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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Perché è crollata la fiducia degli italiani nella magistratura

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Quel che la piazza di Di Pietro non sa

di Ferdinando Adornato

di Giuseppe Baiocchi icominciamo: questa mattina vedremo una piazza piena di girotondini ingrigiti e di diprietristi precettati, pronti a proclamare per l’ennesima volta il dogma dell’infallibilità delle toghe. Eppure, aldilà di una parte compiacente (e sempre più ridotta) del circuito mediatico, costoro appariranno sempre più come concorrenti nella leadership dell’opposizione di sinistra che non come campioni invitti del moralismo intellettuale. Possibile davvero che non si siano resi conto della battaglia che si è combattuta negli ultimi anni intorno alla giustizia? Perché nelle ricorrenti tempeste giudiziarie-mediatico-politiche c’è un elemento che sembra sfuggire agli stessi protagonisti: il distacco profondo tra la magistratura e il paese, un rapporto sfaccettato e complesso che si trascina ormai da più di sedici anni, ovvero dall’esplodere del fenomeno di Mani pulite nella primavera del 1992 al Palazzo di Giustizia di Milano. Allora, nella crisi della politica seguita al crollo del Muro di Berlino e nella fine del comunismo si scongelò all’improvviso una situazione bloccata: il consenso popolare alla Lega Nord, unico partito nuovo e fuori dal coro, si accompagnò alla “incoronazione” dei pubblici ministeri come angeli vendicatori contro la corruzione e i soprusi di una classe dirigente sentita e vissuta come ormai esausta e sconfitta.

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ISSN 1827-8817 80708

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A che serve il G8? Il summit di Tokyo discute di clima, energia e cibo: ma crescono i dubbi sull’utilità di questi vertici per risolvere i problemi del mondo alle pagine 2, 3, 4 e 5

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Il Sdl mina la pax sindacale

Ennesimo delitto in Gran Bretagna

Una rilettura controcorrente

Londra e la piaga del coltello

Antitrust: il nemico del mercato?

di Silvia Marchetti

di Alberto Mingardi

di Riccardo Paradisi

di Vincenzo Bacarani

Londra, capitale che per la stampa francese è ormai «sconfinata nella terra di nessuno», ieri ha registrato una nuova morte: David Idowu, 14 anni, pugnalato lo scorso 17 giugno.

I problemi di concorrenzialità del mercato dell’assicurazione dipendono dalla tensione fra la condivisione di informazioni sul lato dell’offerta, e la sanzione della medesima secondo il diritto antitrust.

«Voi ci date il lasciapassare per il Lodo Alfano, noi tiriamo via dal pacchetto sicurezza la norma blocca-processi». La sostanza del possibile accordo tra governo e opposizione dovrebbe essere questa.

Sul futuro di Alitalia arriva la mina precari. Se Passera fatica a completare il piano di rilancio da presentare all’azionista Tesoro e ai nuovi possibili soci, ben presto potrebbe finire la pax sindacale.

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Nell’inserto NordSud a pagina 12

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Blocca-processi: governo rinuncia alla forzatura in aula

Il dialogo politico appeso a un baratto

MARTEDÌ 8 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

127 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

Alitalia, precari pronti al blocco d’agosto

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Sarkozy chiede l’ingresso di Cina e India: gli Usa dicono no. Crescono comunque i dubbi sull’utilità del G8

L’utopia del governo mondiale di Francesco Rositano guardare i fatti, quello dei leader delle grandi potenze in Giappone sembrerebbe un volo sprecato. Sul tavolo del G8 ci sono diverse questioni: allargamento ai paesi emergenti, riduzione dell’effetto serra, lotta alla povertà, situazione in Zimbabwe, costruzione di uno scudo antimissile in Europa. Sarebbe sembrato quasi eccessivo convergere su tutto. Certo è quasi preoccupante che su nessuna si sia giunti ad un accordo. I nazionalismi, sotto forma diversa, hanno fatto capolino. E le decisioni sono state rimandate a tempi migliori.

A

Cominciamo

dall’allargamento. Gli Usa dicono di no alla proposta del presidente francese Nicolas Sarkozy di aprire a Cina, India, Brasile, Sudafrica e Messico. Con l’Italia che si è accoda al presidente americano Bush. Effetto serra. “Gli otto grandi” si

erano lasciati l’anno scorso con la promessa di dimezzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Ma di fatto sarà difficile raggiungere un accordo vincolante perché Stati Uniti e Canada hanno già detto che il G8 non è il foro adeguato. Il cibo. La Banca Mondiale chiede subito 10 miliardi di dollari per far fronte all’esigenza fame nei paesi poveri

a rispettare le promesse: 50 mld di dollari entro il 2010. Finora ne sono stati stanziati solo 11. Zimbabwe. Tutti sarebbero propensi a sanzionare il dittatore Mugabe, ma sono solo parole.

Per Stefano Silvestri, presidente dell’Iai (Istituto Affari internazionali), allargare il G8 agli Stati emergenti significherebbe

Silvestri: «Se quest’organismo non cambia strada, sarà solo la copia della Banca Mondiale o dell’Organizzazione del commercio» colpiti dai rialzi dei prezzi alimentari. José Manuel Barroso, presidente della commissione europea, ha anticipato che proporrà ai paesi membri della Ue la creazione di un fondo da un miliardo di euro per sostenere il settore agricolo nei paesi in via di sviluppo. Domani potrebbero esserci risposte concrete. Ma non si riuscirà mai

svuotarlo ulteriormente di potere. «Il fatto che il G8 sia aperto a pochi membri – afferma l’esperto – è in sostanza l’unica cosa che spinge i capi di Stato presenti a trovare degli accordi. Facciamo un esempio: se si arrivasse ad un ipotetico G20, esso non sarebbe altro che una riunione molto più pletorica ancora più vincolata a decisioni immediatamente operative. Invece dovrebbe essere un luogo di convergenza sui

grandi orientamenti». Qual è il punto, allora? «Insomma se continuiamo così il G8 sarà la copia del Fondo Monetario internazionale o della Banca Praticamente Mondiale. un’altra cosa se si pensa che la sua funzione invece dovrebbe essere non quella di copiare organismi già esima stenti, pensare a come riformarli. Insomma manca una visione coerente di quello che va fatto. Ed è grave se si pensa che questi paesi costituiscono il 42% dell’economia mondiale».

Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali, insiste sulla necessità di studiare politiche realmente concordate. «Invece – afferma – ognuno gioca la propria partita. Lo possono anche fare, ma devono assumersene la responsabilità di fronte all’opinione pubblica

Parla il generale Carlo Jean

«Ormai è turismo politico che non decide niente»

internazionale. Certo affinché questo possa avvenire ci deve essere una comune visione. E non parlo di quella religiosa. Per questa ragione sono assolutamente contrario alla proposta di allargamento avanzata dal presidente Sarkozy. Potremmo assistere alla stessa paralisi che sta attraversando l’Unione Europea oppure la Nato. Quindi invito i leader ad essere più incisivi».

Per Luigi Campiglio, docente di Politica economica alla Cattolica di Milano, attualmente il G8 è in balia del cosiddetto anello debole. Lo spiega così: «Se c’è un paese membro che non ha la forza di governo, esso è in grado di condizionare in negativo l’azione di tutto il gruppo». Per il professore sono due le situazioni immediate che l’organismo dei “Grandi” deve risolvere: l’attuale disordine dei mercati mondiali, che rischia di diventare sempre più grave. E la questione Iran. «Se scoppia la crisi in quest’area nella quale orbitano tantissimi affari commerciali, ci sarà il collasso».

«La verità è che l’idea di un organismo che detenga il governo mondiale è del tutto illuministica: cioè non corrisponde alla realtà. Il motivo è presto spiegato: se è difficile prendere decisioni condivise quando gli interessi sono gli stessi, figuriamoci quando ci sono delle divergenze». Così il generale Carlo Jean, esperto di strategie militari e di geopolitica, boccia il G8, sostenendo che è venuto meno al motivo per cui era nato. «Purtroppo - continua il militare - si è trasformato in una mera occasione di turismo politico-diplomatico». Generale, a suo avviso il G8 è realmente un organismo di governo mondiale? È un’occasione di turismo politico diplomatico che sostanzialmente non decide niente. E questo è dovuto al fatto che ha allargato le proprie competenze dal campo monetario, dove un tempo interveniva in maniera piuttosto efficace, ai problemi di carattere mondiale. In questo modo è diventato un luogo in cui i leader mondiali si scambiano delle idee. Ma praticamente non si emettono decisioni vincolanti. Queste ultime, infatti, vengono rimandate ad altri organismi come l’Organizzazione mondiale del Commercio, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario internazionale, l’Unione Europea. Così com’è articolato, quindi, serve a ben poco. Inoltre c’è un altro grande problema, che è il nazionalismo. Fino a quando rimarrà così forte sarà praticamente impossibile prendere degli accordi cooperativi a livello mondiale. L’idea di un organismo di governo mondiale, a questo


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Anche l’Ue interviene nelle polemiche sulla globalizzazione

Cibo e petrolio dividono i Grandi della Terra di Gianfranco Polillo ue vertici così lontani eppure così vicini: almeno dal punto di vista del Governo italiano. A Toyako, Silvio Berlusconi incontra i grandi della Terra, nel tradizionale vertice del G8. A Bruxelles, Giulio Tremonti illustrerà ai suoi colleghi dell’Eurogruppo la manovra triennale di rientro dal deficit e le misure da prendere per battere la speculazione: la peste del nuovo millennio. Gli scenari sono diversi, come pure i partecipanti, ma almeno da parte italiana il tentativo è introdurre qualche elemento di concretezza in un dibattito spesso lunare, dove le affermazioni di principio lasciano poi il tempo che trovano.

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Sopra, la foto ufficiale dei leader riuniti a Toyako, in Giappone; sotto, le loro maschere ricostruite dai contestatori del vertice. Nella pagina accanto, l’analista Stefano Silvestri, il presidente statunitense George W. Bush, al suo ultimo appuntamento con il G8, e il generale Carlo Jean. Il vertice annuale dei Grandi della Terra si concluderà giovedì: per il 2009, l’appuntamento è previsto in Italia, alla Maddalena

Se ne è fatto interprete Luca De Fraia, direttore della Policy Action Aid International, che ha ricordato le grandi manchevolezze in tema di aiuto ai più poveri. All’appello, secondo quanto indicato dall’Ocse, mancherebbero oltre 40 miliardi di dollari per raggiungere gli obiettivi per il 2010. Obiettivi che, quando furono enunciati, si avantaggiavano di una situazione internazionale più distesa: non incattivita dagli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari e dei generi di prima necessità. Per non parlare poi dell’emergenza sanitaria che colpisce le zone più povere del Mondo. A partire dall’Africa dove vive circa il 70 per cento dei siero positivi ed il flagello dell’Aids somiglia sempre più ad una maledizione biblica. Sarà il tema principale dell’incontro? Ne dubitiamo. Ben altri sono i problemi che preoccupano i signori della Terra. A partire dalle novità diplomatiche. George Bush, ormai alla fine del suo mandato, incontra per la prima volta Dmitri Medvedev, lo zar della nuova Russia di Putin. Non è amore a prima vista, ma l’inizio di un flirt da concludere prima che alla Casa bianca subentri un nuovo inquilino. George forza i tempi, nella speranza di portare a casa un risultato lusinghiero della sua lunga carriera, ma i problemi restano: specie per quanto riguarda lo scudo spaziale, di cui i russi non vogliono nemmeno sentire parlare. Del resto, il declino e poi l’implosione della vecchia Unione sovietica coincisero il larga misura con il salto tecnologico che gli Usa era stati in grado di fare, mentre il vecchio apparato burocratico militare del socialismo reale aveva frenato da tempo ogni possibilità di sviluppo e innovazione.

quale sembrava voler insidiare il primato economico. Oggi è spento. Per carità: uno sviluppo ordinato, bilancia dei pagamenti sempre in attivo, ma nessun balzo in avanti per spostare i suoi confini, non solo finanziari, oltre il Pacifico. Se a questi personaggi aggiungiamo il premier canadese Stephen Harper, presente più per dovere d’ufficio che non per altro, il quadro non cambia. A movimentare la scena ci ha pensato il solito Sarkozy, che ieri si era pronunciato senza esitazioni contro la politica della Bce. Ha detto apertamente ciò che in molti hanno pensato: è un vertice inutile se non viene esteso alle nuove potenze del Pianeta. Cina ed India, ma anche i rappresentanti di quel mondo musulmano che controlla i rubinetti del petrolio. Senza di loro è come giocare a mosca ceca. Si enunciano proclami, ma poi il mondo, insensibile al canto di sirene un po’ appassite, va in un’altra direzione. Parole di buon senso, che, tuttavia, non sono piaciute a George Bush. La risposta è stata netta e senza equivoci. Il G8 resta quello che è. L’esigenza posta dai francesi è giusta ma si può risolvere allargando il tavolo di volta in volta. Silvio Berlusconi, che sarà l’ospite alla Maddalena del prossimo G8, ne ha preso atto schierandosi con l’alleato americano. Lo ha fatto senza rinunciare, tuttavia, al tema che più gli interessava: quello della speculazione sulle commodities (materie prime, prodotti alimentari e petrolio): argomento di cui l’Amministrazione americana non vuol nemmeno sentir parlare. La proposta è di aumentare i depositi a garanzia del contratto nei mercati dei futures. Al momento sono appena pari al 5 per cento del loro importo. Un rischio talmente basso da trasformare quel mercato in un vero e proprio casinò. Dovrebbe essere portato al 50 per cento, tagliando le unghie alla speculazione più aggressiva.

La speculazione si può battere aumentando i depositi di garanzia delle materie prime. Da Bruxelles arriva una proposta per i leader riuniti (inutilmente?) in Giappone

punto, è un’utopia? L’unica sintesi che è in grado di definire interessi politici è lo Stato Nazione. Per tutto il resto ci possono essere degli accordi inter-governativi. Ma anche questi ultimi sono difficili da prendere quando gli interessi cominciano ad essere lontani. E come definire, se non divergenti, gli interessi dei cosiddetti Stati emergenti rispetto a quelli dei cosiddetti paesi avanzati? Facciamo un esempio: in tema di effetto serra, il Congresso degli Stati Uniti sa benissimo che non approverà nessuna restrizione internazionale sino al momento in cui queste linee non verranno applicate nella stessa maniera nei Paesi emergenti. Ma è noto che essi non possono accettare misure simili perché avrebbero un effetto negativo sulla loro crescita economica. Tradotto: se questi paesi entrassero nel G8, come auspicato dal presidente francese Nicolas Sarkozy, si creerebbero ulteriori paralisi. D’altra parte ci troviamo anche in un momento di importante transizione internazionale. Esattamente. Gli Usa detengono un potere mondiale del 3540%. Dunque, tutto è rimandato all’elezione del nuovo presidente americano. Solo quando si saprà chi è, e soprattutto quali sono i propri orientamenti, sarà possibile definire il futuro del G8. Una cosa è certa anche adesso: per il momento la tendenza è nella direzione di una frammentazione e una nazionalizzazione delle politiche dei singoli paesi. E non certamente verso la globalizzazione della politica: c’è la reazione dell’identità contro la globalizzazione economica. Di conseguenza, qualsiasi organismo multilaterale avrebbe dei vincoli molto forti che paralizzerebbero il suo funzionamento. (f.r.)

Gli altri leader fanno un po’ da tappezzeria. Molti, come l’inglese Gordon Brown, sono anch’essi al termine della loro esperienza governativa. E chi non lo è, come Angela Merkel, ha più di un problema da affrontare, all’interno di quella Grosse Koalition, che tanto aveva promesso, ma poco mantenuto. L’ospite di casa, il giapponese Yasuo Fukuda, ha ben altre gatte da pelare. Dirige un paese che da oltre venti anni non cresce in modo adeguato. Negli anni ’80 era il terrore dell’Occidente, ma soprattutto degli Usa, al

Gli fa eco Giulio Tremonti da Bruxelles. La Commissione europea può intervenire per frenare gli eccessi di questa attività. Non ha bisogno di nuove leggi, basta applicare gli articoli 81 ed 82 del Trattato di Roma, che combattono sia la manipolazione dei prezzi sia le posizioni dominanti. Botta e risposta quindi su un tema che, fino a pochi giorni fa, non era nemmeno preso in considerazione e che ora comincia a farsi strada. Almeno a giudicare dalle reazioni dello stesso Presidente americano. Quando ammette che il dollaro è troppo debole, di fatto riconosce che qualcosa di patologico sta inquinando i mercati internazionali. Non è interamente colpa della politica monetaria del suo Paese, visto che le economie emergenti – Cina, India e paesi produttori di petrolio – non vogliono rivalutare le loro monete, preferendo il tallone del dollaro. Ma alla fine a qualche rimedio si dovrà arrivare. Che l’inutile G8 non possa rappresentare l’inizio di questa svolta?


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Outsider. Parla Muhammad Yunus, il premio Nobel che con il “microcredito” e il “business sociale” tenta di sconfiggere la miseria globale

«Così si batte la povertà» colloquio con Muhammad Yunus di Maurizio Stefanini

ROMA. Nato nel 1940, Muhammad Yunus raccontò nel suo primo libro Il banchiere dei poveri (Feltrinelli, 2003) il modo in cui da economista insegnante in un’università del natio Bangladesh decise a un certo punto di sporcarsi le mani con la realtà. Inventando quel sistema di “credito bonificato” per quegli umilissimi altrimenti esclusi da ogni credito che gli valse nel 2006 il Nobel per la Pace. Dopo il riconoscimento ha scritto un altro libro che esce anch’esso ora in italiano: Un mondo senza povertà (Feltrinelli, 15 euro). «Sono passati dieci anni, e ora ho cercato di andare oltre il microcredito - spiega -. La povertà resta sempre il problema centrale, ma il mio approccio ormai è quello che ho definito business sociale. L’idea mi è venuta con tutte le imprese che ho creato in questi anni: 26 in tutto. La gente mi chiedeva in continuazione: “ma perché crei tutte queste imprese, se poi non ci guadagni sopra?” Io rispondevo che non era quello il mio obiettivo, ma ho cominciato a riflettere sulla questione. E dalla riflessione è nato questo libro. Il business sociale è un nuovo tipo di attività economica che mira a realizzare obiettivi sociali piuttosto che a massimizzare il profitto, per conciliare il libero mercato con l’aspirazione a un mondo migliore. L’obiettivo è di discutere del business sociale e del futuro del capitalismo». Un tema “caldo”anche per i leader mondiali riuniti in queste ore al G8 di Hokkaido. Anche se per Yunus, «i governi è meglio lasciarli fuori». A caval donato non si guarda in bocca, dice il proverbio. Ma lei è soddisfatto di aver ricevuto il premio Nobel per la Pace piuttosto che quello per l’Economia? Un Nobel è un riconoscimento prestigioso comunque, anche se ci può essere qualche differenza nei dettagli. L’importante è che sia stata attratta l’attenzione internazionale sulla battaglia che stiamo facendo contro la povertà. Io non mi preoccupo del successo accademico, quello che mi interessa è la creazione del business sociale e il superamento degli ostacoli che impediscono a tanta gente l’accesso al credito. Economista teorico, banchiere dei poveri, imprenditore, scrittore, filantropo, Premio Nobel, ma anche politico. Nel febbraio del 2007 aveva annunciato la fondazione di un partito… Prima ancora mi ero anche offerto come primo ministro del Bangladesh per

un possibile governo di transizione. E mi sono messo da parte quando è stato nominato un altro premier. C’è stato poi un grande affollamento di politici attorno alla mia persona, ma in Bangladesh la politica continua a essere un affare estremamente corrotto. Due mesi dopo ho annunciato che non intendevo più creare alcun partito e che la politica non era nei miei progetti futuri. Di recente le riviste Foreign Policy e Prospect hanno organizzato un refe-

del pianeta. Ma ne sono ovviamente contento: non per vanità, ma perché ciò aiuta la mia lotta contro la povertà. In questo sondaggio sono arrivati dieci musulmani ai primi dieci posti… La gente è stata molto generosa. Ormai sembrava che il mondo islamico dovesse essere identificato sempre con il terrorismo. Evidentemente non è così. La percezione sta cambiando. Tra l’altro si tratta di dieci musulmani con idee estremamente diversificate, a dimostrare che il mondo islamico non è affatto un monolite. Anche il sociologo peruviano Hernando de Soto è un noto esperto in materia di lotta alla povertà, con le sue teorie sulla rivoluzione informale. De Soto nelle interviste parla della vostra amicizia e considera l’approccio del microcredito come complementare alla sua idea di formalizzare i diritti di proprietà informali. Però dice anche che il microcredito va bene soprattutto per le società più povere, come in Asia e Africa. Già in America Latina, secondo lui, ha un ruolo minore. Questo passaggio dal semplice micro-

L’essere umano è multidimensionale e adatto a un tipo di impresa che non si limiti a massimizzare il profitto, ma a migliorare la personalità nel suo insieme rendum on line per stabilire chi fossero i cento intellettuali più influenti del mondo di oggi. Lei è arrivato secondo e forse dovremmo considerarla primo, visto il modo in cui il quotidiano turco Zaman ha mobilitato i suoi lettori per far votare il teologo islamico Fethullah Gülen, che ha ottenuto il maggior numero di preferenze. Come valuta questo successo? A esserne il più sorpreso sono stato io. Non sapevo del voto e ho appreso del risultato a mio favore dai giornali del Bangladesh. Sinceramente, non avrei mai pensato che tanta gente mi considerasse il più importante intellettuale

Il documento. Il G8 delle Accademie delle Scienze

Clima e malattie: iconsigli degli scienziati di Valentina Meliadò

I CAPI DI STATO degli otto Paesi più industrializzati del mondo, riuniti ad Hokkaido per discutere di crisi economica globale e di rialzo dei prezzi delle materie prime, non potranno ignorare i due documenti elaborati per l’occasione dal cosiddetto G8 delle Scienze, un“summit”dei prestigiosi istituti di cultura dei Paesi più avanzati cui partecipano anche cinque nazioni destinate ad occupare sempre più la scena mondiale: Cina, India, Sud Africa, Brasile e Messico. I documenti cui hanno lavorato gli scienziati di queste tredici Accademie portano all’attenzione generale due argomenti oramai ineludibili per un confronto realistico sulle prospettive presenti e future dell’economia mondiale: i cambiamenti climatici in relazione alla questione energetica e le minacce globali alla salute umana, legate soprattutto all’insorgenza e alla diffusione di ma-

In alto, Muhammad Yunus, Nobel per la Pace. Foto piccola: Bjorn Lomborg, padre della campagna contro l’allarmismo climatico, cui fanno riferimento gli accademici delle Scienze

credito all’idea del business sociale può essere considerata una confuenza verso queste posizioni? De Soto si sta concentrando su un tema specifico: la documentazione dei diritti di proprietà. Non ne nego l’importanza, ma riguarda soprattutto la struttura dei diritti di proprietà. Secondo me questo è un approccio incompleto. L’uomo non ha una dimensione sola. L’essere umano è molto

lattie infettive e di uno stile di vita che favorisce lo sviluppo di patologie cardiache, tumori, diabete, obesità, disturbi mentali e neurologici. Il contenuto in questi documenti non è improntato al catastrofismo di certo ambientalismo ideologico e non è un grido d’allarme fine a se stesso, ma un’analisi disincantata di quelle che potrebbero essere le conseguenze economiche, politiche e sociali di una mancata presa di coscienza dei pericoli insiti in un aggravamento della situazione ambientale e sanitaria a livello planetario. Se la globalizzazione è un bene in quanto moltiplicatore di opportunità economiche e di ricchezza - nonostante agisca a macchia di leopardo - anche i problemi derivanti da un allargamento consistente dei consumi, della domanda e dello sfruttamento delle risorse naturali sono di natura globale e vanno affrontati insieme.


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più che l’homo economicus. L’essere umano è un essere multidimensionale, le cui molteplici dimensioni cerco di comprendere col concetto di business sociale. Un business che non si limita a massimizzare il profitto, ma a beneficare la personalità nel suo complesso. Nel business sociale c’entra il microcredito, c’entra la documentazione dei diritti di proprietà, c’entra l’abitazione, c’entra l’accesso all’acqua potabile, c’entra il diritto alla salute. Qual è la situazione del microcredito in Italia?

È questo il monito ai grandi della terra da parte del G8 delle Scienze, e in questo senso la partecipazione delle Accademie di Cina e India è particolarmente significativa, perché l’impatto della rapida crescita economica, industriale e commerciale di nuove potenze mondiali sui cambiamenti climatici e la salute umana è direttamente proporzionale alla diffusione del benessere, al numero degli abitanti e alle metodologie di produzione di questi Paesi.

Per quanto riguarda le minacce alla salute lo sforzo comune - secondo il G8 delle Scienze - deve concentrasi su: monitoraggio e contenimento delle malattie infettive; prevenzione delle patologie collegate agli stili di vita; educazione sanitaria e condivisione delle conoscenze e delle esperienze; igiene, sicurezza alimentare, accesso ai trattamenti e formazione di personale qualificato, cui si aggiunge il dovere di ogni governo di collaborare con la società civile, le uni-

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Ci sono dei programmi di microcredito in Italia. Piccole cose, perché l’economia italiana sta su un’altra dimensione. Però abbiamo anche per l’Italia programmi e idee per risolvere la povertà. La povertà in città come Roma, Milano o Napoli; d’altronde non esiste nessun Paese in cui non esista povertà. È il mio sogno creare un mondo dove la povertà possa restare solo come una realtà da museo, una cosa del passato. Grameen Bank si chiama la struttura che lei ha creato per gestire la battaglia del microcredito. La

versità, i media e il mondo degli affari per promuovere una corretta informazione, la ricerca scientifica, il progresso, lo sviluppo internazionale e l’ampliamento dei fondi pubblici e privati. Non molto diversi gli obiettivi dichiarati nel documento sui cambiamenti climatici, che ricalca l’analisi effettuata nel 2007 dell’Ipcc (Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico) il cui allarmismo ha provocato la reazione di scienziati come Bjorn Lomborg, ma le conclusioni delle Accademie delle Scienze, oltre a ribadire l’urgenza della riduzione di emissioni di anidride carbonica, puntano sull’utilità delle politiche di adattamento al riscaldamento globale. E allo sviluppo e implementazione del Carbon Capture and Storage, quello che in italiano, scientificamente parlando, si definisce il sequestro del carbonio, vale a dire catturare e stoccare il carbonio, eliminandolo così dalle emissioni. Un metodo che in questi ultimi anni conta un numero crescente di

traduzione in italiano si avvicina abbastanza a quella che da noi si chiamava Cassa rurale. In effetti nell’Europa del XIX secolo erano già nati molti di questi strumenti per dare credito ai poveri: banche popolari, casse di risparmio, casse rurali e artigiane. Il moderno microcredito è la semplice riedizione di questri strumenti nel Terzo Mondo di oggi? Oppure c’è qualcosa di nuovo? Il sentimento che c’è dietro è sostanzialmente lo stesso, e identico è anche

”seguaci” e che in qualche misura è un percorso parallelo, in termini di lotta all’inquinamento, al protocollo di Kyoto. Per gli scienziati è inoltre necessario uno sforzo a livello internazionale di ricerca e investimenti sulle fonti rinnovabili, l’energia nucleare, solare e idroelettrica; la promozione di un diverso comportamento individuale, improntato al risparmio energetico; una cultura industriale attenta all’equilibrio tra sfruttamento e rimpiazzo delle risorse naturali e una maggiore collaborazione tra governo e industrie a livello locale ed internazionale. Tutti questi temi e la definizione di strategie concrete per il conseguimento degli obiettivi prefissati saranno discussi al G8 delle Scienze del 2009 a Roma, presso l’Accademia dei Lincei, con la volontà di stimolare i propri governi e la comunità internazionale a mantenere gli impegni presi e ad assumersi nuove responsabilità per la soluzione delle sfide globali.

il problema affrontato: la grande banca che ignora le necessità della gente più umile. Però in qualche modo tutti questri strumenti si sforzavano di imitare gli schemi di queste stesse grandi banche convenzionali. Il microcredito invece sta sfidando gli schemi del modo di fare banca alla radice. Non ci sono garanzie, non ci sono avvocati per il recupero dei crediti, privilegiamo le donne. E poi non ci concentriamo sulla sola agricoltura o sul solo artigianato. Finanziamo ogni tipo di attività che possa generare reddito. E facciamo in modo che i clienti possano diventare i proprietari della banca. Per noi la cosa più importante è proprio questa sfida alle regole acquisite. Qualunque cosa la banca tradizionale faccia, noi ci comportiamo nell’esatto contrario. Loro danno ai ricchi? Noi diamo ai poveri. Loro vogliono un rimborso in una sola soluzione? Noi facciamo a rate. Loro esigono che sia la gente ad andare da loro? Noi andiamo dalla gente. Una recente inchiesta avrebbe dimostrato che malgrado tutte e lamentele sulla crisi mondiale, nel complesso la popolzione del pianeta ritiene di essere più felice oggi che in passato, perché la globalizzazione ha finito veramente per creare più ricchezza per più persone. Lo ritiene possibile? In realtà è proprio così. La povertà a livello mondiale è diminuita negli ultimi anni. Ad esempio in Cina, in India, in Bangladesh, in Vietnam… Tutti questi Paesi stanno raggiungendo gli obiettivi di sviluppo del millennio. Dunque la globalizzazione ha funzionato… Certo che ha funzionato. Il mondo è più piccolo, siamo più in contatto e ciò ha effetti benefici. Ma ci vorrebbe qualche regola in più. Bisogna fare in modo che la globalizzazione non arrechi beneficii solo ai ricchi e ai potenti, ma a tutti. Non regole oppressive, s’intende. Regole come quelle sul traffico, che non impediscono agli autisti di andare, ma evitano gli incidenti. Per questo considero importanti appuntamenti come quelli del Doha Round. E la crisi in corso, allora? È una crisi di crescita o una crisi terminale? È sostanzialmente una crisi dei prezzi del petrolio in seguito all’aumento della domanda asiatica. Quello che ci vuole è fuoriuscire dalla dipendenza dall’energia fossile per passare il più possibile alle energie rinnovabili. Andrei cauto sul biocombustibile, perché il cibo è più importante del carburante. Ma ci vuole più nucleare, più solare, più eolico, più biogas e con tecnologie più moderne. Proprio questa crisi può aiutare, perché i rincari del petrolio le stanno rendendo sempre più competitive. Come si può definire ideologicamente il microcredito? Liberalismo sociale, socialdemocrazia, terza Via? Oppure non è interessato alle definizioni ma ai fatti? Vi è molto dibattito, ma io preferisco concentrarmi sull’obiettivo: portare fuori dalla povertà sempre più gente. Nel 2006 il microcredito è arrivato a raggiungere 133 milioni di famiglie. Ci sono governi che si sono mostrati più sensibili? I governi è meglio lasciarli fuori.


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politica

La maggioranza rinuncia alla forzatura in aula, il Pd chiede lo stralcio della blocca-processi

Il dialogo appeso a un baratto di Riccardo Paradisi

ROMA Voi ci date il lasciapassare per il Lodo Alfano, noi tiriamo via dal pacchetto sicurezza la norma blocca-processi. La sostanza del possibile accordo tra governo e opposizione, in estrema sintesi, dovrebbe essere questa. Anche se il numero due del Pd Dario Franceschini smentisce che ci siano trattative in corso: «nessuno scambio nè oggi nè domani tra il ritiro della sciagurata norma salva-processi e il cosiddetto lodo Schifani-Alfano». Per la verità nemmeno la maggioranza per ora ha fatto passi significativi in questa direzione: al massimo il Pdl concede di posticipare il voto sul decreto sicurezza rispetto al Lodo Alfano che invece dovrà essere calendarizzato subito perché l’obiettivo è quello di portarlo in aula prima del decreto. Un disegno già operativo visto che l’ufficio di presidenza della Commissione ha deciso di mettere all’ordine del giorno di oggi l’esame del Lodo che era atteso in aula. Solo dopo avere incassato il via libera al Lodo comunque e averlo trasformato in legge prima dell’estate il centrodestra

glia a Roma in piazza del Pantheon sulla giustizia ribadirà il suo no ad ogni baratto con il governo. Un messaggio rivolto anche al Pd che oggi diserta la piazza e torna, per dipietristi e girotondini, nel cono d’ombra del sospetto di intelligenza con il nemico. Cui dà voce senza freni inibitori dovuti a convivenze parlamentari il coordinatore nazionale Comunisti italiani che oggi saranno in piazza a Roma: «Lo scambio cui siamo assistendo è politicamente immorale. Per coprire le controversie interne alla maggioranza si gioca il ”salva processi”col lodo del ministro Alfano.Tutto cio’ avviene col concorso del partito democratico. Alla faccia della sua coerente opposizione».

Dunque una trattativa in corso c’è malgrado le negazioni assolute di Franceschini. A salutare invece il ritorno di una fase politica più dialogante è il leader dell’Udc Pierferdinando Casini che lunedì sul Corriere della Sera aveva proposto lo scambio di cui si ragiona in queste ore.

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g i o r n o

Maroni: su immigrazione andiamo avanti «Qualunque cosa si fa o si dice sull’immigrazione si rischia di essere accusati di razzismo». Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, ieri mattina a Cannes al Consiglio informale della Ue, dove si è discusso di una politica comune europea per l’immigrazione. «Bisogna non temere queste false accuse e andare avanti - ha aggiutno Maroni - per regolamentare l’immigrazione, cosa che il Patto europeo per l’immigrazione e la direttiva europea sui rimpatri fanno in modo soddisfacente».

Famiglia cristiana: l’Italia va a rotoli, serve un esecutivo di unità nazionale Secondo Famiglia Cristiana l’Italia è un «Paese a rotoli», con una maggioranza e una opposizione «in un vicolo cieco senza una rotta». La causa? «Sono troppi i poteri dello Stato in permanente conflitto a disorientare la gente e far scoppiare il dialogo sulle riforme». «Un nuovo patto per l’Italia, prima che la tela si strappi» è l’auspicio del settimanale, secondo cui «il Paese rischia una deriva senza ritorno» e «il capitale di fiducia dato a Berlusconi s’è infranto sugli scogli dell’intolleranza».

Alemanno: potenziare i cpt di Roma «Dobbiamo fare in modo di potenziare i cpt di Roma in modo che serva solo la città e non tutto il centro Italia». Lo ha detto ieri il sindaco di Roma Gianni Alemanno presentando i punti del nuovo patto per la sicurezza del Comune di Roma. Davanti al consiglio comunale riunito in seduta straordinaria e al prefetto di Roma Carlo Mosca, Alemanno ha spiegato che «occorre aumentare il personale in divisa anche attraverso la dislocazione dei militari delle forze armate su presidi fissi. Sono però contrario all’idea dei pattuglioni: i militari possono essere invece impiegati con funzioni di controllo nei cpt, nelle stazioni periferiche e nei luoghi più desolati della città».

Lloret de Mar, il cadavere è di Federica

potrebbe rinunciare alla salvaprocessi, non prima.

«La prima cosa che il gover-

Il Pdl disposto allo scambio, l’opposizione prende tempo mentre Idv e girotondini accusano di inciucio il Pd

no deve fare – insiste invece il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro – è stralciare la norma salva processi, altrimenti non ci potrà essere alcun confronto costruttivo». «Non c’è nessuna ipotesi di stralcio – chiarisce Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere giuridico del premier – ma sia chiaro che noi non siamo affezionati a quella norma a tutti i costi. Se dall’opposizione o dalla stessa maggioranza dovessero arrivare delle indicazioni pregevoli siamo disponibili ad accoglierle». Insomma il ritorno al dialogo sembra appeso a uno scambio che per ora appare improbabile. Anche se fonti interne ai due schieramenti garantiscono che dopo lo scontro frontale delle ultime settimane i pontieri sono tornati al lavoro. E comunque è proprio il reincarnarsi del dialogo ciò che più teme l’Italia dei valori che nella manifestazione di oggi contro le leggi cana-

La posizione dell’Udc in sostanza è che è meglio far passare il principio che non si possono processare le più alte cariche dello Stato fino a fine mandato «piuttosto che gettare nello scompiglio i tribunali con la norma che punta a sospendere per un anno tutti quei processi che riguardano reati commessi fino al giugno 2002». In questo modo anche per il capo dello Stato sarebbe più agevole firmare il decreto una volta emendato della norma della discordia. A spingere per un ritorno al confronto costruttivo e addirittura a un governo di responsabilità nazionale è invece il settimanale dei paolini Famiglia Cristiana che in queste ultime settimane ha equamente distribuito rampogne verso maggioranza e opposizione.Troppi i poteri dello Stato in permanente conflitto impediscono il dialogo sulle riforme: «Berlusconi è tornato a scontrarsi con i magistrati; l’opposizione ha ripreso il servizio controproducente dell’antiberlusconismo. È scomparso il confronto sulle riforme, vero problema del Paese».

Federica Squarise è morta. Il cadavere è stato trovato in un parco nel centro di Lloret del Mar, poco lontano dalla discoteca in cui la ragazza padovana era stata vista l’ultima volta. Qualche ora dopo il ritrovamento, l’avvocato della famiglia Aldo Pardo ha fugato anche le ultime residue speranze: il corpo è proprio quello di Federica, il riconoscimento è stato possibile grazie a un brillantino su un dente. Non c’è stato quindi bisogno di aspettare l’esame del Dna. L’identificazione visiva del cadavere è stata per qualche ora impossibile e per questo sembrava necessario attendere l’esito dell’esame biologico.

Damiano: applicare protocollo welfare Cesare Damiano, capogruppo del Pd nella commissione lavoro della Camera, auspica la piena applicazione da parte del governo di quanto previsto nel protocollo sulla riforma del welfare concluso un anno fa. Nel dirsi d’accordo con la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, sulla «necessità di aumentare le retribuzioni anche attraverso il legame tra salario e produttività», Damiano ricorda il potenziamento del fondo per la contrattazione aziendale. «I decreti relativi a queste nuove regole sono stati firmati a suo tempo dai ministri del lavoro e dell’economia - ricorda Damiano - e finanziariamente coperti attraverso il vaglio delle compatibilità economiche con la Ragioneria dello Stato. Abbiamo più volte sollecitato il nuovo governo a rendere operativi questi benefici e lo stesso ministro Sacconi ha affermato che la norma del 23 luglio 2007 si deve sommare ai nuovi benefici previsti dal governo per il salario di produttività».


politica rima c’era un rispetto reciproco tra il giornalista e il magistrato, tra il pubblico ministero e il giornalista, tra il presidente del tribunale e il giornalista, mentre ora capita che il giornalista bussi alle porte del magistrato e chieda: «oggi che mi dai, oggi che c’è?». Roberto Martinelli, consulente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti su media e giustizia, racconta il progressivo deteriorarsi del rapporto tra informazione e sistema giudiziario a scapito della privacy e - talvolta - della libertà dei cittadini italiani. Qual è il giusto confine tra diritto di cronaca e tutela della privacy? Io penso che il giornalista abbia il dovere di informare i suoi lettori su tutto ciò che arriva alla sua conoscenza. A volte può violare la cosiddetta privacy quando questo sconfinamento è necessario per una informazione corretta e completa, e quando naturalmente il personaggio in questione è un personaggio pubblico, perché la privacy del comune cittadino è assolutamente intoccabile, e d’altronde il rispetto della vita privata non è sancita soltanto dalle leggi di questo Stato ma dalla Costituzione. Nonostante questo è capitato tante volte che i “mostri”vengano sbattuti in prima pagina e magari dopo un po’ di tempo risultino innocenti senza che la stampa ne dia notizia, oppure dedicando un trafiletto in ultima pagina. Questo è un malcostume giornalistico imperante nel nostro Paese, che è andato via via peggiorando negli ultimi anni. Prima non era così. Prima, quando addirittura non c’era ancora l’ordine dei giornalisti, un cronista aveva maggior rispetto per la vita privata del cittadino; ora non è più così perchè è cambiato il modo di fare questo mestiere. L’editoria pura è morta, i giornali sono di proprietà di banche, enti pubblici e privati, gruppi di potere, industriali e imprenditori che hanno tutt’altro obiettivo che informare, ma usare la stampa per i propri interessi. Il giornalismo è inoltre condizionato dalla pubblicità, e questa è una delle cause di questo malcostume di sbattere in prima pagina il mostro o la velina soltanto perché quella fotografia, quel seno nudo o altro fa vendere più giornali, il che comporta maggiore pubblicità e maggiori introiti. Quindi è proprio un problema di deontologia? Anche, soprattutto, ma a monte c’è il problema che la proprietà dei giornali non è più degli editori di una volta ma di gente che fa quattrini o tenta di far soldi usando il giornalismo per altri scopi. Qual è il rapporto tra i cro-

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«P

L’Ordine dei Giornalisti interviene sulle intercettazioni

«Il Grande Orecchio non serve alla giustizia» colloquio con Roberto Martinelli di Valentina Meliadò nisti giudiziari e i magistrati, i tribunali? È un rapporto che si è andato via via deteriorando. Se un giornalista bussa alla porta di un magistrato onesto e perbene questo gli sbatte la porta in faccia, se invece trova uno che ha interesse a far carriera e a vedere il suo nome sul giornale lo accoglie e gli passa tutto quello che vuole. Quindi esiste effettivamente un problema di protagonismo? Tutti quelli che si vedono sui giornali, tutti quelli che hanno fatto carriera sulla toga e tutti quelli che hanno usato la toga per diventare poi deputati, mini-

laico. Ora non è più così, ci sono magistrati e presidenti di tribunali che hanno un loro ufficio stampa con addetti che telefonano ai giornalisti per offrirgli un’intervista. Cinquant’anni fa ogni procura aveva un ufficio stampa che si occupava delle querele contro i giornalisti, cioè dei reati di stampa, invece quelli di oggi servono a fare pubbliche relazioni. La maggior parte delle intercettazioni pubblicate dai giornali negli ultimi anni è risultata irrilevante dal punto di vista giudiziario ma devastante per la vita privata di alcune persone.

Il processo mediatico ha sostituito quello giudiziario. La sentenza che il giudice dovrebbe emettere in nome del popolo italiano è già stata emessa molto tempo prima in nome dell’opinione pubblica stri e quant’altro hanno fatto questo, mentre ce ne sono tanti altri che non vanno in Parlamento, non diventano ministri, non diventano ricchi e non scrivono sui giornali, ma svolgono correttamente e onestamente il loro compito, cioè stanno lì ore e ore a lavorare in silenzio come una volta, quando la magistratura era considerata un sacerdozio

Purtroppo queste cose sono destinate a finire sulle scrivanie delle redazioni dei giornali. L’intercettazione è affidata a centri di ascolto privati i quali poi mandano questi brogliacci alle procure, le procure li leggono, ne fanno una cernita, e poi con il sistema del copia-incolla le ficcano nei provvedimenti giudiziari come la custodia cau-

telare, i quali provvedimenti vengono ovviamene portati a conoscenza dell’indagato con la notifica dell’ordinanza che contiene centinaia di pagine di intercettazioni. È convinzione comune che quando l’atto viene portato a conoscenza dell’indagato il segreto istruttorio - che oggi si chiama segreto investigativo - cessi di esistere, per cui tutto è pubblicabile, tutto è lecito, tutto è divulgabile, ma non è così, perché quelle intercettazioni che si leggono sui giornali non sono prove di reato, ma qualcosa che dovrebbe spingere un pubblico ministero a indagare a sua volta. Sono spunti di indagine da portare poi davanti al giudice terzo, sulla scrivania del quale le intercettazioni che vengono raccolte dal pm non arriveranno mai. Le prove vengono raccolte nel contraddittorio delle parti, cioè possono essere raccolte solo in aula ascoltando accusa e difesa. Quindi la pubblicazione delle intercettazioni è un’anticipazione del processo e addirittura finisce con il condizionare l’indipendenza del giudice terzo, il quale quelle intercettazioni non le avrebbe mai lette. Quindi esiste il rischio che l’eccessiva spettacolarizzazione dei processi influenzi

il loro andamento? Li influenza e li condiziona, salvo poi vedere se il giudice sia una persona corretta che non si lascia condizionare e giudica senza tenere conto delle cose che non avrebbe dovuto sapere, e che purtroppo noi giornalisti gli abbiamo portato con la complicità di certi magistrati. Dunque dobbiamo affidarci solo alla correttezza dei magistrati? Noi giornalisti dovremmo fare un po’di autocritica, ma è difficile perchè gli editori puntano a far quattrini e ad usare tutto quello che gli arriva, quindi se un’intercettazione telefonica o un verbale o un atto danneggiano in qualche modo il mio avversario politico, io editore ho tutto l’interesse a pubblicarlo, e il giornalista, che è l’ultima ruota del carro, deve rendere conto al caposervizio, al caporedattore, al vicedirettore e al direttore, che è uomo di fiducia dell’editore. Secondo lei c’è la possibilità di intervenire a livello legislativo in modo da salvaguardare il diritto di cronaca riportando però la cronaca giudiziaria su binari deontologicamente più accettabili? Penso che una riforma del processo penale potrebbe cambiare le cose, mentre il disegno di legge sulle intercettazioni sarà inutile perché non cambia il costume, non cambia la procedura. Se si cambia invece il modo di fare le inchieste, se si crea un modo diverso di indagare e si impone al magistrato una maggiore riservatezza, forse le cose miglioreranno. Una volta non era così. Io ho seguito il processo Montesi, Fanaroli e tanti altri, e questa gente non è stata mai data per colpevole prima della sentenza. Il presidente della corte d’assise di Roma, che giudicò questi grandi imputati, impediva ai suoi giurati di leggere i giornali per non essere influenzati, perché già allora cominciava ad aleggiare questo pericolo. Se questa fosse una regola probabilmente il sistema giudiziario italiano subirebbe una svolta. In America e in Inghilterra il giornalista entra in aula e non può fare fotografie, non può pubblicare nulla prima del dibattimento. Ascolta e racconta quello che sente; a maggior ragione dovrebbe essere così in Italia, dove le prove si raccolgono in dibattimento, davanti ad un giudice terzo, nel contraddittorio delle parti. Sfornare centinaia di intercettazioni addirittura prima ancora dell’inchiesta preliminare significare additare un colpevole. Il processo mediatico ha sostituito il processo giudiziario. La sentenza che il giudice dovrebbe emettere in nome del popolo italiano è già stata emessa molto tempo prima in nome dell’opinione pubblica. È una cosa gravissima.


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pensieri

Si chiamano ”Charter school”, sono pubbliche, affidabili, di competenza dei singoli stati e completamente gestite dagli enti locali

Il successo americano delle ”scuole su misura” di Luisa Ribolzi l fallimento scolastico, spesso sintomo oltre che causa del disagio giovanile, è un problema comune a molti paesi, che lo affrontano in modo positivo solo partendo dall’idea che migliorarne la qualità è un ottimo punto di partenza per soluzioni di ampio respiro che aiutino effettivamente le fasce di popolazione più a rischio. Negli Stati Uniti, la scuola è una competenza dei singoli stati e viene gestita dagli enti locali: in base alla logica del think globally, act locally il centro ha solo una funzione strategica di supporto dell’innovazione e di controllo. Questo consente una grande flessibilità di soluzioni, il cui successo giudicheranno i cittadini, e genera quindi un approccio molto pragmatico: ad esempio, per risanare le scuole che non riuscivano a raggiungere gli standard minimi, a Philadelphia le hanno divise in tre lotti affidandoli rispettivamente a un apposito organismo municipale, a organismi non profit e a imprese di educazione che operano secondo logiche di mercato, per confrontare le soluzioni e scegliere le proposte migliori da generalizzare. Un articolo comparso sull’Economist l’8 maggio scorso racconta l’esempio virtuoso di una scuola charter della zona Sud di Chicago, parte di uno dei più interessanti fenomeni di rinnovamento della scuola americana degli ultimi vent’anni (il primo stato ad autorizzare le scuole charter è stato il Minnesota nel 1991).

I

Una scuola charter è «una scuola pubblica di scelta, indipendente, libera quanto alle regole ma affidabile quanto ai risultati»: in quanto pubblica, è aperta a tutti, gratuita (finanziata fino all’80% del costo delle scuole di distretto con i soldi delle tasse), e deve rendere conto dei risultati che raggiunge sia ai propri utenti che allo stato. Rispetto alle scuole distrettuali, al cui scadimento rappresentano spesso una reazione, le charter sono meno vincolate da legami burocratici,

ed essenzialmente autonome nelle loro decisioni, in particolare per la scelta e il trattamento degli insegnanti; ne consegue che i sindacati, benché possano essere fra i soggetti fondatori, siano molto critici verso questa esperienza (anche l’articolo cita il parere di una sindacalista, che critica il tentativo di «applicare alla scuola un modello aziendalistico»). Una scuola charter può essere aperta da un gruppo di insegnanti o di famiglie, da un’associazione, un’università, perfino da una scuola di distretto che decide di trasformarsi in charter, e viene autorizzata dalle autorità locali per mezzo di un decreto (la chart, appunto) sulla base di un

gior parte delle scuole charter non è certo di élite quanto all’utenza, prevalentemente composta di ragazzi afroamericani, latino americani e bianchi poveri, ma lo è quanto ai risultati ottenuti, grazie alla personalizzazione dei progetti, all’impegno dei docenti e all’utilizzo intensivo di tutor e tecnologie dell’informazione.

Una delle scuole che ho personalmente visitato a Boston, la Match (media and technology charter high school, www.matchschool.org), con sette studenti neri su dieci e due ispanici, e un’accentuazione quasi esasperata sulla disciplina e sulla riuscita, si è piaz-

Frequentate perlopiù da ragazzi afroamericani, bianchi poveri e latinoamericani, nel tempo hanno ottenuto ottimi risultati e nient’affatto d’élite progetto validato da un ente, di solito un’università. L’autorizzazione ha una scadenza (di solito cinque anni) in capo alla quale, se non ha mantenuto gli impegni presi con gli utenti e con lo stato, la scuola viene chiusa. Il successo è stato rapido e crescente: attualmente, quaranta degli stati americani hanno leggi che ne autorizzano l’apertura, sia pure limitandone il numero: se le richieste sono superiori ai posti si ricorre all’estrazione a sorte, e la lista d’attesa si aggira, mediamente, su 150 domande inevase ogni anno. Le qualità più apprezzate dai genitori sono soprattutto la sicurezza (molte charter operano in quartieri difficili), la possibilità di scegliere liberamente il progetto della scuola, e i migliori risultati ottenuti, come nel caso della Urban Prep Charter Academy di cui tratta l’Economist, finalizzata a promuovere la preparazione accademica dei ragazzi meno favoriti. La mag-

zata fra le otto migliori charter degli Usa su 400 esaminate, con il 100% di studenti ammessi al college (il valore medio per la stessa tipologia di popolazione si aggira intorno all’8%). Nel Bronx, la Harriett Tubman School, per ragazzi dai 6 ai 14 anni, quasi interamente afroamericani e con una percentuale di ragazzi sotto la soglia di povertà intorno al 70%, ottiene risultati paragonabili alle migliori scuole private della città, e ha

tassi di abbandono quasi nulli: la scuola è gestita da Edison Schools (edisonschools.com), forse la più nota delle “imprese di insegnamento” private cui accennavo prima.

Non è detto che le soluzioni adottate negli Stati Uniti per le charter siano automaticamente replicabili in Italia, ma certamente se ne possono ricavare utili indicazioni, purché si accetti di partire dalla considera-

zione che il fallimento della scuola mette a rischio l’intera società, e tutto è meglio della rassegnazione – peggio ancora se nobilitata dall’ideologia – a uno scadimento di cui pagheranno le conseguenze soprattutto i più deboli. Professore ordinario di sociologia dell’educazione, Università di Genova (Tratto dal quotidiano online www.ilsussidiario.net)


& parole

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I girotondini proclamano il dogma dell’infallibilità delle toghe, ma ormai c’è un distacco profondo magistratura e Paese

Quel che la piazza di Di Pietro non sa di Giuseppe Baiocchi segue dalla prima

Q

uel “giustizialismo”travolse, nel clima parossistico di resa dei conti, ogni contrappeso. E la magistratura, sull’onda del consenso di massa, sentì l’ebbrezza di un nuovo potere. Quello cioè di decidere l’andamento e i destini delle imprese, della finanza, della politica. Non se lo ricorda nessuno, ma tra i condannati per finanziamento illecito ci fu lo stesso onorevole Bossi, che pure era politicamente estraneo e decisamente contrario a quella che si definiva con disprezzo la “prima repubblica”. In qualche maniera la magistratura (non tutta, ma certamente la parte più schierata ed “esternante”) sembra coltivare tutt’ora la tentazione di determinare comunque il generale svolgersi della vita nazionale. Nel nome del “controllo di legalità” appare in ogni caso voler esercitare una sorta di tutela superiore della democrazia, un vero e proprio “baliatico” sulla sovranità del popolo, popolo che si presenterebbe come immaturo e incapace in autonomia del proprio bene.

Lo si coglie nel ripetuto e ricorrente pronunciamento preventivo su ogni passaggio parlamentare di leggi in materia di giustizia: ed emerge anche all’occhio più benevolo una palese contraddizione. Se, per la nostra “sacra” Costituzione, il magistrato è sottoposto soltanto alla legge, è evidente che, per il noto principio della separazione dei poteri all’origine di ogni stato moderno, il titolare del legie slativo, cioè il Parlamento, è per sua natura indipendente e sovrano. Invece si legge spesso con inusitata frequenza che il Csm o l’Anm “boccia” la tal legge o il tal provvedimento spesso prima anco-

ra che veda la luce nelle aule parlamentari. E il sospetto dell’”invasione di campo” diviene anche al cittadino più profano particolarmente insistente. In sostanza succede che il Csm e tutto l’ordine giudiziario finiscono per assomigliare a quel bambino che va a giocare con gli amichetti, portando lui il pallone. E in forza dello strumento (il pallone) dice che si gioca solo con le sue regole e può anche cambiarle se quelle che ci sono al momento non gli aggradano. Finisce poi che si perde la passione del giocare e se ne vanno via tutti.

Appunto, «se ne vanno via tutti»: e sorge naturale un interrogativo: ma i magistrati si rendono conto di aver perduto, se non dilapidato, quel prestigio sociale, quell’autorevolezza, quella fiducia popolare che quindici anni fa li faceva apparire come l’unica classe dirigente onesta e capace di leadership? E si interrogano anche tra di loro sulla perdita di quel patrimonio immateriale che ne ha consentito il ruolo e la rilevanza sociale? Perché, se non si rispondono da sé e non individuano le cause del problema, finiranno per apparire un peso morto per un Paese vi-

tale che vuole andare avanti e voltare pagina. Se è permessa un’analisi terra terra, la fine dell’aura magica di consenso e di fiducia è da individuare nel momento in cui il cittadino comune si è trovato ad incontrarsi concretamente con l’universo della giustizia. D’altronde sono pendenti almeno otto milioni di cause civili che toccano in gran parte la gente normale e lo stillicidio di una giustizia senza tempo (nella quale le udienze sono fissate da un anno all’altro e i processi vanno a ruolo di lustro in lustro) qualche dubbio sull’alacrità della categoria comincia a su-

Se poi scopre che una parte non indifferente delle sue sudate tasse finisce per pagare le multe europee per i ritardi scandalosi nell’amministrazione della giustizia, se si accorge ad ogni inaugurazione dell’Anno Giudiziario che l’ottanta per cento dei reati resta impunito (ed è solo il procuratore il titolare di ogni inchiesta), se viene a sapere che magari c’è chi impiega otto anni per scrivere la motivazione di una sentenza (invece dei canonici quindici giorni), allora qualche problema di “disamore” se lo è già posto. Se infine si diffonde la consapevolezza che la magistratura italiana detiene, ampiamen-

scitarlo. Non solo: quando il normale cittadino si incrocia con l’amministrazione giudiziaria (anche solo per essere il semplice testimone di un incidente stradale) troppo spesso si trova sballottato ad attendere ore ed ore e trattato quasi sempre come un suddito fastidioso e quasi mai come il titolare sovrano di un servizio che gli “deve” essere reso.

te ineguagliata, il record mondiale delle ferie (45 giorni lavorativi) e che entra in agitazione non appena la si tocca sulla pecunia, c’è da chiedersi se all’orizzonte prossimo venturo non si profilino jacqueries con i forconi, com’è nella tradizione dell’esasperazione popolare. Ma i signori magistrati se ne rendono conto ? O forse hanno trovato, finora, uno splendido alibi nel demonio Berlusconi (quasi quasi dovrebbero farlo “santo subito”) e nei suoi traffici, così da indirizzare altrove la montante insoddisfazione della pubblica opinione. Finché dura... Perché forse l’illusione e gli illusionisti sono davvero all’ultima tappa, come quelle ex belle del cinema sul viale del tramonto.

I giudici italiani detengono il record mondiale delle ferie (45 giorni lavorativi) ed entrano subito in agitazione appena qualcuno li tocca sul vivo: la pecunia


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PARIGI. Absence. Questo il titolo dell’editoriale con il quale il direttore di Libération Laurent Joffrin ha riassunto l’attuale situazione del socialismo francese. Per lui il successo di Sarkozy non sarebbe soltanto il frutto dell’individualismo che domina le società globali del XXI secolo, ma dovrebbe molto della sua fortuna ad un confronto sul piano delle idee, nel quale la destra ha sconfitto la sinistra. È indubbio che a poco più di un anno dalla batosta elettorale subita da Ségolène Royal, il Ps stia tentando una lenta e faticosa risalita della china che vedrà il suo primo passaggio decisivo al congresso di Reims del prossimo 1416 novembre, quando François Hollande lascerà la guida del partito, dopo dieci anni di servizio, ma soprattutto due sconfitte presidenziali, clamorosa quella del 2002 con il candidato socialista Jospin escluso dal ballottaggio. Il partito, da un lato, si interroga sulla sua difficoltà nel presentarsi come partito a vocazione maggioritaria, sul quale i francesi investono per la guida del Paese. In 50 anni di V Repubblica, sono solo 14 quelli di presidenza socialista e, occorre ricordarlo, il carismatico François Mitterrand fu un socialista atipico o perlomeno fu il «rifondatore» di una tradizione politica, riportata dalle ceneri dei primi anni Settanta all’altare della vittoria presidenziale del 1981 e alla riconferma del 1988. Dall’altro lato, il socialismo francese, aggrappato ai successi della sua «dimensione locale» (regioni, comuni e consigli dipartimentali sono in grande maggioranza controllati dai socialisti) cerca in maniera spasmodica un aggiornamento ideologico e programmatico in grado di proiettarlo fuori dalla crisi che un po’ tutti i movimenti di sinistra europei stanno attraversando (unica eccezione quel mix di opportunismo e relativismo culturale rappresentato dal zapaterismo). D’altronde è difficile negare che dall’uscita di scena di Mitterrand e dall’esaurirsi della sua strategia di «unione a sinistra», a rue Solferino non si è più elaborato un progetto di mediolungo temine. La gauche plurielle di Jospin, Primo ministro di coabitazione dal 1997 al 2002, è ascrivibile più ad un accidente della storia e ad un infortunio del presidente Chirac (il quale decise di sciogliere le Camere senza la certezza della vittoria gollista) che ad un coerente progetto politico. Con difficoltà e risultati ancora stentati, un percorso sembra però essersi avviato. Primo punto di questa «traversata del deserto» del Ps è certamente la Déclaration de principes di fine aprile, fatta propria poi dal Con-

mondo Da Ségolène Royal ad Alain Touraine, tutti contro il vuoto ideologico del partito

Socialisti senza idee ma con molti candidati di Michele Marchi militanti per la candidatura alla presidenziale del 2012. La scelta di Delanoë non è quella di puntare sui suoi successi come sindaco di Parigi, ma quella di andare al nocciolo del problema che attanaglia il socialismo francese: il divorzio con il liberalismo. Il tentativo di Delanoë è quello di spingere il dibattito delle idee fino alle estreme conse-

A sinistra Ségolène Royal Sopra Alain Touraine e in basso Bertrand Delanoë

In 50 anni di V Repubblica, sono solo 14 quelli di presidenza socialista. Ma François Mitterrand, all’altare della vittoria presidenziale del 1981 e del 1988, fu un politico atipico e carismatico siglio nazionale a metà giugno. Con uno slogan si può affermare che finalmente a Parigi Bernstein ha sconfitto Kautsky, o meglio Jaurès ha prevalso su Guesde. Il marxismo è stato definitivamente messo in soffitta e il capitalismo è affrontato criticamente solo da un punto di vista morale. La «speranza rivoluzionaria» viene sostituita da un riformismo da intendersi come «progetto di trasformazione sociale radicale». Accanto a questi passi in avanti verso una declinazione europea del socialismo francese, non mancano però richiami che assomigliano più al dibattito post 1989 che a quello della prima decade del XXI secolo. Parlare di «riformismo che non impedisce il sogno» e di vocazione al «riformismo radicale» significa non avere compreso

che tra gli errori più gravi delle forze progressiste continentali vi è quello di deludere larghi settori del proprio elettorato avanzando promesse irrealizzabili. Il secondo punto di questo lento percorso verso la modernizzazione dell’apparato e della sua proposta politica ha molto a che fare con la lotta per la leadership del partito, in vista della sfida finale di novembre. Da questo punto di vista, in pura tradizione transalpina, un ruolo decisivo è svolto dai pamphlet di alcuni dei principali candidati alla sostituzione di Hollande.

Il libro-evento degli ultimi due mesi è di certo De l’audace (Ed. Robert Laffont) di Bertrand Delanoë, favorito nella corsa alla leadership del partito e da alcuni mesi in testa al gradimento dei

guenze, affermando che «il liberalismo sta alla libertà come la repubblica sta alla democrazia: insomma una forma superiore di evoluzione» e ancor più radicalmente «i socialisti del XXI secolo devono finalmente accettare completamente il liberalismo e non considerare termini quali concorrenza e competizione alla stregua di insulti». In questa battaglia a colpi di pamphlet oggi entrerà anche la candidata alla presidenza del 2007 Ségolène Royal. Inizialmente decisa a non competere per la guida del partito, Ségo si è progressivamente resa conto che le elezioni del 2007 hanno certificato la presidenzializzazione del sistema politico francese e di conseguenza il controllo del partito (come dimostrato da Sarkozy sul fronte Ump) è deci-

sivo per aumentare le chances di vittoria. Ampiamente anticipato da Le Monde e Les Echos, quello di Royal si presenta come un dialogo a due voci con il sociologo Alain Touraine, dal titolo Si la gauche veut des idées (ed. Grasset). Si tratta di un manifesto ideale che in gran parte riprende gli argomenti e lo stile della sua campagna elettorale, con l’aggiunta di alcuni slogan interessanti come quello di Etat preventif, che deve sostituire l’Etat providence in crisi, intervenendo all’origine delle disparità sociali, di un sistema pensionistico a punti (sul modello scandinavo) e di un richiamo conclusivo alla «lucidità radicale» in vista del congresso di Reims. Da questo punto di vista l’affermazione di Ségo appare appropriata visto che la prossima assise sarebbe un fallimento sia se dovesse emergere una frammentazione sul modello di quella del Congresso di Rennes del 1990, sia se si dovesse chiudere con una «sintesi» tipo congresso di Le Mans del 2005.

Oltre a queste letture (e ad altre meno recenti ma altrettanto interessanti come L’impasse di Jospin del 2007 o Table rase del suo ex consigliere Louis Gautier dell’aprile 2008), i militanti socialisti dovranno analizzare anche i 15 contributi depositati dai principali contendenti alla leadership del partito al Consiglio nazionale del 2 luglio. Da questi testi dovranno uscire le mozioni congressuali da sottoporre al voto dei militanti alla rentrée di settembre. Accanto ai contributi di Delanoë e Royal, degni di nota sono quello di Martine Aubry, madrina della contrastata legge delle 35 ore (e figlia di Jacques Delors) e oggi rappresentante dei valori storici del socialismo e possibile punto di convergenza della sinistra del partito (fabiussiani compresi) e quello di Pierre Moscovici, che nei progetti dovrebbe assumere la guida del partito per condurre all’Eliseo il riformista Dominique StraussKahn. Ma se l’idea della modernizzazione e della trasformazione del Ps in una socialdemocrazia europea è quasi unanime, tutti i contributi sono carenti sulle nuove proposte. Non dicono nulla sulla cosiddetta flexisicurezza, sulla riforma del sistema educativo, sulla politica energetica, per non parlare del silenzio assordante su immigrazione e rilancio della costruzione europea. A questo punto il rischio è quello dell’«assenza», richiamata da Joffrin, oppure di un tatticismo precongressuale che favorisca l’affermarsi della figura mediaticamente più attiva della politica francese: Olivier Besançenot e la sua proposta, molto poco moderna, di partito anticapitalista.


mondo

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Muore teenager. È la19esima vittima del 2008. L’allarme di Scotland Yard: il pugnale diventa emergenza nazionale

Londra e la piaga del coltello di Silvia Marchetti

d i a r i o on oltrepassate la parte sud del Tamigi. All’indomani dell’omicidio dei due studenti francesi France Soir metteva così in guardia contro i pericoli di Londra. Una capitale che per la stampa d’oltralpe è ormai sconfinata nella terra di nessuno, e che ieri ha registrato una nuova morte, quella di David Idowu, il quattordicenne pugnalato lo scorso 17 giugno in Great Dover Street, a Londra, durante una violenta zuffa tra adolescenti. Il ragazzo era arrivato in condizioni gravissime al Royal London Hospital, e tutti gli sforzi dei medici per salvarlo si sono rivelati vani. La legge del coltello che colpisce la capitale è raccapricciante e fa registrare un record amaro: 19 teenager uccisi dall’inizio dell’anno (l’ultimo, David, ieri). Un dato allarmante per le autorità britanniche, il segno che la spirale del crimine non accenna a placarsi.

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Londra, simbolo del Regno Unito, attira su di sé i riflettori per numero di delitti. La capitale registra il maggior numero di ricoveri in ospedali per ferite da lame di coltello, soprattutto tra i giovanissimi. Tra il 2006 e il 2007, 322 minorenni sono finiti al pronto soccorso dopo essere stati accoltellati. Scotland Yard ha ammesso che ormai il crimine da pugnale ha sostituito il terrorismo come emergenza nazionale. Dopo tutto, il coltello è più facile a trovarsi della pistola (basta aprire il cassetto della cucina), è l’unica arma pronta all’uso che nelle mani dei piccoli delinquenti diventa uno status symbol. È questa doppia “maledizione”(come la chiamano anche i giornali inglesi) che lega la piaga del pugnale all’uso da parte dei giovani a essere diventata la sfida numero uno per il nuovo sindaco conservatore della capitale. Boris Johnson ha sempre fatto del tema della sicurezza il suo cavallo di battaglia. In campagna elettorale ha promesso che avrebbe ripulito la strade di Londra dai teppisti, unendo la punizione alla prevenzione del fenomeno sociale della violenza. E così, in appena tre mesi da quando è entrato a City Hall, Johnson non ha perso un attimo per passare dalle parole ai fatti. All’indomani della sua elezione ha lanciato la campagna “Operation Blunt 2” per ripulire le strade, le metro e i giardinetti della capitale dai coltelli.

L’anno scorso 14mila persone sono state ricoverate per ferite da taglio: una media di 38 al giorno

Scotland Yard pochi giorni fa ha diffuso un primo bilancio: da maggio a luglio ben 1214 persone sono state arrestate e la polizia ha effettuato 27mila perlustrazioni nei quartieri che hanno portato al sequestrato complessivo di 528 coltelli. Un’offensiva in gran parte resa possibile dai varchi elettronici e dalle migliaia di telecamere fatte installare nell’Underground di Londra e all’interno delle metropolitane, oltre ai nuovi metal detector dati in dotazione alle forze di sicurezza. Ma per il sindaco non è sufficiente: nei prossimi giorni la polizia metropolitana manderà un task force speciale composta da 75 ufficiali a pattugliare strada per strada i 32 boroughs di Londra, specialmente quelli più “critici”. All’azione di polizia il sindaco è cosciente che occorre affiancare un’offensiva sociale

per sradicare all’origine la piaga del coltello. Dopo la morte del giovane Ben Kinsella, fratello di un’attrice inglese ucciso alcune settimane fa, Boris si è rivolto direttamente ai giovani: «Ragazzi ascoltatemi, se questo pomeriggio uscite e assistete a una rissa non immischiatevi, ma andate via e chiamate aiuto». La morte di Ben Kinsella (che avrebbe scritto una lettera a Gordon Brown contro la dilagante dipendenza dalla lama) ha portato centinaia di persone nelle piazze di Londra in segno di protesta contro l’escalation del crimine. Sul web e nei forum sociali inglesi è nato un movimento di opinione che si batte contro la deriva violenta della società. I cittadini chiedono più sicurezza e misure concrete.

La violenza genera anche business. A Londra alcune aziende oggi forniscono giubbotti di protezione anti-lama a tutti coloro che quotidianamente possono incrociare qualche pugnale: poliziotti, dottori, portantini delle ambulanze, vigili del traffico, operatori ecologici, guidatori di autobus e giardinieri pubblici. Ma anche gli insegnanti: le scuole restano l’epicentro delle aggressioni tra ragazzi e alcuni istituti stanno organizzando lezioni anti-violenza ad hoc. Nella capitale sono già state consegnate 20mila giacche di protezione. La piaga del pugnale non si limita soltanto a Londra ma investe l’intero Regno Unito. L’anno scorso 14mila persone sono state ricoverate in ospedali per ferite da taglio, con una media di 38 persone accoltellate al giorno. Il governo laburista, dopo aver cercato in vano di ridimensionare il fenomeno, è stato costretto a prenderne atto. Il ministro dell’Interno Jacqui Smith vorrebbe costringere gli ospedali a notificare alla polizia i casi di accoltellamento, in modo tale che le autorità possano aggiornare i loro data base e perseguire reati che altrimenti rimarrebbero impuniti.

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g i o r n o

Afghanistan, attentato a Kabul Il terrore tante volte minacciato dai talebani ha raggiunto la capitale afgana. Un attentato suicida commesso in pieno centro di Kabul, ha causato la morte di oltre quaranta persone mentre altre 140 sono rimaste ferite. L’esplosione, avvenuta di fronte l’ambasciata indiana, ha colpito soprattutto civili in coda davanti ai locali della rappresentanza diplomatica di Nuova Dehli per ricevere il visto indiano, come riferito da un portavoce del ministero degli interni di Kabul. La detonazione è avvenuta alle 8,30 di ieri, ora locale. L’India è un Paese strettamente alleato al presidente afgano Hamid Karzai nella lotta al terrorismo talebano.

Austria, verso elezioni anticipate «Basta». Così Wilhelm Molterer, capo del Partito popolare e vice Cancelliere austriaco ha messo fine alla grosse Koalition in salsa viennese.Annunciando la fine del governo di coalizione tra i due grandi partiti austriaci, Molterer ha di fatto decretato le elezioni anticipate per l’Austria. Dopo il fallimento della riforma sanitaria, nulla di rivoluzionario ma il minimo indispensabile per sollevare le sorti disastrate della sanità nazionale e l’ondata di scioperi tra i medici austriaci, la convivenza tra i due parttiti di governo era diventata impossibile. Le elezioni dovrebbero svolgersi a settembre. Molterer sarà il candidato alla cancelleria per i popolari. Per la stessa carica, i socialdemocratici hanno designato il loro leader Werner Faymann.

Siria, Assad per l’unità palestinese Il capo di Stato di Damasco, Bachar al-Assad, in un incontro con il presidente palestinese Mahmud Abbas, ha invitato l’Anp a trovare l’unità. Il consenso tra Hamas e Fatah sarebbe la sola strada per arrivare alla creazione di uno Stato palestinese che abbia Gerusalemme come capitale, avrebbe detto Assad domenica. Nella sua visita a Damasco, Abbas non ha voluto incontrare il leader in esilio dell’ala radicale di Hamas, Khaled Meshal, come aveva invece fatto un anno e mezzo fa.

Atterraggio di emergenza per Obama L’aereo a bordo del quale si trovava il senatore di Chicago Barack Obama ha fatto un atterraggio imprevisto a St. Louis, in Missouiri, per un guasto alle apparecchiature di controllo. Il jet della campagna elettorale era decollato da Chicago in rotta per Charlotte, in Nord Carolina. Il pilota ha annunciato al candidato alla presidenza, al suo entourage e ai giornalisti di avere difficoltà a mantenere l’aereo nel giusto assetto. Da St. Louis Obama ha continuato verso Charlotte con un altro aereo.

Germania, Beck accusa Angela Merkel Secondo il presidente Spd, Kurt Beck, le responsabilità per l’atmosfera pessimista che regna nell’esecutivo tedesco sono del Cancelliere democristiano. «Frau Merkel e il proprio partito agiscono come se fossero al governo da soli. Questo è il problema della coalizione tedesca», ha detto il leader socialdemocratico in un’intervista alla Bild-Zeitung. Il presidente Spd ha promesso di non leggere nessun sondaggio durante le prossime ferie. Secondo tutti i maggiori istituti demoscopici tedeschi, la Spd è in caduta libera. Una tendenza che molti mettono in relazione all’incapacità decisionale e all’atteggiamento ondivago di Beck.

Ingrid Betancourt resterà in Francia Per le prossime settimane l’ex ostaggio delle Farc non si sposterà dalla sua seconda patria. Per ora è meglio rimanere al sicuro e vicino alla famiglia. In una intervista alla radio colombiana Caracol, Betancourt ha annunciato che non prenderà parte alla dimostrazione in programma a Bogotà per il 20 luglio, nella quale si pretenderà la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in mano alla guerriglia.


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economia

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Inchieste che si basano spesso su indizi e non su prove o campagne caricate di valore simbolico. Alberto Mingardi rilegge la sentenza del 2000 che ha portato alla maximulta da 700 milioni per le assicurazioni italiane e denuncia i limiti dell'Autorità garante della concorrenza

ANTITRUST O ANTIMERCATO? di Alberto Mingardi problemi in termini di concorrenzialità del mercato dell’assicurazione sono caratterizzati dalla tensione fra la razionalita della condivisione di informazioni sul lato dell’offerta, e la sanzione della medesima secondo le convenzioni del diritto antitrust. Anche in Italia, tale tensione è esplosa in più di un’occasione, e in particolar modo ha dato origine alla “madre di tutte le sanzioni”nella storia dell’Antitrust italiano: la maximulta comminata il 28 luglio 2000, per il valore di 700 milioni di lire, a 38 diverse compagnie.

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L’Autorità reagiva a due presunte infrazioni alla disciplina della concorrenza: la prima consisteva nel rifiuto degli assicuratori di separare la copertura per il rischio di furto e incendio disgiuntamente dalla RCA (responsabilità civile auto); la seconda in uno scambio di informazioni messo in atto dalle compagnie attraverso i servizi offerti da una società terza, RC Log, che raccoglieva, elaborava e distribuiva una gran messe di dati sul mercato dell’assicurazione auto. Il comunicato stampa dell’Autorità definiva «di particolare gravità» l’intesa che prendeva la forma di una «complessa ed articolata pratica concordata tra imprese concorrenti». Tale scambio d’informazioni sarebbe risultato «idoneo a determinare premi commerciali più elevati rispetto a quelli che si registrerebbero in un mercato concorrenziale». Il saggio di Massimiliano Trovato (presente nel testo, ndr) spiega come in realtà le cose siano andate diversamente. Ad esso si deve il titolo di questo libro: Cartello a perdere. Attraverso il confronto tra le voci di spesa e quelle relative agli incassi per l’RC auto nel periodo 1994-1999, Tro-

vato dimostra come la «complessa ed articolata pratica concordata fra imprese concorrenti» non abbia determinato profitti. L’indagine dell’Antitrust reagiva all’aumento dei prezzi per l’assicurazione auto fatto registrare in Italia dal recepimento, con il d.lgs. 175/1995, della Direttiva 92/49/CEE che apriva alla liberalizzazione tariffaria. L’indagine era stata avviata a seguito dei risultati di un’indagine condotta dal Nucleo Speciale Tutela Concorrenza e Mercato della Guardia di Finanza che, «su un campione di 90 agenzie rappresentative dei primi 15 gruppi assicurativi nei rami rilevanti, aveva fatto emergere una omogeneità di comportamento soprattutto nel rifiutare l’assunzione del rischio incendio e furto separatamente da quello relativo alla responsabilità civile». Il fatto che le aziende fossero concordi sul non assicurare separatamente quali rischi portava l’Antitrust ad estendere il proprio interesse all’attività di scambio di informazioni realizzata da numerose imprese di assicurazione con la consulenza di RC Log. Forse rivela la “deformazione professionale” dell’Autorità, ma è sicuramente fuorviante immaginare che un aumento dei prezzi coincida quasi “per definizione” con un problema di concorrenza.

In prima battuta, è dubbio che, come sostenuto dall’Autorità, fosse “prevedibile”che la liberalizzazione tariffaria in Italia generasse «un contenimento dei costi e dei prezzi da parte delle imprese, nonché l’ingresso sul mercato di nuove imprese, soprattutto estere, e una redistribuzione delle quote di mercato». Se pure siamo convinti che meccanismi competitivi servano soprattutto per consentire un miglioramento dell’of-

ferta, creando incentivi per le imprese ad essere più efficienti, non è pacifico che la transizione da un regime di prezzi amministrati ad uno di prezzi liberi realizzi in un arco di tempo limitato tali effetti. Israel Kirzner ricorda come «il contatto con le decisioni degli altri comunica informazioni delle quali coloro che prendono le decisioni non disponevano in origine. (...) È facile prevedere che le informazioni sui piani degli altri, acquisite successivamente, possono generare, in un posteriore periodo di tempo, una revisione dell’insieme delle decisioni». Il processo di mercato, nella prospettiva della concorrenza“esplorativa”, è un processo di apprendimento. Ribaltando radicalmente la prospettiva della concorrenza perfetta, Hayek ha scritto che se si conoscesse «tutto ciò che la teoria economica chiama i dati, la concorrenza sarebbe inutile e rovinosa (...) quali beni siano scarsi, o quali cose siano dei beni, e quanto siano scarsi o che valore abbiano, sono esattamente queste le cose che la concorrenza deve scoprire». I prezzi sono lo strumento con cui queste informazioni vengono segnalate: in loro assenza, il processo di scoperta non può com-

piersi. Pensare che la liberalizzazione dei prezzi debba ripercuotersi in un loro drastico e repentino abbassamento significa non solo credere che la concorrenza abbia luogo soltanto nella dimensione del prezzo all’utente (mentre per esempio potrebbe avere effetti sulla qualità del servizio, sull’informazione al consumatore, sulla differenziazione di prodotto), ma anche immaginare che l’aggiustamento alle mutate condizioni sia semplice e quasi immediato da parte degli operatori economici; infine, pare presupporre che nessuna condizione muti nel tempo fuorché la libertà di prezzo.

Come ricorda Trovato, nello specifico dell’aumento dei prezzi dell’RC auto «un primo ed elementare ordine di giustificazioni attiene evidentemente alla pluridecennale e oltremodo stringente contrazione della libertà delle imprese di stabilire le proprie tariffe, che erano viceversa contenute artificialmente per via amministrativa». La comparsa di segnali che prima non erano disponibili (prezzi liberi e pertanto autenticamente tali) richiede un adattamento da parte delle imprese. Trovato cita altre ragioni per

Pubblichiamo nelle pagine di Nordsud un ampio stralcio tratto dall’introduzione di Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, al saggio Cartello a perdere (Rubbettino editore, pagine 320, euro 15), curato dallo stesso Mingardi. Il volume presenta scritti di Franco De Benedetti, Fred L. Smith jr ed Eli Lehrer, Pascal Salin, Dominick T. Armentano, Alessandro De Nicola e Donatella Porrini, Massimiliano Trovato, Silvio Boccalatte, Carlo Lottieri. Il volume rilegge in chiave liberista lo scontro tra l’Antitrust e le compagnie assicurative (iniziato nel 2000 e che ha portato l’Autorità a condannare le compagnie per comportamento lesivo della concorrenza) così come l’impatto (per gli autori positivo) dei cartelli sulla nostra economia.

l’aumento dei prezzi, «sul versante dei costi», a cominciare «dal costo stesso del sinistro» in virtù dell’aumento degli incidenti che implicano danni alla persona, la crescente inclinazione dei tribunali a valutare con generosità il danno biologico e morale, il deciso incremento nel costo delle riparazioni. Esaminando con attenzione i dati, Trovato conclude che nel periodo esaminato dall’Antitrust «il saldo tecnico – la differenza, cioè, tra l’ammontare dei premi incassati e quello degli oneri sostenuti per il rimborso dei sinistri e delle spese di gestione – è peggiorato del 68%, raggiungendo la consistenza negativa di 5.952 miliardi, pari a poco meno di un quarto della raccolta pre- mi complessiva». Quest’analisi mette in dubbio la verosimiglianza dell’impianto accusatorio dell’Autorità: è assurdo «ritenere che un gruppo di imprese che colludono per spartirsi il mercato continui a scontare perdite ingenti e strutturali. Ciò che dovremmo attenderci, a dar credito alla diagnosi dell’AGCM, è viceversa l’acquisizione di lauti profitti alle spalle dei consumatori o, alternativamente, la repentina implosione del cartello». La risposta dell’Autorità a questi rilievi è sta-


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ta poco convincente. In un’intervista al Mattino di Napoli (sua città natale), l’allora Presidente dell’Antitrust Giuseppe Tesauro definisce le perdite del ramo Rc auto «un fatto che non coinvolge tutte le compagnie e comunque non dimostra nulla». Continua: «In un libero mercato le perdite sono lo stimolo a migliorare l’efficienza. In un mercato che non funziona, le perdite sono la spinta a cercare accordi collusivi». Tuttavia, «eventuali perdite non possono giustificare cartelli, tanto meno sono la prova della mancanza di cartelli». Tesauro difende dunque in modo contradditorio la decisione del 2000. Le perdite non provano “l’assenza di un cartello”, ma “spingono ad accordi collusivi”. Nello stesso tempo, però, la collusione denunciata dall’Antitrust abbracciava un arco temporale non indifferente: 5 anni. Siamo di nuovo al punto: se la cartellizzazione era una risposta razionale alle perdite, “in un mercato che non funziona”, come mai non ha prodotto il risultato desiderato? È importante soffermarsi sulla natura dei dati scambiati. Il cartello che non produceva profitti era tenuto assieme, secondo l’Autorità, dall’interscambio di informazioni sensibili. Tali informazioni erano però dati pubblici: le tariffe praticate da ciascuna compagnia sono «soggette ad un esplicito vincolo di pubblicità in

virtù delle previsioni contenute nella circolare Isvap 30 novembre 1995, n. 260». Oggi, i prezzi sono accessibili da tutti su Internet: allora, erano depositati presso le agenzie. La dif- ferenza fra l’accesso disponibile a tutti, e quello “organizzato” da RC Log per le compagnie sue clienti, sta-

ne ai danni dei consumatori nel loro complesso? Dopotutto, ci sono molti buoni motivi per i quali le imprese di assicurazione, come le imprese di qualunque altro settore economico, sono interessate a sapere i prezzi dei concorrenti. Se la conoscenza è un processo di sco-

Se c’era un cartello, perché i bilanci delle compagnie all’epoca erano in rosso? va fondamentalmente nel reperimento dei prezzi direttamente da parte delle compagnie, di cui beneficiava quest’ultima.

Inoltre, secondo l’Autorità, affinché i dati raccolti assumano dimensione “storica”, dovrebbe decorrere un anno. Al che è facile obiettare che il passato è passato, un minuto o 12 mesi dopo: ovvero, la comunicazione di un prezzo una volta determinato non è una “predizione”, ma la mera trasmissione di una informazione esistente. Vista la natura delle informazioni scambiate dalle compagnie, è davvero possibile sostenere che il condividere dati pubblici, quali i prezzi, fosse indice di una macchinazio-

perta, e i prezzi sono un veicolo di informazione, si tratta con tutta evidenza di una variabile importante per formulare al meglio le proprie strategie commerciali, incluse le strategie più aggressive che tanto piacciono alle autorità della concorrenza. Per l’Autorità, come abbiamo visto, la liberalizzazione avrebbe dovuto avere come primo e più importante risultato una “guerra dei prezzi”: ma come si fa a fare la guerra dei prezzi, ignorando quelli dei concorrenti? La verità è che neppure l’Autorità è riuscita a provare il suo stesso castello accusatorio: cioè, che lo scambio d’informazioni determinasse l’esistenza di un cartello mirante a immobilizzare la concorrenza

penalizzando i consumatori. Per l’Autorità, «eliminando qualsiasi incertezza circa il comportamento strategico dei concorrenti nei mercati dell’assicurazione auto, [lo scambio d’informazioni] costituisce fattore in grado di facilitare l’uniformazione delle condotte commerciali delle imprese di assicurazione, permettendo loro di determinare premi commerciali più elevati rispetto a quelli che si registrerebbero in un mercato concorrenziale». A partire da tale premessa, diventa «superflua ogni ulteriore analisi che puntualmente qualifichi determinati esiti del mercato come precisi effetti ad esse direttamente riconducibili». Che è come dire: il cartello c’è, perché c’e. Scrive Trovato: «l’Autorità è vittima (...) di una contraddizione nel tentativo di sanzionare X in quanto prodromo di Y ma senza costringersi a dimostrare Y». In un vivace confronto con il direttore generale dell’associazione di categoria degli assicuratori, Giampaolo Galli, Tesauro confermava la sanzionabilità dello scambio di informazioni per se, al di là del danno accertato. Nel suo intervento, all’origine del dibattito, Galli sottolineava una precisazione del Consiglio di Stato nel suo placet al provvedimento antitrust: «Si censura dunque un comportamento dipendente dalla concertazione, ma (ciò) non implica che tale comportamento abbia l’effetto di impedire o falsare la concorrenza».

Il commento del direttore generale dell’ANIA era lapidario: «Insomma si condannano e si sanzionano operatori che non hanno impedito e nemmeno falsato la concorrenza e che quindi, a fortiori, non possono aver causato danno ad alcuno». Per Tesauro, invece, «è proprio l’esistenza e l’accertamento definitivo di un cartello (...) tra le compagnie, in violazione della legge, che è all’origine della vicenda», cioè dell’indagine e poi del provvedimento antitrust. «La premessa è che quando già l’oggetto di un’intesa è restrittivo della concorrenza, l’intesa è illecita senza che sia necessario andarne a verificare gli effetti». Insomma: il cartello c’è perché c’è. L’esistenza di regole per se non è così pacifica come assume Tesauro. Correttamente, Ehrlich e Posner hanno osservato che «l’ambiguità inerente del linguaggio e le limitazioni della lungimiranza e della conoscenza limitano l’abilità pratica del legislatore nel catalogare accuratamente ed esaustivamente le circostanze che debbono attivare lo standard generale. Pertanto la riduzione di uno standard a un insieme di regole nella prassi finisce per creare sia una sovrainclusione sia una sotto-inclusione» di casi nella regola generale.

Se è vero che la presunzione per secontro cartelli e collusione è «la più antica e la più chiara delle dottrine antitrust», è altrettanto vero che la sua applicazione non può limitarsi all’annuncio dell’esistenza di un cartello, conseguentemente sanzionato da parte dell’Autorità.Tant’è che sono stati proposti molti tentativi di “qualificare” la regola, anche da parte di studiosi che condividono la convinzione dell’illegittimità dei cartelli. Robert Bork, per esempio, ha sostenuto che «gli accordi di prezzo e sulla spartizione del mercato (e qualsiasi altro accordo orizzontale che elimini la concorrenza) dovrebbero essere illegali di per sé quando essi non accompagnano un’integrazione contrattuale o non sono in condizione di contribuire alla sua efficienza». Pertanto, anche in una cornice teorica più convenzionale di quella di Pascal Salin, le regole per seaprono più interrogativi di quanto si pensi. A monte, però, il punto di vista fatto proprio dall’ex Presidente dell’Antitrust ci porterebbe a sanzionare lo scambio di informazioni indipendentemente dall’accertamento dell’esistenza o meno di effettive conseguenze sul mercato in termini di restrizioni della concorrenza. Lo scambio d’informazioni può essere l’indizio della presenza di un cartello: ma l’Antitrust può accontentarsi di produrre condanne meramente indiziarie? Rispetto alla decisione dell’Agcm nel 2000, insomma, è giusto chiedersi non solo – come fanno gli autori di questo libro – se lo scambio di informazioni, e perfino la cartellizzazione, di parte dell’attività delle imprese di assicurazione non possa essere benefica per il mercato e pertanto per gli stessi consumatori, riducendo il costo dell’informazione; ma perfino, a prescindere, se e in che misura sia stata verificata l’esistenza di un cartello. L’Antitrust ha rifiutato di provare la propria tesi, impedendoci di chiederci se il cartello, dopotutto, facesse davvero tanto male. L’indizio della cooperazione di alcune imprese per lo scambio di informazioni del resto pubbliche (ovvero: per l’economizzazione nel reperimento di informazioni) non prova l’esistenza del cartello. Inoltre, se rimaniamo convinti, per rifarsi ad un’abusata citazione di Adam Smith, che «gente dello stesso mestiere raramente s’incontra, anche in occasioni di divertimento e piacere, senza che la conversazione finisca in un complotto contro il pubblico o in qualche stratagemma per aumentare i prezzi», dobbiamo concedere che è difficile che tali complotti vengano effettuati nelle sedi delle associazioni di categoria.

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economia

segue da pagina 13 «Chi complotta, difficilmente lo fa alla luce del sole e, come in questo caso, comprando servizi da una regolare società di consulenza. Nondimeno, possiamo dire che la sentenza sull’RC auto sia stata un buon investimento da parte dell’Antitrust. Lo stesso Tesauro la caricò di una forte valenza simbolica. Si noti per esempio che, a inizio 2003, interpellato sulle perdite accusate dagli assicuratori nel ramo auto (dopo la sentenza e in virtù delle richieste di risarcimento), Tesauro commentava che «abbiamo smesso di credere alle favole fin dalle elementari». Un linguaggio poco istituzionale, che si addice di più ad una lunga campagna che a una ponderata decisione.

La battaglia della vita le assicurazioni se la sono giocata sui risarcimenti legati alla sanzione del 2000. Come già detto, il Consiglio di Stato ha sostanzialmente confermato la decisione dell’Antitrust. Nel dispositivo, nondimeno, si può leggere che «L’intesa è stata sanzionata per il solo oggetto anticoncorrenziale e non anche per gli effetti concreti, risultando quindi del tutto irrilevanti i riflessi della pratica sulle tariffe applicate». E ancora, circa l’obiezione sul cartello a perdere: «L’applicazione delle norme poste a tutela della concorrenza prescinde dall’andamento del mercato di riferimento e in alcun modo è subordinata all’assenza di perdite permanenti in quel mercato». Come a dire che il cartello “trovato” dall’Autorità era di un genere davvero misterioso, tanto che le sue caratteristiche non devono servire da guida per la giurisprudenza futura. L’avallo della Cassazione riaffermava sul piano processuale la legittimità dei ricorsi al Giudice di Pace, riconosciuto competente a decidere sulle cause

minacciato fortemente il sistema assicurativo in Italia. Gli altri due studi che compongono questo volume hanno un oggetto meno eclatante. Silvio Boccalatte esamina un altro caso di scambio d’informazioni su cui ha indagato l’Antitrust (il TAR ha poi dato ragione alle compagnie; pende un ricorso dell’Autorità al Consiglio di Stato): il caso Aequos-Iama Consulting. La società Iama Consulting elaborava il database “Aequos” nel quale erano riportate le principali caratteristiche dei prodotti del ramo vita «presentate sinteticamente attraverso fogli simili a quelli di Excel e in modo da consentire comparazioni contemporanee in base a ogni fattore che si ritenga rilevante». Anche in questo caso, i dati presenti in Aequos sono solo ed esclusivamente quelli «desumibili dai prospetti informativi e dalla documentazione contrattuale che i consumatori acquisiscono al momento della sottoscrizione della polizza». L’Autorità ammette la natura pubblica dei dati reperiti e “centrifugati” nel database, ma sostiene che la difficoltà nel venirne a capo da parte del consumatore (che contrasta con l’economizzazione del loro reperimento da parte delle compagnie clienti di Iama Consulting) implica una sorta di barriera di fatto all’accesso: «la difficoltà sostanziale a reperire i dati comparativi implica che questi non possano considerarsi dati ‘di pubblico dominio’». La maggiore differenza con la vicenda RC auto sta forse nel fatto che, ora, stiamo discutendo di una congiura nella quale i congiurati non si conoscevano tra di loro. L’accesso al database Aequos era un “prodotto” offerto da Iama Consulting a chiunque: i primi “clienti” non erano state imprese, ma brokers, ed era aperta una trattativa per l’acquisto di un prodotto derivato da Aequos an-

L’Agcm finisce per imporre ai privati chi comprare e le strade per crescere intentate dagli utenti per ottenere indietro il presunto “maltolto” (stimato fra il 15 ed il 20 per cento del premio versato). Solo il decreto legge 8 febbraio 2003 n. 18 (il cosiddetto decreto “salva-compagnie”), varato dal governo Berlusconi a dispetto della forte impopolarità delle decisioni, sarebbe intervenuto a salvare le compagnie da miriadi di ricorsi, che avrebbero

che dal Movimento Consumatori. I “complottanti” di Adam Smith s’incontravano al buio. Boccalatte sottolinea come, nell’ambito del caso, la decisione sull’RC auto sia stata un precedente molto citato – e nota come i problemi che esso richiama ricalchino sostanzialmente quelli insiti nella decisione del 2000. La visione della concorrenza che vi è sottesa è

NordSud

Nel mirino dell’Autorità sono finite nel 2006 anche le Generali. L’Antitrust provò a bloccare la vendita da parte del Leone di Nuova Tirrenia a Groupama. Ma l’operazione fu sbloccata dal Tar la medesima: la visione “strumentale del mercato” per cui «la ‘vera’ concorrenza è esclusivamente quella che comporta una diminuzione dei prezzi».

Il combinato disposto dei due provvedimenti, che prevedono una censura della mera raccolta delle informazione, conduce a «introdurre [nel diritto antitrust] ciò che nel diritto penale si chiama ‘tutela anticipata’ del bene giuridico protetto: non si sa come verranno utilizzati i dati, ma (...) non si aspetta che vengano impiegati in losche congiure ai danni dei consumatori e si procede immediatamente con la repressione». Meglio punire gli innocenti, che farsi sfuggire un colpevole. Infine, nel suo denso contributo, Carlo Lottieri passa in rassegna l’effetto dei decreti Bersani sul mercato assicurativo – dimostrando come la campagna contro le assicurazioni, scatenata dall’Antitrust, abbia messo pressione al legislatore, per creare norme che “liberalizzano”ledendo uno dei capisaldi del libero mercato: la libertà contrattuale. Vi è una evidente simmetria con il tentativo di riscrivere degli esiti del gioco del mercato in nome della “concorrenza”. Le decisioni dell’Antitrust hanno chiare ripercussioni politiche: suggeriscono al legislatore strategie d’intervento, ed obiettivi circostanziati. Il suggerimento è facilmente colto, quando lascia presagire un guadagno in popolarità. Non pretendiamo che i temi trattati in questo volume esauriscano i problemi che fa insorgere la regolazione del mercato

assicurativo, né davvero essi costituiscono una ricognizione completa delle vicissitudini delle assicurazioni con l’Antitrust, per quanto ne presentino un interessante spaccato. Una postilla. Nel dicembre 2006, autorizzando l’acquisizione di Toro Assicurazioni da parte delle Generali, l’Autorità garante insisteva sulla necessità, per snellire la dominanza (parametrata su una quota di mercato del 35%) di Generali dopo l’incorporazione di Toro, della cessione di Nuova Tirrena. Il verdetto dell’Autorità veniva smentito dal Tar, e subito dopo Generali vendeva Nuova Tirrena a Groupama. Tale operazione ha però di nuovo attirato gli strali dell’Agcm, a causa della presenza di Groupama nell’azionariato di Mediobanca. L’episodio non è collegato direttamente ai casi RC Log e Iama Consulting, ma dimostra quanto sia difficile vivere, sotto il cielo dell’Antitrust. Operazioni di coordinamento fra imprese sono illegali in quanto “cartelli”. Questo lascerebbe presagire che per avere gli stessi vantaggi di coordinamento, le imprese siano chiamate a spendere di più: a crescere di dimensione. Ma fusioni e incorporazioni sono legali esclusivamente fino a prova contraria, accettabili solo alle condizioni dell’Autorità. Che dice agli operatori di mercato quali altre imprese possono o non possono comprare, quali attività devono dismettere, e a chi devono vendere. L’Antitrust opera esattamente sovrapponendo al mercato il suo schema di ciò che il mercato dovrebbe essere. Trasforma

il mercato in una serie di competizioni in cui «i giudici dichiarano di sapere in anticipo quale dovrebbe essere il risultato delle singole gare. Se dalle gare sportive non emergono i risultati previsti, i concorrenti ricevono una condanna da parte dei giudici». In questa continua e arbitraria riscrittura degli esiti del gioco della concorrenza, come scrive Edwin Rockefeller con un gioco di parole intraducibile, non siamo alla «rule of law ma alla roulette».

La “sovranità del consumatore” come “ideale etico” contro cui il mercato viene giudicato – come scriveva Rothbard. L’Antitrust come giudice che sanziona come “scorretto” il comportamento degli atleti in gara, nel momento in cui la classifica finale non è di suo gradimento – come scrivevano O’Driscoll e Rizzo. I regolatori non sono solamente refrattari ad uscire dalle gabbie dei modelli: hanno bisogno di essi, per giustificare logiche aggressive di intervento. E contro chi è facile, comodo, opportuno, intervenire? La storia delle assicurazioni è un caso esemplare. La chiave del successo di un procedimento antitrust sta nella scelta del villain. In casi come questo, riemerge alla vista il sostrato fondamentalmente politico delle Autorità indipendenti. È infatti scegliendo un nemico particolarmente odioso per un buon numero di persone che ci si scava una legittimità presso il grande pubblico. Se i consumatori devono essere sovrani, chi sono i sudditi? I produttori. La metafora si concreta andan-


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MERCATO GLOBALE

Dalla Bce un taglio alla crescita europea di Gianfranco Polillo ra giusto alzare i tassi di interesse? La domanda è semplice, la risposta meno. Come mostrano del resto le diverse prese di posizione. Se la diplomazia di Silvio Berlusconi fa premio su ogni altra considerazione, non così la pensa Sarkozy, che è stato il più esplicito tra i leader europei: la decisione – è il succo dell’intervento – è semplicemente errata.

E

do oltre una raffigurazione pittoresca del vincolo di mutua dipendenza che lega chi produce e chi consuma in un’economia di mercato. Il sovrano ordina, il suddito obbedisce. Lo scenario technicolor del mercato, che tante diverse combinazioni d’incontro di domanda e offerta permette, diventa un film in bianco e nero. I produttori da ridurre in stato di sudditanza sono quelli che suscitano a vario titolo disappunto e diffidenza, da parte dei più. Per esempio, in un’Europa dove l’antiamericanismo è un mastice importante, certe decisioni antitrust particolarmente controverse vengono obliterate – non però quelle che riguardano e penalizzano i giganti americani GE e Microsoft. Con sfumature diverse, può essere ricordato che le assicurazioni sono imprese che nella migliore delle ipotesi detestiamo cordialmente. È una reazione istintiva: vengo a contatto con la mia assicurazione quando mi è capitato qualcosa di spiacevole. Si tratta dell’unico caso in cui ognuno prega di non usufruire mai del servizio per cui ha pagato. Sull’onda di tale emotività, e non reagendo bene agli aumenti dei premi, è facile che l’opinione pubblica sviluppi un atteggiamento generalmente sfavorevole e che, se «un’Autorità è quello che vale nell’opinione pubblica», vi sia chi a quell’atteggiamento cerca di dare risposta. Persino nel Paese che ha inventato l’antitrust si riscontra del resto una “ciclicità” dell’adozione di diverse dottrine rispetto a pratiche presunte anticoncor-

renziali, che corrisponde al cambiamento di direzione politica del Paese.

Concluderne che senza un’autorità antitrust vivremmo tutti più liberi e felici, è forse azzardato. Nella lunga transizione italiana verso l’economia di mercato, l’Antitrust ha svolto e svolge un ruolo talora utile. Ciò che questo libro vorrebbe ricordare è semplicemente che anche l’Autorità Antitrust, essendo composta da uomini, commette errori, si lascia guidare dall’istinto dell’applauso, imbocca vicoli ciechi. È ingenuo

ne sacrificata sull’altare di una concorrenza ideale. Resta valida la sintesi di Hayek: «la tendenza che prevale nel dibattito corrente è quella di essere intolleranti per quanto riguarda le imperfezioni [rispetto al modello], e di tacere invece sugli impedimenti alla concorrenza». L’antitrust si presenta come l’ultimo dei “perfettismi”: un sistema che tenta di reintrodurre, paradossalmente alzando la barriera della concorrenza, un surrogato moderno della vecchia pianificazione. Ciò che risulta più odioso, in que-

Esiste una sproporzione tra i diritti dei consumatori e quelli dei produttori tenere sempre sugli scudi questa istituzione pensando che essa “garantisca” sempre e comunque concorrenza e mercato: agli esseri umani non spuntano le ali da angelo, non solo quando entrano in Parlamento, ma neppure quando vengono nominati all’Antitrust. Piuttosto, tale istituzione spesso sovrappone al mercato che c’è la sua idea di mercato. Capita che il mercato che c’è sia monopolizzato da imprese di Stato che godono di vantaggi impropri: e l’Autorità può giocare un ruolo importante, facendoci muovere verso la concorrenza. Capita invece che il mercato che c’è sia effettivamente tale, e allora la concorrenza reale vie-

sto contesto, è l’impoverimento della nostra comprensione dei meccanismi di mercato, l’incapacità ormai radicata di guardare laicamente all’esito dei processi concorrenziali, lasciandoci stupire dall’imprevedibilità della creatività imprenditoriale nel risolvere problemi. Con questo volume, abbiamo voluto raccontarne la cecità di fronte alle cose per come sono, per disfarle e rifarle a immagine e somiglianza del proprio ideale. Non vogliamo indicare colpe di questo o quel particolare rappresentante dell’Antitrust – quanto piuttosto segnalare le regolarità di un modus operandi.

Che cosa non convince? Le motivazioni addotte dalla Bce guardano al futuro. L’inflazione che si vuole contrastare è quella che verrà. Il problema – per Francoforte – è evitare che lo zoccolo duro attuale, che già ha falcidiato salari e pensioni, si trasformi in un formidabile trampolino di lancio per gli aumenti che verranno. Sul passato, invece, anche recente nulla da fare. E non solo perché è impossibile rimettere indietro le lancette dell’orologio. Ma, soprattutto, perché l’inflazione che abbiamo subito è diversa da quella finora conosciuta. La sua matrice era una costante: una domanda, sostenuta dai maggiori salari, che supera l’offerta e determina quindi un rialzo generalizzato dei prezzi. Ma questo avviene, oltre che in Italia, anche in Europa? Non si direbbe. Con tanta gente che non arriva a fine mese e i consumi che crollano, soltanto un visionario potrebbe avallare una simile ipotesi. All’origine degli attuali aumenti dei prezzi – non tutti per la verità – sono due distinti fenomeni. Fisiologico il primo, patologico l’altro. I prezzi aumentano perché i consumi degli altri – Cina, India etc. – sono cresciuti in campo alimentare e per le materie prime, ma non è aumentata l’offerta dei relativi prodotti, che richiede tempi più lunghi. In alcuni casi, come per il mais, la produzione è diminuita, visto il boom dei biocarburanti.

Per ritrovare un equilibrio violato, ci vorrà del tempo. Nel frattempo i prezzi aumentano proprio per attirare investimenti in settori che, negli anni passati, erano in grande difficoltà. L’aspetto patologico – la peste di questo inizio di secolo, secondo Tremonti – è dato dalla speculazione. Sul fronte dell’economia reale la stretta creditizia può fare ben poco. Anzi può essere addirittura controproducente visto che, rendendo più costosi gli investimenti, ritarda i necessari processi di aggiustamento. Per gli stessi motivi può incidere sulle speculazioni, aumentando i costi di chi si muove con denaro preso a prestito. Ma è come utilizzare il cannone per uccidere le zanzare: potevano essere prese misure meno invasive, introducendo forme di regolamentazione dei mercati, specie per i futures, ma gli Usa sono contrari.

La decisione della Bce sconta tutte queste difficoltà. Il problema è ora quello di valutarne le conseguenze. La prima e immediata sarà un freno alla crescita economica. Notizia non buona, specie per un Paese come l’Italia, da anni alle prese con un’economia declinante. Poi credito più caro, minori investimenti, specie da parte di chi ha mostrato da tempo di essere restio a esercitare quella funzione che è tipica del capitalismo classico. Ma questa volta la stretta peserà anche sulla povera gente. Su chi arriva alla fine del mese solo ricorrendo alle formule del credito al consumo. Per fortuna in Italia, rispetto all’Europa, non sono molti. In compenso le loro risorse sono più limitate. Infine resta il problema dei debiti contratti per acquistare la propria abitazione: aumenterà il costo relativo, che annullerà i benefici appena concessi sull’allungamento dei termini di pagamento.


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economia

Commerz, prossima alle nozze con Dresdner, potrebbe rinunciare all’operazione. Un problema in più per la Merkel

La Germania fa quadrato per difendere la preda Postbank di Alessandro Alviani

BERLINO. Giunto alla tornata decisiva, il processo di consolidamento del settore bancario tedesco rischia di complicarsi. In questo immenso risiko che va avanti da settimane, le posizioni sono mutate e quello che sembrava scontato torna in discussione. A cominciare dalla cessione di Postbank, istituto controllato dalle poste tedesche e specializzato nel retail. Con i suoi 14,5 milioni di clienti in Germania (contro i 9,7 milioni di Deutsche Bank e i 5,6 di Commerzbank), il gigante costituisce una preda particolarmente ambita, tanto più in un periodo in cui gli istituti riscoprono le operazioni dirette allo sportello a danno dell’investment banking. Non a caso la lista degli interessati è folta: si va dagli spagnoli di Santander agli inglesi di Lloyds TSB fino a Deutsche Bank.

Ma le offerte non vincolanti inviate finora sono tutte inferiori a quanto sperato dalle poste tedesche e la vendita potrebbe saltare, come rivela il settimanale Wirtschaftswoche, a causa delle divergenze sul prezzo. Se Deutsche Post stima il valore del suo istituto in almeno 10 miliardi di euro, le offerte si aggirano tutte tra gli 8 e i 9 miliardi.Troppo poco per il consiglio di sorveglianza del colosso di Bonn, all’interno del quale si starebbero moltiplicando i dubbi sulla necessità di cedere la banca, proprio mentre gli alti prezzi del petrolio mettono in difficoltà il settore core della logistica. L’assalto a Postbank sembra aver perso uno dei protagonisti: secondo quanto riportano diversi quotidiani tedeschi, Commerzbank, considerata all’inizio tra i favoriti per l’acquisizione, si starebbe ritirando dalla corsa, per concentrarsi esclusivamente sulla possibile fusione con Dresdner Bank. L’ipotesi di un gigante a tre teste (Commerz-Dresdner-Postbank), accreditata fino a non molto tempo fa, sembra essere insomma tramontata.Troppo complessa, avevano sentenziato diversi analisti. Poco male: se i colloqui di questi giorni tra Commerzbank e Dresdner dovessero andare in porto, nascerebbe il secondo player tedesco dietro

avere un solo nome: Deutsche Bank. A Francoforte non hanno mai nascosto l’interesse per la banca delle poste, ma il suo numero uno, Josef Ackermann, sembra frenare le attese. Come ha spiegato ieri alla Welt, è ancora incerto se in Germania si arriverà a una riorganizzazione del settore bancario entro la fine dell’anno. «Non voglio procurarmi la fama di uno che ha preso decisioni che peseranno sulle prossime generazioni all’interno della banca», ha precisato. E ha aggiunto che, sul fronte acquisizioni, non è costretto a muoversi soltanto in Germania. Le carte di Deutsche Bank restano insomma coperte. A dar peso ad alcune indiscrezioni, comunque, sembra che Ackermann stia puntando a rilevare non tanto Postbank, quanto le attività di Citibank (e non soltanto in Germania). La clientela dell’istituto delle poste si adatta infatti poco al profilo della corazzata di Francoforte, mentre Citibank, coi suoi 3,3 milioni di clienti in Germania, po-

trebbe essere agevolmente integrata in Norisbank, acquisita due anni fa e attiva nello stesso segmento del credito al consumo. Alla fine, a spuntarla nella corsa per Postbank, potrebbero essere gli spagnoli di Santander.

Deutsche Bank. Non solo: rilevando la controllata di Allianz, l’istituto di Martin Blessing si scrollerebbe di dosso quella fama di“eterna preda”che si è conquistato a causa delle sue fragili basi finanziarie e che l’hanno portato negli ultimi mesi anche nel mirino di IntesaSanPaolo. Sul fronte Postbank, intanto, i preparativi per la vendita proseguono, e il governo tedesco, che controlla il 30,6 per cento di Deutsche Post attraverso l’istituto statale Kfw, segue con interesse la partita. Nei giorni scorsi il ministro federale delle Finanze,

Peer Steinbrück, non ha nascosto di preferire una soluzione nazionale. «Sono interessato a una piazza finanziaria tedesca forte, con dei campioni nazionali; per me le banche fanno parte, come le telecomunicazioni, l’energia e la logistica, di quei settori chiave che dovremmo mantenere in Germania», ha detto al quotidiano economico Handelsblatt. In ogni caso, ha precisato, «non verrà pagato nessun prezzo politico per una soluzione nazionale». Di fatto, se il ritiro di Commerzbank venisse confermato, la soluzione interna potrebbe

L’istituto, con 14,5 milioni di clienti, è finito nel mirino di colossi come gli spagnoli del Santander. Il governo, alle prese con la crisi delle banche regionali e le ripercussioni post subprime, spera che Deutsche Bank scenda in campo come cavaliere bianco

In ogni caso il sistema bancario tedesco sembra imboccare con sempre più decisione quella strada verso il consolidamento che è stata già sperimentata anche in Italia negli ultimi tempi. L’ulteriore conferma arriva dai movimenti in atto nel settore delle banche pubbliche regionali. Dopo che la crisi dei subprime ha spazzato via SachsenLb, le Landesbanken sono rimaste in sette. Ancora troppe, secondo gli esperti. Le stesse Casse di risparmio, proprietarie a volte anche della maggioranza, premono per ridurne il numero. A dare il via a una nuova ondata di fusioni potrebbe essere BayernLb, il cui futuro verrà deciso probabilmente a inizio 2009.


economia

8 luglio 2008 • pagina 17

Il Sdl (l’ex Sulta) minaccia di rompere la pax sindacale in una fase delicata del rilancio della compagnia

Alitalia,i precari pronti al blocco d’agosto di Vincenzo Bacarani

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Sciopero treni: adesione all’ 80 per cento Treni, autobus e metropolitane sono stati in sciopero nella gioranata di ieri. Un lunedì nero per il trasporto pubblico, che secondo i sindacati ha visto l’80 per cento dei mezzi fermi. Secondo i primi dati diffusi da Filt Cgil, che insieme a Fit Cisl, Uiltrasporti, Orsa trasporti, Ugl, Faisa e Fast ha organizzato la protesta a sostegno della vertenza per il nuovo contratto nazionale, lo stop ha avuto un’adesione dell’82 per cento circa, fra treni, metro, autobus e tram in tutto il territorio nazionale.

Manovra: governo verso travaso del Ddl Il Ddl collegato alla Finanziaria, o almeno gran parte del testo, secondo l’orientamento definito da Giulio Tremonti, finirà nel decreto legge sulla manovra. Gli emendamenti sono stati depositati dall’esecutivo in commissione alla Camera. Il provvedimento, secondo i propositi del governo, riferiti da fonti parlamentari, potrebbe essere approvato con la fiducia quando arriverà in Aula la prossima settimana. Fra le modifiche, la riforma dei servizi pubblici locali, che non sarà più per delega.

Robin Tax, l’Autority controllerà i rincari

ROMA. Sul futuro di Alitalia si materializza la mina precari. Se Corrado Passera fatica a completare il piano di rilancio di Alitalia da presentare all’azionista Tesoro e ai nuovi possibili soci, ben presto potrebbe finire la pax sindacale. I ventilati 10mila esuberi, o le ipotesi più ottimistiche di 5-7mila tagli, potrebbero spingere gli autonomi del Sdl, l’ex Sulta che è molto forte tra gli assistenti di terra e tra i precari, a bloccare il trasporto aereo italiano nel pieno dell’estate. «I 20.000 lavoratori di Alitalia si considereranno tutti esuberi e bloccheranno non soltanto Alitalia, ma l’intero trasporto aereo italiano», si legge in un loro comunicato. Al momento è un’eventualità, ma in ogni caso; per il governo, è un rischio da scongiurare: bloccare gli aeroporti in un periodo di grande traffico trascinerebbe il Paese alla paralisi. In queste ultime settimane sono rimasti senza lavoro poco meno di 300 assistenti di volo, quasi il 50 per cento degli addetti al settore sotto contratto a tempo determinato. Non solo, a risentire di una nuova stagione di crisi sono anche le persone che si dedicano ai servizi di terra (bagagli, check-in, call center) con altrettanti (oltre 250) lavoratori rimasti a casa. Più di 500 persone appese a un filo per poter tornare a lavorare. Lo scorso 30 giugno qualche centinaio di lavoratori temporanei si sono travestiti da fantasmi, con il lenzuolo, in una manifestazione spontanea di fronte al centro piloti per richiamare l’attenzione.

I contrattisti, i primi a pagare la crisi del vettore, temono di essere quelli più colpiti dal piano Passera Una situazione, legata ai destini dell’Alitalia, che non si sblocca, ma tende a peggiorare. «La via d’uscita», sostiene Francesco Straccioli, rappresentante del Sdl, «è legata alla chance di uscire da questa crisi che ci sta massacrando da dieci anni». Secondo il sindacato, si è arrivati fino a questo punto perché c’è stato un ricorso al precariato «ai limiti del consentito».

Per Straccioli la tensione è destinata a salire «perché ogni due anni cambia la normativa». Così ci sono i precari di lungo corso, che da nove o dieci anni lavorano sette-otto mesi all’anno e poi tornano a casa in attesa di una telefonata. Che talvolta non arriva o, se arriva, prevede un impiego temporaneo immediato di soli 15 o 20 giorni. «Quello che contestiamo», sostiene il segretario nazionale Sdl, Paolo Maras, «è il modo in cui il precariato viene utilizzato. I lavoratori temporanei vengono usati per coprire il personale mancante. Ma arriviamo anche a situazioni paradossali». Come a Malpensa, dove la Sea, racconta Maras, «ha messo in cassa integrazione 900 persone: una decisione motivata da esuberi; ma poi si è giustificata con la clientela per il disservizio dovuto alla man-

canza di personale. Un palese controsenso, anzi un’assurdità». A complicare la situazione ci sono anche i problemi di Fiumicino e Ciampino, dove gli operatori di handing e call-center attendono ancora i fondi previsti dalla regione Lazio e lasciano a casa i precari. «La situazione con la Pisana», spiega il segretario Sdl, Andrea Cavola, «è in una fase di stallo». Difficile trovare isole felici, perché, come spiega Maras, «il precariato è diventato trasversale, colpisce tutti senza distinzioni». L’impressione è che questa situazione sia destinata a continuare anche nei prossimi mesi. L’Alitalia brucia tre milioni di euro al giorno. Il nuovo piano operativo non è ancora pronto. Nel frattempo rimane operativo il piano Prato per la sopravvivenza della compagnia: ma invece del previsto taglio di 24 aeromobili si è passati a quota 37, come era ipotizzato nel piano Air France. Ed ecco spiegato il recente aumento degli esuberi che, per ora, riguarda soltanto i precari. «Qui a Fiumicino», racconta Claudio Mattioli, precario dei servizi a terra, «la situazione peggiora di giorno in giorno. C’è gente di 35-36 anni con famiglia che viene lasciata a casa da un giorno all’altro. Poi c’è chi ha diritto alla mensa e chi no, chi ha il posto al parcheggio e chi no. Una confusione totale e un lavoro senza prospettive». Sì, perché al danno spesso si aggiunge la beffa: alcuni precari, anche con dieci anni di lavoro, si sono visti offrire un contratto da apprendista.

L’Autorità per l’Energia scende in campo per evitare che l’aumento della tassazione previsto dalla Robin Hood Tax venga traslato sulle bollette dei consumatori finali. L’Authority, guidata da Alessandro Ortis, ha infatti adottato «disposizioni urgenti in materia di vigilanza sul rispetto del divieto di traslazione della maggiorazione d’imposta», in base alle normative contenute nel decreto legge dello scorso giugno, con il quale il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha assegnato al regolatore il compito di vigilare sulla corretta applicazione della «Robin Tax». Intanto, ieri, i prezzi del petrolio sono risultati in forte calo. Al Nymex il derivato di agosto sul crude oil ha ceduto 4,71 dollari a 140,58 dollari al barile.

Consob, in arrivo regole più severe su derivati Arrivano regole più stringenti per i detentori di partecipazioni potenziali nelle società quotate. Le modifiche regolamentari proposte dalla Consob, guidata da Lamberto Cardia, dopo l’acquisizione in Italia della direttiva europea sulla Trasparency prevedono, tra le altre cose, l’estensione dell’obbligo di comunicazione al mercato anche per chi detiene strumenti derivati con regolamento in azioni pari a una quota superiore al 2 per cento del capitale. È quanto si legge nel documento sottoposto a consultazione dalla Consob.

Yahoo: Microsoft ribadisce interesse Microsoft non intende rinunciare a Yahoo. Dopo il fallimento della prima offerta, il colosso di Redmond conferma che è interessato a trattare l’acquisto o dell’intera compagnia o solo della parte del motore di ricerca. Inoltre, come anticipato dal finanziare Carl Icahn, azionista di Yahoo, Microsoft potrebbe riprendere subito le trattative di fronte a un avvicendamento nel cda della stessa Yahoo.

Atlantia, ebitda in crescita per il 2012 Atlantia stima una crescita dell’ebitda di gruppo del 5 per cento medio annuo nel quinquennio 2008-2012 e una crescita dei ricavi del 4 per cento medio annuo nello stesso arco di tempo. L’indicazione è stata data dall’amministratore delegato, Giovanni Castellucci, nel corso di un incontro a Londra con la comunità finanziaria. Gli investimenti sulla rete nel quinquennio considerato, aggiunge la nota di Atlantia, sono previsti in aumento da 1,4 miliardi nel 2008 a circa 1,8 miliardi nel 2012 (+30 per cento).


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personaggi Arriva da Adelphi un inedito romanzo del filosofo tedesco

oco più di dieci anni fa, all’età di centotre anni, moriva nella sua casa di Wilflingen Ernst Jünger, lo scrittore-filosofo tanto discusso quanto poco letto. Sono lontani i tempi delle contestazioni inscenate contro di lui (l’accusa di allora era quella di «aver preparato il terreno all’avvento del Nazionalsocialismo») a Francoforte, alla consegna del prestigioso Goethe-Preis o quelli della distruzione delle vetrine di una libreria di Göttingen, colpevole di aver esposto suoi libri in occasione dei cento anni dalla nascita. Significativi segnali di “disgelo” rispetto alla sua memoria e alla sua opera sono arrivati di recente in Germania, anche da importanti istituzioni culturali pubbliche. L’Archivio Letterario Tedesco (Dla), dove si conserva il cospicuo lascito jüngeriano (definito dallo stesso Dla «uno dei patrimoni letterari più significativi del XX secolo»), ha espresso attraverso il suo direttore, Ulrich Raulff, il pieno sostegno all’urgente opera di risanamento della foresteria-museo di Wilflingen. Se si aggiungono le più re(Heimo centi biografie Schwilk, Ernst Jünger. Ein Jahrhundertleben, Piper Verlag, München 2007, 623 p. ¤ 24,90, e Helmuth Kiesel, Ernst Jünger. Eina Biographie, Siedler Verlag, München 2007, p. 716, ¤ 24,95) si capi sce come attorno alla complessa personalità dello scrittore di Heidelberg sia in corso un serio tentativo di ricomprensione e rilettura: l’immagine che sembra ora prevalere è quella del «sismografo» (l’espressione è sua ed è da Irradiazioni), cioè di colui che col proprio lavoro ha registrato il terremoto che ha sconvolto l’Europa del primo Novecento.

P

Difficile dire che cosa resti dell’opera di Jünger in Italia, dove pure è stato tradotto molto. Lo studio di Nicola D’Elia dedicato a Delio Cantimori (Delio Cantimori e la cultura politica tedesca (1927-1940), Viella 2007) ha consentito la messa a fuoco di intrecci, relazioni e «innamoramenti» tutt’altro che scontati. Non è stato di poco interesse

Jünger, il «sismografo» che scosse il Novecento di Vito Punzi

Dall’angolo della storia riaffiora il discusso scrittore, rivalutato oggi come uno dei più significativi del XX secolo

Segnali di “disgelo” rispetto alla memoria e all’opera di Ernst Jünger (nella foto) arrivano anche dalla Germania, dove di recente è stata avviata una «urgente» campagna di riabilitazione

apprendere come il giovane Cantimori (che nel 1948 si sarebbe iscritto al Pci), preso fino a quel momento dall’interesse verso i movimenti riformati del Cin-

quecento, abbia subito già dal 1927 una decisiva attrazione verso la «furia antiliberale» dei nazionalrivoluzionari tedeschi, verso la cosiddetta Konseervative Revoultion. L’affinità che lo legava a Jünger aveva chiari fondamenti: fu proprio a partire dalla sua

riflessione sull’operaio-soldato che Cantimori affrontò a metà degli anni Trenta il problema del rapporto tra le idee socialiste e i valori borghesi. Ultimo in ordine di apparizione, è da poco in libreria un racconto di Jünger del 1952, Visita a Godenholm (tradotto

da Ada Vigliani, 2008, p. 114, ¤ 9,00).

Adelphi

Godenholm è una fittizia isola scandinava dove vive lo scienziato e filosofo Schwarzenberg e verso la quale, preannunciata in mare dai «gridi premonitori di uccelli profetici» e «affiorante dalla nebbia», si dirige Moltner, «smanioso di oltrepassare i limiti», insieme a Einar, Ulma e Gaspar, suoi compagni d’avventura. Fin dall’arrivo sull’isola, «nel chiarore smorto della mezzanotte», l’intera narrazione avviene in un tempo sospeso, facilmente scambiabile tra aurora e tramonto, dunque tra abisso e redenzione, menzogna e verità. Godenholm è quel laboratorio dove Moltner spera di trovare il taumaturgo capace di spingersi «negli abissi del passato, per consolidare l’autentica sovranità». Le visioni che si susseguono, pur accompagnate dal timore di chi crede di addentrarsi «in una selva soggetta a divieto di caccia», conducono all’essenziale, alla felicità, perfino, grazie alla manifestazione di ciò che è «necessario e semplice». A Jünger riesce così con una certa efficacia di far sostare il lettore su quella soglia, tanto cara a Kafka, nella quale il tempo non può che risultare sospeso (il presente della narrazione) e lo spazio indistinto, tra sogno e realtà. Uno Jünger gnostico, quello di questo racconto, affascinato e attratto dall’uso di droghe, finalizzato alla creazione artistica, dallo «splendore pitagorico», dal permanere in bilico tra «liberazione e rischio immane». Eppure, senza quelle sue domande su «ragione e indiviso», senza quella sua concezione del «dolore come limite estremo della realtà», senza quella sua «angoscia apocalittica», non sarebbe stato certo pensabile e possibile per Jünger ciò che accadde il 26 settembre 1996, nella chiesa di San Giovanni Nepomuceto di Wilflingen: la sua conversione al cattolicesimo.


geopolitica

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Nel suo ultimo libro, Fareed Zakaria (nella foto) ritiene che il declino dell’America sia causato soprattutto dal crescere dell’influenza di tutti gli altri principali attori presenti sullo scenario internazionale

Zakaria, Krugman, Soros, Morris: nell’editoria Usa cresce la tentazione di un ritorno all’antico

Il mito del declino americano di Giampiero Ricci Iraq inizia a trovare una sua dimensione grazie alla fine delle faide, all’incremento delle rendite petrolifere e alla crescita del prestigio e della fiducia nei confronti del governo di Nouri Al-Maliki. Le presidenziali americane del prossimo novembre regalano al mondo una contesa elettorale paradigmatica e capace di esprimere il meglio del Paese a stelle e strisce: da parte repubblicana John McCain, per vent’anni senatore e per ventitre nell’esercito, eroe di guerra determinato a difendere il vantaggio geopolitico americano costato milioni di vite; da parte democratica, Barak Obama, da due anni senatore e prima legislatore di Stato, avvocato, frequentatore di circoli culturali esclusivi e organizzatore di community liberal, con l’obiettivo di costruire, sulle fondamenta di un piano di investimenti governativi nell’istruzione e nella sanità, un versione aggiornata del New Deal rooseveltiano. I disastri peggiori ereditati dal Credit Crunch dell’agosto scorso, fatta salva la necessaria prudenza, sono probabilmente alle spalle. Allora perché gli americani continuano a credere nel loro declino? Con “The Post-American World” (Norton, 2008), Fareed Zakaria, editor del Newsweek International, unisce la sua voce a quel coro di addetti ai lavori che ritengono l’attuale crisi economico-finanziaria statunitense e le difficoltà diplomatiche che mettono a dura prova pilastri storici nelle relazioni internazionali come il patto di ferro con l’Arabia Saudita, il segnale di un arretramento nella capacità di leadership planetaria di Washington.

L’

L’originalità del lavoro di Zakaria risiede nel considerare l’attuale momento non connotarsi tanto in un declino dell’America, quanto nel crescere dell’influenza di tutti gli altri principali attori presenti sullo scenario internazionale. Nel sostenere tale tesi Zakaria, oltre le

inflazionatissime statistiche pro Cina e India, tocca un tasto dolente quando si chiede se possa ancora valere l’equivalenza modernità = stile di vita occidentale. A guardarsi attorno pare proprio di no. Gli edifici più alti e avveniristici ven-

appare seguire l’idea di un filo d’Arianna ideale tra i due testi che rende comunque merito al suo, soprattutto per lo stimolo che vuole rappresentare sulla necessità di una presa di coscienza occidentale sulla imprescindibilità del recu-

L’Iraq si sta riprendendo, i candidati alla Casa Bianca esprimono il meglio della politica a stelle e strisce, i disastri del “credit crunch” sono alle spalle: eppure la saggistica statunitense continua a parlare di crisi economica e di leadership gono costruiti altrove, anche i maggiori investimenti di qualsiasi genere e grado vengono sviluppati altrove.

Il libro di Zakaria riecheggia il famoso lavoro di Paul Kennedy, “The Rise and Fall of the Great Powers” (1987). Accademico della Yale University e storico della Gran Bretagna, autore della tesi del “declino relativo”, fu maestro di Zakaria e l’allievo

pero di un livello di legittimazione internazionale condiviso da parte degli Usa. Nelle librerie italiane è già possibile invece acquistare “La coscienza di un liberal”, (Laterza, Bari, 2008). Krugman, economista ed editorialista del New York Times, è un liberal doc e una voce autorevole del mainstream del liberalismo statunitense, ancora oggi nonostante abbia lavorato per tutto il 1999 nel comitato esecutivo della Enron. Krugman negli

anni della presidenza G.W. Bush più di altri si è stracciato le vesti e ha gridato allo scandalo neoconservatore, oggi con il suo lavoro sostiene la tesi che il calo del potere d’acquisto degli stipendi (nel 1969 un operaio della General Motors guadagnava 40mila dollari, oggi un dipendente della Wal Mart dello stesso livello ne porta a casa 18mila) e la crisi della classe media sono dovuti alla rivoluzione reaganiana degli anni Ottanta, allorché sotto i tagli della spesa pubblica e della presenza dello Stato nell’economia aumentavano le disuguaglianze sociali, gli stipendi si comprimevano e i sindacati si sfasciavano. Qualcuno potrebbe osservare come senza quell’alleggerimento, la situazione dei conti ereditati dai Big Government di stampo democratico avrebbe presto portato gli Usa al collasso con il risultato concreto di una forte probabilità di un successo globale della allora Unione Sovietica, si sa però che ai giorni nostri e con le presidenziali alle porte può diventare facile dimenticare l’impossibile. Ma ciò che deve destare preoccupazioni è che tali posizioni riecheggiano oramai ovunque e ad ogni livello. È recente la pubblicazione da parte di George Soros, il guru della finanza, di “The new paradigm for financial markets. The credit crisis of 2008 and what it means”, (Pubblic Affairs, 2008) ed anche a firma di Charles R. Morris il suo “The trillion dollar meltdown. Easy money, high rollers, and the great credit crash”, (Pubblic Affairs, 2008).

Entrambi mettono sotto accusa di nuovo le politiche di deregolamentazione dei mercati, che hanno finito per divenire un dogma, impantanandosi nei propri eccessi. Inutile dire come entrambi auspichino una maggiore regolamentazione. Dopo quasi trenta anni le sirene del tax and spending tornano a tentare. Molto della verità sull’esistenza di una fase post-americana verrà detto dal carattere della risposta che ad esse si vorrà dare.


società

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Vacanze alternative. Il campo è un’esperienza fondamentale per la crescita dei ragazzi: vita all’aperto, giochi e missioni sociali

Un’estate da scout di Alfonso Francia

olti giornali si sono divertiti in questi mesi a ripescare nomi di personaggi famosi che in gioventù hanno indossato i mitici calzoncini blu degli scout: se non desta sorpresa trovare personaggi come John Fitzgerald Kennedy, la regina Elisabetta e Steven Spielberg, fa un certo effetto scoprire che tra gli ex lupetti figurano anche Jim Morrison, George Michael e Daniele Luttazzi.Tutti loro, in gioventù, hanno dovuto affrontare quel rito di iniziazione travestito da vacanza che è il campo scout. Organizzato verso la fine di luglio, il campo è l’appuntamento principe dell’anno per ogni gruppo: nell’arco di due settimane i ragazzi devono mostrare di aver appreso tutto quanto è stato loro insegnato in un anno di incontri e preparazione, sia nelle attività pratiche che nella ricerca spirituale. L’apparenza di questi campeggi è in po’ militaresca, ma in questa convivenza a completa immersione nella natura c’è parecchio d’altro. Ecco perché l’organizzazione deve essere di una precisione certosina.

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ra incolta e invasa dai rovi un perfetto esempio di accampamento efficiente, dotato anche di acqua corrente. Poi vengono divisi i servizi che ogni squadriglia deve compiere: dalle pulizie della cucina alla preparazione dei giochi alla tenuta del giornalino del campo, una sorta di diario di bordo nel quale raccontare tutto quanto di rilevante succede nel corso delle giornate. Assegnati tutti i compiti è possibile preparare la cena, per ovvie ragioni improntata a una sana frugalità. I boy scout in questo periodo si nutrono quasi esclusivamente di pasta, wurstel, tonno, patate, frutta e insalata. Vietatissime le merendine. Consumato lo spartano pasto i ragazzi si riuniscono attorno al fuoco per dare finalmente inizio alla parte ludica. Ogni campo viene dedicato a un tema, che regolerà tutta le attività nel corso dei 14 giorni di convivenza: spesso ci si affida a cartoni animati e a personaggi più o meno leg-

Il campo è l’appuntamento principe dell’anno per ogni gruppo: nell’arco di due settimane i ragazzi devono mostrare di aver appreso tutto quanto è stato loro insegnato in un anno di incontri e preparazione, sia nelle attività pratiche che nella ricerca spirituale Nelle foto: in basso il fondatore del movimento scoutistico sir Robert Baden-Powell

I n n a nz i t u t t o è n e c e s s a r i o scegliere il posto adatto: serve una località che non sia eccessivamente lontana da un centro abitato in caso di emergenza, ma anche abbastanza distante da ogni traccia di civiltà. Anche se ci si trova a pochi chilometri da un paese e quindi dal progresso, dalla luce elettrica e dalle linee telefoniche, bisogna comportarsi come se cucinare sul fuoco acceso senza fiammiferi sia l’unica scelta possibile se si vuole mangiare qualcosa di caldo. Non devono mancare poi posti da esplorare, siano essi boschi, grotte, sentieri o montagne, perché la prima identità del bravo scout dovrebbe essere quella dell’esploratore. Ecco perché, una volta arrivati, i capi scout consegnano ai ragazzi l’attrezzatura e lasciano che siano loro a preparare tutto, dal montaggio della tenda alla disposizione della cucina da campo. Nei primi momenti, insomma, prevale l’aspetto militaresco del campo: divisi in gruppetti di cinque o sei, chiamati squadriglie, già nella prima giornata i ragazzi devono rendere una radu-

gendari, altre volte a film e telefilm (particolarmente azzeccata, un paio di anni fa, la scelta di un gruppo di scout romani di utilizzare la serie tv Lost come canovaccio). Alla fine della presentazione i ragazzi vengono mandati in tenda e a dormire, per cominciare dalla mattina successiva un vita dagli orari rigidissimi. Sveglia alle 7 e 30, lavaggio, sistema-

periore alla solita celebrazione in parrocchia. Se il tempo lo consente, a volte si organizza la messa notturna, rischiarando la radura con delle fiaccole. Le altre attività occupano le ore della giornata fino alla cena e all’incontro serale attorno al fuoco, quando i ragazzi si intrattengono a vicenda con canzoni, scenette, ombre cinesi, giochi che do-

Salute, forza, abilità manuale e servizio al prossimo sono i quattro elementi del metodo scoutistico sintetizzate dal fondatore, Baden-Powell, nel motto: ”siate preparati” zione tende e colazione entro un’ora. Poi l’ispezione dei capi e l’alzabandiera, cui dovrebbe seguire il canto dell’inno nazionale. A ricordarci che non siamo finiti in un campo d’addestramento di paracadutisti dell’esercito provvede la mezz’ora di meditazione, basata sui suggerimenti del consulente ecclesiastico, una mitica figura di parroco che gira di campo in campo a dare appoggio spirituale ai ragazzi. Il sacerdote è sempre presente la domenica, quando viene celebrata la messa all’aperto, che ha un fascino molto su-

vrebbero essere inventati da loro. I capi si preoccupano di garantire a tutti sonni tranquilli raccontando storie dell’orrore. Pare che abbiano un repertorio pressoché infinito al riguardo, ma non è dato sapere se si tratti di racconti tratti da libri o dalla tradizione popolare scout.

Tutte queste iniziative però non possono competere con il momento fondante e catartico di ogni campeggio, la missione. Ora, in tempi di roboante retorica sull’infanzia da proteggere da tutte le insidie del vasto mondo, l’idea di mettere una bussola e una cartina in mano a dei tredicenni e di mandarli soli per un paio di giorni in cima a un co-


società

8 luglio 2008 • pagina 21

pericolosi, che capitano quando si fa campeggio. Può succedere infatti che, nonostante tutte le precauzioni prese, un colpo di vento riaccenda qualche tizzone superstite del falò e dia il via a un incendio. Di solito lo si riesce a spegnere velocemente, ma in varie occasioni è capitato che qualche tenda e la relativa attrezzatura siano andate a fuoco e sia stato necessario avvisare i vigili del fuoco. Episodi imbarazzanti, ai quali bisogna saper far fronte.

cuzzolo sperduto farà storcere il naso a molti. Ma i ragazzi ne sono quasi sempre entusiasti. Equipaggiati come piccoli marines e dotati di telefono cellulare per le emergenze, i giovani esploratori dimostrano così la loro capacità di sapersela cavare nella totale mancanza di supporto umano e tecnologico. Spesso queste spedizioni vengono corredate di piccole incombenze aggiuntive, come la raccolta di erbe da catalogare, ma il senso dell’avventura sta proprio nel riuscire a bastare a se stessi.

In alternativa, agli scout può essere affidata una missione “sociale”, che dimostri la raggiunta capacità di saper trattare con le persone. In questo caso la squadriglia viene mandata nel paese più vicino e incaricata di pagarsi vitto e alloggio per una paio di giorni proponendosi per svolgere piccoli lavoretti. Sia che stiano patendo freddo e pioggia in cima a un monte, sia che stiano facendo pratica da cassieri per la droghiera del borgo, i capi scout restano all’erta nel campo, pronti a intervenire in caso di bisogno. Può accadere infatti che un gruppo si perda, o che qualche ragazzo combini guai in paese, forse perché preso dall’entusiasmo nel vedere un accendigas dopo dieci giorni passati a sfregare legnetti. Nella maggior parte

Per il resto, la vita nel campo scorre tranquilla, anche perché alla fin fine si tratta anche di una vacanza. Semmai si cerca di unire l’utile al dilettevole; mancando ad esempio dei bagni veri e propri, i ragazzi spesso sono restii a lavarsi come si deve, così i responsabili del campo organizzano giochi d’acqua. Sfruttando teli saponati e gavettoni, si riesce a rendere pulito anche il più selvatico dei ragazzi, quello che con la vasca idromassaggio ha lasciato a casa anche il più elementare senso dell’igiene. In altre occasioni si fanno lunghe passeggiate nei boschi, durante le quali i ragazzi mostrano la loro capacità di orientamento, la conoscenza della fauna e della flora che popolano la zona, la facilità con la quale si rapportano a un ambiente tanto diverso da quello ovattato e sintetico nel quale vivono. I ragazzi di solito tornano entusiasti da queste esperienze ma a volte i più piccoli, i lupetti, essendo bambini di otto o nove anni, non riescono a resistere facilmente lontano da casa. Il comportamento dei capi in questi casi è regolato da un modus operandi codificato: prima di tutto, bisogna convincere il bambino a non chiamare a casa, perché la voce materna potrebbe peggiorare la situazione e stimolare un invincibile istinto di ritorno al nido familiare. Poi i ragazzi vanno fatti distrarre e impegnare con ogni genere di attività. Dopo cena saranno così stanchi da desiderare il sacco a pelo molto più dell’abbraccio dei genitori. Se il bambino supera la prima notte, è probabile che non sentirà più la mancanza di casa. Per prevenire rischi, ai bambini è vietato l’utilizzo del cellulare. I genitori possono parlare con i capi, che tengono accesi i loro telefonini ogni ora del giorno e della notte. Quattro scout illustri: oltre alla regina Elisabetta, Steven Spielberg, John Fitzgerald Kennedy Alla fine delle due c’è la sorpresa del “trasgressivo” Jim Morrison settimane i ragazzi dovrebbero aver acdei casi però i capi possono restarsene cuore della notte, e costretti a sottopor- quisito, oltre a una bella serie di ricordi beatamente padroni del campo per un si a giochi a tema horror nei boschi. An- e magari qualche fidanzamento-lampo paio di giorni, e spesso ne approfittano che se la maggior parte degli ospiti gra- preadolescenziale (per fortuna i campi per festeggiare con una grigliata di car- disce molto questo genere di intratteni- sono misti da qualche decennio), i quatne. Non esattamente i wurstel propinati mento, bisogna ammettere che non po- tro elementi fondamentali del metodo che persone hanno lasciato gli scout do- scout: salute e forza fisica, abilità maai loro ragazzi… po essere rimasti traumatizzati dalle in- nuale, servizio al prossimo e civismo. Altro momento particolarmente at- cursioni notturne degli adulti che avreb- Parole che potrebbero essere riassunte teso è il gioco notturno: i ragazzi vengo- bero dovuto prendersi cura di loro. Ai nel motto coniato dal fondatore dei mono svegliati dai capi vestiti da mostri, o questi brividi organizzati se ne possono vimenti scout Roberto Baden-Powell: comunque da personaggi paurosi, nel aggiungere altri, più genuini ma anche “Be prepared”, siate preparati.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Il caro prezzi vi farà rinunciare alle vacanze? PROPRIO RINUNCIARE PER FORTUNA NO, MA HO DOVUTO RIDURRE I GIORNI DI FERIE

ORMAI SIAMO TUTTI VITTIME DEL CARO PREZZI E MEMBRI DEL POPOLO DEL ”WEEKEND LUNGO”

Proprio rinunciare no, visto che dopo un lungo anno di intenso lavoro è impossibile non ritagliarsi qualche giorno di relax. Diciamo però che questo caro prezzi non permetterà né a me né alla mia famiglia di godere di una vacanza di tutto rispetto. Avrei voluto prima di tutto avere a disposizione più giorni di vacanza, sulla carta ne ho circa 20 ma di fatto starermo fuori città solamente una settimana. Avrei voluto avere la possibilità di scegliere un luogo appropriato per mia moglie e le mie figlie, che desideravano villeggiare in un posto esotico o andare a Sharl El Sheik. E invece andremo sette giorni a Silvi Marina, in Abruzzo. Per carità, di questi tempi c’è da dover accontentarsi e pure felici di farlo, visto che la località non è delle peggiori in Italia. Ma davvero non ne posso più; ogni anno si ripete la stessa drammatica storia: pochi soldi per partire e pochi giorni per riposarsi lontano dalla routine della città. Del resto, come fronteggiare la situazione quando sia io che mia moglie guadagnamo poco più di duemila euro in due, mentre il costo della vita che non fa altro che aumentare?

Certo che questo nuovo caro prezzi mi fa rinunciare alla vacanza. Oramai è così da quattro anni. Il mio stipendio che rimane lo stesso mentre tutto intorno aumenta vertiginosamente. La benzina ormai è alle stelle, così come i prezzi degli alimentari e della normale vita quotidiana. Che dire, soltanto che ormai appartengo a quella categoria di trentenni (e siamo sempre di più al mondo) che non potendo disporre di liquidità per le vacanze d’altri tempi, oggi preferisce (preferisce??) abbandonarsi alla diffusissima pratica del cosiddetto ”weekend lungo”. E nemmeno tutti i finesettimana poi. Quando si può, si parte il venerdì pomeriggio, si va in una località marittima il più vicino possibile alla città di provenienza (sapete com’è, viaggi troppo lunghi prevedono troppe soste alle pompe di costosissima benzina), si rimane a non far nulla fino alla domenica sera, e poi via, si ritorna a casa sperando di aver rispettato la tabella economica di marcia senza troppi extra al ristorante, allo stabilimento (ma meglio la spiaggia libera con un ombrellone-fai-da-te) o al discopub. Cordialità.

Marco Occhipinti - Pescara

LA DOMANDA DI DOMANI

Moschea: dalla parte di Maroni o dalla parte della Curia? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Fabio Luzzi - Grosseto

MI PIACEREBBE AIUTARE DI PIÙ LA MIA FAMIGLIA: PER LE MIE VACANZE HANNO RINUNCIATO A TUTTO Non ne sono sicurissima, ma credo che questo caro prezzi stia seriamente mettendo in difficoltà i miei genitori. In vacanza ci andiamo e devo dire che anche in un luogo molto bello. Ma ultimamente ho visto la mia famiglia rinunciare a troppe cose e credo proprio per poter portare me e mio fratello piccolo al mare. Io ho ventidue anni e non posso ancora contribuire al fabbisogno della mia famiglia, ma spero di poterlo fare il prima possibile per permettere ai miei genitori qualche sfizio in più durante l’anno. Ho letto la vostra domanda in realtà per caso, non leggo i giornali tutti i giorni. Ma a questa ho voluto rispondere subito per far sapere la mia totale gratitudine alla mia famiglia. E a tutte quelle come la mia. Riconoscente ringrazio.

MORTE AL TIRANNO? I poteri essenziali in un società democratica sono il politico, l’economico, il sociale e quello spirituale. La tecnologia ha poi permesso ad uno strumento a disposizione dei poteri, quello dell’informazione, di diventare così forte al punto da essere potere rivale. Si può dire quindi che una società è pluralista, quando potere polito, economico, sociale, spirituale e mediatico sono tra loro assolutamente separati. Diversamente la società non è democratica. ma vittima di un “autoritarismo confusionale”. Infatti se questi poteri si confondono, la democrazia finisce per essere incapace di distinguere responsabilità e compiti, diritti e doveri. Naturalmente ci possono essere situazioni particolari, come in tempo di guerra. Se non c’è la guerra, per cui tutti gli sforzi dei poteri sono protesi verso un unico obbiettivo, la confusione dei poteri è libertà che diventa ingovernabilità, incapacità di produrre risultati e i poteri più forti sovrastano i poteri più deboli, come i partiti ora. Guardate la tivù: c’è il ricco conduttore manipolatore eterno, i politici seduti ti-

COSE DALL’ALTRO MONDO

Alcuni figuranti vestiti come alieni aspettano dietro le quinte di poter gareggiare al concorso del miglior costume costume durante il ”Festival degli Ufo” presso la sala del Pearson, lo scorso sabato 5 luglio a Roswell, Nuovo Messico

UN CONSIGLIO A BOBO CRAXI Gentile direttore, al Congresso socialista di Montecatini Bobo Craxi, con riferimento a Veltroni, dichiara: «Abbiamo ragione di essere risentiti con lui, anche se il dialogo si è riavviato». Onorevole Bobo Craxi, chiuda per un momento gli occhi e pensi cosa avrebbe dichiarato suo padre Bettino al suo posto oggi! Ecco, Lei ogni volta che ha in mente di parlare, pensi ad un socialista con la ”S” maiuscola e se proprio non vuole scomodare chi avrebbe dato all’Italia il vero riformismo (altro che Veltroni e Pd) pensi a sua sorella Stefania e faccia parlare Lei. Il dialogo, se non fosse andata com’è andata, l’avrebbe riavviato il Psi verso i comunisti (cotti e perdenti) e non i cattocomunisti verso il Psi: c’è una

dai circoli liberal Chiara Bonomo - Como

bella differenza! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

morosi di un’inquadratura inclemente, ma in alto sugli schermi, come divinità, direttori di quotidiani, palesemente portatori di interessi di parte, che esprimono il “giudizio finale” sottilmente secondo interessi particolari. Nel nostro Paese i poteri mediatici, economici, sociali e politici sono esasperamene confusi come ai tempi della guerra fredda ed è sempre dubbio che il Governo in carica sia creato dal genuino consenso del Popolo. Tuttavia e nonostante la forza, questi poteri confusi non sono riusciti neppure a garantire la cosa più elementare che unisce gli uomini in una società e cioè la legge. Milioni di italiani vivono in un ambiente privo di legalità, quindi di “non uguaglianza”, a danno dei più deboli e di chi vuole fare, merita di poter fare ma non gli è consentito. La ragione di fondo dell’impossibilità della legalità è proprio forse in questa impossibilità di distinguere nettamente i poteri. In una democrazia pluralista la mancata separazione dei poteri è di per sé illegittima e generatrice di nuove tirannie. A questo intreccio di sovrapoteri non si rinuncia volontariamente purtroppo, perché di per sé

Paolino Di Licheppo - (Te)

E’ NATA RED. LO ANNUNCIA FELICE PAPÀ MASSIMO D’ALEMA Adrenalina pura. Sì, avete capito bene. E’ stato questo il commento dei convenuti per festeggiare la nascita di Red, la creatura di Massimo D’Alema. I riflettori si accendono. Una nascita è un momento fondamentale, suscita un’attrazione particolare e certamente non può lasciare indifferenti. Ma ciò che ci ha colpito è che i più emozionati e con le lagrime agli occhi erano i più signoroni, imborghesiti e ricconi e i più grandi protagonisti del lusso. Davvero. Non ci credete? Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

nessuno di quei poteri per sua natura ed in quanto tale se sovrastante, è un bene per l’uomo. Per questo penso che gli attori della Costituente di Centro debbano essere rivoluzionari liberali e sentire come principale obbiettivo l’avere finalmente anche in Italia un pluralismo di poteri nettamente separati, per una nuova organizzazione della Democrazia Italiana affinché risorga. Morte ai tiranni allora? No, ma alle “tirannidi” si!” Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 15.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti,Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Debbo a te tutti i miei risorgimenti Che senso di sollievo mi dilata il cuore, oggi, dopo la tua lettera! Mi sento leggero, agile, fresco come se attraverso tutto il sangue mi fosse passato un ossigeno purificante; mi sento più giovine, più fiducioso, più forte, più altero. Grazie a te, mia Anima! Io debbo a te tutti i miei risorgimenti. La tua parola è magnetica come il tuo sguardo. Non so scrivere, oggi; non so dirti nulla. Ho, dentro, l’entusiasmo di te; che mi suggerisce non so qual musica confusa di inno, non so quali elevazioni di canto. Se ti scrivessi quel che mi balena su l’anima, forse ti farei sorridere. Con che ansia ho attesa la tua lettera! Le cose passano, si dileguano, non lasciano traccia. E io m’inginocchio d’innanzi a te come l’adoratore d’innanzi all’immagine pura; e piango baciandoti le mani. Ave, dunque. E’ già notte. Ti penserò e ti sognerò; innamoratamente, senza fine. Ave. Gabriele D’Annunzio a Elvira Natalia Fraternali Leoni

NON GUARDERÒ IN TV LE OLIMPIADI DI PECHINO La scelta di George W. Bush di presenziare l’8 agosto alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici testimonia - se ve ne fosse ancora bisogno - degli immensi interessi economici che permettono ai gerarchi cinesi di continuare a essere omaggiati e riveriti dai rappresentanti di tutto il mondo, qualunque sanguinosa repressione venga attuata contro l’identità culturale e religiosa dell’inerme popolazione tibetana. Quanti altri capi di Stato e di governo si affretteranno; sulla scia del loro ”amico” George, a riservare un posto sulla tribuna di Pechino? Che non chiamo ”d’onore” proprio perché ritengo disonorevole per la democrazia e la libertà una simile parata, nient’altro rappresentativa che degli enormi interessi ”di bottega” in gioco. Del resto, di quanto sia invasiva la potenza economica dell’atuale Cina si è appena avuta conferma nel fatto che una primaria casa automobilistica ”rea” di aver lanciato una nuova vettura con uno spot interpretato da Richard Gere, che si conclude con un gesto di fratellanza verso alcuni giovani monaci tibetani -

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

8 luglio 1497 Vasco da Gama salpa da Lisbona, iniziando il suo viaggio verso l’India 1709 Battaglia di Poltava - In Ucraina, Pietro I di Russia sconfigge Carlo XII di Svezia a Poltava ponendo fine al ruolo della Svezia come grande potenza in Europa 1797 Viene emanata la Costituzione della Repubblica Cisalpina 1822 Muore Percy Bysshe Shelley, poeta inglese 1838 Nasce Ferdinand Graf von Zeppelin, generale tedesco 1839 Nasce John Davison Rockefeller, imprenditore statunitense 1951 Nasce Anjelica Huston, attrice cinematografica, regista e modella statunitense 1956 Muore Giovanni Papini, scrittore italiano 1978 Sandro Pertini è eletto settimo Presidente della Repubblica Italiana con 832 voti su 995; prestò giuramento il 9 luglio

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

si sia sentita in obbligo di ”chiedere scusa” (sic!) alle autorità cinesi, offese dal vedere anche solo richiamata l’esistenza di un Tibet non ancora sufficientemente ”normalizzato”dal ferreo apparato centrale. Cosa dire, se non constatare come i diritti dei più deboli siano, per l’ennesima volta, nemmeno degni della possibile perdita di qualche dollaro o euro sul piatto degli affari? Ma con la conclusione, modesta quanto si vuole, che la scelta mia e della mia famiglia è quella di non seguire alcuna delle immagini televisive sui prossimi giochi. Come valutazione del tutto soggettiva su quanto sta accadendo e anche nell’ipotesi che - essendo non da oggi il fatto olimpico legato a investimenti pubblicitari, ribaltati sui canali mediatici - se calasse un tantino lo share di ascolto non sarebbe un segnale di poco conto. Più che nei confronti delle autorità cinesi, sorde a ben più gravi accadimenti, almeno in vista di assegnazioni dei giochi a Stati che non garantiscono appieno le basilari libertà. Grato, anche a nome della mia famiglia, per l’attenzione data.

Paolo Malagodi Bondeno (Fe)

PUNTURE Ma siamo sicuri che con la definizione di “terza camera” si sia voluto indicare il Csm?

Giancristiano Desiderio

Bisogna guardarsi bene dal giudicare le società nascenti con idee attinte da quelle che non sono più C. A. DE TOCQUEVILLE

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di LEGHISTI SI SCOPRONO UN PO’ LAICISTI E I LAICISTI TACCIONO Parole grosse quelle di monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecumeniche e interreligiose della Diocesi di Milano: «Solo un regime fascista o populista arriverebbe a tali metodi dittatoriali. Oso sperare che non siamo caduti così in basso». Nel merito della vicenda della moschea di Viale Jenner non ne so molto, ma dubito fortemente che, come dice monsignor Bottoni, qualcuno voglia «proibire un diritto costituzionale come la libertà religiosa e di culto». Avevamo sentito omelie contro la «dittatura del relativismo», ma mai un governo era stato finora definito «fascista» da un membro della Curia. E i ”professionisti della laicità”, guarda un po’, tacciono, quando non applaudono. Siccome ultimamente nel merito condividono le durissime critiche che provengono da alcuni ambienti e organi di stampa del mondo cattolico nei confronti del governo, allora è improvvisamente scomparso l’attacco clericale alla sovranità dello Stato che sono così pronti a denunciare quando si parla di aborto o unioni di fatto. Su questo blog siamo affezionati al nostro discorso innanzitutto di metodo. Finché la Chiesa cattolica continuerà ad essere organizzata in una forma statuale, e a percepire in modo opaco dallo Stato miliardi di euro in 8 per mille e altri privilegi concordatari, dovrebbe esserci un limite all’intervento dei suoi vertici nella politica italiana. Ogni volta che la Chiesa mette il becco - tramite membri del clero o i suoi organi di stampa - negli affari politici, a me viene naturale storcere la bocca, al di là del merito, perché lo avverto come un potere di condizionamento indebito – paragonabile, per esempio, a quello che spesso esercitano anche i Sindacati – sul Parlamento e i governi democraticamente eletti, e per di

più da parte di uno stato estero. Una volta superato il particolare status istituzionale e finanziario di cui gode la Chiesa in Italia, allora le sue opinioni, e persino una sua eventuale ”militanza politica”, potranno sempre essere accolte o contrastate nel merito all’interno del libero confronto democratico tra le idee, ma da esse sparirà il sospetto di un’indebita ingerenza. Dall’altra parte avviene il processo inverso. Qualche leghista comincia ad essere infastidito da qualche ingerenza di troppo della Chiesa nell’azione di governo, e forse a riscoprire il valore della separazione tra Stato e Chiesa. Non mancavano, tra l’altro, nella Lega delle origini, venature anti-clericali nella polemica contro «Roma ladrona». Prima Borghezio, dopo gli attacchi di Famiglia cristiana, escogita un felice slogan: «Famiglia padana non legge Famiglia Cristiana». Ora il ministro Maroni risponde a tono a monsignor Bottoni: «Solo insulti, dovrebbe preoccuparsi della negazione dei diritti dei cittadini milanesi». Non contrattaccando, ma spiegando, come ha fatto per rispondere alle polemiche sull’identificazione dei minori rom, bambini che semplicemente non esistono per nessuno, se non per i loro sfruttatori che si fanno forti proprio della loro non-identità. Anche questa volta, oltre alla malafede di qualcuno, ci sarebbe «un problema di scarsa informazione». Il governo vuole solo che siano «rispettate le norme igienico-sanitarie, urbanistiche, e i regolamenti comunali». Sarebbe un paradosso se, come dice Maroni, addirittura il direttore del centro islamico avesse davvero «già dichiarato la propria disponibilità al trasferimento». D’altra parte, pare che anche i fedeli musulmani si trovino un po’strettini in quella zona.

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PAGINAVENTIQUATTRO

Storia di un oggetto smarrito sulla linea Brindisi-Milano e mai più ritrovato

Così la mia agenda ha preso il volo con ALITALIA di Roselina Salemi o perso l’agenda. Non so come, perché è grande, pesante come un mattone e zeppa di informazioni per me vitali, ma è successo. L’ho persa sul volo Alitalia delle 21 da Brindisi a Milano Linate, lunedì 30 giugno. Me ne sono accorta a casa. Erano le 23, 30. Mi sono detta: domani risolvo. Non è un braccialetto di Cartier che può far gola a qualcuno. Bisogna essere ottimisti.

H

Martedì mattina telefono al numero verde 199-137-811. Musichetta. Attesa. Dopo dieci minuti, silenzio. Provo tre volte, poi lascio perdere. Chiamo il centralino Alitalia a Roma, per avere informazioni: 06-2222. Una bella voce maschile mi comunica una meravigliosa offerta (“Gli Stati Uniti ti aspettano!”) e la linea cade. Ci metto mezz’ora, dopo aver schiacciato il 2, a parlare con l’operatore che mi dà un numero di Milano: 02-70124451. Il segnale è strano, come se fosse occupato. Riprovo. Parte un disco che fornisce gli orari per l’assistenza telefonica e il ritiro dei bagagli. Lo faccio dieci volte. Richiamo Roma, espongo il problema e mi offrono lo stesso numero. Sono un po’ tesa, spiego che nessuno risponde. Mi consigliano di rivolgermi a Linate (ma a chi? Non lo sanno) e mi dettano il numero di un centralino Alitalia a Milano, 02-24991. L’operatrice mi saluta

allegra (“Buongiorno, sono Eufrasia, come posso aiutarla?) e cerca di rifilarmi di nuovo lo 02-70124451, al che esplodo. Commossa (o impaurita), la ragazza del call center mi tiene in attesa e cerca la soluzione. Dopo alcuni minuti, trionfante, annuncia che esiste un “ufficio oggetti smarriti a bordo”, 02-24993243, attivo soltanto dalle 11 alle 12. Sono le 11,15. Chiamo, non rispondono. Urlo mentalmente. Non chiedo mai favori, ma, disperata, decido di rivolgermi all’Ufficio stam-

L’odissea telefonica tra call center, centralini inesistenti e uffici stampa alla disperata ricerca di appunti e numeri pa Alitalia, scusandomi per la minuscola grana della quale sono portatrice. Sono cortesi, mi suggeriscono di rivolgermi alla polizia aeroportuale di Linate: quello che viene trovato a bordo va in custodia a loro. Telefono. Le forze dell’ordine ridono, con garbo. Non c’entrano un piffero. Mi danno il numero dell’Ufficio Oggetti Smarriti della Sea, 02-74852359. Penso: evviva, è la volta buona. Lì mi danno due notizie, una cattiva e l’altra pure: 1) lo 02-70124451 è stato smantellato da un pezzo 2) purtroppo, non possono aiutarmi. La loro competenza ri-

guarda ciò che è stato disseminato all’interno dell’aerostazione, non a bordo, e mi rinviano (è la terza volta) al numero del famoso desk aperto tra le 11 e mezzogiorno.

A questo punto avrei già dovuto piantarla, invece vado avanti, come un marine. Richiamo l’Ufficio stampa, comunico che lo 02-70124451 non fornisce alcun servizio. Si dichiarano sorpresi. Ammettono che nell’ultimo periodo non hanno più il controllo di alcune questioni. Ci sono società esterne che lavorano per l’azienda e la comunicazione non è del tutto lineare. Mi offrono lo 02-24993243, dove ho smesso di chiamare perché sono già le 13. Chiedo che altro si può fare. Si può andare dal capo scalo. Mi paracaduto a Linate, uffici amministrativi. Una signora bionda e gentile ascolta, telefona qua e là e mi dice che l’aereo è andato a Napoli e poi a Palermo, ma nessuno ha riportato un’agenda smarrita a bordo. C’è un quadernetto, con alcuni appunti in francese, recuperato il 18 giugno e non ancora reclamato (altri, più pessimisti di me, non ci hanno neanche provato). Mi dice che, con ogni probabilità, chi ha pulito l’aereo ha buttato via l’agenda. Nel frattempo, si sono fatte le 17,30. Mi cercano dall’Ufficio stampa Alitalia. Hanno provato anche loro la trafila di numeri e sono dispiaciutissimi per me. Facciamo un po’ di filosofia su noi donne che corriamo troppo, senza tirare un attimo il fiato. Concordo. Penso che sarebbe carino se il personale di bordo, invitando a non dimenticare gli oggetti personali, leggesse il numero al quale rivolgersi se ciò dovesse succedere. O brutalmente avvertisse: “Non lasciate roba in giro, ritrovarla potrebbe essere impossibile. Grazie per aver volato Alitalia”). Certo, Alitalia ha problemi più seri della mia agenda che non conteneva segreti di Stato, ma numeri di telefono, due capitoli di un romanzo e la traduzione di un articolo dall’inglese scritta a mano, perché la batteria del portatile aveva dato forfait. A parte il lavoro da rifare e la conclusione che è meglio essere pessimisti, di questa piccola storia mi rimane l’esperienza diretta, molto buzzatiana, di un impero in disfacimento, dove nessuno sa che cosa accade nelle varie province. L’Alitalia è una fortezza, stancamente presidiata, al centro di un deserto. Ma questa volta, i tartari arrivano.


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