che per ragioni di salute avviene dopo i 90 giorni stabiliti dalla 194, che è comunemente fissato entro la 24a settimana di gestazione, ma che in alcune regioni è già stato spostato alla 22a settimana, data la maggior possibilità di sopravvivenza dei nati prematuri. Si sostiene che la previsione che fa la legge relativamente all’obiezione di coscienza, impedisca la sua applicazione. Che cosa pensa a questo riguardo? Ritengo che nell’ambito della legge sull’interruzione di gravidanza sia imprescindibile l’obiezione di coscienza. Questo vale ogni qualvolta la legge disciplina comportamenti in ambiti che coinvolgono il piano etico. La legge non può imporre atti contrari alla coscienza morale. Il medico che ritiene che il nascituro sia una soggettività con dignità intrinseca, che meriti di essere tutelata fin dal concepimento, non può agire contro la pro-

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Creato

Parla Lorenzo D’Avach, componente del Comitato nazionale di bioetica

«In democrazia si devono conciliare etiche diverse»

di Ernesto Capocci pria visione etica, rispondendo ad una richiesta (seppur legittima sul piano giuridico) della madre.‘Di fatto’la legge viene applicata, gli aborti sono praticati, nonostante l’obiezione di coscienza. Di recente, l’Assemblea del Consiglio d’Europa, ha sancito il diritto all’aborto, invitando gli Stati che non l’avessero ancora fatto, a depenalizzarlo. Sembra che l’aborto – come altre questioni, del resto – venga trattato dalle istituzioni internazionali, come fenomeno sociale. Non spetterebbe proprio agli organismi internazionali considerare il piano dell’etica?

solleva problemi etici. L’invito alla depenalizzazione dell’aborto indica un orientamento etico nella direzione della difesa, come già detto, del diritto della madre alla sua tutela psicofisica. Qual è il suo giudizio sulle linee guida sulla legge 40 emanate dall’ex Ministro della Salute, Livia Turco? Ritengo condivisibile sia l’aver sottolineato la necessità di aiutare la coppia in quelle delicate situazioni con un adeguato sostegno psicologico, sia l’aver consentito il ricorso alla fecondazione assistita anche in quei casi in cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili e che si traducono per ragioni di precauzione in una condizione di infecondità. Si potrebbe osservare, tuttavia, in merito a quest’ultimo aspetto che delle norme di carattere secondario, quali sono le linee guida, modificano ciò che è stato disposto dal legislatore. Per quanto concerne poi la liceità della diagnosi preimpianto, le nuove linee guida si sono adeguate alla più recente giurisprudenza dei Tribunali ordinari e amministrativi che l’hanno ammessa, diversamente dalle precedenti che consentivano quella osservazionale, più contenuta e meno invasiva per l’embrione.

Per la legge sull’aborto è imprescindibile l’obiezione di coscienza Le istituzioni internazionali hanno il compito di orientare il diritto degli Stati nell’ambito delle questioni emergenti in ambito sociale. Porre attenzione alle trasformazioni sociali non significa solamente prendere atto dei cambiamenti, ma significa anche riflettere in modo critico sulle problematiche etiche emergenti nella società. L’aborto proprio in quanto fenomeno sociale

Come si è giunti a questa conclusione? Attraverso un percorso argomentativo ragionevole, che già da tempo ebbi modo di evidenziare su riviste specializzate del settore. Un percorso che nel toccare i temi sensibili del problema, si concentra soprattutto sull’interpretazione da dare al combinato disposto degli artt. 13 e 14, comma 5 e nell’ambito di questo coordinamento sulla rilevanza che abbia o debba avere il diritto del paziente ad essere informato in modo completo e corretto sullo stato di salute degli embrioni. In molti paesi, la diagnosi prenatale sta divenendo, a parere di molti, strumento di eugenetica. Condivide quest’affermazione? Qual è la situazione italiana sotto questo profilo? Anche su questi temi una mediazione si sarebbe potuta fare. Se la preoccupazione è l’eugenetica, cioè la volontà degli utenti di approfittare di queste tecniche per selezionare bambini migliori, sarebbe stato sufficiente prevedere da parte dei genetisti un elenco di quelle malattie gravi per le quali si rende necessario consentire l’indagine preimpianto. E’ peraltro pragmaticamente difficile dimenticare che esiste sempre l’indagine prenatale, il che significa mettere in conto la frequente possibilità che la donna ricorra all’aborto, soprattutto quando il feto presenti una grave malattia genetica.


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aria Luisa Di Pietro è co-presidente, insieme a Bruno Dalla Piccola, di Scienza & Vita. Liberal le ha chiesto di intervenire nel dibattito sui nodi bioetici destinati a presentarsi in questa legislatura. Qual è la Sua valutazione sulla decisione del Governo di istituire un sottosegretariato al Ministero del Welfare, con delega ai temi etici e quali sono le questioni più urgenti da affrontare? Non possiamo che accogliere in maniera positiva l’iniziativa del Governo, perché questo è indice di attenzione per le problematiche relative alla tutela della vita umana e alla promozione della salute, di cui - come è noto - si occupa la nostra Associazione. Va, comunque, sottolineato che la tutela della vita umana e la promozione della salute riguardano in maniera trasversale tutti i Ministeri. Basti pensare - ed è solo un esempio - all’assistenza al malato terminale: è una questione che riguarda la sanità, l’allocazione delle risorse economiche, la garanzia di congedi parentali per l’assistenza dei propri congiunti.Vengono chiamati in causa, in altri termini, le responsabilità di tutti coloro che a vario titolo si occupano della cosa pubblica. Nella sua irrefrenabile attività svolta prima della fine del suo mandato, l’ex Ministro della Salute ha emanato le nuove guida sulla legge 40. Il Ministro Sacconi ne propone ora la revisione. Condivide quest’impostazione e perché? Scienza e vita ha già sottolineato la necessità di rivedere le recenti linee guida sulla legge 40, dal momento che esse - legittimando il ricorso alla diagnosi genetica pre-impianto, aprendo la strada alla selezione degli embrioni e alla richiesta di produrre un numero di embrioni maggiore di tre – vanno contro gli stessi contenuti della legge.

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Maria Luisa di Pietro

Parla Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza e Vita

Politiche famigliari contro la crescita zero il loro congelamento e la loro soppressione, cerca almeno di contenere i danni delle tecniche di fecondazione artificiale.

Non si deve dimenticare il tema del fine vita: cure palliative ai malati terminali La legge chiede, infatti, già all’art.1, di tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, ivi compreso il concepito. E’ un dato di fatto che la vera tutela del concepito si dovrebbe tradurre nella sua non produzione in vitro, ma è altrettanto vero che la legge 40, vietando la produzione in soprannumero di embrioni,

Durante l’assemblea annuale di Scienza e Vita, che si è tenuta recentemente, è stata sottolineata la necessità di promuovere una campagna per tutelare la fertilità. Che cosa potrebbe realizzare e proporre il Governo su questo tema?

Quello che come Associazione cercheremo di realizzare, è un intervento a vari livelli a tutela della fertilità, laddove la sua riduzione fosse collegabile a questioni sociali o a fattori di rischio presenti nell’ambiente o a stili di vita. Questo richiede un’attenta azione di tipo informativo e formativo, ma sarebbe auspicabile anche un impegno da parte del Governo. In particolare, sarebbe opportuno ripensare ad una politica della casa, ad una politica del lavoro giovanile, tenendo presente il primo fattore di rischio della sterilità è l’età avanzata in cui la coppia accede alla ricerca del primo figlio. Questo ritardo è spesso collegabile all’impossibilità di progettare un futuro familiare proprio per ragioni logistiche ed economiche.

Come si può affrontare la crisi della natalità che riguarda l’Europa e l’Italia in particolare? La riduzione della natalità è un problema che ci riguarda tutti da vicino: un paese vecchio è un paese senza futuro e quindi senza speranza. Dobbiamo prendere atto di questa situazione, chiederci perché si è venuta a creare e se le ragioni siano culturali o sociali o economiche. Dall’onesta risposta a queste domande si potranno trarre indicazioni su come intervenire, sempre che si sia ancora in tempo ad invertire la rotta di una nave che ormai da diversi decenni veleggia in un solo senso. Scienza e Vita si è molto impegnata contro la ricerca sulle cellule staminali embrionali, soste-

nendo l’iniziativa di una moratoria, in considerazione delle nuove scoperte scientifiche sulle cellule staminali adulte. Lei pensa che una posizione del Governo in ambito europeo che favorisca la riconversione della ricerca, sia da auspicare? Questa domanda riprende la prima delle richieste contenute nella lettera aperta presentata qualche giorno fa al Governo. Quel che noi auspichiamo è che l’Italia possa rientrare nella minoranza di blocco a livello europeo contro la sperimentazione sugli embrioni umani. Chiediamo inoltre che il Governo e al Parlamento incoraggino la ricerca sulle cellule staminali adulte. Le ragioni sono essenzialmente due: la prima attiene al rispetto che si deve ad ogni vita umana, anche in fase embrionale; la seconda ragione, subordinata alla prima, è l’evidenza scientifica dei risultati ottenuti dalla ricerca nel settore delle cellule staminali adulte. Una battaglia tradizionale di Scienza e Vita Che questo aspetto sia molto sentito da Scienza e Vita, è testimoniato, tra l’altro, dalle oltre 26.000 firme raccolte in poche settimane a favore di una moratoria sulla sperimentazione sugli embrioni. Un’iniziativa che abbiamo condotto senza particolare pubblicità, in maniera silenziosa e su un tema di non facile comprensione e che testimonia la vitalità e la capacità di mobilitazione della nostra Associazione. Il testamento biologico. Un tema che nella scorsa legislatura è stato oggetto di una quindicina di proposte di legge, molte delle quali avevano l’obiettivo di introdurre nel nostro ordinamento, in modo surrettizio, decisioni di fine vita sottraendole al rapporto medico-paziente. C’è, a suo avviso, una cultura della vita da tutelare, diffondere e promuovere? Se sì, come? Nell’ultimo punto della ”lettera aperta” al Governo, Scienza e Vita chiede che ci sia una maggiore attenzione all’implementazione dei servizi di cure palliative e alla realizzazione di una rete nazionale di assistenza domiciliare e di strutture per l’accoglienza per i malati terminali o in stato vegetativo. Scienza e Vita continuerà , insieme ad altre realtà impegnate in tal senso, la sua opera formativa a favore della vita, ma sicuramente le risposte sul piano organizzativo e di impegno economico devono venire dagli organi competenti. [e.c.]


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economia

Sempre più difficili le partnership tra Stato e aziende per finanziare le infrastrutture che necessitano al Paese

Grandi opere, la via del project financing di Elia Colabraro Pubblichiamo un brano tratto da Il pubblico, la banca, il privato di Elia Colabraro (Spirali editore, 144 pagine, 18 euro). Colabraro, già manager dell’Imi e fondatore di Banca Opi, è uno dei pionieri in Italia del project financing.

l project è uno strumento di finanza abbastanza innovativo che, per forza di cose, nei prossimi anni dovrà prendere piede, anche perché c’è il problema di ridimensionare l’indebitamento pubblico. Attualmente, a livello governativo si parla di ricondurlo sotto il 100 per cento del Pil entro il 2011, mentre per il 2007 si è collocato al 104 per cento e si conta su una riduzione al 103 per cento nel 2008. Lo stesso discorso vale per gli enti locali, che fino a qualche anno fa potevano indebitarsi sino a che gli interessi passivi non raggiungevano il 25 per cento del totale dei primi tre titoli delle entrate di bilancio; adesso, dal 2005, non possono superare il 12 per cento. Quindi, è giocoforza che le nuove infrastrutture — quelle che servono all’Italia per ridurre il gap infrastrutturale esistente con gli altri paesi dell’Unione Europea — debbano passare attraverso la finanza di progetto, che comporta sia il coinvolgimento di imprenditori privati che credono in quel tipo di attività sia il sistema bancario, il quale deve sostenere adeguatamente gli imprenditori che si assumono l’onere di realizzare le infrastrutture. In particolare, si parla da tempo di grossi investimenti nel settore autostradale in Piemonte, in Lombardia, in Veneto, in Toscana, nel Lazio e nelle regioni meridionali, che richiedono risorse per molti

I

miliardi di euro; siccome né lo Stato né gli enti locali hanno la forza per concorrervi in misura consistente, bisogna creare i presupposti per un massiccio intervento del project financing.

In Italia, nel quinquennio 2002-2006 il mercato delle partnership pubblico-private si è concretizzato in oltre 3 800 gare, per una cifra d’affari (riferita a 2 300 gare d’importo noto) superiore a 34 miliardi di euro. Sotto il profilo della spesa, la quota principale spetta alle utility, all’edilizia sanitaria e ai trasporti che, con oltre 26 miliardi di euro, rappresentano insieme l’80 per cento del mercato dell’ultimo quadriennio. A fronte, però, di un consistente numero di iniziative avviate, l’entità delle gare aggiudicate e degli interventi poi realizzati rimane modesto. Si sa che nel quinquennio 2002-2006 solo il 32 per cento delle gare è arrivato all’aggiudicazione, segnale indicativo di come le partnership pubblico-private siano anco-

sione sia pervenuta una quota ancora più bassa. L’elevata mortalità delle iniziative non va comunque considerata un fattore fisiologico, ma rappresenta una patologia che richiede cure adeguate; basta tenere presente che nei mercati anglosassoni la quasi totalità dei progetti messi a gara viene aggiudicata e poi realizzata secondo i programmi. Le principali cause possono essere sintetizzate in due grandi capitoli: le carenze della pubblica amministrazione nella preparazione e nella gestione delle procedure di gara e il contesto normativo che accentua l’alea di varianti in corso d’opera e i ricorsi dei non aggiudicatari.

Il problema si pone in tutta evidenza anche a livello europeo: basta scorrere l’elenco delle reti di trasporto su rotaia messe in cantiere dall’Unione Europea e confrontarlo con le risorse disponibili. Sul

In “Il Pubblico, la banca, il privato” Elia Colabraro denuncia che alla base del mancato sviluppo dello strumento ci sono ritardi burocratici nella gestione delle gare e il caos normativo ra carenti dal punto di vista del completamento procedurale; il restante 68 per cento, non concludendosi con il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, crea grave danno al livello infrastrutturale del paese. Non è possibile, poi, ricostruire quante opere siano state effettivamente realizzate in rapporto a quelle aggiudicate, pur dovendo ipotizzare che a conclu-

tavolo, oltre a TorinoLione, Berlino-Palermo, Genova-Rotterdam, ci sono la ParigiBratislava e il corridoio baltico. Si tratta di opere per oltre 300 miliardi di euro, per le quali la Commissione europea ha a disposizione poco più di 8 miliardi di euro. Personal-

mente, sono abbastanza ottimista sullo sviluppo del project, sopra tutto nel centro-nord dell’Italia, anche perché, in certi settori, bisogna rendersi conto che è nell’interesse di tutti realizzare opere infrastrutturali, specie nel settore viario. Un altro filone che dovrebbe poter prendere piede è il finanziamento di opere nel settore antinquinamento, onde creare le condizioni che consentano di rientrare nei limiti fissati dal Trattato di Kyoto. Tra l’altro, in questo caso, è sorto uno specifico mercato dei diritti, perché il Trattato prevede che, per ogni riduzione di un’unità del livello d’inquinamento, il Paese o la zona che l’ha ridotto abbia diritto a un certo compenso. E questo compenso è negoziabile: in sostanza, è sorto un mercato per cui, se, per esempio, la Francia è riuscita ad abbattere il livello d’inquinamento di una certa percentuale, emerge a suo favore un credito che potrà negoziare, per esempio, con l’Italia, se quest’ultima, invece, non è riuscita a rientrare nei parametri di Kyoto. Vista la situazione in cui ci si trova sul fronte ecologico, si fa molto affidamento sul fatto che questo mercato possa avere sviluppi importanti, che potranno scaturire dagli impianti, dagli investimenti che si faranno per abbattere il livello d’inquinamento. Sono tutti settori che vanno sulla strada dell’interesse pubblico. Quindi, stando così le cose, si è portati a essere ottimisti sullo sviluppo di questa forma di finanziamento.


economia

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La compagnia di Mayrhuber si rafforza in Germania sfruttando la crisi dell’unico concorrente

Lufthansa vola, Air Berlin precipita di Alessandro Alviani

d i a r i o BERLINO. Lufthansa accelera. In

g i o r n o

Grandi imprese, occupazione ferma

questi giorni gli equilibri nel settore tedesco dell’aviazione si spostano sempre più a favore della compagnia di Wolfgang Mayrhuber, che si prepara a staccare definitivamente il solo concorrente rimasto in Germania, l’Air Berlin.

Dopo il volo ad alta quota degli ultimi mesi, Air Berlin ha iniziato infatti le manovre per un atterraggio che rischia di rivelarsi tutt’altro che morbido. La società che sognava di soffiare a Lufthansa il ruolo di prima compagnia tedesca attraversa pesanti turbolenze. La colpa, accusano in molti, ricade in gran parte sulle spalle del numero uno Joachim Hunold e della sua aggressiva strategia di espansione. Dopo il trionfale ingresso in Borsa del 2006, Air Berlin si è lanciata nel 2007 in una serie di acquisizioni: prima Ltu, vettore specializzato nell’offerta di voli per le vacanze, poi la compagnia lowcost Dba. Infine, a settembre, l’annuncio dell’acquisto dal tour operator Thomas Cook di Condor, operazione congelata all’ultimo momento. Il progetto di Hunold è chiaro: trasformare una compagnia regionale concentrata sulla nicchia dei charter in una società a 360 gradi, attiva su più segmenti. E farlo nel più breve tempo possibile. Ma la strategia mostra sempre più chiaramente i suoi limiti. I vertici della società hanno annunciato ora un piano di risparmi. Per contrastare il caro-greggio, dall’inverno 14 aerei più vecchi saranno lasciati a terra, mentre i collegamenti a lungo raggio, soprattutto con l’Asia e gli Stati Uniti, saranno tagliati del 30 per cento. Una mossa che potrebbe non bastare. «Questo è soltanto l’inizio. Altre misure non sono escluse», ha ammesso un portavoce. La situazione finanziaria del vettore non lascia altre scelte. Air Berlin ha chiuso il primo trimestre in rosso ed è stata costretta a rivedere più volte al ribasso le stime per l’intero anno. Sui conti pesano debiti per circa un miliardo, accumulati soprattutto sulla scia delle acquisizioni-sprint. E il titolo in borsa sta vivendo un autentico tracollo: nell’ultimo anno le azioni Air Berlin hanno perso due terzi del loro valore e restano intorno ai 4 euro (contro un prezzo di emissione di 12), mentre non manca chi, come Morgan Stanley, prevede una caduta fino a due euro. Sul fronte opposto, Lufthansa ammortizza meglio dei rivali il carogreggio, grazie a un mix fatto di aumento dell’efficienza e taglio dei costi. La società di Mayrhuber ha confermato le stime di crescita per

d e l

Meno reddito e lavoro fermo. Secondo quanto ceritifica l’Istat, nello scorso mese di aprile l’occupazione nelle grandi imprese ha registrato una variazione su base annua nulla al lordo della Cassa integrazione con un aumento dello 0,2 per cento al netto della Cig. Il dato è però diversicato nei vari settori, con l’industria che ha registrato un calo annuo del’1,1 per cento e i servizi un aumento dello 0,7 per cento. Quanto alla retribuzione lorda per ora lavorata, quest’ultima ha registrato ad aprile nelle grandi imprese un calo dell’1,7 su base mensile, pari a una flessione annua dell’1,8 per cento. Nell’industria i redditi sono scesi del 2,3 per cento congiuntuale pari a un calo annuo del 2 per cento mentre nel settore dei servizi il calo è stato rispettivamente del’1,4 e dell’1,7 per cento.

Air One: Alitalia ci interessa ancora Su Alitalia «non ci chiamiamo fuori, eravamo interessati prima, lo siamo ancora». Così Lino Bergonzi, direttore generale di Air One a margine dell’inaugurazione del volo Malpensa-Boston. Tuttavia, ha continuato Bergonzi «non siamo noi i driver del progetto, c’è un advisor che sta lavorando e non dipende solo da noi». Intesa Sanpaolo è il consulente che sta definendo il futuro della compagnia. La compagnia, guidata da Carlo Toto, fa sapere che la partnership con Sea e con l’aeroporto di Malapensa, porterà il gruppo a diventare nel 2012 «il primo vettore in termini di capacità offerta».

Ue, Almunia: andrà peggio nel 2009

Da Francoforte parte la caccia ai piccoli vettori del centro Europa per rafforzare l’alleanza Oneword verso l’Atlantico

leanza cui appartengono sia Lufthansa che Aua e Bmi), ha detto alla Faz il direttore finanziario Stephan Gemkow. Forse un riferimento velato a Iberia (membro di Oneworld), obiettivo che Mayrhuber continua a seguire «con interesse».

quest’anno, con profitti che dovrebbero raggiungere livelli simili a quelli record del 2007, e si prepara ad approfittare della debacle del concorrente, potenziando le rotte che Air Berlin cancella (come Düsseldorf-New York). Forte di una situazione finanziaria solida, la compagnia ha confermato di voler giocare un ruolo attivo nel processo di consolidamento in atto nel settore. Senza azioni affrettate. Acquisizioni sì, ma «solo se le condizioni vanno bene», è il leitmotiv dei vertici. Le prede non mancano. A cominciare da quelle più piccole, come Austrian Airlines (Aua), a cui Lufthansa guarda da tempo, fino a quelle più strategiche, come British Midland (BMI), che dispone di importanti slot all’aeroporto londinese di Heathrow e il cui controllo dovrebbe essere acquisito nel 2009. E poi ci sono anche «dei candidati interessanti che non fanno parte di Star Alliance» (l’al-

concorrente capace di impensierire Lufthansa sta implodendo. Viste le difficoltà, Air Berlin ha appena sospeso l’acquisizione di Condor, che le garantirebbe nel Paese un monopolio nel settore dei collegamenti turistici a lungo raggio (motivo per cui l’antitrust tedesco ha prolungato la verifica dell’accordo). Ma il deal sembra archiviato. E i lowcost si rifanno avanti e rubano quote di mercato. Tanto che Air Berlin ha deciso di presentare un ricorso alla Cassazione tedesca contro le sovvenzioni concesse a Ryanair dallo scalo di Lubecca. Se va avanti così rischia di avverarsi la profezia di Michael O’Leary, numero uno della compagnia irlandese. «Tra cinque anni il mercato tedesco si presenterà così: Lufthansa e Ryanair. Sono sicuro che Air Berlin non ci sarà più», aveva detto a maggio alla Faz, «Air Berlin è ormai perduta. È una compagnia con costi troppo alti e che perde soldi».

In Germania, intanto, l’ultimo

«L’economia rallenterà ancora entro fine anno e l’effetto combinato della bassa crescita e dell’aumento del prezzo dell’energia presenteranno il conto nel 2009». È quanto ha affermato il commissario per gli Affari Economici dell’Ue, Joaquin Almunia, aggiungendo che l’impennata recente dell’inflazione è dovuta a cambiamenti strutturali dell’economia globale e per questo probabilmente rimarrà elevata per un periodo più lungo del previsto. Secondo le previsioni di primavera presentate dall’esecutivo comunitario lo scorso 28 aprile «l’area euro rallenterà all’1,7 per cento», ha ricordato Almunia L’economia quindi «rallenterà ulteriormente alla fine dell’anno, e gli effetti si sentiranno nel 2009».

Mediobanca: gruppo al riparo da turbolenze «Una bella squadra, una bella banca, al riparo da tutti quelli che hanno fatto sciocchezze. Va tutto bene». Così Vincent Bolloré uno dei rappresentanti di punta del gruppo di soci francesi di Piazzetta Cuccia, al termine della riunione del Consiglio di sorveglianza che ha esaminato il preconsuntivo 2007-2008. Durante la riunione, ha precisato Bolloré, «si è parlato solo dell’andamento della banca». Il finanziere francese ha anche una battutta su Alitalia: «Un grande paese come l’Italia non può essere dipendente da una compagnia estera». Fonti finanziarie, infine, hanno riferito che i risultati di Mediobanca «sono buoni e sono superiori a quelli dello scorso anno».


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libri

Pensieri, annotazioni e schizzi biografici dello scrittore velenoso nel libro ”Ritratti e osservazioni” pubblicato da Garzanti

The Truman Capote Show di Pier Mario Fasanotti ntelligente? Tanto, davvero tanto.Velenoso? Eccome. La sua prosa è così precisa e crudele che vien da dire che talento e veleno sono inseparabili. Truman Capote non è soltanto l’autore di celebri romanzi - in primis A sangue freddo - ma anche l’uomo che annotava tutto. E le sue pagine, fatte di pennellate critiche, schizzi biografici, pensieri e descrizioni, possono essere tranquillamente affiancate alla sua intera opera narrativa. Non ha mai la supponente e barocca ambizione del saggista. Ce ne rendiamo conto leggendo Ritratti e osservazioni, appena pubblicato da Garzanti (629 pagine, 18,60 euro). Un libro da consigliare a chi va o andrà in vacanza.

I

Dicevo del veleno. Una prova magistrale, in questo senso, Capote la dà parlando delle belle donne. Afferrando lo spunto della lettura di un diario scritto nel 1800 dove un tale Patrick Conway si sofferma sul fascino dei cigni «che scivolano nell’acqua come strascichi di abiti da ballo candidi come neve», Capote paragona certe donne ai cigni, appunto. Sostiene che non merita tanta ammirazione una femmina di dodici o vent’anni, per quanto seducente: «Riserviamo tale alloro per i decenni a venire, quando, se avrà saputo tenere a galla il peso dei suoi doni, se sarà riuscita a tener fede ai voti che un cigno deve per forza fare, lei si sarà guadagnata un pubblico adorante». Lo scrittore di New Orleans (nacque nel 1924) aggiunge che restare cigni è un’operazione costosa, ma in ogni caso dev’essere sempre associabile a qualcosa che non si può comprare: il talento: «Il cigno è invariabilmente il risultato dell’aderenza a un qualche sistema di pensiero estetico… certe donne, magari non particolarmente belle ma veri trionfi sull’insignificanza, possono di tanto in tanto dare l’illusione di essere dei cigni». Più in là cita la signora Agnelli, «numero uno dei cigni europei». Un

Nel libro ”Ritratti e osservazioni” (Garzanti), tutta la pungente ironia di Truman Capote, il grande scrittore di New Orleans con la mania di annotare sempre tutto. E le sue pagine, fatte di pennellate critiche, schizzi biografici, pensieri e descrizioni, possono essere tranquillamente affiancate alla sua intera opera narrativa

Per niente attratto dalla supponente e barocca ambizione del saggista, definiva il padre un cialtrone, Pound un matto, la signora Agnelli «la regina dei cigni europei» mito di quegli anni era Humphrey Bogart. Capote acutamente capta nel suo lessico una parola ricorrente: cialtrone. La usò parlando del padre, stimato medico di New York che alla sua morte lasciò debiti per diecimila dollari: «Un uomo che lascia al verde moglie e figli è un cialtrone». Bogart era «un attore senza teorie», che voleva essere pagato bene. Non aveva capricci, ma tanto temperamento: capì che la disciplina era alla base della sopravvivenza artistica. E così durò a lungo e lasciò il segno. Al termine “cialtrone” oppose

sempre quello di “professionista”. Né cialtrone né professionista, ma semmai “matto”, era Ezra Pound. Truman Capote ne fa un breve ritratto, ponendo in rilievo la sua generosità. Dopo aver pubblicato a Venezia la sua prima raccolta di poesie, si adoperò per gli altri: con articoli sui giornali, con prestiti in denaro, con assistenza morale. Pochi sanno che fu proprio Pound a procurare soldi a James Joyce perché potesse terminare il suo Ulisse. Dal 1939 cominciarono per lui gli anni della rovina. Aderì al fascismo mussoliniano e alla radio

italiana intervenne spesso elogiando il Duce e il suo sistema politico. Dopo la disfatta, gli americani lo accusarono di tradimento. E, peggio di tutto, lo rinchiusero in una gabbia, all’aperto, nella base militare di Pisa. Come una bestia da zoo, per diverse settimane. Poi, al processo, fu dichiarato pazzo e rinchiuso in un manicomio della Columbia, dove rimase dodici anni. Pound tornò poi in Italia e prima della partenza disse: «Chiunque possa vivere in America è pazzo». Nel gruppo degli antipatici, Capote ci mette, sia pure con garbo, Somerset Maugham. Ricordando quanto dice il giovane Holden (indimenticabile personaggio di J.D. Salinger), ossia che quando ti piace tanto un libro ti viene voglia di telefonare all’autore, Truman confessa di non aver mai avuto il desiderio di comporre il numero di Maugham. E’ un tipo, dice, «che non vuole che la gente lo chiami, vuole che lo legga». Ed ecco alcune gocce di veleno critico: la sua prosa è impersonale «in un modo che respinge, troppo limpida e ragionevole per suscitare affetto nel pubblico…e così lui raggiunge il suo scopo…di recente una squadra di revisori contabili ha stimato che per ciascun minuto di ciascuna ora Maugham guadagna trentadue dollari in diritti d’autore». Non è finita qui: «Il che non significa di per sé che sia un bravo scrittore: però lo è».

Di Coco Chanel, Capote descrive la sua solitudine. La piccola “Coco”, figlia di un maniscalco che l’aveva insegnato ad aiutarlo a ferrare i cavalli, sposò un uomo ricco. Voleva soprattutto avviare un piccolo negozio. Chanel era una «donna in carriera semplice e impura», riuscì ad affermarsi in quel settore visionario che è l’alta moda. Un campo che, scrive Capote, contribuisce alla cultura spesso molto di più «di un battaglione di poeti e compositori». La piccola Coco aveva una specie di doppia identità, nel suo viso: da un lato pareva una “fidanzatina” da medaglione col cuoricino, dall’altro un’arida e avida arrampicatrice.


musica

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Tunes Store, il negozio di dischi “virtuale” della Apple che permette a chiunque possieda un pc e una connessione Internet di acquistare canzoni sotto forma di file digitali per poi copiarle su cd o ascoltarle sull’iPod, ha infranto un’altra barriera. Cinque miliardi di brani venduti in meno di sette anni di vita: un altro gioiello sulla corona di Steve Jobs, guru della casa di Cupertino e padrone incontrastato del mercato musicale in questo primo scorcio di millennio.

I

Il suo enorme supermarket elettronico, che oltre alle canzoni oggi vende anche film e telefilm, monopolizza gli acquisti musicali on-line con una quota di mercato che sfiora l’80 per cento, in America ha superato per quantità vendute persino i grandi magazzini Wal-Mart e in tutto il mondo ha ribaltato con una rivoluzione copernicana l’asse intorno a cui l’industria discografica girava da sessant’anni. In ossequio a McLuhan, con Apple il medium è diventato il messaggio, il sistema della musica registrata non ruota più attorno al prodotto ma allo strumento adoperato per ascoltarla, l’iPod: il lettore portatile con le cuffiette che tutti, dal presidente degli Stati Uniti all’ultimo ragazzo di borgata, si portano appresso come una protesi auricolare e una carta di identità (una volta, per capire con chi avevi a che fare, gli chiedevi quali libri avesse sugli scaffali del salotto o che cibi conservasse in frigorifero; oggi tutti vogliono sapere quale playlist nascondi nella memoria del piccolo gadget elettronico col marchio della mela). Jobs, che vende musica non per fine ultimo ma come mezzo per incrementare la domanda del suo stupefacente e stilomusic sissimo player, ha fatto crollare le mura della Gerico discografica ma non è l’unico ad avere sovvertito le gerarchie. Tanto che tra i dieci uomini più potenti del music business odierno la rivista americana Blender piazzava l’anno scorso (in quarta posizione) un solo esponente dell’ancien régime, il boss di Universal Music Doug Morris che dal suo ufficio newyorkese governa i destini di una multinazionale da quasi

Warner, Emi, Bmg: tutte stritolate dall’impero digitale di Steve Jobs

La mela avvelenata delle grandi major di Alfredo Marziano

dei bottoni di Warner, Emi e Sony Bmg, le tradizionali major del disco che sgomitano per restare a galla cercando di cambiare il modello di business e di diversificare gli investimenti (ora cercano di mettere il naso nella musica dal vivo, nella gestione dei diritti d’immagine degli artisti e nella vendita del merchandising: ma forse è già troppo tardi). La mappa del potere musicale ne esce completamente rimescolata, e se dagli anni Cinquanta a poco tempo fa la discografia è stata il sole che irradiava luce sull’intero universo musicale, oggi è un satellite che segue orbite influenzate da altri astri: non a caso i vecchi baroni, da Richard Branson a David Geffen, escono dal giro per dedicarsi ad altre attività. Ovvio che la transizione non sia sempre pacifica, e che scoppino qui e là tafferugli: Universal ha fatto causa a YouTube per l’uso non autorizzato dei suoi video musicali (ma intanto, insieme alle concorrenti, si associa a MySpace diventando azionista del suo nuovo servizio di distribuzione musicale), e ancora oggi alcuni artisti di fama mondiale non hanno trovato un accordo con iTunes per la vendita dei loro brani in rete.

Jobs ha da poco risolto una lunga vertenza con i Radiohead, irritati da un sistema che permette lo smembramento mercantile di album concepiti come un tutto unico. Ma non ha ancora annunciato l’accordo che dovrebbe finalmente sdoganare il catalogo storico dei Beatles, dopo la risoluzione di un’altra annosa vertenza sull’utilizzo del marchio Apple in ambito musicale. Questione di dettagli, ormai, mentre continuano a dirgli di no gli Ac/Dc, la stella del country americano Garth Brooks e il bellicoso Kid Rock, ultimo in ordine di tempo a lamentarsi di un trattamento economico a suo dire non adeguato. «Internet - ha tuonato il rocker del Michigan - dovrebbe essere una grande opportunità per un mercato etico, per gli artisti, i consumatori e le case discografiche. Ma la mentalità di iTunes è rimasta indietro, a quando i soldi li prendevano i rivenditori e le case discografiche e agli artisti non arrivava nulla». Magari mr. Rock è soltanto un populista, un gran furbacchione che parla pro domo sua. Ma vuoi vedere che la musica è cambiata meno di quanto ci raccontano?

Non solo Apple, ma anche MySpace, YouTube, Yahoo! Music e Limewire tolgono ossigeno ai colossi della musica. Il più delle volte costretti a inutili battaglie legali pur di restare a galla 5 miliardi di dollari di fatturato annuo pubblicando i dischi di megastar come U2, Amy Winehouse, Eminem e Bon Jovi. Morris, 70 anni a novembre e una stella in arrivo sul marciapiede delle star a Hollywood, è una vecchia volpe dell’ambiente, nato come autore di canzoni e cresciuto ai tempi in cui la musica era un bene di consumo con un prezzo di mercato e un pubblico disposto a pagare. I nuovi potenti con cui gli tocca confrontarsi oggigiorno la musica, quando possono, la regalano, usandola come acchiappamosche per ven-

dere qualcos’altro: accessi alla banda larga, spazi pubblicitari, servizi di community on-line e di telefonia mobile. Tutti quanti vivono e prosperano dentro la grande bolla digitale: Tom Anderson e Chris DeWolfe di MySpace, Chad Hurley e Steve Chan di YouTube, Ryan Schreiber di Pitchfork (la più trendy tra le riviste di informazione musicale on-line), Ian Rogers di Yahoo! Music, Martin Stiksel della Web radio “personalizzata”Last.fm (ora di proprietà del network Cbs), i dirigenti dei siti di file sharing Limewire e RapidShare (per non parlare degli executive di Live Nation, il colosso della musica dal vivo, o di Starbucks, la catena di caffetterie americana che ha pubblicato l’ultimo disco di sir Paul McCartney). Giovani (molti hanno trent’anni, anche meno), spregiudicati e amanti del rischio, tolgono ossigeno alle stanze

iTunes Store, il negozio di dischi “virtuale” della Apple che permette a chiunque possieda un pc e una connessione Internet di acquistare canzoni sotto forma di file digitali per poi copiarle su cd o ascoltarle sull’iPod, ha infranto un’altra barriera. Cinque miliardi di brani venduti in meno di sette anni di vita: un altro gioiello sulla corona di Steve Jobs (a sinistra), padrone incontrastato del mercato musicale in questo primo scorcio di millennio


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personaggi

In un libro di Antonio Donno, la figura di Barry Goldwater: il repubblicano che rifondò il movimento conservatore Usa

Il rivoluzionario dell’Arizona di Guglielmo Piombini

e elezioni presidenziali americane del 1964, che seguirono l’assassinio di John Kennedy, videro la vittoria “a valanga”del candidato democratico Lyndon Johnson su quello repubblicano, il senatore dell’Arizona, Barry Goldwater, il quale vinse in soli sei stati raccogliendo il 39 per cento del voto popolare. Malgrado le dimensioni della sconfitta, la sua corsa alla presidenza rappresentò però un definitivo punto di svolta nella politica americana. Il significato della da operata rivoluzione Goldwater viene spiegato dal professor Antonio Donno, docente presso l’Università del Salento e tra i massimi esperti del pensiero politico americano, nella sua bella monografia “Barry Goldwater. Valori americani e lotta al comunismo” (Le Lettere, Firenze, 125 pp., euro 18,00). Barry Goldwater si fece interprete dei sentimenti conservatori dell’America dell’Ovest e del Sud-Ovest all’interno di un partito, il Grand Old Party, che era stato sempre dominato dalle elite finanziarie e industriali del Nord-Est. Ma soprattutto fu il primo a sfidare la filosofia statalista del New Deal che da almeno trent’anni dominava la politica statunitense, e che non era stata sostanzialmente intaccata durante gli otto anni dell’amministrazione repubblicana di Eisenhower. Goldwater riuscì infatti ad operare una fusione tra le istanze conservatrici (l’anticomunismo senza compromessi, il tradizionalismo morale, l’elogio dell’eredità cristiana e la fedeltà ai valori dell’Occidente) e quelle libertarie (l’individualismo, l’esaltazione del libero mercato, l’antistatalismo, la critica del welfare-state) che non andò più dispersa e che riemerse prepotentemente quindici anni dopo, nel 1980, con la vittoria di Ronald Reagan.

L

Il successo di Reagan, infatti, non può essere spiegato se non alla luce del programma

politico che Goldwater mise a punto nei suoi due libri “The Coscience of a Conservative” del 1960, che ebbe un successo editoriale senza precedenti (tre milioni e mezzo di copie vendute fino al 1964, mentre la traduzione italiana, pubblicata dalle Edizioni del Borghese, fu completamente snobbata), e “Why Not Victory?” del 1962, dove espose la

Riuscì in una fusione tra le istanze conservatrici e quelle libertarie che non andò più dispersa e che riemerse con Reagan sua linea di politica estera di duro contrasto al comunismo. Riprendendo i principi originari del liberalismo americano, Goldwater scrisse con grande temerarietà un manifesto politico di un violenza concettuale inaudita, dopo tanti anni di quieto conformismo statalista. Il suo coraggio porterà i conservatori americani a sostenere con entusiasmo la sua candidatura alle presidenziali del 1964. Nel mondo intellettuale lavorarono per lui le migliori menti dell’epoca, come William Buckley, Harry Jaffa, Brent

Bozell, Karl Hess, Frank Meyer, Milton Friedman, Ayn Rand. I democratici scateneranno invece contro Goldwater una campagna di denigrazione forsennata, sul tipo di quella messa in atto contro il senatore Joe McCarthy.

Contrapponendosi ai liberals impegnati in uno sforzo collettivo per imporre il progresso, il conservatorismo di Goldwater poneva l’accento sullo sviluppo spirituale dell’individuo e riaffermava l’insegnamento cristiano sulla sacralità della persona umana. Si trattava, spiega Antonio Donno, di una testimonianza di capitale importanza, che riposizionava il fattore religioso al centro dell’azione politica. Il ritorno alle matrici giudaico-cristiane della nazione americana produrrà infatti nei decenni successivi un vero terremoto nell’approccio di molta parte dell’elettorato americano alla politica. Inoltre, insistendo sui diritti inalienabili e di per sé evidenti dell’individuo, il senatore dell’Arizona operava un significativo recupero della tradizione giusnaturalista americana risalente all’epoca coloniale e alla Dichiarazione d’Indipendenza. Quando scriveva che «durante tutta la Storia dell’umanità, le più gravi insidie alla libertà individuale sono partite, sempre, dal Governo», Goldwater si rifaceva esplicitamente alle idee radicalmente antistataliste della Old Right (la vecchia destra anti-rooseveltiana di Frank Chodorov e Albert Jay Nock) e del libertarismo di Ayn Rand e Murray Rothbard. «Come può essere libero un uomo - si chiedeva Goldwater - se i frutti del suo lavoro non sono a sua disposizione perché ne faccia quello che vuole, ma vengono trattati, invece, come parte d’un fondo comune di ricchezza pubblica? La proprietà e la libertà sono insepa-

Nella foto grande, una “majorette” alla convention repubblicana del 1964. A destra, un manifesto elettorale di Goldwater. In basso, i suoi funerali nel 1998. Qui a sinistra, la copertina di “The Conscience of a Conservative”


personaggi

28 giugno 2008 • pagina 21

Uniti non potevano opporre la ricerca della pace ad ogni costo, ma una lotta senza quartiere per ottenere la vittoria. L’unica alternativa alla sconfitta totale era la vittoria totale. Queste sue idee provocarono, durante i primi anni ’60 e per tutta la campagna elettorale del 1964, una dura polemica con il senatore democratico William Fullbright, sostenitore di un atteggiamento meno ostile verso il mondo comunista.

sponsabilizzazione individuale prodotta dall’assistenzialismo statale.

rabili: quando il governo, sotto forma d’imposte, porta via la prima, invade anche la seconda». Questa affermazione ci porta direttamente alla critica dello Stato assistenziale, che Goldwater condannava nella maniera più decisa, non solo perché determinava una vera e propria ingiustizia sociale, umiliando i più capaci e meritevoli a favore di un settore parassitario sempre più vasto, ma soprattutto perché produceva negli individui degli effetti psicologici disastrosi. I sostenitori del welfare state, osserva Goldwater, sanno bene che l’individuo può essere posto alla mercé del governo non solo facendo dello Stato il suo datore di lavoro, ma spogliandolo dei mezzi per prov-

vedere ai suoi bisogni personali e dando al governo la responsabilità di accudire a quei bisogni dalla culla alla tomba. «L’assistenzialismo - scrive Goldwater ne La coscienza di un conservatore - trasforma l’individuo da un essere spirituale, dignitoso, industre, pieno di fiducia in se stesso, in una creatura animale dipendente senza che nemmeno se ne renda conto».

In sostanza, Goldwater sostiene che il socialismo ottenuto per mezzo dell’assistenza è più pericoloso di quello che risulta dalle nazionalizzazioni, perché l’effetto politico e psicologico del primo è peggiore. In compenso dei benefici l’individuo finisce infatti per concedere al governo il massi-

mo del potere politico. Ancor più dannosa però è l’influenza esercitata sul suo carattere: l’eliminazione di ogni senso di responsabilità per il proprio benessere e per quello della sua famiglia e dei parenti. La puntuale conferma delle previsioni di Goldwater arriverà nel corso degli anni Settanta, quando entreranno a pieno regime le politiche di “guerra alla povertà” introdotte da Lyndon Johnson nel suo progetto di Grande Società. La sfascio delle famiglie dovuta alla scomparsa della figura paterna, l’aumento della criminalità e il degrado morale che da allora hanno cominciato a caratterizzare i sobborghi urbani abitati prevalentemente dalla popolazione nera sono infatti il risultato diretto della dere-

L’aiuto ai più bisognosi, dice Goldwater, deve essere lasciato nelle mani dei privati, delle associazioni, delle Chiese, degli enti locali, perché gli aspetti materiali e spirituali dell’essere umano sono connessi, e la responsabilità personale di provvedere ai propri bisogni materiali è tutt’uno con la responsabilità di essere liberi: «La libertà politica dell’uomo è illusoria, se egli dipende per i suoi bisogni economici dallo Stato. Le scelte che governano la sua vita sono scelte che egli deve fare: non possono essere fatte da nessun altro, individuo o collettività». I progressisti tendono a guardare soltanto al lato materiale della persona umana, ma - scrive Goldwater riprendendo la lezione del celebre libro di Friedrich von Hayek del 1944, “La via della schiavitù” - considerare l’uomo parte di una massa indifferenziata significa, alla fine, consegnarlo alla schiavitù. In politica estera Goldwater era convinto che la coesistenza pacifica con il comunismo fosse impossibile, perché il totalitarismo sovietico aveva come obiettivo la conquista del mondo. A questa dottrina gli Stati

Per Goldwater il mondo libero stava combattendo non una guerra fredda ma una “guerra comunista”, dato che «le regole di questo conflitto ci sono state imposte dall’Unione Sovietica per mezzo di un disegno massiccio volto alla distruzione degli Stati Uniti ed alla dominazione del mondo». Goldwater rigettava con forza l’apertura di Fullbright verso il mondo comunista perché la politica imperialista dell’Unione Sovietica era inseparabile dai suoi presupposti ideologici, ed era quindi impossibile garantire pace, libertà e prosperità al mondo senza la preventiva sconfitta del comunismo. Si trattava, secondo il senatore dell’Arizona, di una lotta tra il popolo senza di Dio e il popolo di Dio, tra la schiavitù e la libertà: «Dico che non possiamo vivere con queste due filosofie. Un giorno ve ne sarà una soltanto. Siamo i portatori della civiltà occidentale, il più nobile prodotto del cuore e dell’intelligenza dell’uomo» e per questa ragione «i comunisti non ci seppelliranno. I comunisti rispettano una sola cosa: la forza. E la forza dello spirito è più grande della forza delle armi». Una visione, quella di Goldwater, che anticipa di quasi due decenni le denunce di Ronald Reagan contro l’Impero del Male, e che verranno clamorosamente confermate dagli avvenimenti degli anni ’80 culminati con il crollo del Muro di Berlino. In definitiva, Goldwater lasciò un segno sulla politica americana maggiore di ogni altro candidato perdente del ventesimo secolo. Con la sua tenace candidatura il senatore dell’Arizona diede inizio a una controrivoluzione conservatrice i cui effetti durano tuttora. Il suo merito fu quello di stabilire delle solida fondamenta politiche e ideologiche alla rivoluzione reaganiana, e di far comprendere a una generazione di conservatori che la loro era una causa giusta e vincente. Oggi il ricordo delle parole di fede e di coraggio di Goldwater potrebbe nuovamente ispirare l’Occidente nella sfida mortale contro il totalitarismo islamista.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Giusto rilevare le impronte digitali a tutti i bimbi rom? HA RAGIONE L’UNIONE EUROPEA, NON SI PUÒ TOLLERARE UNA SIMILE VIOLENZA Mentre nel nostro Paese non prendono fiato le polemiche politiche, la Commissione europea ha preso la la parola sulla proposta del ministro dell’Interno Roberto Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini rom. E lo ha fatto per contestare il provvedimento sottolineando come la schedatura dei piccoli nomadi violi le norme comunitarie in materia. Quella che arriva da Bruxelles non è una presa di posizione ufficiale, perché la Commissione europea - sembrerebbe aver spiegato un portavoce - non commenta quello che al momento sono ancora dichiarazioni e controdichiarazioni di politici sulle impronte digitali per i rom.Tuttavia, replicando alle domande dei giornalisti, lo stesso portavoce rileva che la schedatura non è comunque possibile secondo le regole Ue. «Abbiamo visto la dichiarazione del Consiglio d’Europa e la Commissione come le altre istituzioni europee è legata ai diritti fondamentali e alla lotta contro le discriminazioni» ha precisato il portavoce. Nessun commento ufficiale sarà possibile prima dell’adozione da parte delle autorità italiane di un testo legislativo e di una sua eventuale notifica alla Commissione. Ho letto sul si-

LA DOMANDA DI DOMANI

Favorevoli all’immunità per le alte cariche dello Stato? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

to del quotidiano del Corriere della Sera che ai giornalisti che insistevano per avere una posizione della Commissione Ue su questo argomento, al di là della questione italiana, il portavoce ha tuttavia replicato in un primo momento che una simile evenienza «non si è ancora verificata». A chi ha quindi chiesto se in base alle regole Ue questa ipotesi sia possibile, il portavoce ha replicato: «La risposta è no. Pensavo fosse chiaro implicitamente». Ancora una volta, seppur rappresenti una macchina quasi totalmente burocratica e svuotata, l’Unione eiropea ci ricorda quali dovrebbero essere delle regole di buona civiltà. Anche se «implicitamente».

Fabio Moretti - Roma

NON SI RISOLVERANNO COSÌ I VERI PROBLEMI, C’È BISOGNO DI INTEGRAZIONE E SOLIDARIETÀ Più o meno come in ogni cosa, la repressione non risolve i problemi che, invece, dovrebbero essere affrontati alla radice. Quello che giunte di sinistra, come ad esempio quella di Firenze, oppure in questo caso quelle di centrodestra rappresentate dal ministro degli Interni Roberto Maroni (ma appoggiato già da altre diverse realtà, come il sindaco di Milano Letizia Moratti) non dicono e non fanno praticamente mai. Sono straconvinto che che il vero problema in Italia circa l’ormai nota a tutti ”questione sicurezza”, sia l’immigrazione e lo sfruttamento dei clandestini. Non basta togliere dalle strade dei poveracci che vivono di espedienti (vedi Firenze). Così come non basta, ma addirittura è intollerabile, il provvedimento che legalizza la rilevazione delle impronte digitali a tutti i bambini rom dei campi nomadi italiani. Bisogna fare in modo che queste persone non debbano più vivere così. E’ questo semplice ma fondamentale passaggio che manca in politici e (talvolta) certi giornalisti. Come fare? Ad esempio cercando di creare delle accettabili condizioni per una vera e sana integrazione. Intanto, però, bisogna bloccare i nuovi ingressi.Va bene con la solidarietà, ma l’Italia non può purtroppo aiutare tutti. Cordialmente ringrazio per la cortese attenzione. Buon lavoro.

L’INDIFFERENZA DEI MEDIA E L’IDENTITÀ DELLA COSTITUENTE A cose fatte bisogna purtroppo constastare che l’appello del presidente della Fondazione liberal, è caduto nel vuoto. L’onorevole Ferdinando Adornato nel suo intervento di apertura al lancio della Costituente di centro aveva pubblicamente fatto appello ai media affinché dessero il giusto spazio, la giusta visibilità alla nuova proprosta politica avanzata dai costituenti. Questo purtroppo non è accaduto. Segno dei tempi che cambiano? Della disattenzione? O disegno scientifico e puntuale di chi a questo punto teme che l’iniziativa di Casini and company possa effettivamente rappresentare la novità sotto l’aspetto politico e sociale per l’Italia della Terza Repubblica? A voi la riflessione. Quest’anno poi il seminario di cultura politica che la Fondazione liberal terrà a Todi il 10 e l’11 luglio prossimo venturo, coincide con l’evoluzione di questo nuovo percosrso costituente. I circoli liberal come tutti sanno dopo il ”no” motivato

PICCOLO MONDO MODERNO Sta arrivando The World, progetto della Nakheel che, con le sue 300 isole artificiali, ha dato la possibilità a celebrità di potersi «acquistare un pezzo di mondo». Ogni isola va dai 23mila agli 83mila metri quadrati. Il piccolo mondo è raggiungibile solo via aereo o via mare

LA PICCOLA BOTTEGA DEL FABBRO DI PIETRO Non è un buon momento per gli antiberlusconiani. Sì, non è più come una volta. All’orizzonte dell’oggi, l’antiberlusconiano lo cerchi e lo ricerchi e proprio subito non lo trovi. Sembra che, anche solo a parlarne, si faccia un’operazione amarcord. Quasi da memorie dal sottosuolo. Tra i primi a estrarre e a lavorare l’antipatia e l’odio per Silvio Berusconi figuravano comunisti, azionisti, comunistelli di sacrestia, neofascisti, magistrati, verdi, burocrati, sindacalisti, pauperisti, giustizialisti, falsi moralisti e invidiosi vari. In zona, c’è però ancora un fabbro, Tonino Di Pietro, che, in una piccola bottega, chiamata IDV, fa affari d’oro. Forgia il ferro rigorosamente a mano, realizzando pezzi unici che vanno a

dai circoli liberal Lorenzo Mereghini - Padova

detto a Berlusconi in seguito alla svolta di San Babila hanno da prima stimolato e poi unitamente alla Rosa Bianca di Pezzotta e all’Udc di Casini concretizzato questo obiettivo. La Costituente rappresenta quindi non il punto di arrivo, ma bensì quello di partenza verso un epilogo congressuale in modo da poter entro fine anno avere anche in Italia la nuova casa comune dei cristiani moderati e liberali italiani. Questo nuovo soggetto politico chiaramente da quanto pocanzi detto oscurato dagli organi di inforlmazione, rappresenta a mio avviso non solo la novità di questa fase politica, ma anche la semplicità valmoriale e ideologica che oggi fa fatica ad emergere nel Pd così come nel Pdl. Un esempio per tutti: sarebbe questo l’unico soggetto ad avere un riferimento certo in Europa, con l’adesione unanime e quindi senza distinguo al suo interno al partito popolare europeo. Non ci sarebbero mezze misure sui valori e sulle radici cristiane da rappresentare e difendere in Italia e in Europa. Insomma quello che da altri

ruba. Il suo lavoro è molto apprezzato e acquistato. Ma nell’ignoto. I suoi clienti desiderano restare sconosciuti. Per ora. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

CONFESSIONE LIBERA DI UN ”CERVELLO IN FUGA” Sono una futura ”cervello in fuga”. Perché? Facile: in Italia non esistono prospettive. Per noi giovani soprattutto. Certo che amo l’Italia. Eccome se la amo. Mi si stringe il cuore al sol pensiero di dover andare via. Ma come si fa a vivere con 700 euro al mese di rimborso dalle Università? All’estero, ahimé; è tutto più semplice. Anche metter su famiglia. A trentaquattro anni soprattutto. Grazie e a presto. Forse.

Anita Mugnai - Roma

viene descritto come il tentativo di una ulteriore frammentazione o ritorno al passato, è invece un modello chiaro e unanime di intenti, di ideali e di valori cui il cittadino sa di potere delegare non solo il proprio voto ma anche il proprio credo. Il cammino certammente non è di quelli più agevolati ma tentare di superare questo finto ”bipartitismo senza partiti veri” è una sfida o per lo meno è un’impresa per la quale vale la pena rischiare. In fondo così come riportava alcuni giorni fa sulle pagine di questo quotidiano il coordinatore regionale dei liberal nelle Marche, Alessandro Forlani, non sono stati certamente i centristi a non difebndere e tutelare la propria identità, ma bensì qualcun altro (leggi Berlusconi) a chiedere a questi di rinunciare alla propria storia e alla propria tradizione in nome di un cartello elettorale anarchico, perlomeno nei valori. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Ragionare contro le ragioni del mio amore Mia cara ragazza, ti devo scrivere una riga o due per vedere se questo mi assiste nell’allontanarti dalla mia mente anche per un breve momento. Sulla mia anima non riesco a pensare a nient’altro. È passato il tempo in cui avevo il potere di ammonirti contro la poco promettente mattina della mia vita. Il mio amore mi ha reso egoista. Non posso esistere senza di te. Mi hai assorbito. In questo momento ho la sensazione di essermi dissolto. Mia dolce Fanny, cambierà mai il tuo cuore? Non posso essere felice lontano da te. Potrei morire per te. Il mio credo è l’amore e tu sei il mio unico dogma. Mi hai incantato con un potere al quale non posso resistere; eppure potevo resistere fino a quando ti vidi; e perfino dopo averti visto ho tentato spesso ”di ragionare contro le ragioni del mio amore”. Non posso farlo più. Il mio amore è egoista Non posso respirare senza di te. Tuo per sempre. John Keats a Fanny Brawne

LETTERA APERTA AL MINISTRO CARFAGNA Gentile Ministro Carfagna, leggo da alcune agenzie di stampa che ha deciso di eliminare un finanziamento su di una ricerca sulla discriminazione sessuale che avrebbe dovuto essere svolta dall’Istat. Il finanziamento per questo studio e’ di 180.000 euro, mica noccioline. Bene ha fatto a sospendere questo finanziamento, in quanto lo studio di questa problematica e’ inutile. Lei sa che la discriminazione nel nostro paese esiste e quindi non ritiene utile spendere altri soldi per ribadire questa sua idea che e’ comune a molti. Non comprendo tutto questo stracciarsi le vesti da parte di alcuni rappresentanti di associazioni omosessuali, ma come direbbe il nostro Presidente, sono solo comunisti, che amano fare polemica inutilmente. Lei e’ tanto certa della necessita’ di mettere rimedio a questo problema che in Consiglio dei Ministri, presentera’ a brevissimo una legge sulla discriminazione sessuale, come del resto a fatto nei giorni scorsi per lo stalking e la violenza sessuale. La sua azione e’ meritoria, ha risparmiato soldi che possono essere girati a scopi umanitari o

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

di aiuto agli indigenti e lo sara’ doppiamente quando sara’ approvata la tanto attesa legge. Signora Ministro, ma e’ questa la sua intenzione vero? Son certo di sì. Con stima.

Luca Maggioni

SARÀ, MA QUESTO LIPPI NON CONVINCE Boh. Non che a me Donadoni mi abbia mai fatto impazzire, ma rimettere nuovamente Lippi alla guida della nazionale mi sembra un azzardo bello e buono. Il motivo? A mio avviso sono i giocatori a essere stati inadeguati, non certo il cr che li ha condotti agli Europei del 2008. Ma perché poi (porprio a voler puntare il dito sulla panchina) non tentare la strada di Fabio Capello? Con lui l’Italia vincerebbe tutto. Ma proprio tutto ciò che ci sarebbe da vincere. Così, rischiamo invece un’altra, brutta figuraccia... prossima mondiale. Ma tutto, in Italia, può sempre accadere. Cordialità.

Greta Gatti - Milano

28 giugno 1228 Federico II parte da Brin-

PUNTURE

disi per la sesta Crociata

1389 Le forze Ottomane sconfiggono quelle dell’Europa cristiana in Kosovo, aprendo la strada alla conquista Ottomana dell’Europa sudorientale (vedi Vidovdan) 1635 La Guadalupa diventa una colonia francese 1846 Adolphe Sax inventa il sassofono 1914 Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie Sofia vengono uccisi da un nazionalista serbo Gavrilo Princip, l’episodio diventa il casus belli della prima guerra mondiale 1940 La Romania cede parte della Bessarabia (l’odierna Moldavia) all’Unione Sovietica 1946 Enrico De Nicola è eletto Capo provvisorio della Stato italiano 1950 Seoul viene catturata dale truppe della Corea del Nord 1953 Joseph Laniel diventa Primo Ministro di Francia 1992 Giuliano Amato forma il suo primo governo

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

il meglio di

Il figlio di Simona Izzo e Antonello Venditti, Francesco, segnalato da Gianni Letta ad Agostino Saccà è disoccupato ma meriterebbe di lavorare per una sua frase che è un aforisma dei nostri tempi: «La politica sta ormai dovunque, tranne che nella politica».

Giancristiano Desiderio

Certo che la fortuna esiste. Altrimenti come potremmo spiegare il successo degli altri? JEAN COCTEAU

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

ANCORA COLPI DI MORTAIO DA GAZA La fragile tregua tra palestinesi e israeliani al confine della Striscia di Gaza è costantemente messa a dura prova dalle azioni degli estremisti che, anche oggi, hanno sparato colpi di mortaio verso il territorio di Israele. La ”novità” nell’evoluzione negativa della situazione è costituita dalla presa di posizione del Ministro degli Esteri Livni, che molto chiaramente- sembra prendere le distanze da chi ha voluto la tregua e ora non reagisce a queste continue violazioni. Questo l’aggiornamento della situazione nelle parole di Shmulik Hadad: «Fuoco continuo. Due colpi di mortaio sono stati sparati dal nord della Striscia di Gaza verso Israele questa mattina. Uno si è abbattuto vicino al Kibbutz Kfar Aza nel Consiglio regionale di Sha’ar Hanegev e il secondo ha colpito uno spazio all’aperto. Jimmy Kdoshim, 48enne residente proprio a Kfar Aza, è stato ucciso circa un mese e mezzo fa dopo essere stato colpito dalle schegge di un colpo di mortaio. Nel pomeriggio di giovedì, un razzo di Qassam è stato sparato sempre dalla Striscia di Gaza verso Israele, esplodendo vicino ad una stazione di gas in uno spazio all’aperto nella zona industriale di Sderot. Non ci sono stati feriti. Le brigate di Al-Qassam di Al-Din di Izz, ala militare del Fatah, si sono assunte la responsabilità del lancio del razzo. Fonti in Gaza riten-

gono che l’episodio tenda a mettere in difficoltà Hamas e sia teso a vanificare gli sforzi in atto per una tregua con Israele. Il ministro degli Esteri Tzipi Livni, giovedì, ha commentato il lancio del razzo Qassam da Gaza verso Sderot con una retorica tagliente e bruciante, tesa a differenziare la propria posizione da quella del Primo Ministro Ehud Olmert e del Ministro della Difesa Ehud Barak. ”Non sto a chiedermi chi abbia sparato. Ci deve essere una risposta militare immediata ad ogni violazione”, ha detto la Livni all’inizio della sua riunione col Ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Støre. ”Ho fatto chiaramente intendere la mia posizione sia al Primo Ministro che al Ministro della Difesa. E questo deve avvenire dopo la prima infrazione. Ed intendo che questa posizione sia chiara anche alle mie controparti straniere”. Già martedì, i Palestinesi hanno lanciato tre razzi verso Sderot. Uno dei Qassams ha colpito il cortile di una casa, causante danni grandi. Due donne hanno subito uno shock. Il Jihad islamico ha esatto la responsabilità dell’attacco del martedì. Il Primo Ministro Olmert ha risposto irosamente all’attacco dichiarando ”questa è una violazione palese ed inequivocabile degli accordi di tregua raggiunti tra i vari componenti» (fonte: libera traduzione da ynetnews).

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PAGINAVENTIQUATTRO Integrazione e rivoluzione continentale attraverso il pallone?

Geopolitica degli di Francesco Cannatà quadra, equipo, sbornaja, Mannschaft, takim. Nel corso di una guerra lampo durata quindici giorni questi eserciti disarmati hanno cercato di dare uno sbocco naturale alla latente crisi calcistica continentale. La rivoluzione dopo aver sedimentato a lungo negli spiriti, si era mostrata alla luce del sole, nei territori della monarchia austrosvizzera. Obiettivo dichiarato delle truppe rivoluzionarie che guidate dal generale loreno Napoleone Platini si facevano avanti a colpi di gol contro la Vandea difensivista, era stravolgere le vecchie gerarchie europee in nome del gioco d’attacco. Nella notte del 27 giugno dell’anno 2008, dopo che il giorno prima un’altra battaglia si era risolta a favore della reazione, il concerto delle federazioni europee riusciva però ad impedire il crollo definitivo del sistema delle potenze. Gli attacchi più consistenti all’equilibrio delle relazioni calcistiche internazionali erano venuti da sud e da est. Per rivoluzionare lo status quo, Sultano e Zar avevano dato carta bianca ai propri luogotenenti, il Gran Visir Terim e il principe olandese Guus Hiddings. Il testo che aveva messo in crisi il panorama politico del frastagliato impero calcistico delle federazioni sovrane europee, De rivolutionibus orbium caelciorum, era apparso qualche anno prima sui campi verdi di un continente sempre più stanco e disabituato al rischio. L’apparizione dello studio segnava l’inizio di uno spirito nuovo e la fine del periodo dominato dal gioco di superpotenze vecchie e spente. Oggi l’impero franco-carolingio non è più il centro del mondo. Il geniale teorico del nuovo concerto continentale, Guus Hiddings, era arrivato al servizio dell’impero della Moscovia acquistato da Alexey Miller e Roman Abramovich gran Principi e servitori fedeli dei despoti illuminati della Rus’. Al seguito della grande ambasceria occidentale dello Zar i due nobili, colmi delle grandi ricchezze procurate da uno strano liquido chiamato oro nero e da un azzurro fuoco fauto chiamato gas, dovevano indagare i motivi della superiorità occidentale in questo settore e accaparrarsi i migliori interpreti delle strategie rivali.

S

La consegna, carpire all’Occidente i suoi segreti e portare nel proprio Paese i migliori scienziati, tecnici e artigiani del gioco della pelota, doveva essere eseguita ad ogni costo. Sulle orme di Pietro I, grande sovrano della Moscovia, la scelta cadeva sull’Olanda. Di quanto avveniva in questo Paese i custodi del vuoto rito calcistico parlavano con sgomento. Qui, dopo la rivoluzione guidata da un seguace di Erasmo, l’abate Johann Cruyff, le polemiche sulla tolleranza calcistica avevano raggiunto gli strati più umili delle società europee. Secondo le prediche del religioso, improntate alla mistica della sfera di cuoio , si vince con coraggio e poca speculazione. L’esercito arancione, schierato secondo criteri razionali, non doveva poi dimenticare l’estetica. La fisica dei muscoli va piegata alla geometria, o meglio alla geometria

EUROPEI

ottica. Col trascorrere dei decenni l’idea è riuscita a egemonizzare dibattiti e nozione di bel gioco. L’ordine della leale battaglia, messe da parte intrallazzi e congiure di corte, dispiegava un ordine splendido. Meccanica luminosa ad imitazione della astronomia degli antichi. I guerrieri dalle armature leggere imparavano dalla «gran bontà de’ cavallieri antiqui» che,

Piontek, e ora dall’agente del controspionaggio atletico del governo americano, Scott Piri, il sultano ha puntato al cuore del vecchio ordine. Fondamentale il compito affidato a Piri dall’Imperatore Usa: consigliare il Gran Visir Terim al momento delle scelte finali, quando la battaglia sembrava persa. Sconfiggere il nemico in extremis, grazie al doppio gioco dell’alleato-avversario, non è da sempre il modo migliore per introdurre la discordia tra chi vuole superare i contrasti del passato? L’ordine continentale si può superare solo abbattendo la confederazione germanica. Con l’eccelsa sapienza oratoria bizantina, il Gran Visir ha approfondito le fratture nate nella coalizione prussiana dopo il pronunciamento dell’ ex Kaiser, Franz Beckenbauer. Per il glorioso condottiero di tante battaglie, il capo teutonico, generale Low, non aveva il coraggio necessario a scompigliare la cavalleria avversaria. Al momento dello scontro l’esperienza delle truppe confederali, ha purtroppo avuto la meglio sull’entusiasmo giovanile dei fedeli al Gran Visir. La prova di coraggio ottomana un effetto però lo raggiungeva. Dalla sua reggia di Versailles, Re Sole Sarkozy proibiva alla corte di Francia di rivolgersi al popolo per bloccare l’avanzata europea di Bisanzio. Domani i due vincitori decideranno in un incontro al vertice le sorti finali della guerra. Come da tradizione il Congresso di Vienna sarà magnanimo e si farà carico di non abbandonare le innovazioni rivoluzionarie degli sconfitti.

Domani si conclude uno dei campionati europei di calcio più divertenti degli ultimi tempi. Tra il serio e il faceto, le partite vengono riviste alla luce delle secolari contrapposizioni strategiche degli Stati nazionali nel nostro continente. pur se i «rivali, eran di fé diversi», insieme si può andar «senza sospetto aversi». Il giorno dell’incontro con gli avversari-maestri arancione, gli strelizi moscoviti costringevano alla resa gli eredi di Guglielmo. Con la fine dell’Olandese avanzavano la propria candidatura alla leadership continentale. Solo la riorganizzazione del ramo spagnolo degli Asburgo ha impedito all’entusiasmo degli ex diseredati orientali di dilagare verso le pianure dell’Europa centrale.

L’applicazione migliore della teoria dello stravolgimento dei rapporti di forza l’ha fatta il Gran Visir Terim. Dopo un periodo di eclissi, gli ottomani, usando miscugli di coraggio, sentimenti e acrobazie, tornavano a sentirsi grandi di fronte al mondo. Aiutato agli inizi della sua strategia dai giannizzeri germanici, Derwall e


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