Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
Dopo la rottura con Di Pietro e con il giustizialismo
SEDICI PAGINE e di h DI ARTI c a n o cr E CULTURA
Se il Pd sarà davvero coerente cambierà la storia d’Italia
di Ferdinando Adornato
9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80712
Ci vanno tutti! Pechino ha vinto. L’8 agosto, i grandi della Terra (salvo Merkel e Brown?) saranno all’inaugurazione delle Olimpiadi, la più imponente manifestazione di legittimazione politica di un regime totalitario. A Berlino nel ‘36 nessun politico era al fianco di Hitler. E Jessie Owens diventò il simbolo della libertà. Ora solo gli atleti possono rimediare, mostrando più coraggio dei capi di Stato... alle pagine 2 e 3
di Francesco D’Onofrio on la ormai probabile definitiva approvazione parlamentare del cosiddetto “Lodo Alfano” si può ritenere conclusa non solo la prima parte di questa legislatura, ma molto probabilmente un segmento fondamentale dell’intera storia politica italiana. Si tratta in sostanza di capire se la decisione del segretario del Partito democratico Walter Veltroni di non partecipare come partito alla manifestazione indetta a Piazza Navona lo scorso 8 luglio da una pluralità di soggetti sociali culturali e politici, ma caratterizzata soprattutto dalle parole di Beppe Grillo, avrà come seguito non solo una presa di distanza del Pd da parole offensive ed estremistiche ma anche una rottura culturale ancor prima che politica sul tema fondamentale del rapporto tra politica e giustizia. In sostanza il Partito democratico è di fronte ad un problema strategico di definizione della propria identità politica rispetto all’identità della componente post comunista, rappresentata dai Ds e di quella che possiamo definire post centrista, rappresentata dalla Margherita. La questione riguarda in primo luogo proprio la componente che deriva da un’ala della sinistra italiana, perché, come sappiamo, è proprio nell’intreccio tra politica e magistratura che si è svolta in Italia una vicenda particolarmente significativa della stessa storia del comunismo italiano.
C
seg ue a pagin a 6
AAA, fondo sovrano cercasi
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 15 luglio
Il governo tira dritto, ma si rischia il disastro
Soluzione, torniamo a Keynes!
Chiaiano, il grande buco nero di Napoli
Chi affiancherà Obama o McCain?
Il totoscommesse sui candidati al Washington Wice
di Enrico Cisnetto
di Errico Novi
di Michael Barone
Mentre Stati Uniti, Svizzera e altri Paesi europei cercano di arginare le mire espansionistiche dei “quattro cavalieri dell’apocalisse”, hedge funds, private equity e banche di stato asiatiche tentano di entrare in settori industriali strategici.
«È una punizione per i napoletani. Dopo anni di disastri non ha pagato nessuno». La punizione è la discarica di Chiaiano. Messa lì a un chilometro dal più grande polo ospedaliero dell’Italia meridionale.
Le scommesse sui candidati alla vicepresidenza di McCain e Obama sono partite. I vicepresidenti delle ultime amministrazioni avevano un notevole bagaglio culturale e hanno giocato un ruolo importante.
pagina 4
pagina 8
pagina 7 SABATO 12 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
131 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 12 luglio 2008
prima pagina
Anche molti settori della maggioranza premono perché il premier non vada alla cerimonia inaugurale (come Merkel e Brown) o almeno punti i piedi sui diritti umani (come Sarkozy)
Berlusconi ripensaci di Francesco Rositano ngela Merkel non adrà a Pechino. E il premier britannico Gordon Brown parteciperà solo alla cerimonia di chiusura dei giochi olimpici. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, nonché leader di turno della Ue, ha detto che sarà in Cina, ma che farà comunque presenti alle autorità governative la sua posizione sul tema scottante del rispetto dei diritti umani. E si è riservato anche la possibilità di incontrare il leader religioso dei tibetani, il Dalai Lama, scatenando l’ira dell’ambasciatore cinese a Parigi, che si è subito precipitato a dire che non era giusto. Tre posizioni che - seppur diverse mostrano un atteggiamento di fermezza rispetto ad un atto, quello della partecipazione alla cerimonia, che potrebbe suonare come una legittimazione dell’operato del governo di Pechino sulle libertà fondamentali, pilastro delle democrazie d’Occidente.
A
In questo panorama, sorge spontanea una domanda: che farà l’Italia? Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, parteciperà o no alla cerimonia? A meno di problemi inderogabili in agenda, il premier italiano nei giorni scorsi ha annunciato che sarà presente. Scatendando forti disappunti: nella maggioranza e nell’opposizione. Tra l’altro sulla sua strada ha trovato anche l’opposizione del Parlamento. L’altro ieri, infatti, la Commissione esteri della Camera ha approvato con 9 voti a favore, 7 contrari e un astenuto, una mozione presentata dall’opposizione che impegna l’esecutivo a non partecipare alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino. Il dato curioso è che il testo, presen-
tato dal radicale Matteo Mecacci, era stato firmato anche da un esponente della maggioranza come Marco Zacchera, deputato Pdl, che alla fine aveva presentato una versione più soft, comunque bocciata. Per Zacchera, nonostante la sua decisione di
ropei. Ma questo non significa essere insensibile su problematiche ineludibili come queste Perché ad esempio non esporre negli edifici la bandiera del Tibet? Sarebbe un modo intelligente per far conoscere all’opinione pubblica questo Paese e di conse-
Matteo Mecacci: «La risoluzione che abbiamo approvato ha un chiaro significato politico. E il governo dovrebbe tenerne conto. A meno che non viviamo nella Repubblica delle Banane». non impedire ai più alti rappresentanti politici italiani, di andare a Pechino, è indispensabile non abbassare la guardia su un tema così delicato. «Ci sono dei motivi di realpolitik per cui bisogna andare in Cina, anche perché sarebbe addirittura controproducente non partecipare sapendo che vi andranno la maggior parte dei leader eu-
guenza sensibilizzarla sul rispetto delle libertà fondamentali».
Come esponente del governo, anche il leghista Giampaolo Dozzo ritiene che la cerimonia d’apertura non vada boicottata. E lancia l’allarme sul rischio della politicizzazione degli eventi sportivi. «Vi ricordate - afferma - cosa è accaduto quando si è voluto dare un significato politico alle Olimpiadi di Monaco?
La Boniver chiede al governo una forte iniziativa politica
Sopra Margerita Boniver; nell’altra pagina in alto un manifestante fermato in occasione della cerimonia per l’accensione della torcia nell’antica Olimpia
«Se andiamo dobbiamo alzare la voce sui diritti umani» colloquio con Margherita Boniver di Francesco Rositano
«Quindi andiamo a Pechino, riconoscendo unicamente il valore sportivo dell’evento. Quanto ai diritti umani, perché anziché boicottare la manifestazione dei giochi non si boicottano le merci cinesi? Secondo me sarebbe molto più efficace toccare le tasche del governo di Pechino».
Ugo La Malfa, deputato Pdl e membro della Commissione esteri a Montecitorio, non può che sostenere la linea della partecipazione. Anche se lamenta la necessità «di avere una linea comune condivisa a livello europeo». E aggiunge: «Mi concentrerei maggiormente su una presenza critica: pubblicherei immagini, fotografie, sensibilizzerei su queste problematiche». Duro con il governo Fabio Evangelisti, dell’Italia dei Valori, che ha criticato il fatto che in Commissione, al momento di votare la risoluzione, ci fossero solo 18 su 45. «Eppure quando si è trattato di votare l’indecente Lodo-Alfano erano in Aula quasi tutti. Comunque si può an-
ROMA. Si definisce «sconcertata» Margherita Boniver - deputato del Pdl e fino al 2006 Sottosegretario agli Affari esteri con delega per l’Asia per il modo con cui l’Unione Europea finora ha gestito i rapporti con Pechino dopo le repressioni in Tibet del marzo scorso. E ha portato queste argomentazioni al suo disappunto: «Mentre nel mondo montava lo scandalo per quello che stava accadendo, l’Alto rappresentante per la politica estera, Javier Solana, si era subito precipitato a dire che l’8 agosto sarebbe stato in Cina per la cerimonia d’apertura dei giochi. Possibile che non si è posta in essere nessuna azione diplomatica per avviare quel fondamentale dibattito che riguarda la necessità imperiosa di adeguare degli standard minimi di trattamento delle minoranze, che non vanno sparate alla schiena». Quindi bisogna andare o no a Pechino? «Il boicottaggio secondo me non
che andare e richiamare allo stesso modo l’attenzione internazionale su questi temi: con i fotografi, le telecamere, parlando con le autorità cinesi».
Il radicale Matteo Mecacci, estensore del testo approvato in Commissione che impegna il governo a non presenziare alla cerimonia di apertura, afferma: «Dopo le dichiarazioni ondivaghe dei giorni scorsi, il governo avrebbe potuto dare una prova di unità, mostrandosi vicino a chi lotta per il rispetto dei diritti del popolo tibetano e per la democrazia in Cina. Il fatto che il presidente del Consiglio, Berlusconi, abbia annunciato la sua partecipazione è un brutto segnale. Comunque la risoluzione che abbiamo approvato ha un significato politico inequivocabile. E l’Esecutivo dovrebbe tenerne conto. Nelle democrazie, almeno, avviene così. Spero che accada anche in Italia. Siamo un paese civile o viviamo nella ’Repubblica delle Banane?’».
serve a nulla: è solo un atto dimostrativo. Quel che di cui c’è bisogno è trattare con Pechino in maniera molto più seria sul rispetto delle minoranze. E non esiste solo quella tibetana, ma c’è anche quella ugiura o musulmana. Mi impegno personalmente a parlare con il ministro degli Esteri Franco Frattini». Cosa dirà al ministro? Contatterò Frattini per suggerirgli una linea un po’ meno acquiescente di quella che è stata fino ad oggi. Bisogna avviare un dialogo con le autorità cinesi sul rispetto delle minoranze. Un dialogo a porte aperte, senza sotterfugi, considerando che le minoranze non sono solo i tibetani, ma anche gli ugiuri, le minoranze musulmane. Minoranze di cui non si parla mai perché non hanno un leader carismatico come il Dalai Lama. Purtroppo c’è un problema di immagine, di comunicazione, purtroppo anche per le trage-
prima pagina
12 luglio 2008 • pagina 3
Una polemica col presidente dell’Ordine dei giornalisti
Caro Del Boca, in che mondo vivi? di Aldo Forbice ualche giorno fa nella sede della Federazione della stampa a Roma il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, nel corso di un convegno su informazione e Olimpiadi, di ritorno da un viaggio a Pechino, ha tentato di rassicurare i giornalisti che si recheranno in Cina, parlando del “grande evento” che ha come slogan“Un mondo, un sogno”. Ma l’autorevole rappresentante della categoria probabilmente ha scelto solo“il sogno”perché ha descritto la Cina come un grande Paese promettente, che si avvia verso la democrazia, con tutte le sue contraddizioni. Certo, ha detto, «l’informazione è omologata», ma «vi sono voci libere e sono in costante aumento». Non comprendiamo dove il buon Lorenzo abbia visto o sentito queste “voci”. Probabilmente esistevano ma ora si trovano sicuramente nelle carceri cinesi, nei laogai, (ne ha sentito parlare Del Bo-
Q
“
cinesi, ha fatto notare che le cose per la verità non sembrano così idilliache come le descrivono i massimi dirigenti della categoria e del Coni.
Pochi hanno ricordato che il regime da alcun mesi ha attuato uno stretto giro di vite repressivo, non solo in Tibet (dove non si è registrato alcun progresso nelle trattative con i delegati del Dalai Lama), ma anche nei confronti di tutte le minoranze etniche e religiose (continui arresti di militanti uighuri, di buddisti, di cristiani di tutte le chiese, degli aderenti al culto Falung Gong, ecc.). Una sorveglianza rigidissima viene attuata, poi, da un corpo di 100mila poliziotti specializzato in informatica, sui siti ritenuti “pericolosi” perché pubblicano notizie non allineate alle direttive del regime. Certo la grande macchina propagandistica di Pechino non cessa di magnificare il“nido d’uccello”, gioiello dell’architettura mondiale, i 37 nuovi stadi e la gigantesca sala stampa dotata di ogni comfort. Ma si dice poco sul fatto che atleti e giornalisti saranno circondati da diversi “cordoni” di sicurezza (oltre 100mila soldati, poliziotti,“volontari”armati e guardie civili), oltre a 400mila“volontari” che lavoreranno all’interno degli impianti sportivi, particolarmente addestrati dalla polizia. Non vi è quindi alcuna possibilità di contatti tra stranieri e cittadini cinesi. Anche perché questi ultimi rischiano anni di carcere se tentano“approcci”o, nel migliore dei casi, un internamento nei terribili “campi di lavoro”, i laogai. A proposito, lo ricordiamo a Del Boca, che i gulag cinesi esistono, come da anni vanno denunciando i dissidenti cinesi (Harry Wu è uno dei più noti ed ha pubblicato di recente un libro per ricordare all’Occidente di quali orrori continua a macchiarsi un regime che ha scoperto il libero mercato). In questi “lager” (sono oltre mille) vi sono rinchiusi circa dieci milioni di studenti, insegnanti e intellettuali, compresi numerosi giornalisti.
Il leader della nostra categoria descrive la Cina come un «Paese promettente» nel quale ci sono «voci libere in costante aumento». Evidentemente pensa che non esistano i laogai nei quali sono rinchiuse circa dieci milioni di persone
die. La mia non è una critica assoluta alla Cina: non si può non constatarne la staordinarietà e gli enormi progressi che hanno fatto. Ma proprio per queste ragioni vanno esortati a percorrere la strada di una maggiore apertura. è fondamentale, se ci si riesce, trovare un’intesa su quelli che sono gli standard minimi sui temi che riguardano le libertà fondamentali. Come giudica la mozione approvata dalla Commissione esteri della Camera? Personalmente non ho partecipato alla votazione, perché ero in missione. Ma se ci fossi stata di certo non avrei votato quel tipo di testo. Non serve a nulla mettere in atto azioni dimostrative. C’è bisogno invece di intensificare il lavoro diplomatico e arginare l’azione del governo di Pechino che fino ad oggi ha messo in at-
to una serie di azioni magistrali per far perdere ogni traccia dei fatti terribili che sono avvenuti in Tibet, di cui è stata eliminata ogni traccia, ogni memoria. Quel che va ribadito è che, fino ad oggi, la posizione del governo di Pechino su questa vicenda non è assolutamente cambiata: ha continuato a dire che è un affare interno e non ci si deve intromettere. A tal proposito è significativo ricordare come ha reagito l’ambasciatore cinese a Parigi appena ha saputo di un possibile incontro tra Sarkozy e il Dalai Lama. Insomma penso che Pechino possa agire come ritiene più opportuno, ma non penso sia giusto che noi continuiamo a guardare. Anche se alla fine le autorità italiane, e su questo non ho nulla in contrario, presenzieranno alla cerimonia d’apertura dei giochi olimpici.
ca?) o in esilio. Del Boca ci ha informato che l’industria delle produzioni taroccate è dominante in Cina, ma «i prodotti olimpici non sono taroccati». Ci mancava questa notizia per una valutazione più serena della complessa macchina organizzativa della grande Cina. Ed ha aggiunto, come consiglio ai giornalisti e agli atleti, di non portare bevande sull’aereo perché non riuscirebbero a passare i controlli di sicurezza negli aeroporti. Ma dove vive il nostro autorevole collega? Eppure ci risulta che come torinese abbia preso qualche aereo anche solo in Italia. E non sa che quel tipo di controlli sono rigidissimi anche da noi? Fossero tutti questi i problemi della Cina…
Piuttosto siamo rimasti profondamente turbati da una sua “riflessione” politica conclusiva. «Come facevamo - ha detto - a criticare le autorità cinesi sulle limitazioni alla libertà di stampa quando in Italia qualcuno pensa di portare i giornalisti in galera per tre anni solo perché pubblicano delle notizie?».Trovo scandaloso questo assurdo paragone ed è facile rispondere a Del Boca (che evidentemente non sa nulla della Cina e sarebbe ora che si documentasse) che se il Paese di cui sembra si sia innamorato, godesse di appena l’1 per cento delle libertà (a partire da quella di stampa) occidentali e italiane, in modo particolare, quella grande nazione non sarebbe più un regime comunista-maoista, che ha scoperto il capitalismo, bensì una nazione avviata verso la strada della libertà e della democrazia. Purtroppo una buona parte degli altri interventi, a cominciare da quello del presidente del Coni, Gianni Petrucci, erano tesi a giustificare, a edulcorare, a presentare la grande Cina come “un gigante buono”, che ha dato tutte le garanzie di libertà assoluta di movimento ai 30mila giornalisti stranieri (fra cui 500 italiani). Ma qualche giornalista sportivo, che ha già avuto esperienze di rapporti con le autorità
”
Ora però tutto questo sembra contare poco perché il boicottaggio, anche solo quello politico della cerimonia inaugurale dell’8 agosto, è fallito. Bush, Sarkozy, Berlusconi hanno deciso di partecipare. Il presidente francese, che era stato il primo a dichiarare perplessità e reticenze, si è lasciato convincere dopo qualche timida contestazione di giovani cinesi in qualche supermercato francese. Per gli altri è bastato molto meno: solo qualche minaccia economica. Del resto, nessuno può ignorare che l’economia Usa dipende anche dagli investimenti azionari cinesi. Prendiamo atto solo della coerenza della cancelliera tedesca Angela Merkel e del premier inglese Gordon Brown che non saranno presenti a Pechino. Ma ci amareggia di più che gli appelli a Berlusconi a non partecipare alla cerimonia inaugurale trasmessi da diverse associazioni umanitarie (Amnesty International, Reporter sans frontieres, Comittee to Protect Journalists, Human Rights Group, ecc.) siano rimasti lettera morta. Evidentemente, ancora una volta, le ragioni degli affari continuano ad avere la netta prevalenza sulle ragioni dei diritti umani.
l’emergenza
pagina 4 • 12 luglio 2008
Chiaiano è una condanna per Napoli. Una discarica nel cuore della megalopoli. I geologi avvertono il governo, che però tira dritto
Il grande buco nero di Errico Novi
ROMA. «È una punizione per i napoletani che si tengono questa classe politica. Dopo anni di disastri non ha pagato nessuno». La punizione è la discarica di Chiaiano. Messa lì a un chilometro dal più grande polo ospedaliero dell’Italia meridionale. La rabbia non è di un passante qualsiasi. A intravedere la fatale vendetta è Maurizio Montella, studioso di Epidemiologia oncologica dell’istituto di tumori di Napoli, il primo a mettere in relazione la presenza delle discariche con l’incidenza record di tumori in Campania. Beninteso: il professor Montella non pensa che il piano del governo sia di per sé cancerogeno. «Non lo è se vengono rispettate tutte le promesse. Vale a dire se lo sversatoio sarà messo in sicurezza, se sarà impermeabilizzato a dovere, ma soprattutto se sarà utilizzato per un periodo non superiore ai tre anni. Ed è questa la mia perplessità: per restare nei tempi previsti è necessario che non ci siano proteste o lungag-
gini burocratiche a bloccare i termovalorizzatori, che si avvii nel frattempo una vera raccolta differenziata. Cose che competono al Comune oltre che al governo. E questo mi preoccupa».
Così il buco nero resta lì. Una minaccia inquietante. Una specie di doloroso contrappasso. Napoli non ha saputo risolvere una questione che in qualsiasi altra parte del mondo civilizzato non può essere un’emergenza. E adesso deve trovare la via d’uscita attraverso un enorme incavo individuato dal decreto del governo nella periferia Nord, schiacciato tra il cuore del capoluogo e la fittissima costellazione dell’hinterland. Oltre 700mila tonnellate di spazzatura, da far viaggiare giorno per giorno su vie anguste, e in mezzo a una delle più grandi e densamente popolate urbanizzazioni d’Europa. Si deve per forza pagare, un simile prezzo? Vige un principio, nelle norme che regolano lo smaltimento dei rifiuti: ogni
«A ogni pioggia colerà fango sui rifiuti. È un disastro ambientale inevitabile», dice lo studioso De Medici
La cava di Chiaiano che ospiterà la discarica si trova nel cuore della megalopoli, tra il centro di Napoli e l’affollatissimo hinterland. A poco più di un chilometro sorge il più grande polo ospedaliero del Mezzogiorno, e per raggiungere il sito i compattatori dovranno utilizzare un sistema viario assolutamente inadeguato. Gli studiosi nominati dai comitati civici hanno avvertito il governo del rischio di disastro ambientale. Ma Bertolaso e Berlusconi vanno avanti
provincia deve aver i suoi impianti. E ogni grande città dev’essere capace di provvedere per se stessa. Accade a Milano, che ha una discarica nel proprio circondario, come a Vienna. Napoli per giunta, ricorda Mon-
tella, «non ha più diritto a invocare eccezioni: se ne sono già fatte negli anni scorsi, quando sono state utilizzate grandi discariche in comuni dell’hinterland come Giugliano e Villaricca. Se nel frattempo il Comune
avesse saputo imporre la raccolta differenziata, se chi ha governato non avesse fatto passare anni senza aprire un termovalorizzatore, oggi non ci si troverebbe costretti ad aprire Chiaiano. Gli altri comuni della pro-
DANNI COLLATERALI/1 NAPOLI. Lo scontro tra Nessuno vuole i prodotti “avvelenati” del Nolano, tranne le aziende settentrionali che fanno affari d’oro di finocchi per il produttore si aggira tra i 1200 e la Campania e il Nord i 1500 euro. L’offerta, inItalia si arricchisce di un vece, si ferma a 900 eualtro capitolo. È l’altra ro. Stesso discorso per faccia di un’emergenza, un fascio d’insalata: il coltivatore spende 10 centesimi quella legata ai rifiuti, che nessuno ha ancora raccondi Giovanni De Cicco di euro. Gli acquirenti si fermano a 4 centesimi. “Le tato. Acerra, comune della provincia di Napoli che segna il confine tra l’hinterland nolano e quello a nord bera indirizzata al premier Silvio Berlusconi per chie- aziende del nord, inclusi i grossi ipermercati, - continua Fatigati – sono i primi speculatori. Comprano sotdel capoluogo partenopeo, da anni è salita alla ribalta dere “lo stato di crisi”. della cronaca per la storia del termovalorizzatore, an- La questione è molto semplice e la spiega l’assessore to costo la merce ad Acerra e la rivendono a prezzi all’Agricoltura, Gennaro Fatigati.“Al mercato di Volla normali nei supermercati. In questo modo si prendocora in fase di ultimazione. Si tratta di un centro con un’estensione territoriale di e di Maddaloni – dice – nessuno acquista più i prodot- no in giro anche i consumatori. I quali al dettaglio non 54 chilometri quadrati, dei quali solo il sette per cento ti coltivati ad Acerra. La gente ha paura. Eppure, il ter- acquistano più i nostri prodotti.Vanno al supermercaedificato. Duemila le aziende agricole il cui fatturato si movalorizzatore non è ancora entrato in funzione. Le to, si affidano ai grandi marchi, acquistano ortaggi e regge principalmente sulla vendita al dettaglio e le grandi aziende del nord, che prima stipulavano con- verdura confenzionati, senza sapere che si tratta dei esportazioni in altre regioni di frutta e ortaggi. Il cuore tratti con le imprese locali per la fornitura di frutta e nostri alimenti. Spendendo pure di più. Bossi prima di pulsante della“Campania felix”. Un impero economico verdura, hanno deciso di mettere da parte i nostri ali- chiedere la secessione dovrebbe pagare il conto al ed occupazionale andato in frantumi a causa dell’e- menti. Poi, si sono affidate a dei mediatori per trattare Sud. Il Settentrione ha prima smaltito i rifiuti tossici in mergenza spazzatura, quella mediatica però. Infatti, il la merce a prezzi fuori mercato”.Tre esempi su tutti: le maniera illegale inquinando la Campania ed ora ci sta termovalorizzatore non è ancora entrato in funzione patate, i finocchi e l’insalata. Nel primo caso, le patate distruggendo l’economia. Ed alla fine hanno pure la ma i prodotti agricoli coltivati ad Acerra sono al centro al coltivatore costano circa 8 centesimi al chilo. Le faccia tosta di parlare di solidarietà”. Solidarietà, apdi una speculazione economica perché considerati “in- aziende del nord vogliono acquistarle spendendo al punto. Chi la spiega agli imprenditori e agli agricoltoquinati”. Tant’è che il Comune ha approvato una deli- massimo 5 centesimi al chilo. Il prezzo di un moggio ri di Acerra?
E ora il Nord compra la frutta sottocosto
l’emergenza più nulla in provincia di Napoli. Non ha senso appellarsi al principio dell’autonomia di ciascuna provincia. Semplicemente non ci sono le condizioni ambientali per aprire grandi siti di smaltimento. Si possono utilizzare solo piccoli spazi per limitatissime quantità di rifiuti. Località che il sottoscritto, insieme con altri geologi e urbanisti, ha già indicato da tempo al sottosegretario Bertolaso». De Medici è stato scelto dai comitati di cittadini come esperto di parte nella commissione che ha eseguito i rilievi su Chiaiano. Ha affiancato i tecnici nominati dal commissariato di governo. Il responso? «Inattendibile. Si è deciso di esaminare solo il fondo del bicchiere, cioè il pavimento della cava. Con gli altri tecnici di parte il 5 giugno abbiamo consegnato a Bertolaso un documento in cui chiediamo che sia effettivamente eseguito lo studio di caratterizzazione ambientale dei luoghi.Vuol dire non limitarsi ai carotaggi sul fondo della cava, ma valutare anche l’area circostante. E l’esito dell’esame non può che essere negativo: la zona della cava ha una forma a imbuto, quindi in caso di pioggia colerebbero sulle montagne di rifiuti enormi quantità di fango. Ci sarebbe un disastro ambientale certo». Dal punto di vista del governo la “caratterizzazione ambientale” obbligatoria per legge quando si aprono discariche è stata “assolta” con i carotaggi. De Medici è convinto che non basti. vincia non vogliono più farsi carico, giustamente, della nostra immondizia».
Punizione meritata, dunque. Ma non è in fondo un atto paradossale? Non c’è qualcosa di as-
surdo, dietro la determinazione con cui Berlusconi e Bertolaso vogliono portare l’immondizia nella cava di Chiaiano? Il geologo Gianbattista De Medici ne è convinto. «Da anni sostengo che non deve essere smaltito
12 luglio 2008 • pagina 5
creerebbe un impatto ambientale pazzesco. «Le strade attraverso cui i compattatori dovrebbero raggiungere la discarica sono già insufficienti a far defluire il traffico ordinario. Figuriamoci cosa accadrebbe. È un problema che il governo si è posto, chiedendo a una com-
«Se gli altri ingranaggi del piano non funzioneranno l’allarme sanitario sarà gravissimo», secondo l’oncologo Montella missione di esperti dell’università di Tor Vergata se la circolazione sarebbe compatibile con le strade. È evidente che l’ostacolo è insormontabile. Le strade che portano a Chiaiano sarebbero invase dal percolato degli automezzi. E la struttura viaria così difficoltosa farebbe lievitare enormemente i costi di trasporto: 450 euro a tonnellata. A cifre del genere è più conveniente, per assurdo, continuare con i treni per la Germania… in ogni
Non solo. Perché lo studioso dell’università di Napoli nota che anche il trasporto dei rifiuti
caso non capisco perché già si procede sul piano politico, già si è presa la decisione, se lo stesso governo poi riconosce che l’aspetto logistico è quanto meno da verificare».
Su questo aspetto Montella concorda in pieno: «Il traffico e il conseguente inquinamento che si verrebbe a creare mi spaventa persino più della discarica in sé. Ci troviamo in un’area ad altissima concentrazione di abitanti. Con il rispetto di tutte le previsioni fatte dal governo non ci sarebbero necessariamente rischi per la salute. Anche se sarà assai sgradevole abitare qui: per il cattivo odore, per gli uccelli che sarebbero attirati dai rifiuti, per il traffico. Dopodiché resta l’incognita sul resto del piano: la sua attuazione dipende anche dalla serietà con cui il Comune gestirà la raccolta differenziata. Buona parte dei napoletani è talmente sconcertata che ha già cominciato a farla a prescindere dalla efficienza degli amministratori. Ma si tratta degli stessi consiglieri e dello stesso sindaco che ha indicato la zona di Agnano per la realizzazione del termovalorizzatore. Tutti sanno che si tratta di una zona bradisismica, si trova a un passo dalla solfatara. E che c’è un incavo di 200 metri, in quel punto, per cui bisognerebbe realizzare una ciminiera altrettanto alta. Una follia. È evidente: chi ha creato il disastro non può porvi rimedio». E si va avanti così. Con un interlocutore, il Comune di Napoli, spogliato di ogni credibilità e autorevolezza nella trattativa con il governo. E una città che si sbriciola come se fosse predestinata, come se anche il crollo senza feriti di ieri nei Quartieri spagnoli dovesse rappresentare un destino di punizione, disperato e ineluttabile.
DANNI COLLATERALI/2 NAPOLI. L’idea di inviare
«Il presidio del territorio negato per anni, ci pensano solo ora per le discariche», protestano i cittadini
l’esercito a Napoli non è una novità. Da anni ormai appena scoppia una guerra di camorra arriva il parlamentare di turno che rilascia dichiarazioni per chiedere l’impiego dei militari contro la criminalità organizzata. La solita messa in scena che non riusciva nemmeno più a smuovere le coscienze dell’opinione pubblica. Nelle ultime settimane, invece, si è deciso di fare sul serio. Non per contrastare la delinquenza. Per carità. L’emergenza prioritaria resta quella dei rifiuti. A Chiaiano, dove bisogna trasformare un cava in discarica, e Acerra, meglio conosciuta come il paese dell’inceneritore, la gente in strada non credeva ai proprio occhi. Il territorio invaso da colonne di mezzi militari con a bordo soldati in mimetica, giubbotti, e tutto l’occorrente per blindare una zona di guerra. I confini della futura discarica e del termovalorizzatore delimitati con filo spinato e sorvegliati 24 ore al giorno da soldati armati in modo da scoraggiare qualsiasi iniziativa dei movimenti che si oppongono al nuovo piano dei rifiuti.
organizzarsi in proprio. L’amministrazione locale, guidata dal sindaco Espedito Marletta, ha approvato una delibera con un impegno spesa di 100mila euro al fine di impiegare i 30 vigili urbani anche di notte. Il risultato? Il fenomeno degli scarichi abusivi si era ridotto all’osso. Dopo 12 mesi i soldi sono finiti ed il primo cittadino ha chiesto aiuto alla Prefettura. Non soldi. Si badi bene. Ma poliziotti e carabinieri. Nessuno ha risposto all’appello e gli scarichi illegali sono ripresi. Con una differenza. In città sono arrivati 60 militari. Con l’esclusivo compito di sorvegliare il cantiere dell’inceneritore. A nessuno importa che a pochi metri dall’impianto, ogni sera, nasce una discarica abusiva. E se aumentano i rifiuti, aumenta anche il numero dei termovalorizzatori. E lo Stato ha pensato bene di garantire la realizzazione degli inceneritori, ora passati a 4, con l’uso della forza. Quella forza che è mancata quando si trattava di fermare l’arrivo in Campania di rifiuti tossici. Chi ci capisce qualcosa, è un genio. (g.d.c.)
L’esercito ci voleva,ma per bloccare i rifiuti tossici Ronde di militari, inoltre, pattugliano la zona in lungo e in largo, con l’ausilio di polizia e carabinieri. Una enclave che lo Stato si è ritagliato nel regno dell’illegalità. Da anni, i residenti delle periferie, le istituzioni locali, i sindaci hanno chiesto al governo e alla Prefettura l’invio sul territorio di forze dell’ordine per frenare la microdelinquenza e soprattutto per combattere i clan della camorra. Nessuno ha mai visto in strada una divisa. Uno Stato assente. I centri residenziali e le periferie trasformate in “piazze” per lo spaccio di droga. Di giorno e di notte. Anche davanti alle scuole. Sul versante dei rifiuti, invece, la criminalità ha trovato conveniente lucrare sullo smaltimento dei rifiuti tossici che arrivavano dal nord in discariche della Campania. Acerra e Chiaiano ne sanno qualcosa. Ma di forze dell’ordine nemmeno l’ombra. E proprio il comune dove sta sorgendo il primo inceneritore della Campania, ha deciso di
pagina 6 • 12 luglio 2008
pensieri & parole
Sono circa 30mila i ragazzi stranieri sfruttati dalla malavita
Non solo i Rom di Ahmad Vincenzo ischieranno di passare inosservati anche questa volta. Nonostante le iniziative del governo per l’identificazione dei rom, il diverso parere dell’opposizione e le risoluzioni Ue. Sono i minori stranieri “non accompagnati”, un vasto universo di ragazzini che arrivano da soli in Italia, clandestinamente.
R
Dimenticati dalle famiglie e attirati dal miraggio di un Paese cuccagna, in buona parte finiscono per alimentare l’industria nostrana del crimine e dello sfruttamento sessuale. Molti reati di cui vengono accusati i rom, coinvolgono anche questi bambini dimenticati. Con una tristemente efficace specializzazione territoriale. A Torino, l’hashish che si spaccia a Porta Palazzo e in Corso Giulio Cesare, oppure le bustine di eroina e cocaina distribuite lungo le sponde del Po, passano per le loro mani. In Lombardia,
nelle stazioni di Milano e Brescia e nelle case della grande periferia meneghina, la loro specialità è il borseggio. La camorra, invece, ha trovato un modo più cinico di servirsi di questa nuova merce umana, mettendo in piedi una piccola pedofilandia, con tanto di prestazioni differenziate a seconda delle diverse zone dell’hinterland napoletano. In Calabria, infine, c’era un vero e pro-
ai municipi 6.629 minori. L’anno scorso il loro numero era salito a 7.870, con un aumento di quasi il 20%, come risulta dai dati Anci. Si può supporre che ci siano in Italia tra i 20 e i 30mila minori stranieri non accompagnati. Da dove vengono? Dal 2000 ad oggi, si sono alternate migrazioni dall’Africa e dai Balcani, dall’Europa dell’Est e persino dall’Afghanistan. Negli ultimi anni, però, i Paesi di maggiore provenienza sono stati tre: Romania, Albania e Marocco. Nel primo caso, grazie ad accordi internazionali, gli ingressi sono scomparsi quasi del tutto. Si sono intensificati, invece, quelli dal Nord Africa. In base all’attuale legge, infatti, i minori non possono essere espulsi e le organizzazioni criminali hanno aumentato esponenzialmente i loro profitti. Il numero dei clandestini sbarca-
Per aiutarli l’Italia dovrebbe stringere accordi di collaborazione con la Libia, l’Algeria e il Marocco prio servizio di consegna a domicilio di pistole, kalashnikov e altri “giocattoli” mortali. I corrieri erano minori stranieri. Fare una stima di quanti siano non è facile. Quando vengono fermati dalle forze dell’ordine sono portati dai giudici minorili, i quali li assegnano ai Comuni. Nel 2006 sono stati affidati
ti a Lampedusa è quadruplicato. Nei primi sei mesi del 2008 sono stati registrati 8.500 migranti rispetto ai 1.960 arrivati nello stesso periodo dell’anno scorso. Più della metà degli sbarchi riguardano ragazzi tra i 14 e i 16 anni. Le forze dell’ordine poco possono nei loro confronti. Affidati ai Comuni, la maggior parte di loro non resta più di un mese nella case famiglia. Poi scappa. Anche quando si riesce a convincerli che possono fidarsi della pubblica amministrazione, i risultati non sono incoraggianti.
Ogni anno i Comuni italiani spendono per assisterli oltre 200 milioni di euro, inutilmente. Quando si riesce a porre in essere un percorso di recupero per queste vittime della cupidigia degli adulti, tutto si interrompe al compimento del 18esimo an-
no d’età. A partire da questo momento, di questi ragazzi ci si ricorda improvvisamente. Sono adulti e, soprattutto, espellibili dal nostro territorio.
Eppure non ci vorrebbe molto per tentare di risolvere un problema gravissimo tanto sul piano dei diritti che su quello della sicurezza.Venendo incontro ai desideri dei conservatori, come a quelli dei progressisti. Piuttosto che spendere ogni anno centinaia di milioni di euro, il nostro Paese potrebbe investire in accordi di collaborazione con i Paesi del Mediterraneo. Potremmo farlo con la Libia, l’Algeria e il Marocco, garantendo a quei ragazzi un’istruzione e un futuro nei loro Paesi d’origine. Esattamente come ha fatto pochi mesi fa la Spagna stringendo un accordo in tal senso con il Marocco.
Dopo la rottura con Di Pietro e il giustizialismo forse cambia la storia d’Italia
Se il Pd non è più lo stesso di Francesco D’Onofrio segue dalla prima Si tratta in sostanza di capire se quel che questa vicenda significa per il Partito democratico sarà o no simile a quel che nella Germania federale del secondo dopo guerra rappresentò Bad Godesberg per il socialismo tedesco, che aveva fino ad allora oscillato tra ispirazione marxista ed approdo alla esperienza della democrazia occidentale, perché questa può certamente essere socialista ma mai perdere l’ancoraggio e l’equilibrio tra legittimità popolare e legalità istituzionale.
In fondo di questo si tratta oggi per il partito democratico: se la legittimità democratica ha condotto la parte preva-
lente degli elettori italiani a dare il proprio consenso alla coalizione elettorale guidata da Silvio Berlusconi, l’opposizione a questa maggioranza non può in alcun modo contestare la legittimità democratica della maggioranza medesima e del governo che ne è scaturito, come per troppi anni si è fatto nei confronti dei vari socialismi italiani che insieme alla Democrazia Cristiana hanno guidato il governo del Paese in un contesto di equilibrio – certamente non sempre accettabile – tra legittimazione democratica e legalità costituzionale. Ma la legalità costituzionale non è né può essere un bene rimesso esclusivamente o anche solo prevalentemente alla magistratura inquirente o a quella giudicante: la cultura dello Stato che la nostra costituzione esprime è infatti una cultura che garantisce certamente l’autonomia della magistratura, ma anche quella delle autonomie locali, quella della cultura so-
prattutto universitaria, quella sociale rappresentata prevalentemente dai sindacati, quella religiosa con particolare riferimento alla componente cattolica del cristianesimo. Una cosa appare comunque certa: il partito democratico non è più lo stesso dopo quel che è accaduto in Piazza Navona l’8 luglio scorso, anche se ancora non conosciamo l’approdo ragionevolmente conclusivo di questo cammino così accidentato. Ed è di tutta evidenza che le decisioni che il partito democratico assumerà in riferimento all’equilibrio tra legittimità e legalità finiranno con l’influire in modo decisivo sull’intero contesto politico italiano. In qualche misura, infatti, la lunga stagione che è stata definita dell’anti berlusconismo aveva molto in comune con la stagione anti democristiana e soprattutto anti socialismo-democratico ed anti socialismo-autonomista, sì che la negazione della legittimità democratica delle maggioranze
popolari promosse da Berlusconi dal 1994 ad oggi, aveva finito con il rappresentare una sorta di pigra continuazione dell’anti craxismo della parte terminale della cosiddetta Prima Repubblica. Allearsi con Di Pietro e non con i socialisti aveva infatti rappresentato per il Partito democratico di Veltroni una sorta di continuazione “pavloviana” dell’anti-democristianesimo e dell’anti-socialismo del vecchio partito comunista italiano.
La rottura con l’esito “grillista” non è dunque un fatto di prevalente linguistico, ma un fatto che può rappresentare finalmente l’inizio dello scongelamento dei rapporti politici italiani che hanno a lungo convissuto con la teoria e la prassi dell’arco costituzionale e che, una volta conclusosi questo, non hanno più saputo trovare un equilibrio accettabile tra legittimità democratica popolare e legalità pluralistica istituzionale.
politica
12 luglio 2008 • pagina 7
Di fronte alla stagnazione ci vuole il coraggio di creare una compagnia pubblica di investimenti
Soluzione: torniamo a Keynes! d i a r i o
di Enrico Cisnetto
A
Ugualmente, una possibilità ci
Al’indomani del via libera della Camera al lodo Alfano sull’immunità per le alte cariche dello Stato, il governo ieri ha presenta alcuni emendamenti al decreto sicurezza che modificano sostanzialmente la cosiddetta norma ”blocca processi”. In pratica, al posto della sospensione è prevista la semplice facoltà affidata ai magistrati di fissare criteri di rinvio dei processi per reati indultati o che comunque rientrano nell’indulto previsto dalla legge del 31 luglio 2006. «Abbiamo recepito le critiche dell’opposizione - ha spiegato Giulia Bongiorno, presidente della prima commissione di Montecitorio - e per questo auspico che già nel comitato dei nove della commissione Giustizia, che si riunirà lunedì, ci possa essere un parere favorevole unanime».
Napoli: crolla palazzo disabitato
mente il pieno controllo, per poi cominciare a diluire gradualmente la sua partecipazione cedendo asset sul mercato, e nel frattempo emettendo obbligazioni ad alto reddito. Una newco con una missione precisa, insomma: quella di rilanciare l’economia. Da una parte valorizzando gli asset pubblici; dall’altra, rilanciando il settore privato dandogli nuova linfa.
Naturalmente, di fronte a una simile proposta, prevedo già l’obiezione: ma come, qui si vuole rifare l’Iri! D’accordo, se è questione di nomi, chiamiamola “Italian Investment Company”, che suona meglio, più internazionale. Se invece la critica è di metodo (lo Stato non deve intervenire in economia) vorrei ricordare casi illustri di paesi non proprio stalinisti come la Gran Bretagna (salvataggio pubblico della Northern Rock) o gli stessi Stati Uniti (col Tesoro intervenuto a salvare Merrill Lynch e ora prossimo a intervenire sui colossi dei mutui semi-privati Freddie Mac e Fannie Mae) che non hanno esitato ad utilizzare la leva pubblica per salvare il loro capitalismo. Anche a livello teorico, del resto, il fronte del pensiero unico mercatista finalmente si è sbrecciato, con il contributo decisivo dato dallo stesso ministro Tremonti. Ma se invece si continuasse a sostenere inopinatamente che bisogna lasciar fare alla “mano invisibile” del capitalismo italico, affetto sempre più da nanismo patologico, allora voglio ricordare solo la più recente delle statistiche: la classifica di Fortune, secondo cui solo 10 aziende italiane sono comprese tra le 500 più grandi del mondo (contro le 29 della Cina, che ne ha aggiunte 5 solo quest’anno). Insomma, inutile attendere lo sbarco degli arabi o dei cinesi, che non arriveranno salvo attendere il nostro fallimento. Né ci salveranno i “nuovi”salotti o salottini buoni del capitalismo italiano (che infatti non esistono). A salvare la decotta economia italiana può essere soltanto un nuovo piano Marshall. Ma questa volta non ci saranno neanche gli americani ad aiutarci: dobbiamo pensarci noi. (www.enricocisnetto.it)
Per i grandi investitori esteri non siamo strategici, ora dobbiamo fare da soli. Occorrerebbe una nuova Iri che potrebbe chiamarsi ”Italian Investment Company” per renderla più internazionale
sarebbe. Lo Stato italiano, infatti, possiede un ingente patrimonio, costituito da partecipazioni (Enel, Eni, eccetera) e asset immobiliari. Patrimonio che potrebbe essere utilizzato, invece che come semplice rendita, per lanciare invece un’importante operazione di stimolo all’economia. Una massiccia campagna di investimenti di stampo keynesiano, in grado di indurre l’economia reale a girare ad un livello superiore a quello asfittico attuale. Come? Per esempio, seguendo le indicazioni della vecchia “bozza Guarino”, un’interessante proposta che non ha mai avuto seguito ed è stata chiusa in un cassetto per anni. Il progetto in questione calcolava in circa 400 miliardi di euro il patrimonio dello Stato. L’idea, allora, era di conferire tutte queste partecipazioni in una Spa, una public company di cui il Tesoro potrebbe avere inizial-
g i o r n o
Sicurezza: modificata la blocca-processi
AA, fondo sovrano cercasi. Mentre gli Stati Uniti, la Svizzera ed altri Paesi europei cercano di arginare le mire espansionistiche dei “quattro cavalieri dell’apocalisse” oltre ai fondi sovrani stessi, gli hedge funds, i private equity e le banche di stato asiatiche – che di volta in volta realizzano maxi acquisizioni, salvano banche altrimenti destinate al tracollo (vedi alla voce subprime), tentano di entrare in settori industriali strategici, nel Belpaese possiamo stare tranquilli: non c’è pericolo che accada nulla di simile. Al momento, infatti, non c’è alcun maxicapitalista estero che intenda sfidare la sorte per impossessarsi di qualche asset italico. Non dovremo dunque fare levate di scudi come in America, dove per esempio i cinesi della Cnooc hanno dato – inutilmente – l’assalto alla californiana Unocal. E dove gli arabi di Dubai Investment Corp. hanno tentato di accaparrarsi, senza successo, i porti commerciali di New York e Boston, anche qui bloccati per motivi “di sicurezza nazionale”. I nuovi “super powers” dell’economia globalizzata del terzo millennio fanno benissimo a meno di noi.
Peccato, perché la situazione disastrosa in cui versa l’economia italiana avrebbe un disperato bisogno di grandi capitali, per ridare fiato agli investimenti, indispensabili per uscire dalla “crescita zero”(gli ultimi dati sulla produzione industriale sono terrificanti). Ma non c’è niente da fare: per questi signori non siamo strategici: non interessiamo al China Investment Corp. – il “braccio” finanziario della Banca centrale cinese che con 200 miliardi di dollari fa shopping pesante a livello internazionale (ha comprato il 10% della Citigroup) – o al Dubai Investment, che si è comprato il 6% di Hsbc, o al Temasek di Singapore, che ha investito 5 miliardi di dollari in Merrill Lynch e 2 miliardi in Barclays. Come mai? Forse perché i fondi sovrani, in primo luogo, cercano la sovranità. Al di là dei giochi di parole, è chiaro infatti che un Paese in cui non vi è certezza del diritto (con il default della giustizia civile e penale), in cui vaste aree sono fuori del controllo statale, non è attrattivo per gli investitori esteri. Che fare, dunque, per mettere a segno quella formidabile cura ricostituente di cui il Paese ha bisogno? Si potrebbe dire: inventiamocelo noi, un fondo sovrano. Certo, l’Italia non ha le caratteristiche tipiche dei Paesi che oggi generano queste “corazzate” finanziarie: non abbiamo né la crescita accelerata (come la Cina), né le materie prime (come il petrolio di Dubai o il gas della Gazprom), né abbiamo (per ora) un sistema decisionale non propriamente democratico come quello russo.
d e l
Un palazzo alto 5 piani è crollato a Napoli nei Quartieri Spagnoli, in via Portacarrese a Montecalvario. Secondo le prime informazioni raccolte sul posto dai pompieri, l’edificio era disabitato ma oggetto di lavori di ristrutturazione. Secondo altre fonti, la palazzina al momento del crollo sarebbe stata occupata da alcuni operai al lavoro o da extracomunitari. I pompieri, una ventina, sono arrivati sul posto con 5 mezzi, piccole escavatrici con le quali hanno iniziato a movimentare le macerie. Mentre i vigili del fuoco stavano evacuando le persone che si trovavano negli edifici adiacenti, tra cui anziani e disabili, un’altra sezione della palazzina ha avuto un cedimento. Una famiglia di filippini residente nell’edificio di fronte a quello crollato, è rimasta bloccata nella propria abitazione al piano terreno, a causa delle macerie all’ingresso della casa.
Touadi lascia Idv e aderisce al Pd Jean-Leonard Touadi, deputato eletto come indipendente nella fila dell’Idv, ha lasciato il partito di Di Pietro e aderito al Pd di Veltroni. A determinare la scelta, quanto successo a piazza Navona e il pericolo di una frattura irreparabile tra Idv e Pd. Touadi, ex assessore della giunta Veltroni in Campidoglio, ha inviato una lettera all’ex pm, «nella quale ho cercato di spiegare le ragioni». «In questi giorni ho vissuto una profonda contraddizione tra alcune mie convinzioni e le posizioni che sta assumendo il partito. Avrei voluto una più netta presa di distanze dalle parole pronunciate contro il Presidente della Repubblica, contro il Pd e contro il Papa. Per me, una rottura totale con Veltroni non è sostenibile. Politicamente esisto perché lui mi ha voluto al Comune di Roma. Lo stimo, gli voglio bene e, pur non risparmiandogli alcune critiche, considererei per la mia coerenza sleale, oltre che sbagliato politicamente, fare nei prossimi mesi campagna contro di lui e il Pd».
Federica: per Victor omicidio volontario Omicidio volontario a sfondo sessuale: è il capo di imputazione per Victor Diaz Silva, l’uruguayano 28enne che ha ucciso Federica Squarise. Lo ha reso noto l’avvocato della 23enne padovana, Aldo Pardo. Il legale ha aggiunto che gli interrogatori dell’inchiesta sono stati quasi tutti desecretati, ma che c’è un testimone la cui identità rimane riservata. «Il che fa prevedere ulteriori sviluppi».
Nomadi: Ue aspetta il rapporto di Maroni La Commissione europea è in attesa del rapporto annunciato dal ministro degli Interni Maroni sulle misure verso i nomadi. «Esamineremo le misure sulla base di questo rapporto», ha detto il portavoce del commissario Ue alla Giustizia, Jacques Barrot. Il commissario non ha chiesto al Parlamento europeo di rinviare il voto di ieri a Strasburgo sulla risoluzione che chiede al governo italiano di fermare la raccolta di impronte digitali di rom.
pagina 8 • 12 luglio 2008
Usa 2008 Da Lindon Johnson a Richard Nixon: la lenta ascesa di un “secondo” scomodo
Washington Vice di Michael Barone e scommesse sui candidati alla vicepresidenza di John McCain e Barack Obama sono partite. E tutti cercano di scoprire chi sarà il fortunato prescelto. I vicepresidenti delle ultime cinque amministrazioni avevano un notevole bagaglio culturale e hanno giocato un ruolo importante, a differenza dei tempi passati in cui la funzione di molti vicepresidenti mediocri era stata semplicemente quella di garantire un equilibrio geografico o ideologico. Not exactly a Crime è il titolo di un libro sui vicepresidenti americani pubblicato nel 1972, un anno prima che il vicepresidente Spiro Agnew fosse costretto a dimettersi per aver effettivamente commesso un reato. La figura del vicepresidente è stata a lungo oggetto di battute e barzellette, ma nell’attesa che i due candidati presidenziali facciano la loro scelta non possiamo che confidare nel fatto che i vicepresidenti delle ultime cinque amministrazioni hanno svolto importanti incarichi di governo. Quella dell’evoluzione della vicepresidenza è una storia interessante che ci accompagna dai Padri fondatori ai tempi recenti.
L
Sopra due candidati alla vicepresidenza al fianco di Obama: Kathleen Sebelius ed Evan Bayh. Sotto, gli illustri “vice” democratici del passato: Nelson Rockfeller e Walter Mondale
I Padri fondatori crearono la figura del vicepresidente per risolvere il problema della successione. Si aspettavano che gli elettori riuniti nelle capitali votassero per due candidati provenienti da Stati differenti, e che il secondo per numero di consensi diventasse vicepresidente. Questo sistema ha funzionato bene due volte, poi l’imprevisto emergere dei partiti politici ha prodotto risultati bizzarri. Nel 1796 John Adams fu eletto presidente e il suo avversario, Thomas Jefferson, vicepresidente, e nel 1800 i risultati elettorali determinarono un legame tra Jefferson e il suo candidato vice, Aaron Burr, rotto solo dall’opposizione dei Federalisti alla Camera dei Rappresentanti. Il ventesimo emendamento, che stabiliva che gli elettori votassero separatamente per il presidente e il vicepresidente, e che i partiti nominassero un candidato per ogni incarico, fu approvato prontamente, ma il risultato, a parte rare eccezioni, fu la designazione di personaggi mediocri. Nel 1824 e nel 1828 la preminenza del partito di Jefferson fu garantita da John C.
Da Jindall a Bayh: chi è davvero in corsa come numero 2
I dieci piccoli indiani di Obama e McCain di Andrea Mancia
nell’ordine naturale delle cose, spiegano gli esperti di politica americana, che i candidati alla Casa Bianca - una volta concluso il massacrante tour de force delle primarie - siano costretti ad elaborare una strategia di “riposizionamento” in vista delle elezioni di novembre. Dopo aver trascorso mesi ad inseguire i voti delle ali più estreme del proprio partito (che costituiscono spesso la maggior parte dell’elettorato che partecipa alle primarie), i candidati devono infatti concentrarsi su quella fascia “centrale” di elettori - indecisi o indipendenti - che spesso rappresentano la chiave di volta per trasformare in realtà una possibilità di vittoria. Meno noto, invece, ma ugualmente
È
molto diffuso, è il “riposizionamento” dei pretendenti alla vicepresidenza.
Candidati sconfitti alle primarie, governatori di successo e outsider si contendono, proprio in questi giorni, i due slot disponibili per puntare alla seconda carica del Paese. E spesso, per raggiungere il loro obiettivo, cambiano improvvisamente posizione su temi scottanti. O modificano perfino la loro acconciatura, come è accaduto al governatore del Minnesota, Tim Pawlenty, passato da inguardabili “hockey hair” a un più presentabile taglio tradizionale. Pawlenty, che è uno dei “papabili” veepee repubblicani deve vedersela con una concorrenza agguerritissima. L’ex governatore
del Massachusetts, Mitt Romney, prima di tutti, anche lui impegnato a riciclare il rigetto verso la McCainomics espresso durante la campagna elettorale per le primarie in un più potabile sostegno al programma economico di Old Mac.
Romney ha molte frecce al suo arco per puntare alla vicepresidenza: è molto forte in Michigan e Nevada (due swing-states che potrebbero essere decisivi a novembre); ha molta credibilità in campo economico, a differenza di McCain; è l’uomo preferito dall’establishment del partito repubblicano, che continua a vedere nel senatore dell’Arizona un maverick poco affidabile. A frenarlo, invece, sono la
Usa 2008 Calhoun, che entrò fortemente in contrasto con i suoi due presidenti, John Quincy Adams e Andrew Jackson. Dopo la prima Convention Nazionale Democratica, che nel 1832 si assunse il compito di scegliere i candidati vicepresidenti, Calhoun rassegnò le dimissioni e tornò al Senato.
Dopo che il vicepresidente Martin Van Buren fu eletto presidente tramite elezioni, per 130 anni
12 luglio 2008 • pagina 9
Quando Truman fu convocato il 12 Aprile 1945 e apprese che Roosvelt era morto, non sapeva che il presidente fosse fuori città, l’aveva incontrato solo due volte durante i suoi 82 giorni da vicepresidente
Sopra i candidati ”numeri 2” al fianco di McCain: Mitt Romney e Bobby Jindall. Sotto, Richard Nixon e Harry Truman, due famosi repubblicani
nessun altro vicepresidente fu scelto come presidente tramite voto. I Repubblicani hanno rinominato il vice presidente in carica solo due volte nei loro primi cento anni, finchè Richard Nixon fu rinominato e rieletto nel 1956. Un vicepresidente eletto senza il reale appoggio del partito, Andrew Johnson, fu così impopolare come presidente che la Camera aprì un processo per impeachment contro di lui, ma ne uscì assolto, mancando la condanna per un solo voto, al Senato. Il problema è che tutti sapevano che il vice presidente aveva poco lavoro da fare. Presiedere il Senato è un lavoro da impiegati, e difficilmente si ha l’opportunità di distinguersi. Ancora negli anni Cinquanta del Novecento, i vicepresidenti svolgevano il loro lavoro da un ufficio nella Campidoglio e avevano poche occoasioni di visitare la Casa Bianca. Quando Harry Truman fu chiamato a presentarsi lì il 12 Aprile 1945 e gli fu comunicato che Franklin Delano Roosvelt era morto, non sapeva che il presidente fosse fuori città, l’aveva incontrato solo due volte durante i suoi 82 giorni da vicepresidente. Dopo la sua prima riunione di gabinetto, il Segretario di guerra Henry Stimson lo prese da parte e gli comunicò che il governo stava progettando un’arma di eccezionale potenza. Quella fu la prima volta che Truman sentì parlare della bomba atomica. La sua impreparazione ha convinto alcuni dei successivi presidenti a dare ai propri vicari qualche compito da svolgere. Dwight Eisenhower mandò Richard Nixon in importanti viaggi all’estero. John Kennedy diede a Lyndon Johnson responsabilità sul programma spaziale. Gerald Ford assegnò all’energico Nelson Rockfeller alcuni compiti, e poi lo tolse dalle liste elettorali.
Jimmy Carter e Walter Mondale cambiarono la vice presidenza. Mondale aveva uffici e personale nella West Wing, regolari incontri faccia a faccia con il presidente e possibilità di vedere le massime cariche dello Stato. Da allora il loro esempio è stato seguito. E gli aspiranti presidenti non hanno aspettato l’ultimo secondo del convegno per scegliere i propri candidati da quando lo fece Ronald Regan nel 1980. I potenziali vicepresidenti sono tenuti sotto stretto controllo e con lo scopo di valutare quanto bene possano lavorare con li presidente. Una carica che è stata a lungo solo un appendice del governo Americano è che oggi è diventata di fondamentale importanza.
sua fede mormona (invisa a gran parte della Christian Right) e i suoi flipflop su aborto e matrimonio gay. Altri due pretendenti seri nel Gop sono il governatore della Florida, Charlie Christ (anche la sua inversione di rotta sull’offshore drilling può essere interpretata come un tentativo di avvicinarsi alle posizioni di McCain), e il governatore della Louisiana, Bobby Jindall, 37 anni, di origine indiana, considerato come il più promettente tra i politici repubblicani della nuova generazione. Si parla molto anche del governatore della South Carolina, Mark Sanford, che non a caso - da campione dell’ala liberista del partito - sta lentamente avvicinandosi alla destra religiosa.
Ci sono poi le candidature molto improbabili, ma spesso intriganti, come quelle di Condoleezza Rice, Rudy Giuliani, Colin Powell o Joe Lieberman (indipendente ex democratico). Ma qui ci avventuriamo nel campo della fantapolitica.
Anche tra i democratici la lotta verso la candidatura alla vicepresidenza è serratissima. E non mancano i tentativi di riposizionamento. L’ex senatore della Georgia, Sam Nunn, sarebbe funzionale alla presunta southern strategy di Barack Obama. E nelle ultime settimana ha clamorosamente abbandonato la sua politica del “don’t ask, don’t tell” sui gay nell’esercito, che negli anni Novanta lo
aveva visto contrapporsi con forza all’ex presidente Bill Clinton. E la governatrice del Kansas, Kathleen Sebelius, da moderata “quasi-repubblicana” si è trasformata in una dei surrogati più tenaci (ed efficaci) di Obama. Cosa dire, poi, di Hillary Rodham Clinton, che in poche settimane è riuscita a dimenticarsi lo scontro - feroce e lunghissimo - che l’ha vista protagonista contro Obama per comparire, al suo fianco, giurando fedeltà eterna al senatore dell’Illinois?
Qualche volta, per la verità, il riposizionamento produce anche danni. L’esempio più eclatante degli ultimi giorni è quello dell’ex generale Wesley
Clark, che - nell’ansia di attaccare McCain per farsi bello agli occhi di Obama - ha esagerato, mettendo in dubbio le credenziali militari del candidato repubblicano. E questo, probabilmente, gli costerà le sue ultime chance di puntare alla vicepresidenza. In campo democratico, comunque, le scelte non mancano. Oltre a Nunn, Sebelius e Clinton, sono ancora in corsa John Edwards, Joe Biden, l’ex senatore dell’Indiana, Evan Bayh, e molti parlano con insistenza anche dell’attuale sindaco di New York, Mike Bloomberg, ex repubblicano (si fa per dire) che fino a qualche settimana fa era considerato vicino a McCain. Il suo, più che un riposizionamento, è un triplo salto mortale.
pagina 10 • 12 luglio 2008
mondo
L’Europa sottovaluta Ahmadinejad i cui missili possono arrivare non solo su Israele
La minaccia dello Shihab-3 Ecco dove può colpire l’Iran C
he risposta dovrebbe dare l’Occidente al lancio di missili balistici che l’Iran ha condotto questa settimana nel quadro di un’esercitazione militare? La maggior parte dei commenti e delle analisi – per non parlare delle reazioni politiche – ha sottolineato come questi missili potrebbero raggiungere e colpire Israele. Vale a dire che il problema è prima di tutto israeliano e solo secondariamente nostro europeo (e americano), visto che noi soffriremmo solo degli effetti collaterali di un possibile scontro tra i due Paesi. Si tratta di un errore – intanto perchè se i dati dei test sono confermati, gli iraniani hanno ora in dotazione un missile – lo Shihab-3 – che ha una gittata di 2mila chilometri con una testata convenzionale, che si può notevolmente estendere se la si sostituisce con una testata più leggera – una bomba atomica, per esempio. Lo Shihab-3 modificato potrebbe avere una gittata di 3mila chilometri quindi e non c’é ragione di dubitare che come lo Shihab-3 anche gli altri progetti missilistici iraniani traggano vantaggi dall’esperienza nord-coreana, alla cui tecnologia l’Iran ha avuto e continua ad avere accesso. L’Iran ha acquisito dei missili BM25 dalla Corea del Nord due anni fa, la cui gittata sarebbe tra i 2.500 e 3.500 chilometri.
In parole povere, non si tratta solo di Israele, ma anche dell’Europa – lo Shihab-3 puó colpire Ankara, Tel Aviv, Alessandria e il Cairo e Sana, la capitale dello Yemen. A 2.500 chilometri, il missile raggiunge la Grecia, i Balcani, la Puglia e parte dell’Europa centrale e orientale. A 3.500 chilometri, i missili raggiungono Parigi, Bruxelles, Berlino, Copenhagen, Stoccolma, Helsinki, oltre che l’India, gran parte della Russia, e giù giù fino alla Libia. Il nostro ministro degli esteri Franco Frattini, in visita a Gerusalemme, ha espresso sostanzialmente il pensiero europeo sul tema: un attacco all’Iran sarebbe un «disastro», facendo eco al pensiero del suo predecessore e al consenso generale tra leader europei. Il nostro messaggio a Tehran, di fronte all’ennesima provocazione, è un messaggio di ragio-
Il presidente iraniano Ahmadinejad e il lancio dei missili Shihab-3 che ha fatto il giro del mondo gnalano una nostra profonda debolezza e incoraggiano quindi, invece che dissuadere l’Iran dai suoi comportamenti irresponsabili.
di Emanuele Ottolenghi nevolezza che dice: “qualunque cosa voi facciate, noi faremo di tutto per scongiurare un conflitto”. È un messaggio ragionevole. Ma é saggio? Se il nostro obbiettivo è di scoraggiare gli iraniani dal perseguire armi di distruzione di massa e gli strumenti per colpire nemici vicini e lontani, una rinuncia a priori dello strumento ultimo
dell’avversario, in modo da minacciare proprio quei valori che l’avversario considera supremi come mezzo di dissuasione. Gl’iraniani devono avere senz’altro letto questo breve ma importante documento. Solo tre giorni fa, il rappresentante del leader supremo presso le Guardie Rivoluzionarie iraniane, Ali Shirazi, ha affermato
Il messaggio dell’Occidente a Teheran, di fronte all’ennesima provocazione, è ragionevole: “qualunque cosa voi facciate, noi faremo di tutto per scongiurare un conflitto”. Ma non è saggio nei regolamenti dei contenziosi internazionali – cioé l’uso della forza – rafforza o indebolisce la nostra deterrenza nei confronti dell’Iran?
Alla fine della Guerra Fredda, il governo Americano commissionó uno studio mirato a comprendere il nuovo contesto della deterrenza nucleare dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per prepararsi concettualmente a possibili future scontri contro poteri regionali dotati di armi nucleari. La principale conclusione dello studio fu che occorreva adottare una deterrenza fondata sulla piena comprensione del sistema di valori
che «il primo colpo sparato dall’America contro l’Iran metterebbe a ferro e fuoco gl’interessi vitali degli Stati Uniti in tutto il mondo». Shirazi non chiarisce cosa intende per “mettere a ferro e fuoco”, ma riesce a evocare nella nostra immaginazione uno scenario di terribili conseguenze. Secondo lo studio americano, «Occorre comunicare in maniera specifica quello che vogliamo dissuadere senza dire quello che è permesso» e «dobbiamo essere ambigui in merito ai dettagli della nostra reazione (o prevenzione) se quel che conta per noi è minacciato, ma deve essere chiaro che le nostre azioni
avrebbero terribili conseguenze». È quello che stanno facendo gl’iraniani, mentre noi occidentali stiamo facendo il contrario. Lo studio americano cita come esempio la risposta che l’Unione Sovietica diede in Libano all’indomani del rapimento e assassinio di tre suoi cittadini e il loro autista a Beirut: «due giorni dopo i sovietici consegnarono al leader rivoluzionario responsabile un pacchetto contenente un singolo testicolo – appartenente al suo figlio maggiore – con un messaggio che affermava in termini chiarissimi “non dar mai più fastidio alla nostra gente”». Fu l’unico episodio di violenza contro agenti sovietici in Medio Oriente. Il problema, naturalmente, è che questo tipo di azioni contrastano con la nostra cultura e i nostri valori. Ma senza dover inviar truculenti messaggi mafiosi alla leadership iraniana, è chiaro che non può esserci un rigetto aprioristico dell’uso della forza. Tutt’altro – l’Iran deve sapere che il prezzo che pagherebbe non solo per un attacco, ma persino per l’acquisizione degli strumenti necessari ad attaccare, sarebbe molto alto. Invece, la comunità internazionale invia messaggi opposti, che nel sistema di valori iraniano se-
L’ultimo di questi messaggi è la proposta formulata dai cinque membri permanenti dell’Onu insieme alla Germania, che Javier Solana ha consegnato a Tehran ai primi di giugno e che la settimana prossima andrà a negoziare di nuovo a Tehran. Non solo il documento offre una lunga lista di benefici materiali – ma comincia con la seguente premessa: «L’Iran è una delle civiltá più antiche del mondo. Il suo popolo è comprensibilmente orgoglioso della sua storia, cultura ed eredità. È situato su un crocevia, con vaste risorse naturali e grande potenziale economico, che il suo popolo dovrebbe sfruttare appieno». Dov’è la minaccia a quello che per l’Iran conta piú di ogni altra cosa? Dov’é la chiara spiegazione di quali sono i nostri irrinunciabili interessi e la velata minaccia delle terribili conseguenze che l’Iran pagherà in quel che gli sta più caro semmai quegl’interessi risultassero colpiti? Il nostro linguaggio non solo non ha creato un efficace strumento di dissuasione, ma al contrario – fa di tutto per incoraggiare gl’iraniani a calpestare i nostri interessi senza timore di conseguenze. Non nutriamo grandi speranze sul viaggio di Solana a Tehran la settimana prossima. Ma prima o poi c’è da augurarsi che l’Occidente avrà il coraggio di formulare, in parole e azioni, una risposta chiara alle provocazioni iraniane.
mondo
12 luglio 2008 • pagina 11
In attesa che la Corte decida sull’interdizione dalla vita pubblica dell’Akp, il partito di Erdogan, la Ue decide come reagire
Europa al bivio: Turchia si o no? di Ilaria Ierep
d i a r i o a Turchia sta attraversando un periodo di confusione. Una serie di eventi sta minando la stabilità del Paese, sia sul piano interno sia sul suo ruolo nello scacchiere internazionale. Coincidenze più o meno spiegabili che ne tengono alto il livello di tensione. I nodi sono tre. La Corte Costituzionale turca sta decidendo in questi giorni sulla possibilità o meno di chiudere il partito al governo Giustizia e Sviluppo (Akp), accusato dalle forze laiche e nazionaliste di essere una “fucina” islamica che attenta alla tradizione secolare della Repubblica. La situazione è resa ancora più nebulosa dalla sensazionale operazione di polizia che ha portato all’arresto di decine di persone, legate all’organizzazione eversiva di orientamento laico, anti-Akp, “Ergenekon”, e accusate di pianificare un colpo di Stato. Si è aggiunta poi la componente terroristica, con un agguato davanti al consolato Usa a Istanbul che minaccia di mettere fine a un lungo periodo di stabilità politica e di crescita economica.
L
me violazione delle regole democratiche e, di conseguenza, potrebbe chiedere la sospensione dei negoziati di adesione. Questo processo potrebbe essere più facile di quanto si pensi, visto che sarebbe richiesta soltanto una decisione a maggioranza da parte dei Paesi membri. E verrebbero accontentati tutti i Paesi da sempre scettici o contrari all’ingresso della Turchia
perché gli avversari storici della Turchia, come Cipro, la Grecia, l’Austria e la Francia, potrebbero cogliere questa occasione per sbarazzarsi definitivamente dell’adesione della Turchia all’Unione. Resta il rischio che si creino delle punte di estremizzazione all’interno dei Paesi europei, ma soprattutto all’interno della Turchia. Il pericolo di uno scontro istituzionale frontale tra i nazionalisti laici e gli islamisti radicali non va sottovalutato. Inoltre, la sentenza contro il partito islamico e la possibile deriva della Turchia dall’Unione Europea potrebbero incidere negativamente anche sulla stessa politica interna dei Paesi europei divisi tra diverse visioni sulla gestione dei rapporti con il mondo islamico interno ed esterno.
Lo scenario più verosimile è che i rapporti euro-turchi entreranno in una fase di criticità. Ma si tratterebbe di una situazione di transizione. Perché l’Europa ha bisogno della
g i o r n o
Zimbabwe, pericoli di guerra civile Le autorità del Paese hanno messo in guardia da una tendenza somala in Zimbawbe. Questo se l’Onu approverà la risoluzione presentata da Usa e Gran Bretagna che comprende l’embargo delle armi e il blocco dei conti bancari di Mugabe e altri 11 membri del governo di Harare. In questo il mondo deve sapere che nascerà una nuova Somalia, ha scritto la missione Onu dello Stato africano in una lettera al consiglio di sicurezza.
Kosovo, 500 milioni di euro dalla Ue L’Unione europea donerà entro il 2011 al Kosovo 500 milioni di euro per la ricostruzione. Il provvedimento è stato annunciato oggi alla conferenza dei donatori a Bruxelles. I fondi comprendono circa 350 milioni prelevati dal fondo di pre-adesione Ue e già programmati per il periodo 2008-2011, a cui si è aggiunto un nuovo pacchetto di 150 milioni per l’assistenza macro-economica. L’ex provincia autonoma serba, che aveva dichiarato l’indipendenza unilaterale a febbraio, ha chiesto 1,5 miliardi di euro per sviluppare la rete delle infrastrutture e dell’energia e per contrastare l’alto livello di disoccupazione. L’Italia, inoltre, ha donato al Kosovo un contributo di 13 milioni di euro per la ricostruzione e ha confermato il suo impegno in Eulex, con un contributo di 200 persone, e nella K-For, con circa 2.500 soldati.
Bosnia, 13esimo anniversario Srebrenica
Un’importante considerazione da fare è che il tentativo di sgretolare l’impianto istituzionale di Erdogan, che rischia l’interdizione dalla vita politica per cinque anni insieme al presidente Gul, potrebbe avere pesanti ripercussioni per la Turchia nei suoi rapporti internazionali, in primis con l’Unione Europea. Sebbene sia il partito Giustizia e Sviluppo che i suoi oppositori laici rimangono ufficialmente impegnati al raggiungimento dell’adesione all’Unione Europea. Nel corso del procedimento giudiziario contro il suo partito, Erdogan ha rinunciato a ricorrere all’emendamento costituzionale sperando così di ricevere un sostegno da parte dell’Ue. Non va dimenticato che in palio c’è l’adesione all’Europa, ossia un ottimo deterrente per la Corte turca dal pronunciarsi in favore della messa al bando dell’Akp. Ma una simile minaccia potrebbe non spaventare i laici in Turchia, nella misura in cui il loro vero obiettivo non è l’Unione Europea, ma quello di sbarazzarsi della corrente islamica. Secondo Bruxelles, qualsiasi accusa contro il governo dovrebbe passare attraverso una discussione in Parlamento o essere sottoposta alla volontà popolare. Non si può parlare di democrazia compiuta se la decisione di eliminare il partito di maggioranza giunge da un tribunale. Quindi, se dovesse arrivare il via libera alla chiusura dell’Akp, l’Europa potrebbe sanzionarla co-
d e l
Seppellendo i resti di 307 corpi, la BosniaErzegovina ha ricordato ieri Srebrenica: 13 anni fa, sotto gli occhi dei peacekeeper olandesi dell’Onu, le truppe serbo-bosniache del generale Ratko Mladic entrarono in città. Era un venerdì. Secondo il Tribunale penale internazionale dell’Aia, Mladic e i suoi hanno organizzato e messo in atto l’uccisione sistematica di 8mila musulmani, deportando circa 30mila donne e bambini. Per il genocidio di Srebrenica, questa è l’accusa del Tpi, sono ricercati Mladic e l’ex leader politico serbo-bosniaco Radovan Karadzic. Il luogo del recente attentato In alto il leader dell’Akp Erdogan
Il via libera ad Ankara dovrebbe essere unanime. Ma Cipro, Grecia,Austria e Francia non lo daranno in Europa. L’insistenza con cui soprattutto la Francia preme per sottoporre a un referendum l’ammissione della Turchia nell’Europa politica, fa pensare che anni di adeguamento alle norme comunitarie non verranno mai ripagati con l’adesione.
Problemi ben più seri potrebbero arrivare in un secondo momento. Se l’Ue vorrà riprendere le trattative con Ankara, allora l’accordo dovrà essere unanime. Una prospettiva quasi impossibile, soprattutto
Francia, stop a una centrale nucleare
Turchia, soprattutto da un punto di vista economico. Il Paese di mezzo tra Europa e Asia costituisce un’importante via di rifornimento energetico verso occidente: i principali oleodotti e gasdotti che alimentano il territorio dell’Unione entrano rispettivamente dagli Stati baltici, dall’Ucraina e appunto dalla Turchia. Con Estonia, Lettonia e Lituania, ormai tra i membri più zelanti della Nuova Europa e con l’Ucraina, che sempre più sta scivolando nella sfera d’influenza statunitense, resta aperto il “dossier Ankara”. La Turchia, già alleata degli Usa e fondamentale partner del complicato mosaico europeo, si trova però a un bivio. Estremismo o democrazia, isolamento o integrazione? Analista Ce.S.I.
Verrà sospesa l’attività in una parte del sito nucleare francese di Tricastin (Vaucluse) dopo il riversamento accidentale di acque contenenti uranio nei fiumi circostanti avvenuto nei giorni scorsi. A imporlo alla società satellite del colosso energetico Areva, l’Autorità per la sicurezza nucleare francese. La fuoriuscita si è verificata lunedì e le autorità hanno chiesto agli abitanti della regione di non bere acqua e di non mangiare pesce, vietando anche di bagnarsi nelle acque contaminate.
Libano, accordo per il nuovo governo In Libano i simpatizzanti della maggioranza parlamentare filo occidentale del primo ministro Siniora e l’opposizione pro siriana sono riuscite, dopo mesi di discussioni politiche, a trovare l’accordo per la formazione di un governo di coalizione. Ieri a Beirut è stato reso noto che l’esecutivo di unità nazionale sarà composto di trenta membri, alla sua testa continuerà ad esserci Siniora e il movimento islamico Hezbollah, avrà la sua rappresentanza. L’opposizione guidata dal movimento filo iraniano, disporrà del diritto di veto nei confronti delle decisioni della maggioranza. Su questa condizione l’opposizione si è sempre dimostrata inflessibile. «Il governo di unità nazionale è il governo dei libanesi» ha detto Siniora. Il nuovo gabinetto avrà due compiti fondamentali, restaurare la fiducia nelle istituzioni politiche e spingere alla moderazione, ha dichiarato il capo del governo.
pagina 12 • 12 luglio 2008
speciale bioetica
Creato
a prossima ratifica della “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”da parte del governo italiano potrebbe segnare una svolta per il mondo dei disabili nel nostro paese. La convenzione, approvata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha richiesto meno tempo di molte altre per essere redatta – “solo” quattro anni, rispetto ai dieci, ad esempio, necessari per redigere quella sui diritti del fanciullo – , è il primo trattato sui diritti umani del XXI secolo, ed è molto attesa per le possibili ricadute che potrebbe avere per la normativa italiana, per la rappresentatività delle associazioni dei disabili nei confronti delle istituzioni pubbliche e soprattutto per il concetto stesso di disabilità, per cui i disabili non sono visti come portatori di diritti.
L
Ma mentre la Convenzione continua il suo percorso nei vari paesi che hanno aderito, la prevenzione più efficace alla disabilità oggi sembra essere quella che consente di eliminarli prima della nascita anziché di accoglierli e, per quanto possibile, curarli. Umberto Veronesi, lo scorso due luglio su Repubblica, in un articolo sulle “malattie che non avremo più”, ha ripercorso le tappe delle principali scoperte mediche dall’800 in poi: prima è stata la volta dei vaccini, poi degli antibiotici, a seguire il controllo delle condizioni ambientali, e quindi la possibilità di trapiantare gli organi, e poi la grande promessa delle cellule staminali. “Ora la sfida è intervenire prima – dice Veronesi – più presto della malattia e abbiamo già uno strumento nelle nostre mani. È la diagnosi preimpianto, che è la grande promessa per sconfiggere le malattie ereditarie individuando la presenza di geni malati prima della nascita”; peccato però che attualmente non esista alcuna terapia genica a carico dell’embrione. Il fine della diagnosi
Il governo italiano si appresta a ratificare la convenzione dell’Onu
DIRITTI, ECCO COSA CHIEDONO I DISABILI di Assuntina Morresi
Difficile parlare di lotta agli handicap mentre la scienza si fa tentare dalla selezione preimpianto, è “sconfiggere le malformazioni e le malattie ereditarie devastanti”, secondo Umberto Veronesi, con “l’eliminazione dell’embrione con il gene patologico”: la sconfitta della disabilità o delle ma-
lattie ereditarie non passa quindi dalle terapie, bensì dall’eliminazione del disabile o del malato. È difficile pensare di rimuovere gli ostacoli all’integrazione e alla non discriminazione del-
le persone disabili, anche mettendo a punto la normativa migliore del mondo, se al tempo stesso si diffondono una cultura e una pratica medica secondo le quali è bene evitare di far nascere disabili sopprimendoli prima della nascita. Nessuno, chiaramente, si augura che nascano persone disabili o gravemente malate.
Ma nessuno si può arrogare il diritto di decidere chi possa nascere e chi invece no, in base a caratteristiche fisiche o
genetiche. Non sappiamo quanti embrioni e feti portatori di disabilità o di gravi malattie siano stati soppressi nei laboratori o abortiti; sappiamo però che nessuno ne chiederà mai conto, e che difficilmente qualcuno comincerà a contare i disabili mancanti. Ci sono voluti decenni perché si comprendesse che ci sono meno donne in Cina ed India rispetto a quelle che dovevano esserci, per via dell’aborto selettivo, eppure ancora oggi non si vedono inversioni di
tendenza significative nelle politiche di quei paesi. Chissà se mai qualcuno comincerà a tenere il conto dei disabili non nati, e chissà se si riuscirà mai a modificare questa tendenza eugenetica pervasiva. Ha fatto scalpore una notizia delle ultime settimane: in Gran Bretagna nascerà una bambina che non avrà un gene che predispone al cancro al seno. È l’esito dell’applicazione della diagnosi preimpianto ad 11 embrioni creati in laboratorio, cinque dei quali sono risultati
12 luglio 2008 • pagina 13
Pericoli e aberrazioni di una medicina selettiva
Dagli studi sul genoma al rischio eugenetica di Carlo Bellieni ’American College of Pediatricians, recentemente poneva questa domanda: «Screening genetico per interruzione di gravidanza: può essere mai considerato etico?» Si riferiva in particolare allo screening anche per malattie non gravi, che spesso finisce con l’aborto; e metteva in risalto che un semplice colloquio con l’esperto della malattia in questione fa calare il tasso di aborti dal 100 per cento all’8 per cento. «La medicina, riporta il sito di quest’associazione, non dovrebbe offrire test per “interrompere” dei bambini, ma soprattutto quelli con malattie non gravi”. Apprendiamo in questi giorni che già in Inghilterra si inizia ad usare un test per verificare se l’embrione (femmina) ha la predisposizione a sviluppare (da adulta) il cancro al seno. Ora questo è davvero inquietante: già, anche perché di cancro al seno non si muore più, se si fa una corretta prevenzione. Operata per cancro al seno a 55 anni, la milanese Annamaria Ruolini spiega che, lungi dall’essere questa patologia la fine della vita «la mia vita è cambiata in meglio sia nell’ambito lavorativo che in quello familiare. Ho imparato a valutare quello che devo o non devo fare e a dare priorità alle cose più importanti. Anche i rapporti con le persone sono diventati più veri. Non reputo il tumore una malattia invalidante ma uno dei passaggi che la vita ti fa affrontare». E la senese Alessandra Paciotti, anche lei operata per cancro al seno, così si esprime: «Non mi sento malata e soprattutto non mi sento meno donna di tutte coloro che hanno i seni ”interi”.Proporre pratiche medico scientifiche finalizzate a giudicare un individuo idoneo o meno a nascere, a vivere, più che offendermi mi terrorizza. L’offesa è alla mia dignità di donna, di madre, di persona, ma il terrore è la prospettiva di un futuro disegnato a computer. I miei “nipoti”cosa dovranno essere, in base a quali criteri saranno giudicati, ma soprattutto chi fisserà e controllerà i criteri di discriminazione? Forse prima ancora di decidere i criteri per i quali si ha diritto a nascere dovremmo definire i criteri di una vita per la quale valga la pena vivere e non sopravvivere».
L
L’atleta Oscar Pistorius durante un allenamento
senza il gene incriminato: i due trasferiti in utero sono sfociati in una gravidanza, gli altri tre sono stati congelati. I sei portatori del gene, naturalmente, scartati. Si è quindi proceduto ad una selezione genetica non in presenza di gravi malattie ereditarie ed incurabili, ma per evitare la probabilità di ammalarsi, una volta adulti, di una malattia peraltro curabile, soprattutto se si sa di esserne predisposti.
Lo screening costante delle donne a rischio di cancro al seno ha permesso negli ultimi decenni di abbatterne la mortalità (per ironia della sorte proprio uno dei principali protagonisti della lotta al cancro al seno, il dott. Umberto Veronesi, è ora in prima fila a difendere l’uso della diagnosi preimpianto): dall’eliminazione del malato, si passa quindi anche all’eliminazione di qualcuno che forse si ammalerà. Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento, e considerando che probabilmente il patrimonio genetico di ognuno di noi contiene geni che più o meno predispongono a qualche malattia, man mano che si sviluppe-
ranno i test genetici ogni nascituro –embrione o feto che sia – correrà il rischio di essere scartato. Ma la voce dei disabili e dei malati dice altro, come si può leggere nelle pagine di questo inserto. A questo riguardo è molto interessante la storia dei movimenti americani che si battono per il diritto ad una vita indipendente: utilizzando tecniche e linguaggi mutuati dalle battaglie per i diritti civili sviluppate negli Stati Uniti d’America, alcuni disabili hanno raggiunto obiettivi impensabili. Basti pensare, come si legge nelle colonne seguenti, che provvedimenti federali per l’abbattimento delle barriere architettoniche risalgono al 1968, con l’Architectural Barriers Act.
In questi anni a più riprese l’opinione pubblica si è posta il problema dell’accettazione delle diversità: basti pensare alle polemiche ultime sugli extracomunitari, nel nostro paese, o alla presenza di credenti islamici in occidente. Quello della disabilità è uno dei banchi di prova della nostra effettiva capacità di accoglienza e di inclusione di chi è diverso da noi.
Insomma, di fronte alla malattia c’è chi pensa di intervenire sul malato, non per curarlo, ma per non farlo nascere: c’è chi la chiama “prevenzione secondaria”. E’ il caso della sindrome Down, in cui, a fronte dei rischi legati all’amniocentesi, oggi si stanno cercando disperatamente sistemi per scovarla all’inizio della gravidanza, con screening sul sangue della madre. In realtà questo procedimento non previene proprio nulla, dato che il bambino già c’è! «La Sindrome di Down, - spiega Paolo Arosio, presidente dell’Associazione “Amici di Giovanni” - è nel pensiero comune (soprattutto per i medici) la patologia più te-
muta,la più ricercata, quella più studiata e più diagnosticata negli screening prenatali . Le persone con Sindrome di Down sono nel medesimo tempo quelle meglio integrate nella società. Bisogna avere il coraggio di aiutare le madri che attendono un bambino affetto da Sindrome di Down di non avere paura, di tenere il proprio figlio e di non abortire. La qualità della vita è direttamente proporzionale all’amore di cui è circondata». Chi ha queste malattie si sente come un “osservato speciale”, dal momento che la società e la comunità scientifica investono così tanti mezzi, uomini, strutture per scovarli prima che nascano. «Sarebbe auspicabile dopo un test prenatale, aggiunge Arosio, fare seguire un colloquio con uno Specialista che chiarisca la eventuale malformazione e suggerisca possibili alternative all’ aborto ”terapeutico”. Inoltre la possibilità di incontrare famiglie che hanno accolto il loro figlio, richiama la propria responsabilità ,immette in una realtà che sempre è meno drammatica delle fantasie».
Il sito dell’American College of Pediatricians, conclude la sua osservazione così: «Verrà il momento in cui potremo scovare migliaia di malattie in una goccia di sangue. Per quali malattie vorrete “terminare”?… Se non ci muoviamo, forse per tutte». Questo sguardo sulla malattia e dunque sulla disabilità la dice lunga su un certo modo di pensare la medicina. Già nel 2000 un’indagine europea mostrò che la maggior parte dei medici reputava la vita con un grave handicap fisico peggiore della morte; e su questo sarebbe interessante sentire il parere di coloro che davvero l’handicap lo vivono, e alcuni di loro sono famosi cantanti, altri politici affermati, altri ancora campioni sportivi. Questo non significa che la malattia non sia dolore, ma mostra il pregiudizio profondo di certi dottori. Se poi dall’handicap fisico si passa a quello neurologico, il giudizio dei medici intervistati è ancora più grave. È un modo ansioso, prevenuto, di guardare la medicina: quanti milioni si spendono per pubblicizzare l’eutanasia prendendo ad esempio la malattia detta “spina bifida”… che con gli stessi milioni forse potrebbe essere sconfitta se fossero usati per pubblicizzare tra le donne fertili l’uso dell’acido folico! Quanti milioni si spendono per gli screening per la ricerca dei bambini non ancora nati con sindrome Down e quanti spiccioli vengono investiti per cercare una reale terapia a questa malattia! E poi sarebbe la Chiesa che non ama la ricerca scientifica? Usciamo da questa medicina dell’ansia, per amore della scienza e per far tornare normale la vita con chi è malato – assieme a tutti gli sforzi per curarlo –, senza che questi si debba quasi vergognare di essere al mondo.
pagina 14 • 12 luglio 2008
speciale bioetica
Creato
i respirava aria di libertà nell’America dei primi anni sessanta. Era l’America di Martin Luther King, che proclamava un’”ovvia verità”,“che tutti gli uomini sono creati uguali”. Era l’America di John Kennedy, il Presidente della “nuova frontiera” e del “sogno americano”, che votò la legge sui diritti civili. Era l’America delle grandi lotte e conquiste sociali, politiche e culturali per superare le discriminazioni prodotte dal colore della pelle e per far sì che i principi della costituzione americana valessero per tutti. Fu anche l’America di Ed Roberts. Un ragazzo coraggioso, che non mollava mai, nonostante che la vita non fosse stata generosa con lui. Da giovanissimo era stato colpito da poliomielite e dopo un anno di ospedale doveva comunque trascorrere la sua vita su una sedia a rotelle e gran parte del suo tempo con l’ausilio di un polmone d’acciaio, che gli consentiva di respirare.
S
Dopo il conseguimento del diploma di scuola media superiore, Ed decide di realizzare una sfida, quella che avrebbe segnato la sua vita, “consegnandola” alla memoria e all’impegno di tutti coloro che non vogliono arrendersi rispetto alla propria condizione. Ed “usa” il suo corpo e la sua condizione come grimaldello per sovvertire un ordine naturale delle cose, che impediva a lui e a tanti come lui di decidere della propria vita in maniera autonoma e indipendente. Chiede l’iscrizione al College, a Berkeley, in California, dove viene ammesso - dopo aver condotto una battaglia giudiziaria contro il Dipartimento di Riabilitazione dello Stato, che lo giudicava in condizioni eccessivamente gravi per frequentare il college - e ospitato nell’ospedale dell’Università, in un’ala separata dell’edificio, soggiacendo a regole e pratiche che gli impediscono di usufruire dei servizi del Campus, inaccessibili per gli
Ed Roberts è stato il precursore della ”Vita Indipendente” per i portatori di handicap
Storia di un ragazzo che non ha mollato mai di Ernesto Capocci nel far nascere in quegli studenti la determinazione e la volontà innanzitutto di non vivere più segregati in un ospedale. Infatti, all’inizio, i ragazzi perseguono l’obbiettivo “personale”di un alloggio integrato, che li sottragga dall’ospedale, pro-
Le sue battaglie hanno contribuito alla coscienza ”politica” dei disabili americani studenti nelle sue condizioni. Ed, però, insieme ai suoi amici dell’Università, anch’essi portatori di handicap seri, coltiva i collegamenti con il variegato mondo del movimento per i diritti civili, legato alle maggiori università statunitensi e questo fatto incide in maniera decisiva
muovono un programma universitario riservato ai disabili, ottengono finanziamenti da utilizzare per pagare degli assistenti, inizialmente gli stessi compagni di corso di Ed, che lo aiutano e gli permettono di effettuare tutte quelle azioni personali necessarie e di frequen-
tare la maggior parte delle attività della sua giornata di studente. In seguito, quel gruppo di ragazzi comprende che è necessario estendere l’idea di autonomia e di indipendenza delle persone disabili a tutti gli ambiti della vita. «La disabilità è un problema di diritti, piuttosto che di carità ed assistenza», soleva ripetere Ed e questo diventa lo slogan dell’azione che in quegli anni produce concreta speranza di poter condurre una vita diversa per decine e decine di migliaia di persone nelle sue stesse condizioni.
Il contesto delle lotte per i diritti civili degli anni ’60, favorisce la proposta della “Vita Indipendente”, che, col trascorrere del tempo, si articola da rivendicazione di diritti (e vita) civili a vera e propria proposta operativa: vengono strutturate e condotte campagne di sensibi-
lizzazione della collettività e vengono decise e praticate azioni di pressione nei confronti delle autorità locali perché modifichino i regolamenti ed introducano nuove leggi. Vengono così a delinearsi, dal punto di vista teorico, i presupposti e i contorni della filosofia della “Vita Indipendente”, la cui più importante innovazione è una vera e propria rivoluzione per le persone portatrici di handicap: devono essere le persone con disabilità a determinare cosa è necessario e funzionale alla propria vita. Si afferma il principio che le persone con disabilità devono avere gli stessi diritti civili delle persone senza disabilità, anche per evitare che la vita di una persona con disabilità sia gestita attraverso le modalità stabilite, di volta in volta, dalla famiglia, dagli istituti, dagli assistenti domiciliari. Le prime elaborazioni e i primi tentativi di affermazione di
queste nuove idee spingono molte persone con disabilità che vivono negli Stati Uniti a decidere prima e a tentare poi di organizzarsi, di costituire una rete, di partecipare alle lotte per affermare questi principi, di prendere parte attiva a livello locale, statale e nazionale rispetto alle decisioni su questioni concernenti la loro vita. Si formano gruppi di persone con diversi tipi di disabilità, che operano insieme per identificare ed abbattere barriere e per colmare le lacune nell’organizzazione dei servizi. Vengono così elaborati piani per educare la collettività e per far sì che i responsabili cambino i regolamenti ed introducano nuove norme che abbattano le barriere per le persone disabili, quelle fisiche, quelle architettoniche e quelle frutto di discriminazioni. Viene concepito un nuovo metodo per l’organizzazione dei servizi, in base al quale spetta alle persone con disabilità determinare quali tipi di prestazioni siano essenziali per la loro vita e a dirigerne in prima persona l’erogazione. Ed e i suoi amici fondano, nel 1972, a Berkeley, la prima Agenzia per l’Indipendent Living; subito dopo altri gruppi costituiscono altri centri a Boston e Houston. Il Movimento si estende, si consolida. Sei anni più tardi il governo statunitense stanzia dei fondi per il progetto Vita Indipendente e i suoi Centri.
Trent’anni di lotta per la Vita Indipendente, consegnano all’America fondamentali provvedimenti legislativi federali ispirati alla legge sui diritti civili: l’Architectural Barriers Act del 1968 sulle barriere archietettoniche; l’Urban Mass Transit Act del 1970 per l’adeguamento dei mezzi pubblici; il Rehabilitation Act del 1973, che proibisce qualsiasi discriminazione nei servizi pubblici; le due leggi del 1975 sull’educazione e la protezione dei diritti civili; l’Americans with Disabilities Act, del 1991, che recepisce a pieno i principi del Rehabilitation Act. Oggi, il movimento per la Vita Indipendente, che conta nella sola America oltre quattrocento centri, è presente in quasi ogni parte del mondo. La battaglia di Ed è diventata, così, battaglia universale perché la Vita Indipendente venga riconosciuta e garantita come un diritto umano e civile, eliminando ogni forma di discriminazione delle persone con disabilità. Il ragazzo che viveva con il polmone d’acciaio è riuscito, attraverso la sua opera esemplare, ad incardinare una lotta per tutti e a beneficio di tutti.
12 luglio 2008 • pagina 15
Pubblichiamo l’articolato del documento approvato dall’Assemblea dell’Onu nel dicembre scorso: a) Gli Stati Parti alla presente Convenzione, Richiamando i principi proclamati nello Statuto delle Nazioni Unite che riconoscono la dignità ed il valore connaturati a tutti i membri della famiglia umana ed i diritti uguali e inalienabili come fondamento di libertà, giustizia e pace nel mondo; b) Riconoscendo che le Nazioni Unite, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nei Patti internazionali sui diritti umani, hanno proclamato e convenuto che ciascun individuo e titolare di tutti i diritti e delle libertà ivi indicate, senza alcuna distinzione; c) Riaffermando l’universalità, l’indivisibilità, l’ interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani e libertà fondamentali e la necessità di garantirne il pieno godimento da parte delle persone con disabilità senza discriminazioni; d) Richiamando il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione sui diritti del fanciullo e la Convenzione internazionale per la tutela dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie; e) Riconoscendo che la disabilità e un concetto in evoluzione e che la disabilità e il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambienta-
Ecco il preambolo del documento delle Nazioni Unite
La Carta dell’Onu per i diversamente abili ni, dei programmi e delle azioni a livello nazionale, regionale ed internazionale al fine di perseguire pari opportunità per le persone con disabilità; g) Sottolineando l’importanza di integrare i temi della disabilità nelle pertinenti strategie relative allo sviluppo sostenibile; h) Riconoscendo altresì che la discriminazione contro qualsiasi persona sulla base della disabilità costituisce una violazione della dignità e del valore connaturati alla persona umana; i) Riconoscendo inoltrela diversità delle persone con disabilità; j) Riconoscendo la necessità di promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le persone con disabilità, incluse quelle che richiedono un maggiore sostegno; k) Preoccupati per il fatto che, nonostante questi vari strumenti ed impegni, le persone con disabilità continuano a incontrare ostacoli nella loro partecipazione alla società come membri eguali della stessa, e ad essere oggetto di violazioni dei loro diritti umani in ogni parte del mondo; l) Riconoscendo l’importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone con disabilità in ogni paese, in particolare nei paesi in via di sviluppo;
La Convenzione è stata approvata dal Palazzo di Vetro il 13 dicembre 2006 li, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri; f) Riconoscendo l’importanza dei principi e delle linee guida contenute nel Programma mondiale di azione riguardante le persone con disabilità e nelle Regole standard sulle pari opportunità delle persone con disabilità e la loro influenza sulla promozione,formulazione e valutazione delle politiche, dei pia-
m) Riconoscendo gli utili contributi, esistenti e potenziali, delle persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità, e che la promozione del pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte delle persone con disabilità accrescerà il senso di appartenenza ed apporterà significativi progressi nello sviluppo umano,
sociale ed economico della società e nello sradicamento della povertà; n) Riconoscendo l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte; o) Considerando che le persone con disabilità dovrebbero avere l’opportunità di essere coinvolte attivamente nei processi decisionali relativi alle politiche e ai programmi, inclusi quelli che li riguardano direttamente; p) Preoccupati delle difficili condizioni affrontate dalle persone con disabilità, che sono soggette a molteplici o più gravi forme di discriminazione sulla base della razza, colore della pelle, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o di altra natura, origine nazionale, etnica, indigena o sociale, patrimonio, nascita, età o altra condizione; q) Riconoscendo che le donne e le minori con disabilità corrono spesso maggiori rischi nell’ambiente domestico ed all’esterno, di violenze, lesioni e abusi, di abbandono o mancanza di cure, maltrattamento e sfruttamento; r) Riconoscendo che i minori con disabilità dovrebbero poter godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali su base di uguaglianza rispetto agli altri minori, e richiamando gli obblighi assunti a tal fine dagli Stati Parti alla Convenzione sui diritti del fanciullo; s) Sottolineando la necessità di incorporare la prospettiva di genere in tutti gli sforzi tesi a promuovere il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità; t) Riaffermando che la maggior parte delle persone con disabilità vive in condizioni di povertà, e riconoscendo a questo proposito la fondamentale necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità; u) Consapevoli che le condizioni di pace e sicurezza basate sul pieno rispetto degli scopi e dei principi contenuti nello Statuto delle Nazioni Unite e che
l’osservanza degli strumenti applicabili in materia di diritti umani sono indispensabili per la piena protezione delle persone con disabilità, in particolare durante i conflitti armati e le occupazioni straniere; v) Riconoscendo l’importanza dell’accessibilità alle strutture fisiche, sociali, economiche e culturali, alla salute, all’istruzione, all’informazione e alla comunicazione, per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertàfondamentali; w) Consapevoli che ogni individuo, in ragione dei propri obblighi nei confronti degli altri individui e della comunità di appartenenza, ha una responsabilità propria per la promozione e l’osservanza dei diritti riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dai Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e cul-
turali; x) Convinti che la famiglia sia il nucleo naturale e fondamentale della società e che abbia diritto alla protezione da parte della società e dello Stato, e che le persone con disabilità ed i membri delle loro famiglie debbano ricevere la protezione ed assistenza necessarie a permettere alle famiglie di contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità; y) Convinti che una convenzione internazionale globale ed integrata per la promozione e la protezione dei diritti e della dignità delle persone con disabilità potrà contribuire in modo significativo a riequilibrare i profondi svantaggi sociali delle persone con disabilità e a promuovere la loro partecipazione nella sfera civile, politica, economica, sociale e culturale, con pari opportunità, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo.
pagina 16 • 12 luglio 2008
economia
A sinistra, il porto di Amburgo, che è il secondo in Europa (dopo Rotterdam) e tra i primi dieci al mondo. L’attivismo del fondo sovrano di Singapore, Temasek, sul colosso della logistica marittima Hapag-Lloyd, potrebbe avere ripercussioni anche sullo sviluppo dello stesso porto tedesco. Proprio per questo l’imprenditoria e la politica locale ha deciso di scendere in campo per evitare take over
Con il placet della Merkel la città di Amburgo e gli imprenditori locali si alleano per blindare il maggiore player logistico
Grosse Koalition in difesa di Hapag-Lloyd di Alessandro Alviani
BERLINO. Rischia di arenarsi prima ancora di iniziare l’arrembaggio a Hapag-Lloyd, la più importante compagnia tedesca nel settore della logistica marittima. La città-Stato di Amburgo, col beneplacito del governo federale, sta preparando una diga per impedire che uno dei suoi simboli più noti finisca in mani straniere. Nelle scorse settimane il gruppo turistico Tui, proprietario di Hapag-Lloyd, ha deciso su pressione di alcuni azionisti, di mettere sul mercato questa perla da sei miliardi di fatturato e oltre 7.500 dipendenti. Ma a guidare la lista degli oltre dieci candidati all’acquisizione è la società Neptune Orient Lines (Nol), controllata al 66 per cento dal fondo sovrano di Singapore Temasek. L’idea che una delle aziende più ricche di tradizione ad Amburgo possa essere gestita in futuro dal Sudest asiatico non è andata giù né ai sindacati né agli imprenditori locali, che sono saliti sulle barricate. Se i primi si sono limitati in questi giorni a delle manifestazioni di protesta spontanee, gli altri si sono spinti ben oltre: mettendo in piedi una vera e propria cordata, riunita intorno alla banca privata M.M. Warburg. L’obiettivo è impedire che Amburgo perda Hapag-Lloyd. E,
con essa, gran parte dei 2mila posti di lavoro che la società ha creato nella città anseatica. «La più grande compagnia armatoriale tedesca deve restare in mani tedesche», ha riassunto in un’intervista al sito dello Spiegel uno dei membri della cordata, Klaus-Michael Kühne, proprietario della società logistica Kühne+Nagel. In gioco c’è anche il futuro del secondo porto commerciale in Europa dietro quello di Rotterdam e di uno dei primi dieci al mondo. E che rischia di ritrovarsi all’improvviso orfano di uno dei suoi clienti principali. Infatti, la “soluzione amburghese”ha guadagnato velocemente quota, tanto da conquistare an-
campo per ostacolare l’ingresso di Nol e di altri player internazionali. Con buona pace dell’Unione europea e delle sue battaglie per sancire l’apertura dei mercati e scoraggiare l’interventismo pubblico nei Paesi membri, dall’Italia con Alitalia alla stessa Germania e alle sue banche scosse dalla crisi finanziaria internazionale. Tant’è, il vento nella Repubblica federale sembra soffiare in un’altra direzione. Al punto che il governo centrale ha lanciato un messaggio inequivocabile ad Amburgo. Beninteso, non ci sarà nessun intervento finanziario di supporto da parte di Berlino, eppure «l’esecutivo federale accoglie con favore l’impegno
L’azionista di maggioranza Tui vuole vendere la società. Ma in pista è sceso il fondo sovrano di Singapore Temasek. Un’eventualità che non piace al governo, pronto a intervenire con paletti legislativi che il settore pubblico. L’amministrazione cittadina ha deciso di appoggiare la cordata con un contribuito di alcune centinaia di milioni di euro. Certo, non una somma decisiva, se si pensa che il valore dell’azienda viene stimato tra i tre e i cinque miliardi di euro. Eppure il segnale è chiaro: la politica è pronta a scendere in
di alcuni investitori e del governo di Amburgo affinché la società rimanga ancorata in Germania», ha spiegato Dagmar Wöhrl, coordinatrice del governo di Angela Merkel per le questioni marittime. Il timore è che ci siano dei licenziamenti nel caso di una vendita all’estero, «e questo non è nell’interesse del governo». Stando al quotidiano
Hamburger Abendblatt, lo stesso ministro federale dei Trasporti, Wolfgang Tiefensee, starebbe conducendo colloqui riservati a sostegno di una soluzione tedesca. Di conseguenza, il fronte Berlino-Amburgo sembra ormai sempre più compatto.
A ben vedere, le posizioni in campo non sorprendono del tutto. Da un lato il governo federale è impegnato da mesi a limare una nuova legge che dovrebbe assicurargli il potere di bloccare l’ingresso nelle aziende tedesche di investitori stranieri e fondi sovrani indesiderati, se si mina la sicurezza nazionale. Una carta che Berlino potrebbe utilizzare, e per la prima volta, proprio per difendere Hapag-Lloyd. Dall’altro, Amburgo non è nuova a interventi pubblici di salvataggio. Prima il caso Beiersdorf, l’azienda di prodotti per il corpo (suo, tra l’altro, il marchio Nivea) che nel 2003 venne acquistata da un consorzio cui partecipava anche l’amministrazione cittadina, per impedire che finisse nelle mani degli statunitensi di Procter & Gamble. Poi, appena qualche settimana fa, la scelta di entrare in Norddeutsche Affinerie, il più grande produttore europeo di rame, per salvaguardare i posti di lavoro nella città sull’Elba e limi-
tare l’influenza dell’investitore austriaco Mirko Kovats. Ora è la volta di Hapag-Lloyd: la decisione di aiutare finanziariamente la cordata locale, presa da un governo in cui siedono sia i conservatori della Cdu sia i Verdi, è stata appoggiata dall’intero arco delle forze politiche presenti nel parlamento locale, raro esempio di convergenza da queste parti. La “soluzione amburghese” potrebbe comunque non concretizzarsi affatto. Tra gli scenari alternativi ipotizzati c’è infatti anche uno stop del processo di vendita, chiesto da John Fredriksen, il maggiore azionista di Tui. Il momento della cessione, infatti, non è dei più favorevoli tra il rallentamento dell’economia mondiale, la crisi e le speculazioni in Borsa e l’aumento dei prezzi petroliferi. Di conseguenza Hapag-Lloyd rischia di essere venduta a prezzi stracciati. Nonostante sia la quinta compagnia armatoriale al mondo e nonostante venga considerata tra le più efficienti sul mercato. Per Fredriksen, Tui dovrebbe essere spaccata in due società: una, specializzata nel settore turistico, l’altra, in quello della logistica. Una soluzione respinta ancora una volta ieri dal consiglio di sorveglianza di Tui, ma che cancellerebbe d’un tratto lo spauracchio degli stranieri.
economia
12 luglio 2008 • pagina 17
Il presidente della compagnia prova a rassicurare i sindacati: «Soluzioni in continuità aziendale»
Alitalia,Police smentisce la bad company di Vincenzo Bacarani
d i a r i o
d e l
g i o r n o
Aumenta il debito pubblico Aumenta il debito pubblico nazionale. Le entrate tributarie nei primi cinque mesi del 2008 sono ammontate a 140.333 milioni di euro, in crescita del 6,1 per cento rispetto ai 132.178 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. È quanto emerge dalla lettura dei dati del supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia. Sul fronte straordinari arrivano delle novità: tasse più leggere anche per i dipendenti a termine. La misura fiscale che prevede, per il secondo semestre del 2008, l’applicazione in via sperimentale di un’imposta sostitutiva del 10 per cento su premi di produttività e straordinari è riservata ai lavoratori del settore privato con qualsiasi tipo di contratto. Tra i beneficiari dell’agevolazione anche i part-time che svolgono prestazioni di lavoro supplementare, mentre restano esclusi gli impiegati delle amministrazioni pubbliche e i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto.
Atlantia crolla in borsa
ROMA. Rimane caldissima la situazione dell’Alitalia. A pochi giorni dalla scadenza della presentazione da parte di IntesaSanpaolo del piano industriale, il governo si divide sull’ipotesi commissariamento e la possibilità di cambiare la legge Marzano. Ieri, a smentire queste ipotesi, è stato il presidente Aristide Police. «Io rimango fermo», ha detto, «alle dichiarazioni del ministro che ha parlato di soluzione in continuità aziendale».
Il ministro a cui si riferisce è quello dei Trasporti, Altero Matteoli, perché quello dello Sviluppo, Claudio Scajola, sembra essere di tutt’altro avviso avendo parlato di una riforma della Marzano, ottenendo il placet di Confindustria. Anche nel governo dunque vengono a galla disparità di vedute sul futuro della compagnia di bandiera. C’è chi vede di buon occhio uno scorporo delle attività passive di Alitalia in una bad company che verrebbe dirottata su Finmeccanica o su Fintecna con la costituzione di una newco in cui magari entrerebbe anche Air One (Scajola) e chi vuole salvaguardare l’attuale perimetro (Matteoli). I sindacati, in primis la Cisl, sono dello stesso avviso di Matteoli e Police: continuità aziendale e trattative su ogni altra eventuale ipotesi. Resta da capire se la bad company rifiutata in passato a De Benedetti e in parte ad Air France, possa essere concessa a Passera, a Toto o a Colaninno se sarà della partita. D’altra parte, Pier Francesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica, si è più volte dichiarato contrario a simili ipotesi. A rendere più incandescente il clima ci sono le voci sugli esuberi.
La Cisl appoggia Matteoli e frena Scajola sulle modifiche alla Marzano per il commissariamento Continua il balletto delle cifre: adesso siamo a ottomila e alcuni sindacati sono sul piede di guerra. Lo sono soprattutto gli autonomi che minacciano di bloccare tutti gli aeroporti nel cuore dell’estate con lo slogan “Siamo tutti esuberi”. Inoltre è stato proclamato per il 18 luglio uno sciopero degli assistenti di volo, per il quale l’Assaereo (Associazione nazionale vettori e operatori del trasporto aereo) chiede un intervento immediato al ministro Matteoli per scongiurare la cancellazione di oltre 300 voli in un periodo a intenso traffico. «Si tratta anche», dicono all’Assaereo, «di un problema di ordine pubblico». Non solo: il 20 luglio è in programma un altro black-out di Cgil, Cisl e Uil proprio nel giorno della fatidica scadenza per la presentazione del piano di salvataggio. Alitalia ogni giorno perde 3 milioni di euro, i tagli al personale potrebbero sì essere 8 mila, ma c’è anche chi parla di diecimila, praticamente il 50 per cento del personale. Un quadro dalle tinte fosche. In confronto gli oltre 2.500 tagli proposti a suo tempo dalla “vituperata” Air France, che avevano provocato la rottura delle trattative con lo sdegnato abbandono del tavolo dei sindacati confederali, appaiono ora come un miraggio. Ma quasi nessuno adesso lo vuole ammettere. Il senatore Luigi Grillo (Pdl), presidente della commissione Lavori Pubblici, ha avuto giovedì un incontro con il ministro alle In-
frastrutture, Altero Matteoli. «E mi ha detto», afferma Grillo, «che Alitalia è un problema precipuo del governo». Sì, ma ce la farà Intesa a presentare il piano industriale entro il 20 luglio? «Penso proprio di sì», risponde il senatore del Pdl, «L’impegno era quello e non credo che ci sia alcuna possibilità di proroga». E gli esuberi? «Sono assurdità, circolano cifre che non voglio nemmeno commentare. Non do mai retta alle voci». Ma una proroga la auspicano proprio i sindacati. «Il problema», spiega Stefano De Carlo, vice presidente dell’Anpac, l’associazione piloti, «è che quello proposto da Intesa sembra un piano esclusivamente tecnico e che entra poco nel merito delle problematiche dell’azienda». Molto cauta l’Anpac sulle voci di esuberi esagerati. «Crediamo», aggiunge il numero due della sigla, «che venga fatta una confusione tra i numeri degli esuberi e quelli delle esternalizzazioni dei lavori. Ad ogni modo, noi non aderiremo a nessuno sciopero in questo momento e aspettiamo. Riteniamo che sia più saggio far slittare tutto a settembre».
Stessa linea per la Uil. Il segretario Giuseppe Caronìa spiega: «Non vogliamo correre dietro alle voci che a volte vengono messe in giro ad arte e per surriscaldare il clima. Non ce n’è bisogno. Crediamo che sia meglio per tutti aspettare la fine dell’estate per esaminare con calma il piano industriale». Anche Massimo Notaro, presidente dell’Unione piloti, è d’accordo: «Vediamo come è stato concepito il piano. Non ci sarà a luglio? Lo esamineremo a settembre».
È stato un venerdì nero per Atlantia. A Piazza Affari il titolo ha registrato una flessione di oltre sei punti percentuali, toccando così i nuovi minimi dall’inizio anno e tornando ai livelli di fine 2004. Il titolo del gruppo che controlla Autostrade per l’Italia ha perso il 6,01 per cento a 17,55 euro, a fronte di un minimo di seduta a 17,52 euro. «Non sono a conoscenza - ha affermato Gian Maria Gros Pietro commentando il calo - di nessuna notizia che giustifichi una variazione di rilievo sul titolo».
Il petrolio torna a salire È ancora record per il petrolio, con il barile che ha toccato il picco di 147.25 dollari al barile sulla piazza di New York. Il massimo precedente risaliva allo scorso 3 luglio, quando il greggio era arrivato fino a 145,85 dollari. A far impennare i prezzi stavolta sono stati i timori di un deficit delle forniture per uno sciopero minacciato in Brasile, le tensioni in Medio Oriente e in Nigeria.
Viola: dopo Bpm, valuterò nuovi incarichi «L’esame e la successiva definizione di qualsiasi eventuale nuova opportunità professionale è rimandata a partire dal mese di settembre». Lo ha precisato il direttore generale di Bpm, Fabrizio Viola, in merito alle ipotesi sui suoi prossimi incarichi circolate in questi giorni. Viola lascerà l’istituto il prossimo 31 luglio. Indiscrezioni di stampa lo hanno dapprima segnalato vicino alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna, l’istituto che proprio Viola voleva fortemente maritare alla Bpm in un’operazione il cui fallimento sta all’origine del processo di dimissioni del manager.
Harley Davidson compra Mv Agusta Harley Davidson acquisisce il 100 per cento di Mv Agusta per 70 mln, incluso un debito di circa 45 mln. È quanto si legge sul sito della casa statunitense. L’accordo prevede anche il pagamento a Claudio Castiglioni, attuale azionista con il 95 per cento della società italiana, di un premio ulteriore al raggiungimento, nel 2016, di alcuni target finanziari.
Credit Agricole: Pauget potrebbe dimettersi Georges Pauget, l’ad del Credit Agricole, potrebbe presentare le dimissioni al consiglio di amministrazione che si terrà martedì 15 luglio e la sua partenza potrebbe portare anche all’uscita di scena del presidente Renè Carron. Lo afferma il quotidiano francese Le Monde. «Poiché non dispone più mezzi per assicurare una buona governance del gruppo, Pauget vuole sollecitare la fiducia del cda. Sarà lascia o raddoppia: se gli amministratori gli rinnoveranno la fiducia resterà, altrimenti se ne andrà», scrive il quotidiano. No comment della banca francese.
pagina 18 • 12 luglio 2008
letture
L’ideologo canadese dei black-bloc rilancia, con nuove suggestioni, il suo movimento in declino
Finito un no global ne nasce un altro di Massimo Tosti iazza Navona non c’azzecca niente, come direbbe il protagonista della kermesse. I Grilli, i Travagli e le Guzzanti hanno fatto inarcare il sopracciglio persino al padre fondatore dei girotondi, Nanni Moretti, che ha bollato lo spettacolo come un errore. «Compagni che sbagliano», si diceva una volta quando il comunismo era ancora in auge, e l’imbarazzo si superava depenalizzando qualunque crimine (le purghe, i gulag, le invasioni dei carrarmati) con il termine di «errore». Meno che mai c’azzecca Di Pietro, un servitore dello Stato, figuriamoci: un ex poliziotto ed ex pubblico ministero. L’ala “dura e pura” dell’opposizione mondiale marcia su binari diversi, anche se con una certa confusione sugli obiettivi finali. Da noi, in Italia, i no global ormai latitano: si preferisce il cabaret, violento e becero, alla contestazione radicale del sistema (dei sistemi) su cui si regge il potere mondiale. I nostri no global hanno seguito, modificandola, la traccia dettata dal titolo di un saggio di Umberto Eco, pubblicato negli anni Sessanta: da «apocalittici» a «integrati».
P
antiliberale sono molto delusi dall’andazzo italiano: non perché Berlusconi (icona del nemico da abbattere) è tornato a Palazzo Chigi, quanto piuttosto perché il movimento del “no” si è polverizzato. Un sociologo e filosofo politico canadese, Richard J.F. Day (ideologo del movimento) ha scritto un lungo saggio – sufficientemente noioso – per ricostruire la storia degli anti-global e per indicarne i possibili approdi. Il libro si intitola Gramsci è morto – Dall’egemonia all’affinità (Elèuthera, 245 pagine, 20 euro) e si apre con una citazione (tratta da Le città invisibili) di uno scrittore italiano, Italo Calvino: «Cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Il titolo chiarisce dove si va a parare. Gramsci impiegò il termine «egemonia»
propone di passare dall’egemonia alle affinità. Una rete che leghi i diseredati e gli oppositori, gli emarginati e i rivoluzionari (che devono però badare a non sovvertire il potere, operazione che sarebbe essa stessa egemonica). Il radicalismo no global deve essere «sociale» e non «politico». Le riforme devono essere imposte dal basso, e non dall’alto. La lotta nuova che si impone – secondo Day – è quella fra lo Stato e il non Stato, come ha scritto Giorgio Agamben: «Il fatto nuovo della politica che viene è che essa non sarà più una lotta per la conquista o il controllo dello Stato, ma lotta fra lo Stato e il non-Stato (l’umanità), disgiunzione incolmabile delle singolarità qualunque e dell’or-
Per Richard J.F. Day, autore del saggio ”Gramsci è morto”, scomparsi i fenomeni degli anti-global oggi occorre creare comuni allargate alternative alle leggi dello Stato
Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum (uno dei leader del grande casino contro il G8 del 2001) è parlamentare europeo; un altro, Francesco Caruso, ha appena lasciato (a malincuore) il seggio alla Camera dei deputati; il terzo, Luca Casarini, si è rifugiato nella narrativa. Il Leoncavallo milanese – blandito da Sgarbi – non è più un covo di sognatori deliranti, ma rischia di trasformarsi in un ospizio, o in una sala da tè. Di black-bloc non se ne vedono più in giro. Per carità, nessuno ne sente la mancanza. Ma i teorici dell’anarchismo
in senso culturale, come strumento di persuasione da contrapporre al concetto di dominio, basato sulla forza. L’insegnamento gramsciano fu applicato con successo dal Pci nel dopoguerra per appropriarsi della cultura e della comunicazione (e gli effetti di quella scelta si fanno ancora sentire vistosamente). Ma – dal punto di vista strettamente politico – il quadro è profondamente mutato dagli anni in cui Gramsci indicò quel percorso: gli Stati moderni neo-liberali tendono a reggersi sempre più sull’egemonia (e sul consenso) e sempre meno sul dominio. Questo implica la necessità di inventare nuovi orientamenti a chi intende opporsi allo Stato e agli Stati. Day
ganizzazione statuale». Questo è proprio il discrimine attuale: il marxismo classico (esattamente come il liberalismo classico) riteneva che non potesse esserci la libertà senza la forma Stato, e cercava uno sbocco nella dittatura del proletariato. Da filosofo erudito Day ripercorre i testi dei principali guru dell’ultrasinistra: da Foucault a Baudrillard, da Deleuze a Guattari, da Koprotnik a Derida, da Naomi Klein a
Zizek, spingendosi indietro nel tempo fino all’ineluttabile Marcuse. Di italiani (a parte qualche rapida citazione) nel pantheon figura soltanto il “cattivo maestro”Antonio Negri, per L’impero scritto con Michael Hardt.
La conclusione del sociologo canadese è che l’unico modo per combattere l’egemonia del nord del mondo è quello del modello black-bloc: una specie di guerriglia ideologica, che rinunci all’idea (balzana e illusoria) di «salvare tutti e subito». Una rivoluzione mondiale non è possibile. Meglio creare piccole enclave minoritarie, una specie di comune allargata nella quale vigono leggi diverse da quelle statali, proposte dal basso. E aspettare che il sistema imploda, perché l’ordine neo-liberale più avanza e più diventa debole. Basta con le utopie, raccomanda Day, e cita le parole di una vecchia popolana argentina, pronunciate in un’assemblea di quartiere: «Devo ringraziare quei figli di puttana che hanno provocato tutto questo. Perché ora i cittadini non saranno più quella massa arrendevole che erano prima. Ho visto un sacco di guerre e da ognuna sono uscita migliore e più forte. Senza crisi ci crogioliamo nella felicità La copertina del saggio dei cretini. Dobbiamo usare di Richard J.F. Day le crisi per far rinascere noi ”Gramsci è morto”, stessi». Che sarebbe poi la che ricostruisce la storia vecchia logica del tanto pegdegli anti-global gio tanto meglio. Bisognerà indicandone davvero fare uno sforzo per i possibili approdi inventare qualcosa di nuovo.
cinema opo il grande successo di pubblico ottenuto al cinema con il Codice da Vinci, Tom Hanks torna a indossare i panni dello specialista di Harvard in simbologia religiosa Robert Langdon, per girare il seguito tratto dal romanzo di Dan Brown Angeli e Demoni, il thriller mozzafiato ambientato nella città eterna. A dirigerlo sul set – che per ventuno giorni è stato allestito alla Reggia di Caserta e principalmente tra piazze, strade e chiese di Roma – Ron Howard, per molti identificato con il personaggio di Richie Cunningham che, alla fine degli anni’70, lo rese famoso in Italia. Sono passati molti anni da quando il ragazzo magrolino con i capelli rossi protagonista di Happy Days lasciò la fortunata serie televisiva per dedicarsi al suo grande amore: la regia. Un traguardo raggiunto con successo. Oltre ad aver diretto film quali Apollo 13, Cinderella Man, Ron Howard è stato premiato con l’Oscar come miglior regista per il film A Beautiful Mind, ispirato al matematico John Nash. Anche questa volta il film, prodotto e distribuito dalla Sony Pictures Entertaiment e in collaborazione per la parte italiana con la Panorama Films, promette inseguimenti, colpi di scena e rivelazioni di verità che sembrano reali e che coinvolgono il Vaticano, minacciato dalla setta degli Illuministi animati dal loro antico desiderio di distruggere la Santa Sede perché la ragione possa trionfare sulla fede.
D
A seguito delle passate polemiche sul Codice da Vinci, la Santa Sede ha preferito non collaborare alle riprese del film a Roma, location privilegiata dalla narrazione di Brown, negando l’accesso alle chiese dove Robert Langdon porta avanti la sua investigazione per salvare il Vaticano dal pericolo dell’esplosione di una capsula contenente antimateria. Una scelta che ha influenzato notevolmente il piano di lavorazione del film, portato la produzione a ridurre a ventuno i giorni di riprese in Italia, invece dei preventivati tre mesi, spostando a Los Angeles le riprese delle scene ambientate negli interni delle chiese, abilmente ricostruite. C’è un gran fermento all’ingresso di Castel Sant’Angelo per l’ultimo giorno di riprese di Angeli e Demoni a Roma. Verrà girata la scena più importante di tutto il film, quella della liberazione del camerlengo Carlo Ventresca, ostaggio di Maximilian Kohler, il direttore del Cern e rappresentante della setta degli Illuminati che potrebbero raggiungere il loro scopo: distruggere il Vaticano. Scenografi, macchinisti, costu-
12 luglio 2008 • pagina 19
Sul set di Castel Sant’Angelo per le riprese di ”Angeli e Demoni”
Codice da Vinci atto II all’ombra del Cupolone di Francesca Parisella
misti e tutti gli altri reparti, incluso il fornito gruppo della regia, hanno ultimato la preparazione e, comunicando tra loro con auricolari, sono pronti per le riprese. Tutto è perfetto all’arrivo del regista e di Tom Hanks che, in silenzio religioso e seguito a breve distanza da un nugolo di persone dello staff, raggiunge il set, concentrato e pronto per quando il regista dirà le semplici parole “Ready and action!”, mettendo
Ayelet Zurer, Tom Hanks, Pierfrancesco Favino sul set romano di ”Angeli e demoni”
Nel sequel del famoso bestseller, Robert Langdon indaga sulla setta degli Illuminati nella cornice della Roma barocca
così in moto l’organizzatissimo meccanismo produttivo che trasformerà la finzione del set in accattivante realtà. Passanti, turisti e giornalisti fuori dalle porte di Castel Sant’Angelo aspettano nella speranza di poter sbirciare all’interno, mentre tra i pochi fortunati ci muoviamo velocemente sulla scena per posizionarci alle spalle di Ron Howard, già dietro la macchina
da presa, nascosto dalla visiera di un cappellino rosso, che attento e sempre sorridente con tutto lo staff, sta impartendo le indicazioni al suo aiuto regia. Il piano di produzione di oggi, meticolosamente studiato, prevede la presenza di numerosi comparse in divisa che - accanto ai mezzi dell’Arma dei Carabinieri e con la consulenza militare della Gf Service – si aggirano sul set pronti a intervenire quando verrà chiamata la spettacolare scena dell’irruzione dei Gis – il gruppo intervento speciale – per liberare il camerlengo Ventresca, il tassello mancante che lo aiuterà a scongiurare l’esplosione del cilindro contenente l’antimateria.
Lo studioso Robert Langdon aiutato da Vittoria Vera – figlia dello scienziato del Cern e illustre vittima della setta degli Illuminati da dove ha origine il thriller – ha appena ritrovato l’ultimo dei cadaveri dei quattro cardinali favoriti nel conclave che si sta svolgendo al Vaticano. Dalle chiese della Roma barocca che segnano il percorso esoterico degli Illuminati, è arrivato il momento di raggiungere il castello dalla pianta circolare, all’interno di mura dalla pianta quadrata inserite nel giardino dalla forma di un pentacolo, dalla evidente simbologia per gli Illuminati che nel medioevo lo elessero quale Chiesa dell’Illuminazione. I carabinieri fanno strada a Tom Hanks e Vittoria che nella scena corrono attraversando gli stretti cunicoli e nel Passetto, il percorso fortificato che unisce la fortezza di Castel Sant’Angelo con il Vaticano, usato dai Pontefici per fuggire durante gli assedi. Ron Howard rivede le scene girate, analizza con attenzione le riprese che si susseguono per tutta la notte, quando alle cinque del mattino si sente l’ultimo “thanks” di Ron Howard – che caratterizza la fine delle di riprese di ogni scena – decretando la fine della giornata e del lavoro a Roma. Le riprese di Angeli e Demoni stanno proseguendo a Los Angeles e per seguire sul grande schermo il thriller ideato da Dan Brown che intreccia l’arte del Bernini – nelle chiese di Santa Maria del Popolo, Santa Maria della Vittoria e Sant’Agnese in Agone – con l’eterno conflitto tra ragione e fede bisognerà aspettare la fine di quest’anno, quando ci sarà in contemporanea la prima americana e quella italiana.
pagina 20 • 12 luglio 2008
il racconto
Un afoso sabato di luglio, due amici, la Galleria d’Arte Moderna e la vertigine del potere di lasciare un segno sulle tele...
La Sindrome di Sironi di Andrea Di Consoli
a prima cosa che Riccardo vide, non appena entrò nella Galleria nazionale di arte moderna, fu un Particolare di grande paesaggio di Mario Schifano: alcune strisce nere su fondo bianco e beige. Poi, andando più avanti, s’incantò davanti a un cielo stellato – un cielo fatto velocemente, col pennello chiuso nel pugno, quasi in trance. Una custode del museo, col muso pronunciato, stava con le gambe accavallate, e cercava di capire qualcosa della vita dei visitatori; Riccardo la notò e, soprattutto, notò che in mano teneva un vecchio libro di Kawabata. Superò un paio di pannelli divisori e si ritrovò davanti a una serie di grandi biciclette – biciclette con le ruote saturate di giallo. Infine, prima di incontrare Giorgio, rimase immobile davanti a un quadro dell’infanzia libica di Schifano – più di tutto amava, nonostante avesse letto su un suo quadro la scritta «io odio la natura», i paesaggi libici: le sabbie, e poi le palme, fatte velocemente, con furore. Fu lì, in quel punto, che Riccardo vide Giorgio, un vecchio amico, docente di letteratura tedesca dell’università di Viterbo.
L
mente, con le mani unite dietro la schiena, nella sala che ospitava i lavori di Schifano degli anni Novanta.
Giorgio disse che preferiva i paesaggi astratti e delicati rispetto ai lavori su tela emulsionata, in cui Schifano gettava smalto e acrilico su immagini fotografate dalla televisione – era sempre circondato da televisioni, Schifano; «droga e televisione», commentò Giorgio, «era sempre strafatto». Poi rimasero come ammaliati davanti a un
“
pingere anche lui. «E’ una cosa immensa, questo quadro» disse. Continuarono, ancora turbati dal cenotafio a forma di televisione, la camminata nel museo. Rimasero a lungo fermi davanti a uno spruzzo di fuochi d’artificio; e quando arrivarono davanti a un quadro tutto dipinto di blu – «il blu stellare di Schifano» pensò Riccardo, senza parlare – la loro meraviglia fu totale, nonostante la dissonanza che creava un certo utilizzo di pietre e di cassettini, incollati in maniera arbitraria alla base del quadro. «Hai già avuto articoli sul tuo lavoro artistico?» chiese Riccardo, riportando la discussione su cose della loro vita. Giorgio, senza soffrirne molto, disse di no. «E dove lavori, a casa?». Giorgio raccontò un pezzo della sua vita: le tre figlie da mantenere, la grande casa in Sabina, il lavoro universitario, l’appartamento ai Parioli, per scrivere e leggere.
«A me non è mai capitato di piangere davanti a un quadro». «Io invece ho anche provato la Sindrome di Stendhal, davanti a Morandi...»
”
quadro degli ultimi giorni di Schifano; era un dipinto in cui si stagliava nel cielo, come un antico cenotafio, una grande televisione nera che galleggiava su un mare viola. «E’ un sarcofago, ci pensi?» disse Giorgio. «Hai ragione. E’ la sua tomba. Ma per quanto fosse angosciato, Schifano non era mai disperato». Giorgio annuì e provò a ripercorrere, con la mano, i movimenti pittorici di Schifano, ché Giorgio s’era messo, da qualche anno, a di-
Intanto scorrevano altri lavori: tre sedie in una sorta di teatro ombroso; un grande paesaggio di verdi e di blu, fatto con estrema velocità. Giorgio guardò i quadri e, toccandosi la barbetta bianca, e «Giorgio, anche tu qui stamattirespirando piano con il naso tapna, che sorpresa», gli disse Riccarpato, espresse le sue riserve. do andandogli incontro, e susci«Preferisco i quadri delicati. Quetando la sua meraviglia. sto è troppo carico. C’è troppo co«Fa talmente caldo, fuori, lore, troppe cose» disse. che qui con l’aria condiRiccardo, invece, sudato zionata ci si passerebbe la nonostante l’aria condiziogiornata» rispose Giorgio, nata, disse che preferiva abbracciandolo. proprio lo Schifano Scrittore e giornalista, Andrea Di Consoli nasce a «Hai visto che roba?» doviolento, carico di coZurigo nel 1976 da genitori lucani. mandò Riccardo. lore. A Zurigo vive fino al al 1987, anno in cui si «Sai una cosa? Ho pianto, «Giorgio, sai una cotrasferisce in Basilicata, dove rimane per circa prima, vedendo il suo Orto sa? Una notte di dieci anni. botanico». tanti anni fa ho visto Nel 1996 si trasferisce a Roma, dove vive tuttora. «A me non è mai capitato in televisione un doAttualmente scrive su “L’Unità”, “Il Messaggero”, di piangere davanti a un cumentario. In que“ViaPo-Cisl” e “Nuovi Argomenti”. quadro» confessò Riccarsto documentario c’eDal 2001 collabora anche al “Taccuino italiano”, do, con un po’ di vergogna. ra Schifano che dipinprogramma radiofonico di Rai International. «Io ho anche provato la geva un cielo stellato, Ha pubblicato i saggi ”Le due Napoli di Domenisindrome di Stendhal. Mi mentre Achille Bonito Olico Rea” (Unicopli, 2002) e, insieme con Filippo capitò a Bologna, davanti va commentava in presa diBubbico, ”Una lucida passione. Il riformismo a Morandi. C’ero solo io, in retta lo spettacolo. Avendomeridionale, la Basilicata, la rivolta di Scanquel museo. Mi sentii male lo visto davanti alla tela, zano” (Avagliano, 2006), la raccolta poetica ”Dise piansi». ogni volta che vedo un suo coteca” (Palomar, 2003), il libro di racconti ”Lago «Senti Giorgio, hai già finiquadro mi pare di averlo negro” (L’Ancora del Mediterraneo, 2005) e il roto di vedere la mostra?». davanti agli occhi, ancora manzo ”Il padre degli animali” (Rizzoli, 2007). Giorgio rispose di no, e vivo. Aveva la stessa facilità perciò si avviarono lentacreativa di Picasso. Il colo-
l’autore
re, in mano a Schifano, diventava qualcosa di sensuale, di voluttuoso». Riccardo si asciugò il sudore e sentì un’attrazione quasi fisica per una gigantografia intitolata La chimera – l’attrazione improvvisa, cioè, gli si presentò sotto forma d’impulso a gettarsi violentemente sulla tela. Poi parlarono di altre cose: di amici comuni, di alcuni libri che erano stati pubblicati in quei giorni; infine Riccardo gli diede una notizia. «Schifano ne ha fatti troppi, di quadri. Uno Schifano, ormai, ce l’hanno tutti. Pensa che l’altro giorno, in una gelateria di San Giovanni, ce n’erano appesi tre. Uno più bello dell’altro. Il proprietario me li voleva vendere. Mi diceva che con diecimila euro me li portavo a casa tutt’e tre. Ma purtroppo non ce li ho, questi soldi. Anzi, quel giorno avevo appena i soldi per offrire il gelato agli amici che erano lì con me». Giorgio aprì la bocca.
il racconto
12 luglio 2008 • pagina 21
Tra le opere citate nel racconto del giornalista e scrittore Andrea Di Consoli, in senso orario: qui a sinistra ”La solitudine” di Mario Sironi; a destra ”Esterno” di Mario Schifano; in basso a destra il ”Cardinal decano” di Scipione; in basso a sinistra uno dei quadri del periodo futurista di Giorgio Morandi
sensualità di Mafai e di Scipione; l’uomo assetato e inginocchiato di Martini; i cardinali stanchi di Manzù; le meraviglie di Leonicclo; il busto di Ungaretti; e poi Carrà, Casorati, Capogrossi. Si meravigliò di non aver dimenticato niente: né il furore popolaresco di Guttuso, né il realismo sinuoso di Carlo Levi.
«Ma dici sul serio?». «Sì, dico sul serio. E’ una gelateria che sta all’inizio della via Appia. C’era anche un quadro della serie delle biciclette». «Me li vado a comprare io» disse Giorgio. Riccardo sorrise, perché in quello slancio entusiasta c’era tutta l’ingenuità di Giorgio, ché tutti sanno, o almeno dovrebbero sapere, che ci sono in circolazione tantissimi falsi di Schifano. «Valli a vedere. C’è anche un Attardi, un monocromo ricoperto di plastica. Ma stai attento, perché potrebbero essere dei falsi». Rimasero ancora un po’ a parlare; poi Giorgio abbracciò Riccardo e prese la via dell’uscita.
Il museo era quasi vuoto – solo, qua e là, c’erano alcuni turisti stranieri. Era un caldissimo sabato di luglio, e quasi tutti avevano preferito andare al mare. Riccardo decise di rimanere, e si avviò verso la sala delle opere del primo Novecento. Erano tanti anni che non ci metteva piede; e gli fece un certo effetto stare da solo in mezzo ai quei capolavori. Ritrovò la rossa
Si fermò davanti a Uomini che si voltano di Scipione, ed ebbe una strana sensazione: come avesse significato davvero qualcosa, in quel momento, la suggestione del voltarsi, quel guardare dritto negli occhi del pittore. Voltarsi, certo, ma verso dove? Riccardo si era sempre voltato, questo lo sentiva con certezza; eppure il passato non gli interessava più – o almeno non gli interessava più il suo passato personale. Era il passato del mondo a suscitare il suo interesse – l’opera umana, quel sudore sulle cose affinché abbiano senso, affinché siano belle per sempre. E ripensò alle parole di Giorgio; al suo pianto spaesato davanti a Morandi. Ma Morandi era freddo, non ritraeva figure umane, solo paesaggi e nature morte. Perché Giorgio si era commosso davanti a Morandi? Forse aveva trovato la vena nascosta: la vena piena di sangue caldo nel braccio freddo di Morandi. Non riusciva a camminare; una profonda stanchezza s’era impossessata del suo corpo. Prese una sigaretta e la mise in bocca, ma senza accenderla. Il quadro di Scipione gli stava davanti, sempre uguale da quasi cento anni. Ebbe questo pensiero: «Sono in assolu-
to la persona più vicina a quest’opera di Scipione». Non se ne accorgeva, ma era zuppo di sudore – respirava anche a fatica, nonostante l’aria condizionata. A quel punto i pensieri cominciarono a frullare vorticosamente nella sua testa – era un frenetico accavallarsi di immagini e pensieri sconnessi; e l’unico pensiero che riuscì davvero a isolare fu questo: «Io posso fare di Uomini che si voltano qualsiasi cosa. Questo piccolo quadro è nelle mie mani». Ma il buon senso lo distrasse da quei pensieri, e la sua camminata tra quelle opere proseguì tranquillamente. Quando però arrivò davanti a La solitudine di Mario Sironi, dopo aver ammirato, commosso, l’oscura Famiglia del pastore, lo spaesamento fu più forte di prima. Avrebbe voluto dire a qualcuno, se solo qualcuno fosse stato al suo fianco, che quell’opera era la sua preferita quando faceva l’università, e che spesso entrava nella Galleria solo per ammirarla. Ebbe una piccola vertigine – e quasi cadde, di lato, come chi perde la stabilità, o è tirato per un braccio. Era arrivato a un punto della sua vita in cui pensava di saperne più degli altri – di avere più diritti degli altri. Chi altri aveva amato più di lui quell’essere asessuato così chiuso in una solitudine assoluta e senza tempo? Disse a se stesso: «Io ho il potere
di lasciare un segno su quest’opera». E qualcosa si spense, dentro di lui, nonostante il cuore gli battesse forte nel petto. Si asciugò il sudore, che gli era sceso finanche negli occhi, e sferrò un pugno sull’opera di Sironi. Immediatamente immaginò sirene, allarmi, carabinieri addosso che lo ammanettavano – e poi, in un crescendo di panico, il carcere, il dileggio sui giornali, la rovina. Invece non accadde nulla. Tutto era silenzioso come prima – il sistema di allarme, probabilmente, quel giorno non funzionava. Riccardo guardò l’opera e vide che non c’erano tracce del suo gesto.
“
Si allontanò, con le mani unite dietro la schiena, e lentamente si diresse verso l’uscita. Qui alcune annoiate signorine della biglietteria lo salutarono cordialmente, ignare che il visitatore che stava uscendo, bagnato di sudore, aveva avuto una sindrome di Stendhal al contrario, una sorta di resistenza rabbiosa all’annullamento ipnotico che l’arte riesce a suscitare sulle persone che trovano la vena di sangue caldo nel braccio freddo dell’arte. Tutto il contrario di quel che accadde al suo amico Giorgio, avvinto dalle nature morte di Morandi, e già sperso, a quel punto, nel torpore di Roma.
Chi altri aveva amato più di lui quell’essere assessuato così chiuso in una solitudine assoluta e senza tempo?
”
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Fa bene Napolitano a firmare il Lodo Alfano? CERTO CHE FA BENE, L’ITALIA ADESSO HA BISOGNO DI UN GOVERNO CHE LAVORI
IL LODO? IN REALTÀ AVREBBE DOVUTO PENSARLO UN GOVERNO DI CENTROSINISTRA
Certamente. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fa benissimo a non rispedire indietro il Lodo Alfano perché questo è l’unico modo per permettere all’esecutivo di governare veramente. E, parliamoci chiaro, l’Italia adesso ha sul serio bisogno di riforme e di un governo che sia messo davvero nelle condizioni di poterle fare. Tanto più che, al’indomani del via libera della Camera al Lodo Alfano sull’immunità per le alte cariche dello Stato, il governo ha presentato alcuni emendamenti al decreto sicurezza che modificano sostanzialmente la cosiddetta norma ”blocca processi”. In pratica, al posto della sospensione è prevista la semplice facoltà affidata ai magistrati di fissare criteri di rinvio dei processi per reati indultati o che comunque rientrano nell’indulto previsto dalla legge del 31 luglio 2006. «Abbiamo recepito le critiche dell’opposizione - ha poi commentato saggiamente Giulia Bongiorno - e per questo auspico che già nel comitato dei nove della commissione Giustizia, che si riunirà lunedì, ci possa essere un parere favorevole unanime». Avanti così.
Diciamo che, tutto sommato, Napolitano alla fin fine fa bene a firmare il Lodo Alfano. Diciamo anche però che quanto meno dispiace che ad averlo promosso sia stato un presidente del Consiglio, quale è Silvio Berlusconi, coinvolto in un processo per la vicenda Mills. Siccome credo che per il nostro Paese sia davvero fondamentale adesso governare quanto il più serenamente possibile per poter rialzare l’economia dell’Italia e ridare al Paese uno slancio politico e sociale adeguato (e il Lodo Alfano lo consentirebbe), penso dunque che il presidente della Repubblica faccia bene ad ”autografarlo”. Certamente sarebbe stato meglio che fosse stato un governo di centrosinistra a metterlo a punto. Ma sappiamo bene che, tutti uniti dall’antiberlusconismo militante, i signori della sinistra italiana non avrebbero mai agevolato la vita al premier in questo modo. Che dire, pazienza. L’importante adesso è andare avanti. E questo governo sembra ne abbia tutta l’intenzione. Cordialmente ringrazio per l’attenzione sulle pagine del vostro giornale. A presto e distinti saluti.
Leandro Germini - Milano
LA DOMANDA DI DOMANI
Cosa ne pensate della sentenza della Cassazione sui rasta e la marijuana? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Mario Lobello - Arezzo
HA RAGIONE ANTONIO DI PIETRO: DA OGGI CHIAMIAMOLO «PORCATA ALFANO» Penso sia una vergogna che il Lodo Alfano venga subito controfirmato dal presidente della Repubblica.Trovo assurdo che in uno stato civile e democratico (ma forse l’Italia lo è davvero sempre meno) si possa rispondere a una simile legge ad personam chiaramente tutta creata intorno a Silvio Berlusconi, si possa rispondere con un semplice ”prego accomodati, fai pure in modo di non essere processato”. Ha ragione, e un po’ mi dispiace ammetterlo, Antonio Di Pietro: questo «non bisogna più chiamarlo ”il lodo Alfano”, ma piuttosto ”la porcata Alfano”». La maggioranza toglie la blocca-processi non perché avrebbe avuto l’effetto di lasciare impuniti reati gravi come lo stupro, la rapina e la corruzione ma perché il premier è stato messo al sicuro.
RIMETTIAMO ”AL CENTRO” IL PAESE L’Unione di centro. Distinta e distante dai due poli, più che nella forma, nei contenuti. Lontana anni luce da Di Pietro e qui sia nella forma che nei contenuti, anche perché a mio modesto parere sbaglia due volte: la prima quando cerca di sovvertire con i “suoi amici”, attraverso la piazza, la legittima investitura che la maggioranza del Paese ha conferito al Pdl e quindi a Silvio Berlusconi, appena due mesi fa. La seconda quando cerca di trasformare il suo Partito “dall’Italia dei Valori” a quella “dei giustizieri”, cercando di spostare l’asse dall’aula parlamentare a quella di giustizia. L’Italia e gli Italiani non possono continuare ad essere vittime involontarie di uno scontro tra istituzioni dello Stato oramai in “guerra”tra di loro da 15 anni. Per essere ancora più chiari: gli italiani sanno bene chi è Berlusconi, conoscono la sua storia politica e imprenditoriale, i suoi vizzi e le sue virtù. Scegliendo Berlusconi & C. di fatto hanno scelto un modello ed uno stile di governo del paese che, può non piacere, non essere condiviso in parte o del tutto ma che va certamente rispettato, e per chi vuole combattuto con gli
IL CLIMA NEL MARSUPIO
Un canguro di cartone di 32 metri di lunghezza servirà agli studenti di un’università di Melbourne per misurare gli effetti dei cambiamenti climatici sul pianeta. 4 satelliti della Nasa in orbita misureranno la capacità della Terra di “rispedire” luce e calore del Sole nell’atmosfera
PRODI PRESIDENTE, MA NON DEL PD
RUTELLI, D’ALEMA E L’APPRODO AL PSE
Qualche chicca? Si narra che il mistero sia stato risolto: Romano Prodi, a detta del suo portavoce Sircana, non farà il presidente del Pd. Il successo del Prodi è oggi planetario, sebbene resti un mistero perchè il Nostro affascini tanto e tanti. E allora perchè non approfittarne? Insomma, Prodi ambisce ad altro che fare il capo di una famiglia in cui tira già aria di divorzio. Come dargli torto? Provate per un attimo a immaginare di essere Prodi. D’accordo, l’ipotesi non tocca e nemmeno fa vibrare il vostro essere in tutte le sue fibre e lo sappiamo che non è questo il modo d’illuminare la vostra esistenza, ma provate ugualmente. In fondo, vi è andata bene: non vi è chiesto di assumere l’identità del nostro pensatore e studioso ma solo del politico. Accettereste?
Che cos’è accaduto all’empatico, comprensivo e buono Francesco Rutelli, perchè va in giro con quella faccia? Cos’è questo gelo? Il caso è problematico. Che se la sia presa per le dichiarazioni pro socialisti europei del PSE di Massimo D’Alema? Il D’Alema per ora si muove a passo lento ma, da abile, navigato e cinico stratega, sa come si sferra una battaglia, sa come mandare nel dimenticatoio le smancerie buoniste, e siamo sicuri che presto accelererà il ritmo del ballo contro le minoranze, Rutelli e i teodem. Già il nome del partito spiega l’ispirazione. Si chiama PD, più vicino a PCI che a PPI. E chi arriccia il naso si rassegni. La danza diventerà presto guerra. In piedi, diciamo: il compagno D’Alema ci faccia sognare e il PD faccia scoppiare.
dai circoli liberal Francesco Galli - Roma
strumenti e i metodi propri della politica e non della piazza. In questo modello c’è tutto quello a cui assistiamo oggi; dal lodo Alfano alla Carfagna Ministro fino alle priorità che il leader del Pdl ,Silvio Berlusconi dà al suo governo. E’ solo rispettando la volontà del popolo sovrano che può nascere e crescere una proposta politica nuova. Un sistema e un modello diverso e alternativo, mai contro qualcuno ma per qualcosa. Questo è chiaro in tutti quelli che, come noi antepongono alla cultura politica del palazzo quella di una democrazia partecipativa, inclusiva, cristiana, laica, liberale e moderata quale modello di sviluppo socio-economico-politico-culturale per il paese. Per questo l’Unione di centro attraverso il varo della Costituente rappresenta qualcosa di nuovo, che guarda al futuro avendo memoria del passato. Qualcosa che porta in sé il rispetto del presente, ma al tempo stesso la forza e la ragione di chi ha fatto grande l’Italia e non può abdicare al ruolo che gli appartiene. Così come chiede Berlusconi. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
Pierpaolo Vezzani
Lettera firmata
COMUNICAZIONE PER I CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal
APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 15.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti, Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Tornerò a casa, Caitlin mi ama Cat, mia Cat: se solo mi scrivessi, mio amore, oh Cat. Ti amo. E’ tutto quello che so. Ma quello che so è anche che sto scrivendo nel vuoto, quel tipo di tremendo, sconosciuto vuoto in cui sto per entrare. Andrò nello Iowa, in Illinois, nell’Idaho, nell’Indiana, ma queste, salvo cambiamenti, “esistono”. Tu no, non ci sei. Mi hai dimenticato? Io sono l’uomo che tu dicevi di amare. Io ero abituato a dormire tra le tue braccia te lo ricordi? Ma non hai mai scritto. Forse sei stanca di me. Io non lo sono di te. Ti amo. Non c’è un solo momento di ogni singolo odiato giorno in cui io non dica a me stesso: sarò a posto, tornerò a casa, Caitlin mi ama, io amo Caitlin. Ma forse hai dimenticato. Se mi hai dimenticato, o se hai perso il tuo amore per me, ti prego, mia Cat, fammelo sapere. Io ti amo. Dylan Thomas a Caitlin McNamara
CARO DI PIETRO, LASCI IN PACE IL NUOVO GOVERNO Il comportamento della maggioranza, nelle commissioni, è stato criticato da Di Pietro: «Neanche durante il fascismo accadevano cose del genere». Meglio così On.le Di Pietro per due motivi: uno, grazie per averlo detto, ci credo, Lei se ne intende e due spero che, ora che l’ha detto, non si senta più che trattasi di Governo fascista, semmai sarà comunista o semplicemente un Governo sostenuto dalla maggioranza eletta dagli italiani. Piuttosto mi domando, se Lei parla tanto con le sue percentuali politiche, cosa farebbe con oltre il 40%? Penserebbe a governare in silenzio? Ed è quello che dovrebbe fare presto il centrodestra, molto presto! Lei continui a sparlare!
L. C. Guerrieri - Teramo
L’AMERICA SI SCUSA, L’ITALIA PERDONA Il portavoce della Casa Bianca si è scusato con Berlusconi, con il governo italiano e gli italiani per la gaffe fatta (profilo offensivo nei riguardi del nostro premier distribuito ai giornalisti). Scuse accettate! Gli americani sono così, dicono di aver sbagliato per
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
12 luglio 1215 Federico II viene nuovamente incoronato imperatore del Sacro Romano Impero ad Aquisgrana dopo la sconfitta di Ottone IV 1817 Nasce Henry David Thoreau, filosofo e scrittore statunitense 1884 Nasce Amedeo Modigliani, pittore e scultore italiano 1904 Nasce Pablo Neruda, poeta cileno 1962 Esordio ufficiale dei Rolling Stones, avvenuto al Marquee Club di Londra 1963 Grazie al decreto legge n. 930, il Marsala è il primo vino italiano a ricevere il riconoscimento Doc 1982 Antonio Cassano, calciatore italiano 1986 Viene registrato allo stadio di Wembley il doppio Cd live dei Queen Live at Wembley ’86 1916 Muore Cesare Battisti, geografo, politico e rivoluzionario italiano 1994 Marco Pantani vince all’Alpe d’Huez la sua prima tappa al Tour de France.
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
aver preso il profilo sull’Encyclopedia of World Biography e noi ci crediamo. Una volta la Cia, si racconta, dopo aver fatto mille test, inviò una spia in Urss, parlava, si muoveva, ecc come un perfetto russo, ma fu subito scoperta ed arrestata: avevano scelto, tra mille, un agente di colore! O quella volta di Carter che inviò in Iran tre elicotteri per un blitz rapido: la missione fallì perché gli elicotteri si scontrarono tra loro nel cielo iraniano!
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)
LA PILLOLA RU 486 VENDUTA TRAMITE INTERNET Ho letto sul sito del Corriere della Sera che la pillola abortiva adesso si trova su Internet. Pare infatti che alcuni siti web procurino la Ru 486 a donne di Paesi con leggi restrittive sull’interruzione di gravidanza. Trovo francamente scandaloso che questo possa accadere sul serio e mi associo al professor Giorgio Vittori, presidente della Società Italiana di Ginecologia nell’esprimere la mia più viva preoccupazione.
Gloria Salvatori - Matera
PUNTURE Il figlio di Bossi ha presentato una tesina su Cattaneo ed è stato bocciato di nuovo alla maturità. La prossima volta provi con il lodo Alfano
Giancristiano Desiderio
“
Per quanto viaggiamo in tutto il mondo per trovare ciò che è bello, dobbiamo portarlo con noi o non lo troveremo RALPH W. EMERSON
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di IN PIAZZA TUTTI CONTRO TUTTI Visto che l’argomento del giorno è la manifestazione “tutti contro tutti”di piazza Navona, non posso esimermi dal fare un frullato di cose serie, semiserie e per niente serie. Serio: sull’ardito show della Guzzanti: adoro la satira, lo sberleffo feroce, l’uso parsimonioso della parolaccia e lo spingersi al limite dell’insulto come mezzo indispensabile per dar vita ad una battuta geniale, o almeno ad un’elaborazione umoristica di un evento. Le parole della Guzzanti, invece, si sono fermate all’insulto da bar, all’invettiva che non ha bisogno di un comico e di un palco per essere ascoltata. (...)Ormai non mi scandalizza nemmeno più l’insulto gratuito, ma mi intristisce infinitamente il comico che lo usa per sostituire la trovata che non riesce a partorire e a proporre al pubblico. Ancora serio: ho letto un po’ di commenti sulla fanghiglia aspersa da Grillo e dalla Guzzanti e ho notato che la condanna dei due interventi si è appuntata sugli attacchi al Papa, al presidente Napolitano, persino a Veltroni. Non altrettanta evidenza (ma forse mi è sfuggita) è stata data agli insulti fatti piovere su Mara Carfagna. Al punto che mi sono chiesto: se a pronunciare quelle frasi fosse stato un rappresentante dell’altro sesso, come avrebbero reagito quelle anime pie in gonnella che in Parlamento hanno pure dato vita ad alleanze trasversali per difendere (giustamente) quote rosa, pari dignità e opportunità tra i sessi, e che ogni giorno ci grattugiano i santissimi rammentandoci che una donna piacente non deve per forza essere cretina o darla per fare carriera e cose di questo genere? Satirico: Straordinaria “Repubblica”, che in un articolo sui commenti agli espliciti riferimenti della Guzzanti al sesso orale ha riportato la di-
chiarazione, ovviamente disgustata, del vice-capogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino. Ancora satirico: ritengo comunque che sia inammissibile consentire ad un comico di insultare pesantemente da un palco un ministro. La Carfagna dovrebbe quindi dimettersi.
Fard Times fardtimes.splinder.com
VELTRONI VS DI PIETRO LA VERA RAGIONE Usciamo per un attimo dall’Italia, e domandiamoci in quale paese al mondo un capo di partito partecipa a una manifestazione in cui vengono insultati il Papa e il Capo dello Stato, senza neppure condannarli. Ma Beppe Grillo e la Guzzanti sono comici, si dirà. Già, ma voi ve lo vedete Barack Obama che organizza e partecipa a una manifestazione in cui viene vilipesa la più alta carica dello Stato? (...) Chi rappresenta lo Stato infatti, ha il dovere del rispetto verso le istituzioni, verso i soldati che combattono in nome della nostra bandiera, verso le forze dell’ordine. E’ proprio questo di più, che è l’amore per il proprio paese, che fa sì che tanti agenti e soldati si sacrifichino e rischino la vita anche per stipendi da fame. Se gli uomini delle istituzioni rompono questo ”di più” lo Stato va a scatafascio. (...) No, un politico deve fare delle scelte. Deve porre un limite alla deriva anti-istituzionale. Per questo plaudo a Veltroni. Perchè ha finalmente saputo mettere un paletto tra il Partito Democratico e Di Pietro, per il bene delle istituzioni italiane. Dopo avere rotto con Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio, non poteva non fare altrettanto con Di Pietro. Di mezzo non c’è sinistra o destra, ma il senso dello Stato, che altro non è che l’insieme di noi cittadini.
Libero Pensiero liberopensiero.blogosfere.it
Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma
Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via Vitorchiano, 81 00188 Roma -Tel. 06.334551
Amministratore Unico Ferdinando Adornato
Diffusione e abbonamenti Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia (responsabile) Massimo Doccioli, Alberto Caciolo 06.69920542 • fax 06.69922118
Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Lagrotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza
Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro
Abbonamenti
Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc
Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania
e di cronach
via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it
Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30
PAGINAVENTIQUATTRO Imprecisioni e ipocrisie nel dibattito sulla sentenza che ”condanna” la Englaro a morire
Chi può dire che Eluana di Luisa Santolini n questi ultimi giorni, oltre alle polemiche politiche sulla giustizia e alla vergognosa manifestazione di Piazza Navona che ha degradato la politica dalla “forma più alta di carità”come ebbe a dire Paolo Vl a un ignobile pretesto per rispolverare un becero linguaggio che attacca le Istituzioni e la Chiesa Cattolica nella persona del Santo Padre – una pessima pagina di antipolitica da cui per fortuna tutti hanno preso le distanza tranne Di Pietro – i giornali e le televisioni si sono occupati del caso tragico e pietoso di Eluana Englaro, questa povera ragazza destinata, per una sentenza della Corte di Appello di Milano, a morire di fame e di sete. Un caso italiano alla Terry Schiavo che tre anni fa ebbe la stessa sorte negli Stati Uniti. Mai allora avremmo pensato di vivere anche qui questa tragedia, invece la magistratura ancora una volta detta le regole, decide, ordina, interpreta, emette sentenze ambigue e di dubbia interpretazione come quella della Cassazione di un anno fa che è stata molto criticata anche da eminenti giuristi. Una sentenza che permetteva “la sospensione dei trattamenti” (perché non chiamare le cose con il loro nome? Permetteva in realtà la soppressione di un essere umano) a condizione che lo stato vegetativo fosse irreversibile (nessun medico al mondo può dire in scienza e coscienza che “quel” coma, qualunque coma sia irreversibile) e che si accerti che il paziente quando era ancora cosciente non avrebbe dato il consenso alla continuazione del trattamento (quale trattamento?
I
NON VIVE?
E chi può dire che quella fosse una volontà definitiva ed espressa consapevolmente quando è noto che un conto è esprimere un desiderio quando si è in buona salute e un conto è trovarsi nella situazione concreta di malattia?). Una sentenza che ha portato alla decisione di ieri. Ma Eluana non è malata, non subisce trattamenti disumani. È solo nutrita e idratata con un sondino. Ma qualcuno ha deciso che la sua vita non è più degna di essere vissuta e non si ferma davanti al mistero. E stupisce che molti giornalisti e commentatori nonchè eminenti scienziati sostengano che dare da bere e da mangiare siano una terapia e quindi come tali possano essere sospese. E anche se non sono terapie possono essere sospese le stesso, anche se non c’è accanimento terapeutico il trattamento può essere sospeso. Perché? Mario Ricciardi sul Riformista ha scritto «Se è vero che le so-
“
condanna i disabili gravissimi in nome di criteri che negano i diritti più elementari dell’uomo, primo tra i quali il diritto alla vita. E si va a giustificare ogni decisione, anche quella più tragica e definitiva, contro coloro che non hanno la possibilità di difendersi. Il diritto alla vita è sacro indipendentemente dalle condizioni fisiche, psichiche, spirituali in cui la persona si trova, tanto più che queste persone hanno un valore insostituibile e svolgono un ruolo unico, perché fanno emergere le contraddizioni della società spesso tragicamente disumana, perché mobilitano risorse, suscitano sentimenti positivi e sono all’origine di affetti profondi che da loro partono e a loro ritornano. Cosa può succedere ad un consesso umano che con cinica “compassione” giudica non sostenibile la vita di altri, che pensa di trarre vantaggio dalla soppressione dei più deboli?
Stupisce che molti giornalisti e commentatori nonchè eminenti scienziati sostengano che dare da bere e da mangiare siano una terapia e quindi come tali possano essere sospese stanza nutritive che vengono somministrate a Eluana non sono in senso stretto “terapie”, c’è da chiedersi se questa sia una ragione sufficiente per ritenere che sospenderle equivalga a uccidere un essere umano». E a cosa equivale allora? Cosa succede ad una persona quando la si priva di cibo e acqua in qualunque condizioni si trovi? Perché negare la verità? Dove ci porterà un simile modo di ragionare? Eluana non soffre, non ha bisogno di terapie, la mattina apre gli occhi, ha una vita “diversa” ma questa vita, come tale, è ritenuta insopportabile.
È la mentalità che si fa avanti nella nostra società: una mentalità eugenetica che rifiuta il disabile gravissimo, che vede in lui solo un problema da eliminare, che rimuove la sofferenza e il dolore. Se tutto è efficienza, se ogni persona deve essere funzionale al benessere, al successo e alla carriera, quale posto possono occupare coloro che hanno e creano terribili difficoltà? Sta avanzando una irrazionale e cieca paura della malattia, che esclude e
”
Una società che non comprenda questo è una società gravemente malata e solo una seria e profonda alleanza con le famiglie colpite da un tragico destino la salverà da un futuro difficilmente immaginabile, sicuramente triste e vuoto e sterile. A tutti noi il compito di fermare questa deriva e di ridare alla “dignità della vita” il significato che le è proprio.